Il sacrificio di Aline. Prima della speranza.

di Elnera
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Sogno e realtà ***
Capitolo 4: *** 3. Due pesi due misure ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sapevo che sarebbe arrivata, me l'ero immaginata un migliaio di volte almeno. L'avevo sognata per tutti questi anni, incubo dopo incubo, ma non era bastato. Il cielo plumbeo e carico di pioggia era esattamente come me l'ero figurato, così come i lampi che lo attraversavano, squarciandolo. Anche il mare non destava il minimo stupore in me: erano acque tempestose, e dall'alto dello scoglio su cui sedevo inerme sembrava un animale straziato, spaventoso nella sua immensità. Il vento improvvisamente gelido ululava, scompigliandomi i capelli sul viso, che vi restarono attaccati, come se li avessi cosparsi di colla stick.

Era lei. Era la notte in cui sarebbe cambiato tutto. Di nuovo. Avrei mai trovato la pace? Non conoscevo la risposta, ma non mi importava più di tanto. D'altronde era giunta la fine, e certamente avere delle risposte non avrebbe cambiato le cose, meno che mai avrebbe cambiato me, quello che ero ritornata ad essere. Come avevo superato tutto questo la prima volta che mi era capitato? Domanda sbagliata. Non avevo superato proprio un bel niente. Dire che ero sopravvissuta alla mia esistenza era più corretto. Avevo vissuto giorno per giorno, senza un obiettivo, senza fissare una meta ben precisa. Me l'ero cavata abbastanza bene: dopo il primo "periodo" di nausea costante provocatami da quello che ero, mi ero finalmente resa conto che non potevo cambiare le cose. L'unica soluzione era arrendermi. Potevo solo nascondere tutto: tutto l'odio, la rabbia, il rimorso, perfino la nausea di me stessa. Ma ero finita per dimenticare cosa significasse amare, ridere. Non provavo più nulla, in tutte le direzioni. E ora?
Il dolore che mi aveva accompagnato per un arco di tempo troppo lungo da ricordare, quel dolore di cui io solo ero consapevole, stava ribussando alle mie porte, e minicciava di distruggermi.
Una luce improvvisa schiarì il cielo, seguita a ruota da un assordante fragore. Ma non fu quel lampo a spingere le mie gambe a muoversi. Avevo già deciso: avevo bisogno di farlo, non potevo farne a meno. Presi la rincorsa e saltai, con la speranza che l'acqua, gelida, mi purificasse. O che gli scogli, resi letali dall'incessante infrangersi delle onde, mi dilaniassero. Speranze vane. Nessuna delle due sarebbe mai stata possibile, neanche lontanamente, non per me.
E mentre il vento provocato dalla caduta mi frustava in viso, un' ombra si apprestò a saltare dietro di me.

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Capitolo 2
*** Risveglio ***


Il buio sovrasta anche la migliore delle menti. Non parlo della morte, o della dimensione propria del sonno, ma dell'oscurità che finisce per renderti ciò che non sei. Cosciente o meno, arriva il punto in cui te stesso e le persone che ti circondano dovranno fare la conoscenza con qualcuno che ha preso il tuo posto. O almeno ci prova.
Nel mio caso in particolare, non saprei dire da quanto tempo rincorro la mia mente senza risultato. E' come cadere all'infinito in una materia che ti tocca senza sfiorarti davvero. Non sono stanca, ma vorrei tanto fermare tutto, compreso il formicolio che scappa dai miei sensi ogni volta che cerco di capire da dove provenga. E' come vivere un attimo in una vita, ma potrebbe ugualmente essere il contrario. 
Il mio buio si chiama coma. Ma non è l'unico che mi appartiene. Meno che mai quello che temo.

E' una mattina fresca, di quelle che filtrano i raggi del sole e ti permettono di apprezzare a pieno il calore in contrasto a una lieve brezza. Finalmente qualcosa che io sappia distinguere. E' un pensiero che nasce nella mia mente dal nulla e non capisco da dove scaturisca. Ma in me è già scattato una qualche sorta di allarme, perchè oltre al calore non sento nient'altro. Il corpo è come sparito, mutilato, qualcuno deve aver reciso le redini che mi mettevano al comando. Non percepisco nessun odore, nessun rumore. Il cambiamento da qualche minuto fa è come una magnifica lama: sottile ma incisivo. In ogni caso non ricordo null'altro se non la condizione in cui sono ora, alla quale non saprei dare un nome. Un cigolio irrompre nella mia mente. Istintivamente drizzerei le orecchia ma ora come ora non so dove si trovino di preciso, così mi limito ad acuire l'udito. 
<< Buongiorno a te, straniera. Come ci sentiamo oggi?>> La sua voce non mi è familiare, ma sento che sto cominciando a riappropriarmi delle mie abitudini: in pochi secondi la mia mente si accende e un serie di informazioni mi invadono. Deve essere un uomo tra i 40 e i 55 anni e in buona salute. << Spero meglio di ieri, ho molte domande da porti .>> La sua voce è piena, parla ostentando sicurezza e carisma, tanto che sono inquieta e ansiosa di sapere quali siano le sue domande. Vorrei esprimermi, ma non riesco a trovare la voce. Vorrei almeno guardarlo e scoprire se le mie intuizioni sono corrette, ma giaccio immobile e senza volontà, chissa quando e chissà dove. 
Sento dei passi e capisco che il mio salvatore, il mio prigioniere o chiunque esso sia sta per lasciarmi di nuovo sola. Ogni traccia di frustazione abbandona la mia mente: sono impotente e momentaneamente non posso cambiare le cose. Vorrei chiudere gli occhi e sospirare, ma mi limito a non fare nulla. D'altronde, è l'unica cosa che mi è permessa fare. 


Qualche ora dopo, non saprei dire con esattezza, la porta alla mia sinistra si apre e riconosco la cadenza dei passi del "mio" uomo, seguita da uno stridolio che associo a un carrellino. Sento uno spostamento d'aria vicino al mio viso, e il rumore lieve di una carta che viene strappata via. Finalmente mi rivolge nuovamente la parola sollevandomi leggermente il braccio. << Il menù è sempre lo stesso, signorina. Per le lamentele si rivolga ovunque tranne che a me.>> Immediatamente un senso di calma mi pervade, mentre sento un ago scivolarmi nella vena. Il suo tono è gentile, e inoltre ho ancora almeno un arto attaccato al corpo. Ho sentito la sua pesantezza e la pelle di questo strano signore che, considerando la sua età e i calli sulle sue mani, deve tenersi parecchio impegnato. Mentre spalanca la finestra che ho di fronte sento fiorire in me nuove forze, e l'aria pulita mi accarezza il viso. 
Apro gli occhi quanto basta per sentirli bruciare come tizzoni ardenti e scorgere un figura appannata intenta a spegnere ogni fonte di luce che illumini la stanza mentre dice contento << Era ora!>>  Una piccola fiamma viene accesa proprio accanto a me, e in pochi secondi mi abituo alla ritrovata sensazione di luce soffusa, l'unica che i miei occhi riescano a sopportare. 
Un viso, due occhi azzurri e una cornice di capelli bruni spettinati entrano lentamente nel mio campo visivo. L'uomo che ho di fronte mi sorride, e ho la sensazione che mi stia prendendo in giro. 
<< Bentornata.>> Mi tocca di nuovo il braccio e questo riprende vita nella mia mente. << Io sono Gregorio>> 
In un attimo è di nuovo buio, ma sto già sognando. Tra poco mi desterò. 

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Capitolo 3
*** Sogno e realtà ***


'Sono immersa nel verde di un prato immenso, incorniciato da un cielo violaceo, scaldato dai raggi di un Sole di sproporzionate dimensioni . Mi sento leggera e felice. Da tanto tempo non sognavo di pace e tranquillità; da troppi anni giacevo rigida come un nervo a fior di pelle sulla linea del confine, un piede nell'immaginario e l'altro pronto a scattare nella cruda realtà. Una mano sfiora la mia, e i miei occhi ne incontrano un paio di un azzurro lieve. Guardo il suo volto, confusa solo per un attimo, e come un' onda la consapevolezza si infrange sul mio viso. Spalanco le labbra e gli occhi dipengedo un enorme sorriso. Ci guardiamo in silenzio senza riuscire a rompere il filo dei nostri sguardi, mentre ci scambiamo ogni cosa senza emettere alcuna parola. Mi stringe la mano e, come ogni volta, arriva dritto al mio cuore.'

Quando mi sveglio la finestra che ho di fronte è spalancata e il Sole tramonta dietro un paesaggio selvatico e desolato. Non sento freddo, e la luce mi suggerisce che siano all'incirca le otto di sera. La stanza è deserta ma sento un rumore di passi crescere di intensità: qualcuno si accinge a farmi una visita. Provo a tirarmi su poggiando sui gomiti, ma ogni movimento mi provoca fitte simili a ferite da lama. Le sento ovunque, ogni mio muscolo sembra in procinto di esplodere come un palloncino, ma ironicamnete mi sembra di essere pesante come il piombo. Desisto e mi lascio cadere sul materasso.                                                                                                                                 
Cosa diavolo sta succedendo? Cerco di fare mente locale, ma più mi sforzo di catturare un ricordo, più mi accorgo che gli unici che ho sono lontani e distrorti. Nel frattempo la porta si spalanca, l'uomo che ha detto di chiamarsi Gregorio la attraversa e mi rivolge il più stupito degli sguardi. << Non ti addormentare di nuovo! >> mi intima. Il suo fare è scherzoso, lievemente audace. 
<< Non ne ho alcuna intenzione. >> rispondo, la mia voce leggermente roca. Prende una sedia da sotto a una piccola scrivania in legno e si avvicina al mio letto. Si siede, la scheina dritta e gli avambracci poggiati sui manici. 
<< Scommetto che fosse così anche due giorni fa, ma non è andata come volevi. >> Alza un sopracciglio e mi guarda insistente. E' incredibile, questo tizio mi sta sfidando? 
<< Mi sento decisamente meglio, non succederà di nuovo. >> gli dico senza far trapelare il fastidio nella mia voce, che sta lentamente riaquistando vigore, parola dopo parola. 
<< Bene. >>  tira fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni, << Sarai confusa e piena di domande. Spara >> Si accende la sigaretta con l'aiuto di un cerino e torna a concentrarsi su di me. 
<< Da quanti mesi sono in coma? >> A giudicare dalla sua reazione, si aspettava ben altri quesiti, o più probabilmente un atteggiamento diverso. Magari più dimesso, più accondiscendente. Ma quest'uomo non conosce altro se non il mio aspetto fisico. In un certo modo è come se non fosse poi così stupito. Mi domando il perchè.
<<  Cosa ti fa pensare che siano mesi? O che sia stato coma? >> mi domanda entusiasmato, ma cercando di mantenere il massimo ritegno. 
<< La cosa non ti deve interessare.>> Cerco di essere educata, ma non ho nessuna voglia di questi giochetti. Devo sapere. 
<< Allora credo che tornerò più tardi, quand..>>
<< Nei miei ultimi ricordi c'era della neve, e non riesco a muovermi come vorrei.>> Non lo lascio finire. Mi prendo giusto tre secondi per mantenere la calma, e proseguo. << Quanto tempo?>> 
<< Un anno e cinque mesi. All'incirca. >> Sorride soddisfatto, ora che ha ottenuto le sue futili informazioni. 
<< Dove mi trovo? >>  e automaticamente mi guardo intorno. Le pareti della stanza sono grigie e sporche, rigate da rivoli d'acqua che hanno scavato dei leggeri solchi al loro passaggio. La stanza è spoglia, tranne che per i libri. Ce ne sono un pò ovunque e di qualsiasi tipo: dei tomi antichi sulla scrivania, altri più leggeri lasciati a terra, altri ancora sul comodino di fianco al letto. 
<< In una vecchia casa abbandonata.>> è la sua semplice risposta. Aspetto un'ulteriore spiegazione che non sembra arrivare, così muovo con enorme fatica il collo e gli lancio un'occhiataccia. << Ci troviamo nel bel mezzo di un bosco >> tira un breve sospiro << Il centro abitato più vicino è a circa cinquanta chilometri. L'unico mezzo di trasporto che possiedo sono due cavalli. Non saranno molto veloci, ma sono più silenziosi del fuoristrada rotto abbandonato poco lontano, e di questi tempi ormai è meglio passare inosservati. Per quanto ci riguarda, nessuno sa dell'esistenza di questa casa, nè della nostra, presumo. >> Parlando aveva finito per puntare gli occhi nel cielo sconfinato, e questi sembravano aver catturato tutta la malinconia che solo la luce di un crepuscolo riflette. 
<< Che significa? >> Non capisco le sue parole, ma tutto comincia ad acquistare un senso:  il mio isolamento, il silenzio e la nostra condizione di scarsità. 
<< Le cose sono cambiate, signorina. Ma ci sarà tempo per le spiegazioni, prima dobbiamo rimetterti in sesto. Non credi anche tu? >> Non rispondo. Mi limito a guardare il sorriso triste che gli si apre in viso, e a osservare quest'uomo di cui non mi sono ancora fatta un'idea precisa, fino a questo momento. E' un essere che ha sofferto molto, che cura le sue ferite ricorrendo all'alcool e ad allenamenti a ritmi serrati, aspettando che il tempo trascorra. Ora non conosce il coraggio, ma il suo temperamento mi suggerisce che un tempo furuno compagni fedeli, il che mi dona qualche speranza in più. 
<< Sapevo più cose di quelle che pensavi.>> 
<< Si. >> 
<< Non ne sei rimansto stupito. >>
<< No. >>
Perchè? Mi limito a pensare. Ma lui mi risponde ugualmente. Sono davvero così stanca e debilitata da farmi tradire dalla mia espressione? Non saprei dire. 
<< Non è da tutti sopravvivere a quello che ti è successo. A dirla tutta, non credo sia da nessuno. >> dice serio e cupo.
<< Sono stupito di ben altre cose che ti riguardano. >>

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Capitolo 4
*** 3. Due pesi due misure ***


Nei giorni sucessivi ci dedichiamo entrambi alla cura del mio corpo, che sembra non voler più funzionare come dovrebbe. Dapprima Gregorio mi somministra un cocktail esplosivo di proteine, vitamine e quant'altro servendosi della flebo: il mio stomaco non potrebbe reggere la digestione delle sostanze di cui sembro avere un disperato bisogno. Ogni mattina, con mia grande reticenza, il mio unico compagno muove i miei arti cercando di risvegliare i muscoli assopiti. 
Cominciamo a vedere i primi risultati due settimane dopo, quando guardando fuori dal buco sul muro qualche albero pare mettere su un pò di colore: << E' fine maggio >> mi dice << il 23, se ho tenuto bene i conti >>. 
Non mi interessano queste cose. Non voglio sapere la data, la temperatura o la pressione, diamine penso. Ma le mie parole sono altre. << Aiutami >> mi tiro su e mi metto in posizione seduta sul letto. In pochi secondi riesco a spostare le gambe di lato, in modo da farle penzolare al di fuori del materasso. Intanto Gregorio mi ha raggiunto e mi guarda, l'esppressione interrogativa. 
<< A? >> mi domanda.
<< Voglio provare a mettermi in piedi >> . Ho appena il tempo di terminare la frase. La sua risata piena e amara irrompe nel mio sistema nervoso e lo manda in tilt: lo fisso sorridendo con arroganza, ma almeno riesco a nascondere la cattiveria in fondo agli occhi. Riderai di meno quando sarò capace di farti quello che ho in mente ora, penso e il mio sorriso svanisce mentre riprendo il controllo. 

<< Adesso >>  non c'è alcuna traccia di ilarità nel mio tono. 
<< Non credo sia una buona idea. >> Ed ora anche lui è serio. << Ti spiego: anche se i tuoi muscoli iniziano a rispondere bene agli stimoli, non possiamo sapere con certezza quale sia la condizione del tuo scheletro. Le ossa delle tue gambe potrebbere cedere, anche se in questo momento sei sottopeso di dieci chili. Se questo dovesse succedere io non avrei nè le capacità, nè gli strumenti, per curarti come si deve. >>  
<< Quando sarebbe saggio provare allora? >>  
<< All'incirca tra un mese, così avrai ricominciato a nutrirti normalmente e avrai acquistato peso e forza. >> mentre lo dice muove gli occhi da destra a sinistra, sempre guardando in alto, come a soppesare possibilità e mille fattori. Ma io so che il suo suggerimento è basato solamente su luoghi comuni, e più probabilmente sulla paura che un uomo solo nutre al pensiero di poter diventare ancora più solo. Non ho tutto questo tempo, idiota.
<< Bene. Tra tre giorni proveremo. >> Affermo. Evidentemente non afferra il concetto, perchè prova a ribattere: sfortunatamente non gli do il tempo. << Da questa sera in poi solo cibi solidi, basta flebo.>> Mentre parlo fisso il buio che nel frattempo inizia a circondare la vecchia casa. << Triplichiamo gli allenamenti, non voglio che passino più di dieci giorni prima che io riesca a camminare.>> 
Non guardo il suo viso mentre pronuncia il suo flebile assenso, non mi serve per accorgermi che la sua è più che altro una resa. Ho imparato che le persone flettono più facilmente la propria volontà davanti a una determinazione cieca e spietata come la mia. Sono molte le cose che ho avuto modo di apprendere nei miei anni, non è così facile riuscirmi a fermare. 

<< Devo cercare delle persone >>. I loro volti volano nella mia testa da quando ho ripreso conoscenza, ma il mio è solo un sussurro. 
 

° = ° = ° = ° = ° 


Quella sera mangio a letto, poggiando il piatto in ceramica grigio scuro sopra ad un tavolino improvvisato impilando due file di libri ai due lati delle mie alquanto sottili gambe e poggiandovi sopra un atlante grande abbastanza da rendere la costruzione stabile. Gregorio non sta mangiando con me, a quanto pare la decisione di appena due ore fa lo ha scombussolato a tal punto da togliergli la voglia di proferir parola. E pensare che mi ha tartassato per giorni. 
Smetto di pensare e finisco in pochi bocconi la pasta che ho nel piatto: è condita con salsa di pomodoro e carne. Un semplice ragù dal gusto sorprendentemente squisito. Prendo un tocco di pane e pulisco bene il paitto, fino a quando la presenza del sugo diventa solo un ricordo. Un ricordo che mi brucia nel petto mentre immagino altre mani, all'apparenza più forti delle mie, fare lo stesso gesto, una volta quotidiano. Il rumore della maniglia mi salva da quell'incendio di emozioni represse, e due occhi azzurri mi spiano calmi da ditro la porta socchiusa. 
<< Entra pure. >> gli dico mentre mi si increspano le labbra in un insolito sorriso appena accennato. Non è necessario essere in due a soffrire. è il modo in cui giustifico quel gesto noncurante figlio di un solo attimo di debolezza. Gregorio spalanca la porta e un profumo di coniglio invade l'aria e solletica ulteriormente il mio appetito. Sono entusiasta ma non lo do a vedere e distolgo lo sguardo mentre mi viene posato il piatto di fronte. 
<< Credevo fossi in collera con me.>> osservo prima di assaggiare il primo boccone. Lui si limita a fare spallucce e alzare contemporaneamente le sopracciglia. Non ho intenzione di cavargli di bocca le parole, quindi dopo pochi secondi distolgo l'attenzione dal suo viso e torno a concentrarmi sulla cena, più infastidita di qualche minuto prima. So che cederai in poco tempo, bello mio. Hai mille domande da farmi, lo leggo anche soltanto nella tua postura. Pochi secondi dopo aver formulato questo pensiero la sua voce mi arriva spensierata.
<< Stavo solo preparando la cena. Spero sia di tuo gradimento. >> 
<< Supera ogni mia aspettativa, grazie. >> e mi concedo un debole sorriso. Dopotutto gli sono riconoscente, in parte, anche se non so ancora se dovrei esserlo. 
<< Ci siamo presi abbastanza cura di me da poter rispondere alle mie domande? >> gli chiedo stremata. Non mi è mai piaciuto essere all'oscuro delle cose. 
<< Lo farò nel momento in cui risponderai con sincerità alle mie. >> dice. << Con alcune riserve. >> aggiunge. 
<< Riserve? >> Lo guardo e scommetto che questa volta non sono stata l'abile maga di prima: l'irritazione deve leggersi a primo impatto sul mio viso. 
<< Ci sono alcune cose che preferirei dirti dopo, in un futuro non troppo lontano.>> 
Lo fisso senza neanche sbattere le ciglia e reprimo il forte istinto di mollargli un cartone. 
<< La smetteresti di guardarmi così? >> Non gli faccio paura, anzi scherza con me. Decido di passare oltre. 
<< Comincia tu. >> Lo intimo, accompagnando con un gesto della mano. 
<< Ricordi il motivo per cui sei costretta da più di un anno su questo letto? >> 
I miei occhi si perdono nel vuoto al suono delle sue parole mentre un bosco ricoperto di una coltre bianca prende forma nella mia mente. 
<< Non precisamente. Era notte, lo ricordo. La Luna era alta e quasi piena. C'era molta luce per questo motivo. >> Non riesco a ricordare oltre e guardo il quarantenne che ho a lato, bramando informazioni. 
<< E' esatto. >> Dopodichè annuisce. 
<< Dunque cosa mi è successo? >> Il mio tono ora è esasperato. 
<< Stavo inseguendo un orso nel bosco per cercare di farlo allontanare di qualche chilometro da dove si trovava. Il pomeriggio, bevendo una cioccolata calda in una locanda, avevo sentito un gruppo di quattro cacciatori programmare un'uscita notturna per stanare un greezly, e mi ero messo subito all'opera sapendo che le autorità difficilmente sarebbero intervenute. 
Erano le undici passate quando ti vidi sfrecciare in mezzo agli alberi a un centinaio di metri da me e intuii che stavi andando in direzione dell'animale. Allora mi misi a correre per cercare di salvare la situazione. Quando arrivai in cima al dislivello ebbi solo il tempo di vederti correre giù dal lato ripido. Eri molto agile: lo stavi seminando. Nella corsa l'orso salto giù da un piccolo crinale, facendo franare il terreno sottostante e un enorme masso. Sentendo mancare la terra sotto alle zampe questo si fermò e lanciò un lungo e fragoroso boato che credo ti abbia impedito di sentire arrivare la frana. Io ero impietrito, ma la mia incredulità sarebbe cresciuta pochi secondi dopo: nel momento in cui hai girato la testa per guardare indietro il masso ti ha schiacciato a terra in prossimità del fiume. Hai rotolato per qualche decina di metri finendo più volte con qualche parte del corpo sotto al macigno, per poi terminare la corsa nel fiume. L'orso non era più interessato, e dopo aver annusato l'aria si è incamminato come se niente fosse successo. >> 
Il suo viso, mentre raccontava, aveva saggiato ogni forma e genere di espressione. Ma capivo bene che stentava a credere a quello che aveva visto, ma più ancora al fatto di vedermi ancora viva proprio ora, a pochi metri da lui. 
<< Continua. >> gli dissi nel modo più gentile possibile. 
<< Ti ho cercata. Ho risalito il fiume per due giorni: mi aspettavo di ritrovare il tuo corpo per restituirlo a chi di dovere, avavo immaginato di doverlo trasportare freddo e privo di vita sulle spalle. Poi ti ho vista sull'argine del fiume, la faccia rivolta a terra e una gamba in posizione innaturale. Mi sono avvicinato e ti ho girata sulla schiena, ma la tua pella non era pallida come me la sarei aspettata. Come doveva essere. Inevitabilmente. Una persona non sarebbe mai sopravvissuta agli eventi di due sere prima. >> Mentre lo dice i suoi occhi si accendono di curiosità, una curiosità che lo divora da troppo tempo. Durante il racconto non do cenni di cedimento, al contrario è Gregorio che cerca una via di fuga spostando di continuo lo sguardo. 
<< Da quel giorno ci siamo rifugiati nella foresta e pochi mesi dopo ci siamo stabiliti in questo antico rudere. Non hai mai aperto gli occhi, neanche una volta. >> conclude. La tristezza prende posto alla curiosità sul suo volto. Ma un attimo dopo mi guarda detreminato, convinto che sia finalmente giunta l'ora che io gli dia una risposta. 
<< Sono stata molto fortunata, tutto qui. >> è la mia risposta. Per qualche minuto il silenzio regna sovrano. Decido di interromperlo, frustrata perchè la conversazione non sta dando i frutti che speravo. 
<< Cosa è cambiato là fuori? >> domando. Il mio attegiamento è neutrale, ma i suoi occhi non si muovono di un millimetro e continuano a cercare di scavarmi dentro. Solo un lieve ghigno modella la sua faccia. << Tanto lo scoprirò. Prima o poi uscirò da qui. >> gli ricordo. Non serve a nulla. Rimane immobile come una statua di sale e dopo poco mi sento assalire dalla stanchezza. Senza dire nulla mi sporgo venrso il comodino e spengo la luce. Il buio ci assale mentre lascio che le mie palpebre si chiudano e rilasso i muscoli. Sento lo schienale della sedia dell'uomo scricchiolare e capisco che per questa notte avrò compagnia: la sua è una muta manifestazione di dissenso, purtroppo per lui, alquanto inutile e inefficace. 
Non posso darti la risposta che cerchi. 
Mi correggo, non voglio dartela.   

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