Per volere di una regina di Achille88 (/viewuser.php?uid=41763)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tormento di Elle ***
Capitolo 2: *** La leggenda del Grande Nero ***
Capitolo 3: *** In missione sulla Terra ***
Capitolo 4: *** Il dono di Afrodite ***
Capitolo 5: *** Missione compiuta! ***
Capitolo 6: *** Un nuovo incarico ***
Capitolo 7: *** L'efficienza di Violet ***
Capitolo 8: *** Il biglietto ***
Capitolo 9: *** La sfida di Elle ***
Capitolo 10: *** Verso il Grande Nero ***
Capitolo 11: *** Intrigo a palazzo ***
Capitolo 12: *** Asclepio ***
Capitolo 13: *** Latte e miele ***
Capitolo 14: *** Il sogno di un guerriero ***
Capitolo 15: *** Il messaggero alato ***
Capitolo 16: *** Le parole di un padre ***
Capitolo 17: *** Battaglia nei cieli di Barham ***
Capitolo 18: *** Caronte ***
Capitolo 19: *** Al cospetto di Ade e Persefone ***
Capitolo 20: *** Il labirinto di Orfeo ed Euridice ***
Capitolo 21: *** Il risveglio di Ataru ***
Capitolo 22: *** Faccia a faccia con se stessi ***
Capitolo 23: *** Lettera a cuore aperto ***
Capitolo 24: *** Promessa di un libertino pentito ***
Capitolo 1 *** Il tormento di Elle ***
sa
IL TORMENTO DI ELLE
Da almeno un anno sul pianeta El un solo pensiero occupava la mente dei suoi
abitanti: il mancato matrimonio fra la regina Elle e il giovane terrestre di
nome Ataru Moroboshi.
L'opinione pubblica era divisa fra coloro che sostenevano la regina, vittima
secondo loro di una congiura ordita da quella bellissima ma diabolica ragazza
aliena dal bikini tigrato che, proprio nel momento cruciale, aveva fatto sfumare
il sogno d'amore della regina, e coloro che invece sostenevano l'azione della
bella Lamù e che auspicavano ad una maggiore dedizione da parte di Elle nelle
questioni di Stato piuttosto che in quelle del cuore.
Come nel resto del pianeta, anche nelle case, nei negozi e per le strade di Barham, capitale del pianeta dove tra l'altro sorgeva la residenza reale, gli
abitanti non discutevano d'altro che di quella che era stata definita "la
questione della regina".
Con lo scopo di carpire le opinioni del popolo al fine di evitare eventuali
ribellioni contro il suo governo, la regina aveva istituito uno speciale corpo
di spionaggio dal nome emblematico di "Rosa Nera", a capo del quale era stata
nominata, fra lo stupore e le polemiche dei più, la spia Rose, sebbene
quest'ultima fosse stata ritenuta come una dei maggiori responsabili del
"fattaccio".
Decisa a non deludere mai più la fiducia della sua sovrana, Rose aveva
immediatamente sguinzagliato le sue spie per le strade della capitale ed una di
queste si stava per l'appunto recando in una delle locande maggiormente
frequentate dalla popolazione.
"Qui otterrò sicuramente ciò che cerco", pensò la donna mentre osservava
l'insegna della locanda che portava un nome senza dubbio consono alla situazione
che si respirava nella città: LA TAVERNA DEI CENTOMILA MENO UNO, titolo che si
rifaceva al numero di amanti congelati per volere di Elle prima della comparsa
di Ataru e dei suoi amici.
Nascosta dal suo mantello col cappuccio, la spia di Rose entrò nella locanda
e fu immediatamente investita dall'odore di alcool che si respirava a pieni
polmoni nel locale.
"Che razza di bettola!", osservò disgustata la donna mentre si aggirava fra i
tavoli alla ricerca di un posto dove sedersi... ed osservare.
Trovato un tavolo vuoto in un angolo buio del locale, la spia si sedette e
per non destare sospetti, decise di ordinare un bicchiere di idromele.
Proprio in quel momento, due uomini fecero la loro apparizione; uno era
grande e grosso, mentre l'altro era basso e mingherlino e a giudicare dal loro
comportamento, sembravano due vecchi amici che avevano voglia di bere.
"Portateci due belle pinte di birra ghiacciata!", disse al barista
proprietario del locale il gigante con voce grossa.
Osservando meglio le loro facce, la donna riconobbe nei due uomini i
lavavetri che ogni giorno si occupavano delle vetrate della residenza reale.
"Una birra fresca è quello che ci vuole dopo una faticosa giornata di
lavoro!", esclamò l'uomo minuto dopo essersi seduto.
"Puoi dirlo forte!", commentò il suo compagno assestando una sonora pacca
sulla schiena dell'amico.
Con somma gioia dei due, una delle cameriere portò al loro tavolo le birre e
dopo aver dato il primo sorso per bagnarsi la gola, il gigante commentò a voce
alta: "Comunque, quella ragazza con il bikini tigrato era davvero un bel
bocconcino!".
"Hai ragione!", fu la risposta del compagno. "E poi, al mancato
matrimonio, sembrava davvero al settimo cielo mentre abbracciava quel
terrestre!".
"Quel ragazzo è proprio fortunato ad avere una così bella ragazza al suo
fianco!", esclamò l'uomo dalla robusta corporatura. "In questo modo non è
neppure diventato la vittima numero centomila della nostra dissoluta
regina!".
"Non dovresti dire certe cose!", lo ammonì severamente l'uomo magrolino
portandosi l'indice al dito come monito al compagno di misurare le parole. "Le
sue spie potrebbero sentirti e...".
"E che cosa vuoi che mi importi?", replicò il compagno mentre si dava dei
colpi sul suo grosso e flaccido ventre. "Non sarò certamente io il prossimo
della lista, col fisico che mi ritrovo!".
"Comunque dovresti essere più cauto", consigliò l'amico mentre si portava il
boccale alla bocca.
"Smettila di preoccuparti e pensa a bere!", concluse il gigante dopo aver
svuotato il boccale.
"Invece faresti meglio a seguire il consiglio del tuo amico, grassone!",
pensò la spia di Rose dopo aver osservato la scena.
Intenzionata a fare rapporto il più presto possibile, svuotò il bicchiere e
si avviò al bancone per pagare il conto; trovatasi di fronte al barista, la
donna consegnò al proprietario del locale una manciata di monete e si precipitò
all'uscita.
"E il resto?", domandò il barista alla cliente.
"Se lo tenga pure!", si limitò a rispondere quest'ultima mentre l'uomo
intascava i soldi senza alcuna obiezione.
"Questo non piacerà affatto alla regina", pensò la spia di Rose mentre
raggiungeva a passo spedito la residenza reale, situata sopra una collina
sovrastando in questo modo gli altri edifici di Barham.
Giunta finalmente alla porta d'ingresso del palazzo, la giovane donna si
trovò davanti due guardie che tenevano le alabarde incrociate.
"Parola d'ordine", ordinò una delle guardie.
"Moroboshi!", fu la risposta.
Dopo aver udito la parola, le due guardie aprirono le porte e così la spia
camminò per il corridoio sulle cui pareti vi erano i ritratti dei sovrani che
avevano governato, più o meno rettamente, il pianeta.
Giunta alla fine del lungo corridoio, la donna si rivolse ad una delle
guardie personali della regina chiedendo di essere ricevuta al più presto.
La guardia disse alla spia di Rose di seguirla e così le due donne si
trovarono al cospetto della loro sovrana.
Quest'ultima sedeva sul trono con espressione severa ed indossava un body in
pelle di color rosso acceso ed un mantello bianco che le copriva le spalle.
"Mia signora, questa donna chiede di parlare con voi", disse con parole
solenni la guardia di Elle mantenendo la testa abbassata in segno di obbedienza
e rispetto.
"Lasciateci sole!", ordinò Elle con parole severe alla sua guardia, la quale
eseguì prontamente l'ordine.
"Che notizie mi porti?", domandò la regina alla sua interlocutrice.
La donna lasciò cadere a terra il mantello lasciando così scoperti i suoi
lunghi capelli neri con riflessi violacei e il suo volto di giovane e bellissima
donna.
"Il mio nome è Violet e faccio parte della Rosa Nera", si presentò la giovane
mostrando alla sovrana una rosa stilizzata interamente nera simbolo del corpo di
appartenenza cucito sull'uniforme.
Ultimate le presentazioni, Violet riferì con estrema precisione tutto ciò che
aveva sentito all'interno della taverna, mentre Elle la ascoltava con attenzione
facendo ogni tanto dei cenni con la testa.
Al termine del rapporto, la regina congedò Violet con un cenno della mano e
non appena quest'ultima se ne fu andata, Elle si alzò dal trono e raggiunse la
sua stanza da letto.
"Il popolo mi odia!", gridò Elle contrariata mentre la sua anziana nutrice la
ascoltava comprensiva seduta su una sedia.
"Mia regina, è normale che un sovrano venga giudicato dai suoi sudditi",
disse Babara sperando di alleviare le sofferenze della sovrana.
"Ma se continua così, il popolo finirà per ribellarsi", obiettò Elle mentre
osservava con le mani dietro la schiena gli edifici di Barham dalla
finestra.
"Devi soltanto avere pazienza", si limitò a dire Babara. "I tuoi sudditi
dimenticheranno ciò che è successo lo scorso anno".
"Ne ho avuta fin troppa!", tuonò furiosa la bella sovrana del pianeta El.
Continuando a tormentarsi sui ricordi di quei ormai ben noti avvenimenti,
Elle strinse i pugni in preda alla rabbia e infine si rivolse alla sua anziana
nutrice con parole dure e decise: "Porta al mio cospetto l'alchimista di
corte!".
Babara obbedì e in attesa del suo ritorno, la sovrana ripensò al momento in
cui Lamù aveva sfondato il rosone della chiesa ed aveva riabbracciato Ataru con
lacrime di gioia, mandando così in fumo il suo matrimonio.
"Lamù... te la farò pagare per quello che mi hai fatto!", pensò Elle in preda
alla gelosia.
In quel preciso istante, la porta si aprì ed un uomo anziano con la barba e i
capelli bianchi vestito con una tunica e un largo mantello nero abbassò lo
sguardo al cospetto della giovane sovrana.
"Quali sono i vostri ordini, mia regina?", domandò l'uomo con voce rauca.
"Voglio che tu svolga un lavoro per me!", esordì Elle mentre l'anziano
alchimista teneva le orecchie ben aperte in attesa degli ordini.
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Capitolo 2 *** La leggenda del Grande Nero ***
sa
LA LEGGENDA DEL GRANDE NERO
"Vi vedo turbata, mia regina", osservò Babara mentre camminava in compagnia di Elle nei
giardini reali come ogni sera. "Che cosa avete?".
"Sono passate già tre settimane!", commentò contrariata la regina del pianeta
El. "Perchè vostro fratello ci sta mettendo così tanto?".
"Mahiru è il miglior alchimista del nostro pianeta ed è al servizio di vostra
maestà dal giorno della vostra nascita", rispose l'anziana donna prendendo le
difese del fratello. "Potete fidarvi ciecamente di lui!".
Tuttavia la regina non fece caso alle parole della sua vecchia nutrice e
continuò a camminare al suo fianco finché le due donne non si fermarono nei
pressi di un ponte che attraversava un piccolo laghetto situato al centro dei
giardini; Elle osservava pensierosa i fiori di loto che danzavano sul pelo
dell'acqua trascinati dalla corrente ed anche Babara restava in silenzio come
per timore di turbare l'atmosfera che si era creata.
"Posso farvi una domanda... personale?", chiese finalmente la vecchia
nutrice.
"Certo", si limitò a dire Elle continuando ad osservare la superficie
dell'acqua.
"Siete ancora innamorata di quel terrestre?", domandò Babara timorosa della
possibile reazione violenta della regina.
Ma ciò non avvenne e con grande calma, Elle rispose: "Non più".
"E allora per quale motivo avete affidato quel compito a mio fratello?", la incalzò
Babara.
"Voglio scoprire se Lamù ama davvero Ataru", rispose Elle ricordando
ancora con rabbia gli avvenimenti del precedente anno.
Proprio nel mezzo della discussione, una delle servitrici della regina le si
avvicinò e disse cortesemente: "Maestà, il nobile Mahiru chiede di essere
ricevuto".
"Era ora!", commentò la bella sovrana mentre si avviava a grandi falcate
verso la sala del trono.
"Sarebbe questa la pozione?", domandò perplessa Elle osservando la boccetta
nelle mani dell'alchimista.
"Sì, mia signora!", rispose Mahiru mostrando alla sovrana la fiala.
"L'ho chiamata la Cicuta dell'Ade e l'ho ricavata da una pianta che cresce
solamente sul pianeta Plutone", continuò Mahiru.
"Quali sono i suoi effetti?", domandò la sovrana.
"Un solo sorso di questo veleno provoca la morte istantanea", rispose
l'uomo.
"Non era questo ciò che volevo!", tuonò furibonda Elle lasciando allibito il
povero alchimista.
"Lasciatemi spiegare, per favore", supplicò il fratello di Babara. "Questo
veleno è mortale solamente se ingerito allo stato puro; se invece viene diluito
con l'acqua, colui che lo ha assunto verserà in uno stato di coma profondo, ma
non sarà in pericolo di vita".
"Ne sei sicuro?", domandò perplessa Elle.
"Sicurissimo!", rispose prontamente Mahiru. "Ho condotto esperimenti su
numerose cavie per testarne gli effetti; è per questo che ci ho impiegato ben
tre settimane prima di presentarvelo".
"Dammi la boccetta!", ordinò improvvisamente la sovrana.
Mahiru obbedì e consegnò la fiala direttamente nelle mani di Elle.
"Esiste per caso un antidoto?", chiese infine la bella regina del pianeta El
dopo aver tenuto in mano la boccetta per diversi minuti.
A quel punto, Mahiru estrasse uno strano fiore dai petali bianchi e disse:
"Questo è chiamato Fiore di Apollo e dai suoi petali è possibile ricavarne un
nettare in grado di neutralizzare gli effetti di qualsiasi veleno".
"Non ho mai sentito parlare di questo fiore", disse Elle.
"Infatti solo io sono a conoscenza della sua esistenza", rispose l'uomo. "Dovete sapere che
molti anni fa decisi di raccogliere informazioni sulle piante medicinali
presenti nell'universo per scriverne un trattato e durante il mio viaggio, venni
inghiottito dal Grande Nero".
Non appena Mahiru pronunciò le ultime parole, Elle avvertì un brivido lungo la schiena: il Grande Nero era il nome con cui veniva chiamato il grande buco nero
situato nel Braccio di Orione la cui attrazione gravitazionale era talmente
elevata da risucchiare una flotta spaziale di enormi dimensioni ed era perciò
evitato da tutte le rotte intergalattiche.
"La mia astronave atterrò su un luogo della Terra chiamato Ellade dagli
abitanti del luogo, e più precisamente, ai piedi di un monte chiamato Olimpo",
proseguì Mahiru raccontando ciò che alle orecchie di Elle stava assumendo i
contorni di una leggenda. "Lì incontrai un uomo di nome Asclepio e dal momento che
anch'egli era interessato alle erbe medicinali, mi regalò una manciata di questi
fiori prodigiosi".
"E poi che cosa successe?", domandò Elle sempre più incuriosita.
"Fortunatamente i danni erano lievi e dopo aver riparato la mia navicella,
riuscii a ripartire e a tornare sul nostro pianeta dopo aver attraversato
nuovamente il Grande Nero".
"Esiste ancora questo fiore?", chiese nuovamente la sovrana.
"Non più!", rispose Mahiru. "Qualche anno più tardi, feci nuovamente rotta
verso la Terra evitando però la zona del Grande Nero, ma una volta atterrato
scoprii che il fiore si era ormai estinto".
"Perciò questo è l'ultimo esemplare tuttora esistente, non è così?", chiese
nuovamente la regina.
"Esatto, mia signora!", rispose Mahiru.
"Molto bene", commentò soddisfatta Elle. "Hai fatto un lavoro eccellente. Ora
puoi andare!".
Mahiru ringraziò la regina e non appena se ne fu andato, Elle ordinò ad una
delle sue guardie di convocare Rose. Dopo circa un'ora il capo della Rosa Nera
si presentò davanti alla regina.
"Mi avete chiamata, mia regina?", domandò Rose con il capo chinato.
"Sì!", affermò Elle. "Ho un incarico da affidarti".
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Capitolo 3 *** In missione sulla Terra ***
sa
IN MISSIONE SULLA TERRA
"Cosa volete che faccia?", domandò Violet mantenendosi con il corpo rigido e
le mani dietro la schiena in attesa di ulteriori disposizioni da parte di
Rose.
"Tu sei la migliore delle mie spie", esordì il capo della Rosa Nera guardando
negli occhi la sua sottoposta; ad un certo punto Rose consegnò una foto a Violet
e le domandò: "Conosci questo ragazzo, non è vero?".
"Certamente!", rispose la spia della Rosa Nera guardando il volto di Ataru
impresso nella fotografia.
"Questo è un ordine della regina Elle in persona: dovrai recarti sulla Terra
e fargli bere questa", disse Rose con parole ferme ed autoritarie mentre
consegnava nelle mani della sua sottoposta quella che a prima vista sembrava una
semplice bottiglietta d'acqua.
"Non capisco...", osservò giustamente Violet osservando perplessa la
bottiglietta.
"Eppure mi sembra evidente!", affermò Rose. "Questo è un potentissimo veleno
diluito con acqua; il tuo compito sarà farglielo bere fino all'ultima
goccia".
"Capisco", rispose Violet intuendo lo scopo della missione.
"Però è importante che sappia qualcosa sul conto del terrestre", continuò il
capo della Rosa Nera. "Ataru Moroboshi è un ragazzo non particolarmente sveglio
ed è sensibilissimo al fascino femminile, perciò non ti sarà difficile
avvicinarti a lui... il vero problema sarà liberarsene!".
"Non dovete preoccuparvi di questo", affermò la spia dai capelli scuri mentre
il suo cervello stava già pianificando le mosse giuste per completare con
successo la missione.
"Inoltre, come senza dubbio saprai, ha una ragazza proveniente dalla stella Uru di nome Lamù; è innamorata perdutamente di lui ed è estremamente
vendicativa nei confronti di chi lo minaccia da vicino...".
"Perciò dovrò assicurarmi che il terrestre sia solo per fargli bere il
veleno, non è vero?", la interruppe Violet intuendo le future raccomandazioni
della donna a lei superiore di grado.
"Esattamente!", commentò Rose compiaciuta. "Ora puoi andare; ci terremo in
contatto tramite questi microfoni", concluse la sottoposta di Elle mentre
consegnava a Violet uno dei dispositivi.
La spia della Rosa Nera si congedò dal suo capo salutandola con un rigido
saluto militare e si precipitò in direzione dell'astroporto dove si trovavano i
caccia stellari utilizzati dai componenti dell'esrcito del pianeta El nelle
missioni nello spazio.
Come la maggior parte degli edifici del pianeta, anche questa struttura,
costruita a tempo di record allo scopo di prevenire invasioni future,
era decorata con elementi floreali e da lontano sembrava una colossale rosa
di metallo che si schiudeva non appena uno dei caccia si alzava in volo.
Violet percorse a passo veloce il corridoio principale fino ad arrivare nella
pista d'atterraggio dove l'attendeva il suo mezzo.
Di dimensioni relativamente ridotte, il caccia era dotato due cannoni laser e
sulla fiancata dello scafo in acciaio vi era riprodotto il logo della Rosa Nera
e la sigla E-44.
Con un balzo felino, Violet entrò nella cabina di pilotaggio e dopo aver
indossato il casco, chiese l'autorizzazione al decollo tramite il microfono
donatole da Rose.
"Autorizzazione concessa", disse una voce femminile da uno degli altoparlanti
situati all'interno dell'edificio.
Immediatamente la corolla metallica si schiuse e non appena fu del tutto
aperta, Violet attivò i propulsori e il caccia superò in pochi minuti
l'atmosfera del pianeta El.
Non appena l'astronave fu nello spazio profondo, la donna attivò la velocità
luce, grazie alla quale il caccia arrivò nel sistema solare, trovandosi proprio
di fronte alla Terra.
"Che spettacolo!", esclamò Violet osservando la superficie del pianeta;
tuttavia la donna si riscosse prontamente e dopo aver inserito le coordinate di
Tomobiki sul computer di bordo, condusse l'astronave in direzione di Honshu,
l'isola più grande dell'arcipelago giapponese.
Grazie anche all'attrazione gravitazionale della Terra, il caccia entrò nel
cielo di Tokyo e Violet cercò con lo sguardo il luogo ideale dove poter
atterrare, trovandolo infine in una vecchia area industriale abbandonata alla
periferia di Tomobiki.
"Qui andrà benissimo!", pensò la spia del pianeta El mentre cercava di far
atterrare il caccia all'interno di un capannone il cui tetto era parzialmente
divorato dalla ruggine.
L'atterraggio riuscì alla perfezione e non appena fu spento il motore, Violet
si mise in contatto con Rose.
"Qui Violet! Qui Violet!", ripetè nel microfono la donna in attesa di una
risposta.
"Ti ricevo forte e chiaro", disse finalmente la voce di Rose. "Qual'è la
situazione?".
"Sono atterrata in una vecchia area industriale abbandonata e qui è notte
inoltrata", disse Violet.
"Allora muoviti solamente quando il sole sarà sorto", le ordinò Rose.
"Muoversi adesso sarebbe solamente uno spreco di tempo ed energie".
"Ricevuto!", affermò la sottoposta di Rose. "Avete altri ordini per me?".
"Solo uno: mettiti in contatto con me solamente a missione ultimata. Passo e
chiudo!", concluse il capo della Rosa Nera interrompendo il collegamento.
Dopo essersi tolta il microfono, Violet chiuse le palpebre in attesa di un
breve sonno ristoratore.
"Ataru Moroboshi... non mi sfuggirai!", fu l'ultimo pensiero della spia prima
di essere vinta dal sonno.
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Capitolo 4 *** Il dono di Afrodite ***
sa
IL DONO DI AFRODITE
Nonostante fosse domenica e il sole avesse fatto la sua comparsa fra le case
di Tomobiki da appena pochi minuti, Ataru si svegliò vispo come un grillo e si
voltò verso l'armadio nel quale Lamù dormiva beata insieme a Ten.
"Non mi metterai i bastoni fra le ruote!", pensò il ragazzo mentre si
apprestava a prendere i pantaloncini, la canotta e le scarpe da ginnastica
nascosti sotto il letto.
Dopo essersi tolto il pigiama ed aver indossato il completo da corridore con
il quale anni prima aveva sfidato Lamù per la salvezza della Terra stessa, Ataru
si diresse in punta di piedi verso la porta e la chiuse pian piano con la
speranza di non svegliare la ragazza.
"E questa è andata!", si disse il giovane Moroboshi mentre si asciugava la
fronte lucida di sudore freddo dopo aver chiuso la porta; continuando a muoversi
furtivamente come un ladro dopo aver svaligiato un appartamento, Ataru arrivò
alla porta d'ingresso e dopo aver indossato le scarpe da ginnastica, si
precipitò fuori di casa allegro come una pasqua.
"E adesso sotto con la caccia alle ragazze!", disse il ragazzo mentre correva
in direzione del parco cittadino dove la domenica mattina molte ragazze si
ritrovavano per fare jogging.
"Questo dovrebbe andar bene!", si disse Violet mentre si trovava davanti allo
specchio di un camerino di un centro commerciale con indosso un abito a gonna
larga di colore rosso fuoco.
"Che ne pensi?", domandò la donna rivolgendosi ad uno sfortunato impiegato
che era stato ipnotizzato dalla spia del pianeta El con una speciale pistola a
raggi ipnotici.
"Sei... incantevole", disse il pover'uomo completamente imbambolato.
"Andiamo a pagare, allora!", disse Violet prima di raggiungere la cassa
insieme alla sua vittima.
Senza battere ciglio, l'uomo pagò con la sua carta di credito il vestito e
una costosa borsa in pelle e non appena i due furono fuori dal centro
commerciale, Violet ordinò al suo "accompagnatore" di raggiungere la propria
abitazione; l'uomo obbedì e si incamminò con lo sguardo fisso nel vuoto fra
l'indifferenza dei passanti.
"Questi terrestri sono così facili da manipolare!", pensò Violet mentre si
aggirava per le strade di Tomobiki.
Così travestita, la spia sembrava una normale ragazza intenta a fare shopping
e mentre si trovava nei pressi di un ristorante di okonomiyaki, incontrò due
ragazze che si stavano concedendo uno spuntino sedute a uno dei tavolini del
locale; sebbene fosse un giorno festivo, le due giovani indossavano l'uniforme
del proprio liceo e stavano discutendo animatamente fra di loro.
"Quel Moroboshi... lo odio!", commentò la ragazza dai lunghi capelli neri
mentre addentava avidamente il suo okonomiyaki.
"Stai calma, Ukyo!", le suggerì la sua compagna, una ragazza con i capelli a
caschetto fermati da una fascia di colore giallo.
"Mi spieghi come faccio a calmarmi, Nodoka?", le chiese la liceale
visibilmente seccata. "Da quando quel seccatore ha cominciato a fare jogging nel
parco ogni domenica, non posso più andare a correre senza rischiare di subire le
sue avances disgustose!".
"Guarda il lato positivo", suggerì la compagna. "Almeno sappiamo dove
non andare la domenica mattina!".
"Hai ragione", commentò Ukyo ritrovando il buon umore grazie alla corretta
osservazione dell'amica.
"Scusatemi se mi intrometto, ragazze, ma di chi state parlando?", domandò
Violet alle due liceali.
"Di Ataru Moroboshi, ovviamente!", commentò Ukyo. "Il ragazzo più allupato
dell'intero universo!".
"Ma perchè ci tiene a saperlo, signorina?", domandò Nodoka un pò insospettita
dalla comparsa della donna.
"Vedete, sono da poco tornata da un viaggio di lavoro e non ci tengo affatto
ad incontrare questo ragazzo", rispose la spia del paneta El.
"Allora le suggerisco di non andare al parco", disse Nodoka indicando un
gruppo di alberi situato a pochi isolati dal ristorante.
"Grazie mille per l'informazione", disse Violet con un sorriso per
accattivarsi le due ragazze. "Mi avete fatto un grosso favore!".
"Hai visto?", esclamò Nodoka mentre osservava la misteriosa donna
allontanarsi. "Abbiamo appena salvato una potenziale vittima dalle grinfie di
Moroboshi!".
Non appena fu fuori dal campo visivo delle due giovani, Violet si diresse
verso il parco cittadino, ma si fermò non appena vide un manifesto che
annunciava a caratteri cubitali l'apertura per l'indomani di un nuovo night
club.
"Il dono di Afrodite, eh?", pensò Violet leggendo mentalmente il nome del
locale. "Questo mi suggerisce un'idea...".
"Adoro la domenica!", commentò entusiasta Ataru mentre correva nel parco di
Tomobiki. "Non c'è scuola, Lamù dorme fino a tardi... e ci sono un sacco di
belle ragazze a mia completa disposizione!".
Del tutto ignaro di essere spiato da Violet, l'ingenuo ragazzo estrasse
l'immancabile taccuino e cominciò la sua caccia alle ragazze.
"Non ci sono dubbi: è lui!", esclamò l'affascinante spia extraterrestre
vedendo Ataru andare a sedersi all'ombra di un ciliegio dopo essere stato
schiaffeggiato ferocemente dalla sesta ragazza che si era trovata sulla sua
strada.
"Accidenti, che sventola!", pensò Ataru mentre si massaggiava la guancia
dolorante.
"Sembri assetato, giovanotto", disse una voce femminile calda e suadente alle
spalle di Ataru.
Il ragazzo si voltò e rimase letteralmente abbagliato alla vista della
bellissima donna che aveva in mano una bottiglietta d'acqua fresca. "In effetti
lo sono!", disse Ataru mentre si mangiava con gli occhi la misteriosa donna.
"Allora prendi questa", disse Violet mentre porgeva la bottiglietta
all'ignaro giovane.
Senza farselo ripetere una seconda volta, Ataru afferrò la bottiglietta e con
pochi sorsi svuotò la bottiglietta fino all'ultima goccia.
"Mi ci voleva proprio!", commentò il giovane Moroboshi con sommo
compiacimento della sottoposta di Rose.
"Gentile signorina, potreste darmi il suo indirizzo e numero di telefono?",
domandò Ataru avvicinandosi alla donna come un orso alla vista di un alveare
carico di miele.
"Temo che dovrai accontentarti del mio nome; mi chiamo Dafne", rispose
Violet.
"Un nome insolito, ma affascinante", osservò Ataru.
"Infatti è il mio nome d'arte", continuò la spia. "Da domani lavorerò come
cameriera al Dono di Afrodite e ci terrei molto che tu venissi a farmi
visita".
Quell'invito fece letteralmente ribollire il sangue nelle vene di Ataru e
grazie alla sua incontenibile libidine, il giovane Moroboshi già si immaginava
seduto a uno dei tavoli del locale servito e riverito da legioni di giovani ed
affascinanti cameriere. "Accetto il suo invito con estremo piacere!".
"Allora ci vediamo domani sera alle nove all'ingresso del locale. Vieni da
solo e non preoccuparti per i soldi... penserò io a tutto!", esclamò Violet
mentre si congedava da Ataru facendogli l'occhiolino.
Non appena la donna fu fuori dal suo campo visivo, Ataru non potè fare a meno di
dimostrare la sua immensa gioia. "Finalmente la sfortuna ha smesso di
perseguitarmi!", esclamò il ragazzo al settimo cielo mentre si apprestava a
tornare a casa.
"Fin troppo facile!", si disse Violet pensando a quell'ingenuo giovane mentre
si dirigeva verso la sua astronave.
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Capitolo 5 *** Missione compiuta! ***
sa
MISSIONE COMPIUTA!
Ancora pieno di entusiasmo e quasi incredulo per l'incontro nel parco, Ataru
era sulla via di casa e i gorgoglii del suo stomaco gli fecero capire che l'ora
di pranzo era ormai imminente.
"Che colpo di fortuna!", pensò il giovane del tutto inconsapevole di aver
ingerito il veleno; i suoi effetti si fecero sentire con un formicolio avvertito
da Ataru all'altezza delle gambe ed un generale senso di stanchezza.
"Però è strano. Non mi sono mai sentito così stanco dopo una corsa...", si
disse l'ignaro ragazzo. "Poco male; un bel bagno e un buon pasto mi rimetteranno
in sesto!".
Ataru stava per aprire la porta di casa, quando improvvisamente Lamù e Ten
sbucarono fuori dai cespugli che si trovavano nel giardino di casa
Moroboshi.
"Si può sapere dove ti eri cacciato?", gli domandò sospettosa Lamù. "Ti ho
cercato ovunque!".
"Sono andato a fare jogging nel parco", rispose Ataru raccontando una mezza
verità. "Lo sai bene che è importante tenersi in forma...".
"Soprattutto per importunare le belle ragazze!", lo interuppe sarcastico Ten
sperando di vedere il ragazzo tramortito da una delle scariche elettriche della
cugina.
"Tu faresti meglio a tacere, sottospecie di ape obesa!", gli rispose per le
rime il giovane Moroboshi. "Non credere di essere migliore di me; anche a te
piace essere coccolato da delicate ed affusolate mani femminili... specialmente
se le mani in questione sono quelle della signorina Sakura, di Shinobu o della
tua stessa cugina!".
Offeso e al tempo stesso spiazzato dalle osservazioni - per la verità
tutt'altro che infondate! - del ragazzo, il piccolo oni inspirò
profondamente con l'intento di carbonizzare Ataru con le sue fiammate, ma il suo
piano naufragò non appena la cugina si frappose fra lui e Ataru.
"Smettetela di bisticciare, voi due!", ordinò Lamù ad entrambi i litiganti.
"Ten, non usare i tuoi poteri contro Ataru; e tu, tesoruccio, sii più gentile
con lui; è solo un bambino!".
"Farò finta di non aver sentito...", commentò seccato Ataru stufo di vedere
Ten continuamente difeso per quegli atteggiamenti non tanto diversi dai suoi.
"Comunque, ora non ho tempo per discutere con voi; vado a farmi un bagno!",
concluse il ragazzo chiudendo la porta in faccia ai due extraterrestri.
Ataru si era già tolto le scarpe da ginnastica e stava salendo le scale per
andare a lavarsi, quando venne fermato dalla voce della madre. "Ataru, dove sei
stato fino ad ora?", domandò la signora Moroboshi.
"A fare jogging nel parco", si limitò a rispondere il figlio.
"Allora vai a farti il bagno e poi fila subito in sala da pranzo; fra poco si
mangia!". Ataru avrebbe voluto chiederle quale fosse il menù, ma la donna era
già tornata in cucina.
"Che bello!", commentò entusiasta Ataru mentre faceva scivolare pigramente la
mano destra sul pelo dell'acqua. "Questa sì che è una giornata da
ricordare!".
Il ragazzo stava ancora pensando alla ragazza del parco e all'incontro
dell'indomani, quando avvertì una dolorosissima fitta all'altezza del torace;
era come se il cuore fosse stato trafitto da mille aghi contemporaneamente e
Ataru si sentiva mancare il respiro. Del tutto incapace di emettere alcun suono
dalla bocca, Ataru continuò a stringere la mano sul petto finchè il dolore non
si attenuò lasciando tuttavia il ragazzo visibilmente debilitato.
"Sarà meglio uscire dalla vasca", pensò preoccupato il giovane Moroboshi
prima di mettersi l'accappatoio; in quel momento la voce di sua madre lo avvertì
che il pranzo era pronto e Ataru si affrettò ad asciugarsi.
Una volta asciugatosi e vestitosi, Ataru si avviò verso la sala di pranzo, ma
si sentiva tutt'altro che bene: avvertiva uno strano formicolio alle gambe e
aveva il fiato corto.
"Non mi sento bene", pensò il giovane. "Dopo pranzo andrò a schiacciare un
pisolino".
Ancora turbato, Ataru si sedette a tavola e cercò di sembrare il più naturale
possibile, ma l'occhio di Lamù intuì subito che c'era qualcosa che non andava e
chiese: "Che hai, tesoruccio?".
"Nulla, sto benissimo", mentì Ataru mentre sua madre gli porgeva una ciotola
di riso al curry.
Il ragazzo iniziò subito a mangiare, ma dopo pochi minuti una fitta ancora
più dolorosa della precedente lo fece sobbalzare e fu costretto a sputare ciò
che aveva in bocca.
"Ataru, ti ho detto mille volte di mangiare più lentamente!", lo sgridò
duramente la madre. "Finirai per strozzarti, uno di questi giorni!".
Tuttavia il ragazzo iniziò a tossire violetemente e si accasciò a terra;
iniziò a vedere gli oggetti sempre più sfocati e si sentiva prosciugato di ogni
energia.
"Tesoruccio, che ti succede?", domandò Lamù visibilmente preoccupata dopo
aver visto le pupille dilatate in modo innaturale del ragazzo.
D'istinto, Ataru sollevò a fatica la mano destra in direzione della bella aliena e
mormorò il suo nome prima che le forze gli venissero a mancare definitivamente e
il buio prendesse il sopravvento.
Nel frattempo, Violet aveva raggiunto il suo caccia spaziale all'interno del
capannone abbandonato e si mise subito in contatto con Rose.
"Ti ricevo forte e chiaro", disse la voce del capo della Rosa Nera dal
pianeta El. "Allora?".
"La missione è pienamente riuscita!", rispose Violet. "Moroboshi ha bevuto
l'acqua avvelenata fino all'ultima goccia".
"Eccellente! Ora torna immediatamente sul nostro pianeta", le ordinò Rose
prima di chiudere il collegamento.
Violet entrò nella cabina di pilotaggio e dopo pochi istanti la navicella era
già sulla rotta di casa.
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Capitolo 6 *** Un nuovo incarico ***
sa
UN NUOVO INCARICO
All'interno della terza classe della sezione D del liceo Tomobiki, il
professor Onsen stava tenendo una lezione dedicata ad Oscar Wilde, ma i ragazzi
erano troppo preoccupati per seguire la lezione: Lamù e Ataru erano assenti
ormai da cinque giorni e nessuno dei presenti aveva la più pallida idea di dove
potessero essere.
"Secondo voi cosa sarà successo a quei due?", domandò Ryuunosuke a bassa voce
guardando con la coda dell'occhio i banchi vuoti occupati fino alla scorsa
settimana da Ataru e Lamù.
"Non ne ho la più pallida idea", rispose Perma cercando di non farsi sentire
dal professore.
"Io ho telefonato a casa di Ataru più volte, ma non ha risposto mai nessuno",
disse Shinobu intromettendosi nella discussione. "Sono piuttosto
preoccupata".
"E poi, anche la signorina Sakura è assente da tre giorni", commentò Megane
mettendo in luce anche quest'ultimo particolare.
"Sono convinto che Moroboshi ne ha combinata un'altra delle sue!", commentò
Shutaro alzando leggermente il tono della voce.
Il brusio che si era venuto a creare all'interno della classe giunse alle
orecchie del professor Onsen, il quale posò il gessetto e sbattè violentemente
la mano sulla cattedra. "Fate silenzio!", ordinò il burbero insegnante ai suoi
allievi.
"Scusateci, professore", esclamò Shinobu dopo essersi alzata educatamente
dalla sedia. "Il punto è che siamo molto preoccupati per Ataru e Lamù".
"In effetti sono assenti dalla settimana scorsa", notò il corpulento
professore di inglese. "Qualcuno di voi sa per caso dove possano essere?".
"Ne sappiamo quanto voi", puntualizzò Megane asciugandosi le lenti degli
occhiali con un fazzoletto.
"Comunque guardiamo il lato positivo", esclamò ad un tratto il professor
Onsen. "Da quando quei due sono assenti, posso finalmente fare lezione senza
essere interrotto!".
"Questo è intollerabile!", gridò Shutaro indignato per il commento poco
ortodosso del docente. "Un vero insegnante non dovrebbe dire una cosa del
genere!".
"Taci, bamboccio viziato!", ordinò incautamente il professore.
Quest'ordine diede inizio ad una violenta e accesissima discussione fra il
professor Onsen e i suoi studenti: il primo accusava i ragazzi di essere
interessati unicamente a Lamù e a non voler seguire la lezione, puntando in
particolar modo il dito contro Shutaro e Megane; i secondi, guidati dallo stesso
rampollo della famiglia Mendo, accusavano il docente di essere un uomo meschino
che se ne infischiava dei loro problemi.
La discussione stava rapidamente degenerando, quando all'improvviso Ten fece
irruzione nell'aula a bordo del suo scooter a levitazione a forma di papera
dopo aver rotto una delle finestre. "Ascoltatemi, per favore", gridò il
cuginetto di Lamù per ottenere l'attenzione dei ragazzi. "Devo dirvi qualcosa di
molto importante".
Il piccolo oni non fece in tempo a proseguire che Shutaro e Megane gli
furono subito addosso.
"Parla, nanerottolo!", ordinò il giovane Mendo. "Non sarà per caso successo
qualcosa a Lamù, vero?!?".
"Allora, che è successo?!?", lo incalzò Megane.
I due ragazzi avrebbero voluto continuare l'interrogatorio, ma il piccolo
extraterrestre riuscì a liberarsi dalla loro morsa grazie ai suoi poteri.
"Ataru è in ospedale!", gridò Ten lasciando allibiti i ragazzi.
"Cosa gli è successo?", domandò Shinobu sinceramente preoccupata per le
condizioni di salute del compagno.
"So solo che si trova in ospedale da cinque giorni", si limitò a rispondere
Ten.
"E Lamù? Come sta?", gli chiese Megane, preoccupato più per la salute della
ragazza che per quella di Ataru.
"Non ha mai lasciato l'ospedale; non chiude occhio da quattro giorni",
affermò il piccolo oni. "Anche la signorina Sakura si trova con
loro".
"Professore, la prego di lasciarci andare a far visita ad Ataru", supplicò
Shinobu al burbero insegnante.
"Dovete chiedere l'autorizzazione al preside", obiettò giustamente il
professor Onsen, ma prima che egli potesse proseguire, il preside in persona
entrò in classe.
"Ho ascoltato tutto ed è molto nobile da parte vostra preoccuparvi per i
vostri compagni", esordì l'anziano preside del liceo. "Avete la mia
autorizzazione".
Dopo una rapida consultazione, fu deciso che sarebbero andati Shutaro e
Shinobu all'ospedale in qualità di rappresentanti di classe e senza perdere
altri minuti, i due ragazzi uscirono dall'edificio scolastico insieme a Ten.
Una volta entrati in ospedale, Shutaro fermò una delle infermiere per
chiedere informazioni. "Mi scusi, signorina, ma vorremmo far visita ad un nostro
amico ricoverato qui. Il suo nome è Ataru Moroboshi".
La giovane infermiera sfogliò rapidamente il registro che teneva con sé fino
a fermare il dito su un punto della pagina. "Il signor Moroboshi è ricoverato
nella stanza 13 del reparto Rianimazione", disse l'infermiera facendo
preoccupare non poco i due giovani.
Dopo essersi congedati dall'infermiera, Shinobu e Shutaro si incamminarono
verso la stanza dove era ricoverato Ataru. "Secondo te, come sta Ataru?",
domandò Shinobu al suo compagno.
"Non lo so proprio", si limitò a risponderle il giovane Mendo proprio mentre
i due si trovarono di fronte alla porta d'ingresso; Shutaro bussò alla porta e
subito dopo i due giovani entrarono nella stanza: accanto al letto dove si
trovava Ataru c'era Lamù che gli accarezzava dolcemente la mano inerte insieme
ai genitori del ragazzo e alla signorina Sakura.
"Shinobu! Shutaro! Che ci fate qui?", disse Lamù andando incontro ai suoi due
compagni; la bella aliena aveva gli occhi rossi e lucidi a causa delle lacrime e
della mancanza di sonno ed era visibilmente provata.
Il giovane Moroboshi, dal canto suo, era collegato tramite un respiratore
artificiale e nutrito tramite flebo, mentre il monitor alla destra del letto
registrava costantemente la frequenza cardiaca e respiratoria.
"Che cosa gli è successo?", domandò Shutaro notando il volto innaturalmente
pallido di Ataru.
"Non lo sappiamo", si limitò a rispondere il padre del giovane ricoverato
mentre la madre continuava a singhiozzare.
"Domenica scorsa si è accasciato a terra privo di sensi durante il pranzo e
da allora non ha più ripreso i sensi", disse tristemente Lamù.
Proprio in quel momento, nella stanza entrò un medico con in mano la cartella
clinica di Ataru; si trattava di un uomo sulla cinquantina dai capelli
brizzolati e Lamù si precipitò subito verso di lui. "Dottore, quando si
riprenderà il mio tesoruccio?", domandò la ragazza.
"Purtroppo non porto buone notizie", esordì gravemente il medico. "Dagli
esami effettuati, sembra che il paziente sia stato... avvelenato".
"C-come sarebbe?", disse Lamù quasi sotto shock per la notizia.
"Abbiamo rilevato la presenza di neurotossine che hanno attaccato il sistema
nervoso paralizzando l'apparato muscolare e debilitando notevolmente l'intero
organismo. La cosa più grave è che si tratta di neurotossine... aliene a noi del
tutto sconosciute immuni a qualsiasi medicinale".
"Questo vuol dire che Ataru rischia... la vita?", domandò Shinobu
terrorizzata dalle sue stesse parole.
"Temo di sì, purtroppo", affermò il dottore senza giri di parole. "Al momento
è necessario tenerlo sotto osservazione; cercheremo di fare tutto il possibile,
ma non vi nascondo che la situazione è grave".
Una volta che il medico uscì dalla sala, la madre di Ataru scoppiò in un
pianto dirotto e il marito la portò fuori a sedersi cercando di infonderle un pizzico
di coraggio.
"Ecco perchè i miei esorcismi non hanno funzionato", commentò la signorina
Sakura. "Gli spiriti maligni non c'entrano nulla in questo caso".
"Chi può aver fatto una cosa così crudele al mio tesoruccio?", si domandò
Lamù intristitasi ancora di più dopo il responso del medico.
"Io avrei un sospetto...", azzardò Shutaro.
"Che vuoi dire?", gli domandò Shinobu.
"Si tratta solo di una supposizione... ma spero proprio di sbagliarmi",
affermò il giovane Mendo cercando di respingere con ogni mezzo la teoria che
stava prendendo piede sempre più all'interno della sua testa.
"Cosa volete che faccia, mia regina?", domandò Violet al cospetto di Elle
all'interno della sala del trono.
"Ho un nuova missione da affidarti", esordì la sovrana del pianeta El.
"Voglio che tu rapisca Ataru e lo conduca qui su El".
"Sarà fatto, maestà!", affermò Violet pronta a portare a termine il suo nuovo
incarico.
Note dell'autore: dal momento che all'epoca dei fatti accaduti sul pianeta El
(come dimostra il film Only You) Ataru era al secondo anno, è evidente
che lui nei fatti narrati nella mia storia frequenti il terzo anno di liceo!
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Capitolo 7 *** L'efficienza di Violet ***
sa
L'EFFICIENZA DI VIOLET
"Forse i terrestri non sono così ingenui come pensavo", commentò Violet
mentre osservava con un binocolo a raggi infrarossi l'ingresso dell'ospedale
sorvegliato da due soldati equipaggiati con un armamento decisamente obsoleto
rispetto all'arsenale ipertecnologico di cui disponeva la donna.
Appostata sulla terrazza di uno degli edifici di Tomobiki, Violet estrasse
dal suo marsupio quella che a prima vista sembrava una semplice sfera di acciaio
grande quanto una pallina da ping pong. "Questa mi sarà utile", affermò la spia
del pianeta El prima di lasciare la sua postazione e piazziarsi dietro ad un
bidone della spazzatura situato in un angusto vicoletto a poche decine di metri
dall'ingresso della struttura ospedaliera.
"Devo cercare di attirare qui vicino quei due", pensò Violet mentre osservava
i due militari che sorvegliavano l'entrata con aria decisamente assonnata.
La sottoposta di Rose si guardò attorno quando afferrò una bottiglietta di
vetro e la scagliò contro il muro mandandola in frantumi.
"Cos'è stato quel rumore?", domandò uno dei soldati che componevano
l'esercito della famiglia Mendo, un uomo basso e piazzato avanti negli anni.
"Andiamo a controllare!", suggerì il compagno, un soldato alto e decisamente
più giovane.
"Stiamo in guardia!", consigliò il soldato più anziano mentre si dirigeva con
il suo compagno con il fucile imbracciato verso il luogo dove aveva sentito quel
rumore di vetri rotti.
Non appena i due uomini furono a distanza ravvicinata, Violet lanciò verso di
loro la sferetta di metallo.
"E questa che cos'è?", si domandò il soldato più giovane mentre teneva fra le
dita lo strano oggetto; la sua domanda era destinata a restare senza risposta,
dato che dalla sfera fuoriuscì una nube di gas soporifero che fece
immediatamente crollare a terra i due incauti soldati.
"Queste sferette sono formidabili!", pensò Violet mentre si avvicinava al
cancello con addosso una maschera antigas. La donna scavalcò agilmente la
recinzione e dopo aver agevolmente aperto il portone d'ingresso con l'ausilio di
una fiamma ossidrica, si diresse verso il bancone con in mano una minuscola
torcia.
Violet afferrò il registro lasciato incautamente sulla scrivania e lo sfogliò
rapidamente. "Ecco qui! Moroboshi Ataru... stanza 13 del reparto
Rianimazione".
La donna riprese la sua missione muovendosi furtivamente e con grande calma
tra i corridoi della struttura finchè non raggiunse il reparto dove era
ricoverato Ataru; Violet spense per precauzione la torcia ed attivò il sistema a
raggi infrarossi della sua maschera antigas ad altissima tecnologia.
Grazie al suo equipaggiamento, individuò la stanza senza problemi e si
nascose in un angolo per non farsi scoprire dal soldato che la sorvegliava.
"A quanto pare dovrò ricorrere di nuovo alle mie sferette", pensò
l'affascinante spia extraterrestre prima di lanciare verso il soldato di guardia
il piccolo oggetto; come era accaduto in precedenza, la sferetta adempì il suo
compito alla perfezione e Violet arrivò a destinazione.
La donna aprì molto lentamente la porta e con passi felpati come quelli di un
gatto raggiunse il letto dove Ataru riposava, mentre Lamù dormiva sul futon
insieme al suo cuginetto Ten.
"Voi due continuerete a dormire ancora per un bel pò!", pensò Violet dopo
aver posto sul futon un'altra delle sue sferette soporifere.
Una volta che il sonnifero ebbe fatto effetto, Violet staccò delicatamente la
flebo e la maschera collegata al respiratore artificiale che copriva
il volto del giovane Moroboshi e si caricò l'inerte ragazzo sulle
spalle.
"Ora posso andarmene", commentò Violet prima di lasciare la stanza e di
raggiungere la terrazza dell'ospedale.
Una volta arrivata sul posto, Violet premette il pulsante rosso di un
telecomando e dopo pochi minuti arrivò un caccia interstellare a due posti della
flotta del pianeta El.
Violet depose Ataru nella cabina posteriore e si mise in contatto con
Rose.
"Qui Violet!", disse la spia extraterrestre all'interno di un microfono. "La
missione è compiuta".
"Molto bene! La regina sarà molto soddisfatta", disse la voce di Rose prima
di interrompere il breve collegamento.
Violet entrò nella cabina anteriore dove si trovavano i comandi e dopo pochi
istanti l'astrovave era già diretta verso il pianeta natale della regina Elle.
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Capitolo 8 *** Il biglietto ***
sa
IL BIGLIETTO
"Certamente non basterà per risollevare il morale di Lamù, ma non posso fare
di meglio", si disse Shinobu mentre finiva di preparare il bento con
l'aggiunta di una più che abbondante porzione di riso. La ragazza stava
preparando il pranzo per Lamù e al posto dell'umeboshi completò la
guarnizione con l'aggiunta di un gambero.
Soddisfatta del risultato, Shinobu uscì di casa con in mano il vassoio
avvolto in un panno, ma non appena varcò la soglia rimase di sasso alla vista di
una gigantesca astronave dall'inconfondibile carrozzeria a strisce gialle e
nere.
"Ma quella è l'astronave di Lamù!", pensò preoccupata la ragazza dai capelli
a caschetto. "Ed è posizionata proprio sopra l'ospedale!".
Senza porsi ulteriori interrogativi, Shinobu si precipitò in direzione
dell'ospedale arrivando a destinazione con il fiato corto per la gran corsa.
All'ingresso la ragazza notò Shutaro che rimproverava severamente i tre uomini
del suo esercito che aveva mandato per sorvegliare la stanza dove era ricoverato
Ataru.
"Siete degli incapaci!", gridò il giovane Mendo trattenendo a stento la
collera. "A causa della vostra incompetenza, avete macchiato irrimediabilmente
il buon nome della famiglia Mendo!".
Il soldato più anziano si avvicinò al ragazzo farfugliando qualche
incomprensibile parola di pentimento, ma Shutaro gli puntò la katana al
collo fulminandolo con lo sguardo.
"Non voglio sentire le vostre patetiche scuse! Ora sparite dalla mia vista!",
concluse il rampollo della più ricca e potente famiglia del Giappone. I tre
poveretti non se lo fecero ripetere due volte e scapparono a gambe levate.
"Si può sapere cosa sta succedendo?", domandò Shinobu al suo compagno di
classe dopo aver assistito a tutta la scena.
"Purtroppo è accaduto ciò che temevo. Ho trovato questo nella sua stanza di
Ataru prima che Lamù si svegliasse", si limitò a dire Shutaro prima di estrarre
dal taschino della sua giacca un biglietto con sopra disegnata una rosa nera
stilizzata.
"Che cosa significa?", chiese la giovane mentre osservava il disegno.
"Elle ha fatto rapire Ataru!", affermò Shutaro lasciando Shinobu come
pietrificata. "No! Non può essere...", riuscì a dire la ragazza.
"Questa notte una delle sue sottoposte ha sorpreso i miei uomini ed ha rapito
il nostro compagno in nome di quella maledetta donna", affermò il giovane Mendo
addossando su di sé la responsabilità dell'accaduto. "Infatti la rosa sul
biglietto è identica a quella disegnata sugli inviti che Elle ha fatto
distribuire per annunciare il suo matrimonio con Ataru lo scorso anno... colore
a parte!".
"E Lamù dov'è?", chiese Shinobu non osando immaginare la disperazione della
bella aliena.
"Sulla sua navicella", rispose il ragazzo indicando con lo sguardo l'oggetto
volante sopra le loro teste. "Le sue amiche e Ten sono con lei".
Nel bel mezzo della discussione fra i due ragazzi, arrivarono la signorina
Sakura accompagnata dallo zio Sakurambo e a giudicare dalla loro espressione,
erano ignari di tutto.
"Cosa significa tutto ciò?", domandò la bella sacerdotessa shintoista.
"Avverto un forte vento maligno...", sentenziò l'anziano bonzo.
"Questo è quello che dici sempre!", gridò inviperita Sakura assestando un
pugno sulla testa pelata a forma di ciliegia dello zio.
"Allora? Attendo una spiegazione!", disse la donna rivolgendosi a Shinobu e
Shutaro.
All'interno dell'astronave, Lamù continuava a singhiozzare tenendosi le mani
fra i capelli.
"Come ho potuto essere così stupida?!", affermò la bella extraterrestre
continuando a tormentarsi. "Mi sono lasciata vincere dal sonno ed ora il mio
tesoruccio è sparito!".
"Non essere così severa con te stessa", cercò di consolarla Ten. "In fondo
non dormivi da giorni...".
"E poi piangersi addosso non farà di certo tornare qui Ataru!", disse Benten
con la sua tipica franchezza che in certi casi sfiorava la brutalità.
"Non potresti essere un pò più delicata?", la sgridò Ran.
"Non so perchè, ma c'è qualcosa che non mi piace in questa storia...",
affermò Oyuki.
In quel preciso frangente, un suono ad intermittenza annunciò agli occupanti
del mezzo una chiamata interstellare.
"Chi può mai essere?", si chiese Lamù prima di trasferire la chiamata sul
monitor; la comparsa di Elle sullo schermo fece capire immediatamente la
provenienza della chiamata interplanetaria.
"Che cosa vuoi?", domandò la bella oni visibilmente contrariata.
"Ho fatto rapire il tuo Ataru ed ora si trova sul mio pianeta", affermò
freddamente la regina del pianeta El.
Lamù strinse i pugni ed ordinò: "Restituiscimelo immediatamente, maledetta
ladra!".
"Chi ci assicura che non stai mentendo?", domandò Benten con aria di
sfida.
"Eccolo laggiù", replicò Elle indicando una capsula al cui interno giaceva
Ataru.
"Che cosa gli hai fatto?", domandò Lamù ormai fuori di sé dalla rabbia.
"Lo sto semplicemente tenendo sotto osservazione all'interno della capsula",
rispose la bella sovrana del pianeta El.
"Che cosa vuoi da noi?", domandò Oyuki.
"Voglio che veniate sul mio pianeta... da soli!", concluse Elle prima di
interrompere il colegamento.
"E ora che facciamo?", chiese Ran alle amiche.
"E me lo chiedi? Si va su El!", affermò Lamù covando propositi di vendetta.
"Voglio ridurre in cenere quella smorfiosa!".
"Questo sì che si chiama parlare!", disse Benten eccitata alla prospettiva di
una più che probabile battaglia.
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Capitolo 9 *** La sfida di Elle ***
sa
LA SFIDA DI ELLE
"Non notate niente di strano?", domandò Oyuki alle sue amiche. L'astronave di
Lamù ormai era in prossimità del pianeta El, ma l'immensa corolla metallica che
proteggeva il pianeta come uno scudo era ben chiusa e non vi erano alcune
astronavi nelle vicinanze.
"Questo non mi piace", commentò Ran.
"Hanno senz'altro paura di noi!", ribadì Benten dopo aver finito di dare una
sistemata al suo bazooka e alle munizioni.
Senza badare alle considerazioni delle amiche, Lamù si mise in contatto con
Elle e dopo pochi istanti il volto della bella sovrana del pianeta El comparve
sullo schermo. "Facci atterrare!", ordinò la bella oni alla sua
rivale.
"Lo farò con gioia", replicò Elle abbozzando un sorriso di compiacimento che
fece irritare non poco Lamù. "Non so cosa tu stia tramando, ma stai pur certa
che non ti lascerò il mio tesoruccio adorato!", pensò la bella extraterrestre
stringendo i pugni per la rabbia.
Finalmente la corolla metallica cominciò a schiudersi e non appena fu schiusa
del tutto, tre caccia interstellari dell'esercito del pianeta con una rosa nera
dipinta sulla fiancata destra si avvicinarono all'astronave di Lamù.
"Abbiamo l'ordine di scortarvi fino al palazzo della nostra sovrana", disse
una voce femminile da uno dei velivoli.
"Attacchiamole e facciamola finita!", propose Benten con il bazooka già
puntato verso il bersaglio.
"Non essere precipitosa!", la fermò Ran. "Non siamo venute fin qui per
scatenare una guerra".
"Ran ha ragione! Dobbiamo fare come dicono", disse saggiamente Oyuki.
"Odio la diplomazia!", replicò decisamente seccata la dea della fortuna.
Seguendo il consiglio della regina di Nettuno, Lamù diresse la navicella
verso il palazzo di Elle scortata a vista dai caccia.
Una volta atterrate in uno spiazzo davanti al maestoso edificio, le quattro
ragazze furono accolte da un drappello di donne recanti il simbolo della Rosa
Nera sull'uniforme capitanato da una misteriosa ragazza dai capelli violacei.
"Gettate le armi e seguiteci!", ordinò Violet indicando soprattutto Benten e la
sua arma.
Seppur a malincuore, la dea della fortuna obbedì e tutte loro seguirono la
ragazza e il suo manipolo.
Dopo aver attraversato il grande corridoio dove si trovavano i ritratti dei
sovrani del pianeta, il gruppo raggiunse la sala del trono. Elle sedeva sul
trono ed era in compagnia della sua nutrice Babara e del capo della Rosa Nera
Rose.
Vedendo di nuovo quella donna che l'anno precedente aveva tentato in tutti i
modi di separarla da Ataru, Lamù non riuscì più a trattenersi e volò verso di
lei con l'intento di farsi giustizia da sé, ma la bella oni sbattè contro
un muro di energia che proteggeva la sovrana da qualsiasi attacco.
"Resta ferma lì dove sei!", ordinò Violet a Lamù puntandole contro il
mitra.
"Dov'è il mio tesoruccio?", domandò la bella oni con un tono di voce
più adatto ad un ordine che non ad una richiesta.
"Lui è al sicuro", si limitò a rispondere Elle.
"Finalmente ci rivediamo", si intromise Rose.
"E tu chi sei?", chiese Lamù.
"Non ti ricordi?", domandò la spia di Elle. "Lo scorso anno mi sono
intrufolata nella tua astronave ed ho rapito il terrestre dopo averti tramortita
e rubato i vestiti!".
"Maledetta... allora sei stata tu!", gridò la ragazza col bikini tigrato
fuori di sé dalla rabbia. "Te la farò pagare!".
"Quali sono le vostre intenzioni?", domandò Oyuki con parole decisamente più
consone alla situazione.
Elle battè improvvisamente le mani e dai tendaggi sbucò fuori Mahiru facendo
così la sua comparsa. Il fratello di Babara lanciò ai piedi delle quattro
prigioniere un grosso rotolo.
"Che cos'è?", si domandò Ran dopo averlo afferrato.
"Leggetelo e capirete ogni cosa!", sentenziò l'anziano alchimista.
Lamù non se lo fece ripetere e iniziò a leggere il rotolo. "Asclepio...
Ellade... fiore di Apollo... ma che cosa significa?".
"Te lo spiego io!", disse Elle prima di alzarsi e dirigersi verso Lamù e le
sue compagne. "Questa è una sfida!".
"Cosa dovremo fare?", domandò Benten con aria spavalda.
"Dovete raggiungere il luogo della Terra chiamato Ellade e recuperare il
fiore di Apollo; soltanto con l'elisir ricavato dai suoi petali potrete
svegliare Ataru dal coma!".
"Sarà un giochetto da bambini!", rispose la dea della fortuna con aria di
sufficienza.
"Io non credo!", replicò la sovrana del pianeta El. "Per riuscirci dovrete
attraversare il Grande Nero".
"Ma è una pazzia!", gridò Oyuki perdendo gran parte della sua calma e
lucidità. "Nessuno è mai riuscito a tornare vivo dal Grande Nero".
"Non è esatto!", affermò Mahiru. "Io l'ho fatto e come potete vedere, sono
qui davanti a voi".
"Per quale ragione dovremo accettare questa sfida?", domandò Lamù perplessa.
"Questa sarà una prova d'amore", continuò la bella sovrana del pianeta
El parlando principalmente a Lamù. "Se riuscirai nell'impresa, Ataru si
sveglierà ed io sparirò definitivamente dalle vostre vite... ma se fallirai, lo
farò congelare e diventerà il centomillesimo pezzo della mia collezione!".
"Tu sei pazza!", sbraitò Ran.
"Piantala con questa pagliacciata!", ordinò Benten furibonda.
"Queste sono parole indegne per una regina", replicò sdegnata Oyuki.
"D'accordo; accetto la tua sfida!", affermò Lamù lasciando a bocca aperta le
sue amiche. "Ma prima voglio vedere il mio tesoruccio".
"Mi sembra giusto", disse Elle senza battere ciglio.
La regina ordinò alle sue guardie di condurre Lamù nella stanza dove si
trovava Ataru e di tenerla sotto stretta sorveglianza.
Alla fine Lamù vi entrò e vide Ataru chiuso dentro una capsula alimentata da
un generatore di elettricità.
"Hai solo pochi minuti!", disse duramente una delle guardie prima di chiudere
la porta.
La bella aliena aprì la capsula e accarezzò il volto freddo del ragazzo.
"Tesoruccio adorato...", mormorò Lamù con gli occhi lucidi.
"Qualunque cosa accada... starò sempre al tuo fianco", disse infine la
ragazza mentre teneva la mano di Ataru fra le sue, quasi come a voler offrire
parte della sua stessa vita per poterlo svegliare da quel sonno
interminabile.
"Il tempo è scaduto. Seguici!", ordinò la guardia dopo aver aperto la
porta.
Lamù posò le mani del ragazzo sul petto e prima di richiudere la capsula, gli
diede un tenero bacio sulle labbra. "Tornerò presto!", sussurrò Lamù quasi come
se avesse paura di svegliarlo.
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Capitolo 10 *** Verso il Grande Nero ***
sa
VERSO IL GRANDE NERO
"Avremmo dovuto attaccare quando ne abbiamo avuta l'occasione!", ribadì
Benten all'interno di una buia cella. Le pareti erano interamente ricoperte di
muffa e muschio e come se ciò non bastasse, le sbarre di ferro erano ricoperte
da uno strato di pura energia che rendeva la cella inviolabile ad ogni attacco,
dall'interno e dall'esterno.
"Non è il caso di arrabbiarsi", affermò Oyuki mantenendo il suo incredibile
autocontrollo sviluppato grazie all'educazione che le era stata impartita fin
dalla più tenera età.
"Questo posto è orribile!", si lamentò Ran decisamente a disagio in
quell'angusta stanza; l'odore di muffa e di chiuso era per lei talmente
insopportabile da costringerla a tapparsi il naso con la mano.
"Tutta colpa di quell'idiota di Moroboshi!", continuò a lamentarsi Benten.
"Sapete, mi sono chiesta tante volte perchè dobbiamo scomodarci per tirarlo
sempre fuori dai guai...".
"In primo luogo perchè è il consorte di Lamù", rispose Oyuki. "Anche se non
si tratta dell'uomo migliore dell'universo, non possiamo permettere che la
nostra amica soffra a causa dei suoi errori".
"E poi, questa volta, la colpa è unicamente di quella strega di Elle!", la
interruppe Ran prendendo le difese di Ataru.
"Come siete altruiste!", le schernì la dea della fortuna cercando di rendere
più leggera l'atmosfera.
Finalmente il cancello della cella venne aperto e Lamù si ricongiunse alle
sue amiche.
"Come sta Ataru?", le domandò Ran.
"Come prima, purtroppo!", esclamò la bella oni visibilmente
abbatuta.
"Su col morale!", esclamò Benten assestando sulla spalla dell'amica una
sonora pacca. "Non è da te arrendersi così... vedrai che ce la caveremo!".
Nonostante l'ottimistica risposta dell'amica, Lamù si limitò a sorriderle
prima di indirizzare i suoi pensieri al suo amato tesoruccio rinchiuso in una
capsula.
Le quattro ragazze non scambiarono più alcuna parola finché Violet non
comparve all'entrata della cella con un'espressione decisamente autoritaria
dipinta sul volto.
"Passerete qui la notte", esordì la sottoposta di Rose. "Domattina potrete
partire alla volta del Grande Nero; questi sono gli ordini della regina
Elle!".
"Ma che gentile!", rispose sarcastica Benten.
"C'è un'altra cosa che devo dirvi", continuò Violet rimasta del tutto
indifferente alla provocazione della dea della fortuna. "Sono stata io ad
avvelenare Ataru Moroboshi!".
Non appena la giovane spia ebbe finito di pronunciare quelle parole, Lamù
lanciò una scarica elettrica contro di lei, ma il suo attacco venne assorbito
dalle sbarre della celle grazie allo scudo di energia.
"Ti consiglio di conservare le energie per domattina", consigliò Violet
rimasta al suo posto.
"TACI!!", gridò Lamù mentre guardava la spia con occhi carichi di odio.
"Perchè hai fatto una cosa simile al mio tesoruccio? RISPONDIMI!!".
"Io ho soltanto eseguito degli ordini", rispose Violet senza mostrare la
benchè minima emozione sul suo volto. "Le mie azioni dipendono soltanto da Rose
e dalla regina Elle".
Una volta finito di parlare, la donna si allontanò per fare ritorno nei suoi
alloggi.
"Maledetta...", sussurrò Lamù crollando a terra sulle ginocchia e cercando in
tutti i modi di contenere la sua collera.
"Cerca di calmarti", le consigliò Oyuki con parole gentili ma ferme.
"In questo momento la vendetta non servirebbe a nulla. L'unica cosa che
possiamo fare è dormire e aspettare con fiducia l'indomani".
Convinta dalle parole della regina di Nettuno, Lamù si alzò in piedi e andò a
stendersi su un misero giaciglio di paglia e foglie secche adibito a letto e si
coricò senza proferire altre parole.
"Tesoruccio...", mormorò la ragazza prima di chiudere gli occhi e attendere
il sonno e soprattutto, l'alba.
"Svegliatevi!", ordinò Violet dall'esterno della cella alle quattro aliene
ancora dormienti nonostante il sole fosse ormai sorto già da mezz'ora.
"Che dolce risveglio! Non ci offrite la colazione?", scherzò Benten con aria
spavalda mentre muoveva il collo a destra e a sinistra per riprendersi dalla
scomoda notte appena trascorsa.
"Poche storie e seguitemi!", ribadì la spia di Rose insieme ad altre tre
componenti dell'esercito del pianeta El con i fucili puntati contro le quattro
aliene. "Ho fatto preparare due caccia appositamente per voi".
"Come siete gentili!", ribattè la dea della fortuna con lo stesso tono prima
di incamminarsi verso l'astroporto insieme a Lamù, Oyuki e Ran.
Il gruppetto così composto raggiunse la struttura e insieme a due caccia
interstellari a due posti, vi era Rose con le braccia incrociate dietro la
schiena.
"Questi sono i nostri mezzi migliori!", esordì il capo della Rosa Nera
mostrando orgogliosa i due velivoli, fiori all'occhiello dell'aviazione del
pianeta El.
"Mi sembrano piuttosto fatiscenti...", mentì Benten sperando di far
innervosire Rose.
"Smettila con questo atteggiamento, Benten!", la rimproverò Oyuki infastidita
dalle maniere sgarbate, oltre che inutili, dell'amica.
Senza dire altro, Lamù e Benten presero posto su uno dei mezzi, così come Ran
e Oyuki.
"Ricordate di mantenere la parola data... o ve ne pentirete amaramente!",
minacciò Lamù prima che si chiudesse la cabina di pilotaggio.
Per nulla intimorita dalla minaccia, Rose ordinò che la corolla metallica che
ricopriva la struttura venisse aperta e non appena ciò avvenne, i due caccia si
alzarono in volo e dopo qualche minuto erano già invisibili ad occhio nudo.
A quel punto, il capo della Rosa Nera si avvicinò a Violet e sussurrò
all'orecchio della sua sottoposta: "Seguimi. Ti devo parlare a
quattr'occhi!".
"E ora che facciamo?", domandò Ran a Lamù comunicando fra loro tramite
microfono.
"Ci divideremo", rispose la bella oni. "Io e Benten ci dirigeremo
verso il Grande Nero; tu e Oyuki, invece, andrete sul mio pianeta".
"Ottima idea!", affermò Ran entusiasta. "Così potrò vedere il mio Rei!!".
"Oh, santo cielo...", bisbigliò Benten scuotendo la testa.
"Allora siamo d'accordo", disse Oyuki. "Buona fortuna!".
"Non ce ne sarà alcun bisogno, dato che sono la dea della fortuna!",
ribadì orgogliosa Benten prima che i due caccia si dividessero e prendessero
strade differenti.
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Capitolo 11 *** Intrigo a palazzo ***
sa
INTRIGO A PALAZZO
"Dimmi una cosa, Lamù: per quale motivo ci siamo divise?", domandò Benten
mentre la navicella sulla quale viaggiava insieme all'amica proseguiva il suo
viaggio verso il Grande Nero.
"Io non mi fido di Elle!", rispose immediatamente Lamù continuando a tenere
gli occhi fissi sul radar di bordo. "Anche se riuscissimo a procurarci
quell'elisir, non è detto che quella strega mantenga la parola data; perciò, se
sarà necessario, ci riuniremo e passeremo al contrattacco grazie anche all'aiuto
di mio padre!".
"Non credo che il tuo vecchio sarà contento di sapere che stai per recarti
nel posto più pericoloso dell'intero universo", commentò la dea della fortuna.
"Spero soltanto che Ten non abbia già spifferato tutto. Secondo me, avremmo
fatto meglio a portarlo con noi, invece di lasciarlo sulla Terra".
"Lui è troppo piccolo per afrontare le insidie del Grande Nero!", rispose la
bella oni.
"Non hai tutti i torti!", affermò Benten.
"Voglio concludere questa faccenda una volte per tutte!", ribadì la
principessa degli oni più determinata che mai. "Nessuna può mettersi fra
me e il mio tesoruccio!".
"Non dimentichiamo che sarà senz'altro una grande avventura. Ho sempre
desiderato vedere cosa c'è oltre il Grande Nero!", esclamò entusiasta Benten
sfiorando la catena che porta sempre con sé quasi come un gesto
benaugurante.
All'improvviso una spia rossa si accese e una sirena emise un suono
prolungato di allarme: il radar segnalava la presenza di un forte turbolenza in
corrispondenza di quella che all'infuori dei finestrini sembrava un'enorme
macchia nera che si estendeva a perdita d'occhio contaminando con la sua
presenza il manto tappezzato di stelle della Via Lattea come una chiazza di
petrolio.
"Ci siamo!", esclamò Lamù mentre l'astronave ballava a ritmo frenetico come
se fosse un frullatore. "Velocità fotonica!".
Detto questo, la bella oni abbassò una leva e l'astronave fu diretta
verso il buco nero.
"Grande Nero... STIAMO ARRIVANDO!!", gridò Benten con folle gioia prima che
la navicella fosse assorbita dal buco nero e scomparisse dal radar di qualunque
astronave si fosse trovata nelle vicinanze.
Nonostante fosse considerata una spia di alto livello e il suo addastramento
avesse temprato il suo carattere fino a renderla perfettamente in grado di
reprimere le emozioni al fine di completare con successo le missioni
assegnatele, Violet si sentiva stranamente inquieta: di fronte a lei, seduta
alla scrivania del suo ufficio, sedeva Rose che la guardava con espressione
indecifrabile.
Come se ciò non bastasse, alle spalle di Violet vi era una donna dai capelli
biondi tagliati corti con le braccia incrociate: si trattava di una sua compagna
della Rosa Nera cui era stata affidata la chiave che apriva il grande
congelatore all'interno del sacrario personale di Elle dove si trovavano i
numerosissimi amanti della regina perfettamente ibernati.
"Che cosa significa tutto questo?", domandò Violet cercando di nascondere in
ogni modo la sua inquietudine.
"Non devi preoccuparti", ribadì Rose alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi
alla sua sottoposta. "Ti ho chiamata per sapere il tuo parere personale su
questa storia".
Violet rimase spiazziata di fronte a quella strana richiesta. "Se devo essere
sincera fino in fondo, credo che si tratti di una stupidaggine", rispose infine
con la massima sincerità.
"Lo penso anch'io!", affermò Rose con uno strano sorriso stampato sul
volto.
"Sai, ho saputo da una delle guardie delle prigioni che hai detto a quella
oni di essere la responsabile dell'avvelenamento del terrestre", proseguì
il capo della Rosa Nera. "Perchè hai fatto una cosa simile?".
"L'ho fatto perchè mi sono limitata ad eseguire degli ordini", affermò la
sottoposta di Rose. "Quando questa storia sarà finita - indipendentemente dal
suo esito - e la nostra regina avrà finalmente ottenuto ciò che voleva sapere
riguardo la veridicità dei sentimenti di quella oni verso il terrestre,
non voglio che né voi, né la nostra sovrana rimangano coinvolte in eventuali
propositi di vendetta".
"Ammiro molto questo tuo zelo e la tua dedizione verso di me e la regina",
disse Rose con un tono che Violet non sapeva come definire. "Tuttavia, devo
chiederti una cosa: sei più fedele a me, che sono il capo del tuo corpo di
appartenenza... o alla regina Elle?".
Benché spiazzata dalla domanda, Violet prese coraggio e dopo aver deglutito,
affermò con assoluta certezza: "Alla regina Elle!".
Inizialmente, Rose non mostrò alcuna reazione di fronte alla risposta decisa
della sua subordinata, ma dopo pochi minuti, il suo volto si indurì visibilmente
e gridò: "HASU!".
Senza che Violet potesse accorgersene, venne colpita pesantemente alla nuca
dalla sua compagna alle sue spalle e crollò a terra priva di sensi.
"Risposta sbagliata, mia cara!", disse Rose alla sua spia a terra.
"Cosa devo farne di lei, mia signora?", domandò Hasu in attesa di ordini.
"Legala e rinchiudila qui!", ordinò il capo della Rosa Nera.
La spia dai capelli biondi eseguì immediatamente l'ordine e dopo pochi minuti
la povera Violet si ritrovò sbattuta in un angolo della sala con i polsi e le
caviglie legate.
"Immagino che ora saprai qual'è il mio prossimo ordine...", affermò Rose con
un ghigno.
"Certo, mia signora", affermò Hasu.
"Ottimo! Questa sera, non appena tutte le luci della residenza reale saranno
spente, mi avvertirai e non appena saremo nel sacrario della regina, faremo
scongelare i suoi amanti", disse il capo della Rosa Nera rivelando così il
complotto contro l'ignara Elle.
"E come facciamo con le soldatesse dell'esercito reale?", obiettò la sua
sottoposta.
"Non devi preoccuparti di questo. Tutte le più alte cariche dell'esercito
sono a conoscenza del mio piano e di conseguenza, non vi sarà la benché minima
resistenza. Ora vai!", disse Rose congedando così Hasu.
Rimasta sola nel suo ufficio, Rose si portò le mani dietro la schiena e
guardò oltre la finestra in direzione degli edifici di Barham.
"Questa storia è durata anche troppo", si disse la mente della congiura. "Il
momento di finirla è finalmente arrivato!".
Note dell'autore: Hasu è una parola giapponese che significa "loto" ed ho
deciso di utilizzarla come nome proprio per la spia a servizio di Rose in azione
in questo capitolo.
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Capitolo 12 *** Asclepio ***
sa
ASCLEPIO
"Tesoruccio... tesoruccio...".
Lamù continuava a mormorare il nome del suo amato, finché non si svegliò
trovandosi di fronte un uomo dai capelli e dalla barba scura che la
osservava.
"Finalmente ti sei svegliata", le disse quest'ultimo.
"Tu chi sei?!", domandò preoccupata Lamù ormai destatasi completamente.
"Il mio nome è Asclepio e mi sono preso cura di te e della tua amica quando
la vostra nave di ferro si è schiantata al suolo", rispose l'uomo.
Lamù non comprese immediatamente le sue parole e si alzò da terra con non
poca fatica, ma ciò che vide la lasciò a bocca aperta: la ragazza si trovava in
riva al mare e davanti a lei vi era soltanto acqua a perdita d'occhio.
"Dove sono?", domandò completamente disorientata.
"Quello che vedi davanti a te è il golfo di Corinto e la terra in cui ci
troviamo è la Beozia", rispose Asclepio.
Tuttavia Lamù si sentì ancora più disorientata di prima: non aveva mai
sentito parlare di luoghi simili.
"Dov'è Benten?", chiese preoccupata per le sorti dell'amica.
"Sono qui!", affermò la dea della fortuna spuntando fuori da un enorme masso
sulla spiaggia.
La ragazza aveva delle bende sul braccio sinistro e sulla gamba destra ed
anche Lamù si accorse di avere una benda sulla coscia sinistra.
"Avevate delle ferite superficiali sul corpo e così vi ho medicate", affermò
l'uomo notando il disorientamento della bella oni. "L'impacco che ho
preparato dovrebbe aver fatto effetto; fra non molto potrete togliervi le
bende".
"Lamù, abbiamo trovato il nostro uomo!", affermò ad un tratto Benten con aria
trionfale.
"Che vuoi dire?", domandò Lamù perplessa.
"Evidentemente devi aver battuto violentemente la testa", ribadì la dea della
fortuna con ironia tutt'altro che sottile. "Asclepio è il nome dell'uomo che
dobbiamo cercare per procurarci il fiore di Apollo con cui preparare l'elisir in
grado di guarire definitivamente Ataru".
Lamù fissò nuovamente l'uomo e lo squadrò da capo a piedi: poteva avere al
massimo una quarantina d'anni, aveva lunghi capelli scuri così come la barba,
una tunica bianca e reggeva con la mano destra un curioso bastone di legno sul
quale era attorcigliato un serpente d'argento.
"Sbaglio o hai detto di chiamarti Asclepio?!", gli domandò speranzosa
Lamù.
"E' così, infatti", ribattè convinto l'uomo.
Alla sua risposta, Lamù si avvicinò e gli disse: "Ti prego di aiutarmi,
alllora! Il mio tesoruccio è stato avvelenato e solo con un elisir preparato con
il fiore di Apollo può guarire. Aiutaci!".
"Voi... come fate a conoscere quel fiore?", domandò Asclepio fissando quelle
strane ragazze venute dalle stelle.
"Ecco... è un pò difficile da spiegare!", si intromise Benten cercando di
risolvere l'ingarbugliata situazione. "Il tesoruccio di cui parla Lamù è
suo marito ed è caduto in un sonno profondo a causa di un veleno. In base a
questo rotolo, soltanto con un elisir ricavato dal fiore di Apollo possiamo
guarirlo".
Detto ciò, la dea della fortuna consegnò ad Asclepio il rotolo in questione;
l'uomo lo lesse brevemente e lo riconsegnò.
"So come preparare la pozione e conosco perfettamente il fiore di Apollo",
esordì con parole che riempirono di speranza il cuore di Lamù. "Ma al momento
non ho con me alcun esemplare e dovremo recarci sul monte Elicona per prenderne
uno".
"E dove si trova questa montagna?", domandò Lamù.
"A pochi giorni di cammino verso nord", rispose Asclepio indicando con la
mano un punto imprecisato dell'entroterra. "Quella montagna è la sede del mio
divino padre e delle nove Muse".
"Vorresti dire che tuo padre... è una divinità?", gli chiese Benten.
"Esatto!", rispose l'uomo. "Mio padre Apollo è il dio del sole ed ogni giorno
conduce sul suo carro l'astro che illumina la Terra e rende possibile la vita e
qualsiasi attività umana".
"Allora siamo colleghi!", ribadì nuovamente Benten. "In fondo, anch'io sono
una dea!".
"Siete delle strane ragazze... ma simpatiche!", commentò l'uomo sorridendo.
"E per quanto riguarda il vostro mezzo, non dovete preoccuparvi: l'ho nascosto
in una boscaglia a pochi passi di distanza da qui e da quanto ho visto, sembra
che abbia solo qualche ammaccatura".
Rincuorate da queste notizie, le due ragazze gli domandarono quando sarebbero
partiti.
"Fra poco", rispose Asclepio. "Ma prima dobbiamo prepararci per il viaggio...
e voglio farvi conoscere il mio maestro!".
Una volta accertate le condizioni dell'astronave con cui Lamù e Benten erano
atterrate, il piccolo gruppetto si mosse fra l'aspro territorio ellenico
disseminato di rocce e radi cespugli.
"Che strano posto!", commentò Lamù osservando dall'alto il paesaggio.
"Toglimi una curiosità, Asclepio", disse la bella oni all'uomo dal
bastone col serpente argentato. "Non trovi strano tutto questo? Voglio dire...
noi siamo due aliene e non sembri affatto spaventato o sorpreso!".
"E perchè dovrei esserlo?", replicò quest'ultimo con la massima naturalezza.
"In fondo, sono il figlio di un dio e il mio stesso maestro è un tipo un pò...
particolare!".
I tre continuarono a camminare finché non raggiunsero uno spiazzo posto di
fronte ad una caverna dove una strana creatura metà uomo e metà cavallo, con un
bastone di vite, arbitrava un combattimento fra due ragazzi armati di lance e
scudi rotondi in bronzo.
"Siamo arrivati", annunciò Asclepio a bassa voce per non disturbare i
combattenti.
Benten e Lamù osservarono incuriosite la scena; mentre la prima prestava
attenzione ai movimenti dei contendenti e alle primitive ma affascinanti armi da
loro brandite, la seconda aveva gli occhi fissi sulla strana creatura che faceva
da arbitro della contesa e sui ragazzi che sembravano affaticati, ma
assolutamente determinati a non perdere il duello.
Erano entrambi ragazzi della stessa età di Lamù e dei suoi amici, ma i loro
corpi muscolosi, agili e sporchi di terra e sudore sembravano quelli di due
adulti; uno di loro era un giovane dai capelli biondi e schivava con agilità
sorprendente i colpi dell'avversario; l'altro, invece, era un giovane dai
capelli neri e sembrava quello maggiormente in difficoltà.
"Tenete ben saldo lo scudo! Siate più agili nei movimenti! Tenete ben strette
le lance!", disse loro la creatura che osservava con attenzione lo svolgersi del
combattimento.
Ad un tratto, dopo aver schivato il colpo dell'avversario con un balzo
felino, il giovane dai capelli biondi colpì duramente con il legno della lancia
il torace del ragazzo dai capelli neri; quest'ultimo, vinto dalla fatica, subì
il colpo e crollò sulle ginocchia.
"Basta così!", disse il giudice dell'incontro decretetando così la fine del
medesimo.
Il ragazzo biondo si liberò dello scudo e dopo aver scagliato a terra la
lancia, aiutò il suo avversario a rialzarsi.
"Ottimo combattimento, cugino... ma hai perso!", disse con aria
trionfante.
"Non c'è niente da fare: sei tu il migliore!", dichiarò lo sconfitto non
senza rammarico.
Finito il combattimento, Asclepio si diresse verso di loro e disse: "Un
combattimento eccellente, non c'è che dire!".
La strana creatura gli andò incontro e lo salutò. "Se tu sei diventato il
migliore nell'arte medica, loro saranno i migliori nell'arte della guerra!",
dichiarò mentre guardava con orgoglio i due ragazzi.
"Ragazze, costui è il mio maestro Chirone ed è un centauro!", affermò l'uomo
presentando il suo maestro a Benten e Lamù.
"Sei per caso un parente di Uni?", domandò ingenuamente Lamù osservando il
centauro.
"Non so di chi tu stia parlando", ribadì seccamente Chirone infastidito dalla
presenza di quelle due strane ragazze.
"Complimenti per il combattimento, ragazzi!", esclamò Benten parlando ai
protagonisti del duello appena conclusosi. "Come vi chiamate?".
"Io sono Achille, figlio di Peleo re di Ftia, in Tessaglia!", si presentò il
ragazzo dai capelli biondi vincitore del duello.
"Ed io sono Aiace, figlio di Telamone re di Salamina!", esclamò il giovane
dai capelli neri.
Note dell'autore: Uni è un personaggio per metà ragazzo e per metà cavallo
che Lamù conobbe in occasione della festa di fidanzamento organizzata a sua
insaputa dal padre, come si vede nell'episodio in quattro parti "I sabotatori
del fidanzamento perduto" nei volumi 13 e 14 del manga.
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Capitolo 13 *** Latte e miele ***
sa
LATTE E MIELE
"Ma devo proprio indossare questo straccetto bianco?!", esclamò Benten con
indosso una corta tunica di lino bianca e dei sandali in cuoio ai piedi.
"Sì, è necessario", ribadì Asclepio. "Il vostro abbigliamento è un po'
troppo... particolare e potrebbe destare qualche sospetto", concluse
l'uomo riferendosi naturalmente al bikini di metallo rosso della dea della
fortuna e a quello tigrato di Lamù.
"E poi non sono straccetti. A me piacciono molto!", ribadì quest'ultima con
indosso il medesimo abbigliamento dell'amica.
Sebbene non fosse del tutto convinta, Benten si rassegnò e insieme a Lamù ed
Asclepio uscì dalla caverna dimora di Chirone e raggiunse Achille ed Aiace, che
stavano ammassando le provviste per il viaggio sotto la supervisione del loro
maestro.
"Allora, è tutto pronto?", domandò Asclepio ai due giovani guerrieri.
"Sì; abbiamo tutto il necessario: acqua, frutta, carne secca, formaggio e
alcune forme di pane", rispose Aiace mostrando un otre legato con delle corde
contenente l'acqua e un grande sacco con dentro le altre provviste.
Achille, invece, mostrò due contenitori di terracotta e disse ad Asclepio:
"Abbiamo anche il latte e il miele da offire al divino Apollo una volta giunti
sul monte Elicona".
"Perché dobbiamo offrire del latte e del miele?", domandò perplessa Lamù.
"Vedi, anche se il dio Apollo è mio padre, è pur sempre una divinità e noi
che siamo comuni mortali dobbiamo omaggiarlo con doni degni di lui", rispose
Asclepio. "Il miele, in particolare, è uno dei cibi più importanti che possiamo
offrire loro perché è ciò che più si avvicina al nettare e all'ambrosia che sono
soliti consumare le nostre divinità".
"A me non hanno mai offerto niente del genere... eppure anch'io sono una
dea!", osservò mentalmente Benten.
Alla fine, i due giovani presero sulle spalle le provviste e dopo aver
salutato Chirone, si avviarono insieme a Lamù, Benten e Asclepio verso la
montagna sede del dio del sole e delle Muse.
Nel frattempo, sul pianeta El, la regina rimaneva in silenzio nella stanza
dove Ataru era tenuto sotto osservazione all'interno di una capsula medica: con
lei, vi era anche la sua anziana nutrice Babara.
"Mia regina, lei ha davvero intenzione di lasciare il terrestre a quella
oni nel caso questa dovesse tornare sana e salva dal Grande Nero?",
domandò quest'ultima.
La regina continuava ad osservare il ragazzo all'interno della capsula e
attese ancora qualche minuto prima di rispondere. "Se devo essere sincera, non
ho ancora digerito lo smacco dell'anno passato; ricordo ancora le lacrime che ho
versato quando Ataru se n'è andato dal mio pianeta".
"Ma, se non ricordo male, è stata lei in persona ad ordinare loro di andarsene e di
non fare più ritorno qui!", osservò giustamente l'anziana donna.
"Hai ragione, mia cara nutrice", rispose Elle con un sospiro. "La verità è
che, in fondo... lo amo ancora. Ma il suo cuore appartiene unicamente a Lamù e
se lei dovesse tornare, significherà che lei è la donna giusta per lui e mi farò
definitivamente da parte".
"A proposito, devo annunciarle che mio fratello Mahiru ha appena finito di
preparare l'antidoto al veleno della Cicuta dell'Ade", disse Babara cercando di
cambiare disorso.
"Molto bene", si limitò a risponderle la sovrana del pianeta El.
All'improvviso, la porta della stanza si aprì e comparve una delle guardie
del corpo della sovrana dall'aria trafelata.
"Mia regina, abbiamo un'emergenza: gli uomini del vostro sacrario sono stati
scongelati e stanno per attaccarci!", annunciò quest'ultima.
"E per quale ragione non è suonato il sistema d'allarme?!", esclamò Babara
decisamente preoccupata, mentre Elle rimaneva immobile ed incredula a ciò che
aveva appena udito.
"Mia regina, le consiglio vivamente di raggiungere la sala del trono",
suggerì la guardia.
"D'accordo. Muoviamoci!", affermò Elle.
Il piccolo gruppo raggiunse in breve tempo la sala del trono, ma una sgradita
sorpresa attendeva l'ignara sovrana: l'intera sala era invasa da decine di
uomini armati fino ai denti e a giudicare dalle loro espressioni, si capiva
benissimo la loro intenzione di vendicarsi della donna che prima li aveva illusi
con false promesse per poi far fare loro la fine del tonno surgelato.
Come se ciò non bastasse, vi erano anche alcune donne della Rosa Nera e
dell'esercito del pianeta che puntavano i mitra contro la loro regina.
"Cosa sta succedendo qui?!", sbraitò Babara spaventata.
"Cosa... cosa significa tutto questo?", domandò Elle in preda allo
smarrimento più totale.
"Ma è evidente", esclamò Rose sbucando dalla schiera di nemici. "Il vostro
regno è giunto al termine, mia regina!".
Il capo della Rosa Nera avanzò con passi decisi verso Elle e una volta
trovatasi faccia a faccia con la regina ormai spodestata, le strappò il diadema
con la rosa di cristallo e se lo mise in testa.
"La pagherai cara per questo tuo tradimento, Rose!", sibilò furente Babara
agitando il suo bastone.
"Come hai potuto farmi questo?", domandò la povera Elle a colei che fino a quel momento era una delle sue spie più fedeli.
"Siamo stanche dei vostri futili capricci da bambina viziata", esclamò Rose
con parole che alle orecchie di Elle suonavano dure come frustate. "Da questo
momento, sarò io a prendere per mano le sorti del pianeta El".
Detto ciò, la donna autoproclamatasi nuova regina del pianeta ordinò a due
uomini di condurre Elle e la sua nutrice nelle prigioni reali.
"Mia signora, cosa dobbiamo farne del terrestre?", domandò una delle
sottoposte di Rose.
"Lasciatelo dove si trova adesso", ordinò la donna. "Potrebbe tornarci utile
in un secondo momento".
"Sarà meglio fermarci qui per la notte", disse Asclepio al resto del gruppo
mentre il sole era ormai tramontato all'orizzonte per lasciare il posto alla
notte imminente.
Il gruppo aveva camminato per diverse miglia e tutti necessitavano di riposo:
Lamù, grazie alla sua capacità di volare, non si sentiva particolarmente stanca,
ma Benten e gli altri componenti della compagnia, che avevano trasportato le
armi e le provviste, erano letteralmente esausti.
"Senti un po', Lamù: che ne diresti di andare a raccogliere della legna per
il fuoco?", domandò Benten all'amica. "In fondo, hai svolazzato sopra le nostre
teste per tutto il giorno ed è il caso che anche tu ti dia da fare!".
"Ci vado, ci vado!", sbottò seccata la bella oni mentre perlustrava la
zona circostante.
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Capitolo 14 *** Il sogno di un guerriero ***
sa
IL SOGNO DI UN GUERRIERO
"La cena è pronta!", esclamò Lamù al resto della compagnia mentre faceva
cuocere sul fuoco alcuni pezzi di formaggio e carne secca su una scodella di
rame.
La notte era ormai calata e tutti si radunarono intorno al fuoco: Achille ed
Aiace ne avevano approfittato per allenarsi nella lotta sotto lo sguardo attento
di Benten, mentre Asclepio ne aveva approfittato per andare alla ricerca di erbe
medicinali.
I due ragazzi, stanchi per l'allenamento, divorarono le loro porzioni in
pochi istanti, mentre le due ragazze e il figlio del dio Apollo erano ancora
intenti a mangiare.
"Il tuo bastone è davvero curioso", fece notare Lamù osservando quel
particolare pezzo di legno su cui era avvinghiato un serpente d'argento. "Dove
lo hai trovato?".
Asclepio finì di mangiare, afferrò l'oggetto in questione ed iniziò a
spiegare alla bella oni e al resto del gruppo la sua storia.
"Questo è stato un regalo fattomi da Agamennone, re di Micene", esordì
l'uomo.
"Davvero?!", esclamò esterrefatto Aiace. "Agamennone è il re di una delle
città più ricche della Grecia! Quando lo hai conosciuto?".
"Dovete sapere che, alcuni anni fa, stavo camminando in una boscaglia nei
pressi della città governata dal figlio di Atreo, quando mi imbattei in una
pattuglia di soldati a cavallo capitanata da lui stesso. Tutti gli uomini,
tuttavia, erano scesi da cavallo e si erano disposti in circolo come se volessero
proteggere qualcuno da eventuali attacchi dall'esterno".
"E poi, che cosa è successo?", domandò Lamù sempre più desiderosa di sapere i
dettagli della storia.
"Mi avvicinai al gruppo, ma i soldati mi puntarono contro le lance: stavano
proteggendo Ifigenia, la figlia di Agamennone, che era caduta da cavallo ed
aveva una brutta frattura alla gamba".
"E tu che cosa hai fatto?", domandò nuovamente Lamù.
"Ho detto loro che avrei potuto guarirla. Così il padre, preoccupato per le
condizioni della figlia, mi fece passare e con l'aiuto dell'estratto di una
pianta medicinale e di una stretta fasciatura, riuscii a guarire la piccola, che
tornò a camminare dopo sole quattro settimane".
"Quindi Agamennone ti ha donato quel bastone come segno della sua
riconoscenza, non è vero?!", intuì Benten.
"Esattamente!", rispose Asclepio sfiorando con le dita la testa del serpente
d'argento. "Il re commissionò al migliore dei suoi artigiani questo bastone e
quando venne realizzato, uno dei suoi sacerdoti adibiti al culto di Apollo lo
benedisse, affermando che, nei secoli a venire, sarebbe diventato il simbolo di
tutti gli uomini che si sarebbero impegnati nell'arte della medicina".
Affascinate dal raconto, Lamù e Benten posarono gli occhi sul bastone di
Asclepio, ma l'uomo si alzò e prese una manciata di terra.
"Domani dobbiamo alzarci all'alba, perciò è ora di andare a dormire!",
esclamò l'uomo prima di spegnere il fuoco con la terra.
Nonostante si sentisse gli occhi pesanti e volesse dormire, Lamù non riusciva
in nessun modo a prendere sonno: non era affatto abituata alla fredda brezza
della notte ellenica e come se ciò non bastasse, era molto preoccupata per Ataru
e avrebbe tanto voluto stringerlo fra le sue braccia e sentire il calore del suo
corpo. La bella extraterrestre decise dunque di alzarsi e di raggiungere la
sommità di un promontorio che si affacciava sul mare situato a pochi passi dal
luogo del bivacco.
Avvoltasi in un mantello e dopo aver acceso una torcia, Lamù raggiunse la
meta e guardava pensierosa il paesaggio; una grande luna piena illuminava il
cielo notturno con la sua luce argentea offuscando quella delle stelle e quello
spettacolo meraviglioso offerto dalla natura si rifletteva anche sulla piatta
superficie del mare.
"Vorrei averti qui al mio fianco, tesoruccio adorato...", pensò Lamù con
occhi pieni di tristezza.
"Stai pensando al tuo uomo, non è vero?", disse all'improvviso una voce
maschile alle sue spalle. La bella oni si voltò e vide Achille, anch'egli
con una torcia in mano.
La ragazza si limitò ad annuire e il giovane si avvicinò per poi ritrovarsi
al suo fianco.
"Sai una cosa? Penso che il tuo possa definirsi senza dubbio un uomo
estremamente fortunato. Avere al tuo fianco una donna bella come te è un dono di
Afrodite!", disse il giovane guerriero biondo.
"Davvero lo pensi?", domandò Lamù incrociando lo sguardo con quello del
ragazzo.
"Certo!", ribattè Achille sicuro di sé.
"Il fatto è che lui non fa altro che correre dietro alle altre ragazze...
nonostante io lo ami con tutta me stessa", disse Lamù con una punta di
tristezza.
"I casi sono due: o gli dei lo hanno maledetto rendendolo pazzo e cieco o si
tratta di un autentico stupido!", rispose Achille cercando di rispondere con una
battuta per tirare su di morale la ragazza.
"Forse hai ragione...", affermò la bella oni abbozzando un sorriso e
dimostrando di aver apprezzato il sincero tentativo del giovane guerriero di
farla sorridere.
"Immagino che il tuo sogno più grande è quello di condividere la tua vita con
lui fino alla fine dei tuoi giorni... e magari ti piacerebbe anche costruire con
lui una famiglia e dargli dei bambini!", ipotizzò Achille mentre Lamù faceva
intuire la fondatezza della sua previsione con un acceso rossore sulle
guance.
Il ragazzo, ad un tratto, fece un passo in avanti ed indicò con il braccio un
punto indefinito all'orizzonte.
"Sulla sponda opposta dell'Egeo, c'è una ricchissima città di nome Ilio. Si
dice che le sue alte mura, costruite dallo stesso Apollo e da Poseidone, dio del
mare, siano inespugnabili e che il suo re, Priamo, abbia ben cinquanta
figli!".
Lamù strabuzzò gli occhi dopo aver udito il numero incredibilmente alto dei
componenti della discendenza del re troiano.
"Dicono anche che il più grande di loro, Ettore, sia il miglior guerriero del
mondo e che comandi la Guardia di Apollo, il miglior reparto di cavalleria che
sia mai esistito", proseguì Achille.
"Che cosa stai cercando di dirmi?", lo interruppe Lamù cercando di capire
perché il ragazzo le stesse parlando di queste cose.
"Il mio destino è quello di combattere sotto le mura di Ilio contro Ettore in
una guerra che sarà ricordata fino alla fine del mondo!", disse Achille con gli
occhi illuminati da un desiderio incontenibile di mettere alla prova la sua
abilità di guerriero.
"Ma perché dici così?", domandò la bella aliena incapace di comprendere quel
desiderio. "Tu sei un principe. Potrai diventare un saggio sovrano e avere al
tuo fianco una moglie devota che ti darà dei figli...".
"E il mio nome cadrebbe nell'oblio", esclamò il ragazzo. "Se invece andrò a
combattere ad Ilio, il mio destino sarà di morire giovane... ma il mio nome non
verrà mai dimenticato, nemmeno quando di me non resterà neppure la polvere".
"Io non capisco...", continuò Lamù; ma prima che potesse proseguire, Achille
pose le mani sulle sue spalle e la guardò dritto negli occhi.
"Lamù, gli dei concedono a noi mortali una vita breve... ed io non voglio
essere dimenticato. Voglio che coloro che calcheranno questa terra dopo di me si
ricordino delle mie imprese e che il mio nome possa essere un esempio di virtù e
coraggio. Se non raggiungerò questo traguardo, la mia anima vagherà negli Inferi
senza pace per l'eternità!".
La ragazza lesse negli occhi del giovane guerriero una grande paura e decise
di consolarlo. "Se questo è il tuo più grande desiderio, mi auguro vivamente che
tu possa realizzarlo", disse infine.
Consolato da quelle parole, Achille replicò: "Ed io sono convinto che prima o
poi conquisterai definitivamente il cuore del tuo amato".
Lamù gli sorrise ed accarezzò il suo volto imberbe. "Ti ringrazio per le tue
parole", disse la ragazza prima di fare ritorno al luogo dove riposavano gli
altri componenti della compagnia.
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Capitolo 15 *** Il messaggero alato ***
sa
IL MESSAGGERO ALATO
"Perché devo essere proprio io a dover trasportare le provviste?!", si
lamentò Lamù mentre il sacco delle provviste opprimeva con il suo peso la sua
povera schiena.
"Non lamentarti!", le disse Benten. "Ieri non hai fatto altro che svolazzare
sopra le nostre teste per tutto il giorno ed è ora che ti dia da fare. Asclepio
ci sta guidando, Achille ed Aiace trasportano le loro armi ed io mi sto
occupando dell'acqua... perciò non discutere!".
"Non è il caso di litigare", affermò Asclepio dopo aver udito il battibecco
fra le due aliene. "Tra poco si fermeremo per il pranzo".
Lamù non osò più lamentarsi e dopo un'altra ora di cammino, la compagnia si
fermò in una radura incastonata fra due brulle colline per rifocillarsi.
La bella oni aveva appena posato pesantemente a terra il sacco delle
provviste, quando notò nel cielo sgombro dalle nuvole una strana figura che si
stava avvicinando verso di loro.
"Chi è?", domandò Benten portandosi la mano sulla fronte per poter vedere
meglio.
I restanti membri del gruppo aguzzarono anche loro la vista e subito dopo,
con il progressivo avanzare della figura, Asclepio s'inginocchiò seguito dai due
giovani allievi di Chirone.
"Ma che state facendo?", domandò Lamù chiedendosi il perché del loro bizzarro
comportamento.
"Non discutere ed inginocchiati subito!", ordinò il figlio di Apollo non
nascondendo un certo timore nelle sue parole.
Le due ragazze si scambiarono un'occhiata d'intesa ed imitarono il gesto dei
loro compagni di viaggio; non appena le loro ginocchia toccarono il suolo, il
misterioso personaggio toccò terra e si trovò davanti a loro.
"Noi ti salutiamo, Ermes figlio di Zeus, messaggero dell'Olimpo e protettore
degli uomini scaltri", disse Asclepio con parole solenni poco prima di alzare lo
sguardo insieme agli altri.
Lamù e Benten rimasero molto sorprese: davanti a loro vi era colui che ai
loro occhi sembrava un semplice ragazzo con indosso una tunica candida ed un
corto mantello col cappuccio di colore rosso. Sul fianco destro portava una
sacca a tracolla e teneva in mano il caduceo, un bastone con due serpenti
attorcigliati attorno ad esso; sulla testa portava il petaso, il tipico
cappello dei viaggiatori, con due ali d'oro ai lati ed anche i suoi bianchi
calzari erano alati.
"Salute a voi, mangiatori di pane!", disse il dio salutandoli con
l'appellativo con cui gli dèi chiamavano i comuni esseri umani.
Subito dopo, Asclepio e gli altri si alzarono in piedi e grande fu la
sorpresa di Emes quando notò Lamù.
"Tu non sei una donna mortale!", affermò la divinità decisamente stupita.
"Sei per caso una Naiade?".
"Io mi chiamo Lamù e se ci tieni a saperlo, sono una oni e non una
Naiade!", rispose la giovane ingenuamente e con una neppure tanto velata
arroganza.
"Come osi parlarmi in questo modo?!", disse Ermes visibilmente irritato.
Fortunatamente Asclepio intervenne e dopo aver spiegato all'esterrefatto dio
la provenienza delle due ragazze e la motivazione del loro viaggio, Ermes cambiò
decisamente espressione.
"Sono venuto fin qui per portarvi un dono ed un messaggio da parte di
Apollo", disse infine quest'ultimo consegnando ad Asclepio un'ampolla di vetro
contenente un liquido dal colore giallo paglierino.
Il possessore del bastone col serpente d'argento esaminò velocemente
l'oggetto e lo pose nelle mani di Lamù. "Questo è ciò che stai cercando!", disse
l'uomo sorridendo alla ragazza.
Lamù mostrò un sorriso radioso e si librò in aria volteggiando in preda
all'euforia. "Finalemente potrò risvegliare il mio tesoruccio adorato!", gridò
la bella aliena ebbra di gioia prima di abbracciare Ermes e di prodigarsi in
mille ringraziamenti.
"Tuttavia c'è un motivo ben preciso per cui ti ho consegnato di persona
quella boccetta", disse il messaggero degli dèi rivolgendosi ad Asclepio. "Ho
saputo delle tue intenzioni dopo aver incontrato per caso Chirone e dopo aver
riferito a Zeus, mi ha ordinato di consegnartela ad una condizione ben precisa:
non dovrai rivelare a nessuno l'ubicazione dei fiori di Apollo".
"Giuro solennemente che non lo farò mai", rispose l'uomo.
"Ricordati che quei fiori sono stati creati con lo scopo di proteggere
l'umanità nel caso in cui la sua stessa sopravvivenza venisse messa in pericolo
da guerre, pestilenze o cataclismi. Comprendo che le tue intenzioni di
migliorare la vita dei tuoi simili grazie all'arte della medicina in cui sei
stato educato sono nobili, ma non permettere mai che l'hybris avveleni la
tua mente... o il sommo Zeus ti punirà severamente come ha già fatto con l'empio
Prometeo!".
Asclepio diede ancora una volta la sua parola ed offrì alla divinità gli otri
di latte e miele.
"Li accetto con gioia e tieni a mente le mie parole", disse Ermes mettendo i
contenitori di terracotta nella sua capiente bisaccia. Subito dopo il dio spiccò
il volo con l'ausilio dei suoi calzari alati e scomparve nel cielo dopo pochi
istanti.
"Direi che la nostra missione è compiuta", disse Benten posando una mano
sulla spalla dell'amica.
"Hai proprio ragione", rispose Lamù osservando con occhi quasi commossi
l'ampolla con all'interno l'elisir che le avrebbe finalmente permesso di
risvegliare Ataru dal suo sonno avvelenato.
Note dell'autore: l'hybris cui fa riferimento Ermes in questo capitolo
è un termine greco che significa letteralmente "tracotanza", "eccesso" o
"superbia".
Presso gli antichi Greci era considerato un peccato gravissimo con cui l'uomo
osava violare con le sue azioni i limiti imposti dagli dèi e che costringeva
questi ultimi a punire con la massima severità colui che si era macchiato di un
simile misfatto.
Lo stesso Asclepio verrà ucciso da Zeus per aver osato resuscitare i morti
con il suo talento medico.
Le Naiadi, invece, sono le ninfe delle acque dolci della terra (laghi, fiumi,
sorgenti...) e nei poemi omerici gli uomini mortali sono detti appunto
"mangiatori di pane" per distinguerli dagli dèi immortali che si nutrivano di
nettare e ambrosia.
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Capitolo 16 *** Le parole di un padre ***
sa
LE PAROLE DI UN PADRE
"E con questo ho finito!", annunciò soddisfatta Lamù dopo aver avvitato
l'ultimo bullone.
Come notato in precedenza da Asclepio, l'astronave aveva riportato soltanto
dei lievi danni e alla bella oni era bastato poco tempo per aggiustarla e
renderla nuovamente abile al viaggio nello spazio.
"Allora possiamo partire" disse Benten con indosso nuovamente il suo bikini
metallico con catena.
"Certo che sono veramente stupende", mormorò sconsolato Aiace all'orecchio di
Achille mentre si mangiava con gli occhi gli splendidi corpi delle due aliene
avvolti soltanto dai loro consueti bikini. "Non troveremo donne più belle
nemmeno se dovessimo setacciare il mondo intero...".
"Devi pensare alla guerra, non all'amore!", lo sgridò Chirone assestandogli
un pugno sulla testa sprovvista di elmo; per loro fortuna, le due ragazze non
avevano sentito nulla e si apprestavano a congedarsi dai loro compagni di
avventura.
"Grazie di tutto", disse Lamù stringendo fra le mani l'ampolla contenente la
pozione per risvegliare Ataru.
"Prima che voi ve ne andiate, dovete sapere un'ultima cosa", affermò Asclepio
posando le mani sulle spalle nude della ragazza col bikini tigrato. "Questa
pozione funziona ha effetto solamente sui moribondi. Se il tuo uomo dovesse
morire, non avrà alcun effetto e nulla gli impedirà di scendere nell'Ade".
"Non è il caso di preoccuparsi", intervenne Benten notando che l'amica era
rimasta leggermente scossa dalle parole del figlio di Apollo.
Detto ciò, l'amazzone aliena riscosse Lamù e le due ragazze entrarono nella
cabina di pilotaggio.
"Che gli dei proteggano voi e i vostri amici", disse Achille poco prima che
lo sportello si chiudesse.
Subito dopo, i motori si accesero e con un rumore assordante le due aliene si
lasciarono alle spalle quel mondo antico e affascinante al tempo stesso.
"Tesoruccio adorato, presto sarò da te", sussurrò Lamù stringendo sul petto
l'ampolla mentre la navicella aveva già oltrepassato l'atmosfera terrestre e si
stava dirigendo verso il Grande Nero.
"Signore, sarà meglio fermarci o l'attrazione gravitazionale esercitata dal
Grande Nero risucchierà l'intera flotta", suggerì un soldato dell'esercito di
Uru al suo comandante.
Avvisato da Ten dell'ultima folle avventura della figlia, il padre di Lamù
aveva appena mobilitato l'intero esercito del suo pianeta ed una flotta di
grandi dimensioni, guidata dall'astronave madre all'interno della quale vi erano
il possente oni insieme a tutti gli amici di Ataru e Lamù, stazionava a
distanza di sicurezza dal grande buco nero.
Ad un tratto, sui radar dell'astronave venne segnalata la presenza di una
navicella che era appena stata "espulsa" dal Grande Nero.
"Sono Lamù e Benten! Sono tornate!", annunciò Ran gridando a
squarciagola.
"Capitano, ordina a mia figlia di venire immediatamente qui", disse il padre
di Lamù all'indirizzo di uno dei suoi sottoposti con voce decisamente
irritata.
"Ti consiglio di prepararti", bisbigliò Benten all'orecchio di Lamù mentre le
due giovani venivano scortate da due soldati verso la sala comandi
dell'astronave. "Credo che tuo padre sarà piuttosto arrabbiato con te".
La bella oni deglutì e non appena le porte della sala si aprirono,
quest'ultima notò che l'amica aveva ragione: non appena la vide, suo padre
assunse un'espressione furente e strinse i pugni.
"Benten, raggiungi gli altri nella stanza adiacente la sala comandi!",
ringhiò il corpulento oni. "Devo fare quattro chiacchiere con mia figlia
in privato".
Detto ciò, il comandante militare del pianeta Uru condusse Lamù in una
piccola stanza e non appena le porte furono chiuse, la ragazza ricevette un
violento schiaffo che la fece cadere a terra.
Lamù rimase completamente spiazzata da quella reazione: in tutta la sua vita,
suo padre l'aveva schiaffeggiata una sola volta dopo averla colta in flagrante
mentre giocava con una pistola a raggi laser quando era bambina.
"Come ti sei permessa di attraversare il Grande Nero senza dirmi nulla?!",
disse il padre della ragazza letteralmente furioso. "Ti rendi conto che avresti
potuto restare intrappolata per sempre in un'altra dimensione?!".
"Ma, papà...".
"SILENZIO!!", tuonò il grasso oni. "Mi spieghi perché lo hai fatto?
Perché hai compiuto una simile pazzia?!".
Toccandosi la guancia dolorante, Lamù spiegò al padre tutto ciò che era
successo fino a quel momento, dal rapimento di Ataru all'avventura nella Grecia
antica.
"A quanto sembra, quell'imbecille di tuo marito si è cacciato di nuovo nei
guai", disse il padre della bella oni grattandosi la testa. "Perché fai
tutto questo per uno stupido dongiovanni da quattro soldi capace soltanto di
farti soffirire?".
Questa volta fu Lamù ad arrabbiarsi e lanciò un'occhiata di fuoco
all'indirizzo del padre.
"Perché lo amo!", sibilò furente la ragazza.
"Come puoi esserne così sicura?!", domandò suo padre. "Ti sei già dimenticata
di quando ti ha abbandonata per seguire la spia di quella stessa donna che lo ha
fatto rapire? Un uomo del genere è completamente incapace di amare una sola
donna!".
"Ti sbagli di grosso, papà!", replicò con decisione la bella extraterrestre.
"Hai ragione: non mi ha mai detto di amarmi e corre sempre dietro le altre
ragazze, ma... mi ha dimostrato più di una volta la bontà dei sentimenti che
prova per me".
A quel punto, Lamù elencò tutti quei momenti in cui il ragazzo aveva lasciato
intendere la veridicità di ciò che provava per lei; le sue parole avevano
evidentemente fatto effetto, dato che l'espressione del volto del padre si era
decisamente rasserenata.
"Sei più testarda di tua madre, bambina mia", disse il possente oni
alzando con la mano il mento della figlia. "Però devo darti ragione su una
cosa: questa volta Elle ha veramente esagerato e la convincerò una volta per
tutte a smetterla di frapporsi fra te e Ataru... con le buone o con le
cattive!".
"Grazie, papà!", disse Lamù con gli occhi lucidi mentre abbracciava l'esteso
addome del padre.
Note dell'autore: l'episodio da me citato in cui il padre di Lamù ha
schiaffeggiato la figlia si trova nell'episodio 166 all'interno del volume
n° 24 del manga dal titolo "Su tutte le furie".
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Capitolo 17 *** Battaglia nei cieli di Barham ***
sa
BATTAGLIA NEI CIELI DI BARHAM
"Mia signora, una flotta di astronavi proveniente dal pianeta degli oni
si sta avvicinando allo scudo!", annunciò allarmata una componente
dell'esercito del pianeta El a Rose.
Il capo della Rosa Nera, autoproclamatasi nuova sovrana al posto di Elle, si
trovava nella sala comandi situata nel bunker sotterraneo del palazzo reale e
stava pianificando il piano d'attacco insieme alle sue sottoposte e al capo dei
Legionari della Rosa, il nuovo corpo militare del pianeta El composto da tutti
gli amanti di Elle fatti scongelare dalla stessa Rose.
"Quali sono i vostri ordini?", domandò il comandante della nuova formazione
militare.
"Che tutte le astronavi si dirigano in direzione dello scudo", ordinò con
voce ferma Rose. "Tutte le componenti della Rosa Nera si schiereranno sul fianco
sinistro della formazione, mentre i Legionari della Rosa occuperano il fianco
destro e le retrovie. Non appena i nostri squadroni saranno in posizione
d'attacco, farò aprire lo scudo e attirerò i nostri nemici in trappola.
Finalmente potremo vendicarci dello smacco subito lo scorso anno!".
A quel punto, tutti i componenti del consiglio di guerra si congedarono e
dopo pochi minuti, migliaia e migliaia di caccia interstellari da combattimento
si librarono nel cielo di Barham per raggiungere i posti di combattimento.
"Signore, guardate!", annunciò un soldato dell'esercito di Uru indicando col
braccio teso lo scudo spaziale che proteggeva il pianeta El aprirsi pian
piano.
"Sarà senza dubbio una trappola", disse il padre di Lamù seduto sulla sua
postazione.
"Papà, lascia che vada a salvare il mio tesoruccio!", supplicò ansiosa Lamù
strattonando il grande e irsuto braccio del padre.
"Non se ne parla neanche!", gridò il corpulento oni fulminando con lo
sguardo la figlia. Poi si rivolse ad un suo sottufficiale ed ordinò: "Capitano,
ordinate a tutti i caccia di disporsi in formazione di attacco e di prepararsi
alla battaglia!".
"Sarà fatto!", esclamò l'interpellato sbattendo i tacchi degli stivali e
irrigidendo il corpo.
Subito dopo, tutte le astronavi si disposero in difesa della nave madre e non
appena i caccia nemici furono usciti dallo scudo spaziale e si disposero a
difesa del pianeta El, la battaglia ebbe inizio con l'esplodere dei primi caccia
colpiti dai raggi laser.
"Che spettacolo superbo!", commentò entusiasta Megane osservando dai grandi
finestroni della nave madre lo svolgersi del combattimento. "Morire in battaglia
è l'onore più grande che un uomo possa mai desiderare".
"Non ti rendi conto delle sciocchezze che stai dicendo?!", gridò Shinobu
incapace di comprendere il folle commento del suo compagno di classe. "Non pensi
alle vite che andranno perdute?!".
"Questa è la guerra", rispose il ragazzo con gli occhiali. "Se solo sapessi
pilotare un caccia, mi getterei anch'io nella mischia!".
"Piantala di dire idiozie, Megane!", disse Shutaro all'indirizzo
dell'esaltato compagno. "Parli della guerra come se fosse un gioco. In realtà, è
sempre un evento luttuoso ed io che discendo da una nobile famiglia di samurai,
lo so molto bene. Non potete immaginare quanti dei miei antenati siano morti sui
campi di battaglia...".
Prima che il giovane Mendo potesse riprendere il filo del disorso, sul campo
di battaglia irruppe una terza flotta di astronavi.
"Ma che sta succedendo?!", si domandò allarmato il comandante dell'esercito
urusiano osservando quelle navicelle simili ad enormi fiocchi di neve
cristallizzati schierati a difesa di una enorme astronave madre simile ad un
grande e regolare blocco di ghiaccio.
Con grande sorpresa ed immensa gioia degli oni, i nuovi arrivati si
lanciarono all'attacco della flotta del pianeta El trasformando i caccia nemici
in tanti blocchi di ghiaccio con l'ausilio di potenti raggi congelatori; in
breve tempo, l'esercito di Rose venne sbaragliato e tutti i caccia congelati
vennero catturati dall'astronave madre della flotta alleata dell'esercito
urusiano.
"Chiudete immediatamente lo scudo! PRESTO!!", gridò Rose disperata ed
incredula dalla sua postazione nel bunker sotterraneo mentre le sue sottoposte,
letteralmente impietrite, tenevano gli occhi fissi sui radar che annunciavano
impietosamente la disfatta.
"Mio signore, c'è una chiamata dall'astronave di ghiaccio", annunciò al padre
di Lamù uno dei soldati del pianeta Uru, ebbro di gioia per la vittoria appena
riportata.
"Trasmettetelo immediatamente!", affermò il suo comandante.
Un grande maxischermo venne fatto calare sui finestroni nell'astronave e, con
grande sorpresa di Lamù e compagni, comparve Oyuki nel suo tradizionale
kimono bianco con al suo fianco un uomo dalla carnagione chiarissima e
dai capelli bianchi che aveva stretto in mano uno stendardo raffigurante il
tridente blu, simbolo di Nettuno, su sfondo bianco.
"Sapevo che non ci avresti mai abbandonato!", esclamò felicissima Lamù alla
vista dell'amica.
"Sei stata grande!", affermò Benten.
"Grazie dei complimenti", rispose la regina di Nettuno.
"Ma che significa?!", domandò incredula Shinobu. "Quando io, Ataru e gli
altri siamo arrivati su Nettuno, non vi erano tracce di uomini!".
"Questo perché ho mandato tutti gli uomini di Nettuno su dei campi di
addestramento installati su Tritone per affrontare al meglio situazioni di crisi
interplanetaria come questa!", fu la secca e fredda risposta di Oyuki.
"Ho dato ordine al generale Izumo, comandante del mio esercito, di far
congelare lo scudo che protegge il pianeta El. Ora tocca a voi finire il
lavoro!", concluse la glaciale amica di Lamù prima di interrompere il
collegamento.
Come appena detto, i caccia di Nettuno avevano trasformato lo scudo spaziale
in un grande blocco di ghiaccio e il padre della bella oni ordinò
immediatamente alle sue truppe di colpirlo con i raggi laser: l'imponente
struttura che fino a poco tempo prima rivestiva l'intero pianeta, si frantumò in
miliardi di minuscoli pezzi che andarono a formare un debole anello intorno ad
El.
"Ed ora... rotta su Barham!", ordinò trionfante il comandante dell'esercito
di Uru.
"Se dovessero prendermi, per me sarà la fine!", si disse terrorizzata Rose
mentre percorreva a grandi falcate gli sguarniti corridoi del palazzo reale.
Resasi conto che il suo brevissimo regno era ormai giunto al capolinea, la
donna aveva dato il suo ultimo ordine: deporre immediatamente le armi e restare
a guardia delle postazioni in attesa della calata su Barham dei nemici
vittoriosi.
"Tutta colpa di quel maledetto terrestre!", pensò furente di rabbia Rose
giunta al'ingresso dell'indifesa sala dove Ataru giaceva all'interno della
capsula medica.
Rose vi entrò ed aprì immediatamente lo sportello; vedendo il giovane
Moroboshi in quello stato apparente di sonno profondo, l'ormai ex regina del
pianeta El fu presa ancor di più dall'ira e dal desiderio di vendetta.
Rose sguainò un corto pugnale e dopo aver scagliato a terra il fodero,
strappò con l'arma il camice, lasciando il ragazzo a torso nudo
"La farò finita con te una volta per tutte!", disse a denti stretti la donna
con occhi illuminati dal folle desiderio di vendetta.
"MUORI!", gridò furibonda Rose mentre conficcava la fredda lama nella carne di
Ataru, colpendolo all'altezza del cuore; non appena la lama, sporca di sangue,
venne estratta, un fiotto di liquido color cremisi sgorgò abbondante dalla
ferita, scivolando sul fianco per poi deporsi sul fondo della capsula.
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Capitolo 18 *** Caronte ***
sa
CARONTE
"Che cosa sta succedendo?!", chiese preoccupata Elle vedendo attraverso le
grate della finestra della prigione le astronavi di Uru e Nettuno che calavano
numerose su Barham come cavallette su un campo di grano.
"Temo che il nostro pianeta sia stato invaso", aggiunse Violet. "Lo scudo
spaziale dev'essere andato completamente distrutto".
Scossa da quella visione, Elle si staccò dalla finestra e crollò sulle
ginocchia con lo sguardo fisso nel vuoto. "Io... io non sono degna di essere
chiamata regina. Sono stata così stupida da anteporre i miei capricci personali
al bene del mio pianeta".
"Ora non è il caso di disperarsi", disse Babara guardando la triste ragazza
dritta negli occhi. "Voi siete ancora molto giovane ed è più che normale che
commettiate degli errori, ma è proprio grazie agli sbagli che si diventa più
saggi".
Prima ancora che Elle potesse rispondere, alcuni soldati dell'esercito di
Nettuno distrussero la serratura della porta della cella, liberando così i
prigionieri.
"Non fateci del male", disse Violet ai liberatori ponendosi davanti ad Elle
nel tentativo di difenderla da eventuali aggressioni.
Dal gruppo di militari emerse un uomo dalla carnagione chiarissima e dai
corti capelli bianchi che indossava un'armatura di metallo lucentissimo e trasparente simile al ghiaccio, avvolta da un mantello di colore azzurro.
"Il mio nome è Izumo e sono il comandante del Reale Esercito di Nettuno,
creato per volere della mia signora Oyuki", si presentò l'uomo con parole
estremamente solenni. "Non abbiamo alcuna intenzione di farvi del male, ma vi
consiglio vivamente di dirci chi siete e perché vi trovate qui".
Convinta dalle parole del comandante dei soldati di Nettuno, Violet gli
presentò Elle insieme a Babara e Mahiru e gli spiegò in maniera chiara e concisa
il colpo di mano da parte di Rose che aveva gettato il pianeta El nella
rovina.
"Dobbiamo subito trovarla e arrestarla", sentenziò Izumo. "Vi chiedo di
guidarci in modo che possiamo catturare l'usurpatrice".
"Sarà un vero piacere", esclamò la sottoposta di Elle facendosi strada fra i soldati
e determinata più che mai a compiere il suo dovere.
"Devo raggiungere immediatamente lo spazioporto e fuggire da qui!", disse fra
sé Rose con in mano il pugnale insanguinato.
La donna era giunta nella vuota sala del trono e si diresse verso l'immenso
portone d'accesso, ma sfortunatamente per lei si trovò davanti agli occhi Violet
con Elle e migliaia di soldati nemici; in pochi istanti, Rose si ritrovò al
centro della sala braccata come un cane dagli oni e dai soldati agli
ordini di Izumo.
"Ti consiglio di arrenderti", minacciò il padre di Lamù all'indirizzo della
donna.
"Non mi avrete mai viva!", gridò Rose ormai in balia della disperazione
mentre si scagliava contro Elle brandendo il pugnale.
"La tua corsa finisce qui!", disse Violet lanciandosi all'attacco della
nemica; grazie ai suoi riflessi felini, la sottoposta di Elle disarmò la rivale
stringendole con violenza il polso e trovatasi alle sue spalle, la colpì alla
nuca con un colpo netto che fece crollare Rose a terra priva di sensi.
"Catturatela!", ordinò il comandante Izumo ai suoi uomini, i quali eseguirono
prontamente l'ordine.
Ristabilita finalmente la calma, Elle spiegò allo stupito comandante
dell'esercito di Uru la sua situazione e promise solennemente che avrebbe
risvegliato Ataru e che non sarebbe più stata di ostacolo all'amore fra Lamù e
il ragazzo.
"Signore, abbiamo trovato il marito di sua figlia", annunciò uno dei soldati
di Uru.
"Molto bene. Portatelo qui", rispose con gioia il possente oni al suo
sottoposto, ma la sua felicità fu di durata assai breve, non appena vide il
genero deposto a terra da un soldato di Nettuno con il petto sporco di
sangue.
"Fate venire immediatamente qui la squadra medica!", ordinò il padre di Lamù.
Dopo pochi istanti, una squadra composta da un medico e due assistenti si
affrettò a prestare le prime cure al ragazzo, ma dopo appena una decina di
minuti, il medico dovette annunciare a tutti il decesso dello sfortunato
giovane. "La ferita inferta ha lesionato l'atrio destro del cuore ed ha reciso
completamente la vena; il ragazzo è morto dissanguato dopo pochi minuti", fu il
tragico responso.
"Rose deve averlo colpito con questo", ipotizzò Violet con in mano il pugnale
insanguinato; la giovane donna consegnò l'arma nelle mani del medico, il quale
confermò l'ipotesi dopo aver fatto analizzare il sangue presente sulla lama.
Elle si precipitò vicino Ataru e con le lacrime agli occhi, prese il suo
volto fra le mani.
"Mi dispiace", mormorò la giovane donna dai corti capelli rossi e dagli occhi
verdi. "Io... non volevo questo".
"Capitano, dite a mia figlia di venire qui", disse con voce piatta il padre
della bella aliena.
"Ne è sicuro, signore?", domandò l'ufficiale.
"Non discutere e obbedisci!", ribadì il corpulento comandante delle truppe
urusiane.
"Povera bambina mia. Sarà un colpo durissimo per lei", si disse quest'ultimo
non osando neppure immaginare la reazione di Lamù.
"Sto arrivando, tesoruccio", disse fra sé Lamù mentre attraversava in volo il
corridoio che portava alla sala del trono seguita da Ten e gli altri. "Non vedo
l'ora di poterti nuovamente stringere fra le mie braccia".
"Se vedo quello stupido di Moroboshi fare il cascamorto con Elle, giuro sui
miei avi che lo farò a fette con la mia spada!", si disse Shutaro mentre
stringeva l'elsa dell'arma nella mano sinistra.
Non appena furono entrati nella sala, i componenti del gruppo notarono che
tutti i soldati si erano tolti gli elmetti ed avevano un'espressione triste
stampata sui loro volti.
La bella oni prese il volo, ma non appena fu in aria spalancò gli
occhi e si portò le mani alla bocca per soffocare un urlo: al centro del folto
gruppo di militari c'era il suo tesoruccio riverso a terra con l'addome sporco
di sangue.
La ragazza si precipitò al suo fianco e appoggiò la testa di Ataru sulle sue
ginocchia.
"Resisti, tesoruccio", disse Lamù con in mano l'ampolla donatale da Asclepio
al termine della sua avventura nella Grecia antica. "Questo ti farà bene".
La ragazza versò il contenuto della boccetta nella bocca del ragazzo,
dopodiché gli massaggiò il collo per far scendere il liquido nella gola.
"Che stai facendo?", domandò suo padre.
"Questa bevanda lo risveglierà!", rispose speranzosa la ragazza. I minuti
passavano inesorabilmente, ma Ataru non accennava minimamente a svegliarsi; il
suo corpo rimaneva di un pallore cadaverico e tutti i suoi amici erano
estremamente preoccupati per lui.
"Ti prego, tesoruccio... svegliati!", mormorò Lamù incapace di guardare la
ferita che deturpava il corpo del ragazzo.
"Smettila con i tuoi stupidi scherzi!", urlò Shutaro sperando con tutto se
stesso di poter vedere Ataru risvegliarsi.
"Ti scongiuro, Ataru... alzati!", mormorò Shinobu con un velo di lacrime
sugli occhi.
"Alzati, Moroboshi. Alzati!", disse Megane con i pugni ben stretti.
In quel momento, le parole pronunciate da Asclepio rimbombavano prepotenti
nella testa della povera Lamù come i colpi del martello di un fabbro
sull'incudine.
Se il tuo uomo dovesse morire, la pozione non avrà alcun effetto e nulla gli
impedirà di scendere nell'Ade.
"Forza, tesoruccio... alzati!", sussurrò la bella ragazza in bikini tigrato
mentre le prime lacrime le rigarono il volto prima di cadere sul nudo e freddo
petto dell'amato.
Incapace di sopportare oltre, il padre di Lamù si inginocchiò davanti a lei e
posò una mano sulla sua spalla.
"Non c'è più nulla da fare!", esordì il comandante dei soldati di Uru. "E'
morto".
Dopo quelle parole, il corpo di Lamù fu sconvolto dai singhiozzi e subito
dopo la ragazza emise un grido disperato che riecheggiò fra le pareti della sala
del trono e trafisse il cuore dei presenti con la violenza della fredda lama di
un coltello.
"Non puoi... non puoi lasciarmi... no...", mormorò disperata Lamù
stringendo con forza il ragazzo, ormai divenuto cadavere.
"Pugnalato nel sonno senza nemmeno aver avuto la possibilità di difendersi...
che morte ignobile!", pensò Shutaro mentre stringeva con maggior vigore la sua
katana.
"Ti prego, Lamù... perdonami!", si disse Elle mentre si copriva le mani con
le orecchie per non sentire una seconda volta i lamenti che non facevano altro
che ingigantire il suo opprimente senso di colpa; per ordine del comandante
Izumo, la ragazza era stata condotta in una stanza adiacente la sala del trono a
scopo precauzionale.
All'improvviso, una fortissima e gelida raffica di vento infranse i vetri
della sala e fece cadere a terra tutti gli occupanti.
"E ora che succede?!", gridò Benten con la voce coperta dall'acuto sibilo
della raffica.
Da uno dei finestroni, entrò un grande barcone interamente dipinto di nero
sul quale una misteriosa figura avvolta in un nero mantello con cappuccio
impugnava un lungo remo, anch'esso dipinto con lo stesso colore della barca.
"Chi diavolo sei?", gridò Shutaro all'indirizzo del sinistro personaggio.
Quest'ultimo di scoprì il volto ed un vecchio dalla barba e dai capelli
bianchi lanciò un'occhiata di fuoco su Lamù, la quale strinse ancor di più il
corpo del suo tesoruccio.
"Io sono Caronte e sono giunto fin qui per condurre quest'anima parva nel
regno del mio signore Ade", annunciò il vecchio con un tono di voce talmente
grave da far tremare le pareti.
"Dovrai passare sul mio cadavere!", minacciò il giovane Mendo ponendosi a
difesa di Lamù con la spada sguainata insieme ai suoi amici, mentre i soldati di
Uru e Nettuno avevano già puntato i fucili contro il nemico.
Prima ancora di poter attaccare, Caronte agitò il suo remo e una seconda
raffica di vento, ancor più potente della precedente, travolse come foglie
secche gli allibiti difensori, sparpagliandoli ai quattro angoli dell'immenso
salone.
Sbaragliata la fragile resistenza, Caronte allungò il braccio sul corpo di
Ataru ancora fra le braccia di Lamù e senza proferire parola, chiuse la mano in
un pugno e attirò il braccio verso di sé; con quel gesto, il vecchio aveva
scisso l'anima di Ataru dal suo corpo e l'aveva imprigionata all'interno di
un'anfora dipinta con figure nere su sfondo rosso.
"Che cosa hai fatto al mio tesoruccio?!", sibilò furibonda la bella oni
con le mani già cariche di elettricità e pronte a rilasciare la scarica.
"Sto per condurre quest'anima nel regno cui apparterrà per i secoli a
venire", affermò Caronte con la prua della barca rivolta verso l'esterno. "Non
osare sfidarmi, ragazzina!".
"Non te lo permetterò!", gridò Lamù lanciando la sua scarica elettrica contro
l'imbarcazione.
Fu tutto inutile e la giovane, uscita dalla sala, vide la barca allontanarsi
nello spazio profondo.
Decisa ad inseguire Caronte, Lamù volò in direzione dello spazioporto ed
entrò nella cabina di pilotaggio di uno dei caccia dell'esercito del suo pianeta
natale.
"Nessuno mi porterà via il mio tesoruccio adorato!", si disse la bella oni
dopo aver acceso il motore; la ragazza premette subito sull'acceleratore e
si lanciò all'inseguimento di Caronte.
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Capitolo 19 *** Al cospetto di Ade e Persefone ***
sa
AL COSPETTO DI ADE E PERSEFONE
Lo spettacolo che si presentò agli occhi della sventurata anima di Ataru,
liberata dalla sua prigione di terracotta dallo stesso Caronte non appena
quest'ultimo ebbe toccato terra, era a dir poco raccapricciante: l'area
circostante era desertica e buia; soltanto pochi alberi spogli spuntavano qua e
là e a rendere l'intera atmosfera ancora più spettrale, contribuivano i versi,
simili a quelli dei corvi, di orride creature simili ad uccelli, ma con il volto
di donna che erano appollaiate sui rami secchi degli alberi.
Come se ciò non fosse sufficientemente spaventoso, il cielo era interamente
ricoperto da uno strato atmosferico bianco, ma non si trattava di nuvole comuni:
erano anime dalle sembianze umane che emanavano acuti lamenti, ingigantiti
dall'eco favorito dal brullo paesaggio.
Inoltre, Caronte e il suo "passeggero" si trovavano di fronte ad un maestoso
palazzo costruito in pietra nera, le cui colonne erano ricoperte da rampicanti
dalle foglie e gli arbusti neri come la notte.
"Che posto è questo?", chiese spaventata l'anima di Ataru con le mani legate
dietro la schiena da una speciale corda tenuta saldamente dal Nero
traghettatore.
"Ti trovi sul pianeta Plutone, dimora del mio signore Ade", rispose
Caronte.
Ad un tratto, il rombo del motore del caccia interstellare con cui Lamù aveva
seguito l'imbarcazione del traghettatore delle anime spezzò la lugubre litania e
l'astronave atterrò su Plutone.
"Quella ragazza ha osato compiere il sacrilegio di calpestare la terra di
Plutone!", gridò sdegnato Caronte. "Pagherà cara la sua insolenza!".
Detto ciò, il traghettatore dalla bianca barba e dal mantello nero impugnò un
corno che portava legato al cinturone e dopo che questo ebbe emesso un cupo
suono, dall'entrata del palazzo uscì una squadra composta da sei creature metà
uomo e metà cavallo equipaggiate con lunghe lance, corazze ed elmi metallici e
scudi rotondi provvisti di umbone metallico al centro; a guidarla, un centauro
provvisto di elmo con cresta nera sulla sommità che gli copriva il volto e il
collo avvolto da un mantello nero talmente lungo da coprire anche la parte
equina del corpo.
"Nesso, ti ordino di catturare quella ragazza e di condurla al cospetto di
Ade!", ordinò Caronte con voce possente al comandante dei centauri mentre Lamù,
uscita dal caccia, si apprestava ad attaccarli.
"Lasciate andare il mio tesoruccio!", disse furiosa la ragazza prima di
lanciare una raffica di scariche elettriche contro i suoi nemici; tuttavia, il
suo attacco si infranse contro gli scudi alzati dalle creature servitrici di Ade
senza arrecare loro alcun danno.
"I tuoi attacchi elettrici sono inutili!", gridò Nesso all'indirizzo della
bella oni con voce resa ancor più metallica dai guanciali dell'elmo. "I
nostri scudi e le nostre corazze ci proteggono da qualsiasi attacco, magico o
fisico che sia!".
Lamù, tuttavia, non si fece convincere e lanciò una seconda ondata di scosse
elettriche, ma anche questo attacco fece la stessa fine del precedente.
"Scendi a terra e affrontaci a viso aperto, se ne hai il coraggio!", gridò
uno dei centauri battendo l'asta lignea della lancia sullo scudo.
"O forse hai troppa paura di rovinarti il tuo bel faccino?!", disse uno dei
suoi compagni guardando con occhi lussuriosi la ragazza, focalizzando lo sguardo
sui seni e sulle gambe di Lamù.
"Avanti, vieni!", la invitò una terza creatura. "Vogliamo soltanto giocare un
po' con te!".
Furibonda per le umilianti offese, Lamù scese a terra e venne immediatamente
circondata dai centauri.
Resasi conto dell'inutilità dei suoi attacchi elettrici, la ragazza si
avventò sul primo nemico come una furia, mordendolo con i suoi canini e
graffiandolo al volto, ma venne immobilizzata dal suo avversario che la stritolò
in una morsa di acciaio con le sue braccia umane dotate di una forza
spaventosa.
"Venite qui, ragazzi!", disse ai suoi compagni il centauro tenendo ben
stretta la presa sulla sua sconfitta avversaria.
Costoro non se lo fecero ripetere e giunti davanti la ragazza, gettarono a
terra gli scudi e le lance e cominciarono a sfregarsi le mani.
"Aspettate!", gridò l'unico dei centauri rimasto in disparte. "C'è qualcosa
di meglio da fare, con una come lei...".
Detto ciò, i suoi compagni gli lasciarono campo libero; gettò la sua lancia a
terra e non appena fu davanti alla bella aliena, pose le sua lurida mano sul suo
petto e le strappò il reggiseno.
"Questo me lo tengo come trofeo!", gridò esultante il centauro con in mano
l'indumento trafugato mentre i suoi compagni ridevano sguaiatamente con gli
occhi fissi sui seni scoperti della ragazza.
"LASCIATELA STARE, MALEDETTI!", gridò come un ossesso l'anima di Ataru
cercando in tutti i modi di liberarsi per poter prestare soccorso; ma i nodi
erano troppo stretti e alla fine, Caronte lo gettò a terra con un violento
strattone. "Taci, anima dannata!", tuonò il vecchio.
Sconfitta e umiliata, Lamù lanciò una terza scarica elettrica gridando con
tutto il fiato che aveva in corpo, ma fu tutto inutile.
"Ma allora sei proprio stupida!", affermò il centauro che la teneva nella sua
morsa d'acciaio. "Le nostre corazze ci proteggono da qualsiasi attacco fisico e
creano una barriera difensiva che protegge il nostro corpo dagli attacchi
magici... incluse le tue scosse elettriche!".
"Adesso basta, uomini. Legate quella ragazza e conducetela da Ade!", ordinò
Nesso ai suoi sottoposti.
Eseguiti gli ordini del loro comandante, Lamù fu spinta insieme all'anima del
suo tesoruccio all'interno del lugubre palazzo; entrambi avevano lo sguardo
basso, mentre dietro di loro il centauro che aveva sottratto il reggiseno alla
ragazza mostrava trionfante il "bottino" agli occhi degli invidiosi
compagni.
Essi varcarono il portale di bronzo che determinava l'ingresso del
megaron, ovvero la sala principale del palazzo.
La stanza era lluminata dalla fioca luce di alcuni bracieri metallici e
all'interno di essa, vi erano due figure sedute su troni d'ebano sopraelevati da
un podio di pietra nera.
"Chi è questa ragazza che ha osato calpestare il suolo del mio regno da
viva?!", domandò con voce possente agli allibiti presenti la figura maschile
alzatasi dal suo seggio, mentre la figura femminile al suo fianco restava seduta
al suo posto.
"Vi prego di perdonarmi, mio signore Ade", rispose Caronte con voce tremante.
"Ho condotto fin qui l'anima di questo sciagurato, ma la ragazza ha voluto
seguirmi fin qui e non sono riuscito ad evitare che compiesse questo gesto
profano".
Ade si alzò dal suo trono ed arrivò proprio davanti alla spaventata Lamù, che
fu costretta ad inginocchiarsi davanti a lui dai centauri con un colpo di lancia
alle ginocchia.
Agli occhi della ragazza, il signore di Plutone appariva come un unomo
maturo, dalla folta capigliatura nera e dalla corta barba scura, che teneva in
mano uno scettro, simbolo del suo potere. "Qual'è il tuo nome? Perché sei venuta
fin qui?", domandò Ade con tono benevolo.
"Mi chiamo Lamù e sono venuta fin qui per riprendermi il mio tesoruccio!",
rispose decisa la bella aliena.
"Ma egli è morto!", ribatté il dio dopo aver posato lo sguardo sull'anima del
giovane. "Deve prendere posto con le altre anime che vagano nel mio regno... per
l'eternità".
"Io lo amo e non permetterò a nessuno di portarmelo via!", affermò Lamù con
gli occhi già umidi, ma con decisione.
"Non osare rivolgerti al divino Ade e alla sua sposa Persefone con questo
tono, sgualdrina!", ordinò ferocemente Nesso alla giovane.
"Lasciatela stare!", replicò la donna che fino a pochi istanti prima sedeva
al fianco di Ade; costei si era alzata dal suo trono e si era posta al fianco
del dio, rivelandosi come splendida donna dai lunghi e fluenti capelli biondi
avvolta in un sobrio peplo bianco.
Vedendo in quella donna una possibile alleata, Lamù volle fare appello al suo
cuore di donna. "Vi prego, lasciatelo andare". esordì la ragazza. "Lui non è
malvagio come credete; in realtà, è un ragazzo dal cuore generoso ed io lo amo
per questo. Non posso vivere senza di lui!".
"Io credo alla bontà delle tue parole", affermò la donna posando una mano
sulla guancia della ragazza. "Ma devi comprendere che, se la sua anima si trova
qui, è perché in vita ha commesso dei peccati che deve scontare in questo luogo.
Mi dispiace, ma è così che deve essere".
Nonostante le parole della sposa di Ade fossero state pronunciate nel modo
più delicato possibile, per la povera Lamù ebbero l'effetto di una frustata e
crollò sulle ginocchia piegata dalla disperazione.
"Qual'è la vostra decisione?", domandò Caronte al suo signore.
"In attesa del mio giudizio definitivo, vi ordino di incatenare l'anima di
questo sventurato alla rocca di Cerbero", ordinò Ade a Nesso e i suoi
centauri.
"E cosa dobbiamo farne della ragazza?", chiese il comandante delle creature
metà uomo e metà cavallo.
"Conducetela alla fonte dello Stige... e fate in modo che ci resti!",
concluse il signore di Plutone.
I centauri trascinarono all'istante i due prigionieri all'esterno del
palazzo: Caronte trascinò l'anima di Ataru, mentre Nesso e i suoi sottoposti si
occuparono di Lamù, separando così i due sfortunati ragazzi.
"Che cosa hai intenzione di fare?", domandò Persefone ad Ade non appena i due
furono soli all'interno del megaron.
"Ancora non lo so", si limitò a risponderle il suo sposo.
"Immergiti!", ordinò Nesso a Lamù non appena quest'ultima fu condotta nei
pressi di una fonte d'acqua delimitata da grandi massi su cui erano posati dei
teschi umani. "Non devi aver paura; quest'acqua non è velenosa".
Legata con una fune capace di bloccare i suoi poteri e per nulla rassicurata,
Lamù entrò nella fonte fino a trovarsi al centro di essa con l'acqua che le
arrivava all'altezza del collo.
A quel punto, Nesso protese la mano verso la bella extraterrestre e gridò:
"Borea!".
Immediatamente, un turbine di aria gelida calò sullo specchio d'acqua,
trasformandolo in una prigione di ghiaccio.
Compiuto il loro dovere, i centauri cominciarono ad allontanarsi; soltanto
quello che aveva sottratto il reggiseno a Lamù era rimasto.
"Dovresti ringraziare il nostro signore e la sua generosità. Se fossi stato
al suo posto, ti avrei uccisa all'istante dopo aver arricchito il bottino di
guerra con il pezzo di sotto e gli stivali!", affermò il centauro con
espressione superba stampata sul volto prima di raggiungere i compagni
sventolando al vento l'indumento tigrato.
Lamù si ritrovò così sola, imprigionata in quella fonte ghiacciata che le
martoriava la povera pelle e col cuore a pezzi.
"Ecco fatto", disse Caronte dopo aver incatenato lo spirito di Ataru ad un
grande blocco di pietra nera poco distante dal palazzo di Ade.
"Ti consiglio di restare immobile o Cerbero potrebbe prendersela con te",
proseguì minaccioso il servo del signore di Plutone mentre carezzava il cane a
tre teste messo di guardia alla rocca.
La sventurata anima del giovane Moroboshi guardava con terrore lo spaventoso
cane, mentre quest'ultimo emetteva dalle sue fauci dentate dei latrati simili al
rombo dei tuoni.
"Anche se sei qui sotto forma di spirito, sappi che se soltanto oserai
agitarti o lamentarti, Cerbero potrebbe arrabbiarsi e morderti con le sue
zanne... e se ciò dovesse accadere, il dolore che proverai sarà immenso",
concluse Caronte allontanandosi e lasciando l'anima di Ataru sotto la
sorveglianza del cane a tre teste.
Note dell'autore: nella mitologia greca, Borea era la personificazione del
gelido Vento del nord.
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Capitolo 20 *** Il labirinto di Orfeo ed Euridice ***
sa
IL LABIRINTO DI ORFEO ED EURIDICE
"Allora, che cosa hai deciso riguardo le sorti di quella ragazza e dell'anima
del suo uomo?", domandò Persefone al suo sposo.
Le due divinità erano rimaste sole all'interno del megaron del loro
palazzo già da diverso tempo e il signore di Plutone, insieme alla sua consorte,
era seduto sul suo trono ripensando a come risolvere la spinosa questione.
"Non c'è altro da fare: l'anima di quel giovane deve prendere posto fra le
altre che popolano questo pianeta e la ragazza dev'essere punita con la morte
per aver osato calpestare da viva il suolo di Plutone!", affermò finalmente
Ade.
"Non provi compassione per quella sventurata?", protestò energicamente
Persefone, mentre ripensava alla disperazione di Lamù.
"I comuni mortali non meritano la nostra compassione", rispose Ade
all'indirizzo della moglie. "Se noi adesso ci troviamo qui, è solo per colpa
loro. Fino a pochi millenni fa, eravamo temuti e rispettati, ma sono bastati gli
insegnamenti del figlio di un falegname e di una vergine morto su una croce a
farci cadere nell'oblio, costringendoci a trovare spazio solamente negli angoli
più sperduti dell'universo!".
"Questo non c'entra assoltamente nulla con quei ragazzi!", ribadì Persefone
stufa di sentire da tempo immemore le lamentele del marito sulla nostalgia dei
tempi in cui erano oggetto di culto presso gli antichi abitanti del mondo
mediterraneo.
"Concedi a quella donna l'occasione di poter salvare il suo uomo. L'hai già
concessa una volta... puoi farlo di nuovo!", concluse Persefone cercando in
tutti i modi di far breccia nel cuore del marito.
"E sia!", esclamò Ade alzatosi dal suo trono. "Vedremo se l'amore di quella
ragazza è così forte come sembra".
"Tesoruccio, valgo davvero così poco per te?", si disse la povera Lamù
imprigionata in quella fonte ghiacciata.
Con un ultimo sforzo, la ragazza alzò la testa e intravide delle sagome
indistinte venire verso di lei; una di esse si staccò dalle altre e giunta sulle
sponde della fonte, esclamò: "Noto!".
Immediatamente, una folata di vento caldo fece ritornare l'acqua allo stato
liquido e prima che Lamù potesse affogare a causa della rigidità del suo corpo
congelato, Persefone le permise di uscire dall'acqua grazie al suo potere di
comandare a suo piacimento le acque di Plutone.
Ancora stupefatta per quanto accaduto, Lamù si alzò a fatica sulle ginocchia
e con sua grande gioia, notò l'anima del suo tesoruccio legata con una corda e
sorvegliata dai centauri.
"Efialte, consegna alla ragazza ciò che le appartiene", ordinò Nesso al
centauro che aveva strappato il reggiseno a Lamù e che aveva avuto l'arroganza
di legarlo sulla sommità dell'asta lignea della lancia come se fosse un vessillo
da esibire con orgoglio.
Seppur a malincuore per essere costretto a rinunciare al suo "trofeo",
Efialte obbedì e così Lamù rientrò finalmente in possesso del suo indumento.
"Che cosa volete fare?", domandò intimorita la bella aliena alzatasi da
terra.
"Seguici senza fare troppe domande e lo saprai!", asclamò con glaciale
freddezza Ade poco prima che il gruppo si rimettesse in marcia.
"Siamo arrivati, mio signore", annunciò Nesso, staccatosi dal gruppo per
volere dello stesso Ade.
"Dove siamo?", domandò Lamù con una certa apprensione mentre volgeva lo
sguardo verso una buia caverna situata alla base di una grande montagna di
pietra nera.
"Quella che vedi è l'ingresso del labirinto di Orfeo ed Euridice ed è la tua
unica occasione per poter salvare te stessa e l'uomo che dici di amare!",
annunciò Ade.
"Che cosa devo fare?", domandò la bella oni determinata a non
lasciarsi sfuggire quell'occasione.
"Tu dovrai entrare in quella grotta e raggiungere l'uscita", continuò a
spiegare il signore di Plutone. "L'anima del tuo uomo ti seguirà, ma bada bene:
non dovrete parlare fra di voi e soprattutto, non dovrai in nessun modo voltarti
prima che voi abbiate oltrepassato l'uscita. Se lo farai, l'anima del giovane
raggiungerà immediatamente le altre che si trovano in questo luogo e non potrà
tornare mai più nel regno dei vivi".
"E che succederà se dovessimo superare la prova?", chiese nuovamente
Lamù.
"Vi permetterò di lasciare il mio regno e una volta che l'anima del giovane
si ricongiungerà con il suo corpo, egli ritornerà in vita", concluse Ade. "Mi
hai capito bene?".
Lamù annuì e dopo che Persefone le consegnò una torcia, la bella oni
varcò l'ingresso della caverna e cominciò a camminare nell'oscurità
dell'angusto corridoio naturale.
Non appena Lamù ebbe compiuto pochi passi all'interno del labirinto, si fermò
e drizzò le sue orecchie leggermente appuntite per poter percepire il minimo
rumore: con suo immenso sollievo, percepì i lievissimi passi compiuti dallo
spirito di Ataru.
"Mi sta seguendo", pensò Lamù prima di riprendere il cammino.
"Ci siamo!", si disse mentalmente la bella aliena mentre intravedeva l'uscita
del labirinto dopo essere rimasta al suo interno per un tempo che le era parso
interminabile.
Ogni volta che si avvicinava all'agognata meta, il suo cuore batteva sempre
più forte e il desiderio di voltarsi e poter rivedere l'anima del suo tesoruccio
diventava sempre più intenso; tuttavia, la bella oni fece appello a tutta
la sua forza di volontà e non appena ebbe varcato la soglia dell'uscita del
labirinto, fece ancora qualche passo prima di fermarsi.
Con sua grande sorpresa, Lamù vide Caronte che l'attendeva in piedi sulla sua
barca; tuttavia, la sua espressione arcigna non lasciava intravedere la benché
minima emozione.
"Non ci resisto!", esclamò Lamù lacerata dal desiderio di voltarsi.
Alla fine, la ragazza cedette e si voltò, tenendo tuttavia gli occhi chiusi.
"Mi hai salvato ancora una volta", disse una rassicurante e familiare voce
maschile.
Lamù aprì gli occhi e vide l'anima del suo tesoruccio proprio di fronte a sé
che la guardava sorridente e con gli occhi carichi di immensa gratitudine.
"Grazie, Lamù!", esclamò lo spirito di Ataru.
Con gli occhi velati da lacrime di gioia immensa, Lamù gettò a terra la
torcia e protese le braccia verso l'anima del giovane Moroboshi per poterlo
finalmente riabbracciare, ma per ben tre volte la ragazza abbracciò solamente
aria.
"Devo ancora tornare nel mio corpo", disse pacatamente lo spirito di
Ataru.
"Hai superato la prova!", esclamò Caronte rivolgendosi ai due.
Con un cenno della mano, il servitore di Ade invitò Lamù a far salire lo
spirito del giovane Moroboshi sulla sua barca.
"Come il mio signore mi ha ordinato, ti riaccompagnerò fino al pianeta El per
permettere all'anima del tuo uomo di potersi ricongiungere con il suo corpo",
disse Caronte con parole che bastarono a convincere la bella aliena.
Una volta che lo spirito di Ataru salì sull'imbarcazione, Caronte la condusse
verso il palazzo di Ade seguito in volo da Lamù.
Una volta raggiunta la prima destinazione, la bella oni intravide Ade
e Persefone che la attendevano in piedi sulla gradinata in pietra nera del loro
palazzo.
"Hai superato la prova e questo ha dimostrato inequivocabilmente la bontà dei
tuoi sentimenti", disse la sposa di Ade all'indirizzo della ragazza in bikini
tigrato.
"Ora vai, raggiungi i tuoi amici e vivi felice con l'uomo che ami", aggiunse
il signore di Plutone.
Commossa da quelle parole, Lamù ringraziò con tutto il cuore i signori di
Plutone e una volta che fu all'interno della cabina di pilotaggio della sua
navicella, accese i motori e ripartì in direzione del pianeta El seguita da
Caronte e dalla sua nera imbarcazione.
Note dell'autore: quando Ade parla del figlio di un falegname e di una
vergine morto su una croce, si riferisce naturalmente a Gesù Cristo. Con questo
non voglio in alcun modo deridere i principi della religione cristiana: ho
voluto semplicemente far esprimere l'eventuale rancore provato da Ade, dal
momento che fa parte di quelle divinità della mitologia greca e in seguito
romana che vennero soppiantate al momento della diffusione del cristianesimo
nelle regioni del bacino mediterraneo durante la tarda antichità. Perciò, se
alcuni fra voi lettori sono ferventi cattolici, vi prego di non offendervi
perché non è assolutamente nelle mie intenzioni insultare nessuno!
Noto, invece, nella mitologia greca è la personificazione del caldo Vento del sud, fratello di Borea.
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Capitolo 21 *** Il risveglio di Ataru ***
sa
IL RISVEGLIO DI ATARU
All'interno di una delle tante stanze situate all'interno del palazzo reale
di Barham, si stava decidendo il futuro assetto politico del pianeta El.
Al tavolo delle trattative vi erano il padre di Lamù, rappresentante della
stella Uru; Oyuki con il comandante Izumo in qualità di portavoci del pianeta
Nettuno ed Elle, insieme a Violet, Babara e Mahiru in qualità di legittima
sovrana del pianeta invaso dagli eserciti alleati di Uru e Nettuno.
Tuttavia le trattative procedevano a rilento, poiché tutti, all'interno della
sala, erano preoccupati per le sorti di Lamù, partita all'inseguimento di
Caronte e di cui non si avevano notizie da ore. Il padre della giovane, in
particolare, era visibilmente teso e si grattava nervosamente il capo.
"Se penso che la mia bambina si trova in chissà quale angolo sperduto
dell'universo a causa di quell'imbecille di mio genero...", si disse il possente
comandante dell'esercito urusiano stringendo i pugni fino a farsi sbiancare le
nocche per la rabbia.
"Mi rendo perfettamente conto di che cosa provate", disse Oyuki mentre
osservava il padre dell'amica. "Anch'io sono molto preoccupata per Lamù, ma in
questo momento è più importante decidere le sorti del pianeta El... e alla
svelta, anche!".
Quasi intimorito dal glaciale contegno mostrato dalla giovane sovrana di
Nettuno, il corpulento oni riuscì a tranquillizzarsi un poco.
"Tutto questo è successo a causa mia", esordì Elle riuscendo finalmente a
rompere il suo silenzio. "Tuttavia, avrei una proposta da farvi e vorrei che voi
l'ascoltaste".
"Parlate pure", affermò Izumo parlando anche a nome della sua regina. "Vi
ascoltiamo".
"Mi sono dimostrata decisamente inadatta al ruolo che ricopro, perciò vorrei
chiedere a voi, regina Oyuki, di ospitarmi sul vostro pianeta affinché possiate
aiutarmi a diventare una sovrana migliore per il mio popolo".
"Mia regina, non potete fare una cosa del genere!", protestò Babara. "Chi
prenderebbe il vostro posto sul trono di Barham?".
"Ho pensato anche a questo", rispose la giovane dai corti capelli rossi e gli
occhi verdi. "Sarà Violet a governare il pianeta come mia reggente".
"Mia regina... n-non credo di meritare un simile onore", disse senza falsa
modestia la stessa Violet, scossa come tutti i presenti dall'affermazione di
Elle.
"Hai sempre eseguito alla perfezione i miei ordini e quando sono stata in
pericolo, ti sei dimostrata una sottoposta leale", ribatté la signora
di Barham. "Sono sicura che non tradirai la mia fiducia come ha fatto Rose".
"Sono onorata per la fiducia che nutrite nei miei confronti", rispose la
sottoposta di Elle. "Se è questa la vostra volontà, obbedisco e vi prometto che
sarò degna di un incarico di tale portata".
"Mi pare una proposta più che ragionevole", commentò Oyuki.
"Ma rimane aperta la questione su come sistemare Rose e i suoi fedeli",
obiettò il padre di Lamù.
"Non è un problema", rispose prontamente la regina di Nettuno. "Le prigioni
situate sui restanti satelliti del mio pianeta sapranno accoglierli come
meritano".
"Allora, l'accordo è stabilito!", esclamò Elle prima di ordinare ad una delle
sue servitrici rimaste all'interno della sala di portare il trattato su cui
erano scritte, nero su bianco, le condizioni di pace.
Uno ad uno, tutti i rappresentanti delle parti in causa firmarono il
documento che sanciva definitivamente la raggiunta pace fra il pianeta El,
Nettuno e la stella Uru.
Improvvisamente, uno dei soldati dell'esercito urusiano fece irruzione nella
stanza e si rivolse tutto trafelato al suo comandante. "Signore, vostra figlia è
tornata!".
Rallegrati da quell'insperata notizia, tutti lasciarono la stanza e si
diressero a grandi passi verso la sala del trono, all'interno della quale era
stato adagiato su un letto il corpo di Ataru, vegliato dai suoi amici, i quali
erano già colmi di gioia per aver appreso la notizia del ritorno di Lamù.
In quel momento, la porta si aprì e la bella aliena, accompagnata dall'anima
del suo tesoruccio, fece il suo ingresso nella sala. Immediatamente, l'anima di
Ataru si ricongiunse con il corpo e fra lo stupore generale, la ferita presente
sul petto del giovane si cicatrizzò finché non ne rimase alcun segno e la pelle
riprese un colorito più naturale.
Con il cuore nuovamente pieno di speranza, Lamù prese la testa di Ataru fra
le sue mani e finalmente, il ragazzo riaprì gli occhi.
Non appena il giovane Moroboshi fu in grado di eseguire dei piccoli movimenti
con il collo e le braccia, Lamù si gettò sul suo petto e lo abbracciò stretto in
modo tale da poter sentire ogni battito del suo cuore, tornato a svolgere le sue
naturali funzioni dopo giorni di forzata inattività.
"Tesoruccio... credevo... c-credevo di... a-averti perduto per sempre...",
disse la bella oni con voce strozzata dall'emozione, mentre anche tutti
gli altri suoi amici, prima fra tutti Shinobu, si rallegrarono per il risveglio
di Ataru.
"Bentornato nel mondo dei vivi!", esclamò Benten.
"Ci hai fatto stare in pensiero!", disse Shinobu mentre si asciugava le
lacrime con l'ausilio di un fazzoletto.
"Come al solito, del resto!", affermò sprezzante Megane.
"Mi secca terribilmente ammetterlo, ma... è bello riaverti con noi", esclamò
Shutaro dimostrando ancora una volta la sua signorilità.
Ataru, commosso da quelle dichiarazioni, si guardò intorno e d'improvviso, il
suo sguardo si posò su Violet. "Io ti conosco!", esclamò il ragazzo
all'indirizzo della spia di Elle. "Tu sei quella ragazza che mi ha offerto da
bere quella mattinata nel parco!".
"Hai indovinato", gli rispose la donna. "In realtà, mi chiamo Violet e sono
al servizio della mia signora Elle".
"Sono stata io ad ordinarle di farti bere quell'acqua avvelenata per poi
farti portare sul mio pianeta", esordì la bella sovrana prima di avvicinarsi
all'allibito giovane e spiegargli per filo e per segno tutto quello che era
successo.
"Ora sai tutto", esclamò Elle una volta fornite le dovute spiegazioni. "Ti
chiedo perdono per quello che ti ho fatto subire e ti giuro che d'ora in poi
sparirò definitivamente dalla tua vita".
"Non c'è assolutamente nulla da perdonare", rispose Ataru lasciando a bocca
aperta tutti i presenti. "Come al solito, mi sono lasciato trascinare dal mio
istinto e ne ho pagato le conseguenze; perciò, se qui c'è qualcuno che deve
chiedere scusa, quello sono io!".
Shutaro, Megane e tutti gli altri rimasero a bocca aperta, increduli ai loro
occhi e alle loro orecchie: per la prima volta, Ataru aveva ammesso
pubblicamente i suoi errori e lo aveva fatto con tutta la sincerità possibile.
Non si trattava di una presa in giro, ma di un autentico pentimento!
"Ora, però, avrei una richiesta: prima di ritornare sulla Terra, vorrei
andare nei giardini reali... da solo!", esclamò Ataru.
"Perché vuoi farlo, tesoruccio?", domandò ansiosa Lamù.
"Ho bisogno di stare un po' da solo a riflettere", spiegò il giovane
Moroboshi guardando negli occhi la bella aliena.
Alla fine, il ragazzo si alzò e si diresse in compagnia di Babara, offertasi
di accompagnarlo, ai giardini reali.
"Non è possibile!", gridò il giovane Mendo esterrefatto all'indirizzo di
Ataru. "Il Moroboshi che conosciamo non si sarebbe mai comportato in questo
modo!".
"Hai ragione", si limitò a rispondergli Ataru. "Ma in fondo, non avete sempre
voluto che io cambiassi atteggiamento?".
Detto ciò, il ragazzo scomparve dalla vista dei suoi ancor più increduli
amici insieme all'anziana nutrice di Elle.
Una volta lasciato solo, il ragazzo passeggiò fra la rigogliosa, ma curata
vegetazione dei giardini reali, fino a fermarsi su uno dei tanti ponti che
fungevano da collegamento fra i vari laghetti presenti in quella meravigliosa
struttura.
Con gli occhi fissi sulla piatta superficie dell'acqua, nella mente di Ataru
riaffiorarono i ricordi relativi al momento in cui, dopo essere stato condotto
da Rose al cospetto di Elle, si era trovato a correre allegramente insieme a
lei, dimenticandosi completamente di come aveva fatto soffrire Lamù per il suo
infantile capriccio di aggiungere un nuovo nominativo alle sue già numerosissime
conoscenze femminili.
Oppresso dai sensi di colpa, Ataru si coprì il volto con le mani e cominciò a
singhiozzare: per la prima volta nella sua vita, provava vergogna per tutto ciò
che aveva dovuto sopportare Lamù a causa del suo comportamento.
"Sono uno stupido!", si ripeté più volte il giovane Moroboshi, incapace di
darsi pace.
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Capitolo 22 *** Faccia a faccia con se stessi ***
sa
FACCIA A FACCIA CON SE STESSI
"Come... come diavolo sono capitato fin qui?!", si domandò Ataru aggrappato
con tutte le sue forze ad una parete rocciosa a strapiombo. Cercando in tutti i
modi di dominare l'istinto di guardare in basso, il ragazzo ruotò la testa a
destra e a sinistra, accorgendosi di trovarsi in uno spettrale paesaggio
caratterizzato da brulle e aguzze montagne che emergevano da una coltre di nubi;
a illuminare la catena montuosa, vi era solo la lugubre luce di una falce di
luna e delle stelle che puntellavano il cielo notturno.
Il giovane Moroboshi fece appello a tutte le energie rimastegli e cominciò ad
arrampicarsi per raggiungere la sommità del monte, posizionando attentamente
mani e piedi fra le spaccature della roccia.
Grazie alla sua straordinaria capacità di cavarsela nelle situazioni più
difficili, Ataru si avvicinò sempre più alla meta finché, ormai allo stremo
delle forze, tastò con i palmi delle mani una superficie levigata. Gemendo per
lo sforzo, l'improvvisato scalatore si ritrovò su una piattaforma di pietra e
non appena ebbe alzato lo sguardo, trovò ad attenderlo una figura avvolta in un
mantello nero con cappuccio che impediva al giovane di scorgere il suo volto con
in mano una torcia, alimentata dal vento freddo che spazzava la zona.
"Ti stavo aspettando, Ataru", esordì il sinistro personaggio mentre
l'interpellato, bianco come un lenzuolo, si chiedeva come potesse conoscere il
suo nome. "Seguimi!".
Ordinato ciò, l'individuo incappucciato voltò le spalle ad Ataru e si
incamminò su una scalinata in pietra che conduceva ad un edificio a forma
circolare che sorgeva sulla vetta della montagna. Il giovane Moroboshi non poté
far altro che seguirlo. "Dove sei, Lamù?", si domandò spaventato mentre saliva i
gradini della scalinata.
Una volta salito l'ultimo gradino, Ataru rimase senza fiato per l'emozione:
davanti a lui vi era un tempietto circolare sorretto da dodici colonne e sul cui
pavimento a mosaico si stagliava un tripode in bronzo dorato a sostegno di un
bacile d'argento finemente lavorato che splendeva illuminato dalla luce emanata
da undici fiaccole sorrette a terra da sostegni in ferro che illuminavano
l'intera struttura.
Il misterioso guardiano del tempietto poggiò la fiaccola sull'unico sostegno
vuoto e si diresse verso il tripode in metallo, finché non si voltò in direzione
dell'allibito Ataru mantenendo tuttavia lo sguardo basso come a voler evitare di
guardarlo negli occhi.
"Che posto è questo? E tu, chi diavolo sei? Cosa vuoi da me?", domandò il
giovane Moroboshi con le ginocchia che gli tremavano per la paura.
Per tutta risposta, il misterioso personaggio lasciò cadere sul pavimento il
mantello e non appena lo fece, Ataru spalancò gli occhi e indietreggiò di un
passo in preda allo sconcerto più totale: di fronte a lui c'era un ragazzo
assolutamente identico a lui nell'aspetto, ma che aveva un'espressione di grande
austerità e compostezza dipinta sul volto che il giovane di Tomobiki non aveva
mai avuto in diciotto anni di vita.
"Non devi aver paura della tua stessa anima, Ataru", esordì quest'ultimo con
espressione serena per non spaventare oltre misura il suo "ospite".
"Tu... s-saresti la mia... anima?!", domandò Ataru in balia della più
totale confusione.
"Esattamente. Ti trovi qui al mio cospetto affinché tu possa aiutare te
stesso".
"Che cosa vuoi dire?".
Prima di rispondere, la dichiarata anima del ragazzo si parò davanti al suo
"alter ego" in carne ed ossa e gli chiese: "Quando getterai la maschera?".
"Che vuoi dire?!", domandò il giovane Moroboshi.
"Smettila di ingannare te stesso!", lo rimproverò severamente il suo stesso
spirito. "Ti sto chiedendo di smetterla una volta per tutte di fingerti il
mascalzone che non sei e di accettare l'amore che Lamù prova per te... e che tu
provi per lei!".
"Io amo Lamù come tutte le altre belle ragazze dell'universo!", sbraitò Ataru
permettendo ancora una volta ai suoi istinti più bassi di avere il sopravvento
sul suo buonsenso.
Per tutta risposta, il ragazzo fu preso per il collo dal suo interlocutore e
grazie alla forza sovrumana di quest'ultimo, venne scaraventato violentemente
contro una delle colonne marmoree del tempietto.
"Non permetterò mai più che i tuoi istinti facciano soffrire ancora
quella splendida creatura che il cielo ti ha concesso!", sibilò furente di
rabbia e con occhi fiammeggianti l'anima del giovane Moroboshi mentre stringeva
con più forza il collo del suo "contenitore" in carne ed ossa. "Io l'ho vista
piangere disperata sul tuo corpo privo di vita e quando sono stato incatenato a
quella rocca su Plutone sorvegliato da quel mostruoso cane a tre teste, ho
provato una vergogna immensa per tutto quello che Lamù ha dovuto patire a causa
dei tuoi stupidi capricci e ho giurato solennemente che se tu fossi tornato in
vita, avrei reso finalmente felice quella meravigliosa ragazza... ed è quello
che farò!".
"No posso farci niente", piagnucolò Ataru dimenandosi per liberarsi dalla
morsa d'acciaio che attanagliava il suo povero collo. "A me piacciono tutte
le belle ragazze dell'universo e non appena ne vedo una, non riesco a
trattenermi!".
"Vuoi saperne il motivo? Tu sei cresciuto nella convinzione - del tutto
errata - che tua madre non ti amasse perché sei nato maschio anziché femmina
come desideravano lei e tuo padre e quindi, per soddisfare il tuo bisogno di
affetto, non hai fatto altro che seguire le gonne di qualsiasi rappresentante
del gentil sesso. Ma non capisci che soltanto Lamù può darti tutto ciò che né
tua madre, né Shinobu, né Elle, né nessun'altra ragazza dello spazio possa mai
offrirti?!".
"Quello che hai detto... sono solo sciocchezze!", gridò Ataru colpito nel
profondo da quelle frasi tutt'altro che infondate.
"E' del tutto inutile che fingi di essere stato generato con un sacco di
letame al posto del cuore e con un mucchio di segatura nel cranio al posto del
cervello!", lo fulminò la sua anima. "Quello che ho appena detto corrisponde a
verità, ma io sono qui per aiutarti e se vorrai seguirmi al tripode di bronzo,
ti garantisco che non avrai da pentirti".
Detto ciò, mollò definitivamente la presa sul collo del suo "alter ego"
materiale e lo invitò a seguirlo. Non potendo fare altrimenti, Ataru obbedì e si
trovò a guardare all'interno del bacile d'argento in cui era versata
dell'acqua.
Improvvisamente, la superficie dell'acqua si intorbidì e con grande sorpresa
del ragazzo, comparvero le immagini di un parco cittadino con alberi di ciliegio
in fiore.
Come in un film, subito dopo comparvero le immagini di un giovane uomo coi
capelli castano chiari in giacca e cravatta che giocava allegramente con due
bambini sotto lo sguardo di una bellissima signora dai lunghi capelli verdi e i
cornini dorati avvolta in un elegante kimono.
"Ma quelli... siamo io e Lamù!", disse il giovane Moroboshi. "Questo vuol
dire che quelli sono i nostri...". Prima ancora che potesse concludere la frase,
la superficie dell'acqua si intorbidì nuovamente e il bacile non proiettò più
alcuna immagine.
"Hai indovinato!", rispose sibillina l'entità incorporea del ragazzo. "Come
hai potuto vedere, non si è trattato di un'esperienza spiacevole e ti posso
assicurare che se accetterai definitivamente l'amore di Lamù, i tuoi rapporti
con l'altro sesso cambieranno in meglio e le tue gioie saranno... immense!".
"Mi hai convinto!", rispose Ataru con decisione. "Se il futuro che ho visto
può avverarsi, lo farò!".
"Questo dipenderà solamente da te", affermò lo spirito del giovane con il
volto rasserenato.
Ataru avrebbe voluto porgergli altre domande, ma prima che potesse farlo il
suo interlocutore lo trascinò fuori dal tempietto e lo spinse giù nel vuoto.
Ataru si svegliò di soprassalto nel cuore della notte, con il respiro
affannoso e la fronte madida di sudore freddo. "Per fortuna era solo un sogno",
pensò il ragazzo poggiando la testa sulle ginocchia.
Dopo alcuni minuti, si guardò intorno nella sua stanza e posò lo sguardo
verso l'armadio dove Lamù era solita dormire in compagnia di Ten.
Ataru si alzò in piedi e istintivamente, volse lo sguardo verso la finestra e
notò che, proprio come nel suo sogno, il cielo notturno era illuminato da una
falce di luna.
"Sarà meglio che vada in cucina a farmi una camomilla", pensò il giovane poco
prima di uscire dalla stanza e scendere in cucina.
"Ma chi voglio prendere in giro?", sospirò Ataru scuro in volto mentre faceva
passare il dito indice sull'orlo della tazza da cui aveva appena bevuto la
bevanda.
Dopo aver appoggiato la guancia sulla mano sinistra, il ragazzo pensava a
come fare per poter dichiarare a Lamù ciò che provava per lei. "Che ironia!",
pensò. "Per tutto questo tempo, ho avuto una faccia di bronzo talmente colossale
da avvicinarmi senza ritegno a tutte le ragazze che incontravo, ma non so da che
parte cominciare per dichiararmi all'unica ragazza che, fra le tante che hanno
catturato il mio sguardo, abbia afferrato il mio cuore".
Ad un tratto, focalizzò l'attenzione sul notes attaccato alla parete della
cucina su cui sua madre era solita scrivere la lista della spesa e dopo pochi
istanti, gli venne in mente un'idea. "Ma certo!", esclamò il ragazzo facendo
schioccare le dita e mutando radicalmente espressione. "Ciò che non riesco a
dire, lo scriverò!".
Ataru staccò immediatamente un foglio dal blocco e dopo aver afferrato una
penna, iniziò a scrivere sul foglio tutto ciò che avrebbe voluto dire a Lamù;
aiutato da una sorprendente lucidità mentale, il giovane Moroboshi buttò giù
alcune righe e non appena ebbe finito di rileggere ciò che aveva appena scritto,
un sorriso gli illuminò il volto, a dimostrazione della sua soddisfazione nel
risultato ottenuto.
"Bravo, Ataru! Sono fiera di te", esclamò ad un tratto una familiare voce di
donna alle sue spalle. Ataru si voltò e vide sua madre che, avvolta in una
leggera vestaglia di cotone, gli sorrideva.
"Cosa ci fai qui, mamma?".
"Non riuscivo a chiudere occhio e ho pensato di andare in cucina a prepararmi
una camomilla", esordì la signora Moroboshi mentre si sedeva sui talloni al
tavolino della sala da pranzo. "Ti ho visto leggere quel foglio così
attentamente da non accorgerti della mia presenza e... ho avuto modo anch'io di
leggerlo".
Anziché risponderle, Ataru andò in cucina, versò in una tazza la camomilla
rimasta e la diede alla madre.
La donna bevve avidamente la bevanda e subito dopo disse: "Quando tre giorni
fa, tu e Lamù siete ritornati a casa lei mi ha raccontato tutto ciò che vi era
capitato e da allora non riesco più a prendere sonno".
"Per quale motivo?".
"A causa dei sensi di colpa", rispose la signora Moroboshi con gli occhi
lucidi. "Sai bene che io e tuo padre desideravamo avere una bambina, ma
nonostante questo ti abbiamo sempre voluto bene... anche se più di una volta ti
ho detto delle cose orribili!".
Ataru avrebbe voluto interromperla, ma la donna gli fece capire di voler
proseguire con un cenno della mano. "Una madre non dovrebbe mai dire al
proprio figlio di essersi pentita di averlo messo al mondo, specialmente poi se
è il suo unico figlio. Invece, anziché educarti come avrei dovuto fare,
ho addossato su di te tutte le mie mancanze e di conseguenza, hai cercato
l'affetto che non sono riuscita a offrirti in tutte le ragazze che incontravi.
Sono stata una pessima madre e ti chiedo di perdonarmi per i miei errori!".
Poco prima che la donna, oppressa dai rimorsi di coscienza, scoppiasse in un
pianto dirotto, il figlio la consolò carezzandole le mani con le sue. "Quello
che hai appena detto non è vero!", disse Ataru con decisione. "Tu e papà siete
sempre stati dei bravi genitori e lo siete tuttora. Se per tutto questo
tempo non ho fatto altro che cacciarmi nei guai, è solo per colpa mia e della
mia mancanza di giudizio. Ma ti posso assicurare che ho intenzione di
cambiare... da domani stesso!".
Estremamente orgogliosa per la dimostrazione di maturità mostrata dal
ragazzo, la signora Moroboshi lo abbracciò versando lacrime di gioia. "Sono così
contenta di sentirti dire questo".
Dopo qualche istante, la donna si staccò dal figlio e gli diede un ultimo
consiglio: "Cerca di fare del tuo meglio per rendere felice Lamù. E' vero che a
volte si è dimostrata un po' troppo... prepotente nei tuoi confronti, ma
è una cara ragazza ed è la sola che può renderti un uomo felice".
"Lo so bene!", si limitò a risponderle Ataru.
Decisamente sollevata, la signora Moroboshi diede la buonanotte al figlio e
si avviò verso la camera da letto.
Ataru ripiegò il foglio e iniziò ad incamminarsi verso la sua stanza, ma
prima ancora che potesse uscire dalla sala da pranzo, trovò Ten ad attenderlo
con le braccia conserte e lo sguardo assonnato. "Era ora che ti dimostrassi un
vero uomo!", si limitò a dirgli il piccolo oni.
"Hai... sentito tutto?!".
"Ogni parola!".
"Promettimi che domattina non dirai nulla a Lamù!", ordinò il ragazzo alla
piccola peste in pannolino tigrato.
"Se mi darai quelle tavolette di cioccolato al latte che tua madre ha
comprato ieri, sarò muto come un pesce", affermò Ten.
"E va bene, furbastro!", sbuffò Ataru prima di andare in cucina e dare al
cuginetto di Lamù ciò che desiderava.
Soddisfatto per il "dolce bottino", Ten ritornò in compagnia di Ataru nella
stanza del giovane, ma prima che quest'ultimo potesse aprire la porta, il
piccolo oni gli disse con aria minacciosa: "Se questa è un'altra delle
tue trovate e farai soffrire ancora mia cugina, farò in modo che di te rimanga
solamente un mucchietto di cenere!".
"Non farò nulla del genere!", rispose sprezzante Ataru prima di rientrare
nella sua stanza.
Con le tavolette fra le mani, ma non ancora del tutto convinto, Ten rientrò
nell'armadio dove dormiva con la cugina, mentre Ataru si mise nel futon
in attesa di riprendere sonno.
"Domani... risolverò tutto!", pensò il giovane poco prima che il sonno si
impadronisse delle sue membra e della sua mente.
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Capitolo 23 *** Lettera a cuore aperto ***
sa
LETTERA A CUORE APERTO
"Mi piacerebbe sapere che cosa ci trovano le donne di così esaltante nel
matrimonio!", pensò Ataru mentre si allentava il nodo della cravatta per poter
dare sollievo al suo collo e allentare la tensione che lo attanagliava con una
morsa d'acciaio.
Eseguita tale operazione, il giovane Moroboshi, vestito con un elegante tight
di colore scuro, si portò le mani dietro la schiena, mentre tutti i presenti
all'interno della chiesa avevano gli occhi fissi sul portale, in trepidante
attesa della sposa.
"Sbrigati ad arrivare, Lamù!", pensò nuovamente lo sposo, decisosi finalmente
a compiere il grande passo.
Dopo altri istanti di pazienza, il portale del tempio si aprì e la sposa,
accompagnata dal padre, si avviò a passi lenti verso l'altare, mentre
dall'organo posto alle spalle del sacerdote risuonavano le note della marcia
nuziale.
"In nome del cielo, com'è bella!", pensò Shutaro mentre seguiva incantato con
lo sguardo Lamù con indosso un sobrio ma elegante abito bianco con un lungo
strascico ed un bouquet di gigli bianchi stretto nella mano destra.
Non appena l'organo cessò di suonare, il padre di Lamù lasciò il braccio
della figlia ed andò ad accomodarsi al suo posto, mentre gli ormai prossimi
coniugi Moroboshi si disposero fianco a fianco davanti al celebrante.
"Siamo qui riuniti oggi per assistere all'unione di Ataru e Lamù nel sacro
vincolo del matrimonio", esordì il sacerdote. "Se qualcuno fra voi presenti è a
conoscenza di un motivo per cui costoro non debbano unirsi in matrimonio, parli
ora o taccia per sempre".
Dopo qualche minuto di silenzio, l'officiante della cerimonia si
rivolse a Lamù e domandò: "Vuoi tu, Lamù, prendere quest'uomo come tuo legittimo
sposo per amarlo e onorarlo in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà,
nella buona e nella cattiva sorte finché morte non vi separi?".
"Sì, lo voglio!", rispose la sposa senza mostrare la benché minima
esitazione.
"E vuoi tu, Ataru, prendere questa donna come tua legittima sposa per amarla
e onorarla in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, nella buona e
nella cattiva sorte finché morte non vi separi?".
Ataru aprì la bocca per pronunciare la sua risposta, ma l'emozione gli
procurò un nodo alla gola e dovette deglutire per ben tre volte per poterlo
sciogliere e dare sollievo alla sua bocca completamente asciutta.
Interpretando quel momento come un attimo di esitazione da parte del figlio,
la signora Moroboshi giunse le mani come in preghierà e sussurrò: "Coraggio,
Ataru... dillo!".
"Se oserai scappare, giuro che ti taglierò la testa dal collo con la mia
spada!", minacciò mentalmente il rampollo della famiglia Mendo con la mano
destra già posta sull'elsa dell'arma.
"Io... LO VOGLIO!", esclamò finalmente lo sposo per la felicità di Lamù e di
tutti i presenti all'interno della chiesa.
"Con il potere conferitomi, vi dichiaro marito e moglie", disse il sacerdote
poco prima che Ten portasse le fedi nuziali.
Una volta eseguito lo scambio degli anelli, Ataru alzò il velo nuziale e
davanti agli occhi vide il volto di Lamù illuminato da un sorriso raggiante.
"Può baciare la sposa", affermò il celebrante.
Ottenuta l'autorizzazione, Ataru chiuse gli occhi e protese le labbra in
avanti per suggellare la sua unione con la donna che, nonostante tutto, amava
profondamente.
"Finalmente siamo marito e moglie!", pensò entusiasta Lamù mentre poteva
sentire la bocca del suo tesoruccio farsi di secondo in secondo sempre più
vicina alla sua...
"Svegliati, Lamù!", disse Ten mentre scuoteva le spalle della cugina ancora
dormiente.
Subito dopo, la ragazza aprì gli occhi e resasi conto di aver solamente
sognato - ancora una volta! - il momento in cui sarebbe diventata ufficialmente
la moglie del suo tesoruccio, prese il cuscino e lo scagliò contro il cuginetto,
il quale riuscì a scansarlo per un soffio.
"Non potevi svegliarmi più tardi?", domandò visibilmente contrariata la bella
extraterrestre. "Stavo facendo un sogno meraviglioso e tu lo hai interrotto
proprio sul più bello!".
"Non faccio fatica a immaginare di che sogno si trattasse...", pensò il
piccolo oni. "Non prendertela con me! Ataru mi ha chiesto di svegliarti
perché deve dirti qualcosa di molto importante", disse infine.
"Davvero?", chiese Lamù. "E dov'è?".
"Ti sta aspettando in cucina".
Senza aggiungere altro, la bella oni uscì dalla stanza e non appena fu
solo, Ten scartò una delle tavolette di cioccolato e la addentò con golosità
tipicamente puerile. "Mi sono proprio meritato questo premio!", disse
soddisfatto il cuginetto di Lamù mentre si gustava la sua dolce ricompensa.
"Dove sei, tesoruccio?", chiese Lamù mentre si aggirava con lo sguardo nella
cucina vuota, del tutto inconsapevole che Ataru stava in attesa dietro la porta
della sala da pranzo.
Ad un certo punto, la ragazza notò un biglietto lasciato sul tavolinetto
della sala da pranzo e spinta dalla curiosità, lo prese e lesse quanto era
scritto:
Lamù,
ancora una volta mi hai salvato dalle grinfie di Elle... e da me stesso!
Forse non mi crederai - e ne avresti tutto il diritto! - per tanti motivi, ma
ti giuro che questa disavventura mi ha aperto gli occhi e voglio scusarmi con te
per il modo in cui ti ho trattata in questi anni. La verità è che tu sei una
donna meravigliosa... ed io un completo idiota!
Mi sono comportato da egoista, insensibile, arrogante, presuntuoso... ma
nonostante i miei innumerevoli difetti, sei sempre stata al mio fianco e mi hai
perfino salvato dalla morte quando avrei meritato di restare incatenato a quella
rocca e sorvegliato da quell'orrendo cane a tre teste per l'eternità.
Per tutto questo tempo non ho fatto altro che seguire il mio maledetto
istinto, calpestando impunemente i tuoi sentimenti e rischiando in più di
un'occasione di perderti per sempre... ma ora basta! E' giunta l'ora che io mi
comporti da vero uomo e che ti faccia una promessa solenne. Purtroppo non posso
prometterti che da questo momento in avanti ti sarò fedele comportandomi come il
compagno che meriti di avere, ma posso giurarti che fin da ora farò tutto quanto
è in mio potere per renderti finalmente una donna felice e spero di cuore che tu
possa aiutarmi in questa - per me - ardua impresa.
Concludo scrivendo le due parole che tu hai sempre voluto sentir pronunciare
dalla mia bocca e che ho deciso di affidarle alla carta in modo che sembrino il
più sincere possibili, dal momento che dalle mie labbra sono uscite in più di
un'occasione colossali falsità... TI AMO!
Questa è tutta la verità!
Ataru
Non appena Lamù ebbe finito di leggere quelle righe, si portò al petto il
foglio e mormorò ripetutamente il nome del suo tesoruccio mentre i suoi occhi si
inumidirono di lacrime di gioia.
Subito dopo, Ataru si fece coraggio ed entrò nella stanza a passi felpati.
"Tu... credi a ciò che ho scritto?", domandò timidamente il ragazzo.
La bella aliena si voltò e non appena lo vide, lo abbracciò al collo
mostrando la sua felicità. "Certo che ti credo, tesoruccio!", disse commossa la
ragazza mentre il giovane Moroboshi ricambiava il suo affetto posando le mani
sui suoi morbidi fianchi.
"Dal momento che oggi è domenica ed è anche una bella giornata, che ne
diresti di andare a fare una scampagnata noi due soli?", chiese il ragazzo
guardando fuori dalla finestra.
"Ottima idea, amoruccio!", affermò Lamù staccatasi dal corpo del ragazzo.
"Vado subito a preparare qualcosa da mangiare!".
"Prima che tu vada, posso chiederti un ultimo favore?".
"Dimmi pure!".
"Ecco, potresti non esagerare con le spezie piccanti? Non te l'ho mai detto
prima, ma i tuoi piatti sono troppo... piccanti per i palati
terrestri!".
Per nulla contrariata dalla richiesta del suo tesoruccio, Lamù gli diede un
tenero bacio sulla guancia e promise: "Non preoccuparti, tesoruccio. Ti
preparerò un pranzetto squisito!".
"Allora vado a vestirmi", disse Ataru ancora in pigiama. "Ti aspetto più
tardi in giardino".
Lasciata Lamù ai fornelli, il ragazzo ritornò in camera sua e vide Ten steso
a terra con la bocca tutta sporca di cioccolato.
"E poi sarei io l'ingordo!", commentò Ataru osservando i pezzetti di carta
stagnola sparsi sul pavimento.
"Che altro vuoi?", domandò il piccolo oni.
Ataru gli chiese di avvicinarsi a lui e cominciò a bisbigliare qualcosa
all'orecchio appuntito del cuginetto di Lamù. "Sei proprio sicuro di volerlo
fare?", domandò Ten decisamente perplesso dopo aver udito la richiesta del
giovane.
"Sicurissimo!", ribatté deciso Ataru. "Ora però muoviti! Portameli prima che
Lamù abbia finito in cucina!".
"Tranquillo, ci vado!", sbottò la piccola peste in pannolino tigrato prima di
uscire dalla finestra e dirigersi verso l'astronave di Lamù.
"In fondo, Ataru non è così stupido come credevo", si disse il piccolo
oni.
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Capitolo 24 *** Promessa di un libertino pentito ***
sa
PROMESSA DI UN LIBERTINO PENTITO
Contrariamente a quanto si aspettava Ataru, il pranzo che Lamù aveva
preparato era stato delizioso e il ragazzo si stava ancora leccando le dita.
"Vedo che il cibo che ho preparato è stato di tuo gradimento", disse Lamù
soddisfatta.
"Devo proprio dirlo… era tutto buonissimo, ma i sakuramochi in
particolare erano sublimi!", esclamò Ataru con le papille gustative ancora in
festa.
"Tutto merito del ricettario di tua madre che ho trovato in cucina!", ammise
sinceramente la bella aliena.
"Se penso che per tutto questo tempo non ho fatto altro che fuggire da lei
per soddisfare il mio orgoglio… che stupido sono stato!", si rimproverò il
giovane Moroboshi stringendo i pugni per la rabbia.
"Che ti prende, tesoruccio?", domandò Lamù notando il turbamento del
ragazzo.
"Non preoccuparti, non è niente. Piuttosto, perché mi hai portato proprio in
questo luogo?", domandò il ragazzo mentre volgeva lo sguardo verso un punto
indefinito all’orizzonte seduto sulla radice di un grande albero in fiore simile
a un ciliegio sul pianeta natale della bella oni.
Prima di rispondere, Lamù si sedette sui talloni e fece cenno al suo
tesoruccio di poggiare la testa sulle sue ginocchia. Seppur titubante, il
ragazzo si sdraiò di fianco e poggiò il capo sulle gambe dell’aliena.
"Ricordi quando te ne andasti sul pianeta El la prima volta?", chiese ad un
tratto la bella extraterrestre in bikini tigrato mentre massaggiava
delicatamente la cotenna del suo tesoruccio con le sue esili dita. "Mentre tu
eri con Elle, io sono tornata sul mio pianeta e proprio all’ombra di
quest’albero stavo per gettare via la mia Stella di tigre… anche se poi
non sono riuscita a farlo. Quel giorno ho pensato seriamente di dirti addio per
sempre ed è stato uno dei momenti più tristi della mia vita".
"Mentre io stavo in quell’angusta cella a frignare come una femminuccia, lei
era qui a piangere disperata per l’ennesima sciocchezza che ho commesso nella
mia vita", si disse Ataru furente di rabbia mentre ripensava ancora una volta a
tutte le varie circostanze in cui aveva fatto soffrire Lamù per i suoi sciocchi
capricci.
Non potendo più indugiare, Ataru alzò la testa e sedutosi anch’esso sui
talloni, prese le spalle scoperte di Lamù e le disse fissandola dritto negli
occhi: "Vuoi sapere una cosa? Nello stesso momento in cui ti trovavi qui, io ero
chiuso in una cella insieme a Ten e mentre mangiavo fra le lacrime il pasto che
mi hanno dato, ho invocato più volte il tuo nome ed ho pensato che se avessi
sposato El, non sarei mai stato veramente felice perché non avrei mai più avuto
te al mio fianco!".
Colpita da quella confessione, la bella oni avrebbe voluto stringere
Ataru fra le sue braccia, ma il giovane la fermò e dopo essersi alzato in piedi,
le voltò le spalle e assunse un’espressione decisa. "Il momento è arrivato!",
pensò il ragazzo mentre si infilava la mano destra nella tasca dei pantaloni per
poi tirarla fuori stretta in un pugno.
"Lamù, posso chiederti un’ultima cosa?".
"Di che si tratta, tesoruccio?", chiese la bella aliena alzatasi anche lei in
piedi.
"Perché continui a fare tutto questo per un povero e presuntuoso sfigato come
me?".
Rimasta inizialmente spiazzata da quella domanda, Lamù sospirò profondamente
prima di dare una risposta convincente. "Perché ti amo!", esordì. "Anche se
finora ti sei sempre comportato da dongiovanni incallito e non mi hai confessato
apertamente i tuoi sentimenti, mi hai fatto intendere in più di una circostanza
di amarmi più di qualunque altra ragazza. E poi, anche se non sei d’accordo,
sappi che una moglie rimane sempre al fianco del marito, soprattutto nei momenti
più difficili".
"Sapevo che avresti risposto così… e mi sono attrezzato apposta!", affermò il
ragazzo prima di aprire il pugno e mostrare alla sorpresa Lamù le Stelle di
tigre che brillavano sul palmo della mano del ragazzo.
"Ma tu… quando le hai prese?", chiese Lamù.
"Questo devi chiederlo a Ten, non a me!", si limitò a risponderle Ataru. "Con
questi anelli ho intenzione di fare una cosa che avrei dovuto fare tempo
fa".
Detto ciò, il giovane Moroboshi si mise uno degli anelli all’anulare della
mano sinistra. "Dammi la mano", disse gentilmente a Lamù, la quale mosse in
avanti il braccio sinistro permettendo così al ragazzo di infilarle l’anello al
dito.
Mentre Lamù osservava la Stella di tigre brillare luminosa sul suo
anulare con gli occhi lucidi, Ataru le prese le mani fra le sue e le disse
mettendoci tutta la sincerità possibile: "Lamù, io non posso ancora considerarmi
tuo marito ed ho ancora difficoltà a riconoscerti come moglie, ma con questo
gesto voglio dimostrarti che sei tu l’unica che, fra le tutte le ragazze
dell’universo, amo veramente e da questo momento in avanti farò tutto il
possibile per renderti felice come meriti. Ma per farlo ho bisogno che tu mi sia
accanto e quando arriverà il momento giusto, ti giuro che sarò io stesso a
chiederti di sposarmi ufficialmente".
Leggendo negli occhi del suo tesoruccio tutta la sincerità di cui erano
impregnate le sue parole, Lamù non poté fare a meno di abbracciarlo con una tale
foga da far cadere entrambi sull’erba alta ai piedi dell’albero.
"Queste sono le parole più belle che tu mi abbia mai detto!", esclamò
commossa la bella aliena sdraiata sopra il corpo di Ataru.
In quel preciso momento, un soffio di vento scosse i rami fioriti dell’albero
e mentre la maggior parte dei petali violacei si faceva trasportare dalla brezza
sotto il cielo puntellato di stelle, altri finirono fra i capelli della bella
extraterrestre.
"Come sei bella…", sussurrò estasiato Ataru mentre sfiorava appena una delle
ciocche laterali che scendevano dal volto della ragazza.
"Anch’io ho una promessa da farti", esclamò ad un tratto Lamù. "D’ora in poi
cercherò di essere meno gelosa ed invadente. Dopo tutto, dopo la nostra sfida mi
sono frapposta fra te e Shinobu…".
"Ti sei soltanto limitata a dare il colpo di grazia ad una relazione che io
stesso stavo mandando in malora", la interruppe Ataru continuando ad
accarezzarle il volto. "Sono sicuro che Inaba sarà per lei un compagno migliore
di quanto lo sia stato io. E poi… lei è una mia carissima amica fin dai tempi
dell’asilo e le voglio bene, ma ora l’unica cosa che voglio veramente è stare al
tuo fianco e non rischiare mai più di perderti per colpa di un mio capriccio
come è successo con Shinobu!".
Senza proferire altre parole, Lamù avvicinò il viso a quello del suo
tesoruccio e lo guardò con occhi che brillavano come le stelle del cielo. "Ti
amo, tesoruccio", disse la ragazza accarezzandogli i capelli.
"Anch’io!", rispose Ataru prima che i due innamorati si scambiassero il bacio
più passionale che si fossero mai dati dall’inizio della loro storia d’amore,
rafforzando così un legame talmente insolubile che neppure il capriccio della
regina di un intero pianeta e la morte stessa è riuscito a
spezzare.
Fine
Note dell’autore: i sakuramochi sono dolcetti di riso colorato di
rosa, avvolti in foglie di ciliegio cotte al vapore e farciti.
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