Like Light and Dark

di _Laine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***
Capitolo 5: *** 4. ***
Capitolo 6: *** 5. ***
Capitolo 7: *** 6. ***
Capitolo 8: *** 7. ***
Capitolo 9: *** 8. ***
Capitolo 10: *** 9. ***
Capitolo 11: *** 10. ***
Capitolo 12: *** 11. ***
Capitolo 13: *** 12. ***
Capitolo 14: *** 13. ***
Capitolo 15: *** 14. ***
Capitolo 16: *** 15. ***
Capitolo 17: *** 16. ***
Capitolo 18: *** 17. ***
Capitolo 19: *** 18. ***
Capitolo 20: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Like Light and Dark


- Prologo -
 
In quel locale non si riusciva a respirare: la pista da ballo era gremita di gente e l’intera sala era stata invasa da una densa nube di fumo. Le luci così forti e colorate mi avevano provocato un mal di testa indimenticabile e le persone presenti erano per metà completamente sbronze, mentre la percentuale restante doveva aver assunto qualche sostanza stupefacente.

Decisi di uscire sulla terrazza per prendere una boccata d’aria, sperando che la testa smettesse di martellarmi, ma soprattutto che il trucco non si fosse completamente rovinato.

Mi ero già pentita di aver messo piede in quel locale solo cinque secondi dopo averlo fatto: Dana mi aveva detto che nelle discoteche ci sono un’infinità di ragazzi alla ricerca di sesso occasionale, ma a quanto pareva le ragazze di oggi non si facevano problemi a concedersi senza pretendere un pagamento, quindi la mia presenza si rivelò alquanto inutile.

Mentre riempivo i polmoni d’aria fresca osservai il lago: la luna piena si rifletteva lucente sull’acqua limpida; il cielo era finalmente sereno dopo interminabili giornate di pioggia, e mi fece apprezzare ancora di più quello splendido spettacolo.

Mi chiesi dove fosse Dana, ma non me ne preoccupai più di tanto; probabilmente era ancora alla ricerca di qualcuno con cui appartarsi.

Mentre tutti quei pensieri affollavano la mia mente, una voce familiare attirò la mia attenzione: “Ma guarda chi si vede! Cosa fai da queste parti?”

Adam mi fissava con uno sguardo indecifrabile. Da quando l’avevo conosciuto, non ero mai riuscita a leggere il suo stato d’animo, in quegli occhi freddi come il ghiaccio che mi mettevano sempre in soggezione: erano profondi e lucenti, ma con la luce della luna avevano addirittura qualcosa di spettrale.

“Secondo te cosa potrei fare in una discoteca?” risposi, per poi rendermi conto che la risposta era meno ovvia di quanto sembrasse.

Adam mi si avvicinò lentamente, accennando un sorriso malizioso. “Sai meglio di me che non tutti vengono qui per ballare…” Mi accarezzò delicatamente una guancia, ma già sapevo che quel tocco così leggero non aveva nulla a che fare con ciò che voleva realmente.

“Ti voglio…” la sua mano scese ad accarezzarmi il collo, per poi muoversi fino alla scollatura, ma lo fermai. “Aspetta, andiamo via di qui.”

Accolse la mia richiesta e mi seguì fuori dal locale. Ci fermammo in un vicolo buio ed angusto. “Potremmo andare a casa mia…”

“No” ribatté, contrariato. “Ti voglio Ora.”

Lasciai che Adam mi prendesse e mi trattasse come un giocattolo, mentre pregavo che a nessun essere vivente venisse l’idea di passare da quella parte. Immobile e con la schiena contro il muro, mi lasciavo toccare ovunque, permettendogli di fare tutto ciò che desiderava.

“Mi sei mancata…” mi sussurrò all’orecchio, tra un gemito e l’altro. Non risposi, chiusi gli occhi ed accennai un sorriso forzato.

Quando alla fine si riallacciò i pantaloni, aggiunse: “Non sparire più in questo modo, e ricordati che ti voglio sempre a mia completa disposizione.”

“Controllerò l’agenda” risposi ironicamente, sistemando la minigonna.

Lui concluse freddamente: “Ricordati che so dove abiti.”

Mentre quella velata minaccia cominciava a darmi i brividi, lo vidi andarsene di fretta, lasciando cadere delle banconote per terra.

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Capitolo 2
*** 1. ***


Capitolo primo
 

Dana aveva solo un paio di anni più di me, ma per molti aspetti era ancora una ragazzina. Amava sedersi davanti allo specchio e pettinarsi i capelli, mentre sognava di incontrare la persona che le avrebbe salvato la vita e condotta fuori da quella situazione orribile.

Io invece nell’amore avevo già smesso di crederci da tempo, dopo tutto ciò che avevo vissuto. Non credevo a questo sentimento astratto tanto decantato dai poeti. Credevo solo a quello che potevo vedere, e ciò che vedevo erano coppie che litigavano furiosamente, che si sposavano per poi divorziare pochissimi mesi dopo, vedevo mogli picchiate e figli abbandonati o dimenticati.

Quando ero poco più che una bambina, vedevo ogni giorno mio padre tornare a casa ubriaco per poi maltrattare sua moglie, quindi l’unica cosa a cui pensavo era di non voler formare una famiglia e rischiare di fare la stessa fine di mia madre.

Un giorno, quando avevo diciassette anni, quell’uomo era tornato a casa più malridotto del solito ed aveva iniziato a picchiarla così forte da farla finire in ospedale. Morì qualche mese dopo, in circostanze mai chiarite completamente.

Non rimasi un minuto di più in casa con mio padre, perché temevo di fare la stessa fine che era toccata alla mamma. Fu proprio Dana a salvarmi: mi ospitò a casa sua e mi aiutò a riprendermi dalla perdita che avevo subito. Perdendo mia madre avevo perso una parte di me stessa; lei era la persona che più amavo al mondo, il mio punto di riferimento.

Presto mi resi conto che, nonostante la gentilezza di Dana, avrei dovuto aiutarla con le spese della casa. Cominciai a cercare lavoro, magari qualcosa che avesse a che fare con l’arte, dato che era sempre stata una mia grande passione, ma senza risultati.
Sapevo che la strada che avevo deciso di intraprendere era rischiosa, forse più facile, ma decisamente sgradevole; e pensare che tutto aveva avuto inizio per puro caso.
 
Mi trovavo in un bar con Dana quando un ragazzo, dopo essersi avvicinato al nostro tavolo, le propose di andare a divertirsi un po’ con lui. Rimasi al tavolo da sola e, mentre cercavo annunci di lavoro sul giornale, si avvicinò un ragazzo dagli occhi azzurri e profondi, mi disse di chiamarsi Adam e mi fece dei complimenti per il mio aspetto fisico. Era davvero un bel ragazzo, anche se nel suo sguardo c’era qualcosa di poco rassicurante che non riuscivo a decifrare. Mi chiese se poteva sedersi con me ed io non me lo feci ripetere due volte.

Sembrava dolce e simpatico, e trovavo la sua compagnia decisamente piacevole.

Ad un tratto, però, disse: “Allora, cosa ne pensi se andassimo in un luogo più appartato dove continuare la nostra conversazione?”

Quelle parole suonarono insolite alle mie orecchie, ma per ingenuità, o perché mi sentivo seriamente attratta da lui, decisi di accettare.

Pochi passi e raggiungemmo la sua abitazione: un piccolo e modesto appartamento. Dopo aver chiuso la porta si avventò sulle mie labbra con irruenza e, colta di sorpresa, lo allontanai bruscamente. “Ma cosa stai facendo?!”

"Dai, non fare la timida, poi ti pago."

Quella frase mi lasciò di stucco. "Credo che tu ti sia confuso con qualcun'altra, io non sono una..."

"Ma eri là seduta con Dana, pensavo foste colleghe. Quella ragazza é fenomenale, pensavo che tu potessi essere alla sua altezza."

Non ritenni necessario chiedere cosa intendesse, pensando che Dana poteva essere così apprezzata per un solo e ben preciso motivo.

"Sei bellissima, ti ho desiderata dal primo momento che ti ho vista."

"No, mi dispiace." Arretrai.

"Sono disposto a darti duecento dollari."

Rimasi di nuovo a bocca aperta. Voleva davvero buttare via tutti quei soldi per questo?

Mi sedetti sul divano, avevo bisogno di elaborare quella richiesta. Era disposto a darmi duecento dollari solo per andare a letto con lui. Assurdo.
Adam restò in piedi a braccia conserte, attendendo una risposta. Alla fine decisi di accettare solamente perché con quei soldi avrei potuto aiutare Dana a pagare l'affitto, non potevo più abitare con lei senza contribuire e la ricerca di un lavoro si stava tirando troppo per le lunghe.

Feci cenno al ragazzo di avvicinarsi e sedersi accanto a me, poi mi misi su di lui a cavalcioni e cominciai a baciarlo. Nel frattempo mi sbottonai la camicetta, mostrando un reggiseno di pizzo nero. Poi gli sfilai la maglietta per poi gettarla chissà dove, e in breve tempo tutti gli altri indumenti fecero la stessa fine.

Mi fece distendere sul divano e cominciò a penetrarmi, facendomi male. Il mio gemito di dolore si fuse col suo di piacere, e mentre si muoveva ritmicamente cominciarono a scendermi le lacrime. Mi pentii immediatamente della mia decisione ed i sensi di colpa cominciarono ad affiorare con insistenza. Chiusi gli occhi e pregai che tutto finisse il prima possibile. Si accasciò infine sul mio corpo, soddisfatto ed esausto.

"Ne é valsa la pena." Disse, continuando a stringermi. Non risposi, troppo confusa per elaborare ciò che era appena accaduto.

"Ora devo uscire." Mi disse più tardi. "Avrei voluto passare più tempo con te, ma al bar ho atteso per due ore che mi proponessi di scopare. Alla fine ho dovuto pensarci io."

Quando uscimmo dall’appartamento mi disse: “Voglio vederti di nuovo.”

Stavamo per prendere due strade diverse quando aggiunse: “Ah, quasi dimenticavo!” Ed estrasse dal portafogli due banconote.
Lo vidi voltare l’angolo, poi cominciai a piangere.
 
Quando raccontai a Dana ció che mi era accaduto mi fece un discorso che mi lasciò senza parole: "É normale che tu ti sia sentita sporca e che adesso provi disgusto per te stessa. Credo che sia cosi per tutte all'inizio. Ma alla fine ci si abitua, si impara a non sentire nulla fisicamente ne' emotivamente. Sapevo che la mancanza di lavoro poteva portare a scegliere una strada sbagliata, e credevo che anche tu potessi rischiare di prenderla, ma non avevo il coraggio di dirti che ti trovo perfetta per questo lavoro. Sei una bellissima ragazza e sicuramente centinaia di uomini sarebbero disposti a pagare per stare con te.”

Non so come ne’ perché, ma alla fine mi abituai all’idea e continuai su quella strada.

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Capitolo 3
*** 2. ***


Capitolo secondo

Il giorno seguente mi incaricai di andare a fare la spesa. Perciò, dopo aver fatto colazione, andai nella mia stanza a prepararmi. Di giorno mi truccavo veramente poco e il mio abbigliamento era casual e decisamente sobrio. La notte mi riempivo la faccia di tonnellate di fondotinta, mascara, ombretti e matite, mentre ora ero irriconoscibile. Quella maschera mi dava un senso di protezione, di cui non avevo bisogno durante il giorno. Anche l’abbigliamento era completamente diverso: le minigonne, i top aderenti e scollati e i tacchi vertiginosi lasciavano spazio a jeans e maglioni, con tanto di scarpe sportive e comode.

Stavo cercando dei prodotti da bagno che avevo segnato nella lista, quando improvvisamente sentii una voce sconosciuta domandare: “Hai bisogno di aiuto?”

Mi voltai e vidi un ragazzo alto, con un fisico asciutto e i capelli biondi ed ondulati. Notai subito il suo abbigliamento casual ma ben curato, che poteva suggerire tutto eccetto che si trattasse di un dipendente del supermercato. “No, grazie, perché?” domandai a mia volta.

“Nulla, mi sembrava fossi in difficoltà…” rispose gentilmente, scrollando le spalle.

“Non mi sembra di dare questa impressione” commentai, perplessa. “Ma tu lavori qui? Non hai l’aria di essere un commesso.”

“Infatti non lo sono” ridacchiò. “D’accordo, ora ti svelo un segreto. “Li vedi quei due cretini laggiù? Hanno fatto una scommessa sul fatto che non saresti riuscita a sopportarmi per più di mezz’ora, sempre se fossi riuscito a rivolgerti la parola.”

Lo guardai con un enorme punto interrogativo stampato in forte, mentre mi domandavo se mi stesse prendendo in giro. Era pazzo? Non avevo mai sentito nulla del genere.

guardai nella direzione indicatami: effettivamente due ragazzi erano rivolti verso di noi che parlavano tra loro e ridevano. “Bene” decretai infine. “Vediamo chi avrà ragione. Ti va di fare due passi?”

Poteva anche diventare un cliente; sembrava piuttosto impacciato, magari aveva bisogno di attenzioni particolari.

“Certamente! A proposito, io mi chiamo Richard.”

“Jill.” E ci stringemmo la mano. Finii di fare la spesa e, dopo aver pagato alla cassa, il ragazzo si offrì di portarmi la borsa contenente i prodotti acquistati. “Non è così pesante” insistetti, ma non volle sentire ragioni e mi accompagnò verso casa.

“Allora” dissi, mentre camminavamo. “Cosa ti ha portato ad accettare questa scommessa assurda?”

“Perché Jason e Tony credono che io sia un disastro con le ragazze; dicono che sono noioso e pesante e che le faccio scappare a gambe levate. Questa può essere un’occasione per dimostrare il contrario.”

“Ma perché sono stata scelta io come vittima?” domandai, curiosa.

“Perché sei una bellissima ragazza.” Mi sembrò di vederlo arrossire leggermente. “I miei amici pensavano che non mi avresti nemmeno degnato di uno sguardo.”

Quella frase mi fece ridere. “Non sono così inavvicinabile!”

Pochi passi dopo raggiungemmo il portone della mia abitazione. “Eccoci qua. Puoi salire, se vuoi…” mi mantenni sul vago.

“Lo sai che non bisognerebbe invitare uno sconosciuto in casa propria? Come sai che non farò nulla di male?”

“Perché se davvero fosse nelle tue intenzioni non me l’avresti detto. E comunque, nulla di ciò che hai in mente è paragonabile a quello a cui sto pensando io…” Sorrisi maliziosamente.

“D’accordo, questo è strano” decretò lui. “Ma correrò il rischio.”

Ci guardammo attorno, ma non vedemmo i suoi amici. A dire la verità, mentre camminavamo, avevo completamente dimenticato la loro presenza.

L’appartamento si trovava al quinto piano e lo raggiungemmo con l’ascensore. Dopo aver aperto la porta, mi diressi verso la cucina con il sacchetto, mentre dicevo: “Fai come se fossi a casa tua, Richard.”

“Carino questo posto” commentò lui, guardandosi attorno. “Vivi da sola?”

“No, ho una coinquilina, che è anche la mia migliore amica.”

Una volta sistemati gli acquisti, mi sedetti sul divano accanto a Richard, che vi si era accomodato poco prima. Gli offrii qualcosa da bere, ma declinò l’offerta.

Era giunto il momento di fare sul serio. “Sai” esordii. “Non capisco per quale motivo i tuoi amici abbiano certe idee sul tuo conto. Sei un ragazzo molto carino e sono sicura che molte ragazze vorrebbero averti al loro fianco.” Le mie dita scivolavano sulla sua maglietta, descrivendo linee dolci ed armoniose.

“N-no, è che…” La voce tradiva il suo nervosismo. “E’ complicato…”

“In che senso?” Mi avvicinai di più. Aveva un profumo di menta che trovai molto gradevole. Per la prima volta notai i suoi occhi: erano di un verde scuro brillante.

“La mia famiglia…” Non riuscii a cogliere il senso di queste ultime parole.

“Hai le idee confuse, Richard?” Le mie labbra erano a pochi centimetri dalle sue.

“No, io… Devo andarmene da qui!” Saltò in piedi di scatto. “Scusa per il disturbo, Jill, è stato un piacere conoscerti.”

“Aspetta! Lascia solo che ti accompagni.” Una volta usciti dall’edificio, aggiunse: “Mi dispiace che tu vada via così presto, avrei voluto passare del tempo con te…”

“E a me dispiace di averti fatto perdere tempo per una stupida scommessa, ideata da due stupidi e accettata da uno ancora più…”

“Hey!” lo interruppi. “Credo che quelli laggiù siano i tuoi amici…”

Si voltò e vide i due ragazzi che parlavano tra loro alla fine della strada. “E’ passata più di mezz’ora, hai vinto la scommessa!”

Sorrise dopo quell’esclamazione, forse confortato dal fatto che quell’incontro non sembrava avermi infastidita. “Grazie, Jill.”

“Che dici, gli diamo il colpo di grazia?” E, senza dargli il tempo di replicare, mi avvicinai velocemente e gli stampai un bacio sulle labbra. Inizialmente non si mosse, stordito da quell’improvviso contatto, ma poi si sciolse e mi cinse i fianchi, sorridendo.

All’improvviso una voce stridula esclamò: “Richard, non riesco a credere ai miei occhi! Finalmente hai trovato la ragazza!”

Ci staccammo immediatamente, e vidi che accanto a noi era apparsa una donna sulla quarantina, dai capelli rossi legati sopra la testa in un’acconciatura elegante; aveva un’aria aristocratica ed altezzosa, e un fisico abbondante e generoso. Richard era chiaramente in imbarazzo ed era diventato rosso come un pomodoro. “Mamma!”

La donna non gli fece aggiungere altro, perché disse: “Spero che ce la presenterai ufficialmente, sai che io e tuo padre non vedevamo l’ora che arrivasse questo momento. Ora devo scappare, ci vediamo a cena, Richard. Arrivederci, cara!” e scomparve velocemente, com’era arrivata.
Mentre cercavo di capire cos’era appena accaduto, il ragazzo esclamò: “Oh no, che disastro, che autentico disastro!”




 
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Ed ecco qui il secondo capitolo. A questo punto inizia la parte più soft della storia, effettivamente prima sembrava tutto tranne che una commedia. XD
Grazie a chi ha aggiunto questa storia alle preferite, seguite o ricordate! -Laine

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Capitolo 4
*** 3. ***


Capitolo Terzo


Richard era sul punto di implodere e io non riuscivo a smettere di ridere. “Dai, non è successo nulla di grave."

“E invece sì, non capisci?! Ora mia madre crede che io mi sia fidanzato!” Non riuscivo a cogliere il motivo della sua preoccupazione.

“Stai tranquillo, non mi sembra una situazione irrimediabile.”

Cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro sul marciapiede. “Tu non lo sai, ma i miei genitori vogliono che io trovi una ragazza con cui sistemarmi. Appartengo ad una famiglia molto ricca e i miei genitori considerano ancora importanti certe tradizioni…”

“Quali tradizioni?”

“Il proseguimento della stirpe, il matrimonio tra persone agiate, l’eredità del lavoro dei genitori…”

Continuai a non capire. “Mi stai prendendo in giro, vero?”

“Magari” rispose, sempre con tono ansioso. “Da alcuni anni a questa parte i miei genitori mi fanno pressioni affinché io trovi una ragazza con cui sposarmi e da allora non mi danno tregua. Non posso andare da loro e dirgli che non sei la mia fidanzata, ora che mia madre mi ha visto mentre ci baciavamo; è un comportamento che non tollerano.”

Tutta quella storia mi sembrava a dir poco assurda. “Credo che dovresti farti coraggio e dire la verità ai tuoi.” Non sembrò ascoltarmi.

“A meno che…” pensò ad alta voce. “Potresti fingere di essere la mia ragazza?”

Spalancai gli occhi. “Cosa?”

“Sarebbe solo per poco tempo, fino a che non riuscirò a trovare il momento giusto per annunciare loro che la nostra relazione è stata un fallimento e che le cose non sono andate come speravamo.”

Ero sconvolta, non credevo che una persona potesse partorire un’idea del genere e crederci sul serio. “Spero tu stia scherzando, ti rendi conto dell’assurdità di questa richiesta?”

“Hai ragione” sospirò affranto. “Scusami, è un’idea stupida. Ora me ne vado, tolgo il disturbo. Addio, Jill.”

Lo guardai allontanarsi, incapace di rispondere al saluto. Sembrava avere davvero il morale sotto le scarpe. Cosa avrei dovuto fare? Accettare? La sua idea era veramente inverosimile e mi aveva lasciata sinceramente sconcertata.

Tornai in casa e richiusi la porta alle spalle, mentre ripensavo a ciò che era appena accaduto. Quel ragazzo era davvero strano, dolce ed impacciato, esattamente l’opposto degli uomini che ero solita frequentare. Ma soprattutto mi sembrava estremamente incasinato, e se ciò che mi aveva raccontato corrispondeva alla realtà, la sua vita non doveva essere tranquilla. Tanto non lo rivedrò mai più, pensai, con un inaspettato velo di tristezza.

Arrivò il momento di prepararmi per la notte. Mentre aprivo l’armadio sentii la chiave girare nella serratura della porta e capii che Dana era tornata.

“Ciao!” la salutai, ma non ottenni risposta. Preoccupata dal silenzio andai a cercarla e la trovai seduta sul divano, intenta a fissare il nulla. Notai immediatamente le guance rigate dalle lacrime. “Oh mio Dio, cosa ti è successo?!”

“Paul” fu l’unico nome che riuscì a dire tra i singhiozzi.

“Cosa ti ha fatto quello stronzo?! Ti ha picchiata?!”

Si girò e mi mostrò un livido sulla guancia.

“Io lo ammazzo!” Con il sangue che mi ribolliva nelle vene andai in cucina e presi del ghiaccio. “Dimmi solo dove trovarlo e vedrai che fine gli faccio fare.” Le porsi un panno che conteneva i cubetti e se lo poggiò sulla ferita.

“Per favore Jill, lascialo perdere, è pericoloso.” Non poteva credere davvero che avrei lasciato che quell’individuo la passasse liscia.

“Perché l’ha fatto?”

Mi raccontò che si trovava a casa sua e lui, avendo alzato troppo il gomito, era fuori di sé e pretese di non pagarla. Dana si era opposta e subito aveva ricevuto una sberla, poi Paul le aveva intimato di andarsene.

“Un giorno o l’altra la pagherà, non avere dubbi su questo.” Dissi a Dana di andare a riposarsi, che per quella notte sarei uscita solo io. Mentre si sdraiava sul divano mi diedi una sistemata al trucco, poi presi la borsetta e me ne andai.

Mentre cercavo di calmarmi, notai che le strade quella notte erano quasi deserte; solitamente erano piene di gente a tutte le ore. Forse c’era qualche evento particolare di cui non ero a conoscenza. Mentre camminavo lentamente godendomi quel surreale silenzio, mi accesi una sigaretta.

Ad un tratto scorsi una figura conosciuta davanti all’ingresso di un bar. “Ciao, Adam” salutai, avvicinandomi.

“Ma guarda chi si vede.” Sorrise maliziosamente. “Avevo giusto voglia di divertirmi un po’, e quale miglior modo se non in compagnia della mia piccola Jill?”

Cominciammo dunque a camminare verso il suo appartamento. In fondo ero tranquilla in sua compagnia: lo conoscevo da tempo e sapevo che mi avrebbe trattata con rispetto, a differenza di molti altri, e inoltre mi pagava sempre bene.

Non parlammo molto durante il tragitto. D’altro canto di cosa dovrebbero mai raccontarsi, una puttana e il suo cliente? Ad un tratto vidi un uomo che camminava nella direzione opposta alla nostra e, con la rabbia che cominciava a salire di nuovo, mi rivolsi ad Adam: “Lo vedi? Quel bastardo ha picchiato Dana.” Poi mi rivolsi direttamente a quell’individuo: “Hey, maledetto stronzo!”

Si guardò attorno e mi vide mentre mi avvicinavo minacciosa. Non avevo chiare le mie intenzioni, ma sapevo che non sarei mai riuscita a tenere la bocca chiusa in sua presenza. “Prova di nuovo a mettere le mani addosso a Dana e ne pagherai le conseguenze!”

Dopo avermi guardato perplesso scoppiò a ridere. “Ah sì? Altrimenti cosa mi fai, stupida troia?”

Non feci in tempo a rispondere, perché Adam gli si avvicinò di corsa e gli tirò un pugno dritto sul naso, che lo fece cadere a terra. “Faresti bene a tener presente ciò che ti ha appena detto.” Mi prese la mano ed aggiunse: “Andiamo via. Sono sicuro che ora ha afferrato il concetto.”

Lasciammo Paul a terra dolorante e sanguinante; nessuno accorse in suo aiuto. Era successo tutto talmente in fretta che non avevo ancora realizzato quanto fossi grata per il gesto di Adam. Quando arrivammo a casa sua lo baciai con foga, mi prese in braccio e mi fece distendere sul letto. “Grazie…” sussurrai, mentre mi sfilava i vestiti. Esaudii ogni sua richiesta, quasi a volergli dimostrare quanto era importante ciò che aveva fatto per me.

Poi accadde qualcosa di inaspettato mai successo prima: mi addormentai con la testa sul suo petto e restai da lui fino al mattino seguente.



 
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Sfrutto di nuovo questo angoletto per ringraziare tutti coloro che stanno seguendo questa storia. Ogni notte, quando non riesco ad addormentarmi, apro il documento del racconto nel cellulare e scrivo sempre fiumi di parole. Mi sto affezionando ai personaggi e mi fa sempre piacere andare a trovarli. Non sono mai stata così costante nello scrivere; sono sicura che riuscirò a terminarla, anche se non ho ancora ben chiare le idee su come fare. Volevo comunque ringraziare nuovamente chi ha aggiunto la storia alle preferite, seguite e ricordate, e volevo invitarvi a lasciare una recensione perché sono curiosa di sapere cosa ne pensate. Non fatevi problemi a muovere delle critiche, perché mi aiuterebbero tantissimo. Alla prossima! -Laine

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Capitolo 5
*** 4. ***


Capitolo quarto


Quando mi svegliai notai subito che ero ancora nuda e distesa da sola sul grande letto. Le coperte blu erano finite in fondo e d'istinto le afferrai per coprirmi. I miei occhi impiegarono alcuni secondi per abituarsi alla forte luce solare proveniente dalla finestra.
Dov'era finito Adam? Andai alla ricerca di qualche indizio, poi notai un biglietto sul comodino. Era ripiegato in due ed al suo interno trovai delle banconote. Il foglio recitava:

 
"Sono andato al lavoro, mi dispiaceva svegliarti.
In cucina troverai una copia della chiave di casa, spero di potermi fidare. A presto, Adam."

 
E così siamo passati ai messaggi scritti a mano, eh? Anche se quel biglietto non aveva nulla di dolce o romantico, mi diede da pensare. Di solito dopo aver fatto sesso Adam mi congedava e io tornavo a cercare uomini per le vie, ma la sera precedente non l'aveva fatto. Forse era particolarmente di buon umore, oppure aveva preferito lasciarmi stare da lui nel caso avesse avuto voglia di un altro round. Decisi di non arrovellarmi troppo e mi rivestii, presi la chiave ed uscii.

Quando raggiunsi il mio palazzo trovai qualcuno ad aspettarmi. "Richard?! Che ci fai qui?"

Lui, che un attimo prima sedeva sui gradini dell'entrata, si alzò di scatto. "Ciao, Jill! Scusa per l'orario, ho suonato ma non rispondeva nessuno, così ho deciso di aspettarti qui."

Deve essere pazzo, pensai sorridendo, ma d'un tratto mi venne l’ansia. E Dana?!

"Come sarebbe non rispondeva nessuno?!"

Presa dal panico aprii subito la porta e salii al quinto piano, per poi entrare velocemente in casa alla ricerca della mia amica. Con sollievo la trovai che dormiva in camera sua. Le rimboccai le coperte e chiusi la porta della sua stanza, in modo da non disturbarla.

Richard attendeva nel soggiorno. "Scusami, ha avuto una giornata pesante e quando hai detto che non rispondeva mi é mancato il respiro ed ho subito temuto il peggio. Per fortuna non é successo niente. Allora, cosa volevi dirmi?"

Si sedette sul divano ed esordì: "So bene che é assurdo, ma ho davvero bisogno che tu finga di essere la mia fidanzata per qualche giorno. I miei hanno cominciato ad opprimermi perché vogliono conoscere 'la bellissima ragazza con cui ti ho sorpreso'."

"Richard, credevo di essere stata chiara. Oltre a dirti che è una stronzata aggiungerei che non è nemmeno possibile."

"Ascoltami, loro non accetterebbero mai che il loro figlio vada a baciare ragazze a caso e che ne cambi una ogni due giorni, quindi dovrei stare con la stessa per qualche tempo prima di dire loro che tra noi non ha funzionato."

Ora basta con queste assurdità. "Vuoi sapere la verità? Io sono una puttana, ogni notte faccio sesso per soldi e vivo di questo. Sei sicuro di volermi presentare ai tuoi?"Avevo perso la pazienza e le parole mi erano uscite come un fiume in piena. Osservai la sua reazione e vidi che aveva spalancato gli occhi in preda allo stupore. "Non potrei mai fingere di essere una ragazza per bene e di certo i tuoi genitori non sarebbero molto contenti di tutto questo."

“Io... Non ne avevo idea..." riuscì a dire a fatica. Seguì un'infinità di secondi di totale silenzio. Poi Richard aggiunse: "Ti pagherò. Sono disposto a darti la somma che desideri se farai questa cosa per me."

"No, non posso."

"Ti porterò a mangiare in ristoranti di lusso, ti comprerò abiti e gioielli. Penserò a tutto quanto e tu dovrai solo mostrarti gentile e cortese davanti ai miei."

Non nascondo che tutto questo mi tentava e non poco, ma feci di nuovo no con la testa.

"Dimmi solo che ci penserai." Mi porse un foglietto che riportava un numero di cellulare. "Se per caso accettassi, chiamami."

"Devi essere proprio disperato se arrivi ad assumere una escort per fare bella figura." Commentai ironicamente. Divertente, era come aver ottenuto una promozione, in un modo o nell'altro.

"Il fatto é che non ho mai incontrato una ragazza che rispondesse ai miei gusti e, se per caso capitava, ai miei genitori non piaceva affatto. Ma quando mia madre ti ha vista ti ha trovato stupenda: una ragazza di una bellezza rara, acqua e sapone. E dato che mi stavi baciando ha subito pensato che fosse una cosa seria. E quindi eccomi qui, ad implorarti come uno scemo."

Ridacchiai. “Ci penserò.”

"Non chiedo altro." Fece un enorme sorriso. "Ora tolgo il disturbo, spero di sentirti presto."

Lo salutai e lasciò l'appartamento. Decisi di farmi una doccia per poi preparare qualcosa per colazione. Mentre mangiavo in cucina, mi raggiunse Dana. "Hey, come stai oggi?"

"Meglio, direi." Il segno sulla guancia era ancora ben visibile, ma non così accentuato come il giorno precedente.

"Vieni a mangiare qualcosa, così nel frattempo ti racconto tutto ciò che mi é accaduto tra ieri sera e questa mattina." Le parlai di Adam e del pugno che aveva tirato a quel verme di Paul, della notte trascorsa con Adam e dell'incontro avvenuto con Richard poco prima. La vidi sorridere quasi tutto il tempo e ciò mi rassicurò, perché mi sembrava stesse davvero meglio.

"Credi di accettare la proposta di Richard?" Mi chiese alla fine.

"Non so se ho voglia di trascorrere tutto il tempo con una famiglia di individui snob ed altezzosi, se devo essere sincera. É vero, potrebbero esserci numerosi vantaggi, ma non credo di poter apparire quella che non sono. Le mie doti recitative sono abbastanza scarse."

"Io al tuo posto comunque non ci penserei due volte. Pensa al lusso in cui ti troveresti! Ma in ogni caso devi fare ciò che ti senti."

"Ho detto a Richard che ci avrei riflettuto."

E riflettei per tutto il giorno e la notte seguenti mentre, tra un cliente e l'altro, pensavo che per un po' non avrei dovuto concedermi a chiunque fosse alla ricerca di soddisfazioni carnali. Ci riflettei fino alle prime luci dell'alba, quando mi infilai sotto le coperte del mio letto, e pensai che l'idea di Richard poteva avere aspetti molto attraenti per me; ricchezza e regali avrebbero fatto indubbiamente gola a chiunque, questo bisognava ammetterlo. Ma come avrei fatto a tornare alla realtà dopo aver visto da vicino una vita lussuosa ed agiata? E soprattutto, come mi sarei sentita a ricevere soldi solo per recitare una parte?

Il giorno seguente, dopo aver dormito poco e male, mi preparai psicologicamente per telefonare a Richard e comunicargli la decisione che avevo preso.

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Capitolo 6
*** 5. ***


- Capitolo quinto -


Indossavo un vestito blu elettrico senza spalline che mi arrivava fino ai piedi. Era veramente meraviglioso, ma mi sentivo estremamente a disagio indossandolo là, per strada, con la gente che mi fissava incuriosita ed ammiccante. Che cavolo avevano da guardare tutti? Non avevano mai visto un abito del genere? Dopo quei pensieri mi venne da ridere: effettivamente nemmeno io ne avevo mai visto in prima persona uno così splendido, o almeno non prima di quel giorno. Dopo aver accettato la proposta, Richard si era così entusiasmato da inviarmi un pacco regalo contenente tre abiti fantastici, oltre ad un biglietto che recitava:

 
"Spero di aver intuito la tua taglia, sono sicuro che uno tra questi ti calzerà a pennello! Passerò a prenderti questa sera alle 20.00."

Nell’arco di pochissimi giorni ero a quota due bigliettini scritti a mano, provenienti da due ragazzi diversi. Non ne avevo mai ricevuto uno in vita mia e la cosa cominciava ad emozionarmi come una bambina.

Anche Dana aveva assistito all'apertura della grande scatola bianca e come me era rimasta a bocca aperta.

Quando li indossai scoprii con gioia che l'abito che preferivo era anche quello che mi stava meglio e, mentre si avvicinava l'ora dell'appuntamento, trascorsi il tempo facendo esperimenti con il makeup e realizzando un trucco non volgare, ma delicato ed elegante allo stesso tempo. Non ero mai stata così nervosa in vita mia e i motivi non erano ben chiari nemmeno a me.

Richard arrivò con un'auto sportiva nera che doveva valere un capitale. Scese dalla vettura e si avvicinò sorridendo, per poi prendermi una mano e portarla alle labbra: "Mio Dio, Jill, sei davvero incantevole."

Quella frase, accompagnata dal baciamano, mi fece ridere. "Sembra la scena di una qualche commedia romantica!"

"Hai ragione, però ho semplicemente detto la verità" tenendomi la mano mi fece accomodare al posto del passeggero, per poi chiudere la portiera con eleganza.

Era da diverso tempo che non vedevo la città di notte per uno scopo ben preciso e fui sollevata dal fatto che per un po' avrei evitato di farlo. Raggiungemmo uno dei quartieri più lussuosi della città, dove le luci erano più intense e sfolgoranti che in qualsiasi altra strada, dove si potevano vedere persone che indossavano solamente abiti firmati e all'ultimo grido, che passeggiavano sempre con altezzosità e decisione. Praticamente un mondo a parte.

Ad un certo punto Richard accostò l'auto ed un uomo sul marciapiede gli fece un cenno di saluto. "Bentornato signor Hamilton, buonasera signorina."
Richard ricambiò il saluto e aggiunse: "Per favore, Ethan, parcheggia l'auto in garage."

L'uomo annuì spostandosi verso la vettura, mentre il mio accompagnatore mi aiutava a scendere. Era tutto così strano; mi sembrava davvero di essere capitata in un film.
Fu allora che cominciai a provare una certa ansia, mentre Richard mi portava all'entrata. "Io non ce la posso fare." Dichiarai, cercando di respirare profondamente.
"Vieni qui." Mi condusse verso un divano rosso. Mi guardai attorno e notai che l’atrio sembrava in tutto e per tutto quello di un hotel di lusso.

"Ascoltami: sei bellissima, forse sei la ragazza più affascinante che abbia mai conosciuto. Stasera non esiste il tuo lavoro e non devi pensare a ciò che fai per vivere. Esisti solo tu, puoi essere chiunque tu voglia e puoi avere tutto ciò che desideri. Io asseconderò ciò che dirai e tu dovrai solo fingere di essere innamorata di me per qualche ora. Cosa ne dici, credi di potercela fare?"

Lo fissai negli occhi, ci vidi dolcezza e comprensione e capii che sarebbe andato tutto bene. "D'accordo, ci proverò."

Mi fece un enorme sorriso e mi aiutò ad alzarmi, poi andammo verso il grande ascensore e Richard schiacciò il tasto dell’ultimo piano; avrei dovuto immaginarlo, che la sua famiglia viveva nell’attico. 

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Capitolo 7
*** 6. ***


- Capitolo sesto -


"Cara! Finalmente abbiamo il piacere di fare la tua conoscenza!"

Claire e Thomas Hamilton si erano presentati con una gentilezza ed un’espansività esagerate, ma erano certamente meno snob di quanto mi aspettassi, o almeno a prima vista.

“Io mi chiamo Jillian Holmes, e devo dire che il piacere é tutto mio.” Avevo inventato il mio cognome ispirandomi al famoso detective; Richard aveva detto che quella sera avrei potuto diventare chiunque desiderassi, quindi avevo deciso di giocare un po’.

"Che nome grazioso" disse Claire Hamilton, con un sorriso a trentadue denti.

"Prego, da questa parte. I domestici hanno già apparecchiato e sistemato la sala da pranzo per l’occasione."

Io e Richard seguimmo la signora Hamilton, che ci precedeva di alcuni passi in un infinito corridoio abbellito da quadri e sculture.

I domestici hanno già apparecchiato.” Borbottai, con un basso ma ironico tono di voce. “Il vostro elicottero é in cima all’edificio?” Se c’era una cosa che non tolleravo era l’ostentazione della ricchezza.

“No.” Rispose seccamente Richard. “Non abbiamo una pista di atterraggio sul tetto e non possediamo un elicottero.”

Questa informazione mi sorprese; mi aspettavo quasi che gli Hamilton proponessero un giro in elicottero dopo cena.

"Però possediamo un jet privato." Riprese, con un tono meno aspro e quasi divertito. "Ora, per cortesia, non farmi fare figuracce davanti ai miei."

Rimasi di nuovo a bocca aperta quando mi trovai davanti ad un tavolo immenso arricchito da centinaia di posate, bicchieri, bottiglie e decorazioni di ogni genere. Un’enorme parete di vetro sostituiva un intero lato della stanza e fu in quel momento che mi accorsi che ci trovavamo veramente in alto.

"Mio Dio, la vostra casa é meravigliosa" commentai, quasi senza fiato.

"Grazie cara." Rispose Claire. “E pensare che l’abbiamo pagata solo pochi milioni di dollari."

Stai calma, pensai, cercando di contenermi. Mi limitai a sorridere, poi il signor Hamilton ci invitò ad accomodarci. Mi sedetti di fianco a Richard e a suo padre, che si trovava a capotavola, mentre Claire era di fronte a me; notai allora che anche il posto accanto era apparecchiato. “Nostra figlia Eden cena con noi questa sera” spiegò Thomas Hamilton, leggendomi nel pensiero.

"Non mi avevi detto di avere una sorella" dissi, per poi pentirmi subito della cazzata che avevo fatto. Sei la sua fidanzata, come potresti non saperlo?!

Richard si mostrò imbarazzato. “Scusami, tesoro, è solo che non sapevo come dirtelo… Sai, Eden è una ragazza un po’ particolare…”

Cosa significava? Pensai subito al peggio. Magari aveva qualche grave malattia.

I genitori di Richard sembrarono non dare importanza alle nostre parole, poiché Claire disse subito: “A proposito, dovrebbe essere qui da un pezzo….” E i due si scambiarono uno sguardo rassegnato.

"Mentre aspettiamo potremmo conoscere meglio la nostra ospite." Thomas Hamilton si voltò verso di me e sorrise. "Raccontaci un po’, provieni da una famiglia ricca, non é vero?"

D’accordo, non avevo idea di quali potessero essere i discorsi intavolati dalle persone agiate, ma non credo che una domanda simile possa essere indice di raffinatezza. “Cosa glielo fa pensare?”

"Be’, tanto per cominciare, quell’abito vale sicuramente una fortuna; non credo possa essere acquistato ad un mercato…"

"E poi hai un’eleganza unica" aggiunse Claire. "Si vede che hai preso lezioni di portamento."

Cercai di non scoppiare a ridere e sputare l’acqua che stavo bevendo. Almeno avevo scoperto di possedere un atteggiamento aristocratico innato. Sorrisi in direzione del mio ‘fidanzato’ solo per vedere la sua espressione: aveva il viso in fiamme e temevo che da un momento all’altro potesse implodere.

Mi ero quindi resa conto del motivo per cui mi stavano sbandierando in faccia le loro ricchezze: credevano fossi esattamente come loro. Decisi allora di reggere il gioco e calarmi seriamente nella parte.

"Mio padre proviene da una famiglia agiata" spiegai, cercando di mantenere la massima serietà. "Il suo bisnonno era una specie di conte e le sue ricchezze hanno fatto sì che la mia famiglia prosperasse per generazioni." La naturalezza con cui raccontavo certe palle meritava un Oscar.

"E tua madre?"

"Faceva la modella, ma ora non c’é più."

"Oh, mi dispiace" disse il signor Hamilton, mentre la moglie mi sorrideva affettuosamente. "Qual era il suo nome?"

“Leanne Brewer” pronunciare quel nome dopo così tanto tempo mi fece venire i brividi. “Era veramente una donna bellissima.”

"Capisco ora da chi hai preso" disse Richard, prendendomi per mano. Non capivo se mi stesse solo assecondando o se in qualche modo avesse capito che ciò che avevo raccontato su mia madre era la verità.

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Capitolo 8
*** 7. ***


- Capitolo settimo -

 
“Ti ringrazio di nuovo per quello che stai facendo, Jill. I miei ti adorano!"

La cena era ormai giunta al termine e Richard aveva pensato di portarmi fuori per respirare, in tutti i sensi. Dalla terrazza a quel piano così alto si godeva della vista di tutta la città: i grattacieli illuminati e tutti i colori delle strade erano uno spettacolo mozzafiato. Credo di non essere mai stata così in alto.

Tutto sommato non era andata così male, tranne quando ad un tratto aveva fatto la sua comparsa la sorella di Richard: non aveva salutato nessuno e si era semplicemente seduta a tavola aspettando il suo piatto. Claire l'aveva rimproverata, intimandole di salutare, ma la ragazzina era rimasta impassibile. Avevo notato i suoi occhi contornati da tonnellate di ombretto nero, che mi ricordava tanto il makeup che realizzavo su me stessa quando dovevo uscire la notte. Anche il suo abbigliamento era a dir poco inusuale, e stonava non poco con la cura e l'eleganza degli altri componenti della famiglia. Rimase sulle sue per tutta la serata, non aprì bocca nonostante i continui tentativi dei genitori di coinvolgerla. Io provai a non fare caso a lei, ma dentro morivo dalla curiosità di sapere cosa stava succedendo in quella famiglia.

“Sono io che devo ringraziare te, in primo luogo per tutti i regali che mi hai fatto e che non meriterei, e poi perché grazie a te ho scoperto di essere un'attrice nata. Sto considerando l'idea di trasferirmi ad Hollywood per fare fortuna."

"E mi lasceresti così, su due piedi?"

Scoppiammo a ridere; era da tempo che non mi sentivo così serena. Il fatto di potermi distrarre un po', anche se per farlo dovevo fingere di essere un'altra persona, era spaventoso ed eccitante nello stesso tempo.

"Quanto pensi che durerà questa commedia?" chiesi, non sapendo esattamente che risposta augurarmi e tornando subito coi piedi per terra.

"Io credo che..." non terminò la frase poiché vide qualcuno sulla soglia. "Ciao Eden! Vuoi unirti a noi? Stavamo parlando di cinema."

Ma la ragazza non rispose e se ne andò velocemente. Che strano.

"Volevo farti una domanda, ma se pensi che sia indiscreta lascia perdere. Come mai tua sorella si comporta in modo così strano?"

Richard, che aveva i gomiti poggiati sul bordo del balcone ed osservava il panorama, inspirò profondamente. "A dire il vero non lo sappiamo. Fa sempre così: alterna periodi di nervosismo a giornate di silenzio assoluto. Mia madre é preoccupata, vorrebbe portarla da uno specialista, ma mio padre cerca sempre di dissuaderla, perché è convinto che si tratti solo di una fase dell’adolescenza. Il problema è che tutto questo va avanti da più di un anno."

Mi sorprese il fatto che si fosse confidato così apertamente con me, dato che non mi conosceva quasi per niente. Quando glielo feci notare mi disse: "Hai ragione, ma avevo bisogno di sfogarmi e credo di poter contare sulla tua discrezione. E poi sei la mia ragazza" fece un largo sorriso. "Dovremmo sapere tutto l'uno dell'altra."

Gli sorrisi, ma mi chiesi anche se non stesse prendendo quella storia troppo seriamente. "Si è fatto tardi, ora dovrei tornare a casa."

"D'accordo, ti riaccompagno io."

Salutai i signori Hamilton, li ringraziai e loro mi invitarono a tornare a trovarli in qualsiasi momento. Di Eden, come immaginavo, non c'era traccia.
Quando arrivai sotto casa, dopo aver salutato Richard che si allontanava su una Ferrari, notai che c'era qualcuno appoggiato al portone d'entrata, e quell'ombra mi fece rabbrividire.

**********

 
Allora allora allora. Nelle due puntate abbiamo assistito alla cena organizzata dai genitori di Richard. Come vi è sembrata? E cosa ne pensate di Eden e del fatto che si comporti in modo così strano? Ho pensato moltissimo al ruolo che interpreterà questo personaggio nella trama e credo che riserverà delle belle sorprese.
Nelle ultime settimane ho scritto veramente tanti capitoli, ma ora sono giunta al punto in cui devo fare mente locale e mettere insieme tutti i pezzi, perciò pubblicherò meno spesso, ma comunque credo almeno una volta alla settimana.
E per ultimo, ma non meno importante, chi è il misterioso personaggio sotto casa di Jill? Restate sintonizzati e lo scoprirete xD
-Laine

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Capitolo 9
*** 8. ***


- Capitolo ottavo -


"Adam! Per amor del cielo, mi hai spaventata a morte!"

Il ragazzo emerse dall'ombra con uno sguardo strano, a metà tra la malizia e la curiosità. "Chi era quel tizio? Non sapevo avessi ricevuto una promozione."

Scoppiai a ridere, ma era una risata colma di amarezza. "Se pensi che mi sia messa a fare la escort sei fuori strada, comunque non sono affari tuoi."
"Non essere così scontrosa, tesoro, era solo per chiedere."

Mi si avvicinò per poi accarezzarmi una guancia. I suo occhi mi fissarono e io cominciai a sentire dei brividi lungo tutto il corpo.

"Ti voglio."

In quel momento provai un insieme di emozioni contrastanti: una parte di me suggeriva di allontanarlo e mandarlo via, poiché grazie a Richard avevo la possibilità di ottenere tutto ciò che volevo con il minimo sforzo, ma l'altra mi diceva che non potevo dipendere da lui e sfruttarlo per soddisfare ogni mio desiderio, e che ben presto avrei dovuto ricominciare a cavarmela da sola, pertanto era meglio tenerlo presente e continuare con ciò che facevo prima.

Inoltre - e questo era ciò che mi spaventava di più - negli ultimi tempi qualcosa tra Adam e me era cambiato: mi aveva riservato delle attenzioni particolari, come l'intera notte passata a casa sua e il bigliettino che mi aveva lasciato il giorno seguente, che mi avevano fatto pensare; per quanto banali, quei gesti mi avevano portata a domandarmi se sotto ci fosse qualcos’altro. Per tutte queste ragioni lasciai che mi baciasse le labbra, poi il collo e le spalle, ma mentre scendeva ulteriormente lo fermai: "Non qui, vieni."

E lo condussi fino al mio appartamento, dove non feci in tempo a chiudere la porta che Adam si avventò nuovamente sulle mie labbra, mentre con le mani esplorava ciò che preferiva. Sospirai e gli sfilai la maglietta, nel frattempo ci spostammo nella mia stanza. Ci liberammo dei nostri vestiti, troppo ingombranti, e mi diede una spinta che, con un gridolino di sorpresa, mi fece finire sul letto.

I suoi occhi fissavano nuovamente i miei, vi lessi eccitazione ed impazienza. Entrò in me con una spinta decisa e veloce, e i gemiti cominciarono a perdersi nella stanza. In quei momenti ammisi finalmente a me stessa che anche io lo volevo, molto più di quanto immaginassi.

“Te lo ripeterò finché non lo capirai: tu sei mia e di nessun altro" sussurrò, prima di abbandonarsi al piacere più intenso.
 
Il giorno seguente mi risvegliai nel mio letto, avvolta dalle lenzuola rosse e completamente sola. Istintivamente guardai verso il comodino, ma questa volta vi trovai solamente i soldi. Non vi era alcun messaggio e la cosa mi provocò dispiacere.

Ti comporti come una ragazzina stupida che ha preso una cotta, cerca di smetterla. Dovevo cercare di non pensarci e non fare castelli in aria, e ricordarmi sempre che lui è solo il mio cliente ed io una prostituta.

Non mi era mai successo prima di allora di provare qualcosa per un uomo con cui andavo a letto. Adam però, nonostante non mi dovesse nulla, mi trattava spesso con una delicatezza particolare; non era mai stato violento o irrispettoso, si prendeva ciò che voleva ma senza farmi del male. E se prima non vedevo l'ora che i nostri incontri giungessero al termine, ora una parte di me fremeva al solo pensiero di rivederlo.

Quegli occhi glaciali, quell'espressione cupa e quell'atteggiamento di sfida e superiorità mi avevano fatto girare la testa.

Quando mi alzai dal letto trovai Dana in cucina intenta a fare colazione e, dopo averle augurato il buongiorno, le raccontai ogni particolare della cena con la famiglia di Richard, oltre a ciò che era accaduto al mio ritorno.

"Hai avuto una serata impegnativa, eh?" mi fece l'occhiolino.

"Non immagini quanto."

Presi le nostre tazzine e le portai verso il lavandino. "Ma devo dire che è andata bene."

"Quando vi rivedrete?"

"Chi, io e Adam?"

Fece no con la testa. "Tu e Richard, naturalmente!"

"Non lo so ancora, probabilmente mi chiamerà per farmelo sapere."

Quelle parole mi provocarono una strana sensazione di fastidio. In quel momento avevo in mente solo Adam, mentre Richard non era nemmeno lontanamente presente nei miei pensieri.

Tornai nella mia stanza e vidi lo splendido vestito che avevo indossato la sera precedente: dopo che Adam me lo aveva sfilato con estrema agilità era finito a terra, brutalmente appallottolato sotto la finestra. Non era decisamente un indumento che meritava una simile sorte, perciò lo raccolsi immediatamente per poi piegarlo accuratamente ed appenderlo nell'armadio. Chissà se ci sarebbero state altre occasioni per indossarlo. Avevo anche pensato di liberarmene al fine di ricavarne soldi, ma poi avevo deciso che non avrei mai potuto vendere un regalo del genere.




 
***


Allora, se devo essere sincera questo capitolo non mi piace molto, perché è corto e bruttino. Perciò molto presto arriverà un altro aggiornamento, così mi farò perdonare. Però almeno abbiamo un'idea più chiara dei sentimenti di Jill. In ogni caso preparatevi perché le sorprese non sono finite, non avete idea di cosa sta per accadere, la vita incasinata di questa povera ragazza sta per vedere un'altra complicazione... Ma non vi anticipo altro!
Nel frattempo voglio ringraziarvi ulteriormente per le recensioni e per aver inserito la storia nelle preferite/ricordate/seguite, sicuramente sono ripetitiva ma è importante per me... Alla prossima! -Laine

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Capitolo 10
*** 9. ***


- Capitolo nono -



Quello stesso giorno ricevetti una telefonata da Richard: "Ciao Jill! Volevo ringraziarti di nuovo per ieri sera. Hai fatto una bellissima impressione sui miei genitori, sono stati entusiasti di conoscerti!"

"Ne sono molto felice, Richard, ma spero tu ricordi il nostro accordo, non possiamo fingere per sempre."

“Certo, hai ragione. Ma non preoccuparti di questo, non durerà a lungo. Però volevo dirti che mia madre ha una grande idea in mente..."
"Di che genere?" domandai, perplessa.

"Non lo so ancora, credo sia una sorpresa che riguarda anche te. Ti terrò informata, a presto!"

E mi salutò senza darmi il tempo di rispondere. Ancora una volta mi domandai in che guaio mi fossi andata a cacciare.

Per qualche tempo non ebbi sue notizie, tanto che ad un certo punto pensai addirittura si fosse scordato di me, o che avesse dimenticato di dirmi che aveva trovato il modo per chiudere con quella storia. Ma in ogni caso credo mi avrebbe contattato per dirmelo, non mi sembrava il tipo di persona che sparisce nel nulla. Anche perché, ad essere completamente onesti, non mi aveva ancora pagata per quello che avevo fatto sino a quel momento.

La notte uscivo comunque per raccogliere un po' di soldi, nel caso quell'ipotesi si fosse concretizzata.

Il fatto che nemmeno Adam si fosse fatto vivo in quei giorni mi faceva arrabbiare ancora di più. Non riuscivo a capire se mi stesse prendendo in giro o se ero stata io a fraintendere i suoi sentimenti. Cominciavo a sentire il bisogno di chiarire quella situazione una volta per tutte, o in caso contrario sarei sicuramente impazzita.

Nel frattempo Dana mi rivelò di aver visto di nuovo Paul, il quale si era dichiarato pentito per averle messo le mani addosso. Lei accettò le scuse, ma preferì non incontrarlo più.

"Hai fatto la cosa giusta" le dissi, dopo che mi aveva raccontato tutto.

 
***

Una sera andai in un bar del centro. Mi sedetti da sola ad un tavolo e, mentre sorseggiavo una birra, mi guardavo attorno con attenzione. C'erano ragazzi di tutte le età, dagli studenti universitari agli uomini più anziani. Questi ultimi però non erano mai stati oggetto delle mie attenzioni, in parte perché ad una certa età avevano esigenze diverse, in parte perché preferivo la compagnia dei miei coetanei.

Un gruppo di amici si trovava nei pressi del bancone e ognuno di loro parlava o rideva, alcuni clienti del locale erano intenti a disputare una partita di biliardo, quella che doveva essere una coppia di fidanzati era seduta ad un tavolino e si fissavano dolcemente negli occhi. Adam mi guarderà mai in quel modo?

Mi sembrava una situazione quasi surreale, soprattutto se ripensavo a ciò che mi era accaduto nei giorni precedenti. Mi sorpresi a sorridere, mentre le immagini delle avventure che mi erano accadute passavano davanti ai miei occhi.

Una serie di energiche canzoni rock faceva da sottofondo ad un'infinità di conversazioni intrattenute nel bar, ma nessuno era stato attirato dal mio sguardo. All'improvviso provai una sensazione agghiacciante che mi lasciò senza fiato e che non saprei proprio come spiegare. Era come se l'istinto mi stesse suggerendo di andarmene di corsa da quel locale.

Cercai di riprendere fiato, mentre gli occhi cominciavano a bruciarmi a causa del trucco.

Cercai subito un fazzoletto nella borsetta, quando all'improvviso una voce familiare chiese: "Hey, va tutto bene?"

Rimasi letteralmente pietrificata, il mio cuore fece un tonfo e cominciarono a tremarmi le mani. Avrei riconosciuto quella voce tra mille altre, l'avrei temuta fino alla morte e non mi avrebbe dato tregua nemmeno negli incubi più cupi... Papà.
***

Era cambiato molto dall’ultima volta che l’avevo visto anni prima: aveva perso peso e i suoi capelli, un tempo folti e neri, avevano guadagnato ampie striature grigie. Dell’uomo che conoscevo e odiavo erano rimasti solo quei grandi occhi color miele che tanto somigliavano ai miei.

Non dissi nulla, mi alzai alla svelta ed uscii di corsa dal bar, cercando di non cadere a causa delle gambe che mi tremavano. Era tutto surreale e profondamente ingiusto. Perché in tutti i posti del mondo dovevamo per forza ritrovarci nello stesso? Crollai a terra, mi sedetti sul bordo del marciapiede tenendomi la testa con le mani. Mi sentivo letteralmente sul punto di esplodere.

Avevo cercato di rimuovere i ricordi dolorosi legati a mio padre per tanto tempo, ed ora era apparso all’improvviso. Forse é solo un brutto sogno, pensai tra i singhiozzi. Tra poco mi sveglierò e sarò nel mio letto, sotto un soffice strato di coperte calde.

"Jill…" Ecco di nuovo quella maledetta voce.

Nascosi il volto e poggiai la testa sulle gambe. Tutto questo non sta succedendo…

"Tesoro, ti prego, ascoltami."

Tesoro. Se non avessi rischiato di soffocare per la morsa che mi stringeva la gola, probabilmente mi sarei messa a ridere.

"Non chiamarmi in quel modo, non devi nemmeno provarci" furono le uniche parole che uscirono dalla mia bocca, anche se avrei voluto urlare ogni genere di insulti.

Con la coda dell’occhio vidi che si stava sedendo accanto a me.

"Non avrei mai pensato di incontrarti qui, sono sconvolto anche io. Non riesco a trovare le parole adatte per descriverti come mi sento."

Resisti Jill, tra poco questo incubo sarà finito.

"Non ho più avuto tue notizie, non sapevo dov’eri e come stavi, e solo da quando te ne sei andata ho capito che avevo sbagliato tutto."

Quel figlio di puttana credeva di cavarsela con queste frasi cariche d’ipocrisia?

"So che non sono stato un buon padre."

"Non sei stato un padre e basta” replicai. Gli occhi erano rossi e gonfi. Non urlai, non alzai i toni. Parlai senza un velo d’emozione. Non sembrava neanche la mia voce.

“Hai ragione. Vorrei solo dirti che se potessi tornare indietro non ripeterei mai gli stessi errori. Da quando te ne sei andata ho cercato di riprendere in mano la mia vita, combattere i miei demoni e vincere il mio problema. Jill, non tocco gli alcolici da quasi tre anni.”

Non potevi pensarci prima di distruggere la vita di mia madre? Avrei voluto dirgli, ma le parole non uscirono.

"So che non vuoi vedermi e che probabilmente non potrai mai perdonarmi, ma ti prego di credermi se ti dico che io prima di tutti non riesco a darmi pace per quello che ti ho fatto, per tutto il male che ti ho causato."

Mi alzai in piedi, trovando le forze chissà dove. Diedi un’occhiata assente a quell’uomo e dissi semplicemente “sparisci”, per poi andarmene. Procedevo con passi lenti ed incerti, perché ogni movimento brusco mi faceva girare la testa e rischiavo di cadere.

Non so per quanto camminai e non mi preoccupai di controllare se mi stesse seguendo. Il mondo mi era improvvisamente crollato addosso, non mi ero mai sentita in quel modo.

Mi accorsi di essere arrivata a pochi passi da casa senza rendermene conto. Priva di forze cercai di raggiungere il portone d’entrata, ma improvvisamente la testa cominciò a girare vorticosamente, poi tutto diventò nero e persi conoscenza.

Ricordo solo il buio e un paio di braccia forti che mi sollevavano da terra.

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Capitolo 11
*** 10. ***


- Capitolo decimo - 


Appena aprii gli occhi, un pallido sole mi accolse filtrando dalle tende color glicine della mia camera. La testa mi faceva ancora male, ma almeno avevo riacquistato una certa lucidità.

Un volto familiare fece capolino dalla porta socchiusa: il sorriso di Dana mi rincuorò immediatamente. "Si é svegliata! Mio Dio, Jill, eravamo così in pensiero per te!"

Si avvicinò di fretta e mi prese una mano tra le sue. "Cosa ti é successo?"

"É stata una serata un po' troppo pesante per i miei gusti..." le avrei spiegato tutto successivamente e con calma, poiché in quel momento preferivo tenere lontani tutti i cattivi pensieri. "Ma... Cosa intendi con eravamo?"

"Adam stava venendo qui a cercarti e ti ha trovata a terra priva di sensi. Ha pensato di portarti all'ospedale, ma dopo aver constatato che non eri ferita e non avevi nulla di rotto, ha preferito portarti a casa e farti riposare. È stato qui tutta la notte e..."

"...E quel divano é veramente scomodo, lasciatevelo dire."

Adam entrò nella stanza con il suo solito sguardo glaciale, ma stavolta accennava un sorriso. "Sono contento che tu stia bene."

Sorrisi. Ovviamente mi faceva piacere che si fosse preoccupato per me."

“Vado a prepararti qualcosa da mangiare" disse Dana, uscendo dalla stanza.

"Mi dispiace per avervi fatto spaventare. Non so bene cosa mi sia successo."

"Pensa solo a rimetterti in sesto." Mi accarezzò la guancia, come aveva fatto tante altre volte, poi mi mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio. "Non vedo l'ora di passare del tempo con te."

Si avvicinò e mi diede un bacio fugace, poi si rialzò in piedi. "A presto, Jill."

Rabbrividii. Se possibile quelle attenzioni che mi aveva riservato negli ultimi tempi erano ancora più inquietanti del suo comportamento usuale, soprattutto perché non sapevo minimamente come interpretare i suoi pensieri.

Dana tornò poco dopo con un vassoio pieno di cibi di ogni genere. "Non ti aspetterai mica che mangi tutto questo ben di Dio, spero!"

Ridacchiò. "Puoi prendere quello che vuoi, ma devi recuperare le forze!"

Poco dopo mi fece la fatidica domanda: "Puoi dirmi cosa ti é successo ieri sera?"

Con la voce tremante cominciai dunque a raccontarle dell'incontro con mio padre. Mantenni la calma, per quanto possibile. Avevo deciso che non volevo avere nulla a che fare con lui, non mi importava quanto fosse cambiato. Quell'incontro fortuito era stato semplicemente un modo per riaprire le ferite del passato, ma ora era giunto il momento di richiuderle.

"Mi dispiace che tu abbia vissuto questa brutta esperienza, ma stai tranquilla, sai che andrà tutto bene."
“Lo so” risposi, e ne ero sicura.


 
***


Il giorno seguente ricevetti una telefonata inaspettata: "Richard, da quanto tempo! Allora non sei morto!"

"Non so se ridere o piangere per questa tua infelice uscita."

"Hai ragione, non ho uno spiccato senso dell'umorismo. Ciò che volevo dire é che non ho tue notizie da una vita."

Mi ero ripresa quasi completamente dalla disavventura che mi era capitata e avevo anche quasi dimenticato quello strano personaggio che è Richard Hamilton. Ecco perché fui stupita nel sentire la sua voce.

"Scusami, ho avuto alcune faccende importanti da sbrigare al lavoro. Comunque i miei non hanno fatto passare un giorno senza nominarti ed elogiare la tua persona."

"Ne sono felice" commentai, quasi compiaciuta. "L'ultima volta che ci siamo sentiti hai menzionato una sorpresa, se non erro."

"Oh sì, era proprio ciò che stavo per dirti. Devi sapere che un paio di volte l'anno io e la mia famiglia partiamo per trascorrere qualche giorno alle Hawaii, dove abbiamo una casa per le vacanze."

"Mia madre sarebbe entusiasta se tu volessi venire con noi."

Spalancai gli occhi. "Sei impazzito?!"

All'altro capo del telefono il ragazzo sembrò esitare. "Sono sicuro che ti piacerà."

"Ti richiamo."

Sentii un flebile "Ma Jill..." e riattaccai senza dargli la possibilità di proseguire.

"Dana?!" Chiamai, con l'agitazione nella voce. La mia amica si precipito immediatamente nella stanza e mi chiese, allarmata: "Cos'è successo?!"

Dopo averle raccontato l'accaduto, mi disse: "Ci sono almeno un milione di ragioni valide per accettare subito!"

"Dov'é andato a finire il fai quello che ti senti?"

"Non starai mica pensando di rifiutare! Riflettici: sole, mare, lusso e ricchezza. Chi direbbe di no? E un più ti pagherà per aver recitato la parte della fidanzata aristocratica ed innamorata. Cosa si potrebbe chiedere di più?"

"É vero, ma non so se ce la posso fare. Già è stato difficile fingere per una seria, figuriamoci per giorni interi."

Mi disse che in fondo non avevo nulla da perdere. "Non sai quanto ti invidio: magari mi fosse capitata un'occasione del genere."La abbracciai. "Sono sicura che la vita ha in serbo tante cose belle per te."

La sua voce era rotta dalla commozione: "Lo spero tanto. Su forza, cosa aspetti a comunicare la tua decisione a Richard?"Presi il telefono e feci partire la chiamata. "Quando partiamo?"

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Capitolo 12
*** 11. ***


- Capitolo undicesimo -

 
"Richard" sussurrai. "Sto per vomitare."

Non mi ero resa conto subito che un viaggio fino alle Hawaii avrebbe comportato diverse ore di aereo, che a loro volta potevano essere trascorse in balia di eventuali correnti e perturbazioni. E soprattutto non immaginavo di stare male in aereo. L'unica volta in cui ne avevo preso uno era stato quando avevo deciso di scappare di casa per andare a stare dai miei nonni materni, ma mio padre l'aveva scoperto e mi aveva subito rispedita a casa.

Comunque, il jet privato degli Hamilton aveva iniziato a percorrere dei vuoti d'aria che mi stavano facendo contorcere lo stomaco.

Allora Richard mi porse un sacchettino e sua madre, che era seduta su una poltrona poco distante, mi chiese: "Tesoro, cosa ti succede? Non credevo che una ragazza abituata ai lunghi viaggi potesse stare male in aereo."

Lunghi viaggi, io? Ah, giusto, dimenticavo di essere una ragazza di nobili origini che di sicuro aveva viaggiato in tutto il mondo ed alloggiato nei migliori hotel.

Sorrisi. "Infatti non é per l'aereo, é solo che..."

"Non sarai mica incinta?!" esclamò la signora Hamilton, strabuzzando gli occhi. "Ho sempre detto a mio figlio di volere dei nipoti, ma non credo sia il momento adatto, non siete nemmeno sposati!"

"Mamma, calmati" disse il mio fidanzato mentre per l'ennesima volta diventava rosso dalla vergogna. "Non credo proprio che Jill sia incinta, è solo che a colazione ha esagerato con le brioche."

Annuii, mentre sorridevo nervosamente. Prima ero in dolce attesa e adesso sembravo un'ingorda che divorava croissant incapace di controllarsi.

A bordo c'erano anche Eden, che aveva trascorso tutto il tempo con le cuffie e la musica ad alto volume, e Brandon, il maggiordomo, sempre in attesa di un ordine.

Fortunatamente superammo la perturbazione poco dopo e io mi alzai a sgranchirmi le gambe e respirare profondamente.

"Brandon, per cortesia, ti dispiacerebbe andare a svegliare mio marito? Non manca molto all'arrivo e avrà bisogno di darsi una sistemata."

Thomas Hamilton, infatti, era andato nella camera da letto adiacente. Praticamente su quel mezzo mancavano solo una piscina e un campo da tennis.

Notai che nessuno aveva mai provato a coinvolgere Eden nelle nostre conversazioni; sembravano quasi aver paura di una sua reazione. Quella ragazzina mi incuriosiva sempre di più.

 
***

"Si avvisano i Signori passeggeri che a breve inizieremo le manovre di atterraggio, pertanto vi invitiamo ad accomodarvi ed allacciare le cinture di sicurezza."

Avevo già eseguito l'ordine appena il pilota aveva iniziato a parlare. Istintivamente presi la mano di Richard e sussurrai: "La prossima volta viaggiamo in nave... Pardon, con il mio lussuosissimo yacht."

Lui scoppiò a ridere. "Sono contento che tu pensi già ad un'ipotetica prossima volta."

Alzai gli occhi al cielo; quel ragazzo era irrecuperabile.

Per la prima volta guardai fuori dal finestrino, mentre cercavo di rilassarmi. La vista dell'acqua cristallina era un piacere per gli occhi; era uno spettacolo talmente mozzafiato che quasi mi faceva commuovere. Il pilota si stava sicuramente preparando per l'atterraggio, perché mi sembrava che quell'acqua fosse sempre più vicina. Sperai che non sopraggiungessero dei problemi proprio durante la fase di atterraggio.

"Sai che mi stai bloccando l’afflusso di sangue alla mano?" la voce di Richard mi destò dai miei pensieri.

"Scusami, non me ne ero accorta!" ed allentai la presa.

La signora Hamilton osservò quella scena e sorrise, mentre io mi sentivo più finta che mai. Nonostante non provassi grande simpatia nei suoi confronti, era evidente che tenesse enormemente al figlio e desiderasse solo il meglio per lui.

Il problema é che il meglio non ero di certo io.

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Capitolo 13
*** 12. ***


- Capitolo dodicesimo -



Dopo aver raggiunto una delle isole con il motoscafo della famiglia Hamilton - ve lo sareste mai aspettato? - mi trovai di fronte un'immensa abitazione in riva al mare.
 
"Benvenuta a Villa Hamilton!" esclamò Claire, con un enorme sorriso. "Quando sentiamo il bisogno di evadere dal quotidiano, veniamo sempre a rifugiarci qui."
 
"É meravigliosa" osservai stupefatta, e non stavo mentendo.
 
"Vieni cara" riprese. "Non preoccuparti per le valigie, ci penserà Brandon a portarle dentro. Nel frattempo ti faccio fare il giro della casa."
 
Scoprii che la villa era composta da soggiorno, sala da pranzo, cucina, bagno e studio al piano terra, quattro camere e due bagni al primo piano, oltre ad un enorme giardino con piscina sul retro. Per di più, la parte anteriore si affacciava su una spiaggia di fine sabbia bianca.
 
Le stanze erano tutte arredate in modo elegante ma pratico, il tutto in uno stile moderno e davvero gradevole.
 
"E questa è la camera di Richard, che suppongo condividerete!"
 
Non mi aspettavo quella frase, anche se avrei dovuto immaginare qualcosa del genere. In fondo eravamo fidanzati.
 
"Certamente" feci un largo sorriso, cercando di ignorare l'imbarazzo che sopraggiungeva.
 
"D'accordo, allora ti lascio riposare per un po'. Ci vediamo a cena, a più tardi!"
 
E richiuse la porta dopo essere uscita allegramente. Beh, di sicuro con lei non ci si poteva annoiare.
 
Il maggiordomo nel frattempo aveva portato le valigie nella camera; a quanto pare erano già tutti d'accordo su dove avrei dormito. Cominciai a disfare i bagagli, depositando gli indumenti sul grande letto bianco, per poi stabilire il luogo ideale in cui riporli. Mentre compivo quelle operazioni, pensai a ciò che mi stava accadendo.
 
Mi trovavo a migliaia di chilometri da casa, recitando una parte, vivendo una vita che non mi apparteneva, solo perché un ragazzo non aveva il coraggio di affrontare i propri genitori.
 
Se qualche mese prima mi avessero detto quello che mi sarebbe accaduto, probabilmente sarei scoppiata a ridere. Mentirei se dicessi che tutto quel lusso non mi piaceva, ma sentivo che qualcosa non andava; avvertivo una sensazione fastidiosa che non mi dava tregua e che aveva iniziato tormentarmi sin da quando avevo incontrato Richard per la prima volta.
 
Mi guardai allo specchio e il riflesso sembrò suggerirmi: "Ricordati chi sei e qual è il tuo posto." Non ero una principessa, ne' una celebrità e nemmeno una ricca ereditiera di qualche uomo influente. Ero una sgualdrina con un padre alcolizzato e una madre morta dopo anni di dolore e patimenti.
 
La verità è che negli ultimi anni erano accadute troppe cose e io mi sentivo come al centro di un vortice senza fine; la situazione poteva sfuggirmi di mano in qualsiasi momento.

 
***
 
 
"Richard, perché non hai detto a tua madre di farmi dormire nella stanza degli ospiti?"
 
Il ragazzo aveva fatto il suo ingresso pochi minuti dopo e non gli avevo lasciato il tempo di aprire bocca, anche se forse il mio tono era stato più severo di quanto volessi.
 
"Hai ragione, ma mi sembrava troppo strano. D'altra parte siamo fidanzati, cosa c'è di stano nel dormire nello stesso letto?" aveva un tono innocente, ma la frase non fece che aumentare il mio disappunto.
 
"A volte penso che questa storia del fidanzamento ti stia sfuggendo un po' di mano."
 
Annuì, quasi a voler sottintendere che la mia frase era veritiera. "D'accordo, dormirò su quel divano."
 
Lo ringraziai e continuai a sistemare le mie cose, ma poi mi sentii in colpa e dissi: "Posso dormirci io lì, se vuoi."
 
"Non ti preoccupare, lo faccio volentieri, soprattutto dopo quello che hai fatto per me e che ancora stai facendo. E poi sei l'ospite!"
 
Aveva pronunciato quella frase in un modo così vivace e cerimonioso che mi fece scoppiare a ridere. "Sei buffo sai?"
 
"Perché, che ho fatto?" mi guardò perplesso mentre alzava le spalle.
 
"Non lo so, sei dolce e spontaneo, una persona autentica."
 
"Grazie, è un complimento bellissimo."
 
Fu per merito di quella conversazione piacevole che ritrovai un po’ di buonumore.
 
Non aggiunsi altro, perché subito dopo la signora Hamilton venne ad annunciare che la cena era quasi pronta. Decisi perciò di fare una doccia veloce ed indossare qualcosa di carino. In occasione della vacanza, Richard aveva insistito per comprarmi alcuni vestiti adatti a diverse occasioni. Avevo insistito subito per restituirglieli, ma lui non aveva voluto sentire ragioni.
 
Optai dunque per un vestito azzurro con le spalline di cui mi ero subito innamorata, insieme ad un paio di eleganti scarpe bianche con il tacco. Quando uscii notai che Richard aveva indossato una camicia bianca e un paio di pantaloni neri, e devo ammettere che era piuttosto carino.
Scendemmo le scale mano nella mano e mantenemmo quel contatto anche mentre facevamo il nostro ingresso nella sala da pranzo.
 
Il Signor Hamilton applaudì stupefatto, mentre la moglie esclamava: "Santo cielo, siete bellissimi, sembrate una coppia di star del cinema!"
 
Arrossii, sicura che Richard stava facendo lo stesso. "Grazie, siete troppo buoni."
 
Ci accomodammo a tavola, l'uno accanto all'altra, mentre attendevamo l'arrivo di Eden.
 
"Per stasera il cuoco ha preparato dei piatti davvero speciali, in onore della nostra ospite."
 
"Non dovevate fare tutto questo per me" dissi, sfoggiando tutta la cortesia di cui ero capace. "Potrei sdebitarmi cucinando a mia volta qualcosa per voi, nei prossimi giorni."
 
"Non essere sciocca, non devi preoccuparti per i pasti, altrimenti a cosa servirebbero i domestici?"
 
È irrecuperabile, pensai, e senza farmi notare alzai gli occhi al cielo.
 
"Buonasera a tutti!" una voce a me sconosciuta mi impedì di rispondere all'affermazione che mi aveva infastidita. Eden era entrata raggiante come non mi sarei mai aspettata di vederla. I suoi genitori erano sconvolti e suo fratello domandò: "Eden, ti senti bene?"
 
Mentre la ragazza si sedeva al suo posto, iniziò a parlare: "Volevo chiedere scusa a tutti per avervi fatto preoccupare. In questi mesi sono stata insopportabile, so di avervi feriti e mi accorgo solo ora di ciò che ho fatto. Volevo dirvi che ho trascorso dei momenti orribili e non avevo idea di come avrei fatto a risalire dal baratro in cui ero caduta, ma ora sto bene. Preferirei non spiegarvi i motivi per i quali sono stata male, ma ora sono felice. Scusatemi tutti."
 
Nella sala era sceso il silenzio, nessuno sapeva bene come comportarsi, fino a che Claire Hamilton si alzò dal suo posto e corse ad abbracciare la figlia e, tra le lacrime, le disse: "Tesoro, sono così felice che tu stia bene! Ti prego, non farci più preoccupare in questo modo, eravamo così in pensiero per te!"
Non la sgridò, non le fece alcuna domanda, si limitò a stringerla tra le sue braccia. Richard e suo padre si guardarono, alzarono le spalle e si sorrisero a vicenda. Nel frattempo io fui commossa dalla scena e innumerevoli pensieri mi offuscarono la mente: ripensai alla mia situazione e considerai che in fondo gli Hamilton non erano così male come genitori.

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Capitolo 14
*** 13. ***


- Capitolo tredicesimo - 


 
"Non ti sembra incredibile? Sei il mio ragazzo e non so quasi nulla di te."
 
Mi sistemai gli occhiali da sole sul naso, non prima di aver accuratamente steso l'asciugamano sulla sdraio accanto a quella di Richard. Lui stava leggendo un giornale sotto all'ombrellone, mentre io volevo approfittare del sole rovente per abbronzarmi un po'.
 
Dopo la mia osservazione il ragazzo posò subito il quotidiano e mi guardò, divertito. "Hai ragione. Fammi qualsiasi domanda e io ti risponderò."
 
"Allora" esordii, mossa da una certa curiosità. "Potresti iniziare raccontandomi qualcosa su di te."
 
Si sistemò più comodamente sulla sua sdraio ed iniziò: "Innanzitutto devi sapere che il mio nome completo è Richard Peter Edward Lawrence Hamilton e..."
 
Non riuscì a proseguire perché nell'udire il suo nome completo ero scoppiata a ridere. "Un secondo nome non te l'hanno dato?"
 
"Ecco, lo sapevo" disse, mettendo il broncio. "E’ per questa ragione che non dico mai a nessuno il mio nome completo. Comunque sappi che è frutto di una lunga tradizione famigliare e io ne vado fiero."
 
"D'accordo, scusami" dissi, ritrovando la serietà. "Continua pure."
 
Mi raccontò che voleva un gran bene alla sua famiglia anche se, come avevo potuto constatare di persona, a volte erano troppo pressanti e Richard si sentiva soffocare. Mi raccontò anche che andava molto d'accordo con sua sorella, ma solo negli ultimi anni, poichè da piccoli non facevano altro che litigare.

Nonostante appartenessero ad una famiglia benestante, Eden e suo fratello non si erano mai montati la testa ma, al contrario, avevano sempre cercato di porsi dei limiti e condurre una vita "normale".

Infine m
i raccontò che da piccolo era molto timido e faceva fatica a trovare dei nuovi amici. La situazione era migliorata durante l'adolescenza; frequentò una scuola privata dove trascorse dei begli anni. 
 
"Ti ricordi i miei amici al supermercato?" Annuii. "Li ho conosciuti al liceo e fummo subito inseparabili. Sono un po' scemi, ma alla fine gli voglio veramente bene. E poi se non ci fossero stati loro con quella stupida scommessa non ti avrei mai conosciuta."
 
Lo guardai e sorrisi.
 
"Ma ora dimmi di te!"
 
"Sinceramente non saprei cosa dirti." Osservai il mare cristallino che brillava come un grande distesa di pietre preziose. "La mia vita non é stata facile e di certo non ho fatto cose di cui vado fiera..."
 
"Stai tranquilla, non ti giudicherò."
 
Incoraggiata da quelle parole gli raccontai della mia infanzia, dei miei genitori problematici, di Dana, degli anni difficili trascorsi a scuola, della mia passione per l'arte, dei problemi con il lavoro e della strada che avevo preso.
 
"Wow" commentò alla fine. "Dovresti scrivere un libro sulla tua vita."
 
Ridacchiai. "Certo, come no! É così piena di esperienze favolose!"
 
Non aggiunse altro; forse stava riflettendo su quelle ultime parole. Non avevo mai pensato a tutto ciò che mi era accaduto sin da piccola, ma mi resi conto di riuscire a parlarne con una naturalezza e un distacco inaspettati. Forse tante ferite avevano finito per rimarginarsi, dopotutto.
 
I giorni seguenti trascorsero in totale serenità. Conobbi meglio Richard e tutta la sua famiglia, scoprii che Thomas Hamilton era a capo di una serie di banche, che sua moglie aveva lavorato per anni in una azienda di cosmetici, e che la piccola Eden aveva trovato un lavoro per l'estate in un negozio di dischi in centro dove, rivelò, amava trascorrere gran parte del suo tempo libero.
 
"Secondo me c'é di mezzo qualche ragazzo" disse suo fratello, facendole l'occhiolino. Eden arrossì e i suoi genitori se ne accorsero ma, forse per via di quella felicità ritrovata, per il momento preferirono non indagare.

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Capitolo 15
*** 14. ***


- Capitolo quattordicesimo -



Una sera, mentre cercavo di prendere sonno, mi ritrovai ad osservare Richard, il quale, considerando che continuava a girarsi ripetutamente, era con tutta probabilità intento a trovare una posizione comoda sul divano.
 
"Hey, sei ancora sveglio?" domandai a bassa voce, poggiandomi sui gomiti.
 
"Sì" rispose. "Stasera sono particolarmente scomodo."
 
"Puoi dormire qui con me, se vuoi..." proposi, cercando di ignorare uno strano e forse ingiustificabile imbarazzo. "In fin dei conti c'è spazio per entrambi."
 
Richard si mise subito a sedere. "Non farti un'idea sbagliata,  ma non potrei chiedere di meglio."
 
Ridacchiai, mentre si avvicinava e si copriva sotto il lenzuolo bianco. I nostri sguardi si incrociarono e restammo a guardarci per alcuni interminabili secondi.
 
In quegli occhi verdi riuscii ad intravedere  di tutto: era chiaramente in imbarazzo, forse anche più di me, ma cercava di nasconderlo; ma vi lessi anche una sorta di serenità, e il fatto di poter essere uno dei motivi della sua contentezza mi rendeva felice a mia volta.
 
Chiusi gli occhi senza smettere di sorridere e mi addormentai con la mia mano stretta alla sua.
 
***
 
Il giorno seguente telefonai a Dana per sapere se ci fossero delle novità a casa.
 
"Ciao, Jill! Come va laggiù? Ti stai divertendo? "
 
Risposi che era un posto incredibile e che mi stavo decisamente rilassando.
 
"Sono davvero felice di sentirtelo dire. Ascolta, mi dispiace dirtelo così, per telefono, ma c'è una cosa che devi sapere... Tuo padre è stato qui."
 
Avvertii immediatamente una morsa allo stomaco. "C-cosa voleva?"
 
"Ha detto di volersi scusare con te per quello che ti ha fatto e per essere ripiombato nella tua vita senza preavviso... Io gli ho solo detto che non ci sei e che non so quando tornerai."
 
"Grazie, hai fatto bene" risposi, mentre le lacrime cominciavano ad offuscarmi la vista. "Non vuole proprio lasciarmi in pace..."
 
"So che non condividerai ciò che sto per dirti" riprese. "Ma mi è parso sinceramente pentito e sembrava davvero disposto a ricominciare da capo e rimediare ai suoi errori... Se fossi al tuo posto, considererei l'idea di dargli una seconda possibilità."
 
Quelle parole mi fecero agitare. "Dana, sai tutto quello che ho passato e cosa mi è successo quando l'ho incontrato quella sera. Non riesco nemmeno a guardarlo in faccia e tu mi suggerisci di ricominciare fingendo che non sia mai successo nulla. Spero tu stia scherzando..."
 
"No, affatto. Se avessi visto in che condizioni si trovava capiresti perché ti sto dicendo tutto questo."
 
Non volevo rispondere male alla mia migliore amica ne' ferire i suoi sentimenti, perciò mi limitai a chiudere il discorso dicendo: "Preferirei non parlare più di questo argomento."
 
"Come vuoi..." rispose, e dopo queste parole trascorsero alcuni secondi di totale silenzio.
 
"E... Adam? Si sa qualcosa di lui?" chiesi, per spostare la conversazione su argomenti meno spiacevoli.
 
"No, non si è fatto vivo da queste parti. Ma non ti preoccupare, probabilmente ha da fare al lavoro."
 
Sperai vivamente che avesse ragione e in quel momento mi resi conto che non avevo idea di cosa facesse per guadagnarsi da vivere.
 
Chiacchierammo ancora un po' dell'isola e degli Hamilton, poi ci salutammo affettuosamente. La questione di mio padre mi aveva scossa di nuovo, e più volte dovetti reprimere un senso di soffocamento indescrivibile. Ma alla fine riuscii a mantenere la calma.
 
Fino a quella sera.
 
***
 
Dopo cena, Richard si sedette come al solito in soggiorno a controllare la posta elettronica con il suo tablet. Accanto alla zona dei divani si trovava una grande porta scorrevole di vetro, che dava su una veranda con delle poltrone in vimini e che aveva un accesso diretto alla spiaggia. Seduta su una delle poltrone c'era Eden, la quale stava era intenta ad utilizzare il suo cellulare..
 
I signori Hamilton erano stati invitati ad una festa su un'altra isola, perciò eravamo rimasti a casa solo noi tre.
 
Dato che non volevo disturbare Richard concentrato sulla sua attività, decisi di andare in veranda a godermi il rumore delle onde.
 
"Ciao Eden, posso farti compagnia?"
 
"Certo, accomodati" mi indicò la poltrona libera.
 
Dopo averla ringraziata mi sedetti comodamente e chiusi gli occhi. Avevo scoperto che il mare mi aiutava a rilassarmi come nient'altro al mondo. Un giorno comprerò una casa al mare, mi ripromisi, sorridendo amaramente. Non sapevo come avrei mai potuto permettermene una.
 
Quando riaprii gli occhi vidi che Eden stava sorridendo e la sua espressione felice durò parecchi secondi. Sembrava proprio che il mondo attorno a lei non esistesse.
 
"Jill, posso farti una domanda?"
 
"Certamente" risposi, stupita ma anche contenta.
 
"Il fatto è che c'è questo ragazzo..."
 
Allora Richard aveva ragione.
 
"Lui mi piace molto e da quello che mi dice credo di piacergli anche io, è solo che..."
 
Quel dialogo sembrava in tutto e per tutto quello tra due sorelle e la cosa mi fece immensamente piacere. Eden sembrava la sorellina che non avevo mai avuto e che avevo sempre desiderato.
 
"È solo che ha qualche anno più me e magari la differenza d'età potrebbe essere un ostacolo."
 
Capisco. Posso chiederti qual è la differenza d'età?"
 
"Circa sei anni e mezzo."
 
Dopo averci riflettuto alcuni istanti, giunsi alla conclusione che non era affatto un problema. L'importante alla fine è ciò che provate l'uno per l’altra; se davvero tiene a te saprà capirti e rispettarti nonostante gli anni che vi dividono."
 
Sorrise. "Probabilmente hai ragione, ma non è solo questo. Sai, a volte mi sembra si comporti in modo un po' strano..."
 
"In che senso?"
 
"Diciamo che a volte è indecifrabile. L'ho conosciuto al negozio di dischi, siamo entrambi dipendenti, e ci sono giorni in cui parla poco o quasi per niente, e io non riesco a capire cos'abbia, se sia di malumore o sia semplicemente un ragazzo di poche parole. Ma ci sono anche giorni in cui parliamo di tutto e scherziamo e in questi momenti mi sembra di avere di fronte un'altra persona. Diciamo che è un ragazzo misterioso, ecco."
 
Mi ritrovai a pensare che la descrizione corrispondeva perfettamente a quella di Adam, ma sicuramente si trattava solo di una coincidenza.
 
"Vuoi vedere una sua foto?" chiese,  con gli occhi che le brillavano.
 
"Perché no?"
 
Sfogliò la galleria di immagini del cellulare e si soffermò su quella di una figura maschile: i capelli neri e gli occhi azzurri erano esattamente gli stessi, ma ciò che notai poi non mi lasciò alcun dubbio: il sorriso enigmatico e magnetico era proprio quello di Adam.

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Capitolo 16
*** 15. ***


- Capitolo quindicesimo -



È uno scherzo, ti prego, dimmi che non è vero.


"Ah, mi sono scordata di dirti che si chiama Adam, non è un nome bellissimo?"

Inutile dire che rimasi senza parole e dalle mie labbra non uscì più alcun suono.

No, non è vero. È solo un brutto sogno.

"S-scusa, ora devo andare..."

E mi alzai di scatto; quel movimento brusco mi provocò le vertigini. Sotto shock, camminai con passi incerti attraversando il salotto, senza fare caso a Richard che mi chiamava.

Mi precipitai su per le scale e poi in camera, poi chiusi la porta alle mie spalle ed iniziai a piangere.
Si è innamorato di un'altra persona!

Le cose avevano iniziato nuovamente ad andare male tutte insieme e io ero giunta alla conclusione di non poterne più. Non arrivai nemmeno al letto, mi sedetti accanto ad esso e lasciai che tutte le lacrime che avevo percorressero le mie guance.

Pochi istanti dopo la porta si aprì. "Jill, cosa succede?"

Richard mi si avvicinò immediatamente,  si accomodò accanto a me e mi strinse a sé, cingendomi le spalle con un braccio ed accarezzandomi il visto con l’altro.

Piansi talmente forte che non riuscii a parlare per diversi minuti. Non so con precisione per quanto restammo in quel modo, ma a me parve un'eternità.

"Ti prego, dimmi perché piangi..."

"Perché sono una stupida illusa che si mette in testa delle idee che non corrispondono alla realtà. E per di più ora mi faccio schifo da sola per quello che sono e ho fatto."

Avvertii la sua perplessità e fu allora che mi sfogai, dando voce a tutte le preoccupazioni e i sentimenti: "Credo di essermi innamorata di uno dei miei clienti e lui ovviamente non ricambia, capisci? Sono stata io che non ho capito nulla. Ma non doveva succedere in ogni caso, non avrei dovuto lasciarmi coinvolgere. E non ha importanza perché adesso Adam frequenta tua sorella ed è per questo che non mi ha più contattata. Sono solo una scema. E per di più ora mio padre è riapparso dal nulla nella mia vita e io vorrei solo che morisse proprio come lui ha finito per uccidere la mamma."

Richard non disse nulla, probabilmente perché erano troppe informazioni da metabolizzare. E comunque non mi ero mai confidata con lui in questo modo ed era senza dubbio rimasto disorientato.

Durante il monologo avevo continuato a piangere e lui a tenermi stretta; si limitò ad accarezzarmi dolcemente senza dire una parola. "Stai tranquilla, ci sono io con te" disse semplicemente, per poi lasciarmi un bacio sui capelli.

Poi, senza bene sapere come, mi addormentai di colpo.

 
***

Quando riaprii gli occhi mi accorsi di essere sdraiata sul letto e le braccia di Richard mi avvolgevano di nuovo. Istintivamente mi alzai e lui dovette avvertire quel movimento, perché si svegliò subito.

"Jill, ti senti meglio?"

La testa mi martellava con insistenza e in quel momento mi resi conto di ciò che era accaduto la sera prima.

"Sì, mi sento meglio, ma non sto affatto bene. Per l'ennesima volta nella mia vita mi ritrovo a dover rimettere insieme i pezzi. Sicuramente in parte è anche colpa mia, che mi metto in condizione di ingigantire anche i minimi problemi,  che sommati a quelli più grandi mi fanno inevitabilmente crollare. Ci deve essere qualcosa che non va in me."

Richard mi si sedette accanto. "Non sono d'accordo. Non c'è niente di sbagliato in te, è solo che sei sensibile ed evidentemente ciò che ti è accaduto nella vita ti ha portata a reagire in maniera particolare alle sfide che devi affrontare. Da quel poco che ti ho conosciuta ho capito che sei veramente una persona speciale, coraggiosa,  dolce ma combattiva, e sono sicuro che riuscirai a superare tutto. Non ho mai conosciuto nessuno come te."

Lo abbracciai, commossa dalle sue parole.

"Io credo di amarti..."

Mi ritrassi immediatamente. "Ti prego, dimmi che stai scherzando."

"Non sono mai stato più serio in tutta la mia vita."

"No, no!" Mi alzai dal letto e cominciai a camminare nervosamente per la stanza. "È tutto sbagliato, io sono sbagliata, non fare l'errore di innamorarti di una come me!"

"Purtroppo non è una cosa su cui ho il controllo. Ascoltami, potresti essere felice con me, avresti tutto ciò di cui hai bisogno." Si alzò e mi si avvicinò per poi cingermi le spalle. "Ti riempirei di regali e potresti avere una vita meravigliosa!"

Gli presi le mani tra le mie e risposi: "Sei un ragazzo meraviglioso e sono davvero felice che tu sia entrato nella mia vita, ma non potrei stare con te solo per interesse,  è una cosa che non farei mai e poi mai."

Andai verso l'armadio da cui presi la mia valigia. "Mi dispiace ma è giunta l'ora che io torni a casa..."

"Cosa?! No!"

"Non riesco più a stare qui a fingere di essere la tua ricca e perfetta fidanzata. Inoltre ci sono delle cose che devo sistemare a casa... E tu devi assolutamente trovare il coraggio per dire la verità ai tuoi."

Cominciai a riporre nervosamente gli abiti nella valigia, quando ad un tratto qualcuno bussò alla porta e, senza attendere una risposta, Claire Hamilton entrò nella stanza. Ciò che si presentò davanti ai suoi occhi era una scena decisamente inusuale: suo figlio era seduto sul letto in evidente disagio, mentre la sottoscritta,  su di giri per la situazione,  si muoveva per la stanza raccogliendo oggetti di ogni tipo.

"Ragazzi, posso sapere cosa sta succedendo? "

Non sapevo bene cosa rispondere ma non ce ne fu bisogno, poiché fu Richard a prendere la parola. "Mamma, c'è una cosa che devo dirvi..."

 
***
 
La signora Hamilton era sdraiata sul divano in evidente stato di shock, mentre il marito le teneva la mano e cercava di confortarla.

A dire il vero anche io ero rimasta stupita dalla improvvisa decisione di Richard di rivelare loro tutta la verità.

"Mi dispiace di avervi delusi, non era mia intenzione,  ma non avreste dovuto insistere perché mi fidanzassi così in fretta, soprattutto dopo che vi avevo detto di non essere affatto pronto per sposarmi."

"Forse hai ragione, figliolo" disse Thomas Hamilton. "Avremmo dovuto darti ascolto allora e cercare di trovare un punto d'incontro."
Sua moglie invece non aveva ancora ritrovato l'uso della parola.

Ci trovavamo tutti in soggiorno e mi sembrava di vivere una scena surreale: Richard aveva finalmente trovato il coraggio di affrontare i suoi genitori e uno di loro l'aveva persino presa bene.

"Mi dispiace per tutto ciò che è successo" intervenni io. "Ho cercato di aiutare Richard; credo che aspettasse solamente il momento giusto per parlarvi a cuore aperto."

La signora Hamilton parlò per la prima volta: "Ma allora tutta questa messinscena serviva solo a convincerci che avevi deciso di sistemarti... Quando pensavi di dirci che era tutta una farsa?"

"Inizialmente tutto è cominciata come un gioco, ma poi ho iniziato ad affezionarmi a Jill, perché è stata lei a darmi la forza di andare avanti ed avere coraggio, anche se è entrata nella mia vita da poco. Grazie a lei mi sento una persona migliore."

Mi regalò uno dei suoi sorrisi più dolci e mi commossi. In quei giorni stavo provando un intricato insieme di sentimenti contrastanti e piangevo come mai mi era accaduto nella vita.

Comunque Richard non rivelò mai loro la mia vera identità; gli Hamilton non seppero cosa facevo per guadagnarmi da vivere, ma solo che non ero ricca come loro.

"Dato che vuoi tornare a casa, sarò felice di accompagnarti" concluse infine.

I bagagli erano ormai pronti.

"Scusate ancora" dissi agli Hamilton, sulla soglia della loro splendida villa.

"Non preoccuparti cara” disse il padre di Richard. "Credo che da questa storia abbiamo tutti qualcosa da imparare."

Claire invece, che era di poche parole, e si limitò a dire: "Fate buon viaggio."

Infine salutai anche Eden.

"Arrivederci Jill, è stato bello averti qui, sono felice di averti conosciuta."

"Lo stesso vale per me" ed ero sincera.

Non ero arrabbiata con lei per Adam; non poteva nemmeno lontanamente immaginare che già ci conoscessimo. E, visti i nostri trascorsi, forse era meglio che non lo sapesse.

Terminati i saluti mi sedetti accanto a Richard sui sedili posteriori e, con Brandon alla guida, partimmo alla volta dell'aeroporto. 

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Capitolo 17
*** 16. ***


- Capitolo sedicesimo -



Dana mi accolse in casa con un abbraccio.

"Sono così felice che tu sia qui! Ma perché hai deciso di tornare così presto?"

"Perché alla fine abbiamo raggiunto l’epilogo di questa strana storia: Richard ha trovato il coraggio dire tutta la verità ai suoi genitori."

Mi sdraiai sul divano, esausta per il viaggio, mentre Dana si sedette su una poltrona poco distante.

"Peccato però, avresti potuto fare quella vita ancora per un po'..."

"A dire la verità sono contenta che sia finita, almeno da ora potrò tornare ad essere me stessa, e comunque se avessi continuato avrei finito per abituarmici, e tornare alla vita reale sarebbe stato veramente difficile."

La mia amica sembrò rifletterci qualche istante, poi decretò che avevo ragione.

"Dimmi una cosa, mio padre si è fatto vivo di nuovo?" chiesi poi, cercando di non perdere la calma.

"È stato qui praticamente ogni giorno. Ieri l'ho fatto salire e abbiamo parlato a lungo. Ovviamente non sa cosa facciamo per vivere, ma abbiamo parlato di molte altre cose. Ha detto che ha chiuso con l'alcol da diverso tempo e che non si darà mai pace per quello che ha fatto a te e a tua madre. Mi ha anche detto che lavora in un negozio di antiquariato, che la paga è buona ed ha trovato una certa stabilità. Ah, mi ha pregato anche di darti una cosa..."

Si diresse verso la sua camera,  per poi tornare con una busta bianca.

La afferrai, nonostante una parte di me mi suggerisse di stracciarla.

"Grazie, la leggerò questa sera. Ora però mi riposerò, farò una bella doccia e poi uscirò: ho una cosa importante da fare.”

 
***

Avevo il cuore gonfio dalla tristezza e sapevo che, nonostante non ci saremmo più rivisti, era necessario incontrare Adam per un ultimo confronto.

Quando aprì la porta fu chiaramente sorpreso.  "Ciao, Jill! A cosa devo questa visita inaspettata?"

"Posso entrare?" domandai a mia volta, senza far trasparire alcuna emozione.

Mi fece cenno di accomodarmi e mi sedetti sul divano.

"Non voglio rubarti del tempo, ma ho alcune cose da dirti."

Il modo migliore per togliermi quel peso dallo stomaco era dire tutto e subito, non tanto nella speranza che ricambiasse i miei sentimenti, ma perché sapevo che se volevo lasciarmi Adam alle spalle avevo bisogno di tirare fuori tutto quello che provavo.

"Ci conosciamo da diverso tempo ormai, ma recentemente mi sono resa conto di provare qualcosa per te, che va ben oltre il legame fisico che abbiamo instaurato. Mi ero persino convinta che tu provassi la stessa cosa, e l'ho fatto basandomi su alcune piccole attenzioni che mi hai dedicato, ma ora ho scoperto che non è affatto così."

Adam sembrò sorpreso da quella confessione e, prima di rispondere, pensò alle parole giuste da dire.

"Mi dispiace di averti dato questa impressione, avrei dovuto mantenere la nostra relazione esclusivamente sul piano ‘professionale’. Ma i gesti che ho fatto erano semplicemente per gentilezza e non significavano nulla di più..."

Per la prima volta lo vidi parlare apertamente in modo chiaro e sincero, e per di più sembrava davvero dispiaciuto.

"Ma dimmi, cos'è che hai scoperto?"

Gli raccontai allora di Eden, di quello che era accaduto alle Hawaii e di quanto la ragazza fosse presa da lui.

"Non so bene cosa abbia passato negli ultimi mesi e forse non lo saprò mai, ma non importa, perché tu l'hai salvata. Ha ricominciato a ridere, sorridere, scherzare e chiacchierare con tutti, mentre quando l'ho conosciuta era letteralmente chiusa in sé stessa e non parlava con nessuno. "
"Anche lei in un certo senso mi ha salvato e mi sta cambiando in meglio di giorno in giorno. Riesce a capirmi e farmi parlare, riesco ad esternare i miei sentimenti con più facilità e mi sento davvero una persona migliore."

"Per fortuna" commentai. "Una volta eri veramente impossibile da capire. Ti prego, trattala bene, è davvero una ragazza stupenda."
Allora mi alzai dal divano, chiaro segno che mi stavo congedando.

"Puoi giurarci, Jill. Tengo molto a lei, ma sappi che tengo molto anche a te, nonostante il mio modo di dimostrarlo sia stato alquanto strano."
Sorrisi, triste ma anche sollevata.

Lo salutai con un abbraccio. "Credo che questo sia un addio."

"Mai dire mai nella vita." rispose, con una punta di quella malizia che in fondo non l'avrebbe mai abbandonato.
"Certo, contaci."

Gli diedi un veloce bacio sulla guancia ed uscii senza più guardarlo negli occhi, in quei bellissimi ma ora meno incomprensibili occhi glaciali.
Ora arrivava la parte difficile. Dovevo dimenticarlo.

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Capitolo 18
*** 17. ***


- Capitolo diciassettesimo -

 

"Cara Jill,

Volevo fare un ultimo, disperato tentativo di implorare il tuo perdono. Non so più come fare, perciò mi appello a te, dicendoti che se avessi bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, ti basterà chiedere e io sarò felicissimo di accontentarti.

Come ti ho detto durante il nostro ultimo incontro, so che il mio comportamento è stato imperdonabile in tutti questi anni e che non esistono parole per esprimere il senso di colpa che sto provando tuttora.

So che non vorrai credermi, ma tua madre era già malata da diverso tempo, molto prima che io iniziassi a bere. Non dico che in parte la colpa non sia stata mia, ma più che della sua morte, mi sento responsabile del fatto che non sono mai stato accanto a lei, e a te, quando ne avevate più bisogno. Per questo soffro e ne porto il peso ogni giorno.

Ti ho anche detto che ora mi sto rifacendo una vita ed ho aperto un negozio di antiquariato che amo molto. Chissà, forse un giorno riuscirai a venire a trovarmi. Se non ricordo male uno dei tuoi interessi è l'arte, perciò molti oggetti potrebbero piacerti. In ogni caso ti ho lasciato un biglietto da visita, spero che la tua amica Dana poi te lo consegni.

Per ora non so che altro dirti senza cadere nel banale, quindi concludo qui la lettera. Ti chiedo solo di riflettere su tutto questo e, se puoi, dimenticare tutto quello che è accaduto e provare a ricominciare da capo. Papà."

 

"Allora, che dice, cosa ne pensi?"

Rigirai il foglio tra le mani più e più volte, mentre ripensavo a tutto ciò che mi aveva scritto.

A quel punto toccava a me scegliere se preferivo ignorarlo per il resto della mia vita oppure provare a perdonarlo e concedergli una seconda possibilità. in ogni caso, qualunque fosse stata la mia decisione, sapevo che non sarebbe stato affatto semplice.

***

Mi concessi del tempo per rifletterci, ma le parole di Dana continuavano a riecheggiare nella mia mente: "Sai bene che se deciderai di lasciar perdere potresti pentirtene per sempre."

Durante la nostra ultima conversazione aveva infatti ribadito il suo punto di vista, ma aveva aggiunto una cosa che mi aveva lasciata senza parole: "Ti prego, non fare lo stesso errore che ho commesso io."

"Di quale errore stai parlando?"

Dana, seduta sulla poltrona, aveva fissato il pavimento. "Quando me ne andai di casa, a diciassette anni, i miei genitori mi dissero di non farmi più vedere. Non mi aiutarono in alcun modo e io dovetti partire da zero con i pochi soldi che avevo messo da parte. Con il passare del tempo però si pentirono per il loro comportamento e cominciarono a cercare il modo per fare pace. Mi telefonarono, mi mandarono messaggi, ma io non risposi mai. Arrivarono addirittura a versare soldi per me, ma io avevo ancora in mente tutto ciò che avevo passato e la rabbia era troppo forte, perciò continuai ad ignorare i loro tentativi di riappacificazione."

"E poi cos'è accaduto?" domandai, stupita. Non mi aveva mai raccontato nulla sui suoi genitori, nonostante i diversi anni di amicizia che ci legavano. "Avete fatto pace alla fine?"

"No, Jill, non ho fatto in tempo. Sono morti in un incidente d'auto."

Eravamo rimaste in silenzio per una manciata di secondi, poi lei aveva aggiunto: "Non mi perdonerò mai per quello che ho fatto, o meglio, che non ho fatto."

Ero corsa subito ad abbracciarla. Avrei potuto dirle che i suoi genitori, ovunque si trovassero, sicuramente sapevano che si era pentita e l'avevano perdonata. Ma non feci nulla del genere, poiché io questa certezza non l'avevo. A volte, nel dubbio, è meglio restare in silenzio.

***

Una sera, mentre Dana era fuori, ricevetti una visita inaspettata. "Ciao, Richard, accomodati."

Il ragazzo si presentò sulla soglia con un timido sorriso. “Hey, scusami se non ti ho più chiamata da quando siamo tornati. Più volte sono stato sul punto di farlo, ma non sapevo bene cosa dirti e avevo paura di disturbarti. Allora, come ti senti?"

Gli feci cenno di accomodarsi sul divano. “Mi sento distrutta.”

"Sai, quando quella sera ti ho vista a pezzi non sapevo proprio come comportarmi. Mi dispiace per ciò che ti è successo, ma vedrai che d'ora in poi andrà sempre meglio."

Gli presi la mano e gliela strinsi forte. "Grazie per quello che hai fatto per me. Se ripenso a tutto ciò che è successo mi rendo conto che nelle ultime settimane ho vissuto veramente una favola e devo tutto a te. Il problema è che prima o poi avrei dovuto tornare alla realtà e ciò è accaduto in un modo abbastanza irruento."

Dopo alcuni istanti di silenzio, Richard mi chiese se avessi per caso riconsiderato la sua proposta, ma risposi nuovamente in modo negativo. "Sei davvero gentile e non posso negare di essermi affezionata tanto a te da quando ti ho conosciuto, ma come ti ho già detto devo prima mettere in ordine la mia vita, e sto cercando di farlo un pezzo alla volta. Ho già cominciato, ma so che ci vorrà diverso tempo e di certo non voglio chiederti di aspettarmi."

Mi prese le mani tra le sue e disse: "Penso proprio che lo farò comunque, che lo voglia o meno. Non ho mai provato nulla del genere per una ragazza, e non voglio andare avanti con la mia vita se dovrò trascorrerla chiedendomi se tra noi avrebbe funzionato."

"Ma Richard, io sono una persona complicata, conosci la mia situazione e e il mio passato e non voglio assolutamente rovinarti la vita; ho paura che sia quello che farò se non andrai per la tua strada. Lo dico per te, devi fidarti."

Avevo immaginato che le mie parole sarebbero state vane, perciò fui costretta ad aggiungere qualcosa che, in cuor mio, sapevo non corrispondere alla realtà.

"E poi io non provo assolutamente nulla per te."

Stavolta rimase senza parole. "Scusami, non l'avevo capito. Se quello che vuoi è che io ti lasci in pace d'accordo, tolgo subito il disturbo."

Alzandosi dal divano, estrasse una busta dalla giacca e me la porse, senza guardarmi in faccia. "Questi sono per l'aiuto che mi hai dato."

Gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime. "Richard, non li voglio. Non mi devi niente."

"Sì, invece" insistette. "Non avevamo stabilito un compenso, ma questo è il minimo che posso offrirti come ringraziamento per quello che hai fatto, dal momento in cui ti ho rivolto la parola per la prima volta fino ad ora. Sappi che non rimpiango nulla."

A quel punto scoppiai a piangere. "Anche io ricorderò con affetto ogni momento trascorso insieme e sono felice di lasciarti dei bei ricordi. Ma ora le nostre strade devono separarsi."

Lo abbracciai, consapevole del fatto che non avrei mai voluto allontanarlo definitivamente da me.

"E così questo è un addio?" chiese, cingendomi le spalle. "Vorrei fosse solo un arrivederci."

Non risposi e continuai a singhiozzare, poi lui se ne andò di fretta, senza più voltarsi indietro.

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Capitolo 19
*** 18. ***


- Capitolo diciottesimo -


 

Appena entrata fui pervasa da quei penetranti profumi di legno che caratterizzano mobili nuovi e antichi. Fui colpita dell'enorme quantità di orologi a pendolo e una marea di oggetti di tutti i generi, dagli utensili ai pezzi di arredamento più inutili, ma senz'altro piacevoli alla vista.

Il negozio era piuttosto ampio e, nonostante fuori il cielo fosse di un grigio scuro e minaccioso, all'interno il calore dei mobili dava l'impressione che ci fosse un sole splendente.

Era da poco passata l'ora di pranzo e, forse per via del particolare momento della giornata, non vidi alcun cliente.

Camminai tra i pezzi di arredamento e cercai di mantenere la calma e non agitarmi. Da quando avevo deciso di presentarmi in quel negozio avevo cominciato a provare una certa ansia e preoccupazione, sicuramente per paura di essere sul punto di commettere un errore.

Le gambe mi tremavano e avevo la gola completamente secca. Cosa gli avrei detto? Come mi sarei comportata?

Continuai ad avanzare e, con il cuore che mi batteva a mille, raggiunsi il bancone dove, intento ad aggiustare un pendolo, c'era mio padre.

Sembrava avesse dieci anni in più rispetto all'ultima volta che l'avevo visto. Osservandolo da vicino riuscii a vedere nel suo sguardo la disperazione di un uomo che aveva perso tutto ma, nonostante questo, mi chiesi se sarei mai riuscita a perdonarlo completamente.

Non sapevo cosa dire per attirare la sua attenzione, ma non fu necessario: appena alzò gli occhi e mi vide iniziò immediatamente a piangere, poi mi corse incontro e mi abbracciò. Non riuscii a ricambiare subito, non ero assolutamente pronta. Lo allontanai con delicatezza e riuscii a pronunciare delle frasi di senso compiuto, anche se non so come ci riuscii: "Non so cosa succederà in futuro ne' come andranno le cose tra noi. Ma voglio crederti, voglio credere che tu sia cambiato e che da ora in poi riusciremo a recuperare almeno una parte del tempo che abbiamo perduto. E mi impegnerò a superare questa storia una volta per tutte, anche se non sarà affatto semplice."

"Ti prometto che d'ora in poi potrai contare su di me per qualunque cosa. Non ti farò pressioni, ti lascerò i tuoi spazi e tu potrai venire a trovarmi quando vorrai."

Non saprei descrivere il turbinio di emozioni che provavo in quei momenti, ma sapevo che una parte di me era felice per quello che stava accadendo, anche se comunque avrei avuto bisogno di tempo per abituarmi all'idea che mio padre sarebbe entrato nuovamente nella mia vita.

"Forse potremmo iniziare andando a prendere un caffè insieme, se vuoi."

Ricominciò subito a piangere. "Non potrei chiedere di più. Tra un quarto d'ora chiudo il negozio, aspettami!"

***

A quel caffè ne seguirono molti altri. Ci incontrammo spesso per parlare, e ogni volta mio padre non mancava di ripetermi quanto si sentisse in colpa per la mamma e per questo non riusciva a dormire la notte.

"Ti giuro che non l'ho uccisa io, ma mi sento coinvolto in prima persona per quello che le è successo."

Solo dopo diverso tempo riuscii finalmente a pronunciare queste parole: "Purtroppo non possiamo cambiare il passato e dobbiamo convivere con questa realtà. Ti sei reso conto troppo tardi di quello che hai fatto, ma ora è inutile ripensarci. Puoi solo andare avanti senza dimenticare mai i tuoi errori e riscattarti come puoi."

Era quasi sempre in lacrime.

Fissai il caffè fumante nella tazzina e aggiunsi: "Comunque lo stai già facendo. Ti stai riscattando, intendo."

Fece un debole sorriso e vidi chiaramente quanto queste parole l'avessero fatto stare meglio.

La strada era lunga, ma alla fine decisi che valeva la pena superare tutto insieme.

 

˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜

Note:

Finalmente siamo giunti alla fine di questa storia! In realtà non è proprio completa, infatti manca l'epilogo, dove avremo modo di scoprire cos'è accaduto dopo, che fine hanno fatto i nostri personaggi... Jill sarà riuscita alla fine a dare una svolta alla sua vita e divincolarsi dal passato? E Dana? Adam e Eden saranno felici insieme? Troverete le risposte a queste ed altre domande nel capitolo conclusivo, quindi restate sintonizzati! :P
Ho deciso di pubblicare subito per due ragioni: la prima è che si tratta di un capitolo piuttosto breve, quindi non era giusto pubblicarlo dopo diversi giorni e poi leggerlo in due minuti; la seconda è che ho deciso di scrivere qui i miei ultimi pensieri in modo da dedicare l'ultima pagina di questa storia solo ed esclusivamente al finale.
Quindi ne approfitto per ringraziare di cuore tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggere fino a qui; so che non è una delle migliori storie mai scritte, anzi, ma credo sia un buon punto di partenza per migliorarmi e cercare di scrivere sempre meglio. Però finalmente potrò dire di aver portato a termine una storia, cosa che, se ben ricordo, non mi era mai accaduta! Di questo, lo ammetto, ne sono piuttosto orgogliosa.
Ringrazio chi ha aggiunto la storia alle seguite/preferite/ricordate, anche se non significa molto per me è emozionante vedere questi numerini che salgono.
Ma soprattutto voglio ringraziare chi ha avuto la pazienza di lasciarmi un pensiero, un commento o un parere. Sappiate che ho sempre tenuto in considerazione le vostre opinioni e non so dirvi quanto sia stato bello leggere le vostre recensioni! Quindi,

Aislin, jeeday29, Olaff_, Vella, Emily Jackson, RoseDimitri, Percabeth7897

Voglio dedicare a voi il capitolo finale!

Grazie di nuovo a tutti e alla prossima,

- Laine
 

 

 

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Capitolo 20
*** Epilogo ***


Comunicazione di servizio:
Ehm ehm, sono giunta nuovamente a rompere le scatole perché ieri mi sono messa a rileggere questa storia e con grande sgomento mi sono resa conto che mancava un capitolo! Ebbene sì, mi ero dimenticata di pubblicarlo! Più precisamente si tratta di quello che dovrebbe essere il decimo, ossia l'incontro di Jill con suo padre. Se notate infatti in quello che è ora il decimo la povera disgraziata si ritrova nel suo letto e nessuno può spiegarsi come abbia fatto!
Ho provveduto inserendo la parte mancante subito dopo il capitolo nono, nella stessa pagina, quindi se volete andate pure a leggerlo.
Non vi disturbo oltre e vi lascio con il finale.
-Laine


 

- Epilogo -


La stanza è gremita di gente e io non riesco a vedere nessuno di mia conoscenza. Mi guardo attorno un po' spaesata e faccio ancora fatica a realizzare dove mi trovo.

La luce nella galleria è debole e gli unici rumori che avverto sono le voci della persone che chiacchierano, scherzano, ridono e commentano animatamente i dipinti appesi alle pareti.

Improvvisamente vedo mio padre raggiungermi di corsa. "Jill!" esclama, quasi con il fiatone. "Spero di non essere in ritardo!"

"No papà" rispondo, con le braccia conserte. "Abbiamo iniziato da poco."

Mi da due baci sulle guance e mi abbraccia. "Sono così orgoglioso di te."

"Aspetta a dirlo, prima guarda cos'ho combinato."

Prendendolo sottobraccio lo conduco verso una parete sulla quale sono affissi cinque dei vari dipinti che ho realizzato nell'ultimo anno.

 

Dopo aver riallacciato i contatti con mio padre, avevo finalmente deciso che direzione dare alla mia vita: andai a lavorare con lui al negozio e cominciai subito a racimolare i soldi necessari per frequentare dei corsi d'arte, rispolverando così quella passione che avevo riposto nel cassetto. Avevo un'ottima insegnante che mi spiegò un'infinità di tecniche da disegno.

Un giorno ci disse che alla fine del corso ognuno di noi avrebbe potuto esporre una selezione di proprie opere ad una mostra che si sarebbe tenuta in una vera e propria galleria d'arte, e lì avremmo potuto confrontarci con il pubblico e sentire cosa pensava la gente dei nostri lavori.

Non si trattava di certo del MoMA, ma per me era la realizzazione di un sogno; nonostante ciò avevo anche paura che le persone non avrebbero capito cosa volevo comunicare.

 

"Mio Dio, sei bravissima!"

"Ma tu sei un po' di parte, papà, non mi diresti mai che fanno schifo."

Si sofferma in particolare sulla prima opera e la osserva per alcuni istanti. Al centro c'è una ragazza di spalle, dai lunghi capelli castani; a sinistra c'è una porta aperta, da cui penetra la luce del sole, dall'altra predominano le ombre, mentre sul bordo campeggia una completa oscurità.

Legge il titolo ad alta voce: "Light and dark" e io penso che a dare i nomi ai dipinti non sono affatto brava.

"Questo è il mio preferito" commenta. "Non capisco molto di arte, ma penso di riuscire a cogliere il messaggio."

In effetti mi sembrava di aver reso semplice ciò che volevo comunicare e sono felice di essere riuscita a trasmettere qualcosa.

"È una contrapposizione tra ciò che è giusto e sbagliato. Siamo sempre in bilico tra questi due aspetti e ogni azione che compiamo ci avvicina ad una direzione piuttosto che un'altra."

Trovo divertente il modo in cui dà questa interpretazione e scoppio a ridere, ma poi mi affretto a spiegargli che ha pienamente ragione. "Fortunatamente con l'arte possiamo esprimere ciò che è difficile comunicare a parole."

 

In realtà c'è anche un'altra interpretazione che preferisco tenere per me e che credo non rivelerò mai a nessuno. Le due parti rappresentano i due ragazzi che più hanno avuto importanza nella mia vita.

Richard rappresenta la luce, la sicurezza, la sincerità. Adam è il mistero, l'indecisione, l'irruenza.

Avevo deciso di rappresentare sulla tela la sintesi degli avvenimenti dello scorso anno perché le persone con cui ho avuto a che fare hanno lasciato tutte dei segni indelebili. Oltre a mio padre, Adam e Richard sono stati coloro che hanno letteralmente stravolto la mia esistenza e mi ero sentita in dovere di omaggiarli in questo modo particolare.

 

Io e Adam siamo rimasti in contatto, anche se non ci sentiamo frequentemente, mentre di Richard non ho più avuto notizie.

 

"Confermo: sei un'artista e sono fiero di te."

"Alla fine siamo riusciti ad incamminarci verso la luce" commento, alludendo al quadro.

Mi abbraccia di nuovo e io ricambio con affetto.

"Sto morendo di fame" dice poco dopo. "Credo che farò un giro al tavolo del buffet. Ti porto qualcosa?"

"No, grazie, sto bene così."

Mi sorride e si allontana, mentre io fisso di nuovo il quadro e vedo la ragazza voltarsi verso la porta aperta.

 

Il secondo quadro che ho scelto non è allusivo come il primo, ma per me ha ugualmente importanza. Una ragazza dai lunghi capelli biondi sorride in direzione dell'osservatore, e il suo sorriso è dolce e sincero. Indossa un lungo abito blu ed è in posa su un elegante divano.

Anche se non avevo chiesto a Dana di mettersi in posa, aveva capito perfettamente che si trattava di un suo ritratto, e l'ambientazione richiama il salotto della casa del suo nuovo fidanzato.

Si erano conosciuti per puro caso, una sera, mentre entrambi passeggiavano in solitudine nei pressi del lago. Dana mi aveva raccontato che Peter, soprappensiero, l'aveva spinta mentre camminava. Si era subito scusato un milione di volte, nonostante lei gli avesse ripetutamente risposto di non preoccuparsi, perché non era accaduto nulla di grave. Dana, osservando quel ragazzo dal viso angelico, gli occhi chiari e i riccioli biondi, non aveva minimamente pensato di proporgli un incontro a casa sua. Con la massima naturalezza possibile, si erano semplicemente seduti ad una panchina a chiacchierare. Si erano dati appuntamento diverse volte a quella panchina poi, dopo qualche tempo, lui le chiese di sposarla. Ma questa è un'altra storia.

Sembrava tutto affrettato ma, dopo aver conosciuto Peter, avevo capito che era veramente pazzo di lei, e non avrei potuto desiderare di meglio per Dana.

In questo momento devono essere a Parigi e, nonostante vorrei che fosse qui con me, spero solo che si stia godendo ogni momento con Peter. Se lo merita.

 

Ad un tratto si avvicinano due figure conosciute e io stento a credere ai miei occhi.

"Ragazzi, che piacere vedervi!"

Adam e Eden mi salutano a turno baciandomi le guance.

"Non mi sarei perso la tua prima mostra per nulla al mondo!"

Eden lo prende in giro: "Dovevi sentirlo, non vedeva l'ora di venire qui ad ammirare i tuoi lavori, non parla d'altro da ore!"

Li osservo per un attimo e noto che ormai entrambi hanno abbandonato quel look un po' dark che li contraddistingueva. Questa sera poi sono particolarmente eleganti.

"Sono lusingata" rispondo, sorridendo. "I miei dipinti sono questi."

Mostro loro ciò che ho imparato al corso, spiego perché ho usato una tecnica piuttosto che un'altra e loro paiono piacevolmente colpiti.

 

Ad un tratto Eden esclama: "Ma dov'è quello scemo di mio fratello? Dovrebbe essere arrivato da un pezzo!"

Il mio cuore sobbalza. "Richard è qui?!" esclamo a voce alta.

"Sì, l'abbiamo incontrato qui fuori e ha detto che ci avrebbe raggiunti subito, ma a quanto pare ha deciso di starsene là a congelare.”

Istintivamente mi dirigo di corsa verso l'ingresso della galleria, facendo adirare la gente che affolla la stanza e spingendola in tutte le direzioni.

Quando apro la porta d'ingresso un vento gelido mi travolge e, guardandomi in giro, noto che in strada non c'è anima viva.

Se n'è andato, penso, e la delusione mi investe come un treno.

Non mi aspettavo che si presentasse questa sera, anche se in tutta sincerità un po' ci speravo.

Cerco di trattenere le lacrime e mi dirigo di corsa in bagno, dove accendo il rubinetto e mi sciacquo la faccia.

Guardo il mio riflesso nello specchio e penso che nulla dovrebbe rovinarmi la serata, perché sono nel bel mezzo di un evento importante e devo godermelo a pieno, lasciando da parte i cattivi pensieri.

Spengo l'acqua, mi faccio un sorriso ed esco.

Sento un forte rumore proveniente dal bagno degli uomini: qualcuno sta parlando a voce decisamente troppo alta.

"Dai, non essere codardo, ce la puoi fare!"

La sua voce è inconfondibile e il cuore comincia nuovamente a martellarmi nel petto.

Senza avere il controllo delle mie azioni, mi metto a bussare alla porta e ricevo in risposta: "È libero!"

Continuo a bussare con insistenza. "Oh, per l'amor del cielo!"

Richard apre la porta stizzito e appena mi vede spalanca gli occhi.

"Jill, c-ciao!" cerca di articolare le parole. "Che b-bello vederti!"

Gli faccio un enorme sorriso e, prendendogli la mano, lo conduco verso un divano accanto all'ingresso, dove c'è poca gente. "Sono troppo felice che tu sia qui! Respira profondamente, Richard, o ti verrà un colpo!"

"Sto bene... Sto bene" si accomoda sul divano. "È solo che rivederti dopo tutto questo tempo mi ha messo in agitazione, non sapevo cosa aspettarmi."

"Ci credi se ti dico che per me è lo stesso? Non pensavo che ti saresti presentato qui, stasera."

"Ho approfittato dell'occasione" spiega. "Mia sorella mi ha raccontato di questa serata e io mi sono detto che non potevo assolutamente mancare a questo evento all'insegna dell'arte."

"Ah, quindi sei qui solo per i quadri" commento, fingendomi offesa. Lui risponde con plateale convinzione: "Precisamente."

Scoppiamo entrambi a ridere e la tensione sembra dileguarsi subito.

Poi lo abbraccio, senza aggiungere altre parole. Mi è mancato, in un modo che non avrei mai creduto possibile. Mi stringe forte e io penso che le sue braccia siano il posto più sicuro al mondo.

"Allora, cosa hai fatto quest'anno? Ti sono accadute delle cose belle?"

Mi divincolo dall'abbraccio e rispondo: "Sono successe tante cose, una migliore dell'altra."

E inizio a raccontargli del mio nuovo lavoro, dell'arte e del rapporto che sono riuscita ad instaurare con mio padre. "Ovviamente non ho più dovuto guadagnarmi da vivere come facevo prima, e di questo sarò per sempre grata a mio padre."

Lui mi sorride di nuovo dolcemente.

"E tu?" riprendo. "Alla fine sei riuscito ad esaudire il sogno dei tuoi genitori?"

"Ebbene sì!" esclama, mentre dentro di me sento qualcosa che si rompe. "Ho incontrato una donna bellissima e ricchissima di nobili origini, l’ho presentata ai miei genitori e ne sono rimasti entusiasti!"

"Wow..." dico, senza sapere cosa rispondere.

"È stato amore a prima vista e ci siamo sposati dopo un solo mese di frequentazione."

Faccio per alzarmi, sconvolta dalle sue parole. "Che dire... Sono molto contenta per... Hey! Non hai la fede al dito!"

Richard scoppia a ridere fragorosamente. "Era uno scherzo, volevo vedere la tua reazione."

"Sei pessimo!" esclamo, per poi andarmene.

"Aspetta!" mi prende la mano e mi fa voltare verso di lui. "Cerca di capirmi, l'ultima volta che ci siamo visti mi hai detto di non provare nulla nei miei confronti. Volevo vedere se era vero o no."

"Magari i sentimenti sono nati dopo, con la lontananza" mi guarda compiaciuto. "Sempre se sono nati, s'intende" puntualizzo poi, con fare altezzoso.

Mi cinge i fianchi, avvicinandomi a sé. "Quindi provi qualcosa per me o no?"

A questo punto mi avvicino e lo bacio, trasmettendogli tutto l'amore possibile. È un bacio lungo, intenso ed appassionato, con il quale spero di recuperare, anche se solo in minima parte, il tempo che abbiamo trascorso distanti.

"Comunque ti amavo già da tempo" gli sussurro all'orecchio, mentre gli accarezzo i capelli. "Non ho mai smesso di pensare a te, nemmeno per un istante."

"Allora non dobbiamo perdere altro tempo!" risponde, prendendomi per mano. "Iniziamo subito ammirando le tue doti artistiche."

E mentre mi sta accompagnando chissà dove, si rende conto di non sapere dove siano esposti i miei dipinti.

Mi metto a ridere e gli faccio strada, per poi raggiungere una serie di disegni di una ragazza che frequentava il mio corso, ma che aveva deciso di esprimere un concetto dell'arte del tutto personale: le sue cinque tele sono completamente bianche perché, a detta sua, è compito dell'osservatore riempirle con lo sguardo.

"Allora" gli faccio un sorriso a trentadue denti. "Che te ne pare?"

La perplessità sul suo volto è evidente. "Ehm, io..."

"Non ti piacciono?" dico, con finta delusione. "Credevo che il mio intento fosse evidente..."

Non sa come spiegarsi. "Ecco, io veramente..."

Non riesco più a reggere il gioco, perché inizio a ridere. "Dovresti vedere la tua faccia!"

Lui mi afferra i polsi, allibito per lo scherzo che gli ho fatto. "Imbrogliona!"

"Dai, non prendertela, ora ti mostro i miei capolavori."

"No, non ti credo più" afferma, incrociando le braccia e facendo il sostenuto. “Proverò ad indovinare da solo quali dipinti ti appartengono.”

"D'accordo" rispondo, sfidandolo.

Comincia a camminare per le sale, osservando le persone affollate attorno ai quadri.

"Oh, c'è mia sorella!" indica Eden e fa per avvicinarsi.

"Così non vale!" lo seguo contrariata.

"Oh beh, è andata così."

Saluta la sorella, la quale gli chiede dove si fosse cacciato.

"Diciamo che era occupato a fare training autogeno" intervengo io.

Richard fa finta di ignorarmi e si gira verso i dipinti raffiguranti cinque diversi paesaggi: appartengono ad un ragazzo veramente in gamba, forse il migliore del corso.

Eden deve essere rimasta colpita da questi splendidi paesaggi e si è allontanata dai miei dipinti per ammirarne degli altri.

Dopo un'attenta osservazione, Richard commenta: "Devo ammetterlo, Jill, sei un'artista nata. Hai una tecnica davvero impressionante."

Eden inizia a ridere sguaiatamente. "È vero, ma devi ammettere che ha scelto un nome d'arte piuttosto insolito."

A questo punto Richard ispeziona una delle targhette al di sotto delle cornici e legge a voce alta: "Gregory Miller."

Comincio a ridere anch'io, incapace di contenermi. Credo di non aver mai riso così tanto in tutta la mia vita.

"Vi detesto!" esclama, mentre io gli afferro la mano nel tentativo di non cadere a terra per le troppe risate.

Richard però sposta il braccio in un gesto stizzito e mi fa perdere l'equilibrio. Cado rovinosamente a terra e pesto il sedere.

"Jill!" Richard mi solleva con la preoccupazione nella voce. "Ti sei fatta male?"

Faccio no con la testa, mentre mi tiene stretta a lui e i nostri nasi si sfiorano.

"Dici che ci stanno guardando tutti?" domando, senza staccare i miei occhi dai suoi.

"Non mi importa" risponde, per poi baciarmi di nuovo.

Per alcuni istanti dimentico tutto e tutti ed esistiamo solo noi. Mi sento finalmente una persona completa e realizzata e sento che nulla potrebbe rovinare questo momento.

Alla fine, dopo avergli promesso di non fare altri scherzi, almeno per questa sera, gli mostro i miei quadri.

Dopo essersi assicurato che fossero davvero miei, ripete che ho davvero talento e che sono bellissimi.

"Però quei paesaggi laggiù sono più belli" aggiunge.

"Grazie per la considerazione" e gli mollo un pugno sul braccio.

"Ahi, mi hai fatto malissimo!" mi prende in giro e io comincio a colpirlo ripetutamente.

"Ragazzi, niente violenza!" Adam ci ammonisce, ma è divertito anche lui da questa situazione.

Si avvicina anche Eden, che propone: "Che ne direste se andassimo insieme a mangiare qualcosa?"

Accettiamo tutti la proposta e io aggiungo: "Aspettatemi solo un secondo."

Mi faccio largo tra la folla, che sta ormai diminuendo, e raggiungo il tavolo del buffet. "Papà, io e i miei amici andiamo a mangiare un boccone, ti va di unirti a noi?"

"No, grazie tesoro" risponde. "Credo di essere sazio per le prossime due settimane, ho veramente mangiato di tutto!"

Indica l'infinità di piatti esposti. "Vai pure, e divertitevi!"

Mi avvicino e gli do un bacio sulla guancia. "D'accordo, ti chiamo domani, buonanotte papà."

Recupero borsa e cappotto e torno dai ragazzi. "Sono pronta!"

 

Usciamo tutti insieme dalla galleria. Eden e Adam ci fanno strada precedendoci di qualche passo, mentre io cammino di fianco a Richard. Ben presto mi afferra la mano e la tiene stretta.

"Devi promettermi una cosa" mi dice ad un tratto, diventando serio. "Promettimi che d'ora in poi farai affidamento su di me per qualunque cosa ti serva. Promettimi di dirmi subito se qualcosa non va e, se per caso dovessimo litigare, promettimi che non aspetteremo un anno per fare pace."

"Lo prometto."

Sorride, riassumendo un'espressione rilassata. “Bene, ora possiamo recuperare il tempo perduto.”

"Hey, piccioncini!" la voce di Eden richiama la nostra attenzione. "Vi muovete o dobbiamo tornare indietro per staccarvi?"

Richard sbuffa. "Mia sorella ha la straordinaria dote di rovinare i momenti migliori."

Riprendiamo a camminare.

"La detesto."

"Dai, non prendertela. A me piace Eden, è una forza."

"Certo" commenta ironico. "Se ti piace avere attorno una che non sta mai zitta e ti disturba costantemente allora sì, è una forza."

"Esagerato!"

"Non sto scherzando" continua. "Se escludiamo il periodo in cui si è chiusa in sé stessa, non ha mai fatto altro che immischiarsi negli affari degli altri e disturbare la loro quiete.”

“Ma smettila, io penso che Eden sia fantastica, è un po' come la sorella minore che non ho mai avuto, e se ti dà così fastidio, io sarei felice di ospitarla a casa mia.”

“Ma per carità!” esclama, contrariato. “Non sopravvivresti più di cinque giorni in sua compagnia, te lo garantisco.”

Un'idea geniale mi attraversa la mente, mi fermo, lo guardo compiaciuta e lui ricambia con uno sguardo a metà tra il perplesso e il preoccupato. “Cosa c'è?”

“Facciamo una scommessa.”


 

Fine.

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