Just, forget the world

di Ca7
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Avete presente quando ci si sveglia al mattino col desiderio di vedere qualcuno, accompagnato dall’ansia di ciò che potrebbe provocare tale incontro? La giornata di Sarah Stewart - di un lunedì di Settembre - iniziò proprio così. La sveglia puntata per le 7:30 a.m. era suonata da poco, e sbirciando da sopra la coperta del suo letto, Sarah diede una rapida occhiata alla finestra notando che a Roxborough (Philadelphia) il sole faceva a botte con le nuvole. Oggi sarebbe ritornata a scuola, ma avrebbe tanto voluto starsene in casa, isolarsi e non badare al resto del mondo. Senza peccare di presunzione, le sembrava che da quando aveva messo piede al "Roxborough High School", tre anni prima, il resto del mondo all’interno di quelle mura, abbia sempre avuto bisogno di lei. Adesso era all'ultimo anno di liceo e si aspettava di viverlo in maniera tranquilla con gli unici due pensieri di vincere il campionato di pallavolo e la relativa borsa di studio; invece il suo caro amico "destino" aveva deciso che la sua vita dovesse essere in continuo movimento. Giocava nel ruolo di libero nelle “Eagles” e ne era capitano, ed era anche rappresentante del corpo studentesco, il che comportava responsabilità e doveri, come quello di organizzare il ballo di fine anno.
Riuscì a sentire l'odore del caffè che saliva dalla cucina, e con un invito del genere non poteva certo continuare a starsene a letto; così si armò di coraggio e andò in bagno a prepararsi. Entrò nella doccia e girò la manopola dell'acqua tutta verso destra: un getto d'acqua fredda le arrivò sul corpo. Era ciò di cui aveva bisogno per affrontare la giornata. Cinque minuti dopo stava scendendo le scale recandosi verso la cucina, dove trovò i suoi genitori e la sorella a fare colazione.
<< Stavo per andarmene senza di te!>>, esclamò Roxanne.
<< Beh, se vuoi andare a scuola a piedi … fa pure.>>, le rispose trionfante mostrandole il mazzo di chiavi della loro macchina. Lei e Roxanne condividevano lo stesso mezzo di trasporto, dopo che l’auto di Sarah fu coinvolta in un brutto incidente, anni addietro.
Terminata la colazione, le sorelle Stewart uscirono da casa e si diressero verso l’auto.
<< Sbaglio o sei un pò agitata questa mattina?>>, le chiese Roxanne di punto in bianco.
Pur non avendo fatto o detto niente, la domanda non stupì Sarah: tra lei e la sorella c’erano un legame e un’intesa talmente forte che riuscivano a capirsi anche attraverso una breve mimica del viso.
<< Un po’.>>, rispose mentre salivano.
<< Quanto tempo è passato da quando Kate è tornata dalle vacanze estive?>>
<< Due settimane.>>, Sarah avviò il motore e fece marcia indietro per uscire dal vialetto.
<< E non vi siete salutate o sentite neanche una volta? Nonostante casa sua sia praticamente spiaccicata alla nostra?>>
<< Esatto, Rox. Ma va bene. Probabilmente è così che deve andare.>>, disse facendo spallucce.
<< Ti prego Sarah non iniziare a dire che le forze sconfinate dell'universo si sono unite contro di te perché mi costringi a strozzarmi con la cintura di sicurezza.>>
Roxanne era una ragazza pratica, una di quelle che non crede affatto nel destino, che ritiene che ogni cosa che accade nella vita di uomo sia dovuta esclusivamente dalle scelte che fa. Una di quelle che trova sempre una spiegazione razionale a tutto, anche quando sembra non essercene. Sarah, invece, condivideva questo suo pensiero solo in parte: lei credeva che destino e scelte percorressero lo stesso tragitto, che se alcune cose dipendono da noi, altre sono destinate ad accadere, che ci piaccia o no.
Mentre guidava, Sarah si ritrovò a guardare, di tanto in tanto dallo specchietto retrovisore, la casa di Kate che si faceva sempre più minuscola alla vista. Una strana sensazione la assalì. Poi, la musica proveniente dalla radio la riportò sul pianeta terra.
<< Io credo che Kate ti stia proprio evitando.>>, Roxanne riprese il discorso.
<< Perché mai dovrebbe farlo?>>
<< Oh, non lo so! Era la tua ragazza … qualche idea dovresti fartela tu.>>
 
Arrivate al “Roxborough High School”, Sarah riuscì a trovare un posto auto libero e parcheggiò. Scesa dall'auto, tirò un bel sospiro e insieme alla sorella s’incamminò verso l'entrata.
<< E’ una mia impressione o lo starnazzare delle oche di questa scuola diventa sempre più assordante di anno in anno?>>, domandò Roxanne.
Sarah rise prima di risponderle.
<< Penso abbiano aperto le candidature per il “Miglior Studente dell’Anno”.>>
<< Perché non t’iscrivi?>>
Camminavano verso i loro armadietti.
<< Ma ti sei bevuta il cervello per caso?>>, Sarah le lanciò un'occhiataccia e si accorse di aver leggermente alzato il tono della voce.
<< Dico sul serio Sarah, sei una delle poche a meritare davvero questo riconoscimento, e non parlo in merito ai tuoi voti scolastici, ma per ciò che rappresenti per la scuola, ma sopratutto per gli studenti. Tu sì che sei il binomio di ragazza tette-cervello.>>, disse Roxanne sorridendo ampiamente.
<< Grazie per la stima e per il complimento, ma non se ne parla. Ho troppe cose di cui occuparmi.>>, Sarah le rispose prendendo il libro di storia.
Di colpo, qualcuno, con molta delicatezza, chiuse lo sportello, facendola sobbalzare. Sarah si girò istintivamente e vide davanti ai suoi occhi colei che un bel giorno, senza un motivo valido e nemmeno apparente, decise di ritagliarsi il ruolo di sua rivale: Marika Brown.
<< Spero per te e per la tua posizione sociale, che non stai pensando di candidarti!>>, disse determinata, guardandola con la solita aria di superiorità.
<< Tranquilla, non voglio invadere il tuo spazio.>>, Sarah rispose sorridendole ironicamente. << Bene! Sai, dopotutto, ci tengo che tu non sia umiliata in pubblico.>>
<< Sai, dopotutto, dovresti ringraziarmi, perché il fatto che io non partecipi, evita a te l'umiliazione in pubblico.>>
Si guardarono dritte negli occhi come due tigri che stanno affilando i loro artigli per poi saltare l'una addosso all'altra; e la tensione che c'era tra le due si avvertì lungo tutto il corridoio, tant’è che alcuni studenti si fermarono per assistere alla scena. Poi accadde tutto velocemente: Roxanne si allontanò dalla sorella e da Marika, andò verso la parete, dove era stato affisso il foglio per le candidature, prese la penna e ci scrisse sopra. Dopo, con aria di sfida, tornò dalle due.
<< Sorellina …>>, la guardò, << sei ufficialmente una delle candidate per il titolo di "Miglior Studente dell'Anno".>>, disse quest'ultima frase fissando Marika che acquistò un evidente colorito di rabbia sul volto.
Sarah guardò Roxanne a bocca aperta, era pronta a risponderle se non fosse che in quel momento Kate apparve sulla sua visuale.
<< Non cantare vittoria, Sarah.>>, disse Marika a denti stretti e se ne andò.
<< Va a strisciare da un'altra parte, vipera!>>, le urlò dietro Roxanne, mimando con il braccio lo strisciare del rettile.
<< E' giunto il momento che qualcuno la faccia scendere dal piedistallo, e quel qualcuno sei tu, mia cara sorellina.>>
Niente di tutto ciò che aveva appena detto, era stato udito da Sarah.
<< Ehi, Sarah, ci sei?>>
<< Si. Senti Rox, io vado in classe.>>, disse con poca convinzione.
 

L’inizio della scuola per Kate significava principalmente, ripresa degli allenamenti. Era il capitano della squadra di calcio femminile e giocava in attacco come prima punta, ma grazie alla sua versatilità a volte ricopriva anche il ruolo di seconda punta.
Finita l’ultima lezione della giornata, Kate raggiunse le sue compagne di squadra negli spogliatoi della palestra. Dopo i vari saluti e l’essersi cambiate con la divisa della squadra, si recarono verso il campo da gioco situato all’esterno dell’edificio. Il Coach Anderson era già lì, insieme al Coach Garcia della squadra maschile di football e alcuni suoi membri. Le due squadre, da due anni, a causa dei tagli al budget, erano costrette a condividere il campo: i giorni dispari la squadra di Kate, i giorni pari (compreso il sabato mattina) la squadra di football.
<< Coach, cosa è successo?>>, domandò Kate sorpresa, nel momento in cui vide che il terreno aveva preso le sembianze di un campo di patate ricoperto di carta igienica.
<< Uno scherzo di cattivo gusto.>>
<< E’ colpa vostra, vero?>>, Kate si rivolse a Blaze Miller, il quarterback.
<< Nostra? Assolutamente no.>>, l’espressione sul volto di Blaze diceva il contrario.
<< Certo! Come no.>>
<< Perché pensi che c’entrino i miei ragazzi, Kate?>>, chiese il Coach Garcia.
<< Coach, lo sanno tutti ormai che i suoi ragazzi e gli Sharks adorano provocarsi a vicenda prima dell’inizio di ogni campionato.>>
<< Miller, è la verità?>>, il Coach Garcia guardò il ragazzo.
<< Oh, andiamo Coach, non vorrà mica crederle? Le giuro che noi non c’entriamo niente con tutta questa storia.>>, Blaze sapeva bene che rivelare anche una minima parte di verità, gli sarebbe costato il posto in squadra.
<< Sul serio?>>, replicò Kate infastidita.
<< Rilassati Davis! Non puoi accusarci di niente se non hai le prove.>>, Blaze sorrise compiaciuto.
<< Hai idea di quanto tempo ci vorrà per togliere la carta e rizollare il campo?>>, disse a muso duro.
<< Ragazzi, adesso basta!>>, intervenne il Coach Anderson, << Dato che, a quanto pare, non ne verremo a capo … tutti quanti voi, vi assicurerete di far sparire ogni singolo pezzo di carta igienica …>>
<< Sta scherzando, vero? Coach non può essere d’accordo.>>, disse Blaze al suo allenatore.
<< Invece sono più che d’accordo. Il campo è vostro, problema vostro.>>
<< Nel frattempo, io e il Coach Garcia andremo dal preside per informarlo e cercare una soluzione in attesa che il campo sia sistemato.>>, il Coach Anderson riprese il suo discorso.
I due s’incamminarono per rientrare dentro la scuola.
<< Tu parli troppo Davis>>, Blaze camminò verso Kate puntandole l’indice in faccia.
<< Lascia stare Kate.>>, Abbey Young, portiere delle Warriors, mise una mano sul braccio della ragazza. Dopodiché, entrarono in campo - seguite dal resto della squadra - per ripulirlo.

Mezz’ora dopo, entrambi gli allenatori tornarono per comunicar loro notizie.
<< Allora ragazze, le cose stanno così: in accordo con il preside e la Coach Bennet, ci alleneremo in palestra dividendo il campo a metà con le ragazze della pallavolo … più o meno per una settimana.>>, annunciò il Coach Anderson.
<< Mentre noi siamo costretti a posticipare gli allenamenti sul campo. Per adesso, ci limiteremo agli esercizi con gli attrezzi.>>, proseguì il Coach Garcia.
Quasi tutti erano contrariati per le decisioni prese, ma nessuno osò proferir parola.
<< E che questa bravata sia di esempio a voi e anche ai vostri compagni delle altre squadre. Se dovessero verificarsi altre stronzate del genere, le conseguenze saranno peggiori. Tenetelo bene a mente e spargete la voce.>>
<< Concentratevi sul gioco e sulle partite, che siano di calcio o di football. Concentratevi sul vostro futuro. Intesi?>>, il Coach Anderson guardò tutti i presenti che annuirono.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il giorno seguente, in palestra si udiva soltanto il rumore dei palloni che rimbalzavano sul suolo; fischietti che suonavano ad alternanza quasi ritmica e mormorii dovuti allo sforzo nel fare una schiacciata e alla fatica nel riuscire a fermare una compagna di squadra in veste di avversario, con un contrasto. Kate e Sarah si ritrovarono nello stesso posto dopo tre mesi dall’ultima volta che si erano parlate, e per una questione di circostanza, mentre svolgevano i loro allenamenti, i loro sguardi s’incrociarono più volte.
Le Warriors erano alle prese con il più classico degli allenamenti calcistici: il torello. A un tratto, il pallone finì vicino a una delle uscite d’emergenza della palestra e una delle ragazze andò a recuperarlo; invece di tornare dalle compagne palla al piede, decise di crossare … ma (forse per averlo colpito male) il pallone prese tutt’altra traiettoria andando a colpire Sarah in pieno volto. Improvvisamente si ritrovò con la vista appannata e le vertigini.
<< Dannazione!>>, Kate istintivamente corse verso di lei.
Le compagne di squadra, preoccupate, si avvicinarono a Sarah, specialmente Cassie, e la Coach Bennett andò subito a sincerarsi delle condizioni della sua giocatrice.
<< Sarah, tutto bene?>>, la cinse la vita per sorreggerla.
<< Non proprio!>>
<< Ti porto in infermeria.>>
Sarah si sentì frastornata.
<< Le do una mano.>>, disse Kate aiutandola mettendo il braccio sinistro di Sarah intorno al proprio collo.
Lo stesso stava per dire e fare Cassie se Kate non l’avesse anticipata.

L’infermiera scolastica, eseguiti i vari controlli, e accertatasi che Sarah non avesse subito nessuna commozione celebrale, le ordinò di stare ancora sdraiata sul lettino finché la sensazione di disorientamento non fosse passata. Kate si offrì di restare per farle compagnia, così la Coach Bennett poté tornare in palestra e rassicurare le altre ragazze.
<< Come ti senti?>>, chiese Kate.
<< Bene … a parte il non riuscire a distinguere la destra dalla sinistra.>>
<< Beh, a breve passerà.>>
<< Puoi tornare ad allenarti se vuoi. Non è necessario che resti.>>
<< Sarah, nonostante tutto non posso smettere di preoccuparmi per te.>>, Kate la guardò dritto negli occhi, << Quindi uscirò da qui, quando sarai in grado di farlo anche tu.>>
<< Beh … allora spiegami come cavolo fai a colpire con la testa un pallone di cuoio senza subirne conseguenze?>>
Kate rise sotto i baffi.
<< Almeno questo “incidente” è servito a farci parlare.>>
<< Già … a tal proposito … sai com’è … il ritorno dalle vacanze, l’inizio della scuola …>>
<< Tranquilla, Kate. Non stiamo più insieme … e il frequentare la stessa scuola o l’esser vicine di casa, non deve obbligarci a salutarci o fare qualsiasi altra cosa.>>, Sarah si accorse che il tono delle sue parole risultò duro, solo dopo averle dette.
<< Quindi, se in futuro … vedendoti, volessi dirti “ciao”, ti girerai dall’altra parte?>>
Sarah aveva chiuso gli occhi sperando di cacciar via un inatteso senso di nausea.
<< Come potrei negare un “ciao” proprio a te? E’ nato tutto da un semplice saluto, tra noi due.>>
<< Io direi più da una stretta di mano.>>
Sarah ebbe un brivido mentre riviveva la scena nella propria mentre; mentre Kate poggiando la mano destra sul lettino, la avvicinò lentamente a quella della sua ex ragazza, come se fosse ancora un gesto del tutto naturale, per poi fermarsi e rendersi conto che non lo era più.
Non trascorse molto tempo e quando Sarah si riprese completamente, le due uscirono dall’infermeria e tornarono in palestra. Gli allenamenti erano ormai terminati, però ad attenderle c’erano Roxanne e il padre, nonché preside del liceo.
<< Sarah, tesoro! Come stai? La Coach Bennett mi ha raccontato quello che è successo.>>, Gavin Stewart andò in contro la figlia.
<< Papà sto bene. Non preoccuparti.>>
<< Posso confermare. Sono stata con lei tutto il tempo.>>, Kate sorrise all’uomo per rassicurarlo.
<< Grazie Kate.>>
<< Di nulla, Preside Stewart.>>, Kate guardò Sarah, << Beh, io … vado adesso.>>
<< Ciao Kate.>>, disse Sarah.
<< Ciao Roxanne.>>, disse Kate mentre le passò di fianco.
Roxanne la salutò con un cenno della mano, poi lanciò uno sguardo sorpreso ed entusiasta verso la sorella.
<< Allora, se è tutto apposto, prendi la tua roba Sarah e torniamo a casa. Vi vengo dietro con la mia auto. Roxanne, mi raccomando guida tu.>>
<< Certo papà.>>, gli sorrise e prese sottobraccio Sarah.
 

Di sera, intorno alle 20:30, la famiglia Davis aveva da poco finito di cenare. Kate aiutò il padre a sparecchiare la tavola mentre la madre si apprestava a sciacquare piatti e posate per metterli nella lavastoviglie. Poi Kate si diresse verso le scale del corridoio per salire in camera sua, lasciando i due coniugi da soli in cucina. Salito il secondo scalino poteva ancora vederli, e allora si fermò a osservarli: apparve un sorriso disteso sul suo volto, la vacanza in Florida dai nonni materni era stata una boccata d’ossigeno per la sua famiglia specialmente per la madre Isabel; sembrava esser stata linfa vitale per lei. Ma la sensazione che fosse solo una cosa momentanea, non abbandonava mai Kate.
Dalla morte del piccolo Colin (il figlio maschio), Isabel Davis aveva vissuto durante gli anni, momenti in cui l’unico conforto al dolore della sua perdita era in una bottiglia di vino. E nonostante sei mesi fa avesse iniziato a frequentare un gruppo di recupero, sia la figlia sia il marito avevano il timore che un giorno potesse ricadere nel tunnel dell’alcolismo.
L’aria era ancora tiepida a Roxborough, però Kate sapeva che la sera la temperatura era solita ad abbassarsi, così una volta entrata in camera sua, prese la felpa delle Warriors dalla sedia della scrivania, la indossò, uscì dalla finestra e muovendosi con cautela sopra il tetto spiovente dell’abitazione, raggiunse il cornicione, dove si sedette penzoloni. Chiuse gli occhi e si abbandonò al silenzio per liberare la mente dai pensieri che la opprimevano.

In quello stesso momento, nella casa accanto, Sarah stava caricando una nuova playlist nel suo iPod; dopo la pallavolo, la musica era la sua passione. Se con lo sport riusciva a scaricare la tensione, sentirsi viva, importante e parte di qualcosa, con la musica si catapultava in un altro universo, lasciandosi andare alle emozioni.
Il padre bussò alla sua porta.
<< Sarah?>>, disse entrando.
<< Ehi, papà.>>
<< Io e tua madre pensavamo che domani potresti prendere un giorno di vacanza e riposarti.>>
<< Assolutamente no! Sto bene e non voglio assentarmi. La scuola è appena cominciata e …>>
<< Hai un buon motivo per farlo, dopo oggi.>>
<< Papà, ricordi? Abbiamo un patto.>>, Sarah lo guardò negli occhi.
Tra Gavin Davis e le due figlie c'era un accordo che aveva promesso di rispettare, sempre. Niente favoritismi; niente trattamenti particolari; Sarah e Roxanne volevano essere trattate alla pari di tutti gli altri studenti, in modo da evitare di essere considerate le-raccomandate-figlie-del-preside; anche se questo era tra i pensieri di qualche malpensante.
<< Sì, lo ricordo perfettamente, ma se si tratta della salute delle mie figlie, posso fare un'eccezione. E me ne frego se qualche insegnante o qualche studente ha da ridire.>>, obiettò.
<< Okay, facciamo che se dovessi sentirmi poco bene, andrò di nuovo in infermeria.>>
<< Okay!>>, sospirò Gavin. Sua figlia era testarda e raggiungere un compromesso con lei, significava molto.
Quando il padre se ne andò, Sarah si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra (quella che corrispondeva alla camera di Kate) e la vide.
<< Non farlo! Sei ancora troppo giovane per lasciare questo pazzo mondo.>>, disse ridendo.
Kate udì la sua voce e si voltò verso la ragazza.
<< Ed io che credevo di aver scelto un modo teatrale. Vorrà dire che resterò ancora qui per molto.>>
<< Menomale!>>
Sorrisero guardandosi.
<< Senti … ti va di raggiungermi?>>
<< Okay!>>
Qualche istante dopo, Sarah si ritrovò seduta penzoloni accanto a Kate.
<< Ciao!>>
<< Ciao!>>
<< Non ti ho ancora ringraziato per oggi …>>, disse Sarah.
<< Oh ma figurati. Era il minimo.>>
<< Beh, grazie lo stesso.>>, Sarah guardò Kate e ritrovò quei magnetici occhi azzurri in cui tante e tante volte si era immersa e persa completamente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


<< Ricordi la prima volta che sei salita qua su?>>
<< Oddio, ti prego non ricordarmelo.>>
<< Eri terrorizzata.>>, Kate iniziò a ridere.
<< Tremendamente.>>
 << Mi hai anche strattonato un braccio, a un certo punto… e ripetevi che non ti saresti più mossa da lì.>>, Kate rideva ancora.
<< Non ridere! Non ero solo terrorizzata… mi sentivo anche una stupida perché stavo facendo una pessima figura davanti a te.>>, Sarah sembrò rivivere lo stesso imbarazzo di quella sera.
<< Però sei rimasta.>>
<< A dire il vero, per un attimo ero stata tentata dall’idea di chiamare mio padre e farmi portare via…>>, rise anche lei nel ricordarlo, << Ma poi tu hai fatto quel discorso sul perché ti piace la notte; hai detto che non è vero che di notte il mondo dorme. Di notte il mondo vive perché possiamo sentire rumori, suoni, odori, sensazioni che di giorno non ascoltiamo perché si è distratti dalla routine. E questo mi ha affascinata.>>
<< Allora pensavo ti stessi annoiando.>>
<< Per niente. E’ stata una bellissima serata.>>, Sarah si voltò e le sorrise.
<< Mi sono mancate quelle fossette.>>
<< A me è mancato stare qui insieme.>>
Entrambe confessarono pensieri che forse avrebbero voluto far restare tali, ma dirli fu spontaneo. Poi solo silenzio. Continuarono a guardare la strada sotto di loro, le altre case del vicinato.
<< Allora, com’è Jacksonville?>>, chiese Sarah di colpo.
<< Calda e afosa.>>
<< Hai trascorso bene le vacanze?>>
<< Sì.>>, Kate rispose in maniera sistematica, come se non volesse affrontare l’argomento.
<< E tua madre come sta?>>
<< Bene, tutto sommato. Partire è servito più a lei che a me e mio padre.>>
<< Mi fa piacere saperlo.>>
<< E la tua estate invece?>>
<< La solita estate di Sarah Stewart.>>, fece spallucce.
Kate non voleva proprio parlare della sua estate, specialmente del modo in cui l’aveva passata, così colse l’occasione di chiudere il discorso.
<< Che cosa stavi ascoltando prima di venire?>>, con la testa indicò l’iPod di Sarah.
<< Come?>>, la guardò confusa, << Cavolo! Non mi ero resa conto di averlo portato con me.>>, guardò l’apparecchio tra le sue mani, << Ho messo canzoni nuove …>>
<< Ti va di ascoltarne qualcuna?>>
<< Sì. Okay!>>
Non appena entrambe misero la rispettiva auricolare nell’orecchio, Sarah premette Play e la prima canzone che partì fu “Chasing Cars” degli Snow Patrol.
<< If I lay here, If I just lay here… would you lie with me and just forget the world?>>, le cantò Kate e si distese sul tetto. Sarah accettò facendo altrettanto.
 
We'll do it all
Everything
On our own

We don't need
Anything
Or anyone

If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?

I don't quite know
How to say
How I feel

Those three words
Are said too much
They're not enough

If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?

Forget what we're told
Before we get too old
Show me a garden that's bursting into life

Let's waste time
Chasing cars
Around our heads

I need your grace
To remind me
To find my own

If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?

Forget what we're told
Before we get too old
Show me a garden that's bursting into life

All that I am
All that I ever was
Is here in your perfect eyes, they're all I can see

I don't know where
Confused about how as well
Just know that these things will never change for us at all

If I lay here
If I just lay here
Would you lie with me and just forget the world?

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Kate stava camminando per i corridoi della scuola – destinazione mensa – quando improvvisamente si sentì pizzicare il sedere.
<< Ciao Capitano!>>, Marika si piazzò davanti bloccandole la strada.
<< Ciao Marika. Che cosa vuoi?>>, Kate si mise subito sulla difensiva.
<< Mi aspettavo un tuo messaggio … non ti sono mancata?>>, chiese ammiccando.
<< Credevo di essere stata piuttosto chiara …>>
<< Beh, sai … pensavo che avresti cambiato idea nel frattempo.>>, mise le sue braccia intorno al collo di Kate.
<< Marika, smettila!>>, Kate le tolse via.
<< Già, vero. La dolce Sarah potrebbe vederci e … insospettirsi o magari ingelosirsi.>>
<< Per te è sempre tutto un gioco?>>
<< Perché non dovrebbe? Siamo al liceo.>>, le sorrise.
Kate scosse la testa innervosita dal suo atteggiamento.
<< Senti, devo andare a mensa. Quindi se non ti dispiace, chiudiamola qui.>>
<< Certo! Ma prima che tu vada …>>, fece scivolare le sue mani lungo il petto di Kate, << Sappi che non mollerò tanto facilmente. Tu sei single. Io sono single.>>, le sussurrò a un orecchio, << E questa estate è ben impressa nella mia mente e sul mio corpo.>>, diede un piccolo morso al lobo, << Ci si vede in giro Capitano.>>, se ne andò sculettando per provocarla ancor di più.
Kate rimase ferma per alcuni minuti, rimuginando su quanto accaduto. Marika Brown, con i suoi lunghi capelli castani, la sua pelle ambrata e i suoi modi disinibiti, forse a volte un po’ troppo per una ragazza di diciassette anni, era riuscita ad ammaliare anche lei che solitamente non era attratta da ragazze del genere. Eppure, nell’estate appena trascorsa, le cose erano andate diversamente.
 
Sarah era seduta a un tavolino della mensa posto vicino alle finestre, aspettando l’arrivo della sorella, si era persa nell’osservare le nuvole fuori. Le era sempre piaciuto dare un significato alle strane forme che riuscivano ad assumere. Ne vide una che – secondo la sua immaginazione – aveva la forma di un cavallo al galoppo; un'altra di una mano tesa verso qualcuno; un'altra ancora sembrava un volto.
<< Ehilà, bella addormentata!>>, Cassie Allen si sedette di fronte.
<< Cassie! Ciao!>>
<< Che cosa stavi pensando così assorta?>>
<< Oh, no… niente… guardavo fuori e basta. Sto aspettando Roxanne, l’hai vista in giro?>>
<< No, mi spiace. Posso pranzare con voi, vero?>>
<< Certo!>>, le sorrise.
<< Ci sarai agli allenamenti più tardi?>>
<< Sì!>>
<< Bene!>>, Cassie restituì il sorriso.
Cassie e Sarah, forse per via dell’essere compagne di squadra, si erano unite molto durante gli anni, ma negli ultimi mesi, dopo che Cassie le aveva confessato di essersi innamorata di lei, il loro rapporto aveva subito una leggera frenata. Spesso capitava che Sarah si sentisse a disagio: aveva il timore di dire o fare qualcosa da fraintendere e ferire involontariamente i sentimenti di Cassie. Tuttavia, fu sincera sin da subito con lei. Continuava a volerle bene come un’amica, niente di più, niente di meno e sarebbe stato sempre così. La tenacia, in lei, riguardava anche i sentimenti che provava per Kate, ed erano duri a morire … nonostante tutto.
<< Sarah, mi chiedevo se … sabato sera ti andrebbe di andare a mangiare una pizza?>>
Sarah alzò lo sguardo verso di lei.
<< Tranquilla, non ti sto chiedendo un appuntamento. Solo una pizza.>>, specificò Cassie.
Proprio in quel momento arrivò Roxanne in compagnia di Kate.
<< Sì, lo so. Sono in ritardo… dovevo raggiungerti mezz’ora fa.>>, esordì tenendo tra le mani il vassoio con il pranzo, << Comunque, ho incontrato Kate e le ho detto di aggiungersi a noi.>>, si sedette di fianco alla sorella, << Ciao Cassie!>>, terminò prendendo un grosso respiro.
Kate guardò Sarah mentre occupava posto di fianco a Cassie, che non si dimostrò per niente entusiasta della sua presenza.
<< Davvero fighe quelle ciocche, Roxanne.>>, dichiarò Cassie.
<< Grazie! Desideravo un tocco di vitalità… et voilà.>>, Roxanne aveva tinto di rosso qualche ciocca dei suoi folti capelli ricci, << Allora di che stavate parlando?>>
<< Cassie vorrebbe andare a mangiare una pizza questo sabato. Vuoi venire? Potremmo andare dal nonno.>>, Sarah si voltò verso la sorella in cerca di una risposta affermativa.
<< Ottima idea! Ci sto! Kate, vieni anche tu?>>
<< Non penso sia…>>, non ebbe modo di finire la frase poiché da sotto il tavolo, Roxanne la colpì a una gamba con un calcio, suggerendole con il labiale “dì di sì.”
Sarah spalancò gli occhi.
<< Oh... beh… okay. Va bene.>>, farfugliò  Kate.
<< Perfetto!>>, Roxanne sorrise soddisfatta.
<< Grandioso!>>, sussurrò sottovoce Cassie.
Finito di pranzare, Kate e Cassie se ne andarono quasi contemporaneamente lasciando al tavolo le sorelle Stewart.
<< Fai sul serio?>>, chiese Sarah.
<< Cosa?>>
<< T’illustro come sarà la situazione sabato sera.>>, Sarah prese dal suo piatto tre patatine fritte per usarle come esempi, << Io, la mia ex ragazza Kate e Cassie, la ragazza che si è innamorata di me. Tutte e tre allo stesso tavolo. Non ti sembra una situazione abbastanza strana?>>
Roxanne assunse un’aria seriosa.
<< Sai, sorellina, è curioso che tu abbia usato delle patatine per spiegarmi tutto. Chissà cosa avrebbe detto Freud al riguardo.>>

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Sabato arrivò. Sarah si stava preparando per uscire: dall’armadio prese un paio di jeans e li indossò. Poi una maglietta nera con la scollatura a V che le cadeva dritta sui fianchi e infine i suoi stivali di pelle, neri, preferiti. Si sedette sul letto, arrotolò i jeans fin sopra le ginocchia e quando infilò ai piedi entrambi gli stivali, li fece scivolare dentro. Dopodiché andò in bagno a sistemare i capelli: erano ancora bagnati, prese della schiuma e la applicò per dar loro il solito effetto mosso. Prese l’asciugacapelli e iniziò ad asciugarli. Si truccò leggermente e prima di uscire dal bagno, prese un lungo respiro.
<< Sta tranquilla!>>, Roxanne arrivò sulla porta, << Piaceresti a quelle due, anche se ti avvolgessi in un sacco della spazzatura.>>
<< Potrei anche aver deciso di farmi bella per me stessa, Rox.>>
<< Questa è la regola numero 1.>>, le sorrise, << Comunque, Kate è fuori che ci aspetta.>>
<< Possiamo andare.>>, Sarah spense la luce e prese la borsa da sopra il letto.
Kate le stava aspettando vicino la loro auto. Indossava dei pantaloni neri, una maglietta bianca con sopra un gilet nero, sbottonato. I capelli li aveva legati, lasciando che due ciocche le cadessero libere sul viso, su entrambi i lati.
<< Eccoci qui!>>, disse Roxanne mentre lei e Sarah la raggiunsero.
Sarah e Kate si guardarono intensamente come se fossero pronte per un primo appuntamento.
<< Okay… questo è uno di quei momenti Sarah-Kate. Esco di scena entrando in macchina.>>
Risero entrambe.
<< Kate, c’è una cosa che devo dirti prima di…>>
<< Ti ascolto.>>, disse Kate curiosa.
<< Le cose potrebbero prendere una piega un po’ strana, questa sera. Vedi… Cassie mi ha detto di provare qualcosa per me, e dopo che noi due abbiamo rotto… non nutre molta simpatia nei tuoi confronti. In più, il fatto che ci sia anche tu non le va molto a genio.>>
<< Capisco!>>, Kate incrociò le braccia al petto, << Voi due…>>
<< No, no. E’ solo che vorrei che filasse tutto liscio.>>
<< Farò in modo che sia così, allora.>>, le fece l’occhiolino per rassicurarla.
<< Scusate se v’interrompo: potreste portare gentilmente i vostri culi su quest’auto? Grazie!>>, Roxanne richiamò la loro attenzione sporgendosi dal finestrino. A quel punto aprirono gli sportelli e salirono nel veicolo.



Un quarto d'ora dopo arrivarono in centro e trovarono subito parcheggio non lontano dal posto in cui avrebbero cenato. Il ristorante in questione era un posto speciale per le sorelle Stewart, poiché il proprietario e Chef era il nonno e con lui vi lavorava anche la loro madre.
Cassie era già lì, davanti all’ingresso ad attenderle. Quando entrarono, fu Gloria Stewart ad accoglierle, che dopo i saluti le accompagnò al tavolo riservato loro.
<< Noi andiamo un attimo a salutare il nonno.>>, Roxanne prese per mano la sorella e si recarono in cucina. Entrando, videro il signor Jim alle prese con i fornelli.
<< Ciao nonno!>>, dissero all’unisono.
<< Sarah. Roxanne. Che bello vedervi.>>
Le due si avvicinarono e lo salutarono con un bacio, una guancia per una. L’uomo chiamò con un cenno della mano l’aiuto Chef che lo sostituì, in modo da poter abbracciare le nipoti.
<< Come mai da queste parti?>>
<< Mamma non ti ha detto che saremmo venute per cena?>>, chiese Roxanne.
<< No. Probabilmente lo avrà dimenticato. Ma fa nulla … questo posto è sempre aperto per voi due.>>, sorrise.
<< Siamo con Kate e Cassie, comunque.>>, disse Sarah.
<< Kate? Kate?>>, il signor Jim guardò la nipote.
<< Si.>>
<< Allora, dopo passerò a salutarle.>>, le accarezzò un braccio.
<< Okay! Ti lasciamo tornare al tuo lavoro.>>
Il Marion’s Restaurant era una sorta di seconda casa per Sarah e Roxanne: parte della loro infanzia l’avevano trascorsa tra quelle mura, facendo compagnia ai loro nonni in cucina. Si divertirono parecchio e sporcarono parecchio tutte le volte; ma ciò non era mai stato un problema per Jim e Marion. I sorrisi allegri delle loro nipoti valevano più di tutto. Più di un piatto rotto, di una bottiglia di sugo rovesciata per terra, di macchie d'olio sparse qua e là.
Fortunatamente, la serata procedeva nel migliore dei modi, c'era un’atmosfera distesa e serena. Ci fu un momento in cui Roxanne e Kate si ritrovarono da sole al tavolo.
<< Tua sorella mi ha detto di Cassie.>>
<< Oh! L’ha fatto?>>
<< Si. Sicuramente tu lo sapevi… quindi perché hai insistito affinché io venissi?>>
<< Ci stiamo divertendo… tutto sta andando bene… non è stata una cattiva idea, alla fine.>>
<< E’ vero. Ma, scommetto che né io né te rientravamo nei piani di Cassie per questa serata. Specialmente la sottoscritta.>>
<< Senti… Cassie è carina, gentile e bla bla bla …. ma io sono Team Kate.>>
<< Team Kate?>>, le labbra di Kate si distesero in un sorriso compiaciuto.
<< Al 100%! E poi, fidati… mia sorella non ti ha dimenticato.>>
<< Rox, credimi… ci tengo ancora a tua sorella, ma ci siamo ferite a vicenda...>>
<< Lo so!>>, Roxanne fece una pausa, << Avete vissuto una brutta esperienza che vi ha allontanato… ma c’è un motivo se lo chiamiamo passato. E bisogna essere abbastanza intelligenti da non restarci incatenati.>>


Intorno alle 22:00, ritornarono a casa. Kate accompagnò le ragazze fino alla porta.
<< Sarah, avrei bisogno di parlarti.>>
Roxanne e Sarah si scambiarono uno sguardo d’assenso.
<< Buona notte, allora.>>, Roxanne fece l’occhiolino alla sorella ed entrò in casa.
<< Perché mi hai detto di Cassie?>>
<< Ritenevo giusto dirtelo.>>, rispose Sarah, perplessa. Non si aspettava una domanda simile.
<< Sembra davvero una ragazza apposto.>>
<< Lo è! Aspetta un attimo!>>, Sarah scosse la testa, confusa, << Perché stiamo parlando di lei?>>
<< Perché… forse, a volte, trovare un appiglio per restare aggrappati a qualcosa… non è esattamente la cosa migliore da fare.>>, Kate fece un enorme sforzo per dirle ciò.
<< Penso di sapere cosa sia meglio per me. E di sicuro non userei Cassie come ripiego.>>, Sarah raddrizzò le spalle e continuò nonostante il nodo alla gola, << Se hai pensato una cosa del genere… probabilmente non riesci a perdonarmi, Kate.>>
<< L’ho fatto! E non è questo il punto.>>
<< Allora qual è? Spiegamelo, per favore. Io non ti ho chiesto niente. Non ti ho chiesto di rimanere amiche, non ti ho chiesto di tornare insieme…>>, si agitò, << Sono solo stata una stupida nel sperare che potesse succedere. Una stupida nel credere che potessimo avere il coraggio di lasciarci tutto alle spalle.>>
<< Sarah, ti prego...>>, mortificata Kate le si avvicinò.
Lei alzò una mano per bloccarla.
<< E sai qual è la cosa che mi fa più male? Aver pensato che valesse anche per te. Che cavolo Kate! Avresti dovuto riprendermi tra le tue braccia piuttosto che spingermi tra quelle di un’altra.>>, la inchiodò con lo sguardo. Poi aprì la porta di casa e la richiuse bruscamente. Salì le scale e si recò in camera sua. Con fretta si tolse i vestiti di dosso e s’infilò il pigiama. Qualche lacrima le scese sulle guance mentre camminava verso la camera della sorella. Aveva bisogno di lei.
Aprì la porta.
<< Rox? Stai dormendo?>>
<< No, entra.>>
Sarah si sdraiò di fianco a lei, nel letto.
<< Ritrovarmi in quel locale mi fa sempre pensare alla nonna.>>, disse Roxanne.
<< Capita anche a me.>>, con una manica del pigiama si asciugò il viso.
<< Com’è andata?>>
<< E’ finita tra me e Kate. Intendo … proprio finita. Penso non mi ami più, davvero.>>
<< Ne sei sicura?>>
Sarah aprì bocca per parlare ma non riuscì più a trattenere quel nodo alla gola e il pianto ebbe la meglio.
<< Ehi!>>, Roxanne la strinse a sé e la cullò per calmarla.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


In casa Davis - in piena notte - dopo essersi girata e rigirata per almeno dieci volte da un lato all’altro del letto, Kate si alzò per prendere un bicchiere d’acqua. Sentiva la gola secca e le labbra aride. Tornata in camera, si sedette alla sua scrivania, accese la piccola lampada vicino al notebook, prese un foglio di carta, una penna e iniziò a scrivere una lettera.


Qualche ora fa, ti ho praticamente detto che non c’è nessuna possibilità di sistemare le cose tra di noi … e adesso mi sento una totale idiota. Non so perché, ma da qualche tempo ho sviluppato questa brutta abitudine di dire quello che non penso ad alta voce e tenermi dentro quello che invece vorrei dire davvero. E di cose da dirti ne ho parecchie, Sarah. Sono passati esattamente due anni dall’incidente… ed è trascorso appena un anno da quando ci siamo lasciate. Penso spesso a quel periodo e ancora non mi spiego come siamo potute arrivare a tanto… arrivare addirittura a urlarci contro parole terribili. Parole che col senno di poi, so con certezza che non mi appartengono. Tutto quello che ti ho detto allora Sarah, è stato dettato dalla rabbia e dal dolore. Colin era il mio fratellino e perderlo mi ha distrutto dentro. C’è stato un momento però, in cui mi sono accorta che stavo distruggendo anche noi. Non potevo permetterlo. Non potevo permettere alla mia rabbia di distruggere la cosa più bella che mi fosse mai capitata in vita mia. Così mi sono fermata. Mi sono fermata e ho dovuto fare la cosa più difficile per me: lasciarti andare. Eri infelice Sarah… lo vedevo. E non era giusto trascinarti in quel caos buio e freddo, con me. Alla nostra età è troppo da sopportare.
Ricordi cosa mi hai detto il giorno in cui ci siamo lasciate? Mi hai detto: “Capisco perché lo fai… anche se fa male.” Lì ho capito che smettere di amarti, per me, era innaturale. So bene che adesso sei arrabbiata con me, ma mi conosci Sarah … non ho mai fatto nulla d’intenzionale che potesse in qualche modo ferirti. Proprio come oggi, con quel discorso. Tu hai ragione, avrei dovuto riprenderti… e non immagini neanche quanto vorrei farlo. So già che non sopporterei di vedere accanto a te nessun’altra; ma non posso tornare a essere la tua ragazza, perché io non sono più quella ragazza di cui ti sei innamorata. Quella che ti rendeva felice, che ti faceva ridere. Purtroppo la paura mi sta governando e tutte le volte che ti guardo non faccio altro che pensare che ti farei soffrire di nuovo… e non lo meriti. Tu sei la mia Sarah e sempre sarà così. Perciò non posso essere un ostacolo per te.
Kate
 
 
 
 
 ***************
 
Il week-end successivo, le Warrios erano pronte ad affrontare la prima partita del campionato contro le Razorbacks del “W.B. Saul High School”. I rispettivi Coach stavano dando le ultime indicazioni e incitando le proprie giocatrici.
Sugli spalti, in mezzo alla tifoseria, i genitori e gli altri studenti del liceo ospitante, c’era seduta anche Sarah.
<< Ciao Sarah.>>
<< Ehi, Cassie.>>
Da quel che ricordava, a Cassie il calcio non era mai piaciuto.
<< E’ strano vederti qui.>>
<< Già… anche per me. Però sapevo di trovarti e ho pensato che non ti sarebbe dispiaciuta un po’ di compagnia.>>, rispose Cassie.
<< Hmm! Hai parlato con mia sorella?>>
<< No, perché?>>
<< Niente! Chiedevo…>>, Sarah fece spallucce e lasciò cadere il discorso.
Nel frattempo le due squadre si erano schierate in campo e attendevano soltanto il fischio d’inizio. Kate era a centrocampo, insieme con un'altra compagna di squadra e per un attimo spostò lo sguardo in direzione di Sarah che però, guardò altrove, abbassando la testa.
<< Ultimamente ti ho visto un po’ scostante…>>, disse di punto in bianco Cassie, << e adesso capisco il perché.>>
<< Davvero sono stata scostante?>>
Cassie annuì.
<< Mi spiace, non volevo.>>
<< Tranquilla, non fa niente. Però lo sai… io, ci sono per te Sarah.>>, Cassie la guardò dritta negli occhi.
<< Se vuoi proprio saperlo… in questo momento avrei tanto bisogno di un’amica.>>
<< E così sarà!>>, le sorrise.

La partita ebbe inizio e le Warriors misero subito in pratica ciò che meglio riusciva loro: il possesso palla. Arma fondamentale per una squadra di calcio, specie per una che riesce ad amministrare il gioco e possiede, tra le sue giocatrici, dei talenti veri in grado di cambiare le sorti di una partita in men che non si dica. La prima mezz’ora se ne andò con le Razorbacks rintanate nella propria area di rigore a respingere l’attacco continuo delle Warriors. Poi una delle centrocampiste perse palla e le ospiti ne approfittarono per attuare il contropiede e spingersi in avanti verso la porta protetta da Abbey Young che, fortunatamente, riuscì a bloccare il tiro avversario. Ritrovatasi con la palla tra le mani, rinviò all’istante, il pallone raggiunse Kate che si trovava nei pressi del centrocampo, sulla fascia destra; saltò un’avversaria, poi un’altra con un dribbling e alzando lo sguardo quel tanto che le bastava verso l’area di rigore, vide una sua compagna di squadra libera e allora crossò. Il pallone arrivò a destinazione e dopo averlo stoppato con il petto, l’altra attaccante delle Warriors tirò dritto verso la porta avversaria, segnando. Dieci minuti dopo, l’arbitro fischiò la fine del primo tempo. Alla ripresa, l’andamento della partita cambiò soltanto quando le Razorbacks riuscirono a pareggiare, poiché il gioco si animò di più da una parte all’altra del campo. Nonostante questo, però, sembrava proprio che la gara sarebbe terminata con un pareggio. Sembrava, appunto. All’85’ Kate subì un fallo proprio vicino l’area di rigore avversaria e s’incaricò lei stessa di battere la punizione; d’altronde era la sua specialità. Pose il pallone per bene, indietreggiò di qualche passo, guardò prima il portiere, poi la difesa, poi il pallone. Batté due volte la punta del piede destro sul manto erboso, sospirò, prese la rincorsa e tirò. La palla si alzò fin sopra la barriera e seguendo una traiettoria perfetta, s’infilò dritta nell’angolo alto destro della porta. Le bianco-blu passarono in vantaggio ed esultarono festeggiando Kate. Esultarono anche le persone sedute in gradinata e anche Sarah, che seppur presa dall’entusiasmo, non poté fare a meno di guardare Kate e ricambiare il suo sorriso contento.
Alla fine le Warriors vinsero la loro prima partita.

Uscita dallo spogliatoio, Kate s’incamminò verso l’uscita della scuola. Percorrendo il corridoio principale vide Sarah e decise di raggiungerla, correndo.
<< Sarah?>>, le sfiorò un braccio.
La ragazza si girò verso di lei.
<< Bella partita! Complimenti.>>, esordì Sarah.
<< Grazie!>>, Kate sistemò la tracolla del borsone che le stava scivolando dalla spalla; deglutì e incominciò a ripetere nella propria mente quello che le voleva dire.

In quello stesso istante, qualche metro più in là, vicino gli armadietti, Cassie osservava la scena. Come spuntata dal nulla, Marika Brown si accostò a lei.
<< Tanto non torneranno insieme.>>, con le braccia conserte, poggiò la schiena a uno degli armadietti.
<< Come fai a esserne così sicura?>>
<< Beh, se noi ci impegneremo… non accadrà.>>
<< Che cosa intendi per “ci impegneremo”?>>, Cassie guardò la ragazza stranita e al tempo stesso curiosa.
<< Tu sei molto vicino a Sarah… ed io mi sono molto avvicinata a Kate questa estate. Quindi se giochiamo bene le nostre carte…>>, disse Marika con tono malizioso.
<< Oh, no. Puoi scordartelo. Non farò una cosa del genere a Sarah.>>
<< Ascoltami bene Cassie. Finito l’anno, Sarah si diplomerà e lascerà la scuola… hai davvero intenzione di passare il tuo penultimo anno qui dentro come la sua “spalla su cui piangere” o vuoi provare a diventare quello che da tempo vuoi essere per lei?>>
Cassie lanciò uno sguardo verso Sarah e Kate.
<< Pensaci. Sono sicura che in qualche modo riuscirai a farla innamorare di te.>>, Marika possedeva questa capacità innata di convincere le persone o comunque insinuarsi nei loro pensieri come una zanzara che ronza costantemente vicino all'orecchio.
 

<< Kate, senti… devo andare.>>, Sarah fece per andarsene.
Kate, a quel punto, la prese per un fianco e avvicinandola a sé, la abbracciò.
<< Mi dispiace tanto.>>, le sussurrò tra i capelli.
<< Anche a me.>>, replicò Sarah distaccandosi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Kate rimase a guardare Sarah uscire dal “Roxborough High School”, con aria malinconica.
<< Ti ho mai detto che vengo a vederti giocare soltanto perché ti trovo sexy con la divisa da calcio?>>, Marika la raggiunse e la prese sottobraccio.
Kate sospirò profondamente e si passo una mano sulla fronte.
<< Oh, andiamo. Avete vinto e hai segnato, cos’è questo muso lungo?>>
<< Non è il momento, Marika.>>
<< Beh, almeno dimmi che ci sarai alla mia festa questa sera.>>
<< No. Non verrò.>>
<< Scherzi? Sei il Capitano della squadra e la festa è in vostro onore. Non puoi mancare.>>, sorrise maliziosamente.
<< E’ solo una festa ...>>
<< Ah!>>, Marika mise un dito sulle labbra di Kate, << Ti aspetto. Sai dove abito. Non puoi dar loro buca.>>, concluse insistendo e se ne andò.
 

Quella sera Kate, dopo averci pensato a lungo, decise di andare alla festa a casa Brown, spinta anche da qualche sms di alcune sue compagne di squadra che chiedevano conferma della sua presenza. Avrebbe potuto tranquillamente dire che non ci sarebbe stata, ma in fondo due ore trascorse a divertirsi non le costavano nulla. E poi, ogni anno questa festa era sempre stata di buon auspicio per la sua squadra. Quando arrivò, c’erano dei ragazzi che stavano entrando in casa e si accodò a loro. Marika si accorse subito di lei e la raggiunse.
<< Eccoti qua, finalmente!>>
<< Senti Marika, facciamo un patto: io resto se tu ti comporti bene.>>
<< D’accordo!>>, le rispose porgendole la mano.
Kate la strinse. Immediatamente Marika si avvicinò un po’ di più e le mise la gamba destra in mezzo alle sue.
<< Farò la brava.>>
Kate dubitò fortemente che l’avrebbe lasciata in pace, ma voleva godersi la festa e soprattutto la prima vittoria in campionato. Per una buona ora ci riuscì in compagnia di Abbey e le altre ragazze della squadra. Poi, Marika decise che era giunto il momento di animare la serata.
<< Ragazzi che ne dite di testare ancor di più la bravura delle nostre Warriors?>>, teneva tra le mani due palline da tennis, << Facciamo un gioco: due di loro dovranno fare il maggior numero possibile di palleggi con queste. Chi farà cadere la propria pallina per terra non solo dovrà ricominciare, ma farà anche spogliare due di noi.>>, quasi tutti pendevano dalle sue labbra e approvarono entusiasti, il gioco.
<< Io ci sto!>>, Abbey si fece avanti.
<< Bene!>>, Marika le lanciò una pallina. << Capitano, accetti la sfida?>>, la guardò ammiccando.
Kate rimase sulle sue mentre un coro acclamava il suo nome.
<< Dammi quella pallina.>>
Marika gliela lanciò, soddisfatta… almeno in parte.
<< Tu.>>, indicò un ragazzo alto tra i presenti, << Ti spoglierai per lei e io per Kate.>>, era già posizionata di fronte a lei.
Kate scosse la testa.
<< Mi raccomando… concentrati.>>, disse ridendo. << Pronte? Tre, due, uno. Via.>>
Le due iniziarono la gara. Alternarono i palleggi con entrambi i piedi a uno solo, per parecchio tempo; qualcuno dei presenti si era preso la briga di contarli.
Marika sapeva benissimo che una delle due palline sarebbe caduta per terra, soltanto quando la stanchezza si sarebbe impadronita delle gambe delle due ragazze; allora (come già aveva programmato) decise di mettere un po’ di pepe al gioco, provocando il suo bersaglio preferito. Non curante della presenza di molti suoi compagni di scuola, si sfilò via la maglietta, mostrando il reggiseno. Kate se ne accorse, ma restò comunque concentrata sui palleggi. Attese qualche altro minuto per poi iniziare ad avvicinarsi verso Kate, che due palleggi dopo perse il contatto con la pallina.
<< Dannazione!>>, esclamò stizzita senza riprenderla.
A quel punto, la sua compagna di squadra si fermò.
<< 96 Kate, 98 Abbey.>>, disse il tizio della conta.
<< Niente male, Capitano. Niente male.>>, Abbey rise e diede il cinque a Kate.
<< Che peccato!>>, Marika si rivolse a Kate con una finta espressione dispiaciuta.
<< Hai barato.>>
<< Oh, no. Sei tu che hai perso la concentrazione.>>
<< Come no.>>, in un primo momento Kate la guardò seccata, ma poi si lasciò andare a una risata perché in fondo si era divertita.
Marika si rimise la maglietta.
<< C’è una cosa che devi sapere di me, Kate.>>
<< Cioè?>>
<< Non seguo mai le regole.>>, le fece l’occhiolino e si allontanò.

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Un nuovo giorno aveva inizio a Roxborough e a scuola Blaze Miller aveva trovato il modo per rendere la giornata movimentata. Era considerato uno di quelli appartenenti alla categoria “Popolari”, molte ragazze gli andavano dietro e con qualcuna ci era anche stato… soltanto per divertirsi. Non si creava tanti scrupoli nel mollarle dopo aver raggiunto il suo scopo e adorava deridere gli altri; spesso ci andava giù con scherzi piuttosto pesanti.
Kate aveva appena richiuso il suo armadietto quando notò che – poco distante dal punto in cui si trovava – una folla di studenti si era soffermata a guardare qualcosa, mormorando. Allora si avvicinò per capire cosa stesse accadendo. Ferma davanti al suo armadietto, una ragazza con il volto rigato dalle lacrime per la vergogna, guardava la foto attaccata che la ritraeva mentre si scambiava effusioni con Blaze Miller, mentre quest’ultimo sghignazzava assieme ad alcuni compagni di squadra, provandoci gusto. Tra quella folla, c’era anche Sarah che disgustata dalla situazione e dal fatto che nessuno dei suoi compagni muovesse un dito in difesa di quella ragazza, decise di intervenire. Andò dritta verso la foto, la staccò via e la strappò in due pezzi.
<< Ehi!>>, strofinò una mano su un braccio della ragazza per consolarla.
<< Ma guarda un po’… Sarah Stewart la paladina degli studenti si è fatta avanti.>>, disse Blaze ridendo.
<< Sei proprio uno stronzo, Blaze.>>, gli lanciò un’occhiata di disprezzo. << Vieni, andiamocene da qui.>>
La ragazza annuì soltanto.
<< Oh, stà attenta a ciò che dici Sarah. Due belle labbra come le tue non dovrebbero pronunciare parole simili.>>
Sarah si fermò per controbattere e Blaze si avvicinò ancor di più a lei.
<< Sai, non hai idea quanto mi ferisca che tu sia lesbica. Tanta roba così sprecata.>>, la squadrò dalla testa ai piedi, << E’ un vero peccato.>>, sogghignò.
<< Me ne frego altamente di ciò che pensi.>>
Sarah ebbe il tempo di finire la frase e improvvisamente vide materializzarsi davanti a lei Kate.
<< Hai finito?>>, guardò duramente Blaze negli occhi.
Blaze scoppiò a ridere e a battere le mani.
<< Kate! Kate! Kate! Sai, mi sono sempre chiesto chi delle due facesse il maschio. Penso di averlo proprio capito.>>
<< Andiamo! E’ questo il massimo che sai fare? Riciclare battute scadenti?>>, Kate sembrò sfidarlo.
<< No, posso fare di meglio se proprio insisti.>>
D’istinto Sarah prese la mano sinistra di Kate.
<< Kate, lascia perdere, dai.>>
Kate continuava a guardare Blaze in cagnesco e quest’ultimo sorrideva con un sorriso da sbruffone.
<< Ora che ci penso… voi due non state più insieme. Interessante.>>, si sfregò le mani, << E’ una buona occasione per te Sarah per aprirti a nuovi orizzonti. Sul serio … hai mai baciato un ragazzo? Perché io sono disponibile per una prova.>>
<< Sono più che sicura che non ti bacerei neanche se dovessi rinascere etero e tu fossi l’ultimo essere umano sulla faccia della terra.>>, rispose prontamente Sarah.
<< Ma sentitela! Tiri fuori le unghie… eccitante.>>, Blaze sogghignò ancora, << Io direi che è meglio provare così ne sarai davvero sicura.>>
Stava per oltrepassare Kate, ma quest’ultima lo spinse indietro.
<< Non ti azzardare neanche a sfiorarla.>>
Blaze reagì di scatto allargando le braccia.
<< Chiedile scusa.>>, proseguì Kate.
<< Neanche per sogno.>>
<< Ho detto chiedile scusa.>>, gli disse a denti stretti.
Conoscendo il temperamento di Blaze, Sarah iniziò a desiderare che un professore o persino suo padre potesse passare di lì in quel momento ed evitare che la situazione degenerasse. Per sua fortuna accadde: Blaze era noto a tutti e qualcuno degli studenti presenti capì in anticipo che era meglio far intervenire un adulto.
<< Adesso basta!>>, tuonò il preside Stewart, e la folla iniziò a sparpagliarsi. << Davis. Miller. Nel mio ufficio... ora!>>, impose la sua autorità e i due obbedirono all’istante, << E voi... in classe.>>, gettò qualche sguardo severo verso gli studenti che erano ancora rimasti ad assistere.
<< Tu stai bene?>>, chiese alla figlia.
<< Sì, sto bene.>>
<< Lei?>>, guardò perplesso l’altra ragazza.
<< Ci penso io.>>
<< Va bene, ma dopo andate in classe.>>
Sarah annuì e s’incamminò insieme con lei.


Ore dopo, Sarah era in palestra alle prese con il consueto allenamento pomeridiano. La Coach Bennett aveva fatto disporre due file, una di fronte all’altra a circa tre metri di distanza e ordinato alle sue ragazze di passarsi la palla reciprocamente. La fila A doveva eseguire un palleggio corto che la fila B doveva restituire in bagher. Poi, suddivise le ragazze in due gruppi in modo da allenare l’attacco e la ricezione e accrescere la coordinazione motoria. E con un preciso schema mostrato loro, poteva così verificare la capacità di anticipazione e di valutazione della traiettoria della palla da parte delle giocatrici. Fu un allenamento intenso, come ogni giorno del resto; la Coach spronava sempre la sua squadra a dare il meglio negli allenamenti e il 100% nelle partite. Le preparava affinché potessero diventare delle vere pallavoliste, affinché le migliori squadre universitarie notassero la loro bravura, il loro impegno e la dedizione per questo sport.
Dal fischietto che teneva appeso al collo, fece partire un lungo suono.
<< Per oggi va bene ragazze.>>, disse, << Ottimo! Continuate così anche domani.>>, applaudì e le ragazze fecero lo stesso. Era il loro rito simbolico alla fine di ogni allenamento.
<< Sono distrutta!>>, affermò Sarah poggiando per un attimo le mani sulle proprie ginocchia.
<< Non dirlo a me.>>, Cassie le porse un telo per asciugare il sudore.
S’incamminarono verso lo spogliatoio, direzione docce.
<< Senti Cassie… potresti darmi un passaggio? Roxanne non poteva aspettarmi oggi, quindi…>>
<< Nessun problema.>>, le rispose sorridendo.
<< Grazie!>>
<< Ah, quasi dimenticavo. Hai impegni stasera?>>
<< Sì. Un appuntamento con il mio letto.>>
<< Uhm… beh, è sicuramente un appuntamento allettante, ma non è che lo rimanderesti per due biglietti per il cinema?>>
Sarah guardò Cassie pensierosa.
<< Dipende quale film mi proponi.>>
<< Uno a cui non potrai dire di no.>>, le sorrise fiduciosa, << The Perks of Being a Wallflower.>>
<< Dici sul serio?>>
Cassie annuì con la testa.
<< So che volevi tanto vederlo, così ho prenotato i biglietti.>>
<< Hai proprio ragione, non posso dire di no.>>
<< Passo a prenderti alle 19:00?>>
<< Perfetto!>>
 

Sarah era pronta, aspettava l’arrivo di Cassie e sarebbero andate al cinema. Prima però, vedendo Kate dalla sua finestra, decise di telefonarle per sapere cosa fosse successo nell’ufficio di suo padre quella mattina.
<< Ciao Kate!>>, disse dopo che la ragazza rispose.
<< Ehi! Ciao Sarah.>>, Kate era solita intraprendere piccole passeggiate quando parlava al cellulare, in qualsiasi luogo fosse. Lo fece anche in quel momento, ma quando vide Sarah alla finestra, si fermò a guardarla.
<< Com’è andata con mio padre?>>
<< Non ti ha detto niente?>>
<< Non è ancora tornato. Aveva una riunione con gli insegnanti.>>
<< Capito! Comunque, si è risolto tutto con un chiarimento. Blaze ha parlato per primo e ha detto che abbiamo avuto una piccola discussione a causa di un suo fraintendimento, e che non è successo nulla di serio.>>
<< E tu cosa hai risposto?>>
<< Stranamente, l’ho assecondato e ancora mi chiedo perché.>>
<< Forse non volevi metterlo nei guai con il Coach Garcia.>>
<< Hmm! Probabile.>>
<< Dici che mio padre vi abbia creduto fino in fondo?>>
<< Penso di no. E’ un uomo molto perspicace e sa com’è fatto Blaze. Magari anche lui non ha voluto infierire per via della squadra. In fondo, ha fatto di peggio.>>
<< Comunque, oltre a questo… volevo ringraziarti per aver preso le mie difese.>>
<< Tutte le volte che ne avrai bisogno, Sarah.>>
Anche a distanza, separate da due finestre, si guardarono intensamente negli occhi.
<< Devo lasciarti, adesso. Ciao, Kate.>>
<< Ciao Sarah.>>, le sorrise e alzò una mano in cenno di saluto.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Sam: “Perché io e quelli che amo scegliamo persone che ci trattano come fossimo nulla?”
Charlie: “Accettiamo l’amore che pensiamo di meritarci.”


Sullo schermo del cinema era appena stata proiettata questa scena del film in cui i due giovani protagonisti s’interrogavano sull’amore. Il dialogo colpì in maniera particolare Sarah, che la portò quasi a immedesimarsi. Quelle parole avevano innescato una serie di pensieri: amore e accettazione, due facce della stessa medaglia. Quando ami qualcuno accetti il buono e il cattivo tempo, accetti i pregi e i difetti, e accetti anche di essere trattato in un certo modo. Sarah era sempre stata sicura di meritare l’amore di Kate, e se pensava a Cassie e ai suoi sentimenti non corrisposti … beh, era altrettanto sicura che meritasse di meglio. Quindi fino a quando la marea sarebbe stata calma?

Con l’inizio dei titoli di coda, Sarah e Cassie uscirono dal cinema.
<< E’ un film…>>, Cassie rimase con la bocca aperta.
<< Meraviglioso?>>, rispose Sarah.
<< Già!>>, sorrise, << Mi ha emozionato molto.>>
<< Anche a me.>>
<< Ti va un gelato?>>
<< Sì, ma… offro io. Devo sdebitarmi per il biglietto.>>, Sarah le fece l’occhiolino e s’incamminarono verso la gelateria lì vicina.
Sarah prese il gelato vaniglia con scaglie di cioccolato, mentre Cassie lo prese cioccolato. Passeggiarono parlando ancora del film, della trama, degli attori, di ciò che avevano apprezzato e cosa non, e poi tornarono verso l’auto di Cassie. Una volta giunta davanti alla staccionata che circondava casa Stewart, Cassie spense il motore.
<< Bella serata, non trovi?>>, si sfregò le mani sulla gonna di jeans.
<< Sì.>>, Sarah sorrise.
<< Ci vediamo domani a scuola, allora.>>
Da quando aveva avuto quella particolare chiacchierata con Marika, Cassie aveva iniziato a domandarsi con frequenza se voleva restare in panchina o giocare in prima squadra. E in un momento non ben preciso, aveva deciso di voler giocare. Così, una parte di lei avrebbe voluto sporgersi per darle un semplice bacio sulla guancia, ma la serata era trascorsa veramente bene che non voleva ci fosse nessun tipo di fraintendimento. Era decisa a conquistare Sarah, però doveva farlo con calma.
<< A domani. Notte Cassie.>>, Sarah aprì lo sportello dell’auto e scese.
Avanzando verso la porta di casa, indugiò un attimo e si fermò nel mezzo del vialetto. Per un attimo alzò gli occhi verso il tetto di casa Davis e sospirò. Poi riprese a camminare, prese le chiavi dalla borsa, aprì ed entrò.
 

Il mattino seguente, mentre Gloria Stewart preparava la colazione, Sarah e Roxanne apparecchiavano la tavola, con piatti, posate, bicchieri, la tazza del padre per il caffè, e il succo di frutta in bottiglia.
<< Com’è stato il film, Sarah?>>, chiese Gloria alla figlia.
<< L’appuntamento.>>, Roxanne camuffò la parola fingendo un colpo di tosse.
<< Non era un appuntamento.>>, precisò Sarah, lanciando un’occhiataccia alla sorella, << E il film è bellissimo? Meraviglioso? Significativo? Scegli tu mamma la risposta che preferisci, perché per me è stato tutte e tre le cose.>>
<< Penso mi vadano bene tutte e tre.>>, la donna le sorrise, << Quindi Cassie è... soltanto un’amica?>>
Sarah annuì.
<< Okay! Mi è simpatica comunque.>>
<< Ehi, mamma!>>, intervenne Roxanne spalancando gli occhi, << Noi siamo Team Kate, ricordi?>>
<< No, io sono Team “l’importante è che le mie figlie siano felici”.>>, Gloria guardò entrambe proprio mentre il marito faceva il suo ingresso in cucina.
<< Oh, eccolo qui l’uomo dalle entrate trionfanti.>>, Roxanne fece un ampio sorriso, << Avrei voluto tanto esserci.>>, con voce impostata imitò il padre, << Davis. Miller. Nel mio ufficio... ora!>>
Gloria e Sarah scoppiarono a ridere.
<< Noto che sei in vena di sfotto, Rox.>>, Gavin Stewart finse di essere offeso.
<< Hai fatto la cosa giusta.>>, Gloria lo baciò sulle labbra e poi fece l’occhiolino a Roxanne.
Seduti a tavola, iniziarono la colazione.
<< Piuttosto, poiché siamo in argomento… ditemi la verità: Blaze Miller vi ha mai dato fastidio in qualche modo?>>, guardò le figlie.
<< No, papà.>>, rispose per prima Sarah.
<< Neanche ieri, Sarah?>>
I due si scambiarono un lungo sguardo.
<< Ce l’avrebbero detto Gavin. Tranquillo.>>, intervenne Gloria.
<< Esatto! E poi… sappiamo difenderci.>>, Roxanne strizzò l’occhio alla sorella, in segno di complicità.
<< Comunque, ieri è passata Kate. Ti ha riportato un libro di scuola che le avevi prestato. L’ho messo in camera tua, sulla mensola.>>, riferì la madre a Sarah.
<< Credo di non essermene accorta.>>, fece mente locale su quale libro fosse, ma non ricordò. Anzi, a dire il vero, non ricordava proprio di averle prestato alcun libro.
<< Non è lì, l’ho preso io. E’ quello di biologia e mi serve per preparare un compito.>>
<< Okay!>>, rispose Sarah sempre più confusa.

Smise di pensarci durante la giornata, quando la mente era occupata dalle lezioni, dall’allenamento e cosa più importante l’organizzazione del ballo invernale e di fine anno. Si sarebbe tenuta una riunione nel pomeriggio con gli altri membri del corpo studentesco, tra i quali anche Marika, che ricopriva il ruolo di vice Presidente del Consiglio Studentesco. Sarah si presentò in aula in ritardo di cinque minuti.
<< Ciao a tutti. Scusate… la Coach Bennett ci ha trattenuto più del solito.>>
<< Ciao Sarah.>>, la rappresentate del club di matematica la salutò agitando la mano, << Volevamo aspettarti, ma Marika ha insistito per iniziare.>>
<< Ce la saremmo cavati benissimo anche senza di lei.>>, precisò Marika.
<< Tranquilli, non fa niente.>>, sorrise ai presenti non badando a ciò che aveva detto Marika. Aveva deciso che fin quando poteva, l’avrebbe ignorata per tutto l’anno scolastico. Era stufa delle sue provocazioni e dei battibecchi che duravano da anni, ormai. << Che argomento stavate affrontando?>>
<< Il tema per il ballo di fine anno.>>, rispose la ragazza del club di matematica.
Del ballo invernale non c’era molto su cui discutere, per una questione di budget e di facilità nell’organizzazione, il tema era sempre stato “il ghiaccio e la neve”. Tutt’altra faccenda invece era il ballo di fine anno: era l’evento che la maggior parte dei liceali aspettava con trepidazione.
<< Bene. Qualche idea?>>
<< Gli Alieni?>>, dal tono della voce le fece capire che finora brancolavano nel buio.
<< E’ già stato fatto.>>, disse Sarah, << Dai, ragazzi dobbiamo essere creativi e pensare a qualcosa di originale.>>, cercò di invogliarli.
<< I Supereroi!>>, esclamò un ragazzo.
<< I Supereroi?>>, Marika lo guardò perplessa, << Ma che hai sette anni Post-it?>>, il soprannome del ragazzo derivava dalla sua mania di riassumere le spiegazioni dei professori su dei post-it.
<< Allora un ballo in stile Zombie.>>, continuò il ragazzo.
<< Perché i tuoi genitori non ti hanno abbandonato sul ciglio della strada quando sei nato?>>, Marika lo fulminò con lo sguardo.
<< No, non ci siamo.>>, intervenne Sarah, << Dev’essere il ballo che tutti, ma proprio tutti, ricorderanno con entusiasmo.>>
<< Celebriamo il sesso. Quello si che diventerebbe il miglior ballo di sempre.>>, replicò Marika.
<< Potresti cercare di prendere almeno questa cosa, seriamente?>>, le chiese Sarah in modo calmo.
<< E’ solo uno stupido ballo. Ma ci proverò.>>, le mostrò un sorriso falso, da presa in giro. A Marika non importava davvero del ballo, le importava soltanto trovare l’idea migliore prima di Sarah.
Proseguirono proponendo altro come il Casino, il Far West, il regno sotterraneo di Atlantide, Parigi; tutti temi che suscitavano scarso interesse e non trovavano consenso unanime.
<< Perché non ci illumini tu… Sarah?>>
<< Sono a corto d’idee anch’io in questo momento.>>, fece una pausa e alzò lo sguardo verso l’orologio appeso sul muro, << La riunione sta per finire ed è chiaro che non riusciremo a decidere oggi cosa fare. Quindi, direi di continuare a pensarci su, appuntare quello che ci viene in mente e discuterne la prossima volta.>>
Tutti annuirono e si alzarono dalle sedie per andarsene.
<< Hai troppe cose per le mani, Sarah.>>, Marika si avvicinò a lei, parlandole faccia a faccia, << Sicura di farcela? Fatti da parte e lascia organizzare tutto a me.>>
<< Sicurissima.>>, replicò Sarah con determinazione. Girò i tacchi e uscì dall’aula.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Roxborough è un quartiere situato nella Northwest Philadelphia, una sezione della città di Philadelphia. E’ circondato dal verde dei parchi come il Fairmount Park e il Gorgas Park, e da montagne; confina con lo Schuylkill River a sud-ovest e nella parte nord-est scorre il torrente  Wissahickhon Creek. Grazie alla sua posizione geografica che lo rende un quartiere totalmente a contatto con la natura, la sua comunità organizza annualmente - ogni prima settimana di Ottobre - il “Roxtoberfest”, lungo la Lyceum Avenue.
L’evento prevedeva musica dal vivo, stand in cui si potevano acquistare prodotti artigianali e di vario tipo; altri in cui esperti del settore decoravano i visi delle persone con la tecnica del face painting; e poi c’era un’area dedicata interamente ai bambini con giochi come i gonfiabili a forma di castello. Era principalmente una festa per famiglie molto sentita dalla comunità. Anche le famiglie Davis e Stewart vi partecipavano, specialmente la prima, in quanto il negozio d’antiquariato in cui lavorava Isabel Davis, aveva un proprio stand d’esposizione. Non era facile per la donna stare lì, a stretto contatto con tutte quelle famiglie e quei bambini che potevano avere circa l’età che aveva suo figlio Colin quando morì. Era una delle tante madri vittime di un dolore sconfinante. Dal giorno della tragedia, anche lei aveva iniziato a chiedersi “come può un genitore sopravvivere a un figlio?”.


<< Ciao mamma.>>, Kate si avvicinò allo stand e baciò la donna sulla guancia.
<< Ciao tesoro. E tuo padre?>>
<< Ha incontrato il signor Stewart lungo la strada e si sono fermati a chiacchierare.>>
<< Allora non lo rivedremo più.>>, Isabel rise sapendo quanto suo marito adorasse parlare, specie se con un caro amico.
<< Come procede qui?>>
<< Bene. Abbiamo già venduto un po’ di cose.>>, sorrise alla figlia.
Proprio in quel momento arrivò la signora Reyes, proprietaria del negozio d’antiquariato.
<< Salve signora Reyes.>>
<< Kate!>>, la donna pronunciò il nome con entusiasmo, << Che bello vederti. Fatti abbracciare.>>
<< E’ un piacere anche per me.>>
<< Come stai?>>
<< Abbastanza bene.>>
<< Sono contenta.>>, le fece un ampio sorriso, << Chiedo spesso a tua madre di te, sai? La prossima domenica devi venire a cena da me… cucina messicana come ai vecchi tempi.>>
Kate stava per rispondere ma fu interrotta dall’arrivo di Marika.
<< Adoro la cucina messicana!>>, esclamò diretta, << Salve signora Stewart. Signora…?>>
<< Reyes. Felipa Reyes.>>
<< Sono Marika un’amica di Kate.>>
<< Ciao Marika.>>, la salutò Isabel Davis sorridendole.
<< Allora, Kate, mi prometti che verrai a cena?>>, chiese la signora Reyes.
<< Certo! Ci conti.>>
<< Grandioso! Può venire anche la tua amica dato che le piace il cibo messicano.>>
<< Verrò sicuramente. Grazie per l’invito.>>, rispose Marika e prese sottobraccio Kate, << Vi rubo Kate per un po’… Arrivederci.>>, quasi la trascinò via di lì.
<< Marika dove mi stai portando?>>, Kate si fermò di colpo.
<< Mi annoio da sola. Facciamo un giro.>>
<< Okay… ma… camminiamo normalmente.>>, disse distaccando il suo braccio da quello della ragazza.
<< Oh… c’è anche Sarah da queste parti, vero?>>, la guardò, incrociò le braccia, << Tu hai paura di come reagirebbe se scoprisse che abbiamo fatto sesso.>>
<< Non ci pensare nemmeno…>>, Kate si mise sulla difensiva.
<< Rilassati! Non saprà mai niente. Sei stata anche mia. L’unica cosa ottenuta da entrambe. Non ho nessuna intenzione di farglielo sapere.>>, le confessò guardandola dritta negli occhi.
<< E’ per questo che l’hai fatto? Venire a letto con me è stato un modo contorto per prenderti la tua rivalsa su di lei?>>
<< Anche.>>
<< Che significa?>>, Kate la guardò perplessa.
<< Niente. Andiamo o la festa finirà.>>, concluse Marika iniziando a camminare.

Più tardi si ritrovarono ferme davanti allo stand di un ragazzo a sparare con un fucile con proiettili di gomma, verso delle lattine. Il primo giro l’aveva iniziato Marika vincendo un Homer Simpson di peluche, mentre Kate non era ancora riuscita a colpirne una.
<< Sei una schiappa, lo sai?>>
<< Grazie tante.>>, rispose Kate concentrata.
Sparò l’ennesimo colpo che fece nuovamente cilecca.
<< Sai cosa significa mirare a qualcosa?>>, Marika si avvicinò di più a lei, allungò una mano verso il gomito sinistro di Kate, << Devi poggiarlo bene al fianco.>>, con una leggera pressione lo posizionò, << Adesso, guarda il mirino in fondo alla canna e allinea il tuo occhio spostando di poco il fucile finchè non vedi la lattina attraverso una sorta di… tridente.>>
<< Come cavolo sai tutte queste cose?>>, Kate fu sorpresa.
<< Ricordi mio zio della Florida? Va a caccia. Mi ha insegnato lui quando ero piccola per poter vincere i peluche alle giostre.>>
Kate voltò leggermente il viso verso Marika, ritrovandosi faccia a faccia.
<< Metti una porta, dalle un pallone e vedrai come farà centro al primo tiro.>>
Fu Sarah a interromperle, passando di lì con Roxanne.
<< Sarah… >>, Kate si distanziò da Marika all’istante, << Roxanne. Ehi… ciao.>>, farfugliò imbarazzata.
<< Ecco perché sentivo nell’aria puzza di stronzaggine.>>, disse Roxanne guardando Marika.
<< Le sorelle simpatia in un colpo solo! E’ il mio giorno fortunato.>>
Roxanne avanzò verso Kate.
<< Posso?>>, indicò il fucile.
<< Sì. E’ tutto tuo.>>, glielo porse.
Roxanne lo prese e si dispose per prendere la mira. Marika rise sarcastica.
<< Ti va di…>>, Kate si rivolse a Sarah.
<< fare due passi? Si. Anche se ho un po’ di timore a lasciarle da sole.>>
<< Se la caveranno.>>
<< O si uccideranno.>>
Risero entrambe.
<< Nah!>>, Kate fece una smorfia, << Troppi testimoni.>>
<< Per fortuna!>>
Iniziarono a camminare lungo il viale di stand.
<< Lo fai ancora.>>
<< Cosa?>>
<< Finire le mie frasi.>>
<< Già!>>, Sarah sospirò, << Credo perché ho una certa esperienza in materia Kate, ormai.>>
<< Probabilmente è così.>>
<< Per questo non posso fare a meno di chiedermi che ci fai tu con Marika.>>
<< Non c’è niente tra di noi.>>, Kate ci tenne a specificare.
<< Mentirei se ti dicessi che non ne sono felice.>>
Ci fu un attimo di silenzio.
<< Sarah, hai letto la mia lettera?>>
<< Quale lettera?>>
<< Non l’hai letta. Immaginavo. L’avevo messa nel libro che ho lasciato a tua madre.>>
<< A dire il vero, quel libro non l’ho ancora avuto. L’ha preso Roxanne e credo sia ancora in camera sua.>>
<< Beh, sicuramente non l’avrà vista altrimenti te l’avrebbe fatta avere.>>
<< Sicuramente.>>
<< Perché me l’hai scritta?>>, Sarah s’incuriosì.
<< Sentivo il bisogno di farlo.>>
<< E non potevi consegnarmela o metterla nella cassetta della posta o infilarla nel mio armadietto?>>
<< Veramente all’inizio l’ho semplicemente scritta senza che tu la dovessi leggere. Ho deciso soltanto dopo…>>
<< Capisco.>>



Quando qualche ora dopo Sarah fece ritorno a casa, andò subito in camera della sorella per cercare la lettera. Trovò il libro sopra il letto, e spinta da una chiara sensazione, andò a pagina 16 e la trovò. Prese la busta bianca e si diresse verso camera sua. Si sedette sul proprio letto, la aprì, uscì il foglio e iniziò a leggere. A metà lettura, gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime che le bagnarono il viso brevi istanti dopo.
<< Penso spesso a quel periodo e ancora non mi spiego come siamo potute arrivare a tanto … arrivare addirittura a urlarci contro parole terribili.>>, leggeva sussurrando alcune parti, << … Mi sono fermata e ho dovuto fare la cosa più difficile per me: lasciarti andare. Eri infelice Sarah … lo vedevo.>>, si asciugò una lacrima con una mano, << …Lì ho capito che smettere di amarti, per me, era innaturale.>>, singhiozzò e continuò leggendo nella propria mente.
Una volta finito, chiuse gli occhi per un po’ e fu invasa da un profondo senso di nostalgia. Kate le mancava. Le mancava ogni cosa di lei, ma più di tutto le mancava il suo amore.
Poi si ricompose sciacquandosi il viso e decise di andare a casa di Kate, portando con sé il libro.

Kate sentì suonare il campanello ed essendo sola in casa andò ad aprire. Non era per niente sorpresa di vedere Sarah lì davanti.
<< Posso entrare?>>
<< Certo.>>
<< Oddio che stupida!>>, esclamò Sarah istintivamente.
<< Cosa?>>, Kate la osservò perplessa.
<< I tuoi sono a cena con i miei genitori… tu hai cenato da sola.>>
<< Non è stato un problema. Qualcosa so cucinarla.>>, Kate sollevò le spalle.
<< Lo so, è che… avrei dovuto chiederti di cenare con me e Roxanne… insomma, è triste mangiare da soli.>>, era visibilmente dispiaciuta.
Kate si avvicinò e le mise le mani su entrambe le braccia.
<< Sarah, dico davvero. Nessun problema.>>, le sorrise.
<< Okay! Comunque, ho letto la lettera.>>, fece una pausa, << Possiamo parlarne?>>
Kate le fece segno di seguirla in salotto e si sedettero su uno dei due divani.
<< Prima di tutto, ero sicura di non averti prestato nessun libro. Questo è il tuo.>>, lo aprì e fece scorrere le pagine fino a pagina 16. Indicò il post-it incollato nel margine superiore, << Sarah Stewart (215) 207-2567. Te l’ho scritto il giorno dopo che ci siamo conosciute, durante l’ora di biologia.>>
<< Ricordo benissimo il tuo “ehì, post-it me ne dai uno?” rivolto a Kellerman.>>, disse Kate sorridendo.
<< Secondo… dispiace tantissimo anche a me averti detto determinate parole. E’ che avevo perso la pazienza.>>
<< Lo so.>>
<< E poi… non sei un ostacolo per me, Kate. Né per la mia vita, né per il mio futuro. Come puoi pensare una cosa simile?>>
<< Sarah…>>
<< Shh! Ascoltami, per favore.>>, prese un respiro, << E’ abbastanza ovvio che tra noi c’è ancora qualcosa. Tu sei stata esplicitamente chiara al riguardo, insomma… hai scritto che mi ami e a meno che nel giro di qualche settimana ti sei rimangiata…>>
<< No! Niente affatto! Le parole dette a voce possono essere negate… ma quelle scritte… beh, quelle restano.>>
<< Bene, allora io aspetterò. Aspetterò fino al giorno in cui mi guarderai e capirai di non potermi fare del male.>>, allungò una mano verso il viso di Kate e le accarezzò una guancia, << Ti voglio ancora Kate. Non ne ho abbastanza di te.>>, si avvicinò con il corpo verso di lei.
Si guardarono negli occhi e tentennarono nei gesti e in ciò che fare come due persone che si stanno baciando per la prima volta.
Anche Kate voleva Sarah, così in quel momento, per quanto una parte di lei fosse restia… il suo cuore disse “al diavolo!” e baciò Sarah, con molta, molta intensità.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Quella notte, Isabel Davis si svegliò spesso durante il sonno, presa da un’ansia opprimente e da incubi che avrebbe preferito non fare. Pur avendo superato la dura giornata, a cena al Marion’s Restaurant, a stento aveva toccato cibo e partecipato alle conversazioni con il marito e i loro amici; qualcosa dentro di lei la stava portando a crollare un’altra volta. Il suo demone era tornato.
Si alzò dal letto e scese giù in cucina: aprì lo sportello della credenza sotto il lavello, (lì vi stavano i detersivi) e cercando attentamente prese un flacone marrone. Dentro c’era del vino.
Si era sbarazzata di ogni bottiglia quando aveva iniziato a frequentare gli alcolisti anonimi… ma il suo non essere del tutto sicura di riuscire a smettere di bere, l’aveva spinta a conservare almeno una riserva.
Prese anche un bicchiere con sé e risalì al piano superiore. Era agitata e spaventata, non tanto per essere scoperta dalla figlia o dal marito, ma da quanto la sua mente aveva intenzione di fare. Si chiuse in bagno e poggiò flacone e bicchiere sopra la tavoletta del water. Poi si sedette sul bordo della vasca e iniziò a fissarli. L’ansia di prima si era trasformata in mancanza di ossigeno. Non ne poteva più. Così prese il flacone, svitò il tappo e versò il liquido rosso nel bicchiere. Lo prese, bevve, e disse addio alla donna apparentemente forte che era stata per sette mesi.

*************************************
 
Nei giorni successivi, gli unici momenti che Kate e Sarah riuscivano a condividere insieme, erano a scuola durante il pranzo e la sera per qualche ora dopo aver finito di studiare. A entrambe andava bene farsi bastare quei momenti. Forse, avevano capito che per far funzionare di nuovo il loro rapporto dovevano andarci piano. A Sarah però iniziava a dar fastidio la continua presenza di Marika attorno a Kate e anche se non poteva riconsiderarsi la sua ragazza, glielo fece presente e non mascherò neanche il fastidio provato quando Kate le disse dell’invito a cena a casa della signora Reyes.
Quella domenica sera, Sarah si concentrò sullo studio insieme alla sorella… o almeno ci provò. Erano alle prese con la storia e come d’abitudine preparavano degli schemi su cui annotare i punti salienti dell’argomento in questione.
<< 16 dicembre 1773.>>, disse Roxanne guardando il foglio.
<< Cosa?>>, rispose Sarah distratta.
<< Il Boston Tea Party è avvenuto il 16 dicembre 1773. Nel 1774 …>>
<< Si è riunito il Congresso Continentale.>>, Sarah notò lo sbaglio e lo corresse cancellando la data riscrivendola corretta.
<< E’ solo una cena a casa di una signora.>>, precisò Roxanne.
<< Lo so! Il mio problema è Marika insieme con lei.>>, Sarah sbuffò.
<< Pensi che le piaccia Kate?>>
<< Oh, sì. Ne sono proprio sicura.>>
<< Bene, allora studiamo un piano per farla fuori.>>
<< Potrei prenderti in parola.>>
<< Fallo!>>, Roxanne girò la pagina del suo quaderno e prese la matita in mano, << Io sono pronta.>>, fece un ampio sorriso e la sorella rise.
Pochi secondi dopo, Kate varcò la soglia della porta della camera di Roxanne.
<< Disturbo?>>
<< Ehilà! Vieni.>>, Roxanne agitò una mano.
<< Ciao!>>, Sarah era contenta e sorpresa al tempo stesso.
<< Guerra d’Indipendenza.>>, Kate lesse il titolo del paragrafo, << Pronte per il compito di domani?>>
<< Si, ma quello è il nostro alibi. In realtà stavamo escogitando un modo per far fuori l’amichetta tua.>>, disse Roxanne.
<< E chi sarebbe?>>
<< Marika la vipera.>>
Kate rise guardando Roxanne.
<< Vieni, andiamo in camera mia.>>, Sarah si alzò e fece strada.
<< Ciao, Rox. Buona notte.>>, Kate la salutò uscendo.
<< Notte!>>
Le due ragazze raggiunsero la camera di Sarah.
<< Come mai sei passata?>>
Si sedettero sul letto. Entrambe poggiandosi contro lo schienale.
<< Volevo vederti.>>
<< E com’è andata la cena?>>
<< Piuttosto bene direi. Lo sai, adoro la cucina della signora Reyes… e Marika è stata meno Marika.>>
<< Sul serio?>>
<< Sì.>>
Sarah divenne pensierosa.
<< Sei davvero gelosa di lei?>>
<< Sarei gelosa di qualunque lesbica ti girasse intorno.>>, precisò Sarah.
Kate prese la mano sinistra di Sarah e la strinse nella sua. Guardandola, le balenò per la testa l’idea di raccontarle cosa era successo tra lei e Marika pur considerandolo un rischio. Una cosa che non era mai venuta meno nella loro relazione era la sincerità; solo che adesso la verità portava un peso che avrebbe compromesso questa ritrovata intesa. Così, preferì tacere.
<< Non voglio che diventi un problema, Sarah.>>
Sarah si voltò per incrociare il suo sguardo, dopodiché la baciò.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Quando le Eagles e le Warriors giocavano le partite in trasferta presso altri licei, molti degli studenti del “Roxborough High School” seguivano le squadre per sostenerle; e alla gara disputata e vinta dalle Eagles contro le Bears del “Germantown High School”, si erano recate anche Roxanne e Kate.
Aspettavano Sarah fuori scuola, entrambe poggiate col sedere sulla carrozzeria dell’auto di Roxanne.
<< Quindi tu e mia sorella… state di nuovo insieme?>>
<< No. Ci stiamo… come dire… rifrequentando.>>
<< Uhm! E quanto tempo ancora vi serve da sprecare?>>
Kate sospirò.
<< Perchè ci tieni così tanto che noi torniamo insieme?>>
Roxanne esitò a rispondere.
<< Perché voi due mi davate speranza.>>, confessò sinceramente, voltandosi verso la ragazza, << La speranza che da qualche parte, ci sia un ragazzo che possa amarmi almeno quanto tu ami mia sorella; che non faccia il simpatico e il carino soltanto per portarmi a letto, ma perché è interessato a me.>>
<< Non sono tutti come Tyler.>>
<< Lo spero. Perché al momento penso che siano tutti come quell’idiota patentato.>>, fece una pausa, << Non sono uscita più con nessuno dopo che l’ho lasciato… ho concentrato tutte le mie energie nello studio e nel giornale della scuola. E a volte ho come la sensazione che mi stia perdendo il meglio di questi anni.>>, si strinse nelle spalle.
<< Lo incontrerai quel ragazzo, Roxanne.>>
Roxanne le sorrise.
<< Vuoi un abbraccio?>>, Kate allargò le braccia.
<< Sì!>>, Roxanne si avvicinò lasciandosi avvolgere, << Grazie!>>
<< Di nulla.>>
<< Tieni bene a mente che sono sempre l’altra sorella Stewart… non ti eccitare quindi.>>
Kate rise.
<< Non accadrà.>>
<< Perfetto! Possiamo restare così un altro po’ allora.>>
Sarah le raggiunse qualche minuto dopo; indossava la tuta della squadra.
<< Ottima partita Stewart.>>, Kate alzò il braccio destro in aria con il palmo della mano aperto.
<< Grazie!>>, Sarah battè il cinque, sorridendole. << Dunque… sono venuta a dirvi che c’è un problema.>>
<< Di che tipo?>>, chiese Roxanne.
<< Il nostro pullman è fermo. Ha un guasto al motore e non sarà riparato prima di domani. Quindi, la Coach Bennett ha prenotato delle camere in un Bed & Breakfast in centro.>>
<< Beh, torna con noi.>>, le rispose la sorella.
<< Non posso. Devo rimanere con la squadra. Avvisi tu mamma e papà, per favore?>>
<< Va bene.>>, Roxanne si avvicinò a Sarah e le stampò un bacio sulla guancia, << Noi è meglio che iniziamo a fare strada… prima che faccia buio pesto.>>, si rivolse a Kate mentre saliva in macchina.
<< Non ci voleva questo imprevisto. Avrei voluto trascorrere la serata con te una volta tornata a Roxborough.>>
<< Anch’io, ma capisco. Avrei fatto lo stesso.>>, Kate le sorrise.
<< Ci vediamo domani?>>
<< Ci vediamo domani.>>, Kate le fece l’occhiolino, poi salì in macchina e Sarah tornò dalle sue compagne di squadra.
 
Un quarto d’ora dopo, la Coach Bennett stava distribuendo le chiavi delle camere alle sue giocatrici.
<< Allora ragazze… dormirete due per ogni camera. Sarah, Cassie, voi siete nella 26.>>, lanciò la chiave verso Cassie che la afferrò al volo. La Coach proseguì con l'assegnazione delle altre camere e finì col fissare l’appuntamento per l’indomani mattina alle 9:00.
Le stanze del Bad & Breakfast erano piccole e accoglienti, ma quando Sarah e Cassie entrarono nella loro, non si aspettavano di certo di trovarsi un letto matrimoniale da condividere.
<< Wow!>>, Cassie spalancò gli occhi, << Dobbiamo dormire letteralmente insieme.>>, continuò imbarazzata poggiando il suo borsone per terra.
<< E’ un problema per te?>>, Sarah fece altrettanto.
<< No!>>, Cassie cercò di essere disinvolta, << Per te?>>
<< Neanche.>>
<< Perfetto!>>
Erano entrambe ai lati opposti del letto a spostare la coperta per infilarsi sotto.
<< E poi è solo per una notte.>>
Cassie annuì e si sdraiò. Incrociò le dite delle mani le une alle altre, poggiandole sopra la pancia e si obbligò di restare immobile. Il disagio che stava provando adesso era molto più forte di quello provato la prima volta che la vide nuda sotto la doccia nello spogliatoio o di quando le confessò che si era innamorata di lei. Forse perché in una situazione così intima con Sarah non ci si era mai ritrovata.
<< Abbiamo fatto una bella partita, non trovi?>>, le chiese Sarah.
<< E’ vero. E in tutta sincerità… non è stato poi così difficile vincere.>>
<< La prossima partita sarà dura.>>
<< Ce la faremo. Noi abbiamo un’arma che le altre squadre non hanno.>>
<< E cioè?>>
<< Te.>>
<< Ci sono altre ragazze altrettanto brave nel mio ruolo.>>
<< Non quanto te, Sarah. E i tre anni come miglior libero del torneo regionale, lo dimostrano.>>
Chiacchierano per qualche altra ora finchè non si addormentarono. Durante la notte poi, Cassie si svegliò un attimo, avvicinò completamente il suo corpo a quello di Sarah e delicatamente le cinse la vita con un braccio. Era l’unico momento in cui Sarah non poteva rifiutarla nè allontanarla. Era a stretto contatto con lei e la sensazione che provava le piaceva da matti.

Si svegliarono quasi contemporaneamente. Sarah notò il braccio di Cassie su di lei e l’espressione di perplessità sul suo viso fu palese.
<< Scusa. La notte mi muovo spesso e…>>, la voce di Cassie era piena d’imbarazzo, << assumo posizioni strane.>>, fece un mezzo sorriso.
<< Non… non fa niente. Tranquilla.>>
Cassie si schiarì la voce.
<< Okay!>>, annuì con la testa, << Io… vado… devo…>>, gesticolò nervosamente mentre scese giù dal letto, << Vado in bagno.>>, disse infine, arrossendo.
Quando raggiunsero la Coach Bennett e il resto della squadra, il pullman era già pronto per ripartire. Salirono e fecero ritorno a Roxborough.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Due mesi dopo
Dicembre
 
Quello del Natale per Sarah era il periodo dell'anno che preferiva in assoluto. Vedere come il suo quartiere e la cittadina prendeva forma con gli addobbi, le luci, gli alberi…. la elettrizzava. Le piaceva soprattutto l’atmosfera particolare che circondava tutto; quell’idea di mettere da parte screzi, torti fatti e ricevuti, per dar spazio ai sentimenti buoni e ciò che alla fine conta di più: l’unione. L’unione con la famiglia, con gli amici, con le persone amate, che ti fa sentire al sicuro.
Non era lo stesso per Kate, invece. Il Natale era diventato il periodo dell’anno che più detestava, perché per buona parte della sua vita aveva significato aspettare con Colin l’arrivo di Babbo Natale la notte della vigilia e vedere il suo entusiasmo nello scartare i regali. Mentre dall’incidente in poi, il Natale significava assenza. Sentimento che condivideva con suoi genitori, specie Isabel che smise di rendere la loro casa in perfetto stile natalizio: niente più albero, niente più calze attaccate ai pomelli delle porte delle loro stanze, niente più presepe, niente più cene con i parenti e gli Stewart. Il 24 e il 25 dicembre diventarono giorni come tutti gli altri.

Il campanello di casa Davis suonò una volta e Kate, trovandosi in salotto, andò ad aprire.
<< Ciao Kate. Tua madre è in casa?>>, le chiese Gloria Stewart tenendo tra le mani un piatto.
<< Sì, entri pure.>>
<< Li ho appena fatti. Sono al pan di zenzero.>>, erano i tipici biscotti natalizi a forma di omino.
<< Oh, grazie!>>, Kate prese il piatto, << Mia madre è di là in cucina.>>, s’incamminò.
Gloria annuì col capo e la seguì. Isabel stava tagliando del pomodoro e si fermò quando le vide entrare.
<< Ciao Isabel.>>, le sorrise.
<< Biscotti in arrivo!>>, disse Kate.
<< Sono ancora caldi… così ho pensato di portarveli subito.>>
<< Grazie. Mi vizi sempre con i tuoi biscotti.>>, Isabel le fece l’occhiolino.
Kate stava per andarsene e lasciare le due amiche a chiacchierare.
<< Aspetta Kate. Dovrei dirvi una cosa. Martin non c’è?>>
<< No. E’ uscito per andare alla ferramenta.>>, rispose Isabel guardandola incuriosita.
<< Gavin ed io ne abbiamo discusso un po’ e vorremmo che quest’anno veniste a pranzo da noi. Abbiamo rispettato la vostra scelta e continuiamo a farlo… ma Isabel… siamo amici da una vita e non è giusto che trascorriate il Natale da soli. In più, mio padre ha caldamente richiesto la vostra presenza.>>, concluse sorridendo, << Anche Sarah e Roxanne sono d’accordo.>>, rivolse uno sguardo a Kate.
<< A te andrebbe bene?>>, Isabel lo domandò alla figlia.
<< Sì, mamma. Forse lo stare in compagnia renderà tutto meno… pesante.>>
<< Forse hai ragione. In più a tuo padre farebbe molto piacere.>>, era consapevole che il marito aveva spesso rinunciato a fare cose in cui si sentiva già pronto, per non metterla in difficoltà.
<< Quindi è un sì?>>
<< Devo prima parlarne con Martin... ma penso che alla fine verremo.>>, Isabel le sorrise.
<< Non sai quanto mi faccia contenta.>>, Gloria ricambiò il sorriso e la abbracciò.
 
******************************
 
Durante le feste a Roxborough arrivò la neve. E arrivò in grande quantità ricoprendo le strade, i tetti delle case, le macchine. Due giorno dopo Natale, Sarah, Roxanne e Kate erano state invitate a trascorrere il fine settimana nella casa in montagna del padre di Cassie: un ambiente perfetto per godersi a pieno le vacanze e divertirsi insieme. Dopo aver guidato con prudenza - per un’ora e mezza - arrivarono a destinazione. La casa - tipicamente in legno - era disposta su due piani e l’ingresso, formato da una grande porta a vetri, dava direttamente sul salotto. Quando le tre entrarono, notarono subito la presenza di una ragazza vicino al caminetto, intenta ad accenderlo.
<< Eccoci arrivate!>>, esclamò entusiasta Sarah.
<< Che sfiga! Speravo tanto che un grizzly vi avesse attaccate lungo il tragitto.>>, disse Marika voltandosi verso di loro, << Ovviamente risparmiando Kate.>>, sorrise maliziosa.
<< E tu cosa cavolo ci fai qui?>>, tuonò Sarah.
<< Sono stata invitata anch’io dalla mia amica Cassie.>>
<< Due giorni nello stesso posto insieme con quella?>>, sussurrò Roxanne, << Credo che mi darò all’alcol.>>
Kate rise sotto i baffi.
<< Ops! Battuta infelice. Scusa.>>
<< Tranquilla.>>, le fece l’occhiolino.
<< Ciao! Siete arrivate.>>, disse entrando, Cassie.
Sarah le andò in contro trasportando la sua valigia.
<< Ciao. Perché c’è anche Marika? E da quando siete amiche?>>
<< Da un po’, a dire il vero. Sai, frequentiamo la classe di Arti e Mestieri e una chiacchiera tira l’altra…>>
<< Okay! Casa tua, amici tuoi.>>, disse Sarah sospirando.
<< Appunto! Ho lasciato venire anche Kate.>>, rimarcò Cassie.
Sarah rimase stupita dal modo in cui lo disse.
<< Ci divertiremo Sarah.>>, le sorrise, cercando di rimediare, << Venite, vi mostro le vostre camere.>>
Roxanne le seguì, mentre Kate rimase a parlare con Marika.
<< Alla fine non sei partita con i tuoi.>>
<< Come vedi ho ricevuto un’offerta migliore.>>, schioccò la lingua.
Kate la guardò sospettosa.
<< Che c’è?>>
<< E che improvvisamente tutto questo…>>, roteò due volte l’indice della mano destra, << non mi quadra.>>
Marika si avvicinò e le mise le braccia intorno al collo.
<< Mi sarà mai concesso il beneficio del dubbio?>>, chiese maliziosa.
Kate le afferrò le braccia e le tolse via.
<< Dipende solo da te.>>
Sorridendo divertita, Marika s’incamminò.
<< Andiamo. Ti accompagno in camera tua.>>
Salirono le scale al piano di sopra e vedendo Sarah fuori la porta di una camera, Kate si fermò lì davanti.
<< Sei con tua sorella?>>
<< Già. Indovina con chi sei tu?>>, rispose irritata.
D’istinto Kate spostò lo sguardo in direzione di Marika, che la stava aspettando vicino la porta accanto.
<< E’ uno scherzo?>>
<< No.>>, disse Sarah a denti stretti.
<< Vi prego, ditemi che posso ucciderla.>>, intervenne Roxanne, avvicinandosi alle due, << Ho letto molti articoli di cronaca su una serie di omicidi commessi… posso prendere spunto da uno di essi.>>
<< E se iniziassimo a torturarla con una bambola vodoo?>>
<< Hmm… ottima idea sorella. Dammi il cinque.>>
Batterono le loro mani l’una contro l’altra in contemporanea.
<< Kate, sbrigati. Devo mostrarti la nostra camera.>>, urlò Marika.
<< Mi sistemo di sotto, sul divano. Non sarà un problema dormire lì.>>, disse Kate.
<< Vai, dai.>>, Sarah sospirò, << Ti aspetto giù.>>
<< Okay!>>, Kate, avvicinandosi, la baciò sulle labbra.
<< Kate Davis passa all’attacco, gente. Yeah!>>, Roxanne alzò le braccia in aria, entusiasta.

Il cielo era limpido e i raggi del sole a contatto con la pelle emanavano calore, ma non a tal punto da contrastare il freddo di quel giorno. Avvolta nel suo giubbotto, Sarah scese al piano terra e uscì in giardino. Il manto erboso era stato ricoperto tutto dalla neve e ne approfittò per fare una delle cose che faceva sin da quando era bambina in periodi come questo: si sdraiò per terra e aprendo e chiudendo assieme braccia e gambe, ripetutamente, formò un angelo.
<< Penso sia venuto bene.>>, esordì Cassie, poggiando le braccia alla ringhiera di legno, << Se continui finirai per scavare una buca.>>
<< E’ più forte di me. Il Natale mi fa tornare bambina.>>, Sarah si fermò, << Mi dai una mano a rialzarmi?>>
<< Arrivo subito.>>
Cassie scese le scale, la raggiunse e afferrandole la mano la sollevò da terra.
<< Comunque, lo facevo sempre anch’io insieme ai miei cugini. Oltre ai pupazzi di neve.>>
<< Beh, con uno spazio del genere… come non farlo.>>, le sorrise, << E’ davvero una bella casa, a proposito.>>
<< Grazie! A mio padre farà piacere saperlo.>>
<< Ringrazialo infinitamente da parte mia per averci permesso di venire.>>
<< Lo farò!>>, Cassie le fece l’occhiolino.
<< Come vanno le cose con la sua compagna?>>
<< Diciamo che adesso abbiamo fatto qualche progresso. Con i suoi figli, invece, vado d’accordo. Sono simpatici.>>

Dalla finestra della sua camera, Marika osservava le due ragazze chiacchierare. Non appena Kate uscì dal bagno, pensò bene di stuzzicarla un po’.
<< Vanno molto d’accordo Cassie e Sarah per essere semplici compagne di squadra. Tu che dici?>>
<< Dico che… preferisco non ascoltarti.>>
<< Perché in fondo potrei aver ragione?>>
Kate le sorrise ironica e non rispose.
<< Sono uscite spesso questa estate. Chi lo sa che non sia successo qualcosa anche tra loro due.>>
La frase suonò quasi come un campanello d’allarme che Kate non potè fare a meno di cogliere.
<< E’ una tua supposizione.>>
<< Guarda tu stessa, allora.>>, Marika la invitò con un gesto della mano ad avvicinarsi alla finestra.
Kate lo fece, e vedere il modo in cui Sarah rideva e scherzava con Cassie, le suscitò fastidio. Parecchio fastidio.
<< Io vedo due persone complici. E tu?>>
<< Per tua informazione, anche due amiche possono essere complici. E comunque, mi fido di Sarah.>>
<< Che stupida che sono! Quasi dimenticavo che voi due siete destinate a stare insieme, anche se non state più insieme.>>, disse con ironia pungente.
<< Io scendo giù e cercherò di godermi questa giornata. Tu resta pure qui a fantasticare se ti piace tanto.>>, Kate si avviò verso la porta, allungò una mano per aprirla ma quando spinse la maniglia verso il basso, la porta non si aprì. Sospirò e chiuse gli occhi per un istante, << Dove hai messo la chiave Marika?>>, si girò verso la ragazza.
<< Nel mio reggiseno. Se vuoi uscire, devi prenderla.>>
Kate le lanciò un’occhiataccia.
<< Dammi quella chiave, non mi va di giocare.>>
<< Oh, no. Te l’ho detto: se la vuoi, devi prenderla tu stessa.>>, sorrise maliziosa, avvicinandosi.
<< Non metterò le mie mani lì dentro.>>
<< Perché no? Lo hai già fatto.>>
Kate le lanciò una seconda occhiataccia, poi prese il cellulare e scrisse un sms. Qualche minuto dopo, la serratura scattò dall’esterno e la porta si aprì.
<< Kate?>>, disse Roxanne.
<< Menomale! Le chiavi di queste porte aprono anche da fuori.>>, Kate guardò Marika e poi uscì.

<< Ehm… cos’è successo lì dentro?>>, chiese Roxanne mentre camminavano lungo il corridoio.
<< E’ pazza! Non lo sapevi?>>
<< Sgualdrina e pazza. E’ proprio vero che non si finisce mai di conoscere le persone.>>
Una volta al piano di sotto, le due raggiunsero Sarah e Cassie in giardino.
<< Allora, asociali.>>, Roxanne si abbassò, prese un pugno di neve, << Ci divertiamo o no?>>, e lo scagliò addosso alla sorella.
Sarah spalancò gli occhi incredula e rispose al suo attacco, che a sua volta colpì Cassie, che colpì Sarah che colpì Kate. Una battaglia di palle di neve si era appena scatenata.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Cassie e Roxanne poi si arresero e pur avendo perso la cognizione del tempo, il brontolio che emanava lo stomaco di Roxanne, fu un chiaro segno che era ora di preparare qualcosa da mangiare, così entrarono in casa. Sarah e Kate, invece, avevano ancora una palla di neve ciascuna, tra le mani.

<< Oh, andiamo! Ti sei arresa anche tu?>>, disse Sarah dopo che Kate gettò via la sua palla.
<< Ho resistito soltanto perché speravo di restare da sola con te.>>, confessò.
<< Oh!>>, si sorprese.
Kate avanzò lentamente verso di lei, sorridendo.
<< Perché volevi restassimo da sole?>>
<< Per poter fare questo.>>, Kate le mise entrambe le mani sul viso e la baciò con passione. Le loro lingue si attorcigliarono come se aspettassero soltanto questo.
<< Wow!>>, esclamò Sarah dopo.
<< Decisamente, wow!>>, precisò Kate.
<< Improvvisamente fa caldo, non trovi?>>
Kate rise.
<< Hai le mani congelate.>>, le prese e le infilò nelle tasche del suo giubbotto, << Così si riscalderanno.>>
<< Anche le tue lo sono.>>, Sarah imitò il suo gesto.
Così facendo, si ritrovarono praticamente unite.
<< Quindi…>>
<< Quindi…>>
Si guardarono dritte negli occhi.
<< Il bacio di prima…>>
<< Ti amo Sarah. Fine della storia.>>
Il viso di Sarah s’illuminò con un sorriso colmo di felicità e si baciarono ancora una volta.

Il pomeriggio lo trascorsero tutte in casa, poiché la temperatura era notevolmente scesa; giocarono a Uno e poi passarono alla Wii con Just Dance 2: qualcosa di più interattivo e coinvolgente. Qualcosa che fu utile a Marika per fare quello che le riusciva meglio: provocare Kate per infastidire Sarah. Lei sopportò finché non si domandò dove finissero le provocazioni e dove iniziasse il vero interesse verso Kate. Decise che era meglio allontanare quel pensiero distraendosi con altro, così si recò in cucina per dare una mano a Cassie che stava preparando della cioccolata calda.
<< Ehi!>>, disse entrando, << Come procede?>>
<< Ci vuole ancora un po’.>>
Sarah annuì. Scrutò il tavolo e vide che le tazze erano già poste sul vassoio.
<< Hai tutto pronto… quindi non hai bisogno di una mano. Dannazione!>>, fece una smorfia.
Cassie le rivolse uno sguardo perplesso.
<< Non hai un pallone da pallavolo nascosto da qualche parte, vero?>>
<< No!>>, scosse la testa, << Qualcosa non va?>>
<< Già!>>
<< Marika?>>
<< Già!>>, fece una pausa, << M’irrita.>>, disse un po’ esasperata, << Letteralmente. Non fa che gettarsi addosso a Kate per ogni minima scemenza.>>
<< Beh, se tu fossi la mia...>>, Cassie si bloccò di colpo, deglutì, << Mi spiego meglio. Se fossi al suo posto e la mia ragazza mi direbbe che l’amicizia “particolare”…>>, mimò le virgolette, << con Marika, le dà noia, parecchia noia… credo che direi a Marika di smetterla altrimenti può anche andare al diavolo.>>, fece una pausa e guardò Sarah, << Ma se Kate non fa nulla… probabilmente gradisce le sue attenzioni.>>
<< E’ tutto il contrario invece.>>
<< Ne sei sicura? O è quello che vuole farti credere lei?>>
<< Okay! Se la conversazione deve prendere questa piega… lasciamo stare.>>
<< Senti, dico solo che forse dopo quello che c’è stato tra loro due questa estate….>>
Sarah s’irrigidì di colpo.
<< Come hai detto scusa?>>
Cassie la guardò e frenò il suo discorso, nonostante fosse stato del tutto intenzionale.
<< Cassie?>>, Sarah alzò il tono della voce per esortarla a rispondere, << Che cosa è successo tra Marika e Kate?>>
<< Hanno fatto sesso.>>, confessò consapevole di aver appena sganciato una bomba.
Sarah impallidì all’istante e, con riluttanza, considerò quella frase come verità. Lasciò di fretta la cucina per tornare in salotto, mentre gli occhi si riempivano di lacrime amare.
<< Ci sei andata a letto?>>, esordì così, senza preamboli.
Kate, Marika e Roxanne si voltarono verso di lei.
<< Sorellina, ti senti bene?>>
<< Hai fatto sesso con Marika, Kate?>>, la inchiodò con lo sguardo.
Kate, incredula e confusa, si avvicinò a lei.
<< Possiamo parlarne in privato?>>
<< Rispondimi Kate, maledizione!>>, urlò.
Kate tardò a rispondere: non ci riusciva. Calò il silenzio e l’atmosfera divenne sospesa.
<< Voglio sapere la verità. Ci sei andata a letto?>>, Sarah le chiese ancora, con un nodo in gola.
<< Sì.>>, Kate rispose quasi sussurrando.
La risposta scatenò la rabbia di Sarah che colpi Kate al volto con un sonoro schiaffo. Poi in lacrime corse verso le scale che portavano al piano di sopra. Roxanne si alzò di scatto dal divano per seguirla ma appena vide che Kate stava facendo lo stesso, la bloccò ponendosi di fronte, alzando una mano.
<< No. Non ora Kate.>>, disse a fatica ma con voce ferma, e raggiunse la sorella.
Kate si girò verso Marika che era sempre rimasta dietro alle sue spalle.
<< Avevi promesso Marika. Mi avevi promesso che nessuno l’avrebbe scoperto.>>
<< E l’ho fatto Kate. Te lo giuro.>>, Marika disse sinceramente.
<< Allora spiegami come cazzo l’ha saputo Cassie.>>, urlò Kate.
<< Mi è scappato. Non volevo dirglielo. Mi dispiace. Devi credermi.>>
<< Devo crederti?>>, disse retorica. In preda alla collera andò ad affrontare Cassie a muso duro. Marika la seguì.
<< Ti senti meglio adesso che lo sa?>>, tuonò appena entrata, << Lasciami indovinare: gliel’hai detto in modo da farle aprire gli occhi, in modo da farle capire che tu sei quella buona ed io quella cattiva?>>
<< Meritava di sapere la verità, Kate.>>
<< E hai pensato bene di avere il fottutissimo diritto di farlo tu, no?>>
<< Spettava a te. Ma avevi deciso di mentirle e prenderla in giro.>>
<< Non era affar tuo. Sarah non è affar tuo.>>, Kate la guardò rabbiosa, << E non sono io a prenderla in giro. Ora mi è abbastanza chiara questa vostra improvvisa amicizia.>>
Marika tentò di farla calmare.
<< Kate, ascolta...>>
<< Stà zitta Marika!>>, le urlò contro, << Sai perché ti ho permesso di essermi amica? Perché la Marika che ho conosciuto questa estate, mi piaceva. E speravo che l’avrei rivista… che avresti smesso di fare la stronza. Ma avevo torto. Perché tu sei stronza… e venire a letto con te è stato un errore.>>, la guardò disgustata, << Con me hai chiuso.>>, le sussurrò a denti stretti, a un centimetro dal suo viso.
Quello sguardo e quelle parole resero Marika talmente vulnerabile che si sentì ferita per la prima volta in vita sua.
<< Brava, Cassie! Hai rovinato tutto.>>
<< Sarah non la perdonerà di nuovo.>>
<< E pensi che correrà subito da te per farsi consolare? Sei proprio un’ingenua se pensi che succederà.>>, Marika scosse la testa, sfiduciata. << Kate è stata la prima persona in quella dannata scuola a essersi dimostrata gentile con me. E adesso grazie a te non mi rivolgerà più la parola.>>, percepì che una lacrima le stava scendendo giù per il viso e lo coprì con i capelli, << Davvero un ottimo lavoro.>>
 
Intanto, Kate bussò alla porta della camera di Sarah e Roxanne ma non ottenne risposta.
<< Sarah, possiamo parlarne?>>
Attese qualche secondo per poi ribussare. Silenzio anche questa volta. Conoscendo Sarah sapeva che era meglio non insistere. Sapeva che dopo un litigio, Sarah aveva bisogno di un momento per stare da sola con sè stessa prima di affrontare una discussione seria.
<< Va bene! Sono qui fuori.>>, così dicendo si allontanò dalla porta e si sedette sul pavimento, spalle al muro.
Dopo un po’, la porta si aprì e Roxanne le fece cenno di entrare. Kate si alzò da terra ed entrò, mentre lei uscì.
<< Mi dispiace, Sarah. So che non fa alcuna differenza il modo in cui l’avresti saputo…>>
Sarah la interruppe.
<< Scusa per lo schiaffo! La mia è stata una reazione esagerata… perché, in effetti, non stavamo insieme e tu eri libera di stare con un’altra... però fa male.>>
<< Ero sul punto di dirtelo una volta. Ma non l’ho fatto perché ci stavamo riavvicinando e temevo che una cosa del genere ti avrebbe allontanata di nuovo da me…>>
<< Perché ci sei andata a letto?>>, Sarah le chiese diretta.
Kate sospirò.
<< Mi sentivo sola.>>, confessò con gli occhi lucidi, << Mi mancavi così tanto e mi sentivo in colpa per com’era finita tra noi… e lei era lì.>>, fece spallucce, << Non posso dire che non ha approfittato della cosa… ma, anche se sembra assurdo crederci, mi è stata vicino.>>
<< Speravo tanto mi dicessi che era stato solo sesso.>>
<< E lo è stato. Non sto inventando delle scuse e non voglio giustificarmi Sarah. Ti sto solo dicendo come mi sono sentita in questi mesi. Anzi, a dirla tutta mi sentivo così da quando ci siamo lasciate.>>
<< Okay!>>, Sarah prese un lungo respiro e poi sbuffò, << Sono davvero stufa che ci sia sempre qualcosa o qualcuno che s’intrometta nella nostra storia.>>
Kate si avvicinò a lei, le prese una mano e tirandola a sé la abbracciò forte. Dopodiché Sarah, indietreggiò il viso quanto bastava per poterla baciare e quando si distaccò, si tolse via il maglione bianco. Si scambiarono un’occhiata complice: lo sguardo di due amanti che volevano esattamente la stessa cosa. Poi fu Kate a togliersi il maglione di dosso e ripresero a baciarsi. Sarah le sganciò il reggiseno e a sua volta anche il suo ebbe la stessa sorte. Si avvicinarono al letto mentre il desiderio si animava sempre di più. Ansimarono e istanti dopo si ritrovarono nude distese sul materasso. Kate era sopra Sarah e i loro seni si sfioravano, mentre le loro labbra erano restie a staccarsi. Le mani di Sarah salivano e scendevano per la schiena di Kate; poi quest’ultima le baciò i seni, provocandole altro piacere. Erano in sintonia nei respiri, nei movimenti dei loro corpi; e in quell’ora in cui si amarono, lasciarono il mondo dietro di loro come se non avesse importanza.


N.d.a.: Prima delle feste volevo "regalare" un altro capitolo a tutte le persone che stanno leggendo la storia e augurare loro Buon Natale e Buon Anno!

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Le vacanze terminarono e il “Roxborough High School” tornò a popolarsi di studenti. L’ora di Scienze Sociali era appena finita, Sarah prese il suo libro e il quaderno dal banco e, dopo essersi alzata, si sentì toccare una spalla: voltandosi vide Cassie.
<< Continui a evitarmi e posso capirlo ma non mi hai lasciato spiegare niente.>>
<< Perché non ne ho voglia, Cassie.>>, rispose Sarah duramente, << Hai tradito la mia fiducia. Hai approfittato della mia amicizia per trarne vantaggio e tramare alle mie spalle. Quindi scusa tanto se non voglio stare ad ascoltarti.>>
<< Kate se la spassa con Marika e la perdoni… ancora una volta. Io ti dico semplicemente la verità, ma non merito una chance. Questa sì che è coerenza.>>
Sarah spalancò la bocca.
<< Tu non eri così, Cassie. Cos’è che ti ha reso tanto invidiosa?>>
<< Probabilmente il fatto di essermi innamorata di una persona che non ricambia.>>
Sarah era pronta a replicare, ma Cassie non le diede il tempo o meglio… il permesso.
<< No, Sarah. Non dire niente perché tu non puoi capire. Non puoi capire cosa significhi essere rifiutata e come ci si sente. Nel vederti soffrire e nel vederti amare quella stessa persona che ti ha causato dolore.>>
<< Hai ragione. Io non posso capirti. Ed è per questo che d’ora in poi saremo solo compagne di squadre.>>
<< Già! E’ meglio così.>>, disse Cassie stringendosi nelle spalle, << Saremo professionali… proprio come la Coach ci ha insegnato.>>, fece per andarsene, << Comunque, anche se non t’interessa sentirlo… mi dispiace.>>


Kate aveva occupato il solito tavolo della mensa. C’era una strana atmosfera elettrizzante tra quelle mura: il resto dei suoi compagni erano presi nel chiacchierare su un qualcosa che aveva catturato completamente la loro attenzione.
<< Ciao!>>, Sarah arrivò con il vassoio tra le mani e si sedette di fianco, << Che succede di bello?>>, anche lei aveva notato l’entusiasmo generale.
<< A dire il vero speravo me lo dicessi tu.>>
<< Beh, mi spiace deluderti ma di qualsiasi cosa si tratti, nessuno mi ha informata.>>
In quel momento arrivò in corsa Roxanne con una copia del “Roxborough School Gazzette” in bella vista.
<< Avete letto? E' grandioso, vero? Ho avuto una sorta di esclusiva. Neanche la tv e la stampa locale lo sanno ancora.>>, spalancò un sorriso compiaciuto.
<< Rox? Frena!>>, le disse la sorella, << Siediti, prendi fiato, e spiegaci tutto dall’inizio.>>
<< Leggete!>>, Roxanne si sedette ponendo il giornale davanti ai loro occhi.
In prima pagina un articolo riportava:
Alice Moore, la giovanissima, ormai stella della musica internazionale, ha annunciato di voler riprendere gli studi in vista del diploma. La cantante, che ha recentemente concluso il suo lungo e fortunato tour, tornerà dietro i banchi del "Roxborough High School", nella sua città natale, Roxborough.”
L’articolo proseguiva con una breve dichiarazione da parte di Alice Moore.
<< Ora capisco perché in questi ultimi giorni eri in simbiosi con il tuo cellulare. Hai parlato direttamente con lei?>>, chiese Sarah.
Roxanne annuì.
<< E come sei riuscita a metterti in contatto?>>
<< Una brava giornalista non rivela mai le sue fonti.>>, Roxanne le fece l’occhiolino.
<< Beh, bel colpo sorella.>>, la guardò ammirata.
<< Grazie!>>
<< Io credo di saperlo.>>, disse Kate seria.
<< Oh!>>, un lampo attraversò la mente di Sarah, che realizzò subito, << Non ci avevo pensato.>>
<< Non è detto che il ritorno di Alice Moore, includa anche il suo di ritorno.>>, precisò Roxanne.
Kate corrugò la fronte e fissò l’articolo, turbata.
<< Ehi.>>, Sarah avvicinò una mano per stringerla alla sua.
<< Va tutto bene… più o meno. Probabilmente ha ragione Roxanne.>>, accennò un sorriso.
 
La sera stessa, Kate rimase a cena a casa Stewart e dopo aver terminato, lei e Sarah salirono in camera di quest’ultima per studiare. L’intento iniziale però svanì pian piano. Erano sedute sopra il letto e, stanca dell’ennesima espressione algebrica irrisolta, Kate prese il quaderno in cui stava scrivendo Sarah e lo poggiò sul comò accanto.
<< Che cosa stai facendo?>>
<< Una cosa molto più interessante.>>, Kate la guardò maliziosamente.
<< Kate dobbiamo finire di…>>
L’imminente bacio di Kate le impedì di terminare la frase.
<< Allora, vuoi tornare a studiare?>>, le chiese dopo.
Sarah passò una mano tra i capelli di Kate.
<< No. Ho cambiato idea.>>, le sorrise.
A quel punto Kate le baciò le fossette, poi le labbra, poi il collo e poi di nuovo le labbra. Tutto stava diventando intenso. Di colpo fece scivolare la mano destra dentro i jeans di Sarah e quando sfiorò il tessuto della mutandina, quest’ultima afferrò la mano.
<< Fermati!>>, disse ansimando, << Lo sai che non possiamo.>>
<< Dannazione!>>, esclamò contrariata Kate.
<< Regole della casa, ricordi?>>
<< Ma i tuoi lo sanno che nessuna delle due può mettere incinta l’altra?>>
<< Certo! Ma se ci tieni così tanto a spiegarglielo, specialmente a mio padre, nonché tuo Preside… va pure, amore.>>
Kate sprofondò il viso sul petto di Sarah.
<< Ahhh!>>, soffocò un urlo, << Dovrò farmi una doccia ghiacciata prima di andare a dormire.>>
Sarah scoppiò a ridere, le accarezzò i capelli e poi le diede un bacio sulla nuca.
<< Oggi ho parlato con Cassie.>>, disse cambiando argomento.
<< Cosa le hai detto?>>
<< Che non riesco a perdonarla. Almeno non adesso. E di conseguenza il nostro rapporto sarà limitato esclusivamente alla squadra.>>
Kate si alzò per poterla guardare sostenendosi con i gomiti.
<< Nonostante la mia non-simpatia verso di lei… mi dispiace che sia andata così.>>
<< Perché le cose devono essere complicate?>>
<< Le cose non sono complicate… sono neutre. Siamo noi a renderle complicate con i nostri comportamenti. Con le paure, le insicurezze, le incertezze, la confusione… la gelosia.>>
<< La saggezza ti rende particolarmente sexy!>>
Kate arrossì sorridendo, dopodiché la baciò.
<< Buona notte!>>, si alzò dal letto e prese libro e quaderno.
<< Te ne vai?>>
<< Sì!>>, annuì, << Non credo di poter riuscire a trattenermi un’altra volta.>>

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Una settimana più tardi, Alexis Davis atterrò al “Philadelphia International Airport” con un volo proveniente da San Francisco. Con il suo unico bagaglio a mano – un trolley blu – prese un taxi che la portò presso uno dei tanti auto noleggio di Philadelphia. C’erano tante macchine delle più svariate marche, ma lei ne cercava una particolare: la Mercury Comet 1963 nera. Una l’aveva già acquistata a San Francisco e sperava di trovarne un’altra uguale da noleggiare per potersi recare a Roxborough, la sua città natale. Alexis era la figlia maggiore di Isabel e Martin, che a soli ventiquattro anni era riuscita a diventare la produttrice discografica più richiesta nel panorama musicale degli ultimi dieci anni. E aveva deciso di ritornare nella sua città per affrontare quel passato che non l’aveva mai abbandonata da quando aveva lasciato casa.
Camminando tra un veicolo e l’altro, Alexis riuscì a trovare la macchina che desiderava.
<< Ti ho trovato bellezza!>>, esclamò entusiasta passando una mano sopra il cofano anteriore.
Il proprietario dell’auto noleggio, un uomo alto, sulla sessantina, vestito in giacca e cravatta, si avvicinò.
<< E’ davvero una gran bella macchina.>>, disse cordiale.
<< Può dirlo forte.>>
<< Mi sorprende che a una ragazza così giovane piaccia un’auto del genere.>>
<< Oh beh… mi creda, so riconoscere una cosa di grande valore.>>, Alexis gli sorrise compiaciuta, << Qual è il suo prezzo?>>
<< 640 $.>>
<< La prendo!>>, Alexis l’avrebbe noleggiata anche se l’uomo se l’avesse detto 1000 $.
<< Bene! E per quanto tempo ne farà uso?>>
<< Non saprei.>>
<< Vabbè… non dobbiamo specificarlo per forza.>>, le fece l’occhiolino, << Se mi segue le preparo il contratto per il noleggio.>>, concluse facendo strada verso l’ufficio.
Una volta che la questione burocratica fu risolta, Alexis si mise al volante dell’auto e partì. Prima di recarsi a Roxborough, però, guidò verso la sede di Philadelphia della casa discografica presso la quale lavorava: la “H.T. Records”.
Entrando nel parcheggio sotterraneo riservato ai dipendenti, realizzò che il palazzo era grande tanto quanto l'ego del suo capo. Solo in due cose gli riconosceva merito: il fiuto per gli affari e l’abilità nell’essersi circondato di persone giuste che nel corso degli anni hanno arricchito lui e portato al successo la sua etichetta discografica. Mentre di musica non ne capiva proprio nulla.
Scesa dalla macchina si diresse verso l’ascensore e una volta dentro, premette con il pollice sul numero tre. Quando le porte dell'ascensore si aprirono al terzo piano, percorse un breve corridoio e all'ingresso trovò una ragazza, sulla trentina, vestita con un abitino tutto floreale, un cerchietto viola in testa che richiamava lo stesso colore delle ballerine che indossava ai piedi, la quale la attendeva tutta sorridente.
<< Salve signorina Davis, ben arrivata. Sono Moira, la segretaria.>>, le porse la mano.
<< Piacere Moira.>>, Alexis la strinse, << Alexis. Niente “signorina”. Lo detesto.>>
<< Oh! Scusi.>>, rispose Moira imbarazzata.
<< E anche questa cosa del “dare del lei”.>>, precisò.
La ragazza annuì.
<< Da questa parte c’è il suo… tuo ufficio.>>
Camminarono per qualche metro fino ad arrivare alla prima porta sulla sinistra. Moira la aprì ed entrarono nella stanza. Alexis costatò che l’arredamento era lo stesso del suo ufficio di San Francisco (prima che lei apportasse qualche modifica): classico e minimalista. Sembrava più lo studio di un avvocato.
<< Spero che il suo volo sia andato bene.>>, disse Moira, << Il signor Harold mi ha già informato che la sua presenza sarà solo temporanea.>>, parlava molto velocemente, << Però sono a sua… scusami, devo farci l’abitudine...>>, abbozzò un sorriso, << Dicevo… sono a tua completa disposizione per qualsiasi cosa e in qualsiasi momento.>>
Alexis la squadrò dalla testa ai piedi. Inclinò la testa verso destra, assumendo un’espressione curiosa.
<< Perché mi stai fissando così?>>
<< Niente, mi stavo chiedendo se da qualche parte hai nascosto un interruttore per farti smettere di parlare.>>, Alexis sorrise beffarda.
Moira incassò il colpo e non rispose.
<< Se è tutto, puoi andare.>>
In maniera un po’ goffa, Moira lasciò l’ufficio. Alexis andò verso la scrivania: il tavolo era in vetro e la sedia girevole, era rivestita di nero. Vi si sedette e accendendo il computer MAC, controllò la sua casella e-mail.
 
L’arrivo che la comunità di Roxborough aspettava con fremito, però, era quello di Alice.
A scuola era stata accolta con un grosso striscione appeso all’ingresso con su scritto “Bentornata Alice Moore.”, con il preside Stewart e Sarah a fare gli onori di casa.
<< Sono davvero contento di riaverti come studentessa di questo liceo, Alice.>>, esordì Gavin Stewart nel suo ufficio, << E ho ammirato molto la tua decisione di volerti diplomare. Non tutti gli adolescenti di Hollywood o della musica lo fanno, una volta raggiunto il successo.>>
<< Beh, grazie mille. Ho fatto un patto con mamma e papà prima di firmare il contratto con la mia casa discografica: durante gli anni avrei studiato da privatista e poi avrei preso una pausa per il diploma. Ed eccomi qua.>>
Si scambiarono un sorriso.
<< Bene. Qui ho pronto il tuo orario delle lezioni.>>, Gavin prese un foglio dalla sua scrivania e glielo porse.
Mentre Alice lo prendeva, Sarah fece il suo ingresso.
<< Oh, bene! Lei è…>>
<< Sarah, giusto?>>, la guardò, << Sua figlia.>>
<< Sì, esatto sono io.>>, Sarah le sorrise, << Ciao e bentornata.>>
<< Sei ancora la nostra talentuosa giocatrice delle “Eagles”?>>
<< Sì, lo è ancora.>>, rispose Gavin fiero.
<< Grandioso!>>, esclamò Alice.
<< Sono cambiate un po’ di cose qui di recente, quindi Sarah poiché rappresentate del corpo studentesco, ti farà da guida per le aule e tutto il resto.>>
<< Perfetto!>>, Alice sorrise guardando Sarah.
<< Okay, possiamo andare.>>
<< Buona giornata, ragazze.>>
<< Grazie, papà!>>

Prima di lasciare il “Roxborough High School” e iniziare la sua carriera da cantante, Alice Moore era una normale sedicenne con la passione per il canto, che faceva parte di una cover band, la quale si esibiva anche a scuola durante i balli di fine anno. E la sua bravura, ma soprattutto le sue notevoli doti canore, non erano passate inosservato a Sarah, che iniziò ad ascoltare le sue canzoni dopo l’uscita del primo CD.
Non si erano mai conosciute fino a qualche minuto prima e mentre camminavano per i corridoi della scuola, Sarah si chiedeva se l'essere catapultata nel mondo della musica, così in fretta, ma sopratutto, fin da giovane, l'avesse in qualche modo cambiata: trasformata in una di quelle tante artiste capricciose con la puzza sotto il naso. A primo impatto, sembrava non essere affatto così. L’impressione che Alice suscitò in lei, era quella di una ragazza che era riuscita a realizzar il suo sogno.
Alice le chiese di raccontarle com’era trascorsa la vita scolastica da quando se n’era andata, quali professori c’erano ancora e come fossero i nuovi; le chiese anche dei campionati vinti dalle “Eagles”. Strada facendo, d’un tratto, entrambe avvertirono la sensazione di essere pedinate… e in realtà così era.
Sarah si girò di scatto.
<< Scusate, posso fare qualcosa per voi?>>, disse al gruppo di ragazzine.
<< Vorremo un autografo.>>, rispose timidamente una di loro.
<< Sentite, è qui da quanto? Mezz'ora? E già le state col fiato sul collo. Un pò di tregua. Deve fare lezione, come tutti quanti noi.>>
<< Già!>>, Alice annuì, << Non voglio dare una brutta impressione e arrivare in ritardo.>>, guardò le ragazzine, << Giuro che durante la pausa pranzo vi farò tutti gli autografi che volete. Sarò a mensa, venite a cercarmi, okay?>>
<< Okay! Grazie e… scusaci.>>, disse la ragazzina di prima, che insieme alle amiche proseguì dritto.
<< Vorresti farmi da manager fino al diploma?>>, chiese Alice guardando Sarah.
<< A tua disposizione.>>, rispose Sarah sorridendo, << Che lezione hai in programma?>>
<< Uhmm, vediamo un po’.>>, Alice guardò l’orario, << Inglese.>>
<< Oh, bene. Anch’io.>>
 
Philadelphia
Tre ore dopo, Alexis lasciò l’edificio della “H. T. Records” sulla sua Mercury Comet 1963 e imboccò l’autostrada I-76 W direzione Roxborough: avrebbe impiegato 22-26 minuti circa.

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Roxborough

Imboccato il viale che conduceva verso casa, Alexis guidò lentamente e frenò di fronte l’abitazione. Spense il motore e sospirando spostò lo sguardo dall’altra parte della strada con la mano destra sul volante e il braccio sinistro poggiato allo sportello. Poco dopo, decise di scendere dall’auto e camminando si fermò in mezzo alla strada, come se i suoi piedi non volessero ancora superare la striscia che separava la carreggiata. Iniziò a fissare la casa dalla staccionata bianca, casa sua, quella che si costrinse a lasciare qualche mese dopo la morte di Colin. Infilò la mano destra nella tasca del cappotto nero di lana e toccò prima il pacchetto di sigarette, poi l’accendino. Prese quest’ultimo e iniziò a giocarci facendolo passare tra le dita. Stava temporeggiando, perché è questo che si fa quando bisogna prendere una decisione importante. Non si fa altro che rimandare e rimandare, si aspetta sempre “il momento giusto” per dire, “il momento giusto” per fare. Ma la verità è che non esistono momenti giusti e momenti sbagliati. La verità è che manca il coraggio. E ad Alexis mancava proprio il coraggio di fare il primo passo, di chiedere perdono; perché il cruccio dei suoi pensieri era se la sua famiglia era disposta a perdonarla e riaverla nella propria vita. Era questo ciò che temeva di più quando faceva i conti con la sua coscienza: il rifiuto. Negli anni trascorsi lontano da loro - dai suoi genitori e dalla sorella - non aveva mai smesso di pensare a come stessero, a cosa stessero facendo; ma sopratutto se anche loro, come lei, erano riusciti a sopravvivere al dolore. Non c'era mai stata un’occasione come quella che le stava capitando adesso, per poter rimediare. Era il suo unico scopo, ciò che desiderava di più al mondo. Ma loro erano pronti per questo?
Mentre se ne stava ferma lì, indecisa, con i ricordi che riaffioravano pian piano, non si accorse che una macchina la stava per investire: lo capì dopo, quando sentì lo stridere dei freni sull’asfalto e l’auto si arrestò a pochi centimetri da lei.
<< Ohhh!>>, urlò, << Cazzo ma ci vedi?>>, sbottò avvicinandosi al conducente, << Chi cazzo ti ha dato la patente?>>
Nell’auto, con le mani tenute saldamente al volante, in preda al panico, c’era Sarah.
<< Oddio! Non ci posso credere.>>, proseguì Alexis sorpresa, calmandosi, << Sarah?>>
Sarah riconobbe la voce della ragazza e si girò verso di lei.
<< Alexis?>>, scese dall’auto, << Oh mio dio, Alexis!>>, l’entusiasmo spazzò via la paura.
Le saltò letteralmente al collo, tanto che colta dal tempestivo abbraccio, Alexis lasciò le sue braccia sospese a mezz’aria; non che lei fosse amante degli abbracci.
<< Quando sei arrivata?>>
<< Questa mattina.>>
Sarah si portò le mani sul viso.
<< E’ come se avessi visto un fantasma?>>
<< Hai colto il segno.>>, le sorrise, << Sarà perché non ti vedo da parecchio tempo ma… sembri più alta.>>
<< Io ero convinta che tu ti fossi rimpicciolita, invece.>>
<< Wow! Inizi subito a sfottermi.>>, Sarah socchiuse gli occhi.
<< Sai che non posso farne a meno.>>, Alexis le sorrise, << Ma… non dovresti essere a scuola?>>
<< Sì… solo che ho avuto un piccolo imprevisto. E a tal proposito, tu non mi hai visto.>>
<< Sarah Stewart è sgattaiolata fuori scuola. Però!>>
<< Solo perché è un’emergenza.>>, precisò Sarah, << Ho dimenticato il borsone a casa, mia madre è a lavoro, mia sorella è impegnata in redazione e a mio padre non avrei chiesto di tornare qui e portarmelo neanche sotto tortura. Quindi non mi restava che…>>
<< Correre come una pazza al volante e investire la gente.>>
<< Non ho investito nessuno. Neanche te.>>
<< Stavi per farlo.>>
<< Mi sono distratta solo un attimo, però ho frenato subito. Comunque, scusa per non averti investito.>>, la colpì a un braccio.
Alexis rise divertita.
<< Adesso devo andare… sono di fretta e…>>
<< Tranquilla!>>
Sarah s’incamminò, poi si girò verso Alexis.
<< Quindi… sei proprio tornata?>>
<< Sì.>>, le rispose guardandola.
<< Bene! Sono contenta.>>, Sarah ricambiò lo sguardo e poi proseguì verso casa.

Alexis invece tornò alla sua auto. Non era ancora pronta ad affrontare la sua famiglia.
Lo fece poi, verso sera; dopo aver girato in lungo e in largo le strade di Roxborough.
Quel coraggio che l’era mancato così a lungo, l’aveva trovato. E in qualunque modo sarebbe andata, sperava che i rimorsi non l’avrebbero più perseguitata.
Suonò il campanello di casa Davis e quando la porta si aprì, rivide il volto del padre. Non era cambiato poi molto dall’ultima volta: il neo sotto l’estremità dell’occhio sinistro, era lì; il pizzetto che circondava bocca e mento, c’era ancora; solo il capello brizzolato si notava di più, come le rughe sul viso.
<< Ciao papà.>>, disse con voce flebile.
Martin rimase impietrito: per più di un attimo credette di avere delle allucinazioni.
<< Dio mio!>>, strabuzzò gli occhi.
<< Posso entrare?>>
<< Certamente.>>
Martin guardò la figlia e poi si lasciò andare: la abbracciò e si rese conto che era tutto reale.
<< Ci sei mancata così tanto. Credevamo che non ti avremmo più rivista.>>, disse Martin emozionato, << Come stai?>>
<< Sto bene.>>, Alexis gli sorrise.
<< Vieni, tua madre ne resterà entusiasta.>>
S’incamminarono verso la cucina: avevano da poco terminato di cenare.
<< Guardate un po’ chi c’era fuori dalla porta.>>, esordì entrando per primo.
Isabel e Kate alzarono lo sguardo incuriosite. Alexis avanzò in cucina e Isabel, in piedi vicino al tavolo, dovette sorreggersi per non svenire. Non esitò molto e con gli occhi lucidi corse ad abbracciarla.
<< Ciao mamma.>>, le sussurrò. Era abbastanza sorpresa dell’accoglienza ricevuta, poiché si era sempre immaginata una situazione diversa.
<< Mi sei mancata non sai quanto.>>, Isabel la stringeva a sé come se avesse il timore che potesse andarsene nuovamente.
<< Ciao Kate.>>, Alexis guardò la sorella accennando un sorriso ma da lei ricevette soltanto uno sguardo pieno di rancore.
<< Quando sei arrivata?>>, le chiese Isabel, << Come stai? Sei…. sei così magra.>>, la squadrò dalla testa ai piedi, << Hai fame? Ti preparo qualcosa al volo.>>
<< No mamma, non è necessario, ho già cenato.>>, lo disse solo per non farla preoccupare, visto che il suo stomaco era serrato da ore ormai. << Comunque, il mio aereo è atterrato questa mattina a Philadelphia. Ho sbrigato alcune cose di lavoro e…>>, fece una pausa, << poi sono venuta qua.>>
<< E i tuoi bagagli?>>, chiese Martin.
<< Sono in auto.>>, alzò il pollice facendo un cenno verso l’esterno.
<< Vado a prenderli.>>
<< No, aspetta papà. A dire il vero… non sapendo come avreste reagito… ho prenotato una camera in un albergo.>>
Martin e Isabel si guardarono straniti.
<< Che significa “come avremmo reagito?”>>, le chiese Martin.
<< Mia figlia non dormirà in albergo.>>, preciso subito Isabel, << Questa è casa tua, Alexis.>>, le sorrise.
<< Lo so.>>, Alexis guardò la sua famiglia per un istante e prese fiato, << Sentite, io vi devo delle spiegazioni e ho bisogno che ascoltiate attentamente.>>
<< Okay.>>, rispose Martin.
<< Vi chiedo perdono. Perdono per essermene andata nel momento più doloroso per noi. Perdono per avervi, volontariamente allontanato in questi anni, se non cancellato dalla mia vita non dandovi più mie notizie. Ma soprattutto,>>, le venne un nodo alla gola, << Vi chiedo scusa per avervi portato via un figlio. Io… io non volevo che accadesse. Colin sarebbe dovuto essere qui con la sua famiglia. Mi dispiace. Mi dispiace per tutta la sofferenza che vi ho causato.>>, strinse gli occhi per un secondo, << Sarei dovuta restare e superare tutto quanto insieme, come fanno le vere famiglie. Avrei dovuto… ma non l’ho fatto. E’ stato tutto più grande di me e non riuscivo a sopportare… nulla. Più di tutto, non riuscivo a sopportare i vostri sguardi accusatori. Più mi guardavate e più leggevo nei vostri occhi ciò che pensavate: “È colpa tua. Il nostro bambino è morto, ed è solo colpa tua.”>>
<< Come hai potuto pensare una cosa simile?>>, la interruppe Martin, sbigottito come la moglie.
<< Noi non ti abbiamo mai ritenuto responsabile. Quello che è successo, è stato solo un terribile incidente. Non c’è nessun colpevole.>>
<< Tuo padre ha ragione. Era un momento difficile per tutti…>>
<< Adesso la pensate così.>>
<< Mi dispiace se ti abbiamo fatto sentire in colpa, tesoro.>>, disse Isabel mortificata.
<< Quello che desidero e che riusciate a perdonarmi.>>, guardò tutti e tre.
<< Quando te ne sei andata via di casa, credevo di aver perso un altro figlio e per la seconda volta, mi sono sentita morire.>>, Isabel le prese il viso tra le mani, << Non è stata colpa tua, Alexis.>>, la guardò dritta negli occhi e la abbracciò ancora.
<< Invece no.>>, sbottò improvvisamente Kate, << Sono d’accordo con te, Alexis. E’ colpa tua. Lo è stata e continuerà a essere colpa tua.>>, le parole le uscivano dalla bocca come veleno, << Sei la sorella maggiore e invece di proteggerlo, hai permesso che morisse. E’ colpa tua se la nostra famiglia è andata in pezzi, se mamma è diventata un’alcolista e…>>
<< Basta Kate, smettila!>>, tuonò Martin.
La situazione si fece piuttosto tesa e aspra da digerire.
<< Io non ti perdonerò mai Alexis. Mai.>>, Kate la inchiodò con lo sguardo e corse via.

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


L’indomani Alexis si alzò per prima e preparò la colazione per tutta la famiglia.
<< Buongiorno tesoro!>>, esordì Isabel entrando in cucina.
<< ’Giorno mamma.>>, rispose Alexis ai fornelli mentre cucinava uova e bacon.
<< Tu che prepari la colazione è veramente una gran bella sorpresa.>>, disse Isabel mentre si aggiustava la vestaglia.
Alexis si voltò tenendo la padella con la mano sinistra e la forchetta con la destra. Avvicinandosi al tavolo, iniziò a dividere uova e bacon nei vari piatti.
<< Questo è il massimo che so fare.>>, sorrise alla madre.
Isabel occupò posto e Martin e Kate entrarono in cucina.
<< Tua figlia ha preparato la colazione.>>
<< E’ commestibile?>>
<< Non posso garantirtelo.>>, rispose Alexis sorridendo.
<< Allora non mi resta che correre il rischio.>>, Martin sorrise a sua volta mentre si sedeva.
Nel frattempo Kate riempì un bicchiere di succo di frutta e lo bevve al volo.
<< Kate, non fai colazione?>>, chiese Isabel.
<< No, ho un’interrogazione alla prima ora. Devo andare.>>, rispose freddamente e andò via.
<< Cosa cavolo le prende?>>, si domandò Martin sorpreso per lo strano comportamento della figlia.
<< Stasera le parlerò io.>>, disse Alexis addentando subito dopo una fetta di bacon.
<< Allora, come te la passi a San Francisco?>>, le chiese Isabel.
<< Non posso lamentarmi. Faccio quello che ho sempre desiderato.>>
<< Le abbiamo conservate quelle due interviste che ti hanno fatto, sai?>>, intervenne Martin.
<< Anche le e-mail che mi scrivevi. Le ho stampate e conservate.>>, proseguì Isabel, << Perché hai smesso di farlo?>>
Alexis smise di mangiare e come d’impulso strinse la forchetta con forza. Esitò a rispondere. Voleva trovare le parole giuste per non ferire i sentimenti dei suoi genitori; perché di certo non poteva dire loro che per riuscire ad andare avanti e stare bene, si era resa conto di dover chiudere i rapporti. Interrompere quel briciolo di contatto che la teneva legata a loro.
<< Perché sono una vigliacca.>>, disse fissando un punto impreciso del tavolo, << Sono sempre stata una che scappa di fronte alle responsabilità…>>, alzò lo sguardo verso i due, << e l’ho fatto anche con voi. Ho pensato che per voi sarebbe stato più facile non avere più mie notizie.>>
Martin stava per dire qualcosa ma lei lo fermò.
<< Non cercate di scusarmi, vi prego.>>, disse con tono deciso, << E’ così che è andata. E’ così che sono.>>
<< Sei molto di più di quello che credi o mostri agli altri, Alexis.>>, precisò Isabel.
<< Disse colei che è mia madre.>>
<< Appunto. Ti ho cresciuta. Noi,>>, oscillò l’indice della mano destra da sinistra verso destra per indicare sia il marito sia lei stessa, << ti abbiamo cresciuta.>>
<< Ma le esperienze ti cambiano, mamma.>>
<< E’ vero. Ma non lo fanno fino in fondo se tu non glielo permetti.>>, puntualizzò Martin.
<< Comunque, c’è una cosa che vorrei sapere.>>, Alexis cambiò subito argomento, << Perché ieri Kate ha detto che mamma è un’alcolista?>>
<< Perché è quello che sono. O meglio, ero.>>, Isabel si strofinò le mani, << Ho, come dire, cercato conforto nel bere… ma quando mi sono resa conto che non era il modo giusto per affrontare la perdita di tuo fratello, ho accettato di frequentare un gruppo di sostegno e ne sono venuta fuori. E’ storia vecchia, ormai.>>, sorrise leggermente mentre il cuore le batteva all’impazzata, consapevole che la circostanza si stava ripentendo da qualche tempo.
Alexis non sapeva cosa dire e si limitò a guardare il padre che le fece un cenno di assenso.
<< Comunque, il lavoro chiama.>>, Isabel si alzò dalla sedia.
<< Già, è ora che mi prepari anch’io.>>, Martin imitò il suo gesto.
<< Andate! Ci penso io a ripulire quì.>>
 
Nel tardo pomeriggio, nel campo del Roxborough High School, le Warriors stavano giocando una partita di campionato. Mancavano tre gare alla conclusione. Tre gare che significavano vittoria del campionato e qualificazione alle Regionali. L’unico ostacolo da superare erano le rivali di sempre, le Razorbacks, con le quali si contendevano il primato da tre mesi. Una vittoria, oggi, garantiva ulteriormente il distacco di due punti tra le due squadre.
Rosenberg, delle Warriors, stava per battere un calcio d’angolo nella parte destra del campo. Guardava attentamente la posizione delle compagne all’interno dell’area di rigore mentre aspettava il fischio da parte dell’arbitro. Quando avvenne, calciò il pallone ad altezza media dal suolo, Kate si liberò dalla marcatura, corse andandogli in contro e colpendolo di tacco con decisione segnò il goal del 3-1. Mancava mezz’ora alla fine della gara e la vittoria era ormai in pugno. O almeno così credevano lei, le sue compagne di squadra e il resto della scuola presente sugli spalti. Le ragazze della squadra avversaria non si arresero e venti minuti dopo riuscirono a pareggiare. Poi Kate subì un fallo in area e l’arbitro fischiò rigore. Rialzandosi da terra con l’aiuto di una compagna, prese il pallone e lo mise sopra il dischetto bianco. Arretrò di qualche passo per prendere la rincorsa, guardò il pallone, poi il portiere avversario, poi ancora il pallone e respirò a fondo. Tirare un calcio di rigore non è per niente facile come fanno credere i grandi professionisti. Bisogna essere sicuri di sè stessi al mille per mille, capire in che modo colpire il pallone e decidere la forza da imprimergli. Visualizzare la rete. Sfidare il portiere. Lasciare tutto il resto fuori. E Kate lo sapeva, come sapeva anche, che la cosa fondamentale nel tirare un calcio di rigore è che hai tutta la responsabilità di una partita ai tuoi piedi, in un solo, breve, momento.
Al fischio dell’arbitro, Kate prese la rincorsa e colpendo il pallone di collo piede, tirò forte verso l’angolo basso sinistro della porta; il portiere avversario si tuffò e riuscì a respingere il pallone davanti ai suoi occhi increduli. La delusione e l’amarezza che provò fu tanta, e aumentò ancor di più quando a pochi secondi dalla fine, le avversarie segnarono il goal che fissò la partita sul 3-4.


Raggiunto lo spogliatoio, Kate si sfilò la maglia di dosso e la gettò a terra con veemenza.
<< Vaffanculo!>>, urlò a denti stretti e si sedette sulla panca.
<< Ehi, Kate.>>, Abbey Young si sedette accanto, << Non abbiamo perso a causa tua, okay?>>, la colpì con un guanto alla gamba.
<< Ho sbagliato il rigore.>>
<< No. Il tiro è stato ottimo. Solo che il loro portiere è stata brava a intuire la traiettoria.>>
Kate era troppo amareggiata per lasciarsi rassicurare. Si portò le mani al viso e scosse la testa.
<< Ragazze, potreste spiegarmi cosa vi è preso? Non sapevo che la partita durasse solo quarantacinque minuti. Dov’eravate con la testa?>>, chiese il Coach Anderson una volta entrato.
<< Pensavamo di aver già vinto.>>, confessò una delle centrocampiste.
<< E sbagliavate!>>, replicò il Coach alzando il tono della voce.
<< Ha ragione Coach.>>, disse Kate, << Non dobbiamo più sottovalutare le motivazioni delle nostre avversarie né essere troppo sicure di vincere, qualsiasi sia il risultato. E scusate per il rigore.>>
<< Può capitare Kate.>>, il Coach Anderson la guardò, << Comunque, abbiamo ancora tre partite. Possiamo farcela. Intesi?>>
Tutte le ragazze annuirono con la testa.
<< Bene! Domani niente allenamento. Vi lascio un giorno di riposo per ricaricare.>>, disse e uscì.

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Tornata a casa, Kate salì al piano di sopra e nel corridoio incrociò Alexis che stava richiudendo la porta della sua camera.
<< Ehi.>>, Alexis le fece un cenno con la testa.
Kate le rivolse un breve sguardo, prima di aprire la porta ed entrare in camera. Sbuffando, lasciò cadere il borsone che emise un tonfo non appena toccò terra.
<< Kate, dobbiamo parlare.>>, disse Alexis appoggiata allo stipite.
<< Quello che avevo da dirti, te l’ho già detto. Quindi, lasciami in pace per favore.>>
Alexis notò che la divisa da calcio che indossava era sporca e sudata.
<< Com’è andata? Avete vinto?>>
<< No.>>
<< Peccato.>>
Kate alzò gli occhi al cielo e mise le mani sui fianchi.
<< Hai finito con questa commedia della sorella premurosa?>>
<< Non sto fingendo. M’interessa di te e cosa succede nella tua vita.>>
<< Già! Proprio come te n’è importato in questi anni, vero?>>, la inchiodò con lo sguardo.
<< Senti, sono tornata per rimediare...>>, rispose Alexis di rimando.
<< Nessuno te l’ha chiesto.>>
<< Okay, mettiamola così: non ti darò tregua finché non mi ascolterai. A te la scelta.>>
<< Sprecherai solo tempo. Ora, per la seconda volta, mi vuoi lasciare in pace?>>
Alexis alzò le mani in aria in segno di arresa.
<< Come vuoi.>>, afferrò il pomello della porta e la chiuse.
Stava per scendere al piano di sotto, quando la porta in fondo al corridoio catturò la sua attenzione. La fissò per qualche istante e poi lentamente si avvicinò. Rimase ferma a fissarla ancora, mentre si formava un nodo alla gola. Allungò la mano destra sul pomello e la strinse; non sapeva bene cosa fare: entrare poteva significare riaprire una ferita mai cicatrizzata o attenuare il senso di colpa. Alla fine, decise di entrare. La prima cosa che notò in camera di Colin, fu che tutto era esattamente al suo posto. Il letto rifatto con la coperta di Wolverine, i poster degli altri X-Men attaccati al muro, la scrivania sotto la finestra con accanto la grande cesta dei giocattoli. Niente era stato tolto o spostato. Alexis si guardò intorno e sentì una stretta al cuore: immaginò suo fratello seduto sopra il suo letto a giocare.
Lateralmente alla porta, c’era il mobile con le fotografie e vi si avvicinò. Prese prima il portafoto che racchiudeva una foto in cui c’erano Colin, Kate e lei; poi passò a quella in cui Colin soffiava le candeline del suo quinto compleanno. Con gli occhi lucidi, prese quella in cui sorreggeva con Kate un trofeo vinto da quest’ultima con la sua squadra.
<< Fa un certo effetto vedere questa porta aperta.>>, esordì Martin entrando.
<< Sembra che qui il tempo si sia fermato.>>
<< Tua madre ha voluto così.>>, Martin fece un mesto sorriso.
<< Era così fiero di Kate.>>, Alexis rimise il portafoto al suo posto, << Una volta mi disse che voleva diventare forte come lei, e la cosa mi stupì parecchio. Da un bambino a cui piace il calcio, ti puoi aspettare che ti dica di voler diventare come Messi o altri del genere… invece Colin ammirava tanto Kate.>>, concluse sorridendo.
<< Voleva un bene immenso anche a te.>>, Martin le mise una mano sulla spalla.
<< Lo so.>>
<< E adorava quando facevate gli scherzi insieme o lo svegliavi tutte le domeniche mattina per andare a comprare le ciambelle.>>
Alexis annuì e ricacciò indietro le lacrime.
<< Come avete fatto papà?>>, spostò lo sguardo su di lui.
<< Oh, beh… ora che ci penso, non lo so neanche io.>>, rispose andandosi a sedere sopra il letto, << E’ stata dura, veramente dura. Abbiamo reagito tutte e tre in maniera diversa. Kate si era chiusa in sè stessa, io mi sono rifugiato nel lavoro e tua madre… beh, tua madre era letteralmente a pezzi.>>, fece una pausa, << Spesso veniva qua e si addormentava, forse senza rendersene conto. Non era più lei. Capisci cosa voglio dire?>>, alzò lo sguardo sulla figlia e proseguì, << Non sapevo come aiutarla, ma quando mi sono reso conto che il suo problema con l’alcol era serio... ho capito che era giunto il momento di farmi forza e rimboccarmi le maniche.>>
<< Ti sei fatto carico di tutto.>>
<< Come marito e padre, era mio dovere.>>, Martin fece spallucce, poi guardò l’orologio al polso, << Comunque, credo sia ora di cenare.>>
 

Dopo cena, Kate tornò in camera sua, prese il notebook dalla scrivania e si mise a letto. Cliccando sull’icona dei preferiti selezionò il link del Blog della scuola, andò nella sezione Sport, poi su Calcio, Video e scorrendo la pagina cliccò su alcuni filmati delle partite delle Warriors in cui aveva tirato un calcio di rigore. Alcuni minuti dopo Sarah entrò in camera.
<< Ciao.>>, si sedette accanto a lei, << Che cosa stai facendo?>>
<< Cerco di capire come fare a non sbagliare più un rigore. Dato che è già successo altre volte.>>, rispose tenendo gli occhi fissi sul monitor.
Sarah le mise una mano sul viso e girandolo verso di lei, la baciò con intensità.
<< Volevo dartelo dopo la partita ma non ti ho più visto.>>
<< Scusami. Ero troppo arrabbiata e sono andata via subito.>>
<< Mi dispiace per il risultato. E’ stata una partita piuttosto strana.>>
<< Già.>>, Kate sospirò, << E’ anche colpa mia se abbiamo perso… non dovresti premiarmi così.>>
<< Oh, ma non era un premio quello. E’ stato un bacio di consolazione.>>
<< Interessante!>>, si voltò per guardarla, << E se avessi segnato cosa avrei ricevuto?>>
<< Beh, fa sì che arriviate alle Regionali e lo scoprirai.>>, rispose Sarah maliziosa.
<< Mi metti a dura prova.>>
<< Io sono fiduciosa. Non credo che una partita possa compromettere un intero campionato.>>
<< Siamo quasi alla fine. Partite del genere possono eccome.>>
<< Sono sicura che ce la farete.>>
<< Vorrei tanto avere la tua sicurezza.>>, Kate chiuse il notebook e lo mise sopra il comodino.
Sarah la guardò stranita, non era da lei arrendersi così.
<< Comunque, novità sul fronte Alexis?>>
<< No.>>
<< Non vuoi proprio ascoltarla?>>
<< No.>>
<< Kate…>>
<< No, Sarah. Per me è come se non fosse tornata. Quindi non parliamone più, ti prego.>>, Kate sembrò quasi implorarla.
<< Okay.>>
Kate si distese poggiando la testa sul cuscino e socchiuse gli occhi.
<< Sei stanca?>>
<< Sì. Ma resta ancora un po’.>>
Sarah si distese a sua volta e si rannicchiò su di lei.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


La sveglia del cellulare di Kate suonò intorno alle 5:50 del mattino seguente. Sarah, alla fine, si era addormentata con lei e durante la notte quando Kate si svegliò per andare in bagno, ebbe l’improvvisa idea di esaudire un proprio desiderio: guardare arrivare l’alba insieme alla sua ragazza.
<< Sarah? Svegliati.>>, le sussurrò a un orecchio, strofinandosi gli occhi con le mani.
Sarah si girò sul fianco destro senza dar risposta.
<< Voglio farti vedere una cosa.>>, Kate le accarezzò i capelli, << Dai, svegliati.>>
<< Non ancora.>>, farfugliò Sarah.
Kate si alzò, sfilò via la coperta e poi si diresse verso l’armadio.
<< Sarah.>>, cantilenò.
<< Sta dormendo.>>, rispose lei in terza persona.
Controvoglia e quasi meccanicamente, pochi secondi dopo Sarah scese dal letto. Mentre Kate tirò fuori dall’armadio una coperta di lana e una felpa.
<< Ho freddo.>>, disse Sarah sbadigliando.
<< Tieni, indossa questa.>>, Kate le diede la felpa.
<< Ma che ore sono?>>, le chiese mentre la indossava.
<< Le sei meno cinque.>>
<< Le sei meno cinque?>>, Sarah spalancò gli occhi, << Ma sei pazza? Perché ci siamo svegliate a quest’ora?>>
<< Dobbiamo fare una cosa.>>, Kate la prese per mano e andarono verso la finestra.
<< Cosa? Scappare fuori come due ladre?>>
Kate rise mentre alzava la finestra. Uscirono e si sedettero penzoloni sul tetto.
<< Manca poco.>>, Kate avvolse su di loro la coperta, abbracciando Sarah.
La luna che ancora primeggiava nel cielo, pian piano iniziò ad affievolirsi, concedendo al sole di occupare il suo posto.
<< E' bellissimo, vero?>>
Sarah annuì con la testa. Era visibilmente stupita.
<< Lo senti?>>
<< Cosa?>>
<< Questo leggero vento sulla tua pelle.>>
<< Sì.>>, rispose Sarah sorridendo e chiudendo gli occhi per vivere a pieno quel momento.
Rimasero lì per un po’ di minuti a godersi quello spettacolo naturale.

 
**********

Il giorno in cui gli allenamenti delle Warriors ripresero, Kate decise di restare oltre l’orario per esercitarsi sui calci di rigore.
<< Senta Coach, io continuo un altro po’ se non è un problema.>>
<< No, nessun problema.>>, rispose il Coach Anderson sorpreso, << Allora, ci pensi tu a riportare i palloni dentro?>>
<< Certo.>>
Rimasta sola, Kate prese alcuni palloni con sé e li portò nell’area di rigore. Uno lo mise sul dischetto e poco dopo, tirò. Poi toccò a un altro pallone, a quello dopo, a quello dopo ancora, e un altro. Quando tutti finirono in rete, li recuperò e continuò a calciarli.
<< Che ne dici di aumentare la difficoltà?>>, esordì Abbey camminando verso la porta.
Kate la guardò sorpresa.
<< Se vuoi metterti alla prova per migliorare… è giusto farlo con un portiere davanti.>>, Abbey s’infilò i guantoni e si dispose sulla linea di porta.
<< Hai ragione.>>, Kate le fece l’occhiolino.
<< Sono pronta.>>, disse Abbey sbattendo i guantoni l’uno contro l’altro.

Un’ora e mezza dopo, allo stremo delle forze, Kate si sedette sul manto erboso; Abbey con il pallone sottobraccio s’incamminò verso di lei.
<< 50 su 60… direi che è una buona media, capitano.>>
Kate annuì.
<< Grazie per l’aiuto.>>, rispose con il respiro affannato.
<< Non c’è di che. Siamo una squadra.>>, Abbey le sorrise, << Guarda, capisco come ti senti Kate, tutte le volte che non riesco a parare un rigore, me la prendo con me stessa. Ma non lasciarti abbattere più del dovuto, okay?>>
<< Messaggio ricevuto.>>, alzò il pollice destro.
<< Bene! Il mio compito qui è finito… quindi, buona serata. A domani.>>, Abbey fece spallucce e se ne andò.
<< Ciao, Abbey.>>
Mentre vedeva la sua compagna di squadra allontanarsi ed entrare in palestra, Kate abbassò l’elastico che teneva fermi i capelli in testa, sul collo. Poi, poggiò le braccia sulle ginocchia e chinò il capo: chiuse gli occhi e iniziò a inspirare e respirare per riprendere fiato.
<< Tieni.>>
Sentì la voce di Sarah e alzò la testa. La vide lì davanti a lei a porgerle un asciugamano. La prese e si asciugò il sudore dal viso.
<< Ti ho fatto aspettare molto, vero?>>
Sarah si sedette di lato, con le gambe incastrate l’una all’altra.
<< Non fa niente. Ne ho approfittato per fare una cosa.>>, dalla tasca dei jeans prese un foglio stampato prima e lo mostrò a Kate, << Sono i goal e gli assist che hai fatto da quando sei entrata in squadra.>>, la guardò spiegare il foglio, << Io non ne capisco molto, ma Eric ha detto che sono numeri da campionessa.>>
Eric, era lo studente cronista che si occupava della rubrica di sport nel “Roxborough High Gazzette”. Essendo un vero e proprio amante dello sport, teneva un archivio completo di tutte le prestazioni sportive dei suoi compagni atleti.
Il foglio riportava 114 presenze, 175 reti, 33 assist.
<< Wow!>>, Kate era sbalordita, << In effetti sono tanti. Immaginavo di aver segnato tanto… ma, cavolo!>>, affermò con un pizzico di orgoglio.
<< Speravo in una reazione del genere. Sei importante e determinante tanto quanto lo sono le altre ragazze per questa squadra, Kate.>>, disse guardandola negli occhi, << Anche mio padre pensa che tu sia una grande. Una volta mi disse che hai la classe e l’eleganza di Alex Morgan e la potenza e la precisione di Abby Wambach.>>
<< Sul serio ha detto una cosa del genere?>>, Kate sorrise.
<< Lo giuro.>>, Sarah alzò la mano destra e mise la sinistra sul cuore.
<< Beh, ringrazialo tanto per l’enorme complimento.>>, Kate scosse la testa, continuando a sorridere, << Certo che voi Stewart siete abili nel convincere la gente.>>
<< Sì, è uno dei tanti nostri pregi.>>, disse Sarah scherzando, << Quindi… a questo punto, il mio piano B non è più necessario.>>
<< Quale piano B?>>, chiese Kate incuriosita.
<< Beh, nel caso in cui tutto questo non fosse stato sufficiente…>>, Sarah si mise cavalcioni su Kate, << avevo pensato di tirarti su di morale così.>>, iniziò a baciarla sulle labbra, poi sul collo, << Ma dato che hai capito…>>, fece per alzarsi.
<< No, aspetta!>>, Kate le afferrò un braccio, << Ho ancora bisogno di conforto.>>, finse un’espressione abbattuta.
<< Oh, ma davvero?>>
<< Già.>>, Kate annuì con la testa. Poggiò tese le braccia all’indietro per sorreggersi con la schiena.
<< Se la metti così, non posso tirarmi indietro.>>, disse Sarah sorridendo mentre si sporse in avanti per riprendere da dove si era fermata.
Istanti dopo si alzarono e raccolsero i palloni nella sacca. S’incamminarono verso la palestra e Kate disse a Sarah di aspettarla lì mentre consegnava i palloni al Coach.
La porta dell’ufficio era aperta ma Kate bussò comunque.
<< Coach, qui ci sono i palloni. Io ho finito.>>, poggiò la sacca per terra.
<< Okay, Kate.>>, il giovane Coach si alzò dalla sedia e fece il giro della scrivania, << Senti, ci tenevo a dirti che stai facendo davvero un buon campionato e quel rigore fallito consideralo come un fallo avversario. Incassi, ti alzi e prosegui.>>, allungò le braccia sulle spalle di Kate.
<< Grazie Coach.>>, Kate gli sorrise sincera.
Accadde qualcosa d’imprevisto e strano, in seguito. Il Coach Anderson la abbracciò e Kate pensò che fosse un ulteriore gesto per farle capire di avere ancora la sua fiducia, ma poi quando si distaccarono, lui la baciò.
<< Coach, ma che diavolo fa?>>, Kate lo respinse bruscamente.
<< Io…>>, il Coach sembrò stordito, << Oddio, scusami tanto, Kate!>>, si portò le mani al volto, << So che non avrei dovuto farlo. E’ che… tu… tu mi piaci. Intendo, veramente. E anche se è fuori luogo… pensavo, sai… che al di fuori… noi.>>
Kate corrugò la fronte. Era allibita, non riusciva a credere a quanto stava ascoltando.
<< Coach, è sbagliato. Sono una sua allieva. Sono minorenne. E poi sono gay.>>, precisò turbata.
<< Tu cosa? No, non può essere.>>, il Coach la guardò scuotendo la testa.
<< Eccome se lo è.>>
<< Pensavo fossero solo voci diffamatorie messe in giro da qualche tuo compagno. Gli adolescenti sono capaci di certe cose.>>
<< Beh, non lo sono. E poi come le è saltata in mente una cosa simile?>>
<< Senti Kate… mi dispiace seriamente. Non ho fatto altro che farmi passare questi…>>, deglutì, << sentimenti. Sono inopportuni, lo so. Scusami.>>
Kate si rese conto di quanto fosse provato e dispiaciuto.
<< Non dirò niente. Se lei mi promette che non accadrà mai più una cosa del genere.>>, disse Kate con voce ferma.
<< Promesso.>>, rispose prontamente il Coach, << Mai più. Grazie per la comprensione.>>, unì le mani guardando Kate dritto negli occhi.
A quel punto, Kate uscì di fretta dall’ufficio e una volta raggiunta Sarah, la prese per mano.
<< Andiamo!>>
<< Che succede?>>
<< Andiamo! Usciamo da qui.>>
<< Kate, ma che ti prende?>>
Kate non rispose e aumentando il passo, si ritrovarono subito fuori dall’edificio. Camminò sparata verso la macchina di Sarah, e quando la raggiunsero, con agitazione prese le chiavi dalla tasca dei jeans della sua ragazza.
<< Guido io. Sali.>>

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Arrivate a casa, Kate spense il motore dell’auto e prese un gran respiro.
<< Allora?>>, Sarah la guardò perplessa.
<< Quello che sto per dirti deve restare tra me e te. Non una parola con nessuno… specie con tuo padre.>>
<< Mio padre? Cosa c’entra mio padre?>>
Kate si voltò e nel suo sguardo si poteva capire quanto fosse seria la questione.
<< Okay, promesso!>>
<< Il Coach mi ha baciata.>>, nel dirlo sentì lo stomaco aggrovigliarsi.
<< Lui… cosa?>>, la prima sensazione che provò Sarah fu disgusto. << Oddio! E’… è una cosa grave, Kate. Non puoi chiedermi di non dirlo a mio padre.>>, la seconda fu rabbia.
<< Sarah, lo so… ma non posso farlo, okay? Se lo dicessi a tuo padre, il Coach potrebbe rischiare di essere espulso e la squadra si ritroverebbe senza nessuno che la alleni. E non posso fare una cosa del genere. Non a questo punto del…>>
<< Non me ne importa un cavolo del campionato in questo momento.>>, Sarah sbottò, << Kate, lui ti ha baciata. Un professore che bacia un’alunna è inaccettabile.>>
<< Dannazione Sarah, perché non capisci? Non posso farlo.>>, Kate alzò il tono della voce.
<< Va bene, non puoi farlo per il bene della squadra.>>, disse Sarah con calma per stemperare il nervosismo, << Ma non ti è passato per la mente che può essere accaduto con qualche altra ragazza e che magari si sia spinto anche oltre?>>
<< Oh, ma dai! Stiamo parlando del Coach Anderson… non farebbe mai una cosa simile.>>
<< Perché baciare te era una cosa che sarebbe potuta succedere?>>
<< Senti, mi ha promesso che non si ripeterà più. Era sincero.>>
Sarah sbuffò esasperata. La sua gamba destra iniziò a tremare: era un tic che aveva quando era particolarmente nervosa. Con lo sguardo spostò la sua attenzione verso casa sua.
<< E perché ti amo talmente tanto che questa cosa resterà segreta.>>, ammise mordendosi il labbro inferiore.
<< Lo so, ti sto chiedendo molto.>>
<< Già.>>, Sarah la guardò negli occhi.
Kate si spinse in avanti e la abbracciò forte.
<< Ti amo.>>, le sussurrò.

 
***************

 
Alcuni giorni dopo, Sarah si ritrovò a fare shopping con Alice Moore. Era rimasta piuttosto sorpresa quando quest’ultima si presentò a casa sua chiedendo se le andava di farle compagnia. E non avendo nient’altro da fare, le rispose di sì.
<< Dovresti prenderla. Ti sta bene.>>, suggerì Alice, mentre Sarah provava una T-shirt marrone con scollatura a barchetta.
<< In effetti, mi piace.>>, approvò Sarah guardandosi allo specchio.
<< Allora è aggiudicata.>>, Alice sorrise e chiuse la tenda del camerino.
<< Posso chiederti una cosa?>>
<< Certo.>>
<< Perché hai chiesto a me di uscire con te? Non che non ne sia contenta… ma, le tue amiche erano tutte impegnate?>>, Sarah uscì dal camerino.
<< Le mie amiche?>>, Alice fece una risata ironica, << Mi hai mai visto in giro per la scuola con qualcuno?>>
Sarah fece un’espressione pensierosa.
<< Credo di no. Ma magari avevi amicizie al di fuori della scuola.>>
<< A parte i ragazzi con cui suonavo… nessuna.>>
Si diressero verso la cassa.
<< Oh!>>
<< Sai Sarah, è difficile trovare qualcuno che abbia la tua stessa passione e condividerla. Tutte le volte che tornavo a casa, finite le lezioni, volevo soltanto rinchiudermi in camera mia e cantare.>>
<< Capisco cosa vuoi dire.>>, riflettendoci Sarah si rese conto che le sue amiche erano le sue compagne di squadra. La pallavolo la assorbiva completamente che a volte si chiedeva come facesse a trovare il tempo per fare tutto il resto e riuscire ad avere una relazione con un’altra persona. Probabilmente, nel suo caso, la risposta era che anche Kate aveva una passione e poteva capirla. Fosse stata con un’altra ragazza, forse questo sarebbe stato motivo di litigi e incomprensioni.
Dopo aver pagato la T-shirt, uscirono dal negozio e continuarono la loro passeggiata.
<< E comunque, mi piace la tua compagnia. Sai di normalità.>>, confessò Alice.
<< Grazie! Sei davvero gentile.>>
<< Non è solo gentilezza. Dico sul serio… parlare con te mi fa sentire come se non mi fossi persa niente in questi anni. Non fraintendermi, amo la mia vita di adesso, perché faccio quello che ho sempre voluto. Ma a volte, tra un concerto e l’altro, tra un’intervista e l’altra, mi è capitato di chiedermi se la mia vita sarebbe stata ugualmente piena se fossi rimasta una semplice adolescente.>>
<< E’ un’ottima domanda su cui riflettere.>>
<< E l’ho fatto. Non sono tornata soltanto per il diploma. Sono tornata perché mi mancava casa mia, la mia famiglia. Mi mancava il posto che mi ha sempre ispirata nello scrivere le mie canzoni. Sentivo il bisogno di respirare semplicità, normalità. Da un po’ di tempo avevo la sensazione di perdere il contatto con la realtà. Stavo perdendo un po’ di me e sarebbe stato un errore madornale lasciare che accadesse. Così, ho deciso che avevo bisogno di una pausa. E Dio solo sa quanto debba ringraziare Alexis per averlo reso possibile.>>
<< Alexis?>>
<< Sì.>>, Alice annuì con la testa, << Ho trovato in lei anche un’ottima amica. Direi che è l’unica amica che ho.>>, fece spallucce.
<< Veramente ne hai due.>>
<< Oh, perfetto! Questo mi rende felice.>>, disse Alice sorridendo. << Visto che ci siamo, mi troveresti anche un ragazzo?>>
<< Dubito fortemente che non ci siano ammiratori tra i tuoi fan.>>
<< Ci sono. Però restano solo ammiratori. Una relazione stabile, con il mio stile di vita non credo sia nel mio futuro.>>, ammise con un pizzico di amarezza.
<< Questo non puoi saperlo con certezza. Credi che tutte le coppie si erano immaginate insieme prima ancora di incontrarsi?>>
Alice rimase a bocca aperta, pensierosa.
<< Uhmm… direi di no.>>
<< Quindi… mai dire mai.>>
Di colpo Alice si fermò in mezzo al marciapiede.
<< Sssenti… vorrei andare in un posto. Vieni con me o vuoi che ti riporti a casa?>>
<< Dove vuoi andare?>>
<< A Philadelphia. C’è la sede della mia casa discografica.>>
<< E stiamo ancora qui? Su forza, andiamo.>>, disse Sarah entusiasta.
<< Grandioso!>>

 
Philadelphia

Comodamente seduta alla sua poltrona, con le gambe distese e i piedi poggiati sopra la scrivania, Alexis stava parlando al cellulare con il suo capo. Di tanto in tanto allontanava l’apparecchio per non sentire cosa stava dicendo il signor Harold Thomas.
<< Si che ho letto i testi… li ho proprio qui davanti a me.>>, replicò alzando gli occhi al cielo.
<< Bene, allora qual è il problema, Alexis?>>, chiese l’uomo dall’altra parte del cellulare.
<< Qual è il problema?>>, Alexis scoppiò a ridere, <<Tesoro non sono niente senza di te…. Tesoro torna da metesoro bla bla bla. E lei vorrebbe far cantare una stronzata del genere ad Alice?>>
<< Tutte le canzoni parlano d’amore e anche Alice ha cantato canzoni del genere.>>, rispose Harold Thomas.
<< Ma lei ha mai ascoltato almeno un cd di Alice?  E’ chiaro che no, altrimenti non mi avrebbe detto una tale idiozia.>>, disse Alexis irritata, << E tanto per essere ancora più precisi, la maggior parte delle canzoni parla d’amore… non tutte.>>
<< Allora, sempre in nome della precisione di questa conversazione mia cara Alexis… noi abbiamo un accordo. Quindi, smettila con le tue lamentele da quattro soldi e fa provare queste canzoni ad Alice.>>, precisò Harold Thomas con fermezza.
<< Oh no, mio caro signor Thomas. Il nostro accordo prevede che lei mi fornisca dei testi che siano all’altezza di Alice. Schifezze simili li dia agli altri miei colleghi.>>, replicò Alexis con altrettanta fermezza.
<< La prossima settimana voglio ascoltare le demo. Datevi da fare.>>, finì l’uomo interrompendo la telefonata.
<< Coglione.>>, asserì Alexis piuttosto contrariata.
In quel momento la porta dell’ufficio si aprì e Alice e Sarah fecero il loro ingresso.
<< Oh, merda! Quella faccia non mi piace.>>, esordì Alice, << Hai parlato con il Grande Capo?>>
<< Questa faccia dovrebbe anche suggerirti la risposta.>>
<< Allora è un sì.>>
Le due ragazze si accomodarono nelle sedie di fronte.
<< Che ci fate voi due insieme e qui?>>, Alexis le guardò curiosa.
<< Abbiamo fatto shopping e poi Alice mi ha chiesto se mi andava…>>
<< Aspetta, aspetta! Siete andate in giro per negozi?>>
<< Cosa c’è di così strano?>>, chiese Sarah perplessa.
<< Niente. Solo che quando era Alice Moore che frequentava il liceo di Roxborough, neanche la salutavi… adesso che è Alice Moore che fa concerti in giro per gli Stati Uniti, esci a fare shopping.>>
<< Piantala.>>, Sarah le lanciò un’occhiataccia.
<< Mi è stata di grande aiuto a scuola da quando sono tornata e…>>, intervenne Alice.
<< Giusto! Dimenticavo che la nostra Sarah è rappresentante d’istituto... suo padre è il Preside… E ditemi vi siete anche tenute per i mignoli come due migliori amiche?>>, Alexis mostrò un ampio sorriso ironico.
<< Ah, ma quindi sei sempre stata una stronza irritante?>>, chiese Alice sorridente.
<< Eccome!>>, precisò Sarah.
<< Pensavi che la mia stronzaggine fosse rivolta solo a te?>>
<< Sì. Mi hai delusa.>>, rispose Alice.
<< Io non ti ho delusa. Sei tu che ti sei illusa.>>
<< Ti vorrei uccidere in questo momento.>>, disse Alice socchiudendo gli occhi, << Ma sei la mia produttrice e poi non saprei come fare.>>
<< Lo so!>>, Alexis sospirò, << Faccio sempre questo effetto alle donne. Lesbiche, etero, asessuate.>>, disse compiaciuta.
<< Io la picchiavo quando faceva così.>>, disse Sarah guardando Alice, << Potresti farlo anche tu.>>
<< E’ un’ottima idea.>>, Alice spalancò gli occhi.
<< Sto per cacciarvi fuori.>>
Alice e Sarah si guardarono e risero.
<< Come mai litigavi con il signor Thomas?>>, chiese Alice di punto in bianco.
Alexis tolse via i piedi dalla scrivania e si mise composta.
<< Mi ha inviato quei famosi due testi che dovresti includere nel prossimo album, e sono entrambi spazzatura.>>
<< Quanto spazzatura?>>
<< Controlla tu stessa.>>, Alexis girò lo schermò del MAC verso la ragazza, << Se li rileggo un’altra volta, vomito.>>, fece un’espressione nauseata.
Alice diede una rapida lettura a entrambi testi.
<< Oh, no! Io non canterò canzoni del genere. Assolutamente no.>>
<< E’ quello che ho detto anch’io. Ma quel fottuto coglione non vuole sentir ragione.>>
Alice guardò Alexis e sbuffò. Sconsolata si strinse nelle spalle.
<< Se sono scesa a compromessi, è perché…>>
<< Lo so, Alice. Lo so.>>, Alexis girò lo schermo verso di lei e con il mouse cestinò entrambi i testi, << Al diavolo lui e queste canzoni.>>
<< Aspetta, non lo…>>
Alexis la guardò.
<< Non voglio che rischi la tua carriera per due cavolo di canzoni… magari con la giusta base possiamo ricavarci qualcosa di buono.>>
<< Alice non prendiamoci in giro. Sai bene quanto me, che anche con i migliori musicisti questi testi farebbero schifo ugualmente. Tu non preoccuparti per me… Harold so gestirlo. Ti ho fatto una promessa e intendo rispettarla.>>, le fece l’occhiolino.
<< Se posso permettermi.>>, intervenne Sarah, << Da quel che ho capito, dovresti cantare due pezzi che non sono tuoi, ma questi non vanno bene. Allora perché non proporre un concorso.>>, si fermò per guardare sia Alexis che Alice.
<< Continua Stewart.>>, disse Alexis facendole cenno con la mano.
<< Si potrebbe realizzare un video in cui dici che sei alla ricerca di due pezzi inediti per il tuo prossimo album e che il vincitore o i vincitori verranno comunque riconosciuti come autori dei testi. E’ un altro tipo di compromesso… solo con il vantaggio di avere pieno controllo sulla scelta dei testi.>>
<< Sì. Mi piace.>>, disse Alice, << Tu che ne pensi?>>, guardò Alexis.
<< Non è male come idea.>>
<< Potresti farlo a scuola. A mia sorella non dispiacerà se userete la redazione per girare il video.>>
<< Il Preside acconsentirà?>>
<< Penso che l’ostacolo più grande sia questo signor Thomas.>>
<< Diranno di sì entrambi.>>, disse Alexis.
<< Quindi lo facciamo?>>, Alice la guardò speranzosa.
<< Lo facciamo.>>, affermò Alexis.
<< Sì!>>, Alice esultò, << Dammi il cinque.>>, si rivolse ad Alexis che ricambiò, << Anche tu Sarah.>>, e lo stesso fece Sarah. Subito dopo si alzò dalla sedia, << Okay, bene. Adesso possiamo andare nella sala d’incisione?>>
<< Ero sicura fossi venuta per questo.>>, Alexis si alzò, << Andiamo.>>

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Sarah percorreva i corridoi della casa discografica con un certo entusiasmo. Mettere piede in un posto simile era l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di fare, un giorno.
Entrate nello studio di registrazione, Alice si diresse subito nella “live room”, la sala per gli artisti. A un’estremità c’era posizionata una batteria; alcuni sgabelli erano sparsi qua e là, al centro c’era un pianoforte e lateralmente una lunga asta nera con un microfono.
<< E’ fantastico qui dentro!>>, affermò Sarah spalancando gli occhi, << Si respira davvero musica.>>
<< Già.>>, replico Alice, << Per questo adoro incidere le canzoni. Sai, tutto quello scambio di energia tra me e la mia band; quell’atmosfera di complicità che si crea tra tutti noi… mi dà una carica pazzesca.>>
<< Riesco quasi a immaginarlo.>>
<< Non pensavo fossi tanto appassionata di musica.>>, Alice si sedette al pianoforte.
<< Tu non lo sai, ma la nostra Sarah qui presente è un jukebox vivente.>>, intervenne Alexis.
Alice guardò entrambe incuriosita.
<< Suona una canzone e vedrai tu stessa.>>, la incitò Alexis.
Alice dispose per bene il microfono, si accertò che il piano fosse accordato e poi iniziò a suonare. A Sarah bastarono poche note per indovinare.
<< Like A Virgin, Madonna.>>
<< Notevole.>>, disse Alice.
<< Anno d’uscita?>>, chiese Alexis.
<< 1984. E’ il primo singolo estratto dal secondo album di Madonna con l’omonimo titolo.>>
<< Okay, sei fan di Madonna.>>, dichiarò Alice.
<< Prosegui.>>, le disse Alexis sorridendo.
<< Va bene. Questa è difficile.>>, rispose Alice pigiando i tasti.
<< Piece of My Heart, Janis Joplin. Anche se in realtà, la sua è una cover in versione rock. La canzone originale è stata cantata da Erma Franklin, sorella di Aretha Franklin.>>
<< Ma tu sei un mostro.>>, Alice la guardò sconcertata.
<< E’ solo curiosità.>>, Sarah fece spallucce, << Quando una canzone mi piace… mi piace sapere chi sono gli autori, cosa rappresenta per chi la canta, e roba del genere.>>
<< Senti, io ti auguro ti avere una carriera nella pallavolo ma se non dovesse andare così… il mondo della musica ha un posto per te, sorella. Nel mio staff, sicuramente.>>
<< Grazie.>>, rispose Sarah ridendo.
<< Visto? Che ti dicevo?>>, Alexis guardò Alice.
<< Dato che questa è un’occasione irripetibile, posso chiederti un favore?>>, chiese Sarah.
<< Certo.>>, rispose Alice.
<< Canta una canzone. Una qualunque.>>
<< Delle mie?>>, Alice ci pensò su.
<< Come preferisci.>>
<< Okay, Sarah.>>, Alice scrocchiò le dita, << Ti metto ancora alla prova.>>, le sorrise guardandola di sottecchi.
<< Vieni con me.>>, Alexis mise una mano sul fianco di Sarah e aprendo una porta entrarono nella “control room”, dove c’era tutta l’attrezzatura per catturare il suono, manipolarlo, inciderlo. Quando Alice fu pronta, diede l’ok con il pollice e Alexis premette un pulsante affinché potessero sentirla. A occhi chiusi, Alice pronunciò le parole di “Ode To My Family” dei Cranberries.
<< Adoro questa canzone.>>, confessò Sarah.
In versione acustica non l’aveva mai sentita e per ben quattro minuti e trenta secondi, restò incantata dal modo in cui Alice la stesse suonando, cantando e interpretando. Si emozionò davvero.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Era già trascorsa una settimana dal suo ritorno e Alexis non riusciva proprio a trovare il modo per ricucire il rapporto con la sorella. Kate si era impegnata a evitarla e ci riusciva bene. In questo erano simili.
Se ne stava seduta sui gradini del portico di casa a fumare una sigaretta mentre si godeva il sole del pomeriggio. Gli occhiali da sole Ray-Ban modello Wayfarer nero, le proteggevano gli occhi.
Era riuscita a convincere il suo capo con l’idea del contest e di prolungare anche i tempi per la consegna della Demo. Il video era stato realizzato e il suo indirizzo e-mail ogni giorno era pieno di testi di canzoni che visionava con Alice.
Di lì a poco, Sarah salì i gradini del portico tenendo in mano alcuni fogli; si sedette di fianco.
<< Ciao, straniera.>>, rimarcò quest’ultima parola.
Alexis fece un ampio sorriso, scuotendo la testa.
<< Ora si che ci siamo! Aspettavo anche te.>>, disse espellendo il fumo dalla bocca.
<< Per cosa.>>
<< Per la ramanzina. Dai, su, spara… sono pronta.>>
<< Non sono venuta per questo.>>, Sarah le diede i fogli, << Me li hanno consegnati alcuni miei compagni. Sono altre canzoni.>>
<< E questi tuoi compagni non sanno inviare una cavolo di e-mail?>>, fece un tiro dalla sigaretta.
<< Forse non hanno un computer o la connessione internet.>>
<< Vai a scuola con i Flintstones?>>, Alexis sfogliò i fogli giusto per farsi un’idea di quanto fossero, << Veramente non hai nulla da dirmi? Non ci credo che tu sia passata solo per consegnarmi questi.>>, si voltò per guardarla, << Niente sei una stronza, ti odio, ti detesto, tornatene a San Francisco? Anche se questo è più stile Kate.>>
<< Che sei una stronza, già lo sai.>>
<< Giusto.>>, Alexis asserì con la testa.
<< Non ti odio e non ti ho mai odiata perché quello che c’è capitato è stato un incidente. Però, ce l’ho avuta con te perché te ne sei andata senza dirmi niente, senza salutarmi… e non ti sei fatta più sentire.>>
<< Continua.>>, disse spegnendo la sigaretta nel posacenere poggiato su di un gradino.
<< Credevo fossimo amiche. Mi hai ferita.>>, Sarah la guardò con un pizzico di risentimento.
<< Mi dispiace.>>
<< Perché sei sparita così?>>
<< Perché c’eri anche tu, Sarah.>>, confessò Alexis tenendo lo sguardo fisso di fronte a sé.
Sarah allungò una mano su quella di Alexis, e la accarezzò con il pollice.
<< Smettila di colpevolizzarti Alexis.>>
Alexis trovò conforto in quel tocco, alzò gli occhiali sulla testa e si voltò per guardarla negli occhi.
<< Siamo ancora amiche, comunque.>>, dichiarò facendole l’occhiolino.
Sarah le sorrise dolcemente.
<< Allora, raccontami com’è, essere un’affermata produttrice discografica.>>
<< Beh… è eccitante, gratificante. Viaggio spesso, conosco gente interessante… poche volte, ma capita. E’ un lavoro fantastico.>>
<< Sono contenta per te. Anche se mi sorprende che a differenza dei tuoi colleghi, sei arrivata in fretta così in alto…>>
<< Senza passare dal basso?>>
<< Già!>>
<< Oh, ma sono partita dal basso… solo che poi mi sono stancata, ho visto un’opportunità e l’ho colta.>>
<< E cioè?>>
<< Conoscendoti non credo ti piacerà la risposta.>>
<< Con questo che vuoi dire, scusa?>>
<< Piccola Sarah, nessuno ti ha mai detto che ogni tanto hai la tendenza a giudicare un po’ troppo quello che è lontano dalla tua visione di vita?>>
<< Non…>>, Sarah restò a bocca aperta, spiazzata, << Io… io non giudico.>>
<< Stronzate! Tutti giudichiamo.>>
<< Questa volta non lo farò.>>, disse in tono di sfida.
<< Okay, okay! Se ci tieni così tanto a saperlo, te lo dirò.>>, Alexis fece una pausa, << Sono andata a letto con la figlia del bifolco… più volte. E lei, come dire, ha “messo una buona parola per me”.>>, concluse compiaciuta.
<< Beh…>>, Sarah tentennò, cercando di esprimersi diversamente rispetto a ciò che le passava per la testa, << è... tipico di te.>>
<< Hai visto? Stai giudicando.>>
<< Riconoscere un comportamento della tua personalità non è giudicare.>>
<< Bla, bla, bla. Ho ragione e tu torto.>>, Alexis schioccò la lingua e abbassò gli occhiali sul naso, << Vedila così, piccola Sarah. Se io avessi continuato a smistare posta e portare la cancelleria, i Jenkins suonerebbero ancora in un garage e Alice canterebbe in camera sua. Come si dice in questi casi? Il fine giustifica i mezzi.>>
<< Domani avrò una partita, verrai a vederla?>>, Sarah si alzò e scese lentamente i gradini.
<< Cambi discorso per non darmi ragione. Sei astuta, piccola Sarah.>>, Alexis applaudì.
<< Allora?>>, Sarah incrociò le braccia al petto, << E non chiamarmi piccola Sarah.>>
<< Non lo so. Se non avrò nient’altro di meglio da fare… forse verrò.>>, sorrise ampiamente.
Sarah, senza parlare, con il solo movimento delle labbra le disse “fottiti” e se ne andò.
 
 
 
Alla partita delle Eagles, la “speciale” tifoseria Stewart, era seduta sugli spalti: Gavin, Gloria, Roxanne e nonno Jim. Tutti insieme con l’immancabile maglietta “Forza Sarah!”. Con loro c’erano anche Kate e qualche posto più giù, Alice e Alexis. I primi due set furono a favore delle padrone di casa ma Sarah non stava giocando affatto bene. Non era in serata: sbagliava i palleggi più semplici e spesso era fuori tempo con i bagher. La Coach Bennett, vedendo che non era la miglior Sarah di sempre, la sostituì più volte rispetto alle precedenti partite. Sarah si arrabbiò con sè stessa perché non riusciva a dare il 100%. Pochi minuti dopo l’inizio del terzo set, tuffandosi per recuperare un pallone, s’infortunò a un polso. Avvertì subito dolore ma strinse i denti per continuare a giocare, solo che questo le fece perdere la concentrazione. Andò avanti così per una buona mezz’ora finché capì che era meglio smettere per non peggiorare ulteriormente l’infortunio. Così durante un time-out chiesto dal Coach della squadra avversaria, spiegò la situazione e si fece sostituire definitivamente.
Le Eagles vinsero con un punteggio totale di 3 set a 0. Sarah era contenta per la squadra ma per niente soddisfatta della sua prestazione: nella pallavolo era una perfezionista. Insieme alle compagne si congratulò con le altre ragazze e raggiunse lo spogliatoio.
Venti minuti dopo, la palestra si era svuotata del tutto. Rimasero soltanto Roxanne, Kate, Alice e Alexis. Sarah le raggiunse con una visibile fasciatura al posto destro.
<< Ehi.>>, Kate le andò in contro e la baciò sulle labbra.
<< Che ti è successo?>>, chiese Roxanne preoccupata.
<< Non è niente. Solo una contusione per fortuna.>>
<< Questa squadra è migliorata parecchio.>>, esordì Alice avvicinandosi alle tre, << Continuo a non capirci niente… ma, abbiamo vinto.>>, concluse entusiasta.
<< Grazie. Le ragazze sono state grandiose. Io ho giocato male, invece.>>, le rispose Sarah smorzando un sorriso.
Kate le mise un braccio intorno al collo e le diede un bacio tra i capelli.
<< Quello lo consideri giocar male?>>, intervenne Alexis, << Hai fatto letteralmente schifo, Sarah.>>
<< Nessuno ha chiesto il tuo parere, Alexis.>>, tuonò subito Kate senza neanche voltarsi verso di lei.
Sarah non era proprio in vena di discutere, nonostante quelle parole la ferissero. Il più delle volte, apprezzava la sincerità cruda di Alexis, ma adesso aveva bisogno di tutt’altro. Come se non bastasse, con una camminata quasi felina, giunse Marika a peggiorare ancor di più il suo stato d’animo.
<< Se la pallavolo non fosse un gioco di squadra, avremmo perso di sicuro. Cerca di non rovinare la reputazione delle Eagles, Sarah.>>
<< Devo suggerire al Preside di mettere un cartello fuori dalla palestra: “Vietato l’ingresso alle vipere”.>>, disse Roxanne.
<< Ah, ah!>>, rise ironica Marika, << Fa pure. Il paparino potrebbe acconsentire.>>
<< Perché non la pianti, Marika?>>, disse Kate guardandola.
<< Perché dovrei? Hai detto tu stessa Kate che sono una stronza, quindi mi comporto di conseguenza.>>
<< Drammi adolescenziali. Quanto non mi manca il liceo.>>, sussurrò a se stessa Alexis mentre si godeva la scena ancora seduta.
<< Ha fatto schifo, cosa c’è di male nel farglielo presente?>>
<< Magari non è il momento.>>, precisò duramente Roxanne.
<< Certo! I sentimenti di Sarah non vanno feriti.>>, disse guardando Kate, << La verità è che nessuno di voi ha il coraggio di dirle come stanno le cose. Non si va avanti con “le pacche sulla spalla”.>>
<< Ha ragione.>>, disse Alexis alzando il tono della voce per farsi sentire.
Tutte spostarono lo sguardo su di lei.
<< Oh, grazie! Finalmente qualcuno che la pensa come me.>>
<< Possiamo andare via?>>, sussurrò Sarah esasperata a Kate.
<< Certo.>>, Kate la prese per mano e s’incamminarono.
<< Non ci dai nessuna spiegazione? Te ne vai proprio sul più bello?>>, incalzò Marika a voce alta, << Allora indovino io: dopo che Kate ha fatto sesso con me, non riesce più a farlo con te. E’ per questo che hai fatto schifo questa sera, giusto?>>, andò giù pesante.
A quel punto, Sarah perse la pazienza. Si voltò e camminando dritta verso di lei le mollò un forte e sonoro schiaffo.
<< Sei una sgualdrina.>>, le disse a muso duro.
Marika, sconvolta, si portò una mano sulla guancia colpita. Roxanne prese la sorella per un braccio e la allontanò da lei prima che la situazione potesse degenerare.
<< Wow!>>, Alexis si alzò, scese i gradini e si avvicinò ad Alice, << Che sberla!>>
<< Ciao Alexis.>>, disse Marika avvicinandosi, dopo essersi ricomposta.
Alexis la guardò senza rispondere.
<< Sono Marika.>>
<< E quindi?>>
<< Non ti ricordi di me?>>
<< Perché dovrei?>>
<< Ti aspetto in macchina.>>, disse Alice.
<< Non è il caso.>>, rispose Alexis che la seguì.
Rivedere Alexis risvegliò in Marika lo stesso interesse di un tempo. I modi scostanti, gli occhi verdi dallo sguardo impenetrabile, i capelli ribelli come le ciocche sparse qua e là sulla fronte; tutto la attraeva ancora. Servita su un bel piatto d’argento, le si era presentata l’occasione per poter fare ciò che non era riuscita a fare quando era ancora al primo anno e lei stava per lasciare la scuola: averla.


Kate era alla guida dell’auto del padre, con a bordo Sarah e Roxanne. All’interno della vettura c’era un religioso silenzio che fu spezzato dall’arrivo di un SMS sul cellulare di Sarah. Era stata Cassie, a sorpresa, a scriverle: “Pensa soltanto che abbiamo vinto e che il traguardo è vicino.”, e dopo averlo letto, Sarah smorzò un sorriso.
<< Prendi il tuo iPod.>>, disse Kate guardandola di sottecchi.
<< Cosa?>>, chiese Sarah distratta.
<< Il tuo iPod. Prendilo e collegalo allo stereo.>>, lo indicò con un dito.
Sarah aprì il taschino sinistro del suo borsone, prese l’iPod, il cavo USB e lo collegò.
<< Cerca una canzone che avresti voglia di cantare a squarciagola.>>, aggiunse Kate mentre faceva abbassare il finestrino del posto del passeggero.
Sarah iniziò a scorrere la playlist avendo già in mente la canzone adatta.
<< Trovata!>>
<< Bene! Adesso cantala con tutta la voce che ti ritrovi. Libera di farlo anche fuori dal finestrino, se ti va.>>
Dopo aver premuto Play e aumentato il volume, partirono le note di I Love Rock ‘N’ Roll di Joan Jett e The Blackhearts: una di quelle canzoni che a Sarah metteva adrenalina. Anche Roxanne si unì alla sorella a questo libero sfogo.
<< I love rock'n'roll, so put another dime in the juke box, baby.>>, cantarono all’unisono, << I love rock'n'roll so come on take your time and dance with me.>>
Poi Sarah cantò rivolta verso Kate.
<< I said can I take you home where we can be alone..>>
E quest’ultima sorrise arrossendo un po’.
Imboccato il viale di casa, dopo esser scese dall’auto, Kate accompagnò le ragazze fino alla porta d’ingresso. Roxanne la salutò lasciandola con la sorella.
<< Grazie! Mi è stato d’aiuto.>>, disse Sarah per poi baciarla sulle labbra. Kate le spostò i capelli dietro un orecchio.
<< Ti amo.>>
<< Anch’io.>>
Si baciarono di nuovo, più a lungo.
<< Sai, mi chiedevo…>>, disse poi Kate, deglutendo, << Il verso della canzone che mi hai cantato era un invito, vero?>>, la guardò con malizia.
<< No. Stavo solo cantando.>>, le rispose con finta ingenuità.
<< Sicura?>>, Kate le baciò il collo.
<< Sì.>>, rispose Sarah chiudendo gli occhi e serrando le labbra.
<< Che peccato.>>, Kate si distaccò.
<< Non dirlo a me.>>, le disse leggermente eccitata.
<< Buona notte.>>, le augurò Kate dandole un bacio sulla guancia.

<< Notte.>>

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


Di ritorno da Philadelphia, Alexis era ferma a un semaforo che dava l’impressione di essersi bloccato sul rosso. Tamburellava con i pollici sul volante della Mercury Comet seguendo il ritmo della musica proveniente dallo stereo. Teneva lo sguardo fermo sulla strada di fronte a sé e di tanto in tanto lo alzava per controllare il semaforo. Fu allora che si rese conto che l’incrocio al quale era ferma aveva qualcosa di familiare. Così, guardò il palo stradale posto sul marciapiede sinistro della strada a doppio senso che era pronta a percorrere, in cui la segnaletica indicava Port Royal Avenue. Un brivido la percosse lungo la schiena e s’irrigidì. Era proprio sull’intersecare di quelle strade che era avvenuto l’incidente. Improvvisamente, i ricordi che non era mai riuscita a cancellare dalla mente, si trasformarono in immagini che sembravano voler uscire e rivivere.

*Flashback*

<< Alexis sei sicura di saper raggiungere lo Zoo una volta arrivati a Philadelphia?>>, chiese Kate.
<< Certo che sì!>>, rispose Alexis sicura mentre guidava.
<< Sicura come quando dovevamo andare a Chestnut Hill e ci siamo perse?>>, incalzò Sarah dal sedile posteriore.
<< Sto per farti scendere dall’auto, Sarah.>>
<< Tecnicamente, è la mia auto. Quindi non hai questo diritto.>>, si allungò in avanti poggiando le braccia sullo schienale del sedile del passeggero.
<< Però la sto guidando io… quindi, ne ho tutto il diritto.>>, puntualizzò Alexis sorridendo ironica.
<< Arriveremo in tempo vero?>>, chiese Colin.
<< Sì. Tranquillo campione.>>, Alexis spostò lo sguardo sullo specchietto retrovisore e fece l’occhiolino al fratello, << E comunque, ho memorizzato tutto il tragitto su Google Maps.>>, indicò con l’indice destro il suo iPhone posto sul cruscotto.
Kate lo prese e aprì l’applicazione.
<< E poi lo Zoo chiude alle 17:00…. Abbiamo tempo.>>
<< Voglio vedere le tigri, i pavoni, gli scimpazè…>>, disse Colin entusiasta.
<< Ma come? Abbiamo un esemplare di scimpanzé proprio accanto casa nostra e vuoi vederli anche lì?>>
<< Ehi!>>, Sarah diede uno schiaffo sul braccio di Alexis.
<< Non ti scaldare. Intendevo tua sorella.>>
Sarah la colpì nuovamente con più forza mentre Colin rise divertito.
<< Kate, tieni a bada la tua ragazza, per favore.>>
<< Questa volta te la sei cercata.>>, rispose Kate ridendo.
<< Alexis, mi fai guidare un po’ con te?>>, chiese Colin.
<< Non è il caso.>>, rispose subito Kate.
<< E dai! Lo facciamo sempre quando non c’è nessuno per strada.>>
<< Un altro giorno, campione.>>, disse Alexis.
<< Dai, dai, dai.>>, Colin iniziò a supplicarla.
<< Giusto qualche minuto.>>, Alexis cedette subito.
<< Sìììì!>>, esultò Colin intento a passare avanti.
<< No, Colin. Resta dietro.>>, Kate gli bloccò il passaggio allungando il braccio sinistro.
<< Dai Colin stai seduto qui con me.>>, Sarah lo afferrò per la felpa.
<< No, voglio guidare.>>, protestò Colin che cercò di passare sotto il braccio della sorella.
<< Ehi, state calmi. Dannazione!>>, disse Alexis con tono di rimprovero.
Colin nel frattempo era riuscito a sporgersi in avanti verso il volante e afferrarlo.
<< Torna dietro, Colin.>>, Kate cercò di toglierli le mani dal volante mentre lui si dimenava.
Anche Alexis cercò di aiutare Kate, spingendo indietro Colin con una mano.
<< Alexis, attenta!>>, urlò di colpo Sarah.
Dalla corsia che incrociava la strada che stava percorrendo, un’altra vettura arrivò a una velocità non consentita e nonostante Alexis tentò di sterzare per evitarla, la macchina colpì la fiancata facendo capovolgere la loro auto su sè stessa.


*Fine Flashback*

I ripetuti colpi di clacson e le imprecazioni dei conducenti dietro, riportarono Alexis alla realtà. Il semaforo era scattato sul verde da parecchi minuti e lei stava bloccando il passaggio.
<< Sì, sì. Ho capito.>>, urlò nervosa mentre premette l’acceleratore.
Guidò fino al liceo e parcheggiò lì davanti. Scese dalla macchina e poggiandosi sulla fiancata sinistra, incrociò le braccia al petto, il piede destro con quello sinistro, e attese Alice.
Quando tutti gli studenti uscirono dalla porta principale, la prima ad andarle in contro fu Marika.
<< Ciao Alexis!>>, la salutò tutta sorridente.
<< Ciao ragazzina.>>, replicò Alexis con voce piatta.
<< Marika.>>, precisò lei.
<< Come ti pare!>>
<< Proprio non ti ricordi di me?>>
Alexis la guardò corrugando la fronte.
<< La festa del tuo diploma ti dice niente?>>
<< Uhmm! Ho un vago ricordo di quella sera. Le uniche due cose che ricordo bene sono i fiumi di alcol e il dopo sbronza.>>
<< Nient’altro?>>
<< Sei sorda o non comprendi bene la nostra lingua? Comunque, c’eri anche tu? E questo che dovrei ricordare?>>
<< In parte. Diciamo che dovresti ricordare di più questo.>>, Marika si avvicinò ancor di più a lei e la baciò con intensità, << Ritornata la memoria, adesso?>>, la guardò con malizia.
Alexis le sorrise: il bacio le era parecchio piaciuto e anche lei, doveva ammettere, non era niente male. Ma preferì comunque mantenere un atteggiamento schivo, perché le adolescenti liceali non rientravano nei suoi standard.
<< No. Nulla. Ci siamo baciate anche quella sera?>>
<< Sì.>>, Marika le mise le braccia intorno al collo, << E se non fossimo state interrotte saremmo andate anche oltre.>>
<< Impossibile. Io non vado a letto con le ragazzine.>>, prese le braccia di Marika e le allontanò dal suo collo.
<< Però le baci.>>, replicò Marika.
Alexis rise sarcastica.
<< Piuttosto, dimmi di te e mia sorella. Ho intuito che c’è stato qualcosa, mi sbaglio?>>
<< Affatto. Le due piccioncine non stavano più insieme e Kate ha trovato conforto in me.>>
<< Immagino che per te non sia stato un sacrificio consolarla.>>, disse Alexis con una punta d’ironia.
<< Vedi tu ed io ci capiamo. Dovremmo approfondire la nostra conoscenza.>>
<< Credo proprio di no.>>
<< Oh, andiamo. Sai bene che non mi resisterai a lungo.>>, Marika sorrise maliziosa.
<< Vuoi un consiglio? Va a casa, sdraiati nel tuo letto, pensami, masturbati e così avrai ciò che vuoi.>>
<< Ciao a te e a te.>>, esordì Alice guardandole, << Interrompo qualcosa?>>
<< No.>>, rispose subito Alexis che aprì lo sportello della macchina e salì. Attese che anche Alice salisse e poi avviò il motore.
<< Sbaglio o ti ha preso di mira?>>, chiese Alice.
<< Già.>>
<< Lo dici come se ti dispiacesse.>>
<< Non mi scopo le ragazzine.>>
<< Lei non lo sembra affatto.>>, sottolineò Alice per stuzzicarla.
<< Oh lo so, credimi. Ho già capito che tipo è.>>
<< Comunque, credo di aver trovato i due testi adatti per il mio prossimo album. Ti piaceranno.>>

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


Il percorso intrapreso dalle Warriors e le Eagles nei rispettivi campionati sembrava essere lo stesso. Giocavano in due competizioni parallele in cui entrambe le squadre erano riuscite a qualificarsi alle Regionali con l’unica variante che, mentre Sarah aveva subito recuperato l’infortunio e continuato a fornire prestazioni esaltanti, Kate dopo il famoso “fallo” con il suo Coach, era stata relegata in panchina partita dopo partita. La situazione iniziava a pesarle tanto da renderla frustrata. Incominciò anche a mettere in dubbio le scelte del Coach Anderson e a chiedersi se il suo essere titolare in tutti questi anni fosse più dovuto a una “personale preferenza” piuttosto che al suo talento.
Era sul divano di casa mentre si tormentava il cervello, quando le venne in mente la sua infanzia di bambina spensierata che un giorno guardando una partita dei mondiali di calcio maschili, rimase incantata dalle punizioni di Beckham, dalle magie di Messi, e s’innamorò di quello sport come non mai. Si ricordò anche che a quel tempo, giocava con dei ragazzini incontrati giù al parco e nessuno le impediva di farlo. Nessuno di loro se la prendeva con lei se era più brava, se faceva più goal o se sbagliava. Nessuno di loro le vietava di giocare, anzi facevano a gara con chi dovesse essere in squadra. Così decise di ritrovare quella spensieratezza, ma soprattutto la voglia di divertirsi giocando. Salì in camera sua, prese un vecchio pallone da calcio, chiese alla madre se potesse usare la sua auto e si recò a Gorgas Park.
Camminò finché non trovò uno spazio libero e iniziò a palleggiare per conto suo. Improvvisò anche una specie di porta con due sassi di media grandezza posti uno di fronte all’altro a distanza, finché un ragazzo non si avvicinò.
<< Ehi, scusami.>>
Kate si girò verso di lui.
<< Ti ho osservato un po’ e te la cavi bene. Ti andrebbe di giocare con me e i miei amici? Uno di loro è appena andato via e ci serve qualcuno che prenda il suo posto.>>
Kate ci pensò su. Una delle prime regole imposte dal Coach Anderson era di non giocare a calcio al di fuori della scuola per evitare eventuali infortuni sconvenienti. Ma in quel momento sentiva di essere vittima d’ingiustizia e se ne infischiò altamente del Coach e delle sue regole; perciò accettò.
<< Sì, mi piacerebbe molto.>>, rispose contenta e seguì il ragazzo.
Giocarono per un’intera ora e quando la partita finì, tutti i ragazzi si complimentarono con lei. Uno di loro la riconobbe come giocatrice delle Warriors, poiché la squadra della sua ragazza una volta aveva giocato contro di esse. Mentre stava per raggiungere l’auto parcheggiata - con il pallone sottobraccio - vide Sarah andarle in contro.
<< Sei una visione o la mia ragazza ha una doppelgänger?>>
<< La seconda. Sono la sua versione vampira.>>, rispose Sarah facendo un’espressione terrificante.
<< Affascinante.>>, Kate la tirò verso di sé.
<< E’ incredibile! Nessuno si spaventa più dei vampiri. Hanno perso credibilità.>>
<< Beh, se in TV continuano a rappresentarli con Claire Holt e Nina Dobrev… anch’io mi farei trasformare all’istante.>>
<< Giusta osservazione.>>
<< Ma io preferisco la mia umana.>>, Kate le fece l’occhiolino.
Sarah allargò le labbra in un ampio sorriso e lei ne approfittò per baciarle le fossette.
<< Come facevi a sapere che ero qui?>>
<< Tua madre.>>
<< Ah!>, Kate asserì con la testa.
<< Non abbiamo avuto modo di parlare molto in questi giorni e so bene che non sei per nulla contenta per la questione “panchina”.>>
<< Già, è vero.>>, Kate fece spallucce, la prese per mano e raggiunsero una panchina poco distante da loro. Si sedettero.
<< Quali pensieri oscuri invadono la tua mente?>>, chiese Sarah.
<< Sinceramente non so più cosa pensare. Ho chiesto al Coach perché non mi fa giocare e lui mi ha risposto che è soltanto una “scelta tecnica”, visto che ultimamente mi vede fuori forma. Solo che io mi sento bene e m’impegno sempre, lo sai. Quindi, non lo so…>>, sbuffò.
<< E se fosse una specie di “punizione” per quello che è accaduto?>>
<< E’ buffo sai. Ho pensato anche questo e sarebbe un atteggiamento immaturo da parte sua, per non dire…>>
<< Eticamente scorretto?>>
Kate annuì.
<< Vedi Sarah, io posso accettare di stare seduta in panchina se non sono al cento per cento delle mie forze, se durante l’allenamento ho fatto schifo, se un’altra mia compagna gioca meglio di me… io, tutto questo lo accetto. Solo che adesso non è così e sento come che se mi stesse togliendo la possibilità di fare quello che amo fare. Io sono brava, so giocare, e finora ho investito parte della mia vita in questo, e se andrò al college continuerò a impegnarmi per arrivare in alto, per arrivare a giocare in una squadra professionista. Non ho pensato a un piano B o a immaginare un futuro diverso, perché non riesco a vedermi in nient’altro se non in una vera calciatrice.>>
Sarah avvicinò la sua fronte a quella di Kate.
<< Tieni duro amore. Le cose si sistemeranno.>>, le sussurrò.
Kate sospirò chiudendo gli occhi.


 
Yeah, You could be the greatest
You can be the best
You can be the king kong banging on your chest

You could beat the world
You could beat the war
You could talk to God, go banging on his door

You can throw your hands up
You can be the clock
You can move a mountain
You can break rocks
You can be a master

Don't wait for luck
Dedicate yourself and you can find yourself

Standing in the hall of fame
And the world's gonna know your name
Cause you burn with the brightest flame
And the world's gonna know your name
And you'll be on the walls of the hall of fame

You could go the distance
You could run the mile
You could walk straight through hell with a smile
You could be the hero
You could get the gold
Breaking all the records
that thought never could be broke

Do it for your people
Do it for your pride
Never gonna know if you never even try
Do it for your counrty
Do it for you name
Cause there's gonna be a day

When your, standing in the hall of fame
And the world's gonna know your name
Cause you burn with the brightest flame
And the world's gonna know your name
And you'll be on the walls of the hall of fame

Be a champion, Be a champion,
Be a champion, Be a champion
On the walls of the hall of fame

Be students
Be teachers
Be politicians
Be preachers
Be believers
Be leaders
Be astronauts
Be champions
Be true seekers

Be students
Be teachers
Be politicians
Be preachers
Be believers
Be leaders
Be astronauts
Be champions

Standing in the hall of fame
And the world's gonna know your name
Cause you burn with the brightest flame
And the world's gonna know your name
And you'll be on the walls of the hall of fame

(You can be a champion)
You could be the greatest
(You can be a champion)
You can be the best
(You can be a champion)
You can be the king kong banging on your chest
(You can be a champion)
You could beat the world
(You can be a champion)
You could beat the war
(You can be a champion)
You could talk to God, go banging on his door

(You can be a champion)
You can throw your hands up
(You can be a champion)
You can be the clock
(You can be a champion)
You can move a mountain
(You can be a champion)
You can break rocks
(You can be a champion)
You can be a master
(You can be a champion)
Don't wait for luck
(You can be a champion)
Dedicate yourself and you can find yourself
(You can be a champion)
Standing in the hall of fame


 
N.B.: Il testo inserito è "Hall of Fame" dei The Script

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Philadelphia

<< Eeee ci siamo!>>, esordì Alexis una volta che il masterizzatore espulse il CD su cui erano state incise le due canzoni di Alice. Lo prese, scrisse su con un pennarello nero indelebile “Alice Demo” e lo mise in una custodia.
<< Sono proprio soddisfatta di questi pezzi.>>, ammise con fierezza Alice seduta sul divano di pelle in fondo alla sala d’incisione.
Alexis, seduta sulla sedia girevole, si voltò verso di lei, agitando la custodia.
<< Questi diventeranno i tuoi prossimi singoli.>>, le strizzò l’occhio.
<< Speriamo che il signor T. sia di quest’avviso.>>
<< Se non fosse così, rinforzerebbe la mia tesi riguardo alla sua totale ignoranza.>>
Alice si lasciò andare a una risata.
<< Okay! E’ arrivato il tempo per me di andare a casa e… studiare, studiare e studiare.>>, enfatizzò alzando gli occhi al cielo.
<< Mi piacerebbe tanto aiutarti… ma sai, io e i compiti non siamo mai andati tanto d’accordo.>>
Alice si alzò dal divano.
<< Tranquilla! Chiedere aiuto a te sarebbe come dire ai miei professori di bocciarmi.>>
<< Ehi! Bada a come parli. Sono sempre la tua manager barra discografica. Se continui a mancarmi di rispetto, potrei anche mollare te e la tua band.>>
Alice sapeva che Alexis stava soltanto stando al gioco, ma quel discorso la portò a rifletterci su.
<< Lo faresti?>>, le chiese seria incrociando le braccia al petto.
<< Cosa? Mandarti a quel paese?>>
<< Sì.>>
<< Davvero me lo stai chiedendo?>>, Alexis si raddrizzò e guardò Alice perplessa, << Ti ho solo risposto per le rime, Alice.>>
<< Lo so che stavi scherzando, ma….>>, Alice lasciò cadere il discorso distratta dal trambusto che proveniva fuori dal corridoio.
La porta della sala d’incisione si aprì bruscamente: un uomo sulla trentina e un ragazzo entrarono, seguiti dalla segretaria Moira, interrompendo la conversazione tra le due.
<< Scusate!>>, esordì Moira imbarazzata, << Ho detto loro che la sala è ancora occupata ma…>>
<< Non ti ho dato ascolto perché sei un’incompetente.>>, disse l’uomo vestito con un completo nero.
<< Che succede qui?>>, Alexis si alzò di scatto dalla sedia.
<< Succede che ho prenotato la sala due giorni fa per le 16:00 di oggi e chissà perché mi ritrovo ad aspettare da mezz’ora.>>, proseguì alterato.
<< Te lo ripeto per la terza volta Louis, tu mi hai detto dalle 17:00 alle 18:30 e così ho segnato sull’agenda.>>
<< No, no, no.>>, Louis gesticolò con le braccia, << Io sono stato abbastanza chiaro sull’orario sei tu che non hai capito un cazzo perché sei un’idiota senza cervello.>>, le urlò contro.
<< Ehi, coglione!>>, intervenne Alexis, << Smettila di urlare, numero uno. Numero due, ci sarà stato un semplice malinteso con l’orario e non credo sia una buona scusa per mettere in mostra il tuo testosterone del cazzo. Anche perché, come vedi, ci siamo noi e non abbiamo finito. Quindi, adesso ti dai una calmata e torni ad aspettare fuori con il tuo Justin Bieber dei poveri. Intesi?>>, gli diede due piccoli leggeri schiaffi sulla guancia destra.
<< Come diavolo mi hai chiamato?>>, chiese il ragazzo infastidito.
<< Justin Bieber dei poveri, contento?>>, Alexis gli sorrise ironica, si avvicinò alla porta e con un gesto del braccio li invitò a uscire.
<< Louis, cerca di risolvere questa situazione perché ho un’intervista e non posso perdere altro tempo.>>, disse il ragazzo rivolto al suo discografico.
<< Come cavolo ti permetti di parlarci così?>>, disse Louis guardando Alexis.
<< Mi permetto perché ho a che fare con una testa di cazzo e un piagnone montato. Ora, se gentilmente vi levate dai coglioni, noi finiamo il nostro lavoro e la sala sarà tutta vostra.>>
<< Senti, Alexis Davis del cavolo guarda che qui non sei a San Francisco e puoi fare tutto quello che ti pare solo perché ti sei scopata la figlia del capo, capito?>>
Alexis sorrise amaramente e gli lanciò uno sguardo inceneritore.
<< Brucia così tanto? Che cosa vuoi fare quindi? Andare a frignare dal capo perché non sai gestire la situazione? Va pure.>>
Louis scambiò un’occhiata con il ragazzo e poco dopo fecero per andarsene.
<< Sai, sarebbe opportuno che tu le chiedessi scusa.>>, disse Alexis a Louis mentre gli passava accanto, ma lui la ignorò completamente.
<< Non ho capito male Alexis. Né tanto meno confuso sale e orari.>>, precisò Moira.
<< Ti credo. Quello lì è solo un coglione. Comunque, in realtà noi abbiamo finito… ma voglio dargli una lezione.>>, le strizzò l’occhio.
<< Ricevuto.>>, Moira sorrise e uscì richiudendo la porta.
<< Per quanto sia entusiasta nel partecipare… Quanto li faremo aspettare? Perché io devo davvero riprendere a studiare.>>
<< Soltanto dieci minuti.>>, Alexis si sedette sul divano.
<< Ooookay!>>, Alice annuì con la testa e si lasciò cadere, << Tutto bene? Intendo per quella frase?>>
<< Sì.>>
<< Okay! Sai di aver dato del “Justin Bieber dei poveri” a Ben Hayes, vero? E’ molto apprezzato da queste parti.>>
<< Appunto. Da queste parti.>>
<< Sei perfida.>>
<< Andiamo, non dirmi che ti piace la sua “musica”?>>, mimò le virgolette.
<< Qualche canzone, sì. Ha un buon sound.>>
<< Oddio! Mi sanguinano le orecchie.>>, Alexis fece una smorfia, << Comunque, prima che ci interrompessero, stavi dicendo che non ti fidi più di me?>>
<< No!>>, precisò subito Alice, << Non stavo affatto dicendo questo. Io mi fido ciecamente di te, Alexis. Non metterei mai la mia carriera e quella della mia band nelle mani di nessun altro… e forse il punto è proprio questo. Se un giorno non fossimo più d’accordo su niente? Se volessi intraprendere un certo tipo di percorso e tu non lo appoggeresti? O se ti stancassi di lavorare con me e per me?>>
<< Credo di averti dimostrato durante questi anni la mia professionalità. Quanto creda in te e quanto sia in grado di scindere il nostro rapporto personale da quello lavorativo quando è necessario.>>, fece una pausa e la guardò, << La tua musica, la tua carriera, Alice… sono sempre la mia priorità. E se un giorno dovessimo arrivare a un punto di non ritorno… sta pur certa che ti affiderei al migliore dei miei colleghi.>>
Alice annuì sorridendo.
<< Hai da fare questa sera?>>
<< No.>>
<< Allora sarai a cena a casa Davis. I miei vorrebbero conoscerti di persona.>>
<< Oh! Davvero?>>
<< Sì. Sette e trenta da me.>>, disse Alexis alzandosi dal divano.
<< Sarò puntuale.>>, Alice fece lo stesso.
Uscirono dalla sala d’incisione e mentre Alice andò via, Alexis si recò nel suo ufficio.
<< Alexis, hai un momento?>>, esordì Moira quando la vide passare.
Alexis si fermò e attese.
<< Volevo ringraziarti per prima.>>, disse Moira in maniera un po’ impacciata.
<< Non c’è di che.>>, rispose Alexis allungando una mano sulla maniglia, << Permettimi di darti un piccolo consiglio: se ti comporti sempre da segretaria, gente come Louis ti vedrà soltanto come una segretaria…. Quindi, non aver paura di alzare la voce ogni tanto.>>
<< E dovrei farlo anche con te?>>, sottolineò Moira.
<< Oh, io sono la prima con cui iniziare.>>, le sorrise.
Moira ricambiò il sorriso.
<< Ah! Una ragazza ha chiesto di te, prima. Le ho detto di aspettarti ma è entrata subito nel tuo ufficio.>>
<< Okay, me ne occupo io.>>
Entrata in ufficio, Alexis trovò Marika seduta alla sua sedia.
<< Finalmente! Ce ne hai messo di tempo.>>
<< Stavo lavorando. Cosa sei venuta a fare qui?>>, Alexis si diresse verso di lei, << Non dovresti essere a casa a studiare o a fare qualsiasi altra cosa fanno le ragazzine?>>
Marika si alzò e non appena Alexis occupò il suo posto, si sedette cavalcioni su di lei.
<< Sai, mi hai davvero stancata con questa storia della ragazzina.>>
<< Bene! Puoi anche andartene allora.>>
<< Sei una grandissima stronza, lo sai?>>
<< Sì!>>
Marika la guardò a lungo. Non le piaceva essere trattata in quel modo, ma doveva pensare subito a qualcosa per far cedere Alexis. D’un tratto i suoi occhi cambiarono espressione diventando languidi, e sorridendo maliziosamente, si sfilò via prima la maglietta e poi il reggiseno.
<< Dovrai mandarmi via tu.>>, pronunciò ogni singola parola lentamente.
Alexis fu presa dall’eccitazione e solitamente non opponeva tanta resistenza ai suoi istinti sessuali quando una donna si offriva a lei. Si raddrizzò con la schiena ponendosi faccia a faccia con Marika.
<< Mi stai sfidando?>>, la guardò dritta negli occhi.
Marika le prese la mano destra e la portò sul suo seno destro, facendo pressione.
<< Secondo te?>>
Fece in tempo a finire la domanda che Alexis la baciò con vigore. Bastò un niente per rendere calda l’atmosfera.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


Marika si presentò a casa Davis, qualche ora più tardi. Isabel la fece entrare e le spiegò come raggiungere la stanza di Kate al piano di sopra.
<< Ciao!>>, disse entrando.
Kate spostò lo sguardo dal libro di biologia verso di lei.
<< Ciao, Marika.>>, sospirò, << Perché sei qui?>>
Prima di risponderle Marika chiuse la porta a chiave.
<< Ehi, ma che fai?>>, Kate si alzò di scatto, << Incredibile! Mi tieni un’imboscata in casa mia?>>
<< Kate, voglio solo parlare. Per favore, ascoltami.>>
<< Parlare?>>
<< Sì, parlare.>>
<< Okay, va bene. Parliamo. Di cosa? Del tempo? Di com’è andata oggi a scuola? Di cosa dovremmo parlare tu ed io, Marika?>>, disse Kate con tono duro.
<< Di quello che ho fatto e di come ho rovinato la nostra amicizia.>>
<< Se avessi voluto davvero essermi amica, non ti saresti comportata in quel modo. E comunque, ti sei scusata molto tempo fa e come vedi, non è cambiato nulla.>>
<< Perché sei ostinata!>>, Marika sbottò, << Senti io non so come si comporta un’amica, okay? Non ne ho mai avuta una. E l’unico modo che conosco per avvicinarmi a qualcuno è…>>
<< Manipolarlo?>>
<< Sì, Kate. Io manipolo gli altri perché di solito non faccio loro tanta simpatia… quindi per sopravvivere al liceo ho dovuto fare così.>>
<< Hai mai pensato che magari, se fossi stata onesta, sincera, te stessa, qualche amica l’avresti davvero avuta in questi anni?>>
<< E se l’avessi fatto? Se fossi realmente così, una bugiarda manipolatrice?>>
<< Dimmelo tu chi sei Marika. Sei quella del liceo o quella della scorsa estate in Florida?>>
 
Nel frattempo, al piano di sotto, Alexis appena rientrata a casa, si recò in salotto, dove vi trovò i suoi genitori.
<< Ehi, coniugi Davis.>>, si sedette sul bracciolo del divano.
<< Ciao tesoro.>>, risposero entrambi.
<< Ho una sorpresa per te, papà.>>, dalla tasca interna del suo cappotto tirò fuori due biglietti, che diede a Martin.
<< Non ci posso credere!>>, esclamò lui sbalordito, << I biglietti per la finale dei Red Sox contro gli Yankees.>>
<< L’altro è per il signor Stewart.>>
<< Come li hai avuti? E’ già tutto esaurito.>>
<< Conosco l’addetto stampa degli Yankees. Mi doveva un favore…>>, fece spallucce.
<< Lo hai reso l’uomo più felice del mondo.>>, disse Isabel sorridendo.
<< Puoi ben dirlo! Grazie mille, tesoro.>>, Martin si sollevò per abbracciare la figlia.
<< Ah! Un’altra cosa: Alice verrà a cena da noi questa sera.>>
<< Oh, finalmente la conosceremo!>>, disse entusiasta Isabel.
<< Ecco, a proposito. Cercate di avere un atteggiamento più da adulti che da adolescenti ai concerti.>>, disse Alexis ridendo mentre si alzava.
<< Niente affatto. Ti metteremo in imbarazzo.>>, proseguì Isabel facendole l’occhiolino.
<< Ed io vi rinnegherò.>>, urlò Alexis mentre raggiungeva le scale.
Quando salì al piano di sopra, incrociò Marika in corridoio.
<< Due volte in un giorno…>>, disse lei maliziosa.
Alexis la guardò perplessa.
<< Oh, tranquilla! Non hai motivo per essere gelosa di tua sorella. Dovevo soltanto chiarire una questione.>>
<< Mettiamo in chiaro una cosa Marika: vuoi giocare con me? Okay. Ma lascia in pace mia sorella.>>
Marika si avvicinò ancor di più e la baciò sulle labbra.
<< Rilassati.>>, le sussurrò e scese le scale.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Per il terzo anno consecutivo, le Warriors erano riuscite a raggiungere la semifinale del campionato Regionale, e sulle gradinate dello stadio del Roxborough High School, c’era già un clima di festa. Sarah se ne stava in piedi guardando con insistenza alla sua sinistra.
<< Allora, dove hai detto che si siederanno?>>, disse rivolta a Roxanne seduta di fianco.
<< Ultima fila, in alto. Ma non so esattamente i posti che occuperanno.>>
<< Okay, credo di aver visto il tizio della Stanford e quello dell’Università della California.>>
<< E’ ottimo, no?>>
<< Sì, eccome! Dannazione!>>
<< Non abbiamo appena concordato che è ottimo?>>, disse Roxanne confusa.
<< Rox devo andare… tieni occupato il mio posto.>>, Sarah parlò a precipizio e si fece largo tra le persone per raggiungere l’entrata/uscita dell’impianto sportivo. Camminò decisa fino ad arrivare davanti alla porta dell’ufficio del Coach Anderson.
<< Salve Coach, ha un minuto?>>, disse entrando.
<< Sarah! Ciao. Ho giusto due minuti; le mie ragazze mi aspettano nello spogliatoio.>>, rispose lui cordialmente.
<< Farò in fretta, non si preoccupi.>>
<< Cos’è che devi dirmi?>>, la guardò curioso.
<< So tutto.>>, Sarah lo guardò dritto negli occhi.
<< Riguardo cosa?>>
<< So che ha baciato Kate.>>
<< Io, cosa?>>, il Coach Anderson strabuzzò gli occhi.
<< La prego, non finga. Kate mi ha raccontato tutto e le ho promesso che non ne avrei fatto parola con nessuno.>>
Il Coach Anderson sbiancò all’istante; iniziarono a sudargli le mani.
<< Penso che lei sia una brava persona.>>, proseguì Sarah, << Ma sono anche convinta che stia punendo Kate non facendola giocare perché si sente ferito… e sinceramente, questo lo trovo ingiusto. Là fuori ci sono i talent scout di tutte le migliori università del paese e lei sa meglio di me che sceglieranno soltanto chi ha talento. Non può fare questo a Kate. Lei non se lo merita. Quindi la smetta di comportarsi come un ragazzino che sta ancora a leccarsi le ferite. E’ il suo Coach e dovrebbe mettere al primo posto ciò che è meglio per le sue ragazze e per la squadra, perché Kate sta facendo così. E’ sempre stata leale a lei e alle sue compagne.>>, fece una pausa per riprendere fiato, << Non mi faccia pentire della mia promessa.>>, disse in fine e uscì da lì.
Ripercorse di nuovo la palestra, speranzosa di non aver peggiorato la situazione, anche se dentro di sé era certa di aver agito bene, che per Kate valeva la pena correre un rischio simile. Quando arrivò all’entrata, vide ferma Alexis.
<< Non dirmi che anche questa sera la vedrai da qui?>>
<< Ehi, Sarah.>>, disse Alexis mentre fumava una sigaretta, << Beh, finora ha portato bene, no?>>
<< Questa situazione tra di voi è assurda, lo sai?>>
<< Dillo alla testona della tua ragazza.>>, Alexis smorzò un sorriso.
<< Ci ho già provato e oltre che a discutere, non ho ottenuto nulla. Quindi, ormai sei argomento tabù>>
<< Wow! Mi ha proprio cancellato dalla sua vita.>>, costatò Alexis con amarezza. Tirò dalla sigaretta un ultima volta e poi la lasciò cadere per terra e facendo pressione con la suola della scarpa, la spense.
Per la prima volta da quando la conosceva, Sarah vide Alexis vulnerabile; l’arroganza e la presunzione sembrarono non appartenerle in quell’istante e colta da un moto di compassione la abbracciò forte. Poi, distaccandosi da lei, le sorrise e le fece l’occhiolino mentre camminava in dietro verso lo stadio.
 
A inizio secondo tempo, le Warriors erano sotto di tre reti a zero: avvicinarsi all’area avversaria era diventata un’impresa. Il Coach Anderson osservava nervosamente il corso della partita, stando alzato di fronte la sua panchina; di tanto in tanto alzava lo sguardo tra la tifoseria alle sue spalle verso Sarah. Non riusciva a fare a meno di pensare alle sue parole perché sapeva che la ragazza aveva ragione da vendere. Così, alla fine decise di fare ciò che era meglio per la sua squadra e con un gesto della mano invitò Kate ad alzarsi dalla panchina e le disse di riscaldarsi.
Pochi minuti dopo, Kate fece il suo ingresso in campo e la gara prese una svolta decisiva. Su punizione segnò il primo gol; su contropiede dopo un veloce scambio di passaggi con due sue compagne, entrata in area di rigore e dribblando un difensore, segnò il secondo gol; e ancora su punizione, siglò il pareggio. Si scrollò di dosso la tensione e la rabbia accumulata nelle ultime settimane giocando con grinta, determinazione e voglia di vincere. Tutta la squadra ritrovò la fiducia persa durante il primo tempo. Si arrivò ai tempi supplementari e nonostante alcune occasioni capitate a entrambe le squadre, il risultato non mutò. Ai rigori, Kate segnò e Abbey riuscì a parare un rigore difficilissimo, ma due loro compagne sbagliarono e questo sancì la vittoria per le avversarie; perdendo così l’accesso alla finale. Al contrario di quanto si aspettassero, genitori, amici, compagni di scuola lì presenti, si alzarono in piedi per applaudirle comunque.
 
La settimana seguente, toccò alle Eagles che vinsero anche la terza gara della Final Four e la finale, diventando così campionesse regionali per la quarta volta.
Il giorno tanto atteso da Kate e Sarah, avvenne poi, una settimana dopo ancora
.

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


Sul tavolo della cucina di casa Davis, c’erano due grandi buste da lettera che di certo non si sarebbero aperte di colpo grazie allo sguardo fisso di Kate su di esse. Sarah la raggiunse eccitata tenendo tra le mani un’altra identica busta.
<< Cavolo! Così fa tutt’altro effetto.>>
<< Non dirlo a me.>>, Kate respirò a fondo. Teneva entrambe le mani strette sul bordo delle due sedie lì davanti a lei.
Sarah si mise dietro di lei, cingendole la vita con le braccia.
<< Stanford e Università del Nord Carolina. Bel colpo tesoro!>>, le baciò il collo.
<< Sarà un sì e un no, o due no.>>
<< O entrambe un sì?>>
<< Tu sei pronta ad aprirle?>>, chiese Kate.
<< Sì.>>
<< Okay, visto che anche la tua proviene da Stanford… apriamo prima quelle.>>
<< E Stanford sia.>>
Con calma aprirono le rispettive buste e con soddisfazione appresero di aver vinto la borsa di studio.
<< Sìììì!>>, Sarah alzò le braccia in aria, << Andrò a Stanford!>>
<< Andremo a Stanford.>>, ribadì Kate voltando la lettera verso di lei.
<< Oddio!>>, Sarah si portò una mano sulla bocca, << Andremo a Stanford?>>
<< Sì.>>, Kate spalancò un sorriso felice.
<< Proprio come desideravamo?>>
<< Sì.>>, prese Sarah per un braccio e la baciò.
<< Adesso tocca a lei.>>, disse Sarah lanciando un’occhiata all’altra busta sul tavolo.
<< No, che importa. Facciamo finta che non sia arrivata.>>
<< Non essere stupida.>>, Sarah prese la busta e gliela diede, << Aprila.>>
<< E va bene.>>, Kate la aprì e lesse mentalmente il contenuto.
<< Allora? Che dicono?>>
Kate si schiarì la voce.
<< Gentile signorina Davis, la informiamo che in seguito alle frequenti osservazioni e attente valutazioni dei nostri talent scout, siamo lieti di comunicarle che l’Università del Nord Carolina l’ha scelta per far parte della propria squadra di calcio femminile offrendole la relativa borsa di studio….>>, smise di leggere per l’incredulità.
<< E’ fantastico, Kate!>>
<< E’ più di quanto mi sarei immaginata.>>
<< Te lo meriti.>>, Sarah le mise le braccia intorno al collo.
<< Accetterò Stanford.>>, disse decisa Kate.
<< Credo che sia il caso che tu ci rifletta su, prima di prendere una decisione.>>
<< Lo so, è un’occasione che non capita a tutti. Due grandi università che mi offrono due borse di studio… è incredibile, sì. Ma poter realizzare i nostri sogni insieme, era quello che volevamo e adesso ne abbiamo l’occasione. Insomma, Stanford vuole te e vuole me, Sarah. Quindi, come potrei non accettare?>>
<< Ne sei proprio sicura?>>
<< Assolutamente.>>
 
 
Riuscirono a trovare un po’ d’intimità, qualche sera dopo. Gavin e Martin erano andati a Philadelphia per vedere la finale di Major League del campionato di baseball; Isabel era a cena fuori con la signora Reyes, e Gloria, come ogni sera, era a lavoro al Marion’s Restaurant. Così Kate, Sarah, Alexis e Roxanne si ritrovarono a cenare tutte insieme allo stesso tavolo sotto lo stesso tetto. Ordinarono una pizza famiglia che divisero per ognuna. Fu una cena piuttosto tranquilla, escludendo alcuni battibecchi tra Alexis e Roxanne; Kate non spiccicò parola per tutto il tempo. Quando finirono, Roxanne tornò immediatamente a casa: doveva finire di rivedere un articolo per il giornale scolastico. Alexis, invece, dopo aver aiutato a sparecchiare la tavola, si rintanò in camera sua.
<< Allora, che vogliamo fare adesso?>>, Kate prese per mano Sarah conducendola in salotto.
<< Quindi sai ancora parlare! Pensavo ti fosse caduta la lingua.>>
Si sedettero sul divano.
<< No, ce l’ho ancora. Posso provartelo se vuoi.>>
Kate si avvicinò per baciarla ma Sarah serrò la bocca facendo no con la testa.
<< Potevi interagire con me e Rox, non eri obbligata a farlo anche con tua sorella.>>, sottolineò Sarah.
Kate la guardò di traverso.
<< Okay, scusami. Come non detto.>>, alzò le mani in segno di arresa.
<< Credi che a me piaccia questa situazione? Che avercela con lei mi faccia sentire… in pace?>>
<< No, non lo credo.>>
<< E’ che non ci riesco!>>, proseguì Kate scuotendo il capo, << Tutti quanti… tu, i miei genitori, l’avete perdonata con estrema facilità, come se non fosse successo niente.>>, fece una pausa, << E da quando è tornata, ti comporti con lei come… come sempre; continui a vedere in lei soltanto il buono. Ed è una cosa che m’infastidisce e non capisco.>>
<< Kate io non ho dimenticato l’incidente né tanto meno Colin. Gli volevo bene anch’io.>>
<< Lo so. Mi è uscita male… scusami.>>
<< So cosa intendevi dire, e probabilmente hai ragione su Alexis, ma tu quella parte di lei la stai negando.>>, Sarah la guardò mentre lei corrugava la fronte pensierosa, << Ora mi dirai che tutte le volte che si metteva in qualche guaio, tu le hai sempre coperto le spalle; che ti sei presa colpe che non avevi pur di difenderla e che eri sempre pronta ad ascoltarla quando era di pessimo umore. Beh, lei era la prima a proteggerti, a difenderti, a sostenerti. Tu e Colin… venivate al primo posto in qualsiasi momento.>>
Kate chiuse gli occhi per un attimo, sospirò e li riaprì.
<< Potevo perdere anche te quel giorno.>>, confessò con un filo di voce.
Sarah allungò una mano sul suo mento e con un semplice gesto, voltò il suo viso verso di lei.
<< Ma non è stato così. Io sono qui, Kate.>>, la guardò intensamente.
Proprio in quel preciso istante, il cellulare di Kate iniziò a squillare.
<< E’ tua madre.>>, disse sorpresa guardandola, << Salve signora Stewart.>>
<< Ciao, Kate.>>, rispose Gloria dall’altra parte dell’apparecchio, << Non vorrei allarmarti inutilmente, ma… si tratta di tua madre.>>
<< Mia madre?>>, il tono della voce di Kate cambiò subito.
<< E’ qui con la signora Reyes; si è assentata per andare in bagno e da qualche minuto… una decina di minuti, a dire il vero… si è chiusa lì dentro e non vuole uscire. Non so cosa le sia successo, ma credo sia il caso che tu e tua sorella veniate al ristorante.>>
<< Sì, certamente. Arriviamo subito.>>
<< Cos’è successo a tua madre?>>
Kate si alzò nervosamente dirigendosi verso la porta.
<< Non lo so. Dobbiamo andare al ristorante di tuo nonno.>>, era seriamente preoccupata, << Alexis.>>, urlò subito dopo ma non ottenendo risposta si avvicinò alle scale, << Alexis.>>, urlò ancora.
Sarah si avvicinò e le strinse la mano. I loro sguardi s’incontrarono come i loro pensieri.
<< Ho un brutto presentimento, Sarah.>>
<< Vedrai che non è come pensi.>>
Kate chiamò urlando un’altra volta Alexis.
<< Ma perché diavolo stai gridando?>>, disse Alexis scocciata a un passo da uno scalino.
<< Prendi le chiavi della tua macchina. Mamma non sta bene.>>
<< Che significa non sta bene?>>
<< Prendi quelle dannate chiavi, per favore.>>
Alexis si precipitò in camera sua, prese le chiavi, scese di corsa le scale e uscì di fretta insieme alla sorella e Sarah. Salirono in macchina e partì.
 
Quando arrivarono al Marion’s Restaurant, Gloria le accompagnò in bagno.
<< Mamma, cos’è successo?>>, chiese sottovoce Sarah alla madre.
<< Non lo so tesoro.>>, le rispose la donna mentre entravano.
La signora Reyes se ne stava in piedi davanti alla porta in cui vi era Isabel Davis.
<< Si è chiusa dentro. Ci abbiamo provato… ma non è servito a niente.>>, si premurò a informare Kate.
<< Grazie!>>, Kate le sorrise con gentilezza e bussò sulla porta, << Mamma? Sono Kate. Stai bene?>>
Un no biascicato uscì dalla bocca di Isabel dall’altra parte della porta.
<< Vuoi che chiami papà?>>
<< No.>>
<< Okay. Allora perché non mi dici quello che hai.>>
Isabel non rispose.
<< Forse è per quella coppia con il ragazzino seduti a tre tavoli dal nostro.>>, intervenne la signora Reyes.
Kate, Sarah, Alexis e Gloria la guardarono.
<< La donna ha rimproverato il ragazzino perché stava incollato allo schermo del suo Iphone piuttosto che mangiare. E quando l’ha fatto… l’ha chiamato Colin. Vostra madre deve aver sentito perché poco dopo si è alzata.>>
<< Dio ti prego, no.>>, sussurrò Kate ancor più preoccupata, << Mamma, dai apri. C’è Alexis qui con me. Ti portiamo a casa.>>
Alexis era pronta a dirle “ehi, mamma, sono qui.” ma non ci riuscì. O meglio, pronunciò quella frase soltanto nella sua testa.
<< Faccio uscire tutte, okay? Restiamo soltanto noi due.>>
<< Mi dispiace.>>, disse Isabel.
<< Di cosa, mamma? Va tutto bene. Apri la porta e ne parliamo, dai.>>, tentò ancora Kate.
<< Non pensavo fosse così seria.>>, esordì Gloria, << Vado a recuperare la chiave di riserva.>>
Gloria non fece neanche per uscire che la serratura della porta scattò e si aprì lentamente.
Isabel era seduta sul WC con il viso rigato di lacrime nere per via del trucco che le era colato via dagli occhi. Tra le mani aveva una fiaschetta, la sua fiaschetta di riserva.
<< Mi dispiace.>>, biascicò nuovamente non appena vide la figlia.
Kate si avvicinò a lei e si chinò sulle ginocchia.
<< Non fa niente mamma.>>, allungò una mano sul suo viso e le asciugò una guancia con il pollice.
Timorosa di quello che avrebbe visto, Alexis avanzò a piccoli passi e quando vide la madre in quelle condizioni, ebbe la sensazione che il suo stomaco le stesse scivolando fino ai piedi. Deglutì, sconcertata.
Kate prese la fiaschetta dalle mani di Isabel e allungò il braccio verso la sorella senza guardare. Ma Alexis non riusciva a muovere nemmeno un muscolo del suo corpo. A quel punto, vista la situazione delicata, fu Sarah a prendere la fiaschetta.
<< Andiamo.>>, Kate si mise in piedi e afferrando per un braccio la madre, la aiutò ad alzarsi.
Isabel però era talmente ubriaca che barcollò subito.
<< Alexis vuoi darmi una mano, dannazione!>>, tuonò Kate.
Come se fosse stata appena strattonata da due braccia invisibili, Alexis si svegliò da quello stato di trance e aiutò Kate, reggendo la madre per l’altro braccio.

 
Nella vita non esistono tragedie paragonabili alla morte di un bambino.
Le cose non torneranno mai com’erano prima.”
- Presidente Eisenhower

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


Tornate a casa, Kate e Alexis portarono Isabel in camera da letto. Kate le tolse via le scarpe e le sistemò le gambe sotto il lenzuolo e poi Alexis le rimboccò la coperta.
<< Non dovevi vedermi così.>>, sussurrò con occhi chiusi Isabel.
<< Non preoccuparti. Adesso dormi mamma.>>
Quando furono certe che la madre si fosse addormentata, le due sorelle scesero al piano di sotto, dove c’era Sarah ad aspettarle in salotto, preoccupata anche lei.
<< Si è addormentata?>>
Alexis annuì visibilmente provata.
<< Com’è potuto succedere di nuovo?>>, si chiese Kate scuotendo il capo, << Era sobria da mesi. Non aveva toccato più un goccio. Stava bene…>>, lasciò cadere la frase, aveva un nodo in gola.
<< Succede anche a chi non beve più da dieci anni.>>, rispose Alexis sospirando, << Purtroppo capita.>>
<< E tu cosa ne sai di ricadute? Sei l’ultima persona in questa casa che dovrebbe dire qualcosa in merito.>>
<< C’è una legge che mi vieta di parlare, per caso?>>
<< No. Ma tu non sai proprio niente Alexis. Niente.>>
<< Tutto a un tratto hai voglia di parlarmi?>>
<< Sì, è così.>>, Kate era sul punto di esplodere, << Era quello che volevi, no? Beh, ora parliamo.>>, la inchiodò con lo sguardo.
<< Bene!>>, Alexis spalancò le braccia, << Non attendevo altro.>>, poi le lasciò cadere sui fianchi, << Forza sorellina, sputa tutto quello che hai dirmi.>>, sapeva quanto fosse arrabbiata con lei ed era pronta a prendersi tutto il veleno che sarebbe uscito dalla sua bocca. Almeno così credeva.
<< Non dovevi tornare Alexis. Dovevi startene lì in quella fottuta città in cui ti sei rifugiata scappando via da qua. Perché se l’avessi fatto, mamma non avrebbe ripreso a bere. Tu sei tornata e sono tornati anche i ricordi.>>
<< Questa casa è piena di ricordi, Kate.>>
<< Ma di ricordi belli. Mentre tu… dannazione!>>, Kate s’innervosì, << Sai cosa mi viene in mente ogni volta che ti guardo?>>
<< Illuminami.>>
<< Mi viene in mente mamma che si addormenta sul letto di Colin abbracciando una bottiglia di vino; mi viene in mente papà che svuota tutte le bottiglie; mi vengono in mente le mie notti insonni e ancora papà che piange di nascosto.>>, la rabbia cresceva a dismisura, << Sai quante volte ho visto mamma ridotta in quello stato? No, certo che no… perché tu non c’eri. E non hai idea di che cosa voglia dire. Tu te ne sei andata Alexis, e mi hai lasciata in questo fottuto casino.>>, le urlò contro guardandola dritta negli occhi e ciò che disse dopo, fu molto più tagliente di una qualsiasi lama, << Dovevi morire tu quel giorno.>>, scoppiò a piangere, singhiozzando, e si allontanò salendo di corsa le scale.
Tutto quell’odio scagliatosi verso Alexis, la trovò indifesa e la colpì fin dritto al cuore.
 
Il mattino seguente, un amaro silenzio avvolgeva casa Davis. Martin aveva fatto ritorno a casa la notte stessa; non appena fu messo al corrente da Alexis, non se la sentì di rimanere a dormire in albergo a Philadelphia. Sua moglie aveva bisogno di lui e tornare a casa era la cosa più sensata da fare.
Seduto al tavolo in cucina, stava controllando quanto aveva messo da parte con il suo ultimo stipendio da impiegato alle poste, quando le sue figlie entrarono in contemporanea.
<< Papà? Ehi! Quando sei tornato?>>, chiese Kate.
<< Ciao pà!>>
Si sedettero l’una di fronte all’altra senza degnarsi di uno sguardo.
<< Ciao ragazze!>>, Martin abbozzò un sorriso, << Sono tornato intorno all’una… più o meno. Dopo che tua sorella mi ha telefonato… io e Gavin ci siamo messi subito in viaggio.>>
Kate annuì con la testa.
<< Mamma sta ancora dormendo?>>
<< Sì. E’ piuttosto provata. Voi come state?>>
<< E’ stata una serata piuttosto pesante.>>, rispose Alexis chinando il capo.
<< Immagino.>>, Martin allungò una mano verso quella destra della figlia, << Sentite ragazze, quello che sto per dirvi non vi piacerà… non piace neanche a me se è per questo, ma per il bene di vostra madre… è necessario.>>, prese respiro, << Abbiamo avuto modo di parlare un po’ e mi ha confessato di aver ripreso a bere da quasi un mese. Credo abbia bisogno di un aiuto molto più serio, e lei è d’accordo nel ricoverarsi in una clinica specializzata. Ho fatto qualche ricerca e ne ho trovata una a Philadelphia che mi sembra adatta.>>
<< Costerà parecchio.>>, disse Kate corrugando la fronte.
<< Sì. Me ne sto già occupando, non preoccuparti.>>
<< Papà, ti prego non trattarmi come se fossi una bambina. So bene che il tuo stipendio e quello di mamma non basteranno a coprire le spese.>>, lo guardò.
<< Hai ragione. Sei una giovane adulta, ormai.>>, Martin smorzò un sorriso.
<< Usa i soldi per il college. Tanto ho la borsa di studio.>>
<< No, Kate. Quelli sono per il tuo futuro e potrebbero servirti. Scambierò qualche turno extra con i miei colleghi e venderò la mia collezione di figurine dei Red Sox.>>, fece spallucce, << Voi due non dovete preoccuparvi di questo.>>
Rimasta in silenzio, pensierosa ad ascoltare, Alexis si alzò dalla sedia e si allontanò per qualche istante. Quando tornò in cucina, teneva nella mano destra una penna e in quella sinistra un blocchetto degli assegni. Mise la sua firma su uno di essi e staccandolo lo avvicinò al padre.
<< Scrivi la clinica cui intestarlo e quanto versare.>>
<< Alexis… no.. io… non posso…>>
<< Papà?>>, lo ammonì, << Posso permettermelo. Qualcuno mi ha insegnato a risparmiare.>>, gli fece l’occhiolino, << E poi, sono per mamma. Accettali e basta.>>
<< Te li restituirò tesoro.>>
<< Ed io non li prenderò.>>
 
Isabel fu ricoverata in clinica, due giorni dopo. Alexis si recò a Philadelphia insieme ai genitori e fu più dura di quanto si aspettasse. Quella sera, il suo sonno era tormentato dalla sensazione opprimente di non riuscire a reggere la situazione; la stessa sensazione che l’aveva spinta ad andarsene anni prima. Doveva distrarsi, così prese l’iPhone e scrisse a Marika.

Alexis: Sei sveglia?
Marika: Sì. Sono sola in casa…
Alexis: Sto arrivando.
Marika: Ti aspetto (smile malizioso)


Le strade di Roxborough erano deserte ed Alexis arrivò a casa di Marika in un batter d’occhio.
<< Ciao!>>, Marika fece entrare Alexis e la baciò sulle labbra, << Come stai? Ho saputo di tua madre. Mi dispiace.>>
<< Sì. Okay. Senti… noi due non parliamo. Sono venuta qua per fare sesso e se non ti va… posso andarmene.>>
<< Certo che mi va! Possiamo fare sesso tutta la notte…. I miei sono fuori città.>>, rispose Marika facendole l’occhiolino.
Alexis le prese il viso fra le mani e la baciò con eccitazione. Poi, frettolosamente Marika la condusse in camera sua e si gettarono sul letto.
I coniugi Brown, però, fecero ritorno alle prime luci dell’alba. E quando qualche ora dopo, Vanessa Brown andò in camera della figlia, l’imbarazzo la colse di sorpresa.
<< Marika, sei sveglia? Ho preparato…>>, si bloccò sull’uscio della porta.
<< Ma che cavolo! Mamma!>>, tuonò Marika coprendosi con il lenzuolo.
<< Io… scusate…>>, Vanessa iniziò a balbettare, << Volevo solo dirti che ho preparato la colazione.>>, concluse andandosene.
<< Grandioso! Sono tornati prima.>>, sussurrò Marika alzando gli occhi al cielo.
<< I tuoi lo sanno che sei lesbica o dovrò assistere a qualche dramma familiare?>>, esordì Alexis.
<< Lo sanno.>>, rispose bruscamente Marika scendendo dal letto.
Alexis fece altrettanto e prendendo i suoi indumenti, si vestì. Dieci minuti dopo, entrambe si recarono in cucina.
<< La prossima volta avvisate quando state per tornare in anticipo.>>, precisò Marika alla madre.
<< Non credevo di trovarti in compagnia.>>, rispose Vanessa mortificata.
<< Salve.>>, Alexis allungò una mano verso la donna, << Sono Alexis.>>
<< Piacere Alexis. Vanessa Brown.>>, le rispose stringendole la mano, << Spero di non averti messa a disagio, prima.>>
<< Lei di solito è quella docile.>>, intervenne Marika, << Papà invece sarebbe andato in escandescenza. A proposito, dov’è?>>
<< Sotto la doccia.>>
<< Beh.. noi, andiamo.>>
<< Aspetta! Non restate per la colazione?>>, Vanessa guardò prima le due ragazze e poi il tavolo con il piatto pieno di pancakes e la brocca di caffè.
<< Tra un caso in tribunale e l’altro, hai fatto un corso accelerato su come fare la madre?>>
<< Ho pensato che una volta tanto, sarebbe bello fare colazione tutti e tre insieme come fanno le famiglie, solitamente.>>
<< E da quando in quando, noi siamo una famiglia?>>, Marika incrociò le braccia al petto e fissò la madre.
<< Marika! Per favore!>>, Vanessa le lanciò uno sguardo ammonitore.
<< In effetti, io avrei un po’ di fame.>>, intervenne Alexis sedendosi su uno degli sgabelli intorno al tavolo.
<< Serviti pure.>>, Vanessa le sorrise avvicinandole il piatto di pancakes.
<< D’accordo.>>, si sedette anche Marika, << Facciamo colazione. Ma in fretta. Devi accompagnarmi a scuola.>>, disse rivolta ad Alexis.
<< Allora, Alexis. Non credo che tu vada ancora al liceo… quindi, frequenti l’università, lavori?>>
<< La seconda. Lavoro per la H.T. Records, sono una produttrice discografica.>>
<< Ma davvero? Complimenti. Qualche nome famoso con cui hai lavorato?>>
<< Vediamo… Jenkins, Alice Moore le dice niente?>>
<< Alice Moore?>>, Vanessa ripeté il nome pensierosa, << Aspetta! E’ la stessa Alice Moore della tua scuola?>>, guardò la figlia.
<< Wow! Mi stupisci mamma. Ti ricordi qualcuno che frequenta la mia scuola.>>, rispose lei con tono pungente.
Subito dopo, Henry Brown fece il suo ingresso.
<< Ehi! Buongiorno!>>
<< Oh, perfetto!>>, commentò fra sé e sé Marika.
<< E tu saresti?>>, chiese Henry guardando Alexis.
<< Henry, lei è Alexis… un’amica di Marika.>>
<< Un’amica?>>, Marika scoppiò a ridere, << Sì, papà. Alexis è proprio una mia “amica”,>>, mimò le virgolette, << E adesso io e la mia “amica” con la quale faccio sesso, ce ne andiamo.>>, si alzò dallo sgabello e afferrò Alexis per un polso trascinandola via.

<< Mollami!>>, disse Alexis fermandosi, una volte uscite, << E questo non lo chiami “dramma”?>>
Marika la fulminò con lo sguardo, scocciata, si diresse verso l’auto della ragazza e salì richiudendo bruscamente lo sportello.
<< Ehi!>>, tuonò Alexis salendo, << Datti una calmata.>>, mise in moto e iniziò a guidare.
Ci fu qualche secondo di silenzio, prima che lei riprese a parlare.
<< Potevi essere più gentile con tua madre.>>
<< Oh, ma ti prego! Non dirmi che ti sei bevuta la scenetta della madre premurosa.>>
<< A me è parsa sincera.>>
<< Tu non la conosci.>>
<< Sicuramente. Ma è pur sempre tua madre e sei stata una stronza.>>, Alexis s’innervosì; mai come adesso l’argomento mamma o famiglia le stava particolarmente caro.
<< Sai che m’importa.>>, Marika fece spallucce, << Vuoi davvero sapere chi sono i miei genitori? Te li presento: la loro vita gira intorno al lavoro praticamente da sempre. Ho passato più tempo con le varie babysitter che con loro, perché i clienti da difendere hanno la priorità. Mio padre ogni fine settimana mi da la paghetta da quando avevo otto anni, e questo gli basta per sentirsi a posto con il suo dovere di padre. Non c’è stata una sola volta in cui mia madre mi abbia preparato una dannata colazione o rimboccato le coperte. Nessun fine settimana insieme, nessuna gita… per non parlare delle festività. Eppure entrambi hanno sempre preteso che portassi a casa bei voti. L’unico momento in cui ho creduto che gli importasse davvero qualcosa di me e della mia vita, è stato quando ho detto loro di essere lesbica… e sai cosa mi hanno risposto? “è una fase, ti passerà. Però nel frattempo evita di metterci in imbarazzo. La gente poi parla.”. Ecco chi sono i miei cari amorevoli genitori.>>, finì di parlare visibilmente agitata e con gli occhi un po’ lucidi.
<< Oh, povera, piccola, incompresa, Marika.>>, rispose con ironia Alexis, << I tuoi non saranno i genitori migliori del mondo, ma per lo meno non ti hanno cacciato via da casa o messo divieti o non ti hanno rivolto più la parola o portata da qualche decerebrato con l’intento di curarti. Ritieniti fortunata perché non ti è capitato tutto questo e inizia a crescere. Credo che ormai abbiano capito che non è una fase; comportati da figlia e non da ragazzina che critica tutto e tutti per avere attenzioni, così magari loro inizieranno a fare i genitori.>>
<< Ed io dovrei accettare una predica da una che ha due genitori perfetti?>>
<< Era più un consiglio… ma fai come cazzo ti pare, Marika. E’ la tua famiglia.>>
<< Appunto!>>
Alexis frenò di colpo e le gomme sfregarono l’asfalto emettendo rumore.
<< Oh! Ma sei scema?>>, urlò Marika.
<< Scendi.>>
<< Scusami?>>
<< Ho detto scendi.>>, Alexis la guardò in cagnesco, allungò un braccio verso lo sportello e fece scattare la maniglia, << Forza, su, scendi.>>
<< Devo andare a scuola.>>, ribadì Marika sconcertata.
<< Non è un mio problema. Mi sono rotta le palle di te, quindi scendi. Hai due gambe sane per poter camminare e lì c’è la fermata dell’autobus. Prendilo, fai l’autostop, tornate a casa… fai quello che cazzo ti pare. Non m’interessa.>>
Marika continuava a guardarla a bocca aperta e pochi secondi dopo, scese dalla macchina infuriata.
<< Sei una stronza.>>, chiuse lo sportello con rabbia, << Vaffanculo!>>, le urlò subito dopo che Alexis si allontanò.

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


Un venerdì pomeriggio, Kate si recò al cimitero di Roxborough. Erano passati mesi dall’ultima volta in cui era andata, ma tra la scuola e gli allenamenti, il tempo non era certamente dalla sua parte. Camminava verso la tomba del piccolo Colin e quando la raggiunse, si fermò lì davanti.
<< Ciao fratellino!>>, esordì con un sorriso e mise sopra il marmo della lapide, una maglia delle Warriors che riportava il numero 184, << Ogni gol è per te. Ho mantenuto la promessa.>>
Una promessa silenziosa che gli aveva fatto il giorno del funerale.
<< Andrò a Stanford, sai. Giocherò in una squadra universitaria importante.>>, proseguì, inginocchiandosi, << Ne saresti stato entusiasta. Ma penso che tu lo sia stato, perché credo che anche da lassù, tu sia sempre con noi.>>, sorrise di nuovo e smise di parlare per qualche istante.
<< Forse è da ingenui, ma mi sono aggrappata a questa idea per andare avanti. La mia vita continua anche per te, Colin; nonostante mi manchi terribilmente.>>, gli occhi le diventarono lucidi, << Manchi a tutti.>>, li strinse per non piangere.
Andò avanti a parlare per un’ora; ormai era diventata sua abitudine raccontare a Colin come procedevano le cose come se lui potesse davvero ascoltarla, ma non sempre era andata così. I primi mesi dopo la sua morte, Kate non ci riusciva proprio. Pensava che non servisse, che le sue parole si sarebbero disperse nel nulla e il solo immaginarsi a parlare davanti quella lapide, la faceva sentire una stupida. Una stupida pazza che parlava da sola. Ma poi comprese che se Colin potesse “ascoltarla” o no, poco importava, perché parlare a quel pezzo di marmo, le serviva per soffrire di meno.
<< Adesso devo andare.>>, si alzò, << Ma prima che parta, tornerò a trovarti fratellino.>>, si voltò e tornò alla macchina.
Arrivata a casa, si fece una doccia, si cambiò i vestiti e uscì nuovamente per andare a cena con le sue compagne di squadra.
 

Anche Alexis aveva programmi per la serata. Una delle cose che le piaceva tanto fare per trovare nuovi talenti da mettere sotto contratto, era assistere alle esibizioni live nei locali. Dopo un’accurata ricerca, Moira le aveva procurato l’indirizzo di un pub di Philadelphia in cui ci sarebbe stata l’esibizione di un duo.
Mentre stava per aprire lo sportello della Mercury Comet, qualcosa dentro di sé le suggerì di chiedere a Sarah se le andava di farle compagnia. Così, s’incamminò verso casa Stewart e suonò il campanello. La porta si aprì pochi secondi dopo.
<< Ciao sorella di Sarah. Lei è in casa?>>
<< Ah, sei tu!>>, rispose Roxanne chiudendole subito la porta in faccia.
Alexis suonò nuovamente e quando la porta si riaprì, sentì Gavin chiedere alla figlia chi fosse.
<< Nessuno, papà.>>, urlò lei sorridendo sarcastica guardando Alexis.
<< Simpatica.>>, Alexis ricambiò il sorriso, << Adesso chiamami tua sorella, se non ti è difficile.>>
<< Già fatto!>>
<< E non mi fai entrare?>>
<< No. I vampiri non frequentano casa nostra.>>
<< Ci credo. Se succhiassero il tuo sangue acido, morirebbero all’istante.>>
Roxanne le lanciò un’occhiataccia e le richiuse la porta in faccia. Quando, la porta si aprì per la seconda volta, fu Sarah a ritrovarsi di fronte a lei.
<< Non riesci proprio a non far irritare le persone, vero?>>, esordì con sguardo ammonitore.
<< No.>>, Alexis scosse la testa, << Fa parte del mio fascino.>>, ammiccò.
<< Certo!>>, Sarah alzò gli occhi al cielo, << Comunque, perché mi stai cercando?>>
<< Sto andando a Philadelphia. C’è una serata di musica dal vivo in un pub e mi chiedevo se ti va di venire.>>
<< Sì, mi piacerebbe.>>, rispose Sarah entusiasta.
<< Bene!>>, Alexis le sorrise, << Entro mezzanotte saremo di ritorno… puoi rassicurare i tuoi. Sempre se si fidino a lasciarti venire in macchina con me.>>
Sarah non rispose e lasciandola sull’uscio della porta, si allontanò un attimo. Poco dopo, tornò all’ingresso e uscendo da casa chiuse la porta alle sue spalle.
<< Possiamo andare. Si fidano.>>, disse facendole l’occhiolino.
 

Philadelphia

Arrivarono presso il “Perch Pub” e cercarono un tavolo libero, dove occupare posto. A un tratto, Alexis, notò in mezzo alla gente, proprio Moira seduta che sembrava stesse aspettando qualcuno. Anche lei la notò e si scambiarono un saluto con un cenno della mano. Si sedettero a uno dei tavoli che aveva una buona visuale verso il piccolo palco della sala, e qualche istante dopo, una cameriera si avvicinò a loro.
<< Salve ragazze, cosa vi porto?>>
<< Un whiskey per me e un bicchiere di latte per lei.>>, rispose Alexis ridendo sotto i baffi.
<< Una coca-cola, grazie.>>, disse Sarah guardando Alexis in malo modo.
<< Hai iniziato tu.>>, Alexis alzò le braccia e aprì i palmi delle mani.
Sarah stava per controbattere ma lasciò correre.
<< Sai chi si esibisce?>>, chiese invece.
<< Un duo. Se non ricordo male, dovrebbero chiamarsi…>>, Alexis fece un’espressione pensierosa, << Peter e Paul.>>
<< Originali.>>
<< Beh, se sono bravi… sul nome, ci si può lavorare.>>
<< Ah, quindi sei qui per lavoro.>>
La cameriera tornò con le loro ordinazioni e mise i bicchieri sul tavolo.
<< Grazie.>>, rispose Alexis prendendo il suo bicchiere con il whiskey, << Siamo. Prenderò in considerazione anche la tua opinione.>>, le fece l’occhiolino.
Sarah le sorrise e bevve un sorso di coca-cola.
<< Comunque, ci tenevo a dirti una cosa.>>
Alexis attese che continuasse.
<< Quello che ti ha detto Kate… non lo meritavi. Sapevo quanto fosse arrabbiata con te, ma… tutto quell’odio ha sorpreso anche me.>>
<< Invece me lo merito e ha ragione. E’ colpa mia, punto.>>, precisò Alexis, << Se potessi, scambierei la mia vita per quella di Colin, seduta stante.>>, bevve tutto d’un sorso, << Ma purtroppo l’unica cosa che posso fare, è accettare di aver perso anche Kate.>>, ammise con amarezza e alzando il bicchiere vuoto, fece cenno alla cameriera di portagliene un altro.
<< Te l’ho detto. Le serve solo più tempo… poi ti perdonerà.>>
<< Già!>>, Alexis rise, << Continua tu a credere a questa bella favola.>>
Il secondo bicchiere di whiskey, arrivò come richiesto. Nel continuare a chiacchierare con Sarah e a sorseggiare, Alexis notò che chiunque stesse aspettando Moira, alla fine le aveva dato buca.
<< Ti dispiace se ci uniamo a Moira?>>, chiese di punto in bianco, indicandola con la testa.
<< No, figurati.>>, Sarah fece spallucce.
Si alzarono; Alexis portò con sé il suo bicchiere e si avvicinarono al tavolo della ragazza.
<< Ehi, Alexis, ciao!>>, esordì Moira un po’ imbarazzata.
<< Possiamo?>>, disse Alexis gettando uno sguardo sulle due sedie libere.
<< Oh, sì, certo.>>
<< Lei è Sarah.>>
<< Sì, mi ricordo di te. Sei venuta tempo fa in sede con Alice Moore. Sono Moira.>>, le porse la mano.
<< Piacere di conoscerti.>>, Sarah gliela strinse sorridendo.
<< Allora, quest’imbecille ha un nome?>>, chiese Alexis.
<< Come scusa?>>, rispose Moira confusa.
<< Il tizio che ti ha dato buca.>>
<< Oh, no. Non mi ha dato buca. Ha avuto un contrattempo. A quanto pare gli si è allagata casa.>>
Alexis e Sarah si scambiarono un’occhiata d’intesa.
<< Oh, no. Mi ha davvero dato buca?>>
<< Temo di sì.>>, rispose Sarah.
<< Perfetto! La serata non poteva che migliorare: scaricata e presa in giro nello stesso momento.>>, disse Moira scocciata e amareggiata.
<< Per me, ti ha fatto un favore.>>, puntualizzò Alexis.
<< Un favore?>>
<< Cosa ci avresti guadagnato a frequentare un coglione che ti ha sicuramente preferito a una che la da a chiunque?>>
<< Pensavo di piacergli. Insomma, mi ha invitata lui a uscire.>>
<< Beh a quanto pare, no.>>
<< Scusala.>>, intervenne Sarah, << La sensibilità non è il suo forte.>>
<< Tranquilla. Oramai so come interpretare il linguaggio di Alexis.>>, disse sorridendo proprio a lei.
<< Però ha ragione, puoi trovare di meglio.>>, continuò Sarah.
<< Grazie, sei gentile.>>, Moira le sorrise.
Pochi istanti dopo, i due ragazzi salirono sul palco (uno dei due teneva una chitarra tra le mani) e dopo essersi presentati al pubblico, iniziarono a cantare. Alexis li ascoltò con particolare attenzione.
<< Che te ne pare?>>, chiese Alexis a Sarah, dopo l’ultima canzone.
<< Sono bravi e hanno entrambi un bel timbro. Ma ho trovato Peter un po’ troppo eccitato… probabilmente per l’emozione.>>
Alexis annuì due volte.
<< L’emozione non c’entra niente. Crede di essere il fratello più carino e per compensare il fatto di non essere un musicista; il che mi fa pensare che non scriva neanche i testi delle canzoni, sfrutta questa cosa a proprio vantaggio. E va bene se sei un solista, ma se fai parte di un gruppo o di un duo… no.>>
<< In questo caso offusca il fratello?>>
<< Esattamente.>>
<< Hai intenzione di proporgli un contratto?>>, chiese Moira.
<< No, perché per quanto preferisca Paul, non accetterebbe mai di cantare da solo senza il fratello.>>
<< Come fai a saperlo se neanche gliel’hai chiesto?>>
<< Per il semplice fatto che gli sta bene che il fratello si prenda tutte le attenzioni e i complimenti. Non è ancora pronto a staccare il cordone ombelicale. Forse tra due anni lo sarà.>>
<< Non ti starai facendo scappare un’occasione per via della tua presunzione?>>, disse Sarah.
<< Dimmi, Sarah, seduta a questo tavolo, chi è la discografica tra noi tre?>>, Alexis la guardò dritto negli occhi.
<< L’antipatica con cui sto parlando.>>
Alexis sorrise divertita.
<< Vuoi che gli dia un nostro bigliettino da visita? O lasci loro il tuo numero?>>, intervenne Moira.
<< No, niente di tutto ciò. Comunque, noi dobbiamo andare.>>, disse Alexis guardando l’orologio al polso.
<< Grazie per la compagnia.>>
<< Figurati.>>, Alexis le fece l’occhiolino.
<< Buona notte Moira.>>, la salutò Sarah.
<< Ciao, Sarah.>>, Moira agitò la mano destra.
 
Sulla strada di ritorno verso Roxborough, nonostante la musica proveniente dall’autoradio, a un certo punto, Sarah si addormentò. Alexis, abbassò il volume e guardandola si rese conto di quanto fosse diventata molto, ma molto, carina. Scosse la testa per scacciare via tale pensiero, perché anche se solo di un pensiero si trattava, le sembrava inappropriato; forse erano stati i due bicchieri di whiskey a indurla a farlo.
Quando arrivò a destinazione, Alexis parcheggiò lungo il marciapiede di casa sua.
<< Sarah, siamo arrivate.>>, disse voltandosi verso di lei, << Sarah?>>, le scrollò una spalla.
Sarah si mosse continuando a dormire e i capelli le coprirono parte del viso. Allora Alexis allungò un braccio e con la mano glieli scostò via; a quel punto Sarah si svegliò.
<< Ehi!>>, disse strofinandosi gli occhi.
<< Siamo a casa, dormigliona.>>, rispose Alexis sorridendo.
Sarah si liberò dalla cintura di sicurezza e si ricompose.
<< Non ci posso credere: mi sono addormentata!>>
<< Eh, la coca-cola è letale.>>, Alexis ridacchiò.
<< Ah-ah!>>, Sarah fece una smorfia e la colpì al braccio, << Comunque, è stata una bella serata. Grazie per avermi chiesto di accompagnarti.>>
<< Figurati!>>, Alexis fece spallucce e pensò ancora a quanto fosse diventata carina.
Fu colta da un fremito di desiderio e senza capire cosa le stesse succedendo, scattò in avanti e baciò Sarah sulle labbra. Quest’ultima spalancò gli occhi e la allontanò immediatamente.
<< Ma che diavolo fai?>>, disse sconcertata.
<< Io…>>, Alexis si allontanò mortificata.
Sarah fu sopraffatta da una sensazione di turbamento, così scese dalla macchina e corse verso casa.

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


Sarah si svegliò il giorno dopo con la stessa sensazione con la quale era andata a dormire e in più, era confusa. Confusa perché non riusciva a capire cosa avesse spinto Alexis a baciarla e perché non sapeva bene come comportarsi con Kate. Non voleva né mentirle, né tenerle nascosto, quanto era accaduto, né tanto meno far finta di nulla. Anche se adesso il rapporto tra le due sorelle era incrinato, era certa che un giorno Kate avrebbe trovato la volontà di perdonare Alexis, quindi si chiedeva se rivelare una cosa simile, avrebbe ridotto questa possibilità a zero. Questi pensieri non la abbandonarono neanche a scuola, durante le lezioni, e Roxanne fu la prima ad accorgersi che qualcosa non andava.
<< Ehi, sorella?>>, disse sottovoce sporgendosi in avanti dal suo banco.
<< Dimmi.>>, rispose anche Sarah sottovoce mantenendo lo sguardo fisso sul professore di matematica.
<< Oggi sembri assente.>>
<< E’ abbastanza evidente?>>
<< Per me lo è.>>
Sarah voltò la testa per dare uno sguardo verso Kate, seduta al terzultimo banco delle fila centrale, e sospirò.
<< Avete litigato?>>, chiese Roxanne seguendo il suo sguardo.
<< No. Ma potrebbe accadere.>>, Sarah sospirò ancora.
<< Okay. Chiedo al professore il permesso per andare in bagno… tra cinque minuti, fallo anche tu.>>, disse Roxanne e così fece.
Cinque minuti dopo, o forse anche quattro, Sarah raggiunse la sorella nel bagno delle ragazze. Entrando, controllò che non ci fosse nessuno.
<< Siamo sole, ho già controllato.>>, disse Roxanne facendole l’occhiolino.
Sarah poggiò le mani su uno dei lavandini e guardò lo specchio di fronte a sé.
<< Ieri sera, tornate da Philadelphia… Alexis mi ha baciato.>>
<< Cosa?>>, Roxanne spalancò occhi e bocca.
<< Hai la mia stessa espressione di ieri.>>
<< Come… perché, l’ha fatto?>>
Sarah si girò verso di lei, incrociando le braccia al petto.
<< Non ne ho idea.>>, rispose scuotendo il capo, << Sono scesa subito dall’auto perché ero troppo sconvolta per sapere cosa cavolo l’abbia spinta a fare una simile idiozia.>>
<< Kate non sa niente?>>
<< Non ancora.>>
<< Hai intenzione di dirglielo?>>
<< Sì e… no. Non ci sono mai stati segreti tra me e lei, ma se le dico una cosa del genere… beh, il suo rapporto con Alexis potrebbe rimetterci per sempre.>>, fece una pausa, << Dio, Roxanne non so che fare!>>, esclamò snervata.
<< Ti dirò io la prima cosa da fare: impara a non sentirti più responsabile del loro rapporto. Tu sei la ragazza di Kate e per qualche motivo che ancora non mi spiego sei amica di Alexis. Il tuo ruolo finisce lì. Sono sorelle e quello che succede tra loro due, non riguarda te.>>
<< Beh, non è così semplice. Erano così unite… proprio come lo siamo noi due, e vederle adesso…>>
Roxanne allungò le mani sulle sue braccia.
<< Non è un tuo problema.>>, scandì lentamente ogni singola parola, << Sperare che possano far pace, va bene Sarah… ma non tutti i rapporti possono essere aggiustati.>>
Si guardarono negli occhi.
<< E comunque, Kate alla fine capirà.>>, Roxanne le fece l’occhiolino e la abbracciò.
 
Quel pomeriggio, prima di parlare con Kate, Sarah decise di affrontare Alexis per dare un senso alla sua follia.
<< Sarah! Ciao!>>, esordì Alexis aprendo la porta.
Sarah entrò in casa senza salutarla.
<< Se cerchi Kate, è andata a fare la spesa con nostro padre.>>, disse richiudendo la porta.
<< Cercavo prima te, a dire la verità.>>
<< Immaginavo.>>, Alexis infilò le mani nella tasca del jeans e s’incamminò verso il salotto.
<< Mi hai messo in una brutta situazione.>>, disse Sarah seguendola, << Cosa cavolo ti ha detto la testa in quel momento?>>, la guardò perplessa.
<< Niente.>>, rispose Alexis con tono asciutto.
<< Niente?>>, Sarah sbottò all’istante, << Che cosa vuol dire “niente”?>>
<< Che non so cosa mi sia preso, okay?>>
<< Ti prego dimmi che non provi qualcosa per…>>
<< Oddio Sarah, no!>>, puntualizzò subito Alexis.
<< Allora perché mi hai baciato?>>
<< Non lo so!>>, scosse il capo ripetutamente, << Non so cosa mi sia preso. L’ho fatto e… basta.>>
<< No, Alexis.>>, Sarah iniziò ad agitarsi, << Non puoi dirmi semplicemente che “l’hai fatto e basta”, perché non sono una delle tante cui non devi dare spiegazioni… sono la ragazza di tua sorella e quello che è successo ha delle conseguenze.>>
<< Lo so. Purtroppo, lo so.>>, ammise pentita, << Sono tremendamente mortificata Sarah, okay? Mi dispiace.>>, la guardò negli occhi, << Cavolo, ho detto più “mi dispiace” in questi mesi che in ventiquattro anni della mia vita.>>, costatò con ironia.
<< Non sei senza speranza come molti pensano.>>
<< Io credo che abbiano ragione, invece.>>, fece una pausa, << Suppongo che lo dirai a mia sorella e non ti fermerò né ti dirò di mantenere la cosa segreta. Quindi, fallo… non ti porterò rancore.>>
<< Sai, è buffo. La sincerità tra me e Kate non è mai mancata e non le ho mai nascosto niente… ma per una volta, sto prendendo in considerazione l’idea di tacere, perché non porterebbe nulla di buono… soprattutto a voi due.>>
<< Non smettere di essere sincera con mia sorella per colpa mia. Te lo ripeto, puoi dirglielo. Puoi dirle che è stata completamente colpa mia e che non hai risposto al bacio, perché è così che è andata. E mi va bene Sarah… sul serio. Tanto, Kate già mi odia.>>
<< Smettila di fare quella che se ne frega quando invece è il contrario.>>
<< E tu smettila di difendermi sempre.>>, replicò Alexis bruscamente, << Non ne ho bisogno e non te l’ho chiesto.>>
Sarah si stupì del cambiamento repentino di Alexis: non fu tanto il tono duro con cui pronunciò quell’accusa a ferirla, ma lo sguardo severo che le stava rivolgendo.
<< Già!>>, disse Sarah sulla difensiva, << Forse hai ragione. Perché prendermi tanto disturbo?>>
Pochi minuti dopo, sentirono la porta di casa aprirsi: Martin e Kate erano tornati. Quest’ultima dopo aver aiutato il padre a sistemare le buste con la spesa sul tavolo della cucina, si apprestò a salire in camera sua e rimase sorpresa nel vedere Sarah camminare all’ingresso del corridoio.
<< Ehi!>>
<< Ciao, tesoro.>>, Sarah smorzò un sorriso, << Ho bisogno di parlarti.>>
<< Va bene.>>, rispose Kate confusa.
Salirono le scale e raggiunsero la stanza.
<< Dalla tua espressione si direbbe qualcosa di serio.>>, disse Kate.
<< Sarei stata sicuramente un fallimento come attrice, visto che non so nascondere le mie emozioni.>>, disse sorridendo per smorzare l’ansia che aveva addosso, << E’ successa una cosa ieri sera.>>, disse poi di colpo.
<< Okay, sono tutta orecchie.>>, Kate si sedette sul letto incrociando il piede destro sotto la gamba sinistra.
Sarah si avvicinò e si chinò sulle ginocchia.
<< Prima di tutto, devi sapere che non è stata una cosa voluta o cercata.>>, prese un respiro profondo perché in quel momento non sapeva quale frase tra “tua sorella, mi ha baciato” o “ci siamo baciate” – le loro labbra si erano pur sempre toccate – avrebbe fatto meno male, << Alexis mi ha baciato. Ma è stato solo un attimo perché l’ho respinta subito.>>, confessò.
Kate la guardò negli occhi e man mano che realizzava l’idea, il suo sconcerto poteva ben vedersi sul suo viso. Si alzò prontamente e si allontanò da lei.
<< Kate, non ha significato nulla, devi credermi.>>, Sarah si rimise in piedi.
<< Non ha significato nulla?>>, urlò Kate, inchiodandola con lo sguardo, << Vi siete baciate e hai il coraggio di dirmi che non è stato niente?>>
<< Non ci siamo baciate. Lei ha baciato me. Mi ha colto di sorpresa, non me la aspettavo.>>
<< Che peccato! Volevi essere preparata in modo da contraccambiare?>>
<< No! Cavolo, no!>>, protestò Sarah, << Come puoi pensare una cosa simile? E’ tua sorella. E’ una mia amica.>>
<< Ne sei proprio sicura? Perché sai, di solito non si bacia qualcuno senza un motivo.>>
<< Beh, in questo caso sì. Kate, è stata una cosa ingenua. Non c’è niente tra me e Alexis.>>
<< E’ pazzesco! Da Alexis me lo avrei anche potuto aspettare… ma da te, Sarah. La mia ragazza…>>, le parole si fermarono in gola.
<< Kate, ti prego. Sei arrabbiata, ma non dire così>>, Sarah cercò di prenderle il viso tra le mani ma Kate indietreggiò.
<< Non farla più grande di quanto sembri.>>, intervenne Alexis improvvisamente, << E’ colpa mia. Avevo bevuto e non so cosa mi sia passato per la testa. Sarah non c’entra niente. Mi ha respinto. Quindi, prenditela con me.>>
<< Brava, Alexis. Sei davvero la miglior sorella che potessi desiderare.>>, disse Kate con sarcasmo, << Sei riuscita a trovare un altro modo per farti odiare ancora di più. Pensavo fosse impossibile.>>
<< Alexis, per favore lasciaci da sole.>>, chiese Sarah.
<< No. Lasciatemi da sola tutte e due. Non voglio ascoltarvi, non voglio vedervi. Andatevene.>>, disse Kate con disprezzo.
<< Non me ne vado finché non chiariamo.>>, precisò Sarah.
<< Vattene, Sarah.>>, rispose Kate a denti stretti.
Sarah la guardò con gli occhi lucidi, poi Alexis la afferrò per un braccio e uscirono dalla stanza.

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


Ormai, erano poche le settimane che separavano gli studenti dell’ultimo anno dal diploma. E con la conclusione dei campionati, l’unica cosa che restava a Kate, era studiare per gli esami finali e farlo dopo quanto era successo tra Sarah e Alexis, non era facile. Era arrabbiata e triste e non riusciva nemmeno a incrociare lo sguardo della sua ragazza senza immaginarsi il bacio con la sorella. Pur non avendo assistito alla scena, era un’immagine che non riusciva a togliere dalla mente e la tormentava completamente. Così evitò Sarah per alcuni giorni, rifiutando anche le sue chiamate al cellulare.
Neanche per Sarah era una situazione facile: Kate si stava allontanando da lei ancora una volta e sopportare il suo silenzio, iniziava a diventare pesante. Si concentrò sullo studio e sull’organizzazione del ballo di fine anno, che si rivelò, essere la sola cosa che riusciva a tenerle la mente occupata. Il tema sarebbe stato un inno alla musica e alla sua magia di unire le persone, anche quelle più disparate. L’idea l’era venuta ripensando alla serata trascorsa a Philadelphia, alla parte bella in cui aveva ascoltato i due fratelli esibirsi; per questo aveva chiesto ad Alice il piacere di cantare dal vivo la sera in cui si sarebbe tenuto il ballo e per sua fortuna lei accettò.
Passò una settimana, Sarah camminava per i corridoi della scuola intenta a raggiungere l’aula di letteratura inglese, quando intravide Kate tra gli studenti davanti a lei. La sensazione che la loro relazione fosse in bilico non le andava giù, così accelerò il passo e raggiunta Kate la afferrò per un braccio trascinandola nella prima aula libera che trovò.
<< Adesso noi due staremo qui, finché tu non mi parlerai.>>, esordì decisa guardandola dritto negli occhi.
Kate sospirò a lungo.
<< Ci perderemo la lezione.>>
<< Non m’interessa della lezione.>>, tuonò Sarah.
<< Beh, ti ho parlato, quindi…>>, Kate fece per uscire ma Sarah le afferrò una mano.
<< No! Dico sul serio Kate. Non ce la faccio ad andare avanti così. Ci eravamo ritrovate, avevamo fatto passi in avanti e adesso… mi sembra di essere tornata indietro.>>
<< Non sono io quella da biasimare.>>, precisò Kate indietreggiando incrociando le braccia al petto.
<< Perché devi sempre trovare qualcuno da incolpare?>>, sbottò Sarah snervata.
<< Perché io sono responsabile delle mie azioni, Sarah. Non bacio una ragazza e poi dico “ma come cavolo è successo?”>>
<< Te lo ripeto ancora: è stata lei a baciare me.>>
<< Già, vero! Allora, è giusto dire che non sono stata io quella che si è lasciata baciare da Alexis.>>, replicò Kate con sarcasmo.
<< E’ perché è successo proprio con lei che ti fa così tanto arrabbiare?>>
<< Dio non ci posso credere che tu l’abbia detto.>>, Kate rise incredula, << Ma ehi… hai ragione! Quando ci siamo messe insieme, dovevo dirti “puoi baciare tutte tranne mia sorella”.>>
<< Questa potevi risparmiartela.>>, Sarah accusò il colpo, << La mia è una domanda legittima perché credo che tu stia esagerando. Sei ferita e lo capisco perfettamente, ma non usarmi per sfogare il tuo odio verso di lei.>>
<< Non è così!>>, precisò Kate, << Dimmi allora come avresti reagito tu, al mio posto.>>
<< Mi sarei incavolata anch’io, non lo nego. Ma avrei cercato di risolvere la situazione piuttosto che allontanarmi da te, evitandoti per giorni interi.>>, Sarah fece una pausa e prese respiro, << Posso continuare a dirti che mi dispiace, a cercare di convincerti che tra me e tua sorella non c’è niente e non c’è mai stato niente, che quello stupido bacio non ha significato nulla per entrambe, però se questa piccola cosa ti è bastata per farti ricredere sulla nostra storia… allora noi due abbiamo un problema e Alexis è solo un pretesto.>>, concluse e attese che Kate dicesse qualcosa, ma così non fu. Allora girò i tacchi e uscì dall’aula.
 
Nel pomeriggio, dopo essere uscita da scuola, Sarah guidò fino al Marion’s Restaurant. Vedere il nonno adoperarsi tra i fornelli, l’avrebbe sicuramente distratta almeno per qualche ora.
<< Ehilà, c’è nessuno?>>, disse a voce alta, entrando.
La sala principale era vuota, così si diresse verso la cucina. Con una mano spinse in avanti un’anta della porta.
<< Nonno, sei qui?>>
Jim spuntò tenendo tra le mani una teglia d’acciaio con un lungo salmone sopra.
<< Ciao, tesoro.>>, poggiò la teglia sul piano da cucina, << Scusami, ero nella cella frigorifera e non ti ho sentito entrare.>>, si avvicinò alla nipote e la abbracciò.
<< Tranquillo.>>, rispose Sarah strizzando l’occhio, << Posso farti un po’ di compagnia mentre prepari i tuoi piatti succulenti?>>
<< Non devi neanche chiederlo.>>, Jim le sorrise e impugnando un coltello affilato iniziò a tagliare in due il salmone.
<< Mamma mi ha detto di Stanford. Sono fiero di te.>>
<< Grazie! Ancora stento a crederci.>>, Sarah fece un ampio sorriso.
<< Sarà una bella esperienza e potrebbe cambiarti la vita, tesoro.>>, disse Jim mentre stendeva i filetti di salmone su di un piatto ovale.
<< Già! Anche se un po’ mi fa paura.>>
<< E’ comprensibile. Anch’io mi sono sentito un pesce fuor d’acqua i primi mesi, ma poi ti ambienti, inizi a fare nuove amicizie, prendi il ritmo e tutto diventa normale. Poi se non sbaglio, anche Kate è stata presa... probabilmente condividere tutto questo con la persona che ami, sarà ancora più piacevole.>>
<< Già!>>, rispose Sarah cercando di mantenere l’entusiasmo, pur chinando il capo.
Jim la guardò di sottecchi.
<< Ho detto qualcosa di sbagliato?>>
<< Cosa?>>, Sarah rialzò il capo e lo guardò, << No, no.>>
<< Tua nonna lo faceva sempre: quando non voleva che mi preoccupassi, usava un di tono di voce allegro ma allo stesso tempo chinava il capo. Ed io me ne accorgevo tutte le volte e sapevo che era successo qualcosa.>>
<< Abbiamo litigato e adesso non mi parla.>>, disse in sintesi.
<< Allora è qualcosa di serio.>>, Jim lanciò un’occhiata verso la nipote.
<< Diciamo di sì. E’ un po’ complicato, sai nonno.>>
<< Complicato del tipo “riusciremo a risolvere” o “meglio lasciar stare”?>>
<< Spero la prima.>>
<< Capisco.>>, Jim annuì, << E nel frattempo cosa può fare un vecchio come me per vedere quelle graziose fossette sul tuo viso?>>
Sarah sorrise e le indicò con entrambi gli indici.
<< Ti è bastato poco.>>, si avvicinò e gli diede un grosso bacio sulla guancia, << Vado in sala a studiare un po’, ti spiace?>>
<< No, fa pure.>>, rispose Jim sorridendole.
Un’ora dopo aver letto la stessa pagina di storia senza averci capito molto, Sarah prese il cellulare e compose un SMS:

S.O.S. Sorella. Sono al ristorante.
Pronto Soccorso Sorella in arrivo.

Fu la risposta immediata di Roxanne che, venti minuti dopo, arrivò al Marion’s Restaurant.
<< Allora?>>, esordì incamminandosi verso il tavolo in cui era seduta Sarah.
<< Non ti sarai mica messa a correre con la macchina di papà?>>
<< Macché! Ero già nei paraggi per una commissione.>>, disse sedendosi di fronte, poggiando la borsa sul tavolo, << Novità dopo stamattina?>>
Sarah avvicinò il cellulare verso di lei per farle notare di non aver ricevuto chiamate o SMS da parte di Kate.
<< Non immagini neanche quanto vorrei strangolare Alexis in questo momento. Giuro che se la vedo, lo faccio.>>, proseguì Roxanne, << Quella lì è portatrice sana di guai.>>
Con quest’ultima frase, Sarah scoppiò a ridere.
<< E’ vero! Non puoi negarlo. Una persona sana di mente e soprattutto non egoista, non si sarebbe comportata così. Dio, quanto mi fa incavolare!>>, imprecò Roxanne, << Certo, però che se devo dirla tutta… Kate è testarda come un mulo quando ci si mette.>>
<< Già!>>, rispose Sarah sospirando, << Ho la sensazione che lei non creda a ciò che le ho detto… ed è questo che mi fa più male.>>, confessò.
<< Okay, cambio di programma: strangolo anche Kate.>>
Sarah scoppiò a ridere di nuovo.
<< Grazie!>>, le disse poi guardandola.
<< E’ compito mio tirarti su di morale.>>, Roxanne le fece l’occhiolino.


 
Accesa l’ultima sigaretta rimasta nel pacchetto, Alexis si avvicinò alla finestra della sua camera e la aprì per far uscire il fumo. Teneva l’iPhone nella mano sinistra e scorrendo la rubrica chiamò Alice in vivavoce. Dopo una serie di lunghi squilli, scattò la segreteria telefonica, così le lasciò un messaggio in cui la avvisò che tra due giorni avrebbe fatto ritorno a San Francisco e le augurò un in bocca al lupo per il diploma. La decisione di partire prima del previsto, maturò con gli ultimi avvenimenti. Stava scappando dalle sue responsabilità per la seconda volta. Ma poco importava. Doveva farlo. Doveva andarsene da lì.
<< Ti disturbo?>>, chiese Martin entrando in camera reggendo due calici di vino rosso tra le mani.
<< Ehi papà!>>, Alexis si voltò verso di lui, << Niente affatto.>>
<< Mi fai compagnia?>>, Martin le offrì un bicchiere.
<< Certo!>>, Alexis lo prese sorridendogli.
<< E’ stata la prima bottiglia di vino che ho stappato dopo, non so quanto.>>, ammise guardando assorto il proprio calice.
Bevvero contemporaneamente un primo sorso, poi Alexis aspirò dalla sigaretta.
<< Ti sei presa un brutto vizio, Alexis.>>, disse Martin con tono ammonitore.
Alexis gettò uno sguardo verso la sigaretta.
<< Lo so!>>
<< Sei adulta ormai e non posso di certo dirti cosa devi o non devi fare, ma…>>
<< A nessun padre piacere vedere la propria figlia fumare.>>, continuò Alexis.
<< Esattamente!>>
<< Senti papà… tra due giorni parto. Devo rientrare a San Francisco.>>
<< Oh!>>, Martin fu visibilmente sorpreso.
<< Non era nei miei piani, ma gli Jenkins sono pronti per registrare il nuovo album, quindi…>>, mentì.
<< Non devi darmi spiegazioni, tesoro. E’ il tuo lavoro. Solo che, mi ero abituato di nuovo ad averti qui in casa.>>, replicò Martin sorridendole.
<< Tornerò appena potrò.>>, lo rassicurò lei, << Quando pensi che si riprenderà mamma?>>, tirò una boccata dalla sigaretta.
<< Spero presto. Oggi ho parlato con il medico che segue il suo percorso di riabilitazione e mi è parso fiducioso. Ha detto che tua madre è motivata a guarire completamente.>>
<< E’ una buona notizia, no?>>
<< Sì, lo è.>>, Martin smorzò un sorriso e bevve un altro goccio di vino.
<< Cercherò di ottenere un permesso per vederla, prima di partire.>>
<< Sarà difficile. Sai, hanno delle regole lì. Gli incontri con i familiari li fissano loro in base alla fase in cui si trova il paziente.>>
<< Capisco.>>, Alexis annuì un po’ delusa e tirò ancora dalla sigaretta.
<< Posso sapere cosa succede tra te e tua sorella?>>, chiese di punto in bianco Martin.
<< Mi odia. Ecco cosa succede.>>
<< Dovrò farmi una bella chiacchierata anche con lei.>>
<< Non servirà a molto perché non riguarda soltanto la storia dell’incidente.>>
<< E cos’altro, allora?>>
<< Ho… ho fatto una cosa che non avrei dovuto fare e l’ho ferita parecchio.>>
<< Beh, rimedia al tuo sbaglio finché sei ancora qui. Siete sorelle.>>, Martin la guardò dritto negli occhi. Dopodiché prese il calice della figlia e se ne andò.
Alexis sospirò e spense la sigaretta nel posacenere. Poi andò in bagno a spogliarsi e mettersi una canotta. Si lavò i denti e tornando in camera chiuse la finestra e si mise a letto.

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


La sera prima della sua partenza, Alexis preparò la valigia con il rammarico di non poter far visita alla madre che avrebbe rivisto chissà quando. Se a questo non poteva porvi rimedio, si disse che un ultimo tentativo per far ragionare Kate, andava fatto. La sua impulsività l’aveva messa in un sacco di guai un casino di volte e non aveva mai dato peso a questo. Ma aver ferito una delle poche persone alla quale voleva più bene, l’aveva portata a farsi un esame di coscienza.
Entrò senza bussare in camera di Kate che, sdraiata sul letto, stava guardando la televisione.
<< Domani me ne vado. Mi levo dalle scatole così la mia presenza non sarà più un peso per te.>>
Kate non la guardò nemmeno e alzò il volume della TV. Alexis si avvicinò e le strappò il telecomando dalla mano in cui lo teneva.
<< Ridammelo!>>, tuonò Kate.
Alexis spense la TV e poi infilò il telecomando nella tasca destra posteriore del jeans.
<< Che atteggiamento maturo! Brava!>>, continuò Kate con sarcasmo, applaudendola.
<< Ascoltami e la faccio breve.>>, disse Alexis come se le stesse proponendo un accordo.
<< Tanto non ho altra scelta.>>, rispose Kate incrociando le braccia al petto.
<< Mi dispiace per quello che ho fatto. Potrà anche non importartene, però a me sì. Mi odi e non posso biasimarti, perché a dirla tutta… continuo a odiarmi anch’io. Ma Sarah in tutto questo non c’entra. Non ha colpa. Una cosa ho imparato finora, cioè che la vita tira brutti colpi… come quando ti porta via le persone che ami, ma comportandoti così… stai scegliendo di perdere Sarah per un piccolo e insignificante sbaglio. Un mio sbaglio Kate. Mio. Non suo.>>, fece una pausa, << Lei è fantastica e ti ama.>>, concluse guardandola. Poi, prese il telecomando dalla tasca e lo mise sopra il letto della sorella. Uscì dalla stanza subito dopo.
Quello fu il primo discorso serio e a cuore aperto che Alexis fece verso qualcuno.
Il mattino seguente, salutato il padre con un forte abbraccio, prese la valigia, salì in macchina e guidò verso Philadelphia, dove un volo diretto la attendeva per far ritorno a San Francisco.
 
Nel frattempo, a scuola, Kate era appena uscita dall’ufficio del Coach Anderson dopo aver riconsegnato il borsone con tutta la tenuta sportiva delle Warriors. Mentre camminava, ripensò a ciò che le aveva detto la sorella e si rese conto che, se non avesse deciso già da prima di chiarire con Sarah e metterci una pietra sopra, quelle parole così sincere l’avrebbero sicuramente spinta a rifletterci. Nonostante tutto, Alexis, nel tempo in cui era stata lì, aveva cercato di ricucire i rapporti non mollando mai la presa con lei e questo non poteva non riconoscerlo.
Si distolse dai suoi pensieri quando vide Sarah ferma al proprio armadietto e la raggiunse con una certa premura.
<< Ehi!>>, le toccò un braccio con una mano.
Sarah si voltò verso di lei.
<< Ciao!>>
<< Possiamo parlare un attimo?>>
<< Certo!>>
<< Avevi ragione! Ho esagerato. E’ che, quando si tratta di Alexis io, perdo la ragione e vedo tutto nero. Questa volta ci sei andata di mezzo tu e non sai quanto mi dispiace per aver lasciato che accadesse. Non ho mai dubitato di te, né della tua parola. Devi credermi Sarah.>>
<< Ti credo.>>
Kate, con cautela, allungò una mano per accarezzarle il viso. Si sorrisero a vicenda e si abbracciarono. Lei però non era del tutto serena. C’era un’altra questione che andava affrontata... solo che non era il momento adatto per farlo, specialmente dopo l’arrivo improvviso di Marika.
<< Prendetevi una stanza, per favore.>>, esordì con ironia.
Kate rise sotto i baffi.
<< Ciao Marika.>>
Sarah, colta da un pizzico di gelosia, mise un braccio intorno al collo di Kate.
<< Per caso tua sorella ha cambiato numero?>>, chiese senza giri di parole.
<< No. Perché?>>, rispose Kate incuriosita.
<< Niente. E’ solo che provo a chiamarla da ore, ma trovo il cellulare spento.>>, disse Marika come se stesse parlando tra sé e sé.
<< Alexis è partita questa mattina.>>
<< E’ partita?>>, dissero Marika e Sarah contemporaneamente.
Kate annuì con la testa.
<< Ma tu perché hai il suo numero?>>, chiese Kate sospettosa.
<< Non ha importanza.>>, disse Marika andandosene.
<< Marika? Aspetta!>>, la chiamò Kate.
<< Da quando ti preoccupi per lei?>>, chiese prontamente Sarah.
Kate si girò verso di lei e la guardò con sguardo ammonitore.
<< E’ mia amica.>>
<< Oddio! Non dirlo! Mi è appena venuta l’orticaria.>>, disse Sarah facendo una smorfia di fastidio.
<< Ehi! Tu sei l’ultima persona che può criticare le mie amicizie.>>
Sarah strinse gli occhi in una fessura.
<< Questa te la concedo.>>
<< Comunque, ho come avuto l’impressione che stessi marcando il tuo territorio.>>, disse Kate sorridendo.
<< E’ bene ricordare chi sta con chi.>>
Kate avvicinò le sue labbra a quelle di Sarah.
<< Mi sembra giusto.>>, sussurrò e la baciò, << Ti dispiace, vero?>>
<< Cosa? Che tua sorella sia partita senza dirmi niente ancora una volta?>>, disse con ovvietà, << Ma infondo, cosa potevo aspettarmi?>>, fece spallucce.
 
Durante la pausa pranzo, Kate vide Marika a mensa, seduta da sola a uno dei tavolini e la raggiunse.
<< Tutto bene?>>, le chiese mentre si sedeva di fianco.
Marika si voltò verso di lei.
<< Quale onore!>>
<< Fa strano vederti qui da sola, sai.>>
<< Oggi mi va di pranzare da sola.>>
<< Quindi, ti dispiace se ti faccio compagnia?>>
<< No! Con te faccio un’eccezione.>>, rispose Marika sorridendole, << Ma piuttosto, Sarah ti ha dato il permesso? Oppure, aspetta! Ci sta ascoltando tramite cellulare o ti ha messo qualche cimice addosso.>>
<< Non è quel tipo di ragazza.>>
<< Ah già! La sopravvalutata fiducia.>>
<< Tu non hai mai avuto una relazione, vero?>>
<< No! Penso che mi annoierei.>>, rispose Marika con un sorriso malizioso.
<< Ora capisco!>>, disse Kate annuendo.
<< Cosa?>>
<< Perché frequentavi Alexis.>>
<< Come hai fatto a… >>, chiese Marika stupita.
<< Dalla tua reazione di oggi. Subito dopo averti detto che era partita, ti sei volatilizzata.>>
<< Beh, hai fatto centro, Sherlock.>>, Marika distolse lo sguardo e fissò il vassoio.
<< Ne vuoi parlare?>>
<< Non c’è molto da dire.>>, rispose Marika tirando su le spalle tornando a guardarla.
<< Fa lo stesso. Le amiche fanno questo. Ascoltano e consolano.>>, le fece l’occhiolino.
Marika temporeggiò. Poi si lasciò andare anche se con imbarazzo.
<< All’inizio è stato un capriccio. Ci vedevamo soltanto per fare sesso, perché era così che volevamo entrambe. Poi, mi sono resa conto che Alexis mi piaceva sul serio.>>
<< E gliel’hai detto?>>
<< Neanche morta!>>, precisò con decisione Marika, << Presto sarebbe ripartita e restavo comunque un passatempo. E poi, dopo che mi ha lasciata nel bel mezzo della strada, dirglielo sarebbe stata una vera e propria umiliazione.>>
<< Ti ha lasciata in mezzo alla strada?>>, chiese Kate sconcertata.
<< E’ stato il suo modo per dirmi che non voleva più vedermi.>>
<< Mi dispiace che l’abbia fatto!>>
<< Sicura di essere uscite dallo stesso utero?>>
<< Sì.>>, Kate rise.
<< Grazie, comunque.>>, disse Marika tornando seria.
<< Figurati!>>, Kate fece spallucce.
<< Intendo, grazie per avermi dato una seconda occasione. Sei la prima persona che posso considerare amica. La maggior parte delle ragazze qui, mi detesta e quelle che mi parlano, lo fanno soltanto perché sono intimorite.>>
<< Beh, grazie a te per avermi fatto ricredere. Ho scoperto che infondo non sei così male.>>, le sorrise e le fece l’occhiolino.

 
Alcuni giorni più tardi, Kate si trovò a faccia a faccia con il risultato di una scelta compiuta in un momento di profonda amarezza. E non era per niente entusiasta di affrontare una realtà che avrebbe colpito forte come uno schiaffo, la sua storia con Sarah. Ormai il suo destino era segnato e con molta probabilità anche quello con la ragazza che amava follemente.
Dopo un’ennesima giornata a scuola fatta di esami, si ritrovò seduta sulla gradinata dello stadio, a tirare le somme. Giocare nelle Warriors le aveva permesso di rendere concreta la sua passione e anche l’occasione di poter realizzare il suo sogno. E il pensiero che questo capitolo della sua vita fosse finito, le metteva un po’ di tristezza addosso. Di lì a poco, la raggiunse Sarah.
<< Ehi!>>, si sedette accanto, << Sei già preda della nostalgia?>>, strinse la sua mano in quella di Kate.
<< Un po’!>>, rispose Kate quasi con un filo di voce.
<< Beh, ti capisco. Mentre venivo, mi sono fermata un attimo in palestra ed è stato strano.>>
Kate la guardò dritta negli occhi con l’espressione più seria che avesse mai avuto finora.
<< Kate?>>, Sarah raddrizzò le spalle all’istante.
<< Sì.>>, rispose lei deglutendo.
<< Perché mi stai fissando così?>>
Kate esitò un istante, serrò le labbra, chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì, erano lucidi.
<< Ho fatto una grandissima stronzata, Sarah. E mi sento uno schifo.>>
<< Ehi!>>, Sarah, preoccupata, le accarezzò il viso con la mano libera.
<< Lo sai, no? Il tempo massimo per inviare la risposta alla borsa di studio non era ancora scaduto.>>, deglutì, << E dopo aver saputo di quel fottutissimo bacio… beh, come ti ho già detto, non ci ho visto più e il giorno dopo ho detto di sì all’Università del North Caroline.>>, confessò a fatica.
Sarah si sentì impallidire.
<< Mi dispiace un casino.>>, continuò Kate con voce strozzata.
Presa da una sensazione di panico che le attanagliava lo stomaco, Sarah disse l’unica cosa che in quel momento aveva maggiore importanza.
<< Non voglio che finisca di nuovo.>>, due lacrime le scesero sul viso.
Kate istintivamente la tirò verso di sé e la tenne stretta in un abbraccio.
<< Neanche io. Troveremo una soluzione.>>, le lacrime bagnarono anche il suo viso.
 
La sera successiva si ritrovarono sedute penzoloni sul tetto di casa Davis. Le loro braccia cingevano l’una la vita dell’altra e Sarah teneva la testa poggiata sulla spalla destra di Kate. Per una buona mezz’ora, non parlarono di niente. Era come se volessero sfuggire a una verità scomoda da accettare con riluttanza.
<< Grazie per averlo detto.>>, esordì Sarah
<< Cosa?>>
<< Che troveremo una soluzione. Avevo bisogno di sentirmelo dire e tu l’hai fatto pur sapendo che non sarà così.>>
<< Li chiamerò: m’inventerò qualcosa e dirò loro che ho cambiato idea.>>
<< Non lo farai. Passeresti per una ragazzina immatura e non lo sei. E poi saresti davvero una stupida se ti perdessi un’occasione simile.>>, proseguì Sarah con un nodo alla gola, << Ho controllato il sito internet dell’università e oltre ad essere ottima, ho letto anche che ogni anno da lì escono i migliori atleti del paese. E la squadra di calcio femminile raggiunge grandi traguardi. Quindi, ti proibisco di farlo.>>, deglutì.
<< Io ti amo Sarah.>>, disse Kate guardandola negli occhi.
<< Anch’io. Per questo andrai lì.>>, Sarah fece un mesto sorriso, << Ho sempre ammirato in te due cose: la sincerità e l’onestà. E sai bene quanto me, che…>>
<< Non c’è un rimedio.>>
<< No.>>, Sarah scosse la testa.
<< Saremo ai lati opposti della costa e non potremo far funzionare le cose.>>, disse Kate.
<< Già. Forse all’inizio potrebbe anche andare: ci sentiremmo tramite Skype e ci vedremo durante le vacanze… ma quanto potrebbe durare? Poco. Perché le lezioni, gli esami…>>
<< Gli allenamenti e le partite ci assorbiranno totalmente. Più di quanto l’hanno fatto questi anni di liceo. E poi, faremo nuove amicizie e tu incontrerai sicuramente qualcun’altra che andrà pazza per quelle fossette e…>>, proseguì Kate.
<< Tu incontrerai qualcuna che s’innamorerà di te, perché accadrà… ed io la odierò pur non conoscendola.>>, ammise Sarah ridendo nervosa tra le lacrime.
A fatica, entrambe, presero coscienza della realtà che le attendeva.
<< Ti prometto che vivremo a pieno ogni momento fino al giorno prima della mia partenza.>>
<< Ci puoi giurare!>>, disse Sarah per poi baciarla.
<< Resta qui stanotte.>>
Sarah annuì con la testa e con cautela rientrò in camera di Kate passando dalla finestra. Anche lei fece lo stesso e poi iniziò a baciarla con desiderio finché si ritrovarono sotto le coperte a fare l’amore.

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


La sera del ballo di fine anno, a un certo punto, nel bel mezzo di una canzone, Kate afferrò per mano Sarah e si avvicinò a un orecchio per farsi sentire.
<< Dobbiamo andare in un posto. >>
<< Dove?>>, chiese Sarah curiosa.
Kate non rispose e s’incamminò con lei verso l’uscita della palestra. Si fermarono al centro del corridoio principale, lontane dal frastuono della musica.
<< Dove mi stai portando?>>, Sarah era sempre più curiosa.
Dalla tasca destra del pantalone nero Kate tirò fuori una benda.
<< E’ una sorpresa.>>
<< Okay! Aspetta!>>, Sarah alzò una mano, << E il ballo?>>
<< Sei soddisfatta di come stia andando?>>
<< Sì.>>
<< Bene! Allora non devi preoccuparti di niente. C’è Marika e gli altri… penseranno a tutto loro.>>, Kate le andò dietro e fece per bendarla, << A meno che, tu non voglia rimanere.>>
<< Andiamo.>>, rispose Sarah sicura.
A quel punto Kate le mise la benda sugli occhi e la legò stretta. Dopodiché, la prese nuovamente per mano e uscendo dall’edificio raggiunse l’auto della madre, aiutò Sarah a salire e salita anche lei guidò verso il Marion’s Restaurant. Le aveva organizzato una cena speciale con tanto di tavolo riservato, in una saletta del locale, esclusivamente a loro due. Solo dopo averla fatta accomodare al suo posto, Kate le tolse via la benda.
<< Una cena solo per noi.>>, disse Kate sorridendo.
Sarah si guardò attorno con stupore: la sala era illuminata con luci tenui e al centro del tavolo vi era una candela accesa.
<< Ho chiesto un piacere a tuo nonno… ed eccoci qui.>>, proseguì Kate sedendosi di fronte a lei.
<< Immagino tu abbia pensato a tutto.>>, affermò Sarah sorridendole.
<< Desidero che anche questa serata faccia parte dei nostri ricordi migliori.>>
Si scambiarono un lungo sguardo intenso finché entrò un cameriere con i primi piatti; tornò poi, una decina di minuti dopo con i secondi e infine con il dolce: una fetta di cheesecake con un cuore di cioccolato disegnato sopra.
Kate prese uno dei due cucchiaini e con la sedia si avvicinò a Sarah. Quest’ultima prese l’altro cucchiaino e spezzando un pezzo della torta imboccò Kate.
<< La nostra serata non finisce così.>>
<< Hai in serbo qualche altra sorpresa?>>, chiese Sarah addentando un pezzo di torta.
<< Esattamente!>>, rispose Kate che, alzandosi andò a recuperare un carrello nascosto su cui vi era un Notebook collegato a un proiettore, << Gentile concessione di tua sorella.>>, disse facendo l’occhiolino a Sarah. Aprì un file video e le fece cenno di alzarsi e avvicinarsi, dopo aver premuto Play, si mise dietro Sarah e la abbracciò alla vita.
Il video in questione racchiudeva le foto di questi loro quattro anni assieme, con sottofondo musicale “Everything” dei Lifehouse. Sarah era emozionata a tal punto da sentire il cuore martellarle il petto e quando il video finì, si girò prontamente verso Kate e la baciò con un’intensità mai messa prima, come se fosse l’ultimo bacio che si sarebbero scambiate.
E fu così anche quando tornarono a casa: Sarah pensò che una volta tanto potesse infrangere una regola perché era certa che non se ne sarebbe pentita, così chiese a Kate di dormire a casa sua. E una volta in camera, si tolsero via i vestiti mentre si baciavano e fecero l’amore come se fosse l’ultima notte della loro vita insieme.

 
 
Dopo il ballo, finirono poi tutti gli esami e arrivò il giorno della consegna dei diplomi che segnava, almeno simbolicamente, l’inizio della vita adulta per tutti gli studenti del liceo di Roxborough.
Come promesso, Kate e Sarah trascorsero insieme anche le restanti settimane di Giugno andando al cinema; uscendo a fare shopping; restando nottate intere sedute penzoloni sul tetto di casa Davis; organizzarono una partita di calcio e una di pallavolo, a squadre miste, con le loro compagne di squadra e si concessero un pomeriggio a Philadelphia con Roxanne in un centro commerciale della città. Cenarono anche con le loro famiglie per festeggiare il diploma e il ritorno a casa di Isabel Davis, uscita dalla clinica completamente guarita. Poi arrivò la fine del mese che coincideva con la partenza di Kate verso il North Caroline.
In quella tarda mattinata, Kate era in camera sua intenta a preparare le valigie, quando Sarah entrò silenziosamente e la aiutò.
<< Forse così… vederti partire sarà meno difficile da accettare.>>, dichiarò dopo un po’.
<< Per me lasciarti non lo sarà.>>, ammise Kate con tristezza.
Sarah smise di sistemare alcune magliette nella valigia e prese le mani di Kate.
<< Okay, ascoltami! Devi promettermi che darai sempre il meglio di te e realizzerai il tuo sogno. Voglio che la gente parli di te, voglio leggerti sui giornali e sulle riviste, vederti giocare negli stadi indossando una maglia importante perché solo così potrò perdonarti quello che hai fatto.>>, Sarah si pentì subito dell’ultima frase detta, << Scusami! Non dovevo.>>, strinse gli occhi facendo una smorfia.
<< No. Hai ragione. L’hai pensato nell’istante in cui ti ho confessato di averlo fatto e probabilmente finora non hai detto niente per non ferirmi, ma è la verità. E ti prometto che realizzerò il mio sogno. Lo farò per noi.>>, disse guardandola negli occhi.
<< Grazie.>>
<< Leggerò anch’io di te.>>, Kate le strizzò l’occhio per poi baciarla delicatamente sulle labbra.
 


Philadelphia

Qualche ora più tardi, al “Philadelphia International Airport”, Kate salutò con un caloroso abbraccio la madre, il padre, Roxanne e Sarah.
<< Non smetterò di amarti Sarah.>>, le sussurrò a un orecchio.
Sarah voleva tanto risponderle “anch’io”, ma il groppo in gola le impedì di farlo.
<< Niente lacrime.>>, intimò a tutti i presenti guardandoli.
<< In bocca a lupo, tesoro.>>, le augurò Martin abbracciato alla moglie.
<< Chiama appena atterri.>>, le disse Isabel.
<< Certo mamma.>>, Kate le sorrise e poi rivolgendo loro un ultimo sguardo, prese le valigie e s’incamminò.
In quel momento, e forse inaspettatamente, arrivò Marika correndo.
<< Ehi, capitano!>>, disse alzando il tono della voce.
Kate si girò e fu stupita nel vederla.
<< Sono stata incerta nel venire fino all’ultimo momento perché non sopporto le smancerie delle partenze… ma poi ho cambiato idea.>>
<< Beh, mi fa piacere che tu l’abbia fatto.>>
<< Ho pensato che meritavi di essere salutata come si deve.>>, ammise Marika che senza pensarci oltre, la abbracciò, << Mi mancherai.>>
<< Anche tu. Abbi cura di te Marika.>>, le sorrise. Poi Kate guardò ancora Sarah e questa volta s’incamminò davvero verso il futuro che la attendeva.
 
 
La storia di una vita è più breve di un battito di ciglia. La storia di un amore è ciao e addio finché non ci rivedremo.”
                                                          - Jimi Hendrix

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