Zero.

di Lycia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bianco. ***
Capitolo 2: *** Rosso. ***
Capitolo 3: *** Grigio. ***
Capitolo 4: *** Giallo. ***
Capitolo 5: *** Blu. ***
Capitolo 6: *** Azzurro. ***
Capitolo 7: *** Nero. ***
Capitolo 8: *** Rosa. ***



Capitolo 1
*** Bianco. ***


Bianco

Sottile e affusolata.
“Come il braccio di una ragazza…” con le lenzuola tirate a coprirmi il mento e parte delle labbra mimavo le parole, inconsapevole se le stessi dicendo veramente o meno. Con gli occhi e una mano invisibile tracciavo dei contorni invisibili disegnando ora le linee delle cinque dita, trasformando la crepa in una figura quasi umana, addolcendone i tratti più aspri finché non potevo ancora vederli.
Era un lavoro incredibilmente rilassante il mio, svolto nella penombra che precede il mattino.
Prima che la luce dorata raggiungesse il mio letto filtrando tra gli spiragli di una tendina polverosa e sporca.
Non che mancasse molto ormai.
Chiusi gli occhi e scivolai con tutta la testa sotto le coperte, al sicuro.
“Odio la mia vita.” E più di tutto odiavo quello che ero diventata.
Quello che avevo osato lasciar avvenire.
Con il Sole non avrei più potuto nascondermi, questa era la mia più grande punizione: essere costretta ad alzarmi, ogni dannatissimo giorno, e a vedermi allo specchio, vedermi agire, vivere, quando invece avrei solamente voluto che tutto questo sparisse, che fosse soltanto un brutto sogno … ma nell’oscurità ci si può ingannare, alla luce no.
“Golbat.” Avevo smesso di dare un soprannome ai Pokemon da quando, da quando …
“Golbat! Svegliati pigrone!” Nessuna risposta. Sospirando, mi vidi costretta ad uscire dal letto, il mio scomodo e inclinato letto, e andare a troneggiare sulla grossa figura blu scuro che dominava gran parte del mio assolutamente antigenico pavimento. Gli diedi un calcio al fianco, spostandolo anche leggermente verso destra, solo allora il Pokémon sembrò dare segni di vita.
Sussultò e poi, sbarrando gli occhietti, iniziò a fissarmi come se non mi avesse mai visto prima.
“Forza, dobbiamo prepararci: le nuove reclute non staranno a servire la colazione in eterno, no?”  Mi voltai, esponendomi alla piena potenza di un raggio solare che a quanto pare aveva avuto tutte le intenzioni di colpirmi proprio negli occhi. Socchiudendoli, imprecando e coprendomi alla bene e meglio con il palmo di una mano aperta verso la finestra, passai a cambiarmi.
Questione di pochi minuti e entrambi le parti del pigiama erano state lanciate via, abbandonate a se stesse ovunque fossero capitate.
Al loro posto vi erano indumenti di tutt’altra fattura: neri, decisamente troppo larghi per la mia figura ma stretti sui fianchi da una cintura porta-pokèball grigio chiaro che riprendeva i lunghi ma lucidi stivali e i guanti anche quelli simili alle scarpe.
Non avevo mai potuto sopportare le gonne, così avevo insistito per una divisa maschile.
Non mi donava ma mi faceva sentire piccola e insignificante e non avrei proprio potuto chiedere di meglio.
Osservai per un secondo l’immagine della ragazza (a patto di essere abbastanza svegli da riconoscere in me forme femminili) riflessa nel piccolo specchio chiazzato appeso a un lato della stanza.
Lo sguardo era catturato da poche cose:  la grossa “R” rossa stampata sul petto, due magnetici occhi grigi slavati e spenti ma che avevo presto imparato a rendere glaciali e… i capelli.
Lisci ma crespi, andavano in qualsiasi direzione desiderassero meno che quella suggerita dal pettine.
Una confusa massa bianca.
Non c’era alcuna possibilità di domarli.
“Sono pronta.” Afferrai il berretto, nero anche quello ovviamente, e me lo calai sulla fronte precedendo il Golbat alla porta.
Una volta uscita però, prima di chiudermi la mia angusta stanzetta alle spalle, non potei fare a meno di far vagare il mio sguardo fin sul soffitto.
Adesso vedevo bene, fin troppo.
Righe spezzate, unite ad un’unica grande anima, sconnessa a sua volta.
Un stupidissima e semplicissima crepa che s’ingrandiva sempre più ad ogni anno che passava.
“Spero che prima o poi mi faccia crollare il tetto sulla testa mentre dormo.” Grugnii, andandomene.
Tanto a chi sarebbe mai potuto interessare?
Infondo avevo accantonato la mia vecchia me da tempo ormai, e con essa anche gli amici e i parenti che ne conseguivano.
Non ero più nessuno.
Zero.

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Capitolo 2
*** Rosso. ***


Rosso

“No, di nuovo. Prova ancora.” Un tono che non ammetteva repliche di alcun tipo.
Il Rattata ansimava, stanco morto e si voltò a guardarmi con gli occhi grandi e imploranti.
Dovetti mordermi il labbro per non dargli subito una delle Pozioni, il “premio” per i Pokémon che hanno svolto con diligenza il proprio lavoro quotidiano.
E con “diligenza” s’intende un terribile allenamento di diverse ore, intervallato solo dalla pausa pranzo e cena. Una giornata “fruttuosa e ben spesa” era l’espressione usata dai Caporali quando un Pokémon, a fronte di tutto, si evolveva.
Il topolino non sembrava avere nessuna intenzione di muoversi, era ancora lì.
Mi sentivo i suoi occhi puntati addosso.
Scossi la testa.
“Ho detto, ancora.” Un ringhio quasi il mio, stavolta il piccoletto non poté proprio evitare di ripetere il percorso, sbuffando e gridando disperatamente.
Deve avere i muscoli in fiamme…
Lo vidi saettare in mezzo ai lunghi pali di ferro che venivano usati come ostacoli. Non che fossero pali comuni, questo è ovvio. Niente di ciò che si poteva trovare all’interno della “Sala Allenamenti” era comune. Questi in particolare: bastava fregarsi e subito un dolore lancinante ti pervadeva la zona colpita. Erano infatti ricoperti di aghi, sottili e quasi invisibili a occhio nudo.
A rendere veramente scattanti i Pokémon però era il movimento continuo delle sette sbarre che cambiavano posizione ogni manciata di secondi.
Il resto, dicevano i miei superiori, serviva solo a velocizzare l’apprendimento.
Successe tutto in attimo: una zampa messa male (forse era scivolata) e il Rattata, dopo essere riuscito a superare il fossato con un balzo, si ritrovò a rotolare per il circuito.
Poi, non si mosse più.
“Oh no, Pat!” Già Pat, il primo grave errore di quella giornata. Un nomignolo scemo con il quale avevo iniziato a chiamare quel piccolo ed esile Pokemon che a differenza di tutti i membri della sua specie, a causa di un difetto ai denti, non era capace di dire la “R” correttamente. In pratica il soprannome era nato spontaneo,come fuori dal mio controllo.
Mi inginocchiai accanto a lui, prendendolo in collo mentre una vocina nella mia testa teneva il conto di tutte le azioni sbagliate che stavo facendo in fila.
Zero non aiuta. Zero non dà soprannomi ai Pokemon. Zero allena e basta.
Non c’erano poi tante regole da rispettare.
Il topolino aprì appena gli occhi, gemendo. Non serviva un dottore per rendersi conto che la zampa era ridotta male, forse perfino rotta.
Mi morsi il labbro inferiore e mi guardai freneticamente intorno, controllando di non essere osservata. Altrimenti Pat non sarebbe stato l’unico ad essere punito per “inettitudine”.
“Accidenti e ora che faccio?” Guardai il mio Golbat appeso a testa ingiù ad una sbarra poco lontana ma l’unica cosa che si degnò di fare fu spalancare le ali come un umano avrebbe potuto fare con delle braccia. Era ovvio che da lui non avrei ricevuto nessun consiglio decente.
Zero non aiuta. Zero non dà soprannomi ai Pokemon. Zero allena e basta.
Non che la mia litania fosse molto più utile, ma avevo solo quella a guidarmi.
Fissai il Rattata glacialmente.
“Se dovessi seguire il protocollo dovrei buttarti fuori a calci dalla struttura poiché indegno di far parte del Team… ” Spiegai nel modo più fermo possibile “… e forse da una parte per te non sarebbe che un miglioramento.” Ma non potevo abbandonarlo, non in quello stato.
Senza pensarci due volte presi la Pozione e la spruzzai sull’arto ferito.
Il secondo grave errore.
Quindi lo appoggiai delicatamente a terra, rialzandomi.
“Domani cerca di essere in grado di correre o fuori ti ci butto per davvero. E ti assicuro che non sarà piacevole. ”
Sentii lo sguardo ricolmo di gratitudine di Pat appiccicarsi addosso alla mia faccia.
Il solo pensiero mi dava fastidio: non doveva cominciare a vedermi come un’amica. In fondo io ero solo poco più di una recluta, un’addetta agli allenamenti dei Pokémon del Team. Ero quella che sfruttava i Pokemon fino a fargli sputare sangue, che li trasformava da innocenti e socievoli creature in irremovibili macchine da guerra, ricoperte di cicatrici e pressoché incapaci di provare dolore.
No, ero tutto fuor che sua amica.
Ero la sua dannazione, invece.
Ogni mia azione era una piccola spinta in più verso un destino fatto unicamente di lotte, lotte e lotte fino a quando la creatura, sfinita, non ne poteva più e allora si lasciava silenziosamente morire di stenti.
Stavo per comunicare tutto questo al Rattata con un’occhiata severa quando la luce improvvisamente virò dal freddo bianco abbagliante a un avvolgente colore rosso vivo.
Una sirena iniziò a strillare, rischiando quasi di assordarmi con i suoi acuti.
“Dannazione, e ora che succede?!” ringhiai tra me e me mentre correvo verso l’ingresso, spalancandolo e protendendo metà busto nel corridoio. Individuai Gerard che correva da una parte all’altra, gridando qualcosa ad alcune persone mentre si teneva il berretto perché non cadesse.
Un fiume di reclute si precipitò fuori dalle proprie stanze, diretti verso la sala principale, quella di Giovanni.
Temetti di aver perso definitivamente ogni possibilità di parlare con il collega quando improvvisamente me lo vidi sbucare davanti, ansimante e spettinato.
“Intrusi.” Disse solamente, riprendendo fiato. “Ci… sono… degli intrusi… nella base.”
“Si, si ho capito… chi è? Si sa?” Scrollò le spalle.
“Una ragazzina, molto giovane. Paul mi ha detto che è bionda e con lei c’è un tremendo…” Un ruggito squarciò l’aria, rischiando quasi di far tremare le pareti.
Un suono inconfondibile.
Familiare.
“Salamance.” Finii per lui, seria. Mi guardò stupito, con la sua solita aria da cretino imbambolato che vede per la prima volta il mare.
“Come fai a saperlo?”
“Non sono affari tuoi e adesso vattene, ho del lavoro da fare.”
“Ma il Boss… Giovanni ha detto che… tutte le reclute devono andare nella…” Gli sbattei la pesante porta d’acciaio in faccia, coprendo le sue ultime patetiche parole. Quando mi voltai mi sentivo come se tutta la forza mi avesse improvvisamente abbandonato; mi lasciai scivolare piano piano, con la schiena a contatto con il freddo metallo, verso terra dove mi sedetti abbracciandomi le ginocchia.
Ormai era solo questione di tempo.
“E’ venuta a cercarmi, perfino qui.” La mia voce non era altro che un flebile sussurro.
Perché il passato continua a tormentarmi? Perché si rifiuta di lasciarmi in pace?
Percepii distintamente un battito di ali prima che l’ombra apparisse: Golbat era venuto ad appollaiarsi vicino a me, sentii una sua ala membranosa sfiorarmi, a mo’ di conforto.
M’irrigidii al tatto e cercai di scansarmi.
Non volevo nessuno io.
Zero è forte, Zero è fredda, Zero è sola.
Fu tutto inutile, dove mi spostavo e dove il pipistrello troppo cresciuto mi seguiva. Non mi rimase che abbandonarmi alle sue attenzioni, in attesa che il passato mi raggiungesse e si decidesse a sconvolgere una volta per tutte il mio futuro.

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Capitolo 3
*** Grigio. ***


Grigio

L’attesa aveva un che di snervante, non faceva altro che peggiorare il mio stato d’animo.
Continuavo a pensare a quanto fossi stata stupida, debole, e il mio cuore si riempiva di rabbia.
Pat, Lily…
Solo che dovevo mantenere il controllo: Zero non è Katrina.
Non più ormai.
Mi passai entrambi le mani trai capelli, li sentivo perfino più secchi e aridi del solito, sporchi.
Non che il resto di me fosse in condizioni migliori: la divisa era sgualcita, il lembo finale dei pantaloni sfuggito al controllo dello stivale e inoltre qualsiasi cosa indossassi sembrava aver virato dal nero intenso a uno scialbo grigio scuro.
Grigio come la mia faccia.
Grigio come i miei occhi.
Basti pensare che il maggiore tocco di colore erano le profonde occhiaie violacee e la lettera stampata sul mio petto sebbene anche lei sembrasse aver pesantemente risentito del mio incredibile effetto opacizzante.
Avevo passato volutamente la notte sveglia a fissare la mia lontana ancora di salvezza, la crepa. Pur di tenere distanti sogni e ricordi le avevo fatto assumere quasi tutte le forme possibili e immaginabili, perfino quella di un Charizard, ma poi era arrivata nuovamente la luce a rovinare tutto.
Non si può combattere per sempre e alla fine, col sopraggiungere della realtà, la memoria aveva vinto la sua battaglia. E continuava tuttora a tormentarmi.
In fondo a cosa serve far aspettare una persona prima di riceverla se non per torturarla un po’?
Nel mio caso poteva essere benissimo parte della punizione che mi spettava.
Costringermi a vedere e rivedere i miei errori, senza sapere quale, magari spaventoso, effetto qualche stupida azione avrebbe potuto avere.
Mi sentivo sbagliata.
Io, così piccola e amorfa all’interno di quella lussuosa stanza troppo ampia, riccamente arredata con gusto e colori caldi, suadenti.
Pareti di legno pregiato, divanetti di morbido velluto rosso, scaffali ricolmi di libri dall’aria antica e preziosa.
E niente di freddo contro la quale appoggiare la fronte, niente che mi permettesse di contrastare l’eterna lotta che mi martellava in testa.

"Credi che sia stato facile trovarti?"
"Certamente non te l'ho chiesto io."


Mi morsi il labbro inferiore con forza ma nemmeno il dolore riusciva a calmarmi.

"Vieni via con me. Per favore."

Senza pensarci presi in mano l'unica pokèball che possedevo e la scagliai con forza contro la parete lucida, dallo schianto il Golbat uscì stridendo preoccupato in un fascio accecante di luce bianca.
"C'è troppa luce in questa maledetta stanza." sussurrai, appoggiandomi contro un muro, chiudendo gli occhi, ormai succube dei ricordi ancora freschi.

"Ma hai idea di che piani abbiano queste persone? Sai quanti Pokémon soffriranno? Vuoi dirmi che non te ne importa più niente?"
"Si."
"Non ci credo."
"Vattene, non dovresti essere qui."
"No! Tu non dovresti essere qui! Non appartieni a questo mondo, tu... tu non sei cattiva, Katrina."


Su una cosa almeno aveva avuto ragione. Io non sono cattiva, non lo sono mai stata.
Semplicemente non sono più nessuno, non mi interesso più di nessuno.
Nemmeno me stessa.

"Ho bisogno di te. Ho bisogno di te per fermare il Team Rocket una volta per tutte, prima che sia troppo tardi."
"No, tu hai bisogno di Katrina: e io sono Zero."


Lo scenario era improvvisamente cambiato. Non stavo più aspettando, improvvisamente ero dentro.
Dentro con Giovanni, in piedi davanti all'immensa vetrata che occupava gran parte della parete.
Quando ero stata chiamata?
Mi ero mossa sovrappensiero, quanto tempo era passato da allora?
Tra le mani stringevo la sfera di Golbat, leggermente incrinata nel punto in cui aveva sbattuto.
Il Boss mi dava le spalle, le mani incrociate dietro la schiena e tranquillamente osservava i giardini lussureggianti della villa rosa antico. Un tocco verde nella brulla Isola Cannella, sapiente opera di giardinieri, artisti ma soprattutto costosi impianti d'irrigazione. Dei cinque piani di cui era composto l'edificio tre, quelli che s'innalzavano sopra il livello del terreno, erano tutte stanze del capo. Erano la sua casa, la sua cucina, salotto, piccoli spazi adibiti alle reclute che lo servivano, ai Generali. Il resto, lo spoglio e cadente sotterraneo, era dedicato agli "altri".
Noi, la feccia e l'anima del Team Rocket.
Le fondamenta nel vero e proprio senso della parola.

Era in silenzio. Non sapeva più che altro dire per convincermi e si limitava a fissarmi con i suoi penetranti e accesi occhi castani, resi ancora più cupi dal bagliore rossastro della stanza. Uno sguardo di rabbia, di preoccupazione, come un dito puntato al petto; accusatorio.
"Sai perché si decide di entrare a far parte del Team Rocket?" Non le lasciai tempo di rispondere, a dire il vero cercai di anticipare perfino i suoi pensieri.
"Non è la nascita di sentimenti "malvagi", la maggior parte delle persone che sono qui non si muovono spinti dal desiderio di fare del male e nemmeno ci provano piacere. La recluta, quella vera, è semplicemente indifferente. Menefreghista." Il Salamance dietro di lei mosse nervosamente la coda, sentivo Pat gemere poco lontano mentre cercava di alzarsi. Crobat si teneva a debita distanza, codardamente appeso al soffitto.
"E' la disillusione il sentimento principale, la perdita di ogni speranza o di ogni pretesa sul proprio futuro." scossi la testa "Non è il giovane allenatore che decide di intraprendere una piatta carriera all'interno di una società criminale, è una persona che è maturata nella vanificazione dei propri ideali ... che, che ha perso se stessa o tutto quello che credeva di essere." Alzai lo sguardo, puntando il grigio nel nocciola.
Nessuna replica, nessuna risposta. La maschera di mia sorella era come ferro incandescente.


"Vedi... Katrina, o come preferisci farti chiamare... Zero, noi non ci siamo mai fidati veramente di te." L'uomo continuava a darmi le spalle, il suo tono era distratto, leggero come se stesse parlando del più e del meno. Il suo elegante Persian, disteso sulla scrivania, si stiracchiò miagolando sommessamente.
"Nessuno si fida di me." Ora poi, che avevo definitivamente troncato tutti i rapporti con Lily...
Vidi il riflesso delle labbra sottili di Giovanni distendersi in una piega divertita.
"Proprio per questo motivo ti ho fatto costantemente tenere d'occhio, spiare. Infondo prima che Ivan ti sistemasse per le feste hai dato non pochi problemi al Team Idro." Il Boss si tormentava i preziosi e sfarzosi anelli riccamente decorati che aveva sulle dita, girandoseli e rigirandoseli tra le mani. "Non stavi nemmeno andando tanto male." Notai che il felino teneva una delle sue zampe color panna sopra a un esile fascicolo marrone chiaro. "E alla fine cosa scopro?" rise, il suono era delicato ma severo, come quello di un padre che sta per rimproverare il figlio di uno stupido errore appena commesso. "Pat. Pat! Un modo decisamente imbecille per chiamare un Rattata o mi sbaglio?" Si voltò: ogni traccia d'ilarità era improvvisamente scomparsa dai suoi tratti, sostituita da uno sguardo duro e freddo. Eppure, nel suo tono continuavo a sentire una nota canzonatoria nei miei confronti.

"Ti odio."

"Mi sbaglio?"
"No." La sua espressione si distese ancora, ed ecco tornare il sorrisetto.
"Cosa ti aspetti che me ne faccia di te? Se non sei nemmeno capace di educare un Pokémon come si deve, a quale scopo potresti mai presentarti utile?" Si mise lentamente a sedere, sbuffando sonoramente, come immerso in pensieri profondi. "E questo non sarebbe stato nulla se tu avessi avuto il coraggio necessario a fermare l'intrusa, quella biondina insolente. Lei e il suo Salamance, si devono essere sentiti molto intelligenti a bloccarci dentro la sala principale fondendo la porta." Chiuse le mani a pugno così forte che temetti le unghie o il metallo degli anelli gli sarebbero entrati nella carne. "Quella Lily sa fin troppe cose per i miei gusti, andava fermata e tu che ne avevi l'occasione..." Mi lanciò un'occhiata penetrante, come se fosse capace di leggermi dentro e srotolare tutta la mia vita davanti al suo sguardo gelido.
Per un lunghissimo secondo mi resi conto di cosa provassero le pergamene.

"Allora vattene, vattene e non cercarmi più. Dimenticami come io stata in grado di fare. Sarà molto meglio per entrambe."

"La tua debolezza non rimarrà impunita."
"E' tutta la notte che aspetto di sapere come."

Mi guardò un'ultima volta prima di montare sul suo Salamance.
Non lessi altro che speranza mascherata di ferocia sul suo volto.
Non aveva ancora capito.
Dopo qualche secondo si decise finalmente ad andare, creando un varco nella parete con Gigaimpatto.
Solo quando le loro ombre si furono confuse nel cielo azzurro mi resi conto che la luce aveva inondato la stanza, combattendo contro il bagliore rosso dell'allarme.


"Ho un lavoro da assegnarti." disse infine, stavolta ghignando apertamente.
Quelle parole mi suonarono come una condanna.

Nota: Scusatemi se c'è voluto molto più tempo del solito (?) per pubblicare questo capitolo, ma sono partita per le vacanze e non sono riuscita a concludere in tempo come avevo previsto.

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Capitolo 4
*** Giallo. ***


Giallo

Il Passato - Prima parte.
Dieci anni fa.

Afferrai una manciata di biscotti dalla confezione senza nemmeno degnarla di uno sguardo, quindi me li cacciai in gola con foga.
Colazione: fatta.
Mi fiondai fuori di casa urlando, nel disperato tentativo di buttar giù l'immenso boccone dolce senza strozzarmi, qualcosa di solo vagamente comprensibile nella lingua umana, probabilmente un: "Mamma, papà ci vediamo dopo!". Nessuna risposta se non si considera un mugolio sommesso e pure vagamente irritato: non che dovessi stupirmi. I miei genitori erano probabilmente sempre a letto insieme a Lily (la mia sorellina di cinque anni) e l'unica compagnia che avevo era il Delcatty di famiglia, certamente più interessato a dormire che a salutarmi.
Non appena il pesante portone di legno si fu chiuso alle mie spalle mi bloccai improvvisamente, guardandomi intorno.
Un cielo scuro e grigio, uniforme.
Chissà, forse avrebbe iniziato a nevicare.
Sorrisi e ispirai l'aria pulita e frizzante del mattino mentre il freddo mi pungeva le guancie e le dita delle mani. Nella fretta avevo dimenticato i guanti e chissà cos'altro ancora, ma non aveva importanza: oggi era il giorno, il mio giorno. Non avevo tempo per certe piccolezze. La piccola cittadina intorno a me non si era ancora svegliata del tutto, un'alba pallida si affacciava ad Oriente.
"Professor Birch, sto arrivando!"

Una delle tante fortune della mia vita era stata quella di nascere ad Albanova, la sottospecie di villaggio civilizzato in cui si trovava il Laboratorio più importante della Regione. Allenatori da ogni parte di Hoenn (e non solo) vi facevano tappa almeno una volta durante il loro viaggio di formazione e solo i Leggendari sanno a quanti di loro Birch aveva donato il primo Pokemon, lo Starter.
L'amico di una vita.
Solo pensarci mi faceva mettere le ali ai piedi, non stavo più nella pelle: erano anni che aspettavo questo momento. Ovviamente non sarei stata l'unica, non lo si è quasi mai quando si parla di situazioni simili, e anche questo contribuiva alla mia allegria. Come ogni piccolo posto che si rispetti, tutti conoscevano tutti e io non facevo eccezione. Ma non erano compagni di viaggio quelli che cercavo, ma degni rivali. A scuola ero stata spesso definita "simpatica come uno sputo in un occhio" e certamente non mi ero data da fare per trovarmi degli amici.
D'altra parte non mi servivano, stavo bene da sola.
Evitai il vecchio signor Ruby intento a buttare del sale sul vialetto con un agile balzo, e poi ripresi a correre.
Ormai c'ero quasi.

Fu una faccia stanca quella che mi venne incontro dal Laboratorio, profondi occhi porcini e sguardo bonario sebbene non più di tanto sveglio. Nel vero e proprio senso della parola. Sotto lo sgualcito, ampio camice bianco da scienziato si poteva intravedere lo spesso pigiama azzurro con la quale aveva probabilmente dormito. L'uomo si appoggiò con un lungo sospiro allo stipite della porta, fissandomi come se fossi una causa persa.
"Sono le sei del mattino, ed è Domenica..." Mi accorsi solamente allora che ai piedi aveva delle ridicole pantofole pelose.
"Chi dorme non piglia pesci." Si passò lentamente una mano sulla faccia, stropicciandosi la pelle del naso e quella tra le sopracciglia.
"Entra..." Un suono strascicato, assonnato che si muoveva verso l'interno, ancora completamente buio. Lo seguii praticamente saltellando, troppo agitata per fare altro che cercare di distinguere i contorni dei vari oggetti nell'oscurità più totale. La massiccia e larga figura del professore era scomparsa chissà dove. Per diversi minuti (o furono secondi?) rimasi in perfetto silenzio, solamente ascoltando il suono del mio respiro, poi improvvisamente uno scalpiccio pesante e le luci si accesero. L'intensità mi costrinse a sbattere le palpebre diverse volte, quando mi fui abituata alla nuova situazione notai Birch abbandonato su una sedia girevole imbottita dall'aspetto piuttosto comodo. Accanto a lui c'era una disordinatissima scrivania piena di fogli, appunti, libri, aggeggi elettronici e diverse pile di tazze di caffè ormai vuote e piatti sporchi. A dire il vero tutto il laboratorio era nel caos più assoluto tra scatole di cartone traboccanti oggetti e pokèball di vario genere. L'uomo si limitò a scrollare le spalle di fronte alle mie occhiate curiose.
"Se fossi venuta a mezzogiorno come avevo suggerito ti saresti trovata di fronte una scena ben diversa." Suonava quasi come un rimprovero. Non che fossi il tipo da farmi fermare da un tono severo.
"Non potevo più aspettare... dove sono?" Con un cenno della testa indicò un grosso marchingegno dalla forma cilindrica, sovrastato nel lato superiore da una spessa cupola in vetro. Come mi avvicinai quella si aprì in due, sparendo all'interno dell'apparecchio e rivelando il suo prezioso contenuto: tre pokéball rosso fiammante con incise sopra il simbolo dell'elemento cui il Pokémon contenuto apparteneva.
"Prenditi pure tutto il tempo che ti serve, considera che a quest'ora anche loro hanno sonno e non saranno molto attivi. Non subito almeno. Io ... vado a preparare la colazione." Borbottò, sparendo nuovamente da qualche parte. Delle sue parole non poteva proprio fregarmene di meno, non mentre soppesavo le sfere chiedendomi in base a quale criterio avrei scelto il mio primo Pokémon.

"Treecko, il Pokémon Legnogeco. Ti piace lui?" Sobbalzai quando mi fece questa domanda, era rimasto in silenzio tutto il tempo, fissandomi placidamente mentre beveva un beverone di caffè annacquato o mangiava un toast. Scrollai le spalle, senza aggiungere altro.
A dire il vero, no. Non mi piaceva.
Il problema era che nessuno dei tre aveva veramente suscitato il mio interesse.
Non appena usciti dalla propria sfera, dopo qualche attimo di intontimento, Mudkip e Torchic si erano messi a giocare e bisticciare, rincorrendosi per tutto il laboratorio, sputando deboli fiammelle o sottili getti d'acqua, schiamazzando.
Treecko invece si era arrampicato fin sopra una libreria, posizionandosi nel primo spazio vuoto abbastanza grande per lui, e poi era rimasto lì... osservando il mondo sotto di lui con diffidenza e rassegnazione. Di tanto in tanto, quando incrociavo il suo sguardo, mi sembrava quasi di capirlo. Per rivolgermi la parola doveva essere un bel po' di tempo che guardavo la creaturina verde dal basso della mia posizione. Ma in realtà i miei occhi erano puntati ben oltre lei, su un'avventura e dei momenti che credevo avrebbero avuto un inizio eroico o perlomeno magico, dall'atmosfera sfumata e pallida, come quando si proietta una vecchia pellicola sbiadita.
Pensavo che avrei riconosciuto il mio futuro compagno solo con un'occhiata, un'intesa vincente iniziata già dal primo momento.
E invece...
Cercai di contenere la delusione, magari avrei davvero dovuto scegliere il tipo Erba, perlomeno non sembrava un totale imbecille come gli altri due.
Ma non riuscivo a far altro che esitare, erano occhiate così cupe quelle che il piccoletto mi rivolgeva!
Sembravano dire: "Perché a me? Perché non posso essere libero, scappare, andare via. Io non voglio lei. Io non voglio nessuno tranne che la Natura. Eppure, per quanto lo desideri non posso farci niente. Posso solo sperare nel meno peggio."
No, non potevo proprio.
Sopportare quello sguardo, giorno per giorno...
Non era così che doveva andare.
Dato che non mi ero degnata di rispondere decentemente, il professore si alzò sbuffando sonoramente.
"Tu continua pure a fissarlo come se non ci fosse un domani, io servo da mangiare ai ragazzi."

I "ragazzi" si rivelarono essere, oltre a quelli che avevo già avuto modo di conoscere, tre Poochyena.
O almeno io pensavo che fossero solamente tre.
"Per tutti i Kyogre, Aurum... vuoi venire a mangiare, si o no?! Ti assicuro che nessuno ti torcerà un capello, per favore...". Un guaito.
Straziante.
Sembrava che più che cercare di convincerlo a mangiare il professor Birch stesse cercando di scuoiarlo vivo.
Improvvisamente ecco apparire sia lui, che l'uomo.
Il primo sembrava in fuga dalla propria morte, lo sguardo era proprio quello di un cucciolo spaurito e spaventato. Il secondo invece appariva trafelato e sfinito.
Il Pokemon corse attraverso la stanza fino a che non si rese conto di non essere solo. Gli starter e quelli che a prima vista parevano i suoi compagni lo ignoravano vistosamente, ma io non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso. Evidentemente la mia vista dovette turbarlo molto perché emise un verso ancora più acuto del primo e invertì la rotta, scappando alle goffe e grassocce braccia umane che tentavano di afferrarlo e rintanandosi al sicuro, sotto la scrivania.
"Dannazione, Aurum!"
"Ma... ma quel Poochyena è... giallo!" Giallo dove sarebbe dovuto essere grigio e marrone al posto del nero. Ma quello che più colpiva di lei erano il naso e gli occhi, non di un cupo e morbido rosso sangue, ma di un gelido e intenso azzurro acceso.
"Si, è un esemplare molto raro." Lo scienziato tentò nuovamente di avvicinarsi, si mise gattoni e poi allungò una mano verso il piccoletto che però sembrò rimpicciolirsi ancora di più, indietreggiando e sfuggendo ancora.
Sembrava molto più che spaventato: il suo era terrore puro.
"Perché si comporta così?"
"E' sfuggita al Team Idro, o meglio... a sentire l'allenatore che me l'ha portata... l'hanno buttata fuori a calci." Scrollò le spalle, come se questa fosse una risposta " Destinata ad essere niente popò di meno che una dei cuccioli preferiti di Ivan, le sue abilità di combattimento non si sono rivelate all'altezza del suo pelo dorato. E' una codarda, ecco tutto."
Con un grugnito, vidi Birch sparire sotto la scrivania.
"E così adesso se ne occupa lei."
"E chi altro? Questa piccolina non ha nessuno: Agli allenatori non interessa un Pokemon debole che non vuole combattere e da queste parti non ci sono Pensioni o persone dal cuore d'oro pronte ad accoglierla. Certe cose accadono solo nei film." Non sapevo cos'altro dire, così mi chiusi in un silenzio carico di pensieri mentre l'uomo tornava finalmente ad alzarsi con in braccio un'immobile, tremante Poochyena. I suoi occhi vagavano da una parte all'altra della stanza, irrequieti, come se stessero già pensando a dove rifugiarsi non appena avesse avuto l'opportunità di scappare. Mi era ricapitato a volte di trovarmi di fronte Pokémon impauriti, spesso ti sentivi appiccicare addosso il loro sguardo in cerca di aiuto, disperato.
Ma non Aurum.
Lei non si soffermava mai su nessuno, non guardava mai nessuno, non stava mai ferma.
Dava l'impressione che avesse paura perfino della vita stessa, dello scorrere del tempo, di quello che avrebbe potuto vedere se si fosse fermata un attimo.
Aurum non temeva solamente il mondo, ma perfino i sentimenti.
Quelli buoni più dei cattivi.
"Vedi questo lato, sul collo?" Guardai dove il professore m'indicò: c'era una chiazza priva di pelo che prima non avevo notato: rosa pallido, pulita, dall'aspetto frastagliato e scosceso come carta stropicciata. A concentrarsi bene si poteva riconoscere lo strano simbolo che la cicatrice rappresentava: un ovale che pareva attraversato da due ossa destinate a congiungersi in un triangolo poco sopra la figura principale.
"Non serve solo a indicare che un tempo questa piccolina faceva parte del Team ma è anche una copertura."
"A-a cosa?"
"A un'altra cicatrice, più profonda probabilmente. Quella che è stata causa della sua espulsione: gli errori non sono ammessi... forse non è riuscita a schivare in tempo una mossa, o ancor più grave... si è rifiutata di attaccare."
Vedendo la mia espressione inorridita il professore fece un'espressione dura, severa.
"Non avrai seriamente pensato che tutti al mondo trattino i Pokemon come se fossero loro amici, vero?"
Non capivo, e come potevo?
"Ma... perché? E come fa a sapere tutte queste cose?" Lui scosse la testa grave.
"Sono stato allenatore anch'io prima di te, e... ho molti anni sulle spalle di cui rispondere." Non aggiunse altro per diverso tempo, meditabondo. Io attendevo una risposta alla mia prima domanda e non avevo nessuna intenzione di cedere. La Poochyena sembrava essersi calmata almeno un po', sebbene fosse sempre sul "chi va là". "Alcune persone fanno semplicemente quello che gli viene detto di fare."
Quanto erano vere quelle parole! Ma allora avevo veramente troppo poco cervello per farmele semplicemente quadrare: gonfiai il petto e sono pressoché convinta che perfino i miei occhi iniziarono a brillare di fuoco vivo, luce propria. Senza pensarci due volte mi sciolsi i capelli, trattenuti in una coda alta da un nastro argento cupo, quindi a passo sicuro mi avvicinai alla Poochyena saldamente trattenuta e delicatamente le legai il filo intorno al collo, concludendo con un fiocco scenografico ma non ingombrante.
"Questo dovrebbe coprire quel brutto segno." le sussurrai, prima di pronunciare le infervorate, stupide parole che mi rimbombavano in testa.
"No. Ci sono valori alla quale non si trascende, che si lavori per i cattivi o non. Se si è buoni allora...allora..."
"Non sono discorsi adatti a una ragazzina di dieci anni, limitati a scegliere il tuo futuro Pokémon e poi lasciami sistemare in pace." Indispettita dal suo tono saccente e dal fatto che non mi avesse lasciato finire la frase, chiusi la bocca fulminandolo con lo sguardo.
La stanza cadde in un silenzio assordante e anche le parole che avremmo pronunciato in futuro sarebbero suonate finte, distaccate, sbagliate.
Quel discorso lasciato a metà però qualche risvolto positivo l'aveva avuto: Aurum.
Avevo scelto il mio nuovo compagno.

Mi sentii due occhi puntati addosso.
In quello stesso momento seppi che anche lei aveva scelto me.
Sorrisi.

"Io e te, piccola, diventeremo forti insieme. Diventeremo forti per sconfiggere il Team Idro. Vendicheremo te e tutti gli altri Pokémon che hanno fatto soffrire. Io lo so, non possiamo perdere."

Nota: Suppongo che si sia già capito che questo capitolo è completamente ambientato nel passato di Zero. Mi è sembrato fondamentale scriverlo visto che nella storia in sé non ci sarebbe proprio modo di intuire quasi niente di lei. Ovviamente questo è solamente il primo. L'atmosfera non è "pesante" (situazione che spero di aver saputo rendere meglio di questa >.<) come negli altri capitoli e invece è decisamente più scontata.

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Capitolo 5
*** Blu. ***


Blu

Me lo sarei dovuto immaginare.
In quanti altri progetti è mai veramente coinvolto il Team?
Lasciamo perdere la corruzione delle alte sfere, i traffici illegali e i rapimenti a danno dei mocciosi troppo speranzosi, a questo proposito la Polizia o altre associazioni considerate oneste non sono da meno.
No, queste sono solo la facciata, la superficie, la maschera della grande idea che Giovanni ha sempre veramente avuto in serbo.

Isola Suprema, questo è il pomposo nome che una vecchia mappa sbiadita dagli anni ha dato a una minuscola isola maleodorante sperduta nel nulla più assoluto, circondata da chilometri e chilometri di un insondabile mare profondo e scuro come il colore della notte. Una vera e propria macchia di torbida melma castana-verdastra in mezzo al blu. Brulla e montuosa, pare quasi un miracolo che sulla sua sommità sia riuscita a formarsi una rada palude stagnante che s'infittisce sempre più finché un cuore di alberi imponenti, dall'aspetto antico quasi quanto quello del mondo stesso (o del Manectric sdentato e miope di mia nonna), non circonda e protegge l'unica ampia radura erbosa della zona, dove i nostri scienziati presuppongono risieda Mew stesso, il Primo.
Dopo il totale fallimento con Mewtwo, l'insufficiente controllo, l'esplosione, la fuga, il Boss ha dovuto fare i conti con la realtà: le copie, per quanto ben fatte, non sono mai come l'originale.
Non ho la più pallida idea di come sia entrato in possesso di quella cartina, di quante persone siano state corrotte, picchiate o perfino uccise.
Non mi è dato saperlo e certamente sono l'ultima che ha intenzione di far domande.
Resto insensibile perfino ai continui pettegolezzi che circolano alla Base, assurde e improbabili ipotesi tra le quali ne è contemplata una anche al riguardo il presunto il rapimento di un certo "Remo", il possessore originale della mappa.
Fatto sta che la determinazione e la perseveranza del Capo sono state premiate e ora non resta che vedere se i pezzi del puzzle, da tempo iniziato a costruire, ci sono tutti.

Mi accuccio a terra, appoggiando una mano inguantata su una coscia sporca di fango e affondando l'altra nel terreno (se proprio si vuole chiamare così) cedevole sotto i nostri piedi.
L'aria è mefitica, opprimente, ti entra nei polmoni e pare non volerne uscire più, ti schiaccia sotto una terribile cappa di calore e ti annienta definitivamente accompagnata ad un continuo schiamazzo generale; Swalot, Dustox, Marshtomp... i loro richiami sono ovunque e rendono il "soggiorno" ancora più spiacevole di quanto già non sia.
Distorco il naso per l'ennesima volta: non sono ancora riuscita ad abituarmi al pesante odore umido, unito alla pungente nota salata del mare vicino, che grava nei dintorni.
Non ho idea di quale dei due sentori mi dia più fastidio, probabilmente il secondo.
Odio l'acqua, odio l'oceano.
Lo odio da quando... da quando Aurum... beh, lo odio.
Ovviamente non sono da sola, insieme a me ci sono ben altre quattro reclute, peccato che due di loro non siano altro che acerbi ragazzini con a malapena qualche vano peletto sulla faccia, anche se devo proprio dire che uno compensa alla grande la mancanza di barba con i brufoli adolescenziali.
Meraviglioso.
Forse se va bene riusciranno a dare qualche ordine sensato ai loro Pokémon, ma non sono così ottimista.
E' più probabile che inizino a tremare.
Non mi ricordo nemmeno come si chiamano.
"La cavalleria non può essere lontana." Sbotta improvvisamente l'unico vero uomo del gruppo, Josh, un energumeno scuro, tutto muscoli e tatuaggi. Porta i capelli costantemente rasati per far vedere il complicato disegno di un Gyarados ruggente che dalla nuca gli scivola fino alla base della schiena, come se ad avere le poderose squame azzurre non fosse il Pokémon, ma lui stesso.
Cavalieri è il modo in cui noi reclute abbiamo iniziato a chiamare i nemici del Team, i "buoni" tanto per intenderci.
"Sarà divertente." Un tenue commento ridacchiato, dal tono quasi innocente e ingenuo, quasi quanto il viso di chi ha parlato: bianco come quello di una porcellana, solcato da tenui puntini rosa scuro, efelidi, naso alla francese, labbra delicate e grandi occhi color orchidea, incorniciati da una riccioluta capigliatura dorata.
Sheela.
Mi sono sempre chiesta quanti anni abbia, a giudicare dal suo fisico minuto non più di sedici eppure... c'è qualcosa in lei, nel suo sguardo, che la fa apparire molto più grande.
Troppo, a volte.
"No, sarà un massacro invece."
"Sempre positiva a quanto vedo Zero."
"Sono solo realista."
"Ma se sono in tre!"
"Appunto."
Eccetto Josh, nessuno di noi aveva con sé più di un Pokemon e tra questi solamente io non li prendevo in prestito alla base. I cavalieri, invece, mi aspettavo che come minimo ne possedessero tre o quattro a testa. A nessuno era venuto in mente di chiederne di più, d'altra parte ci si limita a fare quello che ci viene detto. Era stato Milas in persona a spiegarci l'obiettivo della missione, lui e quel suo odioso, falso sorrisetto saccente.

"Il Boss ha fiducia in voi, lui tiene costantemente d'occhio tutte le sue reclute e se non gli foste saltati all'occhio non vi avrebbe mai nominato per questa importante missione."

Giovanni deve aver considerato questa lusinghiera trovata molto divertente: nessuno di noi aveva veramente fatto qualcosa per distinguersi dagli altri, se non in negativo. Il carattere eccessivamente bellicoso di Josh, se in un primo tempo era quasi riuscito a fargli ottenere qualcosa, è anche riuscito a rovinare tutto da quando in un impeto d'ira l'ha portato ad aggredire il Generale Maxus, Sheela invece, al contrario, è troppo ambigua.
Non si sa mai cosa le passi per la testa veramente, può dire di "si" e pensare tutto il contrario senza che a nessuno possa venire il minimo sospetto. Di per sé saper mentire sarebbe abilità utilissima al Capo, peccato che lui si sia presto reso conto che come la giovane può lavorare PER lui, non avrebbe certamente problemi a farlo CONTRO. E' risaputo che la ragazza non si fa molti scrupoli quando si parla di denaro.
E poi è troppo intelligente, sia per essere una recluta che un Generale.
Giovanni ha bisogno di persone fedeli e capaci intorno a lui, ma non che possano superarlo in astuzia o finirebbe prima o poi per essere surclassato.
Con gli altri due rimasti certamente non correrebbe questo rischio, ma per quanto avevo avuto modo di notare il loro neo era proprio quello di non aver saputo fare niente.
Così probabilmente il Boss aveva deciso che non necessitava di due individui tanto imbranati oltre che inesperti.
Almeno adesso avrei finalmente dato risposta a una delle domande fondamentali che circolano nei bassi ranghi del Team: Che fine fanno gli indesiderati e i traditori?
Considerato che stiamo parlando di un'organizzazione criminale, ritrovarsi a sentirsi non accettati perfino qui diventa abbastanza deprimente.
"Magari mi andrà meglio in prigione..." Borbotto tra me e me senza farmi sentire, sono più che sicura che i mocciosi non verranno da soli: la Polizia li raggiungerà poco dopo. E noi saremo lì, in attesa per farci arrestare, con i Pokémon troppo deboli per difenderci e senza vie di fuga alternative.
Un vero peccato che fossi l'unica a sapere come stavano le cose.
Mi viene quasi da ridere quando improvvisamente mi rendo conto che ogni rumore è cessato, perfino i miei colleghi hanno smesso di parlare e espressioni prima rilassate hanno lasciato il posto a sorrisetti nervosi e sguardi tesi.
Tre grosse ombre scure ci proteggono per un secondo dall'accecante luce del sole pomeridiano.
Ci sono solo due modi per raggiungere l'isola: via mare, uno stressante viaggio lungo come minimo una decina di giorni, o via aerea. Evidentemente noi del Team Rocket non siamo stati l'unici ad optare per quest'ultima soluzione, per quanto invece di usufruire di alcune grosse creature alate ci fossimo stipati tutti all'interno di un grosso elicottero laccato di nero.
Un Charizard, un Aerodactyl... e un Salamance.
Una ex-allenatrice come me non ha difficoltà a capire di che Pokemon si trattino.
Mi sento otto paia di occhi puntati addosso, un interrogativo inespresso aleggia in mezzo a noi.
"Ci siamo." Dichiaro, alzandomi.
Pokéball estratte goffamente, troppo velocemente, dalla cintura, sbuffi, affanni, risatine isteriche e rilassate di quelli che ne hanno viste tante o poche.
Questi sono gli unici suoni che si possono udire per diversi minuti, almeno fino a quando le figure non fanno la loro comparsa poco lontano da noi, poi il silenzio diventa assoluto e automaticamente uno sguardo di superficiale superiorità, sicurezza si stampa sulle nostre facce.
Solo quando sono talmente vicini che posso distinguere con chiarezza tutti i tratti del loro volto mi decido a ingrandire la sfera di Golbat.
Sorellina, sono pronta.

Note:
Si, abbiamo finalmente raggiunto il presente.
Si, mi ci sono volute... tre settimane? Ditemi che ho contato male vi prego! Insomma, ci ho messo veramente troppo tempo stavolta ma la verità è che non mi ci sono proprio potuta mettere. In origine questa doveva essere la prima parte del capitolo che se tutto va bene (e DEVE essere così) pubblicherò nel giro di due giorni. Infatti è stato praticamente impossibile trovargli un nome "sensato" ora che li ho divisi. In ogni caso spero che piaccia, ho la netta sensazione che sia piuttosto diverso dai precedenti (proprio come modo di scrivere, sarà l'umore o forse l'ora?) e incrocio le dita perché non sia in peggio. La battutaccia all'inizio (quella sul Manectric) mi è proprio scappata, abbiate pazienza XD. Non è escluso che ci rimetta le mani domani, a mente fresca (sicuramente ci sarà qualche discorso che non torna). Ma ora basta, o questa nota diventa più lunga del capitolo stesso.

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Capitolo 6
*** Azzurro. ***


Azzurro

"Ma avranno ancora tutti i denti da latte!" E' questa la sottospecie di commento poco originale, il grugnito che fuoriesce dalle labbra quasi completamente sigillate di Josh mentre il suo Raticate viene definitivamente sconfitto, scagliato violentemente a diversi metri da noi dall'attacco Forza di un Armaldo controllato da un ragazzino più ossa che altro. Alto, secco come un chiodo, braccia, gambe, naso, dita... tutto in lui era lungo, perfino la sua faccia. I suoi grandi occhi verdi mandavano lampi d'odio e di concentrazione mentre ruggiva con voce ancora infantile gli ordini al suo compagno.
"Non potete sconfiggerci, avete capito?!"
"Noi abbiamo dalla nostra parte un potere che voi stupidi membri del Team Rocket potete solo sognare!"
Un altro schianto: l'impatto di un Tuonopugno contro l'Arbok di Sheela, che si accascia a terra sibilando.
Ai nostri piedi è un vero e proprio campo minato di Pokémon, di nostri Pokémon.
Come sospettavo, non hanno nemmeno dovuto mettere in campo le loro creature migliori.
"Quale?!" Lancio un'occhiataccia alla recluta che ha osato dargli spago con questo commento così sentito: è uno dei due giovani. Non che dovessi stupirmi.
In quel momento, come illuminata dagli splendenti raggi del sole dietro di lei, mia sorella fa un passo in avanti.
Braccia conserte, sguardo sicuro.
E' davvero convinta che basti sconfiggere noi cinque per avere la situazione in pugno?
"L'amicizia." Sentenzia, Salamance che erutta fiamme al suo fianco. "L'amicizia che lega noi ai nostri Pokémon, è questa l'energia inesauribile alla quale attingiamo e che ci rende invincibili!"
Stronzate, tutte stronzate.
Parole finte urlate al vento solo per fare scena, quello che rende forti è l'allenamento, quello e tanta, ma proprio tanta, pazienza. Ed è proprio quest'ultima cosa che è mancata a noi per vincere; il tempo. Le cose vanno lasciate fruttare, maturare perché funzionino... ma a quanto pare aspettare non rientra nei piani del Team Rocket.
Per adesso Lily non ha ancora preso parte a nessun combattimento, forse si trattiene per sfidare Giovanni.
I suoi amici, se ho capito bene si chiamano Tommy e Karl, hanno fatto tutto il lavoro piazzandoci davanti cinque Pokè-energumeni o quasi.
E' stata una battaglia breve e ovviamente il primo ad essere sconfitto è stato proprio Pat, il piccolo ancora debole Rattata era stato affidato alla recluta con i brufoli. Aveva provato ad attaccare, ad usare Superzanna contro il collo nerboruto dell'Ursaring che lo stava puntando, ma la sua zampa non era ancora pronta ed è rovinato a terra.
Non gli hanno lasciato nemmeno il tempo di provare a schivare: la creatura lo ha investito con un potente Iper Raggio. E io a quel punto non sono più riuscita a guardare, trattenendomi a stento, cercando di distrarre la mente e concentrandomi solamente sul mio avversario.
Così era questa la seconda parte della punizione inflittami dal Capo.
Lui lo sapeva, lo sapeva che non sarebbe stato pronto, che non avrebbe resistito un minuto.
E sapeva anche che se mi avesse avvertito, avrei tentato di proteggerlo.
Mi odio per questa mia debolezza, mi odio, ma non posso proprio farci niente.
Ormai siamo rimasti solamente io e Golbat.
Io, Golbat e l'Heracross.
"Usa Aerossalto." Il mio tono piatto nasconde l'agitazione, la tensione che provo in questo momento.
"Schivalo!" Troppo tardi. Il colpo è andato a segno, il coleottero ha tentato di ripararsi usando le zampe anteriori ma pare comunque aver accusato la mossa ed è sul punto di crollare definitivamente a terra, affannato e stanco.
Ma questo lo siamo tutti.
"Oh no! Cutter, stai bene piccolo mio?!" Il più tarchiato tra i tre (Karl?) si lancia verso la propria creaturina, le braccia come protese ad abbracciarlo, anche se in realtà non ha la benché minima intenzione di toccarlo né tantomeno avvinarsi troppo al campo di battaglia.
"Dai, io credo in te! Rialzati! Forza!"
Questo genere di sceneggiate mi danno il voltastomaco. Soprattutto perché so essere completamente false, false quasi quanto le parole dette poco fa da mia sorella.
Dirlo bene o dirlo male, calciare chi si ha davanti o no, in ogni caso chiunque abbia un Pokémon in difficoltà vuole sempre la solita cosa: che ignori il dolore e combatta.
Arrendersi non è permesso, non finché si ha ancora un briciolo di forza nelle vene.
L'Heracross geme, punta il corno verso Golbat, sembra sul punto di attaccare di nuovo quando...
"Fermo! Fallo pure riposare, a finire lei ci penso io. Voglio che abbia quel che si merita."
"Sfidare un avversario già stanco con uno fresco non è molto corretto. E pensare che sono io la cattiva."
Non mi aspetto alcun genere di aiuto dai colleghi, non sono miei amici, e d'altra parte... senza Pokemon, come potrebbero? Lei non dice niente, però improvvisamente un freddo, ostile sorrisetto sornione, in uno svolazzare di morbidi capelli biondi, appare sul suo volto.
"Ishi, scelgo te!"
Un grosso Aggron con uno dei due corni spezzato si materializza ruggendo davanti ai nostri occhi. All'inizio non capisco, è passato così tanto tempo... e poi... e poi...
"Whopper..." Poco più di un sussurro il mio, un suono familiare ma al tempo stesso anche passato, vecchio, strano. Non ho il coraggio di guardare la creatura negli occhi, non voglio vedermi riconosciuta, non voglio sentirmi odiata anche da lui... per quanto sotto sotto sappia di meritarmelo, almeno in parte.
"No, quello è il nome che gli avevi dato TU, adesso si chiama Ishi."
"Non ne avevi il diritto: era stato liberato." Continuo a parlare a bassa voce, però stavolta il suono che ne esce è un sibilo gelido.
"Tu l'hai ABBANDONATO. Li hai abbandonati tutti. C'è una bella differenza." Si avvicina a Whopper e gli appoggia una dolcemente una mano sulla testolona metallica. "Ma per fortuna sono riuscita a trovarli in tempo... così da potermene prendere cura." Lo sguardo che rivolge all'Aggron sfiora la stucchevolezza, quello per me invece è molto più amaro di quanto mi aspettassi; è carico d'odio e di rabbia. Come l'ultima volta che l'ho vista alla Base. "Io gli ho dato una nuova opportunità, la possibilità di continuare a credere e sperare negli esseri umani. Gli ho fatto capire che non siamo tutti come te e i tuoi amichetti."
Nemmeno lo fossero.
Sputa per terra, verso i piedi miei e delle altre reclute, in segno di disprezzo.
Non che a qualcuno di loro possa mai interessare di essere considerati poco più di una merda da una stupida ragazzina. Con la coda dell'occhio vedo Josh sbadigliare mentre Sheela è fin troppo attenta, lei e quel suo piatto sorrisino ambivalente.
"Allora Zero, il Meowth ti ha mangiato la lingua oppure non hai proprio niente da dire su quest'argomento?"
"Volevo semplicemente che fossero al sicuro, da te, da tutti quelli come te e me."
Lontani dagli allenatori di Pokémon.
Dopo quest'affermazione Lily rimane in silenzio diversi secondi, deve essere furiosa. Fa sempre così quando vuole pensare a una frase a tono con la quale rispondere, un comportamento da esibire di conseguenza.
"Usa Pietrataglio Ishi, abbattiamo quello stupido Golbat e finiamo la missione per la quale siamo venuti fin qui. Inutile mischiarsi con i criminali, loro non possono capire."
Whopper non esita nemmeno un secondo.
E la cosa incredibilmente mi stupisce.
Per un attimo, per un minuscolo istante, ho sperato. Ho sperato di nuovo e davvero, che scuotesse la testolona pesante, che si rifiutasse, che agitasse la coda e mi si avvicinasse per leccarmi la guancia come faceva sempre.
Uno stupido inganno della mente, e io ci sono cascata come un'idiota.
Allontanarmi è quello che ho voluto, non devo aspettarmi più niente da lui, né da nessun altro.
Migliaia di rocce affilate, come animate di vita propria, sembrano staccarsi dalla parete, fluttuando placidamente nell'aria. Ma è solo questione di un istante prima che inizino a dirigersi ad altissima velocità verso il mio povero Pokemon.
"Schivali." Ma il Golbat, già stanco e sfinito dal combattimento precedente, non riesce a scansarli in tempo. Geme e continua a rimanere miracolosamente in aria, aspettando un mio comando, ma è una battaglia persa in partenza.
Siamo in forte svantaggio, non possiamo vincere.
Nemmeno attaccando.
"Usa Doppioteam."
"Ferrartigli!"
Le copie riescono a proteggerlo per un po' e fanno perdere tempo prezioso ai mocciosi mentre Giovanni cattura Mew e fa proprio il suo potere.
Solo che niente dura per sempre e dopo una lunga serie di colpi, malamente incassati dal pipistrellone, lo vedo bloccarsi in aria e stringere i denti, quindi precipita a terra, solo vagamente cosciente.
Per un attimo che mi pare durare all'infinito lui non si muove, rimane semplicemente immobile.
"E' finita." Bisbiglio, e in cuor mio spero vivamente che sia così, che il suo stupido orgoglio di Pokémon non lo spinga a rialzarsi.
Poi lo vedo sbattere debolmente le ali e riprendere un volo incerto.
Può ancora combattere.
E sotto un cielo azzurro, terso e pulito come se fosse inverno, la lotta va avanti.

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Capitolo 7
*** Nero. ***


Nero

Il Passato - Seconda parte.
Quattro anni fa.

Pioveva, pioveva molto forte.
Ma non era un temporale qualsiasi: gocce furiose cadevano ad alta velocità da un cupo cielo grigio, spesso, uniforme e denso che pareva appiattire i colori, inghiottendoli nella sua coltre scura.
Qualsiasi suono era sovrastato dal forte scroscio dell'acqua sul terreno e dal ruggito dei tuoni sopra di noi mentre lampi continui illuminavano improvvisamente l'oscurità trasformandola, solo per pochi istanti, nuovamente nel giorno che sarebbe dovuto essere, anche se forse in quei momenti la luce era fin troppo bianca, abbagliante.
Innaturale.
Mi scostai rabbiosamente parte dei capelli dalla faccia, ormai completamente fradici, contribuivano soltanto a darmi fastidio, entrandomi in bocca e negli occhi. Sentivo tutto il peso degli abiti, anch'essi bagnati, appiccicato addosso. Ma nonostante tutto, il mio sguardo non si staccava mai da quello del mio avversario.
Ivan.
"Lascia perdere ragazzina, non puoi vincere."
Se soltanto lo avessi ascoltato.
"Io non ho nessuna intenzione di arrendermi." La mia mano si posò automaticamente sulle sfere che portavo al fianco e voltandomi incontrai l'iridi azzurre della mia fedele Mightyena. "Anzi, noi non abbiamo nessuna intenzione di arrenderci! Per lei e per tutti i Pokémon che avete fatto soffrire!"
Sostenendo il mio animato discorso, la lupa dal manto dorato ululò.
Ormai non aveva più paura, la cucciola spaurita che avevo accolto in squadra aveva cessato di esistere.
C'era costato molto lavoro, molti allenamenti, ma alla fine ce l'avevamo fatta.
Insieme.
L'avevo aiutata a diventare forte, sempre più forte, perché non temesse più niente, nemmeno il Team Idro.
Mi ero illusa che fosse pronta, che fossimo pronte, a porre fine a una delle due piaghe che attanagliavano e attanagliano tutt'ora Hoenn. Mi sentivo invincibile solo perché ero stata capace di sconfiggere due o tre reclute incapaci.
Camminavo a testa alta, sicura che nessuno di tanto infimo avrebbe mai potuto battermi.
"Vedo che sei molto decisa, bene. Voglio mettere fine a questa farsa una volta per tutte: Swampert, tocca a te!" Dei miei cinque Pokemon, quattro erano troppo esausti per lottare. Whopper era crollato dopo essere riuscito a sovrastare, anche se per un pelo, lo Sharpedo del Capo Idro. Gli altri, Sable (Vibrava), Yu (Milotic) e Hono (Ninetales), avevano ceduto mano a mano che affrontavo gli Idrotenenti o le reclute. "Aurum, è finalmente giunto il momento." L'uomo di fronte a me, ridendo di gusto, incrociò le braccia al petto.
"Mi ricordo di lei, mi ricordo di questa Pokemon... una piccola, stupida e debole cacasotto. Vedo che le cause perse vanno sempre a braccetto." Lei ringhiò.
"Hai un bel dire, proprio tu che derubi e corrompi questa regione con i tuoi sporchi affari, a chi l'hai sottratto lo Swampert che hai messo ora in campo? Certamente gli starter non vengono a darli a tipi come te." Avevo usato un tono affilato per cercare di colpirlo, ma l'occhiata disorientata che mi lanciò mi lasciò più stupita che mai.
A quei tempi ero sicurissima di quello che avevo detto.
D'altra parte Ivan non era sempre stato a capo di un'associazione criminale.
Non che una possibilità simile potesse anche solo passarmi per l'anticamera del cervello.
In ogni caso lui non rispose alla mia domanda, e nemmeno io me ne interessai più di tanto.
Allora c'era solo una cosa che volevo veramente: la vittoria.

Eravamo a un punto morto.
Intorno a noi la tempesta non accennava a diminuire, alimentata dal potere appena risvegliato di Kyogre, solo parzialmente controllato dalla Sfera Rossa in possesso di Ivan e da quella Blu nel mio zaino.
Si poteva sentire il ruggito del Leggendario provenire dal cuore della Grotta dei Tempi.
Noi, all'esterno, combattevamo per decidere chi alla fine si sarebbe guadagnato il potere o la fiducia (nel mio caso) del Pokémon.
O almeno, questo era il nobile motivo che avevo usato come scusa.
In realtà io volevo solo raggiungere l'obiettivo che mi aveva spronato ad allenarmi per sei lunghi anni.
Aurum e Swampert si guardavano fissi con odio, studiandosi a vicenda, approfittandone per riprendere fiato mentre le loro zampe affondavano in pozzanghere sempre più larghe.
"Idrocannone."
"Schivalo!" Ma la Mightyena non fu abbastanza veloce e venne colpita in pieno dall'attacco, un fortissimo getto d'acqua ad alta pressione, un concentrato di litri e litri di potere, capace di incrinare le rocce se non romperle. Aurum uggiolò di dolore, cercando di non cadere, le zampe che le tremavano violentemente, lottando contro il desiderio di accasciarsi a terra. La sua coda era bassa e la schiena imbarcata verso il terreno: non l'avevo mai vista così malridotta.
"Forza piccola! Non mollare, io e te possiamo farcela... dobbiamo farcela, ce lo siamo promesso... ricordi?"
"Ritirala, non lo vedi in che stato è? Dammi la Sfera Blu e lasciami entrare una volta per tutte."
No. No. No.
Non era così che doveva andare, perdere non era incluso nel mio vocabolario, non ora, non oggi.
"I Buoni non possono perdere contro i Cattivi." Sussurrai, aggrappandomi ad una certezza esistente solo nei film e nei cartoni animati.
"Ti prego, Aurum! Combatti!"
Non so se furono le mie parole o il suo desiderio di vendicarsi per quello che le era stato fatto da cucciola, fatto sta che la vidi digrignare i denti e socchiudere gli occhi mentre si costringeva a rimettersi in una posizione solida, smettendo di tremare, per poi alzare fiera la testa contro lo Swampert nemico.
I miei occhi brillavano, erano animati dal rosso fuoco vivo della speranza, dell'ingenuità e della superbia.
In quel momento perfino Ivan parve sorpreso.
Questo era il mio turno di sorridere.
"Visto? Visto cosa si ottiene grazie al potere dell'amicizia?!" Gridai, convinta.
Credetti che lo sguardo allibito che il Capo Idro mi rivolse fosse dovuto allo stupore, credetti di aver dimostrato quale fosse il valore di un "vero" allenatore di Pokémon, invece ebbi modo di scoprire amaramente in seguito che il suo era si, stupore, ma per la pazzia che stavo combinando.
E l'espressione che mi rivolse dopo, stranamente piatta, non più rude, non era quella di chi sa di stare per perdere, ma di pena.
"Se questo è quello che vuoi..."
"Certo che è quello che voglio, che discorsi sono? Vai Aurum...Gigaimpatto!" La lupa reagì molto più lentamente di quanto facesse di solito, dando tempo al Pokémon avversario di raccogliere le forze.
"Non appena sei pronto, Gigaimpatto anche tu Swampert. Approfitta della sua stanchezza."
Quando i due si scontrarono ci fu un forte schianto, un tonfo sordo, poi più niente.
L'impatto li aveva scagliati in direzioni opposte così adesso ogni allenatore aveva ai piedi il proprio Pokémon.
Ci vollero diversi minuti prima che riaprissero gli occhi, mostrandoci la patetica scena in cui, sfiniti oltre ogni limite, tentavano faticosamente di risollevarsi. Alla fine, fu la Mightyena a rimanere sulle proprie zampe, ancora più incerta di prima, mentre il nemico rovinava a terra.
"Abbiamo vinto." La mia bocca si allargò in una grassa risata di felicità.
"Abbiamo vinto, alla faccia tua Ivan!" Puntai pure il dito contro il suo petto, mi aspettavo che dicesse qualcosa, brontolasse o almeno urlasse, però si limitò a rimanere silente, osservandomi e scuotendo piano piano la testa.
Capii che c'era qualcosa che non andava quando lo vidi sorridere.
"E qui ti sbagli ragazzina, quella ad aver perso sei tu. Solo che ancora non lo sai."
Indicò un punto ai miei piedi.
"Aurum?" La mia Pokemon era distesa sulla dura roccia, ansimando a occhi quasi chiusi, una piccola pozza di sangue si era formata in prossimità della sua bocca. "Aurum!?" Caddi in ginocchio, incredula.
Sentii dei passi pesanti, poi una grossa mano callosa si appoggiò sulla mia spalla minuta e un alito umidiccio mi soffiò nell'orecchio, sapeva di sale. Di mare.
"Se proprio ci tieni così tanto sono sempre disposto a darti la Sfera Rossa che ti sei tanto duramente guadagnata... ma credo che tu abbia ben altre cose a cui pensare." Poi lo sentii frugare nel mio zaino, prendere la Sfera Blu, alzarsi ed iniziare ad incamminarsi dentro la Grotta dei Tempi.
"Grazie mille per Kyogre, Katrina. Vedi? In fondo non siamo poi così diversi, io e te. A entrambi ci piace sfruttare i Pokemon."
E con queste parole se ne andò.
Io non riuscivo a staccare gli occhi da quelli di Aurum, che mi fissava dal basso della sua posizione, forse senza vedermi, forse accusandomi per quello che le avevo fatto.
Fu in quel momento che le notai per la prima volta.
Cicatrici.
Erano ovunque, sul muso, sulle zampe, sul dorso... bianche strisce senza pelo che risaltavano orribilmente sotto la chiara luce dei fulmini occasionali.
Avevo passato gli ultimi anni della mia giovane vita inseguendo il mostro che aveva sfregiato la mia Mightyena quando io le avevo fatto la stessa identica cosa, giorno dopo giorno, combattimento dopo combattimento.
L'abbracciai piangendo, premendomi contro il corpo snello di lei.
Le affondai il viso sul collo, la mia guancia liscia contro la sua ruvida cicatrice, e poi immersi le dita delle mie mani nel suo irsuto pelo dorato, ancor più lucido a causa della pioggia.
"Mi dispiace, mi dispiace tanto... io non volevo, non sapevo..."
Non fui capace di mormorare altro, dentro di me sapevo che le mie scuse erano arrivate troppo tardi.
Lei guaì, potevo quasi sentire il suo sguardo farsi più opaco e scivolare lontano, lontano.
Aspettammo la sua morte insieme.
Quindi mi legai il nastro, ormai sbiadito, che per tanto le aveva cinto il collo, al polso.
Non saprò mai se abbia trovato la forza di perdonarmi.

Il giorno dopo liberai tutti i miei Pokémon, poi presi il primo traghetto disponibile per Porto Selcepoli.

Non potevo tornare a casa, troppa era la vergogna che provavo verso me stessa, ma non potevo nemmeno rimanere a Hoenn, dove i ricordi mi tormentavano ad ogni angolo.
Decisi che sarei andata a Kanto.
E che mi sarei arruolata nel Team Rocket.
Il Nero era proprio quello che mi ci voleva.

Note: Ammetto di essere stata un po' troppo tragica, sembra quasi che abbia perso l'amore della sua vita più che un Pokemon. Questo è il capitolo intorno al quale ho praticamente costruito tutta la storia, proprio per questo motivo è stato pubblicato così in fretta... era sostanzialmente già pronto. In qualche punto potrebbe somigliare molto al combattimento del capitolo precedente, è voluto. In ogni caso, spero che piaccia.

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Capitolo 8
*** Rosa. ***


Rosa, la fine.

I ricordi sono così, ti colpiscono quando meno te l'aspetti.
Dritti al cuore, dritti alla testa, come una freccia scoccata da Cupido.
No.
Non posso permettere che accada di nuovo.
In questi ultimi anni mi sono isolata, allontanata da tutto e da tutti, per evitare di e di far soffrire ancora, di ricadere nel vortice, di cullarmi ancora nella falsa speranza di valori mai esistiti.
Però se c'è qualcuno che, con tutte le mie "migliori" intenzioni, non sono proprio riuscita a schiodarmi mai di dosso, è quel piccolo e macilento Zubat che il capo mi aveva detto di buttar fuori a pedate.
Quel piccolo e macilento Zubat che adesso è un Golbat.
"Forza Ishi, Metaltestata!" L'Aggron abbassa la testa, il corno appuntito e quello spezzato rivolti verso di noi. La parte superiore del cranio sta iniziando a brillare di luce propria, il Pokémon emette dei grossi sospiri, quasi rochi rantoli; la sua ultima occasione di riprendere fiato prima dell'attacco.
Anche Golbat, ormai allo stremo delle forze, ne approfitta. So che non riuscirebbe a schivare la mossa, lo so.
"Basta, ferma! Ci arrendiamo!" Alzo le mani in segno di resa e guardo negli occhi, uno ad uno, i miei compagni ed i suoi, per poi indugiare definitivamente nello sguardo nocciola e vagamente sconcertato di Lily. "Ci arrendiamo." Ripeto piano, scandendo le parole. “Avete vinto.”
Avrei dovuto dirlo molto tempo fa.
Per un attimo, il silenzio regna sovrano e nessuno muove un muscolo, pare quasi che il tempo si sia fermato, abbia deciso di indugiare un secondo, solo un secondo di più, su questo breve e insignificante sprazzo di vita.
Poi un tonfo sordo, leggero, e la magia s'infrange: il pipistrello giace a terra, il muso rivolto verso il cielo con una strana espressione beata stampata sopra.
Ansima, riprende fiato inghiottendo e risputando fuori l'aria quasi febbrilmente.
E' finita, e stavolta sul serio.
Improvvisamente mi sento caricata di una moltitudine di sguardi, tanto diversi quanto pesanti.
"Ero convinta che tu fossi più coraggiosa ma a quanto pare non hai le palle nemmeno per difendere gli ideali sbagliati in cui credi."
Disprezzo, disprezzo puro. Nient'altro.
L'ultimo commento di mia sorella nei miei confronti fu quindi poco più di un sibilo.
A quanto pare ai suoi occhi non meritavo niente di più.
Fa un cenno con la testa ai suoi amici ed inizia a camminare, loro la seguono da bravi cagnolini.
"Andiamo a salvare Mew!"
"Si! E visto che ci siamo daremo pure una bella lezione a Giovanni!"
Sicuro.
D'altra parte lui è semplicemente uno degli allenatori con alle spalle sei dei Pokémon migliori di tutta Kanto, Pokémon che possiede da quanto aveva all'incirca dieci anni, e loro ragazzini con manie di grandezza.
Quando mi passa abbastanza vicino da essere a portata di braccio afferro bruscamente mia sorella per un spalla, bloccandola.
"Tu non sei migliore di noi. Ricordatelo." Poco più di un sussurro, non volevo che gli altri sentissero.
Non l'ho nemmeno guardata negli occhi. A dire il vero in quel momento il mio sguardo non era poi così presente, fisso sulla melma sotto i nostri piedi, dodici, undici, dieci anni fa.
Quando tutto, in un certo senso, andava bene.
La sento divincolarsi, grugnire e poi andarsene, affrettando il passo.
A me non rimane altro da fare che raggiungere il mio Golbat e inginocchiarmi accanto a lui, controllandone sommariamente lo stato.
Fin troppo buono, dopotutto.
Mi frugo tra le tasche, fino a cercare una Pozione Max. Ho bisogno che si rimetta e il più in fretta possibile.
"Perché l'hai fatto?" Josh, ovviamente. Le domande scontate, chissà come mai, toccano sempre a lui.
Lo degno di un'occhiata piatta e scrollo le spalle.
"Non ha senso posticipare una sconfitta, puoi tirarla per le lunghe quanto vuoi: tanto alla fine il risultato non cambia." Una volta curato, pungolo severamente il Pokémon con uno dei miei diti ossuti. "Forza, in piedi." Lui geme, brontola qualcosa, ma non da segni di avermi anche solo calcolato.
"Il Boss non ne sarà contento." Stavolta il tono di rimprovero apparteneva a una delle due reclute più giovani.
"Probabilmente non verrà mai nemmeno a saperlo, sbaglio Zero?" Una melodiosa risatina divertita accompagna queste parole: Sheela e il suo piacevolissimo nasino appuntito stanno osservando rapiti il cielo azzurro, le morbide labbra rosa sempre semi-dischiuse e una bianca mano affusolata delicatamente appoggiata su un lato del suo bel faccino lentigginoso. La sua sembra una semplice posa di contemplazione, come quella di una bambina spensierata, stanca dopo aver giocato a lungo, ma io so benissimo esserci di più.
C'è sempre qualcosa di più quando si parla di Sheela.
Seguo la direzione dei suoi occhi, la visiera del berretto mi impedisce di avere una panoramica completa ma mi accontento di quel poco che vedo, un’immagine fugace ma chiara. Mi alzo nuovamente in piedi, forse qualche mio collega vorrebbe continuare la conversazione, capirci qualcosa di più, ma personalmente non può fregarmene di meno di quello che vogliono loro.
"Ehi tu." Chiamo e indico il ragazzo con i brufoli.
"Io?"
"Si tu, come hai detto che ti chiami?"
"Paul."
"Ok, perfetto, Paul dammi la tua sfera poké."
"E perché scusa? Dentro c'è solamente quella sottospecie di Rattata che ho usato prima, il Capo mi aveva avvertito che era un totale incapace. Ero quasi tentato di mollarlo qui, tanto al Team non serve."
Neanche tu, ma non ritengo sia il caso di farglielo notare.
E poi ha veramente detto la parola "scusa"?
"Appunto, dammelo."
"Continuo a non capire."
"Ma ti sei fatto assumere per discutere o cosa?" Non che abbia una particolare autorità su di lui, ma sono un membro da diversi anni. I pivellini rispettano sempre chi è più esperto di loro anche se di grado non lo sarebbero affatto.
Finalmente si decide a lanciarmela.
Dopo essermela rigirata qualche secondo tra le mani, me l'assicuro sul fianco, alla cintura.
"Guarda che non è tua, ma del Team." Ignorando completamente i suoi belati a mo' di rimprovero, mi volto verso Golbat puntellandomi le mani alla vita.
"Ti muovi o vuoi passare il resto dei tuoi giorni qui?" Uno stridio è la risposta che stavo aspettando, non mi serve guardarlo per sapere che il pipistrello si è alzato in volo per raggiungermi. Dal canto mio, mi allontano, cominciando a scendere giù lungo la fiancata dell'isola.
"E ora dove vai?!" Una gran bella domanda, dove vado? Dove andrò?
Hoenn è così vicina che mi pare quasi di scorgerne l'ombra in lontananza.
Forse potrei passare da casa, riprendere in mano la mia vecchia me da dove l'avevo lasciata.
Oppure... oppure...
"Lontano." Effettivamente la destinazione è l’ultimo dei miei problemi.
Improvvisamente, due grosse, membranose ali blu scuro mi cingono da dietro, abbracciandomi.
Odio quando Golbat fa così, l'ho sempre odiato e continuerò a farlo.
Però stavolta non cerco di liberarmi dalla sua presa.
Non posso proprio fare altrimenti: c’è una scarpata a due passi da me.
Quindi lascio che continui a dimostrarmi tutto il suo appiccicoso affetto, sospirando.
Questa stupida, frastagliata isola rocciosa è "scolpita" proprio come una piramide Maya: a gradoni.
Perlomeno però potrà tornarmi utile: il mio Pokemon non è così forte da riuscire a prendere il volo con me sopra senza "un aiutino".
Un lieve rumore inizia ad udirsi, una piccola eco nell'aria, come il battito d'ali di un colibrì.
La Polizia è vicina, sento quasi l'ombra dell'elicottero azzurro, visto poco prima insieme a Sheela, incombere sopra di me.
Non ho nessunissima intenzione di passare il resto dei miei giorni in prigione.
"Allora, hai finito di rompere? Dobbiamo fare presto, prima che ci vedano." Sento la presa allentarsi, scomparire, quindi un fruscio mi segnala che il Pokémon è partito.
Conto dieci secondi lentamente, chiudo gli occhi e prego Rayquaza lassù che quella sottospecie di pipistrello troppo cresciuto non sia in ritardo.
Non è la prima volta che lo facciamo, però non riesco mai ad evitare l'ansia.
Poi, mi butto.

"Noi siamo qui per salvare il mondo, in nome dei Pokemon che ci vivono!"
Solo parole, vere e proprie urla di rabbia, portate dal vento, una voce familiare forse.
Mi faccio coraggio e allungo il collo per vedere l'isola sotto di noi, non siamo alti, non ancora, ma stiamo prendendo quota velocemente. Non riesco già più a distinguere le figure umane dalla Natura, palude e roccia, verde e marrone.
E blu.
Lo scintillio dell'elicottero della Polizia è inconfondibile, se mi sforzo, probabilmente più con la mia scarsa immaginazione che altro, riesco quasi a vedere i miei colleghi cercare di nascondersi o lottare (Josh, solo lui ne avrebbe la forza) per sfuggire alla Legge. Anche se ai miei occhi interiori in tutto questo non c'è posto per Sheela, lei è una che sa sempre esattamente dove e quando trovarsi al momento giusto, niente sfugge al suo controllo. Prima, sembrava quasi che tutto stesse andando secondo qualche suo strano e personalissimo piano. No, sicuramente starà già scappando, proprio come me, oppure si rivelerà improvvisamente essere una talpa dei piedipiatti.
Golbat, continua a salire e salire.
Quando sei immersa nell'immenso spazio vuoto che vuoto non è del cielo, ti aspetteresti che tutti i rumori cessino, come quando sei sott'acqua. Ma l'aria è un'ospite tutt'altro che tranquillo e i suoi ululati, il grido del vento, il suo gelido potente tocco, riempiono le orecchie abbastanza da coprire qualsiasi altro suono.
Un caldo alone rosato appare proprio alle nostre spalle, nel centro dell'Isola Suprema, dove la battaglia già vinta di Giovanni infuria. Sono sicurissima che abbia già catturato il famigerato Mew, assorbito e incanalato i suoi poteri nella macchina creata dai nostri scienziati. Lo strano colore che sta piano piano iniziando ad inglobare il mondo intorno a sè ne è la prova.
Occuparsi di quei due o tre moscerini fastidiosi che sono Lily e gli altri non dovrebbe causargli poi tanti problemi, è già successo in passato.
Ogni anno c'è qualche moccioso nuovo, assetato di gloria e di fama.
Poi potrà finalmente andarsene, decollare giusto un secondo prima che la Polizia lo raggiunga, tornando raggiante alla sua Villa sull'Isola Cannella, pronto a sfruttare fino all'ultima goccia l'antico potere delle cellule di Mew.
Distrattamente mi passo una mano sui capelli, spinti all’indietro dalla velocità. Manca il berretto. Forse qualcuno riuscirà a trovarlo, laggiù.
Finalmente mi decido a guardare in avanti, verso il cielo azzurro che sembra fondersi all'orizzonte con un oceano della stessa sfumatura.
Il volo del grosso pipistrellone azzurro si stabilizza dolcemente.
Quando Aurum se n'è andata credevo veramente di aver abbandonato tutto quello che rimaneva di me, ma la realtà è che finché sono rimasta ancorata al dolore, ai ricordi, io non sono stata nè una persona nuova nè tanto meno quella vecchia, Zero appunto.
Ma adesso, voglio solo guardare al futuro.

In questo momento non mi sento né buona né cattiva.
Né Zero né Katrina.
Solo me stessa.

Note:

Ho fatto del mio meglio per cercare di far combaciare tutti gli eventi con il punto di vista di Zero, provando a spiegare il più possibile. Non voglio fare la palla e quindi eviterò di aggiungere quello che penso riguardo a questo capitolo. Sto lavorando sulla "grafica" della storia in generale. (sono una frana in 'ste cose ç___ç)
Concludo così una fanfiction che era nata per essere corta, la prima fanfiction (e speriamo non l'unica) che il cervellino della sottoscritta abbia mai partorito.
Dato che mi sento uguale a prima e non ho avuto illuminazioni di sorta, passo subito a ringraziare (ma proprio tanto <3 ) tutti quelli che mi hanno reso possibile raggiungere questo risultato (ok, va bene, non è una premiazione o roba varia ma per me è molto importante visto che ho la brutta tendenza ad iniziare una cosa e poi lasciarla a metà): Barks (*lancia barattolo di Nutella, tu sai perché -?- *), Keyra Hanako D Hono, Barbra, SemplicementeSamanta (o Sammy) e Andy Black.
A tutti voi ragazzi, che mi avete rencensito, corretto (ma soprattutto spronato, forse non ve ne siete resi conto ma è così) invio un grandissimo cuore, i "grazie" sono già arrivati. *w*
Volevate i cioccolatini?
Non c'è problema ve li disegno, ma poi niente storie se... *tossisce* non somigliano proprio a dolcetti. ò_ò
In ultimo, ma non per questo meno importanti, ci tengo a nominare una mia cara amica della quale non posso dire il nome altrimenti l'FBI verrà a cercarla (timida >.>) e Kissky. Lo sapete che in fondo in fondo, non infondo, vi voglio bene <3.
Guardatevi attentamente il secondo nome.
E' colpa sua se sono entrata far parte di EFP, e quindi se vi siete sorbiti per intero tutta la mia storia.
Rifatevela con lei.

Shalutoni, Lycia <3 --> le note sono così lunghe solo perché è la prima -?-

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