Sunshine

di La Kurapikina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aveva solo la luna a cui sorridere ***
Capitolo 2: *** Giulia ***
Capitolo 3: *** Addio, Seth ***
Capitolo 4: *** Sunshine ***



Capitolo 1
*** Aveva solo la luna a cui sorridere ***


SUNSHINE

 

 

 

 

Il sole non capiva, quella era la sua unica certezza.

Il sole non capiva, o, almeno in quel momento, avrebbe smesso di ferirlo. Ma la luce continuava a filtrare dalle tende tirate incurante del suo dolore, scontrandosi con i suoi occhi troppo chiari, la sua pelle troppo pallida. Non avevano mai avuto un buon rapporto, lui e il sole. Si scambiavano un delicato odio, un disprezzo reciproco e poco celato: lui cercava in ogni modo di chiuderlo fuori dalle sue finestre e il sole cercava ogni spiraglio pur di riuscire a colpirlo.

No, non si erano mai capiti, lui e il sole.

La luna, invece, era la sua unica amica: non appena gli ultimi sprazzi del tramonto venivano inghiottiti dal buio della notte, lui poteva tornare ad aprire le finestre e bearsi di quel chiarore delicato che gli accarezzava il viso con gentilezza, come avrebbe dovuto fare una madre. Ma la sua, di madre, era troppo impegnata a farsi di qualsiasi cosa le capitasse a tiro per occuparsi di lui. Non ne aveva bisogno, infondo. Aveva la luna a cui sorridere. Suo padre… non ne aveva alcun ricordo: si era dato alla macchia nel momento stesso in cui aveva scoperto che Giulia, sua madre, era incinta.

Un figlio? Mi prendi in giro? Non voglio un rompicoglioni fra i piedi, già sopportavo a stento te. Tieniti quello sgorbio e sta’ lontano da me.

Sua madre gli aveva raccontato spesso che era stata quella la reazione di Matt quando gli aveva detto che sarebbe diventato padre. E poi era svanito lasciando Giulia sola, per strada e con un figlio in grembo.

Ancora si chiedeva come avessero fatto a sopravvivere, fra sua madre che tirava avanti allargando le gambe e stordendosi con ogni droga disponibile e lui che si dedicava a piccoli furti ancora prima di imparare a camminare.

Ma non aveva importanza. Aveva la luna a cui sorridere. Quel buio che lo avvolgeva, possessivo, non era disposto a lasciarlo andare, spingendolo ad odiare maggiormente il sole. Lui lo sapeva, certo che lo sapeva. Non era mai stato stupido. Quella stessa oscurità in cui si crogiolava fin da bambino stava diventando la sua rovina. Errori, era l’unica cosa che riusciva a fare. Aveva smesso di protestare ormai e lasciava che lo sguardo tirannico della luna scivolasse su di lui, illudendosi che fosse un tocco gentile. Ma non c’era nulla di gentile nelle spirali d’ombra che lo strattonavano, costringendolo ad un nuovo sbaglio.

Era diventato terribilmente bravo ad illudersi: trasformava ogni cosa. Viveva nella sua stessa fantasia, cambiando ogni errore e ogni violenza in qualcosa di positivo, convincendosi che andava bene, che era felice.

Era facile mentire a se stesso circondato dal buio.

Ma il sole non glielo permetteva mai. Il sole lo spogliava delle sue illusioni lasciandolo nudo e spaventato davanti al suo fallimento.

E lui cadeva. Ancora e ancora. Ormai incapace di rialzarsi.

Anche in quel momento il sole non era disposto a lasciarlo respirare mentre, seduto in quella stanza d’ospedale, guardava il suo ennesimo errore. Un errore che nell’oscurità della notte gli era sembrato così giusto, così perfetto per lui…

Chris.

Quella volta, sapeva di aver toccato il fondo.

Aveva conosciuto Chris sei mesi prima, per strada, ed erano diventati subito amici. Si erano trovati, riconoscendo nell’altro i loro stessi sbagli. Avevano cominciato a girare insieme, passando da un night club a una discoteca, da un drink a una canna. E lui, lui sapeva che si stava affondando con le sue stesse mani.

C’era stato in periodo in cui aveva avuto addirittura l’ardire di sognare. Era stato breve ed era ormai niente più che un ricordo sfocato, ma c’era stato. Era piccolo, poco più che un bambino, e non aveva ancora imparato a vivere. Sognava, sognava di lasciare la periferia parigina in cui era cresciuto e raggiungere il centro della città. Sognava di studiare musica, di salire su un palco e sorridere al pubblico. Ma ormai aveva capito: lui aveva solo la luna a cui sorridere. Quei sogni erano svaniti velocemente, scivolando lontano dalle sue labbra insieme al fumo dell’ennesima sigaretta. Inizialmente si erano sciolti insieme ai frammenti del suo cuore solcando le sue guance pallide sotto forma di tante piccole lacrime, ma poi aveva smesso anche di piangere. Perché farlo? Non gli avrebbe portato alcun guadagno, ergo, era solo uno spreco di tempo.

L’unica cosa che riusciva a fare di giorno, oltre a dormire un sonno fatto esclusivamente di incubi e vuoto, era leggere. Amava far scorrere le dita sulla vecchia carta ingiallita e sporca dei libri che recuperava per strada, quei libri che per un motivo o per l’altro venivano dimenticati in un cassonetto e che si impregnavano dell’odore di marcio. Oltre a quelli che rubava, ovvio.

Leggeva di tutto, ogni genere, passando senza problemi da una trattazione sulla Roma antica a una romanzo rosa. I libri erano il suo mondo privato, la sua unica vera bolla di tranquillità. Non aveva mai permesso a nessuno di invadere quel castello sicuro, non a sua madre, non a Chris. Avrebbero rovinato tutto, come al solito. Non che se ne rendessero conto, no, sua madre era sempre troppo poco lucida anche solo per ricordarsi il proprio nome e Chris… Chris era convinto di amarlo. Convinzione che lui si illudeva di condividere, ma quando il sole tornava a colpirlo con la sua luce insolente non poteva non vedere il male che si stava facendo.

Cosa? Sei un maschio? Cavolo, ti aveva preso per una ragazza!

Quella era stata una delle prime cose che gli aveva detto Chris  quando si erano conosciuti.

Non era stato il primo a scambiarlo per una ragazza e non sarebbe stato nemmeno l’ultimo.

Lui stesso a volte guardandosi allo specchio era rimasto sorpreso da quanto i suoi lineamenti fossero femminei: la pelle pallida, gli occhi chiari quanto il ghiaccio, le labbra sottili e sorprendentemente rosse, le ciglia folte e scure come i suoi capelli nero pece, lunghi fino a metà schiena, gonfi sulla parte alta della testa e costantemente legati in una treccia che partiva dalla nuca e si adagiava morbida sulla spalla sinistra. Era esile, minuto. Aveva smesso di sorprendersi di essere scambiato per una ragazza .

Chris, invece, era il suo opposto: spalle larghe, lo superava di una testa buona, mascella squadrata con un accenno di barba, occhi marroni e capelli castano chiaro quasi rasati.

Lo proteggeva, lo trattava bene, era simpatico. Nulla di male, era un ragazzo come lui: stessi errori, stesso attaccamento alla luna, stesso rifiuto del sole. Quando aveva capito che fra loro c’era qualcosa di profondamente diverso, però, era ormai troppo tardi. Chris odiava il sole come lui, era vero, ma per motivi completamente diversi.

Quando aveva scoperto dell’esistenza di Sarah, l’ex fidanzata di Chris, le cose stavano già iniziando a precipitare. Era cominciato tutto tre mesi prima, quando il ragazzo lo aveva invitato a casa sua in piena notte.

Ti devo dire una cosa importante.

Il discorso era cominciato così e lui si era limitato a sorridere ed annuire, seduto sul divano logoro e scomodo di Chris.

Sono un Hlv, una sorta di vampiro moderno.

So cosa sono. Aveva risposto lui, un po’ stordito dalla notizia. Per questo odi il sole… Aveva aggiunto poi, senza rendersi conto di ciò che stava realmente accadendo in quella stanza buia.

Chris aveva annuito con un sorriso sghembo.

Ero sicuro che lo sapessi. Sei il tipo di ragazzo che sa questo genere di cose. Aveva detto, avvicinandosi a lui. Questo cambia qualcosa tra noi?

Lui aveva scosso la testa, ancora senza capire. Quella volta aveva raggiunto il suo livello massimo di stupidità, forse a causa delle troppe ore perse di sonno. O forse perché aveva cominciato a fidarsi troppo di Chris.

Bene, perché ho una cosa da chiederti: sai cos’è la Sete per un Hlv?

Il desiderio di bere sangue di un donatore, anche solo qualche goccia. Aveva risposto lui automaticamente, mentre Chris gli si avvicinava. A quel punto aveva capito. Ma era già troppo tardi. Era stato così stupido, quella volta, aveva lasciato che le cose gli cadessero addosso senza nemmeno provare a scansarsi. Era stanco, ormai era già troppo stanco per opporre resistenza.

Chris gli aveva sorriso con gli occhi illuminati da una strana luce, passandosi la lingua sulle labbra ed allungando una mano verso di lui.

Aveva lasciato che quella mano premesse sulla sua spalla, che quelle labbra si posassero sulle sue. Gli aveva permesso di spingerlo sul divano. Quando poi Chris gli aveva strappato i pantaloni costringendolo ad allargare le gambe, lui si era limitato a chiudere gli occhi e fingere di essere da qualche altra parte. Aveva lasciato che accadesse senza nemmeno provare a rifiutarsi, aveva lasciato che il corpo dell’altro lo schiacciasse contro i cuscini sporchi, aveva permesso che lo gestisse come meglio credeva.

Quella notte, nemmeno le mani di Chris erano state gentili.

Aveva iniziato ad avere paura quando aveva sentito qualcosa di freddo premere contro la pelle tesa del suo petto, poco sotto la spalla sinistra. Si era costretto ad aprire gli occhi incrociando così lo sguardo bramoso dell’altro, che gli aveva sorriso ancora con quella strana luce ad illuminarlo, continuando a spingersi dentro di lui senza curarsi del suo dolore. Quando aveva abbassato lo sguardo sulla propria spalla era sussultato mentre un piccolo coltellino apriva un taglietto sulla sua pelle pallida, macchiandola di sangue. Poche gocce, una ferita per cui sarebbe bastato un cerotto. Chris aveva premuto il coltellino poco sotto quel taglio, aprendone un altro poco più profondo. Poi si era messo a leccare il suo sangue con un mugolio roco.

E lui, lui aveva lasciato cha accadesse. Aveva chiuso nuovamente gli occhi e aveva girato la testa di lato, pensando che infondo rimaneva sempre Chris, che non gli avrebbe fatto alcun male, che andava bene così.

Ora sei mio. Mio, mio. Aveva sussurrato poco dopo l’altro, liberandolo dalla sua presa, ma rimanendo steso sopra di lui per impedirgli di muoversi.

Ti amo. Aveva aggiunto poi e dal tono della sua voce aveva capito che ci credeva veramente.

E lui si era aggrappato a quelle parole, le aveva usate come spiegazione a quello che era successo, come balsamo per il suo corpo dolorante. Il suo cuore… per quello, ormai, non c’era più niente da fare.

Una settimana dopo aveva scoperto Sarah. Era di nuovo a casa di Chris, di nuovo nudo sul suo divano, di nuovo aggrappato a parole che alla luce del sole gli apparivano terribilmente false. Con un nuovo, piccolo taglietto sul petto.

Il sole aveva provato a dirglielo, ma lui aveva preferito non ascoltare.

Ti sta usando, gli aveva sussurrato un giorno quella luce fastidiosa, e nemmeno lui se ne rende conto.

Ma lui non aveva voluto credergli, preferendo lasciarsi cullare dalle rassicurazioni della luna.

Quel giorno, Chris era rimasto steso al suo fianco più a lungo del solito aspirando silenziosamente da una sigaretta che stavano condividendo. Aveva l’espressione corrucciata, lo sguardo pensieroso.

Qualcosa non va? Aveva chiesto lui dopo un po’ voltandosi leggermente per poterlo guardare meglio in viso.

Chris aveva sbuffato leggermente, soffiandogli in faccia un po’ di fumo e porgendogli la sigaretta.

Avevo una ragazza un po’di tempo fa. Ci siamo lasciati poco prima che noi due ci conoscessimo. Si era spiegato poi rivolgendogli un sorriso gentile.

Infondo, Chris non gli aveva mai fatto del male. Era dolce con lui, lo proteggeva. Da tutto, tranne che dal male che si faceva da solo. Quel male, Chris non riusciva a vederlo.

Siamo stati insieme per sette mesi, ma poi lei ha iniziato a dire di aver capito che non andava più bene così. Ha iniziato a dire che si era resa conto di non poter continuare a vivere in quel modo. Voleva lasciarsi alle spalle i suoi errori e io, per lei, ero un errore. Diceva che non era colpa mia. Diceva che era cambiata. Non voleva più continuare così.

Chris si era interrotto qualche secondo per aspirare una nuova boccata di fumo e rivolgergli un altro sorriso triste.

Mi ha lasciato così, per un cazzo. Io ho cercato di farla ragionare, sono andato a casa sua, al night club in cui lavorava e che ora ha lasciato… e qualche giorno fa me la sono trovata davanti con uno stronzetto in giacca e cravatta. Ma ci credi? Mi sono avvicinato per parlarle, ma il cazzone si è messo in mezzo solo perché ho stretto un po’ troppo forte il braccio di Sarah. E lei sai che ha fatto? E’ andata dalla polizia a chiedere informazioni: voleva sapere cosa avrebbe dovuto fare per una denuncia di stalking. Alla fine non se ne è fatto niente, ma mi ha avvertito che se non la lascio vivere in pace mi denuncerà. Tu guarda cosa cazzo combina quella…

Lui era rimasto in silenzio per qualche istante, chiudendo gli occhi per assicurarsi che Chris non riuscisse a scorgere i suoi pensieri prima che lui riuscisse a celarli. Quando era tornato a guardarlo, Chris aveva smesso di sorridere.

Perché non la lasci perdere? Aveva sussurrato infine, Insomma, hai me ora, no? Si era affrettato ad aggiungere davanti all’espressione infastidita dell’altro.

Chris aveva sospirato rilassando i muscoli che aveva teso per l’irritazione e gli aveva rivolto un nuovo, breve sorriso.

Certo che ho te ora, ma è una questione di principio. Insomma, Sarah mi ha lasciato per un cazzo. Voglio chiarire questa storia. Si sta comportando da stronza e questo non mi sta bene.

Lui si era limitato ad annuire ed aveva chiuso nuovamente gli occhi. Ancora una volta, aveva lasciato che accadesse. Conosceva bene Chris, sapeva che non avrebbe lasciato la presa su Sarah fino a quando non sarebbe riuscito a farla crollare. Sapeva che avrebbe fatto qualcosa di stupido, ma aveva preferito chiudere gli occhi ed ignorare quella consapevolezza. Ancora una volta, era troppo stanco per reagire.

E così, Chris aveva continuato ad inseguire Sarah. Fino a quando lei non si era stancata e la denuncia per stalking non l’aveva fatta veramente.

Era successo una settimana prima, mentre lui si trovava ancora una volta a casa di Chris.

Quella puttana! Aveva urlato l’altro, continuando ad attraversare il salotto con grandi passi, Lo ha fatto veramente, capisci? Lei e quello stronzo di un universitario! Denuncia per stalking, ma te ne rendi conto? Come se le avessi fatto del male! Oh, ma questa volta mi sente! Non le permetterò di fare una cosa simile e passarla liscia!

Chris, aveva sussurrato lui senza abbassare lo sguardo dal viso furioso del ragazzo, lascia perdere, per favore. Non peggiorare la tua situazione.

Chris si era voltato verso di lui con gli occhi accesi dall’ira e lo aveva afferrato con forza per un braccio, costringendolo senza fatica ad alzarsi dalla poltrona su cui si era rannicchiato.

Non dire stronzate! Gli aveva urlato in faccia, strattonandolo come se fosse una bambolina di pezza, Ora la colpa sarebbe mia? E’ questo che stai dicendo?

Lui aveva scosso la testa, spaventato da quella rabbia che Chris non gli aveva mai rivolto.

Sono solo preoccupato per te. Non voglio che tu faccia qualcosa di stupido.

Chris lo spinto a terra senza ritegno, guardandolo con disprezzo dall’alto.

Vattene. Vattene da qui, prima che faccia veramente qualcosa di stupido.

E lui aveva obbedito. Avrebbe voluto provare a farlo ragionare, provare a salvare Sarah. Almeno lei aveva il diritto di farsi una vita. Avrebbe veramente voluto opporsi alla rabbia di Chris, ma non ne era stato in grado. Alla fine, aveva preferito salvare se stesso.

Per qualche giorno non era uscito di casa, fino a quando quella mattina non gli era arrivata la notizia. Chris aveva aggredito Sarah e il suo nuovo ragazzo la sera prima, fuori dalla casa in cui erano andati a convivere. In realtà, la polizia li aveva trovati tutti e tre a terra sul viale, privi di sensi. Le indagini erano appena iniziate, ma la denuncia per stalking rendeva già Chris il primo sospettato.

Lui non aveva bisogno delle indagini per sapere la verità. Lui già sapeva.

Nonostante quello, però, era comunque uscito di casa quella mattina e si era diretto in ospedale.

Era sempre Chris, dopotutto.

E così in quel momento stava seduto su una scomoda sedia accanto al letto dove Chris era ancora privo di sensi. Aveva tirato le tende per bloccare la luce, ma il sole, come al solto, non si era arreso e un piccolo spiraglio luminoso colpiva il suo viso stanco. Era anche colpa sua. Era principalmente colpa sua. Aveva lasciato che accadesse, non era riuscito ad impedirlo. Ecco, il sole lo metteva difronte al suo ennesimo fallimento.

“Tu chi sei?” una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare, costringendolo a voltarsi.

Un uomo era appena entrato nella stanza d’ospedale e in quel momento gli stava mostrando il suo distintivo. Un poliziotto, probabilmente l’incaricato del caso, andato a controllare se Chris avesse ripreso i sensi per interrogarlo.

“Un suo amico.” rispose lui sostenendo senza problemi lo sguardo duro dell’uomo.

“Amico?”

Lui annuì senza scomporsi: “Lo so, sembro una ragazza. Devo calarmi i pantaloni per convincerla?”

Era infastidito. Non aveva alcuna voglia di perdere tempo con un poliziotto. Lui la conosceva già la verità, non aveva bisogno delle indagini.

“Come ti chiami?” chiese l’uomo prendendo una sedia e posizionandosi di fronte a lui, ignorando la sua espressione irritata.

A quel punto, non gli rimase che rispondere: “Seth.”

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Capitolo 2
*** Giulia ***


Giulia

 

Appoggiato a quella finestra, lo sguardo fisso sulla luna, riusciva solo a sospirare. Avrebbe voluto potersi dissolvere come polvere, o essere assorbito dalla notte. Tutto pur di andarsene da lì. Aveva superato anche la fase del disgusto ormai. Aveva superato ogni cosa.

Erano passati due giorni dall’aggressione di Chris e il ragazzo non voleva ancora saperne di risvegliarsi. A quanto dicevano i medici, c’era stata una colluttazione e tutte tre le vittime erano rimaste gravemente ferite. Sarah era quella che più di tutti rischiava la vita: aveva perso molto sangue e il suo corpo esile stentava a riprendersi. Il suo ragazzo, l’universitario, come lo aveva chiamato Chris, era messo un po’ meglio, ma era stato pugnalato molteplici volte. In ogni caso, anche per lui la morte sembrava terribilmente vicino.

Chris era quello che stava meglio anche se i suoi occhi rifiutavano di aprirsi.

Come ti chiami? aveva chiesto quel commissario due giorni prima, in ospedale.

Lui continuava ad andare da Chris ogni giorno, spinto da chissà quale impulso, ma non aveva più incontrato il poliziotto. Non ancora, almeno. Era sicuro che si sarebbe visti di nuovo, presto. Il commissario Jonathan Stuart, per sua sfortuna, non era stupido. Non avrebbe lasciato facilmente la presa su di lui.

Sospirò nuovamente, lo sguardo ancora fisso su quell’astro pallido che sembrava ridere di lui.

Era crudele, la luna. Lo era sempre stata. Ma lui non riusciva ad allontanarsene, come non riusciva ad allontanarsi da Chris.

Continuava a sbagliare e non si stancava mai di ricadere negli stessi errori. Cosa c’era che non andava in lui? Se lo era chiesto troppe volte ormai, eppure non riusciva mai a trovare una risposta. Non quella giusta, almeno.

Seth, aveva risposto.

Seth. Quello era il suo nome. Quello era lui.

Seth, un nome che alle sue orecchie non diceva più nulla. Era vuoto, proprio come lui. Privo di aspettative, senza vita.

Cosa sarebbe stato di lui? Che fine avrebbe fatto? Non aveva più importanza. Nulla aveva più importanza ormai.

Hai detto che sei un suo amico, aveva continuato il commissario, quindi saprai della denuncia che Sarah Thomas aveva fatto. Per stalking. Come l’ha presa Chris?

Non avrebbe voluto rispondere, ma che possibilità aveva? Se fosse rimasto in silenzio, Jonathan Stuart avrebbe avuto una scusa per trascinarlo in questura e a quel punto sarebbe diventato tutto più ufficiale. Sarebbe stato un problema per lui. E per quanto fosse affezionato a Chris, Seth non amava i problemi. Ne stava lontano il più possibile, li evitava con tutte le sue poche energie. Era quello il motivo per cui, poche sere prima, aveva lasciato l’appartamento di Chris invece che tentare di dissuaderlo dal fare una sciocchezza. Era quello il motivo per cui, due giorni prima, aveva risposto al poliziotto.

Non bene. Un sussurro, niente più che un flebile mormorio. Una strana nausea si era impossessata di lui: avrebbe solo voluto che l’uomo se andasse, che lo lasciasse solo. Ma, come al solito, nessuno ascoltava mai i suoi desideri.

E’ stato lui, non è così? Ha dato di matto per essere stato scaricato e ha deciso di liberarsi del rivale. Sarah è stata punita per la sua sfrontatezza. E’ questo che è successo, vero?

Aveva scosso la testa con troppa poca convinzione per essere credibile e l’uomo si era avvicinato ulteriormente a lui, accostando le labbra al suo orecchio.

Dimmi la verità, Seth. Il tuo amico ha fatto un bel casino, non è così?

Lui si era ritratto infastidito, sbuffando e lanciando un’occhiataccia a Stuart. Ricordava ancora come si faceva, dopotutto. Era diventato un relitto, l’ombra di se stesso, ma sapeva ancora difendersi.

La verità, signor commissario, è che non avete nessuna prova, altrimenti non sareste qui a farmi domande e Chris sarebbe già ammanettato. La verità, signor poliziotto, è che io so che Chris non aveva preso bene quella denuncia, ma null’altro. Aveva alzato la voce senza nemmeno accorgersene, gli occhi stranamente accesi fissi in quelli sorpresi dell’uomo, i pugni stretti e un insano desiderio di urlare.

La verità, aveva continuato avvicinandosi al viso del poliziotto e sibilando, la verità, signor Jonathan Stuart, è che quello che è successo realmente non lo sa nessuno. Non lo so io e non la sa lei. La verità è che ci sono tre persone che rischiano la vita e tutto ciò che lei sa fare è stare qui a parlare con me.

L’uomo aveva riso soffiando il suo fiato al retrogusto alcolico contro il suo viso. Erano rimasti in silenzio e vicini per un tempo indefinito, poi Stuart si era alzato, spostandosi dietro di lui e poggiando entrambe le mani sulle sue spalle.

A presto, Seth. Aveva sussurrato direttamente contro il suo orecchio, stringendo leggermente la presa sulle sue spalle, poi se ne era andato.

Sospirò ancora e ancora, senza sapere che altro fare. Era stato giusto difendere Chris? Perché non aveva detto al poliziotto che sì, era stato lui, non poteva essere altrimenti.

Non capiva più nulla. Aveva perso se stesso, non poteva perdere anche Chris. Non poteva lasciarlo solo.

“Seth.”

Sussultò voltandosi verso la porta della propria stanza. Sua madre stava appoggiata allo stipite, i capelli scompigliati e la gonna troppo corta sporca di chissà cosa. I suoi occhi, terribilmente chiari, erano cerchiati di nero. Occhiaie? Trucco? Più probabilmente lividi. Sembrava stranamente lucida, come non la vedeva da tanto.

“Giulia.” sussurrò lui in risposta, impassibile.

La donna sospirò avvicinandosi al figlio e lasciandosi cadere sul letto ancora intatto, mentre lui rimaneva rannicchiato sul davanzale, le spalle ora appoggiate alla finestra.

“Non sono mai stata mamma per te.” mormorò lei fissandosi le mani intrecciate e pallide: “Non lo sarò mai.”

Lui rimase in silenzio, aspettando che Giulia continuasse. Era da mesi che non parlava con sua madre, si vedevano a stento. Di giorno dormivano entrambi o si isolavano, di notte ognuno aveva i propri pensieri. Giulia batteva le strade, lui gironzolava senza meta. La donna non sapeva nulla delle vita del ragazzo e lui non perdeva tempo a cercare di sapere qualcosa di lei.

“Seth.” lo chiamò nuovamente la donna, alzando lentamente gli occhi arrossati e stanchi e puntandoli in quelli del figlio: “Non ti riconosco più.”

“Non ci vediamo più. Come potresti riconoscermi?”

Giulia rise piano, una risata amara, piena di lacrime mai piante e sentimenti stroncati sul nascere.

“Sei mio figlio, anche se a nessuno dei due piace ammetterlo. E io non ti riconosco più. Eri un bambino straordinario, sembrava che nulla potesse mai fermarti. Non il dolore, non la povertà, non la paura. Cosa ti è successo?”

Lui sgranò leggermente gli occhi, sorpreso. Giulia stava riuscendo a formulare frasi di senso compiuto: non biascicava, non borbottava, non vomitava.

“Stai meglio.” sussurrò, un lieve sorriso ad increspargli la labbra secche.

“E tu peggio.”

Seth sospirò ancora, lanciando una breve occhiata alla luna prima di tornare a guardare gli occhi stranamente limpidi delle donna.

“Le cose sono cambiate per me, Giulia.”

Lei scosse la testa, decisa e contemporaneamente sconfitta: “Le cose non sono mai cambiate. Tu lo sei. E io non ti riconosco più. E’ colpa mia, lo so.”

“Non è colpa di nessuno.”

“Vattene, Seth.” sussurrò la donna mentre delle piccole lacrime le rigavano le guance pallide: “Vattene da qui. Fuggi da questa luna. Pensi che non lo capisca? Tu sei proprio come me. Vattene da qui e trova un luogo per imparare ad amare il sole. Fuggi, Seth, e non voltarti mai indietro. Non tornare mai. Volevi andare in città, entrare finalmente a Parigi. Volevi studiare musica. Sei così giovane. Ti supplico, non ridurti come me. Non distruggerti con le tua stesse mani.”

Lui trattenne il fiato, immobile. Cosa gli stava chiedendo di preciso? Voleva che se andasse? Lo stava cacciando? Stava cercando di salvarlo.

“Giulia…” mormorò, senza capire.

“Ti prego, Seth. Vattene da qui. Sei intelligente, troverai il modo di sopravvivere. Prendi tutto ciò che puoi vendere, i pochi risparmi che abbiamo. Fuggi. Ti imploro. Salvati.”

Prima che lui potesse ribattere, la donna si alzò asciugandosi lentamente le guance: “Ora devo andare.” sussurrò prima di uscire nuovamente di casa e tronare alle strade.

Giulia amava Seth, lo amava con tutta se stessa. Era l’unica cosa bella della sua vita. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Quel ragazzo, quella creatura meravigliosa, aveva enormi potenzialità. Avrebbe potuto costruirsi un grande futuro, avrebbe potuto raggiungere tutti i suoi scopi. Invece, lo aveva visto abbattersi ogni giorno di più, lo aveva visto scavarsi a mani nude la propria fossa. Proprio come aveva fatto lei. Lo aveva visto uccidersi.

Quando la donna uscì, Seth chiuse gli occhi, le spalle ancora appoggiate al vetro freddo. Non doveva illudersi. Non doveva farlo. Andarsene da lì non avrebbe portato a nulla. Non era una via di fuga quella, era un vicolo cieco. Eppure… rimanendo in quella periferia cosa avrebbe ottenuto? Alcol, droga e dei tagli sul petto. Peggio di così non poteva certo andare. O forse sì?

Cosa avrebbe trovato a Parigi?  

Rimase sul quel davanzale, le gambe tirate al petto, le mani fra i capelli sciolti, il fiato fermo in gola, fino a quando il sole non sorse, ricoprendolo di nuovo dolore.

Era ora di uscire. Era ora di andare da Chris.

Aveva la testa stranamente leggera mentre si vestiva, come se ogni preoccupazione fosse volata lontana. Non riusciva più a pensare, faticava persino a respirare.

Vattene.

Fuggi.

Non voltarti mai indietro.

Salvati.

Gli sembrava di aver solo sognato quelle parole. Possibile che la donna fosse veramente stata nella stanza? Possibile che avessero veramente parlato?

Salvati.

Ti prego, Seth.

Salvati.

Per la prima volta, Giulia si era comportata da madre. Per lui,  quella donna era sempre stata solo Giulia. Mai mamma. Era più facile così sopportare il fatto che lo avesse abbandonato a se stesso fin dal primo giorno. Ma solo poche ore prima, lei era seduta sul suo letto, le guance rigate di lacrime e le labbra a sussurrare parola mai dette prima.

Solo poche ore prima, Giulia era stata sua madre.

Vorrei che tu fossi sempre con me. Aveva sussurrato quelle parole a Chris, steso sul suo divano, il viso affondato in un cuscino. Era stato poco prima che scoprisse Sarah.

Quando non ci sei tu, sono solo. Aveva continuato, mettendosi seduto e passando le dita fra i capelli per pettinarli.

Chris gli aveva sorriso tristemente attirandolo a sé e stringendolo contro il proprio petto nudo.

Mi dispiace, Seth. Aveva sussurrato lasciandogli un veloce bacio sulla tempia, ma vivi con tua madre, giusto? Aveva chiesto poi, scostandolo leggermente da sé per guardarlo negli occhi.

Lui aveva annuito lentamente, recuperando l’elastico da terra e cominciando ad intrecciarsi i capelli con gesti automatici.

Io e Giulia non ci vediamo da un po’. Non parliamo più ormai. Vivere con lei significa vivere solo.

Chris lo aveva guardato confuso, poggiandogli la sigaretta sulle labbra per permettergli di aspirare una boccata di fumo senza dover allontanare le mani dai capelli.

Giulia? E’ il nome di tua madre? Aveva chiesto poi.

Per me è solo Giulia. Non è mai stata una madre, non ne è capace.

A quelle parole Chris non aveva risposto, limitandosi a stringerlo con dolcezza.

Era cambiato tutto ora. Chris era in ospedale, aveva quasi ucciso due persone. Giulia aveva cominciato a ricordarsi della sua esistenza. Per una volta era stata sua madre.

Cosa avrebbe dovuto fare? Fuggire? Darle retta? E Chris? Cosa sarebbe stato di Chris se lui se ne fosse andato?

Salvati.

Vattene.

Fuggi.

Non voltarti mai indietro.

Ti prego, Seth.

Salvati.

Continuava a sentire quelle parole scivolare nelle sue orecchie come sussurri delicati e contemporaneamente prepotenti.

Possibile che Giulia gli stesse veramente offrendo una via di fuga? Infondo, cosa lo tratteneva in quella periferia? Chris non sarebbe mai riuscito a salvarsi. O sarebbe morto, o sarebbe andato in prigione a vita. Giulia era sempre stata sola, proprio come lui. Non era riuscito a salvare Sarah.

Non c’era nulla per lui lì.

Giulia. Stai uno schifo. Era successo qualche anno prima, quando lui e sua madre si incrociavano ancora, ogni tanto. Era rientrato all’alba e aveva trovato la donna accasciata sul pavimento, nuovi lividi a coprirle il viso e gli occhi offuscati dalla droga.

Lei aveva alzato lentamente lo sguardo su di lui, osservandolo come se nemmeno lo riconoscesse.

Seth, aveva sussurrato dopo qualche minuto di silenzio, la voce roca, cosa ci fai qui?

Ci vivo. Aveva risposto acido lui, avvicinandosi  alla donna ed alzandola di peso, fino a trascinarla sulla poltrona.

Seth, aveva ripetuto lei, chiudendo gli occhi arrossati ed abbandonandosi completamente sui cuscini. Poi aveva cominciato a borbottare parole senza senso. L’unica cosa che aveva udito con chiarezza era stato perdonami.

Forse era stato troppo duro con lei. Infondo, erano molto più simili di quanto gli piacesse ammettere. Si erano affondati entrambi, da soli. Si erano scavati una fossa fredda e scomoda, proprio come era sempre stata la loro vita.

Forse avrebbe dovuto darle retta. Forse avrebbe solo dovuto andarsene.

Non c’era nulla lì per lui, non c’era mai stato.

Uscì di casa, lo sguardo fisso sull’asfalto per proteggere i suoi occhi troppo chiari dal sole.

Era ora di andare da Chris.

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Capitolo 3
*** Addio, Seth ***


Addio, Seth

 

Arrivò in ospedale con la testa stranamente leggera: durante il tragitto aveva smesso di pensare, lasciandosi guidare solo dall’istinto e dall’abitudine. Salì le scale senza rispondere all’infermiera che gli chiese dove stesse andando e raggiunse la stanza di Chris inconsapevolmente, immerso in un oblio nebuloso.

Da qualche parte nella sua mente una voce gli stava dicendo insistentemente che non poteva continuare a fingere di aver già dimenticato le parole di Giulia, ma lui era determinato ad ignorarla. Era più facile in quel modo.

“Sei venuto, alla fine. Ne ero sicuro.”

Si bloccò sulla soglia, trattenendo un’espressione di stupore e riuscendo a rimanere impassibile: cercò di sollevare lo sguardo verso il lettino di Chris, ma la luce era troppo. Il sole non sembrava disposto a permettergli di guardare in faccia il suo interlocutore.

Proteggendosi il viso con una mano entrò nella stanza chiudendosi la porta alle spalle, quindi, ignorando l’uomo seduto in un angolo, tirò con rabbia le tende, lasciando all’esterno la luce. Sapeva che non sarebbe servito, il sole era da sempre più furbo di lui, un modo per ferirlo lo avrebbe sempre trovato. Almeno, però, ora poteva sollevare lo sguardo.

Si voltò con calma verso Jonathan Stuart, appollaiato su uno sgabello accanto al letto dove giaceva Chris, ancora privo di sensi.

“Mi aspettava?” chiese inarcando un sopracciglio ed appoggiandosi alla finestra finalmente oscurata, le braccia mollemente incrociate sul petto.

Era bravo a difendersi, lo aveva sempre fatto. Non sarebbe stato un poliziotto arrogante a spaventarlo.

“I medici dicono che vieni tutti i giorni.” rispose con noncuranza l’uomo, sorridendo leggermente: “Gentile da parte tua.”

Lui rimase immobile, attendendo che l’atro riprendesse, sostenendo senza fatica il suo sguardo.

“Deve darti molto fastidio il sole. Ogni volta entri qui tiri le tende. Certo, lo capisco, hai gli occhi molto chiari.”

Seth rise leggermente, una risata sprezzante ed arrogante, una risata che non gli apparteneva.

Si scostò dalla finestra prendendo una sedia e portandola accanto al letto di Chris, dal lato opposto rispetto a quello in cui si trovava il poliziotto.

Chris teneva ancora gli occhi irrimediabilmente chiusi, troppo testardo per risvegliarsi.

“Parlagli pure, avanti. I medici dicono che faccia bene a chi è in coma essere stimolato.”

Lui non rispose nemmeno quella volta, lasciando che il proprio sguardo scivolasse sul viso inespressivo di Chris. Aveva sbagliato tutto. Di nuovo. Non avrebbe dovuto permettere che accadesse una cosa simile, non avrebbe dovuto lasciarsi trascinare in quella storia.

Sarebbe dovuto fuggire il giorno in cui Chris aveva bevuto per la prima volta il suo sangue, avrebbe dovuto respingerlo. Avrebbe dovuto fare tante cose che non aveva mai avuto il coraggio di fare.

“Ho sentito dire che anche Chris preferisce la notte. Tu sai che è un hlv?”

Sollevò lo sguardo, incrociando gli occhi indagatori dell’uomo. Non poteva evitare di rispondergli ancora, non avrebbe ottenuto nulla.

“Un cosa?” mormorò rassegnato, appoggiandosi maggiormente allo schienale della sedia e mantenendo un’espressione insondabile.

Fu il turno di Jonathan Stuart per ridere.

“Avanti piccolo, non cercare di prendermi in giro. Hai capito benissimo.”

Lui inarcò semplicemente un sopracciglio, mordicchiandosi però l’interno delle guance, nervosamente. Poi, in un attimo, prima che potesse reagire, l’uomo aveva aggirato il letto e lo aveva raggiunto, costringendolo ad alzarsi, sollevando una mano fino al suo petto e strappando la sua maglietta, mentre con l’altra lo costringeva all’immobilità, serrando un suo braccio in una morsa.

Jonathan Stuart lo fissò ancora qualche istante, gli occhi assottigliati, poi lasciò scivolare la proprie dita sulle piccole cicatrici chiare che si susseguivano sotto la spalla sinistra del ragazzo.

Lui si morse il labbro, bloccando le lacrime e la nausea che lo aveva assalito. Scosse la testa, arrabbiato più che spaventato. Gli sputò in faccia.

L’uomo si irrigidì qualche istante, quindi sospirò e si passò stancamente una manica sul viso. Lo lasciò andare con calma, stranamente non irritato per quel gesto, poi recuperò il proprio sgabello e si sedette a pochi centimetri da lui, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e gli occhi fissi sul profilo contratto del ragazzo, che era tornato velocemente a sedersi

Lui non lo guardava più. Si limitava a fissare con insistenza il lenzuolo stropicciato che copriva il corpo di Chris.

“Te lo concedo,” sussurrò dopo qualche istante Stuart, avvicinando il proprio viso a quello del ragazzo: “sono stato davvero poco cortese. Deve sapere la verità, Seth.”

Lui rimase in silenzio, immobile e freddo. Avrebbe voluto andarsene di lì, ma sapeva che non poteva fuggire a quell’uomo: non gli sarebbe bastato alzarsi ed andarsene, Stuart lo avrebbe seguito e pressato fino a quando non avrebbe ottenuto una risposta soddisfacente.

“Sarah è morta, Seth. Questa notte.”

Alzò il viso di scatto, guardando il poliziotto con gli occhi sgranati riempiti dal più sincero terrore.

“No…” sussurrò piano, un attimo prima che le lacrime si liberassero dalla gabbia fragile delle sua ciglia e scivolassero fin troppo lentamente sulle sue guance pallide.

La ragazza che aveva cercato di salvare era morta. Quello era sicuramente il suo più grande fallimento. Se non fosse fuggito da casa di Chris, quella sera, se avesse insistito di più, se non avesse pensato solo a se stesso per una volta, se fosse stato disposto ad affrontare qualche problema… come aveva potuto permetterlo?

Come aveva potuto fare una cosa simile?

“Non piangere, ora.”

La voce dell’uomo arrivò attutita alle sue orecchie, ma si sforzò comunque di ascoltarla.

A cosa sarebbe servito inondarlo di lacrime? Non le avrebbe capite, no. Nessuno le capiva mai, le sue lacrime. Non Giulia, non Chris, nessuno. Erano piante sempre nel momento sbagliato.

“La conoscevi?”

Scosse lentamente la testa, senza curarsi di asciugare le strie salate che bruciavano sulla sua pelle.

“Allora perché piangi?”

Lui non rispose, non subito. Spostò lentamente lo sguardo sul viso di Chris e per la prima volta ne fu disgustato: dormiva, troppo spaventato per svegliarsi. Era sicuro che sapesse quello che aveva fatto, per quello si ostinava a rimanere in coma. Le sue ferite non erano troppo gravi, avrebbe già dovuto svegliarsi secondo i medici.

Codardo.

Lo era anche lui, ma non fino a quel punto.

Che aprisse gli occhi, che affrontasse le conseguenze della sua stupidità. Era quello che voleva ottenere? Sarah stava solo cercando di salvarsi, e lui l’aveva uccisa.

L’avevano uccisa entrambi.

Non se lo sarebbe mai perdonato, no. Non glielo avrebbe mai perdonato.

Così stupido, era stato così stupido.

Scostò lo sguardo dal viso di Chris, tornando a posarlo sulle coperte candide.

“Non merita il tuo affetto, Seth. E’ un assassino. Ha ucciso una ragazza che cercava solo di salvarsi da una storia malata.”

Lui sospirò stringendosi le braccia al petto per proteggersi da quell’improvviso senso di opprimente solitudine. Lentamente riuscì a guardare negli occhi l’uomo, senza nemmeno accorgersi di star tremando. Era troppo stanco per continuare a mentire. E, dopotutto, non ne voleva più la pena.

“Dimmi la verità, Seth. Aggressione, omicidio, stalking. Non vale più la pena proteggerlo. Non fare lo stesso errore di Sarah: anche lei ha continuato a proteggerlo fino a quando non è stato troppo. Lui non ti lascerà mai andare, Seth. Ora sei tu quello che va protetto. Dimmi la verità. Ha già ucciso una ragazza, se non lo fermiamo farà la stessa cosa a te quando cercherai di sfuggirgli.”

E lui, lui ormai era troppo debole per resistere ancora. Nulla aveva più importanza ormai, non c’era più nulla per lui. Perché avrebbe dovuto proteggerlo? Perché avrebbe dovuto salvare un assassino?

Era sempre Chris, nonostante tutto.

Chris non avrebbe mai fatto del male a lui, Chris lo amava. Forse non voleva far del male nemmeno a Sarah.

Riuscì quasi a sentirla, la risata del sole. Ancora si illudeva?

Ti amo.

Forse Chris aveva creduto davvero in quelle parole, ma lui no. Non aveva mai potuto farlo, non con il sole che lo metteva costantemente difronte ai suoi errori.

Non c’era più nulla per lui lì, non c’era mai stato. Chris lo aveva solo usato, Giulia non era mai stata una madre, la luna lo stava lentamente uccidendo.

“Dimmi la verità, Seth.”

E a quel punto, perché non avrebbe dovuto farlo?

“E’ stato lui. E’ stato Chris. Se si sveglierà, riuscirete a farlo confessare. Si crede molto più forte di quanto sia in realtà. Quando vedrà che avete la certezza della sua colpevolezza, confesserà ogni cosa.”

Si alzò puntando alla porta con passo incerto e tremante. Voleva solo poter andare via, ma le sue gambe non erano d’accordo. Crollò miseramente al suolo, sbattendo le ginocchia con il pavimento freddo e singhiozzando senza più riuscire a frenare le lacrime.

Fu un attimo, poi le mani improvvisamente gentili di Jonathan Stuart furono sulle sue spalle e lui si sentì avvolto da delle braccia che non conosceva, in un abbraccio che non meritava.

“Mi dispiace.” sussurrò la voce dell’uomo, per la prima volta gentilmente: “Non avrei voluto farti del male, ma non aveva altra scelta. Lascia che ti accompagni a casa, ora.”

Lui scosse la testa, artigliando con mani tremanti la camicia bianca del poliziotto ed affondandovi il viso, imponendosi di respirare a fondo e calmarsi.

Doveva fare ancora una cosa importante.

Rimase in silenzio ancora qualche istante per recuperare la voce, stretto al petto di quel poliziotto che tanto aveva disprezzato e che si stava dimostrando inaspettatamente gentile.

“Devo andare da Sarah, prima.” riuscì a mormorare infine, asciugandosi gli occhi e tirandosi in piedi a fatica, ancora sorretto dall’uomo.

Jonathan non fece domande, limitandosi a scortarlo in silenzio fino alla stanza in cui giaceva il corpo senza di vita di Sarah. Non c’era nessuno attorno a lei, nessuno disposto a piangerla o ricordarla. Il suo fidanzato avrebbe anche potuto non svegliarsi mai ed in quel caso la memoria di Sarah sarebbe svanita per sempre. Lei era sola, proprio come lui. Se ci fosse stato lui al posto di quella ragazza, la stanza sarebbe stata ugualmente vuota e silenziosa.

Lo avrebbe fatto lui: lui avrebbe ricordato Sarah, lui avrebbe pianto la sua morte, lui le avrebbe donato la compagnia che meritava.

Stuart rimase fermo sulla soglia mentre lui si avvicinava lentamente al lettino d’ospedale in cui giaceva la ragazza che aveva invano cercato di salvare. Era la prima volta che la vedeva.

Era pallida, le labbra sottili aveva assunto un colorito violaceo, i capelli castani erano spenti e spettinati sul cuscino.

Come sarebbe stato vederla di viva? Sarebbero andati d’accordo? Cosa sarebbe successo se avesse conosciuto lei anziché Chris?

Era inutile pensarci ormai, non sarebbe cambiato nulla.

Sollevò lentamente una mano tremante, poggiandola con tutta la delicatezza possibile sulla fronte fredda e rigida della ragazza. Permise ad una sola lacrime di scivolare sulla sua guancia, poi si impose immediatamente di non piangere. Non ne aveva il diritto, no. Non difronte a colei che aveva lasciato morire.

“Perdonami, Sarah.”

Rimase ancora qualche secondo a fissare quegli occhi chiusi, mentre la strana consapevolezza che non ne avrebbe mai saputo il colore lo lasciava improvvisamente senza fiato.

Si riavvicinò a Jonathan, accettando di tornare ad appoggiarsi a lui, lasciandosi sorreggere.

“Non è stata colpa tua.” mormorò l’uomo mentre si incamminava lentamente verso il parcheggio.

“Sì, invece. Avrei potuto salvarla. Avrei dovuto fare qualcosa.”

“E’ solo di Chris la colpa per quanto le è successo.”

Chris.

Era uscito dalla sua stanza senza più guardare il suo viso addormentato. Non sarebbe più tornato in ospedale, di quello era sicuro. Non avrebbe mai più rivisto quel ragazzo. Non avrebbe potuto sopportarlo.

“L’abbiamo uccisa entrambi.” mormorò più a se stesso che all’altro, lo sguardo basso, costantemente ferito dalla luce del sole.

Stuart lo tirò maggiormente contro di sé, stringendolo delicatamente: “No. Chris l’ha uccisa. E avrebbe fatto lo stesso a te.”

Rimasero in silenzio per tutto il resto del viaggio. Quando l’auto si fermò difronte a casa sua, Giulia non c’era. Non era sorpreso: come avrebbe potuto esserlo?

Jonathan lo accompagnò fino all’ingresso: “Cosa hai intenzione di fare ora?”

Lui esitò un attimo prima di rispondere, dondolandosi da un piede all’altro, stanco: “Non lo so.”

L’uomo annuì senza smettere di guardarlo negli occhi, quindi lo attirò nuovamente a sé in un abbracciò delicato: “Qualcosa mi dice che questo non è un arrivederci.”

Non riusciva a capirlo, ma aveva ragione: non avrebbe rivisto mai più nemmeno lui.

Non rispose, limitandosi a scuotere la testa contro la sua spalla e sospirando. Non aveva più la forza nemmeno per parlare.

Jonathan lo lasciò andare dopo qualche istante, facendo qualche passo indietro e fissandolo di nuovo: “Addio, Seth.”

E lui, lui non rispose nemmeno quella volta: semplicemente si chiuse la porta alle spalle.

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Capitolo 4
*** Sunshine ***


Sunshine

 

Il respiro regolare di Giulia lo tranquillizzava, infondendogli la strana certezza di aver preso la scelta giusta.

Salvati.

Ti prego Seth, salvati.

Va’ via di qui.

Era stato difficile, forse troppo. Cosa lo tratteneva lì? Ora che aveva perso anche Chris, ora che non riusciva più nemmeno a pensare a lui senza sentirsi nauseato, ora che Sarah era morta, cosa lo tratteneva ancora lì?

Nulla, se non la paura. Terrore che, ovunque fosse andato, nulla sarebbe cambiato. Ma non poteva permettere che la paura avesse un tale potere su di lui, non più. Non dopo quello che era successo a Sarah.

Era stato difficile, sì, ma la sua valigia era ormai pronta. Aveva radunato tutte le sue cose, preso alcuni dei pochi risparmi che c’erano in casa e qualche oggetto che avrebbe potuto vendere per ricavarne qualcosa.

Giulia aveva ragione: era bravo a sopravvivere, lo aveva sempre fatto. Aveva dimenticato così tanti sogni… forse, forse era arrivato il momento di rispolverarne qualcuno. Forse era arrivato il momento di smettere di sopravvivere ed imparare a vivere.

Lo doveva a Sarah, a Giulia e a Jonathan. Lo doveva al bambino che era stato, al ragazzino forte insensibile al dolore che era smesso di esistere quando aveva rinunciato alla sua vita ed aveva iniziato a scavarsi da solo la peggiore delle fosse. Lo doveva al ragazzo che poteva diventare in futuro, quel ragazzo che fino a quel momento aveva rinchiuso in una gabbia troppo piccola persino per respirare. Lo doveva al sole, che non aveva mai smesso di ricordargli che non sarebbe servito a nulla perdersi nei sogni e dimenticarsi di vivere. E lo doveva un po’ anche a Chris, alla parte di lui che gli era stato accanto, credendo in parole che lui, Seth, sapeva essere false. Lo doveva a troppe persone per tirarsi indietro.

Era fermo, appoggiato allo stipite della porta di Giulia, da troppo ormai. Era rimasto immobile per un tempo indefinito ad ascoltare il respiro regolare e un po’ tremulo di sua madre. Lui non ci sarebbe stato quando quel respiro si sarebbe spezzato una volta per tutte e nessuno lo avrebbe avvisato. Giulia se ne sarebbe andata nell’ombra, proprio come tutti quelli che rimanevano in quella periferia.

Aveva pensato di portarla con sé per un solo, breve, attimo: era troppo tardi per lei, ormai. Aveva letto quella consapevolezza negli occhi tristi di sua madre solo qualche ora prima, mentre implorava suo figlio, il suo unico tesoro, di non commettere i suoi stessi errori. Portarla via con sé avrebbe affondato entrambi, e non era quello ciò che Giulia voleva.

Non ci sarebbe stato nulla da rimpiangere, nulla da ricordare con malinconia per lui quando avrebbe raggiunto, finalmente, la capitale.

Inspirò a fondo, muovendosi silenziosamente per non svegliare la donna e raggiungendo in pochi passi il comodino accanto al letto. Aveva preso una penna e un pezzo di carta, strappato ed ingiallito. Scrisse poche parole, solo quelle necessarie. Nulla di troppo.

Grazie, mamma.

Giulia se lo meritava, dopotutto. Forse era stato ingiusto con lei, forse l’aveva giudicato troppo duramente. Infondo, Giulia forse aveva cercato di essere una madre per lui, mentre lui faceva di tutto per non essere suo figlio. Ma di una sola cosa era sicuro: in quel momento, Giulia meritava di essere, finalmente, chiamata mamma.

Aveva preso anche una forbice.  Le mani gli tremavano leggermente mentre le sollevava e portava la lama all’attaccatura della treccia. Un solo colpo, deciso, i suoi capelli divennero improvvisamente leggeri. Raccolse la treccia da terra, il respiro improvvisamente affannoso, e la posò con le forbici e il biglietto sul comodino di sua madre.

Ancora qualche attimo. Ancora qualche attimo per fissare il viso contratto di Giulia prima di uscire per sempre da quella stanza. Qualche respiro dopo, proprio come aveva fatto con Chris, se ne andò senza più voltarsi indietro, chiudendo la porta della stanza di Giulia senza nemmeno un cigolio. Se ne stava andando in silenzio, proprio come era vissuto fino a quel momento. Non visto, non amato, presto dimenticato. Le droghe avrebbero annebbiato la mente di Giulia fino a fargli perdere ogni ricordo di lui, proprio per quello gli aveva lasciato la treccia: un piccolo segno, qualcosa che permettesse alla donna di avere un vago sentore della sua presenza anche in futuro. Quella treccia lo aveva sempre accompagnato in ogni errore, doveva liberarsene per dire definitivamente addio.

Non visto, non amato, presto dimenticato.

Dio, non avrebbe più permesso fosse così, non avrebbe più permesso a se stesso di distruggersi.

Raggiunse il bagno fermandosi davanti allo specchio con il respiro accelerato.

Oh, era così strano.

I suoi capelli scuri cadevano corti e liberi sugli zigomi e sulle guance, coprendogli appena la base del collo. Si sentiva come se stesse fissando uno sconosciuto dall’aria familiare, così simile a lui eppure così diverso. Era ancora pallido, aveva ancora gli occhi troppo chiari e i lineamenti troppo delicati, femminei.

Ma era tutto così diverso, ora.

C’era qualcosa, in quel riflesso, che lo confondeva: era come se quel ragazzo, incredibilmente simile e contemporaneamente terribilmente diverso da lui, fosse lì da sempre, chiuso in quello specchio, ad aspettarlo.

Un destino che lo stava chiamando, un futuro che pregava affinché lui si accorgesse della sua presenza e lo raggiungesse.

Oh, era tutto così strano.

Li poteva sentire, tutti, uno per uno, i brividi che gli scivolavano sulla pelle. Non riusciva ad allontanare lo sguardo da quel viso pallido ed affilato che sembrava quasi stesse per sorridere.

Quello sarebbe potuto essere lui.

Quello era lui.

Sollevò lentamente una mano passandola con delicatezza fra i capelli scuri, tirando piano qualche ciocca corta e liscia.

Rimase ancora qualche attimo a guardare quel se stesso straniero, a tirare dei capelli che le sue dita non riconoscevano, a respirare un aria che gli bruciava sempre meno i polmoni. 

Doveva andarsene.

Andarsene per non tornare mai più.

Non era più lui ormai, non c’era nulla del vecchio sé in quel riflesso.

Avrebbe imparato, lo avrebbe fatto davvero, a dimenticare il suo passato, ad uscire dalla spirale di errori in cui lo aveva trascinato la luna.

Prese un paio di respiri profondi prima di voltare le spalle anche allo specchio e chiudersi anche quella porta alle spalle.

Basta.

Perché aveva aspettato tutto quel tempo?

Quello non era lui.

Il ragazzo che aveva conosciuto Chris, che gli aveva permesso di fare di lui tutto ciò che voleva, quello non era lui.

Basta.

Era ora di ricominciare a respirare.

Afferrò la sua valigia con violenza prima di dirigersi quasi correndo alla porta e, senza più esitare, la spalancò. Un istante, un passo, ed era già richiusa.

A quel punto, smise di pensare. Lasciò che il proprio corpo prendesse le decisioni, si lasciò guidare, correndo come mai aveva fatto prima di allora, verso la stazione.

Era così facile fuggire?

Nessuna esitazione, nessun dubbio, nessuno che cercasse di trattenerlo.

Chi, poi? Non aveva più nessuno lì che pensasse a lui.

Chissà se Chris sarebbe sopravvissuto. Chissà se Jonathan Smith si sarebbe ricordato di lui, qualche volta.

No. Non importava più.

Nessuno in quella periferia gli aveva mai prestato attenzione, ma non importava più ormai.

Nemmeno quando sentì il tipico rumore dei treni che correvano sulle rotaie rallentò.

Così vicino. Era così dannatamente vicino.

Si sentiva… libero? Era quella la libertà? L’aria che gli scivolava fredda sulla pelle, i capelli stranamente corti che gli solleticavano il collo, i polmoni che si stringevano alla ricerca d’aria, le gambe che dolevano per il troppo correre, la valigia che quasi strisciava a terra, era veramente quella la libertà?

Oh, sì che lo era.

Sentiva i fischi dei treni sempre più vicini, poteva quasi respirare l’odore della capitale.

Così vicino.

Poi, improvvisamente, il cielo comparve nella sua visuale sostituendo la facciata della stazione e il suo corpo cominciò inesorabilmente a sbilanciarsi all’indietro, pronto all’inevitabile scontro con l’asfalto.

Scontro che però non avvenne. Lasciò cadere la valigia per aggrapparsi a quel qualcosa di verde che era apparso davanti a lui, mentre rimaneva stranamente sospeso a meno di mezzo metro da terra.

Prima che riuscisse veramente a capire cosa stesse succedendo era di nuovo in piedi, immobile e confuso difronte ad un ragazzo dall’aria preoccupata e dispiaciuta.

“Perdonami,” disse il ragazzo, i capelli castani spettinati e gli occhi verdi che quasi brillavano per il riflesso del sole: “ti ho completamente travolto. Non ti avevo visto.”

Lui rimase attonito qualche altro secondo, fissandolo e sbattendo le ciglia per schiarirsi le idee, quindi si sentì avvampare non appena comprese che il qualcosa di verde che stava ancora

artigliando con forza non era altro che la stoffa soffice della maglia dello sconosciuto. Rilassò immediatamente la morsa della sua dita e cercò di ritrarsi, rimanendo però bloccato dalle mani che il ragazzo teneva ancora sulla sua schiena e con cui lo aveva sorretto.

“Non… non importa. Nemmeno io ti aveva visto,” mormorò lui, una strana sensazione ad invadergli il petto difronte al sorriso amichevole che gli stava rivolgendo l’altro: “e poi non sono caduto. Grazie a te.”

Il ragazzo castano gli sorrise ancora passandosi una mano fra i capelli e spettinandoli con un gesto automatico: “Dove te andavi così di corsa?” chiese quindi, chinandosi per raccogliergli la valigia e ricominciando a camminare senza nemmeno porgergliela.

Lui esitò un attimo, spostando il peso da un piede all’altro, poi lo seguì: “Devo prendere un treno per la città.”

Il ragazzo gli rivolse un sorriso storto e divertito: “Parte fra venti minuti, non c’è fretta.”

“Oh… non sapevo l’orario di partenza, in realtà.”

E, davvero, non si era mai sentito tanto stupido in vita sua: gli occhi verdi di quello sconosciuto gli mettevano soggezione e non poteva fare a meno di chiedersi cosa stesse pensando in quel momento.

“Capito,” mormorò quello con un sospiro, lo sguardo improvvisamente dolce, intenerito quasi: “Sei uno di quelli che fuggono.”

Lui sobbalzò, trattenendo istintivamente il fiato e bloccandosi. Quando l’altro si voltò, abbassò istintivamente lo sguardo.

“Scusami,” mormorò il castano avvicinandosi a lui e posandogli piano una mano sulla spalla, come se temesse di vederlo sgretolarsi da un momento all’altro: “Non volevo ferirti.”

Si vedeva davvero così tanto che stava fuggendo? Era veramente così evidente?

Scosse la testa continuando a fissare l’asfalto.

“Sai, io abito in città. Sono venuto qui a trovare un amico. Sto cercando un coinquilino con cui dividere le spese, comunque.”

A quel punto, lui sollevò la testa con un gesto improvviso, quasi brusco, e lo fissò cercando di trattenersi dallo spalancare gli occhi: “Cosa? Nemmeno sai come mi chiamo.”

Così ingenuo, quel ragazzo era così ingenuo.

Forse vivere in città non lo aveva mai messo difronte a tutti i pericoli che lui invece conosceva alla perfezione. Lui era parte di quei pericoli, erano stati la sua vita per tutti quegli anni.

Lui era sempre stato uno di quei pericoli.

Come poteva quello sconosciuto non pensare alle possibili spiacevoli conseguenze di tanta impulsività?

Proteggerlo, devi proteggerlo. Lui ti ha aiutato, è gentile con te. Il suo sguardo è limpido e così terribilmente ingenuo.

Devi proteggerlo da quei pericoli, devi proteggerlo dalla tua vecchia vita.

Il castano sbuffò piano per trattenere una risata e gli porse una mano: “Hai ragione. Quindi, io sono Kyle e vorrei tanto che tu, piccolo fuggiasco, accettassi la mia offerta. Non avresti un posto dove stare, altrimenti.”

Così ingenuo.

Così buono.

Devi proteggerlo.

Lui annuì piano afferrando la mano abbronzata dell’altro e stringendola con fin troppa delicatezza: “Seth.”

“Bene Seth, vuoi dirmi da cosa stai scappando?”

Lui scosse piano la testa senza allontanare lo sguardo del viso sorridente di Kyle: “No, non ancora.”

Il castano annuì senza smettere di sorridere: “Molte bene. Avremo tempo per questo. Andiamo ora, dobbiamo fare conoscenza durante il viaggio.”

Seth rimase fermo a guardare le spalle del ragazzo che si allontanavano lentamente, il loro oscillare delicato. Sollevò il viso verso il cielo azzurro e sereno e per la prima volta in vita sua sorrise al sole. Per la prima volta in vita sua fece la scelta giusta e seguì Kyle, dimenticando la luna e fidandosi, finalmente, della voce amorevole del sole.

 

 

 

 

  

 

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