Sunshine di La Kurapikina (/viewuser.php?uid=102658)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aveva solo la luna a cui sorridere ***
Capitolo 2: *** Giulia ***
Capitolo 3: *** Addio, Seth ***
Capitolo 4: *** Sunshine ***
Capitolo 1 *** Aveva solo la luna a cui sorridere ***
SUNSHINE
Il
sole non capiva, quella era la sua unica certezza.
Il
sole non capiva, o, almeno in quel momento, avrebbe smesso di ferirlo.
Ma la
luce continuava a filtrare dalle tende tirate incurante del suo dolore,
scontrandosi con i suoi occhi troppo chiari, la sua pelle troppo
pallida. Non
avevano mai avuto un buon rapporto, lui e il sole. Si scambiavano un
delicato
odio, un disprezzo reciproco e poco celato: lui cercava in ogni modo di
chiuderlo fuori dalle sue finestre e il sole cercava ogni spiraglio pur
di riuscire
a colpirlo.
No,
non si erano mai capiti, lui e il sole.
La
luna, invece, era la sua unica amica: non appena gli ultimi sprazzi del
tramonto venivano inghiottiti dal buio della notte, lui poteva tornare
ad
aprire le finestre e bearsi di quel chiarore delicato che gli
accarezzava il
viso con gentilezza, come avrebbe dovuto fare una madre. Ma la sua, di
madre,
era troppo impegnata a farsi di qualsiasi cosa le capitasse a tiro per
occuparsi di lui. Non ne aveva bisogno, infondo. Aveva la luna a cui
sorridere.
Suo padre… non ne aveva alcun ricordo: si era dato alla
macchia nel momento
stesso in cui aveva scoperto che Giulia, sua madre, era incinta.
Un
figlio? Mi prendi in giro? Non voglio
un rompicoglioni fra i piedi, già sopportavo a stento te.
Tieniti quello
sgorbio e sta’ lontano da me.
Sua
madre gli aveva raccontato spesso che era stata quella la reazione di
Matt
quando gli aveva detto che sarebbe diventato padre. E poi era svanito
lasciando
Giulia sola, per strada e con un figlio in grembo.
Ancora
si chiedeva come avessero fatto a sopravvivere, fra sua madre che
tirava avanti
allargando le gambe e stordendosi con ogni droga disponibile e lui che
si
dedicava a piccoli furti ancora prima di imparare a camminare.
Ma
non aveva importanza. Aveva la luna a cui sorridere. Quel buio che lo
avvolgeva, possessivo, non era disposto a lasciarlo andare, spingendolo
ad
odiare maggiormente il sole. Lui lo sapeva, certo che lo sapeva. Non
era mai
stato stupido. Quella stessa oscurità in cui si crogiolava
fin da bambino stava
diventando la sua rovina. Errori, era l’unica cosa che
riusciva a fare. Aveva
smesso di protestare ormai e lasciava che lo sguardo tirannico della
luna
scivolasse su di lui, illudendosi che fosse un tocco gentile. Ma non
c’era
nulla di gentile nelle spirali d’ombra che lo strattonavano,
costringendolo ad
un nuovo sbaglio.
Era
diventato terribilmente bravo ad illudersi: trasformava ogni cosa.
Viveva nella
sua stessa fantasia, cambiando ogni errore e ogni violenza in qualcosa
di
positivo, convincendosi che andava bene, che era felice.
Era
facile mentire a se stesso circondato dal buio.
Ma
il
sole non glielo permetteva mai. Il sole lo spogliava delle sue
illusioni
lasciandolo nudo e spaventato davanti al suo fallimento.
E
lui
cadeva. Ancora e ancora. Ormai incapace di rialzarsi.
Anche
in quel momento il sole non era disposto a lasciarlo respirare mentre,
seduto
in quella stanza d’ospedale, guardava il suo ennesimo errore.
Un errore che
nell’oscurità della notte gli era sembrato
così giusto, così perfetto per lui…
Chris.
Quella
volta, sapeva di aver toccato il fondo.
Aveva
conosciuto Chris sei mesi prima, per strada, ed erano diventati subito
amici.
Si erano trovati, riconoscendo nell’altro i loro stessi
sbagli. Avevano
cominciato a girare insieme, passando da un night club a una discoteca,
da un
drink a una canna. E lui, lui sapeva che si stava affondando con le sue
stesse
mani.
C’era
stato in periodo in cui aveva avuto addirittura l’ardire di
sognare. Era stato
breve ed era ormai niente più che un ricordo sfocato, ma
c’era stato. Era
piccolo, poco più che un bambino, e non aveva ancora
imparato a vivere.
Sognava, sognava di lasciare la periferia parigina in cui era cresciuto
e
raggiungere il centro della città. Sognava di studiare
musica, di salire su un palco
e sorridere al pubblico. Ma ormai aveva capito: lui aveva solo la luna
a cui
sorridere. Quei sogni erano svaniti velocemente, scivolando lontano
dalle sue
labbra insieme al fumo dell’ennesima sigaretta. Inizialmente
si erano sciolti
insieme ai frammenti del suo cuore solcando le sue guance pallide sotto
forma
di tante piccole lacrime, ma poi aveva smesso anche di piangere.
Perché farlo?
Non gli avrebbe portato alcun guadagno, ergo, era solo uno spreco di
tempo.
L’unica
cosa che riusciva a fare di giorno, oltre a dormire un sonno fatto
esclusivamente di incubi e vuoto, era leggere. Amava far scorrere le
dita sulla
vecchia carta ingiallita e sporca dei libri che recuperava per strada,
quei
libri che per un motivo o per l’altro venivano dimenticati in
un cassonetto e
che si impregnavano dell’odore di marcio. Oltre a quelli che
rubava, ovvio.
Leggeva
di tutto, ogni genere, passando senza problemi da una trattazione sulla
Roma
antica a una romanzo rosa. I libri erano il suo mondo privato, la sua
unica
vera bolla di tranquillità. Non aveva mai permesso a nessuno
di invadere quel
castello sicuro, non a sua madre, non a Chris. Avrebbero rovinato
tutto, come
al solito. Non che se ne rendessero conto, no, sua madre era sempre
troppo poco
lucida anche solo per ricordarsi il proprio nome e Chris…
Chris era convinto di
amarlo. Convinzione che lui si illudeva di condividere, ma quando il
sole
tornava a colpirlo con la sua luce insolente non poteva non vedere il
male che
si stava facendo.
Cosa?
Sei un maschio? Cavolo, ti aveva
preso per una ragazza!
Quella
era stata una delle prime cose che gli aveva detto Chris quando si erano conosciuti.
Non
era stato il primo a scambiarlo per una ragazza e non sarebbe stato
nemmeno
l’ultimo.
Lui
stesso a volte guardandosi allo specchio era rimasto sorpreso da quanto
i suoi
lineamenti fossero femminei: la pelle pallida, gli occhi chiari quanto
il
ghiaccio, le labbra sottili e sorprendentemente rosse, le ciglia folte
e scure
come i suoi capelli nero pece, lunghi fino a metà schiena,
gonfi sulla parte
alta della testa e costantemente legati in una treccia che partiva
dalla nuca e
si adagiava morbida sulla spalla sinistra. Era esile, minuto. Aveva
smesso di
sorprendersi di essere scambiato per una ragazza .
Chris,
invece, era il suo opposto: spalle larghe, lo superava di una testa
buona,
mascella squadrata con un accenno di barba, occhi marroni e capelli
castano
chiaro quasi rasati.
Lo
proteggeva, lo trattava bene, era simpatico. Nulla di male, era un
ragazzo come
lui: stessi errori, stesso attaccamento alla luna, stesso rifiuto del
sole.
Quando aveva capito che fra loro c’era qualcosa di
profondamente diverso, però,
era ormai troppo tardi. Chris odiava il sole come lui, era vero, ma per
motivi
completamente diversi.
Quando
aveva scoperto dell’esistenza di Sarah, l’ex
fidanzata di Chris, le cose
stavano già iniziando a precipitare. Era cominciato tutto
tre mesi prima,
quando il ragazzo lo aveva invitato a casa sua in piena notte.
Ti
devo dire una cosa importante.
Il
discorso era cominciato così e lui si era limitato a
sorridere ed annuire,
seduto sul divano logoro e scomodo di Chris.
Sono
un Hlv, una sorta di vampiro
moderno.
So
cosa sono. Aveva
risposto lui, un po’ stordito dalla notizia. Per
questo odi il sole… Aveva aggiunto poi, senza
rendersi conto di
ciò che stava realmente accadendo in quella stanza buia.
Chris
aveva annuito con un sorriso sghembo.
Ero
sicuro che lo sapessi. Sei il tipo di
ragazzo che sa questo genere di cose. Aveva
detto, avvicinandosi a
lui. Questo cambia qualcosa tra noi?
Lui
aveva scosso la testa, ancora senza capire. Quella volta aveva
raggiunto il suo
livello massimo di stupidità, forse a causa delle troppe ore
perse di sonno. O
forse perché aveva cominciato a fidarsi troppo di Chris.
Bene,
perché ho una cosa da chiederti:
sai cos’è la Sete per un Hlv?
Il
desiderio di bere sangue di un
donatore, anche solo qualche goccia. Aveva
risposto lui
automaticamente, mentre Chris gli si avvicinava. A quel punto aveva
capito. Ma
era già troppo tardi. Era stato così stupido,
quella volta, aveva lasciato che
le cose gli cadessero addosso senza nemmeno provare a scansarsi. Era
stanco,
ormai era già troppo stanco per opporre resistenza.
Chris
gli aveva sorriso con gli occhi illuminati da una strana luce,
passandosi la
lingua sulle labbra ed allungando una mano verso di lui.
Aveva
lasciato che quella mano premesse sulla sua spalla, che quelle labbra
si
posassero sulle sue. Gli aveva permesso di spingerlo sul divano. Quando
poi
Chris gli aveva strappato i pantaloni costringendolo ad allargare le
gambe, lui
si era limitato a chiudere gli occhi e fingere di essere da qualche
altra
parte. Aveva lasciato che accadesse senza nemmeno provare a rifiutarsi,
aveva
lasciato che il corpo dell’altro lo schiacciasse contro i
cuscini sporchi,
aveva permesso che lo gestisse come meglio credeva.
Quella
notte, nemmeno le mani di Chris erano state gentili.
Aveva
iniziato ad avere paura quando aveva sentito qualcosa di freddo premere
contro
la pelle tesa del suo petto, poco sotto la spalla sinistra. Si era
costretto ad
aprire gli occhi incrociando così lo sguardo bramoso
dell’altro, che gli aveva
sorriso ancora con quella strana luce ad illuminarlo, continuando a
spingersi
dentro di lui senza curarsi del suo dolore. Quando aveva abbassato lo
sguardo
sulla propria spalla era sussultato mentre un piccolo coltellino apriva
un
taglietto sulla sua pelle pallida, macchiandola di sangue. Poche gocce,
una
ferita per cui sarebbe bastato un cerotto. Chris aveva premuto il
coltellino
poco sotto quel taglio, aprendone un altro poco più
profondo. Poi si era messo
a leccare il suo sangue con un mugolio roco.
E
lui, lui aveva lasciato cha accadesse. Aveva chiuso nuovamente gli
occhi e
aveva girato la testa di lato, pensando che infondo rimaneva sempre
Chris, che
non gli avrebbe fatto alcun male, che andava bene così.
Ora
sei mio. Mio, mio.
Aveva sussurrato poco dopo l’altro, liberandolo dalla sua
presa, ma rimanendo
steso sopra di lui per impedirgli di muoversi.
Ti
amo. Aveva
aggiunto poi e dal tono della sua voce aveva capito che ci credeva
veramente.
E
lui
si era aggrappato a quelle parole, le aveva usate come spiegazione a
quello che
era successo, come balsamo per il suo corpo dolorante. Il suo
cuore… per
quello, ormai, non c’era più niente da fare.
Una
settimana dopo aveva scoperto Sarah. Era di nuovo a casa di Chris, di
nuovo
nudo sul suo divano, di nuovo aggrappato a parole che alla luce del
sole gli
apparivano terribilmente false. Con un nuovo, piccolo taglietto sul
petto.
Il
sole aveva provato a dirglielo, ma lui aveva preferito non ascoltare.
Ti
sta usando, gli
aveva sussurrato un giorno quella luce fastidiosa, e
nemmeno lui se ne rende conto.
Ma
lui non aveva voluto credergli, preferendo lasciarsi cullare dalle
rassicurazioni della luna.
Quel
giorno, Chris era rimasto steso al suo fianco più a lungo
del solito aspirando
silenziosamente da una sigaretta che stavano condividendo. Aveva
l’espressione
corrucciata, lo sguardo pensieroso.
Qualcosa
non va? Aveva
chiesto lui dopo un po’ voltandosi leggermente per poterlo
guardare meglio in
viso.
Chris
aveva sbuffato leggermente, soffiandogli in faccia un po’ di
fumo e porgendogli
la sigaretta.
Avevo
una ragazza un po’di tempo fa. Ci
siamo lasciati poco prima che noi due ci conoscessimo. Si
era spiegato poi rivolgendogli un sorriso gentile.
Infondo,
Chris non gli aveva mai fatto del male. Era dolce con lui, lo
proteggeva. Da
tutto, tranne che dal male che si faceva da solo. Quel male, Chris non
riusciva
a vederlo.
Siamo
stati insieme per sette mesi, ma
poi lei ha iniziato a dire di aver capito che non andava più
bene così. Ha
iniziato a dire che si era resa conto di non poter continuare a vivere
in quel
modo. Voleva lasciarsi alle spalle i suoi errori e io, per lei, ero un
errore.
Diceva che non era colpa mia. Diceva che era cambiata. Non voleva
più
continuare così.
Chris
si era interrotto qualche secondo per aspirare una nuova boccata di
fumo e
rivolgergli un altro sorriso triste.
Mi
ha lasciato così, per un cazzo. Io ho
cercato di farla ragionare, sono andato a casa sua, al night club in
cui
lavorava e che ora ha lasciato… e qualche giorno fa me la
sono trovata davanti
con uno stronzetto in giacca e cravatta. Ma ci credi? Mi sono
avvicinato per
parlarle, ma il cazzone si è messo in mezzo solo
perché ho stretto un po’
troppo forte il braccio di Sarah. E lei sai che ha fatto? E’
andata dalla
polizia a chiedere informazioni: voleva sapere cosa avrebbe dovuto fare
per una
denuncia di stalking. Alla fine non se ne è fatto niente, ma
mi ha avvertito
che se non la lascio vivere in pace mi denuncerà. Tu guarda
cosa cazzo combina
quella…
Lui
era rimasto in silenzio per qualche istante, chiudendo gli occhi per
assicurarsi che Chris non riuscisse a scorgere i suoi pensieri prima
che lui
riuscisse a celarli. Quando era tornato a guardarlo, Chris aveva smesso
di
sorridere.
Perché
non la lasci perdere?
Aveva sussurrato infine, Insomma, hai me
ora, no? Si era affrettato ad aggiungere davanti
all’espressione infastidita
dell’altro.
Chris
aveva sospirato rilassando i muscoli che aveva teso per
l’irritazione e gli
aveva rivolto un nuovo, breve sorriso.
Certo
che ho te ora, ma è una questione
di principio. Insomma, Sarah mi ha lasciato per un cazzo. Voglio
chiarire
questa storia. Si sta comportando da stronza e questo non mi sta bene.
Lui
si era limitato ad annuire ed aveva chiuso nuovamente gli occhi. Ancora
una
volta, aveva lasciato che accadesse. Conosceva bene Chris, sapeva che
non
avrebbe lasciato la presa su Sarah fino a quando non sarebbe riuscito a
farla
crollare. Sapeva che avrebbe fatto qualcosa di stupido, ma aveva
preferito
chiudere gli occhi ed ignorare quella consapevolezza. Ancora una volta,
era
troppo stanco per reagire.
E
così, Chris aveva continuato ad inseguire Sarah. Fino a
quando lei non si era
stancata e la denuncia per stalking non l’aveva fatta
veramente.
Era
successo una settimana prima, mentre lui si trovava ancora una volta a
casa di
Chris.
Quella
puttana! Aveva
urlato l’altro, continuando ad attraversare il salotto con
grandi passi, Lo ha fatto veramente, capisci?
Lei e quello
stronzo di un universitario! Denuncia per stalking, ma te ne rendi
conto? Come
se le avessi fatto del male! Oh, ma questa volta mi sente! Non le
permetterò di
fare una cosa simile e passarla liscia!
Chris,
aveva
sussurrato lui
senza abbassare lo sguardo dal viso furioso del ragazzo,
lascia perdere, per favore. Non peggiorare la tua situazione.
Chris
si era voltato verso di lui con gli occhi accesi dall’ira e
lo aveva afferrato
con forza per un braccio, costringendolo senza fatica ad alzarsi dalla
poltrona
su cui si era rannicchiato.
Non
dire stronzate!
Gli
aveva urlato in faccia, strattonandolo come se fosse una bambolina di
pezza, Ora la colpa sarebbe mia? E’
questo che stai
dicendo?
Lui
aveva
scosso la testa, spaventato da quella rabbia che Chris non gli aveva
mai rivolto.
Sono
solo preoccupato per te. Non voglio
che tu faccia qualcosa di stupido.
Chris
lo spinto a terra senza ritegno, guardandolo con disprezzo
dall’alto.
Vattene.
Vattene da qui, prima che faccia
veramente qualcosa di stupido.
E
lui
aveva obbedito. Avrebbe voluto provare a farlo ragionare, provare a
salvare
Sarah. Almeno lei aveva il diritto di farsi una vita. Avrebbe veramente
voluto
opporsi alla rabbia di Chris, ma non ne era stato in grado. Alla fine,
aveva
preferito salvare se stesso.
Per
qualche giorno non era uscito di casa, fino a quando quella mattina non
gli era
arrivata la notizia. Chris aveva aggredito Sarah e il suo nuovo ragazzo
la sera
prima, fuori dalla casa in cui erano andati a convivere. In
realtà, la polizia
li aveva trovati tutti e tre a terra sul viale, privi di sensi. Le
indagini
erano appena iniziate, ma la denuncia per stalking rendeva
già Chris il primo
sospettato.
Lui
non aveva bisogno delle indagini per sapere la verità. Lui
già sapeva.
Nonostante
quello, però, era comunque uscito di casa quella mattina e
si era diretto in
ospedale.
Era
sempre Chris, dopotutto.
E
così in quel momento stava seduto su una scomoda sedia
accanto al letto dove
Chris era ancora privo di sensi. Aveva tirato le tende per bloccare la
luce, ma
il sole, come al solto, non si era arreso e un piccolo spiraglio
luminoso
colpiva il suo viso stanco. Era anche colpa sua. Era principalmente
colpa sua.
Aveva lasciato che accadesse, non era riuscito ad impedirlo. Ecco, il
sole lo
metteva difronte al suo ennesimo fallimento.
“Tu
chi sei?” una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare,
costringendolo a
voltarsi.
Un
uomo era appena entrato nella stanza d’ospedale e in quel
momento gli stava
mostrando il suo distintivo. Un poliziotto, probabilmente
l’incaricato del
caso, andato a controllare se Chris avesse ripreso i sensi per
interrogarlo.
“Un
suo amico.” rispose lui sostenendo senza problemi lo sguardo
duro dell’uomo.
“Amico?”
Lui
annuì senza scomporsi: “Lo so, sembro una ragazza.
Devo calarmi i pantaloni per
convincerla?”
Era
infastidito. Non aveva alcuna voglia di perdere tempo con un
poliziotto. Lui la
conosceva già la verità, non aveva bisogno delle
indagini.
“Come
ti chiami?” chiese l’uomo prendendo una sedia e
posizionandosi di fronte a lui,
ignorando la sua espressione irritata.
A
quel punto, non gli rimase che rispondere: “Seth.”
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Capitolo 2 *** Giulia ***
Giulia
Appoggiato
a quella finestra, lo sguardo fisso sulla luna, riusciva solo a
sospirare.
Avrebbe voluto potersi dissolvere come polvere, o essere assorbito
dalla notte.
Tutto pur di andarsene da lì. Aveva superato anche la fase
del disgusto ormai.
Aveva superato ogni cosa.
Erano
passati due giorni dall’aggressione di Chris e il ragazzo non
voleva ancora
saperne di risvegliarsi. A quanto dicevano i medici, c’era
stata una
colluttazione e tutte tre le vittime erano rimaste gravemente ferite.
Sarah era
quella che più di tutti rischiava la vita: aveva perso molto
sangue e il suo
corpo esile stentava a riprendersi. Il suo ragazzo, l’universitario,
come lo aveva chiamato Chris, era messo un po’
meglio, ma era stato pugnalato molteplici volte. In ogni caso, anche
per lui la
morte sembrava terribilmente vicino.
Chris
era quello che stava meglio anche se i suoi occhi rifiutavano di
aprirsi.
Come
ti chiami?
aveva chiesto quel commissario due giorni prima, in ospedale.
Lui
continuava
ad andare da Chris ogni giorno, spinto da chissà quale
impulso, ma non aveva
più incontrato il poliziotto. Non ancora, almeno. Era sicuro
che si sarebbe visti
di nuovo, presto. Il commissario Jonathan Stuart, per sua sfortuna, non
era
stupido. Non avrebbe lasciato facilmente la presa su di lui.
Sospirò
nuovamente, lo sguardo ancora fisso su quell’astro pallido
che sembrava ridere
di lui.
Era
crudele, la luna. Lo era sempre stata. Ma lui non riusciva ad
allontanarsene,
come non riusciva ad allontanarsi da Chris.
Continuava
a sbagliare e non si stancava mai di ricadere negli stessi errori. Cosa
c’era
che non andava in lui? Se lo era chiesto troppe volte ormai, eppure non
riusciva mai a trovare una risposta. Non quella giusta, almeno.
Seth,
aveva risposto.
Seth.
Quello era il suo
nome. Quello era lui.
Seth,
un nome che alle sue
orecchie non diceva più nulla. Era vuoto, proprio come lui.
Privo di
aspettative, senza vita.
Cosa
sarebbe stato di lui? Che fine avrebbe fatto? Non aveva più
importanza. Nulla
aveva più importanza ormai.
Hai
detto che sei un suo amico, aveva
continuato il commissario, quindi saprai
della denuncia che Sarah Thomas aveva fatto. Per stalking. Come
l’ha presa
Chris?
Non
avrebbe voluto rispondere, ma che possibilità aveva? Se
fosse rimasto in
silenzio, Jonathan Stuart avrebbe avuto una scusa per trascinarlo in
questura e
a quel punto sarebbe diventato tutto più ufficiale. Sarebbe
stato un problema
per lui. E per quanto fosse affezionato a Chris, Seth non amava i
problemi. Ne
stava lontano il più possibile, li evitava con tutte le sue
poche energie. Era
quello il motivo per cui, poche sere prima, aveva lasciato
l’appartamento di
Chris invece che tentare di dissuaderlo dal fare una sciocchezza. Era
quello il
motivo per cui, due giorni prima, aveva risposto al poliziotto.
Non
bene. Un
sussurro, niente più che un flebile mormorio. Una strana
nausea si era
impossessata di lui: avrebbe solo voluto che l’uomo se
andasse, che lo
lasciasse solo. Ma, come al solito, nessuno ascoltava mai i suoi
desideri.
E’
stato lui, non è così? Ha dato di
matto per essere stato scaricato e ha deciso di liberarsi del rivale.
Sarah è
stata punita per la sua sfrontatezza. E’ questo che
è successo, vero?
Aveva
scosso la testa con troppa poca convinzione per essere credibile e
l’uomo si
era avvicinato ulteriormente a lui, accostando le labbra al suo
orecchio.
Dimmi
la verità, Seth. Il tuo amico ha
fatto un bel casino, non è così?
Lui
si era ritratto infastidito, sbuffando e lanciando
un’occhiataccia a Stuart. Ricordava
ancora come si faceva, dopotutto. Era diventato un relitto,
l’ombra di se stesso,
ma sapeva ancora difendersi.
La
verità, signor commissario, è che non
avete nessuna prova, altrimenti non sareste qui a farmi domande e Chris
sarebbe
già ammanettato. La verità, signor poliziotto,
è che io so che Chris non aveva
preso bene quella denuncia, ma null’altro. Aveva
alzato la voce
senza nemmeno accorgersene, gli occhi stranamente accesi fissi in
quelli
sorpresi dell’uomo, i pugni stretti e un insano desiderio di
urlare.
La
verità,
aveva continuato avvicinandosi al viso del poliziotto e sibilando, la verità, signor Jonathan Stuart,
è che
quello che è successo realmente non lo sa nessuno. Non lo so
io e non la sa
lei. La verità è che ci sono tre persone che
rischiano la vita e tutto ciò che
lei sa fare è stare qui a parlare con me.
L’uomo
aveva riso soffiando il suo fiato al retrogusto alcolico contro il suo
viso. Erano
rimasti in silenzio e vicini per un tempo indefinito, poi Stuart si era
alzato,
spostandosi dietro di lui e poggiando entrambe le mani sulle sue spalle.
A
presto, Seth. Aveva
sussurrato direttamente contro il suo orecchio, stringendo leggermente
la presa
sulle sue spalle, poi se ne era andato.
Sospirò
ancora e ancora, senza sapere che altro fare. Era stato giusto
difendere Chris?
Perché non aveva detto al poliziotto che sì, era
stato lui, non poteva essere
altrimenti.
Non
capiva più nulla. Aveva perso se stesso, non poteva perdere
anche Chris. Non
poteva lasciarlo solo.
“Seth.”
Sussultò
voltandosi verso la porta della propria stanza. Sua madre stava
appoggiata allo
stipite, i capelli scompigliati e la gonna troppo corta sporca di
chissà cosa.
I suoi occhi, terribilmente chiari, erano cerchiati di nero. Occhiaie?
Trucco?
Più probabilmente lividi. Sembrava stranamente lucida, come
non la vedeva da
tanto.
“Giulia.”
sussurrò lui in risposta, impassibile.
La
donna sospirò avvicinandosi al figlio e lasciandosi cadere
sul letto ancora
intatto, mentre lui rimaneva rannicchiato sul davanzale, le spalle ora
appoggiate alla finestra.
“Non
sono mai stata mamma per te.” mormorò lei
fissandosi le mani intrecciate e
pallide: “Non lo sarò mai.”
Lui
rimase in silenzio, aspettando che Giulia continuasse. Era da mesi che
non
parlava con sua madre, si vedevano a stento. Di giorno dormivano
entrambi o si
isolavano, di notte ognuno aveva i propri pensieri. Giulia batteva le
strade, lui
gironzolava senza meta. La donna non sapeva nulla delle vita del
ragazzo e lui
non perdeva tempo a cercare di sapere qualcosa di lei.
“Seth.”
lo chiamò nuovamente la donna, alzando lentamente gli occhi
arrossati e stanchi
e puntandoli in quelli del figlio: “Non ti riconosco
più.”
“Non
ci vediamo più. Come potresti riconoscermi?”
Giulia
rise piano, una risata amara, piena di lacrime mai piante e sentimenti
stroncati sul nascere.
“Sei
mio figlio, anche se a nessuno dei due piace ammetterlo. E io non ti
riconosco
più. Eri un bambino straordinario, sembrava che nulla
potesse mai fermarti. Non
il dolore, non la povertà, non la paura. Cosa ti
è successo?”
Lui
sgranò leggermente gli occhi, sorpreso. Giulia stava
riuscendo a formulare
frasi di senso compiuto: non biascicava, non borbottava, non vomitava.
“Stai
meglio.” sussurrò, un lieve sorriso ad
increspargli la labbra secche.
“E
tu
peggio.”
Seth
sospirò ancora, lanciando una breve occhiata alla luna prima
di tornare a
guardare gli occhi stranamente limpidi delle donna.
“Le
cose sono cambiate per me, Giulia.”
Lei
scosse la testa, decisa e contemporaneamente sconfitta: “Le
cose non sono mai
cambiate. Tu lo sei. E io non ti riconosco più. E’
colpa mia, lo so.”
“Non
è colpa di nessuno.”
“Vattene,
Seth.” sussurrò la donna mentre delle piccole
lacrime le rigavano le guance
pallide: “Vattene da qui. Fuggi da questa luna. Pensi che non
lo capisca? Tu
sei proprio come me. Vattene da qui e trova un luogo per imparare ad
amare il
sole. Fuggi, Seth, e non voltarti mai indietro. Non tornare mai. Volevi
andare
in città, entrare finalmente a Parigi. Volevi studiare
musica. Sei così
giovane. Ti supplico, non ridurti come me. Non distruggerti con le tua
stesse
mani.”
Lui
trattenne il fiato, immobile. Cosa gli stava chiedendo di preciso?
Voleva che se
andasse? Lo stava cacciando? Stava cercando di salvarlo.
“Giulia…”
mormorò, senza capire.
“Ti
prego,
Seth. Vattene da qui. Sei intelligente, troverai il modo di
sopravvivere.
Prendi tutto ciò che puoi vendere, i pochi risparmi che
abbiamo. Fuggi. Ti
imploro. Salvati.”
Prima
che lui potesse ribattere, la donna si alzò asciugandosi
lentamente le guance: “Ora
devo andare.” sussurrò prima di uscire nuovamente
di casa e tronare alle
strade.
Giulia
amava Seth, lo amava con tutta se stessa. Era l’unica cosa
bella della sua
vita. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. Quel ragazzo, quella
creatura
meravigliosa, aveva enormi potenzialità. Avrebbe potuto
costruirsi un grande
futuro, avrebbe potuto raggiungere tutti i suoi scopi. Invece, lo aveva
visto
abbattersi ogni giorno di più, lo aveva visto scavarsi a
mani nude la propria
fossa. Proprio come aveva fatto lei. Lo aveva visto uccidersi.
Quando
la donna uscì, Seth chiuse gli occhi, le spalle ancora
appoggiate al vetro
freddo. Non doveva illudersi. Non doveva farlo. Andarsene da
lì non avrebbe
portato a nulla. Non era una via di fuga quella, era un vicolo cieco.
Eppure…
rimanendo in quella periferia cosa avrebbe ottenuto? Alcol, droga e dei
tagli
sul petto. Peggio di così non poteva certo andare. O forse
sì?
Cosa
avrebbe trovato a Parigi?
Rimase
sul quel davanzale, le gambe tirate al petto, le mani fra i capelli
sciolti, il
fiato fermo in gola, fino a quando il sole non sorse, ricoprendolo di
nuovo
dolore.
Era
ora di uscire. Era ora di andare da Chris.
Aveva
la testa stranamente leggera mentre si vestiva, come se ogni
preoccupazione
fosse volata lontana. Non riusciva più a pensare, faticava
persino a respirare.
Vattene.
Fuggi.
Non
voltarti mai indietro.
Salvati.
Gli
sembrava di aver solo sognato quelle parole. Possibile che la donna
fosse
veramente stata nella stanza? Possibile che avessero veramente parlato?
Salvati.
Ti
prego, Seth.
Salvati.
Per
la prima volta, Giulia si era comportata da madre. Per lui, quella donna era sempre
stata solo Giulia. Mai
mamma. Era più facile così sopportare il fatto
che lo avesse abbandonato a se
stesso fin dal primo giorno. Ma solo poche ore prima, lei era seduta
sul suo
letto, le guance rigate di lacrime e le labbra a sussurrare parola mai
dette
prima.
Solo
poche ore prima, Giulia era stata sua madre.
Vorrei
che tu fossi sempre con me. Aveva
sussurrato quelle parole a Chris, steso sul suo divano, il viso
affondato in un
cuscino. Era stato poco prima che scoprisse Sarah.
Quando
non ci sei tu, sono solo.
Aveva continuato, mettendosi seduto e passando le dita fra i capelli
per
pettinarli.
Chris
gli aveva sorriso tristemente attirandolo a sé e
stringendolo contro il proprio
petto nudo.
Mi
dispiace, Seth. Aveva
sussurrato lasciandogli un veloce bacio sulla tempia, ma
vivi con tua madre, giusto? Aveva chiesto poi, scostandolo
leggermente da sé per guardarlo negli occhi.
Lui
aveva annuito lentamente, recuperando l’elastico da terra e
cominciando ad
intrecciarsi i capelli con gesti automatici.
Io
e Giulia non ci vediamo da un po’. Non
parliamo più ormai. Vivere con lei significa vivere solo.
Chris
lo aveva guardato confuso, poggiandogli la sigaretta sulle labbra per
permettergli di aspirare una boccata di fumo senza dover allontanare le
mani
dai capelli.
Giulia?
E’ il nome di tua madre? Aveva
chiesto poi.
Per
me è solo Giulia. Non è mai stata una
madre, non ne è capace.
A
quelle parole Chris non aveva risposto, limitandosi a stringerlo con
dolcezza.
Era
cambiato tutto ora. Chris era in ospedale, aveva quasi ucciso due
persone.
Giulia aveva cominciato a ricordarsi della sua esistenza. Per una volta
era
stata sua madre.
Cosa
avrebbe dovuto fare? Fuggire? Darle retta? E Chris? Cosa sarebbe stato
di Chris
se lui se ne fosse andato?
Salvati.
Vattene.
Fuggi.
Non
voltarti mai indietro.
Ti
prego, Seth.
Salvati.
Continuava
a sentire quelle parole scivolare nelle sue orecchie come sussurri
delicati e
contemporaneamente prepotenti.
Possibile
che Giulia gli stesse veramente offrendo una via di fuga? Infondo, cosa
lo
tratteneva in quella periferia? Chris non sarebbe mai riuscito a
salvarsi. O
sarebbe morto, o sarebbe andato in prigione a vita. Giulia era sempre
stata
sola, proprio come lui. Non era riuscito a salvare Sarah.
Non
c’era
nulla per lui lì.
Giulia.
Stai uno schifo.
Era
successo qualche anno prima, quando lui e sua madre si incrociavano
ancora,
ogni tanto. Era rientrato all’alba e aveva trovato la donna
accasciata sul
pavimento, nuovi lividi a coprirle il viso e gli occhi offuscati dalla
droga.
Lei
aveva alzato lentamente lo sguardo su di lui, osservandolo come se
nemmeno lo
riconoscesse.
Seth,
aveva
sussurrato dopo
qualche minuto di silenzio, la voce roca, cosa
ci fai qui?
Ci
vivo. Aveva
risposto acido lui, avvicinandosi alla
donna ed alzandola di peso, fino a trascinarla sulla poltrona.
Seth,
aveva
ripetuto lei,
chiudendo gli occhi arrossati ed abbandonandosi completamente sui
cuscini. Poi
aveva cominciato a borbottare parole senza senso. L’unica
cosa che aveva udito
con chiarezza era stato perdonami.
Forse
era stato troppo duro con lei. Infondo, erano molto più
simili di quanto gli
piacesse ammettere. Si erano affondati entrambi, da soli. Si erano
scavati una
fossa fredda e scomoda, proprio come era sempre stata la loro vita.
Forse
avrebbe dovuto darle retta. Forse avrebbe solo dovuto andarsene.
Non
c’era
nulla lì per lui, non c’era mai stato.
Uscì
di casa, lo sguardo fisso sull’asfalto per proteggere i suoi
occhi troppo chiari
dal sole.
Era
ora di andare da Chris.
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Capitolo 3 *** Addio, Seth ***
Addio,
Seth
Arrivò
in ospedale con la testa stranamente leggera: durante il tragitto aveva
smesso
di pensare, lasciandosi guidare solo dall’istinto e
dall’abitudine. Salì le
scale senza rispondere all’infermiera che gli chiese dove
stesse andando e
raggiunse la stanza di Chris inconsapevolmente, immerso in un oblio
nebuloso.
Da
qualche parte nella sua mente una voce gli stava dicendo
insistentemente che
non poteva continuare a fingere di aver già dimenticato le
parole di Giulia, ma
lui era determinato ad ignorarla. Era più facile in quel
modo.
“Sei
venuto, alla fine. Ne ero sicuro.”
Si
bloccò sulla soglia, trattenendo un’espressione di
stupore e riuscendo a
rimanere impassibile: cercò di sollevare lo sguardo verso il
lettino di Chris,
ma la luce era troppo. Il sole non sembrava disposto a permettergli di
guardare
in faccia il suo interlocutore.
Proteggendosi
il viso con una mano entrò nella stanza chiudendosi la porta
alle spalle,
quindi, ignorando l’uomo seduto in un angolo, tirò
con rabbia le tende,
lasciando all’esterno la luce. Sapeva che non sarebbe
servito, il sole era da
sempre più furbo di lui, un modo per ferirlo lo avrebbe
sempre trovato. Almeno,
però, ora poteva sollevare lo sguardo.
Si
voltò con calma verso Jonathan Stuart, appollaiato su uno
sgabello accanto al
letto dove giaceva Chris, ancora privo di sensi.
“Mi
aspettava?” chiese inarcando un sopracciglio ed appoggiandosi
alla finestra
finalmente oscurata, le braccia mollemente incrociate sul petto.
Era
bravo a difendersi, lo aveva sempre fatto. Non sarebbe stato un
poliziotto
arrogante a spaventarlo.
“I
medici dicono che vieni tutti i giorni.” rispose con
noncuranza l’uomo,
sorridendo leggermente: “Gentile da parte tua.”
Lui
rimase immobile, attendendo che l’atro riprendesse,
sostenendo senza fatica il
suo sguardo.
“Deve
darti molto fastidio il sole. Ogni volta entri qui tiri le tende.
Certo, lo
capisco, hai gli occhi molto chiari.”
Seth
rise leggermente, una risata sprezzante ed arrogante, una risata che
non gli
apparteneva.
Si
scostò dalla finestra prendendo una sedia e portandola
accanto al letto di
Chris, dal lato opposto rispetto a quello in cui si trovava il
poliziotto.
Chris
teneva ancora gli occhi irrimediabilmente chiusi, troppo testardo per
risvegliarsi.
“Parlagli
pure, avanti. I medici dicono che faccia bene a chi è in
coma essere stimolato.”
Lui
non rispose nemmeno quella volta, lasciando che il proprio sguardo
scivolasse
sul viso inespressivo di Chris. Aveva sbagliato tutto. Di nuovo. Non
avrebbe
dovuto permettere che accadesse una cosa simile, non avrebbe dovuto
lasciarsi
trascinare in quella storia.
Sarebbe
dovuto fuggire il giorno in cui Chris aveva bevuto per la prima volta
il suo
sangue, avrebbe dovuto respingerlo. Avrebbe dovuto fare tante cose che
non
aveva mai avuto il coraggio di fare.
“Ho
sentito dire che anche Chris preferisce la notte. Tu sai che
è un hlv?”
Sollevò
lo sguardo, incrociando gli occhi indagatori dell’uomo. Non
poteva evitare di
rispondergli ancora, non avrebbe ottenuto nulla.
“Un
cosa?” mormorò rassegnato, appoggiandosi
maggiormente allo schienale della
sedia e mantenendo un’espressione insondabile.
Fu
il
turno di Jonathan Stuart per ridere.
“Avanti
piccolo, non cercare di prendermi in giro. Hai capito
benissimo.”
Lui
inarcò semplicemente un sopracciglio, mordicchiandosi
però l’interno delle
guance, nervosamente. Poi, in un attimo, prima che potesse reagire,
l’uomo
aveva aggirato il letto e lo aveva raggiunto, costringendolo ad
alzarsi,
sollevando una mano fino al suo petto e strappando la sua maglietta,
mentre con
l’altra lo costringeva all’immobilità,
serrando un suo braccio in una morsa.
Jonathan
Stuart lo fissò ancora qualche istante, gli occhi
assottigliati, poi lasciò
scivolare la proprie dita sulle piccole cicatrici chiare che si
susseguivano
sotto la spalla sinistra del ragazzo.
Lui
si morse il labbro, bloccando le lacrime e la nausea che lo aveva
assalito.
Scosse la testa, arrabbiato più che spaventato. Gli
sputò in faccia.
L’uomo
si irrigidì qualche istante, quindi sospirò e si
passò stancamente una manica
sul viso. Lo lasciò andare con calma, stranamente non
irritato per quel gesto,
poi recuperò il proprio sgabello e si sedette a pochi
centimetri da lui, i
gomiti appoggiati sulle ginocchia e gli occhi fissi sul profilo
contratto del
ragazzo, che era tornato velocemente a sedersi
Lui
non lo guardava più. Si limitava a fissare con insistenza il
lenzuolo
stropicciato che copriva il corpo di Chris.
“Te
lo concedo,” sussurrò dopo qualche istante Stuart,
avvicinando il proprio viso
a quello del ragazzo: “sono stato davvero poco cortese. Deve
sapere la verità,
Seth.”
Lui
rimase in silenzio, immobile e freddo. Avrebbe voluto andarsene di
lì, ma
sapeva che non poteva fuggire a quell’uomo: non gli sarebbe
bastato alzarsi ed
andarsene, Stuart lo avrebbe seguito e pressato fino a quando non
avrebbe
ottenuto una risposta soddisfacente.
“Sarah
è morta, Seth. Questa notte.”
Alzò
il viso di scatto, guardando il poliziotto con gli occhi sgranati
riempiti dal
più sincero terrore.
“No…”
sussurrò piano, un attimo prima che le lacrime si
liberassero dalla gabbia
fragile delle sua ciglia e scivolassero fin troppo lentamente sulle sue
guance
pallide.
La
ragazza che aveva cercato di salvare era morta. Quello era sicuramente
il suo
più grande fallimento. Se non fosse fuggito da casa di
Chris, quella sera, se
avesse insistito di più, se non avesse pensato solo a se
stesso per una volta,
se fosse stato disposto ad affrontare qualche problema… come
aveva potuto
permetterlo?
Come
aveva potuto fare una cosa simile?
“Non
piangere,
ora.”
La
voce dell’uomo arrivò attutita alle sue orecchie,
ma si sforzò comunque di
ascoltarla.
A
cosa
sarebbe servito inondarlo di lacrime? Non le avrebbe capite, no.
Nessuno le
capiva mai, le sue lacrime. Non Giulia, non Chris, nessuno. Erano
piante sempre
nel momento sbagliato.
“La
conoscevi?”
Scosse
lentamente la testa, senza curarsi di asciugare le strie salate che
bruciavano
sulla sua pelle.
“Allora
perché piangi?”
Lui
non rispose, non subito. Spostò lentamente lo sguardo sul
viso di Chris e per la
prima volta ne fu disgustato: dormiva, troppo spaventato per
svegliarsi. Era
sicuro che sapesse quello che aveva fatto, per quello si ostinava a
rimanere in
coma. Le sue ferite non erano troppo gravi, avrebbe già
dovuto svegliarsi
secondo i medici.
Codardo.
Lo
era anche lui, ma non fino a quel punto.
Che
aprisse gli occhi, che affrontasse le conseguenze della sua
stupidità. Era
quello che voleva ottenere? Sarah stava solo cercando di salvarsi, e
lui l’aveva
uccisa.
L’avevano
uccisa entrambi.
Non
se lo sarebbe mai perdonato, no. Non glielo avrebbe mai perdonato.
Così
stupido, era stato così stupido.
Scostò
lo sguardo dal viso di Chris, tornando a posarlo sulle coperte candide.
“Non
merita il tuo affetto, Seth. E’ un assassino. Ha ucciso una
ragazza che cercava
solo di salvarsi da una storia malata.”
Lui
sospirò stringendosi le braccia al petto per proteggersi da
quell’improvviso
senso di opprimente solitudine. Lentamente riuscì a guardare
negli occhi l’uomo,
senza nemmeno accorgersi di star tremando. Era troppo stanco per
continuare a
mentire. E, dopotutto, non ne voleva più la pena.
“Dimmi
la verità, Seth. Aggressione, omicidio, stalking. Non vale
più la pena
proteggerlo. Non fare lo stesso errore di Sarah: anche lei ha
continuato a
proteggerlo fino a quando non è stato troppo. Lui non ti
lascerà mai andare,
Seth. Ora sei tu quello che va protetto. Dimmi la verità. Ha
già ucciso una
ragazza, se non lo fermiamo farà la stessa cosa a te quando
cercherai di
sfuggirgli.”
E
lui, lui ormai era troppo debole per resistere ancora. Nulla aveva
più
importanza ormai, non c’era più nulla per lui.
Perché avrebbe dovuto
proteggerlo? Perché avrebbe dovuto salvare un assassino?
Era
sempre Chris, nonostante tutto.
Chris
non avrebbe mai fatto del male a lui, Chris lo amava. Forse non voleva
far del
male nemmeno a Sarah.
Riuscì
quasi a sentirla, la risata del sole. Ancora si illudeva?
Ti
amo.
Forse
Chris aveva creduto davvero in quelle parole, ma lui no. Non aveva mai
potuto
farlo, non con il sole che lo metteva costantemente difronte ai suoi
errori.
Non
c’era
più nulla per lui lì, non c’era mai
stato. Chris lo aveva solo usato, Giulia
non era mai stata una madre, la luna lo stava lentamente uccidendo.
“Dimmi
la verità, Seth.”
E
a
quel punto, perché non avrebbe dovuto farlo?
“E’
stato lui. E’ stato Chris. Se si sveglierà,
riuscirete a farlo confessare. Si
crede molto più forte di quanto sia in realtà.
Quando vedrà che avete la
certezza della sua colpevolezza, confesserà ogni
cosa.”
Si
alzò puntando alla porta con passo incerto e tremante.
Voleva solo poter andare
via, ma le sue gambe non erano d’accordo. Crollò
miseramente al suolo,
sbattendo le ginocchia con il pavimento freddo e singhiozzando senza
più riuscire
a frenare le lacrime.
Fu
un
attimo, poi le mani improvvisamente gentili di Jonathan Stuart furono
sulle sue
spalle e lui si sentì avvolto da delle braccia che non
conosceva, in un
abbraccio che non meritava.
“Mi
dispiace.” sussurrò la voce dell’uomo,
per la prima volta gentilmente: “Non
avrei voluto farti del male, ma non aveva altra scelta. Lascia che ti
accompagni a casa, ora.”
Lui
scosse la testa, artigliando con mani tremanti la camicia bianca del
poliziotto
ed affondandovi il viso, imponendosi di respirare a fondo e calmarsi.
Doveva
fare ancora una cosa importante.
Rimase
in silenzio ancora qualche istante per recuperare la voce, stretto al
petto di
quel poliziotto che tanto aveva disprezzato e che si stava dimostrando
inaspettatamente
gentile.
“Devo
andare da Sarah, prima.” riuscì a mormorare
infine, asciugandosi gli occhi e
tirandosi in piedi a fatica, ancora sorretto dall’uomo.
Jonathan
non fece domande, limitandosi a scortarlo in silenzio fino alla stanza
in cui
giaceva il corpo senza di vita di Sarah. Non c’era nessuno
attorno a lei,
nessuno disposto a piangerla o ricordarla. Il suo fidanzato avrebbe
anche
potuto non svegliarsi mai ed in quel caso la memoria di Sarah sarebbe
svanita
per sempre. Lei era sola, proprio come lui. Se ci fosse stato lui al
posto di
quella ragazza, la stanza sarebbe stata ugualmente vuota e silenziosa.
Lo
avrebbe fatto lui: lui avrebbe ricordato Sarah, lui avrebbe pianto la
sua
morte, lui le avrebbe donato la compagnia che meritava.
Stuart
rimase fermo sulla soglia mentre lui si avvicinava lentamente al
lettino d’ospedale
in cui giaceva la ragazza che aveva invano cercato di salvare. Era la
prima
volta che la vedeva.
Era
pallida, le labbra sottili aveva assunto un colorito violaceo, i
capelli
castani erano spenti e spettinati sul cuscino.
Come
sarebbe stato vederla di viva? Sarebbero andati d’accordo?
Cosa sarebbe
successo se avesse conosciuto lei anziché Chris?
Era
inutile pensarci ormai, non sarebbe cambiato nulla.
Sollevò
lentamente una mano tremante, poggiandola con tutta la delicatezza
possibile
sulla fronte fredda e rigida della ragazza. Permise ad una sola lacrime
di
scivolare sulla sua guancia, poi si impose immediatamente di non
piangere. Non
ne aveva il diritto, no. Non difronte a colei che aveva lasciato morire.
“Perdonami,
Sarah.”
Rimase
ancora qualche secondo a fissare quegli occhi chiusi, mentre la strana
consapevolezza che non ne avrebbe mai saputo il colore lo lasciava
improvvisamente senza fiato.
Si
riavvicinò a Jonathan, accettando di tornare ad appoggiarsi
a lui, lasciandosi
sorreggere.
“Non
è stata colpa tua.” mormorò
l’uomo mentre si incamminava lentamente verso il
parcheggio.
“Sì,
invece. Avrei potuto salvarla. Avrei dovuto fare qualcosa.”
“E’
solo di Chris la colpa per quanto le è successo.”
Chris.
Era
uscito dalla sua stanza senza più guardare il suo viso
addormentato. Non
sarebbe più tornato in ospedale, di quello era sicuro. Non
avrebbe mai più
rivisto quel ragazzo. Non avrebbe potuto sopportarlo.
“L’abbiamo
uccisa entrambi.” mormorò più a se
stesso che all’altro, lo sguardo basso,
costantemente ferito dalla luce del sole.
Stuart
lo tirò maggiormente contro di sé, stringendolo
delicatamente: “No. Chris l’ha
uccisa. E avrebbe fatto lo stesso a te.”
Rimasero
in silenzio per tutto il resto del viaggio. Quando l’auto si
fermò difronte a
casa sua, Giulia non c’era. Non era sorpreso: come avrebbe
potuto esserlo?
Jonathan
lo accompagnò fino all’ingresso: “Cosa
hai intenzione di fare ora?”
Lui
esitò un attimo prima di rispondere, dondolandosi da un
piede all’altro, stanco:
“Non lo so.”
L’uomo
annuì senza smettere di guardarlo negli occhi, quindi lo
attirò nuovamente a sé
in un abbracciò delicato: “Qualcosa mi dice che
questo non è un arrivederci.”
Non
riusciva a capirlo, ma aveva ragione: non avrebbe rivisto mai
più nemmeno lui.
Non
rispose, limitandosi a scuotere la testa contro la sua spalla e
sospirando. Non
aveva più la forza nemmeno per parlare.
Jonathan
lo lasciò andare dopo qualche istante, facendo qualche passo
indietro e
fissandolo di nuovo: “Addio, Seth.”
E
lui, lui non rispose nemmeno quella volta: semplicemente si chiuse la
porta
alle spalle.
|
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Capitolo 4 *** Sunshine ***
Sunshine
Il
respiro regolare di Giulia lo tranquillizzava, infondendogli la strana
certezza
di aver preso la scelta giusta.
Salvati.
Ti
prego Seth, salvati.
Va’
via di qui.
Era
stato difficile, forse troppo. Cosa lo tratteneva lì? Ora
che aveva perso anche
Chris, ora che non riusciva più nemmeno a pensare a lui
senza sentirsi
nauseato, ora che Sarah era morta, cosa lo tratteneva ancora
lì?
Nulla,
se non la paura. Terrore che, ovunque fosse andato, nulla sarebbe
cambiato. Ma
non poteva permettere che la paura avesse un tale potere su di lui, non
più.
Non dopo quello che era successo a Sarah.
Era
stato difficile, sì, ma la sua valigia era ormai pronta.
Aveva radunato tutte
le sue cose, preso alcuni dei pochi risparmi che c’erano in
casa e qualche
oggetto che avrebbe potuto vendere per ricavarne qualcosa.
Giulia
aveva ragione: era bravo a sopravvivere, lo aveva sempre fatto. Aveva
dimenticato così tanti sogni… forse, forse era
arrivato il momento di
rispolverarne qualcuno. Forse era arrivato il momento di smettere di
sopravvivere ed imparare a vivere.
Lo
doveva a Sarah, a Giulia e a Jonathan. Lo doveva al bambino che era
stato, al
ragazzino forte insensibile al dolore che era smesso di esistere quando
aveva
rinunciato alla sua vita ed aveva iniziato a scavarsi da solo la
peggiore delle
fosse. Lo doveva al ragazzo che poteva diventare in futuro, quel
ragazzo che
fino a quel momento aveva rinchiuso in una gabbia troppo piccola
persino per
respirare. Lo doveva al sole, che non aveva mai smesso di ricordargli
che non
sarebbe servito a nulla perdersi nei sogni e dimenticarsi di vivere. E
lo
doveva un po’ anche a Chris, alla parte di lui che gli era
stato accanto,
credendo in parole che lui, Seth, sapeva essere false. Lo doveva a
troppe
persone per tirarsi indietro.
Era
fermo, appoggiato allo stipite della porta di Giulia, da troppo ormai.
Era
rimasto immobile per un tempo indefinito ad ascoltare il respiro
regolare e un
po’ tremulo di sua madre. Lui non ci sarebbe stato quando
quel respiro si
sarebbe spezzato una volta per tutte e nessuno lo avrebbe avvisato.
Giulia se
ne sarebbe andata nell’ombra, proprio come tutti quelli che
rimanevano in
quella periferia.
Aveva
pensato di portarla con sé per un solo, breve, attimo: era
troppo tardi per
lei, ormai. Aveva letto quella consapevolezza negli occhi tristi di sua
madre
solo qualche ora prima, mentre implorava suo figlio, il suo unico
tesoro, di
non commettere i suoi stessi errori. Portarla via con sé
avrebbe affondato
entrambi, e non era quello ciò che Giulia voleva.
Non
ci sarebbe stato nulla da rimpiangere, nulla da ricordare con
malinconia per
lui quando avrebbe raggiunto, finalmente, la capitale.
Inspirò
a fondo, muovendosi silenziosamente per non svegliare la donna e
raggiungendo
in pochi passi il comodino accanto al letto. Aveva preso una penna e un
pezzo
di carta, strappato ed ingiallito. Scrisse poche parole, solo quelle
necessarie. Nulla di troppo.
Grazie,
mamma.
Giulia
se lo meritava, dopotutto. Forse era stato ingiusto con lei, forse
l’aveva
giudicato troppo duramente. Infondo, Giulia forse aveva cercato di
essere una
madre per lui, mentre lui faceva di tutto per non essere suo figlio. Ma
di una
sola cosa era sicuro: in quel momento, Giulia meritava di essere,
finalmente,
chiamata mamma.
Aveva
preso anche una forbice. Le
mani gli
tremavano leggermente mentre le sollevava e portava la lama
all’attaccatura
della treccia. Un solo colpo, deciso, i suoi capelli divennero
improvvisamente
leggeri. Raccolse la treccia da terra, il respiro improvvisamente
affannoso, e
la posò con le forbici e il biglietto sul comodino di sua
madre.
Ancora
qualche attimo. Ancora qualche attimo per fissare il viso contratto di
Giulia prima
di uscire per sempre da quella stanza. Qualche respiro dopo, proprio
come aveva
fatto con Chris, se ne andò senza più voltarsi
indietro, chiudendo la porta
della stanza di Giulia senza nemmeno un cigolio. Se ne stava andando in
silenzio, proprio come era vissuto fino a quel momento. Non visto, non
amato,
presto dimenticato. Le droghe avrebbero annebbiato la mente di Giulia
fino a
fargli perdere ogni ricordo di lui, proprio per quello gli aveva
lasciato la
treccia: un piccolo segno, qualcosa che permettesse alla donna di avere
un vago
sentore della sua presenza anche in futuro. Quella treccia lo aveva
sempre
accompagnato in ogni errore, doveva liberarsene per dire
definitivamente addio.
Non
visto, non amato, presto dimenticato.
Dio,
non avrebbe più permesso fosse così, non avrebbe
più permesso a se stesso di
distruggersi.
Raggiunse
il bagno fermandosi davanti allo specchio con il respiro accelerato.
Oh,
era così strano.
I
suoi capelli scuri cadevano corti e liberi sugli zigomi e sulle guance,
coprendogli appena la base del collo. Si sentiva come se stesse
fissando uno
sconosciuto dall’aria familiare, così simile a lui
eppure così diverso. Era
ancora pallido, aveva ancora gli occhi troppo chiari e i lineamenti
troppo
delicati, femminei.
Ma
era tutto così diverso, ora.
C’era
qualcosa, in quel riflesso, che lo confondeva: era come se quel
ragazzo,
incredibilmente simile e contemporaneamente terribilmente diverso da
lui, fosse
lì da sempre, chiuso in quello specchio, ad aspettarlo.
Un
destino che lo stava chiamando, un futuro che pregava
affinché lui si
accorgesse della sua presenza e lo raggiungesse.
Oh,
era tutto così strano.
Li
poteva sentire, tutti, uno per uno, i brividi che gli scivolavano sulla
pelle.
Non riusciva ad allontanare lo sguardo da quel viso pallido ed affilato
che
sembrava quasi stesse per sorridere.
Quello
sarebbe potuto essere lui.
Quello
era lui.
Sollevò
lentamente una mano passandola con delicatezza fra i capelli scuri,
tirando
piano qualche ciocca corta e liscia.
Rimase
ancora qualche attimo a guardare quel se stesso straniero, a tirare dei
capelli
che le sue dita non riconoscevano, a respirare un aria che gli bruciava
sempre
meno i polmoni.
Doveva
andarsene.
Andarsene
per non tornare mai più.
Non
era più lui ormai, non c’era nulla del vecchio
sé in quel riflesso.
Avrebbe
imparato, lo avrebbe fatto davvero, a dimenticare il suo passato, ad
uscire
dalla spirale di errori in cui lo aveva trascinato la luna.
Prese
un paio di respiri profondi prima di voltare le spalle anche allo
specchio e
chiudersi anche quella porta alle spalle.
Basta.
Perché
aveva aspettato tutto quel tempo?
Quello
non era lui.
Il
ragazzo che aveva conosciuto Chris,
che gli aveva permesso di fare di lui tutto ciò che voleva,
quello non era lui.
Basta.
Era
ora di ricominciare a respirare.
Afferrò
la sua valigia con violenza prima di dirigersi quasi correndo alla
porta e,
senza più esitare, la spalancò. Un istante, un
passo, ed era già richiusa.
A
quel punto, smise di pensare. Lasciò che il proprio corpo
prendesse le
decisioni, si lasciò guidare, correndo come mai aveva fatto
prima di allora,
verso la stazione.
Era
così facile fuggire?
Nessuna
esitazione, nessun dubbio, nessuno che cercasse di trattenerlo.
Chi,
poi? Non aveva più nessuno lì che pensasse a lui.
Chissà
se Chris sarebbe sopravvissuto. Chissà se Jonathan Smith si
sarebbe ricordato
di lui, qualche volta.
No.
Non importava più.
Nessuno
in quella periferia gli aveva mai prestato attenzione, ma non importava
più
ormai.
Nemmeno
quando sentì il tipico rumore dei treni che correvano sulle
rotaie rallentò.
Così
vicino. Era così dannatamente
vicino.
Si
sentiva… libero? Era
quella la
libertà? L’aria che gli scivolava fredda sulla
pelle, i capelli stranamente
corti che gli solleticavano il collo, i polmoni che si stringevano alla
ricerca
d’aria, le gambe che dolevano per il troppo correre, la
valigia che quasi
strisciava a terra, era veramente quella la libertà?
Oh,
sì che lo era.
Sentiva
i fischi dei treni sempre più vicini, poteva quasi respirare
l’odore della capitale.
Così
vicino.
Poi,
improvvisamente, il cielo comparve nella sua visuale sostituendo la
facciata
della stazione e il suo corpo cominciò inesorabilmente a
sbilanciarsi
all’indietro, pronto all’inevitabile scontro con
l’asfalto.
Scontro
che però non avvenne. Lasciò cadere la valigia
per aggrapparsi a quel qualcosa
di verde che era apparso davanti a lui, mentre rimaneva stranamente
sospeso a
meno di mezzo metro da terra.
Prima
che riuscisse veramente a capire cosa stesse succedendo era di nuovo in
piedi, immobile
e confuso difronte ad un ragazzo dall’aria preoccupata e
dispiaciuta.
“Perdonami,”
disse il ragazzo, i capelli castani spettinati e gli occhi verdi che
quasi
brillavano per il riflesso del sole: “ti ho completamente
travolto. Non ti
avevo visto.”
Lui
rimase attonito qualche altro secondo, fissandolo e sbattendo le ciglia
per
schiarirsi le idee, quindi si sentì avvampare non appena
comprese che il
qualcosa di verde che stava ancora
artigliando
con forza non era altro che la stoffa soffice della maglia dello
sconosciuto. Rilassò
immediatamente la morsa della sua dita e cercò di ritrarsi,
rimanendo però
bloccato dalle mani che il ragazzo teneva ancora sulla sua schiena e
con cui lo
aveva sorretto.
“Non…
non importa. Nemmeno io ti aveva visto,” mormorò
lui, una strana sensazione ad
invadergli il petto difronte al sorriso amichevole che gli stava
rivolgendo
l’altro: “e poi non sono caduto. Grazie a
te.”
Il
ragazzo castano gli sorrise ancora passandosi una mano fra i capelli e
spettinandoli
con un gesto automatico: “Dove te andavi così di
corsa?” chiese quindi,
chinandosi per raccogliergli la valigia e ricominciando a camminare
senza
nemmeno porgergliela.
Lui
esitò un attimo, spostando il peso da un piede
all’altro, poi lo seguì: “Devo
prendere un treno per la città.”
Il
ragazzo gli rivolse un sorriso storto e divertito: “Parte fra
venti minuti, non
c’è fretta.”
“Oh…
non sapevo l’orario di partenza, in
realtà.”
E,
davvero, non si era mai sentito tanto stupido in vita sua: gli occhi
verdi di
quello sconosciuto gli mettevano soggezione e non poteva fare a meno di
chiedersi cosa stesse pensando in quel momento.
“Capito,”
mormorò quello con un sospiro, lo sguardo improvvisamente
dolce, intenerito quasi:
“Sei uno di quelli che fuggono.”
Lui
sobbalzò, trattenendo istintivamente il fiato e bloccandosi.
Quando l’altro si
voltò, abbassò istintivamente lo sguardo.
“Scusami,”
mormorò il castano avvicinandosi a lui e posandogli piano
una mano sulla
spalla, come se temesse di vederlo sgretolarsi da un momento
all’altro: “Non
volevo ferirti.”
Si
vedeva davvero così tanto che stava fuggendo? Era veramente
così evidente?
Scosse
la testa continuando a fissare l’asfalto.
“Sai,
io abito in città. Sono venuto qui a trovare un amico. Sto
cercando un
coinquilino con cui dividere le spese, comunque.”
A
quel punto, lui sollevò la testa con un gesto improvviso,
quasi brusco, e lo
fissò cercando di trattenersi dallo spalancare gli occhi:
“Cosa? Nemmeno sai
come mi chiamo.”
Così
ingenuo, quel ragazzo era così
ingenuo.
Forse
vivere in città non lo aveva mai messo difronte a tutti i
pericoli che lui
invece conosceva alla perfezione. Lui era parte di quei pericoli, erano
stati
la sua vita per tutti quegli anni.
Lui
era sempre stato uno di quei
pericoli.
Come
poteva quello sconosciuto non pensare alle possibili spiacevoli
conseguenze di
tanta impulsività?
Proteggerlo,
devi proteggerlo. Lui ti ha
aiutato, è gentile con te. Il suo sguardo è
limpido e così terribilmente
ingenuo.
Devi
proteggerlo da quei pericoli, devi
proteggerlo dalla tua vecchia vita.
Il
castano sbuffò piano per trattenere una risata e gli porse
una mano: “Hai
ragione. Quindi, io sono Kyle e vorrei tanto che tu, piccolo fuggiasco,
accettassi la mia offerta. Non avresti un posto dove stare,
altrimenti.”
Così
ingenuo.
Così
buono.
Devi
proteggerlo.
Lui
annuì piano afferrando la mano abbronzata
dell’altro e stringendola con fin
troppa delicatezza: “Seth.”
“Bene
Seth, vuoi dirmi da cosa stai scappando?”
Lui
scosse piano la testa senza allontanare lo sguardo del viso sorridente
di Kyle:
“No, non ancora.”
Il
castano annuì senza smettere di sorridere: “Molte
bene. Avremo tempo per
questo. Andiamo ora, dobbiamo fare conoscenza durante il
viaggio.”
Seth
rimase fermo a guardare le spalle del ragazzo che si allontanavano
lentamente,
il loro oscillare delicato. Sollevò il viso verso il cielo
azzurro e sereno e
per la prima volta in vita sua sorrise al sole. Per la prima volta in
vita sua
fece la scelta giusta e seguì Kyle, dimenticando la luna e
fidandosi,
finalmente, della voce amorevole del sole.
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