La sintonia di tre anime

di Ossimoro Vivente
(/viewuser.php?uid=745110)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La Maledizione ***
Capitolo 3: *** Wanted ***
Capitolo 4: *** L'aggressione ***
Capitolo 5: *** Incontro ***
Capitolo 6: *** Andiamo a casa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
Taylor Thompson.
Una delle solite donne illuse e sognatrici d’amore che cascava a ogni tranello che si fosse camuffato di abiti firmati, modi romantici, sguardi affascinanti, e che emanavano tanto profumo di soldi.
Lo stesso dolce odore che segue la più stupida delle mosche, fatto per appiccicare le sue zampette in quelle che sono le impazienti fauci di una pianta carnivora.
Ci cascava sempre. Odiosamente.
Ogni. Stramaledetta. Volta.
Anche lei era un’arma. Molto all’avanguardia, direi.
Era un vero e proprio fucile americano a cui noi decisamente facevamo un baffo. Un m4 perfetto in ogni tiro.
E anche lei viveva nelle più sciatte strade di New York, spassandosela ingoiando anime con qualcuno a maneggiarla, e scippando a più non posso chi le capitava procurandosi i soldi per qualsiasi altra cosa le servisse. Molte volte si “offriva” a chi, al contrario di lei, aveva i soldoni, cose che avrebbe voluto ovviamente in cambio dopo l’”uso”.
Taylor aveva due “opzioni ” a riguardo:
-Quello di farsi usare spudoratamente come arma;
-Quello di farsi usare spudoratamente come oggetto sessuale.
Ma, come ti avevo già detto: lei ci cascava.
Cascava alle finte avance di chi voleva sfruttarla, cascava ai loro occhioni languidi, e all’illusione che almeno uno di loro l’avrebbe amata veramente.
I ricconi se ne approfittavano e lei non faceva che la figura della credulona.
Fu così che veniva solo presa, usata, privata delle anime che aveva catturato e gettata in continuazione. Tradita quasi ogni volta e, costretta così a camminare per strada senza alcun tipo di ricompensa, in tasca, nello stomaco, o in petto.
E la cosa che più la frustrava era non avere nessun maestro d’armi affidabile che avesse potuto almeno aiutarla a vendicarsi contro quei sadici maniaci che l’avevano solo umiliata.
Inoltre non poteva neanche difendersi, sola contro il mondo intero. Sì, perché anche se sei un’arma, anche un fucile calibro 5,56, senza un’anima che sia in sintonia con la tua, e che ti maneggi a dovere, sei solo inutile, specialmente quando non c’è nessun altro a farti compagnia, come un amico, o una sorella, come nel mio caso.
Taylor continuava a fare i suoi sbagli riempiendo il suo cuore di illusioni, per poi svuotarlo tutto in una volta all’istante. Ma in ogni caso non aveva scelta. Le poche volte che riusciva ad essere ricompensata erano indispensabili per sopravvivere in quei bui vicoli newyorkesi scordati dal mondo intero.
Nonostante tutto non riusciva a badare al desiderio che un giorno avrebbe avuto un maestro d’armi che fosse stato sulla stessa lunghezza d’onda della sua anima, e che l’avrebbe amata davvero. Per sempre. (Sì, come Marie, ma questo è decisamente diverso)
Non successe mai.
Taylor aveva perso definitivamente le speranze solo quando, a sedici anni, rimase incinta.
 
Sì, nel suo ventre c’erano ben due feti.
Sì, quei due feti eravamo noi. Che sorpresa illuminante!
Alla crescita di quel pancione la nostra giovane madre era disperata: lei non ci voleva. Le davamo fastidio. Questo l’ho sempre saputo.
Voleva ritornare “giovane”, voleva fare le sue scorribande per la città, voleva essere libera… Ma che razza di libertà era quella?
In realtà era stata vincolata da una vita, e solo avendo avuto noi si era resa conto che ci stava dentro fino al collo.
Era troppo tardi per abortire: notò la sua tragedia solo vedendo la sua pancia che si gonfiava come un pallone, e le nausee sempre più frequenti non le davano pace. Nella povertà e nei malfamati vicoli in cui si trovava non poteva neanche saperlo prima. Così solo una cosa le venne in mente:
-Non vedo l’ora di liberarmele dal corpo. Al resto ci penserò dopo.-
Nella disperazione si era affidata a un’associazione di volontari per i senza-tetto, come ce n’erano tante a New York.
Così nascemmo.
Io per prima, dopo cinque minuti mia sorella.
Rispettivamente chiamate Elizabeth e Patricia. Altra sorpesa illuminante.
Ancora mi chiedo perché ci abbia chiamate con nomi così “aristocratici”. Mi viene più facile pensare che fosse stato una specie di augurio per una vita migliore. Augurio forse non tanto sentito da nostra madre per noi, ma pur sempre un augurio.
Ma non essendo per nulla “aristocratiche”, anche se comunque desiderose di esserlo, io e mia sorella ci facilitammo la vita chiamandoci semplicemente Liz e Patty. Mamma no. Non lo fece.
Cognome: ovviamente Thompson. Altra sorpresa illuminate.
Comunque, sì, era quello di nostra madre: come avremmo mai saputo il cognome di uno che poteva essere facilmente una qualche sorta di mafioso che se l’era già svignata da qualche parte?
Dopo la nostra nascita, quello che Taylor pensò stavolta fu:
-Non vedo l’ora di sbarazzarmi di loro. Al resto ci penserò dopo.-
Taylor cercò di “mantenerci” alla ben che meglio, con trattamenti al limite del superficiale, per 11 anni. Riferendoci un carattere instabile e lunatico, e trattandoci a volte come se fossimo i suoi due tesori, e a volte come vera e propria spazzatura.
Da un po’ aveva lasciato l’associazione di volontariato. Poi ebbe qualche soldo non legale; quel poco per prendere un aereo e lasciare definitivamente New York.
Senza di noi.
E a quel punto immagino un’altra volta quello che pensava:
-Non vedo l’ora di lasciarmi tutto alle spalle e cambiare vita. Al resto ci penserò dopo.-
Ricordo perfettamente come ci aveva prese per il culo.
Ci fece sedere sulle scale di uno dei soliti vicoli isolati in cui stavamo, parlandoci in uno dei suoi periodi “allegri” con testuali parole:
-Vi compro qualcosa qua vicino e torno.-
“E  torno”…
Il bello è che restammo ad aspettare come due cretine fino a sera. E il meglio era che dovevamo aspettarcelo dopo averle visto tutti quei soldi in tasca per la prima volta.
Nonostante la paura del buio che soprattutto io avevo in gola, la cercammo in tutti i negozi vicini. Ma erano già ovviamente chiusi, ed era sparita.
Non c’era dubbio: ci aveva abbandonate, quella bastarda.
Patty, che aveva mantenuto una certa speranza nella ricerca, cominciò a piangere.
Tentavo di calmarla, di dirle di smetterla anche se pure io volevo piangere ancor più forte di lei. Mentre le stringevo la mano dicendole che sarebbe andato tutto bene  non riuscivo a essere convincente. Avevo gli occhi lucidi e la mia voce si fece sempre più rauca. Patty continuava a piangere imperterrita, e io ridussi la mia voce a suoni sconnessi e fiati interrotti, ormai rassegnata. Ebbi una paura folle all’improvviso, peggio della fobia del buio, e a quel punto mi salì un singhiozzo che non potevo più sforzarmi di trattenere.
Scoppiai in lacrime in modo più infantile e forte di mia sorella in mezzo alla strada deserta.
 
 
-Adesso sei contento?-
-Non molto… Però ho risolto i miei dubbi-
-Quali dubbi?-
-Sul vostro bilanciamento-
-…Ma di che farnetichi ogni volta?!-
-Avete subìto troppo male. Dovete capire cos’è il bene, e adesso so come aiutarvi: troverò il vostro bilanciamento.-


Angolo autrice o che dir si voglia xD : ammetto che la cosa mi fa molto strano: scrivere su un sito in cui le persone potranno leggere quello che scrivi intendo. Quindi spero davvero che vi soddisfi come primo capitolo e che vi interessi. Per chi avrà deciso la malsana idea di seguire questa storia lo ringrazierò di cuore,di mente di corpo e di tutto in primis! Ma premetto che i capitoli non usciranno uno al giorno o uno a settimana,perchè ho appena cominciato questa storia cartonata soltanto 4 giorni fa ( bella copia,rilettura e migliore copia della bella copia inclusa xD ) quindi non assicuro tempestività.
Detto questo,spero ancora che vi piaccia e che recensiate in tanti! Bella!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La Maledizione ***


LA MALEDIZIONE
Lo so.
So che la mia fissazione ossessivo-compulsiva su tutto ciò che abbia due metà perfettamente identiche è piuttosto preoccupante.
Ma a me non preoccupa molto.
So che parole come “perfetto” e “simmetria” non fanno tanto gola alle persone.
Ma a me sì.
So di essere il solito.
Ma non posso farci nulla.
Fin da piccolo sentivo mio padre parlare molto spesso di equilibrio. Tra vita e morte, tra bene e male… E io ho sempre saputo fin dalla nascita che il bello di ogni cosa si trova nell’armonia, nell’ordinato, nelle cose giuste al posto giusto…
Strano che dall’allegro e saltellante (cosa di per sé ancora più strana) Sommo Shinigami sia nato un perfettino dagli abiti eleganti in ogni occasione e con gli occhi perennemente chiusi a metà pupilla, che cerca di mostrarsi freddo come il ghiaccio in ogni contesto che non riguardi la simmetria.
Per il resto la gente mi vede solo come un bambino viziato che vuole tutto e che non ha mai abbastanza.
Ma, credetemi, non ho mai conosciuto una persona più complessata e con l’autostima più bassa di me.
Solo vedendomi allo specchio mi sento vomitare. Quelle tre maledettissime strisce bianche non mi danno pace.
La simmetria è l’apice della perfezione, la massima espressione della bellezza.
Ma è anche il mio tallone d’Achille, il motivo per cui potrei morire, la mia maledizione.
Non riesco a liberarmene; è una droga in tutto e per tutto.
Se qualcosa non è come la voglio io il mio cervello si surriscalda, le mie pupille si dilatano e le mie budella di contorcono. Mi metto le mani fra i capelli e mi appoggio al terreno esterrefatto, imprecando come mio solito. Sto letteralmente male. E non c’è nessuno ad aiutarmi a trovare la realtà.
Non ho alcuna arma, ma sono forte, potente, e so quasi tutto delle anime. Potrei fare qualsiasi missione se non fosse per il fatto che se incontro un nemico perfettamente simmetrico  mi dichiarerei morto di estasi all’istante.
Donne? Non mi hanno mai fatto battere forte il cuore come quando vedo l’entrata di casa mia.
Mio padre ha cercato di farmene trovare qualcuna, ma io non facevo altro che imitare con le mani un simmetrico dissenso.
Però, credetemi, il fatto di avere questi repentini sbalzi di umore mi deprime. Non mi è tanto facile controllarli.
Non lo è affatto.
I miei sentimenti sono sempre in contrasto fra di loro, altro che equilibrio.
So perfettamente che non è una cosa normale e per me è qualcosa di cui non sono mai riuscito a trovare un vantaggio.  A parte la felicità che provo nel vedere quello che piace a me.
Peccato che il contrario mi rende un ragazzo problematico e impossibile da capire. E lì è un mare di inferno.
È un meandro profondo in cui non c’è spazio per pensare a qualcosa di positivo per tirarmi su.
Sono un’inutile pezzo di carne che non si merita di essere il figlio del Sommo Schinigami, non sarò mai alla sua altezza. Sono lo stolto asimmetrico che venera la simmetria.
Non può esserci nulla di peggio.
E al ritorno dalle missioni deludenti me ne sto sullo skateboard con le mani in tasca e penso a come diavolo mi devo comportare ogni volta.
La mia anima cerca solo e soltanto due anime che la rendano perfettamente simmetrica, e so bene che tre anime con la stessa sintonia sono molto rare.
Devono, soprattutto, essere in grado di assecondare le mie asfissianti crisi nevrotiche su ogni cosa che mi circonda.
Sarà che sono davvero viziato.
Ma anche la mia vita è un casino.
 
-Per questo ho bisogno di voi-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Wanted ***


WANTED
 
Le persiane della finestra erano semichiuse e il freddo della notte penetrava da esse.
Nella stanza perfettamente quadrata la porta si aprì cigolando nel buio, con appena lo spazio per far entrare il proprietario, poi questi la richiuse dietro di sé.
Vicino agli stanchi passi di chi stava barcollando gocciolò per terra del sangue, che nella penombra della stanza sembrava nero.
Senza neanche accendere la luce o curare le sue ferite, Kid si buttò a peso morto con le braccia distese sul suo morbido letto, e con il viso quasi completamente sporco di sangue, si ostinò a guardare il soffitto. Gli occhi gialli, come sempre, semichiusi, come sempre, inerti, senza emozioni. Li tenne così per un quarto d’ora senza pensare a nulla, poi finalmente, li chiuse.
L’ennesima missione fallita.
 
-Figlioooloooo!!!-
Gli occhi dell’asimmetrico si aprirono con un tic nervoso. Si vedeva la polvere che fluttuava in controluce al sole del tardo mattino che filtrava dalle persiane.
La porta venne bussata sonoramente dalla manona di Shinigami.
-Avanti, apri! Ho una bella notiziola per teeee!-
Gli sfuggì un gemito quando cercò di alzarsi; gli fece male tutto, così il massimo che fece fu mettersi a sedere.
-Puoi entrare, padre-
“Tale padre, tale figlio” un corno. Come diavolo ha fatto ad essere così diverso da suo padre?! Kid ci pensava mentre l’alta figura di Shinigami faceva il suo ingresso volgendo la maschera esterrefatta verso di lui.
-Per tutti gli Shinigami, stai bene?!-
Kid si guardò gli abiti laceri di sangue abbassando la testa mezzo assonnato.
-Sì, sto bene, nulla di grave-
-Sei sicuro..? perché conoscendoti avresti fatto una scenata per lo schifo e saresti corso in bagno a farti una doccia…-
Kid si imbambolò nel vuoto.
-Ho sonno- si limitò a rispondere.
Shinigami sbuffò comprensivo.
-Ho capito, è andata di nuovo male, ma adesso curati, lavati e ti spiegherò tutto dopo, avanti!-
Kid annuì leggermente guardando ancora il vuoto, e suo padre saltellò via.
Ritrovandosi da solo passò un minuto tenendo fisso lo sguardo.
Poi ributtò la schiena sul materasso.
 
Profumatosi di pulito e fasciatosi per bene andò direttamente nella camera della morte.
-Di cosa volevi parlarmi, padre?-
-Ti ho trovato delle armi che fanno al caso tuo!!!-
Kid sbuffò stanco.
-Ti ho già rifiutato almeno cento contendenti. Dovresti aver capito, ormai, che non ho speranze-
-Certo, sei sempre così pignolo…-
L’asimmetrico storse la bocca a mo’ di broncio arrabbiato.
-Padre…-
-Oh oh, non ti arrabbiare! Sei pur sempre mio figlio, ho detto solo la verità!-
Kid si spazientì sbattendo il tallone convulsamente.
-Allora illuminami, chi hai trovato sta volta?-
-Due pistole! Perfettamente uguali come piacciono a te!-
Il ragazzo cambiò subito umore e cominciò a interessarsi.
-D-due pistole perfettamente uguali?! Potrei tenerle in tutte e due le mani e diventerei simmetrico in tutto e per tutto anche mentre combatto!-
-Esatto! Sono due gemelle che si trovano a New York-
Gli occhi di Kid ormai sbrulluccicavano di gioia. Si volse di scatto all’indietro.
-Sublime! Vado subito a cercarle!-
Shinigami tese una manona di dissenso.
-Figliolo…non sono ragazze tanto semplici. Aspetta un attimo e ascolta-
La voce di solito burlona di Shinigami si fece più seria.
Kid se ne rese conto e restò a sentirlo cercando di contenere la felicità.
Suo padre tirò fuori una foto. Ma più che altro era un manifesto con la scritta “WANTED” a caratteri cubitali. Mostrava due ragazze completamente uguali, entrambe con i capelli lisci, lunghi e biondo scuro, con una sigaretta tra indice e medio in tutte e due le mani delle ragazze con il fumo che aleggiava.
Kid lo prese tra le mani a bocca aperta, come se fosse un oggetto rarefatto.
-Ma…sono dannatamente perfette!!! Guarda, si mettono anche nello stesso modo!!! Oh, che estasi!!!-
-Sì, ma… sono delle teppiste a New York. Lì fanno la malavita…e vedi cosa c’è scritto?-
Il figlio non lo stava ad ascoltare. Gli occhi erano due stelle di quanto si illuminavano, le guance velate da piccoli cerchi rossi. Si stava crogiolando nella perfetta bellezza di quelle due ragazze identiche disposte in modo così ben simmetrico.
Shinigami gli tolse il manifesto sbuffando.
-Ehi!- Kid sembrava stesse per piangere da quanto era deluso dal gesto del padre.
Quest’ultimo, incurante del suo solito cambio d’umore gli indicò col ditone una scritta che in confronto a quello era minuscola.
-Leggi bene qui!-
L’asimmetrico inarcò la schiena con le mani ancora in tasca e strizzando per bene gli occhi.
-I diavoli di Brooklyn- Pronunciò.
Shinigami mostrò l’indice.
-Ecco, quindi mi raccomando, fai AT-TEN-ZIO-NE!!!-
-Ma per chi mi hai preso? Sono uno Shinigami io- Disse rimettendosi dritta la schiena.
-A parte che sei uno Shinigami incompleto, viste le tue…-
-Padre…Non osare pronunciarle…-
-Sì, ok…Comunque avendoti visto gocciolante di sangue non sembri nelle condizioni adatte…-
Kid si voltò indietro sbuffando.
-Graffietti insignificanti…-
In fondo ci era abituato.
Tese la mano da cui comparvero delle scintille nere dal suono di cavi elettrici. Da lì uscì il suo skateboard, il quale prese il volo, e le ruote si girarono in modo orizzontale.
L’asimmetrico ci salì abilmente.
-Vado-
Poi cambiò subito espressione senza rivolgersi al padre, e partì in quarta.
-Sto arrivando, miei angeliiii!!!-
Shinigami sbuffò guardandolo allontanarsi mentre faceva acrobazie dalla gioia.
-Speriamo-
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** L'aggressione ***


L’AGGRESSIONE
 
La statua della Libertà si stagliò nel tramonto di New York, mentre Kid ci volava davanti piccolino, come se nulla fosse. Si guardò intorno e cercò di intravedere il famoso ponte che lo avrebbe condotto alla sua salvezza. Il ponte di Brooklyn. Appena trovato ci si scagliò subito e cercò i vicoli più stretti e bui dall’alto, ma si rese conto che erano infiniti.
Nonostante tutto non si arrese e con il manifesto in mano allungava il collo mentre il vento gli scompigliava a sferzate le tre strisce bianche. Non fu facile trovarle da lì, data la grande città.
Il sole se ne stava ormai andando, lasciando alla città l’opportunità di mostrare fieremente le migliaia di abbaglianti luci che la caratterizzavano.
Ormai stanco, Kid si concesse una pausa e scese in uno di quei vicoli bui. Lo scalpiccio delle sue scarpe nere come la pece lucidate per bene riecheggiava per il corridoio di case; le mani sempre ben incavante nelle tasche.
Eccola di nuovo quella sensazione. Solitudine. Si sentiva per l’ennesima maledetta volta un lupo solitario che cammina in un malfamato e deserto vicolo nella sera dal silenzio interrotto a volte da qualche musica in lontananza. L’asimmetrico si limitò a sospirare rassegnato.
Per favore…mai più questa vita… Si disse cercando di convincersi da solo, come faceva tante altre volte .
D’un tratto venne cacciato un urlo nei paraggi e Kid si arrestò con i sensi ben attenti per capire qualcosa in più. Nulla. Istintivamente scattò subito dopo in una frenetica corsa. Lui fa parte della Shibusen, e se era una povera donna privata della sua anima non se lo sarebbe mai perdonato. Pian piano si avvicinò a delle voci concitate.
-Avanti, non siate diffidenti, non vi rendete conto di quante magie possono fare i vostri corpicini?-
Ma che diav…
Kid strinse i denti e continuò a correre. Il cervello gli inviò lentamente un messaggio. Sentì la presenza di molte anime. Dovevano essere circa una dozzina.
Una volta capito da quale vicolo provenivano rallentò ansimando mentre appoggiava una mano al muro, e l’altra al ginocchio. Si mise schiena a muro e tentò di valutare la situazione girando il collo in un angolo senza farsi vedere.
Una decina di uomini dagli abiti da gangster erano riuniti a semicerchio vicino al muro di mattoni, mentre al centro ce n’era uno che costringeva una delle gemelle che Kid stava cercando a stare al muro bloccata ai polsi, per evitare che venisse sparato dalla pistola che aveva in mano.
Kid si mise una mano ai capelli spalancando la bocca sbalordito.
Le ho trovate finalmente!
Si immaginò subito con quelle due bellezze alle mani.
Ma poi scosse la testa richiamando a sé la concentrazione: non era il momento di pensarci. Allora sbucò fuori con il dito a indicare eroicamente i malfattori.
-Ehi, voi!-
Tutti si girarono.
-Quella è la mia ragazza, lasciatela stare!-
La biondina alzò un sopracciglio interrogativa, con gli occhi stralunati.
Il gangster che la bloccava parlò.
-Beh, non ti dispiacerà se la prendiamo in prestito per un attimo-
Gli angoli dei suoi baffi a manubrio si piegarono  in un ghigno che tralasciava il fumo del sigaro che aleggiava nell’aria.
-Certo che mi dispiacerà! Lei è mia e basta, nessuno può toccarmela.
La ragazza arrossì ancora più sbalordita.
-Attenti a voi, perché sono uno Shinigami, preferisco avvertirvi subito-
-Tsk! Questa non è cosa che ci spaventa, vero ragazzi?-
La decina di uomini si girò tutta verso il loro capo, sbiancata come latte, lasciando intendere che se la stavano per fare sotto in realtà. Lui restò interdetto.
-Andiamo, un tappetto tutto figlio di papà come lui dovrebbe incutervi timore?! Fatelo a fettine senza storie!-
Gli uomini si rivolsero lentamente verso Kid, quasi tremanti. Lui li guardava con le mani in tasca e la sua solita aria inerte. Poi sospirò. Era stanco dei soliti clichè e non vedeva l’ora di avere le sue armi, così inarcò la schiena e mise in moto i piedi, andando verso di loro. –L’avete voluto voi-
Cominciò tirando un sonoro calcio in faccia a uno di loro. E la zuffa partì automaticamente dieci contro uno.
 
Il capo tratteneva ancora la ragazza concentrandosi una volta per tutte su di lei.
-Siamo rimasti soli…-
La guardò con disgustosi occhi languidi fumandole in faccia visibilmente soddisfatto.
Lei cominciò a divincolarsi più aggressivamente, ma non c’era verso: il gangster aveva una presa di ferro e i polsi quasi non se li sentiva. Poi le venne un lampo.
-Ma certo! Patty, ritrasformati!-
La pistola di mosse fra le dita della sorella.
-Ah, già! Haha! Perché non ci ho pensato prima?-
-Io saprei perché…- disse sarcasticamente una dei diavoli di Brooklyn.
La pistola prese forma umana e tentò di attaccare l’uomo distraendolo. La ragazza bloccata si dimenò ancora di più, e riuscì a liberarsi.
-Ora ritrasformati ancora!-
Patty si girò verso di lei con l’aria stanca e delusa.
-Uffa, Liz, perché devo farla sempre io la pistola?-
-Sono nata cinque minuti prima di te!- tentò di risponderle presa dalla fretta.
-Non è una scusa buona questa!-
Liz si spazientì.
-Avanti! Vuoi essere stuprata?!-
Patty ci pensò su, e Liz se ne sorpese.
-E va bene!- sbuffò
Appena la sorella diventò pistola, Liz non esitò a premere il grilletto e sparare in testa al baffuto che l’aveva aggredita l’onda della sua anima.
Poi, notando che lo Shinigami li stava facendo tutti fuori, se la diede a gambe.
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Incontro ***


INCONTRO
 
Kid finì giusto in tempo per vedere le gemelle scappare.
-No!- e ricominciò a correre furioso, lasciandosi alle spalle una montagna di corpi esanimi con gli occhi a girella.
-Non vi lascerò mica scappare dopo avervi trovate così arduamente!- gridò a perdifiato mentre correva come il vento. Si affidò al suo intuito nel sentire le anime vicine. E le sentiva. Erano vicinissime, e tra non molto le avrebbe scovate.
Liz si fermò rassegnata e stanca, si girò indietro e tese sua sorella davanti allo Shinigami senza sorprendersi che erano state ormai trovate.
Lui ansimava, ma era speranzoso, nonostante avrebbe già dovuto perdere la pazienza.
-Vi ho salvato la vita…Perché ve ne andate?- disse mentre si avvicinava cercando di raddrizzare la schiena. Da più vicino l’asimmetrico rimase interdetto.
L’anima della ragazza da più vicino era un concentrato di sentimenti negativi, se ne sentì pervaso. Ma in ogni caso, soltanto osservando i suoi profondi occhi blu riusciva facilmente a trovarle tanto odio, risentimento, angoscia, e sembrava non interessarle niente del fatto di essere stata salvata.
Poi si ricordò di quello che gli aveva detto suo padre:
 Sono delle teppiste a New York…e lì fanno la malavita.
-Stai lontano o ti sparo! Chi diavolo ti ha detto che sono la tua ragazza?! Neanche ti conosco riccone dei miei stivali!-
-Stà calma. Era solo una scusa-
-Sì, per prenderci e sfruttarci come hanno tentato quei bastardi!-
Kid rimase ancora più sorpreso. Davvero pensavano a questo da uno come lui? Provò ad avvicinarsi ancora di più.
-Siete fuori strada. Sono il figlio del preside della Shibusen: Death the Kid , e voglio che diventiate le mie armi-
-Ah, è così?!-
Solo dopo Kid si rese conto che l’ultima frase non poteva di certo dar loro speranza.
Liz lo prese improvvisamente per le spalle e lo sbattè al muro, come aveva fatto quell’aggressore prima a lei, e prontamente gli puntò la pistola davanti al viso.
-Senti, tappetto, noi non siamo prostitute che vengono anche sfruttate come armi per poi tradite come bambole buttate in un bidone. Sono stufa di tipi come voi, quindi dammi tutti i tuoi soldi, o ti sparo e la facciamo finita!-
Kid, vicinissimo a lei, restò con la fronte aggrottata, per niente sorpreso, prima alzando la testa per guardare lei, poi riabbassandola per guardare la pistola.
-Avrete tutti i soldi che vorrete. Vi farò vivere a casa mia, e non ho alcuna intenzione di usufruirmi di voi in…- Kid deglutì mantenendo il contegno -…quel modo-
La ragazza allentò un po’ la presa, la voce le si abbassò.
-Come faccio a crederci?-
-Hai visto il simbolo dello Shinigami che ho al collo?-
Lei abbassò lo sguardo. Sembrava autentico.
-Sono davvero il figlio del Sommo Shinigami, e lui è famoso per la sua bontà e giustizia nel far sì che il mondo diventi un posto pacifico senza Kishin, e indubbiamente senza aggressori di ogni sorta-
Kid si accorse che l’odio nei suoi occhi era quasi scomparso. Al suo posto c’era la paura. Allora cercò di trapassarle gli occhi col suo sguardo deciso.
-Non aver paura. Andrà tutto bene.-
Lei lo lasciò definitivamente in modo rude, incredula. Si sentì letta nel pensiero. Kid si aggiustò istintivamente la giacca. Poi spiegò:
-Mio padre ha detto che voi due sareste le armi perfette per me, ed effettivamente  così, io in cambio vi farò vivere a casa mia con tutti i comodi che desiderate-
La ragazza era ancora confusa.
Notandola, Kid pensò.
Non sopportava più di vederla così in guerra con sè stessa, e capì che di sicuro non dovevano aver avuto un passato tanto facile quelle gemelle. Ora quello che gli importava non era la simmetria, ma vedere quelle ragazze, sane e salve. Voleva aiutarle. Sentiva di essersi curiosamente affezionato, anche se cercò in tutti i modi di farsi vedere freddo come al solito. Così riempì completamente ogni suo polmone.
-…Ma se davvero vi fa così male venir trattare come armi…- cominciò a boccheggiare come un pesce -…Non lo farò. Vi farò vivere a casa mia, e magari col tempo vi sceglierete una casa tutta vostra-
L’asimmetrico mandò fuori un sacco di anidride carbonica.
Che cos’ho appena detto?!
Poi cercò di mantenersi un contegno e le tese la mano.
-Allora…Adesso vi fidate di me?-
Liz era indecisa, impaurita e esterrefatta allo stesso tempo.
Che diavolo diceva quel ragazzo? Davvero lei e sua sorella avrebbero avuto una vera e propria casa? Davvero avrebbero lasciato quei dannatissimi vicoli di New York una volta per tutte? Davvero sarebbero state trattate per quello che realmente sono?
Guardava quella mano come se fosse l’opportunità di una vita, o al contrario, la sua probabile rovina.
Forse avrebbe fatto la fine di sua madre. Il pensiero la fece imbufalire e la rimise sulla difensiva: riprese per le spalle il ragazzo e lo risbattè al muro più violentemente di prima. La pistola sta volta gli toccava la fronte.
-Che fine faccio con te, eh?! Come diavolo dovrei fidarmi, spiegami!-
Sta volta la pistola si illuminò e scomparve dalla sua mano.
Accanto ai due comparve una ragazza più bassa della gemella. Anzi, completamente diversa da lei.
I capelli biondo chiaro a caschetto e una dolce frangia a coprirle sì e no i grandi occhioni azzurri non ti scordar di me, e un davanzale più prosperoso di quello dell’altro Diavolo di Brooklyn.
Kid si sbalordì e cominciò a sudare freddo.
-C-che diamine…-
Prese tempestivamente il manifesto che gli aveva dato suo padre e lo guardò attentamente. Molto attentamente.
La metà che divideva perfettamente le due figure faceva intravedere la sfumatura del muro improvvisamente interrotta.
A quella vista spalancò gli occhi.
-… EH?!-
 
Dalla Camera della Morte Shinigami stava salutando il suo figliolo sbuffando.
-Speriamo…
Già, speriamo che non si accorga troppo presto che ho levato una gemella con Photo shop  e che ho fatto il programma “specchio”! Oh oh oh! Andiamo, non sarò stato tanto cattivo! In fondo è una piccola bugia, e poi questa meraviglia della tecnologia mi ha appassionato troppo!-
 
*Flash back inedito di Shinigami alle prese con i nuovi programmi per pc appena scoperti; sembra molto accanito. Si rivolge alla telecamera e mostra la sua manona con i due ditoni dell’indice e del medio alzati a formare una specie di allegro saluto*
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Andiamo a casa ***


ANDIAMO A CASA
 
-Mio padre mi ha fregato! E pure bene!-
Le sorelle Thompson guardavano il ragazzo interrogative: Patty con un dito sulle labbra, che si era appena trasformata. In parte perché non voleva che sua sorella facesse la strage a uno Shinigami, in parte per dire una cosa a sua opinione, ma si interessò di più a quello che stava succedendo in quel momento; Liz che aveva ancora le lacrime agli occhi per la situazione sconvolgente che le era successa prima, e adesso non sapeva più se ridere o piangere, per quanto essa fosse diventata bizzarra e comica allo stesso tempo.
Kid non ci badò e si mise le mani tra i capelli.
-Siete totalmente diverse, che razza di gemelle siete voi?!-
-Siamo dizigote! Questa è scienza, caro mio! Qual è il problema?!-
Chiese Liz sopraffatta.
L’asimmetrico abbassò il capo con i capelli arruffati (ringraziando il cielo che non c’era uno specchio nei paraggi), si fece scuro in volto. Era indeciso sul dirglielo o no, e i Diavoli di Brooklyn stavano aspettando una reazione.
Non posso…non posso dirlo. Ma devo dirlo, non resisto…Devono esserne al corrente...
-Voi due… siete totalmente ASIMMETRICHE!!-
Ed ecco. Quella fu la prima volta. La prima volta che Patty rise.
Ma non una risata maligna o superficiale, come ne faceva tante nelle scorribande con la sorella: nel silenzio che seguì dopo quella affermazione, Patty scoppiò in una risata cristallina, genuina e goduta. Gli altri due si girarono a guardarla inebetiti dalla scena. Ma Liz era più sbalordita.
-Patty…-
Era da anni che non la sentiva ridere in quel modo, anzi da una vita.
Lei intanto si mise le mani sulla pancia e rise più forte e con gusto.
-Ha ha ha! Non credi che sia grandioso, sorellona?- chiese mentre si asciugava una lacrima dall’occhio con un dito.
-G-grandioso?! Ma se dall’ultima affermazione sembra un perfettino del cavolo!-
-Ehi!- obiettò Kid visibilmente offeso –Se c’è un motivo per cui vi ho cercate con tanta fatica e impegno è perché quel cretino di mio padre mi ha detto che siete due! E perfettamente uguali!-
-E’ vero, lo siamo…come pistole.-
-Ah…- Kid sembrò più sollevato. Patty ancora rideva per conto suo.
-Perché fai quel sospiro? Vuoi dire che ci stai mentendo e che in realtà ci userai davvero?!- sbraitò Liz mentre si avvicinava a lui con gli occhi infuocati.
L’asimmetrico si stancò di quegli attacchi.
-Ma se ho un bisogno immenso di voi cosa posso farci?-
-Ma sei un riccone! Ne puoi trovare di armi migliori di noi…!-
-Non è vero! Siete le uniche che possono rendermi davvero simmetrico (almeno come armi...). Siete perfette per me (o quasi), ma ve l’ho detto: per adesso non vi costringo...- abbassò la testa, nascondendo gli occhi nelle sue tre strisce bianche –Mi rendo conto che non avete avuto poi un passato tanto facile. Si capisce.-
Con quelle frasi Liz venne toccata nel profondo. Si sentì compresa in un certo senso, anche se da uno dalle condizioni  apparentemente migliori delle sue.
Nella realtà lei si limitò a guardarlo con un sopracciglio alzato e con le mani ai fianchi, cercando di fare la superficiale. Il sottofondo delle risate di Patty era ancora udibile.
-Senti un po’ tu… sei un morto di simmetria forse? Sei strano-
Kid allora si mise nella sua posizione.
Dritto dritto con la schiena, alzò le braccia e formò per ognuna delle mani il numero due, poi mosse le dita a mo’ di virgolette e affermò con voce solenne:
-Non sono un “morto” di simmetria. Per me la simmetria è l’apice della perfezione, la massima espressione della bellezza-
Liz non sapeva perché, ma ebbe come l’impressione che avrebbe sentito quella frase altre migliaia di volte, comunque non si trattenne dal dire quello che pensava, come faceva sempre d'altronde :
-Sì, sei un morto di simmetria-
Patty finalmente smise di ridere, ma stava ancora sorridendo, vedendo quei due che se la contendevano.
-Sì, saremo le tue armi- dichiarò lei.
-Che cosa?!-Liz si girò di scatto verso di lei incredula –Ma sei impazzita?! Non lo conosci nemmeno!-
Patty continuava a sorridere serena alla sorella, guardandola negli occhi. Era convinta.
-Certo che lo conosco. Ha detto di essere il figlio del Sommo Shinigami, e io ci credo-
Liz ricambiò il suo sguardo capendo perfettamente.
Non disse nulla. Non perché non sapeva come controbattere, ma perché lo sentiva anche lei.
Entrambe le gemelle si erano fidate dal primo istante del ragazzo.
Ma Liz era così: aveva paura, nonostante fosse sempre sembrata la più grande e la più intelligente rispetto a sua sorella. E nonostante a Brooklyn siano sempre state considerate coloro che non avevano paura di niente e che se ne fregavano di tutto e di tutti, lasciando i vicoli nello schifo più totale. Ripensare a sua madre era come uno stop che la fermava e la rendeva più chiusa, soprattutto sul fidarsi di chiunque non sia Patty. Non voleva fare la fine di Taylor. Per niente. E ritrovarsi quel damerino che le chiedeva di essere le loro armi non faceva che accecarla dal risentimento. Ma Patty aveva ragione.
Lei era più sicura di Liz, e nonostante sembrasse “stupida” in realtà sorprendeva su quanto lei riuscisse sempre a fare la cosa giusta. Era determinata. Liz lo sapeva. E si limitò a sospirare. Il suo sorriso riusciva sempre a farle vedere le cose con più semplicità.
Kid si accorse dello scambio dei loro sguardi. Per quanto fosse viziato capiva sempre le anime umane, e provava  un affetto profondo per quelle due. Gli sembrava fossero scritte nel suo destino. Il problema è che lui mantiene sempre quella faccia da pesce lesso: era nel suo DNA, ma in realtà intuiva molte più cose di quanto faccia una persona normale. E, sì, aveva dei sentimenti.
C’era un silenzio incerto nell’aria e Kid decise con delicatezza di romperlo, sapendo che le ragazze avevano ormai deciso. Si avvicinò lentamente.
-Come vi chiamate?-
-Patty al suo servizio!- e gli fece il saluto alla militare.
L’altra Thompson si girò a rilento rivolgendosi a lui ancora un po’ diffidente.
-Liz-
-E tu? Com’è che hai detto di chiamarti? Death the…-
-Kid. Chiamatemi Kid-
Patty fece le feste come un cagnolino.
-Bene, Kid! E dì, hai una casa grande grande?- e allargò le braccia più che potè con la goffaggine di una bambina. Kid annuì inerte e la imitò avvicinandosi a lei.
-Sì sì: grande grande. Starete benissimo.-
Ovviamente gli fece tenerezza quella ragazza, e se non fosse per il suo vizio nell’essere serio avrebbe sbuffato un sorriso.
Liz li guardò con le braccia conserte mentre si imitavano a vicenda come pargoletti; Kid suscitava ilarità con quell’espressione. Lei sorrise. Era da tanto che non vedeva una Patty sinceramente felice, ingenua e pura, come lo era da bambina. E lei stessa non sorrideva da un sacco di tempo.
A un tratto si accorse che Kid la stava guardando pensieroso. Lei lo ricambiò interrogativa. L’asimmetrico cercò di intravederle qualcosa nello sguardo, e lei si sentì come nuda, si stava imbarazzando.
Lui si avvicinò e le tese una mano come aveva fatto prima.
-Adesso me la stringi?-
Liz smise di incrociare le braccia. Ormai era più calma. Sorrise a occhi chiusi e gliela strinse. Forse era stata una sua impressione, ma riuscì a intravedergli un mezzo, timido sorriso.
-Bene- dichiarò lui.
Girò i tacchi e richiamò il suo skateboard, spiccò un piccolo salto e ci salì sopra. Poi si rivolse alle ragazze.
-Liz, Patty-
Le ragazze si sentirono fremere dalla sua chiamata.
Lui mise davanti le mani dai palmi ben aperti e si sforzò di fare un sorriso decente.
-Andiamo a casa.-
Le Thompson si guardarono sorridendo. Sapevano cosa fare.
Si avvicinarono a Kid e, lentamente gli strinsero una mano ognuna. Si incontrarono i palmi, poi le dita le avvolsero una dopo l’altra. La stretta fu vigorosa e intensa. I tre chiusero gli occhi e le anime si misero in contatto. Fu come una dolce ventata di aria calda che fece loro scompigliare lentamente i capelli, come se tutti i loro problemi se ne fossero andati. Era tutto sereno, tutto calmo. Nulla avrebbe interrotto quel momento. Sentirono la loro sintonia, c’era. Ed era calda e avvolgente; era perfetta. Ognuno sentiva l’anima dell’altro e la riconosceva. Non erano un trio, né una squadra. Erano un tutt’uno. Forse più di una famiglia, ma non si poteva esprimere a parole.
Pian piano le sorelle si tramutarono in pistole, e quando Kid aprì adagio gli occhi non se ne era nemmeno accorto, perché il metallo delle pistole che teneva in mano aveva la stessa temperatura del suo corpo. L’indice premeva il grilletto, ma la cosa gli dava un certo fastidio, non si sentì a suo agio. Con un abile gesto le girò al contrario e il mignolo fu al posto dell’indice.
Va molto meglio.
Sì, erano loro.
Lo avrebbero senza dubbio salvato.
E lui avrebbe fatto la stessa cosa con loro.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2799143