Who the F*ck are Arctic Monkeys???

di ShanHoward
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Who the F*ck are Arctic Monkeys??? ***
Capitolo 2: *** If you were there, Beware!!! ***
Capitolo 3: *** Would a kiss be too much to ask? ***
Capitolo 4: *** Stop making the eyes at me ***



Capitolo 1
*** Who the F*ck are Arctic Monkeys??? ***


Fanfiction sugli Arctic Monkeys che mi stanno completamente rovinando la vita :) A parte gli scherzi, spero che vi piaccia...commentate in tanti e fatemi sapere se vale la pena continuarla =) Don't Believe the Hype!!! 


 

Who the Fuck are Arctic Monkeys???


Converse nere, pantaloncini di jeans, una canottiera indossata almeno un miliardo di volte, un paio di Ray-Ban sul naso , un vecchio ipod in una mano e un’immensa valigia nell’altra… 


Questo era l’aspetto con il quale Brooke, si apprestava ad accomodarsi sulle immense  poltrone dell’aeroporto di Roma. Si sedette in attesa che il suo volo venisse annunciato dagli altoparlanti della struttura. 


Una singolare storia la sua. 
Entrambi i suoi genitori erano originari di Manchester, conosciutisi nelle aule scolastiche quando erano ancora poco più che adolescenti. Terminati gli studi al college, un giorno, da un momento ad un altro, decisero di partire per un viaggio alla volta della penisola Italiana; e l’avevano amata a tal punto da stabilirvisi definitivamente.
Un matrimonio felice, una vita appagante ed una salda unione familiare alle spalle, avevano fatto in modo di non poter desiderare altro nella vita. Fu così, che diversi anni dopo, nacque Brooke Johnston.


Cresciuta in Italia, aveva comunque ricevuto un’istruzione prettamente inglese, ma sin da piccola aveva sempre avuto un debole per la cara e vecchia Inghilterra che i suoi genitori gli descrivevano con tanto orgoglio.
Prima di metterla a letto, suo padre le descriveva la sua patria come un luogo in cui tutto era imprevedibile. Gli narrava per filo e per segno le innumerevoli battaglie; gli parlava di cavalieri, principesse e castelli; di draghi, re e regine. Ma spendeva sempre qualche minuto in più per spiegarle cosa significasse il coraggio, la determinazione, la lealtà la bontà d’animo e l’avventura.
Sua madre, invece, si limitava ad osservare sua figlia venire rapita dai racconti di suo marito, consapevole del fatto che molto probabilmente, un giorno la sua Brooke sarebbe salita sul primo aereo per scoprire ogni cosa della sua terra di origine.


Così gli anni trascorsero, e non ci fu un solo giorno nel quale Brooke non avesse la mente occupata. Di giorno frequentava la scuola; il pomeriggio usciva con gli amici, la sera di tanto in tanto veniva invitata a qualche festa…ma di notte, quando il resto del mondo dormiva dolcemente, lei sognava di percorrere le strade di Londra, o tentare di avvistare il mostro di Loch Ness, intrufolarsi all’interno di qualche castello, girovagare per le innumerevoli città, e perché no, conoscere finalmente altri membri della sua famiglia. 
Suo padre era un semplice impiegato e non poteva permettersi il prezzo di tre biglietti andata e ritorno, e così Brooke aveva dovuto abituarsi a ricevere qualche regalo durante le ricorrenze ed immaginare come sarebbe stato conoscere quella zia che gli scriveva montagne di lettere; se somigliasse veramente a sua madre o se negli anni fosse cambiata. Pensieri ricorrenti che l’avevano accompagnata  lungo il corso della sua adolescenza.


La sua occasione, però, non tardò ad arrivare.
Un paio di settimane dopo il suo ventitreesimo compleanno, due uomini in giacca e cravatta, avevano bussato alla  porta chiedendo di potersi accomodare per parlare di alcune questioni della massima importanza.
Dopo aver appreso la notizia della scomparsa dei suoi zii, Brooke si ad avere ereditato due case, poiché sua zia non aveva mai avuto figli. I due uomini le avevano intimato che per cause di forza maggiore, non erano stati autorizzati a contattarla immediatamente; e proprio per questo motivo, aveva a disposizione una sola settimana per recarsi a Manchester per firmare i documenti che l’avrebbero resa una donna indipendente nella maniera più assoluta.  


Ed eccola lì, due giorni dopo, seduta in aeroporto con solo lo stretto indispensabile, a rimuginare su tutto quello che da quel momento in poi sarebbe accaduto. 
Ripresasi dal flusso di ricordi, si alzò per prendere posto sull’aereo che l’avrebbe portata sul suolo britannico a firmare qualche scartoffia prima di poter iniziare una nuova vita.
Atterrata a Manchester, si diresse verso un uomo che esibiva un cartello recante il suo nome. Un uomo distinto in giacca e cravatta, probabilmente proveniente dallo stesso luogo da cui venivano gli uomini incontrati pochi giorni indietro.


“Suppongo che lei stia cercando me” disse fermandoglisi davanti
“Se lei p la signorina Johnston si” sorrise
“Preferisco Brooke” sorrise di rimando
“Come preferisce. Sono stato incaricato di scortarla dal signor Harris che le darà tutte le informazioni circa il da farsi riguardo le sue proprietà”
“Oh, per fortuna!” esclamò “anche perché non avevo la più pallida idea di dove recarmi”


Una volta saliti in macchina e caricati i bagagli, Brooke cercò di imprimere nella propria memoria, ogni singolo edificio o luogo che prima o poi sarebbe tornata a visitare.


“Non si preoccupi” … “tornerà a vedere tutto quello che vuole”
“Me lo auguro” sorrise “e dammi del tu”
“Si hai ragione…sono Jefferson, a proposito”
“Bene Jeff, non vedo l’ora di arrivare”


Detto questo, Jeff accelerò districandosi nel traffico. Quindici minuti più tardi, stavano posteggiando davanti ad un grande edificio che spiccava su tutti gli altri. Alte colonne di marmo, invitavano ogni passante a soffermarsi almeno per qualche secondo ad ammirarlo. Brooke scese e nel medesimo istante in cui tentò di prendere i suoi bagagli, Jeff la bloccò.


“A questi penso io; per tua sfortuna sarò il tuo autista ancora per un po’” sorrise
“Per mia fortuna vorrai dire! Sei l’unica persona che conosco!”
“Oh, beh, grazie. Mi fa molto piacere” … “ora vai!” la esortò
“Ah, già. A dopo allora”


Si allontanò dall’auto ed iniziò a salire gli enormi gradini di pietra, per poi scomparire dietro il portone.
Una volta all’interno, si ritrovò leggermente spaesata alla vista di decine di impiegati che correvano a destra e a manca per tutto l’edificio. Tutti molto composti nei loro abiti di alta sartoria, mentre prendevano ascensori o parlavano fitti fitti con altre persone. Brooke dedusse che si trattava di avvocati che discutevano con i propri clienti e si chiese quale di tutti quei  difensori, giudici, notai, fosse il signor Harris.
Li scrutò piano piano senza farsi scoprire.


“Salve, posso aiutarla?” chiese una voce alla sua destra
“Salve! Sono Brooke Johnston, stavo cercando il signor Harris”
“Oh, ma certo. Mi segua, il signor Harris la stava aspettando”


Entrambe le donne percorsero l’ampio atrio per avvicinarsi agli ascensori in assoluto silenzio dovuto al semplice non conoscersi. Salite al 5° piano, la sorridente donna in tailleur, la scortò fino ad una porta blu e bussando la lasciò sola lì davanti. Dall’interno della stanza provenne uno squillante “Avanti” che la fece sussultare.


“Signorina Johnston!!! La stavo proprio aspettando! Si accomodi!” la invitò
“Grazie mille. Suppongo lei sia il signor Harris?”
“In persona” sorrise “vogliamo parlare del motivo per il quale lei è qui?” propose
“Sono qui per questo”


Si alzò per prendere un fascicolo che prese a sfogliare con attenzione; e poi si sedette. Con la fronte aggrottata per la concentrazione, estrasse alcuni fogli ed un paio di buste.


“Allora” disse ricomponendosi “sei Brooke Johnston nipote diretta di Susan e Jack Brown?”
“Assolutamente si” rispose lei
“Bene. In queste due buste ci sono un paio di lettere che sua zia scrisse diversi anni fa. In questi altri fogli invece, ci sono gli atti che riguardano la sua eredità in quanto nipote ed unica persona citata nel testamento” disse alzando lo sguardo
“Unica? Ma non capisco, ho altri cugini qui in Inghilterra che io sappia” rispose perplessa
“Beh, nel testamento c’è solo il suo nome. E a giudicare dallo spessore di quelle lettere, credo che sua zia le abbia fornito tutto quello di cui era necessario informarla”
“E lei come lo sa, mi perdoni” chiese sulla difensiva
“Ha ragione, avrei dovuto dirglielo appena ci siamo conosciuti. Vede, ho speso molto tempo con i suoi zii. Li conoscevo da molti anni ed hanno sempre fatto parte in qualche modo della mia vita. Mi ha addolorato molto la notizia della loro scomparsa, visto e considerando che li avevo incontrati circa una settimana prima”
“Oh, mi dispiace” rispose Brooke con un filo di voce
“Si figuri, non poteva saperlo. Se posso permettermi di darti del tu, posso dirti che erano le persone più eccezionali del mondo”
“Già…peccato però che abbia dovuto accontentarmi solo di lettere su lettere per tutta la mia vita. Avrei tanto voluto conoscerli” disse triste
“Ascolta. Lasciamo stare questo discorso. Leggi questi fogli, dopodiché ti accompagnerò personalmente in entrambe le tue case” propose
“Mi farebbe molto piacere, Eric” sorrise leggendo la targa sulla scrivania
“Bene,  allora andiamo”


Durante il tragitto, Brooke se ne stava sul sedile posteriore a leggere con attenzione il foglio che parlava della sua prima casa, ovvero quella dove i suoi zii avevano vissuto per una vita intera.
Sapeva che si trovava a Manchester e che a detta di sua madre, era una casa come tante altre ma aveva un tocco personale che ti inchiodava la vita. L’aveva sempre immaginata con i mattoni rossi e con un bel giardino anche se non grande; e quando Jeff posteggiò ed Eric bussò al suo finestrino, si rese conto che era esattamente così.
Due piani, mattoni rossi, un piccolo giardino, un terrazzo e tanto amore intriso in quelle pareti colorate.
Tanta pazienza in quelle rose cresciute sul gazebo.  E tanta nostalgia, in quelle foto che li ritraevano in un tempo indefinito, in posti a lei così sconosciuti. 
Firmò così il primo foglio ed Eric e Jeff la lasciarono sola per alcuni minuti in segno di rispetto. Si ritrovò a viaggiare con la mente, desiderando avere a portata di mano quell’ipod che custodiva quasi fosse l’unica cosa a tenerla ancorata alla realtà.
Quindici minuti dopo stava uscendo dal cancello che delimitava quella piccola seppur immensa casa. Si ricompose ed espose il suo miglior sorriso.


“Direi che sono pronta per affrontare la seconda proprietà” esordì
“Per questo dovrai avere un po’ di pazienza” rispose Eric
“E perché? Vorrei togliermi il pensiero e riposare un po’”
“Puoi riposare qui per questa notte. Jeff ha già scaricato le tue valigie”
“Non capisco, perdonami” disse spaesata
“Credevo che i tuoi genitori te ne avessero parlato” esclamò Eric risalendo in auto
“Parlato di cosa? Sapevo già che i miei zii abitassero qui” sbuffò
“Oh, questo lo so. Ma l’altra casa non è qui, purtroppo”
“Penso di poter sopportare un paio d’ore in auto se è questo che intendi Eric”
“Eh no Brooke. Dovrai attraversare mezzo mondo. La tua casa è negli Stati Uniti!”


Con un incoraggiante sorriso beffardo, Eric chiuse la portiera, informando Brooke che sarebbero passati a prenderla l’indomani. Non sapendo in che modo avrebbe dovuto prendere quella notizia, Brooke rimase come imbambolata prima di ritornare sui suoi passi. Ripercorse il vialetto e chiuse la porta alle sue spalle, restando sola in quella casa che per lei era la metà di un tutto. 
Il quadro sarebbe stato completato non appena le sue scarpe avrebbero toccato il suolo americano.


Il pomeriggio seguente, di buona lena, Brooke era più euforica che mai mentre attendeva l’arrivo dei due. Non sapeva nemmeno lei in che modo era riuscita a chiudere occhio, sapeva solo di dover lasciare Manchester. Non solo perché l’America la aspettava, ma sentiva che proprio lì sarebbe stata pienamente soddisfatta. In qualche modo, provava un’inspiegabile sensazione. Sentiva che sua zia voleva che ci andasse ed aveva previsto ogni cosa : aveva dato precise istruzioni ad Eric di fargli leggere una lettera per volta, e solo dopo essere giunti ad entrambe le case.
E così, Brooke si era accontentata di leggerne solo una al momento. Dato che Eric ancora non era arrivato, ripercorse con lo sguardo le righe salienti. Susan aveva racchiuso in quelle povere pagine, tutto il racconto di una vita intera, che sua nipote lesse con molta attenzione. In particolar modo, le aveva porto le sue scuse per non aver mai avuto la possibilità di vederla…


“Cara Brooke,
ormai sarai diventata ancora più bella di come ricordavo l’ultima volta. Mi dispiace dirti, che se stai leggendo questa lettera, non faccio più parte della tua vita. Non so di preciso quando la riceverai, so solo ce sei la cosa più cara che io e tuo zio abbiamo mai avuto.

[…]

Mi raccomando, nella nostra piccola casetta, fai in modo che il tuo giardino sia sempre la tua gioia come lo è stato per noi. Quelle rose rosse, sono state piantate alla tua nascita, e quando ho scoperto di non poter avere figli, ho dedicato le mie giornate a fare in modo di poter crescere qualcosa di mio. E non nascondo il fatto di aver dato l’impressione ai vicini si essere una pazza che parla con i fiori.

[…]

Con grande rammarico, ti porgo le mie scuse. Non sono stata capace di venire a trovarti nemmeno una volta e questo mi dispiace dal profondo del cuore. Purtroppo tuo zio Jack lavorava saltuariamente ed io avrei avuto bisogno che la sua mano avesse stretto la mia durante il volo. Abbi cura di te, e fa che l’America diventi il tuo posto nell’universo.
Ti voglio bene, e non perdere mai quel sorriso che sempre amerò…
Susan


Ripiegando la lettera fra le sue mani, si rese conto di quanto gli sarebbero mancate le sue lettere, di quanto gli sarebbe mancato il suo profumo che non mancava mai di spruzzare su ogni pagina che scriveva.
Il clacson dell’auto la riscosse dal flusso di pensieri. Dall’interno dell’abitacolo, Erica salutava felice con un cenno della mano. Jeff la aiutò a caricare i bagagli per poi partire alla volta dell’aeroporto di Manchester. Con il massimo dell’organizzazione, arrivarono in perfetto orario, mentre Jeff li salutava calorosamente e faceva promettere a Brooke di chiamarlo non appena fossero arrivati. In fondo, era comunque una persona che, seppur per un breve periodo, aveva fatto parte della sua vita. Una volta che avevano provveduto a tutto il necessario per essere ammessi sull’aereo, non rimase altro da fare che attendere. Eric era leggermente preoccupato per la perenne paura di aver dimenticato qualunque dettaglio o documento a casa; Brooke invece, fremeva. Nel giro di poco tempo l’aeroporto era gremito di persone, quasi che tutta la città si fosse riversata tutta lì e tutta in quel preciso istante; ed era leggermente snervante. Venti minuti dopo, dagli altoparlanti, una voce femminile interruppe il trambusto.


“A causa di un imprevisto, il volo diretto per Los Angeles, subirà un ritardo di due ore. Ci scusiamo con i passeggieri e li invitiamo ad avere pazienza. Grazie”


Un immenso boato scosse l’intero edificio: gente che sbuffava, altra imprecava ed altra ancora faceva volare paroloni quali “non prenoterò più” o “non rispettano nessuno” o ancora “adesso mi sentiranno!”


Brooke invece, nel suo esile e piccolo sedile, non fece altro se non meravigliarsi di quanto poco rispetto avessero le persone. Si chiedeva solo se si fossero posti tutti quanti la stessa domanda giusta :”dipende veramente da loro?”
Ovviamente no, quale aeroporto proclamava ritardi per il semplice gusto di far infuriare clienti con il rischio di perderli? Mentre Eric si allarmava e coglieva la palla la balzo per fare una sosta a casa e controllare di nuovo di avere tutto, Brooke lo salutò per poi dirigersi verso un piccolo ristorante per mangiare qualcosa nonostante fossero le 14:00.
Non se la sentiva di tornare indietro, perciò si tenne occupata  curiosando in giro per poi fermarsi nel luogo che cercava. Un piccolo McDonalds torreggiava proprio di fronte a lei, pertanto decise di fermarsi lì.
Ordinò qualcosa di non eccessivamente pesante, una coca e patatine, pagò in contanti e voltandosi tentò di accaparrarsi uno degli ultimi tavolini disponibili. Iniziò così il suo pranzo, ignorando come meglio poteva, il baccano che la circondava.
Dopo l’ennesimo urlo di diverse persone a diversi metri da lei, finalmente riuscì ad alzare lo sguardo accompagnato da uno sbuffo.


“Dio santo! Ma che vi prende?” urlò
“Una bella scocciatura eh?” rispose un ragazzo in piedi di fronte a lei nascondendosi nella giacca
“Ehm, già” sorrise conscia della figuraccia
“Non è bello essere interrotti mentre si pranza, vero?” sorrise lui accomodandoglisi di fronte
“Non solo per quello, è proprio il caos generale


Con uno sguardo enigmatico sul volto, dapprima la fissò intensamente, finché diversi minuti dopo, tentò di rompere il ghiaccio.


“Scusa l’invasione, sono Jamie” sorrise
“Jamie? Caspita, bel nome…io sono Brooke” rispose tranquilla


Jamie aggrottò leggermente le sopracciglia e tentò di sistemarsi come meglio poteva sulla sedia. Diede uno sguardo intorno a sé, dopodiché decise di mangiare in santa pace e soprattutto di conoscere quanto più poteva colei che gli sedeva davanti. Era incuriosito dal fatto che non sembrava essere minimamente preoccupata da tutto il trambusto che si stava scatenando.


“Ho invaso il tuo tavolo Brooke” sorrise
“Nessun problema. Meglio tu che gran parte delle scimmie urlatrici qui intorno” rispose
“Allora? Cosa ti porta qui?”
“Aria di cambiamento” rispose  “e tu?”
“Lavoro. Non sto fermo un attimo”
“Beh, è una bella cosa no? Soprattutto se ami il tuo lavoro”
“Immensamente!!!” … “ti piace la musica?” chiese poco dopo
“Abbastanza, anzi la amo” sorrise lei
“Io suono in una band” disse sottovoce per non farsi sentire


Lei semplicemente sorrise a quelle parole, e Jamie la prese come una richiesta di avere qualche dettaglio in più. In fondo, gli piaceva parlare di quello che faceva per vivere o, per meglio dire, quello per cui lui stesso viveva.


“Siamo amici di vecchia data che sfornano un successo dopo l’altro”
“Tipica storia di ogni band che esista” provocò lei
“Si, hai ragione” commentò lui sorpreso “ma ogni band che si rispetti ha il suo perché”
“Va bene, ho ancora tempo…raccontami la vostra storia”


Con la mente più confusa ed annebbiata che mai, mise da parte il vassoio con quello che restava del suo pranzo e gli spiegò brevemente ed in maniera concisa, la sua vita.


“Sono in una band internazionale…gli Arctic Monkeys”
“E chi cavolo sono gli Arctic Monkeys?”


Frenando la tentazione di prenderla a schiaffi o semplicemente dargli un’energica scrollata, proseguì facendo finta di nulla. Restando in cuor suo leggermente deluso dal fatto di non essere stato minimamente riconosciuto e che Brooke non conosceva la band della quale era membro. Così, un po’ a malincuore, continuò…


“Gli Arctic Monkeys non sono altro che quattro ragazzi di Sheffield, con lo stesso amore e passione per la musica. Abbiamo venduto milioni di copie, vinto diversi premi, e suonato in tutto il mondo. Abbiamo trovato il nostro equilibrio e ne siamo molto entusiasti. Ci sentiamo a nostro agio e quando suoniamo, dimentichiamo tutto il resto”
“E’ una cosa molto bella. Tu hai la tua band e puoi sfogare ogni genere di sensazione insieme ai tuoi amici” constatò “io invece, ho solo la musica” aggiunse poco dopo


Jamie, trovò in quell’affermazione una ragazza forse alla ricerca di se stessa, lontano da tutto e da tutti. Forse, in quelle parole, c’era molto di più della sua vita che in qualunque altra cosa avesse proferito fino a qualche minuto prima. Quasi leggendogli nel pensiero, Brooke si giustificò…


“Mettiamola così…la mia vita è uguale a quella di molte altre persone. Non è un gran che…ognuno ha il proprio fardello, piccolo o grande che sia…E a volte avresti solo bisogno di qualcosa che ti distragga, che ti isoli da tutto e ti lasci immaginare per un breve momento che sei altrove e ti senti incredibilmente bene” concluse”
“E’ per questo che non hai mollato nemmeno per un secondo il tuo ipod?”
“Non me ne separo mai…mi serve per respirare” arrossì


La osservò per circa cinque secondi, scatenandogli un moto di tenerezza nei suoi confronti. Non voleva in nessun modo confessargli che l’aveva tenuta d’occhio; che aveva osservato i suoi movimenti; che aveva compreso sin dall’inizio che quel piccolo oggetto era quasi tutto il suo mondo.
Però, decise che gli doveva almeno una piccola risposta che l’avrebbe fatta sorridere.


“Vivi per la musica…potresti entrare a far parte della band!”
“Magari!!!” esclamò lei, riempiendo l’aria della sua risata
“Sei divertente cara Brooke” sorrise
“Non quanto te” rispose


La voce nell’altoparlante, riscosse tutti da quello che stavano facendo.:


“Ringraziamo i passeggeri del volo 701 per la loro pazienza. Vi informiamo che sarete accolti a bordo tra breve. Grazie”


“E’ il mio volo. Devo scappare” proruppe
“Oh, si scusa. Vai, vai” rispose lui
“Sai, mi ha fatto molto piacere parlare con te. Sei molto di compagnia. Solitamente le rockstar sono molto strafottenti e altezzose”
“Oh, non gli Arctic Monkeys”
“Ne sei sicuro?” lo sfidò
“Sicuro, nessuno di noi. Ok, forse Alex, ma solo un pochino” ammise
“E che tipo è questo Alex?”
“Una persona a dir poco fantastica! Un bel ragazzo, a mio parere. Talentuoso e fuori di testa. Insomma: il migliore!”
“Wow, allora siete in buone mani!” esclamò Brooke
“Buonissime” ribatté


Dopodiché, un po’ a malincuore, ognuno prese la sua strada.
Diversi minuti dopo, con un tempismo quasi perfetto, Eric prese posto per entrambi lungo la fila, mentre Brooke decise di fare una sosta veloce in bagno. Tentò di fare il più in fretta possibile quando si accorse di dover utilizzare il bagno degli uomini a causa di un guasto nell’altro.
Fingendo di aspettare qualcuno, attese che tutti gli uomini uscissero mano a mano.  Poi, con uno scatto fulmineo entrò; ed iniziò a darsi una veloce rinfrescata.


Dalla radio Do i wanna know si diffondeva lentamente, e Brooke non poté fare a meno di cantarla e ballarla mentre terminava di sistemarsi il trucco. Nel modo più silenzioso possibile, una piccola porticina si aprì dai bagni stipati vicino a lei; ed Alex Turner prese a sbirciare quella figura minuta davanti lo specchio.


La riconobbe all’istante. Era Brooke, la stessa Brooke con la quale aveva finto di essere Jamie. La stessa Brooke che stava evadendo da un qualcosa. La stessa Brooke che amava la musica come una religione. La stessa Brooke che ballava e cantava una sua canzone, nonostante affermasse di non conoscere gli Arctic Monkeys.
Ed ora che ci pensava, era quella Brooke, che lo aveva riconosciuto sin dal primo momento, che conosceva benissimo chi fosse Alex Turner e gli Arctic Monkeys. Non sapeva se sentirsi grato a lei, oppure infastidito.


Do you want me crawling back to you”  finì lei andando via e non accorgendosi di nulla


E l’unica cosa che seppe fare Turner, fu sorridere…

 

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Capitolo 2
*** If you were there, Beware!!! ***


Ciao a tutti...non mi uccidete sono in un megagalattico ritardo. Chiedo venia ma ho avuto il pc fuori uso per un mese...detto ciò, buona lettura e commentate, voglio la vostra opinione =) 

If you were there, beware!!!

 

Il viaggio in aereo fu inizialmente fuori dalla portata di Brooke.
Non era mai salita su di un aereo in vita sua e non aveva la più pallida idea di come ci si dovesse comportare. O per meglio dire, le sue nozioni erano pari a quelle fornitegli dalla visione di qualche film visto di tanto in tanto insieme ai vecchi amici della scuola.


Pertanto, dopo essersi assicurata di aver allacciato correttamente la cintura di sicurezza, dedicò la più completa attenzione alle indicazioni delle hostess.


Superato l’impaccio iniziale, si rilassò completamente godendosi il volo come meglio poteva. Al suo fianco, Eric la rassicurava e le suggeriva di riposarsi, poiché il viaggio sarebbe stato lungo.


Si addormentarono entrambi nel giro di circa 20 minuti, attendendo i soliti passeggieri leggermente in ritardo che stavano ancora salendo e cercando i loro posti.
Fra questi, spiccò la figura di Alex Turner che percorse il breve corridoio e sorrise per l’ennesima volta guardando Brooke addormentata sul suo sedile e sorprendendosi del fatto che nessuno dei due avesse accennato a quale fosse la rispettiva destinazione.
La superò lanciando una breve occhiata verso l’Ipod che teneva in mano, trattenendo l’esplosione del suo ego nel leggere “Arctic Monkeys- Do i wanna know?”.
Deciso a non disturbare, continuò il suo percorso alla ricerca del posto assegnatogli.


Diverse ore più tardi, Brooke ed Eric, si trovavano in macchina diretti verso casa.
Los Angeles era proprio come l’aveva sempre immaginata.
Solo ovunque, brezza costante ed aria estremamente pulita e rinvigorente. Non aveva tutti i torti sua zia a volerla in quella parte specifica degli Stati Uniti.


Qualche altro minuto dopo, la macchina posteggiò davanti ad una villetta recintata da alte siepi. Scesero entrambi ed Eric aprì il grande cancello nero facendola passare per prima. Attraversarono il breve viale ed entrarono in casa ad ammirare tutto il resto.
Diedero una veloce occhiata al giardino ed alle altre stanze che componevano la villa. Dopodiché, Eric le fece firmare l’ultimo contratto e ritenne opportuno lasciarla da sola con tutto ciò che le rimaneva di sua zia, oltre la seconda ed ultima lettera indirizzatagli dalla stessa.
Chiuse la porta alle sue spalle, dopo averla salutata, lasciando crollare un grande silenzio in quella casa così vuota.


Ispezionò stanza per stanza, non osando avvicinarsi nemmeno per un attimo alla stanza che riportava la scritta “Jack & Susan”.
Era una cosa troppo intima entrare in quella camera da letto pregna di tutti quegli effetti personali che avevano caratterizzato il matrimonio dei suoi zii.
Così, volendo tenere la mente occupata, tornò al piano inferiore decisa più che mai ad introdurre in quella casa qualcosa di suo.


Utilizzò gran parte della giornata nella sistemazione delle sue cose, e solo dopo aver trovato un posto per l’ultimo oggetto, si rese conto di ciò che giaceva sul camino in salotto e su alcune mensole. Inizialmente credette fossero scatti di qualche luogo dell’America in cui erano stati, oppure foto della loro casetta a Manchester.
Ma fu la vista di qualcosa di familiare ad attirare il suo sguardo.
Avvicinandosi, ebbe un tutto al cuore…


Sul camino, risiedevano tutte le fotografie in ordine cronologico di Brooke; dal primo anno di asilo fino al suo diploma. Una linea del tempo che rappresentava tutta la sua vita anno dopo anno. C’erano anche foto del loro matrimonio o di una giornata in qualche luogo, ma a quanto sembrava, la loro vita ruotava tutta intorno a lei. Con un ultimo sospiro, vide il sole scomparire sulla linea dell’orizzonte, decidendo così di mangiare qualcosa preso in precedenza su consiglio di Eric; per poi salire nella sua stanza e finalmente leggere cos’altro aveva da dirle Susan.
Si addormentò con le lacrime che sgorgavano incessanti e con tutto il suo amore verso quella sconosciuta zia che la amava da tempo immemore.


Il giorno dopo fu talmente sfiancante alzarsi dal letto, che decise di rimandare la sua giornata da turista in quell’immensa città.
Così trascorse un altro giorno intero in casa godendosi il vento caldo comodamente sdraiata sull’amaca in giardino.
Piena di determinazione e pronta a sfidare tutti i traumi del jet-leg, il mattino seguente Brooke si costrinse a scoprire mano a mano i luoghi che costituivano Los Angeles. Scoprì ben presto che gli abitanti  di quel luogo erano tutti molto ospitali, tanto da dargli pazientemente indicazioni su cosa vedere e soprattutto come orientarsi.
In breve tempo ottenne abbastanza informazioni da capire dove fare la spesa, dove trovare la farmacia più vicina, dove andare se voleva divertirsi e dove se voleva stare da sola. Aveva una piccolissima parte di Los Angeles nelle proprie mani, e ne era molto fiera.
Nonostante l’impaccio iniziale, stava iniziando a sentirsi parte di quel luogo, e finalmente sentirsi a casa.


Un mattino aprendo le tende della camera da letto, intravide un sole a dir poco luminoso che preannunciava una giornata altrettanto meravigliosa. Così, mossa da una potente energia, raccolse il necessario per trascorrere una giornata in spiaggia per rilassarsi.
Di ritorno a casa verso le 18:00, si fermò in un piccolo Starbucks per ordinare un milk-shake. Si sedette sullo sgabello di fronte al bancone ed attese.
Una ragazza le si sedette vicino ed educatamente la salutò.


“Ciao”
“Ciao” rispose lei
“Io sono Claire” sorrise
“Brooke, piacere di conoscerti Claire” le strinse la mano
“Piacere mio” … “non mi sembra di averti mai vista da queste parti” aggiunse
“No, infatti. Mi sono trasferita da poco”
“Ecco spiegato il motivo!” sorrise di nuovo
“Si…torno adesso dalla spiaggia, mi sono goduta un po’ di sole”
“C’ero anche io!!!” esclamò “ecco perché mi sembravi un viso conosciuto appena sono entrata!”


Si intrattennero per altri quaranta minuti, dopodiché, ognuna tornò a casa sua e promisero di rivedersi nei giorni seguenti.


Tre giorni dopo, Eric a sorpresa si era presentato alla sua porta, dicendole che stava tentando di convincere i genitori di Brooke a tornare in Inghilterra ed occupare la casa di Susan. Con l’umore alle stelle, Brooke lo invitò a cena in un ristorante e pretese che gli venisse raccontato ogni dettaglio senza tralasciare nulla.
E lui le parlò apertamente di come quel progetto stesse diventando un vero e proprio obiettivo da portare a termine; di come i suoi genitori stessero prendendo seriamente in considerazione di riabbracciare ogni cosa della loro amata Manchester.
Brooke lo guardò con gli occhi colmi di lacrime perché sapeva quanto i suoi sentissero nostalgia di casa.


“Eric, non so come ringraziarti” ammise
“Oh, piccola Brooke, non serve. Lo faccio con piacere” le sorrise
“Serve eccome! Se la mia famiglia si riunisce, è grazie a te” rispose
“Cosa posso farci? Ho un debole per la tua famiglia!!!”


Risero di gusto, mentre stavano tornando a casa.
Eric la abbracciò sul pianerottolo e le promise che l’avrebbe tenuta aggiornata sugli sviluppi della vicenda.


“Brooke!!!???” una voce li interruppe
“Ciao…cosa ci fai qui?” chiese
“Ti stavo cercando” disse col fiatone
“Sul serio? Ehm, Eric questa è la mia amica Claire. Claire lui è Eric”


Scambiando i convenevoli, Eric le lasciò da sole davanti l’abitazione.


“Ehm, scusami ma ho perso il tuo numero e non sapevo come ritrovarti”
“Oh, mi dispiace. È successo qualcosa?” chiese preoccupata
“No, anzi. Ci stavo pensando da ieri sera e mentre ero al supermarket giù in città, ho chiesto di te in giro e mi hanno detto  dove abitavi” disse imbarazzata
“Hai fatto bene!” sorrise “vieni, dentro si sta meglio”


Entrate in casa, Brooke preparò un thè, come consuetudine delle sue origini inglesi, ed attese che la sua ospite raccontasse il motivo per il quale la stesse cercando da così tanto tempo.
Diverse sorsate dopo, Claire sorrise guardandola dritta negli occhi.


“So per certo che le persone che hai conosciuto da quando sei arrivata hanno tutte una meravigliosa stima di te. Mi hanno detto che sei una persona in gamba e molto responsabile; che anche se con non poca fatica, ce la stai mettendo tutta per inserirti in città ma sopra ogni cosa, ti vedono molto gentile con tutti anche quando sei assorta nel tuo mondo fatto di musica…perciò volevo chiederti se ti andrebbe di lavorare insieme a me nel mio negozio di cd e strumenti”


Un silenzio pervase la stanza una volta proferite le ultime parole di Claire.
Brooke era rimasta non solo sorpresa, ma anche molto grata e felice che Claire avesse pensato proprio a lei per un lavoro del genere. Per lei la musica era tutto, e l’idea di poter lavorare in un certo senso in quel campo la rendeva orgogliosa e fiera di sé stessa.
Avrebbe convissuto con la musica, avrebbe ascoltato milioni e milioni di brani; avrebbe ascoltato  tutte le novità e tutte le anteprime mondiali.
Aveva praticamente tutta la vita nelle sue mani. Col sorriso stampato sul volto, ricambiò lo sguardo di Claire…


“Direi che sarà l’esperienza più divertente della mia vita!!!” disse abbracciandola
“Grazie Brooke!”
“No Claire, grazie a te”


Si congedarono dandosi appuntamento per l’indomani mattina.


Inizialmente fu un po’ imbarazzante presentarsi lì tutte le mattine e non sapere nulla su cosa avesse dovuto o non dovuto fare. Nel corso dei giorni poi, Brooke e Claire trovarono il loro equilibrio e bastava solo un cenno che le due si comprendessero al volo.


Il negozio di Claire era un posto a dir poco stupendo.
C’erano file e file di scaffali stracolmi di CD suddivisi per genere, per i quali Brooke suggerì di divider anche per ordine alfabetico. Le pareti erano di un Bordeaux semi coperto da qualche poster sparso qua e là.
Era un gran bel locale con mattonelle in cui si alternavano scacchi a pentagrammi con tanto di note musicali. Subito in fondo si trovava il bancone, dietro il quale appesi con molta cura e dedizione, vi erano articoli di merchandising di ogni genere.
Nella parete di destra vi era l’angolo dedicato agli strumenti musicali, dal più grande al più piccolo, e solo sotto l’attento controllo di Claire, potevano essere provati.
In quella di sinistra, invece, decine e decine di amanti della musica dei più svariati generi, si soffermava ad osservare la così ribattezzata “Wall of Music”. Un’intera parete contenente gli autografi e qualche foto dei più famosi e innumerevoli artisti che nel loro cammino si erano imbattuti in quel posto.
Ogni mattina che Brooke entrava, rimaneva letteralmente spaesata, come se si trovasse in uno stato tale da non riuscire a comprendere se stesse sognando o meno.


“Claire…posso chiederti una cosa?” chiese un mattino
“Dimmi tutto” rispose sistemando alcuni vinili
“Da quanto tempo gestisci questo posto?”
“Da diversi anni…mio nonno ne era il proprietario, poi passò a mio padre, ed ora tocca a me”





“Mio padre abbandonò me e mia madre quando avevo 7 anni” proseguì
“Cavolo, mi dispiace” s’intromise Brooke
“Tornò che ne avevo 15…era un uomo completamente diverso. Disse a mia madre che l’aveva fatto perché sentiva di doverlo fare. Confessò di aver dormito per anni per strada senza un soldo nelle tasche. Aveva fatto l’autostop così a lungo da non sapere neanche in che stato dell’America fosse. Finché non venne assunto come operaio in una piccola fabbrica. Si rimise in sesto, comprò un auto; dei vestiti nuovi e tornò a casa da noi. Mia madre lo perdonò ancora prima di sentire l’intera storia ed ora siamo più uniti di ogni essere vivente” sorrise
“E’ una bellissima storia Claire” disse abbracciandola
“Grazie…lo penso anche io” rispose
“Comunque, se posso, avete fatto un lavoro magnifico qui dentro”
“Che dire…la musica fa parte di noi” esclamò
“E’ per questo che il tuo mondo è tutto qui dentro?” chiese Brooke
“E’ per questo che ho scelto te per farne parte” rispose spiazzandola


Credo fu in quel momento che Brooke Johnston comprese che Claire avrebbe sempre avuto un ruolo importante nella sua vita.
Quella ragazza l’aveva osservata in spiaggia in un banale mattino ed aveva deciso e compreso che Brooke era molto simile a lei sotto certi aspetti, e pertanto voleva che entrambe potessero vivere facendo ciò che adoravano di più. Era minuta, molto dolce ed estremamente divertente.
Iniziarono così a frequentarsi anche fuori dal lavoro e dopo nemmeno un mese e mezzo, vivevano una in casa dell’altra. Ed ogni tanto gli scappava un sorriso mentre pensava di essere volata nella città degli Angeli da poco più di due mesi, e sentiva già di essere a casa.


Un piovoso sabato in cui il negozio rimase chiuso per la riparazione dell’impianto elettrico, Brooke e Claire erano ognuna in casa propria ad oziare davanti la tv.
Brooke ne approfittò per dare una sistemata in giro: ritirò l’amaca dal giardino, lavò i pavimenti ed infine di lasciò cadere sul divano.
Un’ora dopo, il cellulare squillò…


“Pronto?”
“Ciao splendore, che stai facendo?”
“Ciao Claire. Nulla sono morta sul divano” sorrise
“Bene! Volevo invitarti ad una festa privata” esplose lei
“Una festa privata? Non dovremo mica imbucarci, vero?”
“No, no, è di una persona che conosco. Preparati, passo da te alle 20:00”
“Va bene, a dopo”


Alle 20:15 si trovavano sul posto, e Claire suonava il campanello.
Furono scortate nell’enorme villa dove la gente era ammassata. Brooke trattenne a stento uno “Wow” di sorpresa alla vista dell’immensità del luogo.
Due drink dopo, Claire la prese per mano e la condusse verso un ragazzo in giacca elegante.


“Lui è mio cugino Tom”
“Ciao, piacere! Sei nuova di qui?”
“Si, mi sono trasferita da un paio di mesi” rispose sopra il frastuono
“Bene…benvenuta a Los Angeles pupa!!!” disse allargando le braccia


Tra una risata e l’altra, volarono altri drink, e stavolta venne condotta verso una ragazza bionda vicino una sorta di Pub al piano inferiore, dove la gente era appiccicata in quantità industriale.
Si avvicinò lentamente urlando per farsi sentire da sopra la musica.


“Lauren! Lauren!! Lauren!!!”
“Ehy! Perdonami  non sento nulla” gesticolò spostandosi vicino il bancone
“Lauren, voglio presentarti Brooke” … “è la ragazza che lavora con me”
“Oh, un’aiutante! È così patetico!” disse con aria di sufficienza


Brooke espresse un leggero e sottomesso sorriso, sentendo la serata ed il buonumore abbandonare completamente il proprio corpo. Era lì dentro da due ore e voleva tornare a casa il prima possibile.
La sua amica, invece, fece finta di non aver sentito.


“Allora Lauren, come precede?” chiese
“Non mi lamento. La band sta lavorando molto bene e l’alcool scorre a fiumi”
“Hai affittato un’intera band?” disse Brooke
“Ma certo, cosa vuoi che sia! Non ti piacciono le band?”
“Oh, no no. Certo che mi piacciono. Stavo solo chiedendo” si ammutolì
“Lo scorso anno avevo i The Killers” proferì spostandosi i capelli
“Caspita! Non vi fate mancare nulla qui in California” rispose
“Io ho sempre il meglio” … “ah, Brooke. Fra poco ci sarà una Cocktail Race, ovvero una gara a chi riesce a bere quanti più cocktail ideati da me stessa”


Brooke credette che la stesse sfidando in qualche modo, ed invece aggiunse…


“Mi serve qualcuno che versi da bere…aiutante”


Detto questo, prese per mano Claire e affidò Brooke ad un completo sconosciuto che regnava dietro il bancone.
Completamente spaesata e non sapendo come tornare a casa se non con Claire, alla fine cedette e prese posto al fianco del ragazzo che gli spiegò in breve come si sarebbe svolta la gara. Sei persone a turno per un totale di 30, avrebbero dovuto sedersi e buttare giù bicchierini d’alcool non sapendo però che cosa ci fosse mischiato dentro.
Alle prime avvisaglie di stordimento si veniva eliminati, fin quando non ne fosse rimasto uno solo. E ovviamente, più si andava avanti, più i miscugli erano potenti.


Dapprima la cosa la divertì un po’, ma poi era alquanto noioso e disgustoso vedere tizi che rigettavano a destra e a sinistra nei loro vestiti comprati spendendo patrimoni inquantificabili.
Il vincitore fu un esuberante ragazzo tutto muscoli che predicava di essere un giocatore di football professionista, e che nella vita avrebbe ottenuto sempre e solo quello che voleva.

Con un’alzata di sopracciglia, Brooke ripulì il bancone e riordinò tutto mentre il ragazzo che era con lei, Ben, raccoglieva i bicchieri distrutti in giro.
La folla piano piano si diradava e c’era chi saliva al piano superiore per oziare sul divano e chi invece restava ancora lì sotto a discorrere su come era stata la serata.  Diede un ultimo superalcolico ad una ragazza e poi prese a riordinare la quantità infinita di bottiglie utilizzate, conscia del fatto di essere passata per la schiava di Lauren.


Avvertì il rumore di uno sgabello spostato, e di un individuo che vi si sedeva sopra.
Sperò con tutta sé stessa che non fosse quell’arrogante di Lauren, ed in qualche modo, il suo stomaco ebbe un sussulto.


“Credi che potrei averne uno anche io?” chiese


Voltandosi, evitò di fracassare in mille pezzi la bottiglia che teneva in mano.
Rimase immobile non capendoci più nulla. Dall’altro lato del bancone, invece, c’era solo un sorriso ed un ampio sguardo scrutatore.


“Ciao…Brooke” disse rafforzando il sorriso
“Ciao… Alex” balbettò lei
“Allora, come mai sei a Los Angeles?”
“Mi sono trasferita qui da un po’ di tempo” rispose ripetendo a tutti la solita tiritera
“Ma che bella notizia! Sono contento. Che fai? Lavori per Lauren?”
“No, nella maniera più assoluta. Sono stata incastrata; suppongo di dover aspettare la mia amica per andare a casa”
“Oh, mi dispiace” si ammutolì
“Già, non vedo l’ora di andarmene” ammise





“Ehy amico, che fai torni con noi?” gridarono alle sue spalle
“Ehy Nick, si un secondo e arrivo” rispose


Invece Nick si avvicinò mettendogli le mani sulle spalle.


“Fai gli occhi dolci alla cameriera?” chiese ridendo
“Chi io? Con una cameriera? Mai amico!” esclamò frantumando l’ego di Brooke
“Allora andiamo” disse andando via e lanciando dei contanti sul bancone
“Si, un secondo, prendo la giacca”


Brooke gli dava le spalle incollerita.
Ma chi era lui per trattarla in quel modo?
Gli aveva detto palesemente di essere stata costretta e l’aveva comunque trattata come una cosa da cui dover stare lontani ad ogni costo.
Era stata felice di rivederlo all’inizio, ma poi tutto era andato in frantumi insieme al flusso di quelle parole colme di disprezzo.


Alex si alzò e prese in mano la giacca sospirando…non riuscì a proferire nemmeno una sillaba sull’accaduto; pertanto, andò via, lasciando uno sgabello vuoto e dei contanti.


Con  l’umore distrutto e stanca fino allo stremo, uscì dalla villa e andò ad appoggiarsi sulla macchina di Claire che la raggiunse dopo quindici minuti.
Inutile dire che volarono insulti e che il litigio si protrasse fin sotto casa sua, fin quando ritennero entrambe di dimenticare la serata e si dettero appuntamento per il lunedì.


Brooke sprofondò sotto la doccia, cercando di dimenticare tutto l’accaduto. Poi, rapita dalla più completa stanchezza, si mise a letto.
Verso le 3:00 del mattino, il display del cellulare si illuminò, ma Brooke dormiva profondamente…


“Eri lì, solitaria e persa nei tuoi pensieri proprio come la prima volta. Chissà in che modo prenderai questo messaggio al tuo risveglio. Credo di aver perso un milione di punti ai tuoi occhi, e spero di recuperarli prima o poi… Al”

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Capitolo 3
*** Would a kiss be too much to ask? ***


3 Capitolo...spero vi piaccia, qualche commentino però potreste anche lasciarlo =) Buona lettura a tutti... 

 

Would a kiss be too much to ask?


 

Il Lunedì, Brooke era indaffarata a prepararsi per andare a lavorare, e non riusciva a togliersi dalla mente quello stramaledetto messaggio.
Tentava di ricordarsi in quale preciso momento si fossero scambiati i numeri di telefono ma non gli saltava alla mente niente di niente.


Ricordava la serata a dir poco strana ed imbarazzante; l’umiliazione subita da Lauren e il disprezzo da parte di Alex.
Non aveva avuto voglia di sentire nessuno durante la domenica ed ora, era pronta per uscire e cercare di liberare la mente.


Si presentò puntuale come un orologio svizzero davanti il negozio, dove Claire stava per aprire le porte.
Con un piccolo sorriso si salutarono, ed iniziarono la loro giornata lavorativa. 


Di tanto in tanto Claire tentava di approcciare su un qualunque argomento potesse sciogliere il silenzio imbarazzante.


Trascorsero così un’intera ora nella quale Claire spolverava gli strumenti musicali esposti, mentre Brooke smistava le nuove scatole di cd musicali arrivati da poco. Entrambe si sentivano combattute tra il chiedere scusa all’altra, e l’aspettare che l’altra facesse il primo passo.

Alla fine, cedette Claire…


“Brooke, mi dispiace da morire per la sera della festa. Avrei dovuto avvertirti, o quantomeno metterti in guardia da alcune persone. Non avevo idea che Lauren si sarebbe comportata in quel modo” disse affiancandosi a Brooke
“Non preoccuparti. Avrei dovuto aspettarmelo…non è il mio ambiente e devo farci ancora l’abitudine” rispose lei
“No, hai ragione. Ti ho praticamente abbandonata nel covo delle vipere, ma credimi non sono come loro. Siamo state compagne di scuola, siamo cresciute insieme ed in nostri genitori si conoscono da tanto tempo. Per me è normale e capisco che per te non è stato affatto piacevole”
“Va tutto bene Claire” … “non sono arrabbiata con te; o meglio non lo sono più. Diciamo che quando mi hai lasciata sola, mi sono trovata il mio da fare”
“Quindi tra noi è tutto ok?” chiese Claire speranzosa
“Ma certo! Non serve nemmeno chiederlo” sorrise abbracciandola


Dopo essere tornate ognuna al proprio lavoro, Claire sbirciò per diverse volte nella direzione di Brooke per assicurarsi che veramente non ci fossero problemi.


Aveva detto che fra loro era tutto ok; che la rabbia era passata e che anche se il suo era stato uno dei peggiori debutti in quel tipo di società, ce la stava mettendo tutta.
Ma il sorriso apparso sul volto di Brooke durante il loro abbraccio, sembrava non fosse mai avvenuto.


Dopo essere uscita un paio di minuti per portargli un caffè, la vide aprire la penultima scatola di cd e sospirare sommessamente. 
Senza farselo ripetere due volte, le si accostò lentamente.


“Brooke, ti ho portato un caffè!” si annunciò
“Oh, grazie Claire. Ci voleva proprio una pausa” sorrise


Dopo aver bevuto una grande sorsata, Claire tentò di spronarla a parlare.


“Ehy, che cosa c’è che non va?” chiese
“Nulla. Perché?” rispose perplessa
“Dai Brooke; quella non è la faccia di una persona tranquilla!”
“E’ tutto a posto Claire” ripeté
“So che non si tratta di noi due. Non si tratta nemmeno del tuo lavoro, perché va a gonfie vele. I tuoi genitori li senti tutti i giorni…”


Si fermò un attimo a riflettere, tentando di leggere il suo  sguardo.
Dall’altra parte, Brooke non distolse mai gli occhi da lei.

Finché…


“Non avrai mica incontrato qualcuno alla festa?” ipotizzò ridendo
“Ma no, no figurati!” rispose forse con qualche secondo in ritardo
“O cavolo! Allora è davvero per un ragazzo!!! E chi è, chi è???”
“Oh, niente di che…si è trattato solo di un certo comportamento, tutto qui” rispose lei
“Mmm…va bene, ti credo. Ora facciamo qualche altro minuto di pausa e raccontami bene”


Brooke attese un paio di minuti prima di rispondere, tentando di valutare tutti quegli aspetti ed elementi che poteva o non poteva rivelare. Perciò, decise che avrebbe rivelato lo stretto indispensabile per soddisfare la curiosità di Claire, ma anche per dare sfogo alle sue emozioni.
In fin dei conti era l’unica amica che aveva.
Prese un respiro  profondo, ed iniziò a raccontare la sua vicenda.


“Allora…da dove comincio…ah, si. Dunque, prima di venire qui a Los Angeles, mi trovavo all’aeroporto di Manchester e a causa di un ritardo del volo, sono finita a pranzare insieme ad un completo sconosciuto. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere e sono sicura che ci siamo trovati in una buona sintonia. Poi il volo è stato chiamato e ci si siamo persi di vista” concluse
“Finché?” chiese Claire presa dalla storia
“Finché non me lo sono ritrovato davanti al bancone alla festa di Lauren”
“O santo cielo! Mi stai dicendo che il tizio dell’aeroporto e quello della festa, sono la stessa persona? Capperi Brooke! Non dovresti essere contenta?” chiese sorridendo
“Dovrei, ma come ti ho detto non è stato molto educato con me”
“E perché mai?” disse corrugando la fronte
“Beh, mettiamola così…era tutto carino e felice del fatto che vivessi qui a Los Angeles, ma non appena il suo amico ha accennato al fatto che stesse parlando con me…”
“Lui ha negato tutto” concluse Claire per lei
“Esatto” confermò con un’alzata di spalle


Dopo un breve momento di silenzio, Claire riprese.


“So che vuoi mantenere la cosa privata ma, posso almeno sapere chi è?”
“Non so se posso dirtelo”
“Come vuoi” disse abbracciandola


Dopodiché, Brooke estrasse il cellulare dai jeans, selezionò il messaggio e lo porse a Claire. Lo rilesse per ben tre volte prima di alzare lo sguardo verso Brooke, che nel frattempo stava riordinando alcuni scaffali.
Sorrise leggermente andandogli incontro e scuotendo la testa.


“Fammi capire; lui ti scrive messaggi del genere e ancora gli tieni il broncio?”
“Beh, mi ha trattata come uno straccio!”
“Sono uomini Brooke. La coglionaggine fa parte di loro!” la rincuorò
“E se così non fosse?” chiese
“Allora questo sms non sarebbe mai esistito”


E così Brooke dovette arrendersi al fatto che probabilmente la sua amica avesse ragione e che dopotutto quel messaggio stava ad intendere che Alex volesse  chiedergli scusa.
In questo modo, riuscì finalmente a rilassarsi, e a proseguire la sua giornata.


Più tardi tornò a casa e fu nuovamente assalita dai pensieri.
Si fidava del discorso fattogli quella mattina, ma non ne era completamente convinta. Trascinandosi sotto la doccia, pensò che forse non avrebbe dovuto accanirsi così tanto; che forse Claire diceva la verità e che forse, avrebbe dovuto lasciar correre tutta quella faccenda.
Era comunque una persona importante e lei a confronto era pressoché nessuno.  Così facendo, si distese sul divano davanti la tv guardando un film di sua scelta.
Il cellulare prese a vibrare, segnalando l’arrivo di un nuovo messaggio.


Alex: Non ne vuoi proprio sapere di me vero? Non hai tutti i torti, dopotutto…


Brooke rimase leggermente interdetta all’arrivo di un ulteriore messaggio, e proprio nel momento in cui stava per rispondere, ne sopraggiunse un altro.


Alex: Sono stato un idiota Brooke. Mi dispiace sul serio…vorrei rimediare in qualche modo. Ma se non vuoi non fa nulla…


Seguendo il consiglio di Claire, Brooke tentò di rispondere.


Brooke: Ciao Alex

Alex: Allora ci sei =)

Brooke: Si, ci sono. Ho risposto per dirti che non devi preoccuparti, la rabbia è passata.

Alex: Ripeto che mi dispiace…so che forse sono avventato, ma credi che prima o poi posso riuscire a vederti? Le scuse telefoniche non sono il massimo.

Brooke: Forse…


Detto questo, Brooke spense il cellulare ancora non realizzando pienamente che cosa fosse successo. Nei messaggi non si era sbilanciata per nulla, e poi non voleva dargli nessun segnale riguardo il suo comportamento.
Era molto felice che lui l’avesse cercata di nuovo, ma in fondo in fondo, era ancora un pochino infastidita.
Si gettò sul letto e si addormentò pensierosa come solo lei era in grado di fare…


A qualche chilometro di distanza, e più precisamente a casa di Matt, Alex e gli altri stavano trascorrendo una semplice serata fra amici.
La breve conversazione con Brooke si era conclusa, perciò mollò il telefono e tentò di godersi il resto della serata.


Il mattino seguente avevano milioni di cose da fare.
Tra prove, interviste e tentativi di perfezionare la scaletta del prossimo live, temevano di non avere il tempo nemmeno di respirare.
E così fu, per ben due lunghe, intense e sfiancanti settimane.
Un concerto in Texas, uno a Las Vegas, un altro ancora a Seattle…
Macinavano km su km ed il cellulare di Alex non squillò nemmeno una volta. O meglio, non ricevette messaggi o telefonate che potessero suscitargli grande interesse.
Così, una volta tornati nella bella e soleggiata California, lui ed i suoi amici al completo, si dilettarono fra spiaggia, piscina sauna e videogiochi appena usciti.


“Ehy Al, passami un’ altra birra!” esclamò Jamie


Alex si guardò intorno fra le bottiglie abbandonate sul pavimento e le cartacce stipate in ogni dove.


“Cooks sono finite. Non ne vedo più in giro” rispose
“Impossibile! Ne abbiamo aperta una confezione da sei un’ora fa!” disse voltandosi
“Ti dico che qui non è rimasto nulla che abbia la vaga fattezza di una bottiglia di birra” reclamò
“Cavoli” fu la risposta di Jamie
“Senti, voi continuate pure. Io faccio una passeggiata e ne compro altre” disse Alex


Senza alcuna affermazione contraria, Alex prese le chiavi della sua auto ed uscì dall’edificio. Sperava con tutto sé stesso di non incontrare agenti della polizia, altrimenti avrebbe passato qualche nottata in prigione.
Con tutto l’impegno che possedeva, tentò di rispettare al meglio la condotta stradale, fino a fermarsi nel supermarket dove spesso comperava ogni cosa potesse servirgli.
Fece lo stesso percorso di sempre fra gli scaffali, accelerando però il passo quando avvistò il reparto bevande varie e alcolici.
Prese la confezione di birre e perse un po’ di tempo a curiosare, dopo aver notato che le casse erano abbastanza affollate.


Dopo un po’ si sistemò fra la fila e quando mancavano solo tre persone prima di lui, vide Brooke uscire dal negozio di fronte che teneva in mano un paio di cd ed un bicchiere di Starbucks. 
Fremeva dalla voglia di parlarle, di chiederle scusa e tentare di avere una conversazione civile il più possibile. Quando mancava solo una persona, stava per avere una crisi di nervi. Il tizio in questione, aveva svaligiato metà negozio e la sua roba sembrava non avesse fine. Alex tentava di mantenere il controllo mentre pregustava l’attimo in cui con uno scatto degno di un velocista, avrebbe letteralmente lanciato le banconote al cassiere e sarebbe finalmente uscito di li.


Nel frattempo, Brooke stava camminando lungo la strada diretta verso la spiaggia.
Era stata una giornata un po’ faticosa a causa delle innumerevoli quantità di strumenti che aveva dovuto spostare da un posto ad un altro.
Perciò Claire la fece andare via presto, e lei si concedette una sosta da Starbucks e l’idea di andare a rilassarsi un po’ guardando l’Oceano Pacifico.
Stava aspettando con ansia la telefonata di Eric per dargli conferma che il trasloco dei suoi genitori fosse andato  a buon fine. Non aveva voluto chiamare direttamente loro per evitare di stressarli troppo.
Ma era sicura che tutto fosse andato alla perfezione.
La tanto attesa telefonata arrivò proprio nel momento in cui stava controllando il cellulare.


“Eric! Stavo aspettando proprio te!” esclamò rispondendo al volo


Trascorsero una decina di minuti al telefono sorridendo di tanto in tanto, nonostante Brooke non riusciva a sentirlo molto chiaramente a causa del clacson insistente di qualche auto nei paraggi.
Si voltò spazientita con una mano su un orecchio e con l’altra teneva il telefono…


“Scusa un attimo Eric” … “Si può sapere che diavolo vuoi???” urlò contro l’auto dai vetri scuri


Per tutta risposta, l’auto la superò ed andò a posteggiare qualche metro più avanti, lasciando che Brooke la oltrepassasse e si dirigesse verso la spiaggia.


Due ore più tardi, quando il sole iniziava a scomparire lungo la linea dell’orizzonte inondando tutto di un caldo ed accogliente arancione, Brooke scattò una bellissima foto e raccolse tutte le sue cose incamminandosi verso casa.
Era ancora di buon umore dopo la telefonata con Eric, ma crollò tutto quando constatò che l’auto contro cui aveva urlato qualche ora prima la stava seguendo.
Decise quindi di cercare di ignorarla e proseguire il suo cammino. Si sentiva braccata e leggermente a disagio mentre immaginava innumerevoli scene poco positive su quelle faccenda. Quando si accorse che l’auto si stava facendo più vicina, Brooke iniziò a correre tentando di ricordare se ci fosse qualche scorciatoia che avrebbe anticipato il suo rientro a casa.


Raggiunse il cancello e lo chiuse con forza, facendo altrettanto con la porta di casa…
Si assicurò che non fosse stata seguita e poi prese il suo Ipod isolandosi del mondo intero.
Istintivamente scelse una canzone degli Arctic Monkeys, nella speranza che la voce di Alex potesse dargli sollievo.
Fin quando non urlò di spavento nel momento in cui il telefono vibrò…


Alex: Ehy, ciao Brooke…disturbo?

Brooke: Ciao! No, non disturbi affatto

Alex: Bene! Se sei a casa passo a prenderti fra un’ora…niente domande! A tra poco, Al


Rimase stupita da quella affermazione.
Non lo aveva più sentito da quella sera di diverse settimane indietro, ed in quel momento non sapeva se fare affidamento al suo messaggio oppure ignorarlo.
Decise poi che avrebbe indossato qualcosa di comodo in modo da non risultare patetica al suo stesso riflesso nello specchio, nell’attimo in cui Alex non si sarebbe presentato affatto. Indossò un paio di jeans, una canottiera e le sue Converse rosse.
Una mise più che adatta per affrontare qualunque cosa.  Esattamente un’ora dopo, il campanello suonò…


“Ciao!” disse Alex sorridendo
“Ciao! Ma…”
“No, no, no…ho detto niente domande, vieni con me e ti spiegherò tutto” promise
“Va bene” acconsentì lei


Salirono in macchina nel più completo silenzio.
Brooke con il cervello a mille e Alex con il sorriso sulle labbra pregustando finalmente la sua tanto attesa chiacchierata riparatoria.
La osservava con la coda dell’occhio, mentre cercava di tenere a mente tutto quello che aveva da dirgli.


Parcheggiò nei pressi della spiaggia e la invitò a seguirlo.
Camminarono per un paio di minuti fino a fermarsi in prossimità di un mucchio di sassi fra i quali torreggiava della legna pronta per ardere. La invitò a sedersi sulla sabbia mentre estraeva un paio di sandwich e delle lattine di cola.
Dopodiché, iniziò ad accendere il piccolo falò, per poi sedersi al suo fianco.


“Allora, che te ne pare?” chiese speranzoso
“E’ un bel posto” … “e ho apprezzato molto il gesto” rispose
“Grazie” disse sorridendo


Dopo un breve attimo di silenzio, Brooke riprese la parola.


“Allora Alex…perché mi hai portata qui?” chiese tranquillamente
“Beh…ecco…vedi…” rispose colto alla sprovvista
“Coraggio” lo incalzò lei “stai tranquillo” sorrise
“Ok” sorrise di rimando
“Sono tutta orecchie”
“Innanzitutto, volevo chiederti ancora scusa per come mi sono comportato alla festa di quella ragazza, Lauren. Ti ho praticamente disprezzata davanti a Nick e non te lo meritavi per nessuna ragione al mondo. Non le pensavo assolutamente quelle parole che ho detto e mi dispiace molto perché ho visto la tua reazione e mi sono reso conto troppo tardi di quello che avevo provocato. Non sapevo come rimediare e così mentre eri voltata ho visto il tuo cellulare ed ho fatto una telefonata verso il mio in modo da avere il tuo numero”


Alzò lo sguardo verso Brooke per cogliere anche solo un minimo accenno a qualunque tipo di reazione.


“Ah, ecco come è successo. Ho passato giorni interi a tentare di ricordare” ammise
“Già. Ammetto che è stata la prima cosa che mi è venuta in mente”
“Beh, se sono qui significa che tanto male non ti è andata” disse dandogli una piccola spallata
“No, per niente affatto” sorrise


Si sentiva molto più a suo agio in quell’istante.
Si aspettava quasi una piccola sfuriata che però non era arrivata.
Così decise di dirle l’ultima cosa per poi passare una tranquilla serata senza pensieri.


“Devo confessarti una piccola cosa” proruppe
“Sarebbe?”
“Non so come dirtelo. Oggi pomeriggio sono uscito in città ed ero leggermente ubriaco. E credo di averci dato giù pesante a cercare di seguirti”


Brooke si alzò di scatto con lo sguardo più spaesato e accusatorio che mai.


“Eri tu allora su quell’auto? No dico, ma sei pazzo o cosa?” urlò
“No Brooke aspetta!!!” esclamò non appena la vide dirigersi verso l’oceano
“No che non aspetto!” rispose accelerando il passo


Si alzò di scatto anche lui, poggiando a terra la lattina che teneva in mano e maledicendosi per aver detto forse troppo.
La serata stava andando bene e lui aveva appena trovato il modo di rovinarla.
Corse così verso la sua direzione e l’afferrò per un braccio.


“Brooke ascoltami! Non ero in me mi dispiace”
“Non capisci Alex. Sono letteralmente morta dallo spavento! Sulle prime sono stata tranquilla ma poi mi sono fatta prendere dal panico. Mi sono chiusa in casa ad ascoltare le tue canzoni perché hanno lo strano effetto di calmarmi. E ora vieni a dirmi che dentro quell’auto c’eri tu?”
“Scusami. Non credevo avessi esagerato fino a questo punto” si giustificò lui
“Non è stato molto bello” confessò
“Hai ragione, sono stato un completo idiota” … “ mi sa tanto che ti ho rovinato la serata”
“Non fa nulla” rispose dopo un paio di minuti “meglio sapere che eri tu e non uno schizzato”
“Dici sul serio?” chiese sorpreso
“Dico sul serio” si placò Brooke


E sorrise…gettò la testa indietro in quel suo modo strano e bizzarro che induceva chiunque a non capire se fosse un bambino semplicemente divertito oppure un uomo adulto che si trovava in una situazione che lo faceva sorridere. E si soffermò ad osservare Brooke.
Un lampo fulmineo attraversò il suo sguardo mentre la strattonava.


“Ti va un bagno notturno nell’oceano?”
“Che cosa?” disse lei


Non se lo fece ripetere due volte.
Se la caricò sulle spalle e corse come meglio poteva fra le onde fino a buttarvisi dentro. L’acqua era tiepida e l’oceano leggermente mosso.
Riemersero nel medesimo istante con i vestiti completamente appiccicati addosso ed i sorrisi sulle labbra. Brooke lo ammonì con uno sguardo di finto rimprovero; Alex per tutta risposta le schizzò dell’acqua sul viso.
Rimasero immersi per quasi un’ora ridendo, urlando, saltandosi addosso l’un l’altra e cantando sotto le stelle, godendosi al massimo la loro serata alternativa.
Una serata che entrambi desideravano da diverso tempo; sia per la compagnia sia per la semplice voglia di non pensare a nulla per qualche ora, e sentire il cuore, la mente e l’anima leggera.


Con un ultimo sguardo verso le stelle, Alex tolse il braccio dalle spalle di Brooke e si diresse verso la spiaggia con lei al suo seguito.
Estrasse due asciugamani dallo zaino che aveva portato, e gliene porse uno.


“Hai pensato proprio a tutto eh” disse lei asciugandosi
“Se volevo riacquistare la tua fiducia dovevo fare le cose per bene” ribatté


Trascorsero un’altra mezz’ora ad asciugarsi vicino a ciò che rimaneva del piccolo falò.


“Brooke?” disse d’un tratto corrugando le sopracciglia
“Si?”
“Perché in aeroporto hai fatto finta di non conoscermi?”
“Perché tu hai detto di chiamarti Jamie” rispose semplicemente
“Non ti fidavi o?” tentò di capire
“Ho solo pensato che se ti eri presentato con quel nome, volessi restare nascosto”
“Ma è comunque il nome di un membro della band!” disse suonando ovvio
“Si, lo so. Ma credo che ci sia stato un motivo se ti sei presentato come Jamie e non come Alex”
“Si. Si, c’era. Eri l’unica che non urlava e scattava foto a non finire”
“E hai pensato che fossi diversa dagli altri o comunque estranea alla vostra fama”  sorrise
“Esatto, non avrei saputo spiegarlo meglio” disse sorridendo di rimando


Scambiate quest’ultime parole, Alex affermò che era ora di riaccompagnarla a casa.
E così Brooke si offrì di dargli una mano a rimettere le cose in macchina.
Gettarono un po’ di sabbia per spegnere il fuoco e salirono in macchina diretti verso l’abitazione di Brooke.
Diversi minuti dopo, Alex entrò attraverso il cancello e spense il motore dell’auto.


“Grazie!” esclamò
“Sono io che dovrei ringraziarti, Alex” rispose
“Lo so, ma sono stato talmente bene da sentirmi in dovere di farlo” pronunciò
“Sono stata bene anche io” disse fissandolo “ne avevo un gran bisogno” concluse arrossendo


Non distogliendo lo sguardo nemmeno per un istante, Alex si fece improvvisamente troppo vicino. 
Avvicinò il viso a quello di Brooke prima di chiudere gli occhi e baciarla nel modo più innocente del mondo, intensificandolo a poco a poco.
Alcuni istanti dopo, Brooke si staccò allontanandolo.


“Non posso Alex”
“Perché Brooke? Siamo stati benissimo questa sera. Sarebbe troppo chiederti un bacio?”
“No. No assolutamente. È stato magnifico ma…” si interruppe
“Ma cosa?”
“…Non voglio essere una delle tante…” ammise abbassando lo sguardo


All’improvviso, Alex si rese conto delle parole proferitegli da Brooke.
Lei aveva ragione, lui era una persona popolare, e si sa che i personaggi famosi posseggono una vita sentimentale abbastanza movimentata, a maggior ragione le Rockstar come lui. Provò a mettersi nei suoi panni, ed annuì con il capo sospirando.


“Se non te la senti, non fa nulla” rispose
“E’ proprio questo il problema. Io me la sento, me la sento eccome!!!”
“Ma vuoi andarci cauta” finì per lei
“Esattamente”





“Va bene. Allora, buonanotte” disse abbracciandola
“Notte Alex” disse uscendo dall’auto “ah, la tua giacca!”
“Tranquilla, puoi tenerla se vuoi” sorrise soddisfatto


Con un sorriso ed un’alzata di spalle, estrasse le chiavi di cada mentre Alex metteva in moto e si allontanava dal viale.
Di lì a poco, ognuno in casa propria, entrambi fecero una doccia per lavare via la salsedine, e Brooke indossò nuovamente la giacca per poi guardarsi allo specchio più sorridente che mai.

Lei crollò addormentata con addosso ancora la giacca di Alex; ed Alex, si addormentò fischiettando una canzone con ancora in mente la bellezza di quella serata…

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Capitolo 4
*** Stop making the eyes at me ***


Nuovo capitolo tutto per voi...buona lettura =)

Stop making the eyes at me

 
 

Alex dormiva profondamente nel suo letto…


I sogni nella sua mente si componevano e scomponevano nel giro di pochi minuti creandone altri ed altri ancora.
Aveva milioni di pensieri in testa e non riusciva a focalizzarsi su nessuno.
Sentiva solo il cervello martellare a non finire, finché non decise di alzarsi.


Scivolò sotto la doccia e vi rimase per quindici minuti tentando di rinfrescarsi in quella giornata che prometteva caldo a non finire.
Si preparò al volo, ed uscì per incontrarsi con i ragazzi che lo aspettavano per una piccola intervista in una radio locale.



Brooke, invece, era a lavoro da un paio d’ore.
Stava aiutando alcuni ragazzini a scegliere il regalo adatto per un loro amico che compiva gli anni. Erano indecisi fra un paio di cd ed alcuni poster o altri gadget che sapevano sarebbero potuti piacergli.
Claire era dovuta uscire per alcune commissioni che gli stavano portando via l’intera mattinata. Aveva così approfittato della disponibilità di Brooke ed era uscita di corsa.


Era inizio settimana e perciò Brooke era più che tranquilla di gestire il negozio semivuoto.
Dal mercoledì in poi era un vero e proprio manicomio: c’erano lezioni di chitarra ed altro; studenti che volevano visitare il muro delle celebrità; musicisti che firmavano autografi ecc. ecc.


Impacchettato il regalo per i ragazzi, sistemò tutto ciò che aveva mostrato loro.


Si chiese se era il caso o meno di scrivere un messaggio ad Alex, anche solo per sapere come stesse andando la sua giornata.
Ma decise di ripensarci onde evitare di recargli qualunque disturbo, tornando così alla sua attività lavorativa.
In fondo la serata precedente era andata a gonfie vele, a parte qualche piccolo intoppo ed era tornata a casa più che soddisfatta.
Rimuginava ancora sul discorso fattogli in auto, e si convinse del fatto che forse era stata un po’ brusca, anche se lui era sembrato più che disponibile nell’apprendere le sue intenzioni.
Claire interruppe la confusione dei pensieri, rientrando in negozio e sbuffando dopo aver poggiato le buste sotto il bancone dove regnava  Brooke.


“Che mattinata stressante!” esclamò
“Tutto bene?” rispose Brooke
“Si, si tranquilla. Fra poco verrà mia madre a darci il cambio” sorrise
“Tua madre? E perché?”
“Ha detto che ci farebbe bene un po’ di relax”
“Oh, va bene. Sono contenta” rispose
“Perciò fra poco andremo a pranzo fuori se ti va…”
“Ma certo che ne ho voglia!” esclamò entusiasta
“Bene!”


Un’ora dopo, la mamma di Claire entrò con molta disinvoltura all’interno del negozio, intimando alle ragazze di andare a divertirsi e non preoccuparsi di nulla.
Così, dopo aver fatto la sua conoscenza, Brooke seguì Claire all’aperto.
Si avviarono a piedi alla ricerca di un ristorantino carino nel quale poter trascorrere una bella giornata mangiando e chiacchierando senza dover essere interrotte dai vari clienti.


Dopo qualche minuto di cammino, optarono per uno in cui Claire amava andare con sua madre quando era solo una bambina. I proprietari la conoscevano da sempre e l’amavano come una figlia. Mentre apparecchiavano un tavolo solo per loro con vista sull’oceano, Brooke si sentiva avviluppare in quella morsa d’amore che aleggiava negli occhi di Claire.
Il signore e la signora Jones, erano corsi subito al loro tavolo riempiendole di complimenti e raccontando qualche aneddoto e disavventura di quando Claire era piccola e si dilettava a fare scherzi ai vari membri dello staff.
Dopodiché  le lasciarono godersi il pranzo in santa pace.


“Che fine ha fatto poi il tizio che ti seguiva?” chiese tra un boccone e l’altro
“Oh beh, si è tutto risolto” rispose
“Cioè? Hai scoperto chi era o hai solo fatto una gaffe?”
“No no, ho scoperto chi era”
“Bene, perché ho chiamato a casa tua ma forse dormivi”
“In realtà non ero in casa” disse lasciando la frase in sospeso
“E dov’eri?”


Quando si rese conto del silenzio che regnava e del sorriso seminascosto di Brooke, mollò le posate sul tavolo ed accostò la sedia verso di lei.


“Eri con quel ragazzo!” disse schiaffeggiandola con il tovagliolo
“Si, ero con lui” sorrise divertita
“E quando avresti avuto intenzione di dirmelo?” disse fingendo il broncio
“Appena avessimo avuto qualche momento per noi” affermò
“Beh? Allora? Dimmi tutto, ogni cosa!” esclamò


Col sorriso sulle labbra, Brooke prese le redini del discorso e tentò di raccontarle ogni minimo dettaglio potesse tornargli in mente.
Gli raccontò dell’episodio dell’auto con i vetri scuri che la seguiva e di come non appena entrata in spiaggia, lei avesse immediatamente cercato Claire per un supporto morale.
Gli raccontò la tranquillità seguita subito dalla sensazione di ansia che l’aveva attanagliata dopo aver rivisto l’auto. La corsa contro il tempo verso casa e la disperata ricerca di conforto fra le braccia dei brani degli Arctic Monkeys. L’improvviso sms di Alex che la invitava ad uscire e la rivelazione di colui che l’aveva seguita.
La stupenda serata in spiaggia e l’imbarazzo misto ad adrenalina durante la fine della serata. E Claire ascoltava più rapita che mai, non proferendo una singola sillaba.
Al termine del racconto, Brooke attese che Claire prendesse parola.


“Beh, non saprei cosa dire. Insomma, hai passato una piacevole serata no?” chiese
“Si, certo. Un po’ strana a livello di emozioni” ammise
“Strana? In che senso?”
“Non so Claire…ho paura che dopo quel discorso sia cambiato qualcosa”
“Ma no! Stai tranquilla. Andrà tutto bene”
“Lo spero” sorrise “io e la negatività giriamo abbracciate”
“Non preoccuparti” disse rassicurandola


Claire rimuginò qualche minuto prima di porre l’ennesima domanda.
Aveva paura di sembrare troppo insistente o quantomeno inappropriata. Teneva all’affetto di Brooke e voleva evitare che ci fossero attriti o altro.


“Brooke…lo so che non sono affari miei ma…” si fermò
“Claire” … “ho capito, stai tranquilla”
“E’ che non voglio tu pensi male di me, ma…”


La conversazione venne interrotta dallo squillo di un cellulare.
Entrambe controllarono il proprio, finché Brooke non si alzò dal tavolo.
Si allontanò giusto di qualche passo per ottenere un po’ di privacy e un briciolo di ricezione migliore. Rispose senza tradire alcuna emozione, e sorrise felice di quella telefonata quasi inaspettata.
Mentre era al telefono, si accorse che anche Claire era impegnata in una telefonata, perciò prolungò anche la propria. Entrambe restarono al telefono per circa un’ora, ritrovandosi al loro tavolo come se non fosse mai accaduto nulla.


“Scusami, era Lauren. Voleva che la accompagnassi a fare spese” pronunciò Claire
“Oh beh, buon divertimento allora!” esclamò Brooke sarcasticamente
“Dai! Smettila!” sorrise “lo so che vi odiate”
“No, non è vero che la odio. Certo, se avessi una bottiglia di alcool ed un accendino fra le mani, saprei che uso farne” concluse Brooke
“Caspita!!!” sorrise Claire di puro gusto
“Già…ma tranquilla, non sono poi così cattiva”
“Non preoccuparti. Suppongo, quindi, che non devo assolutamente chiederti se vuoi venire con noi?”
“Non mi sembra il caso Claire. Era lui al telefono poco fa” sorrise
“Aaah, adesso capisco. Allora ti auguro una buona serata” esclamò
“Grazie” rispose Brooke


Terminarono il loro pranzo nella più completa tranquillità. Dopodiché si congedarono intorno alle 15:00  per andare a prepararsi.
Claire salì sull’auto costosa che Lauren aveva appositamente mandato a prenderla; al contrario Brooke, percorse la strada a piedi prima di salire di salire su di un taxi.


Mentre entrava in casa, Brooke pensava al forte paradosso che regnava nella vita di Claire. Passava dall’essere una semplice ragazza che gestiva un negozio di musica, al passare pomeriggi con persone che arrivavano a spendere anche mille dollari per un misero vestito o una borsa. Tentò di scacciare il pensiero che avrebbe irrimediabilmente portato al ricordo di quella festa a dir poco imbarazzante.
Così andò a dare una veloce sistemata in casa prima di prepararsi per il suo impegno.
Alle 18:30 era seduta in salotto sfogliando un vecchio libro ingiallito dal tempo e dall’uso spropositato che lei stessa ne aveva fatto negli anni.


Qualche minuto dopo, Alex stava guidando con il volume dello stereo al massimo e tamburellava con le dita sul volante. Imboccò il viale parcheggiando esattamente davanti le scalette che conducevano alla porta d’ingresso. Sistemò il cellulare in tasca e suonò il campanello.
Brooke aprì la porta e gli regalò un grande ed immenso sorriso.


“Pronta?” domando lui
“Pronta” rispose
“Ti piace l’idea del cinema vero?” chiese
“Ma certo Alex. Mi va benissimo, non c’è problema” lo rassicurò Brooke
“Ok” esalò lui con un sospiro


Salirono poi in macchina e Brooke notò che Alex non accennava minimamente a trovare un po’ di calma. Voleva chiedere se fosse successo qualcosa; se aveva ripensato ad uscire con lei e non aveva avuto il coraggio di confessarglielo. O se semplicemente era stanco.
Così temporeggiò un minuto prima di domandare qualunque cosa.


“Al, è tutto ok?”
“Cosa? Oh, si è tutto a posto. Solo un po’ nervoso” ammise
“Nervoso? Al, andremo a vedere solo un film” esclamò lei
“Si, lo so. È solo che sono sempre braccato dai paparazzi e non voglio esserlo stasera”
“Capisco. Facciamo così” iniziò Brooke “noi arriviamo al cinema, ti guardi intorno e se noti qualcosa che non va, andiamo via ok?”
“Va bene, proviamoci” disse guardando la strada davanti a lui


Brooke sbirciava di tanto in tanto il suo sguardo per accertarsi che si stesse veramente calmando. Sembrava un po’ più tranquillo di quando erano partiti, scrutava la strada con meno paura di incontrare chissà cosa o chissà chi, e la sua postura era meno rigida di quanto lo fosse precedentemente.
Per rilassarsi  ulteriormente, Alex inserì nel lettore il primo cd capitato fra le sue mani in quel momento, lasciando che la musica gli annebbiasse i cattivi pensieri.


Posteggiarono nel parcheggio sul retro e tentarono di entrare il più nascosti possibile; Alex con gli occhiali da sole nonostante fosse sera, ed il colletto alzato.
Si avvicinò al ragazzo dei biglietti e lo pregò di non dare spettacolo. Il ragazzo avvertì il suo direttore che li fece entrare per una strada differente, assicurandogli che avrebbe fatto in modo di non creargli problemi.


Fortunatamente la sala era quasi vuota; la maggior parte delle persone erano tutte corse a vedere l’ultimo film d’azione uscito da poco e questo diede modo ad Alex di essere ancora più sereno. Scelse una fila a caso facendo cenno a Brooke di seguirlo.


Iniziato il film, l’impaccio ed il nervosismo vennero completamente abbandonati , tanto che dopo circa mezzora Alex teneva il braccio intorno alle spalle di Brooke e sorrideva felice.
Brooke, dal canto suo, non desiderava altro in quel momento che passare una serata con lui.


“Ti vanno dei pop corn?” esclamò Alex durante l’intervallo
“Si, vado io. Passo un secondo in bagno prima” sorrise


Alex sorrise di rimando e si sistemò meglio sulla poltrona del cinema.
Brooke uscì dal bagno, lavò le mani e corse a prendere i pop corn tentando di arrivare in tempo per la ripresa del film.
Mentre rientrava a fatica in sala e riprendeva posto vicino ad Alex, notò qualcosa di apparentemente strano. Qualche fila davanti a loro, ospitava un uomo con un cappello ed un cappotto indosso che sembrava avere uno strano comportamento.
Fin quando non estrasse l’obiettivo di una fotocamera.


“Ehy, credo che ci sia qualcosa che non va in quell’uomo” bisbigliò ad Alex
“Cosa?”


Alex tentò di controllare meglio la visuale, dopodiché prese il braccio di Brooke e le fece cenno di uscire dalla sala.
Lei uscì silenziosamente seguita da Alex che estrasse le chiavi dell’auto dai Jeans. Ingranò la marcia guardandosi intorno, non ripensando al fatto che la sua auto era premunita di vetri oscuri e pertanto nessuno avrebbe potuto riconoscerlo dall’esterno.
Furioso, percorse la strada a gran velocità che li avrebbe allontanati da lì.


“Mi spiace Brooke, sapevo che sarebbe andata così” disse
“Non preoccuparti”
“Ha rovinato tutto, ma non potevo rischiare di incasinarti la vita” proseguì
“Dai, almeno metà film lo abbiamo visto” disse guardandolo


Improvvisamente allentò un poco la pressione sull’acceleratore, voltò lo sguardo verso Brooke e scoppiò in un’enorme e fragorosa risata che riempì tutto l’abitacolo.
Brooke completò la sua risata, più che contenta del fatto di essere riuscita a strappargli finalmente un sorriso. Sulle note di qualche stazione radio selezionata a caso, Alex propose di stare insieme comunque quella sera, dopotutto non avevano ancora cenato.


“Che ne dici se ordiniamo un paio di pizze e noleggiamo qualcosa di carino?” propose
“Dico che è una splendida idea” rispose Brooke sorridendo
“Perfetto allora!”
“Se mi dici cosa preferisci, faccio tutto io. Almeno ti eviti altre rogne come al cinema”
“Pensi sempre a tutto tu eh?” gli sorrise grato
“Già” arrossì lei “oppure per il film posso chiamarti e dirti cosa trovo”
“Buona idea!” esclamò divertito


Sotto le sue attente e meticolose indicazioni, Brooke acquistò le pizze ed il film da vedere, salendo poi in macchina.
Dopo circa 5 minuti, Brooke realizzò che non si stavano affatto dirigendo verso casa sua, scatenando in lei un momento di panico.
Fece giusto un paio di respiri profondi senza farsi scoprire.
Alex  con la coda dell’occhio, la vide agitarsi leggermente e pertanto cercò di tenerla calma.


“Se non vogliamo andare a casa mia, non succede nulla Brooke”
“No, no. È tutto a posto tranquillo” sorrise
“Sei sicura? Per me non c’è nessun problema a tornare indietro!” esclamò
“Al, sto bene…sul serio. Non me lo aspettavo, tutto qui” rispose imbarazzata


Lui fece un breve cenno di assenso e proseguì con la guida senza staccare un attimo gli occhi dalla strada buia.
Diversi minuti dopo, si trovavano il portone ed Alex era intento a cercare le chiavi di casa ma senza successo. Imprecando mentalmente, ricordò di averle lasciate in macchina e sorrise imbarazzato per la piccola gaffe appena fatta.
Dopodiché, entrarono in casa e mentre Alex riscaldava la pizza nel forno, Brooke curiosò in giro per il salone.
Le pareti erano ricoperte di vecchie e recenti fotografie di Alex con i genitori e degli Arctic Monkeys  al completo.
Brooke era gelosa della sua vita; qualunque foto guardasse c’erano sempre gli stessi volti sorridenti e divertiti. Anche lei aveva sempre sognato di avere una vita piena di risate e momenti epici da immortalare ed appendere al muro.


“Stai bene?”


Era talmente presa dall’osservare tutte quelle foto ed immaginare cosa stessero facendo in quel momento, da non accorgersi che Alex era proprio alle sue spalle che sistemava la cena sul tavolino basso difronte il televisore.


“Si, si. È tutto ok. Davo solo uno sguardo alla tua vita” sorrise
“Non sai com’è la mia vita?” chiese scettico
“Certo che so com’è la tua vita. È la vita dei Monkeys fuori dai palchi che non conosco” ammise sorridendo


Si avvicinò a lei difronte alla parete di foto ed anche lui si soffermò un momento ad osservare.


“Siamo semplici amici che si divertono” rispose
“Vi invidio un po’ lo sai?” confessò
“Perché?” chiese facendola accomodare sul divano
“Non so…saranno quei bei visi sorridenti anche se state solo seduti sul pavimento, oppure il profondo amore e rispetto che traspare dai vostri occhi…”
“Sai che quello che hai detto è una bellissima cosa?” disse guardandola con affetto
“Sul serio?” arrossì
“Sul serio” sorrise lui


Accesero la tv e nella maniera più naturale possibile, quasi si conoscessero da tutta una vita, cenarono e si godettero il film scelto abbracciati.
La serata trascorse nel migliore dei modi tra scherzi, risate, sguardi d’intesa e momenti di estrema serietà.
Per la prima volta da che era approdata in America, Brooke sentiva che non stava affatto perdendo tempo, che le cose stavano andando per il meglio e che era esattamente dove doveva e voleva essere. 


Mentre Alex gli stava mostrando altre foto che non aveva ancora avuto il tempo di appendere sui muri, Brooke cadde in un profondo silenzio meditatore. Miliardi di pensieri ed immagini si stavano affollando nella sua mente, pronti ad esplodere in qualunque  momento. Si ridestò solo nel momento in cui sentì la mano di Alex posarsi sul suo ginocchio.


“Ehy” chiese preoccupato
“Ehy” rispose lei
“Sei passata dal ridere a più a non posso ad uno stato di trance” azzardò


Tutto quello che ottenne fu una sonora e riconoscente risata; una risata di puro cuore e con le lacrime agli occhi.


“Hai ragione, perdonami. È solo che mi sono tornate in mente moltissime cose…”
“Spero non siano cose tristi, perché altrimenti posso mettere via queste foto” propose
“No, no anzi sono contenta che tu me le abbia mostrate. Sono molto belle!!!” lo ringraziò
“Allora che succede? Se posso saperlo”
“Niente di che…stavo ripensando a che strano caso del destino mi ha portata qui a Los Angeles. I  miei zii sono morti diversi mesi fa ed io senza averli incontrati neanche una volta mi sono ritrovata con due lettere e due case; una a Manchester e l’altra qui” confessò
“Oh” disse prendendole la mano “mi spiace Brooke, davvero” disse tentando di rincuorarla
“Grazie…mia zia Susan mi scriveva sempre” abbozzò un sorriso





“Brooke, non ti sei mai chiesta come sapessi dove abitavi?” disse all’improvviso
“In effetti si, e sono arrivata alla conclusione che forse tu e lei vi eravate già incontrati”
“L’ho capito dopo la festa di Lauren. Ma ci siamo incontrati solo un paio di volte”
“Sul serio?” chiese sorpresa
“E’ stato solo un caso. Io e Matt eravamo andati a fare un giro in bici e ci siamo spinti verso le abitazioni vicino la collinetta e c’era questo camion dei traslochi con una povera donna stanca, così le abbiamo dato una mano. Una volta scaricato tutto, ci offrì un thè freddo e ci raccontò un po’ la sua storia”
“Già…zia Susan aveva un cuore d’oro…nelle sue lettere mi scriveva sempre che siamo nati per infondere amore” sorrise malinconica
“Ricordo che quel giorno non smise un attimo di dirci quanto amasse sua nipote; quanto desiderasse vederla…”
“Non poteva avere figli e perciò per loro esistevo solo io” disse tirando su con il naso
“Era una bravissima persona Brooke, e meritavi tutto il suo amore” disse chiudendola in un abbraccio che lei ricambiò con molto affetto.


...

 
“E’ una storia a dir poco incredibile” riprese lei poco dopo
“Già…la rividi anni dopo. Sono stato fuori per parecchio tempo, e stava cercando di spedire una lettera. Suppongo per te ora che lo so!”
“La cosa buffa è che avevo in programma di stare da lei dopo il diploma…che ironia della sorte” ammise alzandosi in piedi seguita da lui
“Credo che allora ti stesse spedendo la risposta a quella lettera; diceva che non vedeva l’ora di questo famoso incontro. Continuava a ripetermi di aver paura che nessuno riuscisse a proteggerti; che alcune persone a Los Angeles sono cattive e che quando lei non c’era voleva che qualcuno si prendesse cura di te”





“Ti conosco appena, ma so che se me lo avesse chiesto in questo momento, le avrei risposto che l’avrei fatto io senza un briciolo di esitazione o ripensamento alcuno” ammise con il capo basso.


Una manciata di secondi dopo, risollevando lo sguardo, Alex notò come gli occhi di Brooke fossero estremamente lucidi.
Lei lo fissò dritto negli occhi, con le gambe che gli tremavano leggermente e dopo un breve attimo di esitazione, gli andò incontro baciandolo.
Un bacio intenso ed intimo a tal punto da far scorrere una lacrima lungo la guancia sinistra di Brooke.
Si staccò da lei dopo qualche secondo, col fiato corto ed il viso perplesso.


“A cosa devo questa frenesia?” chiese con un sorriso
“Zitto e continua a baciarmi!” rispose Brooke


Ricominciarono nuovamente intensificando i baci ed i gesti…
Alex si staccò per guardarla nuovamente, riprendendo fiato.


“E’ perché ho detto che vorrei prendermi cura di te?” domando impaziente di proseguire
“Si Alex, si…è la cosa più bella che qualcuno mi abbia mai detto…” confessò stringendoglisi contro ancora di più


Questa volta lui la strinse più forte ed iniziò a baciarla e sfiorarla con molta più foga e lei non accennò assolutamente a fermarlo, anzi, anche i suoi gesti si fecero più intensi.
Gli slacciò lentamente i bottoni della camicia suscitando in lui uno sguardo sorpreso sul volto, e ciò lo indusse a staccarsi per l’ennesima volta.


“Non eri tu quella che voleva andarci piano; che non voleva essere una delle tante e tutti quei discorsi del genere?” sorrise tra un bacio e l’altro
“Oh, sta zitto Turner e togliti quei vestiti!!!” esclamò con il sorriso sulle labbra


Non se lo fece ripetere due volte, mettendola in braccio e conducendola, come meglio poteva, nella sua stanza da letto.

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