Immortal Interview- The Pawn di Porrima Noctuam Tacet433 (/viewuser.php?uid=177380)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Re Nero ***
Capitolo 2: *** N. F. Montpellier ***
Capitolo 3: *** Percentuale ***
Capitolo 4: *** Enigmi irrisolti ***
Capitolo 5: *** Il messaggio ***
Capitolo 6: *** Dietro la maschera ***
Capitolo 7: *** Tutto secondo i piani ***
Capitolo 8: *** Senza un nome ***
Capitolo 9: *** La storia di Alypion ***
Capitolo 10: *** "dicharazioni di Rima" e Nuove Conoscenze ***
Capitolo 11: *** La vittoria del più debole ***
Capitolo 12: *** Ed è solo l'inizio ***
Capitolo 1 *** Il Re Nero ***
Il
Re Nero
Reims, 1994
<<
Io…
non ri…. Non posso ….>>
Il
respiro
del ragazzo era accelerato, il suo corpo tremava, scosso dai singulti
che non
riusciva a trattenere. L’uomo alto ed elegante che lo aveva
accompagnato nella
stanza si accorse ben presto di non poterlo guardare negli occhi, e
decise di
interpretare il suo tremore come una conseguenza del freddo invernale.
Chiuse
con premura la finestra, ma non distolse lo sguardo dalla città di
Reims sotto
di lui.
<<
Siediti,
ragazzo. >> intimò senza voltarsi.
L’ansia
del
giovane era quasi palpabile. Ci mise qualche secondo per realizzare il
significato delle parole dell’uomo, poi fece pochi passi verso il
tavolo, quasi
inconsciamente. I suoi occhi erano
ancora sbarrati e puntati verso il pavimento. il più vecchio lo guardò
impassibile.
<<
Non
è possibile… non è…. Possibile. >>
<<
Per
quanto ancora credi che lo ripeterai? >>
Il
ragazzo
alzò lentamente il capo, zittendosi all’istante. Aprì la bocca, ma la
voce gli
morì in gola davanti all’espressione gelida dell’uomo.
Lo
vide
mordersi il labbro, ignorando la sua presenza.
Guardava distrattamente i tetti delle case e i passanti.
<<
Buffo.
>> sorrise, divertito. << Tu
non hai la minima idea di chi io sia… eppure ti fidi ugualmente di me.
>>
Il
ragazzo
si passò una mano sul viso, cercando di riprendere coraggio e lucidità.
Strinse
i pugni. Era un giornalista, uno che andava in cerca di belle storie.
Mai si
sarebbe aspettato una storia come quella.
L’uomo
si
mosse verso il fondo della sala, aprì un armadietto attaccato al muro
tirandone
fuori due bicchieri e una bottiglia di China. Tornato al tavolo la
stappò con
eleganza.
Ancora
spaesato, il giovane si trovò tra le mani un bicchierino ricolmo di un
liquido
ramato.
<<
Se
fosse stato sempre così facile guadagnarsi la fiducia degli uomini non
avrei
mai avuto problemi. >>
E
mentre lo
osservava ridacchiare, il ragazzo scoprì di riuscire a riflettere con
più calma
sulle sue parole, anche se non poteva ignorare l’inquietudine che
sentiva a
stargli vicino. Era vero, si era subito fidato di quell’uomo, forse
perché non
aveva avuto scelta, forse a causa del suo carisma e della sincerità dei
suoi
occhi quando gli aveva detto di volerlo aiutare.
<<
Tutto
questo…. >> cercò di dire il ragazzo, la voce che tremava e lo
sguardo
che vagava ovunque pur di non posarsi sull’italiano seduto di fronte a
lui.
<<
Non
è un sogno >> sorrise l’uomo.
<< Né una allucinazione. >>
Il
silenzio
fu opprimente, anche se durò solo pochi istanti. Nella mente del
giovane
giornalista regnava la più completa confusione, e intanto l’uomo lo
studiava.
<<
Tu
non sai che cos’è. >>
Parole
terribilmente semplici, quasi mormorate con poco fiato, che
racchiudevano un
significato enorme.
Forse
troppo
grande, per un semplice giornalista in cerca di una bella storia.
<<
Tutto
questo è ….. >> il ragazzo si guardò la punta delle scarpe,
mentre
un’orrenda ma lucida consapevolezza gli riempiva il torace.
<<
… Qualcosa
che non avrei mai dovuto vedere… >>
L’uomo
sembrava colpito, o almeno così si poteva intuire dal suo silenzio.
<<
Sì,
è così. >>
Che
senso
avrebbe avuto mentire? Il destino di quel ragazzo era già scritto, e
non
sarebbe servito a niente tenerglielo nascosto.
<<
Guardami,
ragazzo. >>
La
sua voce
si era addolcita, e il suo viso sembrava più preoccupato che ostile, ma
il
giovane fece comunque un enorme fatica ad obbedire.
Il
giornalista teneva il bicchiere tra le mani poggiate sul tavolo. Le nocche stavano impallidendo per la
pressione troppo forte con cui stringeva le dita, e il suo volto era
cinereo,
cadaverico e madido di sudore freddo. Quanto doveva apparire stupido e
insignificante ad un uomo come quello che gli stava di fronte!
Eppure,
nonostante l’imbarazzo e la paura, quegli occhi grigi così calmi e
attenti
verso il mondo lo avevano paralizzato. E non riusciva a non guardarli,
perché
gli sembrava che racchiudessero dentro le iridi un passato neanche
immaginabile.
<<
Lei…
lei è… >>
<<
Umano?
>> completò l’uomo al posto suo, con un sorriso sarcastico.
<<
Sì,
io sono umano…. >> esitò, lanciando un’occhiata al tesserino che
il
giornalista teneva attaccato alla custodia della macchina fotografica. << Richard Andersen. >>
Con
un
elegante movimento del braccio, l’uomo alto e canuto svuotò il suo
bicchiere.
Poi si rilassò contro lo schienale della sedia.
<<
Non
devi avere paura di me. >>
Per
qualche
assurda ragione che nemmeno lui sapeva spiegarsi, Richard
Andersen sembrò
tranquillizzarsi. Però continuava a non
dire una parola.
<<
Parla
pure liberamente con me. Se avessi voluto farti del male l’avrei già
fatto, e
non ti avrei portato via da… bè, lo sai.
>>
<<
No…
a dire il vero non lo so. >>
mormorò in risposta il giornalista.
<<
Ti
starai chiedendo chi sono io. >>
Il
ragazzo
deglutì.
<<
Immagino
che lei non voglia rispondere a questa domanda. >>
L’uomo
non
rispose subito. La sua espressione si era rabbuiata.
<<
Non
c’entra che io lo voglia o no. >> i suoi occhi puntarono sul viso
del
giovane. << Io non posso. >>
Il
ragazzo
rifletté su quelle parole. Aveva ancora il nodo allo stomaco per la
paura, ma
la sua sfrenata curiosità quasi gliela faceva dimenticare. E poi, al
momento
l’unica scelta che aveva era fidarsi del suo ospite. Anche se gli
sembrava di
vivere in un incubo.
<<
Qualcuno
le impedisce di farlo? >> chiese,
la voce ridotta a poco più di un sussurro e le mani strette intorno ai
braccioli di un antica sedia di epoca rinascimentale.
L’uomo
fece
un vago e indifferente gesto con la mano, prima di fare spallucce.
<<
Non
è soltanto questo. Dirti chi sono
implicherebbe non soltanto rivelarti il mio nome, ragazzo.
Non lo sai che le nostre esperienze possono
dire di noi molto più di quanto noi possiamo narrare di loro? E io non
posso
dirti chi sono, perché sarebbe troppo complicato da spiegare. Mi
capisci?
>>
Il
ragazzo
si affrettò ad annuire, ma l’uomo si era già risposto da solo.
<<
No
che non capisci. Tu non puoi capire. >>
Il
suo
sorriso gli mise addosso una terribile angoscia. Non sapeva come
definirlo. Divertito, malinconico,
arrogante, disincantato?
<<
Perché
non può raccontarmi la sua storia? >>
Ecco
che
finalmente Richard Pember dimenticava per un istante la paura e la
sostituiva
con la curiosità. Ecco che veniva fuori il giornalista alla ricerca di
belle
storie.
<<
Più
che altro, ragazzo… perché è troppo lunga.
>>
<<
Ma
io sono abituato a sentire storie lunghe! >> esclamò il
giornalista, per
poi arrossire subito dopo, vergognandosi di essere stato tanto
avventato.
I
suoi occhi
ardevano di interesse. Voleva sapere, voleva poter dare una risposta a
tutte le
sue domande. E credeva anche di meritarselo, dopo quello che era stato
costretto a vedere.
La
risata
dell’uomo lo colse di sorpresa. Si era aspettato un atteggiamento
infastidito,
e invece lui rideva.
<<
Non
credo che tu abbia mai sentito raccontare una vita come la mia. >>
Il
suo
ospite fu sul punto di riempirsi nuovamente il bicchiere, ma le sue
dita si
fermarono prima di toccare la bottiglia.
<<
Ho
promesso a me stesso che non avrei esagerato. >> si giustificò a
mezza
voce.
<<
Quando?
>> chiese il ragazzo distrattamente.
<<
Molto
tempo fa. Dimmi, ragazzo. Quanto sono lunghe le tue storie? >>
<<
Delle
volte anche settant’anni. >> annunciò fiero il giornalista,
esagerando
apposta per impressionare il suo interlocutore.
E
a questo
punto nella sua fantasia già si delineava il viso dell’uomo contorto in
un
espressione stupita. Sentì un fiotto di soddisfazione salirgli alla
gola.
Aprì
la
bocca per aggiungere qualche dettaglio, ma dovette richiuderla
immediatamente,
mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Inutile
descrivere la stizza e lo sconcerto che provò nel non vedere realizzate
le sue
speranze.
<<
Come
pensavo. >> commentò pacatamente il padrone di casa, con un
sorriso a
metà tra il sarcastico e lo scettico.
<<
Ora,
se vuoi scusarmi… >> il ragazzo continuava a guardarlo come se
fosse un
alieno, ad occhi sbarrati.
L’uomo
lo
ignorò e si alzò dalla sedia.
<<
Vado
a riposare un po’. È stata una giornata stressante. >>
Prima
di
arrivare alla porta, voltò appena la testa verso il giornalista ancora
impietrito sulla sedia.
Era
terribilmente pallido, le labbra esangui e le sopracciglia aggrottate.
<<
Anche
tu hai bisogno di una dormita, ragazzo. Le chiavi della stanza degli
ospiti
sono accanto alla porta, in fondo al corridoio. >>
*
<<
Non
vuole dirmi nemmeno il suo nome? >> chiese il giornalista con la
gola
secca.
Era
prima
mattina, e lui era già in piedi, le occhiaie viola ben marcate sotto
gli occhi
e i capelli spettinati. Non aveva chiuso occhio quella notte. Una
miriade di
domande continuavano ad affollargli la testa, incessantemente.
Ma
quel che
era peggio era che continuava a rivedere le immagini del giorno prima
come se
ce le avesse davanti agli occhi in ogni istante.
Un
uomo
basso e dai tratti irregolari nascosti sotto la corta e ispida barba
grigia,
che tendeva una mano in avanti sprigionando scintille gialle contro una
creatura che sembrava arrivata direttamente da un girone infernale. Le
sue
zanne micidiali, l’enorme testa di
coccodrillo che pareva quasi incastrata nella parte anteriore del corpo
da
leone.
Il
giornalista rabbrividì e tornò a guardare colui che, per qualche ignota
ragione, aveva deciso di ospitarlo, nel disperato tentativo di
distrarsi.
L’uomo
aveva
sicuramente sentito la domanda che Richard gli aveva posto, ma non si
era
nemmeno voltato, continuando ad armeggiare con i fornelli e le tazze
per la
colazione. Fischiettava.
Erano
più le
volte che Richard veniva ignorato, che quelle in cui si degnava di
rispondere
con frasi evasive o cambiando argomento.
<<
Io
devo sapere. >>
La
voce del
ragazzo si era fatta più convinta e aveva alzato il tono, come per
sovrastare
il fischiettio dell’uomo.
<<
Che
cosa è successo ieri? Che cosa era quella creatura? E chi era
quell’uomo che la
ha aiutata a fermarla? >>
Fece
una
pausa, riprese fiato, e subito dopo riattaccò, deciso più che mai a far
parlare
il suo interlocutore.
<<
E
lei, chi è, esattamente? Che cosa è?
>>
L’uomo
volse
lentamente il capo, i suoi occhi grigi si posarono con una pacata
imperscrutabilità sul ragazzo. Per un
attimo, Richard temette con un brivido di orrore di averlo in qualche
modo
offeso. La freddezza del suo sguardo lo spaventava, e fu presto
costretto ad
abbassare gli occhi.
<<
Quanto
zucchero vuoi? >>
La
voce
calma dell’uomo stonava, in un certo senso, con quelle sue iridi che
sembravano
due pozzi senza fondo.
Richard
ci
mise qualche secondo per trovare il fiato per rispondere.
<<
Du…
due zollette… grazie… >>
Dopo
avergli
servito una tazza di caffè, l’uomo si sedette di fronte a lui.
Richard,
malgrado tutti i suoi sforzi, non riusciva a ritrovare la quiete
perduta.
Osservò ammirato il riflesso del sole sulle tendine bianche ricamate,
la grande
cucina chiara, semplice ma raffinata.
Dopo
vari
minuti, Richard prese fiato.
<<
Sa,
signore… >> disse, facendo distogliere l’attenzione dell’altro
dal
giornale posato sul tavolo e staccandosi la tazza dalle labbra.
<<
Adesso
sembra tutto così tranquillo…. Sembra troppo tranquillo…. Questa calma
è falsa,
non è reale…. Non può esserlo, dopo quello che ho visto ieri. >>
L’uomo
alto
e dai grandi occhi grigi lo ascoltò in silenzio, il volto impassibile.
<<
Sarebbe
anche…. Piacevole, bere il caffè insieme a lei. >> continuò
Richard, il
capo chino. << se sorvoliamo il fatto che ieri ho visto una
creatura
mostruosa che non dovrebbe esistere, e un uomo che non avrebbe dovuto
fare
quelle cose… >> prese un respiro, accorgendosi di aver detto il
tutto
troppo velocemente.
<<
E
lei…. Lei che …. Le sue mani…. >>
Il
ragazzo
osservò le mani dell’uomo, che ancora reggevano il giornale, come se
potessero
sprigionare volute di fumo bianco da un momento all’altro.
E
ancora una
volta ebbe paura, una paura folle, ma allo stesso tempo non riusciva a
fare
niente di concreto, e continuava a farsi manovrare dagli eventi, troppo
impietrito dal terrore per prendere in mano la situazione.
Guardò
con
orrore l’uomo che gli stava di fronte, con la terribile consapevolezza
che non
era un uomo normale. Era sovrannaturale.
Nonostante ciò che gli aveva detto il giorno prima, Richard non poteva
credere
che fosse umano.
L’altro
dovette leggergli tutti quei pensieri in faccia, perché ripiegò il
giornale con
la calma e l’atteggiamento di un adulto che ha il noioso compito di
spiegare
qualcosa a un bambino.
Lo
guardò
impassibile, poi allungò una mano verso il vassoio di brioche e glielo
porse.
Richard
afferrò la colazione quasi con timore e spaesamento. Alzò appena gli
occhi in
direzione del suo salvatore, in una domanda muta.
<<
Non
posso rispondere alle tue domande. >>
constatò questi, laconico.
<<
Ma
io ho bisogno di sapere…. >>
<<
Forse
non mi sono spiegato, ragazzo. >> l’uomo accompagnò la sua voce
brusca
con un gesto stizzito.
<<
Tu
non puoi sapere. Nulla. >> poggiò i gomiti sul tavolo e congiunse
le
punte delle dita davanti alla bocca.
<<
Ascolta.
Non voglio essere sgarbato con te. Ma tu non puoi permetterti di fare
domande,
perché, perdona la franchezza, dovresti già essere morto.
>>
Richard
deglutì, sgranando gli occhi, ma cercò di darsi coraggio e di
rispondere con
più lucidità possibile.
<<
Lei
mi ha trascinato qui, in casa sua! Ero andato in periferia per scattare
foto, e
mi sono ritrovato di fronte a dei.... >>
Mostri, aggiunse dentro di sé,
istintivamente. Quando vide l’espressione gelida dell’uomo si sentì
mancare.
<<
Mostri? >> completò quest’ultimo, una traccia di sorriso nel
volto e la
voce incolore.
<<
Fenomeni
sovrannaturali. >> lo corresse Richard, dei brividi fastidiosi
che gli
correvano lungo la schiena.
<<
Come
può pensare che adesso io non faccia qualche domanda? >>
Il
sorriso
sul volto di quel sempre più misterioso personaggio si allargò.
<<
Essere
curiosi è un pregio. >>
Poi
si
sporse sul tavolo, del suo ghigno non c’era più nessuna traccia, i suoi
occhi
erano più seri e penetranti del solito.
<<
Ma
tu non esserlo. >>
Nella
cucina
cadde improvvisamente un silenzio opprimente che il giornalista non
aveva la
forza di spezzare.
<<
Ti
faccio paura, non è così? >>
L’uomo
sembrava sinceramente interessato allo stato d’animo del ragazzo, che
continuava a torturarsi le mani e il labbro inferiore, con lo sguardo
basso.
Al
suono di
quella domanda, sobbalzò leggermente.
<<
N…no….
Lei… mi ha salvato, dopotutto… >> provò a rispondere, cercando di
dare al
suo tono una certa sicurezza.
<<
Invece
dovresti averne, di paura. >>
Richard
lo
osservò per un lungo momento, gli occhi distanti e assorti in pensieri
e
domande irrisolte.
<<
Perché
mi ha salvato? Perché l’ha fatto, anche se non avrei mai dovuto sapere
niente?
>>
L’uomo
sospirò annoiato.
<<
Lo
vuoi un consiglio, ragazzo? Vattene di qui. Cambia stato. Cambia nome,
fa
quello che vuoi, ma non cercare la verità. È pericolosa, per quelli
come te.
>>
Rivelò i denti bianchi in un rapido ghigno,
accavallò le gambe e rilassò la schiena poggiandola contro la sedia.
<<
E
un’altra cosa. Cambia mestiere. Fare il giornalista ti fa male. >>
Richard
aprì
la bocca per ribattere, ma la richiuse di colpo, colpito e intimorito
dalla
figura appena comparsa sulla soglia. Portava un cappello ampio quanto
bastava
per gettargli ombra sugli occhi, e quando parlò lo fece muovendo
impercettibilmente le labbra, a capo chino.
<<
Signore. È qui. >>
L’uomo
annuì
imperturbabile. Richard aveva la sensazione che fosse successo qualcosa
di
importante, di molto importante, anche se l’espressione del suo
salvatore non
lo dava a vedere.
<<
Grazie. Arrivo subito. >> lanciò una rapida occhiata a Richard,
come per
avvertirlo di non fiatare.
<<
Ora
parlerò con una persona. Tu devi stare in silenzio, e fare tutto ciò
che ti
dice lui >> e indicò con un pacato gesto della mano la figura
sulla
soglia, ancora immobile. Richard capì in un lampo che non avrebbe
potuto
disobbedire, e fu assalito da un terrore folle, che lo impietrì. Non
riusciva
più a pensare a niente di sensato. Voleva solo dimenticarsi di tutto,
ricominciare
quei due giorni d’inferno da capo, svegliarsi da quell’incubo.
L’uomo
si
alzò, lanciò un’occhiata significativa a quello che doveva essere il
suo
segretario, e uscì con tutta calma dalla stanza.
Richard
non
perse mai divista i suoi movimenti con gli occhi febbrili. Non fece in
tempo ad
inghiottire la saliva in eccesso che il segretario lo afferrò, si calò
ancora una
volta il cappello sugli occhi e lo afferrò saldamente per un braccio.
Con ben
poca grazia trascinò via il giornalista verso la parte opposta rispetto
a
quella dove era sparito l’uomo, e lo infilò in uno stanzino con una
velocità
impressionante.
Richard
si
sbilanciò e riuscì a fatica a rimanere in piedi, quasi inciampando
nelle sue
stesse caviglie.
Il
segretario non lo degnò più nemmeno di uno sguardo, ma chiuse la porta
e ci
appoggiò l’orecchio sopra.
Richard
lo
guardò incredulo, ma si trattenne dal pronunciare qualunque parola. Ma
cosa
sperava di sentire, quel tipo? L’uomo alto e canuto doveva aver
attraversato
almeno due stanze per raggiungere lo spazio riservato agli ospiti. Non era possibile sentire…
Oppure no?
*
Il
dottor
John Dee sembrava essere la tranquillità personificata. Anche lui,
dopotutto,
aveva avuto un sacco di tempo per imparare a nascondere le proprie
emozioni.
Ma
Niccolò
Machiavelli lo conosceva troppo bene per non percepire la sua rabbia.
Si
sentiva vagamente a disagio. Non era abituato ad agire con imprudenza,
senza
avere un’idea precisa di ciò che si apprestava a fare. Eppure, quando
aveva
salvato quel ragazzo, era esattamente questo che aveva fatto.
Si
era
aspettato una visita del Mago. Dee sospettava di lui in ogni occasione,
per
principio, e qualche volta capitava che avesse anche ragione.
Adesso più che mai, devo
confidare
nell’aiuto di Dagon,
rifletté Machiavelli, con lucidità.
Salutando
con un sorriso di circostanza l’altro immortale, si trovò a pensare se
fosse
davvero una buona idea lasciare in vita il giornalista. C’erano cose
che
dovevano rimanere nascoste per l’umanità, questo era nell’interesse
degli
Oscuri Signori che lui serviva.
Eliminare
i
testimoni. Non era la prima volta che lo faceva.
Non
si
soffermò troppo a pensare sulle ragioni che lo avevano spinto a quel
gesto,
forse perché non voleva darsi delle risposte, o forse perché al momento
la
priorità era liberarsi del Mago.
<<
Machiavelli, dov’è il figlio degli homines?>>
Niccolò
scosse appena la testa con un sorriso. Passano
i secoli, ma alcune cose non cambiano proprio mai.
<<
Buongiorno anche a te, dottore. Sì, in effetti è una bellissima
mattinata.
Posso offrirti del caffè? >>
Il
viso del
Mago si contorse in una smorfia di rabbia mista a disgusto.
<<
Non
sopporterò il tuo sarcasmo, non oggi.
Rispondi! Dov’è il ragazzo? >>
Niccolò
si
scompigliò i capelli e si lasciò cadere su una sedia con uno sbadiglio.
<<
Se
ti dicessi che non so di cosa parli, mi crederesti? >>
<<
No.
>>
<<
È
davvero un peccato. Perché, vedi, dottore…. >>
Niccolò voltò la testa in modo da guardarlo
in faccia con gli occhi gelidi.
<<
Io non so di cosa parli >>
John
Dee
rimase rigido, in piedi in mezzo alla sala, la sua figura trasudava
tutto il suo
furore.
<<
Tu…
>> Niccolò osservò a gambe incrociate il suo sorriso di scherno.
<<
Non puoi immaginare quanto ti disprezzo. >>
<<
Sicuro?
Ho un immaginazione molto fertile. >> sorrise Machiavelli,
ironico.
<<
Che
cosa vuoi, John, questa volta? >>
Dee
sbuffò.
<<
Finiscila
con questa farsa, italiano. Pensi che non mi sia accorto dell’umano
sbucato
fuori da quel vicolo, ieri? Un attimo prima c’era, l’attimo dopo non
più. Sei
stato tu. >> sentenziò il Mago con una sicurezza ferrea.
Niccolò
rimase impassibile, sospirando con sufficienza.
<<
Dottore,
dottore. È mai possibile che non riesci a vedere oltre ciò che vorresti
fosse
vero? >>
Niccolò
gli
lanciò un’occhiata divertita, che fece fiammeggiare di rabbia gli occhi
di John
Dee.
<<
Ho
combattuto quella bestia al tuo fianco. Spiegami come avrei potuto
portare in
salvo un ragazzo. Perché è qui che vuoi arrivare, vero? >>
Alzò
le
spalle, indifferente.
<<
Non
bisogna per forza essere il più grande manipolatore al mondo per capire
che è
scappato. >> aggiunse con ironia.
John
Dee lo
studiava, non trovando sul suo volto alcuna traccia di menzogna.
Eppure, quando
c’era di mezzo Niccolò Machiavelli, non si fidava nemmeno dei suoi
stessi
occhi. Ed era sicuro che fosse lui la mente dietro la scomparsa del
figlio
degli homines.
<<
Comunque…
>> andò avanti Machiavelli << se vuoi che ti dia una mano a
ritrovarlo, possiamo metterci d’accordo. Ovviamente sarai in debito con
me.
>>
Dee
strinse
i pugni davanti alla sua mezza risata.
<<
È un
tuo dovere servire gli Oscuri Signori tuoi padroni! >> sbraitò,
furioso,
puntando il dito contro di lui.
E
anche se
Machiavelli continuava a non battere ciglio, per il Mago era troppo
tardi per
fermarsi e riprendere il controllo di sé.
<<
Se
davvero non sei stato tu a farlo scappare e a nasconderlo, allora
dovresti già
essere sulle sue tracce! Non comodamente seduto in poltrona a farti gli
affari
tuoi! >>
Niccolò
si
alzò lentamente. Si mosse fino in fondo alla sala e prese dallo
scaffale una
vecchia scacchiera che poggiò sul tavolo.
<<
John.. >> cominciò, con pazienza, disponendo i pezzi di legno
sulla
scacchiera.
<<
Io
faccio sempre ciò che mi viene richiesto. Tu hai più volte sottolineato
che
dovevo sparire subito dopo averti aiutato a completare la missione. Ti
sei
vantato, hai detto che eri tu l’immortale a cui era stato ordinato di
guidare
la missione. Gli Oscuri Signori mi hanno ordinato di aiutarti a
uccidere la
creatura, ed è quello che ho fatto. Hai detto che avresti ricevuto
tutti gli
onori tu soltanto. >>
Fece
una
breve pausa, sedendosi, prendendo un alfiere bianco fra due dita e
portandoselo
davanti agli occhi.
<<
E
allora, dottore… a te sono riservati anche gli oneri. Io ho svolto il
mio
dovere, perché la bestia è stata distrutta. >>
Si
avvicinò
con passo calmo e col sorriso sulle labbra, portandosi vicino
all’inglese. E
nascondendo qualcosa in una sola mano, dietro la schiena.
<<
Io
servo i miei padroni, John, non te. >>
Niccolò
Machiavelli tese il braccio in avanti, e John Dee seguì per un secondo
l’ondeggiante pedina del re nero davanti al suo viso, con le iridi
grigio
ferro.
Angolo Tacet
E io sono
ancora qui a pubblicare storie sui Segreti e ad interessarmi di questa
saga, con quei pochi ma specialissimi fan della serie.
Questa long
sarà una grande sfida per me, me lo sento. Sarà un traguardo più
ambizioso da raggiungere. Ringrazio tutti quelli che la leggeranno e se
c'è qualcosa che non vi piace o non vi convince fatemelo sapere. Mi
aiutate a migliorare.
Grazie : )
tacet
|
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Capitolo 2 *** N. F. Montpellier ***
N.
F. Montpellier
Richard Anderson si
sentì afferrare per la giacca.
Fece appena in tempo a girarsi per evitare di inciampare e maledisse
centinaia
di volte il segretario e le sue maniere brusche.
Il corpo del ragazzo
sembrava essere incredibilmente
impacciato rispetto a quello dell’uomo. Anche la velocità del
segretario era
sorprendente, e più volte, senza farsi vedere, Richard aveva cercato di
guardare sotto il suo cappello, dove si nascondevano gli occhi.
<< Dove stiamo
andando? >> chiese con
urgenza.
Non ricevette risposta,
ma non ne rimase sorpreso.
<< Ehi! Mi hai
sentito!? >> la sua paura
cominciava a trasformarsi in irritazione. Non riusciva nemmeno più a
vedere
bene i corridoi che stavano oltrepassando, tanto era concentrato ad
appoggiare
bene i piedi a terra.
<< Ti prego, fai
più piano! >> supplicò, e
gli venne in mente solo dopo che avrebbe dovuto essere più rispettoso
nei
confronti del segretario.
L’uomo
si voltò
di colpo in mezzo ad una stanza completamente vuota, e Richard gli andò
quasi a
sbattere contro.
Il giornalista cercò
senza successo di ricacciare la
paura nel fondo dello stomaco.
<< Lo sai chi è
l’uomo che è venuto a far visita
qui? >>
La voce del segretario
era estremamente calma, ma non
riusciva a sembrare una voce anonima. Aveva un suono gorgogliante, che
faceva
pensare ad un ruscello, o a un fiume.
<< No…. Ma…
>> rispose il ragazzo,
esitante.
<< Non so perché
il mio padrone ti abbia
lasciato in vita… >>
<< Il tuo padrone?
>> gli occhi di Richard
tradirono un lampo di curiosità. Qual è
il segretario che al giorno d’oggi chiamerebbe mai il suo capo
“padrone”?
Già, e quale
segretario cammina con un cappello davanti agli occhi e parla quasi
senza
aprire la bocca?
L’uomo fece un gesto di
stizza con la mano.
<< Se fosse stato
per me ti avrei già ucciso!
>>
Richard deglutì, si
raccomandò di rimanere lucido.
Sembrava quasi che il segretario si fosse subito pentito di ciò che
aveva detto,
e di certo non per magnanimità nei confronti del ragazzo.
<< Ma non puoi
perché quell’uomo ti ha chiesto
di non farlo, giusto? >> chiese
Richard, con cautela, ma deciso a catturare qualcosa di ciò che
realmente
pensava il segretario.
<< Non lo tradirei
mai. >> ammise l’uomo,
ma d’un tratto si raddrizzò e lo afferrò con forza per la camicia, con
una
smorfia di rabbia.
<< Quindi
ringrazialo! Anche se… >>
aggiunse poi, tornando calmo e voltandosi. Lo strattonò verso una porta
color
legno e la aprì con la mano libera. Sul suo volto si fece strada un
sorriso
maligno e grottesco che gelò il sangue nelle vene di Richard,
<< Se ti lascia in
vita, devi essere solo un
altro pezzo della sua scacchiera. >>
*
<< Dovresti
provare a rimediare al tuo errore da
qualche altra parte, piuttosto che accanirti su di me, dottor Dee.
>>
John osservò con rabbia
crescente il volto quasi
annoiato dell’italiano.
<< Se non hai
niente da nascondere, non ti
spiacerà se faccio un giro per casa tua, vero, Machiavelli? >>
Si sforzò di mantenere
un tono di voce calmo, perché
sapeva che se lo avesse minacciato o se si fosse lasciato trasportare
dalla sua
ira lo avrebbe fatto divertire ancora di più.
<< Non vedo perché
dovresti, non ti ho invitato.
>> sorrise Machiavelli.
E contro ogni logica lo
stesso sorriso si fece strada
nel volto del Mago. Machiavelli non aveva la minima idea di quanto
stava
rischiando.
<< Questo non è
uno dei tuoi giochi da tavolo,
Machiavelli. Qui e adesso, in questa stanza, tu rischi la vita.
>>
Gli occhi dell’italiano
si illuminarono di una luce
pericolosa.
<< Dovrei essere
spaventato, John? >>
<< Non solo da me.
Ma anche dai nostri padroni.
Il ragazzo non faceva parte dei loro piani, ma dovresti stare attento,
Niccolò.
Non ti conviene avermi come nemico. >>
John lo guardò ancora
per un secondo, poi non si fece
nessun problema a piantarlo in asso e superarlo. Attraversò a grandi
passi il
salotto, dirigendosi verso la cucina.
Machiavelli non sembrò
troppo sorpreso, e il Mago lo
sentì dire qualcosa come: “Sei il solito maleducato.”
John Dee fece vagare lo
sguardo su tutta la cucina.
Dubitava che Machiavelli avesse avuto il tempo di lanciare sulla stanza
un
incantesimo per nascondere il ragazzo ai suoi occhi, perciò passò oltre
frettolosamente.
Aveva la sensazione che
la situazione gli stesse
sfuggendo di mano. I suoi movimenti diventarono sempre più veloci e
agitati.
Quando non trovò nessuno nemmeno nella stanza adiacente, gocce di
sudore freddo
cominciarono a imperlargli la fronte.
John Dee temeva solo
parzialmente la morte. Non aveva
paura a vedere la vita spegnersi negli occhi di un uomo, ma lui, lui
non era
nato per morire, a lui il destino aveva riservato una scelta diversa.
Tutto ciò che era
diventato sarebbe stato destinato a
scomparire per sempre, nel caso in cui i suoi padroni fossero venuti a
sapere
del suo errore. O forse no, forse non lo avrebbero ucciso subito. Non
voleva
nemmeno pensare all’alternativa.
Devo trovare
quel ragazzo, si disse, varcando la
soglia della stanza degli
ospiti. Cercò un particolare, un minimo segno che dimostrasse che
qualcuno era
stato lì.
La paura gli assalì la
gola.
Strinse i pugni, e odiò
Machiavelli con tutte le sue
forze, con tutta l’anima.
Lo avrebbe ucciso. Di
questo era certo, presto o
tardi. Sarebbe finito come tutto ciò che gli dava fastidio, distrutto.
E allora
non avrebbe più riso davanti al suo furore.
*
Il segretario sembrava
calmo. Sembrava troppo calmo.
Richard Anderson aveva intuito che qualcosa era andato storto nei piani
dell’uomo che lo aveva aiutato, anche se ancora non aveva la minima
idea di
cosa fosse.
L’unica certezza era che
Richard Anderson era
invischiato in questa faccenda fino al collo, e se il segretario
pensava che
non avrebbe fatto qualsiasi cosa per arrivare alla verità si sbagliava
di
grosso.
Aveva avuto paura.
L’aveva anche adesso. Ma nessuno
gli avrebbe impedito di rispondere alle sue domande. Stava rischiando
la vita e
non sapeva nemmeno per che cosa.
Il segretario lo aveva
portato in una stanza connessa
ad un secondo corridoio attraverso una porta rimasta socchiusa, e lo
stava
esortando a scendere delle scale dagli alti gradini.
<< Dottore,
accetteresti il consiglio di un
collega? >>
Richard si sentì mancare
l’aria nei polmoni.
Le sue gambe si
bloccarono sull’ultimo gradino e girò
il volto nella direzione della porta rimasta socchiusa.
Un’idea improvvisa gli
serrò lo stomaco.
Ventidue gradini.
Solamente ventidue gradini.
<< Non da te,
italiano! >>
Richard Anderson
cominciò a salire i gradini con un
unico pensiero in mente. Lentamente, silenziosamente.
Si fermò sul primo scalino, accanto alla
stanza da cui provenivano le voci nitide di due uomini.
Provò ad ignorare i
brividi gelidi che gli
attraversavano la schiena, il sudore freddo che gli imperlava la
fronte.
Sentiva i pensieri
scivolare via. Era ipnotizzato da
quelle voci. E le parole che sentì furono tutto, per lui, solo per
pochi
secondi.
<< Ma io voglio
aiutarti, dottore. Ti
suggerisco… >>
*
<< Ti suggerisco…
>> cominciò Niccolò
Machiavelli con voce pacata.
<< Di smettere di
cercare quel ragazzo. >>
Prima che Dee potesse
protestare, l’italiano lo frenò
con un gesto secco della mano.
<< Puoi
perquisirmi tutta la casa, se ci tieni,
ma non puoi permetterti di perdere tempo. Ascolta. Il ragazzo è senza
dubbio
scappato. Non hai bisogno di cercarlo, perché si farà trovare da solo.
So come
sono fatti quelli come lui, non possono fare a meno di raccontare
qualcosa a
qualcuno. Ma… >>
Niccolò alzò di nuovo un
dito quando vide Dee aprire
la bocca per ribattere.
<< Nella storia
questo è successo molte volte, e
molti sono stati scambiati per pazzi. Il mio consiglio è questo. Tieni
d’occhio
le voci, e lo prenderai molto presto. E se fermerai la sua divulgazione
di
informazioni sul nascere, sono sicuro che non ci sarà nessun danno.
Dopotutto,
è solo un comunissimo figlio degli homines. >>
John Dee sembrò
riflettere sull’idea dell’italiano,
scrutandolo in viso per trovarvi una qualche traccia di falsità.
Niccolò si impedì di
sorridere. Sapeva di aver fatto
centro, facendo leva sull’abitudine dell’inglese di sottovalutare gli
esseri
umani.
<< Ti dico questo,
dottore, perché… hai altre
cose più importanti a cui pensare che un ragazzino che adesso
probabilmente non
avrà più nemmeno il coraggio di uscire di casa. >>
Niccolò arricciò le
labbra in un sorriso.
<< La vita è fatta
di priorità. E adesso la tua
priorità è Nicholas Flamel. Devi trovarlo, dottore, i nostri padroni
non ti perdoneranno
se te lo farai scappare un’altra volta. Dopo, ucciderai il ragazzo e
metterai a
tacere le voci che forse avrà messo in giro. >>
Dee continuava a
rimanere in silenzio, esaminando
l’altro con gli imperscrutabili occhi grigi.
Niccolò sapeva che Dee
non temeva Flamel tanto quanto
temeva l’idea di non riuscire a catturarlo.
E l’inglese era convinto
che gli Oscuri Signori
sarebbero stati disposti a perdonare una svista come la faccenda del
ragazzo,
ma non un altro fallimento con l’Alchimista.
Inoltre, pensò Dee, non
sono l’unico responsabile di questo
incidente.
L’immortale italiano
Niccolò Machiavelli era
responsabile tanto quanto lui, e avrebbe sempre potuto affermare che
fosse
tutta colpa sua.
Niccolò vide i suoi
stessi pensieri passare per la
mente dell’inglese, ma distolse lo sguardo.
E seppe di aver vinto.
*
Dagon si calcò il
cappello sulla testa e volse lo
sguardo verso il ragazzo. Era cinereo, e con occhi febbrili scrutava la
ringhiera senza vederla davvero.
Alzò il polso e posò gli
enormi occhi su un orologio
semplice ma raffinato.
Lì, fermo davanti
all’uscita, senza aver mai avuto la
minima intenzione di fermare il giornalista fino a quel momento, pensò
che
ancora una volta aveva svolto benissimo il suo lavoro.
Rimase immobile ancora
per qualche secondo, aspettando
che fosse il momento giusto e riportando alla mente ciò che gli aveva
detto
Machiavelli prima che incontrasse il ragazzo nella cucina per offrirgli
la
colazione.
<< Sta
arrivando il nostro vecchio amico inglese, non è vero, Dagon? >>
Chiede Niccolò,
apparentemente poco interessato, giocherellando con un pedone degli
scacchi.
<< Sì,
signore. >> Dagon si siede sul divano, accanto a lui.
Niccolò gli
rivolge solo un’occhiata veloce, e la creatura non riesce a comprendere
su cosa
stia riflettendo.
<< Sei
stato gentile a controllare i dintorni. >>
Dagon annuisce,
con un lieve inchino.
<< Devo
chiederti un altro favore, Dagon. >>
La creatura si
toglie il cappello, negli occhi liquidi ha un’espressione decisa che
Niccolò
ricambia con uno sguardo tra il pacato e il divertito.
Dagon conosce
bene quegli occhi. E sa che a Niccolò Machiavelli è appena venuta
un’idea.
<< Quando
arriverà il dottor Dee, tu porta via il ragazzo. >>
Il suo viso si
distende in un sorriso quieto.
<< E
assicurati che senta bene ciò che dirò al Mago. >>
Dagon non fa
domande, si limita ad annuire, aspettando che Machiavelli gli dica ciò
che
ancora gli tiene segreto.
Niccolò si alza
e raggiunge la scrivania, apre un cassetto e tira fuori un piccolo
ritaglio di
carta. La creatura inarca un sopracciglio. Ciò che gli piace di più di
Machiavelli, è la sua capacità di incuriosirlo.
L’italiano si
muove verso il segretario e gli porge il biglietto piegato a metà.
<< Metti
in tasca questo, al ragazzo. >>
<< Sì,
signore. >>
*
Dagon salì
rapidamente i gradini e afferrò
il ragazzo per un braccio. Con l’altra mano gli tappò la bocca
bruscamente.
Sentì Machiavelli che si
avviava con Dee verso la
cucina, mentre il corpo del ragazzo si faceva rigido e i suoi occhi
saettavano
da tutte le parti. Sotto le dita Dagon avvertì un lieve tremore.
Ripassò mentalmente la
strada che avrebbe dovuto
percorrere una volta raggiunti i più tetri vicoli di Reims, anche se
non ne
aveva bisogno.
Sapeva che il ragazzo
sarebbe stato chiuso in una macchina
diretta fuori città per le undici di quella mattina.
Dagon portava sempre a
compimento un lavoro.
*
<< É andato?
>>
<< Sì, signore.
Non sarà più un problema.
>>
Machiavelli annuì
soddisfatto e si versò un
bicchierino di liquore.
Dagon non aspettò che
fosse lui ad intavolare una
conversazione. Stentava lui stesso a credere di essere davvero curioso,
perché
non era nella sua natura.
Eppure, era così.
<< Perché ha
voluto che sentisse la sua
conversazione con Dee? >>
Machiavelli gli rivolse
uno sguardo esageratamente
sorpreso.
<< Come mai tanto
interesse? Dagon, sei proprio
tu? >>
La creatura scosse la
testa, dipingendo un piccolo
arco con la mano destra, in un chiaro segno di non curanza.
Si sedette davanti
all’italiano e aspettò
pazientemente che rispondesse alla sua domanda.
<<
Molto
semplice, Dagon. Adesso Richard Anderson sa dell’esistenza di Nicholas
Flamel.
>>
<< Lei la fa
troppo semplice. Secondo il mio
punto di vista, questo aggrava la situazione. La nostra posizione, e la
sua.
>> disse il segretario, voglioso di venire a conoscenza dei
dettagli.
Niccolò Machiavelli
aveva sempre un obiettivo e un
piano premeditato, che spesso veniva arricchito da quelle che lui
chiamava ovvie intuizioni.
Ma Dagon non ci aveva
mai trovato niente di ovvio in
ciò che faceva o vedeva Machiavelli, mai in quasi quattrocento anni.
L’italiano sorrise come
se si fosse aspettato una
risposta del genere da parte del segretario.
<< Ti sbagli,
Dagon. Questo ci farà molto
comodo. >>
Niccolò spostò la sedia
all’indietro e poggiò i gomiti
sul tavolo, ormai rassegnato a dover spiegare tutto ciò che aveva
pensato, con
un’espressione disinvolta.
<< Adesso Anderson
sa che non è il solo ad
essere ritenuto pericoloso. Anche Flamel è braccato da Dee. >>
<< Non c’è
paragone tra Flamel e quel
giornalista fallito. >> obiettò Dagon con un ghigno.
<< Vero. >>
concesse Machiavelli. <<
Ma lui ancora non lo sa. >>
<< D’accordo, e
con questo? >>
L’impazienza sul viso
della creatura era come un
accordo dissonate in un orchestra che non sbagliava mai. All’italiano
venne
quasi da ridere.
Rideva, perché la sua
idea aveva funzionato.
Rideva, perché era
sicuro che non si sarebbe annoiato
per parecchi giorni.
<< Richard sa che
Dee lo vuole morto. E lontano
da Reims, lontano dalla paura, avrà abbastanza lucidità per cercare
l’unica
persona che pensa che sia sulla sua stessa barca e che potrebbe
rispondere a
tutte le sue domande: Nicholas Flamel. >>
Dagon rimase in
silenzio, senza perdersi nemmeno una
sillaba delle parole di Machiavelli.
<< Il ragazzo
potrebbe avvertire Flamel del
luogo in cui si trova Dee. L’Alchimista scapperà di nuovo, e gli Oscuri
Signori
sfogheranno la loro rabbia su Dee, che sarà costretto ad ammettere di
aver
fallito, di nuovo. >>
<< Non lo
elimineranno, non ancora. >>
<<
Ci
vuole pur sempre un primo passo, non credi? >> ribatté
prontamente
Machiavelli, le labbra incurvate in un sorriso sornione.
<< Tutto questo
per mettere in cattiva luce Dee?
>> chiese Dagon, divertito dall’idea.
<< Sì e no. John
non sarà dello stesso avviso, ma
quel ragazzo mi fa molto più comodo da vivo che da morto. Lasciamo
maturare i
tempi, e forse ci condurrà da Flamel. Sono curioso di vedere come se la
caverà
in un mondo completamente diverso da quello che conosce, e se Dee lo
elimina
ora mi toglie tutto il divertimento. >>
Dagon osservò il volto
impassibile dell’italiano.
<< Come fa a
sapere che Anderson troverà Flamel
prima che Dee decida di rimettersi sulle sue tracce? >>
Machiavelli ghignò
furbescamente.
Dagon comprese, dopo
qualche attimo di smarrimento.
<< Il biglietto!
>> mormorò, ammirato.
Machiavelli si limitò ad
annuire, svuotando il suo
bicchierino di liquore.
*
In una strada deserta
che sembrava essere stata
dimenticata dai suoi abitanti, nella periferia di Reims, un ragazzo
fece
scorrere gli occhi su una calligrafia elegante, lasciata su un piccolo
foglietto.
Strinse tra due dita la
carta stropicciata.
N. F.
Montpellier.
*
<< Credo proprio
che questo non rientri negli
ordini degli Oscuri Signori, a cui lei è fedele. >>
<< Gli Oscuri
Signori dovrebbero imparare a
scendere un po’ di più nei particolari, quando danno ordini. >>
Angolo
Tacet433
Mi
scuso per gli eventuali errori, non ho fatto in tempo a ricontrollare,
e siccome ero abbastanza sicura e non voleva andare troppo in là coi
giorni ho inserito questo capitolo appena ho potuto. Fatemi sapere se
c'è qualcosa che non va. ; )
Io
mi odio. E so che mi odiate anche voi. Chiedo perdono, ho fatto passare
un
sacco di tempo, e credo di essere andata anche un OC!
Ma
tornando a questo coso che è uscito fuori dalla mia testolina… ancora
nessun
personaggio buono del libro, ma arriveranno nel prossimo capitolo,
promesso! E nei
prossimi capitoli, cercherò di rendere più chiaro ciò che frulla nella
mente di
Machiavelli.
Povero
Dee! L’ho trattato male, vero?
Grazie
per aver letto questo secondo capitolo!
Ciao!
|
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Capitolo 3 *** Percentuale ***
Percentuale
Nicholas Flamel, col
passare degli anni, si era
abituato ad imparare in fretta diversi mestieri. Aveva svolto quasi
ogni tipo
di professione, e non poteva far a meno di esserne orgoglioso.
Di solito era facile.
Affittava un fondo e lo riempiva
di libri, per esempio. Oppure faceva l’erborista, sfruttando le sue
enormi
conoscenze sulla botanica e sulla medicina. Apriva un bazar, si faceva
assumere
da qualcuno o si inventava qualcos’altro una volta cambiata città.
Nicholas Flamel non si
era mai trovato senza lavoro. O
almeno, da quel che ricordava.
Ma c’è una
prima volta per tutto.
Lui e sua moglie si
erano trasferiti a Montpellier da
più di un mese, dopo essere sfuggiti al dottor John Dee. Perenelle
aveva
circondato la casa che avevano affittato di una moltitudine di
incantesimi di
protezione.
Per un po’ sarebbero
stati tranquilli, ma Nicholas
dubitava che quella quiete sarebbe durata a lungo.
Dee avrebbe trovato
altri modi per rintracciarli. La
perseveranza di quell’uomo era incredibile, ma, d’altra parte, aveva
barattato
la sua vita immortale con la sua devozione eterna agli Oscuri Signori.
Era uno schiavo.
Potente, ma pur sempre soggiogato al
loro volere.
Nicholas si era chiesto
spesso se la colpa di ciò
fosse in parte sua.
Magari non era stato un
buon maestro, o magari gli
aveva insegnato fin troppo bene.
Il suo orgoglio gli
impediva di pensarci, ma fidandosi
del dottor John Dee aveva commesso l’errore più grande della sua
lunghissima
vita.
Aveva
protetto il Codice per secoli, ma il suo compito diventava sempre
più difficile ogni giorno che passava. L’ultima volta che lui e sua
moglie si
erano scontrati con l’inglese erano stati vicini a perdere il Libro di
Abramo
il Mago e la loro stessa vita. Dee portava sempre con se alleati
potenti e
terribilmente pericolosi. Ancora una volta, l’Alchimista doveva la vita
a
Perenelle.
<<
A cosa pensi? >>
La voce
delicata eppure chiaramente incuriosita di Perenelle lo riscosse dai
suoi
pensieri. Nicholas si girò, sorridendo.
<<
Pensavo a te. A come ogni volta riesci a salvarmi la vita.
>>
La
donna si avvicinò di qualche passo e posò i gomiti sul tavolo del
laboratorio, facendosi spazio tra la carta e le essenze curative.
<<
Come tu la salvi a me. >> cominciò a rigirarsi una
piccola boccetta di vetro tra le dita. << Mi ero immaginata una
vita
coniugale meno movimentata, all’iniziò. >>
Nicholas
alzò gli occhi chiari sul sorriso storto della moglie. Le
prese una mano e la strinse.
<<
Ce l’abbiamo fatta anche questa volta. Grazie a te. >>
Perenelle
alzò il mento con orgoglio e ammiccò al marito, ma fu
distratta dalla voce squillante della padrona di casa a cui pagavano
l’affitto
dell’appartamento.
<<
No, non conosco nessun Nicholas Flamel, mi dispiace. >>
Nicholas
strinse i pugni e si avvicinò con cautela alla porta, per
sentire meglio. Perenelle si morse le labbra, come faceva sempre quando
era
agitata.
L’Alchimista
sentì il rumore di passi veloci sul vialetto e l’anziana
signora che chiudeva la porta, invitando l’ospite ad accomodarsi su una
poltrona.
Era
troppo vecchio per perdere la lucidità, perciò si soffermò a
pensare rapidamente ad ogni possibile via di fuga.
Che
sia un
emissario di Dee? Si
chiese, ma scosse appena la testa pochi secondi dopo.
No,
impossibile.
Dee non usa questi mezzi, non ha bisogno di chiedere in giro. E non è
tanto
stupido da farlo.
Nicholas
puntò lo sguardo chiarissimo davanti a sé, tendendo le
orecchie.
<<
Davvero non lo conosce? Questa è una zona frequentata. Ho
girato tutta la città! >>
<<
Se sapesse descriverlo, forse…. Ma perché è così importante?
>> chiese l’anziana signora, con la curiosità che la sua indole
pettegola
non poteva farsi mancare.
<<
Non importa… comunque, non so darle una descrizione. >>
Non
era un uomo di Dee? No, sicuramente no, ma allora perché lo cercava
con tanto accanimento?
<<
Vuole fermarsi per una notte? Ho ancora una stanza libera! Può
cercarlo domani, questo Niles Flagel o come si chiama… >>
Nicholas
sgranò gli occhi, e sul momento non seppe neppure lui per che
cosa sentirsi più irritato, se per la proposta della donna o per aver
sentito
il suo nome storpiato in quel modo.
Perenelle
ghignò appena. Non sembrava essere particolarmente
preoccupata.
<<
Nicholas Flamel. >> rispose la voce giovane di quello
che doveva essere un ragazzo, chiaramente francese, a giudicare
dall’accento.
<<
La ringrazio ma non mi fermo. Se però lei sente qualcosa su
questo Flamel, mi chiami a questo numero, per favore. >>
<<
Come vuole >> rispose squillante la donna, e dopo poco
Nicholas sentì il suono della porta di legno chiudersi facendo trillare
le
campanelle appese all’architrave.
*
<<
Questo ragazzo riesce a sorprendere perfino me. >>
Dagon
si sfilò gli occhiali da sole e alzò un sopracciglio, facendo
sembrare i suoi occhi ancora più grandi del solito. Chiuse la finestra
e si
voltò verso Machiavelli.
<<
Perché, ha trovato Flamel, finalmente? >>
Niccolò
sorrise con sufficienza.
<<
No. Sai, Dagon, non mi capita spesso di sbagliare… eppure
costui è più stupido di quanto pensassi. >>
*
Nicholas
e Perenelle rimasero in silenzio ancora per molti minuti,
ognuno immerso nei suoi pensieri.
La
Fattucchiera si sedette su una poltrona, e il marito prese posto su
una sedia di fronte a lei, per poterla guardare in viso. Sembrava molto
riflessiva, adesso, a differenza di prima.
Evidentemente
stava cominciando a prendere sul serio l’avvenimento,
come faceva in ogni caso, del resto.
La
donna alzò gli occhi e aprì la bocca, ma venne subito zittita da una
gesto pacato del marito.
Nicholas
si allungò verso il tavolo e accese la radio. Non si fidava
della gente pettegola e fin troppo curiosa che si ritrovava per
coinquilini. Era
meglio non rischiare di farsi sentire.
<<
Posso? >> chiese sarcastica Perenelle, osservando il
sorriso tirato del marito.
<<
Permesso accordato. >> rispose magnanimo l’Alchimista.
<<
Da quando Dee usa certi mezzi? >>
La
Fattucchiera ci aveva messo meno di un secondo per tornare seria.
<<
Non credo proprio che c’entri Dee in questa storia. >>
<<
Sono d’accordo. Non andrebbe mai a dire in giro che ci sta
cercando, se non ai suoi fidati informatori. In più quel ragazzo
sembrava
piuttosto smarrito… >>
Nicholas
non rispose subito, lasciando che le trasmissioni radio gli
scivolassero via dalla mente.
<<
E allora cosa vuole da noi? >>
<<
Non ne ho idea… >>
Di
nuovo calò il silenzio. Nicholas voleva solo aspettare il momento
giusto per esprimere a sua moglie i suoi pensieri, ma nemmeno lui era
sicuro di
aver avuto una buona idea.
Decise
di tentare comunque. Più ci pensava, più era convinto che ciò
che voleva fare fosse giusto quanto rischioso.
<<
Credo che dovrei parlare con quel ragazzo… >>
Perenelle
non rimase sorpresa. Si aspettava una constatazione del
genere dal marito. Ma non era d’accordo, per niente, e Nicholas lo
sapeva.
<<
Io invece credo di no. forse non sarà Dee il suo mandante, ma
francamente dubito che sia qualcuno a cui stiamo simpatici. Non per
offenderti,
Nicholas, ma non mi pare che tu abbia tanti amici che ti cercano…
>>
Nicholas
Flamel pensò per un momento alle varie sfumature
dell’avvertimento di Perenelle.
<<
Apprezzo molto la tua cautela, Perry… e sai che non sarei qui
a dirtelo senza di te. Però, credi davvero che quel ragazzo sia mandato
da
qualcuno? >>
<<
Credi davvero che non lo sia? >>
<<
Ha tanto l’aria da disperato e povero in canna… >>
<<
O magari è quello che vuole far credere. >>
Flamel
appoggiò il gomito sul bracciolo della sedia, sospirando, sempre
meno disposto a cedere.
Catturò
gli occhi della moglie con i suoi, ma non fece in tempo a
muovere le labbra che sua moglie affermò sarcastica:
<<
Magari è solo un ragazzo normale che ha scoperto che per
qualche misteriosa ragione hai deciso di non morire secoli fa. Che c’è
di
strano? Capita tutti i giorni di chiedere un autografo a un Alchimista
di
seicento anni… >>
Nicholas
arricciò le labbra in una risata muta, senza potersi
trattenere.
<<
Perry, per favore… >>
Perenelle
capì in un istante dal suo sguardo che non era riuscito a
distoglierlo dalle sue idee e a farlo ragionare. Incrociò le braccia
contro al
petto, stizzita. E preoccupata.
<<
Perenelle… >>
La
donna non incrociò i suoi occhi.
<<
Non ho mai detto che Nicholas Flamel incontrerà quel ragazzo.
>>
La
Fattucchiera lo guardò con stupore, un sorriso riconoscente dipinto
sulle labbra.
Nicholas
abbassò il volume della radio e si sporse in avanti, poggiando
i gomiti sulle ginocchia.
<<
Ecco cosa faremo…. >>
*
<<
è sicuro? Non lo conosce proprio? >>
<<
No, mi dispiace. >>
Richard
uscì dal negozio irritato. Non sapeva quanto aveva camminato,
ma gli facevano male i piedi, e finora non aveva trovato ancora nessuno
che
conoscesse Nicholas Flamel.
Non
era solito perdere la speranza o la determinazione, ma quella
situazione lo stava mettendo a dura prova. Non poteva neanche pensare
di aver
ricevuto un' informazione sbagliata riguardo la città in cui doveva
trovarsi
questo Nicholas Flamel. Non poteva pensare di essere in una situazione
così
disperata.
Ma
perché non era tornato a casa sua, perché doveva sempre mettersi in
mezzo?
Richard
sospirò. Doveva ammettere che non era affatto pentito di essere
arrivato fino a Montpellier pur di sapere la verità e trovare forse
l’unica
persona che potesse aiutarlo.
Avrebbe
fatto qualunque cosa. Era lo stesso sentimento che spinge
un’animale a masticare le sbarre della sua gabbia.
E
forse era proprio questo il problema.
Si
era gettato nell’ignoto, senza pensare alle conseguenze, seguendo le
indicazioni di un bigliettino che si ritrovato in tasca. Non sapeva con
certezza nemmeno chi glielo aveva infilato nella felpa.
N. F.
Naturalmente
aveva un’idea di chi fosse il proprietario di quella
calligrafia. Poteva essere sembrato debole e ingenuo, in quella casa,
ma
avrebbe dimostrato, almeno a sé stesso, che esisteva un Richard più
audace e
determinato.
Forse,
lo sapeva, chi aveva scritto il biglietto, che lui avrebbe
voluto trovare Flamel a tutti i costi.
Rabbrividì
terribilmente, sedendosi su una panchina di un parco, mentre
pensava con orrore che non era poi così sicuro di aver salva la vita.
*
<<
è sicuro che non sia lei a sbagliare? Quanto è certo che
Flamel si trovi a Montpellier? >>
Niccolò
Machiavelli ascoltò la voce divertita della sua guardia del
corpo con apparente indifferenza.
<<
Stai dicendo che potrei essere io nel torto, invece che il
ragazzo? >>
<<
Sa benissimo cosa intendo. >>
Dagon
si tolse gli occhiali, e Machiavelli si voltò con un sorrisetto
strafottente.
<<
Sono sicuro al settantaquattro per cento che Flamel risieda
momentaneamente in quella città, il giornalista non è sicuro di niente
e non sa
dove sbattere la testa. Fino a che le percentuali non cambiano, ho più
ragione
di lui. >>
Dagon
trattenne un sospiro. Machiavelli era una mente eccezionale, ma
delle volte era insopportabile parlare con lui.
Soprattutto
perché aveva il vizio di mettere a tacere le persone,
doveva sempre avere l’ultima parola.
Eppure
questo lo fece sorridere.
Machiavelli
lo guardò e improvvisò una faccia sconsolata, ritornando
poi a rivolgersi davanti a sé con occhi inespressivi.
<<
Ufff… pensavo che sarebbe stato meno noioso… >>
<<
La smetta, lo sappiamo entrambi che si sta divertendo.
>>
*
Richard
era immerso nei suoi pensieri, e aveva deciso che per un po’
non sarebbe tornato alla realtà. Immaginò di tornare al lavoro, a
scrivere
brevi articoli sul cambiamento climatico, o sull’inquinamento….
Si
sorprese a pensare che forse avrebbe voluto davvero scrivere
qualcosa su una questione molto meno innocente e scontata.
Come,
per esempio, un mostro
dalla testa di coccodrillo in un viottolo di Reims, uno strano tizio
patito
degli scacchi e un uomo che lancia fiamme gialle e che lo vuole morto.
Una
bella storia.
Una
bella e pericolosissima storia che non avrebbe mai messo su carta.
<<
Mi perdoni se la disturbo…. Lei non mi conosce ma… >>
Richard
si riscosse bruscamente, girò il volto in direzione di una voce
alla sua destra e con gli occhi seguì i tratti di quel volto
sconosciuto.
L’uomo
aveva i capelli neri e corti, il naso dritto, e le iridi di un
colore chiarissimo. Non aveva mai visto degli occhi più chiari.
Portava
dei jeans scoloriti stretti da una cintura in cuoio, dei vecchi
stivali da cow boy e una maglia dei Genesis, di vecchia fattura. Almeno
una
decina di bracciali multicolore gli circondavano i polsi.
<<
Infatti, non mi conosce… >> rispose sgarbato Richard,
irritato dal fatto che la sua pace momentanea fosse stata interrotta.
<<
Mi scusi… >> sorrise l’uomo, con naturale gentilezza.
<<
Soltanto, che, mi pareva di capire, lei cerca il signor
Nicholas Flamel…. Ero proprio nel suo stesso negozio quando ha chiesto
informazioni.
Richard
scattò in piedi come folgorato, il viso brillante di speranza.
<<
Sa dove si trova? Lo conosce? >>
Il
giornalista era talmente eccitato che non sapeva quale domanda porre
per prima.
L’umo
sorrise quasi intenerito.
<<
Casa mia è proprio qui davanti. Se vuole, possiamo parlare di
Nicholas Flamel. Sa, è un tipo schivo, ma sempre disposto a dare una
mano a chi
ne ha bisogno… >>
<<
Oh, io ne ho bisogno! Eccome! >> esclamò il ragazzo,
ritrovando improvvisamente la gioia di proseguire la sua quasi
disperata
ricerca della verità.
<<
Allora mi segua, prego…
>>
*
Nicholas
sorrideva cordiale. Ma dentro di sé era allibito.
Non
aveva più dubbi, quello non poteva essere un nemico. Non con quello
sguardo di gratitudine, quello sguardo di chi ha paura e sa di avere
poche
possibilità.
Ma
paura per cosa?
Era
solo un ragazzo, un ragazzo normale. Non avrebbe mai reagito con
così tanta gioia e gratitudine, se non fosse stato così.
Sapeva
che Perenelle, fino a che non fosse stata completamente certa
della sua innocenza, avrebbe pensato che fosse solo un bravo attore da
mandare
via il più in fretta possibile.
Ma
Nicholas sapeva riconoscere i bugiardi. E lui non lo era.
*
<<
Perché fa quella faccia? Il ragazzo ha trovato ciò che
cercava, no? tutto secondo i piani…. >>
Niccolò
girò il suo caffè, toccandosi il mento con una mano.
<<
Richard non ha pensato neanche per un momento che potesse
essere una trappola. Forse sospettava, anche se ne dubito, che il mio
biglietto
fosse solo un trucco per spedirlo nelle mani di Dee, e ha deciso di
rischiare…
>>
<<
Secondo me non ci ha
nemmeno pensato… >> borbottò Dagon, con sufficienza. Si
predispose all’ascolto,
incrociando le braccia al petto.
<<
Ma io mi chiedo…. >> continuò Machiavelli, parlando più
a se stesso che a Dagon. Era chiaramente stupito.
<<
Come si fa a non capire che se Nicholas è ricercato da
qualcuno che sa il suo vero nome, probabilmente si sarà inventato un
nome
falso? Pensava davvero che sarebbe servito chiedere in centoquaranta
negozi….
>>
L’espressione
di Machiavelli divenne furbesca ed estremamente divertita,
mentre congiungeva la punta delle dita. Davanti a lui passò l’immagine
di un
ragazzo dai capelli e occhi castani, radioso.
<<
Richard Anderson… >> cominciò, rivolgendosi al giovane
con voce sommessa. Dagon arricciò le labbra e non poté evitare di
rivolgere un
fugace sguardo ammirato a Machiavelli.
<<
Sei talmente ingenuo…. Che quasi mi metti in difficoltà… mi
farai impazzire…. >>
Mi
dispiace, mi dispiace.... ci ho messo
un secolo a finire questo capitolo. Non mi piace fare aspettare e
metterci così
tanto tempo, ma non era mia intenzione: )
Perdonata?
ok, allora comincio col
comunicare che se sto trattando troppo male Richard, vi prego, me lo
dovete
dire!
io
lo adoro il mio oc.... ma questo non
vuol dire che lo renderò perfetto: D
finisco
e.... ringrazio tantissimo Tefymad, che nonostante tutti i ritardi
continua ad
avere pazienza, e Khoala, che sta entrando nella cerchia dei fan!
Ciao!
|
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Capitolo 4 *** Enigmi irrisolti ***
Enigmi
irrisolti
Perenelle
non si mise a spiare dalla finestra solo perché l’idea di
sembrare una di quelle pettegole che scostano appena le tendine per
osservare,
arcigne, i passanti, dall’alto della loro perfezione, non la ispirava
particolarmente.
E poi
Nicholas si meritava un po’ di fiducia.
O almeno così spero…
Perenelle
aveva conservato nei secoli quell’indole fondamentalmente
diffidente che un tempo aveva avuto in comune con le donne della sua
epoca.
Quando
aveva conosciuto Nicholas si era aperta al mondo, e il mondo si
era aperto a lei. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Suo marito era
un uomo
ben poco ancorato alle tradizioni, alle consuetudini. Le aveva mostrato
meraviglie, anche se era più vecchia di lui e anche se era una donna.
Perenelle
non rimase a lungo immersa in questi pensieri.
Sapeva
di doversi fidare di Nicholas, sapeva che chi li cercava era
solo un ragazzo umano, sapeva che ai loro nemici non sarebbe mai
passato per la
testa di adottare certi mezzi.
Eppure
non poteva fare a meno di sentire una sottile vocetta nella sua
testa che continuava ad affermare che fosse tutto opera di Dee.
Perché
Perenelle sapeva anche che Nicholas non avrebbe mai lasciato una
persona in difficoltà, soprattutto se aveva il dubbio che fosse a causa
sua.
E lo
sapeva anche Dee.
La
donna mantenne la mente lucida e la schiena dritta, nonostante le
fitte di ansia che continuavano ad assalirla.
Chiuse
gli occhi per un secondo.
Un
secondo in cui, come molte altre volte gli era capitato di fare, si
impose la calma.
Era
perfettamente cosciente della sua potenza. Se ci fossero stati dei
pericoli, lei sarebbe stata attenta a svelarli prima che fosse troppo
tardi, e
poi li avrebbe eliminati.
Sarebbero
scappati in un altro stato. Come sempre, tutto alla
normalità.
Perenelle
si riscosse, distogliendo lo sguardo dalle sue scarpe e
puntandolo sulla porta. Sentì il rumore della chiave che girava nella
serratura, all’esterno.
Nicholas
ed il suo sorriso furono i primi ad entrare, seguiti da un
ragazzo dai capelli e dagli occhi castano scuro e dai tratti pallidi e
affilati.
La
Fattucchiera si sforzò di sorridere e di essere gentile, imponendo a
se stessa di ignorare il modo in cui l’ospite squadrava il loro
appartamento.
Che
cosa si aspettava di veder spuntare dal forno a microonde?
La
donna salutò cortesemente, invitandolo a sedersi e offrendogli del
caffè. Anche se il ragazzo le sembrava abbastanza agitato anche senza
caffeina.
«
Bene, allora. » cominciò Nicholas quando il ragazzo ebbe preso posto
in salotto, su una poltrona color vinaccia.
« Io
sono Stephan Donovan, e lei è mia moglie Amanda. Tu come ti
chiami? »
*
«
Richard » il giornalista si bloccò di colpo, ma la breve pausa che si
concesse risultò quasi impercettibile.
Quasi.
«
Vailand. »
Stephan
gli strinse la mano.
«
Piacere. Ma veniamo a noi. » disse, battendosi i palmi delle mani sui
jeans.
« Mi
pare di capire che hai fretta. »
Sorrise.
Richard si sentiva rassicurato dal contegno incoraggiante
dell’uomo, ma proprio per questo non riusciva a fidarsi. Per quanto ne
sapeva
poteva anche non sapere niente di Nicholas Flamel, oppure poteva essere
un
amico di John Dee, la persona da cui stava scappando.
« Che
cosa vuoi sapere di Nicholas Flamel? » domandò Stephan, e Richard
non poté fare a meno di notare che lo sguardo di Amanda si era fatto
più
attento.
«
Cosa c’è da sapere? » chiese di rimando.
L’uomo
inclinò leggermente la testa verso destra, con un’ espressione
divisa tra innocenza e impassibilità.
«
Devo dedurre che non sai niente? »
Richard
si irrigidì, allarmato. Non sarebbe dovuto essere lui a fare le
domande?
Più
restava in quella casa e più aveva la sensazione di trovarsi su un
altro pianeta.
Come
aveva potuto pensare che bastasse chiedere in giro per trovare una
persona che, per ovvi e validi motivi, probabilmente non voleva essere
trovata?
E
come mai invece aveva funzionato?
« è
interessato anche lei, vedo. » rispose, diffidente.
Donovan
sospirò, accavallando le gambe con apparente disinvoltura.
«
Nicholas Flamel è una persona… bizzarra. Non ama che si parli di lui,
ma » fece una pausa, accarezzandosi il mento e puntando lo sguardo su
uno
spazio indefinito sopra la testa di Richard.
«
Quando qualcuno lo cerca ha un motivo ben preciso. E di solito non è
amichevole. »
Richard
percepì l’accusa velata nella voce e negli occhi dell’uomo, ma
rimase in silenzio. Non sapeva cosa rispondere.
Se
avesse detto che già lo sapeva avrebbe perso quel piccolissimo
margine di vantaggio che intendeva riservarsi per un secondo momento.
Non
poteva nemmeno dire di volerlo trovare per una visita di cortesia,
visto che aveva girato mezza città con l’espressione sconvolta di un
animale in
trappola.
Si
maledisse un centinaio di volte. Se solo fosse stato più cauto, se
avesse pensato prima di agire…
Il
silenzio cominciava a farsi pesante.
Richard
si schiarì la gola.
«
Anche io ho un motivo ben preciso. E non è piacevole, però… non gli
procurerà
danni. Almeno credo. »
« Ti
tieni molto sul vago. »
Richard
lo fulminò con un’occhiataccia.
« Lei
sa che genere di… problemi ha Nicholas Flamel? »
Se
Stephan Donovan rimase sorpreso dalla sua domanda, fu bravo a
dissimulare in fretta il suo stato d’animo. Ma la breve pausa che seguì
suggerì
a Richard di averlo colto alla sprovvista.
«
Vagamente. » rispose l’uomo, lo sguardo ora più severo. Amanda si
mosse nervosa alla sua destra.
Richard
non si scompose, deciso ad assumere anche un atteggiamento
maleducato pur di trovare le sue risposte.
« Vagamente. Un po’ poco, no?
io ne so più di lei, allora. Ha detto che Flamel è una persona per
bene. Lo
sono anche io, e questa è probabilmente l’unica cosa che abbiamo in
comune, a
parte essere invischiati negli stessi guai. »
*
Nicholas
Flamel fu colto improvvisamente da una miriade di emozioni
diverse, e gli risultò difficile, più del solito, nasconderle.
Sorpresa,
diffidenza. Rammarico per quel ragazzo. Dubbio, misto alla
consapevolezza di avere anche lui molti interrogativi da risolvere.
Sa
più di quel che
lascia intendere,
pensò, e scambiò uno sguardo con la moglie, sicuro che
stesse riflettendo sulla stessa cosa.
Che
cosa doveva fare adesso? Cacciarlo?
E se fosse stato vero quello che aveva detto?
Ma
come può questo
ragazzo avere qualcosa a che fare con me?
Perenelle
fu la prima a prendere nuovamente la parola, con voce
tranquilla ma lievemente tagliente.
«
Quindi… » cominciò, il suo accento francese che impregnava ogni
lettera.
« Tu
sai chi è. »
Richard
la guardò con un lampo sconsolato ma deciso negli occhi scuri.
« Non
so chi sia Nicholas Flamel. » affogò un sospiro nella tazza di
caffè, ormai fredda, che teneva ancora tra le mani.
« Ma
so da chi sta scappando. »
*
« Una
simile imprudenza da parte sua, signore… non credevo di poter
vivere abbastanza da poterla vedere. »
Machiavelli
poggiò i gomiti sul davanzale della finestra, ascoltando lo
sbattere delle ali dei piccioni e il rumore delle auto sulla strada con
i suoi
sensi risvegliati.
Non
cambiò posizione quando sentì Dagon strusciare i piedi, impaziente
di una risposta. Solo le sue iridi grigio acciaio si spostarono nella
sua
direzione.
« Tu
la chiami imprudenza, Dagon? Io lo
chiamo istinto. »
Dagon
si pose di fianco a lui, osservando
l’immortale volgere il capo verso il cielo nuvoloso, poi più giù verso
i
palazzi, poi sui passanti.
Per
un attimo pensò che Machiavelli non
avesse nessuna intenzione di aggiungere altro.
Capitava
spesso che lasciasse libera interpretazione
alle sue parole, quando non aveva voglia di spiegarsi. Dagon lo
lasciava fare,
senza porre domande. Sapeva che l’immortale detestava essere disturbato
mentre
pensava.
Si
voltò, ancora impassibile, ormai
rassegnato a rispettare il silenzio del suo padrone.
« Hai
ragione, ho agito senza un’idea ben
definita, all’inizio. Ma sapevo che avrei potuto utilizzare Richard in
qualche
modo. Diciamo che me lo sentivo. »
Dagon
inarcò un sopracciglio e si tolse
con due dita gli occhiali scuri, scoprendo gli occhi enormi e lucidi.
« Se
lo sentiva? »
Machiavelli
teneva molto in considerazione
il suo istinto, ma difficilmente agiva senza aver pensato alle
conseguenze.
L’italiano
sorrise di fronte alla sua
sorpresa.
«
Già. Ovviamente in seguito mi sono fatto
venire un’idea. Non ho intenzione di rischiare niente per Richard. E
sai, Dagon
» Machiavelli si girò, i palmi delle mani poste sul davanzale dietro di
lui.
Le
labbra si incurvarono appena.
«
Penso di aver avuto ragione. »
« Lei
pensa sempre di aver avuto ragione. »
L’immortale
scosse le spalle, invitando
con un cenno la sua guardia del corpo a seguirlo in cucina.
«
Vieni. Andiamo a verificare se ho fatto
centro anche questa volta. Sai, prima o poi dovrò pur sbagliare. »
Machiavelli
parlò come se non ci fosse
alcun dubbio, mentre si avviava verso la cucina seguito dal suo
segretario.
Quest’ultimo
non si fece sfuggire il breve
bagliore passato negli occhi dell’immortale.
«
Certo che l’umiltà non è il suo forte. »
Niccolò
sogghignò appena, con
l’espressione di chi è stato colto sul fatto.
All’improvviso
si arrestò in mezzo al corridoio, e Dagon trattenne un
gemito, consapevole di aver acceso una lampadina nella mente, assai
difficile
da gestire, dell’immortale italiano.
Lo
capiva, perché erano secoli che lo conosceva.
E
come si aspettava, Niccolò si voltò velocemente e lo guardò. La sua
espressione sarebbe stata impassibile, se non fosse stato per gli occhi
sgranati.
« Sei
diventato estremamente chiacchierone, Dagon. A questo proposito,
questa notte, mentre non riuscivo a trovare un programma in tv che mi
annoiasse
abbastanza da farmi addormentare, ho fatto qualche calcolo. E ti
interesserà
sicuramente sapere che la tua loquacità in queste ultime cento
trentanove ore è
aumentata del »
Dagon
si rifiutò di starlo a sentire e lo superò, arrivando per primo
alla cucina.
Machiavelli
interruppe il suo discorso e lo seguì.
Sul
tavolo immacolato della cucina un quaderno rilegato in pelle nera
era in netto contrasto con tutto l’ambiente circostante.
I due
immortali rimasero un attimo in silenzio a guardarlo, entrambi
consci del potere di cui erano in possesso.
Il
primo istinto era quello di allontanarsi. E di non toccarlo.
Machiavelli
prese posto su una sedia e pose le mani sopra la copertina
rigida del quaderno.
« So
che i miei calcoli matematici non ti vanno a genio, Dagon. Me la
faresti lo stesso una tisana alla menta? »
Dagon
raggiunse lo scaffale e afferrò una piccola tazza, poi aprì un
altro mobiletto lì a fianco e prese le erbe.
« Lei
non fa nessun calcolo. Se li inventa. »
Machiavelli
chiuse il discorso con un gesto disinvolto della mano.
Non
aveva intenzione di sprecare tempo.
Ignorando
il bruciore ai polpastrelli, aprì il quaderno, e le pagine,
coperte da una scrittura tondeggiante, si illuminarono per un momento.
*
Niccolò
si strofinò gli occhi chiari, cerchiati da occhiaie marcate,
non ancora del tutto ripreso dall’ennesima notte in bianco.
Dagon
entrò nella stanza con una certa fretta, dopo aver bussato,
mentre l’italiano si stava infilando le scarpe con l’aria di chi non
assume
caffeina dall’età elisabettiana.
«
Signor Machiavelli, ho trovato questa nella cassetta delle lettere. »
Dagon
porse una sottile busta, bianca quanto la sua mano,
all’immortale.
Machiavelli
la aprì con curiosità, dimenticandosi come per magia della
stanchezza, senza curarsi di non strappare la carta. Era raro ricevere
posta
per uno come lui. Nessuno sapeva il suo indirizzo.
Quasi
nessuno.
E
quindi poteva essere solo lui.
Niccolò
si rigirò tra le mani una brutta cartolina di Toronto,
scambiando uno sguardo col suo segretario, che osservava in silenzio.
L’uomo
esitò, prima di voltarla.
Niente
saluti, niente dediche, niente inviti o parole amichevoli.
Solo
una frase, scritta in una calligrafia dalle forme alte e oblique,
in italiano moderno.
Machiavelli
quasi se la fece cadere di mano, e a quel punto Dagon
drizzò la schiena.
« Che
cosa succede?» chiese la
creatura, mentre l’immortale faceva scorrere freneticamente gli occhi
da un
capo all’altro della cartolina.
« Non
mi aspettavo niente di buono, dopotutto…»
Dagon
lo raggiunse, deciso a non permettergli di cominciare a parlare
solo con se stesso. Sporse la testa al di sopra della spalla di
Machiavelli e
lesse il messaggio, i suoi grandi occhi tondi che indugiavano con
fatica su
ogni parola.
Non
c’è pce nele stelle, sa?
I
telescpi funzioano anor.
Imstram
quanto vali,
giovae
figli degli uomini.
Dagon
rimase impietrito, non trovando niente da dire per spezzare il
silenzio pesante, per diversi minuti.
Machiavelli
non diede alcun tipo di spiegazioni e si sedette alla
scrivania del suo elegante studio privato, una penna in una mano e la
cartolina
nell’altra.
« Non
ci vuole molto per capire che mancano delle lettere. » disse
Dagon, in un momento in cui gli sembrò che Machiavelli fosse giunto a
una
qualche conclusione, e che quindi potesse allentare l’attenzione sulla
cartolina e rispondergli.
«
Migliori di giorno in giorno, Dagon. In effetti, è un codice
complessivamente facile da risolvere. È poco articolato. »
Machiavelli,
colto da un fiotto di curiosità e da una brutta seppur
interessante sensazione, si chinò appena sulla cartolina e fece
scricchiolare
la penna sulla carta
«
Aggiungendo le lettere mancanti per ottenere parole corrette… »
iniziò a spiegare, mentre Dagon lo ascoltava impassibile.
« Si
ricava il messaggio completo. Nel caso della prima frase, non
c’è pace nelle stelle, sa? le
lettere mancanti sono la A e la L. Poi: i telescopi funzionano… ancora. »
Machiavelli
scandì bene ogni parola, come per accertarsi che fosse
corretta, e Dagon non osò interromperlo.
« “Anor”. Sarà “ancora” o
“ancor”? »
Dagon
fece un gesto disinvolto con la mano.
« Cambia molto? »
«
Cambia tutto. Sono convinto che il messaggio in sé abbia un
significato, ma credo anche che le lettere tolte abbiano un loro scopo.
»
Dagon
avrebbe fatto spallucce, se fosse stato più propenso ad assumere
atteggiamenti umani. Non riusciva a capire perché Machiavelli, con Dee
alle
costole e Anderson da tenere d’occhio si stesse dando tanta pena per
quel
messaggio senza senso.
« Non
ha pensato che potrebbe essere solo uno scherzo? Non c’è scritto
il suo nome sulla cartolina, né il suo indirizzo. Non è stata lasciata
dal
postino. »
Dagon
continuò imperterrito, nonostante la fastidiosa sensazione di non
essere ascoltato.
«
Qualche ragazzino avrà pensato di scrivere il testo di una di quelle
canzoni che vanno di moda al giorno d’oggi, e avrà sbagliato a
scrivere. »
Finalmente
Machiavelli sembrò degnarlo di attenzione, trapassandolo con
uno sguardo impenetrabile.
Evidentemente
stava riflettendo se valesse davvero la pena perdere
tempo per spiegarsi, o lasciare Dagon ai suoi dubbi. Sospirò.
«Questo
non si avvicina nemmeno lontanamente a una teoria probabile.
Per tre motivi. »
Alzò
il dito indice.
«
Uno. Questa cartolina arriva da Toronto. »
Dagon
fu pronto a rispondere.
« Il
ragazzino di cui parlo l’avrà trovata in casa sua, oppure è appena
tornato dalle vacanze.»
«
Teoria esclusa dal secondo e terzo punto. Due: mentre non mi è
difficile pensare che la lettera mancante nella parola “telescopi”
possa essere
un errore di distrazione, così non è per “Imstram”.
Davvero troppo storpiata. Non può essere casuale. »
Sul
volto di Dagon apparve una smorfia di disappunto, nello stesso
istante in cui la creatura capì che Machiavelli aveva già calcolato
tutto.
E
quindi, l’ennesimo enigma li aspettava.
« E
tre : mi tengo aggiornato sulle canzoni italiane in voga di questi
tempi. »
Dagon
alzò un sopracciglio di fronte al sogghigno di Niccolò.
« Non
è vero. »
« E
tu come fai a saperlo? »
Dagon
avrebbe facilmente risposto che era al suo servizio da secoli e
che di recente era stato in sua compagnia per buona parte del giorno.
Ma si
frenò all’improvviso, preferendo rimanere in silenzio.
Per
buona parte
del giorno. Del giorno, non della notte.
«
Comunque sia… nessuno in questa città sa il mio vero nome, né la mia
nazionalità. Curiosa coincidenza che il messaggio sia proprio in
italiano,
vero? »
Machiavelli
non aveva più voglia di parlare. In quel momento tutta la
sua mente era concentrata sul messaggio, e sul metodo di risoluzione.
Non
doveva essere molto difficile.
Aveva
visto schemi molto più complicati.
Piuttosto,
lo preoccupava il mandante, ma anche il significato del
testo.
Perché
il suo informatore avrebbe potuto trovare altre centinaia di
parole, che contenessero le lettere che gli interessavano.
Perché
proprio quelle?
E
poi… l’indirizzo…
*
Rubata.
Le
figure nascoste nell’ombra di una stretta sala circolare, sormontata
da vetri neri e decorati di antiche rune, si muovevano una dietro
l’altra. Due
passi avanti. Uno indietro. Una pausa e di nuovo indietro, i piedi che
parevo
non toccare terra, tanto il loro passo era leggero.
Rubata.
Nessun
suono arrivava alle orecchie delle figure, ma questa parola
sembrava espandersi nella mente di ognuno di loro, nascendo dal nulla.
Quegli
esseri non avevano mai aperto le loro labbra strette dai fili
della tela di Aracne.
Quando
erano riuniti formavano un’unica entità, i loro pensieri erano
comuni, la loro età era comune, il loro sapere era comune.
Come
se fossero parte di una sola persona.
Chi
ha osato tanto?
Ritrovarla.
Era
furioso.
Davvero furioso.
Lo è
ancora. Noi
lo vediamo.
Noi
vediamo tutto
ciò che è sui nostri sentieri.
Ma
adesso, cosa
sarà di lei?
Loro
non lo sanno.
E mai lo sapranno, senza di noi.
Rischieremo.
Ma
saremo
liberati.
Grazie…
figlio
degli homines.
N.D.A.
Lo
ammetto, non è un granché.
La
cosa positiva è che l’ispirazione è
tornata e credo che rimarrà per un po’. E la situazione di ogni
personaggio non
sarà delle migliori, anzi, mi sa che qualcuno sarà nei guai fino al
collo.
Ci
ho messo tanto, e mi dispiace
tantissimo. Non ci è voluto molto tempo per il capitolo, ma ho
modificato tutte
le mie idee sulla continuazione, che adesso è un bel po’ più
articolata.
I
miei impegni sono quasi finiti e, a parte
fare i salti mortali per non rovinarmi la media del seiiiiiinooooo
scarso in
matematica, non ho altre preoccupazioni. Conto (spero) di postare il
prossimo
capitolo prima del solito ; )
Grazie
a chi continua a seguirmi, mi date
grinta e carica : D
Ciao!
Tacet433
|
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Capitolo 5 *** Il messaggio ***
Il
messaggio
Dagon
osservò l’immortale a cui prestava servizio far cadere le
zollette di zucchero nella sua tisana, in piedi, un palmo saldamente
appoggiato
al tavolo e il capo reclinato a fissare la cartolina.
Quando
anche l’ottava zolletta cadde nel liquido fumante, la creatura
cominciò a preoccuparsi.
Ma si
sforzò di ignorare il dettaglio.
« Non
crede di star esagerando, signor Machiavelli? »
L’uomo
non alzò nemmeno la testa, e Dagon si aspettava il silenzio come
unica risposta.
Invece
l’italiano, dopo aver
preso una penna e un foglio stropicciato, rispose
distrattamente.
« Lo
sai che riesco a sentire solo i sapori molto dolci o molto
piccanti, Dagon. »
« Non
mi riferivo a questo. Personalmente, signore, penso che
controllare sia il... quaderno, e in
più pretendere di risolvere anche l’enigma della cartolina sia… rischioso. Non starà sottovalutando Dee,
mi auguro. »
Machiavelli
cominciò a scrivere sul foglio stropicciato, con una grafia
più marcata del solito.
« Il
Mago sospetta di lei. »
« Lui
sospetta sempre di me. Credo che anche i suoi padroni si siano
stancati di ascoltare le sue accuse.»
Dagon
venne consolato da un unico pensiero. Dietro alle scrollate di
spalle di Machiavelli si celavano attente riflessioni.
« Il
più delle volte aveva ragione. »
Per
un momento Niccolò parve irritato. Poi la sua espressione tornò a
distendersi, per lasciare spazio a una serena imperturbabilità. Ancora
non lo
guardava.
« E
ogni volta non aveva nessun mezzo per dimostrarlo. »
«
Anche una accusa infondata può mettere in cattiva luce una persona,
lo ha detto lei stesso. »
Machiavelli
sospirò e si decise a guardarlo.
«
Senza un po’ di rischio, non si arriva da nessuna parte. Come pensi
abbia fatto Alessandro Magno a conquistare quello che sarebbe diventato
il
potente impero di Macedonia? Scendendo in prima linea contro il nemico.
Se
stessi troppo buono gli Oscuri Signori penserebbero che io mi stia
guardando
continuamente le spalle… in questo modo, pensano solo che c’è del
rancore tra
me e Dee. Ricorda: il sospetto nasce quando non si hanno le cose sotto
controllo. Se io avessi voluto davvero andare contro al volere dei miei
padroni, sarei stato più attento a ciò che Dee ha detto di me davanti a
loro,
mi sbaglio? »
Machiavelli
non aveva mai smesso di scrivere sul suo foglietto. Di
tanto in tanto si metteva dritto sulla sedia, le braccia tese e i palmi
sul
tavolo, a contemplare riflessivo la sua opera.
«
Naturalmente non è bene esagerare… »
aggiunse dopo qualche secondo, con voce incolore.
« Ma
con un padrone col carattere come quello di Aton non posso stare
troppo ai margini della sua attenzione. Non lo apprezzerebbe. Non gli
piacciono
le persone passive, ma quelle con abbastanza spirito di iniziativa,
determinazione e scaltrezza che ti portano inevitabilmente ad essere
nemico di
Dee. »
Dagon
era diviso tra ammirazione e turbamento.
Negli
anni Machiavelli non aveva perso il tocco. Sapeva esattamente
quando comparire e quando stare fuori dai giochi, con quali persone
poteva
permetterselo, ma continuando a lavorare nell’ombra, malgrado il suo
diretto
quanto invisibile coinvolgimento.
Ma
Dagon aveva il compito di guardare le spalle all’immortale italiano,
e questa volta si sentiva in dovere di metterlo in guardia.
« Si
sospetta che Alessandro Magno sia stato ucciso dalle persone più
fedeli a lui, signore.» disse la creatura, frugando nella memoria alla
ricerca
delle nozioni storiche che Machiavelli gli aveva insegnato.
L’italiano
fece un gesto di approvazione col mento, prima di ghignare e
tornare a guardare il suo pezzo di carta.
« La
similitudine non ti fa onore, Dagon, considerando che la persona
più fedele a me sei tu.»
La
bocca larga di Dagon si aprì il una smorfia che poteva somigliare a
un sorriso, e per l’ennesima volta la creatura si rese conto di quanto
fosse
inutile discutere con l’immortale italiano.
Machiavelli
gli fece un cenno con la mano, per intimargli di
raggiungerlo.
«
Guarda qui. » indicò sulla carta, dove c’erano scritte le lettere
mancanti del messaggio arrivato poco prima.
Machiavelli
sorrise e cominciò a recitare l’intero testo a memoria.
« Non
c’è pace nelle stelle, sa? i telescopi funzionano ancora.
Dimostrami quanto vali, giovane figlio degli uomini. »
Dagon
lo guardò con indifferenza. Non gli diceva niente, ma Machiavelli
lo guardava come se si dovesse accorgere da un momento all’altro di una
caratteristica bizzarra e lampante del messaggio.
Dopo
almeno qualche minuto di silenzio, in cui l’italiano lo aveva
osservato con un sorrisetto divertito e le dita intrecciate in grembo,
Dagon
alzò un sopracciglio.
«
Allora? » domandò Machiavelli, colmo di aspettativa.
Dagon
si accigliò. Sarebbe dovuto essere lui a dire “Allora?” con quel
tono.
«
Allora cosa? »
Machiavelli
lo guardò come se la risposta fosse evidente.
« Non
noti niente di strano? » chiese, gli occhi dilatati da un’esasperata
sorpresa.
Dagon
sbuffò con una brutta smorfia sarcastica.
«
Noto parecchie cose strane… lei è una di queste, signore… con tutto
il rispetto. »
Machiavelli
arricciò le labbra in un sorriso accondiscendente.
«
Cercherò di prenderlo come un complimento. Guarda l’indirizzo. »
La
creatura obbedì di nuovo, ma non arrivò a una conclusione nemmeno
questa volta.
« Non
ha alcun senso. »
Là
dove comunemente veniva scritto l’indirizzo con la via e la città,
c’era solo una serie di numeri.
Dagon
scrollò le spalle, irritato.
«
Sono… tredici numeri. E con questo?»
«
Errore. » disse Machiavelli. « i numeri sono undici. Due, uno,
cinque, sei, tre, sette. E nella riga sotto : Quattro, otto, dieci (non
uno e
zero), undici ( non una coppia di uno) e nove. »
«
Perché non possono essere numeri separati?» chiese Dagon.
Machiavelli
gli porse il foglio con le lettere mancanti delle parole, e
la creatura ebbe la sensazione che Machiavelli volesse istruirlo sul
suo metodo
di lavoro.
« Il
segreto è cercare un senso in ogni cosa. Hanno un senso, queste
lettere messe in questa posizione? » disse l’italiano.
«
No.»
«
Eppure sono nell’ordine in cui le ho trovate. Sarebbe troppo facile.
Quindi ci deve essere un’altra chiave. Ed è questa sequenza numerica,
un metodo
vecchio e semplice. I numeri corrispondono al posto delle lettere.
Inizia con
un due, quindi la prima lettera sarà quella al secondo posto nel
messaggio.
Quella contenuta nella parola “NELE”. La L. »
Dagon
cominciava a capire. Si sporse verso il tavolo, e notò che
Machiavelli aveva una scintilla compiaciuta nello sguardo. Solo lui
riusciva ad
interessare una creatura venuta da un profondissimo abisso di un Regno
D’ombra
sperduto nell’universo.
«
Quindi non è possibile che il dieci e l’undici siano in realtà due
cifre… perché ci sarebbero più numeri che lettere. E non si potrebbero
formare
le parole. »
«
Molto bene, Dagon, davvero molto bene. Eppure… » Machiavelli fece una
piccola pausa, osservando attentamente il suo segretario. « Avanza
comunque un
numero. »
Dagon
ebbe la sensazione di essere tornato al punto di partenza. Non
aveva abbastanza pazienza per sopportare la spiegazione di una diversa
chiave
di lettura di quella dannata cartolina.
Si
trattenne dallo sbuffare, sapendo che Machiavelli lo stava prendendo
in giro con quella pausa ad effetto.
«
Avanza un numero perché, nella speranza che tu lo notassi, non ho
contato apposta una lettera. »
«
Dove?»
« Non
c’è pace nelle stelle, sa?
No. Non c’è pace nelle stelle, sai?
»
Machiavelli
annuì, prendendosi il mento tra due dita, con noncuranza.
Come chi è già sicuro da tempo di vedere confermate le sue
supposizioni.
«
D’altra parte, non ho mai chiesto alla persona che ha scritto questo
messaggio di darmi del lei. »
Se
possibile, gli occhi di Dagon diventarono ancora più grandi, e la
sua bocca, per un momento, si aprì in una O muta, colto dalla stupore.
« Lei
sa di chi si tratta? »
Machiavelli
sorrise, e fece di nuovo segno a Dagon di avvicinarsi, gli
occhi grigi lampeggiavano di una serenità inquietante.
«
Vuoi sapere cosa viene fuori dalle misteriose lettere, Dagon? »
disse, quasi sussurrando, con malizia.
Spostò
con due dita una cartella chiara e sottile. Sotto di essa, un
altro dei suoi foglietti stropicciati.
Sopra,
solo due parole.
*
Il
dottor John Dee alzò il telefono e compose il numero, preparandosi
alla difficile conversazione che avrebbe dovuto sostenere.
Sentì
due squilli, poi gli arrivò una voce profonda all’orecchio.
«
Pronto? »
Dee
pensò in fretta che la gentilezza fosse superflua con esseri del
genere.
«
Passami Machiavelli, Dagon. »
« Si
chiede per
favore, dottore. Ti ascolto. »
John
si morse il labbro, infastidito. L’italiano si era sicuramente
avvicinato a Dagon mentre rispondeva.
Infantile.
« Non
posso dire che sia un piacere risentirti. » disse il Mago, la
voce neutra.
« Non
mi
sorprende. »
« Ti
ricordi quando mi hai detto che Richard si sarebbe fatto sentire,
che sarebbe andato in giro a creare fastidi e che l’avrei trovato ed
eliminato
prima che potesse far danni grazie alla sua voglia di mettersi in
mostra? »
«
Certo, dottore.
Mi ricordo. »
Dee
si strofinò la barba. Stava vivendo tutte le emozioni che aveva
provato in quei giorni. Preoccupazione per la questione di Richard.
Rabbia,
perché lui sapeva che poteva essere coinvolto Machiavelli , ma non
poteva
esserne certo. E divertimento, perché per una volta poteva rinfacciare
a
Machiavelli un fallimento.
« Non
è stato così. Anderson non si è più fatto sentire, e io comincio
a sentirmi… irritato. Sai cosa succede quando mi sento irritato. »
« Di
solito un
disastro. » gli
rispose la voce annoiata di Machiavelli. « Ma non capisco
perché chiami me. »
«
Chiamo te perché sei coinvolto, la sua fuga è anche una tua
responsabilità. »
«
Veramente non lo
è. La missione era affidata a te, io dovevo solo guardarti le spalle,
ed è quello
che è fatto. »
Dee
prese un profondo respiro, intimandosi di restare calmo.
« Sai
dove potrebbe essere andato Anderson? » chiese, arrivando
velocemente al punto della conversazione.
«
Immagino che tu
abbia già guardato a casa sua…»
« Sto
svolgendo delle indagini in segreto sulle sue abitudini… »
Dall’altro
capo della linea arrivò il rumore strascicato delle scarpe
di Machiavelli.
«
Pensavo che la
tua priorità fosse Flamel. »
« Lo
è. »
«
Cosa aspetti ad
andare a prenderlo? »
Dee
sorrise, un’idea che si faceva spazio nella sua mente.
«
Devi cercare tu Richard Anderson, Machiavelli. O potremmo finire
entrambi nei guai. Inutile che lo neghi. Se i nostri padroni lo
dovessero
scoprire, non farebbero così tanta distinzione tra i miei compiti e i
tuoi. »
«
Eppure… » la
risposta di
Machiavelli non tardò ad arrivare. « tu
mi sembri molto più preoccupato di me. »
«
Pretendi di sapere cosa mi passa per la testa. Ma ti sbagli di
grosso, e prima o poi potresti pentirtene. »
Dee
aspettò una risposta, ma evidentemente Machiavelli non aveva alcuna
voglia di sostenere una conversazione. Meglio così.
« Io
mi metterò sulle tracce di Flamel, ma il silenzio di Anderson
inizia a insospettirmi. »
Machiavelli
sospirò spazientito. Non sembrava prendere molto sul serio
la questione, ma con un tono di accondiscendente gentilezza non aspettò
a
rispondere.
«
Facciamo così,
dottore. Manderò Dagon a cercare il giornalista. Così, forse,
finalmente potrò
avere… »
Dee
interruppe la telefonata, sul momento solo vagamente soddisfatto.
Non si fidava affatto di Machiavelli, ma se qualche Oscuro Signore
avesse
scoperto che c’era un figlio degli homines che sapeva troppo, lui
avrebbe
potuto dire di essersene preoccupato, e di aver affidato il compito
all’altro
immortale.
Avrebbe
potuto dire di essere d’accordo con l’italiano, di aver potuto
ritenere risolta questa questione perché Machiavelli aveva accettato di
occuparsene personalmente.
Machiavelli
gli aveva fornito, pur non sapendolo, una scusa convincente
per avere le mani pulite sulla faccenda.
John
Dee sorrise con perfidia, rigirandosi il suo registratore vocale
fra le dita.
*
Machiavelli
aveva appena posato il telefono, e ora osservava Dagon
senza vederlo veramente, mentre le parole di Dee gli frullavano ancora
per la
mente.
«Se i
nostri padroni
lo dovessero scoprire, non farebbero così tanta distinzione tra i miei
compiti
e i tuoi. »
Aveva
sicuramente ragione, ma non era necessario dargli questa certezza
così presto.
«
Pretendi di
sapere cosa mi passa per la testa. Ma ti sbagli di grosso, e prima o
poi
potresti pentirtene. »
A
questa frase aveva avuto serie difficolta a trattenere un sogghigno.
Ma
davvero?
Pensò
quelle due parole con malizia e scetticismo, e per un attimo fu
tentato dall’idea di escogitare qualcosa per dimostrargli il contrario,
per
lasciarlo senza parole.
Ma
dovette rinunciare quasi subito all’idea. Non sarebbe risultato
producente mandare in pezzi quella alleanza, seppur scomoda, fastidiosa
e
assolutamente fragile, che i loro Padroni li avevano obbligati a
tenere.
Non
avevano mai nascosto il loro disprezzo reciproco, ma gli Oscuri
Signori li avevano fatti lavorare insieme diverse volte, forse perché
per certi
versi erano l’uno l’opposto dell’altro.
A
questo punto, Dee avrebbe anche potuto smettere di preoccuparsi per
Richard, e Machiavelli non aveva bisogno di farlo, dato che aveva un
mezzo di
spionaggio infallibile e sapeva già dove si trovava in quel momento.
«
Lancia Odino?»
La
voce dalla sonorità cupa di Dagon ridestò l’italiano dai suoi
pensieri.
« Sì.
» si affrettò a dire, riportando la concentrazione sul suo
segretario e sulle due parole misteriose.
«
Immagino che la forma corretta del messaggio sia Lancia di Odino,
ovviamente, ma non penso che
chi me l’ha mandato abbia avuto molto tempo. Aveva fretta, si capisce
dalla
scrittura marcata e disordinata, e dal fatto che non abbia potuto
inventare un
codice più complesso. »
Dagon
rimase in silenzio. Non era mai stato abituato a fare tante
domande, o ad interessarsi delle risposte. Per lui bastava che
Machiavelli
avesse la situazione sotto controllo e che non corresse rischi.
«
Bene, adesso…» iniziò l’italiano, l’espressione serena e soddisfatta
« ti spiacerebbe andare a dare un’occhiata al… quaderno? Intanto
io proverò ad usare questo tempo per riflettere.»
La
creatura annuì, in silenzio si diresse verso la cucina, e sul tavolo
bianchissimo risaltava il sottile quaderno nero con la copertina
rigida. Sul
colore scuro si potevano distinguere delle cupe sfumature blu notte.
Dagon
lo aprì, ad una pagina a caso, poi afferrò una penna e cominciò a
scrivere poche parole, con la sua scrittura grossolana, proprio al
centro delle
due pagine.
Richard
Anderson
Poteva
bastare? O doveva scrivere anche i nomi dei Flamel?
Ma
prima che potesse dare una risposta a quella domanda il sottile
libricino aveva già cominciato a vibrare. Un disegno molto realistico
cominciò
a delinearsi davanti ai suoi occhi, occupando tutte e due le pagine con
linee
morbide e rossicce, più spesse e più sottili a seconda delle zone
d’ombra o di luce.
Dagon
incrociò le braccia e osservò il giovane giornalista gesticolare
a scatti, dalla prospettiva che quell’antichissimo strumento di
spionaggio gli
offriva.
*
Con il volto magro nascosto dal
cappuccio grigio di una felpa rovinata, un ragazzo fissava intensamente
davanti
a sé, aspettando la metropolitana. Dei brividi freddi gli
attraversavano la
schiena, facendolo sussultare. Una donna di mezza età lo guardò con
spaesamento
e timore. Chissà cosa doveva pensare in quel momento, quella vecchia
figlia
degli homines.
I
sussulti divennero sempre più frequenti. Il ragazzo gemette, non
riuscendo più a controllare il tremore allo sterno, e il sudore freddo
che gli
scendeva dalla fronte e sul collo. Si strinse nella felpa, piegato in
due, ad
ogni battito del cuore seguiva un nuovo sobbalzo delle costole e della
schiena.
E improvvisamente si sentì la mente vuota. Ignorava tutto, perché
niente
contava più qualcosa. Il rumore della metropolitana, le parole della
donna, che
adesso si era alzata. Lui non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli
occhi per
guardarla, e anche se lo avesse avuto, non sarebbe riuscito a muovere
un
muscolo.
Riusciva
solo a pensare al freddo. E
a lei, come era ovvio.
All’improvviso
sentì una mano sulla spalla, una mano calda, così calda
da bruciarlo. Qualcosa scattò in lui, e davanti ai suoi occhi tutto si
fece
rosso.
Si
alzò di scatto, si liberò con un gesto violento dalla leggera presa
della donna.
Poi
scappò. Tenendo gli occhi bassi, e le braccia ancora strette al
petto. Ogni figura che vedeva alzando appena le iridi lucide di febbre
era
cerchiata di rosso vivo.
Corse
fino a non avere più fiato, la gente si scansava davanti a lui,
istintivamente, e lui aveva paura di cadere, perché non gli reggevano
le gambe.
Si
gettò in un bagno e si sporse verso il lavandino. Non aveva il
coraggio di guardarsi allo specchio.
Sentì
un ultimo brivido, più lungo, più agghiacciante, che gli fece
inarcare la schiena. Poi tutto finì, velocemente come era iniziato. E
lui
riprese rapidamente il controllo della sua mente.
« Sei
spietata. »
Il
bagno non era deserto, lo sapeva. Sapeva che lei era lì, e ancora
una volta, dentro di lui l’arroganza fu più forte di ogni altra cosa.
« Sai
bene che non è mia la colpa. »
Il
ragazzo si girò. Davanti a lui c’era lei, bella come la ricordava, i
cappelli biondo platino lunghi fino alla vita, la corporatura esile ma
scattante, un perfetto volto ovale e gli occhi color lavanda.
Rimase
impassibile, ricambiando l’espressione di ghiaccio della
ragazza.
«
Questo succede ai traditori come te. »
Il
ragazzo ghignò, irriverente.
«
Questo succede quando ci sei tu nelle vicinanze… »
La
ragazza scosse appena la testa.
«
Succede quando sono troppo poco vicina perché tu mi possa vedere… »
precisò con voce melodiosa « ma abbastanza vicina perché tu mi possa
sentire. »
Il
ragazzo alzò le spalle, e per un attimo gli parve di vedere
un’espressione ferita sul bel volto della giovane di fronte a lui.
«
Devi tornare. » gli disse, esitante ma fredda al tempo stesso.
Fredda.
Era così che lui l’aveva sempre ricordata. Era così che era
sempre stata, in verità.
Si
era solo immaginato quella lieve traccia di speranza nella sua voce?
« Io
non penso. »
Sfoderò
il suo migliore sorriso sarcastico. Non si era mai pentito
delle scelte che aveva fatto, e non sarebbe tornato sui suoi passi.
Nemmeno per
lei.
Era
passato quasi mezzo secolo, e in quel tempo lui aveva rafforzato le
sue idee. Era nel giusto, e non ne era mai stato più sicuro.
«
Invece devi farlo, adesso è necessario. »
Il
ragazzo fece finta di pensarci su, poi, con un sorriso sghembo,
scosse la testa.
Lei
divenne appena un po’ più pallida, facendo risplendere la chiarezza
del suo volto sotto le lampade al neon.
« Ma
adesso ti ho trovato. E chiamerò loro, se non vorrai
ricongiungerti a noi di tua volontà»
Il
ragazzo si accigliò e sbuffò di rabbia.
«
Pensi che mi vogliano? Mi uccideranno appena rimetterò piede nel loro
Regno d’Ombra!»
Si
ricordò solo dopo aver urlato quelle parole di essere nel bagno di
una metropolitana piena di homines. Gettò occhiate nervose intorno a
lui,
ammutolendosi.
La
ragazza, invece, sorrise vittoriosa.
« Sono passati più di
cinquant’anni, ma ancora non hai
imparato a vivere con gli homines! Non ho mai capito che cosa cerchi,
Alypion,
ma non lo troverai mai, qualunque cosa sia, perché sei un estraneo sia
in
questo Regno d’Ombra che nella tua vera casa! »
Alypion le rivolse
un’occhiata sprezzante, sperando di
riuscire a spezzare quel sorriso. Era tutto quello che si meritava.
Un sorriso sarcastico,
trionfante e caldo. Troppo caldo per
una come lei.
« Quella non è mai stata
casa mia. Tu non sei mai stata casa mia. »
Si gettò fuori dal
bagno, lasciando aperto il lavandino,
salendo le scale fino in superficie.
Non aveva tempo e non
aveva voglia di pensare a quell’incontro.
Con un sorriso divertito
si chiese se il suo messaggio
fosse stato compreso.
*
Machiavelli osservò
Dagon tenere d’occhio Richard Anderson
attraverso il quaderno, le sopracciglia inarcate in una domanda muta.
La creatura nemmeno lo
guardò. Non ne aveva bisogno.
« Niente, per adesso,
signor Machiavelli. Ma… Flamel e sua
moglie hanno lasciato solo il ragazzo. »
Niccolò annuì. Era
logico che volessero consultarsi sul suo
conto.
« Avvertimi se noti
qualche cambiamento, Dagon. »
L’italiano tornò a
concentrarsi sul suo misterioso
messaggio. Pensava di aver capito a cosa si riferiva il suo informatore
quando
parlava di telescopi e stelle.
E poi, c’era il “giovane
figlio degli homines”.
Ci aveva già riflettuto
parecchio. Non poteva essere sicuro
che fosse riferito ad Anderson, eppure era l’unico giovane con cui era
venuto
in contatto di recente.
Ma era un’idea ridicola.
Era solo un giornalista da quattro
soldi, non poteva certo essere affiancato a delle informazioni così
importanti.
Machiavelli pensò che
sarebbe stato utile scoprire cosa era
successo alla Lancia di Odino. Gungnir.
« Gungnir è una delle
Antiche Armi che sono state usate
dagli Antichi Signori per sottrarre agli Arconti il dominio dei Regni
d’Ombra.
»
Dagon staccò appena gli
occhi enormi dal quaderno, per poi
riportarceli subito dopo. Machiavelli continuò a ragionare ad alta
voce.
« Appartiene ad Odino,
ma tutti gli Antichi Signori
vorrebbero possederla. Esiste un collegamento tra questa e i
“telescopi” del
messaggio. Sai a cosa si riferisce questa parola, Dagon? »
La creatura lo guardò e
scosse la testa.
« Con questo nome
venivano chiamati i Veglianti, quando non
si voleva far sapere che si stava parlando di loro. A causa della loro
capacità
di vedere le realtà presenti in ogni Regno d’Ombra, immagino. »
Dagon si accigliò.
« Ma adesso sono
imprigionati. Ade gli ha rinchiusi nel suo
Regno d’Ombra infernale. »
« Sì. » confermò
Machiavelli. « e sai qual è la cosa
interessante? Gungnir, la lancia di Odino, sarebbe l’unico oggetto in
grado di
spezzare le catene di Ade e di liberarli. »
L’italiano sorrise.
« Deve essere successo
qualcosa alla Lancia. Non sarebbe la
prima volta che qualcuno prende di mira le Antiche Armi. La Tunica di
Deianira,
per esempio, è stata rubata due secoli fa, e ancora la sua padrona non
l’ha
ritrovata. Che sia successa la stessa cosa alla Lancia? »
Machiavelli si alzò e
prese a misurare a grandi passi la
cucina, le dita unite davanti al mento. Il suo segretario lo osservava
con cupo
interesse.
« Il messaggio, in poche
parole, ci dice che ai Veglianti è
stato permesso di usare i loro poteri per osservare di nuovo ciò che
accade nei
Regni. Trovo improbabile che siano riusciti a liberarsi, e Ade non è
certo il
tipo da disfarsi di prigionieri che detesta. Quindi deve essere stato
permesso
loro di usare di nuovo gli Occhi, pur non potendo uscire dall’Ade. »
Dagon emise un sbuffo
scettico.
« Ma perché gli Oscuri
Signori dovrebbero farlo? »
« Perché i Veglianti
devono ritrovare la Lancia di Odino.
Ecco il collegamento con i Veglianti, con i telescopi.
È la quarta Arma che è stata rubata, Dagon. Dopo la Tunica sapevo che
qualcuno
avrebbe cercato di rubare anche Gungnir. Chissà se è sempre la solita… persona, se così si può dire, o se sono
stati diversi soggetti a rubare le prime tre Armi. »
Machiavelli si passò una
mano nei capelli, eccitato da
tutte quelle rivelazioni.
Emise una breve, fredda
risata.
« E poi…» disse,
tornando serio « il messaggio dice che
tutto questo è collegato ad un figlio degli homines, in un modo che con
molta
probabilità nemmeno l’informatore si spiega. »
Con una strana scintilla
negli occhi chiari, Machiavelli
raggiunse il tavolo e sfilò il quaderno dalle mani di Dagon, girandolo
verso di
sé.
Osservò il volto magro e
affilato di Richard Anderson, i
suoi movimenti a scatti. Poi, con un rapido movimento del posto girò la
pagina,
mentre Dagon lo guardava non troppo sorpreso.
Machiavelli prese una
penna e scrisse due parole, un nome,
in cima ad una pagina bianca.
Alypion Desiephr
Note
di
Tacet433
In
realtà non ho molto da dire questa volta. Mi scuso per i lunghi tempi
che
impiego ad aggiornare, per l’ennesima volta-.-“
Spero
di non avervi annoiati con tutte quelle spiegazioni, e spero di
inserire un po’
più di azione, nel prossimo. Volevo già farlo in questo, ma sarebbe
venuto
fuori qualcosa di troppo lungo che non avrei saputo come interrompere.
Ringrazio
tantissimo chi continua a seguire questa storia, nonostante i miei
tempi
biblici.
|
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Capitolo 6 *** Dietro la maschera ***
Dietro
la Maschera.
Machiavelli respirò
l’aria satura dei diversi odori di
Reims. Gli sembrava che fosse passata una vita intera da quando aveva
accolto
Richard Anderson in casa sua.
Eppure non rimpiangeva
quei giorni noiosi che avevano
preceduto quell’avvenimento.
Continuò a camminare
senza una meta precisa, pensando a
tutto meno che alle vie che stava percorrendo. Di questo passo si
sarebbe
ritrovato come minimo a un miglio da casa, ma non aveva importanza.
Non aveva voluto
compagnia per quella sera. Aveva ordinato
a Dagon di non seguirlo, anche se dubitava che effettivamente il suo
segretario
avesse obbedito. Non capiva appieno il senso del messaggio che Alypion
aveva
lasciato, e anche se la curiosità era una qualità che non gli era mai
appartenuta, non avrebbe sopportato di non seguirlo, durante un periodo
che a
quanto pareva stava diventando piuttosto pericoloso.
Pericoloso e intrigante.
Machiavelli non aveva
smesso un attimo di pensare alle
informazioni che gli erano arrivate.
Non erano notizie da
prendere alla leggera.
I Veglianti avevano
riottenuto gli Occhi. Questo voleva
dire che avevano riacquistato la capacità di osservare le diverse
realtà
presenti nei Regni d’Ombra, anche quelli più remoti, con la forza delle
loro
menti.
I Veglianti erano figli
di Crono, che, a quanto aveva
potuto capire Machiavelli, non erano mai stati amati dal loro padre.
Secondo la
leggenda, i Veglianti avevano l’abitudine di raccontare un po’ troppo
spesso e
ad un po’ troppi individui gli avvenimenti che succedevano nei vari
Regni,
appartenenti a diversi Antichi Signori.
Si erano guadagnati
presto l’odio di tutti loro. Compreso
il loro padre, e le loro labbra erano state cucite con la tela di
Aracne.
Probabilmente tutti gli
Antichi Signori erano stati
contenti di vederli nelle grinfie di Ade.
Machiavelli non avrebbe
saputo dire che aspetto avessero.
Ma sapeva che erano
esseri neutrali.
E che se Ade aveva
concesso loro di riavere gli Occhi,
doveva avere le sue buone ragioni.
E qui si arriva alla
Lancia…
Machiavelli trattenne
uno sbuffo spazientito. Alypion non
era stato per niente esauriente nel suo messaggio.
L’italiano poteva solo
fare un sacco di supposizioni.
Sapeva che altre Antiche Armi erano state rubate, e per questo si
poteva
pensare che alla Lancia fosse successa la stessa cosa.
Questo spiegava perché
ai Veglianti erano stati concessi
gli Occhi.
Se potevano vedere il
presente di ogni Regno d’Ombra,
potevano ritrovare la Lancia di Odino. E probabilmente gli Oscuri
Signori
avrebbero concesso loro la libertà, se ci fossero riusciti.
O almeno così avrebbero
detto. Avevano l’abitudine di
mentire spesso, e Machiavelli sapeva che i Veglianti lo avevano
imparato a
proprie spese. Se fosse stato in loro, avrebbe già cercato di sfruttare
l’occasione con un piano b.
Più rifletteva su questi
avvenimenti e più le domande
continuavano ad affollargli la mente.
Chi aveva rubato la
Lancia di Odino? Che piani avevano gli
Oscuri Signori per ritrovarla? E che cosa avrebbero potuto pensare di
fare i
Veglianti, adesso che avevano riavuto i loro Occhi?
Non che potessero fare
molto. Di certo Ade li teneva sotto
stretta sorveglianza, soprattutto quando loro celebravano i loro riti
divinatori.
Machiavelli di colpo
comprese i sentimenti di Richard
Anderson, costretto anche lui a tener testa alle sue mille domande.
Che parte aveva il
“giovane figlio degli homines”
menzionato nel messaggio? E chi era, soprattutto?
Effettivamente Niccolò
si sentiva proprio sulla stessa
barca di Richard. Perché avrebbe fatto meglio a non chiedersi nulla, ma
non
aveva intenzione di farlo.
Machiavelli si passò una
mano sui capelli candidi,
fermandosi sotto a un lampione.
Adesso avrebbe dovuto
fare veramente attenzione. i
Veglianti stavano cercando la lancia, con ogni probabilità, ma non era
detto
che non scoprissero anche di Richard, e allora sì che Machiavelli
sarebbe stato
in guai seri.
Perché se fossero venuti
a sapere del giornalista,
avrebbero certamente scoperto anche che lui aveva un metodo infallibile
per
spiarlo, e che quindi sapeva dov’era Flamel e non aveva detto niente.
Sarebbe stato proprio un
peccato. Secoli di vita, una vita
ricca di conoscenza, buttati via per un errore, un istinto, un gioco.
Machiavelli si bloccò di
colpo, in mezzo a un marciapiede.
Spostò lo sguardo incolore sulla luce arancione del tramonto, poi si
voltò e
prese una strada secondaria per dirigersi verso casa.
Un gioco? Sì, solo
questo.
E quando si gioca con
giocatori abili, è necessario essere pronti a sacrificare i pedoni.
*
Otto giorni prima.
Machiavelli aprì la
porta del piccolo e in apparenza insignificante negozio di antichità.
Dagon lo seguiva, in
silenzio, ascoltando il tintinnio dei campanelli appesi allo stipite
della
porta, e osservando con noncuranza la strada deserta.
Il negozio era colmo
di oggetti di ogni genere e dimensione. Strumenti musicali, mobili
incrostati
di sporco e dai cassetti difettosi, barattoli e posate, libri e erbe
appese al
soffitto, calendari di ogni nazionalità, lampade, gioielli che
spiccavano con
la loro lucentezza tra quegli oggetti inquietanti e bisognosi di una
bella
pulita.
Dagon non si sarebbe
mai sognato di toccarne nemmeno uno.
Ma Machiavelli sì, e
la creatura fece appena in tempo a frapporsi tra l’immortale e un
agghiacciante
teschio di legno e dai denti d’oro.
« Cosa posso fare per
voi?»
Dagon si voltò al
suono di una voce gracchiante ed eccitata, Machiavelli lo scostò per
guardare
in faccia la proprietaria del negozio.
Era una donna alta,
ma leggermente ricurva. I capelli erano di un biondo sbiadito, lunghi
fino alla
vita, e il viso era solcato da poche rughe profonde. Gli occhi strabici
si
erano puntati subito sull’italiano, senza degnare della minima
attenzione
Dagon.
Machiavelli le andò
in contro, il sorriso della donna era sempre più aperto. Evidentemente
non gli
capitava spesso di ricevere clienti.
« Che cosa le serve?
»
La donna osservò
l’italiano da capo a piedi, soffermandosi sul volto calmo e cordiale.
« Niente che mi possa
offrire la proprietaria di un negozio. Ho bisogno di una fattucchiera.»
L’italiano si sentì
osservato con occhi adoranti e malsani, ma non mosse un muscolo.
« Faccio al caso suo,
signore. »
Niccolò sorrise
gentilmente.
« Ne ero certo. » La
donna divenne tutta rossa e lusingata. Machiavelli non la riteneva
affatto
degna del nome di fattucchiera, ma per quel che gli serviva poteva
andare.
« Desidererei
acquistare qualcosa che possa permettermi di spiare qualcuno, qualcosa
che sia
immune dagli incantesimi che bloccano la divinazione. »
Non usò molti giri di
parole, e la donna parve felicissima di questo.
« Anche lei allora è
uno stregone! »
Machiavelli dubitava
che quella donna potesse sapere molto di magia. Chissà com’era venuta a
conoscenza di quel poco che sapeva. Non si poteva dire che non fosse
esperta
negli oggetti stregati della Nuova Generazione, però. Era uno dei
motivi per
cui Machiavelli aveva deciso di stabilirsi a Reims.
« Forse.» sorrise
lui, mentre la donna lo osservava colma di entusiasmo.
Sparì dietro una
tendina, di colpo. Quando tornò, portava con sé un libro molto sottile,
rilegato in pelle nera, con qualche striatura rossastra.
Gli occhi di
Machiavelli lampeggiarono e l’aria si riempì di un sottile sentore di
serpente.
La donna tese le
braccia verso di lui, per porgergli il quaderno.
« Ci scriva sopra il
nome della persona e questa apparirà sulla carta, lì dove si trova,
potrà
osservare i suoi movimenti, e le sue parole saranno riportate nella
pagina
dietro. »
La donna era al
settimo cielo, osservando l’espressione soddisfatta di Machiavelli.
Tra tutti gli
oggetti, Niccolò non avrebbe mai immaginato quello. Era rarissimo, ce
n’erano
pochi al mondo. Pochissimi. Non aveva bisogno di provarlo, ma lo fece
ugualmente, per sicurezza.
La donna lo prese
come un atto di gioiosa impazienza, e non di diffidenza nei suoi
confronti.
Gli porse un
foglietto.
« Questo è il nome
segreto del quaderno. È protetto da un incantesimo. Se lo pronuncia il
quaderno
verrà distrutto con un’esplosione. È un meccanismo di difesa. »
Qualche minuto dopo,
Machiavelli e Dagon erano in strada.
L’italiano spostò
sulla sua guardia del corpo gli occhi freddi e penetranti.
Spietati.
« Occupatene prima di
dopodomani, Dagon. E dopo ripulisci il negozio da tutto ciò che ti
sembra
utile. »
*
Niccolò arrivò di fronte
alla strada che si poteva
benissimo osservare dalla finestra del suo salotto, e non rimase
sorpreso di
vedere Dagon già sulla soglia del portone in legno.
L’italiano lo raggiunse,
non staccando gli occhi dai suoi
occhiali da sole.
« Mi hai seguito? »
Dagon non abbassò il
capo, ma Machiavelli sapeva che aveva
spostato gli occhi in un’altra direzione, anche se non poteva vedere
attraverso
i suoi occhiali.
« Dovevo farlo. »
rispose laconico il segretario.
Non sapeva cosa
aspettarsi da Machiavelli. Ma era certo che
non gli piacesse essere seguito a sua insaputa. Non temeva la sua
reazione, si
fidava della sua logica fredda e riflessiva, ma qualcosa gli fece
comunque
sentire una punta di sollievo quando lo vide annuire, pensieroso.
« Sei un bravo
segretario. » disse l’immortale, ma non
abbandonò l’espressione severa.
« Però non farlo più»
L’italiano aprì la porta
e si rimise la chiave in tasca.
Dagon alzò di scattò la
testa e la mano, contemporaneamente,
strinse il braccio di Niccolò con le dita affusolate. Machiavelli lo
osservò
interrogativo.
Il segretario lo scostò
appena e lo precedette su per le
scale, nessuno dei due osò rompere il silenzio. L’italiano si tolse un
guanto,
all’erta.
*
La situazione stava
diventando snervante.
Richard non faceva altro
che tamburellare i piedi per terra
da più di mezz’ora, guardandosi intorno con gli occhi nervosi.
Aveva sperato che le
circostanze lo avrebbero portato a
vivere esperienze un po’ più dinamiche, e invece, adesso che aveva
trovato
qualcuno che, ne era sicuro, sapeva molto più di ciò che lasciava
intendere,
aveva iniziato a capirci ancora meno di prima.
Stephen e sua moglie si
erano rinchiusi in una stanza
adiacente al salotto.
Richard non poteva
sentire le loro voci, ma non gli era
difficile immaginare di cosa stessero discutendo.
Per un attimo prese in
considerazione l’idea di andarsene,
di certo avrebbe limitato i rischi.
Ma poi come avrebbe
potuto arrivare alla verità? Non era
pronto a rinunciare alle sue domande.
Quella città e quel nome
erano gli unici indizi che aveva,
gli unici che quel tipo canuto gli aveva lasciato, ed era difficile
fidarsi di
chiunque, ma non aveva altro in mano.
Richard ebbe un sobbalzo
quando Stephen e Amanda si decisero
a farsi vedere, ma cercò di riprendere un certo contegno nel minor
tempo
possibile.
L’uomo si sedette di
fronte a lui, Richard non abbassò lo
sguardo, cercando però di tenere d’occhio anche Amanda.
Seguirono vari secondi
di silenzio.
Alla fine Stephen
sospirò e appoggiò i gomiti sulle
ginocchia.
« Ascolta, Richard…»
iniziò, cordialmente, in un tono che
voleva essere rassicurante, ma che mise sul chi vive il giornalista.
« Hai detto che sai in
che guai si trova Nicholas Flamel.
Io gli sono molto legato, e perciò penso che io e te dovremo fidarci
l’uno
dell’altro, da questo momento in poi. Entrambi potremmo avere
informazioni
utili all’altro, non pensi? »
Richard annuì,
chiedendosi dove volesse arrivare
quell’uomo, se volesse davvero rivelargli ogni cosa.
Amanda non sembrava
particolarmente felice di sostenere
quella conversazione, ma il ragazzo si sforzò di ignorarla.
« Però…» continuò
Stephen. Richard trattenne una smorfia.
Lo sapeva, che prima o poi sarebbe saltato fuori il “però”. « Devi
crederci
quando ti diciamo che noi rischiamo molto più di te. E dovremmo essere
sicuri
che tu non ci tradisca il alcun modo, quindi… ti va di iniziare tu a
raccontarci che cosa ti è successo. »
Richard non poteva dire
di essere sorpreso.
Sospirò, rassegnato.
Stephen aveva parlato come se il
ragazzo potesse scegliere. Ma non era del tutto vero.
Le opzioni erano due.
Raccontare tutto ciò che gli era
capitato a degli sconosciuti, e rischiare. Oppure lasciare perdere
tutto,
andarsene, cambiare nome, nascondersi. Senza sapere nemmeno da che cosa
o da
chi si stava nascondendo.
Non era sicuro di
potersi fidare, anche se sapeva che
l’uomo canuto gli aveva salvato la vita. Peccato che lo stesso uomo, a
quanto
aveva capito, era una specie di
“collega” di quello che lo voleva eliminare.
Avrebbe potuto fingere
che fosse stato tutto un brutto
sogno, ed era un alternativa allettante.
Ma lasciar perdere non
era nella sua indole.
Richard sospirò
rassegnato, e con la sensazione di star
facendo la più grande idiozia della sua vita, si apprestò a raccontare.
*
« A cosa devo la visita?
»
Machiavelli non aveva
voglia di sedersi. Osservava l’essere
disteso sul divano davanti a lui con
cupo interesse.
L’emissario di Aton
aveva un aspetto quasi umano, anche se
ancora per poco tempo, probabilmente. La pelle ambrata era in netto
contrasto
con le labbra, tinte di rosso cupo.
I capelli scendevano
fino alla vita ed erano pressappoco
dello stesso color cremisi.
Gli occhi erano fin
troppo incavati, due fosse
completamente nere.
Dagon chiuse la porta, e
per precauzione anche le persiane
delle finestre. Accese la luce e Machiavelli poté puntare gli occhi sul
ghigno
dell’emissario.
« Aton ha un compito per
te, Niccolò Machiavelli. »
L’italiano non batté
ciglio davanti alla voce profonda
della creatura. Si fece attento, pronto a cogliere ogni sfumatura della
conversazione.
« Di che si tratta? »
« Prima devo raccontarti
una storia, italiano. »
E Machiavelli aveva la
netta impressione di essere già
informato su molte delle cose che l’emissario gli avrebbe rivelato di
lì a
poco.
« Vi ascolto. »
La creatura ghignò di
nuovo.
« È stata rubata
un’altra delle Antiche Armi. »
Machiavelli decise che
poteva anche non fingersi sorpreso,
visto che già prima di ricevere il messaggio si era aspettato che prima
o poi
qualcuno avrebbe cercato di rubare altre Armi.
« Pensavo che gli
Antichi Signori potessero contare su
sistemi di sicurezza più efficienti. » commentò, sarcastico.
« Non ho mai visto
nessuno più attento di Odino quando si
tratta di ciò che possiede. Non riesco ad immaginare come questo ladro
abbia
fatto a rubarla del suo Regno d’Ombra. »
Per un attimo la
creatura parve profondamente infastidita
dal commento dell’immortale, ma si controllò perfettamente e pochi
istanti dopo
sul suo viso era riaffiorato il ghigno.
« Gli Oscuri Signori
hanno deciso di permettere ai
Veglianti di usare gli Occhi, per ritrovare la Lancia sono disposti a
fare
qualsiasi cosa. »
Ecco il momento giusto
per ostentare un’espressione
sorpresa.
Machiavelli sapeva
esattamente come fare, e conosceva alla
perfezione se stesso, sapeva come avrebbe reagito se non avesse saputo
nulla.
Gli occhi leggermente sgranati per meno di un secondo, lo sguardo
limpido e
concentrato di chi ci mette poco ad annoiarsi così come ad
interessarsi.
Machiavelli pensò che
non si sarebbe mai stancato di essere
soddisfatto di trovare veritiere le supposizioni che faceva. Ma si
domandava
anche quale fosse il suo ruolo in quella storia, e forse conosceva già
la
risposta.
L’emissario parve
soddisfatto e desideroso di lasciare
l’immortale sulle spine.
Dopo vari momenti di
silenzio, in cui Machiavelli fece
finta di riflettere sui Veglianti, l’emissario si decise a continuare.
« Così gli Oscuri
Signori hanno scoperto l’attuale
locazione di Gugnir. Si trova in questo Regno d’Ombra, immortale, e il
tuo
compito è trovarla e riportarla a me. »
*
Nicholas Flamel rimase
in silenzio per vari secondi,
cercando di mettere ordine nel cervello e assimilare bene tutte le
informazioni. Richard aveva appena finito di raccontare la sua storia,
e
Nicholas era rimasto a bocca aperta.
« Ragazzo… sei stato
davvero sfortunato. »
Era l’unica frase che
gli sembrava opportuna, ma capì che
non lo era affatto, appena vide l’espressione cupa di Richard.
« E molto stupido. »
aggiunse Perenelle. « Non avresti
dovuto metterti alla ricerca di Nicholas Flamel. »
Richard alzò il mento
con fierezza, stupendo i due
immortali.
« Mi sono accorto di
essere in un mare di guai, signora,
non c’è bisogno che me lo ripeta. Metta in conto che io senza che voi
due
rispondiate alle mie domande non me ne vado di qui.
»
I due immortali si
scambiarono uno sguardo.
« Io capisco come ti
senti, Richard. » disse Nicholas,
gentilmente. « Ma se vuoi davvero che noi ti aiutiamo, devi finire di
rispondere a tutti i nostri dubbi. »
Nicholas non voleva che
Richard si stancasse di parlare
proprio adesso. Sentiva che c’era qualcosa che non tornava, qualcosa
fuori
posto.
Richard annuì
freddamente.
« Bene, allora… »
cominciò l’Alchimista. « L’uomo che ti ha
ospitato, e il suo segretario… potresti descrivermeli? »
Richard annuì e riportò
alla memoria tutti i ricordi di cui
disponeva.
« Ecco… il segretario
non si faceva vedere in faccia. Era
sempre coperto da un cappello che teneva in modo da gettare ombra sul
volto. In
più l’ho visto sempre in stanze molto poco illuminate. Invece, quello
che
doveva essere il suo datore di lavoro… » il ragazzo fece una pausa,
riflessivo,
mentre Nicholas e Perenelle si facevano sempre più attenti.
« Lui si è fatto vedere.
È alto, con la barba molto corta e
curata… i capelli bianchi e gli occhi grigi. »
Richard vide i suoi
interlocutori sbarrare gli occhi.
« Lo conoscete? »
chiese, in preda all’agitazione.
« Cosa puoi dirci del
suo comportamento? » chiese la donna,
ignorando completamente la sua domanda.
Richard, un po’ irritato
ma speranzoso, annuì senza
esitazioni.
« Io mi sentivo un po’ a
disagio. Non riuscivo a sostenere
il suo sguardo… »
Nicholas alzò una mano
per frenarlo, perché sapeva già le
cose che gli avrebbe detto dopo.
« E cosa ti ha detto,
precisamente?»
« Emh… mi ha detto che
sapevo troppo… e che non dovevo
avere paura di lui, ma che non poteva dirmi chi era o come si chiamava…
mi ha
detto che… » Richard deglutì, rabbrividendo « che se avesse voluto
uccidermi lo
avrebbe già fatto, e non dovevo fare domande. Poi…»
Richard si ricordò
all’improvviso un dettaglio che lo aveva
colpito particolarmente.
« Mi ha detto anche che
non poteva raccontarmi la sua
storia, perché era troppo lunga. E
quando gli ho detto che ero abituato a sentire storie lunghe lui si è
messo a
ridere. »
Nicholas e Perenelle si
scambiarono un sorrisetto
divertito, con l’infelice esito di irritare ancora di più il
giornalista.
Richard si morse il
labbro. Aveva già raccontato tutto per
filo e per segno, di come l’uomo alto e canuto lo aveva portato via e
ospitato,
di come aveva sentito la voce dell’altro uomo sulle scale mentre stava
scappando col segretario, di come si era ritrovato in tasca il
biglietto.
Adesso era il loro
turno.
« Adesso tocca a voi! »
affermò, glaciale e con una
autorità che normalmente non avrebbe usato.
« Volete dirmi chi erano
quei due uomini che ho
incontrato?»
*
« Dagon, credo che a
questo punto dovrei riconsiderare la
situazione. » disse Machiavelli, certo che l’emissario fosse ormai
lontano. « e
i miei piani, soprattutto. »
L’immortale era
impassibile, ma non per questo
indifferente. Dagon sapeva che non avrebbe preso alla leggera una
situazione
del genere.
Inaspettatamente,
Niccolò si voltò verso di lui e sorrise
con un’espressione innocente che non ingannava nessuno.
O meglio, ingannava gran
parte della popolazione umana, ma
non Dagon.
« Sai, avevo pensato di
prendere Flamel prima di Dee,
servendomi di Richard. Ma adesso…»
Alzò le braccia con i
palmi aperti, con la faccia di chi è
appena stato derubato del suo pupazzo preferito.
« Non è più possibile.
Vedi, sono molto impegnato, al
momento. »
Bisogna scegliere che
partita giocare…
« E quindi, sono
costretto a lascar perdere, o il rischio
di essere scoperto sarebbe troppo elevato. »
Machiavelli unì le dita
davanti al mento, riflessivo.
« Se malauguratamente
dovesse capitare che Dee raggiunga i
Flamel mentre sono assente, potrebbe pensare che io ho lasciato
scappare il
giornalista. »
« Di fatto è ciò che è
successo» affermò Dagon, un velo di
rimprovero nella voce.
Machiavelli lo guardò
divertito.
« Non è necessario che
lo sappia. Inoltre… » aggiunse,
sorridendo affabile. Dagon non potè fare a meno di lasciarsi sfuggire
uno
sbuffo divertito.
« L’inglese ha avuto la
straordinaria idea di affidare a me
il compito di trovare Richard… direi che non è educato farlo aspettare
tanto,
non credi? »
Machiavelli si prese
ancora qualche minuto per pensare ad
ogni aspetto della questione. Adesso che non poteva più tenere d’occhio
da
vicino Richard, era costretto a ribaltare la situazione.
Avrebbe detto a John Dee
la locazione di Richard, senza
specificare che anche i Flamel si trovavano nello stesso posto. Avrebbe
fatto
finta di non essersi accorto del dettaglio.
Quando Dee sarebbe
arrivato avrebbe trovato anche
l’Alchimista e la Fattucchiera, e probabilmente avrebbe capito subito
l’inganno
di Machiavelli. Avrebbe intuito che l’italiano aveva indirizzato il
giornalista
verso i due immortali, ma non avrebbe avuto niente in mano, per
provarlo.
Era troppo rischioso
lasciare vivo Richard. Dee avrebbe
potuto interrogarlo e scoprire tutte le menzogne di Machiavelli.
Però come si poteva
allontanare il giornalista dai Flamel e
ucciderlo senza che i due lo sapessero?
La questione era più
complicata del previsto. bastava un
errore, un solo errore, per ritorcere la situazione contro Machiavelli.
L’unica possibilità che
aveva era aspettare che Richard
uscisse da solo da quella casa. Ucciderlo, occultare il cadavere. E
dire a Dee
dove si era trovato prima di morire.
Probabilmente, notando
la scomparsa di Richard, i coniugi
Flamel si sarebbero allarmati e avrebbero cambiato città.
Poi Machiavelli avrebbe
aiutato Dee nelle loro ricerche,
dicendogli che alcuni suoi informatori avevano intercettato i loro
movimenti.
Una parte del merito
sarebbe stata sua.
Però, intanto, avrebbe
dovuto partire per ordine degli
Oscuri Signori per recuperare la Lancia. Avrebbe potuto continuare a
spiare
Richard. Il giornalista non poteva rimanere in quella casa per sempre,
e appena
uscito per qualunque futile motivo, Dagon lo avrebbe sistemato.
Ah, e poi il suo
segretario avrebbe anche dovuto fare in
modo che il Mago trovasse il cadavere.
« Dagon, tu non potrai
seguirmi in questo viaggio. Ho altri
piani per te. »
Richard Anderson pensò Machiavelli,
mentre un
angolo della sua bocca si piegava in un piccolo sorriso sono
spiacente… ma non mi servi più.
*
Tre giorni dopo.
Richard Anderson si
svegliò tranquillo.
Strano.
Era sicuro che non
avrebbe più dormito bene per i prossimi
dieci anni a venire, dopo aver saputo tutto quello che doveva sapere su
ciò che
gli era successo.
Ovviamente, quelli che
aveva scoperto essere Nicholas e
Perenelle Flamel, e a questo pensiero sentì il petto scuotersi in un
sussulto,
non gli avevano rilevato tutto.
Ma solo ciò che lo
riguardava strettamente. E gli era
bastato.
Per due giorni non aveva
avuto il coraggio di mettere piede
fuori da quella casa, anche se nemmeno lì si sentiva a suo agio
completamente,
e le tisane alle erbe di Perenelle servivano a poco.
Ma quel giorno una calma
apatica era scesa su di lui. Forse
aveva accettato tutto. Forse non era più tanto spaventato, ma eccitato.
Ciò che aveva scoperto
era oscuro, folle, assurdo. Ma era
reale, e questo lo rendeva straordinario.
Si vestì in fretta e
scese le scale, con un pensiero fisso
in mente.
Erano giorni che non
sentiva sua madre, gli aveva detto che
sarebbe andato in vacanza e non ricordava nemmeno quale cittadina della
Francia
gli aveva indicato. Era l’ora di telefonarle, o non l’avrebbe mai
perdonato, e
suo padre non gli avrebbe dato pace per i prossimi tre mesi.
Ancora sconcertato e
stupito dalla sua stessa serenità, si
chiese distrattamente se Flamel gli avrebbe rilasciato un’intervista.
Non per
pubblicarla, non era ancora così idiota.
Però gli sarebbe
piaciuto approfondire le esperienze di un
uomo di seicento anni.
Passò dalla cucina e
salutò una preoccupata signora Flamel,
che non voleva più lasciarlo andare. Aveva solo bisogno di andare a
comprarsi
delle sigarette, per non rovinare il suo buonumore proprio sul più
bello.
Perenelle ci pensò su.
Proprio il giorno prima aveva
effettuato qualche incantesimo di divinazione, spiando Dee e
Machiavelli.
Il primo li stava
facendo cercare in Belgio e nella Francia
del Nord. Ancora non era arrivato a Montpellier.
Il secondo era su un
aereo per il Perù.
E il tabacchino era
vicino.
Osservando il ragazzo,
contenta che avesse ritrovato un po’
dell’allegria e dell’entusiasmo giovanile, non se la sentì di
preoccuparlo e lo
salutò con un sorriso, scambiando con il marito uno sguardo di assenso
col
marito.
Richard le sorrise, si
infilò la sua inseparabile giacca
blu e uscì di casa.
*
« sta andando in un
tabacchino, Dagon, supera la seconda
strada a sinistra e svolta ancora a sinistra. Il tabacchino in
questione è
proprio all’angolo. Se decide di fare una passeggiata mattutina puoi
anche
procedere. Se no aspetteremo ancora. »
Machiavelli sfogliò
all’indietro il suo prezioso quaderno,
lo sguardo d’acciaio.
« mi raccomando. Devi
essere veloce. »
L’italiano chiuse la
conversazione e si rilassò sul l’ampio
letto della sua stanza d’albergo.
Avrebbe riposato solo un
po’, prima di mettersi alla
ricerca di Gugnir, la Lancia di Odino.
Il suo pensiero corse a
Dagon. L’italiano era consapevole
di aver fatto una mossa azzardata. Ma era la cosa migliore.
Certo, non poteva essere
sicuro che Dagon riuscisse
effettivamente a rapire Richard, ma a quell’ora non doveva esserci
molta gente
per strada, e se seguiva bene le sue istruzioni sarebbe dovuto riuscire
nell’impresa.
Niccolò Machiavelli si
accarezzò disinvolto la corta barba
che gli incorniciava le labbra leggermente incurvate.
Riaprì il quaderno dopo
dieci minuti. Richard stava uscendo
dal piccolo negozio con un pacchetto di sigarette in mano. Si guardò
intorno
per un momento, poi si diresse verso alcuni giardini, allontanandosi
dalla
strada che lo avrebbe riportato verso casa, una sigaretta appena accesa
in
bocca.
Machiavelli annuì
vittorioso. Era logico pensare che un
tipo come lui non fosse abituato a stare per troppo tempo chiuso in
casa. In più
Niccolò sospettava che, una volta saputa tutta la verità, avrebbe
inconsciamente abbassato la guardia.
L’immortale aspettava
pazientemente quel momento.
Si ritrovò a pensare
alle persone come lui, calcolatrici,
fredde, spietate e senza affetti. Quelle che, come lui, preferivano
tenere
nascosto il loro vero volto, dietro un’espressione cordiale, elegante,
affabile.
Machiavelli molte volte si interrogava su se stesso, ma non fino in
fondo.
Temeva di trovare un altro volto sotto la faccia che per lui ormai era
diventata quella vera.
Ma questo non era
possibile. Una volta tolta la maschera,
c’è il volto.
Ed erano quegli occhi
spietati che si celavano dietro la
maschera, perché Machiavelli non sentiva la minima traccia di rimorso.
Niccolò
sorrise, le iridi gelide.
Addio, Richard
Anderson.
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Capitolo 7 *** Tutto secondo i piani ***
Tutto
secondo i piani
Dagon seguiva i passi di
Richard con attenzione, riuscendo
a rimanere invisibile ai suoi occhi. Proveniva dagli abissi e, nelle
missioni
di spionaggio, cercava di ricreare intorno a sé quell’oscurità in cui
tante
volte si era orientato nelle profondità marine.
Ora il suo Regno non
esisteva più, ma Dagon passava
inosservato anche in pieno giorno, se voleva, trovando nascondigli e
punti
d’ombra, elegante e preciso, facendo attenzione anche ai più piccoli
dettagli,
al più piccolo movimento.
I suoi sensi erano forse
trenta volte più potenti di quelli
umani. I passi di Richard Anderson gli sembravano incredibilmente
impacciati.
Il giornalista non si
accorse mai di lui. Sembrava sereno.
Molto stupido da parte sua.
Dagon distinse, dal suo
nascondiglio nascosto all’ombra di
un palazzo, gli alberi e la fontana dei giardini, lo stretto viale dai
mattoni
rossi e le panchine. Vide il ragazzo sfilare dalla tasca il pacchetto
di
sigarette e cercare l’accendino, sedersi sul muretto della fontana.
Spostava lo sguardo
dall’acqua al prato.
Dagon si guardò attorno.
Tre giovani discutevano
animatamente su una panchina dall’altra parte del vialetto. Avrebbe
dovuto
agire al più presto, non era sicuro che Machiavelli potesse concedersi
il lusso
di aspettare ancora per molto, doveva cogliere l’occasione. Non sapeva
quando
si sarebbe ripresentata.
Doveva farlo prima che
arrivasse altra gente, ma soprattutto
prima che i Flamel si allarmassero.
Si era letto e riletto
le pagine del quaderno in cui
Nicholas Flamel spiegava a Richard tutto ciò che aveva il diritto di
sapere.
L’Alchimista non si era sbottonato troppo, a dire il vero,
probabilmente perché
pensava che il ragazzo sarebbe stato più al sicuro conoscendo solo lo
stretto
necessario.
Il giornalista, da parte
sua, era rimasto così colpito da
non trovare più domande.
Era avvenuto solo tre
giorni prima. Machiavelli stava
preparando il suo bagaglio, sarebbe partito di lì a poco per il Perù.
Si era
sporto sopra la spalla di Dagon, quando il segretario gli aveva
annunciato che
l’Alchimista aveva finito di parlare di lui.
Le parole continuavano a
formarsi sulla carta, poi ci fu
una lunga pausa.
« Non è stato molto
gentile… ma tutto sommato è stato il
primo a parlare così bene di me.» aveva commentato l’italiano, con un
mezzo
sorriso.
Dagon doveva ammettere
che Flamel aveva saputo trattenersi.
Evidentemente Nicholas non aveva avuto voglia di turbare ancora di più
Richard
rivelandogli che era stato ospite di uno spietato manipolatore mentale.
“ Niccolò Machiavelli
è… credo che tu abbia già sentito parlare del politico italiano del
rinascimento… anche lui è immortale. E non è una bella persona. Usa le
persone
come marionette e sa condizionare i loro comportamenti. Ha ordito
inganni che
nemmeno immagini. Certo… è più cauto di Dee, e sicuramente molto meno
fanatico
e distruttivo. Non so perché ti abbia salvato, ma non è stato per buon
cuore.
Avrà sicuramente pensato che tu potessi servirgli a qualcosa… »
A questo punto c’era
stata una breve pausa.
« Tutti pensano che io
abbia sempre secondi fini… » aveva
mormorato Machiavelli con aria malinconica.
Poi Flamel era passato a
Dagon. Non aveva detto molto
nemmeno su di lui. Per non impressionare troppo Richard, non aveva
detto una
parola sull’esistenza di diversi Regni d’Ombra, e quindi il giornalista
era
convinto che Dagon fosse un umano dai poteri sovrannaturali.
« Questo ci sarà molto
utile. » aveva affermato
Machiavelli. « Quando rivedremo Flamel, dovrai ricordarmi di
ringraziarlo. »
La creatura non sapeva
se sentirsi infastidita. E
ovviamente l’italiano se ne era accorto.
« Forse adesso il
ragazzo pensa che tu abbia un problema ai
lobi oculari. » aveva supposto, con un sorrisetto insopportabile.
Dagon rimase ad
osservare il ragazzo ancora per un po’. Gli
bastarono cinque minuti, perché i giovani sulla panchina si erano
alzati e si
stavano dirigendo verso un viale alberato al di fuori dei giardini.
La creatura trattenne un
sospiro. Era l’ora di muoversi.
Non era mai stato
particolarmente dotato per la
recitazione.
Di solito era
Machiavelli che si guadagnava la fiducia
delle persone, che sapeva mentire e fingere emozioni. La finzione era
la sua
arte. Ma in questo caso anche lui si era dovuto arrangiare.
E rischiare.
Dagon inforcò gli
occhiali da sole e tornò indietro per
qualche decina di metri, camminando accostato al muro di un vecchio
palazzo,
facendo attenzione che la sua figura fosse sempre parzialmente coperta
dagli
alberi. Le sue orecchie erano tese per captare un eventuale spostamento
di
Richard.
Non era abituato a quel
tipo di operazione. Preferiva
passare direttamente ai fatti. Se doveva uccidere una persona, lo
faceva e
basta.
Il problema era che si
trovava in città, dove testimoni
potevano spuntare da un momento all’altro. In più non sapeva quando i
Flamel
avrebbero permesso a Richard di uscire di nuovo.
Avrebbe dovuto
cominciare a ragionare come Machiavelli,
almeno in parte, perché sapeva che, se avesse potuto farlo, quel lavoro
sarebbe
toccato a lui.
Dagon entrò nei
giardini, cercando di assumere l’aria di
chi fa una passeggiata di piacere.
Ancora pochi metri. Non
doveva avere fretta.
Avrebbe dovuto seguire
alla lettera le istruzioni, ma
soprattutto adattare le sue parole alle espressioni e alle risposte di
Richard.
Si chiese se, dopo
secoli che lo vedeva fare a Machiavelli,
anche lui avesse imparato qualcosa.
Doveva rivolgersi lui
per primo a Richard, altrimenti, anche
se il ragazzo lo avesse riconosciuto, avrebbe fatto finta di non
vederlo e se
ne sarebbe andato di corsa a casa.
Controllò ammirevolmente
la velocità dei passi.
Ancora pochi metri, pensò. Tra
quattro panchine.
Tre… due….
*
La sigaretta gli scivolò
dalle dita. Si guardò attorno,
smarrito, mentre la paura, sottile e sibilante, cominciava a
serpeggiare nel
suo stomaco.
Rimase inchiodato alla
panchina.
Non è lui. Non è lui.
Non voleva guardarlo. Lo
aveva superato, lo vedeva dalla
sua ombra proiettata sui mattoni.
Abbassò il capo, strinse
i pugni e pregò il cielo di non
essere riconosciuto.
Il cuore gli batteva
all’impazzata. Doveva scappare? I
passi dell’uomo erano calmi.
Se si fosse mosso,
l’uomo si sarebbe girato e l’avrebbe
visto.
Restò così, coi sudori
freddi, combattuto tra l’idea di
darsela a gambe e i polpacci che sembravano congelati.
Fece un gran respiro e
provò a riprendere controllo di sé.
Alzò lo sguardo e vide
l’uomo girarsi, alzare le
sopracciglia semicoperte dagli occhiali.
*
Dagon si girò e incontrò
gli occhi castani e sbarrati di
Richard Anderson.
Le prede avevano tutte
lo stesso sguardo. Si sentivano in
trappola, sapevano che non avevano possibilità di fuggire. Volevano
lottare,
perché l’idea della morte era ancora lontana da loro, ma restavano
impietriti.
La creatura si preparò a
cominciare la recita, controllando
allo stesso tempo i passanti intorno al guardino.
« Tu…»
Richard non gli staccava
gli occhi di dosso, inorridito,
sperando fosse un incubo. Stava per muoversi. Ma Dagon, da bravo
predatore,
sapeva riconoscere perfettamente l’attimo che precedeva la fuga
disperata della
preda. Era istintivo e per molti imprevedibile, ma non per lui.
Gli fu vicino in un
secondo, con un dito sulle labbra, la
mano stretta intorno al suo braccio. Richard tremava e teneva gli occhi
dilatati puntati davanti a lui.
Sapeva che non poteva
muoversi, che rischiava troppo, che
era in trappola.
E cercava inutilmente di
riprendere il controllo della sua
mente. Seguirono svariati secondi di silenzio, ma non riuscì mai
nell’impresa.
Dagon esultò
silenziosamente. Tutto sarebbe stato più
facile, nel momento in cui avrebbe dovuto risvegliare le sue debolezze
e le sue
speranze. Doveva essere lui a prendere il controllo della sua mente,
non
Richard o Flamel.
« Che ci fai qui?»
chiese, scuotendolo leggermente e
abbassando il tono di voce. « Sarebbe stato meglio cambiare paese! Non
vuoi
tornare a casa, in Inghilterra?»
Al suono di quelle
parole lievemente preoccupate, Richard
parve riscuotersi improvvisamente, come chi si risveglia da un incubo.
Guardò Dagon più
spaesato che mai.
La creatura lasciò la
presa sul suo braccio.
« Non voglio farti del
male. »
*
« Non voglio farti del
male. »
Se stava mentendo, era
davvero molto bravo, ma Richard non
era così ingenuo. In un barlume di lucidità pensò che sarebbe stato
meglio
reggere il gioco. Non aveva speranze di scappare. Assimilò le parole
dell’uomo
e cercò il fiato per rispondere.
« Che cosa vuoi da me? »
balbettò Richard, in preda al
panico.
« Niente.» rispose
l’uomo, alzando le mani come se avesse
paura che una sola carezza potesse far fuggire a gambe levate il
ragazzo.
« Voglio solo sapere
perché… perché sei ancora in Francia?»
« Io… ma… il suo capo mi
ha detto di venire qui! »
L’uomo non sembrava
credere alle sue parole.
« Cosa?»
Richard fece una
smorfia. Gli scoppiava la testa. Con
movimenti forzati e mani tremanti prese dalla tasca il biglietto che lo
aveva
condotto fino a lì e lo porse all’uomo.
L’uomo
lo guardò, sul
momento senza nessuna reazione. I suoi occhi si erano sgranati per una
frazione
di secondo, poi più nulla. Dopo vari attimi che sembrarono eterni alzò
gli
occhi su Richard, ma il ragazzo abbassò subito i suoi.
*
Machiavelli aveva detto
che l’espressione sorpresa non
doveva durare più di un secondo, o anche meno. Altrimenti sembrava
finta. La
mente umana era programmata in modo tale da accettare la realtà
inaspettata
dopo quel piccolo lasso di tempo ed esaminarne gli effetti con
attenzione.
Gli umani, pensò Dagon, non capiscono nemmeno loro se si comportano più da prede o da
predatori.
Richard in quel momento
era una preda. La sua.
Dagon alzò gli occhi su
di lui, ma non incontrò i suoi.
« Questo…» disse con
voce sicura. «
Non lo ha scritto il mio padrone. »
*
Richard si sentì
svuotato da ogni pensiero. Come se fosse
stato trasportato in un’altra dimensione dove lui e il suo corpo e la
sua mente
erano solo aria priva di significato. Da una parte gli sarebbe piaciuto
che
fosse così.
Poi arrivò la rabbia,
improvvisa e feroce. Richard non
avrebbe mai creduto di essere capace di provarne così tanta.
Non voleva dover
rispondere ad altre domande. Non voleva
più continuare quell’assurda ricerca, che si era tanto convinto a
portare
avanti. Era stato tutto inutile, allora. Lui non era un giornalista che
si
accontentava di belle storie, lui voleva la verità. Ma evidentemente si
era
illuso.
L’uomo sembrò capire
tutti i suoi pensieri. Gli mise un
mano sulla spalla e Richard rabbrividì. L’uomo la tolse di scatto, come
se
avesse paura di farlo scappare con quel gesto.
In quel momento gli
sembrava che lui fosse l’unico a poter
portare ordine nella sua vita, gli sembrò che avesse un senso,
quell’incontro.
Gli parve come qualcosa scelto dal destino. Provvidenziale.
*
Dagon sapeva di essere
vicino. Aveva appena acceso un
barlume di dubbio nella mente del ragazzo, aveva aperto uno spiraglio.
Aveva smentito qualcosa
che Flamel aveva dato per certo. Il
fatto che l’immortale non si fosse dilungato troppo a parlare col
ragazzo
poteva sembrare, in quel momento, sospetto agli occhi di Richard.
Inoltre, non
potendo scappare, il ragazzo avrebbe dovuto ascoltarlo per forza.
E chi poteva conoscere
la scrittura del suo padrone meglio
di lui?
« Non è del mio padrone.
» ripeté, convinto.
« Te lo farei dire da
lui, ma io…» cercò gli occhi del
ragazzo ma poi abbassò il capo e portò le dita al sopracciglio. Un
gesto che il
cervello degli umani registrava come quello di chi prova vergogna.
« Io … vedi, io non ho
più un padrone… »
Richard lo osservò
sbigottito.
« E perché? » chiese,
con crescente curiosità.
Se Dagon fosse riuscito
a fargli dimenticare la paura con
la curiosità avrebbe vinto. Richard cominciava a prendere confidenza, a
una
lentezza esasperante, ma era già qualcosa.
Improvvisò una smorfia
amara e il suo tono si fece più duro.
Ma non abbastanza da spaventare Richard, aveva il solo scopo di
incuriosirlo
ancora di più.
Si distese sulla
panchina, per mettere in chiaro con un
apparente gesto involontario che la questione non era così semplice e
che non
era all’erta.
« Ecco… mi ha
licenziato… » ammise, con una punta di
rammarico.
Richard sgranò gli occhi
per un secondo. Dagon non lo
guardò, come se avesse timore di incrociare il suo sguardo.
Poi sorrise amaramente.
« Ho fatto un terribile
errore, terribile. E forse dovrei
pentirmene» alzò il viso e la pelle
pallida bruciò sotto i raggi del sole. Sembrava che stesse parlando più
con se
stesso che con Richard e che fosse spaesato almeno quanto lui.
«
Ma non credo ci
riuscirò mai… »
Richard aspettò qualche
secondo prima di riprendere la
parola.
« Che errore hai… se
posso chiederlo. »
Dagon lo guardò con un
sorriso furbesco.
« Non riesci proprio a
immaginarlo? »
Richard capì con un
brivido che era qualcosa che sapeva.
Qualcosa che avrebbe potuto immaginare. Un barlume di comprensione gli
attraversò la mente.
Oh…no…
*
« Proprio così. »
rispose mestamente Dagon alla silenziosa
domanda del ragazzo.
« Inizialmente
Machiavelli, quell’uomo canuto che era il
mio padrone, voleva usarti, anche se non
mi ha detto per che cosa. Gli sembravi un giocattolino decente e
provvidenziale
per scacciare la noia… »
Richard sbarrò gli
occhi.
« Noia? Mi sono trovato
in questo casino perché qualcuno si annoiava? »
Dagon gli fece cenno di
abbassare la voce, ma cercò di
sembrare comprensivo, anche se non era mai stato particolarmente
empatico.
« Ecco… non esattamente.
Ti sei trovato in questo casino perché
lui si annoiava. Se fosse stato
chiunque altro… » si interruppe, titubante.
Richard guardava le sue
mani tremanti a capo chino.
« Per tutto questo
tempo… ho pensato che fosse stato lui a
salvarmi… invece eri tu. »
Dagon dovette sforzarsi
per non ghignare. I giovani umani
sapevano essere così ingenui.
« E per questo ti ha
licenziato. Ci tenevi, alla sua
fiducia? » chiese il ragazzo, con curiosità mista a preoccupazione.
Dagon si
finse pensieroso ma risoluto.
« No. » affermò, con
decisione. « Machiavelli è un uomo
intelligente, ma troppo sicuro di se stesso, esagera, sempre.
E poi… » aggiunse,
come per rassicurare e sciogliere la tensione del ragazzo. « È troppo
egocentrico e insopportabile. Mi ero stufato da un pezzo di preparagli
tisane e
prendere ordini assurdi. Vedi, la convivenza era diventata ingestibile.»
Dagon aveva esagerato.
Volontariamente. Sperò che Machiavelli
stesse osservando tutto
dal quaderno.
Richard si concesse un
breve sorriso, subito smorzato da
una nuova incertezza che aveva accantonato in un angolo della sua mente
fino a
quel momento.
Lo guardò con la bocca
semiaperta.
« Hai detto che non è
stato lui a indirizzarmi qui con il
messaggio! » disse, in preda a una strana paura.
« Infatti. È così.
Quella non è la sua scrittura. » rispose
Dagon, fingendosi leggermente spaesato.
« Sei stato tu, allora? »
« No… »
Richard si afflosciò
contro la panchina.
« E allora chi è stato?
» chiese, la voce incrinata che
faceva trasparire il suo disperato bisogno di risposte.
Dagon si passò una mano
sul viso.
« Non ne ho idea. Forse
Dee… sai, l’uomo che parlava con
Machiavelli quando ti ho portato via…potrebbe aver finto di cercarti
per poi
indirizzarti qui. »
« Ma perché?! » esclamò
Richard. Dagon poteva sentire il
suo cuore battere all’impazzata.
« Cerca di restare
calmo. »
Il ragazzo non lo
ascoltò, perso totalmente nei suoi
pensieri confusi.
« E se anche lui avesse
voluto usarmi? »
Sulla fronte di Dagon si
formò una ruga. Si finse
concentrato. Sapeva che era vicino alla conclusione del suo compito.
Molto vicino.
« È molto probabile.
Anche se non possiamo essere certi che
ci sia lui dietro tutto questo. Chiunque sia, vuole approfittare di te
e della
tua curiosità per trovare i Flamel. »
Richard non sembrava
essere più capace di formulare una
frase per intero.
« Per… i Flamel… »
Dagon lo scosse
leggermente e lo costrinse a guardarlo.
« Chiunque sia stato,
sapeva che saresti venuto. Era a conoscenza
della città in cui si nascondevano i Flamel, ma molto probabilmente
aveva bisogno
di tempo per prepararsi allo scontro con loro. »
Dagon fece una pausa,
lasciando che tutti i collegamenti e
le bugie si depositassero nella mente di Richard e assumessero la forma
di
verità.
In caso di pericolo, gli
esseri umani credono molto di più
alle brutte notizie che a quelle buone. Viene naturale, e istintivo.
« E per risparmiare
tempo ha mandato te a scovare il loro
indirizzo e intanto ti ha tenuto d’occhio. Se fosse davvero così, ci
troviamo
di fronte a qualcuno di molto furbo. Perché, tra le altre cose, il tuo
arrivo
improvviso avrebbe ritardato l’eventuale partenza dei Flamel da
Montpelliere. Avrebbero
prima voluto sapere cosa fare con te. »
Dagon vide
un’espressione di terrore puro dipingersi sul
viso del ragazzo. Finse di preoccuparsi. Sapeva che Richard avrebbe
identificato, inconsciamente, il suo interesse, anche se non sembrava
poter
vedere realmente nulla di ciò che lo circondava.
« N… No. Io… » balbettò
il giornalista. Poi si alzò di
scatto, rigido e impaurito.
« Io ho già trovato i
Flamel! »
*
Nicholas e Perenelle
Flamel procedevano a passo di marcia
verso il tabacchino. L’immortale pregò che il ragazzo fosse ancora lì,
ma
presto dovette accettare il contrario.
Non avrebbero dovuto
darsi tanta pena per lui. in fondo era
solo un pericolo.
Ma Nicholas non ce la
faceva. Aveva vissuto nella paura di
diventare come Dee e Machiavelli per secoli. Non voleva essere come
loro,
voleva dimostrare a se stesso di essere completamente diverso,
tracciare una
linea netta che li dividesse.
Sapeva che agli occhi di
chi lo aveva conosciuto non era
così semplice capire chi fosse nel giusto. Machiavelli, a differenza di
Dee,
non era sempre stato crudele e senza scrupoli. E Nicholas però era
certo di non
voler fare la sua stessa fine.
Guardò Perenelle e il
suo sguardo deciso lo rese più
determinato. Avrebbe ritrovato quel ragazzo e lo avrebbe tirato fuori
dai guai,
o almeno ci avrebbe provato.
Perché ormai ne era
certo. stava accadendo qualcosa.
Si diresse quasi
correndo verso i giardini.
*
« Non devi correre,
Richard. Darai nell’occhio. » sibilò
Dagon.
« E cerca di calmarti e
mantenere il sangue freddo,
altrimenti è finita. » aggiunse, con urgenza ma decisone.
Richard cercò di
ubbidire, lasciandosi guidare dalla
creatura.
« Dobbiamo cercare di
passare nelle strade meno affollate.
» disse.
Richard era ormai
convinto di aver segnato per sempre il
destino dei coniugi Flamel. Questo pensiero era insopportabile. Non
c’era più
solo la paura, la curiosità. il senso di colpa gli attanagliava le
viscere.
Solo la stretta di Dagon
gli impedì di urlare.
Oramai era certo di
essere giunto finalmente alla verità,
per un caso fortunato. Aveva ancora possibilità di avvertire i Flamel
prima che
fosse troppo tardi? Poteva fidarsi di Dagon?
Non poteva fare
altrimenti, perché scappare sarebbe stato
inutile. E se doveva avere sulla coscienza la vita di due persone, che
si erano
anche presi a cuore il suo destino, preferiva scomparire.
Mise un piede davanti
all’altro con la forza di chi ha un
solo scopo. Doveva aiutare i Flamel, era in debito con loro. Doveva
farlo a
qualsiasi costo, oppure smettere di essere un pericolo per gli altri e
scomparire.
*
Dagon continuò a
camminare, con passo forzatamente calmo,
frenando la crescente impazienza. Questa volta non era stato sicuro
dell’esito
della sua missione, ma era andata meglio di come si fosse aspettato.
Forse però aveva perso
tempo. Alzò lo sguardo sul cielo,
per intuire l’orario, e i suoi enormi occhi liquidi si posarono su una
finestra
di un palazzo dalle tendine a fiori.
Si arrestò di colpo, le
iridi coperte dagli occhiali
incatenate a quell’immagine.
Le tendine si
gonfiarono. Dagon non sentì un filo di vento.
Un forte odore di
cannella gli arrivò alle narici, mentre
dalla finestra fuoriuscivano volute di fumo color bronzo.
Dagon cercò di
allontanarsi, trascinandosi dietro Richard
che guardava la scena con ammrazione. Molte persone si fermarono ad
indicare le
pareti del palazzo sovrastate da nuvole di fumo.
Gli arrivò alle
caviglie. La creatura cercò di accelerare
il passo, ma una nuova ondata di fumo gli si avvolse intorno al collo e
gli
oscurò la vista.
Cercò una via d’uscita
da quella situazione, strinse
Richard per un polso. Sentiva le urla intorno a sé, i piedi che
calpestavano
con forza l’asfalto.
Protesse i suoi occhi
con la mano libera, cominciavano a
bruciargli, imprecò più volte.
Quando tolse la mano
vedeva doppio. Ma vedeva. Il fumo, velocemente come si
era alzato, si era abbassato
fino ad arrivargli alle caviglie.
Strattonò Richard per il
polso.
« Ehi! Mi lasci subito!
»
Il cuore di Dagon perse
un colpo. Si girò lentamente, aveva
paura di vedere cosa c’era dietro di lui.
Una donna strillava e
cercava di liberarsi dalla sua
stretta con forza.
« Mi lasci! »
Dagon la lasciò con il
respiro irregolare e una rabbia
cieca che si impossessava del suo petto.
*
Nicholas lo cercò con
disperazione. Dagon si era
allontanato senza dargli il tempo di fermarlo.
Ma Richard non era con
lui. era sparito.
Il vociare intorno ai
giardini aumentava, la gente era
agitata e spaventata.
Richard era stato
inghiottito dal fumo, e Nicholas sapeva
che non avrebbe potuto dimostrare più niente a se stesso. cosa sarebbe
successo
a quel ragazzo? Doveva aggiungerlo ai fantasmi che lo seguivano
dovunque,
oppure quel fumo era stato la sua salvezza?
Sperò con tutto il cuore
che fosse salvo, strinse la mano
di Perenelle, consapevole che quel mondo di ingiustizie avrebbe potuto
portargli
via anche lei, la sua Perry.
Sapeva di non poter fare
più niente per Richard. Per il
bene dell’intera umanità, il Codice doveva avere sempre il primo posto
nei suoi
pensieri.
*
Chacraraju
La Lancia di Odino si
trovava ai piedi del monte Chacraraju,
dipartimento Ancash. Catena montuosa: Cordillera Blanca. Altezza: 6.108
metri.
Machiavelli sospirò. Per
fortuna era ai piedi. Non disprezzava
la montagna, ma se la Lancia fosse stata in cima dubitava seriamente
che
avrebbe avuto voglia di farsi un numero a quattro cifre di metri per
raggiungerla, anche se in elicottero.
« Benvenuto, signor
Machiavelli. »
L’italiano si girò al
suono di quella voce falsamente
dolce. Gli occhi completamente neri sotto gli occhiali da sole,
visibili solo a
lui, erano inconfondibili. Un altro emissario di Aton.
« Salve. » disse
Machiavelli ricambiando il sorriso
innocente del suo interlocutore con uno identico, ascoltando al tempo
stesso i
rumori della sala d’ingresso dell’albergo.
« Mi accompagnerai tu?»
chiese gentilmente.
Quello che sembrava un
comunissimo ragazzino di dodici anni
lo raggiunse e lo costrinse a chinarsi. Avvicinò la bocca al suo
orecchio,
divertito come un bambino che sta per rivelare dove ha nascosto i dolci
ad un
adulto.
« Sì, signore. » disse
con un risolino. « Ma io non posso
prenderla. Lo deve fare lei. È molto capricciosa, sa? una volta entrata
in un
Regno d’Ombra, vuole essere toccata solo dai suoi abitanti. »
Machiavelli si
inginocchiò di fronte all’emissario per
guardarlo negli occhi.
« Che cosa succede se
qualcuno non sta alle regole? »
Il bambino gli prese la
manica della giacca e lo condusse
fuori con gesti delicati.
La sua risata
cristallina aveva qualcosa di inquietante e
si insinuò nella mente di Machiavelli. Sapeva che ci sarebbe rimasta
per
sempre.
« Siamo in ritardo,
signor Machiavelli. »
Note
di Tacet433
Volevo
spiegare molte più cose in questo capitolo, per esempio a chi
appartiene il
fumo color bronzo che ha fatto perdere le staffe a Dagon. Ma, come
avrete già
capito, i capitoli mi vengono fuori sempre troppo lunghi.
Dagon
non ha perso solo le staffe, ma anche Richard. Dopo tutta quella
fatica. Ma immagino
che voi siate contenti di questo, almeno spero.
Il
titolo
è “Tutto secondo i piani “. No, non sono diventata più pazza di quanto
già non
sia, lo so benissimo che in effetti NIENTE è andato secondo i piani.
Almeno…
dal punto di vista di Machiavelli, Dagon e Flamel… ma non dal punto di vista di…qualcun altro.
Il
prossimo
capitolo si intitolerà “La storia di Alypion. “
Grazie,
grazie, grazie a chi continua a seguirmi… nonostante tutto ; )
|
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Capitolo 8 *** Senza un nome ***
Ciao!
Una piccola nota
iniziale: mi scuso
tanto, ma sono stata costretta a dividere in due il capitolo,
all’inizio non
sapevo come fare ma poi ho trovato una soluzione. Se avessi lasciato
insieme
questa parte e la prossima sarebbe diventato tutto davvero troppo
lungo. Inoltre
le due parti sono molto diverse, era inevitabile dividerle. Quindi «La
storia
di Alypion» a cui ho accennato precedentemente è il capitolo
successivo.
Spero di non aver
creato fastidi. Ciao e
grazie! ; D
Senza
un nome
Dagon
entrò sbattendo la porta contro il muro. L’appartamento di
Montpellier era piccolo e scuro, Machiavelli lo aveva preso in affitto
in
fretta per agevolare gli spostamenti di Dagon. Cercò di recuperare la
sua
freddezza abituale e rimettere in ordine le idee.
Non
si sarebbe stupito se Flamel avesse cercato di salvare Richard. Ma
non era andata così. L’Alchimista era arrivato tardi. Chi altro poteva
essere
interessato a un semplice homines? Dagon non aveva mai sentito
un’energia
aurica così fuori dall’ordinario. La sua stranezza non era dovuta
all’odore,
piuttosto alla sensazione che quel fumo gli aveva lasciato addosso.
Come se
venisse schiacciato a terra, come se la forza di gravità avesse
raggiunto
livelli esagerati.
Aveva
perlustrato la zona in cui Richard era scomparso per diverse ore,
ma di lui non aveva trovato traccia. Non sentiva più il suo odore o
l’energia
della sua aura.
Prese
il telefono, preparandosi a seguire le indicazioni di
Machiavelli. Avrebbe dovuto avvertire Dee, adesso che il Mago non
avrebbe
rischiato di trovare Richard. Non aveva più tempo da perdere, anche se
il
ragazzo non era morto. Non poteva essere certo che non fosse stato
qualcuno al
servizio di Dee a soffiargli il ragazzo da sotto il naso, ma
Machiavelli aveva
detto che era altamente improbabile che Dee si interessasse ancora a
lui.
Girò
la rotella fino a che il numero non fu completo. Gli rispose una
segretaria che gli fece aspettare vari minuti. Tipico di Dee, farsi
desiderare
a lungo.
«
Come mai mi chiami tu e non Machiavelli? »
Dagon
ignorò la voce sprezzante del Mago.
«
Machiavelli è in viaggio. »
John
Dee parve improvvisamente interessato.
« In
viaggio?»
« Sì.
»
« Per
dove?» chiese di nuovo il Mago, senza riuscire a celare la
curiosità.
« Non
la riguarda. » rispose gelido Dagon. « Le basti sapere che sta
svolgendo un compito per gli Oscuri Signori. »
Dee
rimase in silenzio. Dagon immaginò che stesse riflettendo su quale
potesse essere la missione dell’italiano.
«
Deve sapere inoltre… » riprese Dagon « Che Machiavelli stava
svolgendo ricerche sugli spostamenti dei Flamel. »
Dagon
sentì una sedia spostarsi dall’altra parte della linea e i passi
veloci di Dee.
«
Continua, Dagon, e spera che ciò che stai per dirmi mi piaccia. »
La
creatura immaginò che fosse furente, dato che aveva sempre voluto
avere l’esclusiva sui Flamel e non sopportava che altri si mettessero
in mezzo.
«
Poco prima di partire Machiavelli li ha trovati. Si trovano a
Montpellier. Place du Marché.»
«Come
diavolo li ha trovati?»
Dagon
interruppe la comunicazione all’istante. Per una volta poteva
essere lui a farlo. Temeva però che in qualche modo il Mago l’avrebbe
fatta
pagare a Machiavelli per essere arrivato ai Flamel prima di lui, ma in
fondo
per lui era anche un piccola vittoria, visto che l’italiano non aveva
potuto
catturare i due immortali e il Codice per mera sfortuna.
Si
chiese come avrebbe reagito Machiavelli alla notizia della scomparsa
di Richard. Prima di partire aveva detto a Dagon che gli avrebbe
lasciato
istruzioni nel cassetto della sua scrivania.
La
creatura si avvicinò al suo studio, passando per la cucina. Machiavelli
temeva di essere costantemente sorvegliato, da Dee o dai Veglianti o
dall’emissario di Aton. Inoltre non aveva avuto nemmeno molto tempo per
spiegare come avrebbe dovuto muoversi il suo segretario, dato che era
partito
il prima possibile.
Dagon
aprì il cassetto e prese la busta. La aprì chiedendosi cosa si
sarebbe inventato Machiavelli per essere aggiornato senza usare il
telefono o
la Divinazione.
Il
segretario lesse le parole con un certo sforzo, ma non eccessivo.
Stava davvero migliorando, forse.
Dagon,
una volta
che avrai fatto come ti ho chiesto, non uscire di casa fino al
pomeriggio
successivo. Alle 10. 30 della sera stessa dovrai spiegare ad alta voce
tutto
ciò che è successo, non tralasciare nessun dettaglio. Io ti capirò come
sai. Fa in modo che nessuno senta.
Dagon
rilesse il biglietto. Iniziava a capire.
Machiavelli
avrebbe usato il quaderno. Non avrebbe potuto domandare
niente a Dagon, quindi toccava a lui essere più che esaustivo.
Avrebbe
dovuto parlare da solo, pensò Dagon con un sospiro. Sapeva che
ogni tanto Machiavelli lo faceva. Ma era comunque un gesto che a Dagon
richiamava
l’idea dell’uomo che ormai ha perso la testa.
Guardò
l’orologio. Era mezzogiorno.
Riprese
la giacca, avviandosi verso la porta. Machiavelli gli aveva
ordinato di non uscire. Non gli piaceva trasgredire gli ordini di
Machiavelli,
specialmente perché sapeva che Dee poteva arrivare da un momento
all’altro, e i
Flamel erano all’erta. Ma non si era mai fatto sfuggire una preda in
vita sua e
non voleva arrivare alle dieci e trenta con un totale fallimento da
raccontare
a Machiavelli.
Mise
la mano sulla maniglia quasi con violenza, e il suo piede andò a
toccare una superficie di diversa consistenza rispetto al legno della
porta.
Dagon
guardò in basso. Attaccato al punto più in fondo e meno visibile
della porta con nastro adesivo, c’era un altro piccolo ritaglio di
carta. Dagon
si chinò e lo staccò dalla porta, poi cominciò a leggere con una
sensazione
spiacevole che gli artigliava lo stomaco.
Dagon,
tu non stai disobbedendo ai miei ordini, vero? Nel caso tu fossi
proprio convinto
di quel che fai, almeno potresti passare da un negozio e comprare lo
zucchero?
Grazie.
*
Machiavelli
salì sull’autobus, guardandosi attorno incuriosito. Il veicolo,
vecchio e scrostato, cominciò subito a muoversi placidamente sulla
stretta
strada di cemento circondata da alti ammassi di rocce e arbusti.
Le
montagne innevate erano splendide. L’italiano era già stato molte
volte in Perù. Ma adorava sempre i suoi paesaggi e amava conoscere
sempre più a
fondo altre culture. Viaggiare gli era sempre piaciuto, fin da quando
era
mortale.
«
Signor Machiavelli? »
L’immortale
smise di colpo di osservare gli abiti sgargianti dei
passeggeri, i loro cesti e le curve delle colline fuori dal finestrino.
Il
bambino dai capelli rossi che gli faceva da guida gli fece cenno di
raggiungerlo e sedersi accanto a lui. L’uomo obbedì con un sorriso
sghembo.
Non
si era ancora abituato all’idea che quella… creatura,
che probabilmente aveva come minimo tre volte i suoi anni
ed era a stretto contatto con Aton, lo chiamasse “signore. “
Si
sedette e il ragazzino lo guardò attraverso gli occhiali da sole,
sorridendo.
« Le
piace di più la montagna o il mare?»
Machiavelli
ricambiò il sorriso, cortese.
«
Umh…» mormorò pensieroso « La montagna. Sì, senza dubbio. » rispose
allegro.
Il
ragazzino dondolò le gambe. Arrivava a stento a toccare il fondo
dell’autobus.
« Ho
sentito che è una domanda che gli umani fanno spesso.» sussurrò. «
Come se il mare e la montagna fossero due cose opposte. Ma quando
questa domanda
avrebbero potuto farla ai miei primi cinquanta antenati, quasi nessuno
aveva la
possibilità di vedere tutti e due nella sua vita. »
Machiavelli
lo osservò colto da un’improvvisa intuizione, un lampo di
interesse negli occhi, insieme a quello smarrimento che si ha quando si
è
vicini a un traguardo e non ci si crede.
« Tu
sei stato umano. »
Il
ragazzino si guardava le scarpe e poi osservava quelle di
Machiavelli, come se coglierne ogni differenza fosse molto più
importante che prestare
attenzione alle parole dell’immortale.
« Non
ricordo. » rispose distrattamente.
« Ma
hai appena detto… »
« Non
ricordo nemmeno cosa ho detto. » disse l’emissario gentilmente, con
voce sottile.
L’italiano
sospirò, sapendo di aver perso in partenza. Aprì la bocca
per chiedere dove erano diretti di preciso e quanto sarebbe durato il
viaggio,
ma l’emissario lo precedette.
«
Signor Machiavelli? »
«
Dimmi. »
« Di
che colore aveva i capelli prima che diventassero bianchi? »
Machiavelli
rimase ancora una volta sconcertato dall’innocenza della
domanda. Non ci sarebbe stato nulla di strano, in realtà… se quel
bambino fosse
stato normale e avesse
avuto davvero l’età che dimostrava.
Alzò
gli angoli della bocca furbescamente.
« Non
ricordo. »
*
Machiavelli
guardò l’orologio al suo polso, senza farsi notare. Fece
qualche calcolo. L’orario corrispondeva.
Aveva
davvero avuto un colpo di fortuna. Se non si fossero fermati in
una specie di piccolo Motel di passaggio non avrebbe potuto controllare
il
quaderno, perché sarebbe sempre stato sotto gli occhi dell’emissario e
di
conseguenza non avrebbe potuto sapere se Dagon era riuscito nella sua
impresa.
Doveva
muoversi, o Dagon avrebbe cominciato senza che lui potesse
assistere al suo racconto.
Il
fatto era che non si aspettava che ci sarebbe stato un emissario di
Aton a scortarlo. Nessuno, mai, gli
aveva fatto da guida durante una missione, aveva sempre fatto tutto da
solo.
Per
questo era insospettito. Forse Aton sapeva che aveva un segreto e
voleva controllarlo. O forse per lui la Lancia era così importante da
mandare a
Machiavelli i rinforzi. In ogni caso, non poteva fare a meno di
preoccuparsi.
L’italiano
sapeva che se Aton lo avesse scoperto lo avrebbe sicuramente
fatto portare da lui per parlargli direttamente, ma lui avrebbe sempre
potuto
dire che Richard era servito a scoprire Flamel. Del resto era la
verità, il
piano all’inizio era quello di prendere l’Alchimista prima
dell’inglese. Questo
lo avrebbe giustificato per tutte le menzogne che aveva raccontato a
Dee.
Però,
se Richard non fosse morto…
«
Benvenuto, signore. »
Machiavelli
si girò verso la proprietaria del Motel, osservandone la
pelle scura e i capelli neri raccolti in una crocchia, il naso
leggermente
schiacciato e gli occhi obliqui e luminosi.
Salutò
con serenità, cercando allo stesso tempo il ragazzino con lo
sguardo.
Lo
vide in attesa vicino alla porta che portava alle stanze.
« Suo
figlio mi ha detto che vi fermerete solo una notte. » disse, la voce
squillante e il sorriso aperto. « Ho già dato a lui la chiave! Spero
che vi
troverete bene qui da noi! »
«
Sicuramente. » assicurò Machiavelli. Poi si voltò verso l’emissario e
lo raggiunse.
« Le
ha dato fastidio? » chiese il ragazzino con curiosa tranquillità.
«
Cosa?» replicò Machiavelli, anche se sapeva già la risposta.
« Che
mi sono fatto passare per suo figlio. »
« No.
Una buona idea » rispose Machiavelli. L’emissario restò
impassibile e annuì, poi si voltò e lo condusse fino alla sua stanza.
«
Perché non abbiamo continuato a viaggiare?» chiese l’immortale. « Sono
solo le otto e trenta. »
Quella
decisione gli faceva comodo, era vero, ma se non avesse fatto
quella domanda avrebbe rischiato di insospettire l’emissario.
«
Sarebbe pericoloso. »
«
Come tutte le missioni che ho portato a termine. La notte non mi ha
mai fermato. Penso che sia il momento
migliore per agire, non credi anche tu? »
L’emissario
lo guardò e sorrise entusiasta.
« Lei
non ha paura del buio, signor Machiavelli! In molti invece sì. Ho
fatto da guida a molti altri, che erano felici e sollevati dal fatto di
non
dover passare la notte nell’oscurità dell’aria aperta, dove non ci sono
regole
e tutto è permesso. Lei invece non ha paura. »
Erano
arrivati davanti alla porta della stanza. L’emissario si fermò e
lo guardò in viso.
« Io
però adesso devo andare… »
«
Andare dove? » chiese Machiavelli, aggrottando le sopracciglia. Il
ragazzino fece finta di non averlo sentito.
« E
poi lei deve raccogliere le forze. L’Oscuro Signore Aton non è il
solo a volere la Lancia, molti altri Oscuri Signori hanno mandato i
loro agenti
immortali o altre creature a cercarla. Sono qui vicino. »
Machiavelli
sentì un pizzicore caldo sul petto.
«
Appunto! » disse, determinato. « Non possiamo essere sicuri di
arrivare prima di loro. »
L’emissario
sorrise allegro. Una scintilla luminosa gli attraversò gli
occhi neri.
« Mi
creda, signor Machiavelli. Possiamo. »
Lo
disse così, come se fosse un dettaglio trascurabile. Per Machiavelli
non lo era affatto, ma prima che potesse dire qualcosa, l’emissario
alzò una
mano.
La
guardarono entrambi, quella mano alzata, Machiavelli incrociò le
braccia, il ragazzino invece parve per un momento confuso, come se non
sapesse
che gesto fare.
Poi
la agitò meccanicamente e corse via per il corridoio.
L’italiano
si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo e sbuffando aprì
porta. Una volta dentro prese il quaderno dalla borsa. Aveva già perso
minuti
preziosi.
Scrisse
il nome di Dagon e lesse con attenzione ogni parola.
*
Quando
l’emissario si fece rivedere, la mattina dopo, Machiavelli era
già in piedi e pronto a ripartire.
L’italiano
non faceva altro che pensare a Richard, a chiedersi chi
potesse essere interessato a lui. Tornò ad affollargli la mente il
ricordo
dell’unica persona che sapeva essere interessata al “giovane
figlio degli Homines. “
Aveva
pensato che il messaggio fosse un avvertimento per lui, invece,
in qualche modo, corrispondeva a ciò che sarebbe successo in futuro. A
ciò che
Alypion aveva voluto che succedesse. E allora che scopo aveva avuto
dirlo a
lui, a Machiavelli?
L’immortale
non poteva essere sicuro che Alypion fosse il vero
responsabile. Forse, il messaggio serviva solo a mettere in guardia
Machiavelli
affinché proteggesse Richard.
Ma
lui non lo aveva fatto. E forse Alypion aveva semplicemente
rimediato al suo errore.
Ma
proteggerlo da cosa? E perché?
L’unica
persona che potesse rappresentare un pericolo sarebbe stato
Dee. E lui, Machiavelli.
L’italiano
trattenne un sospiro, mentre, seguendo il ragazzino, si
inoltrava in un boschetto in cui uno stretto sentierino in terra
battuta si
insinuava tra le siepi. Ricordò il messaggio. E pensò che era
assolutamente
verosimile che Alypion volesse il ragazzo vivo, perché altrimenti
avrebbe lasciato
che morisse per mano di Dagon.
Nel
messaggio aveva anche parlato della Lancia e dei Veglianti. Si
doveva aspettare di trovarlo ai piedi di quel dannato monte?
Eppure
un pezzo della sua teoria mancava. Il motivo, era quello che non
riusciva a capire.
« Mi
sembra assorto, signor Machiavelli. » lo distrasse l’emissario. Il
sentiero si era fatto più spazioso e pianeggiante, così il ragazzino
camminava
di fianco a lui.
« C’è
qualcosa che non va?»
Niccolò
alzò il mento, riflessivo ma apparentemente sereno.
« No,
niente che non va. »
La
sua guida lo guardò scettico e Machiavelli ghignò.
«
Ripensavo alle parole che mi hai detto ieri. Sull’autobus. »
L’italiano
si aspettava una reazione seccata e scontrosa. Invece il
ragazzino restò calmo, piegò gli angoli della bocca in un sorriso dolce
che fece
suonare strane e fuori posto le sue parole da adulto.
«
Pensavo che piuttosto stesse pensando a come reagire nel caso ci
fosse la necessità di scontrarsi contro altri immortali. Non sappiamo
chi
potremmo incontrare…»
Machiavelli
sorrise, pensando che l’emissario si sbagliava di grosso.
« Hai
ragione. » mentì spudoratamente.
«
Posso farti una domanda?»
chiese poi, disinvolto. Il suo accompagnatore era una sorpresa
continua
anche nei gesti più banali, lo incuriosiva molto.
Anche
il ragazzino parve interessato. Si tolse gli occhiali.
« E
io potrò non rispondere?»
Machiavelli
alzò le spalle.
«
Come vuoi. »
«
Allora va bene. »
« Ce
l’hai un nome, o devo continuare a chiamarti “ Emissario di
Aton?”»
Il
ragazzino rimase in silenzio, le sopracciglia aggrottate. Sembrava
che l’immortale lo avesse costretto a fare un grande sforzo.
« Io
un tempo avevo un nome. » rispose, la voce più vibrante e dura.
Non sembrava malinconico, solo riflessivo. « Adesso però non lo
ricordo. »
« Non
ricordi parecchie cose. » constatò Machiavelli. Il ragazzino
aveva improvvisamente perso l’aura pericolosa e allarmante che lo
circondava.
Sembrava quasi fragile, nella sua inquietudine.
Gli
occhi, pur essendo completamente neri, erano espressivi come solo
quelli di un bambino potevano essere. Machiavelli ebbe l’impressione di
trovarsi davanti a una creatura incredibilmente potente, ma in parte
imprigionata nella sua infanzia. Quel ragazzino non avrebbe mai
cambiato
aspetto, e forse qualcosa del bambino che era stato sarebbe rimasto
sempre,
schiacciato da secoli e millenni di esistenza ed esperienza.
« Ma
non importa. » riprese l’italiano, sempre più curioso. « Aton come
ti chiama?»
« Lui
ci chiama tutti allo stesso modo. » rispose meccanicamente il
ragazzino.
« Ho
conosciuto qualcun altro che non aveva nome. » sorrise Machiavelli
« E poi se lo è scelto da solo, e per me è sempre bastata quella
parola. »
L’emissario
sorrise trionfante, come se si fosse improvvisamente
ricordato qualcosa di importante.
« Sì,
l’Oscuro Signore Aton me lo ha detto. È piuttosto curioso… »
Machiavelli si voltò verso di lui, quando il suo tono di voce cambiò
radicalmente. Sentì ogni singolo muscolo raffreddarsi.
« È
piuttosto curioso di sapere perché questa volta non ha portato con
se la creatura di cui sta parlando, signor Machiavelli. »
L’emissario
si fermò, e Machiavelli fece lo stesso, ma non di sua
volontà. Il freddo lo avvolse e fece divampare la sua aurea, che
tuttavia non
gli portò alcun calore.
L’italiano
si impose la calma. Aveva tirato fuori il discorso con quel
preciso scopo, seguendo una sua intuizione che gli suggeriva il luogo
dove era
andato il ragazzino la sera prima. Era meglio che lui dimostrasse fin
da subito
di non aver paura di dire dove si trovava Dagon.
Il
volto dell’emissario era più scavato, sotto gli occhi si aprivano
due solchi neri. Lo guardava attendendo una risposta, lo sguardo
fiammeggiante.
Machiavelli
non faceva fatica ad intuire cosa sarebbe successo se le
sue parole non gli fossero piaciute, o se non avesse creduto
completamente alla
mezza verità che stava per raccontare.
«
Dagon non è con me perché deve svolgere un compito, in Francia. »
rispose,
calmo e impassibile. « Sta cercando per conto mio Nicholas e Perenelle
Flamel.
»
« Non
mi pare che Aton le abbia ordinato di farlo. » replicò
l’emissario.
«
Infatti. Sto agendo da solo. »
« Per
arrivare prima di John Dee?»
Niccolò
rise brevemente.
«
Forse. So essere incredibilmente infantile, quando voglio. »
Il
freddo scomparve, e Niccolò per un momento temette di non sapersi
più reggere sulle gambe. Dato che Dagon non c’era, si appoggiò a un
albero. I
lineamenti del ragazzino erano di colpo tornati morbidi e delicati.
« Li
ha trovati?» chiese l’emissario, che ora lo guardava con interesse
e non più con ostilità.
« Non
lo so. Ma Dagon non agirà senza di me. » Machiavelli sospirò come
se il ricordo di quanto successo non gli desse particolare
soddisfazione. « Quando
mi è stato affidato questo compito ho capito di non avere più tempo, e
così…ho
detto a Dagon di avvertire Dee una volta trovati i Flamel. »
L’emissario
sorrise con dolcezza.
« Non
è poi così infantile! » esclamò con un ghigno furbo.
Machiavelli
rise e si accarezzò la corta barba.
« No,
ogni tanto mi ricordo quanti secoli ho! » poi il suo sguardo si
fece più attento, pronto a cogliere ogni espressione dell’altro. « Puoi
dire
questo ad Aton, la prossima volta che andrai a fare rapporto come
l’altra sera.
»
Per
tutta risposta il ragazzino batté le mani in un applauso accorato
ma ammirato. Lo prese per la manica e lo fece continuare a camminare
verso un
ruscello infossato tra le rocce.
«
Sono contento di non doverla uccidere, signor Machiavelli.»
La
frase avrebbe potuto suonare
quasi comica, oltre che completamente fuori dalla norma, sulle labbra
di quel
ragazzino mingherlino che gli arrivava a stento al petto. Machiavelli
però non
aveva mai avuto meno voglia di ridere.
«
Penso che tu sia l’unico… »
affermò, in tono indifferente e rilassato.
L’emissario
sembrava davvero sollevato e felice mentre gli saltellava
al fianco. Ogni passo dell’italiano corrispondeva a due o tre dei suoi.
« Lei
mi sta davvero simpatico. » disse sicuro. « Ho l’impressione però
che lasciarla ad annoiarsi sia rischioso. »
Machiavelli
non seppe cosa rispondere. Non poteva certo dargli torto.
Un giorno aveva pensato che si sarebbe annoiato ancora per molto tempo
e aveva
lasciato fuggire Richard dai Flamel.
E
guarda cosa è
successo…
L’emissario
si fermò di colpo.
« Ci
siamo. »
Lasciò
la manica dell’uomo e corse verso un pendio. Machiavelli si
avvicinò e guardò giù, dove era già arrivato il ragazzino, agile nel
suo
piccolo ed immutabile corpicino.
Il
ruscello formava una piccola fossa d’acqua, Niccolò la raggiunse e
si bagnò le mani. L’emissario lo guardò per un momento, poi gli afferrò
di
nuovo la manica e, senza dire una parola e senza nessun gesto, si
addentrò
dentro allo stagno ricolmo di alghe.
L’immortale
lo osservò stupito per un istante, e all’emissario la sua
esitazione non sfuggì.
« Mi
segua, signor Machiavelli. »
Niccolò
non perse tempo a togliersi la giacca o le scarpe. Più niente
lo stupiva più di tanto, ormai, e anche se per natura non si fidava
molto
facilmente, infilò i piedi in acqua e avanzò tra un brivido e l’altro
fino a
che non fu completamente circondato da alghe.
Il
ragazzino muoveva le gambe per tenersi a galla. Se fosse stato
umano, avrebbe rischiato di impigliarsi alle alghe e morire annegato.
Dopo aver
lanciato un’occhiata divertita a Machiavelli, rimasto impassibile un
po’ più
indietro, smise di muoversi e si lasciò affondare. Il suo corpo sparì a
una
velocità sorprendente.
Machiavelli
era piacevolmente sorpreso e incuriosito. Avanzò verso il
punto in cui era sparito il bambino e, soffocando l’istinto umano di
tenersi a
galla, rimase immobile.
Si
sentì trascinare in basso e poi sollevare in aria con una morsa allo
stomaco.
Una
porta di
energia!
*
« A
quanto pare, abbiamo compagnia. » sorrise Alypion, ravvivandosi i
lunghi capelli biondo platino. Gli occhi color lavanda lampeggiarono
per un
istante.
«
Credi che saranno felici di vederci? » chiese, volgendosi verso il
figlio
degli homines.
Non
ricevette risposta. Sospirò.
« Non
sei ancora sveglio? Ma così non potrai salutare… » si fermò di
colpo, alzando il viso e trattenendo l’aria nelle narici, con tutti i
suoi
odori.
« Il
tuo salvatore! »
|
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Capitolo 9 *** La storia di Alypion ***
La
storia di
Alypion
Richard
sognò di volare. Gli sembrava di essere vento, in perfetta
comunione con l’aria. Come se la sua pelle fosse così leggera da
scomporsi e
ricomporsi in qualunque parte, seguendo la brezza.
Poi
quella sensazione finì e gli sfuggì un gemito, si sentì schiacciare
da qualcosa di molto pesante che però non sentiva al tatto. Se non
avesse avuto
la sensazione di avere la gola piena d’aria avrebbe urlato.
Non
aprì gli occhi, per paura o per stanchezza. La testa gli girava
terribilmente.
Sentì
una mano afferrarlo per il colletto della camicia, avrebbe voluto
opporsi e dimenarsi, ma le sue mani e le sue gambe erano rimasti di
aria.
Il
suo corpo non si era ricomposto del tutto, all’atterraggio. Perché
ora sapeva di essere a terra. Sentiva dei passi intorno a sé.
Però
qualcosa di lui continuava a librarsi nell’aria e ad essere
trasportata dal vento.
Sentì
una voce e gli sembrò che provenisse da tutte le parti. Gli
rimbombò nella testa per parecchi secondi, che sembrarono lunghi una
vita.
*
«
Devo dire che non me l’aspettavo. »
Machiavelli
scoprì con sollievo di essere completamente asciutto.
Lanciò
un’occhiata intorno a sé, ma ebbe poco tempo per distinguere
bene tutte le forme del paesaggio circostante. Vedeva foglie secche e
infossate
nella brina, il monte Chacraraju si stagliava nel cielo grigio.
« E
io non mi aspettavo di arrivare secondo. »
L’italiano
fu subito distratto dalla voce dell’emissario. Se non fosse
stato per l’altezza, sarebbe sembrato molto più grande. Guardò nella
stessa
direzione del suo sguardo ed ebbe un colpo al cuore.
Tutti
i suoi timori erano stati confermati.
«
Salve, italiano. Non è passato poi molto tempo. »
Anche
senza distinguere i capelli biondissimi, i tratti delicati sulla
pelle bianchissima e gli occhi violacei lampeggianti, Machiavelli lo
avrebbe
riconosciuto dalla voce e dall’accento spigoloso. Alypion
si trovava a circa venti metri da
loro, le braccia incrociate sull’ampia felpa. Parlava in un inglese
ormai
estinto da secoli. Machiavelli rimase impassibile. L’unica cosa che era
cambiata dal giorno in cui lo aveva incontrato l’ultima volta erano due
ali
nere simili a quelle dei pipistrelli, ma lunghe quanto due limousine
messe in
fila in orizzontale.
Adesso
era nei guai. Se Alypion avesse detto qualcosa, qualunque cosa
riguardo al ragazzo…
Lo
cercò con lo sguardo. Doveva esserci. Non poteva essersi sbagliato.
« Tu
sei Alypion Desiephr, il Rinnegato! »
Machiavelli
trasalì sentendo affianco a sé la voce squillante e quasi
eccitata del ragazzino servitore del suo padrone.
Alypion
fulminò l’emissario con lo sguardo e concentrò su di lui tutta
la sua attenzione, ma il ragazzino non ne parve turbato.
« Un
figlio di Aton… » Alypion sorrise. Machiavelli si irrigidì. « Allora
è lui, Aton, il tuo padrone, italiano. » constatò con un sorriso
arrogante.
«
Vedo con piacere che vi conoscete» Di piacere l’emissario ne provava
ben poco, a giudicare dalla sua espressione.
«
Facciamola corta, Alypion. »
Machiavelli
aveva perso definitivamente la pazienza. Aveva bisogno di
risposte, ma se avesse dovuto uccidere Alypion prima di riceverle
l’avrebbe
fatto. avrebbe dovuto farlo, in realtà.
Di
Richard non c’era traccia. Ma era lì, da qualche parte. L’italiano
aveva assoluto bisogno di sapere a cosa serviva il ragazzo ad Alypion,
perché
tra tanti era stato scelto proprio lui. Ragionò in fretta. L’emissario
gli
aveva spiegato che la Lancia poteva essere raccolta solo da un abitante
del
Regno d’Ombra in cui si trovava. Quindi era logico che, se Alypion
desiderava
impossessarsi dell’arma, avrebbe dovuto costringere un homines a
prenderla per
lui, perché Alypion era tutto tranne che umano.
Ormai
Machiavelli era quasi certo che Alypion gli avesse mandato il
messaggio con lo scopo di tenere Richard al sicuro fino a quando lui
non fosse
stato pronto a portarlo ai piedi del Chacraraju. Ma perché aveva
cercato
proprio lui anche quando Machiavelli lo aveva spedito a Montpellier?
« Sono d’accordo, figlio degli homines! »
rispose Alypion con disprezzo e una furia ardita ma trattenuta.
Sembrava che
stesse risparmiando la rabbia per un momento speciale.
Voltò
di scatto la testa verso l’emissario.
«
Immagino che Aton voglia la Lancia di Odino. »
«
Immagino che la voglia anche tu. » rispose, freddamente, con lo
sguardo fermo e fiammeggiante, l’emissario.
Immagino
che mi
dovrò unire a voi nella lotta per la sua conquista…
Machiavelli
avrebbe volentieri espresso le sue riflessioni, ma avrebbe
significato solo perdere tempo. Con un sospiro cupo, alzò gli occhi su
Alypion
e sostenne il suo sguardo.
«
Perché vuoi la Lancia, Alypion?» chiese, in tono pacato. Accanto a
lui l’emissario assisteva con interesse, lasciando a lui le redini
della
conversazione. « tu non aspiri al potere.»
Alypion
ghignò sprezzante, con scherno.
« E
tu a cosa aspiri, italiano?»
Machiavelli
non pensò alla risposta.
« Mi
sarei aspettato di vedere molta gente qui, tranne te. Pensavo di
vedere un manipolo di assetati di potere. Invece spunti fuori tu, e io
so che i
tuoi motivi devono essere senza dubbio più nobili. Mi sbaglio? »
« Non
ti sbagli, umano! » rispose Alypion, con un gesto stizzito. « Sai,
molte creature sono morte nel tentativo di raggiungere quell’Arma. Se
lo
meritavano. L’avrebbero usata nel modo sbagliato. »
Machiavelli
annuì.
« Sì,
lo so. »
«
Anche tu, italiano, non hai scopi migliori. Vuoi la Lancia perché
Aton ti ha ordinato di prenderla, ti stai solo salvando la pelle senza
interessarti
più di tanto a come Aton potrebbe usare la Lancia di Odino. »
Machiavelli
ghignò, mentre l’emissario spostava lo sguardo su di lui,
attendendo una risposta.
«
Esatto. »
« Mi
deludi, Machiavelli. » il tono di Alypion poteva sembrare quasi
risentito. « È un vero peccato…» mormorò.
Machiavelli
alzò le spalle.
« La
colpa è tua. Ti sei aspettato troppo da me. Mi hai visto diverso,
è stata una tua scelta.»
L’immortale
tornò serio e la sua espressione si velò di cupo interesse.
«
Perché vuoi la Lancia, Alypion? Se devo scontrarmi con te… voglio
sapere da parte stanno il bene e il male. Voglio sapere quale sogno sto
infrangendo. »
Davvero
commovente, complimenti, si
complimentò con se stesso Machiavelli. Scambiò uno
sguardo con l’emissario per condividere quel pensiero, e un lampo di
divertimento attraversò i suoi occhi neri.
Alypion
teneva lo sguardo perso nel vuoto, come se una parte di lui si
fosse allontanata in un passato remoto. Poi puntò gli occhi su
Machiavelli. Non
era più sprezzante, sarcastico, deluso o irato.
Semplicemente,
aveva lo sguardo di chi è pronto a buttare fuori ciò che
ha tenuto dentro per secoli, in completa solitudine.
« Il
desiderio di vendetta è ciò che mi tiene ancora in vita. Come
accade per molte creature.» Alypion sembrava ormai lontano,
irraggiungibile
nella foschia. La sua voce aveva assunto una cadenza molto strana, che
Machiavelli non aveva mai sentito.
Lo
vide sorridere.
«
Vuoi davvero sapere come userei la Lancia, figlio degli homines? »
L’immortale
annuì lentamente. « Sì, lo voglio sapere. E so che tu me lo
vuoi dire. »
Alypion
rise. A Machiavelli sembrò che la brina stesse scivolando verso
di lui.
«
Forse hai ragione. »
l’emissario assisteva, immobile
e silenzioso, accanto all’umano che aveva il compito di proteggere.
Niccolò
sapeva che stava studiando Alypion in ogni dettaglio.
Il
volto di quest’ultimo si era velato di sofferenza. Una
sofferenza che era abituato ad ospitare
dentro di sé, che era pronta per venire allo scoperto.
« Il
Regno d’Ombra da cui provengo è diviso in due. Le chiamano le due
Sfere. »
Alypion
si avvicinò di qualche passo, ma sembrava completamente
assente, come se solo la sua voce fosse veramente reale. Machiavelli
cercò di
capire ogni parola, ignorando l’accento sibilante.
«
L’unica cosa che il popolo della Prima Sfera e quello della Seconda
Sfera
avevano in comune era la capacità di utilizzare l’energia aurica per
formare
due enormi barriere, che separano i due mondi. Io sono nato nella Sfera
dei
Serafici, gli Alati. »
Le
sue ali fremettero e si ripiegarono nervosamente.
« Non
ho mai avuto genitori. Ma non mi è mai importato. Nel mio mondo
non sono importanti, la mia famiglia erano gli abitanti dell’intera
sfera.
» la sua voce divenne più dura. Provava
ancora rabbia, ma verso se stesso, questa volta.
« Ciò
che avevo di più prezioso era la mia adorata sorellina, Nivime. »
Machiavelli
lanciò una breve occhiata all’emissario. Lui scosse
impercettibilmente la testa. non sapeva nulla di quella storia.
« Era
piccola, gracile e malata. La mia gente non capiva cosa avesse,
ma faceva sempre fatica a respirare. Le sue ali non si muovevano. Avevo
già
visto morire altri per quel male a cui nessuno riusciva a trovare
rimedio. La
sua aurea era sprovvista di calore, nel mio mondo può succedere. »
L’angoscia
di Alypion si sparse per il territorio, Machiavelli poteva
percepirla sulla pelle, ma non si fece coinvolgere. Con uno sforzo
estremo,
ricambiò lo sguardo vuoto di Alypion e si mantenne lucido.
«
Avevo un sogno. Volevo riuscire a salvarla. Così pregai un maestro di
Arti Mediche, molto importanti nel mio mondo, a prendermi come allievo.
Avevo
solo novantasette anni. »
Machiavelli
trattenne tutti i suoi commenti. Non poté però fare a meno
di pensare con sarcasmo a quanto doveva essere indifeso, il povero
piccolo
Alypion, a soli novantasette anni.
«
Sono l’equivalente dei dodici anni umani. » spiegò Alypion.
Machiavelli era rimasto impassibile, ma evidentemente la creatura aveva
capito
che l’immortale, in quanto umano, era abituato a un ritmo di crescita
un po’
diverso.
« Il
maestro mi accettò. Probabilmente gli feci pena. Mi prese come
allievo anche se non avrei potuto ripagarlo in alcun modo. Era l’essere
più
buono che avessi mai conosciuto, l’impurità del mio mondo non lo aveva
toccato.
»
Machiavelli
si chiese cosa intendesse esattamente per “impurità”, ma
decise di non interromperlo.
«Conservava
l’innocenza di un bambino, ma era saggio, e io lo vedevo
forte come nessun altro. Con lui capii l’importanza di avere un padre,
non mi
sentii più completamente solo o disperato.
Con lui non mi sentivo più uno dei tanti orfani che non possono
fare
altro che aspettare che la loro sorellina muoia. Il mio maestro ed io
lavoravamo giorno e notte per trovare una cura, lui mi promise che
avrebbe
fatto di tutto per salvarla. E quello che mi diede più gioia, fu che
con le
nostre cure riuscimmo davvero a migliorare le condizioni di Nivime,
anche se
ancora non era guarita. Ma il maestro era ottimista, e a me bastava. »
Chiuse
gli occhi e strinse i pugni. La rabbia gli faceva vibrare
lentamente il petto. Machiavelli sapeva per esperienza che la rabbia
generata
dal dolore era insopportabile. Distolse lo sguardo per un momento.
«
Feci amicizia con una… la chiamerò “ragazza”, anche se è un termine
umano. Si chiamava Mineikre. Anche lei era una allieva, come me, ma
guardava il
mio maestro come un istruttore, niente di più. Io invece lo veneravo. E
loro…»
Machiavelli
arretrò istintivamente di mezzo passo, quando le ali di
Alypion si spalancarono di colpo. Il suo sguardo bruciava di odio.
« Lo
uccisero. Davanti a tutta la comunità. È questo che succede nel
mio mondo, se si viene accusato di omicidio e tradimento. » fece un
gesto
stizzito con la mano. « qualcuno aveva ucciso il Custode, colui che
aveva il
compito di controllare la barriera magica. Tutti pensarono che fosse un
tentativo di distruggere la barriera, per permettere al popolo della
seconda
sfera di attaccarci, a sorpresa. »
L’immortale
sbarrò gli occhi, l’emissario si tolse gli occhiali e li
appese alla maglietta, le sopracciglia aggrottate.
« Non
era vero. Non era stato lui. » azzardò Machiavelli,
istintivamente.
Alypion
era rigido come una statua. « No, non era vero. » confermò,
gelido.
«
Ricordo il giorno in cui fu ucciso. In ogni dettaglio. Lo fecero nel
modo più banale, sovraccaricandogli l’aura con l’energia di altri
cinque
Maestri, i più potenti. È molto facile indurre i nostri corpi
all’autocombustione, ma ti consiglio di non provarci, italiano. Non ce
la
farai, non con me. »
L’emissario
assottigliò gli occhi in un’occhiata di sfida. Machiavelli
era certo che stesse già pensando a un modo per bruciarlo vivo senza
risultare
troppo prevedibile, tanto per fargli rimangiare tutto ciò che aveva
detto.
« Che
cosa è successo dopo, Alypion? »
Machiavelli
aveva la sensazione che non fosse finita. Lo sguardo di
Alypion tremò e si infiammò.
«
Diventai un soggetto fastidioso. Ma i miei “fratelli”, come si
facevano chiamare, non mi disprezzarono, nonostante fossi andato a
cercare i
cinque Maestri e gli amministratori del mio popolo diverse volte. Me la
prendevo con chiunque, iniziai a vedere tutti come nemici, che avevano
permesso
che un innocente fosse ucciso. Questo era inconcepibile, perché nel mio
mondo
l’odio è riservato solo ai traditori. Almeno è questo che dicono. Ma è
solo
un’altra menzogna. »
Senza
nessun preavviso, Alypion proruppe in una risata amara.
« Mi
esiliarono. Come se fosse la più terrificante delle punizioni. Non
era per sempre. Dicevano che facevo parte della famiglia, che mi
amavano come
un fratello. E quindi, sarei tornato solo dopo trenta giorni, e sarei
tornato
ad essere quello di prima, avrei capito i miei errori. »
Un’ombra
di follia gli attraversò lo sguardo. Le ali scattarono in
avanti e Machiavelli sentì l’aria sferzargli il viso.
« Mi
dissero che si sarebbero occupati della mia sorellina. Mineikre,
nonostante l’avessi trattata male negli ultimi tempi, diceva di essere
rimasta
la mia più cara amica. Aveva imparato le tecniche di guarigione del mio
maestro, e mi promise che le avrebbe migliorate, che avrebbe lavorato
sodo per
salvare Nivime. Mi sentii un po’ sollevato, e forse anche commosso. »
Alypion
sembrava aver abbandonato di colpo ogni energia. Il capo si
abbassò in sincronia con le immense ali.
«
Alypion… » lo richiamò Machiavelli, cercando di essere il più
delicato possibile. Era troppo curioso per lasciar perdere.
«
Dove ti esiliarono?»
La
creatura alzò appena il capo, gli occhi stanchi. Machiavelli capì
che stava aspettando quella domanda, o qualsiasi altra domanda. Voleva
essere
ascoltato, voleva rendere visibile a tutti il suo tormento, in modo da
riuscire
a giustificarsi per il desiderio di vendetta che provava. Non voleva
assomigliare alla sua razza, che disprezzava ed odiava. Ma aveva
trovato un
senso alla sua vita solo nella vendetta, e voleva convincersi che non
fosse
sbagliato.
«
Nella Seconda Sfera. Quella che disprezzavano. Mi dissero di rimanere
nel bosco per non incontrare il popolo che tanto odiavano. Ma io non lo
feci. »
Sorrise,
l’ombra di un’antica soddisfazione nello sguardo.
« Ci
avevano insegnato fin da piccoli a stare alla larga dal popolo
della Seconda Sfera. Avevano detto che erano contaminati dall’odio,
pericolosi.
E io andai ad incontrarli lo stesso, non so perché, forse semplicemente
per non
accettare consigli dalla mia gente. »
Prese
un respiro, il mento alzato, i pugni serrati. La sua pelle
cominciò ad assumere sfumature argentee e brillanti, e quando parlò di
nuovo la
sua voce era più profonda e più sibilante.
Machiavelli
si irrigidì.
«
Diciamo che non corrispondevano esattamente alla descrizione. Mi
accolsero
come una novità inaspettata ma gradita. Erano colti, più di quanto mi
aspettassi. Nemmeno per aspetto erano diversi da noi. Immagina il mio
stupore,
italiano…»
Alypion
puntò lo sguardo cupo sull’immortale, ma non sembrava vederlo
davvero.
«
Quando scoprii che niente di ciò che mi avevano raccontato su quel
popolo era reale! Lì… mi sentivo a casa, perché il mio maestro mi aveva
insegnato a ricercare per prima cosa la bontà nelle creature viventi. E
loro ne
avevano. Non parlarono mai di come i due mondi erano stati divisi, né
del perché.
Non offesero mai il mio popolo, e non apprezzavano nemmeno quando lo
facevo io.
Gli raccontai di come erano visti nella Prima Sfera, ma loro lo
sapevano già e
non si indignarono. Volevo restare lì, nella Seconda Sfera… ma non
avrei mai
potuto lasciare Nivime. »
Respirò
forte per calmarsi. L’aria si riempì dell’odore della cannella.
Machiavelli
guardò in basso, verso l’emissario, che continuava a tenere
le braccia incrociate senza l’ombra di un’espressione sul viso.
« Sei
tornato nella Prima Sfera. »
Alypion
annuì, il suo sorriso aveva qualcosa di folle e sofferente.
«
Esatto. Cercai di fare come mi aveva suggerito il popolo della
Seconda Sfera. Cercai di perdonare i torti subiti, lo feci per mia
sorella. E andò
meglio nei primi tempi. Venni accolto come un eroe che era riuscito a
trovare
la pace in un mondo estraneo e rischioso. Mi dissero che Mineikre aveva
portato
mia sorella dal Saggio della Montagna, un vecchio Mago che non si
faceva vedere
mai e che aveva provato a curarla. Nel tempo in cui aspettai Nivime,
pieno di
speranza, mi sentii davvero meglio, cercavo di non deludere il Popolo
della
Seconda Sfera e mi sforzavo di vedere il buono in ogni persona. Ci
riuscii, mi
convinsi che non tutti avevano colpa per ciò che era successo al mio
maestro.
Mineikre diventò presto una delle cose più preziose che avevo. »
Machiavelli
si chiese se fosse davvero rimpianto ciò che vedeva dipinto
sul suo volto. Aspettò che riprendesse a parlare da solo, senza
forzarlo.
Alypion
fece vibrare le ali, lo sguardo basso.
« La mia vita andava avanti, ma
mia sorella era ancora su quella dannata montagna. Chiesi spiegazioni
agli
amministratori e loro mi risposero che stava cominciando a guarire, con
sorrisi
gioiosi. »
Il
suo sarcasmo non riusciva a celare la sua rabbia. L’emissario guardò
Machiavelli.
«
Immagino che voglia arrivare alla fine della storia, vero, signor
Machiavelli?» sussurrò.
« Hai
un piano migliore per prendere tempo?»
L’emissario
scosse la testa. Machiavelli guardò ancora Alypion, perso
nei suoi pensieri.
«
Alypion. » mormorò. « Vai avanti, ti prego. »
Alypion
si afferrò i capelli dietro la nuca con ferocia. La sua pelle
sembrava rivestita da una membrana grigio-argento, due strisce bluastre
gli
scendevano dagli occhi fino ad arrivare al mento, poi evaporavano in
piccole
volute di fumo azzurro.
L’italiano
ci mise un po’ per capire che si trattava di lacrime.
« Una
notte… » continuò, la voce che aveva lo stesso rumore del granito
che strusciava su una pietra « Una notte origliai una conversazione tra
i
maestri e gli amministratori. E scoprii che ciò che possedeva mia
sorella non
era una malattia. Era l’effetto di una sostanza nociva che gli avevano
iniettato nel corpo alla nascita. La sua aurea non doveva ricevere
calore, o
almeno non completamente, perché solo quel tipo di aurea riusciva a
tenere in
piedi la barriera. »
Machiavelli
capì tutto all’improvviso, per un attimo gli girò la testa.
Alypion scoprì furiosamente i denti, i canini allungati che grondavano
un
liquido corposo e trasparente. I suoi occhi si cerchiarono di viola e
le ali
scattarono in avanti.
Machiavelli
si aspettava di vederlo prendere il volo, ma con suo grande
sollievo Alypion non si staccò da terra. Era irriconoscibile.
Lo
sguardo dell’emissario si indurì, la sua mano scattò verso il
braccio di Machiavelli. L’italiano si sentì invadere da un energia che
gli fece
quasi cedere le gambe.
«
Vuoi sapere la fine, Niccolò Machiavelli? » la voce della creatura
era cambiata di nuovo. Adesso sembrava risuonare per tutto il
territorio, con
tanto di eco. Come se due voci si fossero sovrapposte, quella
dell’”Alypion
quasi umano”, e quella dell’”Alypion per niente umano”. Una delle due
arrivava
sempre con qualche secondo di ritardo.
Machiavelli
si impose la calma e rispose deciso: « Sì, voglio saperlo.
»
«
Andai a riprendermi mia sorella, dove avevo sentito che l’avevo
confinata per estrarre la sua aurea a poco a poco. Cercai di scappare,
di
attraversare la barriera, ma loro furono più veloci. Fui accerchiato…
da molti
abitanti. Dagli amministratori e da alcuni maestri che non si erano
tirato
indietro. Mi chiesero di scegliere. O la lasciavo a loro, ed ero
libero, oppure
cercavo di oppormi e venivo ucciso. »
Machiavelli
lo guardò fare due passi avanti, mentre i muscoli si
ingrandivano sotto la felpa strappata sulla schiena.
«
Pensai molto in fretta, quella notte. L’odio che sentivo era
paragonabile a quello che sento adesso. Ma lasciai loro mia sorella, e
me ne
andai. »
l’immortale tutto si sarebbe
aspettato, meno che questo. Alypion lo guardò con dolore.
«
Avevo un piano. Volevo andare nella Seconda Sfera, chiedere aiuto,
perché
da solo non ce l’avrei mai fatta. Attraversai la barriera in segreto,
ma mi
accorsi presto che, accanto alla Prima Sfera, nessuna barriera di
energia
aurica proteggeva la Seconda Sfera. »
Alypion
iniziò a sollevarsi in aria, le ali frementi. Machiavelli
intravide un bagliore alle sue spalle, che si solidificò in una
striscia
bianco-argentea.
«
Quella per caso è una coda?
» chiese l’emissario, il tono tranquillo di chi chiede: «
sta piovendo o c’è il
sole?»
Machiavelli
si grattò la testa.
«
Credo di sì. »
«
Gliene sta spuntando un’altra. »
« Sì,
ci vedo benissimo, grazie. »
« Si
figuri… »
Machiavelli
sentì il vento infiltrarsi negli occhi e sotto i vestiti,
un vento forte, innaturale, che proveniva dalla ali sbattute verso il
basso di
Alypion. Machiavelli si avvicinò, ignorando la piccola mano che lo
tratteneva
per la giacca.
«
Erano morti anche loro, vero? » azzardò Machiavelli, quasi urlando
per sovrastare il rumore del vento « Fammi indovinare. Avvelenati. »
Alypion
sorrise. « Sarà un vero peccato ucciderti, italiano. Tu sei in
grado di capirmi. Ma non vuoi farlo. E stai ostacolando i miei piani. »
«
Vuoi la Lancia per sterminare il tuo popolo e liberare tua sorella,
se è ancora viva. » constatò l’emissario a braccia incrociate.
Stranamente la
sua voce si sentiva benissimo anche senza che lui alzasse il tono.
Machiavelli
si sentì rabbrividire, ma fu anche pervaso da una forte
determinazione. Forse poteva capire i sentimenti di Alypion. Ma non
aveva
nessuna intenzione di fallire.
Alypion
gli lesse quei pensieri nello sguardo e sbatté più forte le
immense ali.
Note
di Tacet433
Ed
ecco
il nove! Che è uscito insieme all’otto, quindi immagino che lo dovrete
leggere
a rate per prendervi una pausa. Anche perché è un capitolo stressante
questo,
vero? Almeno, lo è stato per me. Però anche divertente da scrivere. Lo
so, non
ho ancora spiegato il piano di Alypion con Richard eccetera. Ma il
fatto è che
scrivere la vita del mio OC… mi ha prosciugato di ogni forza. ; ) Spero
che
tutto si capisca.
Per
qualsiasi
cosa non esitate a chiedere e fatemi notare gli eventuali errori, conto
su di
voi!
|
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Capitolo 10 *** "dicharazioni di Rima" e Nuove Conoscenze ***
Non è propriamente
un avviso, questo.
Non sono nemmeno
vere note iniziali, e
non voglio dilungarmi troppo in scuse che potrebbero seriamente
infastidire.
Solo, non mi sembrava rispettoso nei confronti di chi ha seguito questa
storia
con tanta tenacia e partecipazione fin dall’inizio, postare un nuovo
capitolo
dopo così tanto tempo senza prima metterci delle “note iniziali”.
Quando ho
cominciato questa long, doveva
essere del tutto diversa. Non sono dispiaciuta o delusa da come si è
evoluta la
storia, ma ho dovuto fare i conti con una serie di cambiamenti che mi
hanno
portato a bloccarmi, a non riuscire più a scrivere una riga.
In realtà, non è
stata “colpa”, diciamo,
solo di questa storia. Ho appena passato un periodo in cui tutto quello
che
riuscivo a scrivere non mi piaceva affatto, e pensavo non sarebbe
piaciuto
nemmeno a voi. Forse a causa del poco tempo a disposizione e della
frustrazione
di poter dedicare alla scrittura solo poca concentrazione. In ogni
caso, ora
sono qui perché mi sembra di avere il cervello un po’ meno in
disordine,
passatemi il termine, e ho ritrovato ispirazione e forse anche capacità
per tentare
di cimentarmi di nuovo in questa storia, che amo alla follia.
Non ho ancora avuto
il coraggio di
andare a vedere quanto tempo è passato. Mi scuso molto e tenterò di
fare in
modo che non mi ricapiti più un altro periodaccio. Avrei anche voglia
di buttar
giù qualche flash, o qualche one-shot sui Segreti, perché mi mancava
l’ispirazione,
ma la voglia di scrivere è sempre rimasta con me.
Prima di tutto,
però, voglio
assolutamente andare avanti con questa fic, per me e per tutte le
persone
gentilissime che mi hanno seguito. Lasciarla incompleta mi riempirebbe
di sensi
di colpa, anche se è passato un sacco di tempo.
Grazie mille a chi
mi ha seguito fino ad
ora!
Nuove
conoscenze
Machiavelli
aveva avuto poche volte prima d’allora la mente tanto
affollata da pensieri diversi. Si chiedeva dove fosse Richard e
contemporaneamente come liberarsi di Alypion prima che si facesse
scappare
qualcosa su di lui e sul ragazzo davanti all’emissario. E poi avrebbe
dovuto
far tacere anche Anderson.
«
Signor Machiavelli… » l’emissario richiamò la sua attenzione ma non
spostò gli occhi da Alypion, che a sua volta li studiava.
« È
soddisfatto di ciò che ha scoperto oggi? »
« No.
» dovette ammettere l’italiano. « non comprendo appieno il modo
di ragionare del popolo di Alypion. »
« Lo
immaginavo. Ma adesso non c’è più tempo. » disse sbrigativamente
l’emissario, e Machiavelli notò che il suo aspetto stava di nuovo
cambiando,
gli occhi diventavano più infossati, gli zigomi più marcati, ma ancora
i suoi
tratti non perdevano il velo di innocenza tipico dei bambini.
«
Alypion deve aver preso in ostaggio un umano, perché per lui è
impossibile prendere in mano la Lancia in questo Regno d’Ombra. » gli
fece
notare il ragazzino.
«
Ammesso che lo sappia. »
Lo
sapeva eccome, ne era ormai certo, ma Machiavelli avrebbe dovuto
fingere fino all’ultimo di non sapere niente.
L’emissario
annuì, mentre l’aria si riempiva di un forte odore di
cannella e di un sottile strato di fumo ambrato.
«
Cerchi la Lancia, signor Machiavelli. Io penserò ad Alypion. »
Niccolò
lo guardò preoccupato, ma l’emissario sorrise dolcemente.
« Non
faccia troppo affidamento su ciò che vedono i suoi occhi. »
Inspiegabilmente
Niccolò non riuscì a scacciare la preoccupazione, ma
se rifletteva razionalmente sapeva che l’aspetto gracile del ragazzino
lo stava
ingannando, non permettendogli di scorgere la sua vera natura.
Annuì
con convinzione e, studiando i movimenti di Alypion, sparì alla
vista nel fumo color rame.
*
Alypion,
per un attimo, commise l’errore che non si sarebbe mai
perdonato. Per un solo istante, sottovalutò il suo avversario. Si
perdonò
presto, chiunque lo avrebbe fatto, trovandosi davanti una creatura come
l’Emissario di Aton.
Era
un bambino, con i tratti rotondi e infantili, i capelli spettinati,
il corpo esile e le gambe corte. Possedeva un’eleganza inumana, che
però non rendeva
il suo aspetto più minaccioso, ma più fragile. Alypion ricordò il corpo
minuto
e grazioso di sua sorella, il bel viso liscio, gli occhi grandi.
E per
un eterno secondo, l’emissario gli sembrò intoccabile. Troppo
innocente per essere ucciso.
Ma
alla creatura bastò avvicinarsi di poco al suo viso, per cambiare
idea. I suoi occhi bruciavano di un fuoco crudele, divampante, deciso.
E
improvvisamente la sua figura ricordava di più una bestia feroce che
per troppo
tempo era rimasta rinchiusa e sottomessa, che un bambino.
Alypion
si scagliò contro di lui con rabbia e determinazione, e vide il
suo viso cambiare in un solo istante, affilarsi e contorcersi in preda
alla
follia. Le unghie delle mani si allungarono e da ogni dito partì una
scia nera
e fumante che macchiava la sua pelle, fino a coprirne ogni centimetro.
I
muscoli si gonfiarono, pur mantenendo la
loro forma allungata e slanciata. I canini si allungarono insieme ai
capelli,
che scesero lungo la schiena incurvata. Gli occhi erano cerchiati da
simboli
dorati che scendevano fino al mento, ma Alypion non seppe decifrarli, e
non ne
ebbe il tempo.
L’emissario
scattava da una parte all’altra della radura con estrema
agilità, tanto che per Alypion era difficile seguirlo con lo sguardo e
indirizzare i suoi attacchi nel punto giusto. Il corpo di quella
creatura,
ancora piccolo e basso, era dotato di una velocità eccezionale.
Alypion
fece vibrare le lunghe ali e roteò nell’aria, concentrando la
sua aurea nelle mani e scagliando lance di energia verdastra contro
l’emissario, che continuò a schivare. Alypion scattò in avanti e lo
colse di
sorpresa, alzò il braccio per colpirlo. Un suono improvviso lo
distrasse,
rendendo più impreciso il movimento.
Un
urlo. L’urlo agghiacciante di un essere umano.
*
Machiavelli si coprì le orecchie
con le mani, con una smorfia di dolore. Un grido improvviso gli aveva
fatto
pulsare le tempie. Era il grido di un mortale, i suoi sensi risvegliati
potevano capirlo chiaramente, ma… sembrava amplificato di almeno una
decina di
volte.
L’italiano,
caduto in ginocchio, si mise subito in piedi e corse verso
la direzione da cui proveniva quel suono, il cuore in gola.
Si
bloccò appena superò la prima breve salita sterrata, lo stomaco si
contorse in una spiacevole sensazione. Davanti a lui c’era Richard
Anderson,
gli occhi stranamente vacui, in piedi davanti a un enorme lastra di
pietra.
Nella sua mano, la lancia di Odino.
Di
una bellezza estasiante, talmente luminosa da nascondere parte dei
suoi tratti. La punta acuminata e finemente lavorata pareva trasudare
magia in
continuazione e in quantità stupefacenti. Niccolò sentì la testa
girare, ma non
poté concentrarsi a lungo su quella meraviglia.
Tutto,
nell’espressione del ragazzo, sembrava non appartenergli.
Osservava la lancia scintillante e più alta di lui di almeno qualche
metro
senza una particolare sorpresa. Sembrava piuttosto… eccitato. La sua
bocca era
piegata verso l’alto in un modo lievemente sadico.
«
D’accordo. » esclamò Machiavelli, alzando le braccia in un gesto
conciliante.« È sempre un piacere fare nuove conoscenze. Chi sei? »
L’essere-
perché Niccolò non se la sentiva di apostrofarlo come
“Richard”- si girò verso di lui. Per un attimo lo sguardò con gli occhi
impassibili, mostrando quella immobilità tipica di alcuni Antichi
Signori
quando venivano colti di sorpresa.
« Sei
bravo coi travestimenti. O
brava? » disse Machiavelli, scrollandosi la polvere dalle maniche
della
giacca e indicando con un gesto vago il corpo di Richard.
L’essere
non emise un suono e non si mosse.
« Non
importa. » minimizzò Niccolò, dopo qualche istante. « tanto non
mi farei molti problemi a colpire una donna con le sembianze di un
uomo. »
Machiavelli
era sempre stato un maestro nell’irritare le persone. E non
solo le persone. Ogni tipo di creatura. Ed era convinto di esserci
riuscito
anche questa volta. Invece l’essere lo osservò con attenzione e per un
attimo
la sua espressione parve leggermente confusa.
Quasi
umana. Finalmente qualcosa che stava bene sul viso del povero
Richard.
Alypion
e l’emissario facevano tremare il terreno con la loro magia, ma
l’essere sembrava immerso in pensieri profondi e mentre Niccolò si
appoggiava a
un albero per non cadere, lui si guardò le mani.
O
meglio, guardò le mani di Richard.
«
Questo è un uomo? » chiese poi, rivolgendo di nuovo lo sguardo su
Niccolò e pretendendo una risposta rapida.
L’italiano
ghignò.
«
Beh… immaginalo con un po’ di barba, qualche mese di jogging… »
L’essere
non sembrò capire, ma nei suoi occhi intelligenti Machiavelli
non lesse nessuna domanda.
« Sì,
è un umano. Uno degli homines. » precisò subito dopo, incuriosito
dallo strano comportamento del suo interlocutore. Di certo, non si
sarebbe
aspettato una situazione del genere. La Lancia era troppo preziosa per
non
provare a scappare subito con essa o per non provare a eliminare i
nemici che
ostacolavano l’impresa.
L’essere
non sembrava affatto sul punto di fare nessuna delle due cose.
« Ora
ricordo. » lo sentì mormorare.
E a
Machiavelli faceva davvero tanto
piacere che finalmente ricordasse, ma come il tremore sotto ai suoi
piedi
gli rammentava piuttosto spesso, non era nelle condizioni di poter
attendere
molto. Non aveva tempo di starlo a sentire. Doveva trovare il modo di
prendere
la Lancia.
Si
impose la calma. Non doveva perdere la pazienza. Fino a che l’essere
rimaneva tranquillo, lui poteva studiare la sua personalità e
inventarsi
qualcosa per mettere le mani sulla Lancia.
« Tu
sei un uomo?» chiese la creatura, impassibile.
Per
fortuna la voce non era più quella di Richard, altrimenti Niccolò
non sarebbe riuscito a trattenere le risa.
«
Certo! »
« Tu
non sei un uomo. »
Niccolò
lo osservò serio, sbattendo due o tre volte le palpebre.
«
Penso che me ne sarei accorto se così fosse. » rispose, diplomatico.
L’essere
rise con la voce tonante e profonda. La sua risata crebbe
progressivamente e riempì tutta la radura.
« Tu
non hai niente di un guerriero! »
Niccolò
capì in un istante con un piccolo moto di disappunto misto a
divertimento. Si indicò il petto con le mani, mentre la creatura lo
osservava
in viso con un sorrisetto ironico.
«
Vado in palestra tutti i martedì! » affermò, fingendosi almeno
parzialmente offeso.
Di
nuovo, l’essere non sembrò capire, ma la cosa non parve turbarlo.
« Io
ho assistito alla guerra di Pausania al comando degli Spartani,
nella battaglia di Platea»
« …
Magari non quel tipo di
palestra… »
Uno
scossone più forte degli altri minacciò di far cadere gambe
all’aria Machiavelli e riuscì persino a far fare una smorfia di
disappunto
all’essere.
«
Fastidioso, vero? » fece Niccolò, avvicinandosi di due passi.
L’essere
lo squadrò arcigno.
«
Immagino sia colpa tua. »
«
Chissà perché lo immaginano sempre tutti… » rispose Machiavelli con
un lieve ghigno. « Comunque, mi dispiace deluderti, ma non sono stato
io a portare
qui la Lancia. »
«
Questo lo so! » rise l’essere « Sono stato io! »
Niccolò
non si scoprì troppo sorpreso. “Prendendo in prestito” i corpi
umani poteva toccare la Lancia. Ma allora perché l’aveva lasciata lì?
Non aveva
un nascondiglio più sicuro, magari in un altro Regno d’Ombra?
«
Trovata geniale. Davvero. » si complimentò ben poco sentitamente
Machiavelli. « E dimmi: perché allora dovrebbe essere colpa mia? »
« Non
sei stato tu a salvare questo ragazzo? »
« Non
che io ricordi. » mentì Machiavelli con magistrale abilità.
«
Inutile mentire… » sorrise teneramente l’essere « Io posso osservare
i tuoi pensieri nel profondo… e capisco la tua mente. » aggiunse,
inspirando
come se potesse sentire l’odore dei pensieri di Niccolò.
« Ah,
sì? Beato te. »
Nonostante
ostentasse spavalderia, Machiavelli era raggelato dalla
testa ai piedi. Il pensiero che qualcuno potesse entrargli nella testa,
che potesse
scoprire i suoi segreti… lo faceva tremare di rabbia.
Si
accertò che l’emissario e Alypion non potessero sentirlo prima di
azzardarsi ad aprir bocca.
«
Questo non significa nulla. Ai piedi di questo monte, se c’è qualcosa
per cui si combatte è la Lancia di Odino. »
« la
Lancia non può essere impugnata da qualcuno che non appartiene al
Regno d’Ombra in cui si trova. » replicò l’essere con durezza. Indicò
col mento
il punto da cui arrivavano i boati e il lampo di luce. « Combattono per
il
ragazzo. È il solo che può prendere la Lancia. »
L’italiano
scosse la testa con pazienza.
« Il
ragazzo è di Alypion. »
E
lasciò che l’essere capisse da solo il resto.
« E
tu sei di Aton. » il suo ghigno si tramutò in una smorfia maligna «
Non sei venuto solo e di tua volontà. »
« Ora
comprendi che ho una certa urgenza di portare al mio padrone la
Lancia di Odino» Disse secco Machiavelli e la sua aurea divampò e il
fetore di
un serpente si spanse nell’aria.
L’essere
sorrise, pericoloso.
«
Comprendo. » affermò, accondiscendente. « Ma dubito che riuscirai ad
impossessartene.»
«
Fossi in te non ci conterei. » lo contraddisse Machiavelli, gelido. «
La voglia di salvarmi la vita mi rende sempre molto motivato. »
È cortino come
capitolo, lo so. Ma il
prossimo arriverà presto, lo devo solo correggere.
È inutile che cerco
di trattenermi, lo
devo dire: Machiavelli mi è davvero mancato!
E adesso è qui di
fianco a me che si
strofina le mani, perché sa che non è così facile toglierselo dalla
testa e
perché in questo capitolo, sì, si è preso un bello spavento… ma l’ha
fatto con
stile.
Grazie
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Capitolo 11 *** La vittoria del più debole ***
La
vittoria
del più debole
Machiavelli
osservò Richard posare di nuovo la Lancia dentro al
sarcofago di pietra in cui era stata custodita fino a quel momento, con
delicatezza.
L’occhio
gli cadde sulla sagoma nera e sfuggente di un volatile di
piccole dimensioni, proiettata sulla polvere. Un brivido gli salì lungo
la
schiena, e una consapevolezza agghiacciante gli invase la mente. I
corvi.
I
corvi di Odino. Hugin e Munin, Pensiero e Memoria.
Machiavelli
sorrise dentro di se.
«
Cosa vuoi fare con la Lancia? » chiese, fissando gli occhi glaciali
in quelli di Richard.
Il
ragazzo sorrise disincantato.
«
Quello che vogliono farci tutti, italiano. Il potere è una tentazione
che si da troppo per scontata, e spesso gli uomini come te finiscono
per
credere che ci sia qualcos’altro sotto. Tu non aspiri al potere? »
Machiavelli
scosse le spalle.
« è
un desiderio che mi tenta spesso. » affermò, noncurante. « Ora
però, voglio solo ridare la Lancia al suo legittimo proprietario. »
Richard
rise con una voce gutturale, senza gioia ma anche senza
ritegno.
« Non
so cosa ti abbiano raccontato, ma non è Aton il custode della
Lancia. »
«
Aton la ridarà ad Odino. Sono alleati, ora. » disse Machiavelli,
sicuro.
Era
in questi momenti che pensava davvero che Dagon avesse ragione.
Mentire era ciò che gli riusciva meglio.
Voleva
farsi sentire da Odino tramite i suoi corvi. E fare i propri
interessi attraverso quelli di Aton. Gli Antichi Signori non erano di
certo
tutti amici, quasi nessuno provava affetto verso l’altro. Con quelle
parole
sperava di essere riuscito a guadagnarsi la stima di Odino e la
riconoscenza di
Aton.
Aveva
come il sospetto che soprattutto quest’ultima cosa gli sarebbe
servita molto nei prossimi giorni.
«
Facciamola breve, ti va? » propose affabile Richard. « A quest’ora
sarei già dovuto essere di ritorno al mio Regno d’Ombra. »
«
Porteresti anche il ragazzo di cui hai preso il corpo, nel tuo Regno
d’Ombra. » ragionò Machiavelli, lucido. « Sei riuscito a prendere la
Lancia
solo grazie a questa tua capacità, e una volta che sarai arrivato nel
tuo regno
Richard non sarà più in grado di tenere la Lancia in mano. E morirà,
non
riuscendo a disfarsene in tempo.»
« Ma
io potrò averla, per sempre. Col mio vero corpo, questa volta. »
Machiavelli
aggrottò le sopracciglia.
« Io
non credo che tu abbia un vero e proprio corpo. »
C’erano
ancora tante cose nell’universo che rimanevano al di fuori
della sua conoscenza, ma Machiavelli non credeva possibile che qualcuno
potesse
scindere l’anima e la ragione dal suo corpo materiale. Se invece
l’essere si
fosse limitato a controllare Richard con la mente, avrebbe dovuto
rifugiarsi al
sicuro lì vicino, di modo da aprire il portale che lo avrebbe condotto
nel suo
Regno e sparire insieme a Richard.
E
Machiavelli avvertiva tutta la sua essenza nel corpo di Richard, non
altrove.
Il
sorriso dell’essere non aveva fatto una piega.
« Sei
intuitivo. Chissà se hai ragione. »
« Chi
ti manda? » chiese Machiavelli, suscitando un risolino da parte
dell’altro. « Se non hai un corpo, se davvero ho ragione e sei poco più
di un
ombra pensante, allora non sei un Oscuro Signore, ma solo una sua
creatura. »
« Non
risponderò alle tue domande, figlio degli homines. » e il suo
sorriso si trasformò in una smorfia appena più stizzita e minacciosa.
Cominciava a perdere la pazienza e Machiavelli non aspettava altro.
« Oh,
credo che invece vorrai riflettere sulla prossima domanda che ti
farò… » sibilò Machiavelli con un sorriso ironico e malizioso.
Si
avvicinò di due passi.
« Se
io dovessi danneggiare irrimediabilmente il corpo di Richard, tu
come faresti a portare la Lancia nel tuo Regno? »
La
creatura lo scrutò, il sorriso spento e gli occhi leggermente
spalancati. Machiavelli seppe allora di essersi guadagnato tutta la sua
attenzione e mosse qualche passo distratto, gesticolando con gesti
vaghi e
sarcastici.
« Se
per esempio… » continuò, noncurante. « Io riuscissi ad indebolire
il suo corpo in modo tale da renderlo quasi inutile… dalla tua
espressione
deduco che sarebbe un problema. »
« Non
oseresti. » sibilò pericoloso l’essere.
«
Quindi, il suo corpo acquista i tuoi poteri ma… non la tua forza,
giusto? Sempre che tu ne abbia… »
« Non
hai idea di quali siano i miei poteri! » urlò l’essere, in preda
alla rabbia, sporgendo il busto in avanti.
« Me
ne sono fatta una molto chiara, invece. » lo contraddisse
Machiavelli, glaciale.
« Io penso che tu non
sia altro che un parassita. Non sono
nemmeno sicuro che tu possegga dell’energia aurica. Sicuramente, come
te il tuo
signore ne ha creati mille altri, e il tuo intelletto deriva
direttamente dal
suo e non ha motivo di esistere! »
« Taci, umano! Non sai
niente! » sbraitò la creatura, gli
occhi iniettati di sangue.
Il viso di Richard
sembrava così strano, deformato dalla
rabbia.
« Non oseresti fare del
male al ragazzo! » sputò la creatura,
stringendo i pugni.
« Davvero? » sorrise
scaltro Machiavelli.
Indicò il suo rivale con
un gesto lento.
« La sua vita non mi sta
a cuore. » affermò, sinceramente.
« Serviva solo per fuggire alla noia. E anche se così non fosse… »
continuò,
mentre l’odore di serpente intorno a lui si faceva più denso «
Sicuramente
tengo di più alla mia, di vita. »
« Prenderò il tuo corpo,
se lo farai! » minacciò con
violenza la creatura.
Machiavelli respirò
piano, calmo.
« Quando io e
l’emissario di Aton siamo arrivati, tu eri
già qui, ti nascondevi da interi minuti alla vista di Alypion. Hai
portato tu
la Lancia qui, prendendo in prestito un altro umano, qualcuno che dopo
hai
dovuto abbandonare, perché… beh, probabilmente i tuoi poteri logorano
nel
profondo la persona che si ritrova a condividere uno stesso corpo con
te. Devi
cambiare vittima, di tanto in tanto. » fece una pausa per capire se
aveva colto
nel segno.
Sorrise di fronte
all’espressione quasi spaventata di
Richard. O meglio, dell’essere.
Machiavelli si girò
appena e indicò col braccio disteso il
punto in cui i bagliori di energia prodotti da Alypion e dall’Emissario
non
smettevano ancora di squarciare il cielo grigio.
« Alypion ha fatto in
tempo a raccontarci tutta la sua
vita. Dopo, io ho scambiato due parole con l’emissario. Dopo,
sono arrivato qui con la velocità di un umano qualunque. E tu
avevi appena preso in mano la Lancia di Odino. » il tono di Machiavelli
vibrava
di sufficienza e di sarcasmo, gli occhi lampeggiavano di vittoria.
L’essere lo guardava con
quella furia che solo un sincero
timore può alimentare, gli occhi così sporgenti da sembrare folli.
Machiavelli si morse le
labbra divertito.
« Quanto tempo ti ci
vuole per impossessarti di un corpo? Secondo
me, almeno un quarto d’ora. » rise, caparbio.
« In quel tempo potrebbe
accadere di tutto. »
Indicò di nuovo i
bagliori di luce.
« uno di loro due
potrebbe arrivare qui, impedire a te di
prendere il mio corpo. Io prenderei la Lancia e tu non potresti fare
niente per
fermarmi, perché non solo sarei ancora in grado di contare sui miei
poteri, ma
anche su quelli dell’emissario di Aton, o su quelli di Alypion, che non
hai
osato attaccare quando ne aveva la possibilità, aspettando che si
allontanasse.
»
Machiavelli si divertiva
pur restando con tutti i sensi
all’erta, lo sguardo da rapace puntato sul volto esangue di Richard.
« Sei estremamente
debole. Certo… » aggiunse con un gesto
vago. « Hai le qualità adatte per rubare la Lancia, i poteri più utili.
Ma ho
sconvolto il tuo piano perfetto, e non puoi contrastarmi a lungo. Tra
poco
tornerai un ombra senza corpo. »
L’emissario di Aton
spalancò le fauci contro Alypion,
squarciando l’aria col suo ringhio. Vedeva la determinazione del suo
avversario
vacillare appena, la notava in ogni dettaglio del suo viso, con
l’accuratezza
dei suoi sensi sovrannaturali.
Succedeva a tutti così.
Avevano tutti
quell’espressione, quando vedevano il bambino
scomparire per lasciare spazio al mostro. Vedere un bambino
trasformarsi in una
creatura demoniaca ripugnava e terrorizzava gli avversari, anche quelli
non
umani. Era forse l’unico aspetto positivo della sua condizione d’eterno
fanciullo.
L’emissario si gettò su
Alypion e tese il braccio verso la
sua ala sinistra, spiccando l’ennesimo salto, staccandosi più di tre
metri da
terra. Riuscì a colpirlo solo di striscio.
Nessuno dei due, fino a
quel momento, aveva voluto cedere.
L’emissario sapeva di
avere delle conoscenze magiche
limitate, differenti da quelle conosciute nel mondo umano, e suppliva
con la
straordinaria velocità e la forza sovraumana. Alypion però, pur con un
certo
sforzo, riusciva a sfuggire a quasi tutti i suoi attacchi, potendo
contare su
una difesa magica infallibile e sulle sue potenti ali.
Era stato uno scontro
alla pari.
Fin dai suoi primi
secoli di vita, l’emissario era stato
uno dei più efficienti servi del suo Signore, nonostante le sue
caratteristiche
fisiche lo aiutassero solo quando doveva ingannare qualcuno. Gli uomini
e le
creature si fidavano molto dei bambini.
La sua vera qualità, era
sempre stata la determinazione.
Perseguiva i suoi scopi con l’ostinazione di un bambino, i suoi
capricci umani
si erano mutati in capricci mostruosi e in lui era rimasta radicata
un’infantile crudeltà e una rabbia verso il mondo che persino Aton non
si era
aspettato.
L’emissario si girò di
scatto, sforzando ogni muscolo,
corse in avanti e spiccò un altro salto.
Prima che Alypion potesse girarsi, lo colpì alla schiena. La
creatura
fece vibrare forte le ali e lo afferrò per il collo, attirandolo verso
di lui e
mugolando di dolore per i profondi tagli sulla schiena.
L’emissario sentì la
pelle bruciare sotto il suo palmo.
Premette sul suo braccio senza riuscire a liberarsi. Davanti a lui
vedeva solo
gli occhi sbarrati di rabbia di Alypion e un istante dopo fu accecato
dalla
luce e sentì il suo corpo strusciare violentemente sul terreno.
Alypion si abbassò di
qualche metro per il dolore delle sue
prime ferite.
L’emissario, a terra,
ingoiò la polvere e tentò di togliersela
dagli occhi.
Quando fu di nuovo in
grado di vedere socchiuse la bocca,
sorpreso.
La
situazione era
cambiata. Alypion posava i piedi a terra. E non era più solo.
Davanti all’emissario
un’altra figura alata, molto simile
ad Alypion ma dalle fattezze chiaramente femminili, sostava eretta ed
altera, e
osservava in viso l’altra creatura.
L’emissario capì che non
intendevano degnarlo più di
nessuna attenzione, e attese di capire cosa stesse succedendo con
impazienza,
stringendo forte le fauci e rimettendosi in piedi con uno scatto
fulmineo.
La creatura femminile
non staccava gli occhi famelici da Alypion,
e quest’ultimo, da parte sua, pareva sforzarsi facendo violenza ai suoi
desideri più profondi per non attaccarla in preda all’ira.
« Alypion. Ti sei
ridotto male. » disse lei, con un sorriso
angelico.
L’emissario conosceva
molte lingue, e solo poche di queste
erano umane. Ma non riuscì a decifrare nessun suono e si limitò,
stizzito, a
scrutare le espressioni dei due.
« Mineikre… vattene. »
sibilò Alypion tra i denti.
L’emissario spalancò per
un attimo gli occhi, in un
bagliore di comprensione. Mineikre era l’amica di Alypion, la creatura
aveva
già parlato di lei a lui e a Machiavelli.
« Non lo farò. » disse
secca Mineikre, con le braccia
ancora incrociate. « So cosa vuoi fare. So perché sei venuto in questo
mondo. »
lanciò un’ occhiata disgustata intorno a sé.
« E non posso
lasciartelo fare. »
Con un grido di rabbia
si gettò su Alypion e l’emissario
vide la luce inghiottirli, per farli riapparire a qualche metro di
distanza.
Senza più una parola, i loro corpi rotearono nel cielo, ferendosi senza
pietà,
con una potenza passionale che l’emissario aveva visto poche volte
nella sua
lunghissima vita.
I colpi erano ricolmi di
magia ed erano pensati per fare
del male, per ferire in profondità. Eppure i movimenti delle loro ali
rimanevano aggraziati e possedevano una loro forma di eleganza.
L’emissario li osservò
da terra, mentre la sua mente
partoriva tutte queste considerazioni e il suo viso restava
impassibile,
assumendo pian piano qualche tratto umano.
Si disse che non era il
caso di disturbarli.
Annusò l’aria fino a
percepire un familiare odore di
serpente.
« Signor Machiavelli. »
salutò l’emissario, spolverandosi i
vestiti strappati.
Machiavelli si voltò di
scatto con un mezzo sorriso,
riconoscendo la voce infantile del bambino. L’emissario ricambiò il suo
sguardo, imperturbabile, poi spostò gli occhi su Richard, che lo
scrutava con
un ombra di timore negli occhi, mista alla perplessità di avere davanti
un
fanciullo.
« Bentornato. » disse
Machiavelli.
L’emissario aggrottò le
sopracciglia vedendo la Lancia,
luminosa e bellissima, nelle mani di Richard. Come mai Machiavelli era
così
calmo?
« Allora hai vinto tu? »
chiese con un piccolo sorriso
l’italiano.
Un tuono squarciò la
calma del cielo e in lontananza
Machiavelli vide delle luci che parevano quasi fulmini.
« Non esattamente. »
rispose l’emissario.
Machiavelli lo osservò,
serio.
« Ho lasciato Alypion in
buona compagnia. » rispose il
bambino alla sua domanda silenziosa. « e vedo che anche a lei la
compagnia non
manca. » aggiunse, osservando cupo Richard.
« è un figlio degli
homines? »
Sarebbe potuta sembrare
una domanda stupida, in un’altra
situazione. Ma l’emissario non riusciva a scavare nella mente di
Richard, a
percepire la sua natura con chiarezza. Non capiva se si trattava di un
figlio
degli homines con i poteri risvegliati, o di una creatura distinta.
« Solo nel corpo. »
rispose Machiavelli, senza mostrarsi
sorpreso dalla domanda « Non è vero? » aggiunse rivolto a Richard.
Questi non rispose ma si
morse le labbra e soffiò come un
gatto contro l’emissario.
« Che cosa sei? » chiese
l’emissario, con una punta di
curiosità.
« è inutile, non lo
vuole dire. » rispose per lui
Machiavelli.
« Non importa. » sibilò
l’emissario, lo spazio sotto agli
occhi che cominciava di nuovo a scurirsi. « Dobbiamo prendere la
Lancia. »
Machiavelli creò con la
sua aurea due guanti di un colore
tra il grigio e il bianco, lo sguardo deciso. L’emissario lo scrutò per
un
momento con la coda dell’occhio, al suo fianco. « Anche
a costo della vita del ragazzo. » aggiunse.
Machiavelli ghignò.
« Ovviamente. »
Si slanciarono su
Richard quasi nello stesso momento.
L’emissario
lo afferrò per il colletto della camicia e lo colpì al petto
con le dita artigliate. Grossi filamenti di energia aurica partirono
dalle dita
di Machiavelli e si attorcigliarono sulle gambe di Richard come
serpenti,
mentre l’emissario spalancava le fauci e l’essere si dimenava con
rabbia.
Machiavelli
era costretto a rimanere a pochi passi di distanza a causa
della lotta tra l’essere e l’emissario, ma non staccava gli occhi dalla
Lancia,
che Richard tratteneva stretta al petto con tutte le sue forze e che
l’altra
creatura non poteva neanche sfiorare.
L’immortale
vide Richard urlare di rabbia e, con uno scatto furioso,
tendere la punta della Lancia verso il petto dell’emissario.
Il
bambino si ritrasse , fulmineo.
Il
metallo lo sfiorò appena.
Machiavelli
lo vide contorcersi dal dolore tra la polvere, il volto completamente
umano e contratto dalla paura e dalla sofferenza. Urlò con tutto il
fiato che
aveva in corpo premendosi le braccia sul petto, e la sua voce ora era
del tutto
umana e infantile e, proprio per questo, terribilmente agghiacciante.
Macchiavelli
si sentì gelare il sangue. La sua umanità sussultò
dall’orrore e dalla rabbia.
Corse
verso Richard e lo afferrò per i polsi, l’aurea divampante che
continuava a attorcigliarsi intorno alle braccia del ragazzo. Contro
ogni sua
previsione, l’essere sorrise con una vena di follia sulle labbra e
nello
sguardo.
Niccolò
ormai lo aveva bloccato. Lo liberò dalla sua stretta, certo che
la sua aurea bastasse a tenerlo fermo, e mise le mani sulla Lancia.
Improvvisamente,
sentì le mani gelide. Il cuore cominciò a palpitare
più velocemente nel petto e un rivolo di sudore freddo scese lungo la
sua
schiena. Richard teneva ancora stretta la Lancia.
E
Machiavelli si sentì svuotato, non avvertì più la sensazione
famigliare dell’energia aurica sulla pelle e nella mente, sentì le
gambe cedere
e una pesante stanchezza piombare su di lui improvvisamente.
La
sua vista si appannò sotto il violento pugno alla mascella che
Richard gli rifilò l’istante dopo. Il ragazzo si voltò e tracciò linee
oblique
nell’aria con la punta della Lancia, mormorando una litania dai suoni
aspri.
Machiavelli vide il portale aprirsi rilasciando un fumo denso e
violaceo.
Facendo
appello a tutta la sua forza di volontà, e alla sua aurea che
iniziava solo in quel momento a rigenerarsi, si alzò da terra e con le
braccia
cristallizzate sotto a sottili volute di fumo grigio afferrò Richard
per il
petto e tese una mano verso la Lancia.
Richard
ringhiò, le iridi rosse di follia e rabbia, per un momento
sembrò che volesse tentare di morderlo. Dal portale proveniva un vento
che
sembrava spirare da tutte le direzioni. Richard evitò la mano
dell’immortale e
lanciò l’arma dentro il varco, poi dalla sua
bocca e dai suoi occhi scaturirono grossi filamenti neri e il
suo corpo
tremò tra le braccia di Machiavelli.
L’immortale
non riusciva a staccare gli occhi dal punto in cui la
Lancia era sparita, lo stesso varco da cui stava sparendo anche il fumo
nero che
usciva dal corpo del ragazzo.
L’essere
stava abbandonando il suo corpo, qualunque cosa fosse.
Senza
sapere cosa faceva, mosso da un istinto impregnato di una
lucidità dettata dall’arroganza, Machiavelli tese le braccia in avanti,
lasciando che Richard si accasciasse sulla sua spalla. Uno scudo aurico
grigio-bianco si frappose tra l’ultimo filamento nero e il portale.
Machiavelli
stava scaricando la sua aurea già compromessa facendo violenza a se
stesso,
raccomandandosi di non perdere la concentrazione e di resistere alla
tentazione
di lasciarsi cadere.
Il
sottile filamento di fumo nero tornò fluttuando nel corpo di Richard,
veloce e disperato. Il ragazzo cadde in ginocchio nell’esatto istante
in cui il
portale si chiuse e lo scudo aurico di Machiavelli evaporò.
L’immortale
non sentì l’impatto del suo corpo col terreno.
Ciao!
Anche questo è un capitolo abbastanza corto. Ma come mi è già successo
in
passato, non sono riuscita a mettere insieme due avvenimenti collegati
ma
essenzialmente diversi.
Ringrazio
tutti quelli che continuano a leggere questa long! : ) Grazie davvero!
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Capitolo 12 *** Ed è solo l'inizio ***
Ed
è solo l’inizio.
Quando
Machiavelli aprì gli occhi, il buio fu tutto quello che riuscì a
vedere. Non osò provare a muovere un muscolo, sentiva appena di avere
le
braccia e le gambe. Aprì la bocca per respirare meglio e al contempo
provò a
sentire il sapore e l’odore dell’aria, per capire dove si trovasse.
Presto
arrivò la consapevolezza di un pavimento gelido sotto ai
polpastrelli e si accorse di avere un forte mal di testa che gli faceva
pulsare
le tempie. Gli ci volle qualche secondo per riprendere completamente
lucidità,
ma dopo si guardò intorno e si stupì ancora di non trovare neanche un
minimo
barlume di luce.
« Ben
svegliato, italiano. »
Machiavelli
spalancò gli occhi e si mise in ginocchio, voltando di
scatto la testa verso il punto da cui proveniva la voce.
Una
voce che non poteva dimenticare.
«
Padrone… »
Machiavelli
tese le orecchie con un brivido freddo che disegnava la curva
della sua schiena insieme a qualche goccia di sudore gelido.
« Hai
fallito.» la constatazione di Aton rimbombò nell’ambiente e nella
testa dell’immortale. Machiavelli chiuse gli occhi e sentì una morsa di
terrore
puro attanagliargli le viscere.
Aveva
fallito. E ora, lo aspettava la punizione eterna o la morte. Se
Aton avesse anche scoperto che aveva lasciato fuggire Richard… come si
sarebbe
discolpato, cosa avrebbe potuto raccontare?
Non
aveva nemmeno abbastanza fiato da mettere insieme le parole.
I
ricordi cominciarono a mettersi in ordine nella sua mente e Niccolò
si sforzò di mantenersi lucido.
« La
Lancia di Odino… » cominciò, col respiro leggermente esitante « Assorbe
l’aurea. »
Non
riuscì a trattenere una nota d’accusa nel tono della voce. Il suo
padrone non gli aveva detto nulla riguardo a quel dettaglio. Come si
aspettava
che potesse portargliela se quell’oggetto, che tra l’altro poteva
toccare solo
lui in quel Regno d’Ombra, minacciava di ucciderlo?
Lui
non aveva la possibilità di cambiare corpo come l’essere che aveva
incontrato chissà quante ore prima. Spalancò gli occhi per un momento.
Ecco
perché non aveva sentito nessun tipo di aurea attorno al corpo di
Richard,
nemmeno un’aurea contaminata da qualcos’altro, niente.
Quella…
creatura, la
annullava nelle sue vittime.
Richard
era già morto.
Niccolò
si alzò in piedi sulle gambe tremanti.
« Non
mi aveva informato di questo dettaglio. » aggiunse, per incentivare
il suo padrone a rispondere.
« Non
lo sapevo. » ammise la voce vibrante di rabbia del suo Signore.
« Ora
che lo so, posso trovare un modo di… » la voce di Machiavelli si
affievolì, spenta da un ricordo improvviso.
«
Ebbene sì, Niccolò. » nel buio, Machiavelli poteva solo immaginare
che Aton ghignasse, ma ne rimase comunque irritato. « La creatura che
ha preso
il corpo del ragazzo umano è riuscita a far passare la Lancia nel suo
Regno
d’Ombra. »
Machavelli
strinse le labbra con rabbia crescente.
« Mi
dispiace molto per il tentativo fallito, Signore. » disse, ma il
suo tono fu più eloquente delle parole. Si capiva che non gli
dispiaceva
affatto ma in quel momento a Machiavelli non interessava. Sentiva un
insano
sentimento di rivalsa per quella situazione, un senso di ingiustizia.
Sapeva
solo che non era colpa sua e che non intendeva essere punito per aver
fallito
in una missione così… stupida, per
non essere riuscito ad ottenere quel simpatico giocattolino per il suo
padrone.
« Non
preoccuparti, Machiavelli. » rispose Aton, gelido. « Ti rifarai.
»
Machiavelli
si fece attento incrociando le braccia al petto. L’oscurità
cominciava a stancarlo.
Doveva
far affidamento solo sull’udito per sostenere quella
conversazione, quando gli sarebbe piaciuto poter vedere in faccia il su
interlocutore. Spesso era il miglior modo per svelare le cattive
intenzioni.
«
Puoi ancora recuperare Gungnir. »
« Non
vedo come. » disse secco Machiavelli.
«
Così. » disse Aton e un vento caldo si sprigionò dal nulla e
scompiglio i capelli di Machiavelli.
Un
angolo della stanza si illuminò. Due torce si accesero da sole e
simultaneamente, i fuochi verdi scoppiettanti e lievemente inquietanti.
Machiavelli distinse la sagoma del corpo di Richard e i suoi tratti
giovanili.
Il
ragazzo era sdraiato sul pavimento di pietra, supino, gli occhi
chiusi, pallido come un cadavere. In effetti, Machiavelli si stupì che
non lo
fosse.
«
Temo di non capire, padrone. »
« Mi
deludi, Niccolò. » rise Aton, ma tornò subito serio. « Sai cosa
hai fatto quando hai cercato di impedire che quell’essere ritornasse
nel suo
Regno d’ombra? »
Machiavelli
rimase in silenzio.
« Hai
smembrato il corpo senza aurea e immateriale di quella creatura,
e questa, non potendo superare la tua barriera, ha cercato di
sopravvivere ed è
rientrata nel corpo di Richard Anderson. »
Machiavelli
deglutì col cuore in gola, ma ora tutto gli appariva
chiaro. Ricordava vagamente di aver pensato ad una cosa del genere,
anche se
era accaduto tutto troppo velocemente in quel momento e lui non era
riuscito ad
avere un’idea completamente razionale di ciò che stava facendo.
« La
quantità dell’essenza dell’essere che si trova nel figlio degli
homines… » continuò la voce profonda di Aton. « è troppo debole per far
presa
sulla sua mente, troppo debole per uscire, ma abbastanza forte da
tenerlo in
vita. »
Machiavelli
non staccava gli occhi da Richard. Se non avesse percepito
il suo respiro, avrebbe davvero pensato che fosse morto. La sua aurea
non
esisteva più.
«
Questo vuol dire… » proseguì Aton, con un certo fanatismo nella voce.
« Che
lui potrebbe essere in grado di prendere la Lancia nel Regno
d’Ombra dell’essere che è dentro il suo corpo. » affermò mesto
Machiavelli.
«
Esatto. » confermò Aton con una certa esultanza.
«
Naturalmente… » riprese, dopo qualche istante di silenzio « Lo
condurrai tu. Dato che vi conoscete bene… »
Machiavelli
sentì un brivido gelido corrergli per la schiena. Il tono
di Aton si fece pericoloso e l’immortale lo sentì aprirsi in un’insana
e rauca
risata senza gioia.
«
Dovrei ucciderti seduta stante. »
Machiavelli
ne ebbe la conferma con un colpo al cuore: Aton sapeva che
aveva salvato il ragazzo.
«
L’ho usato per portare Dee dai Flamel. Per portare avanti la ricerca
del Codice degli Oscuri Signori, padrone. » disse l’italiano, cercando
di
apparire sicuro e fiero. E riuscendoci, probabilmente.
Aton
rimase in silenzio per parecchio tempo.
Machiavelli
aspettò prima di dire qualcos’altro. Lo lasciò riflettere
sulle sue parole.
« Dee
non ha detto nulla a riguardo. » affermò, con una lieve
esitazione. Machiavelli annuì.
« Non
mi sorprende» rispose, con un ghigno. « Ma i Veglianti lo
sapranno. »
Visto
che fate
spesso loro visita,
aggiunse col pensiero Machiavelli, potreste chieder loro
se davvero non sto mentendo.
Aton
intuì il suo discorso implicito. «Come sai tu dei Veglianti? » chiese,
gelido.
« Me
lo ha detto Alypion. Il tizio alato. »
E
Aton dovette ammettere la verità di ogni sua parola.
« Ha
funzionato, comunque? » chiese Machiavelli, capendo di essere fuori
pericolo con un sollievo che non avrebbe mai pensato di poter provare
con così
tanta intensità. « Dee ha catturato i Flamel? »
Aton
emise uno sbuffo divertito.
« No.
»
« Che
ingrato. » sorrise Machiavelli « Dopo tutta la fatica che ho
fatto. »
Se ci
fosse stato Dagon, avrebbe alzato i suoi enormi occhi al cielo.
Ogni tanto Machiavelli sentiva i suoi velati rimproveri nella testa.
Ma
l’immortale capì presto che era l’ora di tornare alle conversazioni
un po’ meno piacevoli.
« Lei
sa di che Regno d’Ombra si tratta? » chiese, riferendosi
chiaramente alla sua missione non ancora conclusa.
« Io
no… » rispose Aton. « Ma i Veglianti sì. E me lo farò dire. »
Machiavelli
immaginò che i Veglianti fossero così disperati da
rispondere a qualunque domanda senza esitazione, indipendentemente
dall’identità di chi gliela poneva, nella speranza di ottenere
abbastanza
consensi per comprarsi la libertà. Aton non avrebbe dovuto sforzarsi
molto.
«
Come sta il vostro emissario? » chiese l’immortale, stringendo appena
la presa delle dita sulla sua giacca. Ricordava di averlo visto
contorcersi a
terra dal dolore appena era stato sfiorato da Gungnir.
« I
miei emissari hanno dei tempi di ripresa molto ristretti. Raido non
fa eccezione, e ti seguirà nella tua missione. »
Machiavelli
ghignò. « Allora ce l’ha un nome. »
« Lui
non lo sapeva, quando glielo hai chiesto. » affermò neutro Aton,
quasi annoiato. « Do loro un nome solo per distinguerli, prendendoli
dalle
lettere di vari alfabeti umani. Ma non ritengo che sia saggio far
pensare loro
di aver una sorta di identità. »
Machiavelli
si augurò che Aton non potesse vedere la sua espressione di
sufficienza, sostituita in un secondo dalla solita fredda
impassibilità.
« è
potente… » constatò Machiavelli, sincero. Aveva sentito più volte
percepito la potenza del bambino immortale come degli spilli sulla
pelle.
Aton
lesse tra le righe la sua curiosità e decise, inspiegabilmente, di
soddisfarla.
«
Raido è uno dei miei sei servi migliori. » disse, ma non c’era
traccia d’orgoglio nella sua voce, né di qualunque altra cosa. « I loro
nomi
sono i primi sei segni dell’alfabeto runico. Ma solo due di loro lo
conoscono.
»
«
Perché a loro lo ha rivelato? » chiese Machiavelli.
Aton
rise brevemente.
« è
un regalo del loro Signore. L’unica cosa che desiderano. Quei due
miei servi hanno svolto molto bene il loro dovere, portandomi a molti
privilegi. »
« Non
serve altra ricompensa? » si stupì Machiavelli.
Nell’ombra,
Aton scosse la testa e l’immortale lo intuì dal fruscio
delle vesti che sentì col suo udito sviluppato.
«
Vivono per servirmi. » e Niccolò immaginò il suo sorriso scaltro.
Abbassò
lo sguardo sul vuoto, distogliendolo dalle torce e da Richard.
Non riteneva di poter vantare la solita fedeltà al suo padrone, e non
ne era
minimamente dispiaciuto. Inspiegabilmente, venire a conoscenza di
quelle
informazioni gli aveva fatto scivolare addosso un amara e velata
tristezza.
« Io
potrei dirglielo. » ammise.
« Non
avevo dubbi. » dichiarò Aton. « Ma non dovrai disturbarti. L’ho
già fatto io. »
Machiavelli
alzò la testa di scatto e sbarrò gli occhi, stupito.
«
Davvero? Perché? »
« Non
hai idea di quanti secoli siano che svolge ogni sorta di compito
per me. Inoltre… non hai nemmeno idea di cosa abbia dovuto superare per
portarti vivo da me. »
*
Quando
Raido era riuscito a tornare dal suo Signore, non era più quello
di prima.
Anche
al limite delle forze, aveva annientato una quantità di mostri
infernali che nessuno si sarebbe mai immaginato di poter trovare
riuniti nel
solito posto. Cercavano tutti la Lancia, e non trovandola, avevano
attaccato
lui, che aveva ancora il suo odore addosso. Machiavelli era svenuto e
inerme.
Raido
si era presentato dal suo Signore Aton seguendo l’istinto, ma non
sembrava essere in grado di riconoscerlo. La sua mente aveva mantenuto
saldi i
principi di alcuni specifici ordini – proteggi
l’italiano, sii fedele ad Aton, uccidi chi intralcia i tuoi piani-
ma per
il resto, dopo il contatto involontario con la Lancia tutto era
diventato più
confusionario e meno nitido. Il mondo intorno a Raido era avvolto dalla
nebbia
e dall’apatia.
Non
si sarebbe mai ripreso, probabilmente, se non avesse conosciuto il
nome che Aton gli aveva dato. Era stato un fattore decisivo. Piano
piano, i
ricordi erano tornati. E così l’essenza della sua personalità. Aton
aveva detto
che si era meritato il suo nome.
Da
quel momento, non riusciva a smettere di ripeterselo nella testa con
un sorriso folle di gioia.
*
Richard
si svegliò come in qualsiasi altro giorno. Si sentiva come se
avesse la febbre, ma niente di più anormale. Si rigirò su quello che
sembrava
un comodo materasso e si scoprì circondato da cuscini e ricoperto di
lenzuola.
La testa gli girava mentre si guardava attorno e per un attimo fu
stupito di
non riconoscere casa sua.
Un
brivido di paura lo fece quasi sobbalzare e il ragazzo si tirò a
sedere di scatto, il cuore che batteva all’impazzata.
Per
un secondo provò di nuovo a illudersi che tutto quello che era
successo fosse solo un incubo, ma anche con la vista un po’ appannata
riusciva
a capire che quelli non erano i suoi mobili, quello non era il suo
letto e le
pareti non erano dello stesso colore di quelle di casa sua.
Imprecò
mentalmente. Ogni più piccolo dettaglio dei suoi ricordi
tornava alla mente strisciando, incentivando se possibile il suo mal di
testa.
La
sua attenzione fu catturata da un profumo dolce e speziato, qualcosa
che sapeva di raffinato calore domestico.
Sembrava
quasi una… tisana?
«
Aspetta, Dagon, non trovo lo zucchero.» disse una voce, e Richard puntò
lo sguardo su una porta che prima non aveva notato. « Non ne sento
nemmeno
l’odore. »
« Non
lo sente perché non c’è. » rispose un’altra voce, più rauca e
profonda.
« Ma
ti avevo scritto di comprarlo. » ribatté la prima voce,
leggermente sospettosa.
« Mi
perdoni, signore. Non ho idea di cosa voglia dire. »
«
L’ho scritto nella busta! » sbottò la prima voce.
«
Quale? »
Richard
sentì un piccolo sbuffo rassegnato.
Poi
la porta si aprì. Richard vide entrare un dall’aspetto giovanile
nonostante i capelli bianchi che arrivavano a coprirli le orecchie. Il
suo
portamento era fiero e i tratti di bell’aspetto coperti appena da una
corta e
curata barbetta che gli incorniciava le labbra.
Gli occhi grigi avevano qualcosa di magnetico e ipnotico.
Portava
due tazze fumanti nelle mani.
Si
avvicinò al suo letto e gliene porse una. Richard la prese esitante,
senza staccare gli occhi dal volto dell’uomo.
«
Buongiorno. » gli disse affabile l’uomo, con un sorriso che sembrava
sembra sul punto di ghignare.
«
Buon… giorno. » mormorò Richard.
E improvvisamente lo riconobbe. Sembrava passato un secolo
dall’ultima
volta, e anche la prima, che lo aveva
visto. La tazza gli cadde quasi di mano.
Un’altra
figura fece capolinea dalla porta. E Richard, questa volta, la
riconobbe subito, spalancando gli occhi intimorito e dimenticando
perfino il
mal di testa. Dagon incrociò le braccia al petto, ponendosi dietro alle
spalle
dell’italiano cn il solito atteggiamento protettivo.
«
Calma, calma. » disse l’uomo, con una pacca sulle spalle di Richard.
« Nessuno vuole farti del male. Bevi. » aggiunse, accennando alla
tisana « Ti
farà bene. » e per dare l’esempio bevve un sorso della sua.
Storse
il naso con una smorfia di disgusto che cercò di dissimulare.
« Chi
siete? E stavolta voglio una risposta precisa, voglio la verità!
»
Richard
si stupì della sua stessa arroganza. La paura però gli aveva
lasciato addosso una sorta di forza inaspettata, o forse una parte di
lui
sapeva che oramai ne aveva passate così tante in quei pochi giorni che
il
bisogno di sapere poteva spingerlo a fare qualunque cosa.
«
Questo è Dagon, una specie di… demone marino. Non viene dal nostro
mondo. » disse l'uomo dagli occhi grigi, accennando col pollice alle sue spalle dove il suo
servitore
osservava Richard con gli occhi coperti dagli enormi occhiali a
specchio.
Richard
non fu stupito di trovarlo di nuovo al fianco del tizio dai
capelli bianchi. Sapeva, in qualche modo, che tutto ciò che gli aveva
raccontato durante il loro ultimo incontro era una menzogna.
Bevve
con una sorta di rassegnata eccitazione un sorso della sua
tisana. La trovò dolce al punto giusto. Ma decise di non farlo troppo
notare.
« Io
invece… » continuò l’uomo e tese la mano verso di lui. « Mi chiamo
Niccolò Machiavelli. »
Richard
annuì, ancora stordito.
«
Come il politico. Quello italiano. » disse, distrattamente.
Machiavelli
ghignò, distendendo il suo sorriso.
« Sì,
come lui. »
«
Cosa volete da me? » chiese ancora Richard, sulla difensiva.
Machiavelli e Dagon si scambiarono uno sguardo. Poi il primo sospirò
con un
sorriso sarcastico.
«
Sarà una lunga conversazione. » commentò, guardando in viso il
ragazzo « Tu cerca solo di non svenire. »
Nda: mentre
scrivevo questo capitolo mi
sono resa conto che era quasi indispensabile conoscere quelli
precedenti, per i
Veglianti e per… lo zucchero di Dagon e Machiavelli XD. Se qualcosa non
è
chiaro, chiedete pure. E se qualcosa non vi piace, fatemelo notare.
A proposito… ho un
dubbio atroce. A qualcuno
ha dato fastidio il nome dell’emissario?
Grazie infinite a
chi è arrivato eroicamente
fino a qui, e scusatemi per il capitolo corto.
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