Sopportare di questi tempi, è tutto quello che possiamo fare

di Salmcroe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sopravvivere di speranza ***
Capitolo 2: *** Sogni agitati ***
Capitolo 3: *** Grazie signor Dixon ***
Capitolo 4: *** Una nuova casa ***
Capitolo 5: *** In esplorazione ***
Capitolo 6: *** Agguato ***



Capitolo 1
*** Sopravvivere di speranza ***


 

 

Parte prima sopravvivere di speranza

 

Era ancora lì, accasciata sulle rotaie. Teneva un braccio stretto attorno alla vita, dove dal taglio il sangue usciva copioso colorandole di rosso la canotta scura, e lasciandole un ombra sulla pelle pallida. L'altro braccio era alzato, per tenere la mano premuta sulla bocca, ad attutire i singhiozzi. Le dita bagnate dalle lacrime, il sollievo che le dava il ferro a contatto con la pelle, cercava un qualsiasi dettaglio che la distraesse da quello che le accadeva attorno, ma non poteva evitare di ascoltare. Le giungevano forti e chiare le voci che poco distante da lei discutevano, sempre più animatamente, sempre meno rassicuranti.

Glenn guardò l'altro furioso, non riusciva a mettere a fuoco la situazione. Tutto gli sembrava così assurdo, così insensato. Quella situazione non poteva essere reale, non voleva crederci.

Deciso, sulla difensiva, Daryl rispose al compagno. -Non ho nulla da giustificare a te. -

-Ti sbagli, tu devi, è solo una ragazzina Daryl!- L'arciere gettò a terra la sua arma, tirò un calcio alla terra, e velocemente annullò la distanza che durante tutta la discussione l'aveva separato da Glenn. Puntando furioso le iridi blu negli occhi scuri che aveva difronte ormai, agguantò la maglietta dell'amico, strattonandola verso l'alto. -Non è una ragazzina- sussurrò al volto dell'amico, che ormai non lo guardava più furioso, ma solamente sorpreso -E soprattutto, non è più una tua responsabilità. -

 

 

3 settimane prima

Il fuoco crepitava appena, e l'odore della carne le stava dando la nausea. La tastò appena con le dita, ma proprio la fame non voleva arrivare. Sentiva Daryl poco distante da lei spolpare con gusto le ossa dal pezzo di carne di serpente che stringeva tra le dita unte. Almeno a lui sembrava piacere.

Da quando si erano separati dal resto del gruppo si sentiva perennemente nel posto sbagliato, ed il suo compagno di sventura di certo non cercava di migliorare la situazione, con lunghi silenzi e quel fare burbero. Ma Daryl era così, e Beth lo sapeva, neanche lei aveva tentato nulla per cambiare le cose.

In quel momento però il silenzio le riempiva la testa, si sentiva l'odore di carne bruciata addosso e tutto quello che voleva era distrarsi per quanto fosse possibile. Preso coraggio, si voltò verso l'altro, - Daryl. - spostò gli occhi su di lei - Vorrei tanto bere. - non sapeva bene il perché, suo padre si era sempre battuto per impedirle di toccare alcolici, e lei non aveva mai avuto nulla da ridire a riguardo. Ma suo padre era morto, e il mondo andava a rotoli. -Tieni. - rispose l'uomo lanciandogli la bottiglietta di plastica che aveva a fianco. -Non voglio bere acqua - disse alzando di poco la voce, sperando che trapelasse però almeno un po' della sua irritazione. -Beh, abbiamo solo quella. - riprese ad addentare il serpente, togliendosi di tanto in tanto un ossicino sottile dalla bocca, lanciandolo lontano con le dita sporche. Beth rimase a guardarlo, aspettando una qualche reazione allo sguardo furioso con cui lo stava trafiggendo, anche solo una battuta, un'occhiata, un alzata di spalle, ma niente. Sembrava che si fosse dimenticato della sua presenza. Allora, afferrato il coltello e con uno sbuffo, la ragazza si alzò, strinse i capelli in una coda stretta e si addentrò tra il fitto della vegetazione che li circondava, attenta a non fare rumore, decisa a lasciarsi alle spalle l'indifferenza di Daryl.

Era tardo pomeriggio, e l'aria cominciava a rinfrescarsi.
Camminava da dieci minuti buoni, quando un gruppo di cinque zombie le si parò difronte. Si bloccò spaventata, poi, ripreso il controllo di sé, veloce si accucciò dietro un albero, per cercare di capire come uscirne. Scappare non sarebbe servito se non fosse riuscita a distrarli, e di pietre o legni per fare rumore non ne vedeva attorno a lei. Avrebbe potuto affrontarli, non voleva una qualche distrazione? Perchè no, infondo aveva il suo coltello, poteva cavarsela. Dunque allungò la mano allo stivale e ne trasse l'arma. Respirò a fondo, ad occhi chiusi, concentrata sui rantoli degli erranti che nel frattempo si erano avvicinati, facendo più rumore di quanto bastasse per attirarne altri. Beth saltò fuori dal suo nascondiglio, trovandosi difronte ad un corpo zoppicante, che le veniva incontro a fauci spalancate. Spostò decisa il braccio sopra la testa, ma prima che potesse calare il fendente mortale, una freccia aveva trapassato il cranio dell'essere, dritto in mezzo alla fronte. Questo cadde avanti, e per poco non finì per schiacciare la ragazza, che si spostò a sinistra con un movimento fluido. Non c'era tempo di vedere da dove la freccia fosse arrivata, quindi avanzò avvicinandosi al secondo zombie. Pronta colpire di nuovo, teste il braccio, ma l'unico cosa che la lama riuscì a colpire fu l'aria. Un'altra freccia. Ora più irritata di prima, con sole due falcate raggiunse il terzo, che cadde morto ancora prima che lei riuscisse a guardarlo meglio occhi vacui. Girò la testa, fu colpito anche il quarto, poi il quinto, sempre dalle frecce nere, sempre un colpo preciso al centro della fronte. Si sentiva ribollire il sangue, possibile che la credesse così incapace da non saper abbattere da sola un paio di erranti?! Possibile che dovesse sempre trattarla da bambina? Non si preoccupò del tono di voce quando chiamò irritata l'uomo, invitandolo a raggiungerla. -Daryl! Daryl! - avanzò di un passo, riuscendo a vederlo, poggiato al tronco sottile di un alberello, le braccia incrociate, la balestra ai suoi piedi. -Che cazzo ti dice il cervello, eh? Potevo farcela da sola! - Sbuffò -Certo, potevi farcela da sola a farti ammazzare! - Beth capiva che cominciava anche lui ad irritarsi. Meglio, finalmente avrebbero avuto una discussione vera e non a senso unico, la prima da giorni. -Qual'è il tuo problema? Scusi signor Dixon se non sono una grande arciera scuoiatrice di serpenti come lei! Mi dispiace se cerco di essere ottimista e di credere che tutte le persone a cui teniamo non siamo morte! Mi dispiace che tu sia così ottuso da non vedere che io sopravvivo anche di speranza, e non solo di caccia e saccheggio! - Aveva sputato quelle parole con tanto odio addosso all'uomo che sembrava fossero veleno. Lo aveva colpito, dicendo quelle cose, ma a quanto pare non abbastanza, perché ribatté urlando anche lui, sporgendosi in avanti, guardandola dritta negli occhi. -Sopravvivi talmente tanto con queste stronzate della speranza che mi hai appena chiesto dell'alcool! Cosa c'è, il mondo è un posto troppo crudele ora per la piccola Green che anche lei vuole abbandonarsi a certi vizi?! Fammi il piacere ragazzina, lascia queste cose agli adulti. - Daryl raccolse la balestra ai suoi piedi, e voltò le spalle alle ragazza. Ancora immobile, lo guardava andare via. -Non credevo fossi un figlio di puttana così stronzo Daryl Dixon! - Le lacrime cominciavano a velarle gli occhi, ma lei lottava per ricacciarle indietro, e per non far cedere la voce. Le rispose -Si, beh, mi dispiace averti deluso. -

Si lasciò sfuggire un singhiozzo soffocato, e cercò al più di ricomporsi. Armata solo del suo coltello, girò le spalle alla direzione in cui se n'era andato il suo compagno, proseguendo sola.

 

Tornato all'accampamento improvvisato Daryl spense il fuoco che ancora bruciava, raccolse le sue cose, incartò la carne rimasta ed infilò tutto nella sacca nera dove mettevano le provviste. Staccò i fili con i cerchioni che avevano usato di protezione, slegandoli dai tronchi. Aveva preparato tutto, ora doveva solo scegliere da che parte andare. Sud, ovest, est. Sospirò rumorosamente, -Coglione. - si disse. Caricata in spalla la balestra, e sull'altra la sacca, armato di tutta la calma e la pazienza di cui era a disposizione, alla fine si incamminò verso nord, per raggiungere Beth.

 

 

 

 

Okay, salve a tutti. Spero che questo primo capitoletto vi abbia incuriosito almeno un po'.... Ho intenzione di scrivere abbastanza capitoli per questa storia, quindi confido la seguiate in tanti :) I primi capitoli saranno introduttivi, anche perché credo che questi due poveretti siano dei personaggi belli complessi, e vorrei rimanere il più possibile vicino al carattere che hanno nel telefilm, non sarà semplice ma posso provarci. Sarei felicissima di sapere cosa ne pensate, grazie dell'attenzione. Alla prossima! :)

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Capitolo 2
*** Sogni agitati ***


Parte seconda sogni agitati

 

 

Dopo un'ora passata a correre tra alberi ed arbusti, Beth Green era già stanca, affamata e indolenzita. Aveva trovato riparo tra due cespugli, che sperava l'avrebbero nascosta nel caso un errante si fosse spinto in quella zona. Ora era lì, sdraiata sull'erba, a cercare di controllare il respiro, osservando come la luce del pomeriggio si spegneva, e rideva da sola, pensando che se Daryl l'avesse vista così avrebbe anche lui riso di lei. Forse non aveva tutti i torti, forse non era fatta per stare in solitario. -Stupido... stupido che si preoccupa per nulla...- si ripeteva tra un respiro affannoso e l'altro. Si voltò su un fianco, con le mani unite sotto la testa a farle da cuscino, e l'odore di terra e muschio che le riempiva i polmoni. In effetti l'aveva fatto per proteggerla. Avrebbe dovuto prendersela meno con lui, dargli dello stronzo figlio di puttana era stato un po' esagerato, ma sembrava si divertisse a farle perdere la pazienza. Ripensare al fatto che per così poco fosse letteralmente scappata via da lui, la fece sentire stupida. Una scocca ragazzina, come ultimamente l'avevano chiamata troppe volte.

Non riusciva a sbrogliare tutti i pensieri che aveva in testa, troppo confusa, arrabbiata e stanca, così prendendo tra le dita chiare l'impugnatura del coltello, chiuse le palpebre che neanche si era accorta fossero diventate pesanti, abbandonandosi ad un sonno leggero ma tranquillo.

Era già buio e l'aria molto più fresca e umida rispetto a quel pomeriggio. Beth ancora nascosta, dormiva col viso coperto dai riccioli biondi. Sembrava così tranquilla, così piccola accucciata sull'erba. Per Daryl era stato facile seguire le tracce che si era lasciata dietro, e quindi trovarla, in quell'angolino nascosto dai rami dei cespugli. Era stata furba a non rimanere allo scoperto, a cercare quanto di più simile ci fosse al loro precedente accampamento. L'uomo pensò per un momento che davvero avrebbe potuto cavarsela da sola, ma il pensiero fu subito cacciato via. Era Beth, doveva proteggerla , anche se forse a lei non stava più bene questa situazione.

Daryl si accorse di essere rimasto a guardarla nel frattempo, immobile in piedi, ed imbarazzato decise di mettersi poco distante da lei, sempre al riparo dietro ai cespugli. Si sedette ai piedi di uno dei più robusti, con la balestra poggiata di fianco a lui sul terreno morbido, un freccia già incoccata, pronta in caso servisse. Così rimase sveglio tutta la notte, impegnandosi di tanto in tanto a centrare scoiattoli, merli, conigli con pietruzze appuntite, ad intagliare qualche bastone da usare come freccia, ad osservare Beth che ancora dormiva, a pensare. Pensava a dove sarebbe stato un buon posto per cacciare lì vicino, a come evitare un'altra litigata, a dove riempire le borracce, a come chiederle scusa.

 

Sognava di suo padre e sua madre Annette. Stavano alla fattoria, il mondo era un posto tranquillo, i vivi erano felici, i morti rimanevano tali.

Sentiva la voce di sua madre, dolce e calda che le cantava canzoni allegre, e lei ballava zampettando sulla gambine tozze, rideva ricordandosi quegli occhi chiari che la guardavano, e stingeva le mani calde con le ditina grassocce*. Continuava a saltare, muoversi, e la voce la raggiungeva sempre più lontana, sempre meno calda e familiare. In un attimo i piedi non toccavano più il parquet caldo del salotto soleggiato, ma il terreno freddo, duro. Pochi fili d'erba, solo terra e ghiaia, e la voce se n'era andata, ora del tutto, lasciandola avvolta dal silenzio. In poco dei rantoli concitati, avevano sostituito la quiete. Si voltava, prima a destra poi a sinistra ma non vedeva nulla, non capiva da dove arrivassero. Cominciò ad agitarsi, muovendosi sui piedi nudi, graffiandosi ad ogni passo, voltandosi indietro, alzando la testa, voltandosi di nuovo. Si strinse le braccia attorno al corpo, forte, spingendo le dita contro la pelle delle spalle, tanto che le nocche ed i polpastrelli diventarono bianchi, poi eccolo, difronte a lei. Il legno annerito dalle fiamme, l'entrata spalancata. Da lì arrivavano i rumori, e subito capì cosa avrebbe visto uscire da quel fienile dolorosamente familiare, che sapeva troppo di casa. Zoppicante, avvolta ancora nel suo vestito lavanda, Annie avanzava verso di lei, con gli occhi morti e la bocca spalancata, non più per cantare le canzoni che tanto amava, ma solo per azzannare. Dietro di lei altri uscivano, sbattendo le palpebre di pelle morta di fronte alla luce. Prima un uomo, dalla barba bianca incolta, completamente ricoperto del sangue che Beth sapeva fosse il suo. -Papà..- si sentì sussurrare. Lo seguiva un ragazzo, dai ricci scuri e le spalle larghe, Zach, poi Sophia, Maggie, Glenn, T-Dog, Lori, Carl. Non sopportava quella visione, non poteva pensare che tutte le persone a cui voleva o aveva voluto bene finissero così, non poteva farcela da sola, con tutta quella sofferenza, quel dolore. Ora era a terra, caduta con le ginocchia sulle pietruzze che coprivano il cortile. Sentiva la testa leggera e pesante al tempo stesso, le braccia ancora avvolte attorno a sé e le mani fredde ferme sulle spalle. Degli ultimi rantoli la raggiunsero, e quando alzò gli occhi sull'entrata del fienile, sentì le lacrime che salivano calde, pronte a scendere copiose. Malfermo sulle gambe morte, avanzava verso di lei. Affamato, attirato dal suo odore. Quando fu talmente vicino che lei riuscì a specchiarsi nei suoi occhi, e non vi trovò più il blu che ormai le sembrava tanto familiare, finalmente le lacrime caddero a rigarle le guance. Si sentì sussurrare -Daryl, no..- 

poi le fu addosso, e sentì solo le sue stesse urla.

 

Beh, buongiorno! Come andiamo? Anche oggi un capitolo non troppo impegnativo. Prometto che dal prossimo la storia comincerà a delinearsi un tantino di più, quindi non odiatemi <3 Ehm... ecco spero che vi sia piaciuto, conto di leggere qualche recensione, ne sarei infinitamente contenta :) Spero non ci siano più problemi col testo (dialoghi) come per il capitolo precedente, mi hanno fatto notare (a proposito ancora grazie mille di avermelo detto).. un bacio alla prossima!

** inizialmente nel sogno Beth vive un ricordo, dove la madre è viva, e lei è ancora una bambina (gambine tozze, dita grassocce..) , mentre quando si ritrova nel cortile è la lei attuale... Volevo solo chiarire questa cosa, grazie dell'attenzione, non vi annoio oltre ;)

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Capitolo 3
*** Grazie signor Dixon ***


Parte terza Grazie signor Dixon

 

Si era fatta l'alba, ma il sole era per lo più coperto da bassi nuvoloni grigi che promettevano pioggia. Daryl era rimasto sveglio, Beth aveva cominciat0 ad agitarsi nel sonno da qualche minuto. Non poteva vederle il volto, coperto dai lunghi capelli, ma la sentiva respirare quasi affannosamente. Vedeva come stringeva le dita attorno all'impugnatura del coltello, e avendo fatto inizialmente finta di niente, cominciò a preoccuparsi. Magari stava male. Forse stava solo sognando. Aspettò qualche altro minuto, e quando vide che ancora non si era calmata si avvicinò attento a non fare troppo rumore. Le si accucciò affianco e toccandole piano i polsi sentì come sotto le dita la sua pelle fosse bollente. -Cazzo..- imprecò silenziosamente, poi una volta alzatosi ed agguantata la bottiglietta d'acqua nella sacca nera delle provviste si esaminò le tasche, alla ricerca di un qualsiasi pezzo di stoffa da usare. Trovò il suo fazzoletto nero, se lo ripiegò nelle mani e vi versò sopra dell'acqua. Ritornato da lei, poggiò la bottiglietta a terra, allungò la mani verso la spalla e la scosse. -Beth..- la chiamò, ma lei ancora respirava pesantemente senza aver aperto gli occhi. -Beth- la chiamò ancora, a voce più alta, scuotendola con maggiore forza. Di scatto si tirò a sedere, in un turbinio di riccioli biondi. Aveva alzato il braccio e con il coltello stretto in mano aveva puntato la lama dritto alla gola di Daryl.

 

Per un secondo l'uomo non riuscì a capire cosa fosse successo, aveva trattenuto il respiro percependo il movimento rapido della ragazza. In realtà avevano smesso di respirare tutti e due. Lui non riusciva a guardarla negli occhi, i capelli le ricadevano arruffati davanti alla faccia, ed era convinto che neanche lei sapesse verso chi teneva puntata l'arma. -Ehi, ragazzina, - disse -Ti conviene togliermelo da davanti. - Sentì Beth riprendere a respirare, sempre affannosamente, come se avesse fatto una lunga corsa e si fosse fermata solo ora, dopo chilometri e chilometri. -Daryl?- chiese con voce sottile, -Daryl?- ripeté incredula, spostando il braccio da davanti a sé per riportarlo dritto lungo il fianco. Con l'altra mano si spostò i capelli da davanti alla faccia, e Daryl poté vedere come le si fossero arrossate le guance, come gli occhi chiari fossero lucidi, febbricitanti. Prima che lui potesse dire alcunché, lei aveva lasciato cadere il coltello sul terriccio e gli si era avvicinata per stringerlo con le braccia sottili. Posò la fronte calda sulla sua spalla. -Mi dispiace essere andata via così, mi dispiace talmente tanto. Sono stata una sciocca, non riuscirei mai a sopravvivere da sola ti prego scusami...- parlava veloce, quasi non staccando una parola dall'altra. Daryl preso alla sprovvista non poté fare altro che stringerla anche lui un secondo, per prenderle poi le spalle e allontanarla quanto bastava per guardarla in faccia. -Beth hai la febbre, ora devi sdraiarti...- le disse spingendola di nuovo a terra, e posandole sulla fronte il fazzoletto bagnato prima che potesse replicare. Ancora un po' a disagio, l'uomo si alzò in fretta, recuperando una coperta e un telo di plastica dalla solita borsa nera per porgerli entrambi alla ragazza. Con un cenno della testa le indicò l'acqua accanto a lei, e silenzioso si addentrò nel bosco per procurarsi la cena.

Due ore dopo, aveva fatto ritorno, portandosi come bottino due grossi conigli. Li teneva per le zampe posteriori, facendoli oscillare ad ogni passo. La caccia lo rilassava da sempre, era l'occasione perfetta per ritagliare un po' di tempo per se stesso, schiarirsi le idee o non pensare assolutamente a niente. Insomma, quando poteva era ben felice di potersi addentrare solo nei boschi, e specialmente quel giorno gli era tornato utile. Aveva pensato a parecchie cose che da troppi giorni cercava di evitare: la fine che potevano aver fatto tutti gli altri, se fossero morti o vivi, cosa ne sarebbe stato di lui e Beth... Ma ogni domanda fu messa da parte quando superando i cespugli si ritrovò difronte alla sua compagna.

Era seduta sul telo di plastica che le aveva dato, totalmente avvolta nella coperta. I capelli se li era raccolti in una coda disordinata, da cui più ciocche sfuggivano andandole ad incorniciare il volto accaldato. Appena lo vide, gli rivolse un sorriso stanco. -Sei stato via molto.. - disse facendo capolino con una mano dalla coperta, alla ricerca della bottiglietta d'acqua che stava accanto a lei. -Ho preso due conigli. Come stai? - le chiese avvicinandosi e posandole una mano sulla fronte. Beth alzò gli occhi fino ad incontrare i suoi -Fa freddo Daryl. - lui ritrasse la mano, improvvisamente trapassato da quelle iridi chiare. -Merda la febbre si sta alzando. Dobbiamo trovare un posto dove passare la notte, e forse anche qualche giorno, almeno finché non starai meglio. - concluse. Il problema era che non aveva trovato edifici di alcun genere nei dintorni. -Riesci a camminare?- chiese dandole le spalle mentre cercava qualche residuo di medicinale nella borsa nera. Nulla. -Si, dovrei farcela..- gli rispose. Annuì, e alzata la testa cercò di calcolare che ore fossero. Data la posizione del sole, doveva essere la una del pomeriggio, perfetto, se fossero partiti subito avrebbero avuto almeno mezza giornata per trovare un posto per la notte.

Daryl raccolse le loro cose, tornò al ruscello poco distante per riempire bottigliette e borracce, ed infine si accorse di Beth, ancora seduta a terra stretta nella sua coperta. Le offrì la mano, a cui lei si appese per tirarsi su non con poca fatica. Una volta in piedi, rischiò di cadere di nuovo a terra, ma l'uomo fu veloce ed in un secondo le fu affianco per sostenerla. -Riesci a camminare benissimo, eh?! - le disse sbuffando. -Ahh, sta zitto!- fu la risposta. Lui sentiva come Beth gli si stava aggrappando addosso, ed una volta che fu sicuro che se l'avesse lasciata sarebbe rimasta quantomeno in piedi, le fece scivolare via il braccio da attorno alla vita per recuperare la balestra e la sacca nera. Si sistemò entrambe sulle spalle, poi tornò dalla ragazza. Aveva l'impressione che la febbre si stesse alzando ogni secondo di più, così, cosciente di dover trovare un riparo quanto prima, si mise davanti a lei e si voltò di spalle. -Avanti, sali. -

-Sali? Salire dove?- sbuffò -Avanti non farmi perdere tempo, non ce la fai a camminare. - Lei incrociò le braccia al petto e alzò il mento -Posso farcela. - Daryl si voltò a guardarla, era così orgogliosa, così testarda tante volte, che lui non poteva fare altro se non perdere la pazienza. -Dio santo, stai male, guardati a malapena ti reggi in piedi! Ora muoviti o ti lascio qui. - si voltò di nuovo, e con cautela lei gli saltò sulla schiena, allacciandogli le gambe attorno alla vita, tenendo le mani piegate davanti, al caldo sotto la coperta. Gli si era accucciata tra le spalle quando piano Daryl la sentì sussurrare, -Grazie signor Dixon..- , poi si addormentò.

 

Oookay, salve a tutti! Nuovo capitolo, nuova situazione. Beth malata, Daryl occupato a far sopravvivere entrambi. Direi abbastanza verosimile, e sicuramente un buon punto per trovare nuovi modi di proseguire... Aggiornerò presto, promesso, nel frattempo sarei felicissima di leggere altre recensioni, per sapere cosa ne pensate, magari anche per farmi sapere cosa credete succederà più avanti.... quindi un bacio, spero leggiate in tanti anche questo episodio della storia :) al prossimo!!

 

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Capitolo 4
*** Una nuova casa ***


Parte quarta una nuova casa

Solo verso sera, dopo aver passato ore a camminare senza sosta, Daryl vide aprirsi davanti a loro un piccolo spiazzo erboso, al cui centro un vecchio capanno minacciava di cadere a pezzi da un momento all'altro. Fu abbastanza per far svuotare i polmoni affaticati dell'uomo in un sospiro di sollievo, e se avesse creduto all'esistenza di Dio, l'avrebbe di certo ringraziato.

Non senza qualche difficoltà riuscì ad imbracciare la balestra prima di uscire dal folto della vegetazione che circondava la casetta, voltandosi prima a destra poi a sinistra, girandosi in direzione di ogni suono che percepiva. Camminava piano tra l'erba talmente alta da arrivagli ai fianchi, e la sentiva pizzicare sulla mano con cui stringeva la gamba di Beth, immobile e silenziosa sulla sua schiena come lo era stata per tutto il tempo. Una volta constatato che almeno il prato fosse sgombro di zombie o altro, Daryl raggiunse la veranda del capanno. Le assi marce scricchiolavano sotto il peso suo e della ragazza, a altrettanto fece la porta, quando l'uomo vi battè sopra il pugno. Nessun rumore dall'interno. Apparentemente era vuoto. Abbassò allora piano la maniglia e con un piede spalancò l'entrata. Il puzzo di aria stantia e polvere lo avvolse facendogli lacrimare gli occhi e strappando qualche lamento alla sua compagna che sbattè un paio di volte le palpebre, tornando però ben presto a sonnecchiare. Entrarono con molta calma,una volta constatato che fosse libero da eventuali zombie, e Daryl osservò le pareti che lo circondavano, ricche di fotografie appese in rovinate cornici di legno, articoli ritagliati da giornali vecchi di chissà quanto, disegni di bambini... Era una visione strana, un grande ammasso confuso di roba racimolata probabilmente in anni. Girandosi vide al centro della stanza tre alte file di scatoloni che occupavano la maggior parte dello spazio, oltre ai quali si intravedevano due porte. Nella stanza dove si trovavano ora, probabilmente una sottospecie di salottino, l'uomo notò con sollievo un divano addossato ad una delle pareti. Vi si avvicinò, e torcendo il busto in una strana manovra tutt'altro che semplice, riuscì a farsi scivolare Beth tra le braccia. La depositò sui cuscini polverosi, che sobbalzarono accogliendo il suo peso. Gli posò velocemente le dita sulla fronte constatando che la febbre non era né salita né scesa da quella mattina, e guardandola per un secondo, valutò se fosse una buona idea lasciarla lì mentre lui ispezionava il resto del capanno. Quasi scattando si lasciò scivolare dalla spalla la sacca nera che cadde a terra con un tonfo sordo, attutito dalla stoffa logora di un tappeto di cui non si riusciva a capire neanche più il colore, e prima che potesse ripensarci si allontanò per controllare il resto delle stanze.

La prima porta si aprì su una piccola stanzetta dove ci si poteva stare a malapena in due, corta e stretta, conteneva una credenza, un frigorifero, un forno ed un piano cottura probabilmente vecchi di venti o trent' anni. Il gas andava, e la credenza era piena di lattine, scatole di cereali e barattoli vari. Daryl uscì soddisfatto, e recuperando da terra la balestra, aprì la seconda porta. Dietro, una stanza illuminata solo dalle sottili lame di luce che le imposte chiuse lasciavano passare.

Il silenzio avvolgeva l'uomo mentre da una tasca del gilet in pelle estraeva, stringendolo tra due dita, l'accendino argentato che portava sempre con sé. Impugnava con una mano il metallo freddo della balestra, il dito pronto sul grilletto; l'altro braccio disteso in avanti, per illuminare il più possibile con la luce fioca e ondulata della fiammella, che gli riscaldava appena i polpastrelli ruvidi. Passo dopo passo si stava inoltrando nella stanza, tenendosi a ridosso della parete, cominciando a scorgere i primi profili dei mobili, il colore chiaro della carta da parati a righe. Sotto i suoi piedi venivano calpestati o schivati tutti gli oggetti ed i materiali che qualcuno doveva aver tolto da mensole e cassetti, sradicando dai muri i pannelli di legno che li ricoprivano. Era a metà della stanza, immerso nell'osservazione di quel caos, quando dei rumori lo distrassero facendolo voltare bruscamente. Fu per un attimo disorientato, poi ecco di nuovo, dei rantoli. Rantoli prodotti da una voce sottile, e colpi di tosse, tanto forti da poter far credere che i polmoni di quella persona fossero in fiamme. -Ehi!- nessuna risposta. -Beth tutto bene?- aveva alzato la voce, per cercare di farsi sentire tra un lamento e l'altro. Con l'accendino ad illuminare quello che aveva difronte era tornato sui suoi passi, verso la porta, passando con agilità attraverso quel percorso ostacoli che era il pavimento. -Cristo..- imprecava mentre, buttata sulla schiena la balestra, riuscì con la mano libera ad afferrare la maniglia della porta, ed usandola per tirarsi su arrivò con un solo balzo alla soglia della stanza.

Accadde tutto troppo velocemente perché potesse fare qualcosa. L'anta dell'armadio adiacente all'uscita si spalancò, in un silenzio sorprendente per i cardini arrugginiti che la tenevano attaccata ancora al mobile, e Daryl sentì prima le dita morte stringergli la carne della spalla, e solamente dopo i rantoli che avevano riempito l'aria.

 

 

Il cuore si fermò per un secondo al centro del petto. L'uomo girò la testa quanto bastava per riuscire a vedere con la coda dell'occhio la testa dello zombie avventarsi sul suo braccio scoperto, e poco prima che i denti marci gli toccassero la pelle si scansò, buttandosi con la schiena addosso alla porta. Il non-morto si ritrovò così ad azzannare l'aria, ostacolato dai suoi stessi movimenti a scatti. L'uomo allungò il braccio verso la fascia che gli teneva la balestra appesa alle spalle, ma questa era rimasta bloccata tra la maniglia e la porta stessa. Lo zombie si voltò verso di lui, fissandolo con gli occhi vacui, mentre strattonava la sua arma ancora e ancora nel tentativo di disincagliarla, ma nulla, le cerniere che tenevano il battente saldo sul suo telaio in legno cigolavano al ogni sollecitazione dell'arciere, che tra una bestemmia ed un'imprecazione si ritrovò nuovamente troppo vicino al corpo putrefatto che stava tentando di divorarlo. Il puzzo di marcio gli riempì le narici quando le fauci si spalancarono, e le dita dalle unghie frastagliate si soffermarono sul suo collo, fredde ed umide come carne cruda a contatto con la pelle. La reazione fu immediata, dopo un ultimo strattone alla porta, la balestra fu lasciata lì; Daryl afferrò la testa dell'errante sentendone la pelle viscida che la ricopriva scivolare via, togliersi come una patina dall'osso bianco che avrebbe dovuto nascondere. Lo spinse il più lontano possibile, mentre rantolava furioso ed affamato, graffiandogli il collo dove sotto la pelle sottile le arterie pulsavano il sangue ad un ritmo instabile. Si aiutò piantando un calcio in pieno petto all'essere, che venne spinto via, dando così il tempo all'uomo per allungare la mano nella parte interna del gilet, da cui estrasse il suo coltello. In un attimo fu in piedi, e con rabbia calò il fendente mortale al centro del cranio dello zombie.

Il sangue scuro gli schizzò sul volto, in tante piccole goccioline bollenti, ma nemmeno se ne accorse, e dopo il primo colpo ne sferrò un altro, un altro, ed un altro ancora, poi lasciò finalmente cadere il corpo del morto sul pavimento.

Uscì dalla stanza in silenzio, scavalcando il cadavere, ed accompagnando la porta che tra i cigolii di protesta si chiuse solo dopo avergli dato una sonora botta.

L'uomo andò nella cucina, fece cadere sul pavimento la balestra senza troppa cura, ed aperto uno sportello a caso trovò un barattolo contenente del liquido trasparente, vi si bagno un dito e portatoselo alla bocca lo ripulì. Raccattò un panno malconcio, glielo versò sopra finché non ne fu zuppo, e se lo premette sul collo proprio dove dei graffi poco più che superficiali iniziavano a colorarsi di rosso. L'alcool bruciava sulle ferite, ma il dolore causò solo un lamento soffocato a Daryl, che fu distratto nuovamente dai colpi di tosse di Beth.

Tornò nel salotto, dove due occhioni chiari lo aspettavano carichi di preoccupazione. Beth era in piedi e veniva verso di lui, avvolta nella coperta, con i capelli spettinati che le facevano risaltare il rossore alle guance. -Ti ho risposto, poi ho sentito i rantoli e mi sono alzata....- disse come per scusarsi, ma si bloccò fissando il volto del suo compagno, che capì al volo. -Non è sangue mio.. - annunciò. La ragazza continuò a guardarlo, trafiggendolo con quello sguardo colpevole tanto da farlo sentire in imbarazzo. -Me la sono cavata, tu non avresti potuto aiutarmi in nessun modo, comunque. - concluse in modo brusco, nel tentativo di chiudere lì la conversazione. L'alcool stava ancora disinfettando i graffi, bruciandogli appena la pelle. Beth abbassò lo sguardo, tornando al suo divano e accucciandosi sopra un cuscino logoro. Doveva smetterla di dire che era inutile, ci rimaneva male ogni volta, ma lui ripeteva sempre l'errore. Così, forse cercando di distrarla, si sedette anche lui , e le disse cosa aveva trovato nelle stanze.

-Potrei liberare la camera da letto domani, se vuoi dormire su un materasso vero. - spiegò traendo dal pacchetto una sigaretta, accendendola e mettendosela tra le labbra. -Sarebbe bello. - disse lei, avvicinandosi a Daryl per poggiargli la testa calda sulla spalla. Soffiava dalla bocca nuvole di fumo, ed allungando il braccio sullo schienale del divano piegò la testa per guardarla. -Beth, ...- disse piano, ma lei già dormiva.

Non disse più nulla. Non si mosse per non svegliarla. Finì solo la sua sigaretta, fumandola fino al filtro, e lanciando il mozzicone attraverso la stanza.



Ciao a tutti! Okay, questo capitolo è un po più lungo degli altri, spero non vi dispiaccia. Colgo l'occasione per chiedervi due cosine importanti: la prima, se preferite una giorno/dei giorni fissi per la pubblicazione, o quando mi capita... la seconda, la lunghezza dei capitoli. So di scrivere spesso capitolo corti, non perche abbia difficoltà a scriverne di più lughi, ma perchè personalmente leggerne di troppo lunghi diventa stancante. Ma questo è un mio pensiero, e sarei felice di conoscere la vostra opinione a proposito. Dunque, spero che via sia piaciuto il testo, spero visualizziate e commentiate in molti. Un bacione, al prossimo :) 

 

 

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Capitolo 5
*** In esplorazione ***


 

Parte quinta in esplorazione

 

La flanella ruvida della sua camicia le irritava la guancia. I capelli sottili la solleticavano sul collo e sugli occhi, inserendosi tra le chiglia chiare, costringendola a muovere le palpebre ancora pesanti per il sonno. Si mosse piano sul divano, alzando la testa e facendo leva con le braccia per tirare su la schiena. Inizialmente fu spaesata, non riconobbe il salottino in legno, le pile di scatoloni e le pareti nascoste sotto le cianfrusaglie, si sentiva terribilmente fuori posto, sbagliata. Respirò profondamente. Voltò la testa verso il rumore che l'aveva accompagnata nel sonno durante tutta la notte, lento e regolare. Il petto di Daryl si alzava e abbassava; stava seduto sul divano, la testa rovesciata all'indietro con i capelli scuri che gli ricoprivano il volto, sollevati ogni tanto dagli sbuffi che uscivano dalle labbra semichiuse. Sembrava tranquillo come mai l'aveva visto prima. La ragazza si alzò quindi dal divano, piano per non fare rumore e soprattutto per la testa che sembrava dovesse imploderle da un momento all'altro. Si guardò intorno, osservando il pavimento in legno scuro, poi le pareti della stanza, girando su se stessa abbassò gli occhi nuovamente su Daryl, sulla fossa che dormendo aveva lasciato sul cuscino logoro. La luce era debole, filtrava opaca dai vetri sporchi delle finestrelle, illuminando appena la stanza. Si voltò di nuovo, passò oltre le pile di scatoloni e scorse le due porte. Incerta si avvicinò alla prima. Accostò l'orecchio al legno freddo dell'anta, non sentì alcun rumore, quindi la aprì. Entrò nel piccolo cucinino, aprì gli sportelli, le antine, gli armadietti. Il cibo abbondava, ma nonostante non mangiasse dal giorno precedente non fu attirata da nulla, sorrideva ad ogni scatola di biscotti, lattina di zuppa o barattolo di pesche che vedeva, pensando che per molto non avrebbe più sentito l'odore della carne di serpente arrosto. Continuando la sua esplorazione nel capanno capitò prima nel bagno, poi nella camera da letto.

Nel buio nulla si distingueva. Il sangue brunastro colorava il legno dell'anta dell'armadio e quel poco che la luce riusciva ad illuminare del pavimento. Era una scena che una volta sarebbe parsa macabra agli occhi di chiunque, ma ora, in un mondo devastato come quello in cui vivevano, Beth rimase solo a guardare quella macchia secca e grumosa.

Tornò nella sala, strofinandosi con le mani gli occhi lucidi, togliendosi dal collo quel velo di sudore fastidioso. Schivò gli scatoloni, raggiunse il divano e recuperò la sacca nera che usavano per le provviste. Vi infilò le mani e dopo svariati tentativi riuscì a trarne una torcia. La ragazza ripercorse i suoi passi, tornando alla soglia della stanza. Fece scattare il pulsante e la luce si accese dopo qualche ronzio, illuminando una parte di pavimento qualche metro distante da lei, invisibile sotto tutto quello che lo ricopriva. Il silenzio dava i brividi alla ragazza, che piano iniziò ad addentrarsi tra i pezzi di legno, le cornici, i vestiti, il pattume e le cartacce che erano disseminate sul parquet freddo.

Aveva le mani calde, ma i polpastrelli freddi. Provava quella stanchezza che l'influenza ti fa pesare addosso, il freddo alternato al caldo, un leggero mal di testa, ma la curiosità le diceva che doveva capire cosa ci fosse in quella stanza. Aveva camminato stando addosso alla parete di destra, dove la carta da parati a malapena stava attaccata alle mura e le mensole vi erano state sradicate lasciando buchi grezzi e macchiando i mobili abbandonati di polvere e gesso. Tutto in quella casa faceva presumere che fosse stata abbandonata prima del contagio, prima che la gente scappasse cercando di portarsi via quanto più poteva senza guardarsi indietro mentre se ne andava. Pareva avessero deciso di lasciarla come se nulla fosse accaduto, col cibo ordinato nella dispensa ed il sapone in bagno. Ma quella camera da letto, lì sembrava che fosse passata una tempesta. Una furia, una forza che aveva strappato le cose dai muri e le aveva sbattute dove gli capitava, con rabbia, e che le aveva calciate e colpite fino a romperle. L'aria però odorava sempre più di chiuso mano a mano che si addentrava nella stanza, fino a che l'odore di polvere non divenne qualcosa di più forte, un tanfo, un odore nauseabondo che le riempì le narici e si insinuò in bocca, acido. Puntò la luce davanti a se, ma l'unica cosa che vide furono le imposte chiuse oltre la finestra. Prima di preoccuparsi di altro, coprì velocemente lo spazio che la separava dalla parete, lanciandosi ad aprire la finestra per far entrare la luce bianca del mattino nella stanza. Le sue pupille si strinsero nell'iride chiara, colpite dal brusco cambiamento della stanza, poi l'aria fredda la investì in pieno, carica di umidità e bagnandola con qualche goccia di pioggia trasportata dal vento. Per un secondo sentì l'odore dei pini, e della terra bagnata, poi un brivido la riportò all'odore della carne marcescente che sentiva le si stava incollando addosso. Si voltò, stringendosi le braccia intorno alle spalle, improvvisamente avvolta dalla pelle d'oca, e la camera che vide difronte a lei stentò a credere fosse la stessa che aveva attraversato fino a poco prima nell'oscurità più completa. Solo la carta da parati verde le diede la sicurezza di non essere stata catapultata in un posto totalmente differente.

L'aria la colpiva ora sulla schiena. Dai piedi percepiva l'umidità delle assi del parquet, oltre ad un qualcosa che le stava graffiando le gambe in quell'ammassamento di oggetti.

La stanza non era quadrata, ma rettangolare. Molto più ampia di qualunque stanza ci si possa aspettare di trovare in un posto del genere. Un letto matrimoniale emergeva come un isola bianca in un mare di spazzatura, con le lenzuola sporche che cadevano tutte da un lato. Un grosso armadio a parete era in parte coperto da un lungo lenzuolo che toccava quasi terra, i cui orli svolazzavano mossi dall'aria corrente. L'anta più vicina alla porta cigolava spalancata. Una cassettiera e i due comodini completavano l'arredamento. Sarebbe stata bellissima in condizioni normali. A terra e sull'armadio, anche da dove era ora Beth, la macchia scura spiccava, dividendosi in ditate, schizzi ed impronte. Rimase a fissarla, respirando l'aria non più viziata, ma dove il puzzo fetido di morte persisteva. Aveva freddo, voleva andarsene, non le piaceva più l'idea di stare li dentro da sola. Avanzò di due passi, ed ecco comparire da dietro un pezzo di mobile, accasciato in una posizione innaturale il cadavere dello zombie.

Si bloccò sul posto, ed un nuovo brivido che la scosse più dal profondo le salì lungo la schiena. Molto più sangue di quanto ne aveva scorto prima copriva la testa spaccata del cadavere, tanto che il volto non esisteva più, era solo parte di quello che ricopriva il pavimento, un grumoso insieme di pelle putrida, ossa, cartilagini e cervello. Daryl doveva essere stato furioso.

Non capiva cosa ci faceva ancora li, quindi si mosse di nuovo, scavalcò il cadavere attenta a non calpestare nulla, cercando di muoversi come meglio poteva schiacciata sempre più dalla stanchezza. L'odore del morto la raggiunse nonostante avesse cercato di muoversi velocemente, amaro sul palato e fin troppo familiare.

Familiare. Fin troppo familiare. Quell'odore le era familiare.

Due minuti prima pensava di aver sentito l'odore che associava alla paura, alla caccia, alle mandrie; invece quello era il tanfo di un errante. Odore di vecchio e morte. Spalancò gli occhi. Si sentiva stupida a fare avanti e indietro ma tornò più in fretta che poteva davanti alla finestra, e le narici vennero bombardate. Si guardò in giro, sporgendosi dal davanzale della finestra, non vide nulla; tra le cose che ricoprivano il pavimento, ma a parte il primo cadavere, nulla. Poi, sulla parete di fianco a lei notò una porta. Era stata dipinta con una vernice identica al verde della carta da parati che penzolava scrostata ai suoi lati, solo il pomello della maniglia si distingueva.

Poteva arrivare solo da dietro quella porta.

Si piegò verso terra per raccogliere qualsiasi cosa potesse usare come arma. Si alzò di scatto, con stretto in mano un pezzo di mensola in compensato, annebbiata per un secondo da un giramento di testa. Cercò di riprendersi subito, si accostò all'anta in legno e rimase in ascolto. Nulla. Allungò allora la mano ed aprì.

Beth entrò, con le mani strette attorno alla bocca ed al naso, e gli occhi che già accennavano a lacrimare. L'odore era insopportabile, una vampata d'aria calda che la investì in pieno. Fece solo due passi all'interno del bagno dove c'era il cadavere. Due occhi chiari, vitrei, fissi nel vuoto, furono la prima cosa che vide di lui; un uomo che poteva benissimo avere la stessa età di Daryl, con i capelli neri e la barba che ormai aveva smesso di crescere sulle guance era accasciato su una delle quattro ante trasparenti della doccia, con le gambe distese davanti a sé ed una pistola tra le dita molli della mano. Stava in una pozza di sangue denso, di cui i vestiti avevano assorbito buona parte. La ragazza non riuscì a collegare la perdita di così tanto sangue ad un colpo di pistola, le sembrava impossibile. Si avvicinò, morbosamente curiosa, e notò come una delle ante le avesse coperto parte della scena: dalla manica a brandelli della maglia dell'uomo che le era nascosta pendeva la parte di braccio che ancora aveva attaccata al corpo, dal gomito in giù esistevano solo filamenti di tendini e muscoli, qualche vena, e la testa dell'osso. Porzioni di carne gli erano state strappate sul collo e sull'addome delle strisce di stoffa si erano attaccate agli orli frastagliati degli strappi che scoprivano le sei paia di costole e muscoli. Dalla tempia sinistra partivano le gocce e gli schizzi che coprivano la faccia dell'uomo, dovuti allo sparo. Beth si allontanò, con le lacrime che ormai scendevano a rigarle le guance a ritmo costante, una che seguiva l'altra, disturbata da quello che aveva sotto gli occhi, accorgendosi solo ora della nausea che iniziava a salire, vedendo la scena nel suo complesso. Come le era saltato in mento di entrare li dentro? Lasciò cadere incurante dalla mano il pezzo di legno che aveva raccolto poco prima, strizzò le palpebre e uscì velocemente. L'aria fredda la colpì di nuovo mentre superava la soglia della piccola stanza per rientrare nella camera da letto. Il sangue le pulsava forte nelle vene, e a testa le pesava come un macigno. Prese un respiro enorme, chiuse gli occhi e si asciugò le lacrime.

Riattraversò la stanza, schivando gli oggetti ed il corpo dello zombie per la terza volta, ed arrivò in salotto.

Daryl dormiva ancora, così lei si rimise sul divano, accucciandoglisi addosso. Si riaddormentò, col viso schiacciato contro il petto del compagno, immersa nel suo odore di sudore e fumo. Sognò la stanza, e sognò il cadavere, poi fu risvegliata da Daryl, che strattonandola fino a farla cadere dal divano le gridò di scappare.

 



Okay, salve a tutti. Vi prego di non odiarmi per avere aspettato così tanto a pubblicare, ma ho avuto le mie buone ragioni. Tra la scuola, il blocco creativo che mi ha impedito di scrivere ed i duemila altri impegni che ho avuto sono riuscita solo ora a finire questo capitolo che ho iniziato come minimo un mese fa :(

Quindi, per quanto riguarda il testo, volevo dirvi che se c'è qualcosa che non si capisce, o errori vari (che magari mi sono sfuggiti nonostante io l'abbia riletto una marea di volte) scrivetemi senza problemi. Se volete lasciarmi un commento per farmi sapere come vi è sembrato il capitolo ne sarei contentissima. Spero leggiate in tanti, e soprattutto che apprezziate. Un bacio, alla prossima! <3

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Capitolo 6
*** Agguato ***


 

Parte sesta Agguato

 

Cadde dal divano e picchiò la testa. Dalla stoffa logora del tappeto si alzò un sbuffo di polvere. Il colpo attutito la snebbiò dallo stordimento del sonno, scacciò via ogni minima traccia di torpore che poteva averle lasciato, e appena aprì gli occhi sentì i timpani scoppiare.

Girò appena la testa, bloccata sul pavimento dalla paura degli spari che trapassavano le assi di legno e spaccavano i vetri delle finestre, e vide Daryl, accovacciato con lei e protetto dal divano stringeva in mano l'unica pistola che era rimasta loro dopo essere scappati dalla prigione. Il sudore gli imperlava la fronte, attaccandogli i capelli al volto. Lui la guardava, in preda al panico, per una volta era anche lui davvero spaventato. Beth non trovava la forza di muoversi e tanto meno di dire qualcosa, erano immobili immersi nel rumore degli spari, che le martellava in testa come se ad ogni sequenza di colpi il cervello colpisse le ossa del cranio. Poi gli spari cessarono, e Daryl si risvegliò da quella sensazione di impotenza che si era sentito sulle spalle fino a quel momento. Potevano aver finito i colpi, come invece chiunque fosse potesse aver deciso di entrare nel rifugio. Qualunque fosse stata la loro prossima mossa, lui e Beth avrebbero dovuto muoversi, e in fretta. Strinse con più convinzione l'arma tra le dita scivolose di sudore, e allungandosi oltre sua compagna raggiunse la sacca nera che portavano sempre con loro. Si rivolse poi alla ragazza, con un sussurro che lei a stento riuscì a percepire: - Figli di puttana. Dobbiamo muoverci verso le altre stanze, non possiamo rimanere qua a far loro da tiro a segno. - le prese la mano aiutandola a tirarsi su, poi alla sua presa sostituì la pistola, facendogliela scivolare tra le dita. Non le disse nient'altro, indicò solo il corridoio, e lei annuì. Si guardarono per qualche secondo, e prima che si muovessero pensò solo che a quel punto non sarebbe potuta finire così.

 

Daryl scattò, da semi accovacciato si alzò. Beth fece altrettanto, rendendosi a malapena conto di quello che la stanza intorno a lei era diventata. Nell'aria si era alzata talmente tanta polvere da farle quasi lacrimare gli occhi. Appena uscirono dal loro nascondiglio gli spari riniziarono, con la sola differenza che mentre prima erano causali, ora miravano due precisi punti in movimento. Daryl raggiunse in fretta la parete, e pochi secondi dopo ci sarebbe arrivata anche lei, se la pallottola non l'avesse intercettata. Una striscia di dolore le esplose sul fianco, bloccandola addosso al muro più vicino. Il sangue già scendeva, lo sentiva caldo sulla maglietta, mentre scivolava sul muro e si riaccasciava a terra.

Tutto era sfocato e vorticava, ma conscia del fatto che non potesse rimanere li, non seppe neanche lei dove trovò la forza di spingersi con le braccia fin dentro la piccola cucina e chiudersi la porta alle spalle.

Il panico nel giro di pochi minuti l'aveva di nuovo presa. Si tolse in fretta la maglietta, percependo sulla schiena il legno ruvido della porta, con le mani la strappò per ricavarne due strisce. Abbassò lo sguardo su quella che era la ferita, e gli occhi le si riempirono di lacrime. Scesero calde sulle guance, copiose si seguivano mentre la ferita pulsava e sanguinava. Il bianco dell'osso risaltava tra la carne squarciata, divisa perfettamente in due lembi di muscoli e pelle, e questo la sconvolse. Se poco prima con quel briciolo di determinazione che credeva di avere cercava di pensare a come gli insegnamenti di suo padre potessero aiutarla, ora prese solo a tremare. Fremiti incontenibili che la scuotevano completamente. Strinse la stoffa della maglietta tra le mani, arrotolandovi la dita e cercando di non singhiozzare troppo rumorosamente. Guardava il sangue che si espandeva sotto la gamba dei jeans e gocciolava costante sul pavimento sporco. Mosse le mani, se le strinse sulla bocca prevenendo quel lamento forte che si sentiva nel petto, poi le portò ai capelli. Li strinse, li tirò, alla fine li sciolse e ne rifece una coda stretta, come se quello potesse aiutarla a riprendere il controllo. Cercò di controllare il respiro, ora più accelerato che mai. Prese la maglia, piegandola come meglio riusciva la premette contro la ferita, stringendo tra i denti l'altra per soffocare un urlo. Si assicurò che la stoffa coprisse interamente lo squarcio, poi prese l'altra e se la legò attorno come una cintura, stretta affinché tenesse insieme quella che doveva servire da bendatura, e che già si stava colorando di rosso.

 

Gli spari riniziarono appena superò la parete del corridoio. Imbracciò la balestra, che aveva recuperato prima di ripararsi dietro il muro, poi si voltò, aspettandosi di vedere Beth dietro di lui. Dopo aver gridato come troppe volte aveva sentito in passato, la ragazza era caduta a terra, a pochi metri da lui, scivolando contro la parete, lasciandosi dietro una striscia di sangue sul legno bianco della porta della cucina. Aveva abbassato la testa e basta, era caduta, e a Daryl cadde addosso il mondo. La vita di merda con cui si erano ritrovati a convivere non poteva avergli giocato un colpo così basso, non ora che sembrava che le cose si stessero rimettendo al loro posto.

Era incapace di muoversi, con un mezzo respiro fermo nel petto. Solo quando lei si mosse Daryl si sbloccò, e mentre piano la porta della cucina si apriva, e la sua compagna scivolava all'interno della stanza, lui corse fino alla camera da letto, e vi scomparve dentro.

 

Piegò la testa all'indietro, chiuse gli occhi. Sopravvivi Beth Greene, puoi farcela. Respirava, respiri profondi, che dopo poco cominciarono a farle girare la testa. Però aveva funzionato, un minimo di calma era riuscita a recuperarla. Sentiva la pelle d'oca sulle braccia e sulla schiena, ma soprattutto si accorse del silenzio. Nessuno sparo, in nessuna zona della casa; si sarebbe potuto pensare che gli uomini o donne che fossero e che li avevano attaccati avessero abbandonato la causa e li avessero lasciati li. La pistola. Quella non l'aveva più, doveva esserle scivolata quando l'avevano colpita, era quindi rimasta di là, oltre la porta. Respirò ancora, piano, poi spalancò gli occhi, in preda al panico, non appena quel pensiero l'aveva raggiunta. L'avranno preso e portato chissà dove pensando che fossi morta. L'hanno portato via, o magari l'hanno ucciso. L'hanno ucciso! Daryl, Dio, l'hanno ucciso! E nel frattempo la testa le si faceva leggera, e le palpebre si chiudevano. Si piegò in avanti, come per convincersi di dover fare qualcosa, alzarsi e andar via, scappare, magari andare a cercare il suo compagno, ma l'unica cosa che ottenne fu una fitta che la fece gridare e cadere altre lacrime. Si strinse con le dita la bendatura provvisoria, sentendo come tra le dita il sangue stesse colando appiccicoso. Si accasciò su se stessa, scivolando, accartocciandosi come una pallina di carta che viene bruciata. Tutto si offuscò, perse i sensi.

 

Prese fiato, per un secondo soltanto, poi veloce si liberò dei pesi, la balestra e la sacca nera. Si passò le mani sulla stoffa ruvida dei pantaloni, asciugandole dal sudore, ed iniziò ad issarsi sulla parete, incastrando i piedi tra le assi umide della parete esterna della baracca. Si escluse dai rumori che lo circondavano, non aveva tempo. Arrivò al davanzale, distante dal terreno più di un metro e mezzo, molto più delle altre finestre per l'irregolarità del terreno. Tutto scricchiolava, con una spinta di braccia Daryl si ritrovò quasi schiacciato contro il vetro; saldò la sua presa con una mano ed il braccio sul davanzale, mentre con l'altra apriva la finestra. Vi si inserì con le braccia, poi la testa, e quando fu con il busto dentro per metà e le gambe penzoloni, piegò la testa all'indietro, ed il forte sospiro che aveva in gola per lo sforzo si bloccò.

Davanti agli occhi la canna lucida di una pistola indicava proprio il centro della sua fronte.

 

-Ora entri con calma amico, se non vuoi che ti pianto una pallottola nel cervello. - Gli fece cenno con la pistola, e Daryl obbedì. Non aveva nessuna intenzione di complicare una situazione del genere. Cadde con le spalle sul pavimento, facendo non poca fatica per oltrepassare il telaio stretto della finestra. Si tirò su, e quando fu in ginocchio, il giovane armato che lo teneva sotto tiro gli parlò di nuovo. -Bene, ora, rimani lì, qualunque mossa avrà una conseguenza, hai capito?- L'unica risposta fu uno sguardo carico di odio. Il ragazzo si avvicinò, puntò l'arma che nel frattempo aveva abbassato di nuovo sulla testa dell'arciere – Figlio di puttana ti ho chiesto se hai capito! - Sbraitò spingendo la bocca della pistola sulla sua fronte. -Si, ho capito. - la situazione era decisamente fuori dal suo controllo. Spostò lo sguardo dal viso del ragazzo, decisamente più giovane di lui, e si accorse degli altri due uomini che erano stipati nello stanzino, fuori dalla porta altri quattro guardavano in silenzio. Tutti erano armati. Il panico arrivò solo quando l'uomo si accorse della striscia di sangue che colorava il pavimento, portava fuori dalla cucina. Beth.

 

Doveva fare qualcosa, doveva. Si rivolse al giovane, ma appena aprì la bocca per parlare il dolore gli esplose in faccia. Il calcio della pistola aveva incontrato il suo zigomo. - Ti ho detto che puoi parlare? Ho per caso detto nulla del genere?! - Gli urlò talmente vicino al viso che Daryl allungando la mano avrebbe potuto afferralo e dargli quello che si meritava. Ma non fece nulla, rialzò solo la testa, e riprese a fissare il suo aguzzino. - Se decidi di collaborare, porteremo con noi la ragazza, che forse non morirà. Altrimenti è già cibo per morti.- gli fece segno con l'arma –Alzati, e qualunque cosa, dico qualunque, avrà una conseguenza.- L'uomo si alzò, senza fretta, calcolando bene i movimenti. Attraversò la cucina, camminando davanti a tutti, sentendo costantemente la presenza della canna della pistola sulla sua nuca, entrò in sala, e si fermò. La pistola spinse tra i capelli, ma lui non poteva camminare. Non ci riusciva. -Cammina– lo esortarono. Dovettero spingerlo per fargli muovere altri passi. Ma si fermò ancora, opponendo tutta la sua forza alla spinta che riceveva da dietro. -Scavalcala.- La fissava, riversa com'era nel sangue e buttata sul pavimento in quella posizione innaturale. Era seminuda, la pelle d'oca le ricopriva le braccia e la schiena, e sotto di lei spuntava la striscia di maglietta che doveva aver tentato di usare come bendatura. Sembrava morta, morta per davvero. Il contrasto tra lo scuro del sangue ed il pallore spaventoso della sua pelle la faceva sembrare ancora più piccola ed ossuta. -Non ci vuole nulla amico, forza, muoviti. - Vederla così, non poteva sopportarlo. Cadde sulle ginocchia, di fianco a lei. Alzò polvere e si sporcò di sangue, ma gli fu vicino.

Lo presero per le spalle, in due, e lo sollevarono. Lo fecero riprendere a camminare verso la porta d'entrata, con la sola differenza rispetto a prima che ora aveva due armi puntate contro. -Beth!- urlò, divincolandosi per quanto fosse possibile nella stretta salda che quegli uomini avevano su di lui, - Beth!- urlò ancora, ma il risultato che ottenne fu solo di ricevere un pugno allo stomaco. Si accartocciò su se stesso, i capelli gli si riversarono davanti agli occhi, e a testa bassa fu portato fuori dal rifugio.

 

- Clay, prendi la ragazza. Se è già morta la lasciamo qui. - Clay obbedì, e raccolse Beth dal pavimento della sala, portandola tra le braccia fino ad oltre la porta. La testa ciondolava molle, così come le braccia e le gambe. Si fermò quando fu davanti a Milo, il giovane armato con cui Daryl aveva avuto a che fare fin'ora. Le prese il polso, le aprì gli occhi. Fece tutto con calma professionale, per ultimo spostò la sua attenzione sulla ferita. - ...osso. Si può fare, caricala nel bagagliaio. - Daryl aveva sentito solo metà della frase, ma gli era bastato per capire che era viva. Venne fatto salire in un furgoncino, incappucciato, e lasciato solo. Gli altri entrarono tutti di nuovo in casa per prendere tutto quello che potevano, vestiti, cibo, armi. Passò minuti a cercare di individuare nel silenzio il respiro della sua compagna, talmente flebile che ci riuscì appena. Quando i loro rapitori tornarono, carichi di refurtiva, il motore si avviò, e loro furono portati via. 




Salve a tutti <3
Come vedete non sono morta, e tantomeno vi ho abbandonato... MI scuso per aver pubblicato così tardi, ma l'ispirazione proprio non voleva arrivare, capitemi. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perchè io mi sono davvero sbizzarrita per scriverlo, anche se questa volta l'ho sudato un bel po'. Per qualunque cosa non esistiate a chiedere, errori, cose che non si capiscono, scritture confuse , così posso rimediare e correggere subito :) spero che leggiate in molti anche questo pezzo della storia, e soprattutto che mi scriviate, perchè da questa storia ho bisogno di conferme ragazze/i, motivazioni per portarla avanti al meglio. Grazie di aver letto, e se mia avete seguito fino a questo capitolo dall'nizio non so cosa dirvi, siete fantastici. 
Ancora grazie, buone feste, a presto (spero) <3 






 

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