Combinazione Rara

di Colli58
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vantare dei diritti ***
Capitolo 2: *** Il cuore del distretto ***
Capitolo 3: *** Passione e dovere ***
Capitolo 4: *** Valvola di sfogo ***
Capitolo 5: *** Il valore dei legami ***
Capitolo 6: *** La persona sbagliata ***
Capitolo 7: *** Seguire l'istinto ***
Capitolo 8: *** Parlare d'amore ***
Capitolo 9: *** Il proprio ruolo ***
Capitolo 10: *** Vittoria di Pirro ***
Capitolo 11: *** Fare la differenza ***
Capitolo 12: *** Andrà tutto bene ***



Capitolo 1
*** Vantare dei diritti ***


Le ore della mattina erano letteralmente volate tra interrogatori e ricerca di possibili moventi. Le solite cose, le prime necessarie mosse per approfondire la conoscenza della vittima e aggiustare il tiro su inimicizie e correlazioni con persone legate alla sua vita. Il giovane ventitreenne trovato cadavere in un canale di scolo di una centrale sembrava avere una doppia vita e di primo acchito tutto portava a pensare che si trattasse di un omicidio passionale. Il corpo era coperto di lividi di percosse e segni di strangolamento sul collo.
Frederick Bruce Keeler era un pupillo di un famiglia perbene, studi in corso alla Columbia University, un brillante futuro nell’azienda del padre. Il suo curriculum universitario era costellato da buoni voti e una vivace vita mondana. Il suo compagno, un ragazzone alto e bruno di nome Robert Randall, aspetto eccessivamente curato e una punta di gelosia di troppo nella voce, aveva rilasciato una dichiarazione molto contrastante che aveva portato i detective del dodicesimo a pensare che non fosse poi l’unico ragazzo con cui Frederick si vedesse.
Altri amici avevano dichiarato che spesso si incontrava con compagnie fuori dal campus le cui attività erano discutibili. Secondo le indiscrezioni di questi, il mondo della prostituzione maschile era entrato nella vita del ragazzo già da alcuni anni e le sue frequentazioni, nonostante fossero diradate nel tempo, non erano del tutto cessate.
Il luogo del ritrovamento era insolito, ma a pochi isolati di distanza i locali a luci rosse gay erano aperti fino a tarda ora. Il ragazzo si era ficcato in un guaio oppure qualcuno lo aveva punito per la sua eccessiva libertà?
La timeline che ricostruiva le ore precedenti all’omicidio si stava delineando ma il caso poteva non essere di rapida soluzione. A livello economico Keeler non aveva bisogno di denaro per mantenersi quindi qualcosa lo aveva portato a quella vita a forza o per qualche forma di interesse personale. Doveva approfondire la conoscenza delle sue abitudini e dei suoi interessi tramite amici e parenti, ma sembrava che tutti ignorassero se il ragazzo avesse qualche perversione o venisse in qualche modo manipolato. Per la famiglia era solo un ottimo studente ed un bravo ragazzo. Troppo poco e troppo banale. Dovevano scavare più a fondo su di lui e anche sul suo compagno che dimostrava nervosismo eccessivo e tendeva ed essere contradditorio.
Ryan sbuffò scivolando sulla sedia. La sua attenzione cadde di nuovo sulla collega ed amica che aveva un’aria strana, un po’ stanca. C’era qualcosa di insolito in lei in quei giorni. Forse era l’assenza di Castle a renderla così taciturna, non lo sapeva definire con precisione. Era anche stato più volte sul punto di chiederle che cosa avesse ma ogni volta rimaneva in silenzio: Beckett era una donna con un alto grado di riserbo nella sua vita privata nonostante avesse sposato uno scrittore e avesse dovuto condividere con lui una vita pubblica e le pagine delle riviste patinate. Signora Castle o meno, era sempre Kate, quel lato di lei non sarebbe mai scomparso per la gioia e la sofferenza di suo marito. E poi doveva ammettere che erano stati scaraventati giù dal letto alle prime luci dell’alba per correre di qua e di là per la città. Interrogatori, raccolta di informazioni. Anche lui si sentiva un po’ sottosopra. Il sonno la stava facendo da padrone calpestando impunemente i tentativi della caffeina di mettere in moto i sistemi del suo corpo. Jenny non aveva avuto tempo di preparargli nemmeno un sandwich e l’agonia dello stomaco contribuiva a renderlo meno reattivo.
Si alzò e si avvicinò a Beckett.
“Cosa darei per un letto comodo…” Esclamò davanti a lei che rise annuendo.
“A chi lo dici.” Rispose Beckett raddrizzando la schiena. “Magari anche un buon pasto…” Aggiunse.
Dopo una sveglia prima dell’alba e solo due caffè con un croissant alla marmellata come pasto per tutta la giornata, Kate si sentiva sfinita e affamata.
Erano solo le tre del pomeriggio e lei era tornata alla sua scrivania dopo essere stata fuori per le indagini con i ragazzi. Castle gli stava mancando da morire.
Dal suo allontanamento da parte della Gates erano passati ben otto giorni e Rick stava cominciando a disperare. Anche lei si stava chiedendo come mai la Gates non avesse fatto cenno a farlo tornare, e glielo avrebbe chiesto di persona se non fosse stato per quel plico di documenti accuratamente compilati che lei doveva consegnarle al più presto.
La consegna di quell’incartamento avrebbe richiesto una spiegazione approfondita? Avrebbe dovuto motivare la sua scelta? Sotto lo sguardo acuto della Gates non avrebbe potuto e voluto nascondere la verità. Era anche sicura di volere che Castle fosse accanto a lei per comunicare la notizia della sua gravidanza agli altri, avrebbe voluto dirlo agli amici con lui perché adorava il modo in cui la teneva a sé mentre parlava emozionato, anche se il suo ego tendeva a straripare continuamente.
Nella settimana che era passata, la notizia era stata comunicata solo ai familiari.
Dapprima ad una curiosa Alexis che l’aveva letteralmente travolta con un abbraccio stritolante quando suo padre gli aveva comunicato che avrebbe presto avuto un fratellino o una sorellina. Quella sera il gelato si era sciolto nelle coppe mentre Alexis la sommergeva di domande su come stesse e sul tempo del nascituro. Alla fine avevano bevuto il gelato come un frullato con la cannuccia. Si erano divertiti.
Poi la cena con suo padre, il quale aveva reagito con un silenzioso sguardo lucido di commozione. Era rimasto senza parole nonostante sapesse della loro intenzione di avere un figlio, l’aveva abbracciata e le aveva regalato un rassicurante sospiro di gratitudine. Era così commosso che era riuscito ad abbracciare anche Castle per poi stringergli imbarazzato la mano in un più virile gesto di congratulazioni. Martha lo aveva coccolato tutta la sera, facendolo sentire meno frastornato dalla situazione. Avrebbe dovuto diventare un buon nonno perché sia Rick che lei desideravano che i loro genitori fossero partecipi della vita della loro creatura. Ma i loro amici e colleghi non sapevano ancora nulla. Lanie stava trattenendo le domande con una forza inaudita, visto che sapeva del suo ritardo. Riteneva il suo riserbo una forma di analisi su di lei, perché era certissima che la stesse tenendo d’occhio. Si chiese quanto tempo avrebbe retto prima di scoppiare e chiederle novità? Sospettava forse in un falso allarme?
Si morse il labbro guardando di nuovo l’ora. Aveva fame ma la spossatezza che si sentiva in corpo era insolita. Quella sensazione stava diventando predominante sulle sue percezioni e sui suoi pensieri. Castle glielo aveva sottolineato centinaia di volte durate la settimana: doveva mangiare di più, doveva farlo poco ma spesso così che la stanchezza insorgesse con meno frequenza. Del resto il suo bambino si nutriva con lei.
Accarezzò istintivamente il suo ventre e tornò a guardare sconsolata la sedia di Castle vuota sotto lo sguardo curioso di Ryan che aprì la bocca sorpreso. Il detective si intimò di non cadere nella tentazione di fare domande perché sembrava anche più assorta. Si mosse lentamente e si allontanò da lei cercando il suo fido compagno di pettegolezzi.
“Ehi Espo.” Lo chiamò distraendolo da un cumulo di documenti da compilare. L’ispanico lo guardò con aria interrogativa. Ryan si sedette davanti a lui sulla scrivania. “Hai visto Beckett in questi giorni?” Esposito lo guardò come se fosse pazzo. “Bro… è lì davanti…” indicò confuso.
“No, intendo dire… la vedi com’è distratta, pensierosa. Credi che stia succedendo qualcosa?”
“Beh le mancherà Castle. Francamente con lui ci si diverte di più.” Disse con una smorfia e facendo spallucce.
Ryan scosse il capo. Evidentemente non riusciva a notare quei lunghi sospiri che di tanto in tanto emetteva. E quel gesto così nuovo per lei. Un collega arrivò sventolando un fascicolo.
“Banca!” Disse lasciando a Ryan il tutto e involandosi nel corridoio da cui era venuto. Sedette con Esposito e iniziò a dare un’occhiata a quelle nuove informazioni, abbandonando per un po’ le sue speculazioni.
Kate si appoggiò allo schienale della sua sedia. Distese le gambe intorpidite. Osservò il lungo corridoio da chi sentiva venire un vociare fastidioso. Denver stava facendo lo spaccone con i colleghi più giovani.
Il fatto che Denver fosse rientrato dalla sospensione la infastidiva molto. Le era passato davanti con un ghigno soddisfatto e lei aveva sorriso compiaciuta notando il livido che ancora campeggiava sulla sua faccia. Rick era andato a segno meglio di quanto avesse immaginato.
Ma non si erano detti nulla. Non sapeva cosa aspettarsi da lui, quale reazione avrebbe avuto, immaginava avrebbe cercato di vendicarsi. Doveva essere guardinga. Aveva però saputo per vie traverse dalla sezione personale che Denver non era ancora stato confermato. Quindi la porta per lui era ancora aperta. Forse aspettava una conferma prima di mettere in atto la sua vendetta? Non le piaceva quel tizio, troppo sbruffone per i suoi gusti. L’unico ego straripante di cui non poteva fare a meno era solo quello di suo marito.
“Beckett?” La richiamò Ryan con un sorriso.  Lei si alzò velocemente e lo raggiunse.
“Abbiamo i dati della carta di credito. Il fidanzato ha mentito sul fatto che Keeler fosse al dormitorio quella sera, è stato in uno dei Night Club di Alphabet City, il “Suprema”. Ha pagato con quella l’ingresso. Ore ventitré e dieci.” Ryan le mostrò la lista dei movimenti. “Dopo quell’ora non si registrano altre attività.”
“E l’ora del decesso è tra l’una e le tre del mattino.” Aggiunse Beckett. “Robert potrebbe non aver saputo della sua uscita.”
Ryan annuì. “Dobbiamo parlare con il personale di questo club, a che ora se n’è andato e con chi. Qualcuno deve averlo visto.” Disse infine osservando il volto pallido della collega.
“Possiamo farci un salto tra qualche ora, dovrebbe riaprire. Ci è andato spesso?” Chiese Kate osservando la lista dei pagamenti.
“Nella settimana prima della morte non ci sono altri pagamenti simili, ma posso controllare.” Rispose pensieroso.
Kate andò a scrivere l’ora di ingresso al club sulla lavagna bianca. “Controlla anche se frequentava altri club di questo genere. Se pagava con carte di credito consumazioni ed ingressi non si faceva problemi a rendere nota questa sua vita. Ci potrebbero essere altri locali.” Ryan prese nota sul suo taccuino e poi le si avvicinò.
“Castle è ancora in punizione?” Chiese quindi con un sorriso mesto. Kate annuì facendo una smorfia.
“Ma quello è tornato. Ti ha detto qualcosa?” Aggiunse Ryan e Kate negò.
“Solo un sorriso compiaciuto. A voi?”
“Nemmeno un fiato. Non ha ancora avuto la conferma dell’incarico. Forse…”
“L’ho pensato anche io.” Aggiunse Kate interrompendo l’amico.
“Stiamo in campana. Stai bene? Sei pallida…” si permise di dire Ryan.
Kate annuì. “Ho una fame da lupi.” Rispose allargando le mani e aggiungendo un’espressione famelica.
“Ma la Gates che dice su Castle?” Ritornò alla carica l’irlandese.
“In realtà non so come chiederglielo. Ma penso che lo farò prima di sera. Manca anche a te? Devo preoccuparmi?” L’occhiata maliziosa di Kate fece ridere Ryan che se ne andò camminando all’indietro.
“Tu hai fame, noi abbiamo fame… se ci fosse lui ci sarebbe del cibo cinese sulla tavola della sala riunioni…” Valutò e Kate mise le mani sui fianchi ridendo: Ryan aveva ragione.
Kate tornò quindi alla sua scrivania osservando il suo telefono lampeggiare. Castle le aveva scritto di nuovo?
Alzò il telefono per leggere il messaggio, dispiaciuta di averlo ignorato, ma era stata un po’ occupata in quei giorni. La sera prima era tornata a casa tardi e tra loro il dialogo non era stato dei migliori. Lui era stato un’ora al telefono con Gina per alcune correzioni al suo nuovo romanzo e lei aveva finito per andare a letto presto.
Quando l’aveva raggiunta non si erano detti molto. Lui le aveva chiesto come stava per la milionesima volta e lei aveva risposto che stava bene. Però qualcosa la infastidiva sempre nelle sue lunghe telefonate a Gina. La gelosia aveva messo radici in lei da quando ci aveva riprovato con lui, niente di morboso ma quando il suo umore era già tendente al nero il solo nominarla le faceva venire l’orticaria.
Il silenzio era calato tra loro e aveva sentito a lungo il respiro ansioso di Castle, sicuro che nemmeno lui stesse dormendo. Così si era avvicinata a lui, abbracciandolo. Lo aveva sentito rilassarsi e respirare con più calma.
“Lo so che detesti che io stia tanto con lei…” aveva detto Rick per scusarsi. Ma lei lo aveva stretto con più forza. “E’ solo che mi manchi…” Aveva risposto appoggiando la testa accanto alla sua e chiudendo gli occhi.
Non aveva sentito la sua risposta perché era crollata nel sonno esausta per poi essere risvegliata meno di quattro ore dopo per il caso di omicidio.

“Hai fame?” Lesse sul display e poi sorrise pensando che lui sapesse benissimo che fosse proprio il suo caso.
Non fece a tempo a rispondere che un altro messaggio si aggiunse al primo. “Tra tre minuti davanti all’ascensore.” Kate si voltò a guardare verso il corridoio. Si mosse lentamente osservando i led del funzionamento dell’ascensore che ne segnalavano il movimento. Qualcuno stava salendo.
Quando si trovò davanti alle porte dell’ascensore, il ding l’avvisò che era arrivato al piano. Le porte si aprirono e Castle era lì fermo davanti a lei.
Mise una gamba in avanti bloccando il sensore delle porte e le regalò un sorriso teso.
“Castle che ci fai qui?” Chiese sorpresa e divertita allo stesso tempo. Era felice di vederlo, ma non sapeva bene come gestire quel momento nel caso fosse passata la Gates.
“Sei in piedi da stamattina e sicuramente non avrai avuto modo di mangiare qualcosa…” Disse allungandole una borsa di carta capiente. Un odore invitante colpì le sue narici mentre osservava all’interno della borsa ben quattro contenitori termici. Castle non era stato a prendere cibo d’asporto, aveva cucinato per lei.
Sorrise sospingendo Castle verso l’interno dell’ascensore, schiacciò il tasto di terra per poi investire suo marito con un bacio appassionato. Prima che l’ascensore finisse la sua corsa, Castle lo bloccò a metà piano.
Strinse sua moglie a sé, baciandola fino a che la mancanza di ossigeno si fece sentire.
“Ti porto il pranzo tutti i giorni!” Disse infine mentre Kate si prendeva un momento di calma tra le sue braccia.
La tenne stretta e le baciò delicatamente la testa. “Si ho fame.” Rispose in un sussurro.
“Ho cucinato spaghetti e pollo. Ma non sapendo cosa ti andasse ho fatto anche un’insalata di polpo calda con patate e qualche muffin al cioccolato…” Elencò soddisfatto.
Lo stomaco di Kate brontolò e lei rise.
“Dopo questa tua presentazione ho anche più fame.” Disse alzando la testa per cercare i suoi occhi.
“Ma non sei solo qui per il cibo.”
“Certo. Sono qui per te come sempre.” Rispose candidamente Castle.
Kate sospirò. “Non ho ancora chiarito con la Gates però…” Disse guardando verso la borsa piena di leccornie.
“Potrebbe essere un’infrazione innocua per la pausa pranzo.” Finì con uno sguardo tra il colpevole e lo sbarazzino.
Castle sorrise. “Sono porzioni piuttosto abbondanti.” Spiegò speranzoso. Lo sguardo da cucciolone e il sorriso implorante. Come poteva non amarlo. Forse gli doveva pure delle scuse per la sua piccola e insensata gelosia del giorno prima. Castle era uno scrittore e i rapporti con il suo editore non potevano guastarsi.
“Scusa per ieri sera.” Aggiunse Kate con un altro bacio. Lui scosse il capo.
“Eri stanca. Devi riguardarti e il tuo umore non sempre sarà dei migliori…” replicò in tono pacato. Lei si intenerì per quel gesto di comprensione da parte sua. Ma del resto sapeva che lui sarebbe stato presente in quel modo non doveva sorprenderla quel suo modo di fare, eppure ci riusciva sempre.
Un altro bacio suggellò un tacito accordo. Kate si mosse all’indietro e pigiò il tasto di sblocco e poi quello del ritorno al piano del suo ufficio. Castle sorrise con una luce furba negli occhi.
“Disobbediamo alla Gates?”
“No, ci prendiamo una licenza cavillosa. Non puoi stare qui tutto il giorno ma non mi è impedito di passare la pausa pranzo con te… E visto che ho un caso per le mani e non posso allontanarmi dalla scrivania…” Lui annuì compiaciuto dall’escamotage della sua consorte.
“Farò il bravo, te lo prometto.”

“Castle ma non ne avevi di più?” Chiese Esposito litigando con la forchetta di Ryan per l’ultimo boccone di spaghetti al pesto. La sua porzione era finita a sfamare i due compari perché del resto non voleva che Kate rinunciasse alla propria parte. Aveva bisogno di nutrirsi adeguatamente.
“Se stai a casa e cucini più spesso… forse non è così male se non stai qui al distretto…” Aggiunse Ryan.
Kate osservò Castle accigliarsi. “Ragazzi è solo per il cibo? Non sono un’agenzia di catering…” Disse rivolgendo ai due uno sguardo deplorevole. “Andiamo, non vi manco un po’?”
I due si guardarono e poi osservarono la porzione di pollo alla cacciatora ancora affogata nel proprio sugo.
Kate osservò lo scontro tra i tre e allungò lentamente la mano, mise le dita lentamente sulla ciotola e avvicinò a sé la porzione con cautela. La voleva mangiare lei.
“Voi state lì… a discutere.” Disse con calma. Assaggiò un boccone di pollo che Castle aveva avuto cura di disossare. C’era qualcosa di meraviglioso in quel cibo, oppure lei era davvero molto affamata.
“E’ mia moglie. Non posso certo contraddirla.” Disse Castle candidamente.
“Posso mangiare del polpo?” Chiese dopo vedendola gustare il pollo con calma.
Kate annuì. Il pesce non le andava molto, Castle poteva dividerlo con i ragazzi.
“Sfama anche i due qui…” Disse indicando i due detective che osservavano il resto dei contenitori con sguardo famelico. Castle rise e si versò un paio di forchettate di polpo su un piatto di carta e poi allungò il restante agli amici.
Ryan sorrise e si voltò verso Esposito mormorando.
“Siamo patetici. Quasi mendichiamo per del cibo.”
Esposito non si fece abbindolare. “Ehi, siamo al lavoro da ore. Un amico se è tale porta cibo per tutti… non solo per…”
“Bada a come parli Espo.” Lo richiamò Kate sorridendo. Gli fece l’occhiolino divertita e finalmente sazia.
“E’ mio marito. Posso vantare dei diritti su di lui.”
“Ecco.” Sbottò Castle. “Sono diventato una proprietà.”
Kate annuì divertita stringendogli la mano. “Sì, sei tutto mio.”
Ryan ed Esposito risero di gusto alla reazione di Beckett, così spontanea e diretta. Castle finì per cedere loro un paio di muffin al cioccolato come premio per la loro simpatia nei confronti di Kate. E poi lui ne aveva già mangiati tre, quelli che erano usciti un poco deformati e non erano presentabili.
Ryan osservò Castle venire rapito dai sorrisi di sua moglie. Da un po’ erano anche più uniti e Kate tendeva ad essere meno pungente nei suoi confronti. Persino più tollerante nelle sue elucubrazioni.  Era bello vederla così allegra e vitale. La sola presenza di Castle riusciva a mettere di buon umore non solo lei. Osservò Esposito sorridere mangiando di gusto. Le risate attirarono l’attenzione del capitano che entrò nella saletta ristoro osservando gli astanti con attenzione.
“Signor Castle…” disse ad alta voce.
“Signore.” Rispose Castle dubbioso sul da farsi. “Ho portato il pranzo a Kate e ai ragazzi…” Aggiunse per chiarire.
“Vedo.” Rispose telegraficamente prima di richiudere la porta e andarsene.
Kate si alzò. “Potete sistemare? Io parlo con la Gates. Tu Rick aspetta qui un attimo.” Disse con decisione.
Sarà stato il cibo o la freddezza dell’atteggiamento ma la cosa la stava colpendo più del dovuto.
Doveva chiarire. Contemporaneamente decise di prendere anche la richiesta di accesso ai corsi di aggiornamento e si diresse a passi rapidi verso l’ufficio dove la Gates si era di nuovo rintanata.

Castle recuperò e lavò i contenitori termici prima di riporli nella borsa con cui li aveva portati.
Ryan ed Esposito rassettarono il tavolo e misero i tovaglioli di carta, piatti e posate di plastica in un sacchetto per gettarli nella spazzatura.
Castle lanciava occhiate curiose verso l’ufficio della Gates ma da quel posto non si vedeva molto, così prese dell’altro tempo parlottando del caso con i ragazzi e facendo il caffè ad entrambi.
“Vedrai andrà bene, tornerai tra noi.” Gli disse Ryan per cercare di tranquillizzarlo. “La convincerà.” Aggiunse annuendo convinto.
“Comunque hai fatto bene, a suonargliele intendo.” Commentò Esposito. Castle gli diede la tazza del caffè macchiato in mano ed il detective sorrise compiaciuto.
“E poi fai un caffè spettacolare.”
Castle sbuffò. Passò la seconda tazza a Ryan e poi osservò la propria. Il caffè e quella macchina italiana era stato il primo vero inizio con loro. Quel posto gli mancava e di più avere accanto a sé Kate, accompagnarla nel suo lavoro, affiancarla, difenderla.
Sentiva anche di più la necessità di occuparsi di lei con tutto se stesso, ora che lei… beh lei aspettava un loro figlio. Guardò gli amici e gli fu chiaro che doveva farli partecipi quanto prima. L’avrebbero aiutato a tenere Kate al sicuro in sua assenza. L’avrebbero protetta.
“Sentite…” Iniziò a dire.
La porta di aprì e Denver entrò trovandosi di fronte l’intera cavalleria. Io sguardo torvo dei tre uomini non era affatto rassicurante ma si convinse che fare dietrofront l’avrebbe mostrato come uno senza palle. Si fece largo fino alla macchina del caffè e invitò con lo sguardo Castle a farsi da parte. Castle non si mosse e puntò due occhi freddi e poco amichevoli su di lui.
“Vorrei del caffè, se non vi dispiace...” disse con voce sprezzante.
Castle continuò a guardarlo con disgusto senza dire parola. Una nuova zuffa non avrebbe perorato la sua causa con la Gates, doveva evitare di scontrarsi con quel tipo.
Esposito scosse il capo. “Ci dispiace.” Lo rimbeccò sicuro di sé.
Denver fece una smorfia. “E da quando in qua la macchina del caffè è solo vostra?” Chiese curioso.
“Da quando Castle ce l’ha regalata.” Rispose Ryan.
“Sette anni fa circa.” Specificò Esposito. “Possiamo vantare dei diritti.” Aggiunse facendo il verso alle parole di Kate su suo marito e i tre scoppiarono a ridere dandosi il cinque a vicenda.
Denver fece un’altra smorfia disgustato dal cameratismo. “Vi fate comprare con poco.” Replicò ed Esposito lo bloccò stizzito.
“Vedo che non ti è bastato.” Commentò nervoso. Castle passò lo sguardo incuriosito da quella affermazione dal volto di un amico all’altro. Di cosa stavano parlando?”
Denver indietreggiò. “Vuoi uscire e chiarire ancora qualcosa? Non starò zitto con la Gates...”
Esposito lo affrontò a muso duro. “Fa come credi. Ma stai lontano da loro chiaro?”
Castle si mosse osservando Esposito finire di gettare la spazzatura ed uscire. Posò la sua tazza vuota sul lavandino e poi decise di seguirlo, incuriosito da quella reazione e con Denver rimase solo Ryan a finire di bersi il suo caffè.
“Hai due bei compari” commentò Denver con disprezzo.
Ryan sorrise e se la prese con calma.
“Tu non puoi capire.” Disse osservando il caffè.
“Oh, ma davvero?” Replicò l’altro.
In alcuni minuti di silenzio Ryan si prese mentalmente appunti su cosa dire. Quello stupido non vedeva a un palmo dal suo naso.
“Con Beckett non hai chances. Inutile che insisti.” Disse a bassa voce. Poi si voltò a guardare quel ragazzotto borioso fin troppo sicuro di sé. “Quindi perché non la pianti e te ne torni a farti gli affari tuoi?”
“Solo perché lo scrittore è ricco e famoso forse… E chi ti dice che non sono affari miei?” Sbottò scottandosi con il vapore della macchina del caffè.
Ryan negò con il capo. “Perché non ti vuole tra i piedi.”
“E perché dovrebbe interessarti? Non sei suo marito.” Replicò Denver con una faccia da sberle tanta da fare venire il prurito alle mani ad un santo.
“Perché sono nostri amici.” Specificò. “E tu non sai nulla di loro.”
Denver rise. “A parte che Beckett è uno schianto?”
“Non sai com’era prima di Castle. Non avresti mai avuto la costanza di conquistarla e non hai chances nemmeno ora. Lasciali stare.” Disse con forza.
Denver sembrava divertito da quel discorso. Ma Ryan puntò bene gli occhi nei suoi.
“Tu non la conosci e ti è andata pure bene. Hai trovato la nuova Beckett, quella felice. Se avessi incrociato la vecchia Beckett lo scherzetto di quella sera al confronto sembrerebbe solo un giochetto innocuo.”
Lo sguardo di Denver si fece curioso.
“Era una furia. Era arrabbiata con il mondo e ti avrebbe fatto a pezzi.” Continuò Ryan a bassa voce.
“Interessante.” Mormorò Denver dando l’impressione di essere divertito. “E com’è che non ha fatto a pezzi lo scrittore?” Chiese quindi appoggiandosi al bancone.
Ryan sospirò. “Ha fatto a pezzi anche lui e più di una volta. Ma non ha mollato.” Disse annuendo.
“Sono una combinazione rara e molto forte, sono opposti ma si completano e sono arrivati fin lì dopo sofferenze e difficoltà. Noi… li difenderemo a qualsiasi costo. Ti ripeto, non hai chances quindi lasciali stare.”
Le parole di Ryan lo lasciarono stupito. Un vero gesto di amicizia per quel tipo nei confronti dei compagni, li conosceva bene, li rispettava ma sembrava esserci qualcosa di più, che fosse qualche strana storia? L’idea di indagare su quei due sembrava eccitante quanto guardare il culo di Beckett. Sorrise beffardo.
“Ma tu non puoi capire.” Replicò Ryan sconfortato. Quello era un’idiota insensibile. Davvero non avrebbe potuto notare nulla in loro. Come detective poteva anche essere in gamba, ma come poteva sfuggirgli l’essenza dell’unione di Castle e Beckett? Come poteva non notare la sintonia, il legame viscerale che li rendeva così unici? Persino Esposito, che non sempre sembrava brillare per romanticismo e valori di coppia, era riuscito a comprendere a fondo il loro legame e a esserne partecipe nel difenderlo.
Uno così non lo avrebbe mai voluto al proprio fianco in missione. Non avrebbe voluto lavorare con lui, gli interessava solo sé stesso e forse era quella la ragione per cui era stato allontanato dal suo distretto. Non era uno degno di fiducia.
Promuovere per rimuovere? Ma non era meglio mandarlo in strada, magari con la narcotici? Si sarebbe integrato alla perfezione con quella faccia tosta.
Ryan posò la sua tazza vuota nel lavandino e la sciacquò.
Prima di uscire guardò di nuovo Denver. “Lasciali stare” Ripeté. “Tutto il dodicesimo li protegge.” Lo avvertì stavolta in tono di sfida. Aveva cercato di far leva sull’umanità ma pareva non fosse di casa in quel tizio.
Così era ritornato a termini più feroci, potevano essere più efficaci.

“Signore posso?” Disse aprendo la porta dopo aver bussato.
Victoria Gates osservò la donna entrare con decisione. “Prego” le disse indicandole di avanzare.
“Se è qui per giustificare la presenza di suo marito al distretto, credo di aver capito che è solo di passaggio.”
Kate trattenne il fascicolo che aveva in mano con nervosismo.
“Posso chiedere perché Denver è tornato e Castle non ha ancora avuto il benestare?”
Gates la scrutò fuori dagli occhialini.
“E’ un detective della omicidi.” Replicò candidamente. Kate annuì distogliendo lo sguardo. Non capiva perché lei lo stava di nuovo bistrattando.
“Quindi… il torto è solo di Castle?” Provò ad osare con un velo di nervosismo in più.
“Non ho detto questo.” Rispose la Gates con tranquillità.
Certo Castle non era un detective della omicidi, non aveva un contratto, non aveva turni da coprire, ma lui era stato indispensabile per la risoluzione di molti casi e tutto quel fare differenze quando tutta la situazione era scaturita dal pessimo comportamento di Denver non le stava piacendo.
“Signore, Castle non farà causa e nemmeno io… ma che finisca ad essere il solo a rimetterci mi sembra ingiusto.” Disse in modo diretto.
La Gates sorrise. “Come le ho detto l’altra volta è una questione di formalità.” Ripeté. “Il signor Castle potrà tornare quando… avrò messo le cose in chiaro con quell’idiota.” Aggiunse quindi con un sospiro.
Beckett osservò lo sguardo pungente del suo superiore e attese una spiegazione più ricca di informazioni.
“Vuol dire che rimarrà?” Chiese cercando di andare a fondo sull’argomento. Aveva avuto informazioni solo sul fatto che non fosse ancora stato confermato ma altro lo ignorava e quindi quella notizia la stava solleticando. Era meglio fuori dai piedi che avere un pugnale costantemente piantato nel fianco.
“Siamo sotto organico, i pensionamenti degli ultimi mesi ci hanno tolto ben tre buoni detective.” La Gates si mosse sulla sedia. “Al momento non ho speranze di poter avere nuovo personale, dobbiamo accontentarci, ma prima di farlo farò in modo che le cose vengano chiarite. Approfitto quindi della presenza di suo marito per farlo nel pomeriggio. Le può andare bene?” L’ironia del Capitano associata alla ragione sicuramente valida per cui il distretto non poteva eliminare la fastidiosa candidatura di Denver, la fecero sentire a disagio. Se Denver fosse rimasto sperava solo di non averci a che fare direttamente. Castle poteva trasformarsi in qualcosa di ossessivo.
“Mi deve lasciare qualcosa detective?” Chiese indicando il plico che aveva in mano. Kate si schiarì la gola.
“Sì, beh…” Appoggiò lentamente ciò che aveva in mano sulla scrivania e Gates l’aprì senza attendere.
Un sorriso apparve sul viso del Capitano.
“Bene, non ci speravo quasi più.” Disse facendole l’occhiolino.
Kate spalancò la bocca con sorpresa. “Se lo aspettava?” Chiese confusa.
“Beh, ho visto lei e… anche suo marito raccogliere quel modulo informativo giorni fa.” Disse guardandola di sottecchi da sopra gli occhiali sottili. Il ghigno divertito e lo sguardo allegro del capitano la fecero rilassare.
“Credo che per lei sia un’ottima opportunità. So quanto vale e non vorrei… beh… che si allontanasse troppo da questo distretto. Visto che con l’FBI non è andata…” Aprì le mani. Le sembrava ovvio che lei potesse accedere ad un grado più elevato, Gates era stata dalla sua parte quando le era giunta la proposta di lavorare a Washington.
“Grazie signore…” Disse quindi annuendo.
“Non credo avrà problemi con la graduatoria finale.” Affermò quindi il capitano, appoggiando i documenti alla scrivania. Si alzò e si mise a posto la giacca. “Ora sarà bene sistemare le cose con il detective Denver ed il signor Castle.” Uscì dalla porta e Kate la seguì con passo lento.

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Sono tornata! Dopo lunghissimo silenzio, lo so, ma ho letto tutte le vostre meravigliose storie. Una più bella del'altra devo dire. Un po' mi son fatta trascinare nel continuare a scrivere dai vostri scritti. Il periodo lavorativo è stato... come dire... ossessivo!
Intanto io ho iniziato un paio di cose in attesa che arrivi settembre!
Un abbraccio a tutti.

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Capitolo 2
*** Il cuore del distretto ***


“Dai dimmi cosa è successo. Espo…” Disse Castle inseguendo Esposito in tono petulante. Aveva capito che era successo qualcosa, ma perché nessuno gli aveva raccontato nulla?
Esposito sistemò i documenti cercando di ignorare Castle.
“Senti non è stato nulla di che, ma quel pezzo di merda sembra non voler capire che deve stare al suo posto.” Si voltò e vide lo sguardo serio di Castle su di lui.
“Raccontami...” ripeté lamentoso.
Esposito scosse il capo sorpreso. “Ma davvero Beckett non ti ha detto nulla?” Castle negò con il capo.
“E’ uno scherzetto che si faceva ai pivelli troppo esuberanti: una nottata passata impacchettato come si deve nell’archivio delle prove.”
“Kate ha partecipato?” Chiese lo scrittore con un tono risoluto.
Esposito sorrise beffardo. “Ne è stata la regina… Beckett vecchio stile.” Disse e allungò una mano per battere il cinque su quella di Castle che non arrivò. Lo guardò con stupore. Castle sembrò rimuginare.
“Sono andati alle mani?” Chiese sgranando gli occhi. “Quando?”
Esposito indicò il corridoio. “La sera stessa della vostra rissa. Kate lo ha messo ko senza che lui potesse obbiettare… Poi lo abbiamo confezionato per bene e messo a frollare in archivio per tutta la notte imbavagliato e ammanettato ad una sedia.
Esposito notò gli occhi lucidi di profondo orgoglio di Castle misto a qualcosa d’altro. Era apprensione? Poi scosse la testa sorridendo.  “Gli ha fatto del male bro, una bella ginocchiata nei gioielli…” Castle fece una smorfia di dolore e si appoggiò alla parete. 
Esposito non capiva il suo turbamento. Di solito si galvanizzava per la forza di sua moglie, ma stavolta non era del tutto entusiasta. Era troppo silenzioso.
“Castle… ma stai bene?” Chiese quindi allo scrittore che si guardava le mani.
“Lo sai com’è fatta no, certi torti non possono essere ignorati…” Spiegò pensando che forse c’era una ragione per cui Beckett non aveva detto nulla a Castle. Magari era proprio stata lei a non volerglielo far sapere, per non ferire il già ammaccato ego di Castle sulla sua capacità di fare a botte. No, quello non era il suo modo di usare al meglio le mani e in effetti Beckett lo aveva anche ripreso per averlo mandato in palestra dal suo amico Pitt.
“Certo che lo so. Approvo, che dire!” Esclamò Castle all’improvviso, come togliendosi da una trance. “Però…”
Il viso dell’amico era un mix di sorpresa e curiosità.
“Javi, posso chiederti di cercare di evitare che Kate… per il prossimo futuro… si metta a fare a botte con qualcuno?”
Sorpreso della richiesta Esposito squadrò l’amico con interesse. “E come potrei? E’ un poliziotto! E poi è così divertente in certi casi…”
Castle si morse le labbra. Non voleva svelare ancora la notizia ai colleghi, non senza di lei, ma Kate era una donna che non si risparmiava nel suo lavoro. Avrebbe dato sempre il 100% e nelle sue attuali condizioni non era certo un bene. Non voleva metterla sotto una campana di vetro… o forse sì, su quel particolare argomento si sentiva un po’ confuso, ma doveva comunque cercare almeno di ridurre al minimo i rischi. Non era poi pretendere troppo.
“Vedi, lei…” Iniziò a dire cercando il modo migliore per spiegarsi, ma non terminò la frase. Qualcuno di schiarì la voce e voltandosi trovò La Gates in piedi di fronte a lui. Deglutì sorpreso e anche un po’ perplesso. Doveva andarsene? “Ok, non mi tratterrò ancora molto…” La sua giustificazione sembrò non interessare il capitano.
“Signor Castle, mi segua per cortesia. Detective, dica a Steve Denver di raggiungere il mio ufficio.” Non attese risposta. Si voltò e tornò sui propri passi con andatura decisa.
Castle seguì il suono cadenzato dei tacchi della donna oscillando la testa allo stesso ritmo. Incrociò Kate lungo il corridoio e lei lo bloccò qualche secondo. Aveva indubbiamente bisogno di redarguire suo marito prima che andasse in pasto al leone.
“Che succede?” Chiese lui e Kate sorrise. “Tranquillo, non ti mangerà. Però cerca di non reagire e soprattutto non cadere nella trappola delle provocazioni di Denver…” Gli mise un mano sul petto per tranquillizzarlo.
“Andrà bene se resta calmo. Ok? E non fare battutacce...”
“Io non faccio battutacce, soprattutto su questioni serie come questa!”
Kate gli schioccò uno sguardo di fuoco. “Non fare come tuo solito almeno…”
Castle annuì sconsolato. Riusciva solo a pensare che il capitano volesse operare un chiarimento definitivo sulla sua situazione. “Farò del mio meglio.” Rispose con un sorriso dolce. Alla sua meravigliosa donna non sapeva negare nulla e quello sforzo valeva la pena di essere fatto per riconquistare il suo posto al distretto accanto a lei. Ci sarebbe stato tempo dopo per parlare della vendetta ai danni di quel maiale.
Entrò per primo e attese in piedi che il simpaticone si facesse vivo.
“Ehi, la mammoletta è di ritorno?” La sfacciataggine di Denver venne congelata dallo sguardo freddo del capitano.
“Zitto Denver, ora parlo io e lei apre bene le orecchie. Signor Castle…” annuì con il capo verso lo scrittore che non emise un fiato.
“In questo distretto ho un problema di organico e ho bisogno di tutti gli uomini disponibili.” Esordì alzandosi e camminando in tondo davanti e alle loro spalle.
“Quelli con stipendio…” E indicò con un gesto della mano Denver, “e quelli volontari…” aggiunse in direzione dello scrittore.
“Ma non ho alcuna voglia di avere a che fare con dei puerili litigi perché le persone non sanno stare al proprio posto.” Disse giocherellando con gli occhiali.
“Non desidero dover rivivere l’incresciosa situazione della settimana scorsa, ne desidero che questo distretto sia sotto osservazione per problemi interni con il personale. Non arriverò a tanto quindi vi informo che sarò rapida e decisa. Il primo che sgarra esce da quella porta e da questo posto in via definitiva.”
Lasciò alcuni minuti a decantare le proprie parole in modo che fossero ben chiare ai due uomini di fronte a lei. “E la carenza di personale sarà l’ultima cosa a cui penserò.” Aggiunse con sarcasmo.
“Signor Castle, le sono grata per non aver sporto denuncia, ma sono anche certa che il suo comportamento sarà sicuramente professionale d’ora in poi, lasciando da parte le questioni personali. Se dovesse…” Si girò verso Denver e lo congelò nuovamente con lo sguardo. “Se solo dovesse avvenire qualcosa che disturba lei o sua moglie in modo personale e non attinente alle attività del distretto, gradirò essere informata e agirò di conseguenza. Ma lei si guardi dall’agire contro un ufficiale di polizia.”  Castle aprì la bocca e scosse il capo. “Ne pagherò le conseguenze. Ma… non deve… più succedere…” replicò secco scandendo le parole.
“Se accadrà ancora, mi comporterò da privato cittadino e muoverò ben precise accuse contro il detective. Non mi limiterò a lasciargli lividi in faccia.” Si voltò verso Denver. “Ho molti buoni avvocati…” Disse con un sibilo.
Gates annuì perplessa. “Sì, signor Castle. E’ suo pieno diritto...”  
Denver sbuffò restituendo a Castle un’occhiataccia.
“In quanto a lei…” Iniziò a dire rivolta al detective, “smetterà di comportarsi come un idiota, si rimetterà agli ordini del detective capo Johnson e farà quello che ci si aspetta da lei. Avete un caso da risolvere, spero si dia da fare.”
Denver, vedendosi surclassato in un ruolo che dava per scontato, reagì replicando con stizza.
“Nel mio vecchio distretto ero a capo della mia squadra!”
La Gates sorrise sprezzante. “Non qui. In questo distretto lei ha perso dignità e punti con il suo comportamento grezzo e incivile. Lei farà quello che dico oppure…” Indicò la porta con un gesto secco e imperioso. Un sorriso fece capolino sul viso di Castle che cercò a fatica di reprimere. Si beccò un’occhiataccia dal capitano. Il suo entusiasmo si raffreddò. Come aveva detto Kate non doveva reagire, doveva restare calmo anche nell’entusiasmo.
“Detective, lei porterà rispetto alla sua collega Beckett e a suo marito. Il signor Castle è un nostro valido collaboratore, oltre ad essere il marito di Beckett, e come tale lei lo deve considerare. In questo distretto e sotto il mio comando, il matrimonio è un’istituzione che ha ancora il suo profondo valore e intendo preservarlo.” Il capitano si fermò davanti a Denver guardandolo in viso con durezza.
“Valido?” Interloquì Castle in un momento di euforia dato da quell’improvviso, quanto inatteso, complimento da parte del capitano. Lei fece un sorriso forzato. “Signor Castle?”
“Mi scusi…” disse agitando le mani in segno di resa.
La Gates continuò a parlare girando intorno a loro.
“Quindi…” Disse riprendendo il filo del discorso, “se non le sta bene potrà fare richiesta di essere reintegrato nel suo vecchio distretto. Nel qual caso spero che in sostituzione mi mandino qualcuno di meno… molesto.” La voce della Gates era sprezzante e il ritmo cadenzato era usato con grazia per sottolineare gli aggettivi scelti con cura per la situazione. Il detective non sembrava comunque gradire la situazione, del resto pareva tutta a suo sfavore. Castle abbassò lo sguardo e pensò a quanto fosse notevole la fierezza espressa da quella donna, così come altrettanto notevole era la sua integrità di poliziotto. Beckett era decisa allo stesso modo e riuscì a immaginarla con chiarezza nei panni della Gates, in un futuro non troppo lontano, a comandare un dipartimento di polizia. Sarebbe stata grandiosa. E poi con Beckett nella posizione di capitano chi poteva allontanarlo? Deglutì senza voltarsi a guardare lo scontro tra i due.
Sentiva Denver respirare velocemente, segno che fosse piuttosto nervoso. Castle rimase impassibile, per quanto gli riuscì. Quel discorso gli stava conferendo il diritto di rientrare al lavoro al distretto. Era più di quanto avesse sperato dopo otto giorni di lontananza e silenzio.
“Signor Castle può riprendere servizio in compagnia di sua moglie. Mi raccomando. Si ricordi che questo posto non è una sala giochi. Questo è un ambiente piuttosto duro e lei dovrebbe averlo già capito.” Castle annuì. Eccome se lo aveva capito, lo aveva vissuto sulla sua pelle per lunghi anni, e sapeva che la filosofia del porgi l’altra guancia in quel posto non pagava mai. La Gates lo stava congedando così lui ringraziò ed uscì con un sorriso compiaciuto stampato in viso.
La Gates tornò a camminare verso al sua scrivania, ma con Denver non aveva finito. C’era qualcosa di personale che aveva bisogno di chiarire con quello zoticone.
“So che lei è stato vittima di un po’ di… intrattenimento vecchio stile, chiamiamolo così. Che le hanno fatto? L’hanno chiusa nell’archivio per una notte?” Chiese senza modificare il suo tono divertito.
Denver si mosse indeciso su cosa dire. Il capitano sapeva tutto? Era d’accordo con gli altri?
“Lo so, quello è uno scherzetto per pivelli…” Spiegò dando voce ai dubbi ben leggibili sul volto dell’uomo.
“Beh erano in tre...” Replicò per chiarire. Era stato sopraffatto.
La Gates fece un sorriso acido. “Non faccia la vittima… Non le si addice.”
“Fa la morale a me e queste cose le tollera?” Denver scosse il capo.
“Ufficialmente io non le so.” Gates mimò le vigolette con una mano. 
“Ma questa volta le dico anche il perché le ho volute sapere.”
“Spari. Sono curioso…”
“Per prima cosa mi sembra il minimo da parte del detective Beckett per averle messo le mani addosso. E’ stata ancora gentile, io sarei stata meno tenera.” Disse allontanandosi dall’uomo.
Denver strinse i denti e scosse il capo. Troppo potere a quelle due.
“E’ una questione di rispetto e di limiti, e io qui ho occhi e orecchi dovunque.” Aggiunse cercando di fare il punto. Storse le labbra e si sistemò gli occhiali.
“I più dicono che lei debba ringraziare il signor Castle che ha… reso Beckett più morbida.” La Gates andò a sedersi alla sua scrivania. “So che c’è stato un giro di scommesse, ma questa mania devo ancora riuscire ad estirparla. Scommettevano sul tempo impiegato da Beckett a vendicarsi. Pare abbia vinto Gore, del settore informatico.”
Lo stupore sul viso del detective si andava via via amplificando mentre lei elencava tutte le informazioni. Doveva saperlo, lei era il capitano: era informata su tutto quello che accadeva nel suo distretto. Fece una smorfia di disgusto.
“Oh andiamo, per una pacca amichevole sul culo ne state facendo una tragedia!” Sbottò Denver cercando di giustificarsi. La situazione era inutilmente degenerata. Non era la prima volta che lo faceva e non sarebbe stata l’ultima ed una scazzottata con un marito geloso non era certo una novità.
Il Capitano sbottò innervosita. “Le sue attenzioni ossessive non gradite sono una tragedia…”
“Sa, posso accettare che in un ambiente duro gli uomini non vadano d’accordo. Che abbiano modi di pensare diversi o che si sentano in competizione…” Lo guardò negli occhi e Denver sembrò capitolare un po’ nel suo atteggiamento da superuomo.
“Noi siamo poliziotti, abbiamo una vita difficile e posso capire che le tensioni e la violenza dell’ambiente in cui lavoriamo spesso generino conflitti, ma non posso… davvero non posso accettare che lei mi crei un problema di natura comportamentale per l’interesse su una donna… Interesse morboso per una donna che evidentemente non desidera le sue attenzioni.”
Denver si mosse facendo qualche passo e umettandosi nervosamente le labbra.
“Lo scrittore, è stato lui a iniziare, io non ho alzato le mani su di lui. E poi chi diavolo è per avere il diritto di mettere le mani addosso a me? Un agente di polizia?”
Replicò amareggiato e mantenendo sempre quel tono sprezzante che la Gates continuava a detestare.
“Si sta ascoltando vero?” La Gates non gli lasciò il tempo di reagire.
“Il signor Castle è qui per diversi motivi. Il principale è l’essere un collaboratore del tutto gratuito e particolarmente efficace. Il Team di Beckett ha risolto casi che lei nemmeno può immaginare, alcuni sono addirittura classificati dall’FBI. Quindi se l’è… ampiamente meritato il diritto a stare qui. E se lo ripete là fuori lei è licenziato.” Denver deglutì confuso. “Non ho capito.” Replicò.
“Immagino.” Sentenziò il capitano. “Ma a parte questo, il sindaco potrebbe diventare all’improvviso suo nemico. Io non ho voglia di avere guai a causa sua. Soprattutto con il sindaco. Chiaro?”
L’uomo annuì.
“Ma la cosa che più mi urta è quello che lei sta pensando di fare…” Continuò fredda. “Lei sta deliberatamente cercando di mettersi in mezzo ad una coppia che stimo e apprezzo. Ho partecipato al loro matrimonio. Ho visto dolore, fatica e sangue in quei due prima di arrivare dove sono ora. Ho vissuto con loro alcune vicende personali e non le permetterò di fargli del male.” Disse a bassa voce.
Pensava alla Beckett donna, al suo dolore, alla sua storia e a quel giorno terribile in cui pensava di aver perduto l’amore della sua vita. Una vicenda così crudele da lasciare il segno anche in lei. Avevano dimostrato una resistenza inaudita, una tenacia degna di nota e da semplice donna provava ammirazione per loro.
Ed aveva capito che c’era aria di novità. Non era ancora arrivato il momento di renderla partecipe ma l’atto stesso di iscriversi al concorso per ufficiali da parte di Beckett era arrivato in un momento perfetto. Non era una coincidenza, non credeva minimamente che lo fosse.
Denver abbassò il capo sempre rimanendo sulla difensiva. Cominciò a farsi un’idea precisa sulla situazione. Il capitano li stava proteggendo, come tutto il resto del distretto. L’irlandese lo aveva giusto avvertito poco prima, ma non immaginava che la cosa fosse tanto estesa. Quelli erano la mascotte del distretto, o meglio ne erano il cuore. Nel suo vecchio distretto c’era un detective, un veterano con cui un po’ tutti avevano lavorato e che aveva insegnato loro il mestiere. Tutti volevano bene al vecchio Talbot. Certo non era uno schianto di donna come Beckett ma il concetto era simile. Molestare Beckett e consorte era considerato tabù in quel posto.
E poi lo scrittore si era comprato tutti con una macchina del caffè espresso e chissà che altro.
Alzò le mani in segno di resa. Ma la Gates non era ancora del tutto a posto. Un’ultima sentenza uscì dalle sue labbra prima di congedarlo.
“Umanamente lei mi fa ribrezzo, ma su questo posso soprassedere se farà il suo lavoro come si deve. Ora torni a lavoro.”

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Rieccomi qui con un nuovo capitolo. Mi piace la Gates!

 

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Capitolo 3
*** Passione e dovere ***


La squadra osservò attentamente Castle uscire alla chetichella dall’ufficio della Gates, ma non arrivò a metà del corridoio che il suo sorriso furbo venne accompagnato da un gesto di vittoria tutt’altro che moderato.
Del resto, tipico di lui, le vittorie andavano in qualche modo festeggiate e lui raggiunse la scrivania della moglie prendendosi il bacio del vincitore. I ragazzi risero e Kate si rilassò pensando a quanto potesse essere accaduto nell’ufficio del capitano per renderlo così allegro.
Castle sedette con un sorriso compiaciuto sulla sua sedia sotto il suo sguardo curioso e disse candidamente: “Sono tornato!” Kate gli sorrise e lui scambiò un cinque con i due amici.
“Racconta…” Lo invitò Kate.
“Beh, sono stato reintegrato in quanto facente parte del personale del dodicesimo. Personale non pagato, ma personale in servizio!” Sottolineò con enfasi.
Ryan scosse il capo ed Esposito gli fece il verso. “La Gates deve essere davvero disperata per arrivare a tenervi entrambi…” Rise rumorosamente e Castle gli fece una smorfia. “Ehi!” si lamentò sbuffando. Poi rivolse lo sguardo fiero verso Kate che se ne stava silenziosa ad ascoltare le scaramucce tra lui e gli amici. La normalità poteva anche essere rilassante.
“Abbiamo un caso da chiudere o sbaglio? La sera non è lontana dobbiamo darci da fare” Chiese quindi Castle con la sua solita faccia da schiaffi.
Kate roteò gli occhi verso il soffitto. “Chi ti dice che riusciremo a farlo entro sera?” Aspettò con un sorriso quella perla di saggezza che sapeva sarebbe uscita dalla bocca del suo uomo.
Lui si sistemò la giacca con cura e gonfiando il petto per darsi un tono più formale disse: “Perché ora c’è la mia mente geniale con voi!” Kate si mise una mano sul viso scuotendo il capo. Anche il suo ego straripante era tornato con lui, ma fu felice nel sentirlo entusiasta.
“Sai la Gates ha detto che sono un valido collaboratore…” Aggiunse con un sorriso smagliante.
“Mi domando come tu possa ancora stare in quella camicia… Sta quasi per esplodere!”
“Ahhh…” disse guardando con attenzione la lavagna. “Non sembra poi così difficile.” Commentò focalizzando dati e visi.
Kate si sporse verso di lui. “Allora fai sul serio.” Ammiccò incuriosita.
“Sì, soprattutto perché desidero passare una serata tranquilla con te, stasera.” La mano di Rick si era posata sulla sua puntualizzando l’idea di portarla a casa il prima possibile.
Lei alzò le dita e le incrociò con quelle di lui.
“Allora genio della lampada facci sapere cosa ne pensi…”
“E’ stato il padre.” Commentò Castle con un sorriso sornione. “Ha un alibi?”
“Dormiva con la moglie a casa propria.” Rispose Kate.
Castle si alzò e arrivò davanti alla bacheca. “Non è un alibi.”
Esposito si sedette sulla sedia lasciata libera da lui e Ryan li raggiunse nuovamente scivolando con la sedia.
Beckett lo guardò incuriosita.
“Spara…” disse indicandogli di continuare.
“Jefferson Keeler…? Non vi dice nulla?” Disse con un sorriso divertito.
“Il ragazzo fa una certa vita mondana, si?” I tre davanti a lui annuirono con il capo.
“Ragazzo geloso? Quindi gay?” Di nuovo un assenso.
“Figlio di papà che va in giro per locali a luci rosse e paga con carte di credito senza problemi. E poi dicono che non ha perversioni?” Castle sorrise e fece un’espressione per sottolineare ciò che è più ovvio.
“Se fosse stato suo padre lo avrei ucciso io.” La sua sentenza fece ridere i colleghi, ma qualcosa attrasse l’attenzione di Beckett, con sorpresa.
“Continua…” lo incitò per capire dove volesse arrivare.
“Ehi, bro, sei così omofobo?” Chiese Ryan incuriosito.
Esposito alzò le spalle. “Io lo sono… Un po’…” Valutò serio.
Castle si voltò sorpreso. “Io? No, no… non è per questo, ho studiato a lungo le perversioni, sono curiose abitudini che io stesso…” Si trovò addosso gli occhi di Kate e tossicchiò imbarazzato.
“Ehm… Non centra nemmeno il suo orientamento sessuale… Ma voi non sapete chi è Keeler?” Chiese con stupore.
Kate non riusciva a capire dove Castle volesse arrivare. “E’ un politico dell’opposizione nella città di New York.” Disse lentamente. Caste annuì.
“Circa 10 anni fa, Jeff Keeler era candidato alla poltrona di vicesindaco nella lista del candidato Brown. Ha fatto tutta la campagna elettorale basandosi sui valori della famiglia e della legittimità, tutte cose molto vecchio stile… un perbenista insomma. Per fortuna gli è andata male. Ci ho pure discusso ad un party di beneficienza, mi ha dato del… beh lasciamo stare. Del resto io parteggiavo per Bob Weldon…” disse gesticolando.
Castle si mise a camminare. “So che voleva ricandidarsi alle prossime elezioni, ha anche fatto una raccolta fondi prima dell’estate. Se lo stile di vita che teneva suo figlio fosse divenuto di dominio pubblico avrebbe creato nel suo schieramento un forte imbarazzo, forse un movente per l’omicidio ce l’ha!” Castle fece il suo sorriso divertito alzando le sopracciglia.
Si beccò una pallina di carta da Kate ed i ragazzi risero di gusto. Beckett sembrava essere tornata quella di sempre. Ryan scosse il capo pensando che forse aveva speculato troppo e che la ragione della sua stranezza era solo la mancanza del suo uomo.
“Oh, dai! Non ditemi che non è la migliore idea che avete!” Aggiunse sottolineando le sue parole con un gesto verso la lavagna.
Kate roteò gli occhi. “Non sono dell’idea che il padre abbia commissionato l’omicidio del figlio per ragioni politiche.  C’è una forte probabilità che sia stato ucciso per gelosia. Il suo boyfriend sembra piuttosto insicuro sulla sua versione dei fatti, stiamo controllando il suo alibi.” Spiegò.
Castle guardò le foto sulla lavagna. “Uccidere strangolando implica una reazione sanguigna, qualcosa di passionale, quindi i sentimenti c’entrano comunque.”
“Altrimenti gli sparavano e basta. C’è stata colluttazione…” Aggiunse Ryan guardando le foto dei lividi sul corpo della vittima. “Percosse come se fosse una rissa finita male.”
Castle mimò una stretta al collo di Ryan poi allargò le mani. “Quanto sono grandi le mani?”
Kate appoggio un gomito alla scrivania e si dondolò sulla sedia. “Lo sapremo presto, stiamo aspettando i risultati dell’autopsia da Lanie, ma non speriamo di essere così fortunati da avere impronte digitali nitide sul corpo della vittima.”
Castle fece un po’ il broncio. “Ma così non sarebbe divertente.”
“Se si è difeso forse ci sono tracce di DNA sotto le unghie…” Disse Esposito guardando verso l’amico e indicando la foto della scena del crimine. “L’acqua non aiuta.” Finì col dire.
Castle sorrise. “E poi non ha le unghie lunghe per graffiare il suo aggressore.”
In quel momento la porta dell’ufficio della Gates si aprì e Denver ne uscì torvo e si diresse a passo svelto verso il suo ufficio Ignorando il gruppo di colleghi.
“Per la cronaca La Gates lo ha deferito agli ordini di Johnson.” Sibilò Castle portandosi una mano alla bocca.
La Gates si guardò in giro in modo feroce. “Vi voglio vedere tutti al lavoro. Abbiamo due casi da risolvere datevi da fare. Tutti!” Esplose infine. Poi richiuse la porta e tornò ai propri compiti.
Esposito fischiò. Povero Johnson, non se la merita una rogna del genere.”
“Concordo.” Replicò Kate pensierosa. Si alzò e passeggiò a lungo davanti alla lavagna.
Fino a quel momento avevano preso in considerazione un delitto passionale, ma Castle poteva aver aperto un vaso di pandora. Pochi minuti e avrebbero avuto i risultati dell’autopsia così potevano indirizzarsi ognuno ai propri sospetti.
Castle prese tempo per leggersi velocemente i fascicoli con le informazioni sul caso, doveva mettersi in pari. “Frequentava Alphabet City… un posto molto perbene.” Commentò ad alta voce.
“Più tardi tu ed io ci andiamo per fare domande.” Replicò Kate.
Castle sorrise. “Sicura che mi ci vuoi portare?”
“Tranquillo Castle, se toccano il fondoschiena a te stavolta sarò io a fargli gli zigomi neri.”
“Passo da casa a prendere l’arpione se preferisci.” Rispose allegro e Kate sorrise.
“Non credo ci sia bisogno. Ho la pistola. Basterà per salvaguardare la tua virtù…”
Si diresse verso la saletta ristoro. “Mi ci vuole un caffè. Esposito a che punto siamo con l’alibi del fidanzato? Abbiamo ricevuto qualcosa dalle telecamere del dormitorio?”
Esposito scosse il capo.
“Puoi sollecitare? Del resto nessuno dei suoi amici può confermare il suo alibi ed il movente della gelosia è ancora il numero uno tra i sospetti...”
Castle seguì Kate ed entrò nella saletta con lei.
“Quanti ne hai già bevuti?” Chiese entrando con calma. “Solo due.” Rispose la donna appoggiandosi al muro e guardando in viso suo marito.
“Latte macchiato?” Chiese lui con un sorriso dolce. “Se lo agiti fin da subito con la caffeina non riuscirai a dormire.” Lei rise e annuì. Il suo pensiero costante al loro bambino in arrivo era disarmante in certi casi.
Come faceva ad essere sempre così attento con lei? 
“Ok, specialista. Latte molto macchiato.” Specificò. Poi indicò oltre la finestra con un cenno del mento. “E’ andata bene.”
Castle sorrise compiaciuto. “La Gates lo ha ucciso. Letteralmente. E’ stato uno spasso.” Kate annuì.
“Però Kate…” Eccolo il suo uomo apprensivo. Lo aspettava al varco. Lei sospirò attendendo le novità.
“Esposito mi ha detto che hai picchiato Denver…” Lei annuì.
“Perché non me ne hai parlato? Quella sera sei tornata al distretto di proposito…”
“Non avresti approvato.” Rispose lei.
Castle scosse il capo facendo scaldare il latte con il vapore. “No, no ti sbagli io approvo… Ma avrei preferito fosse stato in altro momento e con me…” Chiarì voltandosi verso di lei.
“E’ una questione di rispetto, soprattutto tra poliziotti. Non potevo rimandare. Tu dovevi restarne fuori…”
“Ma se ti avesse colpito?”
“C’erano i ragazzi con me.”
“Ma lo hai affrontato tu. Lo so che sei in gamba, ma ti prego cerca di…” Agitò le mani e versò un po’ di latte sul piano della macchina del caffè.
“Starò attenta, te l’ho promesso.” Disse addolcendo la voce. Non c’era ragione di prendere di petto quella discussione. Un fondo di verità Rick ce l’aveva. Un colpo be assestato al ventre e lei poteva…” scosse il capo cercando di non farsi influenzare dall’ansia di lui.
“Voglio che sia chiara una cosa.” Iniziò a dire Kate,
“Io non ti presterò mai ad altre donne Rick…” Disse alludendo apertamente a quell’incontro avuto negli Hempton’s durante l’estate e da cui era nato il suo soprannome Achab.
“Così come non permetterò che altri uomini mi tocchino…” disse con voce dura. “Mi difenderò.” Specificò. “Sia ora che in futuro. E la gravidanza non cambierà questo mio modo di pensare.”
Kate si morse un labbro. “E poi ha cercato di picchiarti e la cosa non mi piace affatto.”
Castle sorrise. “Adoro quando sei possessiva!”
Kate si avvicinò a lui. Il latte macchiato era pronto nella tazza tra le sue mani e lei avvolse le sue intorno a quelle grandi di Rick.
“Non mi metterò nei guai, te lo prometto, fidati.” Lui annuì docilmente.
“In natura le madri sono le creature più feroci. Sarai spietata!” Disse lui con una smorfia.
“Sì. Anche contro Gina.”
Castle sentì una fitta al petto. Doveva dirle una cosa e non sapeva da dove iniziare.
“A proposito di Gina…” Disse espirando. Kate assaggiò il suo latte macchiato ma si fermò puntando gli occhi in quelli di lui.
“Vuole che settimana prossima vada alla fiera del libro di Montreal. Dice che è un evento importante, una vetrina a cui non posso mancare…” Kate deglutì.
Si passò una mano sul viso. Non amava il tempo che passavano separati. Dal matrimonio era sempre stato così e sapeva che Castle condivideva il suo sentimento in proposito, ma quello era il suo lavoro.
“Viene anche lei?” Chiese osservando la schiuma del latte sul bordo della tazza.
“Credo di no.” Rispose Rick a bassa voce.
Kate sorrise tesa. La sera prima Rick aveva discusso a lungo con Gina chiuso nel suo studio. Forse era di quello che discutevano.
“Il pranzo era per addolcire la pillola? Perché non me l’ha detto ieri sera?” Non c’era astio nella voce di Kate, solo una velata tristezza. Si morse la lingua. Era stata troppo acida comunque. “Scusa…” Mormorò a bassa voce piegando la testa di lato e stringendo gli occhi. Appoggiò la tazza sul ripiano della macchina del caffè.
Castle scosse il capo. Non se l’era presa, lei era prevenuta nei confronti di Gina ed era stato lui a darle la ragione di esserlo raccontandogli la verità sul modo in cui lei aveva cercato di riprovarci. Ma la menzogna poteva essere ben più deleteria della verità ed era ancora più che sicuro della scelta fatta di farla partecipe di quell’evento.
“Me lo ha detto soltanto stamattina. E comunque non te lo avrei detto ieri sera in ogni caso, avevi bisogno di riposare, non certo discutere di questa possibilità. Perché è ancora una possibilità, non le ho dato risposta. Aspettavo di parlarne con te. Magari stasera.” Replicò con un sorriso triste.
“Il pranzo poi è per voi due… Mangiare sano fa bene ad entrambi.” Deglutì abbassando gli occhi. Kate si sentì di nuovo in colpa per quella sua assurda gelosia. Ma più di ogni altra cosa c’era quella maledetta paura che era rimasta radicata nel suo animo. Quella di cui aveva discusso a lungo con il dottor Burke, a seguito del rapimento di Rick. La paura di non poter vegliare su di lui e proteggerlo quando era lontano.
La porta si aprì ed entrambi osservarono Ryan entrare trafelato.
“Lanie ha i risultati.” Disse e Kate annuì.
L’Irlandese osservò lo sguardo serio di entrambi e uscì grattandosi il capo. Quei due a volte erano un enigma.
“Kate, se preferisci che io non ci vada…” Disse fermandola prima che si muovesse verso la porta. Kate sospirò stringendo le labbra.
Rick era il suo meraviglioso scrittore, la sua paura non doveva fermare in alcun modo il suo lavoro. La sua fama era ben meritata e lei per prima era rimasta la sua più assidua fan. Non poteva negare al mondo le sue creazioni, i suoi romanzi erano davvero molto belli, appassionati, divertenti e interessanti. Lui era e rimaneva Richard Castle, un romanziere di fama mondiale e nessuna gelosia stupida o paura dell’ignoto doveva interferire. Lo abbracciò con forza cercando di farsi perdonare le sue uscite poco felici.
“No… no, devi andarci, è per il tuo lavoro e te lo meriti. E poi a me basta che lei non ci sia. Solo questo.”
Da quando era diventata insicura? Non era da lei. Sbuffò di nuovo tuffando la testa nel collo di Castle e si rilassò. “Oh dio, la gravidanza mi sta rendendo paranoica…”
Castle ricambiò la stretta decisa del suo abbracciò. “Non voglio stare via molto… Se solo potessi venire con me…” Lei sorrise. Non poteva, lo sapevano entrambi che le sue ferie erano finite.
“Tornerai presto da noi.” Rispose con sicurezza e lo baciò con dolcezza sul naso. Si prese un minuto per accarezzare il suo viso. “Tre, quattro giorni al massimo.” Promise Castle.
“Dobbiamo andare ora.” Disse infine sciogliendo l’abbraccio e avvicinandosi alla porta. L’aprì e prima di uscire fece al suo uomo un cenno con la testa.
Castle la seguì sorridendo: Kate era un meraviglioso intricato groviglio di passione e dovere.

Lanie giocherellava con la penna e riguardava le carte davanti a sé. Un occhio verso la porta e un occhio sulle carte. Kate sarebbe arrivata a momenti e moriva alla voglia di trovare il modo di chiederle della gravidanza.
In fondo era passato molto tempo e un risultato doveva averlo, solo che non voleva essere la prima a fare domande. Se fosse stato un falso allarme magari Kate lo aveva vissuto male, e la lontananza di Castle dal distretto non l’aveva certo resta più loquace. Non voleva fare passi falsi, ma la curiosità era quasi arrivata al limite della sua sopportazione.  Si decise che la cosa migliore fosse buttarla sullo spirito e provarci, ma come iniziare?
Sperava ardentemente in un esito positivo perché per l’amica si apriva una nuova e stupenda fase della vita. Si poteva fare molta ironia su un uomo come lo scrittore ma, scherzi a parte, Kate non poteva desiderare padre migliore per suo figlio. Come marito si stava dimostrando clamorosamente adorabile e la sua fedeltà a Kate era indiscussa. Come padre di Alexis era stato in gamba. Il futuro riservava loro un quadro finalmente roseo dopo le difficoltà del passato. Era giusto così.
Una piccola parte di lei era anche invidiosa dell’amica, ma un’invidia buona, niente di aggressivo o malevolo.
Il tempo passava inesorabile e lei non aveva ancora trovato l’uomo giusto per mettere su famiglia, al contrario di Kate che era felicemente sposata da quasi due anni.
Quando in passato lei e Kate erano entrate in argomento famiglia e matrimonio, quella con più chances per arrivare prima a tale evento sembrava essere stata lei. Kate, dal lato della sua anima ferita, sempre sulla difensiva, poteva sembrare quella meno propensa alla vita matrimoniale. “Ed invece...” Lanie mormorò sorridendo.
“Ecco che ti spunta un affascinante milionario con una valanga di pazienza a salvare la bella.” Aggiunse con un sospiro. Una cosa che aveva di primo acchito il sapore di una fiaba. Ma non c’era nulla di sbagliato a vedere le cose in quel modo. Il suo animo romantico tendeva a vedere la loro storia come qualcosa di molto simile a - La bella addormentata nel bosco -, dove lei non era addormentata, ma il suo cuore era in letargo. Il principe aveva sconfitto la fitta barriera di rovi tutta intorno e nella vita di lei, disseminata di problemi, ferite e pericoli, sconfiggendo il male con la sua forza d’animo e ridestando il suo cuore sopito.
Un figlio poi era una naturale conseguenza della creazione di una famiglia e di quella fiaba romantica, almeno così lei pensava. Un principino nato dall’unione di due anime in piena sintonia.
Lanie adorava i bambini. Molte sue amiche le avevano suggerito di averne uno tutto suo. Ma non dare alla creatura un padre era una cosa che la urtava, le sembrava sbagliato. Come lo era accontentarsi di un uomo non all’altezza del compito. Sbuffò. Stava diventando troppo difficile trovare un uomo su cui contare.
“Ahhhhh!” Sospirò guardando verso il cadavere dell’uomo adagiato sulla slitta della cella frigorifera. “Lo sai? Sono una vera romantica, ma nessuno lo nota.” Commentò ad alta voce e agitando la mano con un gesto secco. “Questa città sta diventando troppo crudele per l’amore, non trovi? Anche tu hai perso la vita per amore?” Chiese quindi senza ovviamente ottenere risposta.
Certo il povero Keeler non poteva essere di molto aiuto nel dare risposte sulla vita, visto che l’aveva giusto persa nelle ultime ventiquattro ore, nemmeno per rispondere a domande sulla propria morte perché in realtà ne sollevava molte altre. Domande del tipo perché nei suoi polmoni e sui suoi abiti ci fosse dell’acqua salata se era stato trovato morto in un canale di una centrale per il trattamento delle acque cittadine. Non era vicino alle zone portuali. Nessuna impronta nitida sul corpo per poter fare riscontri. C’era del dna sui vestiti, ma la provenienza poteva essere di varia natura e risalire al proprietario di quella traccia genetica poteva essere una vana ricerca visto che nel canale dove era stato ritrovato si immetteva anche un condotto di scolo di un depuratore. Le tracce organiche potevano essere depistanti. Le analisi sull’acqua trovata nei polmoni potevano dare delle informazioni più utili.
Le mani non portavano segni di lesioni. Era stato picchiato in viso, in corpo. Malmenato piuttosto seriamente tanto da rompergli un paio di costole e compromettere il ginocchio sinistro: se fosse sopravvissuto avrebbe dovuto ricostruirlo per intero e sarebbe rimasto comunque claudicante. C’era stata una forte aggressività nei confronti del ragazzo, chiunque fosse stato ce l’aveva con lui tanto da infierire anche sul suo cadavere? Alcune ecchimosi non era chiare e potevano essere gli effetti di un trasporto post mortem.
Certamente il cadavere era stato spostato.
Il ragazzo non si era difeso, forse perché la quantità d’alcol in circolo nel suo sangue era troppa, o forse l’aggressore si era accanito su di lui in stato di incoscienza. Non c’era traccia di droghe nel sangue, sembrava uno pulito in quel senso. L’aggressore doveva essere un bel pezzo d’uomo, la dimensione delle mani era ragguardevole. Dall’inclinazione dei segni sul collo l’omicida era più alto di lui.
La morte per annegamento non era stata rapida, ma lenta ed indiscutibilmente in acqua salata. Essendo stato privo di sensi non doveva essersene reso conto. Nemmeno una magra consolazione per la famiglia.
Si alzò e andò verso le celle frigorifere.
“Ma tu che mi dici così poco, perché non mi suggerisci come fare a rompere il ghiaccio con Kate?” Chiese al cadavere prima di coprirgli il viso con il sacco e richiuderlo nella cella frigorifera.
“Per cosa?” La voce di Kate alle sue palle la fece trasalire. Forse il povero tapino messo in congelatore le aveva offerto l’occasione che cercava.
“Per dirmi di te e del tuo… ritardo.” Si voltò e si trovò di fronte a entrambi i coniugi Castle. Evidentemente lo scrittore aveva avuto il nulla osta al suo rientro.
Lui sorrideva a lei che ricambiava con un lieve imbarazzo. Kate alzò le spalle.
Si scambiarono un paio di sguardi e di gesti che Lanie non capì.
“Al nostro fagiolino già piace il cioccolato.” Rivelò quindi Castle con un sorriso furbo. Kate scosse il capo mentre Lanie emetteva un gridolino di gioia e andava ad abbracciare l’amica. “Uh ragazza!”
“Allora è tutto vero!” Lanie sembrava su di giri.
Kate annuì e Castle assunse un’espressione buffa. “Bean…” Disse a bassa voce.
“Scordatelo!” Replicò Kate, “Non chiamerò così nostro figlio.” Aggiunse decisa.
Lanie lasciò l’amica per abbracciare Castle.
“Questa notizia illumina la giornata!” Disse con un sorriso entusiasta. Castle era rimasto sorpreso della reazione della donna, ma fu contagiato dal suo stesso entusiasmo.
“Light Castle…” Valutò quindi guardando Kate.
“Se è una bambina perché no…” Rispose lei prima di voltarsi verso Lanie che ancora sorrideva.
“Sarà un maschietto.” La redarguì lui.
“Andate avanti così tutto il giorno?” Chiese Lanie incrociando le braccia.
Kate negò. “No, ha… solo dei momenti… devianti.”
Castle sorrise. “Ogni occasione è buona per trovare il nome giusto.”
Lanie prese Kate per una mano e la trascinò verso la propria scrivania. “Ma dimmi, come stai? Ha già fatto un’ecografia?”
“Da dove pensi sia venuta l’idea del fagiolino?”
Lanie indicò Castle che si aggirava curioso per la sala autopsie. L’uomo lasciò a Kate e all’amica un momento di privacy, ma restò a portata di orecchio, in fondo a lui piaceva ascoltare il pettegolio tra donne, soprattutto se lui aveva un ruolo nel tema del discorso.
“Come stai, le nausee sono già iniziate?” Chiese incuriosita.
Kate negò. “Non ancora, ma gli ormoni cominciano a dare di matto.” Risero entrambe. “Sono entrata nell’ ottava settimana ormai.” Aggiunse con un sospiro.
“Magari venire a dirmelo prima non sarebbe stato male…” Lanie fece la finta offesa per qualche minuto, ma in realtà era felice per l’amica. “Mi hai fatto aspettare una vita.”
“Oh, dai…” Kate sbuffò.
Cercò di giustificarsi, ma sapeva che quella di Lanie era solo una postura. “Volevo che ci fosse anche lui. Ci tengo… e poi lo vedi no? E’ anche più su di giri di me.” Rispose abbassando la voce.
“Capisco.” Mormorò. Kate sospirò.
“Ricordi quando, anni fa, ti dicevo che eri pazza di lui?” Lanie la guardò con gli occhi strizzati. Kate annuì.
“Oh, sì, non perdevi occasione di punzecchiarmi.” Risero entrambe.
Lanie inclinò la testa. Poi alzò il dito e disse. “Ti sei guardata ora tesoro?”
Kate sbottò divertita. “Non ti dirò che avevi ragione.”
“Ma avevo ragione, non ti pare?” Sottolineò con enfasi. “Aspetti un figlio da lui. E non sai stargli lontano.”
Kate rise. Lanie aveva un sesto senso per certe cose, come se sapesse del discorso che lei e Castle avevano appena avuto. Stare lontana da Rick la rendeva triste, non lo poteva negare e forse la sua espressione riusciva a palesare tutti i sentimenti che provava per il suo uomo agli occhi di un’amica come lei. La conosceva bene, le voleva sinceramente bene.
“Hai ancora paura?” Chiese quindi Lanie addolcendo il tono della voce e accarezzandole un braccio.
Kate guardò Rick giocherellare con alcuni ferri e poi annuì.
“Un po’ sì. E’ una cosa nuova… Ma l’ho voluto io e Rick mi sta molto vicino. Mi ha preso in contropiede la velocità con cui è successo. Mi ha spiazzato.” Sorrise al suo uomo che gli fece l’occhiolino tornando ad avvicinarsi.
“Credo che un invito a cena per sabato sera sia il minimo.” Disse Castle con un sorriso abbassandosi per dare un bacio sulla testa a Kate. “Ti faremo anche sentire il suono di quel cuoricino piccolo piccolo che batte dentro di lei.” Aggiunse con enfasi mettendole le braccia intorno ai fianchi.
“In quella occasione lo diremo anche ai ragazzi.” Aggiunse Kate. Lanie annuì compiaciuta.
“Mi sembra un’ottima idea Castle, mi tengo libera. Loro non sanno nulla?”
“Non ancora.” Kate sorrise mordendosi le labbra. In qualche modo si rendeva conto che dire alle persone del suo stato le rendeva più attente nei suoi confronti e molto più protettive. Lo aveva sperimentato con Martha ed Alexis, quasi non la lasciavano nemmeno lavare le stoviglie a casa.
“Ragazza, terrò il segreto fino a sabato.” Rispose risoluta.
“Ora mi dici cosa hai scoperto sul cadavere di Keeler?” Chiese Kate facendosi seria.
“Tante cose interessanti che generano tante domande…”

Quando lasciarono la dottoressa ai propri compiti, Kate entrò dall’ascensore sentendo volentieri la temperatura più mite sulla propria pelle. Si strinse nelle spalle, la morgue era decisamente molto più fredda e anche gli odori erano stranamente più pungenti del solito.
“Hai freddo?” Le chiese Castle vedendola rabbrividire. Le passò le mani sulle spalle e le braccia per riscaldarla. Lei negò con il capo. “Starò meglio di sopra.”
Quando uscì dall’ascensore non tolse il braccio che aveva stretto davanti al proprio ventre, ma continuò a camminare parlando con calma con Castle delle informazioni avute da Lanie.
Ryan la osservò mentre attendeva che lo raggiungesse per consegnargli i dati che aveva ricevuto. Scrutò il suo viso pallido e la mano accarezzare dolcemente il proprio ventre. Sorrise e scosse il capo. Lo faceva anche Jenny quando era ai primi mesi di gravidanza. Un gesto istintivo, non se ne rendeva nemmeno conto.
“Wow…” Disse a sé stesso annuendo. Forse i suoi dubbi erano fondati, c’era qualcosa in Kate Beckett, qualcosa che avrebbe stravolto la sua vita per sempre.  Sorrise emozionato mentre lei e Castle entravano nell’ufficio.
“Novità?” Chiese Kate sorpresa della sua espressione.
“Oh, sì, credo di sì.” Poi fece una strana espressione e consegnò a Beckett i risultati della ricerca.
“L’alibi del fidanzato è confermato.” Disse infine riprendendosi.
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Rieccomi dopo l'ultima settimana di ferie. Mi sento triste...

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Capitolo 4
*** Valvola di sfogo ***


“Acqua salata?” Chiese Esposito sorpreso mentre leggeva il referto di Lanie.
“Chi diavolo poteva avere voglia di far affogare un tizio in mare per poi buttarlo in un canale. Un grosso sasso bastava…” Aggiunse Ryan con un’espressione stupita. Castle scambiò con l’irlandese uno sguardo divertito.
“Beh, acqua salata, non è detto che sia di mare, appena arrivano gli esiti delle analisi lo sapremo con certezza.” Rispose Beckett segnando alcuni dati sulla lavagna. L’orario in cui aveva pagato l’ingresso a Suprema, alle ore 23 e 30, non era poi così prossimo all’ora della morte, che a causa di un rigor mortis accelerato dovuto dell’acqua fredda del canale in cui era stato buttato, poteva essere spostata in avanti oltre le tre.
Il raggio d’azione per un’eventuale spostamento comprendeva quindi tre ore e mezzo di tempo. Tradotti in chilometri ad una velocità pari a un 60 / 70 km orari, poteva dirsi un bel po’ di spazio e non si poteva escludere a priori che si fosse allontanato molto dalla zona. Ma il corpo era stato ritrovato a pochi isolati, portando a pensare che la morte fosse comunque avvenuta in quell’area.
“Il fidanzato è stato tutta sera a giocare online con amici come confermato dal suo compagno di stanza. I tabulati online del server di World of Warcraft confermano che il suo account è stato in linea dagli ip dell’università fino alle 4 e 21.”  Rimarcò Esposito guardando con curiosità i tabulati che Ryan gli aveva passato. “Qualcuno può aver usato il suo account?” Valutò Castle.
“Il compagno di stanza ha confermato che è stato li tutta la sera.” Rispose Ryan facendo un’espressione corrucciata. “Sempre se ci fidiamo di lui. E poi sulle telecamere non si rilevano movimenti di Robert alle porte dei dormitori.” Specificò.
“Com’è che stavano insieme ma Randall viveva con un altro compagno di stanza al dormitorio mentre Keeler aveva stanza propria da solo?” Chiese Esposito e Castle rise.
“Ovvio, sei ricco e te lo puoi permettere. Vivi solo e fai entrare chi vuoi…” Commentò divertito.
“E non è detto che sia sempre il tuo compagno…” aggiunse Beckett con malizia.
“Marito, è ora di indagare al Suprema.”
Castle fece una smorfia stringendo gli occhi. “Ok mia signora!”
“Mutande di ferro Castle” Esposito gli diede il cinque e Castle rispose. “Ci puoi giurare e poi lei sparerà a vista a chiunque attenterà alle mie virtù.”
“Parola di lupetto…” Finì Beckett alzando la mano. Sorrise facendogli cenno di andare.
“Noi continuiamo a scavare sul conto di Keeler. Se faceva davvero il prostituto come i suoi colleghi di università insinuano, magari alla buoncostume hanno qualcosa per noi.” Rispose Ryan annuendo. Osservò Castle aiutare Beckett a mettersi la giacca e seguirla con un sorriso compiaciuto e poi si voltò verso Esposito.
“Perché hai quell’aria da ebete?” Chiese l’amico vedendolo così assorto.
“Perché ho scoperto qualcosa di bello…” rispose Ryan lasciando Esposito a bocca aperta e senza ulteriore spiegazione.
“Cosa intendi?” Replicò Esposito ma Ryan se n’era già andato a dedicarsi alle sue ricerche.
“Ehi… cosa intendi?” lo richiamò dall’ufficio vicino. Lo raggiunse roso dalla curiosità.
Ryan sbuffò alle insistenze di Esposito. “Solo un sensazione ok? Ma è una cosa bella.”
L’ispanico lo guardò torvo. “Intendi tenerlo per te?”
“Per il momento sì. Ma presto credo che lo capirai anche tu.” Rispose calmo cercando un numero sull’elenco telefonico di New York via web.
“Bell’amico che sei. Ma riguarda mamma e papà?” Ryan annuì.
“Oh…” aggiunse Esposito tornando sui suoi passi. Forse Lanie sapeva qualcosa in più, era un buon momento per andare a trovarla? No, non lo era ma se Ryan si era cucito la bocca... Si fermò in mezzo al corridoio.
“Porc…” Disse pensando ai fattori in gioco. Realizzò che c’era una sola cosa che poteva destare così positivamente l’interesse di Ryan nella relazione tra i coniugi Castle: un piccolo Castle in arrivo.

La macchina si muoveva nel traffico ancora scorrevole del tardo pomeriggio. Non era l’orario di punta e il grosso del mondo lavorativo newyorkese si sarebbe riversato in strada solo nell’ora successiva. La luce del giorno era pallida, l’autunno stava avanzando e il fresco odore dell’umidità mista a quello meno piacevole delle foglie marcescenti invadeva l’aria del viale che stavano percorrendo, surclassando l’odore dei gas di scarico. Castle alzò il finestrino per evitare corrente d’aria. La temperatura all’interno della macchina si era abbassata ma non cera bisogno di ulteriore regolazione e così lui si accomodò meglio sul sedile.
Beckett era silenziosa e si mordicchiava le labbra guardando la strada.
“Sei preoccupata?” Chiese Castle ridestandola dai suoi pensieri.
Kate scosse il capo e alzò il mento. “Stavo pensando al caso e a dove poteva essere andato dopo il night. Insomma entra in un locale notturno prima di mezzanotte e per le tre viene pestato a morte… Dobbiamo sapere con chi si è intrattenuto, quando è uscito di lì e con chi.” Disse con sicurezza.
“Beh, in quei locali di solito si conoscono un po’ tutti se sono assidui frequentatori. Troveremo qualcosa.”
Kate espirò stringendo le mani sul volante.
“Riguardo a prima…” disse a bassa voce.
“Non devi giustificarti Kate, se sei gelosa per me è solo motivo di orgoglio.” Disse con dolcezza e sorridendole.  Lei negò con il capo. Non era solo la questione della gelosia.
“Non è solo per Gina.” Spiegò cercando di trovare le parole. “Riguarda lo stare lontani.”
Castle sospirò. Forse aveva capito a cosa si riferisse. Quel punto debole non era solo di Kate, anche lui ne era ancora coinvolto. Come poteva non esserlo.
“Pensi ancora a quel giorno?” Disse piano. Castle annuì lentamente.
“Cerco di non farmi trascinare da quel ricordo. Ma talvolta torna, soprattutto quando devo andare via.” Fu lei stavolta ad annuire. “Ogni tanto hai ancora qualche incubo…”
“Sempre più raramente ormai.” Rispose sereno.
“Non mi piace stare lontana da te.” Commentò stringendo poi le labbra. “E credo di volerne parlare.”
Castle allungò una mano e l’appoggiò su quella di lei.
Le sedute con il dottor Burke erano un ricordo lontano ma quel trauma che li aveva coinvolti di tanto in tanto affiorava riproponendo paure. Era tanto tempo che non affrontavano più quel discorso, l’unico modo vero di allontanare le paure era stato parlarne insieme. Discuterne, trovare il modo di darsi sicurezza a vicenda. Un lavoro di squadra, come ben sapevano fare.
“Saranno gli ormoni, non so…” Disse Kate a bassa voce. “Maledizione! Sei già stato lontano per lavoro in questi due anni, ma…” sbuffò un po’ in ansia e Castle percepì la sua irritazione.
Non amava sentirsi vulnerabile.
“Ma è difficile saperti lontano.” Alzò le spalle per minimizzare e poi si scostò i capelli dal viso con la mano libera.  Espirò e si voltò a guardarlo per pochi secondi.
“Vale anche per me, soprattutto adesso che siamo in tre. Ma non accadrà più nulla di male.” Disse Castle con forza. Strinse la propria mano su quella di lei.
“Anche perché abbiamo tante cose da fare, da pianificare… tipo… sistemare casa!”
Beckett rise sentendo la tensione abbandonarle le spalle.
“Tesoro, se hai bisogno che io resti, lo farò.” Sottolineò Castle con dolcezza cercando di tranquillizzarla. Lo avrebbe fatto anche se gli fosse costato, ne era sicura.
“Avrai dei guai con la casa editrice, non pensarci nemmeno.” Lei scosse nuovamente il capo mormorando: “Voglio vincerla questa maledetta insicurezza, non crogiolarmici…”
Castle fece scivolare la sua mano lungo il braccio di lei fino al collo, accarezzandole la nuca con lentezza.
Non era stato il solo a farsi del male quella volta e la terapia che insieme avevano affrontato li aveva avvicinati anche di più.
“Non voglio tornare ad avere quelle paure!” Sbottò Kate energica. Il gesto con la mano per allontanare quei pensieri bui lo fece sorridere.
“Abbiamo vinto Kate e nessuno ci può fermare.” Disse mimando una V con le dita. “Tu sei Achab, io sono la tua balena bianca, stiamo insieme e aspettiamo un fagiolino. E ogni cicatrice che ho sul corpo è un segno tangibile che mi ricorderà sempre che ho lottato per tornare da te. Abbiamo lottato e insieme abbiamo vinto.” Sottolineò con enfasi a ribadire il concetto. Non si sarebbe fatto intimorire di nuovo e neppure privare di quella libertà che si erano faticosamente guadagnati con le unghie e con i denti, sputando sangue. La sua espressione si fece seria, feroce e decisa.
Kate sbirciò i suoi occhi. Lo poteva vedere con chiarezza il suo Castle combattivo, forte nei sentimenti, quello tenace che l’aveva avuta vinta su di lei, sul suo passato e sulle sue paure.
Il Castle protettivo, pericoloso e reattivo.
Nella loro dualità di coppia avevano fragilità e forza in modo alterno, complementare. Kate amava la sua positività, anche se era stato ferito aveva rialzato la testa più sicuro che mai, ma era anche particolarmente sensibile di animo, dolce e comprensivo, il suo sognatore. E poi riusciva a vedere sempre il mondo più roseo contagiandola. Al suo fianco la forza sprigionata da Kate si era moltiplicata, per contro era riaffiorato il suo essere donna e non più un solo un automa. Era ritornata la Beckett romantica di quando era ragazzina, quella più fragile che aveva voluto nascondere, e che ora poteva vedere soltanto lui e in misura minore i loro cari. Castle amava quei suoi momenti di dolcezza e fragilità emotiva, se ne prendeva cura coccolandola e avvolgendola con il calore dei suoi sentimenti profondi e sinceri. Allo stesso tempo andava pazzo per il suo essere integerrima, forte e abile nel suo lavoro. Conosceva la sua resistenza e la sua forza nel perseverare. Ecco, forse in quello lei e Castle si assomigliavano: erano perseveranti, li aveva contraddistinti la tenacia per arrivare a quello che desideravano.
“Fagiolino…” Kate sorrise abbandonando quelle elucubrazioni sulla loro unione. “Non la smetterai mai vero?” La tensione scivolò via tra un sorriso di lei e la carezza che lui lasciò sul suo collo.
“Compiti a casa per quando non ci sarò… leggere libro dei nomi.” Si appuntò Castle con una cadenza d’automa.
“Vale anche per te.” Rispose lei. “E scordati Bean ok?” Lui annuì.
“Cosa dicevi prima… sulla questione di sistemare casa?” Chiese lei svoltando al segnale del navigatore. Una via con insegne gigantesche e colorate di locali notturni si aprì davanti a loro. Le insegne erano accese ma la loro luce era ancora stemperata da quella pallida della giornata autunnale.
Castle sorrise. Kate aveva superato il momento difficile.
“Avremo bisogno di spazio per il nostro… cucciolo… Una stanza, un posto per averlo accanto alla camera da letto e quindi avere anche il necessario per prenderci cura di lui. E poi se tu passerai di grado…” Disse voltandosi verso di lei con gli occhi divertiti, “e succederà presto” sottolineò con serietà, “avrai bisogno di un tuo spazio, un ufficio tutto tuo per lavorare da casa.”
Beckett aprì la bocca stupita. Deglutì quindi cercando il parcheggio e fermando l’auto.
“E quando hai pensato a questa cosa?”
 Il discorso di Castle non faceva una piega, se non fosse che lei non era così certa di poter passare di grado nei tempi che Castle aveva paventato, ma l’idea di cambiare le cose per trovare il giusto spazio per il loro bambino era una cosa a cui avrebbero dovuto pensare in due. Lui ci era già arrivato, forse dall’alto della sua esperienza, probabilmente stava già architettando qualcosa.
“Oggi, mentre cucinavo e…” Si mise una mano sulla bocca sgranando gli occhi. 
“Ora mi sono ricordato che… ho lasciato la cucina in un vero caos. Pensavo di tornare per sistemare… ma sono rimasto qui…”
Uscirono dall’auto e guardarono la grande insegna dove un vistoso occhio di Ra osservava i passanti con luci intermittenti su una superficie di metallo volutamente ossidata.
Indicò a Kate di aspettare un minuto, tolse il cellulare di tasca e fece una telefonata alla loro colf, chiedendole di fare ordine in cucina. Sì scusò dello scarso preavviso e ringraziò della risposta positiva che gli veniva data.
“Risolto.” Rispose telegrafico mentre Kate aspettava appoggiata allo sportello dell’auto.
“Oggi mentre cucinavi…” Ripeté lei per riallacciare il discorso.
Castle si mise le mani nelle tasche della giacca tornando ad affiancarla. “Insomma non potrai rispondere al telefono e dare ordini a squadre di poliziotti mentre io cambio il nostro… bambino che ha il pannolino sporco e piange perché ha fame.” Disse con un’ovvietà tale che si meritò una spallata da Kate. Lei non disse nulla limitandosi a sorridere. Il quadro era perfetto, visivamente nitido, studiato nei dettagli come la sua mente laboriosa sapeva fare.
“Hai anche chiamato l’arredatore?” Disse Kate mentre a passo lento si avviavano verso la porta di servizio del locale.
“No, questo lo dobbiamo vedere insieme. Ovvio…” Rispose lui. Il silenzio di Kate lo fece fermare sui due piedi.
“Credo che potremmo anche studiare qualcosa magari riconvertendo la sala cinema al mezzanino.” Disse con perplessità.
“Mi piace l’idea creare un posto adatto, ma la sala cinema è una delle tue preferite… e anche a me piace stare spaparanzata su quel divano a mangiare popcorn e a vedermi un film come si deve in santa pace. Sei davvero sicuro di questa scelta?” Kate era dubbiosa. Posto sì ma quello era speciale per entrambi, almeno quanto la loro stanza da letto. Non voleva farlo diventare il proprio studio. “E poi il tuo studio è… abbastanza per noi.” Disse con un sorriso. Lui si avvicinò. “Vedremo, erano solo idee…”
“Ottime per altro.” Sottolineò lei.
“Sei d’accordo?” Chiese Castle prima di entrare dalla porta. Si era riproposto nel passato che nulla doveva diventare scontato tra loro. Considerare scontata la sua relazione con lei l’aveva messa in pericolo ed era stato vicino al perderla per una sciocchezza. Quindi anche quel genere di cose andavano discusse, vissute insieme perché andare avanti da solo era sbagliato. Con lei voleva discutere, confrontarsi sempre. Aveva più tempo per pianificare cose ma nulla aveva senso se lei non era con lui a parlarne. Voleva ardentemente che quella nuova fase della vita fosse vissuta in due anche più del passato. Un figlio aveva bisogno di entrambi i genitori e lui stesso, in cuore suo, conosceva bene il perché.
La guardò annuire sorridendo.
“Come potrei non esserlo Castle...” Replicò Kate. Aprì la porta ed entrò decisa estraendo il proprio distintivo dalla giacca.

“Signori è chiuso e qui non siamo in cerca di nuovo personale…” Li avvertì una voce gracchiante dal bancone appena fecero il loro ingresso nel locale. L’uomo che aveva parlato squadrò sia Beckett che Castle con uno sguardo indagatore.
“Non siamo qui per cercare un lavoro, ma risposte…” replicò Beckett che venne investita da un miasma di profumi maschili mischiati a essenze vagamente tropicali. Ebbe un leggero capogiro.
“Non so che risposte voglia, ma se in cambio mi lascia quel bel bocconcino da un metro e novanta con cui si accompagna le dirò ciò che vuole.” Ridacchiò scioccamente muovendosi per raggiungerli. Castle tossì.
Kate alzò il distintivo e lo mostrò al suo interlocutore, un uomo sulla cinquantina, brizzolato e vestito con una giacca a colori vivaci su un completo nero. Si mosse in modo lento, con le mani alzate e un atteggiamento un po’ teatrale che a Castle ricordò la propria madre. “Se avesse un foulard sgargiante sarebbe identico a mamma, ma senza la sua amata borsa di Gucci.” Commentò e Kate trattenne un sorriso.
Il locale rispecchiava un po’ quel vezzo di avanspettacolo che il proprietario aveva, grandi palchi per i privee davano su una grande sala da ballo circondata da tavoli, una scalea con led colorati a gradino saliva verso il palco e c’erano drappeggi un po’ ovunque. Il tema vagamente egiziano dell’occhio di Ra era riportato sopra il palco e in misura più contenuta sui parapetti dei palchi laterali. Un piccolo teatro all’interno di un capannone.
L’uomo si avvicinò per scrutare meglio il distintivo e Beckett annuì guardandosi in giro.
“NYPD, sono il detective Beckett della omicidi e lui è il sig. Castle. Dovremo fare alcune domande su Frederick Keeler…” Iniziò a dire. Per fortuna il suo olfatto si abituò velocemente a quelle zaffate di colonia e la testa smise di girare.
L’uomo corrugò la fronte. “Freddy? Oh certo… sono il proprietario del club, Mason Whittaca…” Si presentò quindi indicandogli di proseguire verso un tavolo.
“Ma è successo qualcosa a Freddy?” Chiese indicandogli di accomodarsi per poi fare un cenno al DJ di abbassare la musica e poter parlare in una tonalità meno stordente.
Beckett fece un sorriso teso di circostanza. “Purtroppo il signor Keeler è stato ucciso questa notte.” Non era mai bello dare l’annuncio della morte di qualcuno, soprattutto non sapendo in che relazione fosse l’interlocutore con la vittima.
Il signor Whittaca impallidì.
“Freddy morto?” Chiese stupito e con le lacrime agli occhi. “E chi è stato?” Boccheggiò sgomento.
“E’ quello che vogliamo scoprire.” Rispose Beckett.
Nella mezz’ora che seguì, il signor Whittaca, amico e mentore di una versione molto più vivace di Freddy Keeler, quella che Beckett e Castle supposero essere più veritiera, rispose a tutte le domande che gli furono poste. Fu molto disponibile a raccontare loro dell’amore del ragazzo per lo spettacolo, per il mondo dell’operetta e di come in quel locale venisse quasi ogni settimana per assistere a spettacoli o parteciparvi lui stesso. Castle obbiettò subito sul perché Keeler, se era di casa, pagava il biglietto di ingresso.
Il loro ospite spiegò nel dettaglio che le gelosie erano un impiccio molto comune e che quando non era lì per lavoro, insisteva per pagare l’ingresso per non inimicarsi nessuno. Poi le consumazioni erano gratuite per lui. Qualche nemico però se l’era anche fatto visto com’era finito. Il riferimento alla sua morte colpì molto Whittaca, che rimase inorridito. Non era da Kate eccedere in dettagli, ma aveva dato in pasto all’uomo solo quanto gli era necessario per fargli capire che cercava proprio quel genere di inimicizie.
Per come la vedeva il padrone del Suprema, Freddy era un’anima ingabbiata. Stava alla larga da suo padre ossessionato dalla politica e dall’immagine ma era uno spirito libero e difficilmente restava coinvolto in storie che duravano più di sei mesi. Secondo lui aveva un patto con il padre, non rendere pubblica la sua vita per non danneggiarlo in politica. Questo atteggiamento però continuava a ledere la sua libertà e se voleva diventare famoso nell’avanspettacolo doveva farsi un nome, cosa che andava in conflitto con gli interessi di potere della famiglia.
Whittaca tenne anche a precisare che quelle fossero solo sue speculazioni. Evidentemente il potere del vecchio Keeler lo spaventava e non voleva rischiare delle fastidiose querele. Inoltre non era al corrente che Freddy avesse un compagno fisso, raccontò con dovizia di particolari che il ragazzo aveva frequentato negli ultimi due anni prima un ballerino di danza classica che poi si era trasferito a San Diego, un fantastico suonatore di bonghi giamaicano che gli aveva spezzato il cuore sposando una ricca ereditiera e infine si ricordava di un ragazzone di colore di nome Saul che aveva frequentato per qualche tempo il locale. Di Saul sapeva solo che stava cercando un lavoro da buttafuori o da bodyguard ma non aveva idea di che fine avesse fatto. Sapeva però che Freddy non era uscito bene da quella rottura.
Negò la sua complicità in affari di prostituzione maschile, secondo il suo parere le compagnie poco raccomandabili che erano state descritte dai compagni di università del ragazzo si riferivano alle frequentazioni presso locali come il suo e come altri in città: certa gente non capiva il loro lavoro. Il suprema non era il solo locale a fare quel tipo di spettacolo. Whittaca però non conosceva le sue amicizie. Cercava solo di tenerlo con sé al Suprema perché lo considerava un tipo dotato e sperava di farne una sua star. Non aveva idea se avesse dei nemici così acerrimi da portarlo alla morte, o se si fosse cacciato in qualche guaio, ma se ne avesse parlato con lui lo avrebbe certamente aiutato.
Dalle sue informazioni e da quelle del buttafuori, un gigante glabro di nome Gerard, avevano saputo che Keeler aveva abbandonato il locale solo dopo aver ricevuto una telefonata. Se n’era andato a metà dello spettacolo dei portatori di fuoco, cosa di cui Castle chiese con curiosità dettagli in merito, appena passata la mezza. Quindi era rimasto nel locale poco più di un’ora.
Il buttafuori, anche lui affranto da quella perdita, riportò che gli aveva chiamato un taxi. Ma non sapeva la destinazione. Essendo un frequentatore assiduo e ogni tanto parte dello staff, aveva molte conoscenze tra i clienti. Il proprietario diede loro alcuni nomi da contattare, erano le persone con cui Frederick si intratteneva. Per il resto, della sua vita fuori dal club sembravano sapere solo ciò che era legato alla famiglia.
Il ragazzo aveva tenuto i mondi separati fino a che aveva potuto. Forse per comodo, forse per necessità. La cosa andava chiarita. Beckett immaginò che il ragazzo si trovasse in un empasse di quella doppia vita.
Ma arrivare ad aggredirlo così violentemente sembrava un affare personale più che di immagine.
Castle osservò come la prostrazione dei due uomini per la scomparsa di Keeler sembrasse genuina e i dati raccolti erano informazioni preziose. Il telefono del ragazzo non era stato trovato con lui, chiunque lo aveva chiamato quella sera poteva essere stato l’assassino e l’aveva volutamente fatto sparire.
Entrambi erano d’accordo su un chiaro dettaglio: non era stata rapina, il portafogli e orologio erano rimasti dov’erano ma mancava un telefono da 300 dollari, telefono su cui probabilmente la vittima aveva risposto all’assassino in quella che poteva essere stata la sua ultima chiamata.
Era imperativo leggere dettagliatamente i tabulati telefonici. Si alzarono e accettarono di visionare i video della sorveglianza in cui si vedeva chiaramente Keeler uscire trafelato con il telefono all’orecchio prendere il taxi appena sopraggiunto. Anche la targa del taxi era di utilità, fortunatamente ben visibile a schermo. Avrebbero rintracciato i suoi spostamenti attraverso la società dei taxi. Si fecero consegnare il nastro della sorveglianza da aggiungere alle prove nonostante non avessero un mandato, ma Whittaca sembrava desideroso di essere utile.
Beckett lo informò che avrebbe mandato alcuni agenti a fare domande ai clienti e prendere le loro deposizioni firmate. L’uomo sembrò capire e non si oppose.
Uscirono ringraziando per la collaborazione. Nonostante la prostrazione per la scomparsa dell’amico, Whittaca fece l’occhiolino a Castle.
“Torni a trovarci scrittore.” Disse infine con la voce suadente. “Ho capito solo ora chi siete voi... Achab e la balena bianca…” Disse indicandoli con il dito. 
“Abbonato del ledjer?” Replicò Castle con un sorriso divertito mentre veniva trascinato via da Kate leggermente imbarazzata. “Certo, rigorosamente alla pagina 6…” Rispose l’uomo salutandoli.
Uscirono in strada. Kate respirò a lungo cercando i svuotare le meningi da quel miasma di profumi che si era installato nel suo naso e nella sua testa.
“Beh, siamo famosi…” Disse Castle divertito e lei gli diede uno schiaffo sul braccio.
“Andiamo, non lo trovi divertente?”
“No!” Replicò lei ma non riuscì a contenere una risata.
“Chiamo Esposito per i tabulati telefonici e per la targa. Dobbiamo capire chi lo ha chiamato facendolo uscire di corsa. Se ha abbandonato lo spettacolo era importante.”
Castle prese a camminare accanto a lei per raggiungere la macchina. “Oppure lo spettacolo era brutto e quella era una buona scusa.” I suoi occhi divertiti erano contagiosi. Si accorse al chiaro che Kate era pallida.
“Stai bene? Sei impallidita…” Disse avvicinandola e prendendola per le spalle.
“Quell’odore pungente mi stava trivellando le cervella.” Sbottò e Castle sorride.
“Pazzesco vero? Litri e litri di colonia da uomo impregna persino il legno delle travi!”
“L’occhio di Ra mi piaceva però…” aggiunse e Kate gli restituì uno sguardo torvo.
“Non… ci… provare…” Scandì prima che questi potesse mettere in fila un improbabile nome col proprio cognome. Le labbra di Castle si strinsero. Strabuzzò gli occhi e alzò le spalle.
“No.” Replicò ancora sinteticamente, avviando poi la chiamata dal proprio telefono. Lo trattenne sulla mano attivando il vivavoce e dall’altro capo Esposito rispose.
“Beckett ho i risultati dell’acqua salata. Non è di mare, pare venga da un acquario.”
I due si guardarono. “Un acquario? Questo allarga di molto le indagini.” Rispose Beckett. “Devi farmi sapere chi ha chiamato Keeler sul cellulare alle 12 e mezza circa. E’ stato qui fino a quell’ora e poi è uscito a seguito di una telefonata ricevuta. Potrebbe essere il nostro assassino. Ti mando anche una targa di un taxi, sai cosa fare. Ho anche una lista di persone, manda una squadra a fare domande qui più tardi. Il ragazzo era di casa, lo conoscevano tutti e magari possono dirci qualcosa in più sui suoi spostamenti.”
“Ok. Comunque tornando ai conti di Keeler, è confermato che frequentava spesso quel posto. Una o due volte a settimana. Pagava sempre con carta.” Replicò Esposito e Kate lo salutò prima che riattaccasse.
Castle aprì la bocca e poi indicò la porta del locale. “Forse c’è qualcosa che ci può aiutare…” Disse correndo verso l’ingresso principale e guardando tra i volantini pubblicitari lasciati nell’apposita bacheca.
Ne staccò uno e tornò da Kate.
“Ho notato questo entrando…” Il volantino mostrava un paio di ragazzi in una piscina truccati in viso e vestiti da sirenetti.
“Atlantis…” Replicò Beckett curiosa.
“Va di moda la mitologia!” Valutò lo scrittore. Era incuriosito da quelle insegne, non certo sobrie ma meno volgari dei locali di lap dance e spogliarello femminile. I simboli fallici erano rari, non del tutto assenti, ma rari.
“Beh qui non hanno tette da mostrare.” Replicò con ironia Kate.
Salirono in macchina e Castle impostò sul navigatore la via del locale. Una visitina in quel posto non poteva guastare.
“E se Keeler avesse voluto fare il sirenetto?” Chiese Castle rimuginando.
“Non è escluso, mi domando il perché il suo ragazzo non sappia nulla di questa sua passione. O ci sta nascondendo qualcosa oppure questi due non si conoscevano per niente.” Rispose Kate.
Castle mosse la testa piegandola verso di lei. “Magari nascondeva la sua doppia vita, semplicemente per comodo, anche al suo ragazzo. Però non è annegato perché non sapeva nuotare.” Kate annuì.
“Sembra che nessuno lo conoscesse a fondo…” Mormorò Castle pensieroso. Kate ci rifletté con attenzione. Probabilmente era una scelta di vita. Sapeva cosa implicava tenere tutto per sé, il desiderio di vivere in pienezza ma senza coinvolgimenti non era possibile e prima o poi avrebbe cercato una valvola di sfogo. Forse l’aveva ma loro non ne erano al corrente. Lei tornò a guardare la sua adorabile valvola di sfogo. Castle seguiva la strada e di tanto in tanto si voltava verso di lei.
“Sei assorta oggi, Kate.” Convenne lui mentre la osservava di rimando.
Kate appoggiò la testa al sedile. “Pensavo solo che qualcuno che lo conosceva veramente ci deve essere. Prima di conoscerti io avevo Lanie con cui mi confidavo, quando non ce la facevo più c’era lei e un bicchiere di birra gigante... Poi sei arrivato tu e… ho smesso di tenermi tutto dentro.” Chiarì.
Castle espirò rumorosamente. “Io ho sempre avuto mia madre…” Inclinò il capo. Detto così era un po’ infantile ma Kate conosceva il suo profondo rapporto con la madre e non replicò facendo alcuna battuta.
Una nuova chiamata arrivò sul telefono di Kate che lo diede a Castle e lui rispose.
Ryan comunicò loro che i conti di Robert Randall avevano qualcosa di sospetto. Veniva regolarmente pagato una volta al mese attraverso un giroconto la cui provenienza era una società del padre di Frederick.
“Forse Keeler senior pagava Robert per passargli informazioni sul figlio e tenerlo sotto controllo.” Aggiunse speculando. Kate si morse un labbro.
“Richiamate il signor Randall in ufficio, deve darci qualche spiegazione. Intanto noi andiamo in un locale, poco distante, si chiama Atlantis.”
“E guarda un po’…” aggiunse Castle. “Hanno un acquario gigante dove nuotano sirenetti umani!” Disse divertito. Ryan rise. “Ti stai divertendo troppo Castle.” Riattaccò lasciando un sorriso sul viso di entrambi.
“Ha ragione Ryan, forse perché ti fanno apprezzamenti, ami essere adulato…” Commento Kate punzecchiandolo.
“Non direi, ho sposato te che… ammettiamolo, non mi hai mai adulato…” Lo sguardo di finto sconforto di Castle era adorabile. Kate allungò una mano e accarezzò il suo broncio.
“Già…” Disse senza dargli un minimo di soddisfazione. Ma tra loro era così. Erano solo parole che nascondevano altro, tutta la verità la raccontavano gli occhi: orgoglio, passione, amore e dolcezza, ma anche a humor e voglia di giocare. Castle baciò la sua mano prima che la ritirasse.
Kate si prese un lungo sospiro.
Era stanca e la sensazione di affaticamento della mattinata si stava riproponendo. Si chiese quanto avesse potuto durare senza il pasto che Rick le aveva portato. Capiva che il suo corpo cambiava velocemente e doveva trovare l’equilibrio necessario per stare bene e lavorare senza problemi.
“Non vedo l’ora che questa giornata finisca.” Mormorò ad alta voce. Castle si voltò verso di lei. Era pallida e probabilmente stanca, ma non l’avrebbe mai ammesso. Quella sua uscita lo stupì, andando a rendere veritiere le sue speculazioni su di lei. “Finiamo queste indagini e poi torniamo in centrale. Quel che possiamo fare oggi non è infinito.” Valutò lui con serietà. “Stasera a casa ti preparo un bel bagno rilassante, che ne dici?” Aggiunse con più enfasi.
“Un massaggio alle caviglie?” Contrattò lei.
“Solo se fai la doccia con me. Mi piace toglierti la schiuma dalla corpo…”
Kate rise pensando a come poteva finire tutto quello: poteva trasformarsi in una serata rovente oppure potevano limitarsi a raggiungere il letto esausti e addormentarsi al volo. “Ok!”
“Andata.” Rispose lui allegro.

La loro destinazione era un grande capannone completamente dipinto di sfumature blu ed azzurro.
Lasciarono l’auto nel parcheggio del locale che era stranamente vuoto. Le luci erano spente, forse il locale era chiuso, ma un andirivieni di uomini in tuta da lavoro suggerì loro che una ristrutturazione era in coso.
Si avvicinarono alla porta chiedendo del proprietario. Il distintivo di Kate riuscì a farli entrare senza problemi.
Il proprietario non c’era, non si occupava direttamente del locale che era lasciato in gestione al direttore della società affittuaria, James Viera, un latino sui 35 anni con occhiali da vista e un atteggiamento infastidito.
Li accolse con freddezza e guardò la fotografia di Keeler che Kate gli mostrò senza troppa attenzione.
“Non so... Se è un cliente non me lo ricordo” Disse con aria di sufficienza.
“Siete chiusi da molto?” Chiese Kate mentre Castle si aggirava per curiosare verso la famosa piscina dei sirenetti.
L’uomo sbuffo. “Ehi, stia attento, se si fa male qui non rispondiamo ok?”
Castle annuì ma continuò a guardarsi attorno. La vasca era coperta ma ancora piena perché in realtà molte tipologie di pesci di vari colori e dimensioni ci stavano tranquillamente nuotando. Era un vero acquario gigante, non solo un mezzo per fare show. Si ricordò di un dettaglio che Lanie gli aveva detto in passato. Ogni bacino d’acqua ha una traccia univoca, una peculiare particolarità che permette alle acque di essere confrontate per verificarne la provenienza.
Si guardò in giro e vide una bottiglietta di acqua vuota. Aveva il tappo e pensò facesse al caso suo, non aveva una filetta sterile con sé. La prese e tornò ad avvicinarsi alla vasca con nonchalance.
Kate riuscì a distrarre il direttore, cercando di farlo voltare e parlare con lei. Riuscì a farsi dire che erano chiusi da due settimane a causa di problemi di infiltrazione dal pavimento che avevano generato danni elettrici.
L’umidità non proveniva dalla vasca quindi stavano scavando per capire da dove arrivasse però, dal cattivo odore, Kate non ci mise molto a intuire che si trattava di acque fognarie. Vecchi impianti probabilmente.
Sorrise tra sé vedendo Castle sporgersi e raccogliere dell’acqua con una bottiglia e poi tappandola velocemente se la nascose sul fianco sotto la giacca.
Kate chiese la profondità della vasca e visto che l’altezza era intorno al metro e quaranta immaginò che se Keeler fosse stato ucciso in quel posto, il suo annegamento in realtà era stato causato dall’impossibilità di muoversi o dal fatto che fosse privo di sensi.
Kate chiese di poter controllare la vasca e il signor Viera accettò con riluttanza. Interferire con la polizia poteva costargli altri giorni di chiusura.
Mentre si allontanava sbottò con un tipo da poco sopraggiunto, inveendo contro di lui per aver fatto entrare personale estraneo nel locale. Il ragazzo di colore gesticolò indicandogli l’ingresso e scuotendo il capo con un’espressione scura in viso. Viera indicò i due intorno alla vasca e Kate si affrettò a raggiugere Castle. Il tempo a loro disposizione senza un mandato stava per scadere.
“Se c’era del sangue di qualcuno qui…” Valutò guardando le superfici sporche di terra per il passaggio degli operai, “possiamo scoprirlo solo con strumenti di rilevazione ottica.”
Castle annuì. “Ho un campione d’acqua.” Disse con un mezzo sorriso.
“Ho visto.” Replicò Kate.
“L’assassino di Keeler doveva avere accesso a questo posto se lo ha trascinato qui.”
Kate scosse il capo. “Fino a che non analizziamo il campione d’acqua, sono solo speculazioni Castle.” Replicò espirando. “Non abbiamo alcuna prova che ci conduca qui.”
Si avviarono a passo svelto verso l’ingresso salutando con una mano il poco disponibile direttore, il quale fu felice di vederli allontanarsi. Il ragazzo di colore li stava osservando con sguardo torvo.
Un ultima frase che sentirono li fece trasalire.
“Saul, chiudi quella dannata porta!” Sbottò Viera nei confronti del suo uomo.
Si guardarono in viso. “Saul?” Esclamarono all’unisono.
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Ci siamo, Castle sta per tornare...
Qui invece le indagini vanno avanti e i nostri due si confrontano.
Grazie a tutti quelli che mi seguono qui!

 

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Capitolo 5
*** Il valore dei legami ***


La fortuna era dalla loro parte.
Castle sapeva di essere l’uomo giusto per la svolta sul caso e il suo sorriso sornione dopo aver decretato di essere il portafortuna della squadra era stato spento da un’occhiataccia da parte di Beckett, stemperata poi da una linguaccia beffeggiante.
“Ammettilo piccola, sono la tua dose di fortuna giornaliera!”
“Zitto Castle o quando saremo a casa troverò tempo e forza per torturati con il solletico…” Aveva replicato lei divertita. Un’arma che aveva scoperto da tempo: il solletico.
Castle lo soffriva ai piedi e lei sapeva come farlo capitolare. Alcune volte il sesso non era la sola arma di ricatto, anche se il più delle volte finivano col rotolarsi nel letto per ore.
Kate aveva scosso il capo cercando di concentrarsi sul lavoro.
Si erano quindi avvicinati con cautela all’omone fermo a guardarsi intorno sulla porta del locale.
Saul Porter, 28 anni, professione buttafuori per il locale Atlantis, era stato abbastanza disponibile nonostante fosse un po’ spaventato dalla novità. Castle e Beckett avevano affrontato il discorso con cautela, viste le dimensioni di costui si erano mossi con i piedi di piombo. Una reazione aggressiva da parte sua non li avrebbe visti in vantaggio nonostante fossero in due. La mole del ragazzo era notevole e li guardava teso dall’alto dei suoi quasi due metri. Comunque i loro sospetti su questo nuovo individuo erano solo una debolissima chiacchierata con un gossipparo di professione, oltre all’altezza e alle enormi mani che avrebbero potuto strangolare un uomo senza alcuno sforzo.
Certo poi Castle era ben lungi dal volere che Kate si mettesse a fare a botte con un individuo del genere. In confronto suonarle a Denver era una passeggiata.
L’uomo aveva comunque ammesso di essere quel Saul di cui aveva parlato Whittaca, il proprietario del Suprema, locale in cui lui e Keeler avevano passato alcune serate. Saul si era agitato molto dopo aver saputo della morte di Frederick. Raccontò di aver cercato lavoro al Suprema, senza successo, purtroppo non cercavano personale. Gli sarebbe piaciuto restare in quel posto, non solo per la presenza di Frederick ma anche perché il proprietario era un tipo più allegro e socievole di Viera, che al contrario era un vero rompipalle.
Non si oppose nemmeno al dover seguire i due al distretto, le sue parole avevano destato l’interesse di Beckett che voleva approfondire. Parlando della storia tra lui e Keeler era emerso di nuovo quell’aspetto manipolatorio da parte di elementi esterni, argomento che aveva già sollevato Whittaca. Lo scoprire che Robert, il fidanzato ufficiale della vittima, veniva regolarmente pagato da una delle finanziarie del padre di lui aveva reso quell’informazione veritiera e di particolare interesse.
Per fugare altri dubbi, Castle si era sbilanciato chiamando Ryan e invitandolo a richiamare il numero di telefono della vittima e di quello dell’ultima telefonata ricevuta. Ma il telefono di Saul era rimasto muto.
Beckett aveva restituito a Castle uno sguardo stupito, intuendo cosa aveva architettato il suo uomo.
Certo non era un test degno di valore, si sarebbe trattato di un mero colpo di fortuna se ci fosse stato un esito positivo poiché l’assassino poteva essersi liberato del cellulare di Keeler in qualche modo, tenerlo sarebbe valso un rischio troppo alto. Ryan aveva scoperto che il numero di telefono che aveva chiamato Keeler era di un cellulare usa e getta. La speranza di trovare un collegamento era scarsa, ma restava attiva la ricerca sulle celle a cui si era agganciato il telefono di Keeler nelle sue ultime ore di vita.
Castle aveva alzato le spalle con un sorriso da bambino. Un doveroso tentativo non nuoceva a nessuno.
Saul comunque poteva dare loro informazioni preziose sulla vera vita di Keeler almeno quanto Whittaca.
Esposito aveva fatto chiamare Robert e lo aveva fatto aspettare al dodicesimo il rientro di Beckett.
In macchina Saul era stato taciturno. Guardava la strada dal finestrino con aria afflitta, ma non aveva aggiunto una parola.
Beckett continuava a guidare in silenzio mentre Castle scambiava messaggi con Ryan.
Mostrò a Beckett l’ultimo arrivato.
“Robert è qui. E’ così teso che Beckett lo farà a pezzi in due minuti quando lo metterà sotto torchio.”
Kate rise e lui annuì. “Oh, non vedo l’ora di assistere…” Commentò Castle alzando le sopracciglia divertito.
Come al solito lui era galvanizzato dalle novità e si stava divertendo. Tutto sommato il tempo passato al distretto era stato molto ma lui non dava cenno di divertirsi meno in certe situazioni. Gli piaceva stare accanto a lei nella stanza degli interrogatori. Incalzare di domande sospettati e colpevoli. Scovare i punti deboli e le lacune nelle storie. Castle si divertiva, e anche lei quando i casi non li toccavano da vicino.
Però in quella situazione il pensiero di questo ragazzo e la sua solitudine non gli erano così indifferenti e il caso poteva rivelarsi un vero vaso di pandora nella vita di quelle persone. La famiglia Keeler si era data da fare per tenere gli occhi dell’opinione pubblica lontani dal proprio esuberante rampollo? L’idea folle di Castle si stava concretizzando in una realtà piuttosto amara. Ma non avevano per niente le idee chiare.

Quando guadagnarono l’ingresso del distretto, Saul avanzò accompagnato da Castle andandosi ad accomodare nella saletta per i colloqui informali e Beckett indicò ad Esposito di portare Robert nella sala interrogatori. Avrebbe dovuto loro alcune spiegazioni. Castle affidò la preziosa bottiglietta d’acqua a uno dei detective perché la portasse con urgenza alla scientifica per le analisi.
Robert passò quindi davanti a Saul mentre veniva scortato, ma i due parvero non conoscersi.
“Che ha fatto?” Chiese incuriosito Saul a Castle. Lui si girò sorpreso.
“Non lo conosce?” Saul negò. Scosse il capo e alzò le spalle. “Dovrei?”
“Forse sì. E’ il fidanzato di Frederick Keeler.” Rispose Beckett portando con sé alcuni fascicoli.
Il viso di Saul si fece scuro. La sua espressione dubbiosa lasciò poi spazio ad un gesto di negazione.
“Che importanza ha ormai…” Disse a bassa voce.
“Signor Porter potrebbe gentilmente compilare questi documenti. La raggiungerò tra poco.” Kate aveva giocato la carta burocrazia per prendere tempo e andare a torchiare Robert come si deve.
Uscì dalla stanza e Castle si alzò per seguirla, ma una volta fuori dalla saletta Kate lo fermò. “Parla con lui, cerca di capire come si è mosso con Keeler negli ultimi tempi. Fatti dire le ragioni della rottura, se c’era astio. Intanto faccio verificare il suo alibi.”
Castle sbuffò. “Volevo assistere…” Si lamentò spalancando gli occhi e mettendo su la sua infallibile espressione da tenerone, però Kate non si fece abbindolare.
“Stai qui, mi sei più utile.” Castle annuì.
La guardò allontanarsi e poi la richiamò.
“Kate?” Lei si voltò con aria interrogativa,
“Sicura?”  Lo fulminò con lo sguardo.
Entrò controvoglia, sedendosi davanti all’omone intento a scrivere.
Guardò con attenzione quelle grandi mani che sembravano ben curate. Non c’erano abrasioni o ferite di alcun genere e nemmeno altri segni. La stazza dell’uomo doveva essere un buon deterrente per evitare problemi, anche sulla porta di un locale. Ricordava le proprie mani dopo aver fatto a botte con Denver e non avevano certo quell’aspetto così sano. Rimuginò sul fatto che potesse portare guanti, ma riteneva la cosa non particolarmente comoda sebbene fattibile.
Saul sembrava non aver nulla da nascondere, era teso sì, ma non sembrava un’aria da colpevole, forse semplicemente non amava aver a che fare con la polizia. Magari aveva dei precedenti, Esposito lo avrebbe scoperto.
Castle cercò di trovare un appiglio.
“Quindi da quanto lei e Keeler avevate rotto?” L’uomo alzo gli occhi su di lui. “Saranno ormai cinque mesi.”
“Lei ha detto che qualcuno cercava di manipolare la sua vita. Che lo controllavano…”
“Già.”
“E’ accaduto qualcosa?” Chiese Castle con un tono amichevole e pieno di comprensione.
Saul smise di scrivere annuendo. Si prese qualche secondo per decidere da che parte iniziare.
“Mi hanno minacciato…” Disse piano. L’idea di raccontare quella storia non era nelle sue corde, ma Castle percepì la tua titubanza.
“Questa cosa potrebbe aiutarci a far chiarezza sul perché sia stato ucciso.” Castle cercò di farlo parlare.
Il ragazzo sospirò annuendo.
“Mi piaceva da matti Freddy. Era un tipo forte, divertente. Siamo stati insieme quattro mesi ma lui non raccontava molto di sé. E forse era la vera ragione per cui stavamo insieme. Nessuno dei due era un chiacchierone…” Prese a dire con calma.
“Diceva solo che la sua famiglia era un casino e che più ci stava alla larga e meglio stava. Non so nemmeno dove stessero di casa. Lui viveva all’università, non ci sono mai andato perché lui diceva che non era il posto adatto per incontrarsi.”
Castle si sporse sulla sedia. “L’hanno minacciata quando vi siete lasciati?”
“No, no. Le cose andavano bene, almeno io pensavo… Poi un giorno spunta un tizio…”
Mise le mani avanti deglutendo. “Uno di quelli che capisci che portano guai. Vestito di scuro, elegante. Gran macchina. Mi dice di salire e io non lo faccio, così scende lui e si avvicina. Mi mostra appena una pistola sotto la giacca e dice di volermi solo parlare…”
Castle annuì. “Con una pistola? Ovvio…” Sentenziò. Saul annuì allargando le mani.
“Beh, è quello che ho pensato anche io, così gli tiro un gancio prima che questo reagisca e mi do alla fuga, ma dal lato opposto della strada ne spunta un altro con una nove millimetri puntata contro di me e io mi fermo…” Aggiunse abbassando il capo. “Non era una bella situazione così ho pensato di diventare collaborativo. Ma al primo tizio ho lasciato il segno. Mi pesteranno, ho pensato.”
“E?” Lo incalzò Castle curioso.
“Ed invece volevano parlare di Freddy. Di cosa faceva e di dove andava. Mi hanno offerto dei soldi per fargli sapere tutto. Un bel gruzzolo, ma ho rifiutato. Gli ho detto che lo frequentavo da poco e che non era una storia seria.” Spiegò quindi abbassando la voce.
Castle lo guardò. Dalla sua espressione contrita forse aveva detto una bugia.
“Lo era? Una storia seria?” Chiese quindi dopo alcuni secondi di silenzio. Saul annuì. “Per me sì, ma Freddy… insomma… Non lo so. Quella cosa però mi ha spaventato e l’ho lasciato. Gli ho detto che quelle minacce non mi piacevano e io non volevo guai. Lui l’ha presa male. Mi ha cercato in continuazione, ma io… non volevo guai.” Ribadì alzando le mani.
Castle capì che Saul doveva avere avuto un passato difficile e il suo desiderio di non incappare in problemi doveva nascere da qualche disavventura.
“Ha qualche precedente che l’ha fatta desistere?” Chiese ma si appuntò che forse quella scelta di parole non era felicissima, non volendo accusare nessuno.
Anche perché era solo, in una stanza con un armadio a tre ante. Disarmato.
Fortunatamente per lui Saul alzò le spalle e disse solo: “vengo da una famiglia adottiva. Mio padre era un poco di buono, violento. Spacciava, beveva, picchiava mia madre. Fin da quando ero bambino c’era un andirivieni di sbirri per casa. Non ne voglio più sapere.” Spiegò con semplicità. Castle annuì.
“Pensa che quegli uomini fossero tirapiedi del padre?”
“Quando ho scoperto chi era suo padre l’ho pensato. Quando l’ho detto a Freddy non ha mai negato, ma non l’ha nemmeno ammesso. Quindi non so…” Commentò pensieroso.
“Ma lui che reazioni ha avuto quando gli ha detto dell’incontro con quei due?” Castle era curioso.
Saul alzò ancora le spalle. “Sembrava sapesse tutto. Mi ha detto che non me ne dovevo preoccupare. Gli ho chiesto cosa volevano da lui. Non ha voluto rispondermi e così ho lasciato perdere. Me ne sono andato e basta. Lo sapevo che era una montagna di guai quella.”
Castle si mosse sulla sedia. “Quindi non sa la vera ragione di quella raccolta di informazioni.”
Saul negò. “No, non la so.”
“Mai pensato di far denuncia?” La buttò lì ben sapendo quale fosse la risposta, del resto lui gliel’aveva già data fornendo spiegazioni sulla sua vita.
“Gente così comunque non si denuncia. Ti distruggono. Me ne sono andato per la mia strada e basta.”
Castle si appoggiò pensieroso alla sedia.
Potere e abuso, una bella accoppiata.
Un uomo potente che può minacciare, manipolare tanta di quella gente da diventare intoccabile. Un altro stronzo dai modi che conosceva bene, che aveva sulla coscienza la vita di qualcuno.
Fece un sospiro amaro. Per anni aveva vissuto in quello stato di cose fino a che non erano riusciti a spazzare via Bracken dal suo stallo di potere ed era costato molto. L’ombra di quello che aveva fatto non se ne sarebbe mai andata dalla vita di Kate, soprattutto a causa sua la loro famiglia doveva mantenere sempre una certa soglia di guardia.
Keeler senior era un vero aguzzino, ma contro di lui non c’era nessun sospetto o accusa. Avevano intimorito Saul, ma non lo avevano toccato. Certo credere che fosse arrivato ad uccidere il proprio figlio era un grosso azzardo, umorismo a parte. Ma dietro a tutto quello c’era proprio lui? Era tutto da provare.
“Li ha più rivisti?” Chiese infine.
“No, nessuno di loro.” Saul strinse le labbra. “Pensa che siano stati loro? Ad ucciderlo…”
Castle negò. “E presto per dirlo, ma non possiamo escluderlo.”
“In quel locale, l’Atlantis… Chi può entrare di notte?” Chiese infine Castle cambiando discorso.
“Il proprietario. Il gestore, Viera.  Altri buttafuori. Gli operai dei lavori…” Elencò portandosi le mani al viso.
“Un sacco di gente, e poi se vuole entrare davvero lo fa senza problemi.”  
Castle sbarrò gli occhi. “Questo non ci aiuta se si rivelasse essere quello il luogo del delitto.”   
L’espressione curiosa di Saul lo avvisò di aver detto troppo così si alzò. “Vuole un caffè mentre finisce di compilare quei documenti?” Disse con un sorriso di circostanza.

Esposito in piedi dietro a Beckett teneva le braccia conserte. La donna, con la testa china sui documenti, aspettava di far innervosire ulteriormente il suo interlocutore con alcuni minuti di silenzio.
Osservò di nuovo foto e dati e poi incrociò le dita delle mani piantando due occhi glaciali in quelli di Robert Randall.
“C’è qualcosa che non ci hai detto Robert? Riguardo alla tua relazione con Frederick e la sua famiglia…” Insinuò cercando di dare al ragazzo tempo per sputare il rospo in modo autonomo. Era stanca e affamata più del solito. Era tesa e quella faccia dalla pelle idratata più del fondoschiena di un bambino la stava infastidendo. Qualcosa in quel tipo troppo curato la irritava. Forse era solo perché aveva mentito, forse era per il fatto che aveva fatto il gioco sporco con una persona che si fidava di lui fingendo di amarlo? Magari era il solo pensare che aveva tradito la fiducia del suo compagno a schifarla.
Oppure era perché si era fatto comprare da un politico. Già forse era proprio quello a farla sentire così.
E per cosa si era venduto? Trattamenti di bellezza, vestiti? Peggio di una puttanella qualsiasi.
“Non ho fatto nulla di male…” Iniziò a dire.
“Spiegaci da dove vengono questi e perché.” Tagliò corto con un velo di ferocia in più nella voce.
“Perché suo padre ti paga?” Aggiunse mostrando un documento bancario.
Il ragazzo si mise una mano in fronte.
“Mi pagavano perché lo tenessi lontano da locali di Alphabet city. Volevano che la piantasse con quella doppia vita perché avrebbe screditato il padre di fronte alla città.” Iniziò a dire.
“Ma mai e poi mai mi hanno chiesto di torcere un capello a Frederick. Mai.” Aggiunse con un mezzo sorriso. Le lacrime agli occhi del ragazzo sembravano sincere, però non aveva ancora detto tutto.
“Hai mai avuto contatti diretti con Jefferson Keeler?”
Il ragazzo negò. “So che erano i suoi scagnozzi fin dall’inizio perché ho visto i gagliardetti della pubblicità elettorale nella loro macchina.
“Quindi non sai se è veramente il padre a pagarti?” Incalzò Beckett.
“Uno degli uomini con cui ho a che fare è il suo autista. L’ho visto spesso quando il vecchio veniva a trovarlo all’università. Non erano mai belle visite per Freddy. Comunque la spiegazione che mi avevano dato mi era già sembrata sufficiente...” Il suo sarcasmo fece sbuffare Esposito.
Kate sospirò guardando il collega attraverso l’immagine riflessa nello specchio davanti a lei.
“Ti hanno pagato prima o dopo aver conosciuto Frederick?”
“Appena ho iniziato a frequentarlo mi hanno avvicinato quei due e mi hanno fatto quella proposta. Ho accettato. Non mi sembrava di aver fatto nulla di male. Non ho ucciso io Freddy!” Esclamò.
Beckett annuì. Quello era vero, aveva un alibi e certo non avrebbe mai ucciso la sua gallina dalla uova d’oro.
“Ieri sera hai detto a qualcuno dove sarebbe andato? Come funzionava questo scambio di informazioni?” Lo incalzò Beckett. Qualcuno conosceva la sua posizione in casa Keeler, avevano mentito tutti in quella famiglia oppure solo il padre era al corrente di tutto?
Robert si passò di nuovo la mano sul viso. Non era del tutto fuori dai guai ma poteva aggravare la sua situazione se non vuotava il sacco.
“Ogni giorno io mandavo dei messaggi ad un numero. Era uno di quei due tipi. L’autista. Si chiama Zed. Non facevo molte domande, non era il caso. E ieri sera ho mandato questi messaggi. Allungò un cellulare e mostrò a Beckett il contatto telefonico a cui inviava informazioni. Beckett lo mostrò ad Esposito che si prese il telefono ed uscì. Avrebbe fatto cercare il numero e avrebbe approfittato nel far controllare tutto il telefono.
“Ti mostreremo delle fotografie, dovrai indicarci chi sono quei due.” Robert annuì. 
“Si sono mai veramente dichiarati come personale al servizio di Keeler?”
Il ragazzo scosse il capo. “Ce n’era forse bisogno?”
Forse quei due tizi erano stati gli ultimi a seguire il ragazzo, a vederlo vivo. Potevano essere stati testimoni di un omicidio, oppure erano implicati loro stessi? Il corpo era stato spostato, ma da chi? L’assassino? Gli angeli custodi di Frederick per depistare le indagini da un evento morboso? Se salvaguardavano l’immagine di Keeler non avrebbero lasciato il corpo in un posto discutibile, avrebbero potuto mettere in scena un malore in piscina. Una fine più credibile per un rampollo del jet set.
Qualcuno doveva sapere.
Robert sudava ora. Deglutiva e si agitava pensando alle probabili recriminazioni da parte di quella gente e Kate lo capì. Ma non era del tutto sicura di volerlo rincuorare davvero così disse con una certa freddezza:
“Faremo in modo che… non ti capiti nulla per la tua collaborazione.”
Raccolse quindi le carte sparse sul tavolo e le rimise con calma nella cartellina. Poi guardò di nuovo il ragazzo.
“Conosci l’uomo che c’era in corridoio poco fa?”
“Chi?” Chiese Robert sorpreso.
“Il ragazzo di colore. Lo conosci?” Beckett studiò con attenzione le reazioni dell’uomo che aveva di fronte.
“No.” Mormorò.
“Sicuro?” Il ragazzo annuì.
“Stavate insieme da quanto tu e lui? Cinque, sei mesi?” Incalzò.
Robert si mosse sulla sedia. “Meno, quattro e mezzo…”
“Freddy non ti ha mai parlato del suo ex?” Kate provò un certo piacere nell’infierire su di lui.
“Mai visto in uno dei locali frequentati da Frederick?” Aggiunse di fronte al suo silenzio.
Robert negò. “Non li frequentavo. Ci andava solo. Non sempre mi diceva dove andava a allora lo seguivo… Quando avevo scoperto dove andava io tornavo al dormitorio, comunicavo dov’era e basta.”
Lo sguardo fisso di Beckett su di lui non diede al ragazzo un attimo di tregua. La mente di Beckett era lanciata nel porre domande e analizzare la situazione.
“Ma sei stato pagato per tenerlo lontano dai locali, non mi sembra che tu ci sia minimamente riuscito…” Valutò con ironia.
“Ha, ha…” sbottò Robert. “Gliel’ho detto a quelli, non me lo diceva, non mi voleva con lui, quella era la sua seconda vita e io non ero contemplato. Mi hanno creduto e accettavano che io facessi da tramite per i suoi spostamenti. E poi non mi hanno mai dato così tanti soldi per fare di più.”
“Trenta denari sono bastati.” Sentenziò Beckett con ironia.
Lo aveva tradito per una cifra non certo cospicua.
La storia era debole, troppo debole per stare insieme. Il legame tra quei due era troppo superficiale.
Frederick poteva aver capito che Robert faceva il doppio gioco? Lo assecondava parzialmente per depistarlo oppure era all’oscuro di tutto? Troppe domande e nessuna risposta.
“Ti è mai sfiorata l’idea che ci fosse qualcosa di sbagliato in quello che facevi? Sia dal punto di vista umano, ma anche da punto di vista legale?” Il disprezzo nella voce di Beckett era vivido.
L’uomo non replicò.
“Provavi qualcosa per lui almeno?” Aggiunse quindi con altrettanto disprezzo.
“Certo io…”
“Allora perché non gli ha raccontato la verità? Perché non sei stato onesto con lui? Lo hai solo usato Robert. Spero solo che la cosa fosse reciproca.”
Beckett si alzò. “Resterai qui per altro tempo. Mettiti pure comodo.”
Il ragazzo annuì e poi si appoggiò allo schienale della sedia sbuffando.
Castle e Beckett si incontrarono sulla porta dell’ufficio.
Lui aveva raggiunto la postazione dietro al vetro a specchio e aveva assistito all’ultima fase dell’interrogatorio.
Aveva notato una certa veemenza in Kate, tipico di quando qualcosa la stava irritando. Come era successo anche a lui poco prima, quel caso li stava mettendo di fronte ad una storia spietata e li stava facendo riflettere allo stesso modo. La sua empatia nei confronti della vittima stava aumentando così come quella di lei, mentre il quadro si definiva in un unico reticolo di inganni e menzogne.
Frederick mentiva ai suoi e al suo ragazzo, il quale mentiva a lui. I suoi lo stavano monitorando? La sua vita era una menzogna agli occhi di tutti. E gli unici a sapere qualcosa di vero di lui erano uno strambo proprietario di night e un buttafuori. Gli unici che sembravano amarlo sul serio.
“Hai finito alla grande!” Disse lo scrittore. Il suo entusiasmo era smorzato solo dalla gentilezza del suo sguardo nei suoi confronti. Kate si permise di prenderlo per mano.
“E’ stato avvicinato da due uomini che gli hanno offerto denaro per spifferare loro i movimenti del ragazzo.” Disse Kate. “Sono scagnozzi del padre, ma non ha mai avuto contatti diretti con lui.”
“Anche Saul ha ricevuto la stessa offerta. Ma ha rifiutato.” Replicò Castle indicando la saletta con i ragazzo.
“Dice che non voleva guai. Quelli erano armati. Lui ne ha colpito uno in faccia, ma non hanno recriminato vendicandosi su di lui. Strano.” Aggiunse pensieroso.
“Che cosa ti ha detto?”
In breve Castle raccontò quanto gli era stato riferito da Saul. Raccontò della sua diffidenza e del perché non aveva voluto immischiarsi.
“Beh almeno lui ha avuto le palle ed il buon senso di non fare una carognata del genere.” Valutò Kate.
Castle annuì. “Credo che gli volesse bene davvero.”
“Mostriamo le foto dello staff di Keeler anche a Saul. Se va come penso le loro dichiarazioni collimeranno e dobbiamo quindi capire chi era al corrente della reale posizione di Frederick ieri sera.” Beckett si passò la mano sul viso. “Suo padre potrebbe aver mentito.”
Castle annuì. “Se lo pedinavano…” Mormorò lasciando ad intendere che aveva capito.
“Aspettiamo i risultati dell’acqua ora.” Kate non era del tutto convinta che quella fosse una possibile prova, però i colpi di fortuna erano più che graditi.

Esposito raccolse il fascicolo con le foto dello staff dei bodyguard e degli autisti di Keeler.
Ryan stava seduto alla propria scrivania cercando le informazioni telefoniche.
Esposito sbottò con un mezzo sorriso. “Quello stronzetto! Fa tanta scena e poi… si è pure lamentato che lo pagavano poco. Che giuda.”
“Addirittura! Ha recitato una sceneggiata stamattina…” Replicò Ryan sorpreso. “Ma c’è n’è uno in questa storia che la sta raccontando giusta?”
“Benvenuto alla omicidi!” Ryan rise.
“Bro, stasera dobbiamo andare a far domande al locale, mettiti in tiro biondino che quelli come te piacciono.” Ryan sbuffò.
“All’improvviso il latino è passato di moda? E poi sono sposato.” Replicò alzando la mano sinistra.
“Come se fosse una cosa che conta ai giorni nostri.” Esposito guardò l’amico attendendosi una replica ma l’uomo era assorto nella lettura.
“Ehi, Tori ci ha mandato i dati delle celle a cui si è agganciato il telefono di Keeler. Guarda…” Disse indicando il monitor.
La zona segnalata sulla carta di Alphabet city indicava che il cellulare non aveva ambiato area, era stato connesso alla stessa cella per tutto il tempo. Era arrivato e ci era rimasto. L’ultimo segnale era stato registrato alle 2 e 18 del mattino. Poi il telefono si era sganciato ed era andato offline.
“Qualcuno lo ha disattivato a quell’ora.” Aggiunse. Esposito osservò lo schermo pensieroso.
“Che sarà successo dalla mezzanotte alle due?” Se non ha lasciato Alphabet city può essere andato in un altro club…” Ribadì Ryan.
“Forza, mostriamo queste foto a quei due che poi dobbiamo muoverci.”

Kate si avviò verso la sua scrivania prendendo il pennarello per completare la timeline con quanto emerso.
Saul e Robert avevano riconosciuto i due uomini della scorta di Keeler.
Zed Orvak era il suo tuttofare nonché autista. Un uomo discutibile, con un passato non del tutto limpido. Proveniente dalla Serbia, si era fatto un nome per crudeltà durante la guerra e poi era scappato prima che le ritorsioni politiche lo annientassero.
Sbarcato negli States aveva trovato lavoro grazie alle sue doti di crudeltà. Negli ultimi quattro anni aveva lavorato per Keeler, ma a quanto pareva i suoi metodi non erano migliorati di molto.
I risultati sui telefoni non erano stati del tutto soddisfacenti, ma quella storia si stava rivelando una pista calda. L’indomani avrebbero dovuto interrogare di nuovo i genitori e Jefferson Keeler avrebbe dovuto dare qualche spiegazione in più.
Il contatto telefonico fornito da Robert era stato identificato come in numero di servizio di Zed Orvak ed il cerchio si chiudeva. Keeler, o quantomeno Orvak sapeva dove si trovava il ragazzo prima di morire.
Kate scrisse sulla lavagna l’orario della disconnessione del telefono dalla cella telefonica.
L’antenna copriva un raggio di circa 3 km non di più. La zona era quella.
“L’Atlantis è coperto dalla stessa cella?” Domandò Castle alle sue spalle.
Kate annuì. “Così pare…”
“Sai, Frederick doveva essere stato piuttosto preso da Saul se ha insistito per rivederlo, non voleva tagliare i ponti. Ma lui non si è fatto più trovare.” Valutò Castle avvicinandosi. “Era quindi questa la storia burrascosa di cui ci ha parlato Whittaca.”
“E’ probabile. Ma non capisco. Perché Keeler fa seguire suo figlio? Se sapeva di questa sua doppia vita perché semplicemente non chiedergli di smettere. O farlo allontanare dalla città.”
“Forse Frederick era deciso a non volerlo fare.” Replicò Castle.
“Il vecchio ha cercato di limitare i danni. Ma non lo hanno certo protetto da un omicidio…” Castle mise le mani in tasca pensieroso. “Lo hanno lasciato solo nel momento del bisogno.” Sottolineò con amarezza. Kate lo osservò.
Espirò rumorosamente e Castle la raggiunse sedendosi accanto a lei.
“A cosa serve la famiglia se cerca di ostacolarti, se cerca di cambiare ciò che sei. Che ti abbandona quando sei in pericolo o non ti aiuta quando sei in un brutto guaio?” Le prese una mano. La strinse con dolcezza e lei ricambiò. “Con tutti i casini che ho fatto io mia madre avrebbe dovuto abbandonarmi all’età di otto anni.” Sbottò sorpreso. Lei sorrise. “Castle non sono tutti aperti come Martha…”
“Forse lei lo è troppo.”
“Oh piantala. L’adori…” Kate gli diede un colpo con la spalla. Castle annuì “Già. Lo ammetto.”
Kate tornò seria ad osservare la lavagna. “Non sono tutti come te, come noi…”
Per quanto fosse stata sempre una sfida, essere sinceri tra loro, confrontarsi e aiutarsi anche in situazioni in cui le opinioni erano divergenti era stata una costante degli ultimi anni. E prima, quando molte cose tra loro non erano ancora state chiarite, quell’aiuto reciproco dato dal legame che si era instaurato tra loro non era mancato. Gli errori grossi li avevano fatti quando avevano preso strade diverse, allontanandosi in silenzio. Kate ripercorse con la mente alcune delle cose accadute. Castle c’era sempre stato, nel bene e nel male. E della sua vicinanza era grata ogni giorno come sapeva che anche per lui valeva la stessa cosa.
“So di ripetermi, ma se non ci foste voi, la mia famiglia, io sarei un uomo perso.” La guardò e sorrise con dolcezza. Per lei quella era una verità profonda. “Vale anche per me. Dove sarei ora se tu non ci fossi stato, se tu non avessi preso quella posizione accanto a me…” Citò volutamente quella frase. Quelle parole che avevano segnato la sua vita dal giorno della morte di Montgomery.
Castle sorrise guardando la lavagna e poi di nuovo lei. “Anche Frederick poteva avere qualcuno. Peccato che Saul si sia tirato indietro. Peccato perché mi sembra quello più sincero di tutti.”
Anche Kate la pensava così. Annuì. Si toccò il collo e mosse il capo ciondolando. Lo sentiva pesante come prima di un’influenza.
“Non chiedermi come sto Castle.” Fermò subito la domanda che stava per uscire dalla bocca di suo marito con un sorriso.
“Hai l’aria stanca, sei pallida da quando abbiamo lasciato il Suprema.” Mormorò Castle ricambiando con un sorriso disarmante. Lei espirò. “Ci devo fare l’abitudine no?” Disse quindi appoggiando la testa alla sua.
“Ma qualche abitudine dovrai cambiarla… tipo fare tardi qui.”
Kate si morse il labbro. Castle aveva ragione ma era ancora presto. Erano solo le diciannove e trenta e il caso aveva appena preso una piega interessante.
“Aspettiamo in risultati dell’acqua dalla scientifica. Ci dovrebbe voler poco tempo. Prendiamo i dati di Porter e poi ce ne andiamo a casa. Abbiamo solo da aspettare fino a domani per cercare i due uomini.
Ryan li raggiunse. “Che faccio con il tipo grosso nella saletta?”
“Lascialo andare e digli di tenersi a disposizione. Non credo proprio sia da mettere nei sospettati, ma potrebbe ancora esserci utile.”
L’irlandese annuì e li lasciò soli. Beckett era insolitamente stanca, cosa che rafforzava la sua tesi così si allontanò sorridendo.
“Scusate…” La Gates comparve dopo pochi minuti alle loro spalle e tossicchiò interrompendo quel momento di calma tra loro.
La donna sembrava sulle spine e Beckett si alzò per andarle incontro.
“So che non dovrei chiederlo a voi… ma… c’è stato un problema…” Castle si alzò seguendo Kate con stupore.
La Gates non era una così facile da mettere in imbarazzo, ma lo era sinceramente.
“Che tipo di guaio signore?”
La Gates espirò. “Un guaio di nome Denver.”
“Mi sembra di sentir parlare di quel dinosauro antropomorfo dei cartoni animati… Faceva un casino dietro l’altro, ma almeno era colorato e simpatico!”
“Signor Castle?” Lo richiamò la donna con uno sguardò di disappunto, ma non infierì. C’era qualcosa che evidentemente stava per chiedere loro perché Beckett era silenziosa e il capitano davvero troppo in imbarazzo.
“Che ha fatto?”
“E’ uscito con i ragazzi della squadra di Johnson per il caso di omicidio dello spacciatore. E’ finito in una zona rossa di spaccio e i ragazzi hanno cercato di farlo uscire. C’è stato segnalato un conflitto a fuoco e da allora non ci sono state più comunicazioni da parte loro. Sono irrintracciabili.”
Castle sbuffò. “Spero lo abbiano centrato!”
Kate gli diede una leggera gomitata in un fianco e lui si lamentò dolorante ripiegandosi di lato. “Ahi…”
Il capitano scambiò un’occhiata comprensiva con Beckett che annuì.
“Beh… so che siete gli ultimi a cui lo dovrei chiedere ma…”
Kate si voltò. Guardò Castle con serietà e lui smise di fare il pagliaccio.
“Quindi... per cena sparatoria tra spacciatori e poliziotti?” Mormorò un po’ teso.
“Pensavo che l’azione ti piacesse…” Rispose lei incrociando i suoi occhi. L’umorismo aiutava ma capiva cosa stava passando nella mente di Castle. Lo sapeva e sperava che lui capisse.
Lui si avvicinò. “Beh, sì. Però per stasera mi era già fatto un film che prevedeva la tua pelle morbida avvolta da una soffice schiuma…”
La Gates si sentì per un attimo di troppo vedendo Castle avvicinarsi alla moglie.
Kate sorrise e lui fece scorrere un dito sul suo braccio. Non era felice di quella decisione che li metteva in pericolo. Ma non poteva negare che Johnson e la sua squadra erano degli amici e avevano fatto parte di tante squadre che erano accorse in loro aiuto nei momenti difficili. Era il minimo ricambiare il favore.
“Starai molto attenta ok?” Mormorò. Stemperò la tensione con un sorriso dolce e pieno di comprensione.
Kate annuì con lentezza. Aveva letto la paura nei suoi occhi ma anche la sua determinazione. In ogni caso la sua resa gli era costata ma aveva capito.
Loro non erano come Denver. Il dodicesimo era una famiglia e lui ne faceva parte.
“Tu verrai con me. Come sempre.” Sorrise voltandosi verso la Gates.
“Lo facciamo per Johnson e i ragazzi.”
Il capitano sorrise compiaciuta osservando quello cambio con imbarazzo e attenzione. Era la sua miglior detective e sapeva anche il perché. E non l’aveva delusa. Ma da donna in quel momento un po’ le dispiacque doverla mettere in una situazione difficile. Però loro erano poliziotti e quella era la loro strada. Sperò di non doversi pentire della sua scelta.
“Contavo sulla vostra partecipazione.” Disse quindi con soddisfazione. Si mise le mani sui fianchi.
“Chiamate Esposito e Ryan, voi guiderete la squadra di recupero. E non vi preoccupate… se Denver torna vivo… lo finisco io.”
Kate, ridendo, si mosse per andare a prepararsi.
La Gates le si avvicinò. “Quando torna, l’aspetto nel mio ufficio per una chiacchierata…” Concluse con un sorriso benevolo quindi se ne andò a preparare il resto della sortita.
Kate deglutì spostando lo sguardo su Castle che replicò strabuzzando gli occhi sorpreso.
“Oh!” Disse soltanto.
Iron Gates non era solo d’acciaio, aveva sviluppato anche qualche altro senso.
Castle ne era più che convinto.

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Rieccomi! Si lo so, ho la tempistica un po' sballata ma purtroppo il lavoro non è affatto migliorato lasciandomi poco tempo per l'immaginazione creativa, chiamiamola così.
Vediamo le indagini progredire, ed i nostri Caskett interagire presi da piccoli confronti e da pensieri. Eh già, le cose stanno un po' cambiando sotto gli occhi attenti di amici e colleghi...
 

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Capitolo 6
*** La persona sbagliata ***


Quella sera le cose non erano andate poi così lisce. Le operazioni per salvare il fondoschiena a quell’idiota di Denver avevano richiesto sforzi e un bel tributo di sangue in un conflitto a fuoco nella scarsa luce della sera. Avevano accerchiato il posto, organizzato il blitz e avevano agito. Ma non senza conseguenze.
La retata che avevano organizzato era stata preceduta da qualche ora di messa a punto, Beckett aveva anche deciso di coordinare le operazioni andando a interfacciarsi con alcuni colleghi della narcotici.
In qualsiasi casino fosse finito Denver, l’aveva fatta davvero grossa.
Un ex collega di Ryan li aveva raggiunti ed aveva subito messo in evidenza i danni ricevuti alle loro attività investigative. Alcune operazioni sotto copertura erano saltate e lo scontro a fuoco che ne era seguito aveva avuto le sue vittime, cosa assolutamente non prevista. Inoltre non erano riusciti a far breccia nel palazzo in modo rapido perché lo scambio di proiettili era stato piuttosto vivace.
Quel covo di spazzatura pullulava di bella gente.
Per Esposito tornare in azione in quel modo comportava meno fatica di quanto costasse a Ryan e si era sorpreso della serietà con cui Castle aveva seguito Beckett. Non aveva fatto battute ma era rimasto guardingo e compassato. Aveva indossato accuratamente il suo giubbetto antiproiettile rabbrividendo nel freddo della sera. Aveva fissato con cura quello al corpo della moglie. Era stato fin troppo ligio alle regole ed Esposito cominciava a pensare seriamente che le speculazioni di Ryan su Beckett fossero più che idee buttate li.
Non gli aveva detto nulla nel dettaglio, lasciandogli intendere però che una possibile gravidanza di lei fosse l’origine di tutto. Quantomeno le sue speculazioni portavano a quello. Ryan continuava imperterrito ad osservare con attenzione le mosse dell’amica, valutando le sue stranezze con commenti velatamente entusiastici. Insomma non stava certo bene ma Ryan ne sembrava comunque felice. Quale altra - buona notizia - poteva esserci?
Esposito fu il primo insieme ad un uomo della squadra di Johnson a fare strada nel palazzo malconcio.
Il puzzo acre di piscio misto a qualcosa di anche più acido lo fece indietreggiare di qualche passo una volta spalancata la porta. La zaffata era stata insopportabile e strabuzzò gli occhi cercando di riuscire ad andare oltre.
Esposito fece segno ai colleghi dietro di lui. Ryan fece una smorfia e indicò a Beckett e Castle ti turarsi il naso.
Il corridoio poco illuminato era disseminato di sporcizia sul pavimento ed Esposito non volle chiedersi di cosa fossero imbrattate le pareti. Avanzò lentamente a pistola spianata, muovendosi con cautela. L’odore acre di vomito lo raggiunse andando ad aumentare la sensazione di nausea.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per un po’ di crema all’eucaliptolo da spalmarsi sotto il naso.
Dietro a lui Ryan entrò con la stessa aria schifata.
“Ma che fetida cloaca è questa?” Sbottò Castle alle sue spalle.
“Kate non appoggiare le mani su questo schifo di muro. Metti i guanti.” Disse con una voce stridula e Kate espirò.
“Zitto Castle…” Disse piano. Kate faceva fatica a respirare. L’odore era davvero nauseabondo ed era come se quelle ondate disgustose la mettessero in difficoltà. Non le era mai capitato, o forse non aveva mai sentito odori così fortemente nauseanti. Nonostante la grande quantità di cadaveri che aveva visto, anche in decomposizione avanzata, non rammentava niente di così violentemente disgustoso per le sue narici.
Lo scontro a fuoco sul perimetro esterno in confronto era stata un passeggiata rapportato all’ingresso in quel corridoio: il puzzo era qualcosa di insostenibile. Sapeva che alcune squadre stavano mettendo in sicurezza il perimetro esterno ma l’interno non era ancora stato ripulito del tutto, dovevano stare in guardia.
La radio di uno degli agenti che li seguiva gracchiò dando dei segnali di ok da parte di più fronti.
Una sola porta si vedeva alla fine di quel corridoio ed Esposito ed il collega Norman l’avevano raggiunta.
Attese che Ryan arrivasse alle loro spalle e poi fece cenno ai colleghi di stare in guardia.
I movimenti successivi furono rapidi ed efficaci. I colpi andarono a segno. Beckett si mosse decisa verso un lato e Castle rimase all’ombra di un grosso pilastro.
La stanza in cui erano finiti era una sorta di sala d’attesa. Logora, sporca e disseminata di giornali e lattine. Bottiglie rotolavano vicino ai muri e alcuni dei neon erano intermittenti. Carta da parati imbrattata di scritte. C’erano dediche, improperi e frasi ad effetto. Castle, dal suo riparo, cercò di leggerne qualcuna velocemente ma i colpi d’arma da fuoco non si erano ancora placati, così non si mosse.
La resistenza fu sbaragliata in pochi minuti. Esposito atterrò con colpi sicuri un paio di scagnozzi e il resto del gruppo fece piazza pulita dei restanti.
Altri agenti sopraggiunsero alle loro spalle bloccando e ammanettando i malviventi.
Castle sbucò dal suo pilastro con un ghigno schifato.
“Beckett, mi porti sempre in posti pieni di fascino!” Disse muovendosi verso di lei con cautela. Kate abbassò l’arma e gli sorrise.
“Non sei mai contento.” Replicò scuotendo il capo.
“Sembra una sala d’attesa. Ma per cosa?” Si chiese Castle guardando in giro.
Esposito maltrattò uno dei malviventi fino a farsi dire dove stavano rinchiusi i colleghi poi lo buttò tra le mani di uno degli agenti. Indicò quindi a Beckett e a Ryan un paio di direzioni da seguire.
Il corridoio era mediamente meno lurido del primo, ma si difendeva bene.
Castle continuò a commentare borbottando in sottofondo.
“Castle?” Lo richiamò Kate a bassa voce.
Un mugugno lamentoso arrivò dall’ultima porta. Si avvicinarono con cautela e Beckett l’aprì con un calcio ben assestato e puntando la pistola verso l’interno.
Entrarono in quello che sembrava essere una sorta di ambulatorio medico. Su un lettino era sdraiato un uomo privo di sensi, Beckett lo riconobbe, come riconobbe il pallore della morte sui suoi tratti: era Benjamin Lopez, uno degli uomini della squadra di Johnson.
C’era sangue dovunque.  C’erano guanti di lattice e strumenti chirurgici sparsi sul pianale di acciaio sporco, appena scostato dal lettino. Qualcuno aveva tentato di salvarlo forse in modo maldestro, ma le ferite dovevano essere state serie.
A terra, buttato su un materasso, Denver era stato immobilizzato mani e piedi. Ammutolito con una striscia sulla bocca, cercava di liberarsi muovendosi e agitandosi come un pesce caduto fuori dall’acquario.
Beckett si sincerò dello stato di Lopez, avvicinandosi al lettino.
Esposito entrò e guardò Denver agitarsi.
“Lo liberiamo dopo.” Disse a Ryan e insieme uscirono per continuare il controllo dei locali sull’altro corridoio.
Castle osservò la stanza con la stessa espressione di disgusto stampata sul viso e si mosse avanzando verso gli armadi chiusi lungo una parete.
“Merda…” Imprecò Beckett girandosi verso Denver che ancora si agitava per terra.
“Guarda che casino hai combinato. Guarda che cosa è successo a causa tua, razza di coglione incosciente!” Sputò fuori con rabbia indicando Lopez riverso sul lettino. Denver si calmò.
“Castle non toccare ok?” Lo ammonì. Ma era già tardi: il suo uomo curioso aveva già aperto quello che sembrava essere un grosso freezer e il contenuto raggelò lo sguardo di entrambi.
“Quelli sono…” Mormorò Kate.
“Feti…” Finì Castle deglutendo e facendo qualche passo indietro inorridito. Decine di piccoli corpicini congelati ognuno nella propria sacca trasparente erano accatastati con cura in cestelli per surgelati. Castle si voltò verso Beckett e la vide spalancare gli occhi e boccheggiare.
Indietreggiò chinandosi in avanti e cercando di bloccare la propria bocca con la mano disarmata. Castle la raggiunse prima che cadesse, sorreggendola ed evitando che si appoggiasse a terra. Riteneva che fosse troppo sporco e contaminato.
Conati di vomito le squassarono stomaco e Kate buttò tutto fuori sputando quello che rimaneva del pranzo digerito per terra. Castle la sostenne con un braccio intorno alla vita e con una mano le tenne i capelli.
Kate respirò a bocca aperta lasciando che la saliva colasse a terra. Poi richiuse la bocca e si portò una mano al viso sfregandosi le labbra col dorso. Castle le prese la pistola dalla mano destra e gliela ripose nella fondina mettendo la sicura. Kate imprecò sonoramente e si raddrizzò aiutata dal suo uomo. I conati si placarono e i capogiri andarono a mitigarsi. Una volta che riuscì a stare in piedi con le proprie forze Castle le diede un fazzoletto per pulirsi la bocca.
Kate strinse gli occhi e l’accettò. Negli occhi di Castle c’era il suo stesso sgomento. Gli fece un sorriso debole e pieno di gratitudine.
“Beh…” Castle guardò i resti del suo pranzo sul pavimento e fece una smorfia.
“Era un ottimo pranzo Castle. Mi dispiace.” Replicò Beckett con un velo di ironia.
“Te ne cucinerò un altro.” Riuscì a dire. Cercò di stemperare la tensione ma la sensazione che aveva attanagliato i cuori di entrambi era prevaricante.
Castle la lasciò e si sporse rapidamente verso il freezer chiudendo l’anta, nascondendo così alla vista di entrambi quelle povere creature. Si accorse che sulla porta era comparsa la Gates, la quale era sopraggiunta a operazioni concluse avvertita da Ryan.
“Signore esca di qui…” Le disse Beckett mentre la raggiungeva per uscire. Il capitano afferrò Beckett per un braccio e l’aiutò a varcare la porta, vedendola poco salda sulle proprie gambe.
“Venga, ha bisogno d’aria.” Disse con voce grave. Quel posto era un vero parco degli orrori e la vista del contenuto del freezer non gli era sfuggita. Guardò il corpo di Lopez riverso sul lettino e strinse i denti amareggiata. Tutto quello poteva essere evitato. Con il viso tirato, l’espressione buia e feroce cercò gli occhi di colui che reputava il colpevole di quella morte senza senso.
“Se solo avessi fermato questo stronzo quando ne ho avuto l’occasione.” Pensò arrabbiata. Dal suo discorso non erano passate dodici ore. Ci aveva messo meno di una giornata a farle rimpiangere di non averlo preso a calci prima. Il senso di colpa si stava facendo largo in lei e Castle sembrò accorgersi del suo stato.
Beckett era ferma sulla porta.
“Accompagno Beckett fuori, lei lo liberi…” disse infine facendo un cenno a Castle indicandogli l’uomo ancora immobilizzato sul materasso sporco.
Castle annuì. Tolse di tasca un coltellino multiuso e lo utilizzò per liberare Denver. Tagliò i legacci che lo tenevano immobilizzato e l’uomo di divincolò strappandosi il nastro dal viso una volta che le sue mani furono libere di muoversi.
“Ah che schifo!” Disse alzandosi. Incrociò lo sguardo con Castle alzando le spalle in modo divertito.
“Stomaco debole Beckett.” Commentò muovendosi verso la porta e ignorando volutamente il corpo di Lopez.
“Ma non è grave. E non credere che io mi senta in debito con te per avermi liberato.” Disse abbassando il tono.
“Prima o poi te la porterò via.” Sussurrò uscendo e Castle aprì la bocca basito.
Uomo spregevole, meschino e senza cuore. Era stato la causa di un conflitto a fuoco che aveva visto la morte di un collega e se ne stava lì a pensare che avrebbe fatto di tutto per mettere le mani addosso a Kate? Una reazione rabbiosa lo colse, cercò di rincorrerlo nel corridoio ma fuori aveva già incrociato il pugno feroce di Norman, il partner di Lopez. Probabilmente era stato già informato da Beckett della scomparsa del collega e la sua reazione violenta e sanguigna placò per alcuni istanti quella di Castle.
Lasciò quindi che Norman si prendesse la briga di pestare Denver come era giusto. Pensò che se lo meritasse e che Norman avesse bisogno di quello sfogo. Aveva perso un amico, il suo fidato compagno. L’uomo con cui aveva condiviso pericoli, vittorie e sconfitte. Lo reputò orfano di qualcosa. Lui si sarebbe sentito così e non solo. Si sarebbe sentito accecato dalla rabbia se qualcosa fosse accaduta a lei.
Passò quindi oltre cercando l’uscita e Beckett oltre quella.

Una volta tornati al distretto, il caos generale li aveva colti. Interrogatori, documenti da compilare. E la sensazione di morte che pesava sul cuore di tutti. Lopez era un brav’uomo. Lasciava una famiglia: la moglie e tre bambini. Ma più di tutto Beckett non riusciva a togliersi dagli occhi quei piccoli corpi surgelati.
Sentiva anche così freddo che Castle le aveva dovuto dare la sua giacca per riscaldala.
Osservarono entrambi l’ufficio della Gates mentre quest’ultima parlava al telefono. Tutta quella situazione si sarebbe ritorta contro di lei, ma per Beckett la colpa non era da imputare al Capitano. In fondo come tutti loro non conoscevano bene quell’idiota dal cervello di gallina.
Chiunque avesse mandato da loro un tipo del genere con delle credenziali su carta ben diverse dalle capacità reali aveva una parte importante di responsabilità in tutta quella vicenda amara, ne era sicura.
Si chiese chi era stato a portarlo tanto in alto, oppure quale macroscopico errore di valutazione doveva aver commesso per non accorgersi di quanto fosse indisciplinato e incapace di pensare e agire in una logica di squadra.
Denver intanto era stato medicato sommariamente e poi portato nella saletta degli interrogatori dove era rimasto sotto la sorveglianza di alcuni agenti. La disciplinare non avrebbe tardato.
Johnson parlava con i suoi e i vari detective e agenti del distretto stavano passando da lui un po’ alla spicciolata per lasciare una dimostrazione di vicinanza e solidarietà. Nessuno aveva osato dire qualcosa a Norman dopo la sua furiosa reazione, nemmeno la Gates stessa.
Beckett strinse la mano di Castle.
Era addirittura troppo silenzioso. Se ne stava lì accanto a lei e la teneva per mano. Non riusciva a capire se fosse assente, perso in chissà quali pensieri, oppure semplicemente stanco. Probabilmente era turbato come lo era lei del resto. La mascella contratta le fecero capire che era teso e forse arrabbiato.
“Castle…” mormorò per richiamare la sua attenzione.
“Nh?” Spostò gli occhi dalla vetrata degli uffici del capitano.
“Pensi che avrà guai per questo?” Chiese rompendo il silenzio. “La Gates gli ha dato una possibilità e lui ha fatto un casino.” Aggiunse dando una spiegazione forse non necessaria. Kate si strinse nelle spalle mordendosi le labbra.
“Non so. Probabilmente…” mormorò abbassando il capo.
Castle alzò la mano e le diede una carezza sul viso pallido. “Dovremmo andare a casa tesoro. Sei stanca, devi mangiare, devi dormire un po’…” Kate assunse un’espressione sofferente.
“Ho ancora la nausea. Non dovrebbero venire di mattina?” Chiese con un mezzo sorriso.
“Tu sei unica anche in quello.” La dolcezza nella sua voce portò anche a mitigare la tensione sul suo viso.
Il capitano uscì dal proprio ufficio. Parlò con Johnson a bassa voce. Probabilmente avrebbero dovuto andare a casa di Lopez e dare la notizia alla moglie. Non sarebbe stato facile per Johnson, Kate conosceva bene quella situazione. Attesero che la donna si liberasse e la videro voltarsi e attendere ferma a capo chino nel corridoio.
Esposito e Ryan fecero il loro ingresso al distretto camminando stancamente lungo il corridoio. Tutte le operazioni per la detenzione del gruppo di malviventi erano state espletate, almeno per quanto potevano fare quella notte. Oltrepassarono il capitano, facendogli un semplice cenno con il capo e raggiunsero Beckett alla sua scrivania.
“Serata orrenda…” Commentò Ryan sedendosi pesantemente sulla sua sedia.
Esposito sbuffò. Non avevano potuto seguire il loro caso e l’orologio a muro segnava le 2 e 40 del mattino.
Tra meno di 6 ore dovevano tornare al lavoro. Tanto valeva non andare a dormire, era praticamente inutile.
“Mi ci vuole un litro di caffè.” Disse quindi guardando Beckett avvolta nella giacca del marito.
“Beckett stai bene?” Chiese quindi non vedendola reagire. Di solito il caffè era il suo alimento principe.
Lei scosse il capo. “Ragazzi… dobbiamo dirvi una cosa.” Iniziò a dire.
Ryan fece un sorriso e diede un colpo al braccio di Esposito.
“C’è un piccolo Castle in arrivo vero?” Domandò con dolcezza. L’irlandese sembrava felice.
Castle fece un’espressione stupita e scambiò con Kate uno sguardo divertito. Lei annuì.
“Già. Si nota molto?” Mormorò passandosi una mano sul viso fino a spostarsi i capelli dalla fronte.
I ragazzi annuirono contemporaneamente.
Ryan, si avvicinò. Sembrava entusiasta della cosa “Di quanto sei?”
“Otto settimane circa…” Kate sorrise all’amico e strinse la mano ad un orgoglioso Castle.
Esposito diede un colpo alla spalla dello scrittore.
“E quando intendevate dircelo?”
“Sabato sera, a cena.” Replicò l’uomo lamentandosi. “Ma perché mi colpite, non è solo colpa mia…”
“Castle, è sempre colpa tua!” Replicò l’ispanico.
Esposito e Ryan abbracciarono Beckett e diedero qualche amichevole pacca sulla spalla all’amico congratulandosi con loro. Era una bella notizia considerato l’andazzo della giornata. Una nuova vita in arrivo era una notizia che andava festeggiata.
“L’ho già detto a Lanie, sabato sera da noi per una cena ok? Facciamo verso le otto.” Ribadì Castle con un sorriso. “Voi però dovete farmi un favore...”
“Spara.” Replicò Esposito.
“Dovete prendervi cura di lei quando io non ci sono.” Disse con una serietà tale che persino Kate si stupì.
Esposito fece una smorfia. “E dove vuoi andare Castle?”
“Beh… potrei dovermi allontanare qualche giorno per lavoro…” Castle guardò Kate e la donna ricordò il discorso fatto a pranzo.
 “Perché tu lavori?” Replicò l’ispanico, divertito.
“Ogni tanto…”
Victoria Gates li raggiunse interrompendo il loro discorso.
“Beckett, sta meglio?” Chiese seria.
Kate annuì stancamente. Fingere di avere più energie non sarebbe stato facile, così semplicemente rimase dov’era attendendo gli ordini.
“Può raggiungermi nel mio ufficio? Anche lei signor Castle.” Si allontanò senza attendere risposta. Doveva essere molto tesa.
Beckett si alzò e si tolse la giacca rendendola a Rick che la indossò.
Nella luce bassa dell’ufficio a Castle sembrò minuta e stremata. Non vedeva l’ora di portarla a casa. Palesare la sua preoccupazione non era ormai più un problema, era certo che i ragazzi avessero capito cosa stava chiedendo loro: un aiuto concreto perché non rischiasse, affinché restasse al sicuro.
Un tour de force come quella sera poi non era più consono alla sua salute. La seguì quindi nell’ufficio della Gates dove attesero che lei iniziasse a parlare.
Il rumoreggiare degli uffici si era placato. Tutti in quella notte aveva bisogno di calma per stemperare le tensioni e metabolizzare la scomparsa di un amico e collega.
“Dovete dirmi qualcosa vero?” Il capitano fece scivolare via gli occhiali dal naso. Anche lei sembrava piuttosto stanca, ma c’era dell’altro.
Entrambi annuirono.
“Sono incinta capitano.” Mormorò Kate. Castle passò una mano sulla spalla di sua moglie.
“Mi dispiace per quanto è successo stasera. Non sono riuscita a trattenermi.” Aggiunse.
Victoria Gates la guardò con un sorriso mesto. Scosse il capo spostandosi all’indietro e appoggiando la schiena tesa allo schienale della sedia.
“Non si dispiaccia. Quella vista avrebbe fatto dare di stomaco a molti. E non solo…” indicò ai due di sedersi.
“Era una clinica clandestina che praticava aborti, molte delle loro clienti erano prostitute.” Spiegò a bassa voce. Sembrava pensierosa e distante.
“Immagino sia difficile far sparire l’immagine di quei corpicini dalla mente, soprattutto nel suo stato.”
“Già.” Fu solo in grado di dire Beckett.
“Questo cambia un po’ le cose sulle sue attività, detective. Ammetto di averlo sospettato. I cambiamenti delle ultime settimane sono stati evidenti. Lei signor Castle è stato determinante nel farmi capire quello che stava accadendo.” Mormorò. “E’ diventato più apprensivo e… beh…” Indicò con una mano la porta. Forse era cosciente del fatto che l’aver aggredito Denver era stato solo un gesto dettato dalla rabbia di vedere la propria moglie toccata da un altro uomo, con l’aggravante che la donna aspettava un figlio da lui.
Castle considerò quella mezza frase come una forma di scuse ma si guardò bene dal commentare.
Aprire una discussione su quell’infame lo avrebbe fatto scoppiare. Avrebbe detto cose che potevano farlo allontanare di nuovo. Rimase in silenzio annuendo col capo. Deglutì e guardò Kate.
Gates si rivolse di nuovo a lei. “Comunque mi fa piacere che abbia deciso per il corso da ufficiale. Ottimizzerà questo suo periodo di fermo…”
Beckett si sporse in avanti. “Capitano, ho intenzione di lavorare finché potrò.”
La Gates sorrise e inclinò il capo. “Lavori d’ufficio detective. Indagini, ma non ho intenzione di darle incarichi come quelli di stasera.”
Castle spalancò gli occhi sorpreso.
“Capitano, so che potrebbe sentirsi in colpa per quanto è accaduto a Lopez. Ma lei ha fatto solo il suo lavoro, cercando di fare il meglio per il distretto.”
Le parole di Beckett sorpresero il capitano più del dovuto. Forse non voleva dare a vedere il suo turbamento, ma la donna era sveglia e l’aveva già capito.
“Apprezzo la sua sincerità ed il suo appoggio, ma ho fatto un errore.” Ammise annuendo. “E ne pagherò le conseguenze.”
“Denver ha fatto un errore. Non lei, dovrà pagare lui. Non lo lasci in polizia a rendere vedove altre donne.” Castle aveva parlato con voce grave, un velo di ferocia nella voce richiamò l’attenzione delle due donne.
“Ma l’ho rimesso io in strada. Avrei dovuto intuire che era una testa calda. E ora la moglie di Lopez è sola con tre figli a carico. Non mi sento priva di rimorsi.” Commentò alzandosi. Camminò lentamente.
“Voi due però non tenetemi nascoste più notizie del genere, è chiaro?” Disse con voce ferma.
Beckett espirò. “Ha fatto quel che doveva fare signore. Gravidanza o meno io sono un detective, sono in servizio e c’era bisogno di noi quindi ora non torni sui suoi passi. Non a causa di Denver. Di lui la disciplinare farà piazza pulita ma non si accolli colpe che non ha.”
Castle annuì. Era felice che la Gates avesse preso le parti di Kate, considerando l’azione di quella sera rischiosa, ma forse la sua remora era più dovuta all’accaduto. Lopez era rimasto ucciso cercando di aiutare un compagno che non lo meritava, che nemmeno aveva avuto il decoro di guardare colui che era rimasto vittima delle sue azioni. “Beckett ha ragione capitano. Mi fa piacere che lei pensi a salvaguardare la sua salute e gliene sono grato. Ma riguardo a Denver, ha fatto quello che doveva fare per il distretto…” Disse guardandola. “Cerchi piuttosto di trovare chi ha permesso che uno squilibrato con manie di protagonismo del genere arrivasse alla omicidi…”
Victoria Gates guardò la coppia. Lo scrittore era teso e serio. Lo aveva visto poche volte così, in questi casi riusciva a vedere che dietro a quel ragazzone vanesio e un po’ infantile si nascondeva un uomo intelligente e con una profondità d’animo toccante.
“Andate a casa. Riposate. Domani vi aspetta un caso da risolvere.” Disse solo espirando. Si mise le mani sui fianchi e li guardò. “Comunque vi sono davvero grata per il vostro sostegno.”

Il tragitto alla volta di casa avvenne in silenzio. Castle si mise al volante mentre Kate si sedette senza replicare dal lato del passeggero. Se ne restò ad occhi chiusi sprofondata nel sedile. Castle aveva acceso il riscaldamento in auto per evitare che sentisse freddo. La radio borbottava in sottofondo, ma nessuno dei due vi prestò attenzione. Erano le tre passate. Era tardi e la notte newyorkese stava per finire.
Quando scesero dall’auto l’abbracciò durante tutto il tragitto fino all’ascensore. Kate si lasciò coccolare e cullare. Era ancora sottosopra a causa della nausea e di quella vista straziante. Sentiva il bisogno di stare tra le braccia di Rick, ma il suo silenzio la stava preoccupando.
“Castle…” Mormorò mentre lui estraeva dalla tasca le chiavi di casa e apriva la porta del loft.
“Che cosa ti turba?” Chiese entrando e sentendo il calore dell’appartamento con sollievo sul suo corpo. Stare a casa la fece subito rilassare.
L’uomo alzò le spalle. “Non è stata certo una bella serata. Molto lontana da quello che avrei desiderato per noi. Vedere Lopez morto così…” Le diede un bacio fugace tra i capelli e poi si diresse senza voltarsi verso la cucina. Kate strinse le labbra pensierosa.  Abbandonò giacca e borsa sul divano senza perdere Rick di vista. Era roso da qualcosa oltre ad essere probabilmente traumatizzato.
“Dovevamo farlo Castle…” Disse pensando che lui fosse anche arrabbiato per il rischio che avevano corso. I pensieri si accavallarono nella mente stanca. Lui arrivò al frigorifero.
“Lo so, non siamo stronzi come quello…” sbottò prendendo una bottiglia di latte e del cioccolato in polvere. Poi aprì un armadio è ne estrasse un sacchetto di frollini.
“Per colpa sua Lopez ha lasciato la sua famiglia da sola, tre figli Kate, tre figli! E se fosse successo a noi? Se Denver fosse finito nella nostra squadra e fosse accaduto qualcosa a uno di noi? E poi quei piccoli corpi gelati…” I suoi occhi si arrossarono e strinse la mascella appoggiando con veemenza la bottiglia di latte sul tavolo. “E per finire la Gates avrà dei guai…” Un tumulto di emozioni lo stavano mettendo in crisi. Kate si mise una mano in fronte. Poteva capirlo eccome.
“E’ un discorso che possiamo continuare a fare… per giorni e giorni. Lo sai anche tu come vanno queste cose.”
“Non credo di esserci abituato. Lopez ha avuto possibilità di scelta? Non so…” Espirò angustiato abbassando il tono.
Kate si morse un labbro. “Credo che abbia scelto ma gli è andata male purtroppo. Queste sono giornate dove è facile mettere in discussione tante cose sul lavoro da poliziotto.”
“Immagino tu ci sia passata molte altre volte. Io sono un pivellino eh?” Lei annuì soprassedendo al suo sarcasmo. Non riusciva a vedere il suo essere in qualche modo contrariato un male. Era un uomo che aveva imparato a dare valore alla propria vita quando tante volte aveva rischiato di perderla.
“Hai fame?” Chiese Castle alzando lo sguardo su di lei con apprensione. Kate negò con il capo. La nausea non era del tutto passata.
“Nemmeno un milkshake al cioccolato con biscotti?”
Kate si avvicinò a lui. Guardò i biscotti e li trovò invitanti. Annuì.
“E milkshake sia…” Disse accontentandolo. Erano entrambi un po’ troppo scossi.
Kate sospirò guardandolo. Non era stupita dal suo atteggiamento, sperava solo di non vederlo amareggiato a lungo. Era rimasto colpito dall’orrore vissuto, restava colpito più di altri dalle cattiverie. Non era l’orrore fisico in sé, a quello c’era abituato e più delle volte lo rendeva solo divertito, ma non quando si rifletteva su persone che conosceva e che erano a lui care. Per non parlare di bambini. Quello era tabù. Ammise di aver ricevuto lei stessa un brutto colpo. Era diventata sicuramente più suscettibile sull’argomento. Poi, come se non bastasse già il suo detestare Denver profondamente, ora Castle aveva una serie di ragioni in più per odiarlo.
“Comunque capisco cosa provi… E’ stato orrendo.” Aggiunse con dolcezza.
“Se non l’avesse pestato Norman l’avrei fatto io!” Sbottò di nuovo scaldando il latte nel microonde e preparando il frullatore. Lo sguardo di Kate lo fulminò.
 “Sì mi sarei messo nei guai… Ma quello stronzo… Ne sarebbe valsa la pena.” Sbuffò. Kate lo avvicinò sospettando che ci fosse altro dietro al suo sfogo.
“Quando siete rimasti soli… ti ha detto qualcosa?” Castle negò ma Kate riconobbe sul suo volto i segni tipici della menzogna. Era evasivo, non la guardava negli occhi. Non sapeva mentirgli.
“Castle?” Insistette. Lo fermò prendendolo per un braccio.
“Ha detto che ti porterà via da me. Se n’è fregato di Lopez, lì davanti a lui, morto per causa sua. Ha detto solo che non ti faceva così debole di stomaco e che non si sentiva in dovere di restituirmi il favore per averlo liberato. E ha detto che ti avrebbe portato via a me… Che stronzo!” Disse amareggiato. Deglutì armeggiando con il frullatore.
Kate inspirò profondamente. Non aveva certo immaginato un situazione del genere. Era davvero stato così carogna da pensare solo al modo di ferire di nuovo Rick. Lo aveva fatto in un momento dove qualsiasi altro uomo sano di mente avrebbe solo mantenuto un decoroso silenzio. Aveva usato la debolezza di Castle, la sua preoccupazione per lei, il cordoglio per Lopez al solo scopo di colpirlo mentre era vulnerabile.
“Ti ha solo voluto sfidare di nuovo vista la figura meschina che ha fatto con la Gates. Non devi nemmeno farti toccare dalle sue sparate.”
“Senti…” Castle si addolcì. “Non sono arrabbiato perché penso che lui possa avere anche solo lontanamente una chance…” Si scusò finendo di preparare le due porzioni di latte al cioccolato.
“Nph… sarei molto delusa se pensassi anche solo per un istante che possa piacermi.” Gli occhi di Kate rotearono come soleva fare quando lo prendeva in giro. Castle sorrise debolmente e lei sedette accanto a lui al bancone. Castle gli pose davanti la loro cena frugale. “Dai… mangia qualcosa.”
Kate si portò alla bocca un biscotto e l’appetito tornò. La stanchezza si faceva sentire, e se fino a quel momento non l’aveva ascoltata, assaggiare del cibo le risvegliò la fame con una certa brama.
“Non dovresti nemmeno pensarci Castle ok? Rimuginando sulle sue parole non fai altro che dargli credito che non merita. Non metterlo tra noi.” Sottolineò lei. Si appoggiò quindi alla sua spalla, cercando il contatto tra loro. Castle le cinse la vita e appoggiò la testa alla sua.
“Hai ragione…” sospirò abbassando lo sguardo.
“Mi chiedo solo perché qualcuno voglia interferire nella nostra vita. Chi gli dà il diritto di farlo…” Mormorò inzuppando un biscotto nel latte osservandolo con attenzione. Kate lo ascoltò attentamente.
“Abbiamo passato anni a combattere con noi stessi, con i nostri errori, con le difficoltà del nostro passato… persino tra noi…” La rabbia di Rick era rivolta a quella assurda sfida. Quel suo essere invaghito di Kate rendeva Denver pericoloso ed era uno imprevedibile. Kate capì che Rick non voleva abbassare la guardia. Forse aveva ragione. Forse dovevano guardarsi le spalle da uno così. Strinse la sua mano.
“Abbiamo fatto funzionare le cose, siamo stati bravi.” Replicò con un sorriso che lui ricambiò.
“Già. Ma è troppo chiedere di essere lasciati in pace?”
“No. Mi sembra il minimo. E poi abbiamo tante cose da fare ricordi? Tipo sistemare il loft…”
L’averglielo ricordato lo mise su di giri. “Quando avremo un attimo di tempo dobbiamo studiare qualcosa.”
Il sorriso spuntò negli occhi di Castle. Decise di buttare fuori dalla sua mente il pensiero infelice di Denver che da troppo la stava opprimendo. Voleva godersi quelle poche ore in pace.
Mangiarono il resto della loro cena godendosi la vicinanza reciproca.
Poi approfittarono di una doccia calda insieme, cullandosi tra le carezze e il contatto fisico dei loro corpi. Sotto la doccia Kate si appoggiò alla schiena ampia di Rick, fece scivolare le sue dita sui suoi muscoli tesi sentendoli sciogliere a poco a poco. Le piaceva la sua schiena. Le piaceva toccarlo. Amava farlo soprattutto da quando insieme aveva ritrovato l’equilibrio e la felicità dopo il suo rapimento. Era un rituale, quello della doccia, che facevano quando avevano bisogno di conforto reciproco e lei trovava in quel momento rilassante stare lì semplicemente appoggiata al suo uomo. Le piaceva sapere che allo stesso modo lui si sentiva bene stando semplicemente accanto a lei.
Nel box doccia, il mondo sembrava lontano, l’acqua calda li faceva sentire uniti più che mai. La pelle di Castle era segnata da cicatrici come le sua e le sue dita si spostarono dolcemente da un punto ad un altro mentre lui in silenzio si beava di quel semplice gesto pieno di dolcezza.
Si sussurrarono frasi nel silenzio della loro stanza, asciugandosi reciprocamente. Castle tornò a sorridere riempiendola di attenzioni. L’aiutò a rivestirsi con il pigiama. Si curò che il suo ventre stesse ben caldo. Sistemò la porta del bagno, tenendola aperta così che l’indomani, se Kate avesse avuto delle nausee, non incontrasse alcun ostacolo per arrivare a destinazione e portò degli asciugamani puliti sul suo comodino.
Kate rise divertita per quei piccoli accorgimenti che probabilmente gli sarebbero serviti.
Infine il letto li accolse.
“Sai, alcune volte penso che la nostra vera vita si svolga nei momenti rubati prima di andare a letto oppure al risveglio.” Castle era steso supino e guardava il soffitto restando fermo mentre lei scivolava la mano lentamente sul suo torace in una carezza ipnotica. “Alcune volte lo penso anche io.” Rispose sbadigliando.
“Allora il prossimo week-end libero scappiamo negli Hemptons. Così possiamo dire di avere una vita mondana vivace.” Castle non ricevette risposta.
Kate era crollata nel sonno velocemente, ma Castle non ci riuscì. A lungo rimase sveglio osservandola sdraiata accanto a lui nelle ore che li separava dall’alba. Accarezzò il suo ventre fasciato dalle coperte calde.
“Non smetterò di lottare per te…” disse in un sussurro accanto al suo viso disteso.
Si sistemò meglio e provò a chiudere gli occhi.
_________________________
Rieccomi. Ho solo una giornata di libertà: la domenica. Piena e fin troppo corta.
Mi sento quasi in galera.
Volevo ringraziare tutti per i bei commenti rilasciati, come sempre molto graditi. Mi scuso per non aver ancora riposto, ma il tempo è tiranno. (Notate l'ora tarda di pubblicazione!)
Grazie a tutti.
Messaggio per Reb: è vivo! e' vivo vivo... Ti voglio tanto bene!
Messaggio per Monica e Debora: Stupenda storia, bella e piena come sempre!

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Capitolo 7
*** Seguire l'istinto ***


Kate guardò sconsolata il piatto davanti a sé. Un momento prima era rilassata e distesa nel letto accanto al suo uomo e un momento dopo era in bagno a vomitare. Il solo aprire gli occhi e vedere il soffitto roteare le aveva generato una serie di conati di vomito irrefrenabili.
Ironico considerato che lei non rimetteva nemmeno dopo colossali bevute.
La porta aperta era stata davvero una bella trovata da parte di Castle, così che niente l’aveva rallentata dopo essere scivolata via dalle lenzuola. Castle era ancora sprofondato in un sonno pesante, probabilmente si era addormentato molto tardi così era rimasta sollevata dal vederlo continuare a dormire. Lui sarebbe stato piuttosto apprensivo nei suoi confronti, preferiva che si riposasse ancora per un po’ in modo che il suo malumore della sera precedente si potesse dissolvere del tutto.
Dopo aver rimesso l’anima, trovò curioso avere fame. Era una contraddizione in sé avere la nausea e avere appetito. Ma non sapeva che mangiare. Così aveva preso un semplice pezzo di pane.
Si appoggiò al bancone con il gomito e mise una mano sulla fronte cercando di allontanare la sensazione di vacuità mentale che gli stava procurando la nausea. Non sarebbe stato molto d’aiuto a risolvere il loro caso se non aveva la capacità di concentrarsi.
Espirò pensando che, come prima vera giornata di nausee mattutine da gravidanze, la cosa era abbastanza debilitante, ma poteva trovare il modo di gestire quelle sensazioni.
“Buongiorno Katherine!” Esclamò Martha proveniente dalla sua stanza. La donna era già vestita e pronta ad uscire.
“Altrettanto Martha. Come mai così mattiniera oggi?” Esclamò Kate sorridendo alla suocera.
La donna si avvicinò allargando le mani e portandole poi davanti al proprio viso muovendo le dita come a voler afferrare l’aria. “Beh… c’è un’importante provino stamattina. Si tratta di un ingaggio per un personaggio intenso, una donna che vive alla giornata e che si muove per la città carpendone luci e ombre… Una donna molto eterea e… così… esco per prendere un po’ di aria e trovare quella magia necessaria per poter entrare in questa parte come si deve. Ma tu cara? Come stai?” Chiese con un sorriso dolce. Si avvicinò a lei e le diede un bacio materno in testa.
“Insomma…” replicò Kate. La sua dolcezza era sempre un po’ disorientante.
“Nausea vero?” Kate annuì.
“Sarebbe più facile se fosse un dopo sbronza!” Disse con la sua verve civettuola. “Basterebbe buttare giù qualche analgesico e rifugiarsi in litri di caffeina…”
Kate alzò il dito. “Sorvoliamo sulla caffeina che sono in crisi di astinenza!” La donne rise.
“Allora è bene che vada prima che tu possa mordermi cara, so che per il caffè faresti carte false.” Ma in realtà Martha non si allontanò.  Accarezzò la spalla di Kate con gentilezza.
“E’ strano vero?” Aggiunse quindi perdendo il tono frivolo. “Come si sta i questi casi…” Si sedette al bancone.
“Beh, sono solo all’inizio…” replicò Kate. “Tutto sommato le nausee sono arrivate tardi. Quindi…” tentennò con il capo. “E’ ancora presto per lamentarmi.” Sorrise scuotendo il capo.
Martha allungò la mano nel portafrutta e si prese qualche acino d’uva.
“Quando avevo le nausee mangiavo sempre dei pane tostato con della senape. Mi toglieva quel sapore odioso dalla bocca.” Spiegò guardando gli acini prima ingerirli.
“Beh, ci potrei provare anche io.” Disse indicando la fetta di pane bianco semplice. “Funzionava?”
Martha scosse il capo. “Alcune volte sì, altre… Ma ogni donna è diversa. Magari a te potrebbe giovare qualcosa d’altro. Lo scoprirai un giorno alla volta.”
“Come ce l’hai fatta da sola?” Kate all’improvviso si accorse di aver rivolto alla donna una domanda forse troppo personale, la sua curiosità però era dettata dal fatto che lei avrebbe potuto appoggiarsi a Rick in tutto e senza riserve, cosa che la rincuorava molto, però, in quel momento pensare di essere sola ad affrontare tutta quella situazione gli sembrava un enorme fardello da gestire.
Martha sorrise con un velo di commozione negli occhi. “Stavo male, facevo fatica a lavorare e poi erano altri tempi tesoro… le critiche sai non sono certo mancate…” Spiegò a bassa voce.
“Ma se non avessi scelto Richard, ora non so dove sarei. E’ stato difficile, però è stato determinante per il mio futuro. So di aver fatto la cosa giusta.” Mangiò dell’altra uva lasciando decantare le parole.
“Già. Se non fosse stato così io non sarei qui ora…” Kate sorrise grata alla donna che le fece un occhiolino divertito.
“Cara, anche per te è una scelta vero?” Kate tornò ad annuire sorridendo.
“Questo rende le cose più facili?”
“No, solo più sopportabili.” Entrambe le donne risero rilassate.
“Richard dorme ancora?” Aggiunse Martha sbirciando verso la loro stanza. “Ieri sera avete tardato molto.”
Kate annuì. “E’ stata una brutta serata. Abbiamo avuto un contrattempo. E poi… un collega è rimasto vittima di uno scontro a fuoco.” Kate guardò la donna ammutolendosi. Forse non doveva raccontare quel dettaglio alla donna, Martha avrebbe avuto solo modo di preoccuparsi di più per entrambi, ma lei sembrò capire che potessero essere turbati.
“Un vostro amico?” Chiese con serietà.
“Sì. Un brav’uomo. Rick ha preso male l’accaduto soprattutto perché la sua morte è stata causata da una imprudenza di un altro collega… Qualcuno che Rick detesta in modo viscerale.” Spiegò.
Martha guardò la nuora con intensità. “Non sarà il tizio del gioco di mano…”
Kate annuì. “Oh!” Esclamò la donna portandosi una mano al petto.
“Spero che Richard non faccia altre pazzie.” Commentò mettendo poi una mano sopra quella di Kate. “Conoscendolo sarà stato piuttosto preso.”
“Infatti. L’ho lasciato dormire sperando che si svegli di un umore migliore.” Alzò le spalle e guardò anche lei verso la stanza da letto. “Oggi sarà una giornata difficile. Abbiamo anche un caso un po’ delicato. C’è di mezzo un politico…” Si passò le mani sul viso. Caso scomodo, soggetto scomodo.
“E questo infastidisce te immagino.” Replicò Martha, perspicace come sempre. Il suo sguardo amorevole la fece sentire meglio. “Infatti. Ma niente di ingestibile.”
“Cos’è ingestibile?” Mormorò Rick spuntando dalla stanza da letto quasi trascinando i piedi. Lo sguardo assonnato, la sua vestaglia buttata sulle spalle ma non chiusa e i capelli arruffati.
“Sei sicura di volerne un altro? Mi sembra che il primo bambinone da accudire sia il padre!”
Kate fece una smorfia divertita e Martha salutò il figlio. “Buongiorno kiddo.”
Castle si avvicinò alle donne e prima diede un fugace bacio in fronte a sua madre. “Mamma…” Disse con un sorriso spento. Poi si dedicò a Kate prendendola gentilmente per la vita e dandole un bacio in testa. Si soffermò qualche attimo in più premendo le labbra tra i suoi capelli.
“Già in piedi. Non ti ho sentita alzare.” Mormorò piano.
“Avevi bisogno di dormire.” Si giustificò Kate trattenendo le braccia del marito sui suoi fianchi. “E dall’aspetto che hai avresti bisogno di altre ore di sonno.”
Marta sorrise e si alzò dal suo sgabello. “Vi lascio soli, miei cari. State attenti entrambi eh?” Li ammonì prima di indietreggiare verso la porta.
“Dove va a quest’ora?” Chiese Castle stupito nel vederla uscire così presto.
“Deve entrare in una parte.” Spiego Kate divertita.
Castle sciolse l’abbraccio e la guardò in viso. Aveva gli occhi incorniciati da occhiaie scure.
“Hai avuto nausee? Come stai?” Chiese passando poi lo sguardo sul pane bianco nel piatto di Kate.
“Sto come una donna incinta. Niente di strano. Non ti preoccupare…”
“Mmmh” Mugugnò Rick. “E’ bello sapere che la prendi con filosofia. Meredith non faceva altro che lamentarsi.” Spiegò per poi andare a cercare del caffè. Si sorprese che Kate non ne avesse preparato.
“Non volevo cadere in tentazione e berne un intera caraffa… Ma un goccio lo prendo volentieri se lo fai per te.” Castle sorrise annuendo. “Siamo diligenti Beckett, sono molto orgoglioso di te.”
“Aspetta a dirlo quando sarò in crisi di astinenza.” Replicò ridendo.
Preparando la macchina del caffè, Castle studiò Kate con curiosità. “Dovrò portare con me delle armi pesanti.”
Nel vederlo spiritoso, Kate considerò che forse Castle era passato oltre le assurde parole di Denver. Non voleva nemmeno prendesse in considerazione le stronzate di quel pazzo.
“Oggi dobbiamo parlare con i Keeler ed il tuttofare Orvak?” Chiese quindi Castle cercando qualcosa da mangiare. Kate annuì.
“Ho intenzione di convocarli in ufficio.” Spiegò prendendo dell’altro pane bianco.
“Vuoi del pane con la marmellata?” Chiese a Rick e lui disse di sì. “C’è ancora quella alle fragole?”
“Finita!” Esclamò Kate.
“Albicocche?”
“Pronta!” Disse perdendola dal frigorifero. Ripensò alle parole della sera prima guardando Rick armeggiare con tazze da caffè e zucchero. Era così piacevole fare cose semplici insieme. Si era sempre definita poco casalinga nel passato, ma la sua vita con Rick era sempre stata scandita da momenti molto casalinghi. Loro erano due adorabili pantofolai certi week-end e trovò dolcissimo lo sguardo di Rick mentre lei si soffermava su quei pensieri. Quello erano loro, l’armonia dei loro movimenti, la semplicità nel condividere spazi e pensieri con quelli. Discussioni, confronti, momenti di passione e di gioco. Momenti divertenti tra loro, con la famiglia e gli amici.
“Ehi…” le disse distraendola.
“Pensavo al fatto che è bello stare così…” Indicò la cucina ed il loro menage insieme ad essa.
Rick si guardò in giro e poi sorrise. “E’ casa.” Mormorò.
Lei si avvicinò e gli diede un sonoro, schioccante bacio sulla guancia. Poi un altro ed infine lo abbracciò aprendo la bocca e fingendo di mordere la sua gota. Risero entrambi divertiti.
Castle la strinse e la baciò con dolcezza. “E’ perfetto!” Sorrise.
Kate gli rimise a posto il ciuffo di capelli ribelli, ma questi tornarono nella posizione originaria.
“Quando intendi partire per Montreal?” Chiese stando abbracciata a lui.
“Probabilmente mercoledì prossimo. Gina non ha chiamato. Ma lo farà di sicuro entro l’una.”
Lei mugugnò tenendosi stretta.
“Vuoi davvero che ci vada?” Kate annuì muovendo solo la testa.
“Ci devi andare eccome.” Castle le accarezzò la schiena.
“Solo se stai bene.” Lei lo allontanò.
“Sto bene ok? Voglio che tu ci vada, che tu sia oltraggiosamente bello e affascinante!”
“Sicura?” Lei annuì.
“Saranno tutte gelose di me perché sei solo mio...” Si pavoneggiò con il rischio che l’ego di Castle finisse per straripare. Ma non accadde.
Castle la baciò. Poi le solleticò le labbra con la lingua e lei rise ricambiando.
“Sono tutto tuo e non starò via molto…”
“Mi telefonerai cento volte al giorno per sapere come stiamo!”
“Esatto! E cercherò il nome perfetto per il nostro fagiolino.” Kate rise ed insieme a lui esorcizzò quella paura ancora radicata nei cuori di entrambi. Si accarezzarono dolcemente.
Castle espirò pensando a quanto fosse stato sciocco a turbarsi la sera prima. La stanchezza faceva vedere le cose sempre più nere, ma in realtà da due anni condivideva la vita con la sua splendida moglie, dopo anni di vicinanza. La loro armonia di coppia era peculiare, lo aveva sempre pensato. Erano riusciti ad aprirsi tra loro, a confidarsi e a essere sempre diretti ed onesti. E le cose andavano a gonfie vele. Forse la loro felicità infastidiva qualcuno, ma lui non intendeva in nessun modo fare dei passi indietro e dare possibilità a chicchessia di mettersi tra lui e l’amore della sua vita.
La risata allegra di Kate lo fece sorridere mentre tornava a spalmare di marmellata la sua fetta di pane.
“Tua madre dice che per combattere le nausee dovrei mangiare pane tostato con senape. A lei dava sollievo.” Castle strinse gli occhi. “Ora ho capito perché mi piace parecchio! Ne avrà mangiato a bizzeffe.” Strabuzzò gli occhi.
“In effetti esageri quando la metti sugli hot dogs! Letteralmente li affoghi nella senape!”
Kate sospirò. Un capogiro l’avvertì che un altro momento poco felice stava per presentarsi.
“Scusa…” Disse correndo verso il bagno. Castle l’osservò scappare via con la mano sulla bocca.
“Oh…” Esclamò posando la fetta di pane. Si pulì le mani e seguì Kate in bagno.
“Ehi, piccola…” Disse abbassandosi verso di lei e trattenendo la sua fronte sollevata con una mano.
Castle afferrò un asciugamani e glielo porse per pulirsi la bocca.
La fece alzare con cautela e poi agì sul pulsante dello sciacquone.
“Disgustoso eh…” Mormorò Kate cercando di riprendersi.
“Insomma...” Rispose e si beccò una sberla su un braccio da parte di Kate che però sorrise. Era quello il suo intento: rendere la cosa meno seria possibile.
Si lavò quindi denti e bocca mentre Rick vigilava su di lei con occhi attenti.
“Non sverrò, Castle.” Mormorò tenendo in bocca lo spazzolino.
“Mi sincero che non avvenga.” Kate si rifugiò nelle braccia del suo uomo. Non c’era nessuna vera ragione per non approfittare di quelle coccole che lui così generosamente elargiva. Era una donna incinta che desiderava tutte le attenzioni di suo marito. Stette appoggiata a lui mentre si riprendeva velocemente.
“Va meglio?” Chiese lui. Kate annuì con un sorriso spossato. Sarebbe stato difficile mantenere le energie in quel modo.
“Finiamo la colazione. Spero di poterla trattenere nello stomaco almeno fino al distretto.” Disse e Castle sorrise sornione. “Mi porto i sacchetti di carta, sai come quelli degli aerei… e dell’antiemetico.” Mentre lei si allontanava lui cominciò a mimare i gesti delle hostess.
“Ci conto!” Gli urlò lei dalla cucina. Nonostante le defiance momentanee Kate era una donna forte e decisa, ed il suo fisico aveva un’ottima capacità di ripresa. Castle la seguì a passo lento, soffermando il pensiero ancora su di lei. L’inizio di quella loro avventura di futuri genitori sembrava molto promettente. Le intemperanze dovute agli ormoni fino a quel momento non avevano influito molto sull’umore di Kate.
E poi lei lo voleva quanto lui quel bambino, se non di più, quindi sorrise pensando che qualsiasi cosa fosse accaduto, almeno fino al parto ma in quel momento le avrebbe perdonato ogni cosa, lei non lo avrebbe aggredito incolpandolo del suo stato. Osservò quindi l’orologio a muro e fece un sospiro stanco.
Era ora di ripartire.

Al distretto la mattinata era iniziata con un ritmo più blando.
Ryan ed Esposito avevano informato i due appena avevano varcato la soglia dell’ufficio che la disciplinare era già arrivata per Denver e che la situazione per lui era un po’ nera. Gongolare per quello era una magra consolazione di fronte alla morte di Lopez. Qualsiasi punizione avesse subito, Lopez non sarebbe potuto tornare indietro comunque.
La Gates era arrivata presto, per seguire tutta la trafila. Kate aveva osservato la donna muoversi nervosamente su e giù per l’ufficio. Era sicuramente sulle spine.
I ragazzi avevano già mandato a chiamare la famiglia Keeler e si erano dati da fare per rintracciare Whittaca e chiedere informazioni sui clienti che Freddy aveva frequentato la sera dell’omicidio.
Castle dal canto suo studiava la porta della sala interrogatori, dove la disciplinare stava mettendo alla graticola Denver. Sperò ardentemente che gli facessero molto male.
Kate richiese la sua attenzione. “Sii concentrato almeno tu, stamattina non sono al top e mi serve il tuo aiuto, ok?” Lui annuì.
“Sono tutto tuo.” Replicò sorridendole.
Le indagini proseguirono così in un flusso continuo di informazioni: le analisi sull’acqua dell’acquario dell’Atlantis avevano confermato che quello era il luogo del delitto. Con questa novità altri scenari possibili si facevano avanti, non certo semplificando le cose.
Kate aveva così fatto predisporre la chiusura e i sigilli al locale. Purtroppo il luogo del delitto era stato contaminato, ma ci dovevano essere tracce, videocamere erano poste sugli ingressi, se erano in funzione qualcosa si poteva vedere.
Insieme a Castle aveva fatto una ricostruzione molto vivace dell’accaduto e le ipotesi erano calzanti. Ora mancava un movente. Passionale o politico che fosse, era stato ucciso con una brutalità non comune.
Era stato tolto dalla vasca in cui lo avevano scaraventato e spostato di qualche isolato, infine abbandonato agonizzante o morto in un canale.
“Perché hanno spostato il corpo?” Chiese Ryan guardando la lavagna.
Kate si morse le labbra leggermente screpolate. “Ci possono essere più motivi.” Valutò.
“L’assassino potrebbe averlo lasciato lì e chi l’ha trovato l’ha spostato per non avere problemi.” Rispose Castle.
“Il gestore dell’Atlantis, Viera.” Aggiunse Kate.
“O uno dei suoi.” Incalzò Castle.
“Se è così addio prove dai video.” Rispose Ryan.
“Qualcuno degli operai per evitare indagini, oppure che il cantiere chiudesse…” Aggiunse Esposito raggiungendoli con un bel po’ di carte in mano. “La squadra che ci sta lavorando è parte di un’impresa che non è proprio linda. Viera non è solo il gestore di un locale, ha molti altri affari tra cui imprese di costruzioni e affini legati alla piccola malavita messicana.”
“Un ulteriore ritardo avrebbe portato ad altre perdite finanziarie per il gestore, ma non ci dà un movente, solo una plausibile motivazione per lo spostamento del corpo. Non per l’omicidio.” Valutò Kate alzandosi dalla sua postazione. Castle osservò attento i suoi movimenti, leggermente rallentati per la mattinata burrascosa.
“Il movente… Non abbiamo un vero movente.” Si voltò con le mani sui fianchi. “La chiave è la telefonata che l'ha fatto uscire dal locale.” Kate si mise una mano sul collo indolenzito. L’antiemetico stava funzionando, almeno per un po’ ma aveva sete.
Ryan annuì. “Mi sfugge anche un’altra cosa. Perché mettere qualcuno alle costole di Frederick quando potevano controllarlo in altro modo, insomma cimici e così via.” L’osservazione era curiosa ed in tema. Che il ragazzo facesse una doppia vita era evidente, ma sembrava non essere poi così preoccupato della privacy. Quindi a cosa servivano due occhi umani quando uno come Keeler poteva accedere ad un grande fratello digitale?
“Una cimice non ti trascina fuori dai guai.” Replicò Castle.
“Costa di meno che pagare uno stronzetto.” Esposito fece una smorfia.
“Potrebbe non essere importante ai fini dell'omicidio.” Replicò Kate. "Sentiremo cos'ha da dire il padre."
“Cosa abbiamo su Zed Orvak?” Chiese quindi stropicciandosi il viso e Castle aprì il fascicolo.
“Da quando è negli States si è distinto per aver servito come guardia del corpo per alcuni politici minori, per poi approdare nello staff di Keeler. Ci lavora ormai da anni. Alle sue dipendenze non ci siano eventi particolari, a parte qualche atto di crudeltà gratuito contro qualche misero individuo incappato in una situazione difficile… Ci ha messo del suo contro alcuni dimostranti…” Castle emise un fischio mostrando il viso malconcio di un ragazzo di colore.
Kate lo guardò. “I soldi di Keeler possono aver comprato silenzi per le situazioni più imbarazzanti. Ma davvero non c’è nulla? Questo ha un passato da aguzzino!” Castle scosse il capo. “Decisamente quest’uomo mi dà i brividi.” Aggiunse quindi stringendosi nelle spalle e rabbrividendo.
Kate sorrise. “Siamo sicuri abbia un padrone solo?"
“Deve essere uno molto servile…” Ryan sorrise ed Esposito gli diede un colpo sulla spalla con il fascicolo che aveva in mano.
“Ehi, bro, guarda là, non mi sembra la faccia di uno servile…”
Jefferson Keeler entrò al dodicesimo distretto con uno sguardo di velato disgusto. Dietro a lui il suo autista tuttofare Orvak, lo seguiva come se dovesse minacciare chiunque. Il viso freddo, impassibile di chi ha visto molta morte, o che forse l’aveva procurata lui stesso.
“Avete risultati? Spero ci sia una vera ragione per essere stato convocato qui!” Sbottò Keeler davanti alla Gates che usciva per accoglierlo.
Kate si incamminò verso di lui.
“Spero abbiate novità sulla scomparsa di mio figlio.” Sottolineò in un poco convincente tono di supplica. Non si addiceva a quell’uomo pieno di sé, ma Kate immaginò che dovesse quantomeno fingere di essere contrito per la perdita del figlio.
“Abbiamo qualcosa da sottoporle. Ma abbiamo anche bisogno di alcune risposte da parte vostra.” Spiegò la Gates indicando Kate.
“Il detective Beckett che è incaricata delle indagini la ragguaglierà.” Disse infine indicando una saletta privata. “Accomodatevi, sarà subito da voi.” Aggiunse quindi facendo segno a Beckett di seguirla.
Kate entrò nell’ufficio del capitano.
“Detective quell’uomo di là non mi piace affatto e gradirei non rivederlo presto. Sarà pure il padre della vittima ma sa essere molto scomodo.” La informò il capitano.
Beckett si mosse sulle gambe.
“Lo so, ma ci deve delle spiegazioni. Ha mentito sul fatto che nessuno di loro sapeva dove si trovasse il ragazzo, può nascondersi dietro al suo cane da guardia, signore, ma qualcuno in quella famiglia ne era stato informato. Inoltre i modi… bruschi con cui cercava di circuire a proprio vantaggio gli amici di Frederick non si possono certo dire legali.” Rispose Kate decisa.
“So che non si farà intimidire.” Il capitano tornò a sedersi. “Ma abbiamo già dei guai in corso…” La invitò quindi a sistemare le cose senza alzate i toni.
“Riguardo alla disciplinare non ha ancora finito l’interrogatorio di Denver, ma mi sono presa la briga di fare un po’ di ricerche al ventiseiesimo.” Disse ammorbidendo il tono.
“Ha scoperto che è un impostore?” Domandò Kate curiosa.
La Gates tentennò. “In parte sì. I riconoscimenti che compaiono nel suo stato di servizio non sono… suoi.”
La novità non stupì Kate che annuì. “Chissà perché lo immaginavo…”
La Gates giocherellò con la penna. “Per Lopez… sono stata dalla moglie. E’ stato davvero penoso.” Raccontò infine. “Avrà bisogno di parecchio aiuto. Ho mandato una nota sul suo caso alla commissione interna per il rilascio delle indennità alle vedove. Non cambierà le cose, ma non so che altro fare.” Kate ascoltò annuendo. 
“Inoltre la disciplinare vorrebbe… parlarle di ciò che è avvenuto tra voi. Insomma…” La Gates sembrava leggermente sulle spine.
“Come lo hanno saputo?”
“Quell’idiota ha detto che Castle l’aveva aggredito così è venuto fuori il discorso.” Kate si passò le mani sul volto. Quella storia davvero non ci voleva.
“Ieri sera, quando Castle lo ha liberato, Denver ha di nuovo cercato di provocarlo. Castle non ha reagito, o se ha provato a farlo Norman gli stava già dando il fatto suo. Non lo so, la sua sembra un’ossessione morbosa nei miei confronti. Castle… vuole solo proteggermi.” L’idea di dover affrontare un discorso del genere con la disciplinare gli sembrava un brutto incubo.
“Che cosa ha detto al signor Castle?” La Gates la guardò con aria pungente. Era interessata ad ogni dettaglio potesse mettere in croce quel bastardo senza cuore.
“Ha fatto dello spirito sulla mia… reazione… e poi ha asserito che sarebbe riuscito a portarmi via da lui. Ieri sera Rick era piuttosto teso, non ha voluto dirmelo subito. Il modo in cui l’ha detto lo deve aver fatto infuriare...” Kate si alzò. “L’argomento comunque che non dovrebbe nemmeno interessare la disciplinare.”
La Gates sospirò. “Mi auguro che vedano l’accaduto in modo altrettanto limpido. Potrebbe però far sorgere un altro spinoso argomento. Quello della fraternizzazione…” Kate chiuse gli occhi e tornò a sedere.
Morse le nocche nervosamente per qualche secondo. “Certo se quello comincia a vomitare stupidaggini a ruota…”
“La disciplinare sa fare il proprio lavoro. Chiarisca l’aspetto delle molestie, senza esagerare. Cerchi di non concentrare il discorso sulla reazione di Castle. Faccia in modo che capiscano che sono state attenzioni pressanti e sgradite.”
Kate annuì preoccupata. Non ci voleva quel guaio a complicare le cose. “E’ tutto?” Chiese quindi aspettando il permesso di tornare al caso.
“Vada pure. Mi dispiace detective… Ho comunque intenzione di arrivare alla verità su quel tizio. Qualcuno deve pagare per aver mandato alla omicidi uno stupido inetto con credenziali fasulle.”
“Se deve far rotolare teste, procuri che non sia la sua… e nemmeno la nostra.” La Gates sorrise.

La chiacchierata informale con Keeler si era dimostrata subito ostica. L’uomo era partito sulla difensiva davanti alle domande di Beckett riguardo alle attività di controllo del ragazzo da parte di Orvak. Keeler negava insistentemente di sapere di cosa si trattasse e Orvak si era trincerato in un silenzio di tomba. Keeler non permise nemmeno che l’uomo rispondesse alle domande fatte.
Beckett era entrata sola nella saletta, mentre Rick cercava di vedere da oltre un vetro. Considerato che i due si conoscevano, e di certo sembrava che non fossero sulla stessa lunghezza d’onda, Kate aveva deciso di evitare un intervento diretto con lui accanto, nell’intento di mitigare una eventuale ostilità. Keeler era partito in quarta sfoderando minacce di rappresaglie a base di avvocati di grido.
Prima di entrare Beckett aveva comunque chiesto di poter approfondire le informazioni riguardo alle attività finanziarie di Orvak. Castle si era dovuto adeguare e buttarsi con i ragazzi in telefonate nella ricerca di dati nonostante morisse dalla voglia di stare lì davanti a quel borioso di Keeler e metterlo sotto torchio per… beh qualsiasi cosa. Gli sarebbe comunque bastato per prendersi qualche piccola rivincita sul passato e sugli epiteti con cui l’aveva apostrofato.
Beckett si era irrigidita davanti alla scarsa collaborazione.
“Non sto formulando alcuna accusa. Vogliamo conoscere la ragione per cui avete omesso di farci sapere che il vostro autista era a conoscenza della posizione di vostro figlio la sera dell’omicidio.” Insistette Kate indicando Orvak. “E non sto ancora mettendo i puntini sulle i andando a indagare sui modi… da vecchio west con cui minacciavate i ragazzi di Frederick.” Con la battuta andò a puntare i suoi occhi verdi sull’uomo che non si scompose.
La frustrazione di Keeler ribolliva dietro il suo sorrisetto borioso da intoccabile. Il guizzo della mascella denotava nervosismo e il suo storcere il naso non aiutava a renderlo più simpatico.
“Ah…” Sbottò ad un certo punto Keeler. “Ho capito ora chi è lei…” Disse indicandola con un sorriso beffardo.
“Lei ha sposato quello scrittore, come si chiama? Castle?”
Kate sbuffò scuotendo il capo.
“Castle sarà lusingato nel sapere che si ricorda di lui.” Il sarcasmo gli uscì beffardo. “Ma l’argomento non è pertinente al caso signor Keeler. Questo suo tergiversare non sta spostando l’ago della bilancia in suo favore.” Disse quindi camminando lentamente per la stanza.
“Collaborare potrebbe aiutarci ad arrivare alla verità.”
“Le sue accuse sono infondate.” Sbottò Keeler. “Non le darò certo corda e avrà notizie dai miei legali.”
Beckett annuì.
“Bene, faccia come creda. Ho un testimone e una serie di movimenti bancari che provano che una delle sue finanziarie ha pagato Robert Randall per inviare notizie al presente signor Orvak. Ho un intero archivio di messaggi. Ho anche un testimone che è stato minacciato, armi alla mano, perché facesse la stessa cosa.” Buttò sul tavolo i documenti. Sul secondo uomo giocò d’azzardo, Saul Porter non avrebbe fatto da testimone diretto contro Keeler, sapeva di non poterci contare.
“Non potrà sempre negare l’evidenza. Se non ci aiuta a chiarire… come mai il suo autista teneva così tanto a conoscere gli spostamenti di Frederick... Al procuratore distrettuale mostrerò tutto questo.”
Keeler strinse gli occhi raccogliendo i fascicoli. Guardò con attenzione i dati bancari e il suo viso si incupì. Mosse la bocca come a voler dire qualcosa.
Kate provò a insistere guardando Orvak. “Ha visto Frederick vivo la sera dell’omicidio? Lo ha seguito al Suprema?” Orvak non mosse un muscolo. Keeler gli fece un cenno di assenso e lui annuì.
“Robert mi ha mandato un messaggio. Me ne sono sincerato.” Rispose con una voce cavernosa e un ostentato accento dell’est.
“E poi che cosa è successo?” Incalzò Kate.
“Ho visto che stava allo show, me ne sono andato. Non era la prima volta.”
“Frederick… lui adorava quei posti…” Keeler sembrò calmarsi assumendo però un’espressione di disgusto. “Non poteva essere un ragazzo come gli altri? Andare alla partita di baseball o a ballare con le ragazze?" Nell’essere così pieno di sé giudicare per Keeler era l’ultimo dei problemi.
“Quindi non sì è fermato ad aspettare che uscisse.”
L’uomo negò muovendo la testa con lentezza. “Dopo gli spettacoli restava al locale di solito. Rientrava verso le tre o le quattro. Robert mi informava del suo rientro.”
“L’altra sera però non l’ha fatto. Non le è sembrato strano?”
“No. Poteva capitare.” Orvak guardò Kate con i suoi occhi cinerei e glaciali. L’uomo sembrava non provare ne disprezzo, ne pena. Niente traspariva dal suo volto, solo indifferenza.
Kate si rivolse a Keeler. “Sappiamo che ha ricevuto una telefonata. E’ uscito alle 12 e mezza circa dal locale. Qualcuno lo stava aspettando perché non aveva la propria auto, era uscito in taxi e non ha pagato altre corse quella notte.” L’uomo ascoltò senza pronunciarsi.
“Avete una vaga idea di chi lo posso aver chiamato a quell’ora?” Gli uomini negarono entrambi.
Kate sedette davanti a loro.
“Qual è il motivo di questo controllo? C’erano ragioni per dubitare della sua incolumità?” L’idea che si erano fatti di lui era abbastanza realistica, ma Beckett decise che qualcosa andava approfondito.
“Il ragazzo era molto ingenuo…” Keeler parlò con voce grave, quasi distante.
"Cosa intende dire?"
"Era uno sciocco manipolabile." Sbottò il padre. "Un credulone." Aggiunse.
"Si trovava in difficoltà? Era in pericolo?" Incalzò Kate. Non riusciva a capire perchè non riuscisse a farsi dire un semplice sì o no.
Keeler scosse il capo. "No, era un metodo preventivo. Sapevo che sarebbe finito nei guai frequentando quei posti."
La situazione era di per sè difficile, ma Keeler non si sbottonava. "Che rischi stava correndo?"
"Nessuno! Erano solo postacci. Gentaglia squallida che lo avrebbe portato alla rovina. Così è stato."
“Aveva un amico tra i gestori, il signor Whittaca. Era intenzionato ad aiutarlo a diventare qualcuno nell'avanspettacolo."
"Oh, quell'omuncolo viscido. Mi da il voltastomaco." Replicò Keeler. "Lo avrebbe portato lontano ma gliel'ho impedito."
Kate lo incalzò. "Come?" Keeler replicò con un'occhiata di sfida.
"Suo figlio era ormai adulto, aveva scelto la propria vita, non avrebbe potuto controllarlo per sempre.” Rispose Kate.
“Adulto? Lei ha figli detective?” Le parole uscirono pungenti dalla sua bocca, dopo aver fatto una smorfia.
Kate negò. Non ancora almeno.
“Minacciare i suoi amici per farsi rivelare informazioni su di lui, la violazione completa della sua privacy, non è proprio da tutti i padri, ne converrà…”
L’uomo sbottò guardandola con aria di sufficienza.
“Suo marito non le ha detto chi sono io?” Le parole uscirono con un certo disprezzo e Kate strinse le labbra e sorrise. “Mio marito mi ha parlato di lei, sì. Sappiamo che lei è un conservatore e che basa la sua campagna elettorale su certi principi. Mio marito, che vuole far entrare a forza in questo discorso, ha suggerito che lei avrebbe potuto anche essere implicato, magari indirettamente, nella scomparsa di suo figlio. Il tutto pur di non perdere la faccia in politica. Per non perdere la sua percentuale di elettori. Sbaglia?” La provocazione andò dritta al sodo.
Keeler si alzò deciso. “Queste sono insinuazioni per scribacchini da quattro soldi. Se la polizia di New York ha bisogno di un tizio del genere per andare avanti capisco che la gestione dell’amministrazione attuale è fallimentare…”
“Ha colto nel segno? Perché nessuno qui ha idea del perché un ragazzo come suo figlio sia stato ammazzato con tanta ferocia. Nessuno sembra conoscerlo veramente e se voi controllavate i suoi spostamenti siete gli unici, forse oltre all’assassino, a sapere cosa è successo quella sera. Potreste essere in pochi a sapere se aveva nemici e chi fossero.”
“Di cosa mi sta accusando detective?”
“Di fare ostruzione ad una indagine di polizia. Omissione volontaria di informazioni? Un po’ di piccole cose per un uomo che dice di amare davvero suo figlio e volere giustizia per lui.”  Ecco, i toni morbidi che aveva suggerito la Gates erano finiti nel cesso definitivamente. Kate sostenne lo sguardo di Keeler con aria di sfida.
“Mi farò vivo quanto prima attraverso i miei legali.” Replicò stizzito facendo un cenno al suo autista che non sembrava in nessun modo preoccupato, ma non aveva dato nessuna informazione aggiuntiva. Era tutto tempo perso.
“Lei può andare signor Keeler, ma il signor Orvak ci deve delle risposte.” Disse invitando l’autista a restare.
Keeler negò. “Vi ha risposto. Per lui valgono le stesse ragioni per cui me ne vado io.”
Kate espirò. Non poteva fare nulla per fermarlo, doveva aspettare il mandato almeno per Orvak. Ma detestava l’idea che si trincerasse dietro ad una mossa legale, anche se lo aveva previsto.
“E’ per suo figlio che stiamo cercando di fare giustizia. Non lo scordi.” Aggiunse Kate guardandolo uscire con la stessa boria dell’arrivo.
Attese un attimo prima di abbandonare la saletta. Castle si mosse per andare da lei e incrociò il politico volutamente. Lo osservò con attenzione dandogli solo un cenno del capo che l’altro non ricambiò sorpassandolo senza scomporsi.
“Ma guarda tu che cortesia…” Sbottò Castle muovendosi verso Kate.
“Si ricorda di te Castle. Tranquillo.” Kate sorrise al marito che sembrava aver messo su il suo broncio di delusione.
“Davvero?” Chiese ringalluzzito. “E che ti ha detto?”
“Che la polizia è messa male se ha bisogno di uno scribacchino come te per andare avanti.” Ripose diretta lei.
“Canaglia di un venditore di fumo…” Castle sbuffo accennando un gesto minaccioso. “Quando lo metteremo con il culo a terra allora sì che riderò.”
“Castle…” lo richiamò lei pensosa. “Sta nascondendo qualcosa.” Indicò con il mento la direzione in cui Keeler se ne stava andando. “Non ha detto come ha bloccato Frederick,  ma non è difficile da immaginare che avesse minacciato di congelare i suoi fondi. Non è stato molto collaborativo.” Kate imprecò sentendosi nervosa.
“Atteggiamento sospetto!” Castle gonfiò le guance sbuffando. “Credi che lo troviamo un procuratore o giudice ci darà un mandato per far controllare un tipo così…”
Non c’era bisogno di risposte. Sapevano che era impossibile nelle loro condizioni.
“Sta prendendo tempo! Credo che abbiamo del marcio qui. E puzza peggio di quel dannato corridoio di ieri.” Esposito li aveva raggiunti. “Il nostro amico Zed non deve essersi redento...”
Castle sorrise divertito. “Dimmi che hai trovato qualche schifezza politica, dimmi che hai scoperto una di quelle cosacce che ci piace tanto smontare!”
Esposito lo guardò quasi con compassione. “Il signorino guadagna più di quel che dice. In certo casi riesco ad amare anche gli esattori delle tasse…” Sventolò una richiesta di integrazione per controlli fiscali. “Ha comprato un 12 metri che lascia ormeggiato al Marina Yatch negli Hemptons. L’hai mai incontrato Castle?”
L’uomo scosse il capo. “Non amo molto la navigazione. Però quel posto non è alla portata di un autista…”
“Dobbiamo scoprire se è sulla busta paga di qualcun altro.” Mormorò Kate. "Tutte quelle farneticazioni sulla sua rovina, la gentaglia e così via sono solo una scusa." Esposito e Castle fissarono Kate e quest’ultimo sorride divertito spalancando gli occhi.
“Keeler potrebbe non essere implicato, ma la sua campagna elettorale sì…” Prese a dire lo scrittore comprendendo i pensieri di lei e seguendola con attenzione.
Kate si mosse andando verso il loro ufficio. “Chi sarebbe più danneggiato oltre a Keeler da un crollo dei consensi al suo partito? Qualcuno che ci sta mettendo molti fondi, molto impegno...”
“Howard Bass. Il suo secondo, chiamiamolo così.” Castle sembrava molto informato in merito. Alzò le spalle trattenendo le mani nelle tasche dei jeans. “Altro squalo in lizza contro l’attuale amministrazione.”
“Seguite la pista delle conoscenze personali, andate a interrogare gli amici del club. Voglio sapere perché è uscito da quel locale così all’improvviso. Voglio trovare un video che ci dica dove è finito, dove l'ha lasciato il taxi. Voglio che parliatee con il taxista il prima pèossibile, perché ho sempre più la netta sensazione che gli sia stata tesa una trappola.” Ordinò Kate a Esposito.
“Noi approfondiamo le ricerche su Orvak e sui suoi affari.” Kate si mosse verso la lavagna.
“Oh, oh! Sensazione! Tu che hai sensazioni, che segui l'istinto e non ti attieni rigorosamente alle prove?” Gongolò Castle divertito. "La maternità ti fa strani scherzi?" Kate roteò gli occhi esasperata.
“Oppure adori Keeler quanto lo adoro io?”
Kate sbuffò. “Dopo averlo conosciuto anche di più.” Disse stringendo poi i denti. “Non abbiamo alcuna prova concreta, Castle. Forse ce la porterà la scientifica dall’Atlantis.”
Guardò la lavagna su cui avevano solo spostato le fotografie ma mancava sempre il movente. Sospetti vaghi e nessun movente.
“Se Bass volesse fare le scarpe al suo capolista, quale miglior modo di farlo creando uno scandalo a doc.” Pensò ad alta voce Castle.
Kate si voltò. “Perché arrivare ad ucciderlo, bastava del gossip ben piazzato su una testata giornalistica di grido. Guarda cosa è successo a noi, siamo diventati Achab e la balena bianca in una notte e questo epiteto non se ne andrà mai!”
“Ma noi siamo adorabili, tesoro!” Esclamò Castle. “In quella foto poi tu eri da urlo, ricordalo!” Kate rise.
Castle strinse le labbra soddisfatto. “Keeler ha delle connivenze nella stampa, credo che abbia azioni di più testate newyorkesi, tra cui il Post.”
Kate si passò la mano sul viso dagli occhi cerchiati di scuro.
“Ehi, tutto ok?” Castle le sorrise dolcemente.
“Calo di zuccheri… Posso avere almeno un cappuccino? L’antiemetico sembra funzionare decentemente…” Lui sorrise annuendo. Si avviarono verso la saletta relax. L’odore del caffè rinvigorì Kate che inspirò quel profumo con piacere, ma restando sempre un po’ tesa. Non era il caso in sé a incupirla, lo era diventata dopo la sua chiacchierata con il capitano.
“Cosa ti ha detto prima la Gates?” Approfondì Castle e Kate espirò cercando le parole.
“La disciplinare vuole parlarmi. Denver ha spifferato tutto riguardo a quanto successo settimana l’altra.”
“Cosa?” Castle scosse il capo facendo roteare gli occhi. “Ma non si può mai stare tranquilli con quello intorno!” Gesticolò nervoso.
Kate gli di lanciò un’occhiata di fuoco.
“La Gates vorrebbe che si evitasse di affrontare un discorso sulla fraternizzazione.”
Castle finì di preparare il cappuccino e lo diede alla moglie.
“Non sono un poliziotto Kate, non possono applicare questa regola a me.”
“Ma sei un consulente da anni. Potrebbero dover prendere una decisione formale.”
Castle annuì. “Trovano un modo burocratico per farmi restare legalmente oppure per cacciarmi, sempre legalmente.”
“Già!” Kate soffiò sul liquido bollente.
“Ma io ho dato anni di preziosa collaborazione a questo distretto di mia spontanea volontà. Devono poter tenere conto dei risultati.” Disse agitato. L’idea di non poterle stare più accanto andava bene in virtù della nascita del loro piccolo, ma a priori non gradiva certo doverci rinunciare per sempre.
“So bene che quando nascerà nostro figlio dovrò occuparmi di lui quanto rientrerai al lavoro, però vorrei ancora partecipare alle indagini quando lo potrò fare.” Piagnucolò deluso.
Kate appoggiò la tazza sul ripiano della macchina del caffè e cinse il collo di suo marito con le braccia.
“Farò il possibile, Castle.” Posò la fronte alla sua. Lui la strinse. “Lo so, piccola.”
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Rieccomi con un capitolo un po' di transizione. Tanta carne al fuoco per i nostri. Non sono giornate semplici.
Grazie a tutti per la pazienza. Questo week end mi ha dato tempo per leggere, commentare e ringraziare. Ma devo ancora leggere molto!
Un abbraccio a tutti.
Anna
 

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Capitolo 8
*** Parlare d'amore ***


Una sola luce accesa in cucina illuminava la stanza semibuia. L’altra fonte di luce era la fiamma gentile del caminetto. Era stata l’ennesima serata lunga ed impegnativa.
Qualche anno prima avrebbe gioito di un caso così complicato, dello stare fino a notte fonda al distretto per stanare l’assassino. Per molti versi era ancora eccitante la caccia, ma alla lunga toglieva qualcosa alla loro vita insieme. Castle divenne ancora più consapevole del cambiamento radicale che chiedeva lo stato delle cose. La preoccupazione per lei e per il bambino rendevano meno sfavillante quel mondo ai suoi occhi.
Castle osservava Kate, sdraiata sul divano del soggiorno. Era entrata in casa e si era stesa li. Le forze prosciugate, il suo silenzio sintomo che era arrivata al limite. Castle l’aveva lasciata fare e lei si era giusto tolta le scarpe e aveva buttato giacca e borsa sul divano prima di sprofondarcisi. Aveva chiuso gli occhi con una espressione dolorante e si era addormentata. Avrebbe dovuto prenderla in braccio e portarla a letto, ma stava dormendo così profondamente che Castle non ebbe cuore di svegliarla. Le aveva messo una coperta addosso, spostandole solo la testa in modo che stesse più comoda. E poi l’aveva guardata dormire seduto al bancone della cucina. Rimuginò sull’accaduto di quella giornata.
Erano arrivati al dunque con Denver. Lui era stato mandato da qualcuno che non amava i risultati del capitano Gates per dare fastidio. Il discorso che Kate aveva avuto con il capitano era stato illuminante.
Kate poi aveva discusso molto seriamente con il capitano in merito alle scelte su come muoversi con il caso Keeler. Era una patata bollente che poteva rivelarsi un’altra bomba politica. Purtroppo le indagini avevano portato a scoprire che Frederick aveva contattato Bass nelle ultime due settimane. Aveva chiamato il suo ufficio e il cellulare privato. Freddy aveva fatto il passo più lungo della gamba cercando di ricattare il politico per poter avere la liquidità necessaria a sparire da quella città.
Dopo lungo lavoro, una quantità smodata di filmati visionati e un'interessante chiacchierata col taxista che aveva raccolto Frederick all'uscita del Suprema, la targa della macchina scura era stata trovata e il risultato era piuttosto interessante. La berlina aveva raccolto Frederick dopo che il taxista l'aveva fatto scendere all'incrocio tra la decima est e Zzold Plaza, un posto tutt'altro che rincuorante. Il taxista aveva preso tempo prima di ripartire, preoccupandosi per una manciata in più di secondi dall'aver lasciato un cliente in un posto davvero schifoso nel cuore della notte newyorkese. Con molta probabilità, chiunque fosse l'autista di quella maledetta macchina, aveva visto Frederick Keeler vivo per l'ultima volta. Nessun video purtroppo era venuto loro in aiuto a sostegno delle parole del taxista, ma non c'erano ragioni per dubitare della sua testimonianza. La berlina apparteneva ad un vecchio amico di Zed Orvak, venuto anche lui dell’est in cerca di fortuna, Dimitri Molnhar, di origini ungheresi.
Non sapevano molto sul suo contro. Dovevano trovarlo e interrogarlo. La connivenza quindi tra i due individui poteva essere più diretta, Orvak poteva aver informato Molhnar della posizione di Freddy. Il resto lo poteva aver portato avanti anche da sé. Dovevano trovare e analizzare l’auto alla ricerca del dna del ragazzo. Restava sempre l’incognita del trasporto fino al canale della centrale. Ma su questo avevano deciso di battere la pista del cantiere. Qualcuno aveva trovato Freddy morto e aveva spostato il cadavere per non avere problemi.
Nella ricostruzione che avevano fatto questa ipotesi era l’unica ad avere un senso.
La piccola e fragile Judith era stata aiutata e protetta. Nessuno avrebbe saputo della sua rivelazione perché Beckett aveva ottenuto dal capitano Gates il benestare per lasciare il suo nome fuori dalle indagini.
Il capitano Gates era una donna molto acuta. Memore di quanto era successo a Kate durante le ultime fasi della loro guerra a Bracken, non aveva avuto remore ad acconsentire alle richieste della sua miglior detective.
La pista era aperta. Dovevano accumulare prove certe per muovere accuse fondate, Judith era stata di fondamentale importanza ma non poteva rischiare.
Alla fine di quella lunga giornata la Gates era stata umana e aveva permesso a tutti qualche ora di riposo.
Meno felice invece era stato il suo colloquio con l’agente Brady, che aveva un po’ furbescamente cercato di incontrare a porte chiuse. Le sue poche battute con l’uomo erano state cordiali, ma era chiaro che lui non voleva in alcun modo svelare i suoi pensieri ed il suo incarico sembrava non essere ancora terminato. Però riuscì a percepire la sua comprensione. Gli aveva solo gentilmente chiesto di stare al suo posto, che quell’indagine di polizia interna non lo riguardava da vicino.
Ma allora perché Kate aveva detto quelle cose sullo stare a casa a badare al loro piccolo…
Certo che era pronto a lasciare il distretto per il loro fagiolino, ma perché Kate ne era così preoccupata?
Espirò guardandosi intorno. L’appartamento era in ordine e a lui sembrò di non esserci stato per giorni e non solo ore. Osservò la grossa cesta di vestiti puliti e biancheria che la loro colf aveva preparato accanto alla camera da letto. Doveva sistemare il tutto nell’armadio. Svuotare il cesto di quella sporca e portarlo in lavanderia. Si alzò e cercò di sbrigare quella semplice faccenda in modo più silenzioso possibile. Si diresse verso la cabina armadio e accese le luci. Mise a posto tutto il bucato smistandolo nei vari scomparti e poi tornò con la cesta piena di panni sporchi verso la cucina. Kate dormiva ancora con il viso corrucciato.
Le aveva chiesto di poter parlare di loro nell’intimità della loro casa, ma era crollata. Si avvicinò e le diede una carezza leggera tra i capelli. Si sentiva stanco, gli bruciavano gli occhi dal sonno, eppure una parte di lui l’avrebbe voluta tenere stretta a sé per tutta la notte parlando a bassa voce delle idee e delle speranze per il loro futuro, gestire in due tutte le loro insorgenti insicurezze.
Si ricordò di non aver chiamato Gina. Si mosse verso l’ufficio e prese il proprio pad per leggere la sua posta.
C’era una mail di Gina, come aveva immaginato. Era un cronoprogramma per la fiera del libro di Montreal.
Lo lesse velocemente senza risponderle. Da mercoledì a sabato mattina. Incontri, orari, persone.
Efficiente freddezza, ecco cosa traspariva da quella mail. Cosa che al momento non riusciva a percepire come un fattore positivo, solo un fastidio di fondo. Significava allontanarsi per tre giorni da Kate, andare in un’altra
città e raccontare storie come lui sapeva fare. Un altro viaggio senza di lei. Non gli piaceva l’idea. Continuava a non piacergli ma si sforzava di andare oltre la fragilità emotiva che ancora provava a tratti, soprattutto quando si sentiva vulnerabile come in quel momento.
Sedette sul divano con lentezza e delicatezza per non svegliarla. La guardò dormire.
L’amava così tanto. Sospirò con il cuore ricolmo di una sensazione di pace nel vederla così tranquilla.
I pensieri grigi dovevano sparire. Non c’era più motivo di essere tesi. Erano a casa, stavano entrambi bene e non sarebbe accaduto nulla di male. Quei leggeri stati di panico ogni tanto comparivano ed erano veramente fastidiosi da gestire.
Forse Kate aveva ragione, avevano bisogno di parlarne un po’. I cambiamenti che si prospettavano all’orizzonte li avrebbero messi nuovamente alla prova e lui non voleva trovarsi impreparato.
Si massaggiò il fianco e sorrise dolcemente alla sua donna, osservando le sue labbra muoversi lentamente nel sonno. Sembrava mormorasse qualcosa, magari una frase in un sogno.
Il loro bambino poteva avere la stessa espressione nel dormire. Immaginò un bambino di pochi mesi, accoccolato tra le sue braccia. Il visino appoggiato al suo petto mentre dorme e fa piccole smorfiette con la bocca ed il naso. Era un’ottima ragione per accettare di perdere sonno, anche se confidava nei suoi geni di uomo pigro. Sapeva di esserlo, di essere un uomo che aveva sempre preferito gli agi e la comodità ad avventure vere, almeno fino a che non si era buttato a seguire Kate. Con lei aveva messo da parte la sua difficoltà mattutina ad alzarsi dal letto.
Se il piccolo avesse preso l’iperattività di Kate? Oh quello sì che sarebbe stato un bel guaio!
La chiave girò nella serratura distraendolo da suoi pensieri così vividi e osservò sua madre entrare lentamente per non far rumore. Castle la salutò con un sussurro e Martha si bloccò osservando la situazione.
“Sta poco bene tesoro?” Chiese preoccupata, vedendo la nuora addormentata sul divano.
“E’ soltanto molto stanca.” Replicò Castle a bassa voce. La donna lo raggiunse e lo abbracciò. “Sei stanco anche tu, hai una faccia…” Lui sorrise divertito. “Grazie mamma.”
“Non dovresti lasciarla dormire così sul divano, le farà male la schiena, kiddo.” Lo riprese dolcemente Martha. Lui annuì consapevole della cosa. “Ora la porto a letto. Tu come stai?” Martha sorrise.
“Ho molto da fare, mi sento vivace e… ho ottenuto la parte!” Alzò le mani in un gesti trionfale e Castle le sorrise divertito. “Sei sempre al Top!” le disse facendole l’occhiolino, ma regalandole uno sguardo pieno di orgoglio. Abbracciò di nuovo suo madre. “Andrai alla grande mamma.” La sostenne.
“E voi?” Castle intuì che quella domanda non si riferiva solo al momento in sé, ma alla situazione in generale.
“L’ho vista un po’ scossa stamane. Però non ti preoccupare, vedrai, anche lei come tutte le donne saprà gestire questi momenti.” Rispose Martha con calore.
Castle sorrise, grato delle sue parole. “Sai, con lei voglio fare le cose in modo diverso…”
Martha sì era diretta al bancone della cucina cercando una bottiglia di vino già aperta. Si versò due dita di rosso. “Non ho dubbi. Katherine non è Meredith, tesoro…” Osservò con uno sguardo di ovvietà.
Certo sua madre aveva ragione, ma non era solo la volontà di avere un bambino a fare la differenza, c’era anche la voglia di fare di più. Se lo poteva permettere più che allora.
“Voglio fare dei cambiamenti in casa, mamma. Creare spazi per il bambino e per Kate. Creare una vita nuova.” Martha sorrise compiaciuta. “Mi sembra un’ottima idea caro.” Si guardò attorno.
“Intendi avvalerti di un professionista?”
Castle annuì. “Non voglio rinunciare ad alcune cose che abbiamo. Anche Kate è d’accordo. Ma c’è bisogno di trovare spazi senza perdere luce e vivibilità. Voglio che rimangano gli spazi per voi, la stanza di Alexis non deve cambiare. Ma Kate avrà bisogno di un ufficio oltre al fatto che il piccolo ha bisogno di una cameretta e… Beh…” Allargò le mani verso la zona notte. “L’unica possibilità era la saletta cinema al mezzanino, ma Kate non vuole rinunciare a quello spazio in cui rilassarci tutti insieme, in famiglia o con gli amici. Non so…”
Martha lo ascoltò con attenzione.
“Non prenderò queste decisioni da solo.” Mormorò avvicinandosi alla madre.
Martha passò una mano sulla spalla del figlio. Scosse il capo sorridendo. “Lo so tesoro. Lei ci sarà. Ne sono certa.”
“E poi occuparci del piccolo insieme. Una cosa che mi è mancata… quando è nata Alexis… è stato il condividere i momenti belli e quelli difficili. Occuparci di lui quando ha fame, ma anche quando non starà bene e piangerà. E ci farà ammattire pensando a cosa potrà avere. Kate non se ne tornerà a dormire lasciandomi solo ad impazzire perché poi a lei vengono le occhiaie…”
Martha sorrise annuendo.
In quel momento Kate si mosse. Si girò sulla schiena e allungò i piedi che andarono a toccare il bordo del divano. Si spinse indietro e trovò un cuscino. Si rigirò sulla schiena fino ad aprire lentamente gli occhi stanchi.
Prestò attenzione ai rumori ma non riuscì a tenere gli occhi aperti. Le palpebre le sembravano pesantissime.
Ascoltò Castle parlare con voce bassa e con un velo di enfasi che conosceva bene. Non capì cosa stesse dicendo ma il tono era rassicurante così si assopì nuovamente. Quando si risvegliò, pochi minuti dopo, si fece forza e aprì gli occhi. Cercò con lo sguardo attorno a sé finendo col vedere Castle e Martha osservarla con dolcezza.
“Da quanto tempo sono qui?” Chiese con la bocca ancora impastata dal sonno.
“Più o meno un’ora.” Rispose Castle raggiungendola e aiutandola a raddrizzarsi. “Sei crollata appena messo piede in casa.” Aggiunse.
“E dovresti andartene a letto senza indugi. Dormire sul divano non è certo un toccasana per la schiena, bambina!” Esclamò Martha con un sorriso.
Kate mosse le spalle e fece una smorfia. “Eh sì…”
Si sollevò lentamente con un braccio e poi si appoggiò a Castle con un sorriso.
“Allora come è andato il provino Martha?” Chiese incuriosita dall’ora tarda e vedendo la donna su di giri.
Martha si abbassò e mostrò i pollici all’insù. “Ho avuto la parte!” Rispose allegra. “Sarò questa donna speciale, evanescente. Una clochard di classe e con una visione del mondo tutta sua.”
“Grande!” Replicò Kate mettendoci tutta la verve che vi riuscì. Sua suocera era sempre una buona fonte di ottimismo. Era gioviale e sapeva godersi la vita.
“Domani sarà una grande giornata e dovrò iniziare le prove. Un sonno ristoratore mi aspetta. E aspetta anche voi cari.” Li indicò prima di abbassarsi verso di lei e accarezzare il viso della nuora ancora seduta sul divano accanto a Castle.
“Notte Martha.” La salutò mentre Castle le sorrideva gentilmente. “Buonanotte mamma.”  Aggiunse lui.
Kate sprofondò di nuovo nel divano giocherellando con i bottoni della camicia di Castle.
“Sarà bene che andiamo a letto anche noi…” Disse chiudendo gli occhi e respirando a fondo sentendo le dita di lei muoversi sul suo torace.
“Restiamo ancora un po’, hai acceso il caminetto...” Indicò la fiamma che riscaldava l’ambiente.
“Cadiamo a pezzi dal sonno…” Aggiunse Castle espirando e lasciando cadere la testa all’indietro.
Kate si morse le labbra e si passò una mano tra i capelli spettinati.
“Vuoi parlare?” Castle si sistemò meglio e tirò Kate a sé.
“Se andiamo a letto poi ci addormentiamo subito.” Non voleva dormire, voleva parlargli di cosa provava e che fossero gli ormoni o lei stessa, voleva poter esternare quei pensieri.
“Beh…” Castle annuì comprensivo.
Si mise su un fianco e lasciò che le gambe di lei scavalcassero le sue. “Sono giorni che non riusciamo a parlare un po’… questo caso ti sta turbando molto.”
“Non voglio parlare del caso. Sì, mi irrita e mi ricorda il passato, ma non voglio parlare del caso.” Kate si mosse appoggiandosi al torace di Castle lasciando lui nel totale sgomento. Si stropicciò gli occhi stanchi. Strinse le labbra assumendo un’espressione corrucciata e un po’ infantile. Appoggiò la testa al petto di Castle e mugugnò una frase incomprensibile. Alzò la testa e trovò gli occhi curiosi di suo marito.
“Posso essere solo tua moglie per qualche minuto?”  Chiese con uno sguardo stanco ma carico di una dolcezza che fece fare una capriola inattesa al cuore di Castle.
“Sempre piccola…” Rispose al suo sguardo con altrettanta tenerezza.
“Cosa ti preoccupa? Quel discorso di oggi sul fatto di essere in due a crescere il nostro bambino. Che cosa è successo stamattina con Brady?”
“Ho avuto l’impressione che non fosse lì per l’indagine su Denver. Quando gliel’ho fatto notare ha ammesso che non era quello l’obbiettivo. Comunque vadano le cose… Rick… non desidero che tu possa sentirti escluso.” Mormorò parlando a bassa voce.
Castle si umettò le labbra un po’ sorpreso.
“Vogliono proprio mandarmi via? Sai se scelgo io di andarmene è una cosa, ma essere cacciato… beh il mio amor proprio ha qualcosa da dire in proposito.” Kate rise.
“Lo immagino.” Esclamò con uno sbuffo. “E’ solo un’ipotesi dopotutto ma…”
Kate giocherellò con in bottoni della camicia di Castle. Ne slacciò un paio e si prese qualche minuto per accarezzare la sua pelle calda.
Kate buttò fuori una frase del tutto inattesa. “Ci sono volte in cui è difficile essere neutri. Insomma… non amo dover sempre fingere che quello che ti accade non mi tocca da vicino perché così vuole il protocollo.”
“Kate…” mormorò Castle turbato.
“Tu sei mio marito, pretendono che io non ti difenda? Che io non sia preoccupata per te? Nel caso contro Denver tu avevi ragione. Hai agito nel modo sbagliato, ma avevi ragione. Ed io, per evitare l’accusa di fraternizzazione devo sempre mediare ciò che provo. Non intendo mentire, oppure andare contro le regole. Ma per dio… sei mio marito…” Si alzò a sedere.
Castle incrociò lo sguardo di Kate.
“Hai dato molto al distretto.” Disse posando una mano sulla bocca di lui, prima che il suo ego andasse oltre. Ma Castle non ribadì nulla né tentò di farlo. La stava guardando seriamente. Preoccupato forse.
“Lo ammetto, sai essere rumoroso, a volte imbarazzante, logorroico…”
“Oh, grazie!” Replicò debolmente.
“Lasciami finire!” Aggiunse Kate con impeto.
“Sei anche geniale per molti versi, sei attento ai dettagli, curioso e sai andare a fondo nelle cose. Sei… un bravo detective.” Kate sorrise mesta accarezzando la sua spalla con un gesto lento. Scese con la mano lungo il braccio fino ad afferrare la mano sinistra Rick. La strinse e passò il polpastrello sulla fede che aveva all’anulare. Castle attese in silenzio.
“Hai fatto molto in questi otto anni, ma in certi ambiti il tuo aiuto non se lo ricorda nessuno. Appena fai un errore ogni scusa è buona per metterti in croce. Io sono fiera di te, dei casi risolti insieme, di essere tua moglie. Molte volte sono obbligata a mediare, ma non è sempre ciò che voglio in realtà.”
Il groppo che gli si era formato in gola costrinse gli occhi di Castle a inumidirsi.
“Voglio che tu lo sappia… Poteva andare bene anni fa, quando non stavamo insieme. Ma ora non so...” disse chiudendo gli occhi e ascoltando il respiro di Rick che prese ad accarezzare il suo viso con lentezza. Era la prima volta che lei affrontava quell’argomento e si sentì travolto dalla commozione. Kate era fiera di lui e detestava negarlo. La sua infallibile, fiera e rigida detective lo avrebbe difeso a spada tratta se avesse potuto.
“So chi sei, di cosa sei capace. Il tuo essere estroso e a volte un po’ pazzo è parte di te. L’imbarazzo passa, la ragione resta. In molte situazioni sei stato determinante ed io penso che ti debba essere riconosciuto.” Disse con serietà.
Castle espirò. “Che cosa ti hanno detto?”
“Nulla di diretto, solo quelle mezze frasi… quelle domande dove era evidente che tu eri l’argomento. Brady mi ha chiesto se tu avevi creato problemi in passato, se Montgomery e la Gates ti hanno approvato. A me? Lo chiedono a me?” I suoi occhi spalancati in uno sguardo di sconforto.
“Per sentirsi dire cosa? La verità è che sei un ottimo elemento. Ma soprattutto sei il mio uomo, il mio partner. Avrei mai potuto amarti e sposarti se non fossi stato onesto? Solo che la mia verità potrebbe essere considerata di parte. Ma gliel’ho detto che non potevo dargli un giudizio equo. Gli ho detto che ero tua moglie ed ero di parte.” Sospirò.
Castle si avvicinò a lei e la baciò con tenerezza.
“Ti amo…” disse sulle sua labbra.
“Ti amo anche io ed è per questo che non riesco sempre ad essere neutrale.” Mormorò contrita.
Castle la strinse a sé dolcemente. “Quando arriverà il nostro bambino, tutto questo non conterà più. Non ti crucciare.” Spiegò per cercare di far scemare la sua apprensione.
“Adoro lavorare con te, testone…” Kate sorrise e scompigliò con una mano i capelli di Castle che sorrise.
“Vedremo di far funzionare le cose. Comunque vada… io sono qui per te. Ok?” La vide annuire.
“Secondo me hai dato un’ottima risposta. Sei stata onesta, vorrà pur dire qualcosa. Se davvero era un test per metterci alla prova lo capiranno.”
Kate sprofondò nell’abbraccio di Castle senza aggiungere altro. Chiuse gli occhi e ascoltò il suo cuore battere all’impazzata, come il proprio. Per tutto il pomeriggio si era tenuta dentro quel sentimento sordo, quel pensiero così importante che aveva desiderato condividere con lui.
Per quanto l’incontro con Brady gli era sembrato strano, alla luce del discorso fatto dalla Gates sulla possibilità che Denver fosse stato inviato per screditare il dodicesimo ed il comando del capitano, tutto aveva preso una piega nuova. Per prima cosa la Gates gli aveva chiesto di essere poco di parte ma non era del tutto sicura del risultato. E poi perché? Aveva sposato Castle per amore e negarlo sarebbe stata una grande menzogna anche nei confronti di Brady e di un’eventuale indagine per saggiare la sua situazione. Non era uno sprovveduto, avrebbe visto comunque la loro interazione. Si era chiesta quanto potesse contare per la sua carriera aver sposato Castle. Non era certo un limite. Ok, aveva amicizie strane, spesso scomode, però era a posto. Molto più pulito di tanti uomini di cui erano popolati i palazzi della politica.
C’era un vecchio adagio che diceva: chi non sa fingere non sa regnare. Ma lei non lo condivideva al cento per cento. In seconda sede perché era arrivata alla conclusione che anche la Gates poteva avere nell’aria una possibilità di promozione e a qualcuno evidentemente stava dando fastidio.
“Kate...” la richiamò Castle. “Non ti devi preoccupare, saprò stare al mio posto. Vedrai…”
Si allontanò dal suo petto e incrociò il suo sguardo.
“Non era una critica, Castle…” Sorrise debolmente pensando per una frazione di secondo che lui avesse frainteso. “Voglio…” Espirò senza finire il pensiero.
“Non ti creerò comunque problemi. Se dovrò andarmene lo farò. Per il tuo bene, per la tua carriera. Anche da oggi.” Fece l’occhiolino mentre Kate si mordeva il labbro concentrata su di lui.
“Non voglio che tu debba rinunciare al distretto solo per la mia carriera… capisci?”
Castle sorrise e la fece stendere. La baciò in fronte e poi in testa.
“Invece è una buona ragione per rinunciarvi, ma non sarà la sola.” Replicò l’uomo con voce bassa.
L’accarezzo valutando cosa dirle con calma.
“Voglio che tu abbia una promozione, perché te la meriti. Perché sei in gamba e so che sarai grandiosa. Ma anche perché smetterai di rincorrere assassini in strada, di rischiare la tua vita. Per quanto tutto questo sia eccitante…” Allungò una mano facendola scorrere sul suo collo. Lei chiuse gli occhi espirando profondamente. “Il nostro futuro insieme è più importante.” Sottolineò.
“Tu sarai sempre la mia splendida paladina della giustizia, la poliziotta sexy evolverà in un capitano sexy… e chissà, magari davvero in una senatrice sexy!”
Kate rise rilassandosi a suo tocco. “Potrei avere sessant’anni per allora. Anche di più…”
Castle fece una smorfia. “Per me sarai sempre sexy.”
Gli occhi di lui si fecero furbi e divertiti.
“Potresti essere il marito di una senatrice. Chissà che guai potresti combinare ficcanasando.”
“Potrei vincere il premio Pulitzer con un tuo caso!”
Kate sbuffò sentendo le labbra di Rick raggiungere il suo collo.
“Beh, la mia presenza ti ha sempre movimentato la giornata, non trovi?” La guardò e lei gli mise il dito indice sul naso.
“Vanesio.”
“Ma è vero!”
“Lo devo ammettere.” Kate sorrise. “A te non preoccupa?” Chiese quindi facendosi seria.
Castle annuì e si prese il tempo di un lungo respiro per pensare.
“Ammetto che lasciarti sola un po’ mi turba. Ora soprattutto. Non posso essere lì per proteggerti. Però mi potrai trovare a casa… Ballerò Jump for my love sculettando come Hugh Grant, scendendo le scale mentre rincasi. Sarò così affascinante che ci trascineremo famelici senza ritegno in camera da letto.” Lei rise di nuovo e gli diede un colpo sul petto con la mano. Il suo humor era micidiale.
“Lasciare il tuo fianco mi dispiacerà, non lo nego…” Kate annuì.
“Ma ci sarà la nostra piccola creatura. Avrà bisogno di entrambi.”
“Esatto! Di entrambi.” Sottolineò abbassando il tono della voce e addolcendolo.
Kate sospirò chiudendo gli occhi. La città sembrava silenziosa in quell’angolo di paradiso che era in quel momento per lei la loro casa. Il fuoco nel caminetto crepitava ed era un suono cullante. Si sentiva bene tutto sommato. Stanca ma serena grazie alla sua comprensione e a quel momento di sfogo. Amava Rick e la loro vita. Voleva che lui lo sapesse e che il lavoro non avrebbe mai cancellato quel sentimento. C’era un’altra cosa però di cui aveva bisogno di parlare. Una cosa che doveva sapere di lui, della sua precedente esperienza come padre, perché voleva capire a fondo la sua apprensione, il suo modo di essere presente con lei e con le sue attenzioni.
“Rick?” Mormorò richiamandolo. “Vorrei che tu mi raccontassi alcune cose… su di te e Meredith… quando aspettavate Alexis.
“Perché?” Castle era stupito.
“So che lei ti ha ferito ed io non voglio commettere gli stessi errori.”
“Difficile. Che tu possa arrivare ad essere così meschina… Non lo credo possibile.” Valutò Castle.
“Ma” Iniziò a dire e lui la fece tacere con un bacio.
Castle le fece posto e lei si sdraiò supina. Lui rimase in equilibrio sul bordo del divano, ma si puntellò sopra di lei con un braccio. Le baciò il petto e con la mano libera le slacciò i bottoni della camicia. Alzò delicatamente la maglia sotto di essa e le baciò dolcemente il ventre. Sentì Kate rilassarsi grazie alle sue attenzioni.
“Non stasera. L’unica cosa che voglio è che tu non mi lasci da parte. Che viviamo tutto insieme. Voglio starti accanto, aiutarti. Coccolarti e rendere questi mesi meno faticosi. Questo posso fare…”
Kate sorrise compiaciuta. Di Sere come quelle ce ne sarebbero state altre. Quelle confidenze erano uno splendido modo per parlare d’amore. Quasi due anni di matrimonio e nulla era cambiato da quei voti nuziali così sentiti tra loro. E riuscivano ancora a parlare d’amore a modo loro.
“Contaci…” Rispose seria ascoltando le sue labbra muoversi sul suo ventre. Era rilassante, ma allo stesso tempo il suo tocco le metteva i brividi.
Castle Indugiò con le labbra sulla pelle morbida e fece scorrere la punta della lingua fino alla sua anca. Il respiro di Kate accelerò con un piccolo fremito del suo corpo. Lei si mosse agevolandolo.
Castle scostò la cintura dei jeans di Kate, facendo scivolare verso il basso le sue labbra. Kate sorrise e lo lasciò fare. Il bottone venne slacciato, la zip abbassata lentamente, il tessuto leggero di cotone dei suoi slip leggermente scostato.
Kate ansimò sicura di quello che stava per accadere. 
“Senatrice sexy.” Ribadì Castle.
“Rick…” Mormorò Kate con gentilezza allungando la mano e accarezzando la testa di lui intenta a vezzeggiare la pelle delicata nell’incavo della sua gamba. Così vicino.
“Non vuoi?” Castle alzò la testa per incrociare il suo sguardo stanco ma eccitato.
Lei si morse le labbra e poi aprì la bocca in un sospiro. “Non qui…”
Castle non se lo fece ripetere. Si alzò e la prese in braccio.
“Posso ancora camminare...” Ribadì lei con un sorriso aperto lasciando però che tutto accadesse. Avvolse le braccia strette intorno al collo del suo uomo. Era così dolce, persino il modo in cui lui voleva darle piacere senza ricevere nulla in cambio. Lui annuì. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
Le avrebbe regalato la gioia della passione, si sarebbe rilassato accanto a lei dopo aver assaporato il suo corpo, e le avrebbe fatto dimenticare quei pensieri cupi fino al mattino. Le nausee avrebbero bussato allo stomaco di Kate e l’avrebbero nuovamente messa ko. Ma per quel brandello di notte da passare ancora insieme era un frammento di vita da afferrare e vivere con intensità, l’avrebbe fatta sentire amata come lei aveva appena fatto con lui, esprimendo quei pensieri tormentati che non aveva nemmeno idea esistessero. Lo aveva riempito d’orgoglio, e l’amore già sconfinato per quella creatura non poteva che aumentare.


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Un capitolo di zucchero!
So che arrivo sempre tardi ma sto passando un brutto periodo di difficoltà lavorative che sono davvero deprimenti. Dire che vorrei andarmene è il minimo. Ma ci sono delle priorità purtroppo.
Un abbraccio a tutti e un sentito grazie a coloro che continuano a seguirmi!

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Capitolo 9
*** Il proprio ruolo ***


La saletta in cui era entrata, invitata dall’agente Brady della disciplinare era calda e c’era aria viziata. L’odore acre del sudore e dei dopobarba degli agenti si aggiungeva a quello pesante di sempre.
“Detective abbiamo bisogno di farle alcune domande sulla condotta del Detective Denver.” Si mise a spiegare l’uomo sulla sessantina e con un pizzetto molto curato e fin troppo scuro per essere di colore naturale. Si tingeva barba e quei pochi capelli che aveva in testa, ma i solchi sul suo viso, nel contorno occhi tradivano la sua vera età.
“Mi dica cosa vuole sapere.” Rispose Kate cercando di prendersi il tempo per fare il quadro della situazione. Brady ovviamente non sembrava ostile in alcun modo. Ma Kate non avrebbe abbassato la guardia. Quella non era una semplice chiacchierata. Era sicuramente un indagine, e lei non avrebbe fatto l’errore di sottovalutare ogni parola detta in quella sede.
“Mi racconti della sua esperienza al distretto con il detective Denver.”
Kate annuì. Descrisse in breve le poche attività svolte in collaborazione, praticamente nulle. Riportò l’interesse verso di lei, interesse non gradito, di Denver e la sua sfacciataggine nell’allungare le mani. Cercò di far capire all’agente Brady che il tutto le aveva dato fastidio, ma non era stato nulla di che. Niente che non avesse già dovuto sopportare in anni di gavetta e di lavoro in polizia.
L’agente Brady aveva diligentemente scritto tutto. Poi si era preso altrettanti minuti per rileggere gli appunti.
“Suo marito come l’ha presa? Sappiamo che il signor Castle è suo marito e lavora come consulente gratuito in questo distretto. Con lei.” La voce tradì un certo disappunto nel suo interlocutore.
Kate sorrise. Erano arrivati al dunque. “Non abbiamo mai nascosto di essere sposati.” Bene o male che fossero marito e moglie era di dominio pubblico, che domanda era? Di loro si parlava sui tabloid. E prima ancora si speculava sulla loro relazione quando nemmeno sapevano di amarsi.
“Castle fa parte del nostro team da ormai otto anni. Non è certo un segreto neanche questo. E poi come vuole che l’abbia presa? L’ha presa come un marito che vede dar fastidio alla propria moglie.”
Brady si appoggiò alla sedia. “Quindi sì è arrabbiato con Denver tanto da aggredirlo.”
“Definirla un’aggressione è un po’ una forzatura.” Rispose con calma. 
“Una scaramuccia direi, immagino non sia la prima di cui può aver sentito parlare, e non sarà nemmeno l’ultima. Castle poi non è… abile a fare a botte. Non è il suo forte. Si sono giusto fatti due graffi.” Kate osservò le mani di Brady per capire se fosse sposato o meno. Notò l’assenza della fede, nessun segno di una presenza temporanea. Nulla. L’uomo non era sposato, forse non avrebbe nemmeno capito.
Doveva mantenere la calma e tutto si sarebbe risolto per il meglio.
“Beh, immagino che per suo marito non si sia stato divertente.” Tornò a ribadire sembrando però più comprensivo.
“Denver le avrà raccontato l’accaduto.” Brady annuì scribacchiando.
“E lei come si è sentita?”
“Lo avrei preso volentieri a calci.” Rispose con sincerità. “Se fosse stato nei mie panni glielo avrebbe lasciato fare?” Azzardò. Magari a lui poteva anche piacere.
“Ah! No, non credo.” Rise annuendo mentre continuava a scrivere.
“Di certo Castle non lo ama alla follia per i suoi modi, ma a parte questo inconveniente nessuno di noi ha avuto a che fare in modo diretto con lui.” Sottolineò. “Come le dicevo, non era nella nostra squadra.”
Brady posò la penna e poi si appoggiò con i gomiti al tavolo.
“Il signor Castle ha avuto altri momenti simili in passato, reazioni aggressive con dei colleghi, magari a causa sua?”
Kate negò. “Non che io ricordi. Non ci sono mai stati problemi. Non lo definirei un uomo aggressivo.”
“Sappiamo che il signor Castle è qui per intercessione del sindaco.” Kate annuì. Ma non capiva cosa volesse realmente da quella domanda. Castle era raccomandato? Sì, in passato lo era stato. Ma la Gates lo aveva accettato, incluso nella loro squadra come uno di loro.
“Sta mettendo in dubbio la legittimità del suo far parte di questo staff?” Kate andò direttamente al sodo. Era evidente che l’agente era ben più interessato a lei e Castle che al caso di Denver. Quel gioco la stava incuriosendo. Era Castle ad essere sotto osservazione? Lei stessa?
Brady fu preso in contropiede.
Kate si mosse sulla sedia. “E’ una brillante mente investigativa. Sa pensare fuori dagli schemi, sa portare un qualcosa in più nell’analisi del caso. Vuole davvero chiedere se è legale che stia tra noi? Solo perché ha difeso sua moglie da un bifolco dalle mani lunghe?” La decisione di Kate e il suo sguardo pungente misero Brady in difficoltà. Katherine Beckett era nota come un osso duro. Chiunque asserisse che si fosse ammorbidita nel tempo si sbagliava di grosso.
“Detective…” Iniziò a dire Brady ma Kate lo fermò col gesto di una mano.
“Castle non ha mai creato problemi al distretto in otto anni. Denver ha un morto sulla coscienza dopo nemmeno un mese. Credo che le due situazioni non abbiano nulla a che fare tra loro. E se vogliamo dirla tutta, un uomo come quello come ha potuto finire alla sezione omicidi? Qui non stiamo giocando a Starsky and Hutch ma lui sembrava non averlo capito.”
Brady si grattò la barba scura. “Mi sembra di intuire che tra voi non si fosse integrato molto.”
Kate rise. “Agente Brady, mi scusi, ma arrivi al dunque, ho un caso da risolvere e con me le frasi fatte che può usare con un novellino nei guai non attaccano.” Scosse il capo e si appoggiò alla sedia guardando il suo interlocutore con sicurezza. Che lui dovesse porre domande di rito poteva anche capirlo. Ma che usasse trucchetti idioti per farle dire cose cattive e gratuite contro Denver era una mossa da pivello. Cosa si aspettava, davvero credeva che si sarebbe scagliata contro Denver dandogli del porco squilibrato? I tempi dell’accademia erano passati da anni e la lezione lei l’aveva imparata. Nessuno dava addosso a nessuno senza ragione.
“Non ho partecipato all’azione che ha portato alla cattura di Denver e la morte di Lopez. Non conosco come sono andate le cose nel dettaglio. Ignoravo quali sono state le scelte fatte. Non posso accusare nessuno e gli unici che possono muovere accuse sono la Gates e Johnson, se ha ignorato gli ordini dei sui superiori ne dovrà rispondere solo a loro.” Definì con estrema chiarezza.
“Quindi non si è integrato.”
Kate scosse il capo spostandosi una mano tra i capelli. Attese che l’agente scrivesse quella conferma inutile.
Lo guardò alzarsi e controllare in una cartelletta e poi tornare a sedersi. Kate rimase in silenzio osservandolo con attenzione.
“Ha bisogno d’altro?” Aggiunse curiosa di sapere quanto ancora doveva farle perdere del tempo.
“Il capitano Gates, e il compianto Montgomery non hanno avuto modo di opporsi alla presenza del signor Castle?” Insistette l’agente. Kate strinse gli occhi.
“Potrà chiederlo formalmente alla Gates. Per Montgomery… beh lui non si è mai opposto.”
Sorrise Kate, ripensando alle parole che gli aveva rivolto in relazione alla presenza di Castle, a come lui aveva capito quanto bene le facesse la sua presenza.
“La cosa la diverte?” Incalzò Brady curioso.
“Il capitano Montgomery riteneva Castle una buona fonte di pubblicità. A lui è sempre piaciuto.” Aggiunse cercando di mascherare la tristezza che le portava nel cuore parlare di lui.
“Continuo a non vedere il nesso con l’indagine su Denver, ma non è più di questo che stiamo parlando vero?”
Brady sorrise. “In realtà il nesso non c’è, non intendo insultare la sua intelligenza detective. In questo ambito mi è stato chiesto di valutare l’eventuale impatto della presenza di un elemento esterno, quale il signor Castle sulla vicenda.” Kate espirò. Il burocrate voleva valutare l’impatto di un elemento esterno. Era davvero ironico perché l’unico elemento esterno al dodicesimo era stato Denver.
“Castle non è visto come elemento esterno. Ne potrà avere conferma tra i colleghi e i superiori. Non ha mai avuto un ruolo destabilizzante. Risponde ai nostri stessi vincoli sulla privacy, ha anche firmato un contratto che esonera la polizia di New York da responsabilità in merito a quanto possa accadergli durante le indagini. E’ anche un benefattore poiché partecipa annualmente alla raccolta fondi per le famiglie dei caduti in servizio. Altro non so dirvi. Inoltre ritengo che queste richieste debbano essere rivolte ad altri. Sono sua moglie, sono di parte…” Chiarì.
“Riguardo allo screzio tra i due…” Iniziò a dire Brady
“Si tratta di una sciocchezza a cui state dando troppo peso.” Replicò Kate con calma. “Troppo testosterone nella stessa stanza, non so se capisce.”
Brady sorrise osservando la determinazione di quella donna. Un detective diretto, deciso e valido.
Annuì. “Ha perfettamente ragione. Mi spiace di averle fatto perdere del tempo, purtroppo andava fatto.” Kate rispose al sorriso aperto e gli sembrò di vedere della sincera simpatia da parte dell’agente che chiuse con un gesto veloce il suo blocco degli appunti. Si strinsero la mano e Kate uscì con passo deciso per tonare ai propri compiti.
Victoria Gates entrò nella sala interrogatori una volta che Kate si fu allontanata. Il suo senso di colpa nell’aver in qualche modo mentito alla sua detective per farle avere quell’incontro, venne meno davanti al sorriso beffardo del suo interlocutore.
“Donna notevole, e non solo in bellezza!” Esclamò Brady ammucchiando i fascicoli. “Ha fiutato subito che la mia indagine verteva su altri fattori. Comunque non è stata eccessivamente omertosa nei confronti del consorte.”
“Che ti avevo detto Sean?” Replicò la donna.
“Ti piace che lo scrittore passi il suo tempo qui? Non ti dà fastidio?” Aggiunse quindi preparando la sua borsa e infilandoci alcune delle cartelle che aveva in mano. Ne rimasero poche sul piano di formica chiaro segnato da una miriade di piccoli graffi.
Il capitano inclinò il capo. “E’ un tipo strano, ma ci si fa l’abitudine. Non ha mai rappresentato un reale problema. Beckett è in grado di fare molto, è una donna che non ha fatto carriera nell’FBI solo per il suo ferreo senso di giustizia. In polizia potrà dare molto, ma non devi in alcun modo pensare che il suo legame con lo scrittore sia un problema.” Rispose con serietà.
“Però mi hai detto che aspetta un figlio. Questo potrebbe farle cambiare idea sulla carriera.” Valutò consapevole della situazione. “Una donna incinta è volubile.”
La Gates si tolse gli occhiali.
“Ieri sera le ho chiesto di andare in aiuto alla squadra di Johnson. Non ha fatto una piega. Poteva anche rifiutarsi, era pericoloso e ne era perfettamente cosciente.”
“Non si risparmia…”
“Tra i due la vera casalinga è il marito. E’ stata lei ad iscriversi al programma. Non cambierà idea.”
“Beh, sa come muoversi. E’ preparata e il colpo grosso che ha fatto con il caso del senatore Bracken non è rimasto inosservato. Accetteremo la sua candidatura. Il marito rimane l’unica riserva. E’ schierato politicamente. Ha degli agganci non chiari con la CIA.” Brody si mosse verso la porta.
La Gates sorrise. “Chi non lo è, schierato politicamente intendo.” Brady si unì all’ilarità della donna.
“Un marito benestante può aiutarla a fare carriera. Beckett è pulita. E sul marito…  Ti sbagli. Il signor Castle è… è difficile per me dirlo, ma è un tipo a posto.”
“E’ l’unica riserva Victoria, quell’uomo può essere d’intralcio…”
Il capitano scosse il capo con un ghigno divertito. “Sarà il primo a fare il tifo per lei, non hanno quel genere di competizione lavorativa. E’ orgoglioso di avere una moglie come Beckett.  Resta ad osservali. Capirai cosa intendo.” La Gates si mosse soddisfatta verso l’uscita. Sorrise all’agente Brady e scambiò con lui una forte stretta di mano.
“D’accordo. Farò come dici Victoria. Hai avuto sempre occhio per queste cose. Ma di Denver che facciamo?”
Il capitano si mosse. “Hai capito di che si tratta?”
“Sì. Lui è una bufala. Lo hanno mandato a fare casino. A mettervi in cattiva luce.”
Lo sguardo del capitano si fece di fuoco. “Voglio la testa di chi l’ha mandato in strada.”

Quando Beckett aveva raggiunto Rick e i ragazzi, non c’era stato tempo per chiarimenti o spiegazioni. Erano dovuti uscire per incontrare persone e seguire le indagini sull’omicidio di Keeler.
Non era stato facile trovare i clienti del locale, molti erano uomini con uno stile di vita molto sobrio di giorno, avvocati, bancari, colletti bianchi e piccoli imprenditori. Avevano girato per la città per l’intera giornata.
Ma le notizie raccolte erano state davvero molto utili.
Il ragazzo era un abile intrattenitore, molti avventori del Suprema lo conoscevano e lo invitavano al tavolo per un drink. Era di bell’aspetto e di carattere gioviale quindi speravano sempre in una chances con lui.
Secondo alcuni di loro Frederick aveva smesso da mesi di frequentare l’Atlantis. Nessuno aveva avuto modo di sapere come mai, il ragazzo si era giustificato dicendo che non era il suo genere, ma alcuni sospettavano che avesse avuto qualche delusione.
Il suo ex lavorava lì, era plausibile che non avesse avuto voglia di rivederlo, ma questa osservazione andava in conflitto con il fatto che Freddy volesse in qualche modo riallacciare i rapporti con Saul Porter, che continuava a cercare al telefono. Frequentare l’Atlantis significava sapere che Saul lavorava lì da alcuni mesi come lui aveva correttamente dichiarato. Allora perché starci lontano? Castle si era scervellato in una serie di diaboliche elucubrazioni. Qualcosa era lì sotto il loro naso ma sfuggiva il nesso facendolo diventare quasi paonazzo nello sforzo di trovare una strada in quel dedalo di dubbi.
Uno degli amici di Whittaca aveva dichiarato di aver visto uscire Frederick velocemente mentre lui stava per entrare. Lo aveva quasi travolto. Il buttafuori lo aveva fatto entrare ma si era attardato sulla porta osservando il ragazzo dirigersi a passo svelto verso il bordo strada richiamando un taxi, la cosa che lo aveva colpito era stato il sopraggiungere di una berlina scura con i vetri fumé che era ripartita subito dopo che il taxi aveva ripreso la strada, senza caricare nessuno. Si era fermata dietro al taxi eda era ripartita con esso. Il testimone non aveva potuto scorgere nulla al proprio interno.
La strada era fuori dal fuoco della telecamera posta sull’ingresso ma altrettanto interessante era lo scorcio che si era intravisto attraverso una delle videocamere di sorveglianza dell’Atlantis.
La stessa berlina nera era arrivata al locale chiuso per lavori, verso la mezzanotte e quaranta, giusto il tempo di fare il tragitto tra i due locali. Poi si era allontanata all’una e ventitré. Una quarantina di minuti. Dovevano essere entrati da una porta di servizio, coperti alla vista da dei container per lo scarico della terra di scavo.
Nessuna targa era visibile ma Ryan confidava in qualche altra telecamera del traffico lungo il tragitto. Keeler doveva essere sceso dal taxi e salito sulla berlina. Le informazioni del taxista sarebbero state di vitale importanza.
La macchina comunque non era un modello appartenente al parco di Keeler Senior, così almeno verificò con molto disappunto Castle. Se c’era una cosa che sperava ardentemente era rifarsi con quel borioso trovando prove a suo carico. Detestava quell’uomo in quanto bigotto e particolarmente felice di limitare la libertà altrui. Soprattutto quella di divertirsi come e con chi si voleva.
Esposito punzecchiò Castle tutto il tempo, fino a che dovette intromettersi Beckett zittendo entrambi.
“Non stiamo cercando di incolpare Keeler, ma di trovare prove che ci portino alla soluzione del caso.” Li aveva ripresi portando di nuovo al palla al centro.
E dopo ore di domande, incontri ed indagini la svolta era giunta. In modo autonomo ed inatteso.
Una ragazza era comparsa al dodicesimo, si chiamava Judith. Era entrata timidamente, tenendosi accanto alla porta dell’ascensore per alcuni minuti fino a che qualcuno non l’aveva notata. Minuta e pallida, si guardava intorno profondamente a disagio.
Quando chiese di poter parlare con qualcuno che seguisse il caso di Frederick Keeler era stata accompagnata da Beckett.
Si era presentata con una vocina tenue. Judith Prose era nata e cresciuta nel quartiere dei Keeler ed era una vecchia amica di Frederick. La sua amica di sempre.
Castle scambiò un sorriso con Beckett che ricambiò dopo la sorpresa iniziale.
“Non era solo dopotutto.” Aveva replicato Castle. In qualche modo quella scoperta li aveva lasciati di stucco, ma allo stesso tempo aveva dato loro non solo una visione della vita di Frederick completa, ma l’aveva accompagnata da una sensazione di calore nuova.
Judith aveva raccontato di come continuassero a sentirsi nonostante la distanza e lo stile di vita diametralmente opposto. Lei così eterea, schiva, quasi trasparente, lui con un desiderio di rivalsa e il bisogno di seguire la sua vena artistica.
Eppure erano i confidenti l’una dell’altro.
Judith sapeva cose di Freddy che nessuno conosceva. In tempi recenti si era confidato con lei per una cosa che gli era accaduta. All’inizio sembrava una cosa semplicemente grottesca, ma probabilmente si era rivelata una vera disgrazia per il suo amico. Judith aveva così raccontato di uno strano incontro all’Atlantis di Freddy, aveva visto lì qualcuno che non si era davvero aspettato.
Castle osservava la ragazza con attenzione, rapito dal suo racconto, facendole domande e approfondimenti.
Beckett sorrise nel vederlo così preso, ma in cuor suo lo strano dialogo avuto con l’Agente Brady la rendeva lievemente nervosa.
Alla fine della sua deposizione, Judith mostrò loro delle foto che ritraevano il secondo di Keeler, Howard Bass, completamente ubriaco, abbracciato ad un sirenetto dell’Atlantis.
Quando Kate vide le foto, un possibile movente divenne chiaro come il sole. Quelle foto compromettenti avrebbero fatto a pezzi la credibilità di Bass. In confronto il problema di Keeler con suo figlio era una piccolezza. Dovevano verificarne la provenienza, l’originalità. Dovevano essere sicuri che quello che avevano per le mani fosse materiale originale e non contraffazioni a doc. Stavano intraprendendo una strada irta di spine con quella nuova pista e non si potevano permettere passi falsi.
Beckett fece una smorfia cercando di togliersi dal collo la tensione. Mosse le spalle concentrandosi sulla lavagna. La prima cosa da fare era verificare le credenziali e la storia di Judith. La ragazza poteva essere stata mandata come esca. Esposito e Ryan si erano messi subito all’opera e sperò che le indagini su di lei fossero rapide e positive.
Castle si alzò e scrisse il nome di Bass tra i sospettati gongolando. Era felice perché ora avevano un movente. Un movente plausibile ed era una di quelle storie interessanti per squallore da prima pagina del Post.
Posò lo sguardo su Kate che era tornata a prendersi cura di Judith. La ragazza stava per scoppiare in lacrime. Era evidentemente tesa e spaventata, ma di più era provata. La scomparsa dell’amico di infanzia le doveva pesare moltissimo. Beckett cercò di tranquillizzarla.
“Grazie per essere venuta da noi. Il tuo è stato un gesto molto coraggioso.” Spiegò Kate.
Judith scosse il capo. “Avrei dovuto… venire prima. Me lo aveva fatto promettere…”
“Cosa?” Incalzò Castle.
“Sapeva che quelle foto erano pericolose, ma voleva usarle per potersi liberare del giogo di suo padre e della sua famiglia. Ha osato troppo…” mormorò scoppiando in lacrime.
“Quanto tempo fa te le ha date?” Chiese Beckett.
La ragazza alzò le spalle ed espirò soffiando il naso in un fazzoletto. “Saranno 2 mesi. Mi disse che se gli fosse accaduto qualcosa… le avrei dovute portare di nascosto alla polizia.”
“Sapeva di essere in pericolo?” La ragazza annuì.
“Come aveva intenzione di usare queste foto? Ti ha parlato del suo piano?” Stavolta la ragazza negò.
“Mi ha detto che dovevo conservarle per lui, ma che per il mio bene non dovevo sapere di più. Ho cercato di farlo ragionare ma era stanco della sua vita, era basata su menzogne.”
Castle annuì. “Lo abbiamo capito. Il suo ragazzo Robert vendeva informazioni su di lui a suo padre. Il suo ex è stato minacciato e lui sapeva tutto. Non so come abbia potuto vivere a lungo in quella situazione.” Aggiunse con comprensione.
Kate sorrise alla ragazza che sembrò apprezzare la calma con cui l’avevano ascoltata e capita.
“Freddy sapeva tutto. Voleva andarsene, ma so che suo padre lo ha minacciato di lasciarlo senza un centesimo. Quella sera è venuto da me sconvolto. Era stato molto crudele con lui.”
“In che modo?” Incalzò Castle.
Judith si guardò le mani. “Lo ha fatto picchiare dall’autista. Saranno circa tre mesi e mezzo. Da allora aveva cercato di mettere da parte soldi per poter sparire. Ma da un tipo così si può davvero scappare?”
Beckett scosse il capo. Non avrebbe potuto scappare in eterno da un mastino del genere, da qualcuno che sapeva come e dove trovarlo, che poteva fare la sua vita a brandelli. Le ci era passata per alcuni anni. Ed era stata ad un passo dal morire più volte.
“No, non è facile…”
“Ed è per questo che dobbiamo fare in modo che resti nell’ombra, Kate. Le faranno del male.” Esortò Castle accigliato. La ragazza era poco più grande di Alexis, sicuramente di famiglia meno abbiente di quella di Freddy. Sarebbe stata travolta dagli eventi e dalla cattiveria del mondo spietato di lui.
Beckett alzò il viso verso il marito. Condivideva la sua preoccupazione in merito.
“Sarebbe come uccidere un passero…” Citò con un sorriso mesto. “Faremo in modo di usare questo materiale come se l’avessimo trovato tra gli effetti di Frederick. Stai tranquilla.” Aggiunse scambiando un’occhiata con Ryan ed Esposito che annuirono di ritorno con una serie di documenti. L’irlandese si offrì di farle un caffè mentre Kate decideva il da farsi con Esposito.
L’uomo lasciò allontanare la ragazza e poi si rivolse a Beckett.
“Sembra tutto a posto. La ragazza è figlia di un giardiniere. Vive nel quartiere di Keeler da sempre. Non si segnala nulla a suo carico. Studia letteratura antica all’università di New York, non ha mai preso nemmeno una multa per divieto di sosta…”
Kate annuì. “Legami d’affari con la famiglia Keeler?”
“Prose lavora per una società di giardinaggio della municipalità. Ha uno stipendio base. L’università della figlia la sta pagando con un fondo fiduciario che ha aperto per lei suo nonno…” Esposito posò le carte.
“Se i sospetti cadono su Bass siamo nei guai…”
“Siamo in acque piene di squali.” Replicò Castle ed Esposito tornò al lavoro uscendo dall’ufficio.
Kate ripose le foto in un fascicolo. “Questo è più di quanto immaginassi…” Disse mordendosi le labbra nervosamente.
“Ma è un movente più che valido. Se riuscissimo a collegare la macchina a Bass…” Valutò Castle.
“Sai… mi fa piacere che Judith sia venuta qui. In fondo c’era…”
“Nh?” Lo sguardo interrogativo di Kate lo fece sorridere. “Aveva la sua valvola di sfogo. Aveva un’amica.”
“Sta rischiando molto per mantenere la sua promessa a Frederick…” Kate osservò la sua lavagna. Il movente apriva la strada ad una serie di opzioni.
“Credi che abbia cercato di estorcere denaro a Bass in cambio di quelle fotografie?” Domandò curioso Castle.
Kate camminò lentamente con le mani sui fianchi. “La telefonata è stata la trappola. Lui è uscito. Lo hanno prelevato e portato al cantiere dell’Atlantis.” Disse a bassa voce seguendo il filo dei pensieri.
“Un cantiere che Bass conosceva. Se frequentava il posto era informato della chiusura per lavori. Conosceva la posizione delle videocamere…” Castle attese che lei mettesse il resto. Adorava farlo e nel tempo la loro tecnica narrativa aveva avuto modo di affinarsi.
“Così da poter entrare di nascosto. E poi l’esecuzione, ed è stato annegato all’Atlantis per aumentare lo scandalo…” Incalzò Kate. Castle si mise di fronte a lei spalancando i suoi occhi anche più eccitato da quella rielaborazione dei fatti che gli stava uscendo così bene.
“Con Keeler fuori dai giochi per il pittoresco omicidio del figlio, Bass avrebbe avuto la sedia principale!” Esclamò entusiasta. “Solo che nessuno conosceva Judith, la piccola, trasparente vicina…”
Kate sorrise. “Troppo poco appariscente per essere notata e annoverata tra le persone controllate Keeler.”
“Troppo normale per infastidirlo…” Aggiunse Castle.
Kate sospirò. “Però anche supponendo che Bass sia venuto a conoscenza delle foto, in che modo Frederick avrebbe ricattato il padre? Per Keeler bastava solo rimuovere il suo secondo…”
Castle sedette sul bordo del tavolo. “Avrebbe avuto un problema per la sua campagna, ma non così insormontabile.”
Kate annuì. C’era sempre qualcosa che sfuggiva all’attenzione.
“Frederick voleva solo farsi dare dei soldi, abbastanza denaro per sparire. Magari il padre non doveva entrarci in questa storia. Meno ne sapeva…”
“Bass però potrebbe non aver gradito e rivolgendosi a Keeler lo poteva informare del tentativo di estorsione di Frederick.”
“Sputtanandosi con Keeler?” Replicò Kate.
“Beh, tra tutti e ci avrebbe perso di più dal veder pubblicare quelle foto? Bass avrebbe perso tutto ma non sarebbe crollato solo, trascinando in quel torbidume Keeler la cui credibilità di fronte al suo elettorato sarebbe stata annientata. Quanti punti in meno? Le sue percentuali sarebbero crollate a picco.”
Kate sapeva bene che Castle aveva ragione. Dovevano raccogliere prove.
L’unica opportunità per andare avanti su una pista sicura era trovare la targa della berlina. Il taxista che l'aveva caricato per primo doveva sapere il luogo in cui l'aveva lasciato. Dovevano sollecitare la compagnia dei taxi. Dovevano anche risalire al proprietario di quell’auto ed il cerchio poteva chiudersi, anche sé entrambi dubitavano che fosse stato Bass in persona, avrebbe certamente agito mandato qualcuno a fare il lavoro sporco a posto suo.
Castle sorrise.
“Keeler potrebbe davvero non essere implicato. Bass potrebbe aver architettato tutto per liberarsi del ragazzo. Ha chiamato Frederick al telefono organizzando un incontro per lo scambio di denaro. Lui abbocca, si incontrano all’Atlantis e…” lasciò il resto all’immaginazione di entrambi.
Kate si mosse pensierosa.
“Meglio parlare con la Gates. Su questioni politiche, visto quello che sta accadendo qui, è bene consultarsi con lei…” Mormorò. Non le piaceva dover scendere a patti, non certo con gente di quella natura, ma sapeva che non poteva andare semplicemente da Howard Bass a mostrargli quelle foto e a chiedere spiegazioni. Doveva andarci cauta.
Castle la fermò prendendola per un braccio.
“Ehi…” le disse con un sorriso.
“Non è la stessa cosa ma…” Kate deglutì. “Ma continua a darmi fastidio.”
Castle annuì. “Capisco. Cerca di stare tranquilla ok? Da quando sei uscita dall’interrogatorio con quello degli affari interni sei anche più tesa.” Chiese abbassando la voce. “E’ successo qualcosa?”
Kate scosse il capo ravvivandosi i capelli. “Non so, ha fatto un sacco di domande su di te e sul tuo stare qui… Non lo so Castle.” Ripeté.
“Ma cosa c’entro io?” Replicò, preso alla sprovvista. Che fossero entrati nel discorso della loro divergenza con Denver lo immaginava, ma il suo essere presente al distretto aveva ragioni varie che esulavano quella storia assurda.
“Senti, è solo un dubbio ok? Non è nulla. Non ti preoccupare.”
“Mi preoccupo per te.” Rispose di rimando Castle sfoderando un sorriso dolce. Lei accarezzò il suo braccio.
Guardò l’orologio e sbuffò stanca. La giornata era volata, era stata pesante, piena e una grossa bomba stava per scoppiare loro in mano se i sospetti che avevano erano fondati. La notte doveva essere altrettanto lunga e lei non si sentiva affatto bene. Aveva fame, sete, era nauseata e la sensazione di vacuità era tornata a causa delle vertigini. Aveva cercato di dissimulare quello stato per ore, ma gli occhi di Castle tradivano la sua preoccupazione, si era accorto che era stanca. La osservava costantemente e poteva vederlo chiaramente muoversi con cautela, sapeva che c’era un ennesimo -come stai- appeso alla sue labbra, probabilmente non lo stava chiedendo per evitare che lei si arrabbiasse inutilmente.
Era una donna incinta e nonostante volesse vivere quell’esperienza in modo più energico, cercando come suo solito di pesare il meno possibile sugli altri e su Castle, aveva scoperto di non esserne preparata in alcun modo. Gli sconvolgimenti fisici erano solo all’inizio, lo sapeva, ma quanto avrebbe retto alla fatica in quello stato?
Ammise che come primo giorno non era stato il massimo. Mangiare poi un paio di sandwich per pranzo non era stata una grande idea. Castle le aveva proposto di pranzare con qualcosa di più sano, ma lei non aveva avuto tempo per fermarsi. Così aveva vomitato tutto nell’ora successiva e l’antiemetico era stato d’obbligo per continuare. Praticamente aveva vissuto di acqua.
Doveva imparare un po’ ad attenersi alle prescrizioni alimentari che le aveva lasciato il medico all’ultima visita. Avrebbe chiesto a Castle di essere il suo primo guardiano in quello, conoscendolo sarebbe diventato un vero mastino. Forse è quello che le serviva per spronarla ad essere più ligia alla sua salute per il bene del loro bambino. Ci voleva un chiaro cambiamento nel suo stile di vita. Niente carne mezza cruda e carbonizzata al Dallas BBQ di Time Square. Niente patatine affogare nella salsa almeno per un po’. Espirò umettandosi le labbra.
Castle deglutì preoccupato dal suo improvviso silenzio.
“Ho bisogno di mangiare qualcosa…” Mormorò lei infine.
“Ti ordino qualcosa di…”
Kate lo baciò. Accarezzò il suo viso sentendo la barba della giornata ispida sul suo mento. Gli sorrise e posò la testa sulla sua spalla. Non sapeva che tipo di eventi sarebbero susseguiti allo strano interrogatorio subito, se davvero la disciplinare avrebbe chiesto l’allontanamento di Castle dal distretto per ragioni di fraternizzazione, o peggio alla posizione legale di lui, lei stessa non dubitava che la sua assenza le sarebbe pesata come un macigno. Conscia del fatto che avrebbe avuto un ruolo fondamentale nel crescere il loro bambino, le sarebbe sicuramente mancato.
Niente più spalle solide a cui appoggiare la testa dolorante. Niente più coccole nella sala ristoro. Niente idee strampalate per ravvivare una giornata moscia.
Quanto del suo stile era diventato parte della sua vita? Anche prima del matrimonio lo era stato. Adesso la sua presenza era ossigeno vitale. Tutto andava a cambiarsi comunque.
Si sorprese a non essere preoccupata di ciò che lui avrebbe provato, ma di cosa avrebbe provato lei stessa.
Come era impreparata ad avere un bambino, sebbene lo desiderasse da impazzire, lo era allo stesso modo pensandosi al distretto senza Castle intorno e magari con un nuovo partner tra i piedi.
Ne avrebbero dovuto parlare, sì, affrontare comunque l’argomento perché entrambi avevano bisogno di convertire quel loro stile di vita in qualcosa di nuovo. Castle era certamente più pronto di lei.
L’uomo la stava accarezzando gentilmente sulla schiena. L’aveva tenuta appoggiata a sé con calma, permettendole quel momento di pausa per riprendere le forze.
“Sai che non ti lascerò solo a crescere nostro figlio vero?” Disse in un sospiro. Castle scostò la sua testa gentilmente dalla sua spalla per guardarla negli occhi.
“Sì, ma che succede Kate?” La sua preoccupazione ora era tangibilmente più marcata nella sua espressione.
Kate sorrise accarezzando il suo torace. “E’ solo che quando nascerà e crescerà… e tu sarai a casa per seguirlo, ed io sarò qui al lavoro… Mi mancherai terribilmente!”
Castle fece una smorfia e strinse gli occhi in una fessura.
“Ti mancheremo tutti e due. Mi domando come farai senza la mia mente geniale?” Scherzò ma in fondo Castle aveva capito i sentimenti di lei, i suoi dubbi, il suo pensiero. Era così abituata ad averlo intorno che la sua assenza l’avrebbe messa a disagio? Per una frazione di secondo pensò al tempo in cui l’aveva conosciuta.
Quella vita non sarebbe più tornata. Se l’era promesso e avrebbe fatto di tutto perché fosse così. Ma che cosa le aveva detto quell’agente? Castle aprì la bocca per chiedere ma lei lo precedette ammutolendolo.
“Ma che dico! Mi chiamerai spesso! Lo so. Spero inventino telefoni con batterie più potenti...” Spostò la testa andando di nuovo a toccare la sua fronte con la propria. “Ne parliamo a casa?” Aggiunse infine.
Castle annuì. Kate stava per tornare al lavoro e quel discorso si sarebbe ripresentato in un momento più adatto.  “Allora che ti prendo?” Disse cambiando argomento come lei aveva voluto fare.
“Fai tu.” Lo lasciò così su due piedi andando verso l’ufficio della Gates. Lui sorrise mesto.
La sua donna lo sapeva sempre sorprendere. Non avrebbe certo dichiarato di stare poco bene, avrebbe continuato a lavorare senza battere ciglio. E poi quel caso doveva finire per essere incentrato su un politico? Così giusto perché erano passati solo un paio d’anni abbondanti dall’arresto di Bracken.
Prese lo smartphone dalla tasca della giacca e cercò nella rubrica. Doveva chiamare un suo vecchio amico di un ristorantino italiano in zona che avrebbe preparato per lei qualcosa di buono e sano. E avrebbe aggiunto anche qualcosa di altrettanto buono e meno sano per sé e per i ragazzi. Dopo essere stato benevolmente bistrattato dai ragazzi, non era sicuro che si meritassero uno spuntino come si deve, ma in fondo una parte del suo ruolo in quel posto era anche provvedere ad un cibo decente evitando le schifezze dei distributori automatici.
Ryan era di ritorno con Judith che fece accomodare nel loro ufficio. Prese di nuovo a chiederle dei dati e lui sorrise a quella ragazza pallida che gli suscitava simpatia. Era piccola e fragile. Troppo fragile per finire in un marasma come quello che si stava prospettando. Certo come sempre erano teorie, ma Kate stava andando a parlarne con la Gates per evitare che quel passero finisse diritto nelle fauci di un volpone. Stava andando a trattare perché quella creatura indifesa restasse al sicuro nonostante non le piacesse scendere a patti con diavoli manipolatori come Bass o Keeler. Avrebbero dovuto trovare una scusa plausibile per dimostrare la provenienza di quelle foto. Una balla qualsiasi potevano inventarla ma doveva reggere bene di fronte agli avvocati della parte avversa. Si avvicinò ai due. Sentì Ryan rincuorare la ragazza e dirle che Beckett era uno dei migliori detective della polizia di New York e che l’avrebbe tenuta al sicuro. Il suo cuore si colmò d’orgoglio. Kate era davvero tutto quello, però sentirlo dire così senza retorica e con molta sincerità da un collega ed amico gli infuse una felicità spiazzante.
Kate era la sua migliore scelta nella vita, insieme a quella di tenere Alexis. Ne era orgoglioso ogni giorno di più. Avendo un giorno o due di tempo libero avrebbero potuto affrontare alcuni di quegli argomenti rimasti aperti: prima di tutto le paure del distacco, della lontananza. E poi programmare, organizzare la loro nuova vita, il tutto poteva essere meravigliosamente vissuto in due. Non vedeva l’ora.
Si voltò verso il corridoio. Denver usciva scortato da un paio di agenti della disciplinare.  Salutò lo scrittore con un sorriso sghembo e con il dito medio alzato. Castle fece una smorfia disgustato.
No, decisamente un idiota del suo calibro non avrebbe mai avuto chances con Kate. Certo quando l’aveva conosciuta era un tipo vanesio, superficiale e un po’ pazzo, ma non era mai stato animato da cattiveria alcuna.
Si limitò a scuotere il capo, optando per una più matura reazione a quell’ultimo insulto.
Lo stronzo aveva perso su tutti fronti e a lui non serviva nemmeno infierire visto ciò che seguì.
L’agente Brady aveva osservato la scena con stupore per poi imporre a Denver un maggior contegno colpendolo sulla mano con il gomito. L’uomo si era lamentato sorpreso, massaggiandosi la mano contusa.
Brady aveva fatto un cortese cenno di saluto a Castle e infine aveva scortato l’uomo fino all’ascensore.
Castle lo rivide tornare poi sui propri passi e rientrate nell’ufficio che gli era stato messo a disposizione. La sua mente cominciò a chiedere con una certa urgenza delucidazioni in merito a quanto era stato chiesto a Kate. Visto che lui era stato un argomento di discussione, magari l’agente Brady avrebbe voluto sentire la sua campana. Ma prima la cena per Kate era la priorità.
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Rieccomi! Spero abbiate passato in felice Natale!
Un abbraccio a tutti quelli che mi leggono e i migliori auguri per un fantastico 2015!
Anna

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Capitolo 10
*** Vittoria di Pirro ***


I benefici di un’ottima serata di sesso erano generalmente sottovalutati, se si escludeva l’opinione di Lanie: lei ne era una gran sostenitrice. Prima che Rick entrasse nella sua vita, Lanie l’aveva spesso esortata a buttarsi in una relazione anche solo carnale per i benefici fisici che ne derivavano. Non l’avrebbe mai ammesso, ma Lanie aveva sempre avuto ragione. La sera precedente Rick stesso aveva messo in pratica quella sua speciale abilità nel mandarla fuori giri. Eh sì, era bravo eccome.
A quel pensiero Kate sorrise furba mordendosi un labbro. Indubbiamente le avrebbe fatto piacere avere anche le forze necessarie per essere più partecipe e ricambiare l’entusiasmo con cui Rick si era prodigato a renderla la donna rilassata che sentiva di essere quella mattina. Ma lui non aveva chiesto nulla in cambio, dedicandole attenzioni fino a che non era crollata. Non si ricordava nemmeno quando, ma era sicura che fosse ancora aggrappata a lui, mentre la stava accarezzando dolcemente. Si ricordava con nitidezza le mani calde e il torpore che era sopraggiunto dopo il piacere. Era rimasta per il resto della notte solo una donna, coccolata dal suo uomo come aveva chiesto a Rick. Era anche un po’ sorpresa di sé stessa, della reazione appassionata con cui gli aveva parlato. In fondo non era mai stato il suo forte essere comunicativa, quello era il pezzo forte di Rick. Lui però l’aveva cambiata nel tempo. In due anni di vita matrimoniale non si era mai annoiata e non aveva avuto dubbi o ripensamenti. Rick si era dimostrato sempre amorevole, l’uomo che desiderava, con i suoi difetti che adorava allo stesso modo dei suoi pregi. E lei aveva riacquistato la libertà di essere semplicemente una donna, riuscendo ad aprirsi e ad essere sé stessa, mantenendo un ottimo equilibrio con il suo essere un poliziotto. Una volta lui, scherzando, l’aveva definita come un foglio di cotone da un lato e carta vetrata dall’altro.
La sera prima era rimasto presente solo il lato cotone. La maternità imminente la stava ammorbidendo molto, soprattutto nel suo bisogno di stare accanto a Rick. Negare che la possibilità di un suo allontanamento dal distretto la rendesse triste era impossibile. Aveva anche fatto un passo avanti, magari prematuro chiedendogli del suo passato con Meredith ma, in un susseguirsi di pensieri e azioni, Rick aveva dimostrato di volere non solo il meglio per il suo futuro e per la sua carriera, allo stesso tempo voleva impegnarsi con lei a occuparsi del loro bambino dandole lo spazio necessario per restare al passo.
Non aveva nemmeno messo in dubbio la cosa e lei sentiva che non fosse giusto del tutto.
In passato aveva accettato l’FBI e Washington. Aveva vissuto ogni cosa dandole lo spazio, tempo, possibilità e opportunità.
Però Rick era uno scrittore di successo e aveva anch’esso bisogno dei suoi tempi, della sua ispirazione e perché no, delle follie fatte insieme durante le indagini. L’ultima cosa che desiderava era di ingabbiarlo in un ruolo paterno come aveva fatto Meredith in passato, in nome della propria carriera, annichilendo la sua persona, il suo essere scrittore che lei amava allo stesso modo dell’uomo.
Di quello che sapeva e aveva capito sul suo divorzio e dell’aver cresciuto Alexis da solo, era che Rick nascondeva il lato difficile di ciò che aveva vissuto. Parlava dei momenti felici, ma era ben conscia che non c’erano stati solo quelli. Non parlava mai della sofferenza e della paura di non essere all’altezza. Di quello se n’era accorta dalle fotografie dei suoi svariati album. Nei suo occhi azzurri c’erano anche smarrimento e ansia, vividi tanto che lei si era sentita in colpa per qualcosa che nemmeno aveva fatto. Ma era certa di non voler fare.
Magari stavolta sarebbe stato più spavaldo, però lei non voleva commettere un errore del genere. La sua vena egoistica aveva scelto la maternità prima ancora di parlarne con lui che l’aveva accolta nel migliore dei modi, senza nemmeno recriminare sul fatto che non ne avessero parlato, almeno non di recente se non si andava indietro di qualche anno fino ad arrivare al caso del piccolo Cosmo.
In ogni modo lei avrebbe voluto andare a fondo, per vivere quel periodo in modo sereno, per entrambi la serenità era importante e Rick, da attento osservatore qual’era, non mancava di trovare modi per farla stare bene. Come quella notte, nonostante fosse stanco e assonnato, l’aveva voluta accontentare ascoltandola con attenzione e poi aveva fatto in modo che nessun altro pensiero si mettesse tra loro, nell’intimità della loro camera da letto.
Così quella mattina si era alzata senza il panico della mattina precedente per l’insorgere delle nausee. Rick invece si era rotolato un po’ nelle lenzuola piagnucolando come suo solito durante le levatacce, lo aveva lasciato tranquillo perché si meritava ben di più di qualche minuto a poltrire nel letto. Le endorfine ancora in moto nel suo corpo le stavano calmando i conati. Aveva vomitato soltanto una volta, la crisi era stata meno intensa, ma dopo si era presa un antiemetico così che la colazione reggesse nello stomaco abbastanza tempo per essere digerita, per darle le energie necessarie ad affrontare l’essere che aveva di fronte. Un uomo crudele, freddo e con un’espressione di disgusto stampata in viso.
Un volto così trasudava colpevolezza anche senza interrogatorio, torchiarlo era il minimo.
L’avevano trovato nella zona dell’aeroporto, in un motel di terz’ordine, in tasca un biglietto aereo per Las Vegas. Magari voleva solo farsi un week end di scintille. Oppure qualcuno lo aveva avvertito di levare le tende della città, perché in fondo per il gioco d’azzardo bastava Atlantic City. La sua macchina era stata trovata nel parcheggio di uno sfasciacarrozze poco distante dalla sua abitazione. Non era ancora stata fatta sparire probabilmente grazie a qualche errore di valutazione sulla capacità della polizia di scovare indizi.  La scientifica stava passando al setaccio ogni centimetro di quel mezzo. Avevano trovato tracce di terriccio e anche di sangue.
Se avessero trovato la corrispondenza esatta con il dna di Frederick il – simpatico - signor Molnhar sarebbe stato spedito al fresco.
Era anche chiaro che non era lui il mandante, lui era solo il sicario. Sarebbe stato difficile dimostrare la colpevolezza di Bass, ma dubitare che non ci fosse un nesso tra loro era ormai impossibile.
Era già stata a trovare il signor Bass. Un uomo non meno meschino di Keeler.
Lei e Castle ci erano andati di prima mattina, portando con sé le copie delle fotografie. Il politico aveva messo su la sua miglior faccia da poker, inscenando una curiosa reazione, stizzita e disgustata. Le illazioni sul fatto che le fotografie fossero fasulle se l’erano aspettate, ovviamente prima di fare domande in merito erano state analizzate dalla scientifica ed erano risultate originali. Nessun ritocco, nessuna modifica fatta attraverso sistemi informatici.
Bass dall’alto della sua boria non aveva abboccato al loro tentativo di farlo mettere a disagio. In realtà né lei né Castle avevano mai avuto dubbi sul fatto che quella visita fosse solo un atto dovuto e non avrebbe spaventato il sospettato, il quale aveva sfoggiato subito una serie di classiche recriminazioni: avvocati e diffamazione. Lei stessa lo aveva redarguito sul fatto che semplicemente volevano conoscere i rapporti con cui i due uomini stavano. Niente di più che un semplice chiarimento, e sul perché Frederick deteneva quelle foto. A sua discolpa Howard Bass aveva asserito che Frederick lo aveva contattato sì, ma per chiedergli aiuto nei rapporti con il padre. Sembrava piuttosto informato della loro differenza di vedute. Lui stesso non approvava così non lo aveva aiutato. Riguardo alle foto non aveva nemmeno idea della loro esistenza. Mentiva, indubbiamente, ma non c’erano prove tangibili.
Bastava una mail di richiesta, una telefonata registrata a provare la sua implicazione. Frederick ingenuamente non aveva previsto la ferocia con cui tutto si sarebbe rivoltato contro di lui.
Castle aveva esordito con una risata sarcastica ed era stato quasi buttato fuori dall’ufficio di Bass con le cattive. Solo il distintivo del dipartimento di polizia, che Kate aveva sfoggiato, lo aveva salvato.
Il politico non sembrava intimidito, non sarebbe cascato in un tranello da poco, facendo telefonate scomode dopo la loro uscita di scena. Una vecchia volpe non si prende con poco.
La sua spocchia aveva reso ombroso Castle, che si era in qualche modo sentito in dovere di sottolineare come la crudeltà di due uomini come lui e Keeler avevano portato alla morte prematura di un ragazzo. Una presa di posizione che era pura facciata, come li aveva definiti? Sepolcri imbiancati?
Aveva dovuto trascinare Castle via con sé prima che Bass lo facesse pestare. Sarebbe stato un ottimo modo per dimostrare pubblicamente il suo lato oscuro e il suo scarso rispetto per le opinioni altrui, ma teneva troppo alla salute di suo marito per poterglielo permettere.
Kate lesse velocemente il fascicolo sul loro principale indiziato, non prima di aver rivolto uno sguardo e un sorriso complice a Rick che se ne stava seduto con ritrovata calma alla sua scrivania, leggendo voracemente tutto il materiale reperito. Rientrando al distretto aveva parlato delle implicazioni del caso, divagando sulle possibilità. Stava cercando mentalmente un appiglio, qualcosa per trovare il proverbiale ago nel pagliaio.
In quel momento pensare che Bass ne fosse fuori completamente era impossibile.
Castle le aveva detto che probabilmente non avrebbero vinto. Lo aveva detto senza la solita spavalderia, consapevole che qualsiasi risultato avessero raggiunto, la verità non sarebbe venuta a galla del tutto.
Anche lei lo pensava, sapeva già come funzionava quel mondo. Ma entrambi erano determinati a provare, a cercare quel punto debole che avrebbe fatto crollare l’intero bastione.
Uno dei possibili tasselli era proprio davanti a lei.
Dimitri Molnhar era un’altra bestia senza scrupoli come il suo compagno d’armi Orvak.
Niente riusciva a farle uscire dalla mente la convinzione che i due avessero lavorato in coppia.
Molnhar apparentemente lavorava per un’impresa di noleggio auto, ma quella non era una macchina qualunque, aveva usato la sua berlina, la macchina che normalmente usava quotidianamente al lavoro.
Le circostanze dimostravano poco, ma se l’uomo era privo di alibi, allora forse l’avrebbero inchiodato.
Se aveva un alibi, allora doveva ben sapere chi fosse a guidare l’auto la sera dell’omicidio.
Le sue finanze erano state passate al vaglio, pagamenti non del tutto chiari rendevano il comportamento dell’uomo già sospetto. La provenienza era varia, si trattava di agenzie recupero crediti per una piccola parte e per la fetta più sostanziosa da diverse società finanziarie. Agenzie di transazioni finanziarie e di speculazione assicurativa. Per risalire ai veri mandati di pagamento la ricerca sarebbe durata al lungo. Però quello era un ottimo specchietto: Molnhar era un sicario e quelle transazioni erano possibili pagamenti per il lavoro svolto.
Era anche un evasore fiscale. Alla peggio la soluzione -Al Capone- poteva funzionare per tenerlo dentro, ma non era quello il suo obiettivo.
Kate si morse le labbra concentrandosi. Non lo avrebbe certo spaventato. Ma doveva almeno studiare le sue reazioni. Si voltò e si avviò alla sua scrivania.
“Vieni?” Chiese a Castle che salto dalla sua sedia logora con una certa rapidità un sorriso sghembo stampato in viso.
“Facciamolo nero.” Esclamò divertito.
Lei scosse il capo e scambiò con Ryan uno sguardo di comprensione.
Girò sui tacchi e si avviò alla saletta interrogatori.
Quando entrarono, Castle rimase in silenzio come Kate. Sedette al tavolo e attese che lei facesse la sua mossa. Era un uomo preparato dalla crudeltà della guerra e dalla ferocia di un popolo che aveva visto compiere carneficine e violenze quindi difficilmente impressionabile. Castle osservò con attenzione la sua espressione sprezzante e disgustata.
Kate mise sul tavolo la foto della berlina nera presa dal video della sorveglianza dell’Atlantis.
Lui la degnò di un solo fugace sguardo, poi lo rialzò per guardare Beckett.
“Signor Molhnar, questa è la sua macchina?”
L’uomo tentennò. Non emise fiato e Castle puntò i suoi occhi con attenzione. Erano le piccole reazioni a contraddistinguere l’emotività di un uomo freddo come quello.
Kate proseguì chiedendo della sera del delitto. Se avesse un alibi.
Molhanr si prese tutto il tempo per rispondere.
“Ero a casa, non ero di turno quella sera.” Rispose con un marcato accento dell’est.
“C’era qualcuno con lei o qualcuno che possa provarcelo?” Kate stava facendo le domande di rito.
L’uomo negò.
“Allora perché la sua macchina si trovava all’una presso il locale Atlantis, ad Alphabet City?”
L’uomo alzò le spalle negando. “Me l’hanno rubata.”
“Ma non ha denunciato il furto.” Incalzò Kate. L’uomo la guardò con freddezza.
“Era una macchina da buttare. Non valeva la pena…” Replicò serafico.
“Quindi il ladro ha pensato di farle un favore portandola da Joggler, lo sfasciacarrozze che dista un paio isolati da casa sua…”
Castle osservò la reazione di sorpresa repentina negli occhi di Molnhar, qualcosa di fugace che però non ebbe ripercussioni sulla sua flemma. Allungò una mano sotto il tavolo e toccò leggermente la gamba di Kate.
Un invito a continuare su quella strada. Lei si voltò appena ad osservarlo e lui annuì.
“Così lei se ne stava a casa da solo, mentre le rubavano una macchina e dopo aver commesso un omicidio a una decina di km di distanza, gliela portavano giusto dietro casa per demolirla…”
“Qualcuno ha il senso dell’umorismo.” Rispose senza una smorfia né un sorriso.
Kate sorrise. Puntò gli occhi nei suoi.
“Le farò il punto e poi vedrà quanto umorismo ho io.” Disse.
“Non ha un alibi per la notte in cui è stato commesso l’omicidio di Frederick Keeler. La macchina di sua proprietà è stata vista fermarsi presso un locale denominato Suprema, poi è ripartita seguendo il taxi su cui era salita la vittima. Il taxista ha rilasciato una dichiarazione in cui il suo cliente è sceso e salito su un auto che corrisponde alla sua. Dopo poco, ha raggiunto un altro locale, l’Atlantis.” Indicò una foto presa dal controllo del traffico, la targa nitida mentre svoltava verso il parcheggio del locale. Poi indicò la foto della stessa berlina che entrava nel parcheggio e andava a nascondersi dietro al container dei detriti.
“Il locale è chiuso per lavori, un cantiere dove nessuno avrebbe potuto sentire qualcosa...” Puntualizzò Castle.
“Sulla sua macchina sono state trovate tracce di dna della vittima… Il ragazzo che lei ha massacrato di botte e buttato in una vasca per pesci, per conto di chi?” Kate lo guardò fisso e Molnhar non reagì.
“Qualcuno le ha pagato un bel gruzzolo che l’aspetta a Las Vegas, non è così?
Castle osservò un'altra fugace reazione dell’uomo. Un guizzo della mascella. Kate sorrise al suo nuovo tocco.
“Sappiamo come funziona. Un viaggio a Las Vegas o a Reno. E lei torna con una bella vincita a poker? Lei è uno con la faccia da poker, ma scommetto che se giocassimo tra noi potrebbe non essere così bravo.” Buttò lì Castle con nonchalance, giocherellando con una penna.
“Un buon modo per pulire soldi. Un classico.” Incalzò Beckett con un’aria decisa. Il suo sorriso era duro e aveva qualcosa di feroce.
“E poi signor Molhnar, lei non ha nemmeno chiesto perché si trova qui!” Replicò Castle con uno sguardo dubbioso. “Lo sapeva già immagino. Gliel’hanno detto?” Disse infine Kate.
“Io non ho fatto niente.” Replicò Molnhar sporgendosi in avanti. “Voi americani fate sempre troppe domande. Noi non siamo tanto curiosi.” Dichiarò tornando a sedere.
Castle provò a fare di più.
“Forse, ma non ha nemmeno fatto obiezioni sul conoscere o meno la vittima.”
“Non so chi sia questa persona. Voglio un avvocato.”
“Abbiamo alcune prove che dicono il contrario. Se non ci dice come stanno le cose veramente lei non ha via di uscita.” Kate tamburellò le dita sul fascicolo aperto.
In realtà aveva bleffato un po’, calcando la mano su risultati che ancora non aveva, ma doveva farlo.
Mise davanti a Molnhar la foto di Frederick Keeler, ma non si ritrasse. La morte faceva parte della sua vita da molto. Un cadavere in più o in meno non faceva differenza.
“No? Proprio niente?” Di nuovo Beckett avvicinò a Molnhar la foto. Lasciò che passassero altri minuti.
“In che rapporti sta con il signor Zed Orvak?” Chiese quindi cambiando linea di attacco.
L’uomo negò con il capo. “Non lo conosco.”
Kate guardò Castle e lui fece una smorfia.
“Ma davvero pensa che non sappiamo che eravate commilitoni ed è stato lui a trovarle il lavoro che svolge ora?” Kate si spostò indietro sulla sedia e osservò attentamente l’uomo privo di difese.
Non aveva apparentemente alibi. Negava l’evidenza. O era davvero uno sprovveduto oppure era disposto a coprire ogni traccia.”
Molnhar scosse il capo. “E’ stato in passato. Un’altra vita.”
“Orvak le ha passato un contatto? Le ha passato un lavoro che non poteva fare lui stesso. Quando l’ha chiamata?”
Dalla vetrata a specchio Ryan ed Esposito osservavano la scena accanto all’agente Brady.
Esposito aveva lanciato a Ryan uno sguardo interrogativo ma lui aveva fatto spallucce. Che cosa avesse da osservare non lo sapevano, Brady era al distretto per il caso di Denver, ma sembrava interessato all’operato dei coniugi Castle osservando Beckett con interesse. Lo guardò perplesso.
“C’è qualcosa che non va?” Domandò quindi a Brady indicando la collega.
“Quando fa così di solito li inchioda tutti.” Spiegò. Brady si limitò ad annuire senza togliere gli occhi dal vetro.
Esposito fece segno a Ryan di averci provato e l’amico gli restituì un’occhiata storta.
Ryan decise quindi di tornare a fare ricerche. Avevano già raccolto dati come lei aveva voluto anche grazie ad alcuni colleghi della squadra di Johnson. La morte di Lopez li aveva uniti maggiormente e l’aiuto offerto dalla squadra di Beckett aveva ricevuto una gradita ricompensa con una mano in più nel fare ricerche sul caso Keeler.
Con l’aiuto dei colleghi avevano fatto un giro di chiamate con gli alberghi di Las Vegas. Ci era voluta tutta la mattina ma un colpo di fortuna li aveva indirizzati bene, scoprendo che Molnhar aveva una stanza prenotata proprio a Las Vegas. Una suite per giocatori al Monte Carlo per gli eventi della settimana. Qualcosa di troppo fuori scala per un tipo come quello. Avevano già ricevuto la lista delle telefonate sul numero personale, era stata analizzata con attenzione. C’erano molti numeri usa e getta, troppi per qualcosa di pulito. Ma come aveva speculato Castle, prima di fiondarsi con Beckett nella sala interrogatori, c’era anche il famoso numero che aveva chiamato Frederick poco prima dell’essere ucciso. Le telefonate erano più di una ed erano tutte antecedenti la data dell’omicidio. Si erano infittite negli ultimi giorni. La prima era stata fatta la sera stessa del giorno in cui Keeler aveva contattato Bass al suo ufficio. Una coincidenza? Nessuno dei detective ne era convinto.
Esposito e Ryan attendevano solo l’ok della scientifica per comunicare i dati a Kate, ma quello che avevano era già schiacciante. Chiunque avesse chiamato Frederick quella sera, aveva organizzato il necessario per levarlo di mezzo. Il primo sospettato era qualcuno nell’organizzazione di Howard Bass o lui stesso. Trovare quel numero addosso ad uno dei suoi sarebbe stato un colpaccio, ma fino a quel momento erano solo speculazioni. Ci sarebbero volute valanghe di mandati che non avrebbero avuto.
Bass doveva essere in mezzo. Lui aveva movente e opportunità, date dal fatto che, spiando il figlio, Keeler sapeva sempre dove si trovava, il suo autista e guardia del corpo Orvak era sempre informato e poteva quindi comunicare il necessario al sicario scelto. Una fetta anche per lui e il suo sogno di vivere per conto proprio negli hemptons si sarebbe avvicinato. Il dodici metri ormeggiato nel marina yatch poteva concretizzarsi in qualcosa di più. Ma come fare a legare le due cose? Era così evidente, ma le prove scarseggiavano. A parte l’amicizia e il passato dei due non c’era nulla che li legasse. Inoltre Orvak era anche più furbo di Molnhar, i suoi pagamenti erano dichiarati come prestazioni di servizio per serate ed eventi. Frodava il fisco ma la provenienza era più limpida.
I capi d’imputazione ai danni di Molnhar erano abbastanza da incastralo ma a lui mancava il movente. Non aveva ragioni per uccidere Keeler. Solo l’essere pagato per farlo.
La loro posizione era di stallo.
Ryan indicò a Esposito di portare quei dati a Kate. Bussò quindi alla porta ed entrò dando alla collega la cartella con quanto avevano raccolto.
Kate l’aprì e condivise il contenuto con Castle. Poi abbassò il capo. Avevano il primo nesso per incastrarlo: il legame con la vittima. La scientifica doveva portare il resto.
“Lei ha ricevuto telefonate dallo stesso numero usa e getta che ha chiamato Keeler la sera stessa che è stato ucciso. Chi l’ha contattata? Di chi è questo numero?”
Buttò davanti all’uomo il listato telefonico e lui tornò a guardarla. “Voglio un avvocato.”
“Lei non ha capito.” Kate si alzò e Castle rimase fermo, seguendo ogni movimento.
“Non sto cercando prove, io ne ho abbastanza per spedirla dentro per tanti anni che se uscirà forse avrà qualche mese di tempo prima di morire di vecchiaia.” Ringhiò abbassandosi verso di lui.
“Crede che noi qui ci beviamo la sua flemma? Conosciamo la sua freddezza, identica a quella di molti altri venuti dall’est a mettere a disposizione di ricchi e potenti la loro crudeltà e l’abitudine alla violenza…” Si mosse camminando lentamente.
“Di quelli come lei New York è piena. E vi conosciamo bene voi sicari.” Disse modulando la voce. Bassa, strafottente quel tanto da farla sembrare divertita. Castle sorrise compiaciuto. Quel modo di fare da poliziotta dura lo mandava in estasi tutte le volte.
“E se lei pensa di cavarsela per non avere movente sappia che non mi interessa. Una sola cosa la può salvare da una intera vita in prigione: dirci chi l’ha pagata per farlo.”
Molnhar deglutì ma non rispose.
“I suoi conti sono sporchi Dimitri. Così sporchi che sapremo presto da chi arrivano quei soldi, perché certe cifre non sono proprio al livello di un semplice autista.” Continuò Kate. L’idea che l’avesse in pugno doveva entrargli nella testa come un tarlo.
“Un autista di una media impresa di noleggio quanto può guadagnare a serata? Un paio di centinaia di dollari? Forse se sta in giro tutta la notte?” Kate sorrise.
“Mathias lo pago di meno per una notte.” Valutò Castle annuendo. “Per certe serate meglio l’autista, così se uno ci dà dentro con l’alcol…” Spiegò innocentemente all’uomo con la sua faccia da sberle migliore.
Brady da dietro il vetro rise facendo sussultare Esposito che era tornato per un ultimo sguardo prima di abbandonare del tutto la sala.
Beckett provò a distrarlo. “Ha mai lavorato per quest’uomo?” Spinse la foto del politico in avanti così che la potesse vedere bene. Un'altra negazione, un altro guizzo nella mascella.
“Quell’uomo vale veramente la sua fiducia, il suo sacrificio? Oppure ha paura delle ritorsioni?” La freccia scoccata da Kate andò a segno. L’espressione sul volto di Molnhar si fece più tesa. Il disprezzo sembrò scemare dando adito ad un velo di preoccupazione.
“Lui non la salverà. Ci deve anche lui alcune spiegazioni… e quanto a Orvak, sappiamo ormai che ha più di un padrone. Tra poco avrà abbastanza soldi da ritirarsi a vita privata. Ma lei è il cane al guinzaglio di uno dei due. Ci dica chi…” Insistette Kate. “Bass, Orvak? Chi l’ha pagata per eliminare il ragazzo?”
L’uomo sembrò pensare.
“Sappiamo che sono persone pericolose. La lasceranno a marcire in galera mentre si godranno la tranquillità con tutti i loro soldi. Ha fatto il lavoro sporco per loro. E sa chi ha ucciso? Un ragazzo incapace difendersi. Una cosa semplice infierire su qualcuno che non sa nemmeno fare a pugni.” Aggiunse con disprezzo.
Molnhar guardò Beckett con un ghigno nervoso.
“Beh, non è certo qualcosa di cui vantarsi. Doveva per forza ucciderlo o dargli solo una lezione? Forse le cose le sono sfuggite di mano?” Rincarò la dose Castle.
Stavano dando apertamente del vigliacco ad uno che non avrebbe accettato la cosa di buon grado, sfidandolo a reagire. L’uomo si irrigidì piantandosi le dita nelle ginocchia. Aveva autocontrollo ma non abbastanza da sopportare lo sfottò.
“Non ho fatto nulla. Ero a casa mia e dormivo.” Insistette Molnhar replicando quella cantilena.
“Lo racconterà in tribunale. Manderò tutto al procuratore. Intanto per lei i capi di accusa sono omicidio volontario, evasione fiscale e intralcio alla giustizia. Il suo avvocato avrà qualcosa per cui essere pagato.” Si alzò lasciando il tempo all’uomo di pensare. Poi si voltò con un’abile mossa. Indicò le mani dell’uomo, segnate da lividi ed escoriazioni.
“Anche queste sono dovute ad una serata in casa?” Disse ed uscì dalla porta seguita a ruota da Castle.
Si diresse verso il retro della saletta per osservare il sospettato. Fu sorpresa di trovarci Brady.
“Agente…” Lo salutò. Castle al seguito fece solo un cenno con il capo.
“Pensa che cederà?” Chiese curioso l’agente, voltandosi verso di lei intenta ad osservare Molnhar nella stanza accanto. Sembrava teso e stavolta le spalle persero la rigidità inclinandosi in avanti.
“Ha paura delle ritorsioni.” Disse Castle. “Non cederà se pensa di poter essere ammazzato dal suo ex commilitone.”
Brady lo guardò. “Crede?”
Castle annuì.
Kate sbuffò. “Orvak l’ha portato qui, gli sta dando lavori importanti. Ma non è stato furbo quanto lui a pararsi il culo finanziariamente e legalmente. E’ un pesce piccolo, era probabilmente il suo braccio destro. Ma non è di polso come Orvak. No, Molnhar è impreparato. E’ un anello debole, ma piuttosto di sputtanare Orvak si farà la galera.”
“Meglio in galera che morto.” Sottolineò Castle passandosi il dito sul collo.
Brady scosse il capo. “Lo avete capito dall’interrogatorio?”
“Ovvio…” rispose Castle e Kate scosse il capo passandogli il fascicolo che aveva ancora in mano con le ricerche svolte da Ryan ed Esposito.
“Ci sono molte cose che ha ignorato volutamente. Ma ignorandole ha dimostrato premeditazione nel gestire le risposte. Sapeva cosa gli avremmo chiesto. Lui non ha avuto nessuna di quelle reazioni che hanno di solito le persone normali. Conosce tutti quelli di cui abbiamo parlato.”
“Non è facile capirlo, tende a stringere la mascella e a immobilizzare i muscoli del viso. Ma le cose che lo toccavano da vicino gli facevano cambiare espressione per poco.” Spiegò Castle.
“Mi scusi?” Chiese Brady Incredulo.
“Mai visto Lie to me?” Chiese di rimando Castle e Kate si mise la mano sulla fronte.
Castle si voltò verso di lei. “Direi di no.”
Brady sorrise divertito e anche un po’ perso.
“Se non ho capito male la vostra linea d’accusa, voi mirate a incastrare Bass come mandante dell’omicidio, perché lui era stato ricattato da Keeler con quelle foto. Ora mi chiedo come mai Bass non ha cercato di avere le fotografie. Non si è mosso per recuperare prove scomode… Non vi sembra manchi qualcosa?”
Kate sorrise mordendosi un labbro.
“Orvak e Molnhar lavorano insieme. Chi meglio di uno come Orvak, un uomo di fiducia della famiglia, avrebbe potuto mettere mani su quel materiale e distruggerlo. Ma con calma, non c’erano ragioni di allarmarsi. Robert Randall, il ragazzo di Frederick, in fondo è sul libro paga di Keeler e sotto controllo di Orvak. Di Judith crediamo che nessuno sapesse nulla…”
L’agente Brady annuì. “Pensate che il padre sappia?”
Castle scosse il capo. “Credo che nemmeno lui conosca a fondo la ferocia e la freddezza del suo bodyguard. Per quanto Keeler sia un uomo odioso, non so se possa essere davvero capace di uccidere il proprio figlio.”
“Ma non era lei credeva fosse possibile che lui avesse fatto uccidere il figlio per questioni politiche?” Chiese a Castle curioso.
“Beh, le cose sono un po’ cambiate. Frederick ha lasciato una traccia delle sue intenzioni alla sua migliore amica, come prova di quello che stava facendo e rischiando. Perché lo sapeva che si sarebbe infilato in un guaio. Questo cambia le cose. Gli indizi portano ad una direzione ben precisa. Ed in mezzo abbiamo due cavalieri dall’anima nera, disposti a tutto per un po’ di occidentale benessere.” Spiegò.
Brady sorrise annuendo. “Un tassello alla volta?”
“Esatto.” Rispose Beckett osservando Molhnar restare fermo nella saletta accanto.
“Ma se gli si offrisse una possibilità di protezione?” Domandò Brady indicando il vetro. Le trattative con criminali disposti a parlare pur di avere attenuanti erano all’ordine del giorno.
“Inserirlo in un programma di protezione testimoni? Ha commesso un omicidio a sangue freddo ma non ci sono ragioni così forti perché possa entrarci.  Non sarà neppure il solo omicidio commesso… Non può evitare del tutto la galera semplicemente denunciando il mandante. Sarebbe una proposta allettante per lui, ma quanto crede che riusciremo ad andare avanti? Sarà la sua parola contro quella di un politico? Abbiamo bisogno di prove certe e se non ne ha da darci...” Lo guardò indicando con le mani qualcosa andare in fumo. “Potrebbero passare anni e risolversi in poco o nulla”.
“Una vittoria di Pirro.” Chiarì Castle. “Per andare contro gente così c’è bisogno di qualcosa di più che sospetti. Nessuno ascolta veramente una congettura, l’ascoltano tutti quando qualcosa è successo e un proverbiale
- te l’aveva detto - rende scomoda la situazione.
“Ha paura di andare a fondo?” La spronò Brady. Beckett si voltò verso di lui con uno sguardo di ghiaccio.
“Crede che io non abbia le palle di proseguire? Bass non mi spaventa e non ho la minima intenzione di mollare. Non mi tiro indietro, ma ho abbastanza cicatrici sul corpo per sapere che senza una prova concreta andremmo solo a tirare palline di mollica contro i mulini a vento.”
Brady espirò sorpreso e anche ammirato, trattenendo un mezzo sorriso. Beckett era davvero grintosa, senza spocchia. Percepiva la sua sincerità. L’aggressività latente che mostrava non era di impiccio al suo cervello che elaborava il quadro della situazione con dettagli e attenzioni.
Victoria Gates trovava in quella donna qualcosa di lei stessa, del suo passato e del suo modo pulito di andare avanti senza quelle mezze misure dietro a cui tanti altri si nascondevano.
Kate si umettò le labbra notando che la sua risposta diretta aveva reso Brady pensieroso.
“Ci serve solo una prova, il pagamento. Se è Bass a dover pagare Molnhar, forse davvero lo avrebbe fatto a Las Vegas mentre era al Monte Carlo. Lui stava andando là. Suite giocatori per i pokeristi del casinò…”
Castle sorrise sornione. “Se volesse collaborare… e lui ci andasse a Las Vegas?”
Brady osservò i due guardarsi con intensità. Era una sensazione strana essere lì in mezzo perché sembrava che loro lo stessero del tutto ignorando.
“Potremmo scoprire la fonte del pagamento e incastrare il vero mandante!” Esclamò Kate. Sorrise a Castle.
“Potremmo provare…”
“Ma non abbiamo giurisdizione nel Nevada.” Commentò Brady.
Castle si girò verso di lui. “Non dobbiamo per forza andarci noi, ma se chiediamo la collaborazione della polizia della città potremmo fare di meglio che ottenere una vittoria di Pirro.”
Kate camminò lentamente. “Una parte del pagamento però dovrebbe averla già incassata…” Valutò
“Un anticipo? Ci manca comunque di sapere il modo.”
Kate annuì e poi spalancò gli occhi. Fece un paio di forti respiri. Castle si avvicinò vedendola impallidire.
“Ehi…” Chiese osservandola con attenzione.
Kate si prese un momento per appoggiarsi al muro. Tenne la testa diritta senza muovere gli occhi.
“Capogiri. Finito l’effetto dell’antiemetico.” Disse semplicemente.
Brady ancora una volta si sentì di troppo.
“Chieda al capitano se vuole trattare oppure andiamo a testa bassa contro di lui. E un’opzione.” Disse Kate rivolta a Brady.
“Io?” l’agente non pensava di essere parte dell’indagine.
“Ho la nausea... Vorrei non dover vomitare direttamente sulla scrivania della Gates se fosse possibile.” Castle annuì spalancando i suoi occhi e Brady si diresse con calma oltre la porta per raggiungere l’ufficio del capitano, scuotendo il capo, sorpreso, divertito e anche un po’ imbarazzato.
Era stato drasticamente inquadrato. E lui stava obbedendo gli ordini che quella donna gli aveva imposto senza nemmeno averne diritto.
“Ti accompagno in bagno.” Disse Castle con dolcezza, un volta soli. Kate annuì.
“Lo hai masticato. Brady…” Mormorò Castle con un aria divertita.
Kate sorrise tenendosi una mano in fronte. “Non mi prenda in giro. Non voglio lasciar perdere. Ma…”
Castle le accarezzò i capelli. “Ma non vinceremo se non troviamo altre prove…”
“Ho imparato qualcosa. Vedi… ma non ho paura. So solo che questa cosa non la dimenticheremo nonostante tutto.”
Castle strinse le labbra e strabuzzò gli occhi “Tigre, sei fantastica.” Mormorò prendendola sottobraccio.
“Ci prendiamo il tempo necessario per scavagli la fossa…” Ribadì Kate.
“Brady andrà dalla Gates a raccontare tutto. Perché lui è qui per te.”
“Lo so.”
“Gli descriverà la tua sfuriata. E sa cosa ti dico?” Si fermò e sorrise alla sua musa. “Le piacerà la tua risposta.”
______________________________
Ogni tanto tornano! Un abbraccio a tutti e scusate il ritardo.
Qui è sempre peggio. E l'ansia certe sere mi divora tanto che non mi fa nemmeno pensare. Non è un bel campare. Che vitaccia eh... :(
Ma dopo i doppio episodio di Castle, che mi ha dato adrenalina, ho ripreso in mano la correzione della mia storia. Siamo quasi alla fine.
Grazie del supporto. Sto leggendo gli arretrati. Mi dedicherò a voi tutti, ai vostri pezzi, ai vostri commenti che sono un toccasana per il mio umore!

 

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Capitolo 11
*** Fare la differenza ***


Victoria Gates aveva ricevuto la visita dell’agente Sean Brady e si era trovata in una situazione curiosa.
Nonostante fosse stato con il personale del dodicesimo due soli giorni, la coppia Castle e Beckett aveva avuto su di lui già uno strano effetto. Come aveva previsto li aveva osservati e dopo poco meno di mezz’ora era lì davanti a lei elucubrando soluzioni proposte al caso, mentre la sua detective si trovava in bagno a vomitare per le nausee. Come situazione era nuova e bizzarra davvero.
Però era stato d’aiuto, aveva permesso a Brady per entrare nel loro piccolo mondo e capire di cosa parlava quando accennava al rapporto che c’era tra i due. Non personale, quello era palese quanto la pioggia, ma la dinamica delle loro indagini non era poi così semplice da descrivere. Essere presente era l’unico modo per capire. Beckett e consorte erano sulla stessa lunghezza d’onda, molto attivi, laboriosi di mente e doveva ammettere, pur non volendo, che la cosa funzionava piuttosto bene.
Beckett aveva una strada davanti a sé e il suo uomo non era d’intralcio.
“Sono davvero in sintonia, fanno quasi paura.” Disse Brady dopo aver chiarito le richieste della donna.
“Che ti avevo detto?” Gates rise facendolo accomodare.
“Stavo lì a guardarli mentre parlavano tra loro e mi sentivo non solo di troppo, ma completamente fuori fase…”
Il capitano sorrise divertita. In realtà in quella situazione ci si era trovata di rado, ma concordava con lui sul fatto che fosse a metà strada tra l’inquietante e l’irritante per certi versi.
“Ma come la gestisci, Victoria? La questione personale intendo. Sta qui, conosce ogni vostra procedura. E’ al corrente di ogni vostro metodo e non è un poliziotto. Lui sa tutto di lei, non perde una sua mossa. La studia continuamente.”
Il capitano sorrise. “E’ la sua musa, direi che l’adora. La definizione calzante è adorazione, Sean.”
L’uomo rise scuotendo il capo. “Da quanto tempo loro…” indicò con la mano.
“Quando sono subentrata a Montgomery l’avevo cacciato. Allora non stavano insieme e tra loro c’era un rapporto conflittuale, qualcosa che li aveva portati ad una rottura prima che Beckett fosse ferita. In quell’occasione lui è rimasto in questo ufficio giorno e notte cercando il sicario che l’aveva quasi uccisa. L’ho cacciato ma il sindaco Weldon me lo ha imposto nuovamente.”
“Chissà com’eri felice.” Brady strizzò gli occhi
La Gates annuì. “Come una Pasqua! Ma la verità è che è stato un bene. Lui l’ha aiutata a venirne fuori. Alcune volte ho avuto l’impressione che senza la presenza dello scrittore, Beckett potrebbe non essere qui. ”
“Per via del ferimento?” Il capitano annuì. “Dopo una cosa del genere non è facile tornare alla vita di tutti i giorni. Non è stato un ferimento in azione, è stata un’esecuzione in piena regola…”
Brady aprì la bocca annuendo.
“La relazione è nata dopo?”
“Credo che ci fosse un legame da molto tempo, non concretizzato, ma lui si sarebbe fatto esplodere per lei. Letteralmente.”
Brady osservò le proprie mani per qualche secondo. “Stai diventando romantica Iron Gates.”
“Oh, piantala. Hanno colpito anche te e sei qui da due giorni.” Ironizzò la donna. Poi lo squadrò con un’occhiata tagliente e lui annuì. “Sono una bella coppia. Lo ammetto. Ma lo sai Victoria, lui deve allontanarsi se Beckett passerà ai corsi per ufficiali. In quel campo il procuratore è rigido.”
La sedia per la Gates era diventata scomoda.
“Rigido un corno. Vorrei proprio che, invece di indagare su una mia detective che ha uno stato di servizio impeccabile, impiegaste il vostro tempo per capire chi ha fatto arrivare Denver al mio distretto: ha un morto sulla coscienza e non una storia d’amore con uno scrittore di gialli dal passato discutibile. Il procuratore pensi che domani ci sono i funerali di Lopez, vittima delle azioni di un idiota mandato a dare problemi.”
“Victoria…”
“Non rabbonirmi, voglio che andiate a fondo. Io ho le mani legate ma voi siete lì per questo.” Replicò il capitano tornando ad appoggiare gli occhiali sul tavolo.
“Hai dei nemici…”
La Gates rise. “Anni passati alla disciplinare non ti rendono così popolare. Ma non mi faccio intimidire. Voglio che quel detective faccia carriera. La voglio vedere ad un posto di comando perché se non le diamo questa opportunità ora, dopo potrebbe rivelarsi tardi.”
“Farò il possibile, lo sai…” Brady lasciò stemperare le parole mente la donna lo fissava con attenzione.
“So che ci sono altri squali in lizza, ma è la più pulita di tutti.”
“Come te Victoria. Vedrai, lasciami fare. Levami un’ultima curiosità, Castle è amico del sindaco Weldon. Ho letto che il caso che l’aveva coinvolto in passato è stato gestito da loro…” Brady stava scavando per bene. Il capitano lo conosceva, faceva il suo lavoro con cura. La sua stizza si placò.
“Hanno lavorato in disaccordo, ma sono arrivati alla verità. Non hanno mollato, nessuno dei due.”
“Come intende fare per questo caso.”
“Le ricorda molto il caso che l’ha interessata personalmente.” Spiegare le vicissitudini di Beckett avrebbero richiesto troppo tempo e non era nemmeno del tutto sicura di conoscere la storia al completo.
Brady respirò lisciandosi la barba. “Indubbiamente è tosta. Un caratterino… E pure lo scrittore, insomma potrebbe starsene a godersi i soldi in tranquillità. Lo fa solo per lei?”
“Credo proprio di sì.”
“E la sua connessione con la CIA?” Incalzò di nuovo Brady e la Gates allargò le mani.
“Classificata. In passato gli è stato permesso di lavorare con un agente, che poi si è rivelata essere qualcosa d’altro. Ma lo sai come sono quelli dell’agenzia. Tombe…”
“Beckett ha partecipato ad alcuni casi con lui. Tutti classificati. Non ti sembra strano?”
“Secondo te perché l’FBI la voleva? Solo perché è un bel faccino?” Il sarcasmo della Gates fece sghignazzare Brady che sprofondò nella sedia.
“Usa il cervello ed è intelligente da capire cosa sta succedendo. Senti, il caso che stanno seguendo può avere ripercussioni sulla politica di questa città. Quello che dicono è fattibile, ma lui non parlerà. Hanno ragione. Ed è per questo che sono lì, perché mi fido.”
“Anche tu pensi che Molnhar non accetterà la trattativa? Le prove contro di lui si accumulano. Se la scientifica ci dà conferma che il sangue trovato corrisponde a quello di Keeler sulla macchina e le sue impronte digitali pure, non ha alcuna via di uscita.” Replicò confuso.
“L’idea di farlo seguire a Las Vegas è pazza davvero, ma per mettere ko un politico corrotto allora ben venga. Mi infastidisce fare il lavoro a mezzo se posso fare di più.”
“Scomodiamo il procuratore?”
“Se vogliamo fargli una proposta va fatta in fretta.” Disse quindi. Brady scosse il capo e si alzò.
“Come Iron Gates desidera.”

Come Beckett e Castle avevano previsto, Molnhar non volle collaborare. Altre ore di interrogatorio lo avevano visto solo trincerato nel suo mutismo. Parlargli di nuovo promettendogli clemenza nel caso in cui collaborasse era stato come parlare al vento.
Castle era più che mai convinto che una sorta di patto di fratellanza esistesse tra Molnhar e Orvak, qualcosa per cui lui doveva per forza sacrificarsi. Tutto conduceva a lui come una scia di piccole briciole bianche su un bel nero d’asfalto fresco.
Infatti il sangue trovato nella macchina corrispondeva a Frederick Keeler, il terriccio era quello del cantiere dell’Atlantis, le sue scarpe imbrattate dello stesso materiale. Prove fin troppo pesanti però sempre nessun motivo valido per uccidere un ragazzo.
Molnhar aveva avuto il suo avvocato e tempo per decidere ma lui si era rinchiuso a riccio. Il procuratore distrettuale era stato rapido a dare l’ok alla possibile proposta, sebbene avesse fatto rimostranze sull’azzardo che rischiava di infangare un membro del consiglio comunale. Chissà come tutti avevano paura di perdere la sedia rischiando il loro comodo posto. Il procuratore non era mai stato un uomo di particolare verve quando doveva schierarsi contro politici corrotti. In ogni caso, a suo favore, si poteva dire che il suo incarico era ancora troppo fresco perché si distinguesse qualcosa di nitido sulla sua volontà.
Beckett si stropicciava nervosamente le mani. La verità era stata ancora mascherata e non sarebbe venuta a galla tanto facilmente, ma ancora una cosa andava fatta. Indurre il tarlo del dubbio nella testa di Howard Bass. Come aveva detto Castle, si preannunciava una vittoria di Pirro. Lui se ne stava pensieroso accanto a lei, guardando il suo essere accigliata con serietà.
“Mancava così poco…” Mormorò Kate.
“Lo so. Troveremo un altro modo.” La rincuorò.
Lei lo guardò. “Facciamo sapere a Keeler che abbiamo dubbi su Bass. A quest’ultimo che sappiamo tutto, che le prove arriveranno, che è solo una questione di tempo…”
“Mettiamogli un po’ di pepe addosso e anche da un’altra parte!” Castle strabuzzò gli occhi e lei fece roteare i suoi. Erano quelle le cose che le avevano reso la vita lavorativa leggera. Così realizzò pensando alla battutaccia. In pochi minuti aveva allentato la sua tensione. Sapeva che i giochi erano quasi conclusi, non certo con la vittoria che aveva sperato. Però poteva ancora fare qualcosa.
Esposito aveva lavorato con Ryan al locale Atlatis, facendo indagini su chi avesse spostato il corpo durante la notte, indagando sugli operai edili era venuto fuori che il gestore, Viera, era stato il primo ad arrivare quella mattina, più mattiniero del solito e molto teso. Aveva accelerato i tempi di lavoro sullo scavo minacciando di licenziare tutti.
Ma il corpo era stato spostato molto prima, quindi qualcuno era entrato nel locale.
La videosorveglianza era stata manomessa, Tory, analizzando meticolosamente i fotogrammi alla ricerca di indizi, aveva notato alcuni picchi di luce ed anomalie, scoprendo infine una discrepanza sulle ore impresse nei video. Un bel salto e anche condizioni di luce differenti. Fino alle 2 e mezza circa la camera registrava un orario e alle 2 e 32 un inspiegabile salto temporale faceva passare l’orario della telecamera di alcuni minuti in avanti portandola alle 2 e 36. Fino a quel momento la frenesia di vedere, o meglio intravedere qualcosa sull’omicidio li aveva veicolati solo su alcune fasce d’orario. Avevano così trovato il punto in cui il video era stato sostituito con un video di un’altra giornata. Questo complicava le cose, rendeva le prove meno valide, dubbie e la colpevolezza di Molhnar molto più effimera.
Era stato il gestore, Viera a consegnare i video alla polizia. La sua calma davanti alla presenza degli uomini della omicidi era stata davvero da manuale, ma aveva commesso un errore, manipolando solo una specifica parte dei video in modo grossolano. Forse per la fretta di consegnare informazioni che sapeva essere importanti per la risoluzione del caso, per dimostrarsi solerte, disponibile e, ovviamente, innocente. Un errore grossolano, ma utile ai loro scopi. Se fossero stati alterati completamente non ci sarebbero state le prove necessarie ad arrivare a Molhnar.
I due detective lo avevano scortato quindi in centrale per metterli sotto torchio. Nel tardo pomeriggio Esposito l’aveva messo con le spalle al muro e ammise di aver spostato il corpo per paura che le indagini gli facessero fermare i lavori, ma che i video erano originali fino alla manomissione delle ore 2 e 32.
Il sistema d’allarme silenzioso che aveva collegato al suo telefono era scattato e lui si era diretto al cantiere in compagnia di un suo operaio, Jessy Marcos. Avevano trovato Keeler galleggiare nel grande acquario. Era già morto. Lo avevano caricato sul Pick Up e scaricato al canale di scolo della centrale.
Gli era stato quindi imposto di consegnare i video originali e le prove erano evidenti. Non erano implicati nell’omicidio, ma erano di sicuro colpevoli di intralcio alla giustizia. Viera era un uomo viscido, a tratti prepotente e a tratti falsamente collaborativo. Aveva cercato di trovarsi una scusa, ma le accuse per lui e Marcos erano inconfutabili.
La Gates raggiunse Beckett alla sua scrivania.
“Intende fare qualcosa con Keeler?”
Lei annuì capo. “Prima che l’arresto di Molnhar vada alla stampa? Possiamo fargli sapere solo i nostri sospetti…” 
“Se non altro potrebbe fargli trovare il modo di eliminare Bass dai suoi ranghi…” Commentò Castle.
Kate si alzò e prese la sua giacca indossandola. Sentiva freddo e la temperatura stava calando con la sera. Ottobre era stato clemente fino ad allora. Ma l’inverno era alle porte, un inverno che tutti i meteo, secondo Caste, predicevano freddo e nevoso.
“E’ pallida Beckett, vuole andare a casa?” Le chiese la Gates, ma lei negò.
“Vorrei cercare ancora un po’ tra questi dati.” Disse con un mezzo sorriso.
“Bass non farà un passo falso…” Commentò Castle.
“Non abbiamo prove che sia lui il mandante. Se trovassimo prove più dirette di un tentativo di estorsione, una telefonata oppure una e-mail…”  Kate osservò la pila di documenti sul suo tavolo.
La Gates sospirò. “Se non troviamo qualcosa nelle prossime 24 ore potremmo dover chiudere il caso con quello che abbiamo.”
Lo sguardo deciso che le due donne si scambiarono fece sorridere Castle. Kate sarebbe divenuta un capitano tosto quanto la Gates, se non di più.
“In tribunale Molnhar potrebbe cavarsela con poco, insomma lui non ha movente.” Commentò Castle e il silenzio dei presenti sancì il loro essere d’accordo.

L’incontro con Keeler fu abbastanza simile al precedente, ma stavolta Kate si portò Castle nella saletta dove l’uomo era stato fatto accomodare che non attese nemmeno un attimo prima di incalzare Beckett. La investì di domande e con sprezzante boria aveva ironizzato su un possibile cambio di sospetti.
Beckett non aveva perso un colpo. Aveva atteso silenziosa che il politico finisse la sua kermesse di stronzate e poi aprì il fascicolo che aveva di fronte.
“Abbiamo fermato un uomo.” Disse senza nessuna reale inflessione ma Castle intuì la sua fermezza e il suo disprezzo.
L’uomo di fronte a lei sussultò, muovendosi sulla sedia. “Avete trovato l’assassino?”
Kate piegò il capo e si umettò le labbra. “Forse. La sua macchina è stata vista sul luogo del delitto, il sangue di suo figlio è stato trovato sugli interni...” Spiegò.
“Quindi avete le prove? Chi è stato?”
“Un amico del suo solerte factotum.” Chiarì Castle.
L’idea che Rick fosse presente doveva infastidire parecchio il loro interlocutore perché lo degnò giusto di uno sguardo schifato, cosa che stava rendendo Castle anche più divertito del solito. Ma anche lei voleva pungolarlo, voleva fargli sapere che in fondo Castle, suo marito, era parte della squadra che era arrivata all’assassino con tutta la sua sfacciata abilità e fortuna.
“Abbiamo ragione di credere che suo figlio abbia tentato una mossa… ardita. Per ragioni a noi non del tutto chiare, pare abbia voluto crearsi una piccola fortuna tentando la sorte con un piccolo ricatto.”
“State scherzando? Mio figlio aveva tutto ciò che voleva! Soldi, potere! Come potete insinuare una cosa del genere?” La stanza stava diventando incandescente.
“Forse aveva tutto, ma non la libertà che agognava a quanto pare…” La stoccata di Castle venne placata da un gesto gentile di Kate.
Lei posò di fronte a Keeler le fotografie di Frederick sul conto di Bass. Keeler le osservò con attenzione, disgustato, per una volta pensieroso. Valutò attentamente le sue parole, le pesò prima di parlare.
“Chi vi ha dato queste informazioni?”
“Le meraviglie della tecnologia informatica.” Bleffò Beckett. Castle le abbozzò un sorriso e tornò a guardare Keeler in evidente imbarazzo.
“Sappiamo che Frederick ha chiamato Bass pochi giorni or sono. Abbiamo i riscontri telefonici ma non sappiamo cosa si siano detti. Però queste fotografie… C’erano ragioni per cui suo figlio aveva a che fare con Howard Bass?”
Keeler negò con il capo.
“Conosce questo individuo?” Chiese infine Beckett mostrando la foto di Molnhar.
Non ci volle molto per capire che Keeler aveva riconosciuto l’uomo ritratto nella foto.
“E’ un sicario.” Chiarì Castle. “Un commilitone del suo autista.”
“L’ho visto più volte parlare con Zed… Sosteneva che era un vecchio amico a cui stava cercando di dare una mano.” Per un momento il politico si trasformò davanti ai loro occhi, mostrando una preoccupazione umana, forse per se stesso. Ed eccolo apparire sul suo viso il dubbio e finalmente il senso di colpa.
Kate si sporse in avanti. “Non abbiamo prove, ma qualcuno ha voluto dare una lezione a suo figlio. Lo hanno picchiato selvaggiamente. Probabilmente non intendevano ucciderlo, forse è stato solo un incidente…”
L’uomo deglutì annuendo. “Farò luce su questa situazione. Vi terrò informati.”
Castle si mosse sulla sedia.  “Ci dia una mano. Cerchi di capire se Bass ha delle colpe.”
“E cosa pensa che io possa fare? Andare da lui e accusarlo? Non ci sono prove…”
“Ma ha queste. E lei è suo padre…” Annuì scuro in viso.
Castle pensò a come fosse difficile proporre quelle foto come prova senza le dichiarazione della testimone. Con la testimonianza di Judith tutto sarebbe stato più facile. Avevano preso una decisione, imboccato la strada difficile e in salita per tenerla al di fuori di quel pasticcio. Stavano lavorando su ipotesi e un fragile ricamo di relazioni tra i vari personaggi chiave di quella brutta vicenda. Era davvero poco e il suo buonumore scomparve una volta che Keeler ebbe lasciato l’ufficio.
“Mi dai una mano? Vorrei rivedere tutto l’incartamento, ci deve essere sfuggito qualcosa…” Chiese Kate con un sospiro. Lui annuì e le diede una carezza sul viso.  Poi si stropicciò gli occhi stanchi.
“Per questo scopo posso anche offrirti una deroga sul limite alla caffeina.” Le parole di Castle la fecero sorridere.


Numeri, cifre, orari, firmati, decine di ore di filmati. Rapporti di interrogatori, persone, volti appesi alla lavagna. Dovevano pur dire qualcosa, però senza quella certezza di cui avevano bisogno, il colpevole sarebbe stato solo un aguzzino prezzolato. Non poteva essere tutto lì. Non potevano lasciare la ricerca incompiuta.
Sprofondati nella lettura sia Beckett che Castle si scambiavano sporadicamente occhiate furtive. Nessuno dei due voleva cedere all’evidenza di essere in un loop. Dovevano trovare qualcosa, era impellente trovare qualcosa.
La lista di numeri di telefono segnati di rosso che Castle scorreva sembrava confondersi sotto il suo sguardo. Era la stanchezza, ma anche l’urgenza, lo scontento di non essere andati oltre. Si sfregò vigorosamente gli occhi e Kate lo osservò. “Mi si incrocia lo sguardo…” mormorò facendo una leggera pressione sul bulbo oculare.
“Hai bisogno di riposo.” Forse dobbiamo solo lasciar stare per stasera.” Kate si sentì vagamente in colpa a dire quelle parole, ma anche lei si sentiva un po’ sottotono.
“Oppure cedere all’evidenza… occhiali…” Mormorò Castle contrito e Kate strabuzzò lo sguardo, annuendo.
“Ma non facciamo quelle battute sull’età che avanza… eh?” Disse con un sorriso che lei ricambiò con dolcezza. Fortunatamente Castle era un uomo che non giudicava l’usare occhiali un mezzo con grave mancanza di fascino. Alcune volte li usava a casa quando era al lavoro nel suo ufficio e la sua vista ne trovata giovamento. Kate lo considerava anche piuttosto sexy quando lo notava così, sprofondato nella rilettura dei suoi scritti. Non c’era nulla di male nell’ammettere di averne bisogno e sapeva che la voracità di lettura del suo uomo lo avrebbe richiesto. “No, sei affascinante con gli occhiali. Sembri più intelligente…” Disse con Ironia.
“Ah ah! Vedrai quando succederà a te!” Replicò contrito e Kate rise.
“Vorrà dire che sarà arrivato il momento.” Castle apprezzò la sua placida accettazione. Non era un uomo che amava l’idea di invecchiare, anzi, vanesio com’era anche i primi capelli bianchi erano un dramma, ma l’idea di invecchiare con lei gli sembrava già più accettabile.
“Maledizione, ci sarà pure qualcosa qui!” Sbottò Castle ributtandosi nella lettura.
Un numero apparve al suo sguardo confuso. Un numero che gli diceva qualcosa. Forse era la combinazione, le ultime tre cifre erano curiose, ovvero 000, combinazione assai rara in un numero di telefono poiché i numeri di quel genere le compagnie telefoniche li conservavano per i centralini, enti di un certo rilievo territoriale, oppure li vendevano a persone che desideravano distinguersi. Era una chiamata fatta al numero di Molnhar, un paio di volte la sera dell’omicidio, ma occorreva andare più a fondo. Al momento non sembrava essere collegato agli altri ma destava interesse. 
“Siamo risaliti ai proprietari di questi numeri?” Chiese a Ryan, rivolto alle sue spalle.
L’uomo indicò una pila di carte. “Lì dentro.”
Castle fece scivolare le dita sugli incartamenti andando a farne cadere un po’ in modo maldestro a terra.
Sbuffò mentre Kate alzava la testa su di lui. “Che diavolo combini?” Disse aiutandolo a rimettere in ordine le carte. “Kate questo numero… quello che finisce con 000 non ti dice nulla?” Disse incrociando il suo sguardo.
Un sorriso spuntò sul suo volto pallido. “Oh, sì…” disse affrettando la ricerca del documento con lui.
Quando gli occhi di entrambi caddero sulla lista di nomi e numeri, lo sguardo di Kate si fece aggressivo.
“Facciamogli una visita, te la senti?” Castle annuì raccattando il fogli alla bene e meglio e piazzandoli davanti ad un sorpreso Ryan. “Ehi, non vale!” Sbottò pensando di dover fare ordine.
“Noi usciamo un momento, dite alla Gates di ritardare la formalizzazione delle accuse di Molnhar. Giusto un paio d’ore al massimo. E controllami i movimenti di questo conto nelle ultime due settimane!” Lanciò all’irlandese un documento che lui prese al volo un po’ sgomento.

Negli anni in cui aveva seguito Kate, l’arrivare ad una svolta nel caso era sempre stato elettrizzante. In quel momento guardarla semplicemente al volante, farsi strada negli ingorghi della sera a New York, sfrecciare con sicurezza alla volta della soluzione del caso sembrava addirittura più eccitante.
Decisa e forte, soddisfatta e allo stesso tempo torturata.
“Era sotto il nostro naso, come ci è sfuggito, era così banale.” Disse di nuovo.
“Avevamo gli occhi troppo impegnati in altro. Sai quante persone sono virtualmente implicate in tutto questo caso? E’ una folla!” Esclamò divertito e lei si torturò nuovamente il labbro.
“E guarda caso è un anello deboluccio...”
Fece stridere le gomme entrando nel parcheggio e si infilò nel primo posto libero.
“Lo rifacciamo?” Esclamò Castle sorridendo e lei fu piuttosto felice di vederlo distratto e di essere arrivata a destinazione. Lo stomaco sottosopra, quella perenne sensazione di fame, e la voglia di spaccare il muso a qualcuno. Così d’impulso, non certo a Castle, lui era innocuo e a guardarlo, particolarmente adorabile con quel sorriso da bambinone. In quei giorni si era scoperta emotiva più del solito, però in quel momento la sua emotività le stava dando quell’incredibile resistenza.
“Questa è roba da veri duri…” Sottolineò uscendo dall’auto. Kate rise alla sua esclamazione puerile.
Entrarono nella palazzina a passo spedito. Sapevano dove andare e la decisione era stata presa un po’ d’impulso, ma non c’era altro modo.
Quando la porta si aprì il loro interlocutore ebbe una reazione stupida ed imprevista, cercò di squagliarsela. Il muro costituito da Beckett e Castle gli impedì di darsi alla macchia oltre l’ingresso. Kate lo bloccò senza troppi complimenti dopo che Castle l’ebbe sospinto verso l’interno della stanza.
“Ci devi delle spiegazioni signorino…” Disse Kate mentre metteva le manette al ragazzo con una certa soddisfazione. La sua reazione era stata già di per sé una dichiarazione di colpevolezza, ma servivano dettagli quindi riportarlo al distretto con sollecitudine era il primo passo.
Castle lo aveva controllato attentamente mentre il ragazzo continuava a lamentarsi di volere il suo avvocato.
“Ehi, tutti vogliono l’avvocato oggi” Sbottò Castle divertito.
“Lo vogliono sempre dopo. Mai che ci pensino prima.” replicò Kate con un sorriso sprezzante.
Entrare al distretto accompagnando il loro sospettato sotto lo sguardo curioso di tutti fece scalpore.
Il capitano uscì dal proprio ufficio togliendosi gli occhiali. Era stata avvertita da Ryan della loro sortita e quindi non era del tutto sorpresa, ma le manette ai polsi del ragazzo le avevano destato curiosità.
“Ha cercato di darsi alla fuga, Capitano.” Spiegò Beckett con un sorriso tirato.
“Mhh… Preparo subito un mandato anche se è tardivo…” replicò annuendo e stringendo gli occhi.
Esposito raggiunse i due e si occupò di portare il sospettato nella stanza degli interrogatori guardandolo con un sorriso divertito. In qualche modo la naturale antipatia che tendeva a generare su tutti non era certo passata inosservata all’ispanico che si limitò ad accompagnarlo senza profferire parola.
Tornando disse a Beckett: “se è lui il colpevole sono anche contento…”
Castle rise di gusto e aiutò Beckett a sistemare i documenti che Ryan aveva fornito loro. I riscontri bancari avevano dato i loro frutti.
Beckett raggiunse la saletta interrogatori più determinata che mai. Voleva chiudere quel caso e mettere al muro quel piccolo stronzetto.
Sedette davanti ad un agitatissimo Robert Randall.
“Mi hai fatto fare un bella fatica per arrivare a te, te la sei studiata bene. Lo ammetto.” Iniziò a dire con sicurezza mentre il ragazzone stringeva le mani piegato in avanti.
“Non ho fatto nulla!” Sbottò.
“Cercare di scappare davanti alla polizia non è proprio un segno di innocenza!” Castle sorrise. Anche a lui stava vistosamente antipatico, ma in quel momento dovevano prendersi il tempo per fargli confessare il necessario.
“Quanto sai?” Iniziò a dire Beckett ordinando le informazioni nella cartella che Ryan gli aveva lasciato facendogli un breve sunto.
“Io non so nulla…” replicò Robert.
“Non sai di aver contattato l’assassino di Frederick? Come non lo sai? Lo hai anche pagato...” Il ragazzo si rabbuiò.
“Sei stato la chiave di tutto fin dal principio. Sei stato il delatore, Robert. Colui che seguiva e spiava Freddy per conto di suo padre, ma anche per conto del suo aguzzino a quanto pare.” Beckett espirò e guardò Robert con insistenza.
“E per avere un bell’alibi, ti sei scelto una buona serata per stare in dormitorio a giocare online, così che tutti potessero provare che eri semplicemente occupato. Ma hai fatto qualche errore di valutazione. Molhnar non è uno molto abile nel nascondere le sue transazioni bancarie. Hai pagato 2000 dollari su un conto della Citybank intestato a lui. E guarda caso lo hai fatto proprio la sera dell’omicidio.”
“Tra un combattimento e l’altro…” Commentò Castle.
“Ti sto chiedendo di collaborare se vuoi avere anche solo qualche chances di ambire ad uno sconto sulla pena. L’accusa sarà di omicidio di primo grado. C’è premeditazione, particolare crudeltà… ti aspetta una vita in carcere.” Lasciò decantare la cosa con calma. Il ragazzo non rispose.
“Se ci dici da chi è partito tutto, chi è il primo mandante e come sono andate le cose, noi faremo il necessario per farti avere qualche sconticino.” Aggiunse e di nuovo Robert rimase in silenzio.
“Molhnar ti ha chiamato al dormitorio del campus, doveva sapere dove trovarlo e come adescarlo immagino. La cosa simpatica è che non ha usato il solito usa e getta, ha maldestramente usato il telefonino intestato a lui, pensando che non avremmo mai notato le chiamate ad un numero fisso come quello dell’università.”
Ad ogni piccolo tassello che aggiungevano alla storia, Robert si incupiva.
“Gli hai detto dove si trovava? Gli hai detto quale fosse il modo migliore per farlo interessare a quell’incontro?” Gli occhi di Beckett lasciarono il ragazzo per osservare Castle che annuì.
“Chi c’è dietro? Non puoi aver organizzato tutto da solo, uno come Orvak non si sporca le mani per due spiccioli, ma Dimitri si, lui è di bocca buona, accetta ogni lavoro.” Valutò con calma e come sempre lasciò che le sue parole penetrassero nella mente del sospettato.
“Immagino conoscessi già anche Dimitri. Magari era uno di quelli che avevi già incontrato con Orvak. Uno di quello che o accompagnavano nelle sue intimidazioni tipo vecchia scuola dell’est, eh?”
Raccontare un tassello alla volta, dimostrargli che la strada l’avevano trovata e capita dava un certo potere a Kate, quello di incutere non solo paura ma dimostrare che loro era furbi almeno quanto lui.
“Beh, ti ha umiliato vero? Perché lui avrebbe voluto tornare indietro, voleva riallacciare i rapporti con Saul Porter…” Le parole di Castle fecero breccia e sul viso di Robert comparve un segno di rabbia. Corrugò la fronte e lo sguardo si fece duro. “Stavi per perdere la tua bella banca e allo stesso tempo la faccia.” Insinuò ancora lo scrittore.
“Ma non lo conoscevi di persona. Lo hai visto ma non hai capito chi fosse fino a che non te l’abbiamo detto noi…” Aggiunse Beckett.
Robert non era un duro. Beckett l’avrebbe fatto crollare, non avrebbe retto molto e Castle si auspicò che avvenisse al più presto. Era evidentemente preoccupato per lei vista l’ora tarda. In quei tre giorni gli sembrava che il mondo si fosse chiuso a riccio e che il tempo, tiranno, era sempre troppo poco.
Una continua corsa, ma senza il desiderio di avere il solito finale passato a festeggiare il caso chiuso. No, voleva solo che lei si liberasse per tornare a casa, per riposare.
Si sorprese nel desiderare più che mai che quel rampollo troppo viziato deponesse le armi e accettasse di vuotare il sacco in modo rapido.
Kate si stava prendendo i suoi tempi, ma la sua ferocia stava aumentando forse anche in relazione all’affaticamento.
“Hai giusto qualche minuto per valutare la cosa. Possiamo farti avere un avvocato, ma vedi è tardi…”
Roberto sbirciò le carte sul tavolo cercando di leggerne a rovescio i contenuti e così Kate gli semplificò l’operazione girando il foglio e indicando i punti salienti.
Ryan prese appunti sui dati da cercare all’università in relazione a quanto stava emergendo. Il centralino automatizzato doveva aver registrato le chiamate in ingresso per poi essere reindirizzate agli interni dei dormitori. Un’informazione piuttosto facile da reperire.
“Molhnar ha preso contatto con te. Ti ha chiamato al campus. Quindi di chi è la prima mossa? Lui cercava Frederick per dargli una lezione, vero?”
“Magari non ucciderlo… forse per un minimo di rispetto ad un compagno di squadra. Voleva solo dargli una lezione. Però tu gli hai chiesto, pagando la differenza, di andarci pesante. Altrimenti perché non limitarsi ad ucciderlo con un colpo di pistola.” Continuò Castle dopo di lei.
“Così la lezione sarebbe stata più amara. Una gamba spezzata in quel modo non gli avrebbe permesso di ballare, nemmeno di camminare diritto. Lo volevi proprio rovinare.”
“Perché è questo che hai chiesto a Molhnar. La cifra che gli hai dato non basta per un omicidio. Ma per un bel pestaggio…” Castle mostrò a Robert la foto del cadavere martoriato di Frederick.
Il ragazzo strinse la mascella.
“Ma non importerà al giudice che Frederick sia stato ucciso per errore, importerà che qualcuno ha pagato un sicario per aggredirlo. Quindi omicidio di primo grado. Quindi galera a vita.” Sentenziò.
Lo stato di agitazione di Robert crebbe.
“Quanto potrà resistere un bel tipo come te in un carcere duro? Diventerai molto popolare in poco tempo…” L’insinuazione di Castle lo mandò nel panico più completo.
Il ragazzo prese a tremare. Forse il timore di vivere quel genere di ambiente, gli abusi, la violenza e quel che ne conseguiva lo avrebbero fatto a pezzi in poco tempo.
“Io non lo volevo morto… Volevo solo che avesse una lezione, che fosse ripagato delle umiliazioni che ho vissuto accanto a lui…” Sbottò all’improvviso, sbavando e muovendo le mani convulsamente.
“Che hai vissuto tu? Hai usato Freddy per avere soldi dalla sua famiglia. Se non ti stava bene il suo stile di vita potevi lasciarlo. I soldi però ti piacevano troppo.” Replicò Kate.
“Sapevi anche che la manna era finita. Avevi intuito che Frederick cercava il modo di andarsene e allora non avevi più nulla da perdere…” Castle fece affondare così il minimo di autocontrollo che il ragazzo stava mantenendo.
“Rivoleva solo quel bastardo di colore. Rivoleva lui gettando alle ortiche una vita che altri gli avrebbero invidiato. Ha preferito lui a me! Cane rognoso senza un soldo!” Le sua urla raggiunsero con chiarezza il corridoio adiacente.
Esposito guardava da dietro la barriera con la Gates al suo fianco. “Gran coniglio nel cilindro!” Mormorò il capitano. Esposito la vide annuire compiaciuta e lasciare la saletta. La risoluzione di un caso del genere avrebbe comunque portato a mitigare gli effetti della brutta figura fatta dal distretto a causa di Denver, per tutti il dodicesimo era un grande risultato. Ma la morte di Lopez era comunque una brutta e inutile perdita.
“Ora vuoi raccontarci tutto?” La voce di Beckett si fece più morbida e si mise comoda sulla sedia.

Alla fine Robert aveva vuotato il sacco e chiarito ogni dubbio. Le speculazioni si erano rivelate vere.
Secondo Robert, Howard Bass aveva chiesto a Orvak, uomo al servizio a quanto pare di più padroni, di dare un lezione al rampollo dei Keeler per farlo stare al suo posto. Ma per Orvak era un rischio troppo elevato immischiarsi oltre misura, così aveva proposto Molhnar che aveva preso accordi con Bass. Robert poteva avere la sua parte aiutando Dimitri a organizzare la cosa senza problemi, ma il ragazzo aveva alzato la posta.
Orvak non aveva usato particolari attenzioni, voleva che Frederick sapesse che doveva stare al suo posto e perché.
Robert invece aveva fatto in modo che il pestaggio di Freddy avvenisse in un ambiente comodo perché si potesse collegare in qualche modo a Saul Porter, aveva fornito anche il metodo più sicuro di far lasciare il locale al ragazzo: simulare una chiamata per comunicargli che Saul lo voleva incontrare all’Atlantis, locale in cui lavorava. Era stato Frederick a farglielo sapere involontariamente, durante una telefonata che il ragazzo aveva ascoltato. Così Freddy era caduto nella trappola ingenuamente e dopo essere stato tramortito di botte, probabilmente era caduto dalla piattaforma nella vasca dei sirenetti, in uno stato di semi incoscienza dovuta alle gravi lesioni, finendo con l’annegare, mentre il sicario aveva già lasciato il locale.
Bass era stato formalmente incriminato per concorso in omicidio di primo grado insieme a Robert. L’unico ad esserne all’oscuro era Keeler senior il cui dolore era stato sopraffatto dalla rabbia contro il suo stesso collega. Ma indirettamente era stato il primo vero colpevole e forse per questo avrebbe avuto sensi di colpa per l’intera vita.
Il lato positivo stava nella fortuna di aver liberato la città, in un solo colpo, da due sicari e da un politico di dubbia moralità.
Il summit con il capitano ed il procuratore distrettuale era durato a lungo e l’orologio del distretto segnava le 4 e 38. Castle si sentiva euforico e a pezzi allo stesso tempo. Attese con calma che Kate terminasse la lunga sessione di lavoro burocratico. Era tardi per molte cose, le conferenze stampa e i giornali.
Era tardi anche per pensare di portare a compimento tutti i fascicoli per formalizzare le accuse.
L’usignolo Robert Randall aveva cantato mettendo nei guai tutti, ed era quanto bastava per chiudere il caso con più di quella vittoria di Pirro che avevano paventato fino alla sera prima.
Quando Castle vide Kate uscire dalla saletta in cui erano rinchiusi per preparare l’incartamento sul caso, venne trattenuta da Brady che si complimentò con lei. Lo sentì congratularsi ed auspicarsi un medesimo impegno anche nel caso di una possibile promozione. Sembrava entusiasta e quella patina di burocrate un po’ untuoso era scomparsa definitivamente a parte quel dettaglio dato dall’eccessivo nero dei capelli, una tinta decisamente sbagliata per un uomo della sua età. Alla prima occasione Castle glielo avrebbe suggerito, magari fornendogli il contatto di un ottimo parrucchiere in città.
Sorrise compiaciuto ma allo stesso tempo una sensazione strana lo assalì. Si guardò intorno.
Tarda notte, di lì a poco sarebbe sorto il sole albeggiando. Kate stanca e con occhiaie scure. La vide stringere la mano a Brady e poi annuire soddisfatta. Quella era la sua vita, ciò che la rendeva fiera, ciò che era stata per anni. Era la ragazza tosta che inseguiva gli assassini.
Lo era ancora nonostante lui ed il loro matrimonio. Era stupenda, lo rendeva fiero e gli faceva paura allo stesso tempo.
L’ansia lo colse senza ragione, o almeno una ragione c’era ma Castle non volle accettare le motivazioni che si stava dando. Deglutì e guardò Kate lasciare Brady e dirigersi verso di lui con aria soddisfatta.
Abbassò gli occhi cercando di sembrare meno angosciato. Poi fece un lungo sospiro e si piantò in faccia un sorriso tirato. Lei si lasciò cadere addosso a lui e mormorò sul suo petto. “Andiamo a casa.”

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Rieccomi! A casa con la tracheite ma almeno ho tempo per voi tra una martellata e l'altra. Ho i lavori a casa e mi stanno dando il colpo di grazia, ma spero di aver presto il mio angolo perfetto per dedicarmi allo scrivere e ai mie hobby!
Adesso mi sento un po' in colpa, ci ho masso troppo. Ma siamo quasi alla fine. Un solo capitolo.
Grazie per la pazienza!
Anna

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Capitolo 12
*** Andrà tutto bene ***


Castle non era riuscito a chiudere occhio. La testa pulsava dolorosamente e i suoi occhi stanchi chiedevano riposo ma era inquieto. Kate invece era caduta in un sonno profondo appena aveva toccato il letto. Il viaggio di ritorno lo avevano passato chiacchierando del caso e lei era decisamente soddisfatta del risultato.
Nei giorni a seguire avrebbe istruito tutto il caso per poi seguire le pratiche in tribunale. Ma il giorno successivo si sarebbe svolto anche funerale di Lopez, così la mente di Castle non voleva darsi pace. Le immagini del passato si ripetevano continuamente torturandolo. Espirò profondamente e pensò di doversi alzare. Mancava così poco a che la sveglia suonasse nuovamente e non si sentiva nemmeno le forze per girarsi e posare i piedi a terra. Attese lunghi minuti sperando di non svegliare Kate muovendosi. Si rese conto di aver già fatto la frittata avvertendo la mano di lei muoversi sul suo torace stringendo le lenzuola.
“Non ti senti bene?” Chiese lei con un sospiro.
Castle sbuffò. “Ho mal di testa, mi dispiace di averti svegliato. Mi prendo qualcosa e poi torno a letto…” Disse alzandosi. Kate lo seguì con lo sguardo assonnato, ma con un velo di preoccupazione.
Si alzò appoggiandosi su un gomito e attese che fosse di ritorno. Aveva notato un suo sostanziale cambiamento d’umore rientrando a casa ma non immaginava stesse male. Castle tendeva ad essere piagnucoloso quando stava poco bene, si caricava di medicinali, forse troppo, sopportava poco il dolore. Mentre Castle guidava, lei si era presa del tempo per rilassarsi in macchina e godersi la vittoria personale nell’essere riuscita ad arrivare alla soluzione del caso, aveva espresso la sua soddisfazione ed aveva fatto piani per il giorno successivo. Castle invece aveva risposto a monosillabi, sembrava distratto. Kate avrebbe seguito la preparazione dei documenti per il tribunale, come faceva sempre più spesso negli ultimi tempi, seguendo quindi il caso fino al suo stadio finale. Era uno di quei lavori forse un po’ noiosi, ma che davano completezza a quanto fatto in precedenza dalla squadra. Era soddisfatta ma Castle non lo era quanto lei quella sera, c’era qualcosa che metteva in ombra la sua partecipazione emotiva.
Castle tornò con un bicchiere d’acqua e deglutì una pastiglia di analgesico. Posò il bicchiere sul comodino e si coricò nuovamente accanto a lei. “Torna a dormire dai…” Disse cercando di rimboccarle le coperte.
Kate scosse il capo. “E’ solo il mal di testa o c’è altro?” Si raddrizzò e si appoggiò con la schiena al testiera del letto dopo averci sprimacciato contro il cuscino.
“Dai…” Castle deglutì. “Sono le sei, non dovresti dormire un altro po’?” Disse mentre lo sguardo di Kate si faceva pungente. Lui inclinò la testa di lato, chiudendo gli occhi, affaticato e poco reattivo.
“Non credo di riuscire a chiudere occhio se non lo farai anche tu.” Decretò Kate incrociando le braccia.
Castle si passò le mani sul viso. “Non è il momento adatto. Riposiamo.”
“Lo hai detto anche ieri…” Mormorò Kate e gli occhi di Castle si incupirono. La luce morbida e dorata della lampada in quel momento riuscì comunque a ferirlo.
“Per quella cosa… senti…” deglutì e abbassò lo sguardo. Le prese la mano e la strinse.
La guardò mentre lei restava in attesa, incuriosita e ansiosa allo stesso tempo. Lo vedeva titubante come tutte le volte che la sua mente non era ancora arrivata alla soluzione ma si stava arrovellando per trovare la strada giusta. Castle era delicato nei sentimenti quanto forte nelle sue reazioni per difenderli, solitamente trovava la voglia ed il bisogno di esternarli con i propri cari: si rinchiudeva in se stesso rimuginandoci per ore e poi usciva con una soluzione spiazzante. Però Kate non desiderava aspettare quel periodo di tempo in cui lui riusciva sempre a sorprenderla. Per una volta voleva condividere il suo percorso. Certo lei non era la persona adatta ad insistere, ma c’era una ragione in più che valeva ogni sforzo possibile, una creatura in arrivo che avrebbe determinato stravolgimenti nelle loro vite e allora qualcosa andava fatto.
Sorrise, allungò la mano libera verso la sua testa e passò le dita tra i capelli di Castle.
“E’ per quello che sei così... insomma oggi non mi sembravi pensieroso. Solo stasera.”
“Stamattina.” La corresse Castle.
“Qualcuno… sostiene che non è mai domani fino a che non si va a dormire.” Chiarì lei.
“Ah beh, se la metti così… abbiamo dormito…” le diede un piccolo colpo con la spalla e sorrise: erano in fondo le sue parole e le stava usando contro di lui.
“Non direi…” Replicò Kate facendo una smorfia.
L’uomo si sciolse dal suo torpore puntando gli occhi chiari in quelli di lei.
“Stasera, quando abbiamo finalmente risolto il caso, tu eri così… raggiante. Stanca ma felice, ti ho guardato ed eri soddisfatta, sicura di te.” Castle sospirò sorridendole.
“Sei fantastica quando sei così e ho sempre amato quel momento in cui ti illumini per aver fatto giustizia.” Spiegò divertito. “Brady ti ha elogiato. Hai la promozione in mano tesoro…”
Kate scosse il capo. “C’è ancora molto da fare e dovrò fare esami. Molti esami.” Sottolineò.
“Ma il primo è stato superato con un risultato strepitoso.” Kate annuì appoggiandosi alla spalla di lui. Allungò la mano e fece scivolare tutto il braccio lungo la schiena di Castle, abbracciandolo.
“Questa sarà sempre la tua vita, quello che ami fare. Passerai di grado, magari davvero entrerai in politica, sempre di giustizia si tratterà in fondo. Ci saranno casi importanti, serate lunghe come queste. Forse anche più lunghe. Decisioni da prendere e processi da istruire…”
Kate annuì anticipando le parole di Castle. “Credi che io darò priorità al mio lavoro invece che alla nostra famiglia?” 
“Ci pensavo e… mi è venuto un po’ il panico in quel momento, lo ammetto. Diventerai un pezzo grosso, ne sono sicuro e ti richiederà tempo...”
“La tua mente instancabile mi ha già cucito addosso un immagine da mostro?” Castle fece una smorfia. Kate espirò, la sua reazione era del tutto imprevista e la rese tesa. Castle però le fece capire che non aveva finito.
“Mi hai chiesto di parlarti di Meredith e avevo pensato di non farlo. Lei è il passato e non hai nessuna colpa per quello che lei ha fatto ad Alexis e me. Io stesso sono diverso e così non voglio in nessun modo partire prevenuto.”
Kate lo incalzò. “Però ad un tratto l’idea che io possa fare carriera ti spaventa…”
Castle negò con il capo. “No, non proprio. Insomma io voglio che tu sia soddisfatta della tua vita, dei tuoi risultati professionali, così come nella famiglia. Ciò non toglie che il nostro bambino deve avere entrambi i genitori. Sai che farò di tutto per farti avere ogni opportunità che ti servirà a fare carriera, ma non sono fisicamente pronto a fare da solo con questo figlio... Avrò bisogno di te. Lui avrà bisogno di te.”
Kate abbassò gli occhi. L’orgoglio per il proprio lavoro l’aveva resa così euforica da preoccupare Castle? Era esattamente il contrario di quello che voleva ottenere.
“Non voglio essere così, Castle.  Ok, per me è tutto così nuovo, per te è qualcosa che ti riporta ad un passato difficile. Fatico a pensare a come muovermi.” Replicò confusa.
Castle le alzò il viso con la mano. “Non sei tu il problema ok? E… e non devi nemmeno pensare di cambiare perché non sarai mai come lei. Solo il fatto che hai dubbi, che hai anche solo espresso il timore di farlo mi fa stare meglio.” Kate strinse le labbra. Si mise le mani sul ventre e sospirò profondamente.
“E’ per questo che ne volevo parlare. Perché tu non lo vuoi fare?” Kate tornò a cercare le mani di Rick.
“Perché non devi pagare tu il mio passato.”
Kate si accigliò. “Tu hai fatto di tutto per prenderti carico del mio di passato, perché pensi che la cosa valga solo per te?”
Castle scosse il capo. “E’ diverso. Molto…”
“Come?”
“Pensavo di non aver commesso errori, in realtà l’ho fatto.” Castle abbassò la testa e strinse gli occhi. I pensieri si affollavano nella sua mente, molto di quanto aveva affrontato nel suo percorso di ripresa dopo la delusione e la ferita del tradimento di Meredith stava lì, appena fuori dalla porta, riaffacciandosi con troppo facilità. Si chiese perché fosse bastato anche solo un flebile momento di debolezza mandarlo al tappeto. Non voleva dare a Kate quel dolore, sapeva che era un altro tipo di donna, che tutto sarebbe stato differente. Però la paura di sbagliare, di fare il medesimo errore restava viva nonostante tutto il suo impegno.
“Ho capito di aver sbagliato tutto con Meredith, non era pronta ad avere un figlio, a vedere in noi una famiglia e in lei una casalinga. So di aver sbagliato a volere la semplicità di una famiglia normale perché non lo eravamo, soprattutto non avevamo gli stessi obiettivi. Io volevo una famiglia, lei voleva solo fare una bella vita e divertirsi.”
Castle si prese qualche secondo per continuare.
“Tu ed io non saremo mai due semplici genitori perché tu sei e sarai sempre una paladina della giustizia, io un romanziere.” Castle si passò una mano sulla fronte dolorante.
Kate sospirò cercando le sue mani.
“Mi odieresti se ti imponessi di rinunciare alla tua strada, come io arriverei a fare se tu mi abbandonassi a me stesso con i nostri figli. Non andremmo avanti.”
Kate si raddrizzò e si mise di fronte a Rick. “Non funzionerebbe. Me lo sono chiesta anch’io quando… stavo prendendo la decisione per andare a Washington.” Scosse il capo guardando la frustrazione del suo uomo.
“So di aver sbagliato una volta, anche se ho provato a dare a Meredith quello che voleva. Non so se fosse tardi, sta di fatto che lei non si è accontentata quindi…” Castle si trovò a valutare i giorni in cui la solitudine lo aveva perseguitato e la paura di non farcela era stata così forte che aveva dubitato della sua sanità mentale.
“Questo figlio lo vogliamo entrambi e conto su di te, su di noi…”
Kate attese in silenzio pensando a come le ombre del passato fossero ancora lì a torturarlo e ne era dispiaciuta. Non pensava che Castle volesse mettere intenzionalmente in dubbio la sua volontà, semplicemente aveva ricreato un quadro visivo molto vivido grazie alla sua immaginazione.
“Non ti imporrò mai una scelta, però…” Castle si abbassò ad accarezzare il ventre di Kate. Fece scivolare dolcemente il palmo della mano e sorrise. “Voglio che sia un bambino felice.”
“Non farò alcuna scelta in questo caso. Il nostro bambino avrà la priorità” Ammise Kate, ricambiando il sorriso.
Castle annuì. “Lo so piccola, è stato solo un momento di debolezza dovuto alla stanchezza. Mi dispiace averti turbato. Davvero, non ho ragioni per dubitare.” Strinse le sue mani con un sorriso mesto.
“Mal di testa eh?” Lui annuì.
Gli sorrise accarezzandolo. Aveva già risolto da solo, contraddittorio, ma chiaro. Il suo passato lo spaventava, eppure voleva che lei fosse felice, interamente. Pensò alle sue parole. Per quel poco che conosceva Meredith probabilmente la sua indole egoista e la sua eccessiva giovinezza avevano pesato molto sull’accaduto. Si ricordava delle parole di lei e di ciò che pensava a riguardo del fallimento del loro matrimonio. Da quanto aveva capito, Castle aveva deciso di far funzionare le cose anche se i due avevano gusti e aspettative diametralmente opposti. Si era dannato per arrivare a dare a sua figlia stabilità e una famiglia con entrambi i genitori. Lo poteva capire benissimo. Certamente era mancato il dialogo. Alzò gli occhi su di lui.
“Mi perdoni?” Chiese Castle contrito. Kate si spinse in avanti e lo baciò. “Vediamo…” Disse con una smorfia buffa. “Mi dovrai preparare una bella colazione…” Castle sorrise e ricambiò il bacio. La testa sembrava meno dolorante dopo aver vuotato il sacco sul suo stato d’animo.
“La tua ansia non ha niente a che vedere col fatto che domani c’è il funerale di Lopez?” Aggiunse facendosi seria.
“Dimmi solo che non farai parte del picchetto.” Lei scosse la testa. “No, sarà la sua squadra a fare gli onori.”
“Metterai la divisa nera?” Lei negò di nuovo.
“Non sarà facile.” Ammise Kate. Castle espirò rumorosamente. “Dio Kate, tornare in quel posto…”
Le labbra della donna si tesero. Le morse e le arricciò.
“Hai ragione, dobbiamo riposare… entrambi, altrimenti gli incubi ci tormenteranno.” Decretò. Era l’unico modo di staccarsi da una nuova ondata di pensieri negativi legati al passato.
“Già…” Castle scivolò tra le lenzuola e Kate si accoccolò a lui, cercandone il calore. Castle si girò sul fianco e appoggiò la mano su di lei, cingendole la vita. “Andrà tutto bene.” Kate annuì e chiuse gli occhi stringendo con forza la maglia di Castle.

La giornata non era stata affatto facile, come avevano previsto. Kate non era molto in forma a causa delle nausee che l’avevano messa in difficoltà nelle prime ore della mattina, aveva comunque stretto i denti ed era andata avanti col lavoro, aiutata da Castle che aveva fatto in modo che avesse l’energia necessaria per continuare. Lui ed il giusto nutrimento, una coppia impareggiabile per affrontare la giornata nel modo migliore.
La situazione con Howard Bass era purtroppo degenerata in un turbinio di minacce velate e tonnellate di carta dai legali dopo le accuse che gli erano state rivolte. Robert Randall aveva consegnato le informazioni in suo possesso. Non sarebbe stato facile per lui andare avanti, si era fatto un pericoloso nemico e non era il solo, probabilmente Bass se la sarebbe presa con il mondo intero, avrebbe fatto di tutto per uscirne o trascinare altri con sé nel disastro. Lo scandalo era già arrivato ai network ed ai giornali, facendo un gran rumore. Una cosa era certa, qualcuno nell’ufficio del procuratore distrettuale si era sbizzarrito dedicandosi a gossip non autorizzato. Il capitano Gates era andato su tutte le furie, tempestando di chiamate l’ufficio del procuratore chiedendo chiarimenti. Non aveva reso le operazioni più facili e il sindaco in persona si era scomodato a inviare qualcuno della sua segreteria per mettere le cose in ordine. Qualcosa stava accadendo negli alti ranghi della polizia, soprattutto dopo il coinvolgimento dell’ufficio del procuratore, nuovi sospetti di manipolazione erano nati in seno alla disciplinare, scatenando una sorta di inquisizione. Denver probabilmente era stato una volontaria pedina di questa operazione occulta per screditare la polizia di New York. Sarebbe stata una data fatidica che avrebbe scosso le fondamenta di una istituzione così longeva, ma secondo una agguerritissima Gates, andava fatta pulizia. Il capo della polizia avrebbe avuto il suo bel da fare.
La città era un po’ sottosopra per uno scandalo politico che non si sarebbe smorzato in tempi lunghi.
Il dodicesimo distretto però si era preso il tempo per dare l’ultimo addio ad un amico.
Quando Kate era scesa dall’auto davanti al cimitero, Castle l’aveva raggiunta subito chiudendo lo sportello dell’auto al posto suo. Era vestito di nero, ma aveva la camicia bianca per non rievocare troppo ricordi del passato. La giornata era fredda e umida ed il sole non era stato dei loro. La brezza fredda la fece rabbrividire mentre le loro mani si univano. Il ciuffo ribelle dell’uomo si mosse in modo scomposto, facendolo sembrare anche più sconvolto. Era stato il poco sonno, i ricordi riaffioranti e la sensazione di sbagliato che si portava dietro a dargli quell’aspetto ma per Kate era comunque adorabile.
“Tutto ok?” Aveva chiesto a Castle mentre lui annuiva lentamente guardandosi intorno.
“Sembra passata un’eternità ma le sensazioni sono ancora così vivide.” Mormorò tornando a guardare lei.
“Sarà il caso di sbrigarsi.” Aggiunse infine stringendo la mano e muovendosi a passi lenti verso l’ingresso del cimitero. La cerimonia sarebbe iniziata di lì a poco. “Andrà tutto bene.” Ripeté cercando il viso di lei che rispose con un sorriso carico di comprensione.
Seguirono la cerimonia osservando a lungo la famiglia di Lopez, così simile a quella di Montgomery quel giorno, la bandiera depositata sul feretro era mossa dall’aria. Nel grigiore di quel pomeriggio d’autunno le parole dell’officiante erano un debole segnale rumoroso nel fragore dei pensieri di Castle.
La moglie di Lopez stretta in un abito nero, sembrava così piccola e fragile attorniata dai suoi figli. Il più grande imbronciato, chiuso in una muta disperazione. La mascella contratta in un dolore sordo e chissà in che modo vi avrebbe dato sfogo. Magari avrebbe reagito come Kate, chiudendosi a riccio e costruendo barriere. Oppure avrebbe avuto il sostegno e l’amore di qualcuno che lo avrebbe aiutato a superare la cosa. Sperava fosse così. Erano ancora così piccoli in fondo.
Castle fece scorrere lo sguardo, scrutando ogni angolo di quel posto. Nessun luccichio sospetto al sole, nessun movimento strano. Solo un pallore diffuso. L’odore di morte delle foglie umide in decomposizione era fastidioso. La morte di Lopez era fastidiosa perché chi doveva essere al suo fianco per combattere la battaglia lo aveva tradito. Perché qualcuno stava ancora cercando di fare loro del male.
Era anche consapevole che in quella situazione molti dei loro amici li stavano osservando nello stesso modo in cui lui scrutava il luoghi circostanti, guardingo. Studiavano il loro comportamento chiedendosi cosa stessero provando. Si aspettavano la loro emotività senza dubbio. Si aspettavano empatia reciproca per quello che significava quel luogo. Nella tristezza dell’evento, c’era una cosa che lo rincuorava: come quel giorno di molti anni prima, sentiva di essere accanto alla persona giusta. Allora era accaduto tutto in una frazione di secondo, i pensieri che correvano veloci, la mente che razionalizzava ciò che stava accadendo: dal capire che l’amava al realizzare che stava rischiando di perderla e poi vederla morire tra le sue mani. Lo avevano superato e si erano ritrovati dopo tanto dolore. Avevano vinto e stavano insieme. Inspirò cercando l’ossigeno che sembrava mancare. Abbassò lo sguardo su di lei per trovarlo. Era vestita in un tailleur grigio. Niente divisa nera, in cui le era sembrata un fagotto indifeso stesa sul prato. Così era decisamente meglio.
Kate non si accorse subito delle attenzioni di Rick. Studiava la situazione concentrandosi sul drappello di uomini in nero che rendevano gli onori al loro amico e collega scomparso. Era strano essere li. Ci era tornata rare volte, da sola, di sfuggita, ma nulla del genere ad evocare nitidamente quel ricordo.
Ricordava le parole che aveva pronunciato, guardando Castle in piedi accanto a lei, ricordava la sensazione di calore che aveva provato pensando a lui in quel modo. E poi il dolore della ferita, la vita che stava scivolando via dal suo petto. E quell’accorata e vibrante dichiarazione d’amore. La mano tesa nel buio era stata l’amore di Castle.
La terapia che aveva svolto dopo l’accaduto era stata dura e devastante perché l’aveva messa di fronte ad un sentimento che aveva il terrore di affrontare. Non era solo la paura di essere divenuta un bersaglio, a quello poteva lavorare con il coraggio, ma quel desiderio che aveva combattuto, il dubbio di essere la donna sbagliata, di essere così distrutta interiormente da non poter avere, con un uomo come lui, la possibilità di una relazione. Era sprofondata in un abisso di paure. Di giorno aveva respinto ogni impulso che l’avrebbe portata a chiamarlo. Di notte sognava di sentire la sua voce. Si era logorata nel dubbio per poi capitolare alla consapevolezza di essere rotta, inguaribile.
Magicamente le era bastato rivederlo, imbronciato e stupendo, per decidere di provare, di trovare una colla per riaggiustarsi. Era stato un incontro strano e lui era così affascinante anche se arrabbiato, dolce e comprensivo tanto da darle un’altra possibilità di averlo vicino.
Alzò lo sguardo su Rick che era in piedi accanto a lei, con le braccia distese e i pugni chiusi. Anche lui era in balia dei ricordi, delle sensazioni.
Fece scivolare la mano destra sul suo braccio fino a raggiungere il pugno chiuso che si aprì lasciando spazio a quella di lei nei suo interno. Avvolse le dita dolcemente e sospirò. Quel contatto lo fece tornare dalla sua trance.
“E’ già passato così tanto tempo, da non credere…” Mormorò Castle. “Siamo arrivati fin qui.” Castle le cinse le spalle con un braccio, la strinse. Kate fece altrettanto accarezzandogli la schiena e appoggiandosi a lui che era intento a farle da scudo con il proprio corpo. Per quanto non fosse elegante in quel momento, lei non si allontanò. Godette di quel caldo abbraccio protettivo, ascoltando l’omelia. Parole che dovevano portare a consolazione. Non tutti però erano capaci di sentirle. Ora che le ascoltava pensava a quanto fosse necessario avere un modo di trovare pace. Aveva dato anni al buio e al tormento, cercando di trovare sollievo nel darlo agli altri. Sapeva di essere frutto di quel tempo. Non lo avrebbe rinnegato, ma ne era uscita. Avevano ancora molti nemici, lei e Castle, con lui li temeva meno di prima, senza sottovalutarli. Quel tempo buio era passato e ora viveva in una nuova vita. Aveva un futuro, un amore importante, un figlio e molto di ciò che la vita poteva regalarle di buono.
Rimasero in silenzio per il resto della cerimonia. Poi, quando il cimitero si svuotò, entrambi di comune accordo si diressero verso la lapide bianca che ricordava il loro vecchio capitano. Castle si abbassò e allontanò le foglie accumulate dal vento. Rimase accucciato sfiorando i caratteri incisi sulla pietra mentre Kate appoggiava distrattamente la mano sulla sua spalla.
Le emozioni erano così tante da definire. Nonostante tutto quello che aveva provocato il suo operato nel passato, amava il suo ricordo. Montgomery aveva alla fine deciso per la legalità ed aveva fatto ammenda pagando il conto con il proprio sangue e la propria vita. Con una mano si spostò i capelli che ricadevano sul suo viso accompagnando con l’altra i movimenti di Castle mentre si rialzava.
Lei si rifugiò nelle sue braccia. “Hai ancora dubbi, come stamattina?” Chiese inspirando profondamente.
Castle negò. “Mi dispiace, sono stato uno stupido.” Strinse gli occhi e si guardò ancora intorno.
“E’ normale avere un po’ di paura.” Replicò Kate. “Ce l’ho anche io.”
“Forse, ma non succederà più. Il nostro passato ha visto di peggio e io non posso farmi condizionare così dalla stanchezza…” Lei fece una smorfia.
“Non sei superman, hai anche tu i tuoi momenti di cedimento.”
Castle la strinse. “Io sono superman! Al momento sono sotto l’influsso della Kryptonite.”
Lei gli diede una pacca sulla spalla. “Quale sarebbe la tua kryptonite?
“Tuffami troppo nel passato, ho paura di sbagliare e con te non voglio...” Strinse le labbra scuotendo il capo.
“Come tutto questo… è un lontano ricordo che ferisce ancora come se fosse accaduto da poco. Ma per ieri ti chiedo scusa di nuovo. Ho avuto un attacco di panico.” Castle era ancora contrito, Kate lo accarezzò dolcemente rincuorandolo. Sebbene si fosse sentita un po’ smarrita aveva compreso che per Castle c’erano ancora molte cose da risolvere nel suo passato. Aveva superato i divorzi, ma non aveva superato la fatica e le difficoltà con Alexis, soprattutto in virtù di quanto riservava loro il futuro. Lo capiva, ne era consapevole anche lui di questa sua debolezza, confidava però nelle sue abituali vigorose reazioni. Avrebbe cercato un dialogo, per entrambi era necessario. “Ho bisogno di Rick, non di superman.” Disse infine appoggiando la fronte alla sua.
“Lo avrai. Sempre piccola.” Replicò grato Castle.
Si presero per mano e iniziarono a camminare lentamente verso l’uscita. Scorsero Ryan ed Esposito in lontananza, ad attenderli al cancello.
Kate lo fermò prima di avvicinarsi troppo a loro. “Una volta ho chiesto a Meredith quale fosse la ragione del fallimento del vostro matrimonio…” Castle sgranò gli occhi, sorpreso.
“Mi disse che tu conoscevi ogni sua passione, ogni suo timore. Ogni cosa di lei e, al contrario, lei non sapeva nulla di te, delle tue paure.” Castle strinse le labbra deglutendo.
“E… tu lo sai?” Era confuso e impreparato, però lei stava sorridendo quindi era tranquilla.
Kate annuì mordendosi le labbra. “So che hai paura della solitudine, perché l’hai vissuta. So che temi per i tuoi cari, hai paura di non riuscire a dargli la giusta protezione, la vita che vorresti per loro.” Prese le sue mani grandi e vi mosse le proprie più piccole all’interno. Castle abbassò lo sguardo.
“Poi hai paura dei ragni, dei serpenti e dei maremoti…” Disse con ironia. Castle rise. Lo conosceva così bene. Lo capiva e contava così tanto su quella loro affinità.
Rabbrividì e strinse gli occhi. “Odio i serpenti…” Risero sentendo la tensione allontanarsi e Kate si permise di scompigliare definitivamente i capelli di Rick, che si lasciò fare divertito prima di cercare di ricomporsi. Riuscire a scherzare tra loro in quel posto era di buon auspicio, in fondo delle tonnellate di guai che avevano vissuto da che si erano conosciuti, non avrebbero mai potuto dimenticare quel particolare evento.
Il punto era che erano vivi e si amavano, dando ragione al sacrificio di Montgomery che aveva creduto in loro come coppia e nella possibilità che Kate avesse un futuro, magari proprio un loro futuro. La cosa migliore che potevano fare per loro stessi e per onorare il suo sacrificio era perseverare in quella loro unione, confrontandosi ogni giorno e lottando per i loro sentimenti e quel futuro che gli era stato regalato.
“Sta per arrivare una tempesta che andrà avanti per un bel po’.” Aggiunse Castle sospirando. Si umettò le labbra e le arricciò. “Cosa pensi succederà?”
“Non saprei. Non ti nascondo che sono un po’ preoccupata. Conto sulla Gates e se il procuratore non è all’altezza del suo ruolo ci sarà un nuovo avvicendamento. Sai… comincio a pensare che proprio lei potrebbe avere una chance di arrivare a quella posizione.”
“Qualcuno cerca di screditarla quindi… è possibile. Dobbiamo stare attenti, ok? Tutti quanti. Tu sei la sua protetta.”
“Non esagerare Castle.” Commentò alzando gli occhi al cielo.
Castle sorrise sornione. “Ah, fai la modesta ora? Lo sai che ho ragione!”
Kate lo freddò con lo sguardo e poi passò delicatamente le dita sul bavero della sua giacca.
“Ci guarderemo le spalle.” Sentenziò.
Diedero un ultimo scaramantico sguardo alle loro spalle e poi di diressero verso gli amici che li stavano aspettando. I ragazzi li videro arrivare insieme, mano nella mano, sembravano sereni.
Ryan fece loro un sorriso gentile ed Esposito annuì senza profferire parola. I due amici avevano superato la giornata e il confronto col passato.
“Allora…” disse infine Esposito, una volta usciti dal cimitero. “Confermato per domani sera?” Ryan roteò gli occhi e scosse il capo.
Castle annuì. “Eccome! Dobbiamo festeggiare.” Poi si voltò a guardare il capitano, fermo davanti all’auto della famiglia di Lopez, parlava con calma alla vedova. La indicò a Kate e lei annuì.
“Andiamo, ci sono ancora tonnellate di cose da fare.” Disse infine riprendendo le redini del gruppo, ma senza allontanarsi dal suo uomo.
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Eccomi qui con il capitolo conclusivo.
Ringrazio tutti coloro che hanno perseverato nel leggere questa storia, si lo so, vi ho fatto attendere molto. Come sempre i tempi per me sono del tutto sfasati, ma eccomi qui a concludere una long, che ad onore del vero, non pensavo diventasse così long! Perdonate!
Un abbraccio.
Anna

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