For Ian, my love, my life

di HIMsteRoxy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** First meeting ***
Capitolo 2: *** A thing called Love ***
Capitolo 3: *** Brotherly Love ***
Capitolo 4: *** Call me maybe ***
Capitolo 5: *** A melting heart ***
Capitolo 6: *** The first date ***
Capitolo 7: *** Skinny Love ***
Capitolo 8: *** Whatever happened to our love? ***
Capitolo 9: *** Sometimes I wish we could be strangers ***
Capitolo 10: *** Let's make peace ***
Capitolo 11: *** Maybe I'm in Love ***
Capitolo 12: *** Everything will be okay ***
Capitolo 13: *** An unexpected reaction ***
Capitolo 14: *** Do you fancy a cup of tea? ***
Capitolo 15: *** A conversation between brothers ***
Capitolo 16: *** Did you just stop loving me? ***
Capitolo 17: *** I made a mistake ***
Capitolo 18: *** Farewell ***
Capitolo 19: *** My love, my life ***



Capitolo 1
*** First meeting ***


Londra. Giorno di Natale.
 
Era una mattina piuttosto fredda e molto spenta. Il cielo, coperto dalle nuvole, si era attenuto al classico clima londinese. La notte precedente aveva anche nevicato e tutt’ora non aveva ancora smesso.
Mi affacciai dalla finestra del mio appartamento a Belgravia, uno dei quartieri più rinomati di Londra, e fissai i marciapiedi coperti di neve e di numerose impronte in entrambi i sensi di marcia.
Distolsi lo sguardo dalla finestra e guardai l’orologio a pendolo, in fondo alla stanza: erano appena suonate le nove in punto. Sbuffai esasperato e ritornai a fissare il via vai di gente, sotto casa.
Non mi andava di uscire in quella mattina così fredda, ma avevo promesso ai miei genitori che avrei passato il giorno di Natale assieme a loro e a mio fratello Sherlock.
Odiavo il Natale. Mi chiedevo sempre cosa ci fosse di così bello ed entusiasmante nel festeggiare il Natale? Nulla, mi rispondevo mentalmente. In realtà, era solo un giorno come tutti gli altri, in cui io e mio fratello perdevamo tempo a litigare, a rinfacciarci vecchi risentimenti e a fare a gara a chi fosse il più intelligente della famiglia. Ovviamente vincevo sempre io.
Dopo essermi vestito, uscii di casa e mi recai nel mio ufficio per archiviare dei dati e subito dopo feci una piccola visita al Diogenes Club.
Sì, lo ammetto. Avevo solo voglia di perdere tempo – comportamento inusuale per uno come me – e di posticipare il momento in cui sarei stato obbligato a passare del tempo con mio fratello.
D’altronde era da una settimana che i miei avevano programmato nei minimi e ossessivi dettagli il Grande Giorno, come si ostinavano a chiamarlo loro.  
 
Mycroft, potresti aiutare tuo padre con l’albero?
Mycroft, perché non attacchi qualche decorazione in giardino?
Mycroft, non toccare la torta!
 
Tutto questo era assolutamente ridicolo e insostenibile!!
Ero riuscito ad eludere queste ricorrenze per un po’ di tempo, ma adesso ecco che ritornavano e non potevo sottrarmi al gravoso compito di festeggiare il Natale. Inoltre, sembrava che i miei mi reputassero ancora un bambino, ovviamente solo quando faceva comodo loro. Perché in realtà Sherlock era il preferito di mamma e tutto gli era perdonato. Anche ora che, nonostante il suo carattere prettamente infantile, era cresciuto anche lui.
Controllai l’orologio: erano le undici in punto. Lasciai il Diogenes Club e mi incamminai sotto la neve per le strade affollate di Londra, stringendomi nel mio cappotto. I bambini correvano allegri e spensierati per le strade, ridendo e cantando canzoni natalizie. Altri invece erano vestiti da piccoli elfi e si divertivano a colpirsi con grosse palle di neve.
Tutto intorno era un arcobaleno: luci ad intermittenza in ogni dove, stelle colorate ad ogni angolo della strada, pupazzi di neve sorridenti e uomini travestiti da Babbo Natale che suonavano campanelle e auguravano ad ogni passante un Buon Natale.
Quell’atmosfera felice e angelica mi dava sui nervi. Non era affatto felice, ma inorridito da tante gaiezza.
Il Natale, esclamai mentalmente raccapricciato. Probabilmente, a quel commento, il mio viso si era corrucciato e aveva appena assunto le sembianze di Ebenezer Scrooge.
Il Natale era, in realtà, un giorno come tutti gli altri. Non succedeva mai nulla di speciale, ammesso proprio che io stessi aspettando qualcosa di speciale.
La verità però era che mi sentivo tanto solo – una solitudine che ti attanaglia e non ti lascia andare più, di cui non puoi più fare a meno, ma che non riesci più a sopportare – e che purtroppo non riuscivo davvero ad ammettere nemmeno a me stesso. Di fronte a quel pensiero diventavo sordo e cieco e continuavo in modo ostinato a continuare per la mia strada.
Decisi di fare due passi per riflettere un po’. Di solito funzionava, quando mi sentivo particolarmente a disagio o ero nervoso. E quello in effetti era uno di quei momenti.
Davanti a me vedevo persone contente e allegre perché fosse Natale, coppie felici che si tenevano per mano e bambini curiosi che non aspettavano altro che scartare i propri regali.
Il Big Ben batté dodici rintocchi. Sospirai amaramente: ero già in ritardo. Quindi affrettai il passo e nella confusione, urtai involontariamente un giovane. Nell’urto gli caddero dalle mani parecchi pacchi rossi, abbelliti con dei nastri dorati.
Mi voltai verso di lui e rimasi colpito dalla bellezza del suo viso giovane. Non riuscivo a distogliere gli occhi e, faticando ad ammetterlo, mi sentivo attratto da lui.
I suoi occhi intensi, i suoi capelli chiari e i lineamenti dolci del suo viso gli donavano un’aura quasi eterea.
Ovviamente, più tardi, riconsiderai quel commento come ridicolo e convenni che ero stato abbastanza stupido da poter pensare una cosa del genere.
Continuai a fissarlo e, come risvegliatomi da un sogno, lo aiutai a raccogliere i pacchi, che adesso giacevano sul marciapiede innevato.
 
‘’ Mi scusi, non era mia intenzione ‘’ intervenni dispiaciuto, raccogliendo un pacco da terra.
‘’ No, non si preoccupi. Non è successo nulla ‘’ rispose lui, sorridendo di rimando.
‘’ Sicuramente le sto facendo perdere tempo. Magari è anche in ritardo, signor… ‘’ aggiunsi, additando i pacchetti.
‘’ Crayhill. Ian Christopher Crayhill ‘’ rispose automaticamente. ‘’ Per gli amici, basta Ian ‘’, aggiunse ridendo. Mi porse quindi la mano destra.
‘’ Mycroft. Mycroft Holmes ‘’ risposi stringendogliela.
‘’ Mycroft… un nome un po’ bizzarro, non trova? ‘’ pensò ad alta voce, mentre distoglieva appena lo sguardo.
‘’ Sì, inusuale. I miei genitori amano questo genere di… cose ‘’convenni sospirando, mentre il mio sguardo veniva catturato ancora una volta dai lineamenti del suo collo. Improvvisamente avvertii di nuovo quella strana sensazione e sentii caldo, nonostante fuori facesse molto freddo.
‘’ Holmes, ha detto? Credo di aver già sentito questo cognome… ‘’ rifletté, continuando a tenere lo sguardo fisso nel vuoto.
‘’ Avrà sicuramente sentito parlare di mio fratello Sherlock. Sherlock Holmes. ‘’ risposi, riuscendo a riprendere il controllo.
‘’ Oh sì, esatto! Il grande Sherlock Holmes. E lei è il fratello, bene! È un vero piacere conoscerla signor Holmes ‘’ il suo viso si illuminò e infine sorrise nuovamente.
‘’ Mi chiami pure Mycroft ‘’ risposi, restando stupito delle mie stesse parole.
‘’ Si occupa anche lei, oh scusi, Mycroft… Sei anche tu una specie di detective privato? ‘’
‘’ No, affatto ‘’ sorrisi appena per la sua domanda. ‘’ Io occupo solamente la posizione minore nel governo inglese. Non m’intendo di… omicidi. E tu, Ian? ‘’
‘’ Sono solo un semplice avvocato. Lavoro all’Old Bailey. ‘’
‘’ Solo? È pur sempre una posizione d’alto rango. ‘’ improvvisamente mi ricordai del pranzo a casa dei miei e aggiunsi dispiaciuto. ‘’ Me ne stavo per dimenticare… dovrei andare. Mi dispiace se ti ho fatto in qualche modo perdere tempo, sicuramente la tua famiglia sarà in ansia per te… ‘’ indicai i regali che teneva nuovamente in mano.
‘’ Nessun problema. Questi sono solo per il mio vecchio e scommetto che in questo momento abbia anche perso di vista l’orologio. È stato un vero piacere conoscerti, Mycroft ‘’
‘’ Anche per me. Beh, allora… Buon Natale, Ian! ‘’
‘’ Buon Natale anche a te, Mycroft ‘’
 
Arrivai a casa dei miei poco dopo, mentre mi stupivo del gran ritardo. Non era da me – questo era certo – ma per una volta la concezione del tempo era passata in secondo piano, mentre aveva intrattenuto quella casuale conversazione con uno sconosciuto.
 
‘’ Mycroft, tesoro! Finalmente! Eravamo tutti in pensiero per te ‘’ mi salutò mia madre.
‘’ Io no. ‘’ ribadì secco, Sherlock. ‘’ Cosa ti è accaduto? ‘’ domandò distrattamente.
‘’ Un piccolo contrattempo ‘’ risposi vagamente, mentre prendevo posto.
‘’ Spero nulla di grave… ‘’ commentò mia madre.
‘’ Aspetta… Mycroft che ha un contrattempo! Questa devo segnarmela. ‘’ s’intromise nuovamente Sherlock, abbozzando un sorriso sardonico. Lo guardi contrariato e sospirai, mentre lui continuava a guardarmi attentamente.
‘’ Sei venuto a piedi. Per quale motivo? Non hai preso la tua auto privata, hai pure mandato a casa Anthea e non hai chiamato nemmeno un taxi. Il tuo cappotto è bagnato, la neve ha avuto il tempo di sciogliersi, quindi hai perso tempo in strada. Hai incontrato qualcuno? Ovviamente! Ecco il tuo piccolo contrattempo. Io direi che si è trattato di un piacevole incontro, sennò non avresti perso tutto questo tempo. Un uomo, magari? ‘’
‘’ Sherlock, non iniziare… ‘’ risposi, roteando gli occhi.
‘’ Mio fratello che rompe l’equilibrio delle proprie abitudini… adesso sì, che è Natale! ‘’
 
Cercai di ignorarlo e per un attimo lasciai che la mia mente ricordasse quella breve ma piacevole – su questo Sherlock poteva avere pure ragione – chiacchierata.
Ero rimasto colpito, in un modo o nell’altro, da quel giovane e nello specifico dal suo modo di parlare, dalla sua voce, dal suo sorriso e dalla sua semplicità.
Per la prima volta nella mia vita, dopo molti anni, aveva sentito qualcosa. Qualcosa di molto profondo.
Per la prima volta mi sentivo davvero appagato, senza un motivo apparente.
Per la prima volta il Natale non era poi così sgradevole come avevo pensato.

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Capitolo 2
*** A thing called Love ***


Londra. 1 Gennaio.
 
Me ne stavo seduto sulla poltrona preferita di mio padre, quella rossa accanto al camino, con in mano un bicchiere di brandy, mentre fissavo pensieroso le fiamme ardere. Mia madre era in cucina, intenta a preparare il tipico pranzo inglese, mentre canticchiava un’allegra canzone.
Adoravo la magica atmosfera che si veniva creare ogni anno nel periodo natalizio; era come ritornare bambini e scoprire di non essere mai cresciuti.
Ebbi un flash improvviso e ritornai con la mente a pochi giorni prima, esattamente al giorno di Natale e all’incontro che avevo casualmente fatto.
Quella mattina ero uscito per comprare gli ultimi regali e al ritorno, in una delle strade più affollate della capitale, mi ero ritrovato davanti ad un uomo alto, vestito elegantemente e molto gentile. Nella confusione mi aveva urtato e i pacchi, che tenevo in mano uno sopra l’altro, erano caduti a terra e l’uomo si era subito apprestato a raccoglierli.
La prima cosa che mi colpì fu il colore indecifrabile dei suoi occhi: erano di un azzurro che si sfumava in un grigio freddo, come l’oceano all’orizzonte quando il cielo è coperto da nuvole.
Percepii anche un tonfo al cuore e più continuavo a guardarlo più mi rendevo conto che quell’incontro era stato fatale e che mi aveva lasciato dentro qualcosa d’importante, che non potevo certo ignorare.
Grazie ad esso, tornai a casa molto più allegro e con la voglia di rivederlo. Chissà che potesse nascere un’amicizia profonda o magari anche qualcos’altro.
Sapevo però solo il suo nome e il fatto che fosse il fratello maggiore di Sherlock Holmes. Vagamente ero al corrente della sua occupazione, ma niente che riguardava la sua personalità o il suo carattere.
 
‘’ Ian, una signorina molto gentile ha appena lasciato un pacco. È indirizzato a te. Aspettavi qualcosa, per caso? ‘’ domandò mio padre, rientrando in casa. Tornai alla realtà e lo guardai confuso. Non so di che cosa stava parlando, in realtà.
‘’ Un pacco? No, papà. Ma la posta lavora anche oggi? ‘’ risposi, mentre posavo il bicchiere di brandy sul tavolino e mi accingevo ad aprire il misterioso pacco. Lo osservai attentamente, soppesandolo. Difatti era molto pesante: doveva sicuramente contenere qualcosa di fragile.
Tagliai il nastro dorato che lo avvolgeva e presi il biglietto che vi era allegato. A prima vista si trattava di un biglietto molto particolare, non uno di quelli che si vedono di solito in giro, e riportava in alto due sole lettere in caratteri gotici: The D.C.
Lessi quindi il contenuto del biglietto, che era stato scritto a penna, in una calligrafia molto accurata.
 
‘’ A Ian Christopher Crayhill. I miei sinceri auguri per un felice anno nuovo.
Mycroft Holmes
 
PS: Spero che accetterai il seguente invito: oggi pomeriggio, alle 5.00, al Diogenes Club: n. 10 di Carlton House Terrace, Londra ‘’
 
Sorrisi istintivamente nel leggere il suo nome e mio padre mi fissò curioso, chiedendomi indirettamente delle spiegazioni.
‘’ Un cliente? ‘’ domandò, tirando ad indovinare.
‘’ No, un mio amico ‘’ risposi, posando il biglietto accanto al bicchiere. Mi stupii per la facilità con cui lo definii ‘ amico ‘ e non un semplice conoscente.
Aprii curioso il pacco, facendo attenzione a non danneggiare in alcun modo il contenuto. Si scoprì qualche secondo dopo contenere un paio di bottiglie di vino del 2000. Un vino molto pregiato.
‘’ Oh, molto gentile il tuo amico ‘’ esclamò mio padre, prendendo in mano una bottiglia. ‘’ Ha dei gusti molto raffinati, il signor…. ‘’
‘’ Holmes, papà ‘’ risposi, sorridendo.
 
Mi sedetti di nuovo sulla poltrona e ripresi in mano il biglietto. Lo lessi e rilessi più di una volta. I miei occhi luccicavano per la gioia. Sentivo il cuore battere all’impazzata e ripensai al suo dolce viso sotto la neve.
 
Ore 5.00 PM, The Diogenes Club
 
Scelsi il mio vestito migliore, scartandone molti altri che non reputavo adatti all’occasione o che pensavo dessero un’impressione sbagliata, e mi recai come stabilito al Diogenes Club.
Non avevo mai sentito parlare di questo club e non sapevo davvero cosa aspettarmi. Il nome stesso mi metteva già in soggezione e durante il tragitto avevo più volte fantasticato su che tipo di club fosse. Già la parola ‘ club ‘ dava l’impressione di qualcosa di raffinato. Magari un club filosofico, basato principalmente sulle filosofie elleniche; come suggeriva il nome stesso.
Arrivato a destinazione, mi fermai per qualche attimo ad ammirare l’immensa facciata in stile classico – che altro avrei dovuto trovare, dopotutto? – e mi accinsi finalmente ad entrare, mentre ignoravo i battiti accelerati del mio cuore.
L’immensa sala d’ingresso, ornata da colonne in stile dorico, era occupata da alcuni signori ben vestiti, intenti a leggere il giornale o a sorseggiare semplicemente del tè caldo.
La prima cosa che mi colpì fu il silenzio reverenziale di cui era satura l’intera stanza. Nessuno parlava ed era come se stessero anche trattenendo il respiro.
Successivamente l’occhio mi cadde su un cartello, apposto su una delle pareti, che avvertiva il divieto di parlare o semplicemente di disturbare i soci del Club.
Che strano club, pensai mentre feci qualche passo in avanti, cercando di fare il minor rumore possibile. Nell’evenienza che avessi per sbaglio urtato un tavolino, avrei voluto sprofondare sotto terra in meno di un secondo.
Arrivato quasi a metà, la porta davanti a me si aprì improvvisamente e vidi apparire Mycroft Holmes. Era come sempre vestito in modo elegante e teneva in mano un ombrello blu, vecchio stile.
Rimasi a fissarlo senza avere il coraggio di aprire bocca. Di rimando lui – senza accorgersi della mia presenza – controllò il suo orologio da taschino, si guardò attorno e i suoi occhi finalmente si posarono sui miei. Il suo sguardo impassibile si sciolse in un sorriso appena accennato.
 
Ci accomodammo in un’altra sala – la Stranger’s Room, come diceva la dicitura sulla porta – più piccola della prima, ma pur sempre accogliente. Anche questa, come la prima, era decorata raffinatamente e abbastanza luminosa.
Presi posto in una delle due poltrone, a cui era affiancato un tavolino – stesso schema che avevo già notato nella hall del club – e Mycroft si sedette di fronte a me.
 
‘’ La devo ringraziare per il suo gentile invito, signor Holmes ‘’ dissi, abbastanza impacciato. ‘’ E anche per il regalo… non doveva ‘’ aggiunsi.
Lui sorrise in modo impercettibile e rispose. ‘’ Sbaglio o ci davamo del tu, Ian? ‘’
‘’ Oh, sì. Mi scusi… cioè, voglio dire, scusa Mycroft ‘’
‘’ Un piccolo pensiero, tutto qua. Sarà stato lo spirito natalizio ‘’ rispose, muovendo la mano destra, a mo’ di spiegazione. Il sorriso era scomparso e adesso aveva assunto un’espressione più seria. Poi si alzò e si avvicinò alla sua scrivania, che constatai era molto ordinata. Niente era fuori posto.
‘’ Come sapevi dove abitavo? ‘’ chiesi dubbioso. In realtà, questa domanda mi era venuta in mente subito dopo aver letto il suo biglietto. Avevo ripensato alla nostra chiacchierata e non ricordavo di avergli dato il mio indirizzo.
‘’ Ho molti contatti. Ricordi? Lavoro nel Governo. Devo sapere dove abitano i sudditi della nostra amata Regina… posso offrirti qualcosa? Una tazza di tè, un bicchiere di whiskey… cosa preferisci? ‘’ rispose tranquillo, come se quella risposta dovesse dissipare in me ogni dubbio.
‘’ Oh, va bene anche un bicchiere di whiskey ‘’ mi affrettai a rispondere, mentre dimenticavo momentaneamente i miei precedenti dubbi. Mi mossi a disagio sulla poltrona e lo osservai. Era molto sicuro di sé e si muoveva con un’ottima padronanza. Quello era sicuramente il suo ambiente predominante; un tipo di ambiente a cui però non ero molto abituato. Lui parve accorgersene e mi fissò quasi curioso.
‘’ Va tutto bene? Se c’è qualcosa che non va… ‘’
‘’ Oh no, va tutto bene ‘’ risposi, cercando di riprendere il controllo della situazione. Lo vidi versare un po’ di whiskey in due bicchieri di vetro, quindi si avvicinò e mi porse il mio.
‘’ Spero di non aver danneggiato la tua routine quotidiana… avevi altri impegni oggi? ‘’ mi chiese tranquillo, mentre sorseggiava il suo whiskey. Io feci lo stesso e risposi prontamente alla sua domanda.
‘’ No, ero dai miei genitori. Come ogni anno. Non avevo nulla in programma ‘’
‘’ Bene. Sono davvero contento che tu abbia accettato il mio invito. Di solito non succede spesso che io riceva gente qui, eccetto quando si tratta di lavoro. A dire la verità, non ho molti amici… ‘’ spiegò, di nuovo agitando la mano libera quasi fosse infastidito da qualcosa.
‘’ Oh… ‘’ fu la mia unica risposta. Non riuscii ad esprimere le emozioni che sentii in quel momento. Ero davvero dispiaciuto per lui, per il fatto che non avesse difatti molti amici, ma mi sentivo così impacciato per dirglielo.
Dal canto suo Mycroft sospirò profondamente e mi fissò con un’espressione diversa. Avevo avuto all’inizio l’impressione che fosse un uomo tutto d’un pezzo, molto serio e rigido, magari come un pezzo di ghiaccio, ma adesso il suo viso sembrava essersi rilassato, come se avesse deciso di aprirsi un po’.
Parlammo per almeno un’ora della nostra vita privata, del lavoro, della famiglia, di suo fratello di tante altre cose. In realtà, parlai quasi sempre io e lui si limitò ad ascoltare. Mi accorsi che era un buon ascoltare e che rispondeva in modo vago ad alcune domande personali che riguardavano se stesso o la sua famiglia. Sul lavoro si sbilanciava un po’ di più, ma sempre cercando di non spingersi oltre un certo limite.
Lasciai il Diogenes Club, verso le sei e mezza, speranzoso e contento. Si era creata una certa sintonia ed ero sicuro che qualcosa stesse nascendo tra me e Mycroft. E non vedevo l’ora di scoprirlo.  

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Capitolo 3
*** Brotherly Love ***


Londra, 10 Gennaio.
Stranger’s Room, The Diogenes Club
 
Era passata una settimana da quando avevo incontrato Ian. Non avevo avuto più modo di sentirlo o rivederlo, così cercai di non essere precipitoso e di far passare un po’ di tempo. Inoltre tutto questo era per me nuovo e non volevo buttarmi a capofitto in qualcosa che, fino a poco tempo fa, aborrivo totalmente. Le mie relazioni con la gente non erano granché ed avevo tutti i motivi per continuare a vivere in questo modo e per restare rinchiuso nella mia comfort zone.
Dopo aver sbrigato alcune faccende in ufficio, decisi di recarmi – rispettando così la mia solita routine quotidiana – al Diogenes Club per rilassarmi un po’.
La mia mente ripensò a quel pomeriggio e a tutto quello che avevo provato, malgrado la mia razionalità cercasse di porre un freno, in quei momenti.
Avevo agito senza pensare, lo ammetto. Ero riuscito a scoprire dove abitasse – un gioco da ragazzi per uno come me – e avevo deciso di mandargli un piccolo regalo per scusarmi, in qualche modo, per l’incidente del giorno di Natale.
Non che stessi a pensarci molto e così gli scrissi anche un biglietto in cui lo invitavo a passare qualche ora qui, al Club. Ma subito dopo mi pentii di quel gesto così gentile e al tempo stesso impulsivo. Non era mia abitudine lasciarmi andare ai sentimenti, farmi guidare dal cuore e di conseguenza agire senza riflettere.
Di solito programmavo tutto nei minimi dettagli e doveva rasentare la perfezione, ma stavolta avevo agito in modo diverso. Perché stavolta era diverso, me lo sentivo. I dubbi però affollavano la mia mente: se qualcosa fosse andato storto? Se non avesse accettato il mio invito?
Probabilmente stavo correndo troppo e rischiavo così di fare una brutta impressione. Magari aveva già declinato il mio invito – una parte di me, quella razionale, desiderava che così avvenisse – e mi aveva giudicato come un insolente.
A dire la verità, quel pomeriggio avevo già perso le speranze da un bel pezzo ed ero rimasto stupito quando, alle cinque in punto, me l’ero trovato nella hall del Diogenes Club.
Grazie alla sua splendida compagnia passai un bel pomeriggio. Per un paio d’ore dimenticai tutti i problemi che costantemente riempivano la mia mente: dagli affari nazionali agli scandali politici, da piccole idiozie ai perenni litigi con mio fratello Sherlock. Quest’ultimi, in particolare, erano delle vere e proprie seccature.
Mi preoccupavo costantemente per lui, sebbene cercassi di non darlo a vedere, ma era come se lui attirasse guai e si cacciasse sempre in situazioni molto imbarazzanti. E le cose che mi irritavano parecchio erano il suo comportamento infantile e il suo essere così saccente.
Per la prima volta ero riuscito a distrarmi da quelle che chiamavo responsabilità e dovevo solo ringraziare Ian. Lui aveva senso dell’umorismo, – caratteristica che mancava in me – era molto divertente e allegro come lo erano tutti i giovani. Senza accorgermene sorrisi e mi sentii a disagio per quel sorriso così sincero.
Sentii un colpo alla porta e subito dopo apparve la sagoma snella di mio fratello, che entrò direttamente.
Ritornai alla realtà e mi alzai dalla poltrona un po’ frastornato. Sperai che non si fosse accorto del mio momentaneo smarrimento.
 
‘’ Fratellone, a che pensavi? ‘’ mi chiese in modo beffardo.
‘’ Nulla che ti riguardi. Piuttosto, a cosa devo la tua visita? ‘’ risposi, sorridendo sardonico.  
‘’ Riguarda forse Natale, giusto? Magari ha a che fare con quell’insolito contrattempo? ‘’ domandò Sherlock, evitando di rispondere alla mia domanda.
‘’ Sherlock, ti prego… non ho tempo da perdere con i tuoi stupidi giochetti ‘’ assunsi un’aria infastidita e incrociai le braccia, aspettando che si decidesse a vuotare il sacco.
‘’ Ti ho trovato comodamente seduto sulla tua poltrona. Non hai quindi impegni urgenti. E posso dedurre facilmente che, dal tuo sorriso di prima, si trattava di un’infatuazione. Una simpatia o qualcosa del genere, insomma. ‘’
‘’ Le tue deduzioni sono errate, fratellino. E poi, cosa ne sai tu di queste cose? ‘’ risposi, impassibile. Sherlock ritornò serio e si accomodò sgraziatamente su una delle due poltrone. Presi anche io posto e lo guardai, senza dire nient’altro.
‘’ Ho bisogno del tuo aiuto ‘’ disse, rompendo il silenzio.
‘’ Davvero? Cosa hai combinato stavolta? ‘’
‘’ Mycroft, stavolta non ho nessuna colpa ‘’
‘’ Chi è allora il colpevole? ‘’
‘’ Qualcuno ce l’ha con me e non so ancora il motivo ‘’
‘’ Hai indagato su qualcosa che non dovevi? ‘’
‘’ Per l’amore del cielo, Mycroft! Non ho nessuna voglia di scherzare ‘’
‘’ Di chi si tratta? ‘’
‘’ James Moriarty ‘’
‘’ Mai sentito nominare, ma non sarà difficile trovare qualche informazione sul suo conto. Di cosa si occupa? ‘’
‘’ Consulente criminale, mi hanno riferito ‘’
‘’ Quindi non lo conoscevi prima… ‘’
‘’ Mycroft, no. Non so davvero chi sia, né cosa voglia esattamente da me. So solo che è una questione davvero importante. Per questo sono venuto da te. ‘’
‘’ Vorresti che scoprissi qualcosa su di lui, giusto? ‘’
‘’ Esattamente, il prima possibile ‘’
‘’ Farò quel che potrò. Ma ho bisogno di avere altre informazioni ‘’
‘’ Sei o non sei il più intelligente di me, come ami definirti? ‘’
‘’ Sì, Sherlock. Non intendevo però questo: sai benissimo che se c’è qualcosa in mezzo di molto grosso, io non amo immischiarmi ‘’
‘’ Beh, fammi sapere. ‘’ concluse Sherlock, raggiungendo l’uscita.
‘’ Certamente, Sherlock. Oh, e salutami il tuo nuovo coinquilino, il dottor Watson. A proposito, come va la convivenza? ‘’
‘’ Benissimo! ‘’ una risposta secca e sarcastica uscì dalle labbra di Sherlock.
‘’ Devo aspettarmi qualche bella notizia? ‘’
‘’ Mycroft, ci sentiamo ‘’ concluse, andando via.
 
Lo fissai andare via e mi lascia andare sulla poltrona. La pausa era finita. Avevo un alto problema di cui preoccuparmi. Meglio iniziare subito le ricerche.
Passai però le restanti ore senza scoprire nulla di veramente importante. Era come se questo James Moriarty non esistesse sulla faccia della Terra. Non c’era nulla su di lui, assolutamente nulla. Né una foto segnaletica, niente indirizzo o luogo di nascita. Come se fosse addirittura un clandestino o come se avesse ripulito il suo profilo e falsificato carte, per non farsi trovare.
Eppure da come ne aveva parlato Sherlock, doveva essere molto pericoloso. Anzi sicuramente era così.
L’unico indizio era la sua professione: consulente criminale, ammesso che fosse vero. Ma cosa voleva dire esattamente con l’espressione ‘ consulente criminale ‘? Doveva ammettere che non peccava di originalità e quell’espressione nascondeva in sé qualcosa di molto pericoloso, deviante e interessante al tempo stesso. Soprattutto per uno come Sherlock, che sicuramente la vedeva come una sfida che non si poteva assolutamente rifiutare. Sherlock amava le sfide e adesso era apparso questo tizio, che gliene stava offrendo una su un piatto d’argento. Come un’esca pronta a catturare il pesce, ma alla fine chi avrebbe vinto?
Dopo aver passato delle ore invano, decisi di lasciar perdere e di ritornare a casa. Avrei chiamato Sherlock per metterlo al corrente e l’indomani avrei chiesto in giro. Avevo uomini fidati che potevano infiltrarsi ovunque, se ben pagati.
Presi cappotto e ombrello e lasciai il Club. Era una serata abbastanza umida, di lì a poco si sarebbe messo a piovere. Chiamai il mio autista ed entrai in macchina, lasciandomi alle spalle tutti i problemi.

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Capitolo 4
*** Call me maybe ***


Old Bailey, Londra.
 
Terminato il periodo natalizio, ritornai al mio lavoro di avvocato difensore all’Old Bailey e ad occuparmi di varie cause civili. Nulla di che, in realtà, solo alcuni reati minori, a volte molto noiosi. 
La mia vita quindi riprese ben presto lo stesso ritmo monotono: le mie giornate si alternavano tra il tribunale, qualche ufficio di Londra, la pausa pranzo e casa. Non c’era assolutamente nulla di speciale nella mia vita di avvocato.
L’ultima volta che avevo visto Mycroft al Diogenes Club, prima di andarmene, mi aveva gentilmente dato un suo biglietto da visita, in cui erano annotati il suo nome, l’indirizzo del club e due numeri di telefono. Immaginai che il primo appartenesse al club stesso e che il secondo fosse il suo numero privato.
Avrei dovuto chiamarlo, ma ogni volta che prendevo in mano il telefono mi mancava il coraggio e lasciavo perdere tutto.
Cosa avrei dovuto dirgli esattamente? Dovevo invitarlo a cena? O dovevo evitarlo di proposito? Ero così confuso che non sapevo quale decisione prendere.
Con il passare dei giorni, occupato com’ero dal lavoro, me ne dimenticai completamente.
 
‘’ Signor Crayhill? ‘’ la voce roca del giudice mi fece risaltare e in aula calò il silenzio. Sbattei le palpebre e, imbarazzato, mi alzai dal mio posto e lo fissai, cercando di ricordare nel frattempo perché mi avesse chiamato.
‘’ Sì, Vostro Onore? ‘’ domandai, cercando di perdere tempo.
‘’ Ha intenzione di rimanere lì, tutto solo? ‘’ rispose eloquente, mentre si accingeva a dirigersi verso l’uscita.
‘’ Come, scusi? Oh… ‘’ mi guardai attorno e mi accorsi effettivamente che l’aula era vuota. Guardai l’orologio e sospirai. Anche per oggi avevo finito. Raccolsi le mie cose e uscii fuori, diretto verso casa.
 
Abitavo in un umile appartamento a Temple, il cosiddetto quartiere degli avvocati, vicino la Royal Courts of Justice, non molto lontano dalla casa dei miei genitori. Aprii la porta e la prima cosa che feci fu buttarmi sul divano e rilassarmi.
Amavo il mio lavoro. Avevo combattuto molto per studiare e diventare un barrister. Avevo concentrato tutta la mia vita su quello, ma adesso sentivo che mi mancava qualcosa. Era come se la mia vita fosse vuota, nonostante tutto.
Chiuse gli occhi per qualche secondo e rividi il viso di Mycroft. Sentivo tanto la sua mancanza. No, dovevo assolutamente chiamarlo. Dovevo farlo il prima possibile.
Cercai di ricordare dove avessi conservato il suo biglietto da visita. Forse nel cappotto.
Mi alzai dal divano e lo presi, cercando nelle tasche invano. Lì non c’era.
Eppure l’ultimo posto dove ricordavo di averlo messo era proprio quello. Mi sforzai di spremere le meningi e iniziai pure a mettere sottosopra tutto l’appartamento.
Dopo quasi mezz’ora di perlustrazione ritrovati vittorioso il prezioso biglietto, che aveva ovviamente conservato nel portafogli.
Respirai a fondo, ripetei ad alta voce per l’ennesima volta le singole frasi che dovevo dire e lo chiamai.
Dopo alcuni secondi sentii la sua voce e per poco non mi scivolò dalle mani il cellulare.
 
‘’ Pronto? ‘’ rispose, come sempre, in modo cordiale. Mi chiesi se non si arrabbiasse mai e se fosse sempre così controllato.
‘’ Sì, sono Ian Crayhill ‘’ risposi imbarazzato. Passarono alcuni secondi di silenzio, in cui iniziai a pensare le cose più peggiori. Forse l’avevo disturbato oppure una mia telefonata non era affatto gradita. Mi rilassai solo quando ritornò a parlare nuovamente.
‘’ Ciao Ian! Come stai? ‘’ domandò lui, effettivamente sincero.
‘’ Benissimo, tu? Spero di non averti disturbato… ‘’
‘’ Non ti preoccupare… dimmi pure ‘’
‘’ Ecco, mi chiedevo se ti andasse di passare la serata in qualche locale… ‘’
‘’ Questa sera? ‘’
‘’ Sì, ma se hai impegni non… ‘’
‘’ Posso liberarmi. ‘’ esclamò deciso.
‘’ No, davvero. Se sei già impegnato, non fa nulla. Sarà per un’altra volta, magari… ‘’
‘’ Dovrei andare da mio fratello, ma posso anticipare. Non sarà un problema. ‘’
‘’ Non vorrei assolutamente crearti problemi. Dai, facciamo pure un’altra volta… anzi, scusami per il disturbo… ‘’ conclusi, deciso a salutarlo e a mettermi l’anima in pace.
‘’ Ian? Accetto il tuo invito. Farò di tutto per liberarmi. Stasera va benissimo! ‘’
‘’ Oh, okay… Allora, facciamo alle sette, per te va bene? ‘’
‘’ Va benissimo. Hai già deciso dove incontrarci? ‘’
‘’ Oh, vediamoci a Marylebone Road ‘’
‘’ Va bene, a stasera Ian ‘’ concluse, riattaccando.
‘’ A dopo, Mycroft ‘’ dissi, restando con il telefono ancora in mano.
 
Mi risedetti sulla poltrona, posai il cellulare sul tavolo e fissai il vuoto, estasiato. Sentivo i battiti del cuore aumentare sempre di più, il respiro iniziò a farsi pesante e sorrisi di gioia. Ce l’avevo fatta! E lui aveva accettato il mio invito!
Mi sentito così felice e fiducioso, che ero sicuro che tutto sarebbe andato perfettamente. Era come se mi trovassi in paradiso.
Sospirai nuovamente e istintivamente cominciai ad immaginare ad occhi aperti la magica serata che mi aspettava.

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Capitolo 5
*** A melting heart ***


221B Baker Street, Londra

 Nel primo pomeriggio ricevetti una chiamata da Ian. Gli avevo lasciato il mio biglietto da visita e sinceramente non mi ero aspettato di ricevere una sua chiamata.
Dal suo tono di voce capii subito che si sentiva molto imbarazzato. Il motivo della sua chiamata era un invito a cena in un ristorante di Marylebone Road.
Avevo voglia però di incontrarlo nuovamente e nessuno mi avrebbe impedito di mancare all’appuntamento.
D’altronde non ero riuscito ad ignorare alcuni segni che la parte più sensibile di me stesso continuava a mandarmi.
Accettai così il suo invito e, dopo aver staccato la chiamata, mi organizzai per bene. Dovevo infatti andare a parlare con Sherlock, come avevo accennato allo stesso Ian, riguardo quelle ricerche sul misterioso James Moriarty.
Arrivato a destinazione, bussai alla porta e gentilmente venne ad aprirmi, come di consueto, la signora Hudson che mi accompagnò direttamente al piano di sopra.
Sherlock era rannicchiato sulla sua poltrona, con lo sguardo assorto nel vuoto. Sicuramente stava riflettendo su qualcosa. Il dottor Watson invece scriveva assorto al suo blog.  

‘’  Mycroft? Cosa ci fai qua? ‘’ mi chiese Sherlock, quando ritornò alla realtà. Restò nella stessa identica posizione e mi osservò da capo a piedi.
‘’ Dottor Watson ‘’ salutai, accennando un flebile sorriso verso John. ‘’ Ho fatto quelle ricerche che mi avevi chiesto ‘’ aggiunsi, ritornando a guardare Sherlock.
‘’ Non ne ho più bisogno ‘’ rispose, scontroso.
‘’ Come, scusa? ‘’ domandai, stupito.
‘’ Abbiamo incontrato James Moriarty proprio ieri sera ‘’ spiegò John, distogliendo lo sguardo dallo schermo del pc e voltandosi direttamente verso di me. La notizia mi sorprese ancora di più e non lo nascosi.
‘’ Stava per farci saltare in aria e… ‘’ aggiunse John, mentre Sherlock tornava nel suo solito torpore.  
‘’ Santo cielo! Con chi abbiamo a che fare, allora? ‘’ esclamai. ‘’ Purtroppo non ho trovato molto sul suo conto ‘’
‘’ Ovvio, Mycroft ‘’ replicò seccamente, Sherlock.
‘’ Allora? ‘’
‘’ Allora, cosa? ‘’
‘’ Come pensi di agire? ‘’
‘’ Prima o poi si farà vivo. Ne sono certo. ‘’ rispose, impassibile.
‘’ Sherlock, dobbiamo fermarlo. ‘’ s’intromise John. ‘’ Mycroft, non potrebbe fare qualcosa lei? ‘’ aggiunse, fissandomi davvero preoccupato.
‘’ Adesso che è uscito allo scoperto in un modo così diretto, potrei sempre tenerlo d’occhio. ‘’
‘’ Grazie ‘’ rispose John, sospirando.
‘’ Se proprio devi, Mycroft… ‘’ aggiunse Sherlock.
‘’ Sai benissimo che… ti do volentieri una mano ‘’ dissi, mentre controllavo l’orologio. Sherlock si accorse di quel particolare, si alzò immediatamente dalla poltrona e mi venne accanto, fissandomi curioso, come se avesse fiutato qualcosa di particolare.
‘’ Cosa c’è? ‘’ domandai, aspettando che iniziasse magari a fare una delle sue deduzioni.
‘’ Hai un appuntamento stasera? ‘’ domandò, scrutando i miei occhi. John si voltò verso di me, aspettando anche lui una risposta.
‘’ Perché me lo chiedi? ‘’ risposi in modo evasivo.
‘’ Sei rimasto sulla porta. Di solito ti siedi comodamente e perdi tempo a puntualizzare su tutto. Tranne oggi. ‘’ disse, spiegando la sua deduzione.
‘’ Appuntamento di lavoro. Nulla di importante ‘’ risposi, sospirando. Sherlock annuì sorridendo e John fece finta di nulla.
‘’ Ora se non vi dispiace, andrei… John, a presto! ‘’ conclusi.
‘’ Divertiti, fratellone… ‘’ rispose Sherlock, prendendo in mano il suo violino e iniziando a suonare. Lo fissai per un attimo, serio in volto, dopodiché scesi le scale e ritornai a casa per prepararmi per la serata.

Feci una doccia veloce e scelsi qualcosa da mettere, rimanendo a fissare sconsolato l’armadio.
Era una serata troppo importante e non potevo permettere che qualcosa la rovinasse. Doveva essere perfetta.
Alla fine scelsi uno dei miei completi migliori e mi sedetti su una sedia, fissando le lancette dell’orologio a pendolo, davanti a me.
Iniziavo a sentirmi nervoso e agitato.
Io, che per tutta la vita, ero riuscito a rimanere impassibile davanti ad ogni situazione, ora mi sentivo insicuro.
Io, che riuscivo a controllare anche le più forti emozioni, adesso sentivo sciogliersi il mio cuore. Quel cuore di ghiaccio.
Dovevo proprio provare qualcosa di profondo per perdere la testa in questo modo.
Sospirai e controllai di nuovo l’orologio: mancava ancora un quarto d’ora alle sette.
Mi guardai attorno nervosamente. Non mi andava di aspettare ancora. Volevo trovarmi già lì, davanti all’ingresso del ristorante e incontrare Ian.
Decisi di fare quattro passi per allentare la tensione, così presi l’ombrello e, dopo aver osservato il mio riflesso sullo specchio, uscii diretto verso Marylebone Road.
Fuori l’aria era fredda, così mi strinsi nel cappotto, cercando di rimanere il più calmo possibile. Sentivo però l’ansia salire sempre di più e affrettai il passo, arrivando così in anticipo davanti al ristorante.
Ovviamente non c’era ancora nessuna traccia di Ian e aspettai fuori, passeggiando avanti e indietro sul marciapiede, facendo oscillare di tanto in tanto l’ombrello.
Controllai nuovamente l’orologio: adesso mancavano solo – ancora! – cinque minuti alle sette. Sospirai in preda al nervoso e mi accesi una sigaretta nell’attesa, mentre scrutavo ogni angolo della strada.
Finalmente vidi sbucare da un angolo un giovano dai capelli chiari: era Ian! Percepii nuovamente una forte sensazione e improvvisamente il tempo si fermò.

 

 

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Capitolo 6
*** The first date ***


Arrivai a Marylebone con pochi minuti di anticipo e girando l’angolo vidi Mycroft. L’osservai un po’ prima di raggiungerlo: passeggiava avanti e indietro lungo il marciapiede, mentre fumava una sigaretta. Aveva l’aria impaziente e, come al solito, era sempre vestito in modo impeccabile. Il mio abbigliamento invece, in confronto al suo, non era poi un granché. Indossavo una semplice camicia, dei pantaloni neri e una giacca scura.
Continuai ad osservarlo, fino a quando lui si accorse di me. Gettò via la sigaretta, si sistemò la cravatta e mi venne incontro lentamente. Mi avvicinai anche io e gli sorrisi. Per qualche secondo vidi il suo viso cambiare espressione e distogliere lo sguardo dai miei occhi per posarli a terra. 

‘’ Mycroft, grazie per essere venuto ‘’ esclamai, continuando a sorridere.
‘’ Grazie a te ‘’ rispose lui, educatamente.
Ci fu quindi un lungo minuto di silenzio, nel quale iniziai a sentire caldo. Cercai però di contenermi e di non rovinare tutto.
‘’ …scusami! Quanto sono maleducato… ce ne stiamo qui al freddo. Beh, entriamo. ‘’ spezzai il silenzio con il mio fare impacciato, mentre mi maledicevo mentalmente.
Entrammo nel locale e un cameriere ci venne incontro sorridendo. ‘’ I signori hanno prenotato un tavolo? ‘’ ci chiese, mentre ci invitava a togliere i cappotti.
‘’ Sì, Crayhill ‘’ esclamai. Il cameriere annuì e ci indicò un tavolo al centro della sala. Lo seguimmo in silenzio e prendemmo posto uno davanti all’altro. I miei occhi si concentrarono sulla figura elegante di Mycroft, mentre lui invece si guardava attorno e sorrideva.
‘’ Bel posticino ‘’ esclamò, ritornando a guardarmi.
‘’ Sì, davvero carino ‘’ convenni anch’io. ‘’ Vogliamo fare un brindisi? ‘’ domandai, versando del vino. In realtà l’idea del brindisi era solo un pretesto per rompere il ghiaccio. Mi sentivo fin troppo impacciato – e di solito non ero così. Mycroft annuì e prese direttamente il bicchiere.
‘’ A questa serata, allora! ‘’ dissi, imitandolo e alzando il bicchiere.
‘’ E a noi ‘’ aggiunse Mycroft, facendo lo stesso.  

Dopo aver finito di cenare restammo ancora un po’ seduti, a parlare un po’ di noi e di quello che ci era successo in questo periodo.  

‘’ Cos’hai fatto in questi giorni, allora? ‘’ gli domandai, curioso.
‘’ Sempre le solite cose, in realtà. Ultimamente ho tutti i giorni impegnati ‘’ rispose lui, alzando le spalle.
‘’ Spero di non averti dato fastidio. Mi dicevi prima che dovevi vederti con tuo fratello, oggi. ‘’
‘’ Sì, mi ha chiesto di fare delle ricerche su un uomo ‘’ rispose, sbilanciandosi un po’. ‘’ La solita routine ‘’ aggiunse, serio.
‘’ Spero niente di grave ‘’ risposi, percependo in lui quel cambiamento di umore. In realtà, non erano affari miei e ovviamente non avrei insistito se lui non avesse voluto parlarmene.
‘’ Oh, non saprei… mi preoccupo costantemente per lui, anche se non lo do a vedere. Stavolta però la faccenda sembra essere molto seria, quindi non posso certo ignorare certi fatti. ‘’
‘’ Cos’è successo? ‘’ domandai, istintivamente. Poi però mi bloccai e cambiai espressione. ‘’ Scusami, sono stato insolente. ‘’ mi affrettai a scusarmi.
‘’ No, non ti preoccupare. Posso anche dirtelo, non si tratta di un segreto di stato. Non è una faccenda top secret, ecco. Forse ne avrai anche sentito parlare, chissà… Sherlock ha avuto modo di fare la conoscenza di un soggetto che noi riteniamo sia abbastanza pericoloso. Sembra che gli abbia lanciato una sfida e mio fratello – ovviamente – non è riuscito a rifiutare ‘’
‘’ Ed il motivo? ‘’
‘’ Oltre questo? Non so. A quanto pare ama le sfide. In ogni caso, mio fratello si caccia sempre nei guai. O meglio sono i guai che lo rincorrono, come se fosse una specie di calamita ‘’
‘’ Dici sul serio? Sembra il contrario. Non so, guardandolo ci si fa un’idea diversa ‘’
‘’ Oh, credimi… è molto orgoglioso. E tale orgoglio, a volte, lo porta a ficcanasare in faccende che non lo riguardano. Tutto questo solo per divertirsi e per dimostrare al mondo di essere il più intelligente. Forse, dopotutto, è una prerogativa di noi Holmes ‘’
‘’ Non ci vedo nulla di male, in realtà. Voglio dire, la sua fama è dovuta proprio alla sua bravura. Oh, e ovviamente questo non esclude nemmeno il suo amico John Watson! ‘’
‘’ Sì, il dottor Watson! ‘’
‘’ Ho letto alcuni casi che riguardano tuo fratello. Il suo blog, devo ammettere, è molto interessante ‘’
‘’ Ho letto anch’io qualcosa di sfuggita, di tanto in tanto… sembra che mio fratello lo abbia ipnotizzato con le sue deduzioni e il suo brivido della caccia all’assassino. Chissà che questo non porti ad altro ‘’
‘’ Avverto però una nota di sarcasmo nella tua voce. Da come ne parli non avete un buon rapporto, o sbaglio? ‘’
‘’ Credo che il nostro rapporto si possa definire come una sorta di amore e odio. La verità è che non è facile ‘’
‘’ Eppure ti preoccupi per lui, nonostante il vostro rapporto… complicato ‘’
‘’ Sì, questo è vero. Probabilmente perché sono il fratello maggiore ed ho sempre fatto così ‘’  

Dopo aver pagato il conto uscimmo fuori e prima di salutarci, rimasi a fissarlo. Avevo passato una bella serata in sua compagnia e sperai che così fosse stato anche per lui. 

‘’ Grazie per la bella serata, Mycroft ‘’
‘’ Sono stato bene, grazie a te ‘’ rispose lui, accennando un flebile sorriso. Io ricambiai il sorriso e continuai a guardarlo. La verità era che non avevo alcuna voglia di andare via. Volevo rimanere in sua compagnia per un altro po’ e magari seguitare ancora a parlare, ma temevo però di stare correndo troppo.
Improvvisamente scostò lo sguardo dai miei occhi e alzò il capo, guardando in alto. ‘’ Guarda, sta nevicando… ‘’ esclamò, indicando il cielo. Io non lo guardai nemmeno, i miei occhi fissavano il suo viso. ‘’ Vuoi che ti accompagni oppure preferisci… ‘’ aggiunse, ma non ebbe il tempo di finire la frase. Non riuscii più a trattenermi, feci un passo in avanti e lo baciai, socchiudendo gli occhi.
Quell’attimo sembrò durare un’eternità. Le mie labbra che si posavano sulle sue e si scioglievano in un bacio. Percepii un brivido salire lungo la schiena, lo ignorai e seguitai a baciarlo. Solo dopo mi allontanai appena dal suo viso e mi resi conto di ciò che avevo appena fatto.
Me ne vergognai fin subito e abbassai lo sguardo, in cerca di una spiegazione plausibile, ma la verità era che non vi era alcuna spiegazione ad un gesto simile. Era così chiaro. Adesso dovevo solo sperare che anche lui avesse gradito e che non avevo rovinato la nostra amicizia con quel bacio improvviso. Con la coda dell’occhio cercai di sbirciare il suo viso. Vidi lo stupore nei suoi occhi, semplice e puro stupore. Non se l’era aspettato. Questo era certo.
Bastò comunque un secondo perché il suo viso cambiasse espressione e indossasse la sua maschera di ghiaccio. Mi fissò impassibile, senza proferire alcuna parola. Iniziai a pensare che era stata davvero una cattiva idea e mi sentii terribilmente in colpa. Non disse nulla, non fece nulla, e continuava a guardarmi in modo serio, come se quello fosse un errore che non avrei mai dovuto commettere. ’ Perdonami ‘’ sussurrai, evitando di guardarlo negli occhi. ‘’ Non avrei dovuto, scusami… non so cosa mi è preso, io… ‘’ non finii la frase e gli voltai le spalle, iniziando a camminare e lasciandolo lì, solo, sotto la neve.

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Capitolo 7
*** Skinny Love ***


Restai a fissare la sagoma di Ian, mentre scompariva nel buio della notte. Non mi mossi, né lo chiamai. Non feci assolutamente nulla.
Ero rimasto ancora scosso dal suo improvviso bacio e non ebbi così nemmeno il coraggio di fermarlo.
Eppure quel bacio, per quanto improvviso fosse stato, era stato gradito dal sottoscritto. Mi passai, istintivamente un dito sulle labbra, e sorrisi tra me e me.
Perché allora ero stato immobile a fissarlo? Perché non avevo detto nulla? E perché non l’avevo fermato?
Fissai la neve cadere e decisi infine di camminare un po’, prima di tornare a casa.
Ero stato davvero uno stupido e, con questo mio comportamento, avevo rovinato tutto. Colpa mia e del mio carattere, non c’era altra spiegazione.
Ne avevo passate così tante che negli anni mi ero costruito una sorta di maschera e una corazza molto dura. Avevo sempre odiato quel mio lato sentimentale e che riguardava le emozioni. Ma diventavo così debole quando provavo ad esternare ciò che sentivo, che preferivo quindi chiudermi in me stesso e non mostrare questo lato – questa debolezza – alla gente.
Ed era proprio questo il motivo per cui odiavo i sentimenti, i coinvolgimenti e tutto ciò che implicava una qualsiasi emozione. Questo ovviamente valeva anche, e soprattutto, per l’amore. Non riuscivo a fidarmi ciecamente delle persone, piuttosto preferivo rimanere da solo con la mia unica compagnia.
Ero diventato l’uomo di ghiaccio, apatico e forse anche sadico. Questi gli aggettivi che magari avrebbero usato le persone, se qualcuno gli avesse chiesto di descrivermi.
Dopotutto, mi chiedevo perché essere coinvolti in qualcosa? Tutte le vite terminavano, tutti i cuori, prima o poi, sarebbero stati spezzati. Perché preoccuparsi? Perché soffrire? Tutto questo non portava a nulla, non vi era alcun vantaggio. Anzi, era solo una perdita di tempo.
Sentivo però che in qualche modo avevo sbagliato. Con me stesso e con Ian. La mia totale indifferenza lo aveva fatto scappare. Aveva frainteso il mio silenzio e non capendo che si trattava solo ed esclusivamente di un silenzio imbarazzato, di uno che aveva vissuto gran parte della sua vita in solitudine.
Prolungai quella che all’inizio doveva essere una breve passeggiata, mentre la temperatura continuava a scendere sempre di più. Mi strinsi nel mio cappotto, cercando di contrastare in qualche modo il freddo, e alla fine mi sedetti su una delle panchine che davano proprio davanti alle rive del Tamigi.
Non aveva nessuna voglia di tornare nella mia desolata casa e sentirmi ancora più solo di quello che ero. Era già tardi, però, quindi cambiai idea e fermai un taxi, chiedendo all’autista di portarmi a Belgravia.
Entrai nel mio appartamento, posai il cappotto e l’ombrello e mi diressi in soggiorno. Accesi i riscaldamenti, allentai con un gesto nervoso la cravatta e poi sbottonai la camicia.
Mi sentivo troppo giù di morale, così mi versai del whiskey, mentre raggiungevo la finestra e fissavo il panorama notturno.
Londra di notte era bellissima. Mille luci risplendevano nel buio. Davanti a me si stagliava imponente Buckingham Palace e un po’ più a sud c’era Westminster Abby, con l’imponente Big Ben e accanto ad esso il London Eye.
Mi lasciai andare sulla poltrona e mi addormentai dopo un po’.  

Fui svegliato dallo squillare del mio cellulare e confuso mi alzai. Barcollai un po’ e finalmente risposi al telefono, mentre mi accorgevo che era già giorno.  

‘’ Sì? ‘’ risposi, farfugliando.
‘’ Mycroft? Tutto… bene? ‘’ domandò l’altra voce.
‘’ Sì, con chi sto parlando? ‘’
‘’ Mycroft, ma hai bevuto per caso? ‘’ sbattei le palpebre e solo dopo alcuni secondi riconobbi la voce di mio fratello.
‘’ Sherlock, cosa c’è? ‘’ sospirai.
‘’ Non hai saputo ancora niente? ‘’
‘’ No, se te lo sto chiedendo… ‘’
‘’ James Moriarty ha fatto irruzione alla Torre di Londra, ha pure disattivato i sistemi di sicurezza ‘’
‘’ Cosa? Quando? ‘’ impallidii.
‘’ Stamattina, verso le otto ‘’ rispose Sherlock. Guardai l’orologio: era quasi mezzogiorno. Per quanto tempo avevo dormito esattamente?
‘’ Raccontami tutto ‘’
‘’ Non ha rubato nulla. Lo hanno trovato con addosso i gioielli della Corona. Ed è riuscito anche ad infiltrarsi nei sistemi di sicurezza della Banca d’Inghilterra e di Pentonville, ma non ha preso nulla ‘’
‘’ Dov’è adesso? ‘’
‘’ Lo hanno arrestato. Sarà giudicato da un tribunale ‘’
‘’ Grazie per avermi avvertito, Sherlock ‘’
‘’ Figurati. A proposito, com’è andata ieri la cena? ‘’
‘’ Sherlock, non penso che sia il momento giusto per… ‘’
‘’ Deduco che sia andata male. Mi chiedo quale sia stato il motivo ‘’
‘’ Non sono affari che ti riguardano, dopotutto ‘’
‘’ Allora, ho ragione! Qualcosa è successo! Posso darti un consiglio, Mycroft? Non vale la pena bere. Ci sentiamo! ‘’ concluse Sherlock, staccando la chiamata. Io restai a guardare l’intera stanza e il bicchiere vuoto.  

La giornata non poteva iniziare in un modo migliore. Sospirai amaramente e cercai di allontanare il torpore. Inoltre avevo anche un gran mal di testa. Dovevo assolutamente farmi una doccia e riprendere il controllo della situazione. Però sentivo dentro di me che avevo un’altra questione di sospeso: quella con Ian. Dovevo chiamarlo e scusarmi con lui o lasciare perdere e dimenticare direttamente la serata precedente?

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Capitolo 8
*** Whatever happened to our love? ***


Old Bailey, Londra.  

Erano passati alcuni giorni dall’ultima volta che avevo visto Mycroft. Non ci eravamo più sentiti e la cosa mi pesava un po’. Mi sentivo ancora terribilmente in colpa per quel bacio e non avevo avuto più il coraggio di richiamarlo e di spiegargli le mie intenzioni.
I raggi del sole illuminarono la mia stanza. Aprii lentamente gli occhi e guardai l’orologio: erano le sei in punto. Rimasi a fissare il soffitto per qualche minuto e sospirai. Dopodiché decisi di alzarmi.
Quel giorno avevo un’udienza importante al tribunale. Il mio cliente, James Moriarty, era stato arrestato da Scotland Yard e condannato per vari furti, tra i quali comparivano addirittura i gioielli della Corona.
Feci colazione, poi una doccia veloce e infine mi vestii. Presi tutto il materiale che mi sarebbe servito e mi recai in tribunale.
Il mio cliente era già lì. Presi quindi posto e dopo mezz’ora cominciò il processo.
Tra i vari testimoni venne ascoltato anche il famoso Sherlock Holmes. Al sentire nominare il cognome ‘ Holmes ‘ mi girai di scatto e sentii un tonfo al cuore. Ebbi anche una specie di allucinazione e per un attimo invece di vedere il fratello minore degli Holmes, vidi direttamente Mycroft. Sbattei le palpebre confuso e cercai di non distrarmi e di focalizzare l’attenzione solo ed interamente sul processo.
Non avevo mai avuto il piacere d’incontrare il fratello di Mycroft. Avevo sempre visto la sua faccia, stampata solo su qualche quotidiano. Niente di più. Mi sembrò comunque più alto di quello che sembrava.
Dopo la sua testimonianza, il processo continuò. Venne anche il mio turno, ma il mio cliente non aveva fornito alcun testimone a suo favore, così al giudice non restò che pregare la giuria di scegliere se condannare o assolvere il mio cliente.
Alla fine venne assolto e quindi rilasciato. Mi congratulai con il mio cliente e, dopo aver sbrigato alcune faccende, tornai a casa.
Il mio cellulare improvvisamente iniziò a squillare: era Mycroft! Esitai per qualche attimo, poi decisi di rispondere.  

‘’ Mycroft? ‘’ mormorai, cercando di sembrare tranquillo, ma al tempo stesso un po’ distaccato.
‘’ Ian, come stai? ‘’ mi chiese lui, percependo nella sua voce un po’ d’imbarazzo.
‘’ Oh, bene. Sì, va benissimo ‘’ risposi, annuendo. ‘’ Il mio cliente ha appena vinto una causa, quindi non posso che essere contento… ‘’ aggiunsi, divagando e parlandogli della prima cosa che mi venne in mente.
‘’ Mi fa piacere… ‘’ fece una breve pausa, quindi continuò a parlare. ‘’ Ho chiamato per scusarmi per l’altra sera. Mi sono comportato in un modo davvero deplorevole. ‘’
‘’ No, è stata colpa mia invece… ‘’ dissi, giustificandomi.
‘’ Ian, voglio chiarire una buona volta questa storia. Hai frainteso il mio silenzio. Penso che ne dovremmo parlare di presenza, però. Sei libero, in questo momento? ‘’
‘’ Sì, certo! ‘’
‘’ Dove possiamo vederci? ‘’
‘’ In questo momento sono a casa. Puoi venire anche qui, se vuoi. Avevo pure voglia di festeggiare per stamattina, se vuoi puoi unirti a me… Un motivo in più per vederci e parlare. ‘’
‘’ Va bene ‘’  

Dopo mezz’ora io e Mycroft eravamo seduti in soggiorno. Avevo cercato di ignorare il perenne imbarazzo che provavo sempre e tentai anche di non farlo sentire in imbarazzo. Avevamo deciso di parlare e di risolvere questo problema, quindi avrei cercato di ascoltare prima di arrivare a conclusioni sbagliate. Da una parte però continuavo a sentirmi in colpa e pensavo di aver veramente frainteso, nonostante le sue parole.   

‘’ Posso offrirti qualcosa, Mycroft? Cognac, whiskey, brandy? Scegli pure tu ‘’
‘’ Andrà bene anche il whiskey. Mi accennavi al fatto di festeggiare questa tua piccola vittoria, no? Il tuo cliente ha vinto la causa ‘’
‘’ Oh sì! Sono davvero molto contento ‘’ esclamai, mentre gli porgevo il bicchiere. Mi versai anche io un po’ di whiskey e infine brindammo alla mia vittoria.
Mycroft allora si guardò attorno un po’ a disagio e sospirò, mentre sicuramente rifletteva su quali parole usare. Ritornò a guardarmi e finalmente iniziò a parlare.
‘’ Sono davvero dispiaciuto per quella sera. Non mi aspettavo, a dire la verità, quel bacio. Mi dispiace anche per non aver detto nulla. Di solito cerco di non farmi condizionare dalle emozioni, così in quel momento mi sono sentito frastornato ‘’
‘’ Mycroft, è solo colpa mia. Non ho pensato prima di agire. Non ho nemmeno pensato a quale reazione avresti potuto avere ‘’
Mycroft non seppe cosa rispondere e ritornò a bere. Io restai in silenzio e distolsi appena lo sguardo. ‘’ Per me è abbastanza difficile, ma devo ammettere che nonostante tutto ho apprezzato il tuo gesto. Mi stupisco di ciò che sto dicendo ora, ma è così. Quindi non darti nessuna colpa ‘’ aggiunse, fissando distrattamente il suo bicchiere. Io accennai un sorriso alle sue parole, mi sentii più sollevato e lo guardai. Avrei dovuto immaginare quanto fosse stato – e fosse ancora – difficile per lui ammettere ciò che iniziava a provare per me. Quella sera avevo veramente frainteso tutto.
‘’ Stamattina ho visto tuo fratello ‘’ esclamai, cambiando discorso. Mycroft smise improvvisamente di bere e cambiò espressione. Alzò lo sguardo verso di me e diventò molto serio. Non capii cosa stesse accadendo e continuai a parlare.
‘’ Tutto bene, Mycroft? ‘’ gli chiesi, cercando di capire. Sembrava che improvvisamente fosse davvero turbato. Di rimando lo vidi aggrottare la fronte.
‘’ Hai visto mio fratello? Dove? ‘’ domandò.
‘’ In tribunale ‘’ risposi, tranquillo. Mycroft distolse lo sguardo e fissò il vuoto, mentre evidentemente pensava a qualcosa.
‘’ Qual è il nome del tuo cliente, Ian? ‘’ domandò, allora, scandendo ogni singola parola.
‘’ Come? Perché? Non capisco cosa c’entra adesso? ‘’ chiesi, stupito. Non riuscivo davvero a capire dove volesse arrivare.
‘’ Rispondi alla domanda ‘’ ordinò nuovamente in tono serio.
‘’ James Moriarty ‘’
Alla mia risposta, Mycroft impallidì improvvisamente e non disse più nulla. Mi guardò esterrefatto, quindi bevve uno, due sorsi di whiskey e deglutì.
‘’ Lo conosci? ‘’ chiesi, allora.
‘’ Se lo conosco? ‘’ ripeté freddo. Si alzò di scatto e mi fissò malissimo. Poi iniziò a scuotere la testa, disgustato. ‘’ Scusami Ian, ma credo che sia meglio che io adesso vada… ‘’
‘’ Ma… per quale motivo, Mycroft? ‘’ mi alzai anch’io e lo guardai, perplesso.
‘’ Non pensavo che lui avesse convinto anche te della sua innocenza. Moriarty è tutto tranne che innocente ‘’ affermò, guardandomi come se fosse un insetto da schiacciare. Poi andò via, senza dire nient’altro. Non ebbe né il tempo né la forza di replicare. Restai lì, inerme. Era deluso. Deluso da me e dal mio comportamento. Riuscivo a leggerglielo negli occhi. L’avevo deluso e stavolta capii che era definitivo. Un errore del genere non avrei mai dovuto commetterlo. E la colpa era di nuovo mia.

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Capitolo 9
*** Sometimes I wish we could be strangers ***


The Diogenes Club, Londra
 
La mia mente vagò incessantemente per ore ed ore. Il sole tramontò su Londra e lasciò il posto alla sera. Non mi accorsi in realtà di nulla, nemmeno del tempo che passava così in fretta. Mi ritrovai seduto nella mia poltrona al Diogenes Club, l’unico posto che amavo e in cui mi sentivo al sicuro.
Per un attimo non ricordai nemmeno come fossi arrivato fin qui. La mia mente non faceva altro che evocare una scena in particolare: il viso tranquillo di Ian, mentre mi riferiva di aver visto mio fratello, in tribunale. In quel momento avevo sentito il cuore iniziare a battere sempre più forte. Era una sensazione sgradevole, non come le altre volte. E non riuscivo davvero a credere alle mie orecchie. Non poteva essere vero, non doveva essere vero. Stava mentendo, forse. I suoi occhi però non mentivano. Riuscivo a vederlo. Quella che era uscita dalle sue labbra era la pura verità.
Fu esattamente in quell’istante che capii tutto e provati una tale angoscia e una tale delusione che il mio primo pensiero fu quello di fuggire via da lui.
Quelle parole erano riuscite a cambiare l’opinione che mi ero fatto su di lui. Era bastato solo un secondo per far sfracellare al suolo quei castelli che avevo costruito nella mia mente. Non l’avrei ammesso né ora né mai, ma sì! Qualcosa stava nascendo nel mio cuore. Qualcosa a cui non riuscivo ancora a dare un nome. Quel sentimento, probabilmente, così forte ed intenso che lega due persone per l’eternità. Quel sentimento che avevo paura di provare. Quel sentimento chiamato amore.
L’iniziale pigrizia lasciò spazio alla totale apatia e fu così che rimasi per tutto quel tempo inchiodato a quella poltrona. Le braccia poggiate – anzi, sprofondate – sui braccioli, gli occhi vacui e spenti che fissavano un punto indefinito della stanza, mentre la mente continuava instancabilmente a vagare a quell’esatto momento.
Mi sentivo deluso, arrabbiato e nervoso. Fino a quel momento non avevo intuito nulla. Non avrei mai pensato che lui – proprio lui! – potesse lavorare in un modo o nell’altro per il criminale più pericoloso di Londra. Per James Moriarty! Era assolutamente inaccettabile.
Perché doveva essere tutto così complicato? E perché stavo male? Perché sentivo dentro di me questa angoscia? Perché non facevo altro che pensare alle sue parole? Perché il suo viso compariva davanti ai miei occhi e io sorridevo istintivamente, senza un motivo ben preciso? Perché non subentrava l’indifferenza?
 
‘’ Perché sei innamorato, Mycroft. Ecco perché. ‘’
 
Una voce nella mia mente rispose a tutte quelle domande. Innamorato. Inorridii automaticamente. No, non dovevo innamorarmi. Io non ero il tipo che si innamorava della gente. Io non provavo nulla per Ian. Era solo un conoscente. Niente di più. Io non ero come gli altri. Ero diverso, lo ero sempre stato. Ero superiore a questo genere di cose. Non potevo farmi ingannare dall’amore. Non potevo lasciarmi andare a questi sentimenti. Non potevo passare per un uomo debole. No, io ero The Iceman.  
Deglutii. In me vi era una lotta tra la parte razionale e quella sentimentale. Una parte di me aveva già perdonato Ian – aveva fatto solo il suo lavoro, nient’altro. L’altra parte però era più scettica: era stato solo un ingenuo, come aveva potuto essere così cieco? O forse avrebbe risposto a tale domanda, dicendo che tutti hanno diritto ad avere un avvocato difensore?
Mi sentivo in un certo senso ingannato. Non mi aveva messo al corrente di quel piccolo, ma importantissimo particolare. Non potevo perdonarlo così, su due piedi. Dopotutto perché avrei dovuto? Non lo conoscevo.
Cosa mi stava succedendo esattamente? Faticavo a riconoscermi. Non ero più lo stesso da quando avevo conosciuto Ian. Il mio cuore non faceva altro che fare di testa sua, ogni volta che lo vedevo o pensavo semplicemente a lui. E questo iniziava a succedere fin troppo spesso. Mi ero pure accorto che non riuscivo più a concentrarmi sul lavoro, un fatto che mi lasciava senza parole. Mai e poi mai avevo messo al primo posto qualcuno o qualcosa. Il mio primo posto era stato sempre occupato solo ed esclusivamente dal mio lavoro.
Dovevo mettere fine a tutto questo, dovevo prendere una decisione drastica e non rivedere mai più Ian. Mai più.
Non mi sarei più fatto vivo, non l’avrei più chiamato e avrei fatto finta di nulla. Non avrei commesso di nuovo lo stesso errore.
L’avrei dimenticato e sarei andato avanti con la mia vita, come se quel giorno di Natale non l’avessi mai incontrato.
Avevo finalmente preso la mia decisione. Ero finalmente riuscito a far prevalere la mente sul cuore ed avrei così continuato ad essere The Iceman. Niente e nessuno avrebbe potuto farmi cambiare idea a riguardo, d’ora in avanti.

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Capitolo 10
*** Let's make peace ***


In quel momento non mi ero reso veramente conto di ciò che era successo quel pomeriggio a casa mia. Non avevo assolutamente collegato i due fatti. Non sapevo che l’uomo di cui aveva parlato tempo fa Mycroft fosse proprio James Moriarty, ovvero quel mio cliente che era stato assolto.
Ero stato un ingenuo e per questo meritavo il modo con cui Mycroft mi aveva trattato. Eppure non riuscivo a darmi pace. Com’era potuto succedere esattamente? I giornali non facevano altro che parlare di lui, di Sherlock Holmes e dei reati di cui era stato imputato, ma la mia mente non aveva minimamente pensato che si trattasse proprio di quella persona che Mycroft e Sherlock definivano il criminale più pericoloso di Londra.
Iniziai così a riflettere sulla faccenda e cominciai a pensare che evidentemente avevano ragione. D’altronde io avevo solo fatto il mio lavoro, che non era poi stato chissà che cosa. Avrei dovuto ovviamente raccogliere ogni genere di testimonianza a favore del mio cliente, ma niente di tutto questo era stato raccolto. Il mio cliente aveva espressamente dichiarato di non voler presentare alcun tipo di prova a suo favore. Molto insolito da parte sua, soprattutto perché veniva accusato di reati gravi.
In ogni caso, appresi successivamente dai giornali che probabilmente James Moriarty, oltre ad essere un criminale, era un uomo senza scrupoli e molto furbo. Si diceva che avesse ricattato la giuria e proprio per questo motivo venne assolto, nonostante i capi d’accusa.
Ma ormai ciò che era stato fatto non si poteva più cambiare. Confidavo comunque nel fatto che, se il mio assistito fosse stato davvero colpevole, avrebbe prima o poi pagato per i suoi reati.
Adesso però tutto questo aveva causato una nuova crisi tra me e Mycroft. Non ce l’avevo con lui, in realtà, per essersene andato dopo aver scoperto una tale notizia. Sapevo che la situazione era davvero assurda e riuscivo anche a capire il suo stato d’animo. Dovevo però parlargli e spiegargli esattamente come stavano le cose. Anche solo per correttezza. Quella era una faccenda in sospeso che volevo chiarire assolutamente.
Provai a chiamarlo nei giorni seguenti molte volte, ma non ricevetti mai una risposta. Tentai pure di contattarlo al secondo numero che mi aveva dato, quello che corrispondeva al club, ma ogni volta mi avvertivano che il signor Holmes era molto impegnato in quel momento e se volevo lasciare un messaggio. Rifiutai tutte le volte. Ebbi l’impressione che mi stesse evitando, anche se in cuor mio speravo solo che avesse troppo lavoro da sbrigare e che non avesse mai un momento libero per parlare con me.
Più i giorni passavano, più mi sentivo inerme e frustrato da questa situazione così insostenibile. Non avrei fatto finta di niente, non avrei lasciato correre, ma gliene avrei parlato, prima o poi. In qualunque modo.
Così riflettei sull’idea di presentarmi direttamente al Diogenes Club e aspettare che mi ricevesse. Immaginai mille scenari, alcuni molto improbabili che sfociavano alla fine in una lite furibonda e dove alcuni inservienti – che avevo intravisto di sfuggita la prima volta che avevo messo piede al club – mi prendevano di peso e mi buttavano fuori, mentre lui assisteva alla scena inerme e con quel suo sorriso impercettibile, stampato sul viso. Un sorriso enigmatico, difficile da interpretare e che si poteva benissimo fraintendere.
Alla fine mi decisi e di buona lena un pomeriggio mi presentai al Diogenes Club. Entrai dentro e, a passi decisi, attraversai la hall mentre osservavo i membri intenti, come al solito, alla lettura dei loro quotidiani o a sorseggiare il loro tè. Rimasi sorpreso quando vidi che la porta che accedeva alla Stranger’s Room fosse aperta. Sbirciai titubante dentro e non vidi nessuno. Mycroft non c’era. Sospirai deluso, poiché mi ero preparato un lungo discorso ed adesso però non avevo la possibilità di recitarlo il prima possibile. Avrei dovuto aspettare e chissà quanto tempo. In ogni caso, decisi che valeva la pena aspettarlo. Ormai ero là e non me ne sarei andato se prima lui non avesse ascoltato ogni mia singola parola.
Presi posto su una poltrona e aspettai. Mi alzai nervosamente e passeggiai avanti e indietro. Controllai più volte l’orologio, mi avvicinai alla scrivania, di nuovo ritornai a sedermi, e nuovamente mi alzai avvicinandomi agli scaffali pieni di libri. Ne lessi i titoli, ne sfogliai qualcuno, lo riposi subito al suo posto per non sgualcirlo in nessun modo, e continuai a vagare come un’anima in pena. Quell’attesa stava diventando snervante, ero sul punto di andarmene direttamente e non mettere più piede in quel posto, che io trovavo solo troppo snob.
Molte volte mi ero chiesto a cosa servisse veramente quel club così esclusivo, in cui non si poteva né parlare né disturbare gli altri. Avevo sempre pensato che i club servissero alla gente per chiacchierare o per giocare a golf o chissà che altro, non per stare in silenzio per conto proprio. Quella sì che era davvero una regola assurda! Di sicuro quello non era il posto adatto per uno come me.
Tentennai e controllai ancora l’orologio, era da un’ora che aspettavo e ancora niente. Ero davvero sicuro che l’avrei trovato proprio qui e invece mi ero sbagliato. Di lui non c’era alcuna traccia, magari non sarebbe nemmeno venuto quel giorno ed io invece stavo aspettando lì, senza alcuna certezza.
Quando decisi che la mia attesa s’interrompeva lì, mi alzai dalla poltrona e mi accinsi a percorrere quei pochi metri che mi dividevano dalla porta.  

‘’ Ian, cosa ci fai qua? ‘’ una voce maschile, che ormai conoscevo fin troppo bene mi richiamò all’attenzione.

Ero furibondo, ma alzando lo sguardo mi ritrovai faccia a faccia con Mycroft. Il suo sguardo non era serio, né arrabbiato, ma tranquillo e stupito, ovviamente. Non sembrava affatto a disagio – perché avrebbe dovuto esserlo? Quello era il suo regno, no? – né adirato perché fossi lì o perché avessi preso posto in sua assenza. In lui non vi era più quell’espressione delusa e arrabbiata che avevo visto giorni prima. Era solo sorpreso di vedermi, veramente sorpreso. Pensai che evidentemente il motivo per cui non mi avesse mai richiamato fosse imputabile al fatto che avesse troppo lavoro. A favore di questa tesi, infatti, vidi che portava nella mano sinistra una valigetta.

Entrò dentro e mi fece segno di accomodarmi nuovamente. Non risposi immediatamente alla sua domanda, scommisi che sapeva già la risposta o comunque la intuiva, e mi accomodai. Lui mi raggiunse, dopo aver posato la valigetta sul tavolo, si sedette e accavallò le gambe, pronto ad ascoltarmi.
Feci un gran respiro, lo guardai dritto negli occhi e iniziai a dirgli tutto.

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Capitolo 11
*** Maybe I'm in Love ***


Le lunghe settimane che passarono furono sommerse letteralmente dal lavoro.
James Moriarty, dopo esser stato assolto, era di nuovo a piede libero per le strade di Londra, pronto a colpire ancora, come lui stesso aveva lasciato intuire perfettamente, dopo la sua – quasi obbligatoria e prevedibile – visita a Baker Street.
Questo mi aveva portato quindi ad intensificare i controlli, a non lasciare niente al caso e, soprattutto, ad aiutare Sherlock a pianificare tutto nei minimi dettagli, cercando anche di anticipare le mosse di Moriarty, affinché riuscissimo finalmente a sconfiggere la sua intricata ragnatela.
In quel lasso di tempo, quindi, non avevo avuto nemmeno il tempo materiale per poter pensare anche solo un secondo a Ian. La sera infatti tornavo a casa molto stanco e andavo direttamente a dormire.
Il lavoro, sotto questo punto di vista, mi era stato molto d’aiuto. Non avevo sentito inoltre, né avuto, il bisogno di rifarmi vivo con lui e riallacciare nuovamente i rapporti. D’altronde ero convinto del fatto che anche lui avesse voltato pagina, come avevo fatto io, anche se il nostro ultimo incontro era terminato in modo brusco, senza che nessuno dei due avesse potuto avere delle spiegazioni esaustive.
E più il tempo passava, più la mia rabbia e la mia delusione scemavano gradualmente e ricadevano nell’indifferenza totale. Definire l’intera situazione in questo modo mi allietava.
Ero sicuro che – se non fosse stato per il lavoro – sarei stato anche disposto ad ascoltarlo, se lui si fosse presentato. Di certo non l’avrei mandato a casa, senza ascoltarlo. Gli avrei comunque dato la possibilità di parlare, l’avrei ascoltato e poi gli avrei dato la mia risposta. Questo non implicava esattamente un mio coinvolgimento. Avevo già preso la mia decisione e qualunque cosa mi avesse detto non sarebbe cambiata. O almeno così continuavo a ripetermi. Ma anche volendo non avrei trovato il tempo necessario da dedicargli. E poi era passato fin troppo tempo e lui non si sarebbe più presentato al Diogenes Club per nessuna ragione al mondo. Ormai ne ero fermamente convinto.
Così quando me lo trovai davanti, lì, nella Stranger’s Room, ad aspettarmi da chissà quante ore mi sorpresi parecchio e le mie sicurezze iniziarono a vacillare.
Non pensavo davvero che potesse fare una cosa del genere. Non dopo tutto questo tempo. Pensavo che avesse davvero voltato pagina e che ognuno fosse tornato alla propria vita, come se niente fosse successo.
Lo osservai bene, in silenzio, mentre gli facevo cenno di accomodarsi. L’esatto momento in cui ero entrato, lui stava per andarsene. Era davvero furioso, glielo si leggeva negli occhi, ma l’avermi – finalmente – visto gli aveva fatto cambiare idea, nonostante le ore che aveva perso aspettandomi.
Ian continuò a tenere lo sguardo fisso su di me e, appena gli diedi la giusta attenzione. Iniziò a parlare. Sembrava che si fosse preparato un lungo discorso, come se avesse dovuto convincermi di qualcosa o come se stesse cercando di convincere se stesso, invece.
La sua voce era incrinata e nell’aria vi era anche troppa tensione. Non riusciva a restare a tranquillo, mentre seguitava a parlare. Era abbastanza agitato e temeva – glielo leggevo negli occhi – che io, da un momento all’altro, potessi interromperlo bruscamente, dicendogli apertamente che non m’importavano le sue parole, che qualunque cosa avesse detto, io avevo già preso la mia decisione e che ogni suo sforzo sarebbe stato vano. Cosa decisamente vera, in realtà. Queste erano le mie intenzioni: non avrei cambiato idea, non mi sarei fatto abbindolare ancora e avrei seguitato per la mia strada, senza di lui. Intenzioni che però stavano diventando così fragili e che potevano vacillare da un momento all’altro. La sua presenza non mi metteva più a disagio, ma di quella beata indifferenza di cui mi vantavo non vi era nemmeno l’ombra. No, mi ripetei mentalmente, non dovevo lasciarmi andare, ma continuare in questo modo, anche se stava diventando un compito davvero arduo da portare avanti.
La rabbia, la delusione e il rancore erano quasi svaniti. Adesso che il problema Moriarty stava arrivando alla sua fine non potevo incolparlo, né – ragionandoci bene su – avrei potuto davvero farlo in precedenza. Il prossimo passo era quindi il perdono, un perdono che risultava un po’ ritardatario, in realtà. La verità è che stavo ricadendo nell’ennesimo errore, ma magari rifare quell’ennesimo errore mi piaceva un sacco, nonostante la mia mente continuasse a rimproverarmi di quanto in basso fossi caduto. E ciò che continuava a dire poi era riuscito, in qualche modo, a scavare un tunnel nel ghiaccio che circondava il mio cuore. Mi ero stupito di ciò e non riuscivo davvero – per quanto io provassi – ad essere sordo di fronte a tali parole.
 
‘’ Mi dispiace Mycroft per ciò che è successo settimane fa. Sono stato un ingenuo, lo ammetto! Lo avrai pensato pure tu, sicuramente! Anzi ne sono certo. Ormai credo di conoscerti bene, anche se non abbiamo avuto tanto tempo per conoscerci veramente. Mi sono comportato da stupido e non ho minimamente pensato, né riflettuto. Con questo mio gesto indiretto ho fatto in modo che tu perdessi la fiducia in me stesso. So quanto tu tenga al tuo lavoro e a tuo fratello. Non so come io possa essere stato così cieco, da non collegare i due fatti. Eppure tu mi avevi accennato ai problemi di tuo fratello, alle tue preoccupazioni e al tuo lavoro che ti impegna così tanto. Se avessi saputo ti avrei avvisato, ti avrei chiesto consigli e tutto questo non sarebbe mai successo. L’ennesimo fraintendimento non sarebbe accaduto, perché si tratta di questo. Adesso lo so, ho riconosciuto il mio errore, ciò che ti ha fatto arrabbiare in quel modo, quando ho dato per scontato che tutto andasse per bene, quando ho gioito per qualcosa che invece per te rappresentava una vera e propria catastrofe. Sai, ho passato nottate a rifletterci su e questo sì, è stato un errore, che non avrei mai dovuto commettere. Non per te, ma in generale. Beh, in ogni caso, ormai ciò che è fatto, è fatto. Non posso più rimediare a ciò che è successo, ma almeno sono qui a chiarire la mia posizione. Era giusto che io lo facessi, anche se in ritardo. ‘’
 
Mentre parlava apprezzai ogni singola parola, ma mi accorsi allo stesso tempo che la colpa non ricadeva solo su di lui, ma anche sul sottoscritto. Ero stato troppo precipitoso, troppo impulsivo a giudicarlo e così ero andato via, in preda alla rabbia. Solitamente non agivo in quel modo, ma il vero motivo che mi aveva spinto ad andarmene in realtà era un altro: mi ero innamorato di lui, avevo riposto in lui la mia totale fiducia e quel piccolo screzio aveva fatto in modo che tutto crollasse, alla prima occasione. Mi ero fatto prendere dalla paura ed ero scappato da codardo. Sì, questa era solo ed unicamente vigliaccheria. Non vi era altra parola per descrivere il mio comportamento.
Lo interruppi, prima che seguitasse ancora a scusarsi e, abbastanza a disagio, iniziai a parlare.
 
‘’ In realtà, siamo colpevoli entrambi. Non ti ho dato la possibilità di spiegarti, né io ti ho spiegato cosa stava succedendo. Sarei dovuto rimanere lì e chiarire la situazione, prima che degenerasse, prima che l’ennesimo fraintendimento ci portasse esattamente a questo. Invece sono scappato in preda alla rabbia e ho deciso di chiudere ogni rapporto con te. Vi è un solo motivo per cui l’ho fatto. Adesso lo so ed è assolutamente inutile continuare a nasconderlo o evitare di affermarlo ad alta voce, sebbene mi spaventi. Pensavo di essere più forte, ma evidentemente non sono altro che un essere umano come tutti gli altri. Affermo di essere più intelligente, ma a quanto pare non è così. La realtà è che mi comporto come gli altri, provo le stesse emozioni – tra qualche secondo me ne pentirò, stanne certo - degli altri. Sì, hai detto bene prima: sono rimasto deluso da te, ho perso quella fiducia che pian piano stavo acquistando nei tuoi confronti. Ho pensato che l’avessi fatto di proposito e non sono riuscito a farmene una ragione. Era tutto così sbagliato e mi sono arrabbiato talmente che non ho nemmeno voluto darti una spiegazione. Se fossi stato un estraneo, tutto questo non sarebbe successo. Se fossi stato un collega o un conoscente, non me la sarei presa così tanto. Ma il fatto è che tu non sei un estraneo, né un collega o un conoscente. Non sei una persona come le altre, una di quelle a cui io rifilo la solita indifferenza. No, ci ho provato ma ho fallito. Sì, ho fallito miseramente! Forse ce l’ho fatta per queste settimane, il lavoro mi ha occupato interamente ogni singola giornata, ma adesso… adesso è diverso. Adesso sei qua e non riesco ad essere indifferente a te o alle tue parole. Questo perché hai una certa importanza, perché ricopri un ruolo rilevante e perché, qualcosa dentro di me, inizia a sciogliersi.
…okay, l’ho detto! Non abituartici però… questa sarà la prima e l’ultima volta che farò un discorso del genere. Mi è costato tantissimo e inizio a non sentirmi più me stesso. Ho oltrepassato i limiti e ho bisogno di ritornare ad essere il Mycroft di sempre. ‘’

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Capitolo 12
*** Everything will be okay ***


Nonostante avessi più volte ripetuto mentalmente il discorso che mi ero preparato, quando vidi arrivare Mycroft, non lo segui totalmente alla lettera. Ero abbastanza agitato, nervoso e anche arrabbiato per aver aspettato così tanto, che alla fine mi lasciai guidare dal mio istinto e soprattutto dal mio cuore. Ero vistosamente a disagio e cercai in tutti i modi di celarlo e di apparire invece sicuro di me. Non fu affatto facile e sicuramente non ci riuscii. Il mio tono di voce aumentava sempre di più, la mia voce era incrinata e i miei occhi continuavano a cercare i suoi, per poter intravedere nel suo sguardo un segno. Qualsiasi segno in realtà sarebbe andato bene, anche se io speravo intensamente in qualcosa di positivo. Inoltre avevo paura che m’interrompesse o che non mi prestasse la giusta attenzione, facendomi capire così che stavo sprecando il mio fiato. Non so cosa avrei fatto in quel caso, forse mi sarei messo ad urlare per la rabbia, me ne sarei andato e non sarei tornato più. Quella era la mia ultima speranza, dopodiché ad un suo no mi sarei messo il cuore in pace e l’avrei lasciato alla sua vita.
Ciò che mi colpì davvero invece fu il suo discorso. Avrei continuato a parlare, a ripetere per l’ennesima volta ogni frase, quando lui m’interruppe e, schiarendosi la voce, iniziò a parlare.
Restai stupito quando ammise le sue parziali colpe. Aveva agito in modo impulsivo ed era letteralmente fuggito via, senza che nessuno dei due avesse potuto almeno spiegare. Era stato impegnato con il lavoro e aveva usato quest’occasione per voltare pagina, per allontanarsi un po’ da me e per stroncare quella relazione che non aveva avuto nemmeno il tempo di nascere, fallendo però miseramente – come lui stesso aveva affermato. Il vero motivo però – riuscivo ad intuirlo anche io, o così speravo che fosse – era un altro. E mi stupì altrettanto sentire con le mie orecchie i suoi pensieri più preclusi.
Iniziò infatti ad aprirsi ulteriormente, come non aveva mai fatto, e mi sentii grato di questo improvviso cambiamento. Cominciavo a pensare di aver fatto bene ad aspettare e che alla fine non era stata una pessima idea.
Il suo discorso mi aiutò a vedere la situazione da un’altra prospettiva: la sua. Avevo voglia di comprenderlo, perché adesso riconoscevo quanto fosse difficile per lui vivere una situazione del genere. E tale parte, in cui sembrava che di fronte a me ci fosse un’altra persona e non il Mycroft Holmes che conoscevo, mi lasciò letteralmente senza parole. Non mi ero aspettato di sentire certi frasi uscire proprio dalle sue labbra. Di sicuro stava facendo un enorme sforzo, mentre esternava i suoi sentimenti, perché adesso ero davvero sicuro di ciò che lui provava nei miei confronti. Non potevo assolutamente sbagliarmi, anche se lui sembrava che potesse pentirsene e cambiare idea da un momento all’altro.
Lo guardai esterrefatto: era qualcosa che avevo sperato in cuor mio, ma sentirselo dire era tutt’altra cosa. Non riuscivo davvero a crederci e sbattei più volte le palpebre, fissando confuso Mycroft. Quella splendida notizia mi aveva davvero lasciato senza parole, ma ben presto dentro di me si fece spazio l’impulso di alzarmi finalmente da quella poltrona, di raggiungerlo e di circondarlo tra le mie braccia, di poggiare le mie labbra sulle sue, di esplodere di pura gioia e di rimanere così per sempre.
Non lo feci però e mi controllai, intuendo benissimo quanto fosse, in quel momento, il disagio che provava Mycroft. Una reazione così estroversa l’avrebbe messo ancora di più a disagio e alla fine non avrebbe saputo più come comportarsi. Restai quindi seduto, ma esternai comunque le mie emozioni, sorridendo di gioia e guardandolo felice. Ero contento di ciò che mi aveva detto – come potevo non esserlo?!
Per tutto il tempo i suoi occhi erano stati puntati verso di me, ma adesso il suo sguardo stava gradualmente cambiando, mentre mentalmente stava sicuramente giudicandomi. O probabilmente stava giudicando se stesso per ciò che aveva osato rivelare. Lo vidi distogliere lo sguardo, sbuffando pesantemente. Trovai la sua reazione molto buffa e, non riuscendo a trattenermi, iniziai a ridere divertito. Ritornò a fissarmi, questa volta malissimo, e si spostò appena sulla poltrona. Iniziava a non tollerare più la mia reazione non molto composta come era stata la sua.
Non riuscivo comunque a capire come facesse ad essere sempre così controllato, in ogni situazione. Non gli capitava mai di lasciarsi andare? Nemmeno per un secondo?
 
‘’ Mycroft, scusami davvero… ma, a volte, diventi così buffo – come ora, ad esempio – e non riesco a non ridere di fronte alle facce che fai. Non so se te ne sei mai accorto, ma sei molto divertente ‘’ esordii, non riuscendo più a controllarmi. Sapevo che questo l’avrebbe un po’ offeso, ma non potevo più resistere a vedere la sua faccia diventare di ghiaccio, mentre mi lanciava occhiate fulminee.
‘’ Mi trovi divertente? Io non mi sto divertendo affatto, invece. Non riesco a capire cosa ci sia di tanto buffo in questo momento. Trovi che le mie parole siano divertenti? Davvero, non riesco a comprendere cosa ti stia passando in mente… ‘’ rispose lui, abbastanza serio in volto. Sembrava che davvero non riuscisse a capire. Il suo carattere e quella maschera di ghiaccio che indossava sempre non gli permettevano difatti di capire.
‘’ No no, non trovo divertente ciò che hai detto. Non potrei mai trovarlo divertente, anzi è un bel discorso quello che hai fatto e che ho apprezzato molto. Sono davvero sincero, Mycroft. Rido per i tuoi modi di fare, sei così posato e fin troppo controllato. Anche in questo momento lo sei. Stavo solo riflettendo su una cosa: sei sempre così, non ti capita mai di lasciarti andare? ‘’
‘’ Non vedo come i miei modi di fare possano essere divertenti. Non li definirei così, sicuramente. Lasciarmi andare? Succede molto raramente, in realtà. In pubblico cerco sempre di avere il controllo della situazione, quindi non mi vedrai mai perdere le staffe ‘’
‘’ In pubblico, già! Beh, magari nel privato, invece… chissà, molto probabilmente, ho davvero voglia di scoprire questo lato che tieni ben segreto e non mostri a nessuno. Tu che ne dici? ‘’ azzardai, sorridendo con malizia. Vidi Mycroft distogliere appena lo sguardo e accennare un flebile e indecifrabile sorriso.
 
Non riuscivo a capire cosa pensasse, ma quel sorriso – quel prezioso e raro sorriso –  in quel preciso istante, era la risposta definitiva alle mie domande e ai miei dubbi, che prepotenti cercavano di farmi cadere in trappola. Mi sarei dovuto però armare di pazienza – molta pazienza! – e avrei dovuto aspettare finché lui non fosse stato davvero pronto.
Ero stato sull’orlo di un precipizio, in procinto di cadere, ma adesso invece, davanti a me, si ero aperto un nuovo inizio, una nuova strada tutta da percorrere. Il sorriso di Mycroft mi aveva ridato speranza, mi aveva ridato vita e avrei pensato ad esso, quando sarebbero ricomparsi quei momenti bui, in cui avrei dubitato di tutto. Tutto sarebbe andato bene d’ora in poi.
Mi alzai lentamente dalla poltrona e sospirai felicemente. Non mi mai sentito così sollevato tranquillo come in quel momento. Lui mi imitò automaticamente e posò il suo sguardo su di me. I suoi occhi azzurri erano fissi sui miei. Ridussi la breve distanza che c’era tra me e lui, e senza che nessuno pronunciasse una sola parola, poggiai le mie labbra sulle sue. Socchiusi gli occhi e assieme ci lasciammo andare ad un lungo ed interminabile bacio. Bacio che suggellava ufficialmente il nostro rapporto.
Ebbro d’amore, istintivamente cercai le sue mani e intrecciai le dita nelle sue. Lo tenni stretto a me e assaporai ogni singolo secondo di quel magico momento. Non esistevano più rumori, né suoni che potessero distoglierci. Il tempo si era cristallizzato, non vi erano più lancette che ne scandivano la durata. Stavo vivendo l’eternità di un lungo secondo, un’emozione talmente grande che percepivo il mondo intero vorticare attorno a me.
Poi mi staccai dal suo viso e riaprii gli occhi, i nostri sguardi s’incrociarono nuovamente per una piccola frazione di secondo, quindi Mycroft distolse lo sguardo e si liberò dalla mia stretta. Mi voltò le spalle e fece qualche passo in avanti, verso la scrivania. Io lo segui con lo sguardo e sorrisi istintivamente, ancora immerso in quell’attimo, che desideravo non finisse mai. Solo quando alzai lo sguardo verso le finestre della stanza, mi accorsi che il sole era già tramontato da un pezzo. Controllai di scatto l’orologio e mi resi conto di quanto fosse tardi.
 
‘’ Oddio, si è fatto davvero tardi! Devo scappare, Mycroft… ‘’ esclamai, sorpreso e, al tempo stesso, dispiaciuto.
 
Lui si voltò verso di me e annuì in silenzio. Aveva ripreso nuovamente il controllo della situazione e il suo viso non era più rilassato come lo era stato in quegli attimi. Mi soffermai ad osservarlo ancora un altro po’, quindi varcai la soglia.

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Capitolo 13
*** An unexpected reaction ***


La pioggia scorreva lungo le vetrate opache del soggiorno e le luci ad intermittenza dei fari delle auto risplendevano fiocamente nel pomeriggio plumbeo. Il ticchettio della pioggia copriva ogni singolo rumore e mi offriva un piacevolissimo e allettante sottofondo. Era una buona compagna e rendeva la solitudine meno deprimente.
Non mi ero mai reso davvero conto di quanto fosse cupa tale solitudine e di quanto io ne fossi succube. Per me c’era sempre stata quella solitudine: l’unica cosa che riempiva le mie giornate e che reputavo la cosa più preziosa che avessi mai avuto. In realtà mi era sempre piaciuta ed era la scusa ideale per non dover essere costretto a mischiarmi tra la gente e restare a casa a pensare, a riflettere, ad immaginare. Non c’era nessun’altra cosa che avrei voluto fare in quei particolari momenti, che dedicavo soltanto a me stesso.
Adesso però tale solitudine iniziava a starmi stretta. Non ne capivo il motivo – o forse mi ostinavo a non volerlo sapere – ma era ovvio che qualcosa stava cambiando, ed io non mi sentivo assolutamente pronto ad affrontare il futuro; ciò che non potevo programmare nei minimi dettagli.
La consapevolezza, però, di voler avere accanto qualcuno che mi apprezzasse veramente per ciò che ero, il voler a tutti i costi cambiare per piacere all’altro, mi avevano portato a fare un passo in avanti, oltre quel confine invisibile che mi ero imposto, e mi ero così ritrovato sperduto in una terra sconosciuta, dove uno spesso strato di nebbia faceva sì che rimanessi fermo, proprio in quel punto, e non compissi alcun passo in avanti, né uno indietro. Era una situazione di stallo, in cui mi sentivo così a disagio e non sapevo cosa fare, quale strada prendere o quale percorso seguire.
Nel frattempo il cambiamento era già in atto: la mia mente era stata corrotta da nuovi pensieri, nuove idee e da nuove voglie. Il nuovo era tutt’attorno a me e, come un bambino curioso, una parte di me coltivava quella brama di scoprire cose nuove, anche se diffidente continuavo a tentennare, prima di buttarmici a capofitto.
Era tutto davvero complicato e solo io potevo sbrogliare la matassa dei fili che si erano ingarbugliati attorno al mio cuore e alla mia mente. La mia anima era rinchiusa dentro una gabbia e cercava in tutti i modi di liberarsi da quelle sbarre e di spiccare il volo, verso l’ignoto. Al tempo stesso preferiva quella prigione dove mi sentivo sicuro e protetto.
Cosa avrei dovuto fare, quindi? Spiccare il volo o rimanere nella mia gabbia, dove niente mi sarebbe potuto accadere?
Eppure non volevo che io e Ian litigassimo di nuovo, non ora. Non dopo che mi ero reso conto di ciò che provavo, malgrado le mie idee e la mia rigidità. Non dopo quel bacio, a cui io avevo partecipato e a cui non mi ero tirato indietro per una volta. Ne ero rimasto succube e mi ero stupito di ciò che era successo, anzi di ciò che non era successo. La mia reazione era stata così normale. In quel momento la mia mente si era liberata di qualsiasi pensiero, non mi aveva tormentato dicendomi che stavo sbagliando. In quello stesso attimo mi ero sorpreso anche di me stesso – soprattutto di me stesso!! – e di quel lato così recondito e segreto.
Chi era l’altro? Era davvero così diverso da me? Si trattava del mio lato opposto? O era solo una sfaccettatura?
Tali domande non avevano però ricevuto delle appropriate risposte, perché non ne avevo. Io, Mycroft Holmes, avrei avuto risposte per i quesiti più difficili, facendo a gara anche con Sherlock, ma non per un problema del genere. Le risposte di tale quesito mi erano del tutto sconosciute.
Come avrebbe voluto Ian, mi ero lasciato andare ed era stato così bello. Mi ero sentito sollevato da ogni responsabilità, come se improvvisamente tutti i problemi del mondo fossero svaniti e avessero lasciato il posto alla pace assoluta. In quel momento niente esisteva all’infuori di noi. Era stato un momento unico e speciale, in cui avevo provato emozioni talmente forti, che non avevo avuto più la forza di controbattere o di criticare ogni singolo dettaglio fuori posto.
Era come se fossi rinato, come se fossi diventato una persona nuova e questo non mi aveva creato nessun problema. Tutto sembrava essere così semplice e naturale ed era proprio questo che mi mancava: l’essere naturale e spontaneo. Aveva ragione Ian; ero troppo controllato, troppo rigido, mai veramente rilassato.
La spontaneità era una caratteristica che non mi era mai appartenuta veramente; mi ero sempre sentito a disagio quando provavo, anche solo per un minuto, a rilassarmi. Era come se mi mancasse qualcosa, il controllo – appunto! – della situazione, e che da un momento all’altro potesse succedere qualcosa di sgradevole a cui non ero affatto pronto. Odiavo questa sensazione, la trovavo ripugnante. Il non sapere riusciva a mandarmi in tilt e le varie situazioni in cui non ero padrone mi terrorizzavano.
L’amore, tutto ciò che ruotava sul piano sentimentale ed emotivo, era una di queste – un argomento a me prettamente sconosciuto, che quasi aborrivo.
Quel bacio, i sentimenti che avevo provato, tutto questo insieme mi aveva stravolto la vita – no, non sto esagerando – e in cui mi sentivo totalmente estraneo. Eppure, me ne accorgevo, il mondo continuava a girare sulla sua orbita, la gente riprendeva la propria vita, il sole continuava a sorgere e a tramontare, come se niente fosse successo. Non erano questi i problemi che avrebbero fermato il mondo, semmai fosse stato veramente possibile. Anzi la gente li riponeva nella loro routine quotidiana e quasi perdevano la propria essenza con il ripetersi dei giorni e la mancanza di stimoli.
Adesso però la mia concezione riguardo l’amore stava gradualmente cambiando, o almeno doveva assolutamente cambiare. Ripensai alle ultime parole di Ian. Ebbene, si aspettava qualcosa di più, come giusto che fosse. Non sapevo da che parte cominciare, ma mi sentivo in debito con lui. Non volevo che ritornassimo al punto di partenza, così iniziai a riflettere sull’idea di invitarlo a casa per un semplice tè. Niente di complicato, in realtà.
Rifletterci su, sì, perché prima di tutto dovevo abituarmi ad un’idea simile. Sarebbe stato, continuavo a ripetermi, un semplice invito. Niente di che. Come inizio sarebbe andato bene e non avrebbe implicato troppi sforzi da parte mia.
Così, mentre ancora il temporale imperversava su Londra, presi la decisione finale e lo chiamai. Era la cosa giusta da fare, mi ripetei mentalmente, mentre aspettavo che rispondesse al telefono.

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Capitolo 14
*** Do you fancy a cup of tea? ***


L’inverno aveva ceduto il posto alla primavera e ben presto le giornate plumbee e scolorite iniziarono a rallegrarsi, come se improvvisamente un pittore avesse deciso di aggiungere un tocco di colore al suo grigio dipinto.
Un’esplosione di colori iniziava già ad intravedersi fuori dalle finestre, nei grandi parchi e nelle strade sottostanti.
Il cielo era finalmente quasi sgombro di quelle nuvole minacciose e cariche di pioggia e cominciò a illuminarsi di un bel blu vivace. Il sole aveva ripreso a splendere, a fare capolino dai pochi cirri che fluttuavano lungo l’immensa distesa cerulea, e diede ai londinesi la possibilità di godersi appieno la tanto attesa primavera.
L’umore della gente era meno cupo e più allegro del solito e anche io non ero immune a tale cambiamento. Mi sentivo più felice e più rilassato, pronto a iniziare un nuovo capitolo e a lasciarmi alle spalle l’inverno, le giornate cupe e piene di pioggia e nebbia. Non c’era niente di più bello di questa stagione.
Vi era però anche un altro motivo per cui mi sentivo tanto felice: Mycroft mi aveva chiamato nei giorni precedenti per invitarmi a casa sua per un tè. Ovviamente avevo accettato immediatamente con molta gioia.
Avevo sperato di risentirlo e fui contento quando ascoltai la sua voce; fortunatamente era riuscito a trovare un po’ di tempo libero da dedicare soltanto a noi due.
Inoltre non ero mai stato a casa sua e mille volte mi ero soffermato a immaginare dove vivesse e come fosse esattamente la sua dimora. Avevo fantasticato un po’, cercando di crearmi un’idea in particolare, ma quando finalmente venne il fatidico giorno, non sapevo che ad aspettarmi ci fosse una specie di sorpresa, se così si poteva definire.
Ero al corrente che Mycroft vivesse a Belgravia, uno dei quartieri più rinomati, ma mi stupii lo stesso quando all’orario, preciso come un orologio svizzero, vidi parcheggiare davanti casa mia un’automobile lussuosa, che aspettava solo e soltanto me. Mycroft aveva addirittura mandato qualcuno a prendermi!
Non avevo mai avuto tale privilegio – e perché mai avrei dovuto averlo, dopotutto? –  né pensavo di meritarlo. Non ero un membro della casata reale o un personaggio famoso, ed ero fin troppo umile per poter pretendere una cosa del genere.
Mi sentii quindi frastornato, quando presi posto sul sedile posteriore, e cercai di camuffare tale stordimento, osservando Londra dal finestrino, anche se di tanto in tanto i miei occhi osservavano l’autista, che invece teneva gli occhi puntati sulla strada, come un automa.
Il tragitto non fu molto lungo e quando varcai la soglia di casa Holmes, restai con il fiato sospeso. Si trattava di un appartamento, ma non uno di quelli così moderni e piccoli. Questo era molto ampio e ogni angolo era ornato con cimeli e oggetti antichi e unici, che venivano da ogni parte del mondo. Rimasi affascinato da quanto fosse ben curato e ordinato, senza che niente – ma proprio niente – fosse al posto sbagliato. Questo, pensai, rispecchiava esattamente la sua personalità.
Appena varcata la soglia, Mycroft mi fece strada attraverso un lungo corridoio, in cui erano stati appesi una moltitudine di quadri, alcuni molto antichi, che ritraevano dei vecchi antenati. Solo in quel momento, osservando i vari quadri, riflettei su quanto dovesse essere antica la famiglia degli Holmes.
Iniziai a porgli tante domande, senza riuscire a mettere un freno alla mia curiosità, ma Mycroft non ne sembrò infastidito, anzi era compiaciuto di poter rispondere ad ogni mia singola domanda in modo corretto e semplice. Ostentava quella sicurezza, che io già conoscevo, e iniziò a elencarmi, ad esempio, i nomi dei suoi antenati – uno di questi doveva essere vissuto nell’età elisabettiana, alla stregua di William Shakespeare, e gli somigliava moltissimo – o la provenienza e il background dei vari cimeli. Di sicuro tale abitazione rispecchiava uno stile antico e dovunque la storia faceva capolino, come monito per ricordarci che il passato ci apparteneva, in un modo o nell’altro.
In quella circostanza, mentre camminavo al suo fianco e contemplavo con stupore ogni singolo oggetto, mi sentivo talmente goffo e ignorante in materia. Ammiravo questa sua caratteristica: era ciò che lo rendeva pieno di fascino. Un fascino però diverso, più intellettuale che esteriore.
Dal corridoio si accedeva a varie stanze, tra cui il soggiorno. Quest’ultimo era abbastanza grande ed era rischiarato dalla luce del sole, che entrava da una grande vetrata, posta proprio davanti a noi. Una lunga tavolata riempiva tutta la stanza, le cui sedie erano raffinatamente intagliate. Ai lati della vetrata, decorata con tre stemmi, spiccavano le figure massicce di due statue in bronzo, raffiguranti dei fanti a cavallo.
In un angolo infine vi erano l’immensa libreria, il camino, due poltrone e un tavolinetto. E proprio qui prendemmo infine posto.
 
« Devo ringraziarti innanzitutto per questo invito. Non c’era davvero bisogno che mandassi qualcuno a prendermi, ma sappi che ho apprezzato il gesto. È stato carino da parte tua, anche se per un attimo mi sono sentito talmente a disagio, che stavo per scendere. Che dire? Sono rimasto senza parola, questa casa è davvero molto bella! Anzi no, è magnifica! Sai, avevo provato a immaginare come fosse, ma ogni idea che mi ero fatto non regge assolutamente il paragone con questa! E si vede che ci tieni tanto, l’ho capito prima, da come ne parlavi » esclamai, guardandolo negli occhi. Lui sorrise sinceramente e iniziò allora ad armeggiare con la teiera, poggiata sul tavolino ai nostri piedi. « Come va con il lavoro? » chiesi, cambiando discorso.
«Sono impegnato quasi tutti i giorni; ormai questa è la routine da un bel po’ di tempo. Non che mi dispiaccia, a dire la verità. Il mio lavoro è tutto per me, è la mia priorità assoluta. Quindi devi considerarti davvero molto fortunato, se sono riuscito a liberarmi e a ritagliare un po’ di tempo per noi » rispose, alzando lo sguardo verso di me. Mi porse poco dopo la mia tazza di tè e lui prese la sua. « E a te, invece? » chiese infine, mentre per qualche secondo ci dedicavamo al nostro tè.  
« Beh, le solite scartoffie. A volte trovo troppo noiosa questa routine e inizio a chiedermi se sia davvero il lavoro dei miei sogni. Sai, ci sono momenti in cui certi dubbi mi assalgono, ma penso sia del tutto normale. Capita a tutti. A te, no? »
« Non esattamente, non sul lavoro. Credo di avere le idee ben chiare, riguardo ad esso, ma non sono nemmeno immune ai dubbi o ai ripensamenti. Solo che quest’ultimi si limitano ad altre sfere, più personali che lavorative »
« Oh, credo di aver capito a cosa ti riferisci. E con tuo fratello, come va? »
« Il solito rapporto litigioso, anche se ultimamente le circostanze ci hanno portato a legare di più. Molto strano, per entrambi. È da quando siamo dei bambini che non facciamo altro che litigare e insultarci a vicenda. Credo che non si risolverà mai questa situazione. È risaputo che tra di noi non ci siamo un bel rapporto, ma in queste ultime settimane siamo riusciti a limitare – almeno da parte mia – le battute e posso affermare che c’è più tolleranza tra di noi »
« Sono felice che sia questa sorta di cambiamento. Forse è la primavera, non credi? Io, ad esempio, mi sento rinato. Non saprei come spiegarlo, ma è come se dentro di me scorresse una nuova energia e fossi pronto a superare qualsiasi ostacolo. Sarà sicuramente questo tempo; adesso risplende nuovamente il sole e non vi sono più quella pioggia così deprimente e quelle giornate così cupe e tristi » esclamai, contento. Mycroft mi guardò impassibile, anche se, dopo alcuni secondi, alzò automaticamente un sopracciglio per esternare il suo disappunto a riguardo.
« Non sei affatto d’accordo con me? » domandai, cercando di capire il perché di quella reazione. « Non mi dirai che invece tu adori la pioggia? » azzardai, sorridendo per lo stupore.
« Sì, hai indovinato. Preferisco la pioggia, le giornate cupe e grigie – come hai detto tu. In realtà, non tollero affatto l’estate. C’è troppo caldo e troppa gente in giro. Potrei tollerare di più la primavera, ma questa stagione dà il via a un nuovo cambiamento: la gente inizia a riversarsi nelle strade ed ecco che comincia il vero caos. Non mi piace molto la gente, ma questo l’avrai sicuramente capito »
« Sì, credo che anche un bambino se ne accorgerebbe. Allora devo davvero ritenermi fortunato, doppiamente fortunato, se adesso stai parlando con me? Sai cosa? Potrai anche essere un tipo solitario, ma è così che mi piaci. Se cambiassi anche un solo dettaglio del tuo carattere, non saresti più tu, no? Va bene smussare qualche angolo, ma non cambiare totalmente »
 
Mycroft stava per controbattere, quando improvvisamente il telefono iniziò a squillare. Si scusò e andò a rispondere, uscendo dal soggiorno. Mi alzai anche io allora e andai a dare una rapida occhiata alla libreria, che stava alle mie spalle. Era piena zeppa di volumi, alcuni che sembravano essere addirittura delle prime edizioni. Vi erano molti classici greci o latini, della letteratura inglese, straniera in generale, alcuni saggi storici e politici e anche qualche libretto d’opera.
Mi venne allora in mente un’idea che avrebbe potuto fargli davvero piacere e sorrisi istintivamente, mentre pregustavo ogni singolo momento di ciò che stavo già programmando nella mia mente.
 
« Tutto bene? » gli chiesi, quando fu di ritornò. Per un attimo lo vidi un po’ frastornato, poi mi guardò e alla fine annuì, sicuro. Riprendemmo posto uno davanti all’altro e ritornammo al nostro tè e alla nostra conversazione interrotta.

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Capitolo 15
*** A conversation between brothers ***


Ero rimasto molto soddisfatto da come si era svolto il pomeriggio in compagnia di Ian. Era stato piacevole e rilassante e, come avevo previsto e sperato, non aveva implicato chissà quali sforzi da parte del sottoscritto. Avevamo conversato del più e del meno, ci eravamo informati sul lavoro altrui e avevamo espresso giudizi su vari argomenti, sia semplici che difficili; il tutto accompagnato da un tè.
Era stato un pomeriggio in cui avevo avuto la possibilità di allentare quella tensione, che si era accumulata nelle settimane precedenti a causa del lavoro, ma adesso dovevo ritornare alla realtà e alle questioni importanti che mi aspettavano, tra cui quelle di cui mi stavo occupando assieme a Sherlock. Avevamo infatti lavorato assieme per molte ore e finalmente avremmo potuto vedere ricompensati i nostri sforzi.
Avevamo ideato tredici piani, tutti strutturati da un nome in codice e da delle caratteristiche precise, e adesso li stavamo rivedendo ad una ad una, nuovamente, affinché non ci fosse sfuggito niente di importante.
Ci trovavamo nel mio ufficio e avevo lasciato detto ad Anthea di non disturbarmi per nessun motivo, finché io e Sherlock eravamo insieme. In poche parole, non c’ero per nessuno.
Eravamo entrambi seduti alla scrivania e ognuno stava rivedendo i punti principali di ogni soluzione al laptop, quando il mio cellulare iniziò a squillare. Lo ignorai intenzionato a non rispondere e a riprendere il lavoro, prima che qualsiasi distrazione ci facesse perdere del tempo prezioso. Non controllai nemmeno chi fosse e proseguii a leggere il documento che stavo consultando.
Sherlock invece alzò lo sguardo dallo schermo e lo posò immediatamente sul mio cellulare, che non aveva alcuna intenzione di smettere di suonare. Senza che io potessi prevederlo, Sherlock lo afferrò velocemente e sbirciò il display. Stavo per dirgli di metterlo giù immediatamente e di ignorarlo, quando invece iniziò a parlare.  

« Oh, vedo che siamo passati da ‘ Mr. Crayhill ‘ a ‘ Ian ‘. Cosa mi sono perso esattamente? No, aspetta! Non dirmelo. Non voglio sapere i dettagli » esclamò, fingendo inizialmente curiosità, per poi posare il cellulare sulla scrivania.

Lo fulminai all’istante per quel commento così poco opportuno, mentre ancora il telefono seguitava a squillare. Infine mi decisi a rispondere, solo per mettere fine ai commenti di Sherlock e per ritornare il più presto possibile al lavoro in sospeso.  

‘’ Pronto? ‘’ risposi, quasi seccato. Seccato per il comportamento di Sherlock, non per la chiamata improvvisa di Ian, che sicuramente però non mi ero aspettato.
‘’ Mycroft, come stai? Spero di non averti disturbato. So che sicuramente stai lavorando, quindi sarò molto breve. Volevo invitarti domani sera a casa mia, giusto per ricambiare il tuo invito. Ho anche una sorpresa per te! ‘’ dal tono di voce di Ian, capii che era di buonumore, ciò che decisamente mancava a me in quel momento.
Inizialmente sembrò essere un po’ a disagio, sicuramente per il fatto di avermi chiamato. Magari, prima di comporre il numero, aveva tentennato qualche minuto. Successivamente, qualche secondo dopo, il suo tono di voce aveva cambiato tonalità, tranquillizzandosi, mentre riprendeva il controllo della situazione. L’ultima frase invece era stata aggiunta con qualche secondo di ritardo, con un po’ d’esitazione, come se avesse voluto convincermi ad accettare il suo invito, proprio con quella determinata frase.
In altre circostanze, avrei anche accettato volentieri il suo invito a casa, ma in quel momento non era assolutamente fattibile. Avevo fin troppe cose da fare.
Non che non mi andasse di rivederlo, ma adesso che il tempo stringeva e che avevamo in pugno James Moriarty non potevo proprio riservarmi un po’ di tempo libero. Come avevo detto, pochi giorni prima, a Ian: il lavoro era la mia assoluta priorità.
Così fui costretto a declinare il suo invito. 
‘’ Ian, mi dispiace davvero tanto, ma temo che stavolta dovrò rifiutare il tuo invito. Non è buon momento e sono così impegnato che sicuramente non ce la farei ad essere lì. ‘’ risposi, sinceramente.
‘’ Non dirmi che lavori tutto il giorno, notte compresa?! ‘’ azzardò lui, sarcasticamente. Riuscivo però a intuire dal suo tono di voce che stava cercando di controllarsi. Non l’aveva presa bene e gli era uscita una risata, atta però a nascondere la sua vera reazione. Feci finta di non essermene accorto e continuai a ripetergli ciò che avevo detto, pochi secondi prima.
‘’ Esatto! Se capita, lavoro anche di notte. Per me non ha molta importanza, dopotutto. Magari un’altra volta, quando avrò meno impegni ‘’ aggiunsi quell’ultima frase, solo per non dargli un dispiacere. Il mio non era un rifiuto definitivo, ma solo momentaneo. Non avrebbe dovuto prendersela sul personale.
‘’ Va bene, sarà per un’altra volta, allora ‘’ rispose lui, cercando di celare il suo malumore e addolcendo il tono di voce.

Così ci salutammo e riattaccammo. Spensi allora direttamente il cellulare, così da non avere più seccature; non che tale telefonata con annesso invito rientrasse in questa categoria, ma preferivo essere irraggiungibile in quel momento, se qualcun altro avesse avuto la brillante idea di chiamarmi sul numero privato.
Vidi con la coda dell’occhio, mentre ritornavo al mio posto, che Sherlock teneva lo sguardo fisso su di me, come se stesse giudicandomi mentalmente. Ricambiai il suo sguardo, in modo eloquente, e alla fine, quando non ebbi alcuna risposta, sospirai pesantemente.  

« Possiamo tornare al lavoro? Cosa c’è?! » chiesi, cercando di essere paziente. Mi aspettavo che Sherlock seguisse il mio consiglio, invece continuò a fissarmi e finalmente riprese a parlare.
« Sembra che tu abbia trovato il tuo – com’era? – ah, sì! Il tuo pesce rosso! »
« Smettila immediatamente, Sherlock! Rimettiamoci al lavoro! » esclamai, seccato. Distolsi lo sguardo e lui sembrò fare lo stesso. Smise di parlare e il silenzio ci avvolse. Un minuto dopo, però, parlò nuovamente.
« Sai, stavo pensando a una cosa… » iniziò a dire, ma poi s’interruppe, aspettando che fossi io a chiedergli di cosa si trattava. Alzai gli occhi al cielo e lo accontentai.
« Ovvero? » domandai, stanco del suo solito gioco.
« Se dovessimo scegliere Lazarus, andresti a piangere tutti i giorni davanti alla mia tomba? » chiese, accennando un sorriso beffardo. Lo guardai, sbattendo le palpebre e subito dopo, aggrottai la fronte, perplesso. Non riuscivo a capire il perché di quella domanda così specifica. La verità era che mi stava semplicemente prendendo in giro – aveva ricominciato a prendermi in giro, a fare battute e ad essere così infantile – e questo lo divertiva così tanto.
« Perché dovrei? Sappiamo entrambi che sarebbe del tutto inutile e… ridicolo. Dopotutto non ci sarà nessuna morte vera »
« Beh, dovrai però recitare una parte… soprattutto davanti a John »
« Oh, adesso capisco dove vuoi arrivare! Mi dispiace deluderti, ma non verserò nessuna lacrima per te » conclusi, ponendo fine alla nostra conversazione. Distolsi lo sguardo dai suoi occhi e non aspettai nemmeno di poter intravedere la sua reazione alla mia risposta.

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Capitolo 16
*** Did you just stop loving me? ***


L’idea che avevo avuto – la lampadina che si era improvvisamente accesa nella mia mente – si era ampliata di molto, rispetto a quella originale. All’inizio si era trattato solo di un piccolo pensiero, un regalo per Mycroft, e alla fine avevo perfezionato l’intera idea, aggiungendoci anche l’invito a cena a casa mia.
Volevo infatti sdebitarmi del suo invito e fargli una sorpresa, che speravo sarebbe stata molto gradita. Non mi ritenevo uno chef stellato, ma pensavo di sapermela cavare dietro ai fornelli. Quella quindi era l’occasione giusta per mettermi in gioco e per preparare una cena perfetta solo per noi due. E alla fine della serata, come avevo pensato inizialmente, vi sarebbe stato per quel piccolo regalo che avevo intenzione di fargli.
La vista dell’immensa libreria, piena zeppa di volumi, mi aveva infatti ispirato e aperto la mente, e proprio per questo motivo avevo pensato bene che regalargli un libro era in realtà l’idea perfetta. A Mycroft sarebbe piaciuto tantissimo, o almeno così speravo che fosse.
Ovviamente non potevo regalargli un libro qualsiasi, uno di quei best seller ad esempio. No, doveva essere un libro particolare, che rientrasse nei suoi generi preferiti. Mi ero fatto un’idea precisa dei suoi gusti, grazie anche alla veloce sbirciatina che avevo dato alla sua ben assortita libreria. Però per questo piccolo, ma importante dettaglio, decisi di andare in una libreria specifica e di farmi consigliare dal proprietario. Di sicuro doveva esserci qualcosa che faceva al caso mio. Dovevo solo trovare il libro perfetto.
Assaporavo già l’idea di Mycroft mentre disfaceva il libro incartato e sgranava successivamente gli occhi, mentre leggeva di che libro si trattava.
Alla fine, dopo un’intera giornata di ricerche, uscii dalla libreria con il mio nuovo acquisto: una storiografia che riguardava la nascita della Gran Bretagna fino ai giorni nostri. Non poteva che fargli piacere, pensai eccitato al solo pensiero.
Adesso l’unico problema era quello di stilare una lista abbozzata del menu – niente di troppo complicato e che implicasse chissà quali doti culinarie – e quando riuscii a finire pure questa, presi il cellulare e chiamai Mycroft.
Agii d’impulso in realtà, entusiasta e fiero di me stesso e della mia idea e, solo dopo, quando per caso guardai l’orologio, mi resi conto che probabilmente a quell’ora Mycroft era ancora in ufficio a lavorare. Per questo mi scusai con lui per l’orario – dal suo tono di voce mi sembrò, infatti, piuttosto seccato – e subito dopo cercai di essere breve e lo invitai per l’indomani. La sua risposta negativa però mi sorprese talmente tanto che ne rimasi abbastanza deluso e arrabbiato. Ero così convinto che mi avrebbe risposto di sì, in modo entusiasmante, che fu come se il mondo mi fosse improvvisamente crollato addosso. Inoltre, erroneamente, fraintesi quella risposta negativa per un rifiuto netto e categorico.
Gli avevo pure detto di avere una sorpresa per lui, ma lui mi aveva rifilato la – solita – scusa del troppo lavoro. Come poteva lavorare anche di notte? Non si fermava mai? E aveva pure il coraggio di dirmi che avevo indovinato?! Il lavoro per lui era sempre al primo posto, era la sua assoluta priorità. Iniziavo a pensare che invece non aveva nessuna voglia di vedermi e che preferiva il lavoro a me, o peggio che lo stava usando solo come una scusa.
Guardai sconsolato il libro già incartato, che giaceva sul tavolo, e mi lasciai andare su una sedia. E adesso cosa avrei dovuto fare? Mi ero talmente impegnato perché fosse tutto perfetto, perché non lo deludessi. Avevo pure cercato quel maledetto libro e adesso tutto era sfumato in un bel niente.
Provai a richiamarlo più volte, lo stesso giorno, ma il cellulare era sempre staccato. Che fosse in un posto dove non prendeva campo? Era nel bel mezzo di una riunione o al Diogenes Club? O magari l’aveva spento intenzionalmente per non parlare più con me e per chiudere i rapporti in modo definitivo? Evidentemente me la stavo prendendo anche troppo per un rifiuto giustificato, ma non riuscivo davvero a vederla in un altro modo.
Da quel giorno in poi, io e Mycroft non ci sentimmo più e nemmeno io riprovai più a richiamarlo. Mi aveva detto che era estremamente impegnato con il lavoro, quindi aspettai che fosse a lui rifarsi vivo. Non ricevetti però nessuna chiamata, né un solo messaggio. Era come se si fosse dimenticato di avvertirmi o se si fosse dimenticato di me.
Ebbi indirettamente sue notizie, in un certo senso, un paio di giorni dopo, quando mi trovavo a pranzo a casa dei miei. La televisione era accesa e il telegiornale stava trasmettendo le notizie più importanti. Una di queste mi scosse talmente e sentii subito salire lungo la schiena un brivido.
Sherlock Holmes – il grande Sherlock Holmes! – si era suicidato, gettandosi dal tetto del St. Bart’s.
Non riuscivo a credere a ciò che stavo ascoltando e alle immagini che scorrevano davanti ai miei occhi sullo schermo del televisore.
Sentii i miei genitori commentare la notizia, ma la loro voce era ovattata o io mi trovavo in una dimensione fuori dallo spazio e dal tempo. Mi chiesero anche qualcosa, fecero il nome di Mycroft e captai infine solo la parola fratello. Probabilmente mi stavano chiedendo se quello non fosse infatti il fratello di Mycroft Holmes. Rividi me stesso, come se mi fossi trovato fuori dal mio corpo, annuire in silenzio, sconvolto e impotente.
Era come se mi fosse crollata addosso l’intera vita, nonostante io non fossi il protagonista di quella tragedia. Il mio pensiero andò successivamente e soprattutto a Mycroft. Doveva essere straziato per la morte del fratello: sapevo quanto gli volesse bene, nonostante non facessero altro che litigare.
Dovevo mettermi in contatto con lui, chiamarlo e chiedergli almeno se stesse bene o se avesse avuto bisogno di qualcuno con cui confidarsi e parlare. Io ci sarei stato per lui, qualsiasi cosa fosse successa.
Per prima cosa lo cercai al cellulare, ma questo continuava ad essere irraggiungibile. Probabilmente adesso aveva un motivo in più per tenerlo spento: la stampa avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di speculare su una notizia del genere e Mycroft era il primo a cui avrebbero chiesto ogni genere di informazioni. Mi dissi che era inutile andare a cercarlo al Diogenes Club; sicuramente non avrebbe passato le prossime settimane in un luogo pubblico, quindi mi restava solamente casa sua. Non mi andava però di presentarmi davanti casa sua, senza essere stato invitato. Meglio se prima lo avessi messo al corrente della mia visita. Ed ecco che mi ritrovavo ad un punto morto.
Adesso iniziavo pure a sentirmi in colpa per essermela presa in quel modo, per aver dubitato delle parole di Mycroft e per aver giudicato il suo comportamento. Forse stava passando un periodo difficile, proprio a causa del fratello, ed io ero ovviamente l’ultima persona con cui ne avrebbe parlato.
Inoltre non riuscivo davvero a spiegarmi il motivo di quel suicidio. La tv continuava a dire che Sherlock si era tolto la vita, perché aveva ingannato tutti. Non era un detective, non era il grande Sherlock Holmes che tutti conoscevamo, ma solo un uomo che si era preso gioco di tutti, per troppi anni. E adesso che era stato scoperto aveva preferito togliersi la vita.
E Mycroft era stato al corrente di tutto questo o l’aveva scoperto solo in seguito, come tutti gli altri? Doveva essere stato un duro colpo per lui, in questo caso. Ma come si poteva fingere in questo modo per così tanto tempo? Non riuscivo a darmi delle risposte e ben presto lasciai perdere queste elucubrazioni. Non aveva più senso interrogarsi su domande a cui il vero interessato non avrebbe più potuto rispondere.
Riprovai nei giorni e nelle settimane successive a mettermi in contatto con Mycroft, gli lasciai anche dei messaggi in segreteria, ma non ricevetti mai una risposta. Inutile pensare a tutte le scuse possibili, ormai era chiaro il messaggio: Mycroft non voleva più risentirmi. Anche se dentro di me continuavo a pensare che ci fosse un’altra spiegazione a questo suo comportamento.
Ognuno reagisce al lutto in vari e disparati modi, magari era questo il suo modo. Chiudersi in se stesso e isolarsi dal mondo intero. Alla fine accettai per buona questa scusa, solo per convincere me stesso che non poteva essere finita tra di noi e che c’era ancora una speranza.
Così passarono i giorni. I giorni diventarono mesi e infine anni. Continuai la mia vita come se niente fosse successo, mi buttai a capofitto sul lavoro, ebbi qualche vittoria personale che giovò alla mia carriera e conobbi anche gente nuova e interessante. Però fu tutto inutile dal punto di vista sentimentale: non riuscii davvero a dimenticare Mycroft, il mio cuore apparteneva ancora a lui e, ogni volta, lo cercavo tra la folla o controllavo in modo assiduo il cellulare, in cerca di chiamate o messaggi, ma non trovai mai nulla da parte sua. Non andai mai oltre, non lo cercai veramente al Diogenes Club, né mi spinsi fino a casa sua, per un’unica ragione: io e Mycroft in realtà non eravamo assolutamente nulla. Non si poteva dire che fossimo una coppia, ma solo due persone che si stavano conoscendo e nient’altro. Qualcosa forse era andato storto e Mycroft aveva deciso di fare marcia indietro. Avrei però preferito sentirlo dalle sue labbra, che indovinarlo in questo modo.
Forse non eravamo nemmeno amici, secondo Mycroft. Probabilmente avrebbe usato la parola conoscenti per descrivere il nostro rapporto. Un rapporto che si era interrotto improvvisamente e in modo definitivo.

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Capitolo 17
*** I made a mistake ***


Non sentii più Ian da quel pomeriggio, quando mi chiamò per invitarmi. Non lo richiamai – come mi ero ripromesso di fare – per dirgli che finalmente non avevo più impegni e che potevo benissimo accettare il suo invito a cena, se questo fosse ancora valido. Non risposi nemmeno alle sue successive chiamate o ai suoi messaggi in cui mi chiedeva se stessi davvero bene o se avessi voglia di parlare con lui, riguardo a quanto era successo a Sherlock.
In ogni caso, se avessi deciso di farmi vivo, non lo avrei comunque messo al corrente del vero piano ideato da me e Sherlock. Nessuno doveva infatti sapere che in realtà era ancora vivo.
Né risposi ai messaggi successivi in cui iniziava a chiedermi ulteriori spiegazioni al mio comportamento o in cui mi esortava a chiarire cosa fosse successo tra me e lui e perché mi fossi chiuso in me stesso. Ignorai anche ogni chiamata, ogni messaggio vocale, lasciato in segreteria, e lasciai dire ad Anthea che, se Ian avesse cercato di mettersi in contatto con me in modo diretto, non ero disponibile ad incontrarlo.
Mi comportai in modo vile, scappai rovinosamente, nascondendomi dietro il muro che avevo nuovamente innalzato – me ne rendo conto – ma i dubbi avevano ricominciato ad assillarmi.
Una frase in particolare di Sherlock – sembra che tu abbia trovato il tuo pesce rosso! – mi aveva portato a riflettere nuovamente. Io, che avevo sempre messo da parte la gente, disprezzandola, mentre aborrivo ogni comportamento e cercavo di distanziarmene, adesso avevo trovato davvero un ‘ pesce rosso ‘, come aveva affermato Sherlock. Questo mi aveva portato a pensare alla situazione che si era venuta a creare, a ciò che davvero implicava e al fatto che, alla fine, in un modo o nell’altro, sarei comunque rimasto solo ed esclusivamente il vecchio Mycroft Holmes.
Il cambiamento – quello che in molti si aspettavano dal sottoscritto, Ian compreso – non ci sarebbe mai stato. E nonostante anche lui, Ian, continuasse a dirmi che mi preferiva così com’ero, decisi che era meglio chiudere i rapporti invece di portarli ancora avanti, prima che poi fosse stato troppo tardi.
Non ero fatto per stare in compagnia di qualcuno. Il mio destino era quello di rimanere solo con me stesso. Mi dispiaceva, ma era ciò che andava fatto. Io e Ian non ci saremmo più parlati, né visti. Era finita: avevo deciso in questo modo e niente mi avrebbe fatto cambiare idea. Avevo preso un abbaglio, ma adesso fortunatamente stavo ritornando sui miei passi. Non avrei più commesso lo stesso errore, non ci sarei cascato nuovamente.
Mi concentrai sul mio lavoro, sull’ordinaria amministrazione, sulle scartoffie da controllare e firmare, e non pensai più a Ian – o almeno ci provai, perché inizialmente fu davvero dura. Talvolta infatti il suo viso mi appariva improvvisamente davanti agli occhi, in momenti in cui mi ritrovavo a pensare al passato. Immediatamente scacciavo quel pensiero, accantonandolo nei meandri della mia mente e facevo finta di niente. Continuavo a ripetermi di avere cose più importanti di cui occuparmi e che io non provavo sentimenti come l’amore, che non potevo cascarci come invece facevano tutte le persone normali. Io non ero normale, io ero superiore a tutto questo. Lo ero sempre stato e non potevo permettermi di cadere così in basso. Non potevo tradire me stesso, i miei valori e le mie convinzioni in questo modo così ridicolo. Perché in quel momento non ero altro che questo: un essere umano debole e ridicolo, che si era fatto trascinare dai sentimenti e aveva perso di vista le priorità assolute.
Dopotutto ci ero già passato e non dovevo farmi condizionare nuovamente da essi. Non dovevo preoccuparmi, né addirittura soffrire per qualcosa del genere. Non c’era nessun vantaggio in questo ed io lo sapevo benissimo. L’amore non mi interessava e ne potevo anche fare a meno. La presi quindi come una sorta di sfida in cui dovevo uscirne vincitore.
Andò anche bene, in realtà. Avevo tutto ciò di cui avevo bisogno: il mio lavoro che era anche la mia ragione di vita.
Da quando presi questa decisione, in un certo senso, iniziai a sentirmi risollevato. Una sensazione che era nata a poco a poco, mese dopo mese. Mi abituai nuovamente alla mia vecchia condizione, all’essere tornato il Mycroft Holmes di sempre – o The Iceman, come mi avevano soprannominato – e mi sembrò essere tornato nuovamente a casa, dopo un lunghissimo viaggio. Non c’era più traccia di quel lato nuovo di cui avevo timore. Era scomparso e ne fui totalmente lieto. Avevo riacquistato finalmente il controllo della situazione.
Ben presto Londra iniziò ad essere al centro di una miriade di piccoli e grandi problemi da risolvere. In particolare uno di questi richiamò tutta la mia attenzione: una nuova cellula terroristica, attiva nella capitale, si stava preparando a sferrare un attacco di grandi dimensioni. Avevamo ricevuto le nostre informazioni, ma qualcosa era andato storto. La nostra talpa aveva perso la vita per entrarne in possesso, così dovetti ammettere di avere bisogno dell’aiuto di mio fratello. Iniziai le ricerche il più presto possibile e riuscii a rintracciarlo in Serbia, dove lui stava cercando di sgominare l’immensa rete di contatti di James Moriarty. Partii così a malincuore per la Serbia – il lavoro sul campo non era esattamente il mio ambiente – e dopo svariati tentativi, mentre il mio livello si abbassava di molto, tra contrabbandieri e situazioni non proprio adatte al sottoscritto, riuscii nel mio intento. Trovai Sherlock e lo riportai sano e salvo a casa.
Ritornati a Londra, io e Sherlock ci occupammo quindi della nostra cellula terroristica, mentre la notizia della sua misteriosa ricomparsa iniziava a fare il giro della capitale.
Il destino però non aveva ancora finito con me e aveva deciso di giocare con la mia vita. Un pomeriggio, infatti, mentre ritornavo a casa a piedi – era una bella giornata e avevo deciso all’ultimo minuto di fare una passeggiata, piuttosto che farmi riaccompagnare in auto – incontrai Ian. Né io né lui ci eravamo aspettati un incontro simile e per questo restammo parecchio sconvolti, quando i nostri sguardi si incrociarono.
Erano passati esattamente due anni e, se pensavo di aver totalmente eliminato quelle emozioni che provavo esclusivamente per lui, mi sbagliavo di grosso. Non era cambiato assolutamente nulla, anzi era tutto ricominciato, come se non fosse mai finito.
Venni trasportato con la mente a quella mattina di dicembre – il venticinque di dicembre, Natale, per essere esatti – quando mi scontrai con quell’uomo dall’aspetto giovane e dai modi di fare così gentili e simpatici. Ricordai ogni singolo dettaglio, compresa la neve che si era adagiata sul marciapiede o la sensazione di calore che avevo provato mentre lo fissavo. I pacchi sparsi per terra dopo l’urto, i suoi occhi castani che mi osservavano, la sua dolce voce e quella goffaggine che lo rendeva irresistibile. Le poche frasi che ci eravamo scambiati e quegli attimi così brevi, ma così intensi e speciali.
Passai in rassegna ogni ricordo che era collegato al suo essere e non potei ignorare tutto questo. Per me sarebbe dovuto essere un estraneo, nient’altro, ma invece non lo era. Non lo era mai stato e non lo sarebbe mai stato.
La paura mi aveva portato nuovamente a commettere un errore madornale, che forse lui stavolta non mi avrebbe perdonato.
Mi fermai e lo fissai con insistenza. Non riuscivo a distogliere lo sguardo e a staccare gli occhi dal suo viso. Il tempo si fermò nuovamente, così come quando ci eravamo baciati al Diogenes Club. I rumori attorno a noi si erano attutiti e in quel momento esistevamo solo noi due.
Mi avvicinai di pochi passi, mentre lui si fermava e mi guardava. La sua espressione però era quasi indecifrabile. Non sapevo bene cosa fare e restai in silenzio, mentre cercavo le parole giuste da usare. Lui usò questo lasso di tempo per guardarmi seriamente e voltarsi, dandomi le spalle, e iniziare ad allontanarsi da me. Una fitta al cuore mi riscosse e, istintivamente, senza che lo avessi programmato, lo fermai. Mi stupii di quel gesto, ma fu solo una questione di pochissimi secondi. In quel momento avevo bisogno di parlargli e questa volta sarei stato totalmente sincero con lui. Non potevo più continuare a nascondermi o a innalzare barriere.
 
« Ian, aspetta! » esclamai con voce incerta, mentre ritiravo il braccio e aspettavo che si voltasse interamente verso di me. Passarono due o tre secondi, quasi interminabili, e si girò, sospirando stancamente. L’avevo deluso, questo era ovvio. E per questo me ne assumevo ogni colpa. Aspettai che parlasse, che dicesse qualcosa, ma lui restò in silenzio. Quindi proseguii io, distogliendo appena lo sguardo.
« Ho commesso un errore e mi dispiace. Ho agito in modo spregevole, lo ammetto, ma ho bisogno di parlarti. Di chiarire la situazione. Non qui, però. Possiamo andare a casa mia, se sei d’accordo »  aggiunsi, titubante. Ero pronto a ricevere un no o ad essere totalmente ignorato. Lui continuava a stare in silenzio, a guardarmi senza dire nessuna parola. Soppesò poi la mia proposta e infine annuì, seguendomi. Per tutto il tragitto nessuno dei due aprì bocca. Il suo insolito silenzio mi metteva a disagio, ma non dissi nulla. Era già tanto se aveva accettato di ascoltarmi.

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Capitolo 18
*** Farewell ***


A volte il destino ama giocare con le nostre vite o semplicemente adora prenderci in giro. Non so quale delle due sia più adatta a descrivere la situazione, ma la verità era che il capitolo riguardo Mycroft non era definitivamente chiuso, come avevo creduto.
Quel giorno, quando i nostri sguardi s’incrociarono per puro caso e i nostri cuori ripresero a battere all’unisono, fu come se le nostre emozioni, che erano state sotterrate nella sabbia, fossero state celate nuovamente dal vento. 
In un primo momento quando i miei occhi si posarono casualmente sui suoi, non capii cosa avevo realmente visto. Solo qualche millesimo di secondo dopo, il cuore aveva ricevuto tale informazione e il cervello stava già per accantonarla come una semplice allucinazione, come qualcosa che non esisteva e che non poteva assolutamente esistere. Mi chiesi questo infatti: stavo sognando, stavo avendo un’allucinazione o era semplicemente la realtà? Quando appurai che non si trattava di un sogno, né di un’allucinazione, ma della realtà, non riuscii ancora a crederci.
In due anni non ci eravamo mai incontrati e adesso invece Mycroft se ne stava a due passi di distanza da me, come se niente fosse accaduto.
Per due lunghi anni l’avevo cercato istintivamente con lo sguardo in ogni luogo e adesso, quando ero sul punto di dimenticarlo definitivamente, l’avevo di nuovo ritrovato.
Lo osservai a lungo, cercando di imprimermi nella mente ogni singolo dettaglio del suo viso e del suo corpo. Percepii dentro di me un caos di emozioni: la nostalgia dei tempi passati, la mancanza che avevo provato in tutti quei mesi e la rabbia. Una rabbia cieca che voleva esplodere da un momento all’altro.
Ero ancora arrabbiato con lui, sì, per ciò che aveva fatto, per il modo in cui era sparito e per non aver avuto il coraggio di dirmi in faccia tutto ciò che stava passando in quel momento. Non riuscivo a perdonarlo, ma al tempo stesso non riuscivo a sopportare l’idea di scappare e di non rivederlo mai più. La rabbia però prevalse su tutto e cercai di andarmene, di chiudere quello spiraglio una volta per tutte, per non dover ancora soffrire. Gli voltai le spalle e iniziai a camminare, ma lui – con mia grande sorpresa – mi fermò e fui così costretto a voltarmi. Non avevo molta voglia di ascoltare le sue scuse e le sue giustificazioni, però una parte di me fremeva al voler almeno sapere qual era stato il vero motivo che ci aveva allontanato, che cosa aveva fatto fino ad ora, dove era stato e soprattutto come si era sentito. Se per lui era stato difficile prendere una situazione del genere, se aveva provato le mie stesse emozioni, se aveva sofferto o se, nel frattempo, si era trasformato in un pezzo di ghiaccio.
Io avevo sofferto e molto per colpa sua, dovevo almeno essere ricompensato con qualcosa. Doveva dirmi qualcosa e sperai che avesse almeno il coraggio di essere sincero.
Iniziò a parlare, dicendo che aveva commesso un errore, che era dispiaciuto per questo, ma che sentiva – proprio adesso? Dopo due lunghi anni? – il bisogno di parlarmi e di chiarire la situazione. Un po’ tardino, in realtà; pensai, mentre lo ascoltavo. Non esternai però tale pensiero. Non mi andava di sprecare altro fiato.
Mi propose allora di andare a casa sua, per parlare con più calma. L’idea non mi allettava molto, stavo per andare a casa, anche se non avevo chissà quali impegni urgenti, ma alla fine accettai, spinto dalla necessità di sapere la verità.
Davanti al camino, in soggiorno, sulle stesse poltrone su cui ci eravamo accomodati quel pomeriggio in cui mi aveva invitato per il tè, iniziò a parlare e a raccontarmi delle sue motivazioni e di ciò che era successo in breve in quei due anni. Sembrava avesse tanto da dire e che ci fossero cose di cui non ero nemmeno a conoscenza.  

« Cercherò di non perdermi in inutili elucubrazioni, ma tenterò di arrivare al nocciolo della questione. Quel pomeriggio ho rifiutato il tuo invito perché stavo lavorando, come ti avevo detto, ed ero in compagnia di mio fratello. Non era la prima volta che ci trovavamo assieme nel mio ufficio. Avevamo infatti ideato un piano per sconfiggere una volta per tutte James Moriarty e per far ciò, Sherlock doveva uscire di scena. Per questo giorni dopo tutta Londra ha saputo del suo suicidio. Finto suicidio, in realtà. Adesso Sherlock è sano e salvo ed è tornato a Londra, dopo un lungo viaggio, e mi sta aiutando nuovamente su un nuovo caso. Nessuno sa di ciò che è successo, tranne me e altri che erano a conoscenza di questo piano.
Quando ti ho detto che, se capitava, restavo fino a tardi a lavorare, era la pura e semplice verità. Quella non era affatto una bugia, ma non potevo certo metterti al corrente di una notizia simile. E non pensare che io non mi fidi di te, perché non è vero! Non è questo il motivo per cui non ti ho detto nulla. Mi dispiace solo che, nonostante tutto, questo abbia condizionato il nostro rapporto in un certo senso. La colpa però è totalmente mia. Volevo davvero accettare il tuo invito, inizialmente il mio rifiuto era stato solo temporaneo ma, nel frattempo, quando mi ero deciso a chiamarti per chiederti se fosse ancora disponibile, non ce l’ho fatta. Ho avuto paura e i dubbi mi hanno costretto a fare marcia indietro e a rinunciare al nostro rapporto. Lo so, sono stato un vigliacco, mi sono comportato malissimo e avrei anche potuto dirtelo e spiegartelo, invece di far passare tutto questo tempo. Ho solo pensato che in questo modo sarebbe finito tutto e basta. Non ho messo in conto le tue emozioni, né le mie. All’inizio non è stato facile, ma poi mi sono abituato alla solitudine. È stato difficile non rispondere alle tue chiamate o ai tuoi messaggi, ma sapevo che se l’avessi fatto, non avrei più avuto il coraggio di dirti che non volevo più continuare a sentirti. Ho scelto la via più facile e meno diretta.
So che adesso queste mie parole non serviranno a niente, ma almeno hai finalmente saputo la verità. Hai davanti un uomo che ha paura dei sentimenti, ma che cerca di essere forte e di non farsi coinvolgere dalle situazioni per non soffrire. Questa è la mia tattica, un comportamento prevalentemente egoista. Oggi però quando ti ho rivisto ho capito che niente è cambiato in questi due anni. Sono scappato dai sentimenti che provavo per te e non è servito a niente, perché sono ancora qua, nel mio cuore. Non sono riuscito a dimenticarti del tutto e non ci riuscirò mai. Dovrò farmene una ragione, a quanto pare.
Ti chiedo solo una cosa, adesso. Spero che tu possa perdonarmi. So che pretendo molto, dopo due anni poi, ma è tutto ciò che ti chiedo. Se veramente provi tali sentimenti, forse potrai avere anche la forza di perdonarmi e potremmo magari ricominciare da capo. Finalmente ho realizzato quanto io tenga a te – ci ho messo parecchio tempo, lo so – e sono disposto pure ad aprirmi completamente a te, a lasciare che tu possa vedere il mio lato più segreto, quello che non mostro a nessuno. Se il perdono è la tua risposta e se provi ancora dei sentimenti nei miei confronti, possiamo riprovarci. Dammi solo un’ultima chance. Se non funzionerà o se non vorrai concedermela, me ne farò una ragione. Sparirò dalla tua vita e questa volta per sempre » 

Rimasi sconcertato dalle sue parole, dall’apprendere inizialmente del finto suicidio di suo fratello. Rimasi davvero sconvolto dalle loro menti, da quanto potessero essere così complicate e diaboliche. Si erano presi gioco di tutti, me compreso ovviamente. Ciò che però mi sconvolse ancora di più furono le sue giustificazioni: aveva avuto paura, aveva fatto un passo indietro e non aveva avuto il coraggio di dirmi tutto questo in faccia. Erano dovuti passare ben due anni per potersi aprire per me, solo perché ci eravamo incontrati per puro caso. E se l’incontro non fosse avvenuto, io non avrei mai saputo la verità. Dovevo ringraziare il destino, allora? O il destino aveva in serbo per noi qualcos’altro?
Avevo perso la fiducia in lui, non riuscivo a credere a ogni singola parola e la rabbia ritornava a farsi sentire più forte di prima. Come aveva potuto farmi questo? E adesso aveva pure il coraggio di chiedermi di perdonarlo?!
Su una cosa però aveva ragione: sì, malgrado tutto quello che era successo, provavo ancora qualcosa per lui! Se non avessi provato nulla, sarei stato indifferente ad ogni singola parola, ma non era affatto così.
Provavo qualcosa di forte nei suoi confronti, provavo anche rabbia che però non riuscivo a smorzare e a mettere di lato.
Voleva che gli dessi un’ultima chance, solo una, poi sarebbe scomparso, come in realtà aveva già fatto.
Ero confuso, amareggiato, deluso, arrabbiato e intanto sentivo che mi era mancato così tanto. Che mi erano mancati il suo viso, i suoi occhi azzurri e i suoi modi di fare.
 
« Non lo so, Mycroft. È passato così tanto tempo… mi chiedi qualcosa di impossibile. In questi due anni ho cercato di cancellarti dalla mia mente e dal mio cuore. Non ci sono riuscito, ma non riesco più a fidarmi di te. Mi sono sentito tradito, in un certo senso. Era come se per te io non valessi nulla e adesso mi chiedi di perdonarti?! Non lo so, davvero. È una decisione difficile. Ho bisogno di tempo per rifletterci e non so nemmeno quando avrò una risposta. Potrà anche essere negativa, anzi credo che sarà sicuramente un no, quindi non aspettarti qualcosa di positivo »
 
Risposi, amareggiato. Non riuscivo a riflettere in quel momento e avevo davvero bisogno del tempo per pensare con calma a tutto. Due anni erano fin troppi e non potevo fare finta di nulla, non potevo dimenticare il modo in cui avevo dovuto riprendere la mia vita, senza sapere nulla di lui. Mi ero preoccupato per lui, ma lui si era rinchiuso in se stesso in modo del tutto egoistico. Adesso forse toccava a me essere egoista e vendicarmi per ciò che mi aveva fatto, non perdonandolo. Ma questo non ero affatto io, non mi andava di far vincere quel mio lato oscuro. Io non ero questo e inoltre il mio istinto mi diceva di perdonarlo e di dargli quest’ultima chance e di riprovare. Cosa dovevo fare, allora?
Non dissi nient’altro e me ne andai in silenzio – un silenzio carico di rabbia, di delusione e di lacrime amare. Lo lasciai seduto alla sua poltrona, convinto che non l’avrei rivisto mai più. Chiusi la porta alle mie spalle, senza voltarmi, e mi diressi verso casa mia, mentre fuori l’oscurità più nera aveva avvolto ogni cosa.
Era davvero finita, stavolta ero stato io a prendere la decisione per entrambi. Quell’incontro – quell’ultimo incontro – equivaleva per me al nostro definitivo addio. Non c’era nient’altro da aggiungere, solo silenzio su silenzio.

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Capitolo 19
*** My love, my life ***


Vigilia di Natale
 
Per Ian
Amore mio, vita mia
 
Sono passati ben sette mesi da quando hai preso la tua decisione e sei comparso sulla soglia di casa, una sera in cui un temporale aveva colto di sorpresa Londra, solo per poterla condividere con me.
Mi sono sorpreso trovandoti lì, davanti al portone di casa mia, bagnato fradicio e piuttosto taciturno e conciso. Un breve saluto, un ‘ devo parlarti ‘ e un silenzio carico di imbarazzo e tensione. In realtà, non mi ero aspettato nemmeno di ricevere una tua visita.
Hai aspettato il momento opportuno per iniziare a parlare, mentre sedevamo in soggiorno. L’orologio a pendolo continuava a scandire i secondi e i minuti, che sembravano passare il più lentamente possibile. Quel silenzio stava diventando così opprimente. Dal canto tuo, eri davvero teso e agitato per ciò che dovevi dirmi. Sembrava che fosse davvero importante, se ci stavi mettendo tutto questo tempo. Distoglievi però lo sguardo e cercavi di non incrociare i miei occhi, come se non volessi che io ti leggessi dentro o che ti giudicassi a priori.
In quell’esatto momento ricordo di aver iniziato a pensare alla peggiore delle ipotesi. D’altronde mi avevi detto di non aspettarmi una risposta positiva, così mi ero già messo il cuore in pace e avevo iniziato a convivere con l’idea che tra di noi fosse tutto finito. Me lo meritavo, in realtà, non ti biasimo per questo. Era stata solo ed esclusivamente colpa mia, se ti avevo fatto soffrire e se adesso eravamo finiti in questa situazione così assurda e complicata.
Ci mettesti fin troppo tempo a parlare e, quando finalmente lo facesti, io ero già pronto ad accettare la tua decisione, senza protestare o senza supplicarti di ripensarci. Non sarebbe servito a nulla, comunque. Anzi un tale comportamento – inusuale per uno come me – avrebbe solamente peggiorato la situazione.
Abbassai lo sguardo, per non dover leggere nei tuoi occhi quanto dovesse essere difficile per te quel momento. Sicuramente lo era stato tanto, anche prendere tale decisione e venire fin qui per parlarmene, così evitai di guardarti perché non volevo farti soffrire ancora.
Ti ascoltai però con tutta l’attenzione possibile, mentre cercavo di dare un senso alle tue parole, mentre il mio cuore si preparava al colpo che ben presto avrebbe ricevuto, mentre il mio cervello mi ripeteva che era proprio così che doveva andare, che lo sapevo già e che era inutile illudermi del contrario.
Cercai allora quel tonfo al cuore, cercai quel dolore a cui mi sarei aggrappato più tardi, in mancanza di altro, ma non trovai nulla.
Il tuo tono di voce, inizialmente indifferente e serio, si era trasformato improvvisamente e qualcosa di cristallino era sgorgato dalle tue labbra. Parole di cui non afferravo il significato e che mi lasciavano interdetto. Erano parole che non mi ero aspettato e che forse stavo ripetendo io a me stesso, solo per non soffrire. Ma no, quelle parole apparteneva alla tua voce e alla realtà.
Alzai di colpo la testa, incrociai i tuoi occhi pieni di lacrime, in contrasto con il sorriso che splendeva sul tuo viso. Cercai una conferma nel tuo sguardo, sul tuo viso e finalmente la trovai. La tua voce mi ripeté di nuovo ogni singola parola e mi confermò tutto. Quel peso sul cuore si sciolse improvvisamente, lasciando il posto alla gioia assoluta. Non riuscivo a crederci e, tra le lacrime, mi chiedesti se potevi assentarti un attimo, perché avevi dimenticato qualcosa in auto. Inizialmente non capii a cosa ti riferivi e, solo dopo, quando ritornasti, compresi il vero motivo che ti aveva spinto ad uscire con una serata del genere, per raggiungere casa mia.
Sono passati ben sette mesi da quando, con i bagagli in mano e sotto l’acquazzone che continuava ad imperversare sulla città, ti sei trasferito a casa mia e hai preso così in considerazione la mia proposta.
Mi regalasti uno dei tuoi sorrisi, di fronte alla mia incredulità mista alla gioia pura, che però cercavo di tenere a bada e di non esternare. Una volta dentro ridemmo della pioggia – la mia amata pioggia, dicesti – che ti aveva bagnato ancora e ti aiutai a portare tutto dentro. Poi ti feci strada verso quella casa che già avevi iniziato a conoscere e di cui eri rimasto così affascinato e insieme sistemammo ogni cosa.
Quella sera ci dedicammo solo ed esclusivamente a noi stessi e, come se non fosse passato nemmeno un secondo, rievocammo finalmente quell’invito a cena che non avevamo mai avuto tempo di goderci.
Prendesti posizione tra i fornelli e iniziasti a cucinare, mentre io scartavo quel regalo, che avevi comprato tanto tempo fa e che, chissà per quale assurdo motivo, avevi ancora conversato, forse con la speranza che un giorno sarebbe servito a riconciliarci.
I sorrisi si alternavano ai baci e alle carezze e la gioia e la felicità aleggiavano nell’aria, mentre con aria sognante ed entusiasta continuavo a sfogliare le pagine di quel libro e seguitavo a ringraziarti del bel gesto e per averlo conservato fino a quel giorno.
Passammo una bellissima serata, dimenticando i giorni passati pieni di rabbia e di rancore e ricordando invece quelli più e significativi, che avevano un posto speciale nel nostro cuore.
E l’indomani, quando mi svegliai al tuo fianco, mi resi conto che un nuovo capitolo aveva avuto inizio e che tutto sarebbe andato per il meglio.
Da quella sera le cose tra di noi sono cambiate e in meglio, hanno preso una piega inaspettata e diversa da ciò che in realtà avevo temuto. Pensavo che non mi avresti mai perdonato e che non mi avresti mai più rivolto la parola.
Da quella sera ho capito l’importanza dell’amore e dei sentimenti che provo per te, ho capito che in realtà non sono poi così tanto diverso dagli altri, sotto certi aspetti, e che in questo non c’è assolutamente niente di negativo, ma solo di positivo.
Ho imparato che a volte bisogna sforzarsi di non essere soli e che condividere la propria vita con qualcun altro fa parte della vera definizione di felicità.
Ho realizzato che tale felicità comincia da noi stessi e che non risiede nelle grandi cose, ma nelle piccole cose di ogni giorno, come ad esempio svegliami la mattina accanto a te, darti il buongiorno e preparare assieme la colazione. Augurarti una buona giornata, tornare a casa dal lavoro e trovarti in soggiorno, ammirare il tuo sorriso, il tuo viso e i tuoi occhi, come se li vedessi per la prima volta in assoluto. O ascoltare la tua dolce voce, mentre parli o pronunci solamente il mio nome.
Osservo adesso la casa addobbata per Natale, così diversa e colorata da com’è di solito, così meno solitaria e cupa, e sento la tua voce mentre canticchi una canzone natalizia. Una delle tante che odio, ma che sto iniziando a tollerare. Sto scrivendo questa lettera, forse una delle tante che avrò mai scritto e conservato, ma stavolta con l’intenzione di fartela leggere e di non cambiare nessuna parola di ciò che ho già scritto. La perfezione giace tra queste parole e in ciò che sento e sentirò per te. In futuro magari avrò anche il coraggio di fare un altro passo in avanti – chi lo sa?! – ma per adesso mi accontento della tua presenza costante nella mia vita e ne gioisco pienamente.
Qua accanto ho il regalo che ho scelto per te. Credo che si sia trattato di un colpo di fulmine, quando ha attirato la mia attenzione, nella vetrina del negozio, tra piccoli abeti decorati e stelle luccicanti e luminose. Mi osservava da lontano e mi gridava silenziosamente di prenderlo e di condurlo a casa, perché era sicuro che avrebbe portato altra gioia in questa casa. Spero che per te sarà lo stesso, lo spero con tutto il mio cuore, perché il mio unico desiderio è quello di renderti felice con tutto l’amore che provo per te.
 
Per sempre tuo,
Mycroft  

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