Chemical Defect

di Sebs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***
Capitolo 4: *** Four ***
Capitolo 5: *** Five ***
Capitolo 6: *** Six ***
Capitolo 7: *** Seven ***
Capitolo 8: *** Eight ***
Capitolo 9: *** Nine ***



Capitolo 1
*** One ***


Uno.
 
Essere cacciato dall'arma sembrava un'ottima idea fin quando Moran non si trovò nel clima assurdo di Londra.
"Cliché del cazzo", aveva pensato appena poggiò il piede su suolo britannico.
Aveva vissuto nella provincia per un po', lavorato come tutto fare e dopo un po' arrivò a prendere in affitto un appartamento.
Non era un appartamento molto bello, a dire il vero non sapeva neanche se fosse legale, ma quando l'esercito ti molla, fa in modo che tutto il mondo ti molli, come un ex fidanzato ancora arrabbiato che fa in modo di farti tagliare tutti i ponti con gli amici comuni.
A sere alterne lavorava in due bar, nascondendo bene il lavoro nell'altro bar. Non gli importava molto come guadagnava, la miglior cosa della sua vita l'aveva fatta, e ora l'unico evento straordinario a cui doveva assistere era la sua morte. Un piano molto lusinghiero per un uomo che era appena entrato nella trentina.
Non gli importava -non gli importava davvero di niente.
Ma quando si alzava la mattina, e l'uomo che vedeva allo specchio lo guardava con quegli occhi azzurri e vuoti, era allora che aveva paura per se stesso. Cosa lo tratteneva dall'uccidersi, lui che aveva ottenuto quello che voleva?
L'unico giorno che si distingueva dagli altri era il venerdì, quando non doveva lavorare la sera e rimaneva a casa a pulire e lucidare la sua pistola, e poi faceva una passeggiata fino al poligono di tiro, dove sparava tutte le sue frustrazioni su un bersaglio fisso di cartone. Quando finiva, prendeva il foglio con i vari buchi dei proiettili e lo portava lontano dalla città, dove gli dava fuoco bevendo una birra che rimaneva fredda grazie al clima invernale di quel periodo. Una routine lenta e monotona. Se fosse stato un altro uomo avrebbe fatto amicizia con il tipo al bar che gli teneva la birra in fresco giusto per lui, o con l'uomo del poligono che gli chiedeva ogni sera se usava la sua o aveva bisogno di un'altra pistola.
Ma Sebastian Moran era un uomo troppo riservato e arrabbiato per farsi degli amici.
 
Quella sera però, aveva una sensazione strana. Sentiva il collo formicolargli, come -strano ricordarsi così improvvisamente di quella sensazione- quando doveva scendere sul campo e aveva un brutto presentimento.
Non che fosse un tipo superstizioso, ma i suoi genitori erano molto cattolici, quindi era stato portato a credere in certe cose.
Ad ogni modo, non si fece prendere dal panico. Prese la pistola dall'incavo nella testata del letto dove la teneva nascosta e iniziò a pulirla. Contò i proiettili e decise che quella sera li avrebbe comprati.
Messa la sicura e vestitosi, la mise alla cintura e scese al bar dove ricordò al barista della birra gelata che sarebbe andato a prendere un'oretta dopo. Il tipo annuì e sorrise, come tutti i venerdì, e lui continuò per la sua strada, fino al poligono.
Il tipo che era al bancone quella sera non era lo stesso che stava lì di solito: il vecchietto sorridente e con la mini tv e le cuffie giganti rosse era stato sostituito da un tipo con una camicia ben stirata e gli occhiali da sole. Al chiuso. Di sera e d'inverno. Moran alzò gli occhi al cielo, poi chiese dei proiettili del calibro della pistola.
Il tipo guardò nei vari cassetti e alla fine riuscì a trovarli.
Andò nell'altra stanza e capì che la sua sensazione era giusta. Il tipo non gli aveva fatto firmare il registro per i proiettili e non aveva chiesto l'anticipo. Inoltre, quattro delle sei postazioni erano occupate. Il massimo storico che quel locale era riuscito ad ottenere era stato probabilmente nel 1987 con tre su sei. Era un posto troppo fuorimano e piccolo per essere così famoso. Raramente trovava qualcuno che sparava il venerdì sera o in altri varie notti che si era trovato lì per la noia.
Non indossava mai le cuffie appese ad uno dei due ganci su uno dei separé, ma prese gli occhiali. Non aveva bisogno di diventare cieco, al momento.
Il rumore degli spari era da molti ritenuto fastidioso, ma a lui dava un senso di calma. Gli ricordava quell'ultima notte al campo, quando aveva svegliato tutti quegli stronzi. Sorrise al ricordo.
Svuotata la prima cartuccia, si guardò intorno. C'era un silenzio innaturale.
Gli altri tiratori si erano fermati, e lo fissavano. Poi, con uno schiocco di dita, lo fecero girare tenendolo per le spalle verso un punto buio.
-Buonasera, colonnello.
Dall'ombra spuntò un uomo che fece sembrare normale il tipo con gli occhiali da sole all'ingresso.
-Hai notato che la direzione del locale è in mano mia adesso.
-Devi essere molto carismatico, questo posto non aveva due clienti la stessa sera dagli anni ottanta.
-Sì, beh, loro sono miei amici.
-Carini.
Il tipo sorrise, ammiccando ai suoi scagnozzi.
Poi alzò un indice come per dire di aspettare e tirò fuori dall'ombra una di quelle cartelline in cui ogni volta che veniva chiamato in presidenza veniva segnato qualcosa di nuovo.
-Qui leggo… -sorrise. -Leggo cosine davvero interessanti, sai?
Sebastian si inumidì le labbra. Quei tipi lo tenevano ancora per le spalle, e sospirare indignato era l'unica cosa che poteva fare per irritare il tizio in giacca e cravatta che si trovava davanti.
-Ti hanno cacciato da poco dall'esercito e ora fai degli stupidi lavoretti qui e lì, giusto?
Iniziò a schioccare la lingua contro il palato. -Qui però non c'è scritto cosa hai fatto per essere cacciato dall'arma.
-Ho pestato a morte chi mi dava sui nervi.
Moran sorrise alzando le sopracciglia. Jim iniziò a ridere. -Va bene, ma a me serve un buon cecchino. E a quanto pare tu lo sei. Credi di poter lavorare per me?
-I tuoi amichetti continueranno a tastarmi le braccia?
-No, loro no.
-Potrebbero iniziare adesso?
Un cenno del capo e i tipi uscirono dalla stanza.
-Allora, ci penserai su, vero Sebastian?
-Moran. Ci penserò. Posso avere il fascicolo?
L'altro annuì. -Ne ho una copia a casa, non cantare vittoria.
-Spero la tenga vicino al comodino.
-Oh, sì. Sarai uno dei miei gioiellini più luccicanti. Il mio numero è scritto a matita sul primo foglio, e ricordati che dopo il primo appuntamento devono passare tre giorni, non di più.
-Certo, come no.
-Allora a lunedì
Il tipo gli fece l'occhiolino ed uscì dalla stanza.
Moran sfogliò un po' il fascicolo, poi controllò l'ora.
"La birra sarà congelata a quest'ora", pensò prima di prendere la pistola e lasciare il locale.

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Capitolo 2
*** Two ***


Due.
 
Sebastian Moran si prese tutto il tempo che gli serviva.
Venerdì, tornato a casa, buttò il fascicolo sul tavolo di quella che chiamava cucina, ma che in realtà era solo due fornelli e un rubinetto, si fece una doccia e poi era andato a dormire. Sentire le mani di quei tipi sulle spalle per tutto quel tempo gli aveva lasciato un senso di sporco che non sentiva da tanto tempo.
Scrollò la testa cercando di lasciar stare il suo passato, ma ogni tanto sprofondava in quei brutti ricordi e non poteva fare altro che lasciarsi trasportare.
Sabato non fece molto di diverso. Dormì fino a tardi, guardò un po' di televisione, pranzò e si preparò per uscire.
Ed in quel momento decise di leggere cosa sapeva del suo passato.
Si accese una sigaretta e iniziò a leggere. Il tipo sapeva che suo padre era un uomo molto facoltoso, e che grazie a lui era riuscito ad entrare nell'arma così giovane e senza molte difficoltà, ma che, nonostante la spintarella, era un ragazzo portato per quel genere di cose.
Aveva le pagelle delle elementari, i risultati degli esami e i giudizi delle missioni. E documenti riservati su documenti riservati che neanche lui stesso poteva vedere perché proprietà dell'esercito. Sembrava al limite tra il film horror e il comico.
Al lavoro non riuscì a pensare ad altro. Quel tipo doveva essere molto bravo con le chiavi o essere un fantasma, se era riuscito ad arrivare fino a quel punto.
Nelle carte però non si faceva parola del suo problema, né del motivo per cui era stato mandato via con disonore. C'era scritto solo "sospetta partecipazione ad atti illeciti contro la nazione". Non suonava così male detto così.
Domenica sia alzò presto, invece. La sera prima era tornato tardi dal lavoro ed era stremato, ma, abituato com'era a sfruttare le poche ore di sonno che aveva, si svegliò di buon'ora e cercò il tipo su internet.
Vicino al numero di telefono scritto a matita e sul bordo di ogni pagina c'era scritto "J. Moriarty's Web", ma su internet non c'era niente. Letteralmente niente: ogni volta la pagina diventava completamente vuota e tornava indietro in automatico. Il tipo doveva avere dei veri e propri problemi di fiducia o una buona sicurezza.
Decise che se quel tipo non l'avesse legato per polsi e caviglie e trascinato nel suo covo molto segreto da super cattivo non si sarebbe mosso dal suo appartamento. Almeno finché funzionava l'acqua calda.
Quando martedì sera, però, vide entrare nel locale dove lavorava dei tipi in completi neri, non fece altro che sospirare. A quanto pare, quel tipo si era preso anche il fastidio di cercare informazioni di routine tipo il lavoro che faceva.
Quella situazione gli sembrava così assurda che quasi iniziava a ridere.
Il telefono iniziò a squillare. -Se ha pensato che quei due tipi sono lì per lei, ci ha visto giusto. Sa, è proprio da maleducati non richiamare dopo il primo appuntamento.
Andò nel retro, per parlare al telefono evitando di essere visto da qualcuno più in alto di lui nella graduatoria del bar.
-E lei è qualche sorta di polizia della gentilezza?
-Accidenti, se non avessi già dato un nome alla mia professione, sarebbe stato perfetto. Vede, ho davvero bisogno di lei.
Le sopracciglia di Sebastian si aggrottarono. Quel tipo stava… flirtando con lui?
-Beh… io sto… lavorando al momento, quindi…
-No, non stai lavorando. Stai guadagnando qualche centesimo per sopravvivere. Io ti offro un vero lavoro.
-Solo per quel paio di cose che ho fatto nell'arma?
-Per quello, e per il tuo bel faccino. Vuoi che ti porti delle referenze, o credi di poter venire da me sulle tue gambe?
-Potresti offrirmi una cena prima di passare al piatto forte…
Sentì ridere dall'altro capo del telefono. Stava flirtando con un pazzo sconosciuto?
-Okay, allora facciamo così: appena finisci il turno, ti aspetto a quel ristorante a tre isolati verso sud da casa tua.
-Ma io stacco alle due.
-Vai a casa, ti vesti come si deve e andiamo a cena. Ti va bene?
Un ristorante aperto alle due di notte di mercoledì? Certo, come no.
-D'accordo- disse. Voleva provare quale fosse il suo limite.
L'altro attaccò, e quando tornò in sala, i damerini erano andati via.
 
Tornato a casa, si mise l'unica camicia bianca pulita che aveva e i jeans. Perché si metteva in tiro per un tipo che non gli interessava, non lo sapeva. Solo che… "Ehi, è il nostro primo appuntamento, devo essere elegante", pensò, buttando l'ennesimo mozzicone di sigaretta.
Sceso in strada non poté fare a meno di accenderne un'altra, che gettò prima di constatare che, in effetti, il ristorante era aperto, nonostante l'ora.
Entrò e trovò il tipo seduto al tavolo nel bel mezzo del locale. Era un tipo strano, ma a quanto pareva pieno di soldi.
-Benvenuto, Sebby!
-Sebastian, al massimo.
-Come siamo freddi… Allora, cosa prendi?
Ordinarono e iniziarono a mangiare in silenzio. -Non sarà avvelenato?
L'altro sorrise. -No, il dessert è avvelenato, nel caso in cui rifiuti l'offerta.
-Sembra giusto.
-Però, ascolta. Il lavoro che ti sto offrendo ti porterà a fare ciò che ami. Sparare un po' di gente, lavorare per il bene maggiore. Beh, "bene" è un concetto un po' grande.
-Ma io sono stato cacciato dall'esercito.
-Appunto, "bene" è un concetto relativo. Comunque, sarai retribuito come si deve, come un uomo della tua carica, o come dite voi imbalsamati dell'esercito. E lascerai quell'appartamentino fatiscente che chiami casa.
Sebastian fissò il piatto mentre pensava alla proposta. Non si sarebbe allontanato molto dalla nuova idea che aveva lui per giustizia. Dopotutto, era quello, essenzialmente, il motivo per cui era stato cacciato.
-Beh, se il dessert è avvelenato non potrò dire di no, vero?
-Già. Firmiamo le carte?
-Però… Dovrò essere informato di tutto ciò che concernerà i miei casi. E li accetterò solo se mi convincono abbastanza.
-Facciamo i paladini della giustizia? Una specie di Captain America inglese?
Sebastian alzò gli occhi al cielo. Quel tipo aveva la capacità di fargli saltare i nervi in pochi secondi. Alla fine se lo sarebbe trovato morto e sarà stato perché, fondamentalmente, era un idiota.
-Sì, una specie.
Prese le carte e le firmò dopo averle lette superficialmente.
-E un'altra cosa, Sebastian bello. Dammi le sigarette. Hai fumato la tua ultima sigaretta entrando qui.

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Capitolo 3
*** Three ***


Tre.
 
Dopo un paio di settimane, la più importante richiesta di Sebastian non era stata accolta da Jim -voleva che lo chiamasse così, diceva che solo sua madre lo chiamava James e solo i suoi professori o i suoi vecchi alunni Moriarty.
Perché prima di diventare un maestro nel campo del crimine era un professore di liceo, Jim glielo aveva confessato perché una volta Sebastian aveva trovato nella sua posta una cartolina dell'istituto per cui lavorava.
Comunque, dopo due settimane, non si sapeva ancora niente dell'appartamento, nonostante stesse lavorando già al terzo caso.
Jim però lo telefonò un attimo prima che riuscisse a contattarlo lui. -Sebby, ho bisogno che…
-Jim, non chiamarmi così. E poi volevo chiederti quando avrò il mio appartamento. Il padrone di casa mi sfratterà a breve e...
-Appunto, compra il caffè, vengo a prenderti e ti ci porto.
Sebastian andò al bar dove lavorava prima che Jim piombasse nella sua vita e prese due caffè, uno per sé e uno per il capo. Tornò sotto casa e vide che Jim lo stava aspettando nella sua auto grigia perfettamente lucida. Lo salutò, e Sebastian entrò in auto. -Dove abiterò?
-Nel centro di Londra, bello eh? Se ti affacci appena vedi anche il Big Ben. Ho già preso le cose che erano in casa tua, quelle due scatole eccetera.
Arrivati in un quartiere poco trafficato, Jim fermò l'automobile e scortò Sebastian nel palazzo. Arrivati al piano, Jim aprì la porta dell'appartamento e fece entrare Sebastian per primo.
-Sicuro che sia questo?
-Certo, perché?
-Sembra abitato.
-Perché lo è.
Sebastian si voltò a guardare Jim con le sopracciglia alzate. Voleva farlo vivere di straforo a casa di un riccone?
La faccia innocente di Jim che guardava l'appartamento tutto orgoglioso, poi, gli faceva saltare i nervi. -Che vuol dire che è abitato?
-Vuol dire che ci abito io. Non dovrebbero andare persone intelligenti alle cariche di colonnello, nell'esercito?
Sebastian sospirò e iniziò a massaggiarsi le tempie. -Vuol dire che vivremo insieme?
-Beh, sei la cosa più vicina ad un braccio destro, e vuoi essere sempre informato delle mie mosse, quindi...
-Volevo solo essere informato dei miei casi. Quelli dove ammazzo io le persone. I. Miei. Casi.
-Avrò capito male. Stai qui o torni nel tuo appartamentino?
-Almeno avrò una camera per me?
-Certo. E avrai l'unica copia delle chiavi della tua camera, così avrai la privacy che ti serve.
-Disse l'uomo che trovò le pagelle delle elementari del sottoscritto.
Jim annuì. -Lo so, sono un po' volubile.
L'appartamento era davvero grande, e molto disordinato. Era all'ultimo piano del palazzo, e avevano un balcone più grande degli altri condomini. Jim mostrò a Sebastian la sua camera, che precedentemente era la camera degli ospiti, e gli consegnò le chiavi.
-Ti avverto che io non so cucinare e che non sono quasi mai a casa, quindi, non so, vai a qualche ristorante se hai fame. Fai venire qui meno persone possibili, cerco di non dare nell'occhio.
"Ha un'agenzia di criminali e non vuole dare nell'occhio?", pensò Sebastian. Se le sue povere sopracciglia si fossero alzate ancora, avrebbero potuto toccare la radice dei suoi capelli rossicci.
-Credo sia tutto. Fai come se fosse casa tua! Io devo andare. Divertiti!
Sebastian continuò il tour per conto suo. La cucina era ricoperta da uno strato di polvere, se non si contavano i piatti e i bicchieri che riempivano il lavabo; nel frigo, la maggior parte delle cose erano scadute; i letti erano sfatti; il bagno un disastro.
Sebastian si arrotolò le maniche, si tolse le medagliette che portava appese al collo, e iniziò a riordinare. Cercò in tutti i modi di ignorare tutto ciò che c'era fuori dalla sua stanza, ma non ci riuscì, e alla fine si mise a fare i servizi domestici. Era stato più forte di lui.
Una volta finito, ordinò i pochi capi di abbigliamento nella cassettiera in legno che c'era di fronte al letto.
Andò nella sala e iniziò a leggere del suo nuovo caso, e quando gli occhi iniziarono a sembrargli gonfi chiuse la cartella e accese la televisione. La risoluzione dell'immagine era così alta che quasi credette di aver vissuto negli anni settanta fino a quel momento.
Iniziò a sbadigliare e quasi non si accorse di essersi addormentato.
-Stai guardando "Hannibal" senza di me?
-Cosa?
Jim indicò la televisione. Un tipo con una miriade di cani aveva un'espressione agonizzante.
-Non lo spoilerare, devo vederlo in maratona. Non ti permettere!
-Ma io stavo dormendo…
-Meglio così. Maratona d'ufficio. Vai nel tuo letto a dormire, te l'ho comprato per quello.
Sebastian annuì e andò nel suo letto. Era molto più confortevole del divano, in effetti.
 
La mattina seguente, dopo essersi lavato e vestito, andò in cucina per cercare di arrangiare una colazione. La camera di Jim era chiusa, quindi stava ancora dormendo, probabilmente.
Trovò dei biscotti e li mangiò, e si appuntò mentalmente di comprare qualcosa da mangiare.
Andò in giro a tenere d'occhio un paio di persone e a fare qualche domanda.
Quando tornò a casa, trovò Jim che guardava il telegiornale e ridacchiava mangiando una ciotola di cereali.
-Sebastian, ciao. Ma tu hai solo quelle magliette con scollo a "V"?
-Sì, mi servivano per avere a portata di mano le medagliette quando ero sul…
Si portò una mano al petto e lo sentì vuoto. Una sensazione di panico gli fece sciogliere le ginocchia.
-Non è che… hai visto le mie…
-Queste?
Jim prese dalla tasca le piastrine e le tenne appese, in mano.
-Sì, grazie.
Sebastian fece in modo di andarle a prendere, ma Jim le tirò indietro. -Ho fatto qualche modifica. Tieni.
Sebastian le prese in mano, ma non notò niente di diverso. Nome, cognome, gruppo sanguigno, codice. La girò, e vide che la seconda non riportava i suoi dati, ma un'altra scritta. "J. Moriarty's Web. Tiger".
-Qui tutti hanno un soprannome, era tempo che ce lo avessi anche tu, visto che sei diventato mio. Spero ti piaccia. È ispirato da quei graffi che ti sei fatto sulla schiena. - il tono di Jim era serio, e la voce più profonda. Sembrava un altro, e Sebastian si sentiva minacciato, veramente minacciato per la prima volta da quando lo conosceva.
Anche il suo viso rotondo sembrava più affilato.
Come aveva fatto a sapere delle sue cicatrici? Lo aveva visto nudo? O era scritto nella sua cartella?
E un attimo dopo, eccolo che sorrideva di nuovo, con la sua ciotola di cereali e il suo telegiornale pieno di omicidi e criminali.

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Capitolo 4
*** Four ***


Quattro.
 
La vita di due assassini, se si mettono da parte gli omicidi, è composta più che altro da appostamenti, osservazioni e cura dei dettagli.
Jim passava giornate intere fuori casa e giornate intere a casa a pianificare o a dormire, e lo stesso anche Sebastian.
Non c'erano molte notizie sconvolgenti, e la maggior parte dei loro casi apparivano al notiziario locale, ma non oltre. Festeggiavano quando la polizia ci arrivava tardi, e ogni volta che battevano il record di giorni intercorsi tra l'omicidio o il crimine vario e la notizia al telegiornale, si scolavano una bottiglia di vino o di qualche alcolico.
L'azienda aveva appena messo radici, quando Jim si trovò a vedere uno di quei programmi per casalinghe disperate che fanno la mattina. Parlavano di un nobile che se l'era fatta (con termini molto meno lusinghieri per il conte) con una prostituta d'alto borgo.
Jim avrebbe riso e sarebbe andato avanti a fare zapping, se non che questa prostituta utilizzava "metodi un po' particolari", come diceva la pudica mediatrice della discussione.
"Questi ricconi non hanno davvero niente da fare", pensò. Lui non aveva bisogno di ricorrere a metodi particolari per portarsi qualcuno a letto, o per soddisfare il partner. Sospirò, e continuò a fare zapping.
Sebastian tornò a casa dopo un po', con le buste della spesa.
"Il padre di Sebastian non era uno pieno di soldi?", pensò improvvisamente Jim.
-Sai, ho trovato un'altra socia -disse, alzandosi di scatto dal divano e andando nello studio.
-Davvero? -chiese Sebastian, iniziando a preparare da mangiare. -Hai pedinato anche lei fino a scoprire il gruppo sanguigno?
-Tu hai lasciato le medagliette sul tavolino del salotto. Io le ho solo modificate.
Sebastian seguì Jim nello studio e andò alle sue spalle per vedere cosa stava cercando. -Un sito porno di incontri?
-No. Questa donna è una dominatrice. Sai, di quelle che si fa pagare per picchiare e umiliare le persone fino a quando queste non raggiungono l'orgasmo.
Sebastian inghiottì a vuoto. -E con noi cosa c'entra?
-Un riccone è finito su tutti i giornali per essere stato con lei. Continui a fumare, Sebastian?
-Quindi ha delle belle conoscenze.
-Già. Se vogliamo crescere, dobbiamo portarla dalla nostra parte. Non credo si alleerebbe con la polizia, e quindi le offriamo il nostro appoggio. Non hai risposto alla domanda.
-Quindi vuoi offrirti come cliente o sbucarle alle spalle mentre si scopa qualcuno, come hai fatto con me?
-Tu non eri a letto con nessuno. E ancora non rispondi alla mia…
-Una sola. Non posso smettere da un giorno all'altro, non è umano.
-A volte mi chiedo perché ho accettato un braccio destro così morbido.
-Non so, vallo a chiedere alle persone che ho ucciso. Ops, sono morte perché le ho ammazzate io.
-Sì, sì, come vuoi. Fammi lavorare adesso.
-Mangi qualcosa?
-No, sto lavorando.
Sebastian tornò in cucina e si preparò da mangiare.
Conviveva con quel tipo da poco più di un mese e non aveva ancora capito come funzionava il suo cervello. O la sua convivenza con lui. Ma l'importante era che gli aveva dato un tetto sulla testa e un lavoro stimolante che non gli faceva sentire lo scorrere di ogni secondo con fatica.
Non pensava più all'arma, né a ciò che aveva fatto. Jim non ne aveva idea, e non chiedeva. Si era arreso dopo un po'.
Scoprì che anche cucinare lo rilassava, e quindi lo faceva ogni giorno alla stessa ora, come una specie di preghiera.
Preparato il piatto per sé, passò a riempire un piatto anche per Jim, che il più delle volte, assorto dalle sue ricerche, si trovava a mangiare i piatti freddi.
 
Quel pomeriggio Jim si fece accompagnare da Sebastian dove la Donna lavorava e abitava. -Vuoi venire anche tu?
Sebastian alzò le spalle. -Hai bisogno di qualcuno che ti guardi le spalle?
-No, ho paura che mi confonda e che mi trovi legato come un salame con lei che regge qualche giochino strano.
Sebastian ridacchiò. -Jim Moriarty ha paura di una donna.
-Se tu avessi fatto le ricerche che ho fatto io… Alcuni sono davvero raccapriccianti.
-Oh, avanti. Non dirmi che fai la posizione del missionario con chiunque incontri?
-No, certo che no. Sarebbe monotono. Ma quei giocattolini strani… E i loro usi…
-D'accordo, ti terrò la manina. Andiamo.
Nell'istante in cui scesero dall'auto grigio metallizzata, la porta della casa si aprì. La ragazza li salutò, e disse che Miss Adler li aspettava nell'altra stanza, e che erano i benvenuti.
La signorina Adler era vestita con un abito nero che ne smagriva ancora di più la figura.
-Salve. Siete i due rappresentanti?
Jim si alzò e allungò la mano. Sebastian lo imitò, e la Adler le strinse.
-Beh, in realtà, siamo qui per proporle un'offerta molto vantaggiosa. Il mio nome è James Moriarty, e lui è Sebastian Moran, e di sicuro non ha sentito parlare di noi…
-Crede sul serio?
Si sedettero, i due uomini sul divano e la ragazza su una poltrona.
-Delle voci mi dicono che state creando una rete sotterranea, è così?
Sebastian guardò Jim, spaventato. Jim, però, non mostrò alcuna esitazione. -Esatto. Per questo volevamo chiederle se voleva entrare a farne parte.
-Credete che abbia bisogno di protezione, visto che è uscito alla luce quel piccolo, chiamiamolo così, scandalo?
Jim annuì. -Abbiamo tutti bisogno di poterci fidare di qualcuno. Io sono l'uomo che ne ha meno bisogno, ma ho deciso di prendere un altro uomo come braccio destro, per ogni evenienza.
-Capisco. E voi due vi fidate ciecamente l'uno dell'altro?
-Credo che ormai lui si fidi abbastanza di me per dormire a casa mia senza più stringere la sua pistola sotto il cuscino, e io mi fido abbastanza da non controllare più ciò che mi dà da mangiare. Quindi sì, credo che ci fidiamo abbastanza l'uno dell'altro. Ma avere una persona carismatica nella nostra cerchia, un'altra mente oltre le braccia guidate dal mio collega… Ci farebbe comodo.
Irene Adler si lasciò andare sulla poltrona. Sospirò, portò una mano al mento e osservò i due uomini che aveva davanti. -Il mio nome non dovrà comparire su nessun documento rintracciabile. Ci manderemo posta normale, è più facile da eliminare. Non ho bisogno di nessun incentivo, guadagno abbastanza qui. E non credete di poter avere sconti per i servizi o altre "occasioni speciali" solo perché siete uomini e io una donna. Intesi?
-Tranquilla, Miss Adler. Moriarty ha paura dei suoi giocattoli -disse Sebastian, per alleggerire l'atmosfera.
Miss Adler rimase sorpresa. Ma poi annuì. -Avrei dovuto capirlo che anche voi... giocate per l'altra squadra, o come dite voi uomini.
-Giocate per l'altra squadra?! -chiese Sebastian.
-Anche voi?! -domandò Jim.
-Beh, sì. Non lo sapevate? Credevo aveste la sfera magica o qualcosa del genere.
-Indago, Miss Adler, ma per questioni di lavoro. Le questioni private non mi interessano.
Irene Adler scoppiò a ridere. -Scusatemi allora. -Si alzò in piedi e i ragazzi la imitarono. Allungò una mano e strinse le loro. -Manderò la ragazza che è all'ingresso a ritirare il contratto. Ci si può fidare di lei. Il contratto che ha con me è molto più rigido di quello che mi farete firmare voi. E, un'ultima cosa, Braccio -disse, tenendo la mano di Sebastian anche dopo la stretta di commiato. -Comprati un bel completo come si deve, così hai proprio l'aria da criminale.
Jim fece di tutto per trattenere la risata. Uscirono da casa Adler ed entrarono in auto, Sebastian chiese se Jim aveva davvero intenzione di comprargli un vestito da damerino come il suo.
Jim mise in moto e scoppiò a ridere. -Se smetti di fumare, forse possiamo evitarlo.

 

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Capitolo 5
*** Five ***


Cinque.

Quando Jim era fuori casa Sebastian cercava di recuperare l'ordine che aveva creato il primo giorno che era andato a vivere lì.
Jim non si era mai curato molto dell'appartamento, e Sebastian era abituato a vivere in una casa sempre pulita, e, quando era stato in missione, cercava di tenere in ordine il suo piccolo spazio. La pulizia dello spazio intorno a lui lo faceva sentire meglio dentro.
Una volta si trovò a riordinare anche la camera di Jim, che quasi neanche apriva le finestre per cambiare aria.
Dopo quello che la Adler aveva detto sul suo armadio, era curioso di vedere cosa aveva Jim nel suo e, non con sorpresa, vide che il suo armadio era pieno di vestiti eleganti, completi e camicie.
Era un tipo che non voleva sporcarsi le mani, affatto.
Sebastian si rilassava così, pianificando e riordinando, e eventualmente scolandosi qualche birra al bar dove lavorava prima.
Jim era un coinquilino tranquillo che spesso passava solo la notte lì, raramente metteva mano al suo ordine e mangiava poco ciò che Sebastian cucinava.
Perciò, quando un giorno tornò a casa dondolante e delirante, Sebastian si stupì.
-Sebby bello! Dove sei?
-Che diavolo hai combinato stasera?
-Ho bevuto un pochino. Dovevo festeggiare.
Sebastian trattenne le risate e lo accompagnò in camera sua. -E non potevi invitare anche me a festeggiare?
-No, Sebby bello, non capisci. Ho trovato il caso della mia vita!
-Ma davvero?
-Certo! È un tipo cervellone e un vecchio amico… Amico, bah…
-Capisco… Dovrò liberare l'appartamento per farvi incontrare?
-Oh, no, lui ha già un amichetto.
-Mi dispiace.
Jim si mise sui gomiti. -Non è che mi stai prendendo in giro, Sebby bello?
-Tu continui a chiamarmi "Sebby bello", chi prende in giro chi?
Sebastian andò in cucina e prese gli ingredienti per fare un preparato contro il post-sbornia.
-Hai un buon punto, Sebastian.
-Tieni, bevi. È per domani mattina.
-Certe volte mi ricordi mia madre. "James, fai così, James fai cosà" ma che diavolo.
-Ma davvero…
-Già.
-Facciamo che ora dormi e non dai fastidio, okay?
Uscì e chiuse la porta della camera. Decise di andare a dormire anche lui.
La mattina dopo aveva intenzione di dormire fino a tardi, dato che non aveva nulla su cui lavorare.
Però le cose non andarono come aveva pensato.
Sentì un rumore fuori dalla  sua porta e controllò la sveglia. Erano le cinque di mattina.
Prese la pistola che nascondeva sotto il comodino e andò nella sala. C'era una figura indistinta. Ci si avvicinò silenziosamente e puntò la pistola sulla sua schiena. -Che diavolo vuoi?
Quella rispose con una voce inconfondibile, sebbene stranamente nasale. -Sebastian, sono io. Mi sa di avere la febbre.
Sebastian abbassò la pistola. -Dici sul serio?
La figura alzò le spalle. -Non trovo le coperte. Ho freddo.
Sebastian alzò gli occhi al cielo. -Dannazione, Jim. Sono un cecchino, non un dottore.
Jim sorrise alla battuta, e poi starnutì.
-Vai a metterti a letto, te le porto io.
Andò a prendere le coperte in camera sua e le sistemò sul letto di Jim.
-Dovrebbe andare un po' meglio.
-Seb, non abbiamo medicine? Devo lavorare io oggi.
Sebastian poggiò una mano sulla fronte di Jim. -Non credo proprio che ti muoverai dal letto, visto che sei bollente.
-Ma il mio caso…
-Vado a prenderti qualcosa.
Sebastian cercò nell'armadietto delle medicine e trovò una sola dose. Si appuntò mentalmente che il mattino dopo sarebbe dovuto andarle a comprare.
Tornò in camera da Jim e gli diede il bicchiere dove aveva sciolto la pasticca. -Bevi, ti farà bene.
Si alzò e fece per uscire, ma Jim gli prese debolmente un polso. -Grazie. Sebastian, grazie.
Sebastian sorrise appena, e uscì dalla camera.
Ora che era sveglio, però, sarebbe stato difficile riprendere sonno. Ma era ancora troppo presto per scendere e pianificare.
Così si sedette sul divano e iniziò a fare zapping con il muto impostato. Chi l'avrebbe mai detto che il grande Moriarty si sarebbe farro venire una febbre dopo essersi sbronzato per bene? Sebastian rise al pensiero. Jim faceva il gran duro, e poi questo.
Con il muto, però, sentì che l'altro stava parlando. Si era messo a lavorare?
Entrò nella sua stanza, ma lui era steso sul letto, inghiottito dalle coperte, delirante.
Poggiò una mano sulla fronte, ma era inutile. La febbre doveva fare il suo corso prima di passare. Dopo pochi secondi dal suo tocco, però, il borbottio si tranquillizzò, e così Sebastian si trovò seduto vicino al letto di Jim, accarezzandogli il viso come faceva sua madre con lui quando era più piccolo. Man mano scorgeva dei particolari che non aveva mai notato in precedenza: le rughe sottili agli angoli degli occhi quando li stringeva, la barba rada che si sentiva appena sotto le sue dita, le ciglia sottili.
Quando si fu tranquillizzato fece colazione, e pensò di ripulire le armi. Non sarebbe sceso, quella mattina.
Dopo che Jim gli aveva affidato metà dell'armamentario in sua mano, Sebastian pensò di nasconderlo per la casa, così, in caso di attacco, o che qualcuno li avesse trovati, sarebbe stato pronto.
Però quando cercò le armi che aveva sparpagliato sotto i divani o dietro la televisione, non li trovò. Quelle in camera sua erano rimaste dove lui le aveva messe, ma le altre no.
-Te le ho nascoste.
-Ma sei cretino? Ti si rialzerà la febbre se vai in giro.
-Non ti preoccupa che abbia preso le armi?
-In effetti, mi fa un po' incazzare, ma è casa tua.
Jim alzò una spalla. -Voglio vedere Hannibal. Vieni a tenermi fresca la faccia o ti devo pagare un extra?
-Dimmi dove sono le armi.
-Nel doppio fondo del mio armadio. Vuoi che ti preghi?
Sebastian lo superò e controllò nell'armadio. C'era davvero un sottofondo. Prese un po' di quei gioiellini e si sedette sulla sua sedia.
Jim si sistemò sul letto e schiacciò play.
-Questo è uno dei miei telefilm preferiti, ti piacerà.
Rimase tutta la giornata a vedere quel povero cinofilo farsi maltrattare in diversi modi da chiunque lo conoscesse. E a resistere dalla tentazione di far partire qualche colpo ogni volta che Jim metteva in pausa le scene del crimine e commentava come il suo metodo sarebbe stato molto più efficace. 

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Capitolo 6
*** Six ***


Sei.

Quando Jim si riprese dalla febbre si mise in testa che avrebbe dovuto recuperare il tempo perduto il più presto possibile e che gli serviva l'aiuto di Sebastian, nonostante stesse lavorando anche lui ad un caso che assegnatogli un bel po' di tempo prima.
Però l'armadio di Moran non era adatto a fingersi un agente, di qualsivoglia grado.
-Ha ragione Irene Adler. Dobbiamo farti un completo.
-Rallenterà le indagini.
-Ti tornerà utile se ci beccano e dovrai comparire in tribunale.
Il sarto era un vecchio amico di Moriarty, e bloccò tutte le attività in corso in quel momento nel suo negozio per ricamare il completo nel minor tempo possibile.
-Non sarà un Westwood, ma neanche uno straccetto -sostenne, mollando semplicemente Sebastian alla sartoria e dimenticandosi di andarlo a prendere, così lui dovette tornare a casa a piedi.
Appena aprì la porta di casa, fu assalito dal fumo. -Che diavolo…?
Jim aveva dei guanti da cucina e una teglia in mano. -Pensavo che se lo riusciva a fare un testone ce l'avrei fatta anche io…
-Io sarei il testone?
Jim alzò le spalle, il tegame ancora in mano.
-Pensa a pulire, io preparo da mangiare.
-Dovrai andare a Cardiff.
-Treno? Quanto saranno, un paio d'ore?
-Due e mezza, e sì. Dà meno nell'occhio. E poi non sei bravo a guidare.
-Fai prima a dire che non vuoi che tocchi la tua auto.
Jim alzò ancora le spalle. -Sicuro che non vuoi provare ad assaggiare quello che ho fatto?
-Cos'era? Polpettone?
-Pollo. Intero. Non si vede? -chiese, mettendogli la teglia sotto il naso.
-Occupati di tagliare queste cipolle, Jim. E butta via... quella cosa.
 
Un paio di giorni dopo prese il treno delle ventuno, più discreto degli altri, come avevano previsto.
Alle ventitré e un quarto era arrivato all'albergo. Non aveva sospettato neanche leggermente che Jim Moriarty aveva preso un biglietto dell'ultimo secondo, dopo averlo visto con quella giacca nera sulle spalle larghe.
E non sospettò di nulla fino a quando una mano con un orologio che conosceva bene lo afferrò per la cravatta e lo tirò nella stanza.
-Jim?
-Stai zitto, Moran.
Nella sua mente, ciò che Jim vedeva si accavallava a ciò che aveva visto quel pomeriggi a casa.
Ricordava di quando Sebastian annodò la cravatta aggiustando il colletto, e con la stessa delicatezza allargò il nodo e lo fece scivolare sul collo nudo, e lo strinse.
Vide Sebastian infilarsi la giacca goffamente perché era molto più stretta della sua giacca di pelle abituale. Jim gliela sfilò con una mano, mentre chiudeva la porta a chiave con l'altra.
-Mi vuoi dire cosa diavolo stai…
Jim tirò la cravatta così forte che Sebastian si abbassò leggermente. -Ho detto che devi chiudere il becco.
Iniziò a sbottonare i bottoni della camicia. Non gli aveva fatto fare un gilet perché sarebbe sembrato ancora più goffo di quello che sembrava, non abituato a quella tenuta.
Sebastian sentì il respiro di Jim colpirgli il petto nudo. Respirava con la bocca, affannato, come dopo una corsa, ed era pronto a scommettere che Jim sentiva il suo cuore battere all'impazzata.
Le imprecazioni che Jim diceva contro la sua cinta lo scossero dalla sorpresa. Prese il mento di Jim con una mano e iniziò a baciarlo con aggressività, occupandosi della sua giacca, togliendogli l'impaccio della cravatta e iniziando a sbottonare anche la sua camicia. Una catenella di metallo simile alla sua era appesa al collo di Jim, ma lui non gli permise di vedere il ciondolo, perché se la sfilò e la lanciò lontano. Ma a Sebastian non importava della collana.
-Finalmente ti sei unito alla festa, Tigre -disse, tirandolo per la cravatta fino al letto, guardandolo con i suoi occhi completamente neri, sotto quella luce fioca. Nonostante fosse più basso di lui, il tono di Jim quasi lo spaventò.
Non si dissero più niente, fino a quando Jim chiarì la situazione, una volta che avevano concluso.
 
La mattina dopo Sebastian si svegliò nudo e solo nel letto dove aveva passato la notte con Jim.
Ogni volta che credeva di aver capito cosa c'era nella testa di quel tipo lui lo sorprendeva, ancora e ancora. Ma era abbastanza convinto che non ci fossero altri modi con cui poteva sorprenderlo, dopo quella notte.
Si chiese se fosse stato solo un sogno, una sua fantasia. Se in realtà aveva solo alzato un po' il gomito. Si tirò su, e vide che il minibar della stanza non era stato toccato, e il suo completo era stato sistemato su una sedia, come per evitare che si stropicciasse. E lui non li aveva messi lì, la sera precedente. Dormire nudo, poi. Non l'aveva mai fatto se era da solo.
Si lasciò cadere tra i cuscini. Su uno dei pomelli che abbelliva l'angolo della testiera del letto era annodata la sua cravatta. C'erano anche le sue medagliette da militare. Si girò dall'altra parte, ma no, l'altro non serbava nessuna sorpresa. Il cuscino vicino al suo, però sì. Era intriso di profumo, uno troppo costoso per lui.
Sebastian ricordò le ultime parole che ricordava dette da Jim. "Non significa niente, ovviamente", gli aveva sussurrato in un orecchio, mordendogli il lobo.
 
Si alzò e si preparò. Continuò le indagini come se non fosse successo niente, e tornò a Londra una volta finito, dopo un paio di giorni.
Non c'era niente ad aspettarlo a casa. Non che si aspettasse un comitato di benvenuto, dei coriandoli o una parata.
Era scura e odorava di chiuso. E dello stesso profumo che aveva sentito sul cuscino.
No, quella sera non era stata un sogno, ma a quanto pareva, doveva rimanere tale.
Jim voleva che rimanesse tale. E Sebastian non poté fare altro che abbassare la testa e obbedire al suo capo.
Anche se la notte di neanche una settimana prima, il suo capo soffocava un grido contro un cuscino. Un grido con cui lo chiamava sempre più vicino a sé.
 

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Capitolo 7
*** Seven ***


Sette.
 
Se prima Jim passava molto poco tempo a casa, adesso non ci passava neanche le notti.
E Sebastian si trovò a domandarsi se stava passando la notte con qualcun altro. Ma poi scuoteva la testa e si rimetteva a lavorare.
Poco meno di un mese dopo quella notte, Jim tornò a casa.
-Ho bisogno del mio cecchino -disse. E si chiuse nella sua camera.
Quando riaprì la porta e lo fece entrare, la stanza era piena di mappe e di piantine di una piscina.
-Prepara i tuoi fucili. Avrai bisogno di un paio di quelli.
-Un paio? Entrambi sotto la mia mira?
-Ci sono quelle specie di piedistalli, come quelli dei fotografi, no? Devi fare solo "click" e la foto si spiaccica contro il muro.
Sebastian alzò gli occhi al cielo, e vide il telefono di Jim vibrare sul tavolo. -La Adler ti sta chiamando.
-Sono due settimane che mi chiama. Non ho tempo per le sue stronzate.
-Non è stata una buona idea farla entrare nel giro.
-Oh, no. È un aiuto prezioso. Conosce gente, te l'ho detto, no?
Sebastian annuì. Sembravano estranei, come prima.
Jim afferrò il cappotto. -Ti farò sapere, va bene?
Sebastian annuì.
-Apparecchi per due, stasera?
Sebastian trattenne a stento un sorriso. -D'accordo.
-Grazie, T. Ci vediamo.
Aprì la porta. Ci ripensò, come se avesse dimenticato qualcosa, e andò verso Sebastian. Lo afferrò per i passanti dei jeans e lo tirò a sé. Gli morse il labbro inferiore, con gli occhi spalancati e piantati in quelli chiari di Sebastian. -Non ti avevo detto di smettere di fumare? -disse, con voce roca.
Appena rimase da solo, Sebastian passò la punta della lingua sulle sue labbra. No, a quanto pare non voleva che rimanesse solo un sogno.
 
Ma la realtà non era così semplice.
Appena Jim uscì dalla camera, Sebastian controllò i documenti. Quel caso non portava nessun nome nello spazio riservato al cliente.
Avevano avuto clienti che volevano restare nell'anonimato, certo, ma anche in quel caso si facevano strappare un nome. Questa volta era del tutto diverso.
Iniziò a leggere: Jim avrebbe giocato con un tipo, a modo suo. Con degli esplosivi, e la partita finale si sarebbe svolta in una piscina.
C'era persino la mappa della piscina, e segnati i vari punti dove si sarebbe trovato lui, un secondo cecchino e Jim. E le due vittime.
No, a quanto pare non era cambiato niente, sostanzialmente.
Sebastian rimise le carte nell'ordine in cui le aveva trovate, consapevole che, nonostante ciò, Jim avrebbe capito che ci aveva messo mano, e andò a preparare il pranzo. Non doveva essere un caso serio, se non lo aveva informato. Ma se aveva bisogno di due cecchini non voleva forse dire che aveva davvero bisogno di aiuto?
-È un bel caso, vero? -la buttò giù quando Jim tornò a pranzo.
-Ne sentirai parlare al telegiornale, certo. E potrei anche giocarmi la carriera.
-Serio allora…
-Già. C'è qualcosa che non va, Sebastian?
-Ti avevo chiesto di informarmi sui casi in cui sarei stato utile.
-E infatti ti ho informato sulla tua parte: terrai due fucili in una piscina a...
-Non lo chiamerei informare, questo. Di solito so tutto dei miei casi.
Jim posò la forchetta sul piatto. -C'è qualcosa che non va, T?
-No.
-Perché ti fidi di me?
-Perché hai scelto me come cecchino?
-Perché ti hanno cacciato dall'arma?
-Perché è l'unica cosa che non sai di me?
-Non è l'unica. Lo sai bene.
-E io non mi fido di te.
-Eppure mi fai da mangiare ogni giorno. Perché?
-Abitudine. Mi piace solo quello che cucino io stesso.
-Anche a me. Perché ti ostini ad erigere un muro contro tutti?
-Perché hai scelto me?
-Sei il migliore di queste parti. E il più in crisi, avevi bisogno di una mano, e abbiamo concordato che una mano lava l'altra. Ora: quel muro che stai ricominciando ad erigere comprende anche il nostro lavoro?
-Ti comporti in maniera diversa con ogni persona che conosci?
-Intendi, con te? Sì. No, mi pongo solo in maniera diversa. Ti tratto come tratto gli altri.
Sebastian annuì.
-O magari ti riferivi a Cardiff?
Sebastian si alzò, prendendo i piatti e poggiandoli nel lavello. Aprì l'acqua.
-Allora? Credevi che ti avrei portato fiori e cioccolatini e saremmo rimasti a letto tutta la giornata?
-Chiamami quando hai bisogno dei miei proiettili- tagliò corto Sebastian, sbattendo la porta dell'appartamento e iniziando a camminare per le strade di Londra.
Era solo l'ora di cena, poteva fare ciò che voleva. Il suo unico caso aperto era irrisolvibile, e decise di arrendersi.
Quando tornò, a sera tarda, scoprì che Jim non era solo nell'appartamento. Se ne accorse solo quando, cercando la chiave della sua stanza, sentì un rumore particolare, uno che aveva già sentito, provenire dalla sala. Un gemito.
Si schiarì la gola quando capì cosa stava succedendo, e Jim si alzò, alzandosi anche i pantaloni nello stesso momento.
Sebastian lo guardò negli occhi, poi andò nella sua stanza.
Un terzo uomo guardò la scena, inginocchiato, senza muoversi.
Jim lo fece andare via, poi gridò contro la porta di Sebastian:-Questa è casa mia, faccio quello che diavolo voglio, hai capito?
Continuò a fare commenti ad alta voce, fino a quando Sebastian non si spazientì e non spalancò la porta. -Hai più bisogno tu di me che non il contrario. Vuoi che me ne vada?
Jim abbassò il volume della voce e usò il suo tono ufficiale, quello che usava con i clienti:-Tu sei di mia proprietà, Sebastian Moran. Non il contrario. Ricordatelo le prossime volte.
Girò sui talloni nudi e andò a chiudersi in camera sua.
Quella fu la prima e l'ultima volta che un uomo entrò nell'appartamento di Jim dopo che Sebastian si era trasferito lì.
 
 

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Capitolo 8
*** Eight ***


Sebastian aveva notato che il giorno in cui si attuava uno dei piani di Jim, lui avrebbe fatto le stesse cose, ogni minima cosa, come tutte le altre volte precedenti, quasi come se soffrisse di disordine ossessivo-compulsivo.
Quando era nell'esercito, offrivano una consulenza psicologica per i soldati, e Sebastian sapeva che molti dei suoi commilitoni avevano l'ossessione per le abitudini. Era un modo per razionalizzare la paura, dicevano gli psicologi per spiegare come questo comportamento nascesse all'improvviso.
Jim era come loro. Si alzava alle sei e mezza, o probabilmente non riusciva a dormire. Faceva un bagno di quaranta minuti e poi prendeva il tostapane e la cioccolata.
Le prime volte per Sebastian era solo l'ennesima strana abitudine di Jim, ma con il tempo aveva imparato a sincronizzarsi con i suoi movimenti, e riusciva anche a prevedere cosa stesse per fare.
Qualche volta si svegliava solo sentendolo camminare, e fumava un paio di sigarette, aspettando che uscisse. Non interferiva mai nella sua routine, sapeva che avrebbe potuto peggiorare la situazione. Quando Jim usciva dal bagno, entrava lui, e quando usciva, Jim aveva preparato un paio di toast in più, lasciati sul tavolo della cucina, per Sebastian.
Quella mattina seguì il programma, non tanto per non interferire con i piani di Jim, ma per non creare altre fonti di discussione.
Nessuno aveva più parlato di quel tipo che era in salotto dopo che avevano discusso, e Sebastian sapeva che non sarebbe stato Jim a tirare fuori l'argomento.
Andò in camera sua, sistemò il fucile in una borsa e aprì il cassettone, dove erano ripiegate le magliette. Nell'armadio c'erano solo i giubbotti, e il completo che aveva messo quella volta a Cardiff.
Indossò una delle maglie e un paio di jeans neri, e prese il chiodo di pelle più sgualcito che aveva. 
Jim aspettava sulla porta, braccia incrociate e una spalla appoggiata al muro, le chiavi dell'auto in mano.
-Andiamo.
In auto Jim accese la radio, che iniziò a suonare Lovefool dei The Cardigans, al che Sebastian cambiò stazione. Canzone stupidamente adatta alla situazione, pensò.
Arrivarono alla piscina, e Jim fece scendere Sebastian, dicendo che aveva dimenticato una cosa. Poco dopo, eccolo lì, con un ometto dai capelli chiari con un cappotto enorme.
Sentì il telefono vibrare, e rispose. -Si va in scena, Tigre.
Quando anche un tizio alto con i capelli ricci arrivò alla piscina, Jim spuntò allo scoperto, con delle battutine pungenti che ricordavano a Sebastian il Jim che aveva conosciuto mesi prima.
Quando però iniziò a sentire con più attenzione le battute, si rese conto che si riferiva sia al tipo -Sherlock, si chiamava- sia a lui. Se Jim si fosse trovato a pochi passi da lui, Sebastian lo avrebbe preso a schiaffi. Ma quando mai non voleva saltare al collo di quell'idiota?
Accese la spia del puntatore del fucile quando Jim lanciò il segnale, e il secondo cecchino, Morstan, si rivelò utile quando il nanetto saltò al collo di Jim. Aveva davvero predetto tutto. Assurdo.
Lo vide uscire e rientrare, come da programma. Ma quando Sherlock abbassò la pistola sul cappotto che giaceva ormai inerme sul bordo della piscina, Stayin Alive dei Bee Gees iniziò a suonare. Questa sì che era una sorpresa.
Chiuse la chiamata, scusandosi. E schioccò le dita, gesto che Sebastian interpretò come un cessate il fuoco.
Corse nel retro dell'edificio.
-Cosa diavolo è successo?
-Dobbiamo andarcene di qui. E cercare quella psicopatica per fermarla.
-Chi? La Adler?
Jim annuì, mettendosi al volante. Aveva di nuovo lo sguardo capace di uccidere di quando era concentrato, e iniziò a correre tra le strade di Londra, sterzando e suonando il clacson come se non avesse appena cercato di uccidere due uomini.
-E Morstan?
-Se la caverà, è una donna in gamba.
-Donna?
-Sì, Sebastian, una cazzo di donna. Qualche problema?
Sebastian decise di tacere. Quando Jim era in quell'umore era meglio non pestargli i piedi.
Quando arrivarono, Jim scese dall'auto mentre frenava, correndo a bussare.
-Mr Moriarty, la signora Adler...
-Mi sta aspettando. 
Sebastian lo seguì, ma non sentì molto della loro discussione. Sentiva delle grida arrabbiate, ma non carpiva le parole.
Quando poi Jim uscì e prese l'auto, lasciando Sebastian nel portico, Irene lo fece entrare.
-Il tuo amico è un po' nervosetto.
-Già, beh, gli hai appena fregato un bel caso.
-Non era obbligato. 
-Cosa gli hai detto?
Irene sorrise, enigmatica.
-Quanto gli hai offerto?
-Sappiamo entrambi che Jim non si farebbe pagare con una cosa così volgare o noiosa come i soldi.
-Divertimento. Vero?
Lei alzò le spalle. -Sei davvero un bravo cagnolino. O come ti chiama lui, tigre. Cieco, obbediente, un perfetto cane da caccia. Predatore. Come fa a tenerti legato?
-Lui non mi tiene legato.
-Continua a ripetertelo. Magari ti convincerai.
-Io me ne vado.
-Come vuoi. Qui non ti tiene nessuno per il collo.
Sebastian iniziò a camminare, riflettendo su quelle parole. Magari era tempo di mollare Jim e tutto quel casino che era quella finta agenzia o quel che era.
Magari faceva in tempo a non sentirsi troppo coinvolto.

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Capitolo 9
*** Nine ***


-Dovremmo comprare una tigre, non credi?
-Moriarty, non credo tu sia qui per discutere che cucciolo prendere per il tuo appartamento. E una Tigre ce l'hai già, no?
-Vero. Siamo qui per discutere del casino che hai fatto con il mio caso personale.
-Abbiamo poco tempo.
Jim alzò le mani e si stravaccò su quella scomoda sedia.
Irene Adler sospirò. -Ho bisogno di una mano. Devo sparire, ma devo rimanere a Londra.
-Vuoi venire a casa? Credo che il mio coinquilino stia pensando di andare via. Ha messo una serratura per la sua camera, ti dovrebbe…
-Non metto il muso negli affari vostri. Solo, non posso vivere ancora in questo schifo. Io ero una donna di classe.
-Certo. Parlane con Moran.
-Moran? Non era Seb per te? La Tigre? Avete litigato?
-No, lui è un piccolo idiota egocentrico.
-Nah, quello sei tu. Hai sempre bisogno di essere al centro dell'attenzione.
-Adler, ti odio.
-Ti odio anche io. Ma ho bisogno di un appartamento, non di un box.
-Prova questo -scrisse l'indirizzo del vecchio appartamento di Sebastian su un foglietto. -Credo andrà bene.
 
-Ti piacciono sul serio le tigri, o ci siamo incontrati qui allo zoo per il mio nome? -chiese Sebastian, indicando le tigri con la testa
-Mi piacciono. Credo di volerne una.
-Hai ribadito più volte che io sono di tua proprietà. Non hai abbastanza tigri?
-Ne ho una, certo. È di mia proprietà, certo. Ma odio tenere animali in gabbia.
Jim si voltò verso di Sebastian, calandosi il berretto sugli occhi per non essere riconosciuto da spettatori indesiderati. Non lo avrebbero riconosciuto lo stesso, con quei jeans sgualciti e le scarpe da ginnastica. -Se vuoi andare, non ti fermerò. Ma tieni in conto le cose che perderai. Un bel lavoro. Armi a volontà. Denaro. Ma andrà bene. Gli altri scagnozzi sono migliorati con te.
-È un complimento?
-Sembra tale?
Jim si allontanò, lasciando Sebastian con le tigri.
Quando tornò all'appartamento, Jim era sotto la doccia, o aveva lasciato il rubinetto aperto un'altra volta.
Voleva davvero mollarlo? Solo perché aveva costruito un castello in aria e Jim non aveva seguito ciò che credeva di volere. Ma che diavolo gli era preso, per iniziare a pensare a quella notte come qualcosa di importante.
Jim uscì dal bagno con un asciugamano legato in vita e una catenella al collo.
Sebastian saltò in piedi, ma poi notò la catenella. Si alzò e la prese tra le dita, mentre Jim lo guardava, a bocca aperta, immobile.
-Questa era una delle medagliette che portavo prima. Quella che hai sostituito con la tua firma? Rispondi!
Jim serrò i denti, sentendolo gridare. -Sì, sì lo è.
Sebastian prese l'altra. "J. Moriarty's Web. The Spider".
-Cosa vuol dire? Cosa. Vuol. Dire.- disse scandendo le parole per cercare di mantenere la calma. Ma le mani avevano iniziato a tremare.
-Vuol… vuol dire che non voglio tu vada via.
-L'hai tenuta per tutto il tempo?
-Io… Sì. Sei mio, ricordi? Era per ricordarmi che sei solo una mia proprietà e…
-Ripeti sempre la stessa cosa quando finisci le argomentazioni. Non credere che io sia uno stupido solo perché non parlo mai.
-Vuoi che smetta di parlare? Sono io che ti pago. Sono io che ti ho fatto arrivare dove sei adesso. Dovresti inginocchiarti e chiedere scusa e pregare il mio perdono.
Il cervello di Sebastian non fu abbastanza veloce da fermare la sua mano, che si schiantò conto il viso di Moriarty.
Lui prese la mano che stringeva ancora le medagliette e, mentre Sebastian si preparava al peggio, Jim passò l'altra dietro il suo collo e lo baciò.
-Sei il più grosso stronzo che abbia mai conosciuto. E non hai ancora smesso di fumare!
Sebastian lo tirò a sé. -E tu non chiudi mai quella cazzo di bocca.
Jim sorrise e iniziò a baciarlo sul collo, arrivando al lobo dell'orecchio e iniziando a morderlo.
Sebastian lo tirò nella stanza più vicina trascinandolo per la catenella. Lo spinse sul letto e si sfilò giacca e maglia.
-Rimani sempre uno stronzo. Uno stronzo che compra jeans con zip difettose.
-Quanto saresti indietro se non ci fossi io?
Continuarono  a lanciarsi frecciatine e insulti fino a quando non iniziarono a colpirsi, con dei colpi che non facevano male, anzi. Jim si trovò sorpreso a pensare di aver sottovalutato il colonnello. Non solo per quanto riguardava il sesso, visto che Sebastian non era il primo e forse troppo egoista per essere il migliore che avesse mai avuto, ma per come lo aveva trascinato con sé, e per come era diventato in così poco tempo una droga di cui non riusciva a fare a meno.
 
-Non significa ancora niente?
-No.
-Vuoi un altro schiaffo?
-Rifaremo tutto daccapo?
-Oddio, ora lo faremo tutte le sere come gli sposini?
-Oh, no. Che diamine.
-Allora posso fumare -disse, prendendo un pacchetto dai jeans. Ne accese una e inspirò, espirando in faccia a Jim. -Non è che non sai fumare e mi invidi?
-No, mi da fastidio e basta.
-Peccato.
-Stronzo.
-Mi chiami così più spesso di quanto mi chiami Tigre. Vuoi cambiarmi la targhetta?
-Sebby, non fare l'idiota.
Sebastian rise ed espirò ancora. -Non sai davvero perché mi hanno cacciato dall'arma?
Jim si girò, poggiando la testa su una mano per guardarlo meglio. -No, non lo so.
Sebastian prese un altro tiro. -Bene. Mio padre era un soldato e quindi mi ha aiutato a prendere un buon posto. Ma non ero figlio unico, e mia sorella minore non era d'accordo agli ideali dell'esercito. Era una che faceva proteste eccetera, e un giorno è rimasta colpita durante una manifestazione. Non si è mai ripresa.
Un altro tiro.
-E ho fatto saltare in aria l'armeria, in Afghanistan, quando i miei genitori me lo hanno detto. Sono rimasti senza neanche un proiettile. Ma i fuochi d'artificio erano magnifici, fidati.
Jim si lasciò andare, stendendosi a pancia in giù. Sebastian prese una seconda sigaretta.
Jim si avvicinò a Sebastian, prese la sigaretta e fece un tiro.
Gli restituì la sigaretta e si allungò per baciarlo. Un bacio molto diverso da ogni altra relazione fisica che avevano avuto. Nessuna violenza in quel semplice gesto quasi innocente.
-Mi dispiace, Sebastian.
-Già. Dispiace a tutti. Per questo non ho mai dato le motivazioni per ciò che ho fatto.
Jim si sedette e continuò a baciarlo dolcemente. Sebastian iniziò a rispondere ai suoi baci. -Perché porti la mia medaglietta al collo?
-Credevo fossi diverso da me, ma mi piacevi. Invece mi somigli molto. E ho davvero bisogno di qualcuno come te.
Dormirono insieme anche quella volta, ma la mattina dopo Sebastian non si svegliò solo nel letto. C'era Jim, e il suo profumo, e le sue medagliette al collo di entrambi, e le loro mani che si tenevano strette.

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