I need a heart beat

di Jade_Echelon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Opportunità ***
Capitolo 2: *** Lavoro ***
Capitolo 3: *** Ricordi ***
Capitolo 4: *** Sentimenti ***



Capitolo 1
*** Opportunità ***


Ero seduta al tavolo, con il computer davanti a me, mentre aspettavo che la voce suadente, ma annoiata, agli altoparlanti annunciasse che l’aereo fosse pronto per decollare.
Ero diretta a Los Angeles, la città degli angeli. Non ero mai riuscita a capire perché la chiamassero così.
Si trattava di un viaggio di lavoro, fortunatamente pagato dal mio capo redattore. Ancora non sapevo quale fosse lo scopo di questo viaggio affrettato a Los Angeles, ma ne ero comunque entusiasta.
Ripensando alla telefonata avuta con il mio capo si trattava di qualcosa di grosso, un’opportunità che non potevo farmi scappare.
Era mattina presto, ed ero esausta, ma avevo poco tempo, quindi inizia a studiare alcuni appunti inviatomi dall’amministrazione bevendo un po’ di caffe. Mi avrebbe aiutato a rimanere concentrata.
Poi improvvisamente, qualcuno mi investì – letteralmente – facendomi rovesciare tutto il caffe sul computer.
Ma che razza di modi sono?! Mi alzai di scatto, irritata. Un uomo con una felpa scura, e il cappuccio tirato su, si incamminava affrettato verso il centro informazioni, sbraitando qualcosa al telefono.
“ Scusami, ma fai seriamente?” Chiesi scioccata.
Non mi degnò nemmeno di una risposta. Lo raggiunsi e lo afferrai dalla felpa.
“ Ehi. Sto parlando con te, razza di cafone maleducato!”
Lui si girò.  Aveva gli occhiali da sole che mi impedivano di vederne gli occhi, ma si capiva benissimo dall’espressione del viso che era incredulo.
“Come scusa?” Mi chiede inarcando un sopracciglio e abbassando il telefono.
“Mi sei venuto addosso, facendomi rovesciare tutto il caffè sopra al computer! Quel computer mi serve per lavorare.” Gridai esasperata. Era impossibile che non se ne fosse accorto!
Le sue labbra si tesero in un mezzo sorriso. Mi stava forse prendendo in giro?!
“ Ehi, non c’è bisogno di fare tutto questo casino. E poi sarei io il cafone!” Si trattenne a stento dal ridermi in faccia.
“ Spero tu stia scherzando. Non hai avuto nemmeno la decenza di chiedermi scusa! Non sei solo un cafone, sei anche un incivile!” Okay, forse ora stavo esagerando, ma quell’uomo mi irritava più di quanto pensassi possibile.
Questa volta non riuscì a evitare di ridere. “ Io sarei l’incivile? Fino a prova contraria sei tu che stai facendo una scenata assurda solo per un po’ di caffè!”
Si tolse gli occhiali da sole, e mi guardò negli occhi. Per un secondo persi il filo del discorso. Erano due occhi incredibili, azzurri come il cielo d’estate. Solo in quel momento mi resi conto della bellezza del suo viso. Delle ciocche castane cadevano leggere, incorniciandolo perfettamente. Aveva la carnagione chiara e le labbra perfette.
Poco dopo mi accorsi che ero rimasta imbambolata come una cretina. Arrossii sensibilmente e cercai di schiarirmi le idee.
“Strano che non ti abbia notato.. Di solito le belle ragazze le noto sempre.”
Disse sfacciato.
Ma con quale cazzo di coraggio?!
“ Sei pure arrogante e presuntuoso. Ottimo, ma sempre a me le teste di cazzo devono capitare?!” Mi chiesi retoricamente e sbuffai incazzata. “Sai cosa? Tieniti pure le tue scuse. Non mi interessa parlare con gente ad un livello di intelligenza tanto basso.”
Detto questo mi voltai e me ne andai a passo di carica, lasciandolo a bocca aperta. Probabilmente pensò che fossi pazza.
Stupido irritante uomo dagli occhi incantatori.
Qualche minuto dopo, la rabbia era sbollita e mi sentii un po’ in colpa mentre salivo sul mio volo. L’avevo aggredito, e avevo esagerato, ma quell’uomo era davvero arrogante.
Oltre ad essere di una bellezza spaventosa. Sbuffai. Perché diamine ci stavo ancora pensando?
Erano anni ormai che non pensavo più a nessuna persona di sesso maschile, e il fatto che quello stupido e irritante ragazzo m’avesse incantato con un solo sguardo mi faceva innervosire.
Decisi di concentrarmi sul panorama fuori dal finestrino.
Non era la prima volta che volavo. Mi piaceva farlo. Guardare il mondo dall’alto. Vedere tutte le luci, le nuvole calme.. Non so, mi rilassava.
Decisi che dato che il viaggio sarebbe stato parecchio lungo, potevo concedermi anche un po’ di riposo.
Socchiusi gli occhi e mi lasciai andare sul sedile.
Mi svegliai solo quando l’aereo fu atterrato. Scesi frettolosa e raggiunsi l’uscita dell’aeroporto.
Non ci potevo credere. Ero a Los Angeles!
Fuori dall’aeroporto c’era la macchina dell’amministrazione. Secondo il mio capo era necessario avere un buon mezzo di trasporto.
Il viaggio verso l’albergo in cui alloggiavo durò circa venti minuti. Mi persi un paio di volte, e fui costretta a chiedere indicazioni. Con l’Inglese me la cavavo abbastanza bene, mi affascinava come lingua, ma l’accento italiano era difficile da cancellare.
Arrivata in albergo rimasi per un attimo senza fiato.
Era incredibile. Non avevo mai visto niente di più grande e maestoso.
Com’è che l’agenzia aveva speso così tanto?!
Entrai un po’ intimorita. Non ero abituata a tanto lusso.
Alla reception mi consegnarono subito la chiave della mia stanza, che più di una stanza sembrava un “piccolo” appartamento.
Il fuso orario iniziò a farsi sentire. Avevo assolutamente bisogno di riposarmi.
Guardai l’ora, le 22.30. Decisi che potevo anche farmi una doccia e poi andare direttamente a letto. Domani sarebbe stata una giornata impegnativa.
Dei rumori fuori dalla mia stanza mi svegliarono. Mi girai un paio di volte confusa, prima di rendermi conto che provenivano da appena pochi metri dalla mia porta.
Cercai di stare il più in silenzio possibile, e cercare di capire di cosa potesse trattarsi.
Riuscii a distinguere due voci. Una più rauca e profonda e un’altra molto più melodiosa, anche se segnata da una sfumatura di frustrazione.
Capii quasi immediatamente che stavano discutendo.
Cercai di ignorarli, e tornare a dormire. Ma stavano facendo davvero troppo casino.
Mi alzai frustrata, e mi diressi alla porta.
L’aprii con uno scossone e me la richiusi violentemente alle spalle.
Quando se ne accorsero, si zittirono e si voltarono.
Non ci potevo credere. Non era possibile. Era lui!
Non aveva più la felpa pesante della mattina, al contrario, indossava una canotta nera e aperta fino ai fianchi. I pantaloni erano stretti e strappati alle ginocchia.
All’aeroporto non avevo potuto notarlo, ma ora senza la felpa che li copriva, i muscoli delle braccia spiccavano tesi. Un brivido mi percorse la spina dorsale.
Quasi non lo riconobbi, i capelli erano lunghi e spettinati, ma gli occhi erano inconfondibili.
“ Ma guarda un po’! Shan, ti ricordi che ti avevo parlato di quella bella ragazza all’aeroporto?” disse l’uomo al tipo di fianco. Quest’ultimo, ‘Shan’, era più basso, ma ugualmente bello. L’abbigliamento era molto simile, stessa maglia e stessi pantaloni, solo di colori diversi. Le braccia erano enormi. I muscoli pompati, sembravano quasi scoppiare..  Mi sentii a disagio. Lui annui, anche se sembrava confuso.
“Vedo che l’educazione tu proprio non sai cosa sia. Ma ti rendi conto di che ore sono?!” Sbottai frustrata, cercando di evitare il contatto visivo, per paura di perdere nuovamente il filo del discorso. “ Io domani devo lavorare. Non so se hai presente cosa voglia dire, ma ho bisogno di riposo.” Dissi acida.
Lui fece nuovamente quel mezzo sorriso, quasi come si stesse prendendo gioco di me, e quando ebbi il coraggio di guardarlo negli occhi, vidi accendersi una scintilla di malizia. “ Io, invece, mi sto chiedendo se ti sei resa conto di cosa stai indossando. Non è giusto torturare così un povero uomo.”
Sgranai gli occhi incredula. E poi mi ricordai che mi ero infilata la mia camicia da notte di raso blu dopo la doccia.
Avvampai di calore e mi copri istintivamente il seno con le braccia. Non era trasparente, ma mi sentii comunque completamente in imbarazzo.
Lui fece qualche passo nella mia direzione, e sorrise malizioso. “Beh, a questo punto potevi anche lasciarci guardare non pensi? Ora dovrò restare sveglio tutta la notte a pensarti..” Si era avvicinato ancora di più, ora distavamo solo pochi centimetri.
Aveva un profumo buonissimo.
“Dai Jared, lasciala stare!” Rise l’uomo accanto a lui.
Jared, allora era quello il suo nome.
Lui si morse il labbro inferiore.
Io feci un passo in dietro, andando a sbattere con la schiena contro la porta.
“S-stupido, arrogante e inopportuno!” Balbettai poco convinta. “Ogni volta che ti incontro sei sempre peggio! E fidati, non pensavo fosse possibile.”
Lui fece per controbattere, ma non gliene diedi il tempo. “Ora me ne torno a dormire. Te l’ho già detto, non perdo tempo con persone insulse come te. Buona notte.” Dissi in un fiato, aprii la porta ed entrai in stanza il più velocemente possibile.
Quello era tutto matto.
Mi appoggiai al muro, quasi esausta. Perché il mio cuore batteva così veloce?!

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Capitolo 2
*** Lavoro ***


Aprii gli occhi confusa e guardai l’ora sulla sveglia. Diamine era tardissimo!
Mi alzai quasi di scatto e persi l’equilibrio, cadendo nuovamente sul morbido materasso.
Per la prima volta, guardai veramente quella stanza. Era incredibilmente lussuosa, moderna ed elegante. Il letto era comodissimo, e i colori delle pareti erano chiari e ben curati. Il lampadario era fantastico, ed emanava una luce splendida.
Mi alzai, questa volta con più calma, e raggiunsi la scrivania.
Ritrovai la borsa dove avevo infilato il computer e l’aprii, posando il contenuto sul tavolo.
Alla vista del portatile mi venne in mente quell’uomo. Jared.
Che nome particolare.. Beh, era tutto un po’ particolare. Incredibilmente bello e sfacciato; altezzoso e arrogante come pochi.
Eppure.. Quegli occhi..
La suoneria del mio telefonino mi fece sobbalzare, trascinandomi fuori dai miei pensieri.
Risposi.
“ Elisa? Salve, sono Caterina.” Era la voce squillante della segretaria del mio capo.
“Salve.”
“ Abbiamo le informazioni che le servono per il lavoro.” Annunciò soddisfatta. “Su richiesta di molti lettori della nostra rivista, lei dovrà scrivere un articolo molto dettagliato sulla vita dei membri di una Rock-Band che sta avendo molto successo in questo momento.” Disse veloce. “Dovrà stare il più vicino possibile a loro, dovrà arrivare a conoscerli meglio di quanto conosca se stessa.” Annunciò.
“Okay. Come li incontro?” Chiesi io sicura.
“Le abbiamo reso il lavoro più facile. Abbiamo contattato i rispettivi membri, e loro hanno acconsentito ad occuparsi di lei. Dato che è una richiesta dei loro fan, hanno detto che sarebbero stati felici di portarla in tour e di rispondere ad ogni sua domanda.” Squillò eccitata. “ Dovrà stare quanto più tempo possibile con loro. Non abbia fretta di tornare a casa.”  Riprese subito “Ah, quasi dimenticavo. I membri sono: Jared Joseph Leto, voce, chitarra ritmica, basso, testi e front-man..”
Il mio cuore saltò un battito. La mia mente si svuotò e l’unica cosa che riuscivo a pensare era: “Ti prego, fa che non sia quel Jared”.
“ .. Shannon Leto, batteria e percussioni. Tomo Miličević, chitarra solista, tastiera e sintetizzatore.” Continuò lei tranquilla. “L’aspetteranno a pranzo nel ristorante dell’albergo. Faccia bella figura, mi raccomando.” Disse e agganciò.
Rimasi per qualche minuto con il telefono a mezz’aria.
Jared. Jared Leto. Era possibile fosse veramente lui?
Quando finalmente riuscii a riprendermi cercai inutilmente di autoconvincermi che non doveva essere per forza lui. C’erano milioni di persone che potevano avere quel nome.
E poi, anche se fosse stato quel Jared ? Non potevo certo permettergli di avere una tale influenza su di me. Già gli avevo concesso troppo potere.
Mi diressi a passo di carica in bagno, cercando di ignorare quella vocina nella testa che mi diceva di scappare e di lasciare il lavoro a qualcun altro.
Presi i primi vestiti che trovai: una canotta nera con dei jeans blue, e me l’infilai.
Guardavo riluttante il mio riflesso allo specchio. Aveva detto di fare bella figura, forse dovrei mettermi qualcosa di più carino. Pensai, ma sapevo benissimo che non era quello che intendeva, e che non era per lei che avrei voluto essere più carina.
Mi stavo innervosendo. Guardai i miei occhi verdi scuro allo specchio e mi dissi calma: “Andrà tutto bene Elisa. Basta che lo ignori.”
Uscii dalla stanza e raggiunsi il ristorante al piano di sotto. Man mano che mi ci avvicinavo diventavo sempre più ansiosa. Continuavo a passarmi le dita tra i capelli neri.
Arrivata all’entrata del ristorante, un cameriere tutto in tiro mi chiese a che nome avessi prenotato.
“Leto.” Dissi sperando fosse giusto.
Lui mi fece un sorriso stanco e mi accompagnò al tavolo.
Fu in quel momento che lo vidi.
I capelli scuri che gli cadevano disordinati sugli occhi, quegli occhi tanto incredibili da non poter essere confusi, e quel sorriso che non poteva certo appartenere a qualcun altro. Era lui. Stava parlando con un altro uomo, quello che doveva essere Shannon.
Accanto a lui era seduta una donna, capelli biondi, occhi chiari e un’aria stanca. Doveva essere la donna che parlò con il mio capo. Accanto a lei un altro uomo, capelli scuri e un aria serena, rideva con gli altri due.
Mentre mi avvicinavo sentivo il mio cuore accelerare sempre di più, fino a quando, arrivata davanti al tavolo, i suoi occhi incontrarono i miei, e lo sentii quasi fermarsi.
“Tu?!” Disse sgranando gli occhi. “ Non è possibile!” iniziò a ridere, e mi sorpresi quando mi accorsi che la sua risata era quasi melodica.
Gli lanciai un occhiataccia.
Nel frattempo Shannon si alzò dal tavolo e mi raggiunse allungandomi la mano con un sorriso. “ Ieri non abbiamo avuto modo di presentarci. Io sono Shannon Leto.” Rimasi stupita dalla tranquillità con cui mi parlò, soprattutto dopo quello che era successo la sera prima. “Io sono Elisa. Piacere mio.” Gliela strinsi, un po’ riluttante, ma grata.
Lui mi strizzò l’occhio e mi fece segno di seguirlo.
“Lui è Tomo.” Mi indicò l’uomo seduto accanto alla ragazza.
Gli strinsi la mano. “Piacere, Elisa.” Gli feci un sorriso, che ricambiò con uno altrettanto amichevole.
“Lei invece è la nostra segretaria Emma.” Continuò lui. Mi avvicinai alla ragazza, che si alzò e mi porse la mano. “Piacere.” Disse con un sorriso stanco. Ricambiai.
“Beh.. Voi due già vi conoscete.” Ci provocò Shannon con una risatina.
Io arrossii pesantemente, e lo stesso profumo della sera prima mi invase i sensi non appena mi voltai verso Jared, che nel frattempo si era alzato. Mi sorpresi di trovarmelo a pochi centimetri di distanza. Gli arrivavo a stento alle spalle, per fortuna, così non fui costretta a guardare i suoi occhi. 
Indossava dei pantaloni di pelle neri, ed una maglietta bianca un po’ bucherellata.
“Quindi sei tu.” Mi osservava. Sentivo i suoi occhi addosso.
“Beh, mi pare ovvio.” Risposi cercando di tenere un tono duro, o almeno ironico, ma senza troppa convinzione.
Lui sorrise, mordendosi un labbro per evitare di ridermi in faccia, ancora.
“Vieni. Siediti.” Disse mostrandomi una sedia vuota accanto a lui.
Lo seguii e una volta seduta al tavolo, mi obbligai a rilassarmi. Almeno un pochino.
Fu Emma la prima a parlare. “Il capo redattore della rivista per cui lavori ci ha contattati qualche giorno fa. Ha detto che avete avuto parecchie lettere dai vostri lettori che chiedevano di concentrarsi sui ragazzi.” Disse leggendo alcuni appunti che aveva posato sul tavolo.
Io annui e aggiunsi “La rivista si occupa più che altro di Rock-band emergenti, e molti dei nostri lettori già in passato ci avevano chiesto di parlare di voi. Ma in questi ultimi mesi con l’uscita del vostro nuovo album sono aumentati a dismisura e il mio capo pensa sia un’ottima idea per aumentare le vendite.” Conclusi. “ L’idea era quella di vivere a stretto contatto per un po’ di tempo, e di mostrarmi le vostre vite, così che io possa poi mostrarle ai vostri fan.” Conclusi.
“ Agli Echelon.” S’intromise Jared.
“Come scusa?” Ma di che diavolo stava parlando?
“ Si chiamano Echelon.” Continua lui. “ Non sono dei semplici fan.” Pronunciò quella parola quasi fosse un insulto.
Lo guardai confusa. “Va bene.. Come vuoi. ” Risposi secca.
“Si, il tuo capo me ne aveva parlato. E’ per questo che abbiamo accettato. Gli Echelon ne sarebbero entusiasti, e anche i membri della band ne sono felici.” Continuò Emma.
Gli sorrisi. “ Quindi quand’è che ti trasferisci?” Saltò su Jared con un sorriso malizioso.
Emma lo guardò storto. “Trasferirmi dove?” Gli chiesi scettica.
“A casa nostra, ovviamente.” Rispose con una risatina lui.
“No, non se ne parla nemmeno!” Sbottai incredula della sua richiesta.
“ Jared. Ragiona, non penso sia una buona idea. Potremo affittarle un appartamento..” Emma cercò di farlo ragionare, ma lui la zittì con un gesto.
“Se deve vivere a stretto contatto con noi, penso non ci sia niente di meglio che farla vivere con noi.” Mi guardò per la prima volta con un’espressione che non riconobbi. Era curioso..?
Sospirai. Per quanto non lo sopportavo, aveva ragione. Non c’era niente di meglio per il mio articolo che vivere con loro.
“Bene. Penso tu abbia ragione.” Dissi l’ultima frase a denti stretti, sicura che me ne sarei pentita.
“Quando mai non ho ragione?” Chiese lui alzando gli occhi al cielo.
Ecco appunto.
Mentre finivamo di pranzare, mi concentrai su Shannon e Tomo facendo delle domande abbastanza tranquille, per iniziare a buttare giù una base, evitando accuratamente di incontrare gli occhi di Jared. Emma ci aveva lasciati a metà del pranzo, dicendo che aveva molte cose da fare. Mi aveva dato un telefono, dicendo che avrei dovuto usarlo solo ed esclusivamente per parlare con lei o i membri della band. I contatti erano già all’interno.
Una volta finito il pranzo, mi alzai pronta per andare nella mia stanza e fare i bagagli.
“Noi dobbiamo iniziare ad andare Jay.” Gli ricordò Tomo. “Tra venti minuti abbiamo un intervista per MtvRock.”
Nel frattempo Shannon tirò fuori un paio di banconote da 50 e le poggiò sul tavolo, richiamando l’attenzione del cameriere.
“Okay, iniziate pure ad andare vi raggiungo all’uscita.” Li esortò lui. I due annuirono e s’incamminarono.
“ Ehi, mi hai evitato per tutto il pranzo. Pesi che non me ne sia accorto?” Chiese sorridendo.
“Cosa vuoi Jared?” Ero seccata.
Mi si avvicinò, poggiando l’indice sotto il mio mento e costringendomi a guardarlo.
“Questo.” Soffiò. “Guardarti..” E per la prima volta dalla sera precedente mi trovai davanti alla bellezza dei suoi occhi. Il mio battito si fece irregolare, e quando mi accorsi che distavamo solo un paio di centimetri sentii le mie guance ribollire di calore.  
Mi osservava con interesse, quasi come se non riuscisse a capire qualcosa di fondamentale.
Quando riuscii a riprendere possesso delle mie facoltà mentali abbassai lo sguardo e gli spostai la mano con uno scossone.
Che arrogante.
“Sei incredibile! Non posso credere che tu sia realmente così sfacciato!” Sbottai infastidita, con il cuore che batteva ancora troppo forte.
Lui fece un sorrisino. “ Quando sarai pronta, esci dall’uscita sul retro. Ci sarà una macchina ad aspettarti. Salici, ti porterà a casa mia.” Si avvicinò di più, invadendomi i sensi con il suo profumo. Mi prese la mano, e sul palmo ci lasciò cadere un mazzo di chiavi. 

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Capitolo 3
*** Ricordi ***


Come anticipato da Jared, fuori dall’albergo c’era una macchina scura che mi aspettava. Salii, un po’ ansiosa e mi accomodai sul sedile anteriore, di pelle nera.
I finestrini erano oscurati, e non vedevo il guidatore, eravamo divisi da uno sportellino.
In quella macchina mi sentivo estremamente a disagio.
Appena la macchina si mise in moto, mi sentii agitata. Stavo veramente andando a vivere con degli uomini senza nemmeno conoscerli? Certo, si trattava relativamente di poco tempo. Ma era comunque una decisione affrettata, ed io non avevo mai fatto nulla in tutta la mia vita senza averci pensato su almeno venti volte.
Giocherellavo con le chiavi che mi aveva dato il cantante.
Il solo pensare a lui mi fece arrossire. Dai, Elisa. Seriamente?!
Alla fine sapevo che si stava solo prendendo gioco di me.
Quando andai a prepararmi per raggiungere casa Leto, mi ero incuriosita e avevo cercato informazioni online sulla Band.
Sapevo perfettamente che era fatto così. Gli piaceva flirtare, giocare, prendere in giro le ragazze.
Il fatto che toccasse a me questa volta, mi faceva innervosire.
Che razza di presuntuoso insensibile.
Dopo mezz’oretta arrivammo davanti a quella che doveva essere la loro casa.
Scesi dall’auto, che ripartì immediatamente.
Rimasi incantata. Era una casa piena di vetrate, circondata da una fitta vegetazione. Era ampia, disposta su due piani.
Era pitturata di bianco, e si intravedeva la piscina sul retro. Era isolata, non c’erano altre case per kilometri di distanza.
Percorsi il vialetto con le chiavi che mi tremavano tra le mani.
Che stupida che ero. Non avrei mai dovuto accettare.
Inserii la chiave nella serratura e girai tre volte.
Rimasi per qualche minuto li impalata, a guardare la mia mano che stringeva la maniglia.
Poi mi decisi. Feci un respiro profondo ed entrai.
L’interno della casa era incredibile.
La casa era quasi interamente costituita da vetrate. Potevo vedere ogni cosa fuori, persino il cielo. Il piano terra era disposto su vari livelli. L’entrata era rialzata, e per raggiungere il salotto si doveva scendere dei gradini. I muri erano dipinti con colori chiari, pastello.
La casa era maggiormente popolata dal bianco, l’oro e il nero.
Aveva uno stile particolare, ma ogni cosa si abbinava perfettamente al resto. Rimasi incantata.
Scesi i gradini, e osservai i particolari.
Le foto, i libri.. Sul tavolino di vetro, al centro della stanza, un biglietto attirò la mia attenzione.
C’era scritto il mio nome. L’aprii e lessi il contenuto della busta, curiosa.
Ciao dolcezza, fai come se fossi a casa tua.
Al piano di sopra ci sono le camere, la tua è quella a sinistra, subito dopo le scale. Ma se preferisci non dormire sola sta notte, puoi anche aspettarmi nella mia.”



XOXO J.
 
Ero incredula. La lanciai sul tavolino. Quell’uomo m’infastidiva sempre di più.
Solo dopo che la lettera cadde bruscamente sul vetro mi accorsi che c’era una rosa, e legata ad essa c’era una chiave.
La raccolsi. E mi diressi verso quella che doveva essere la mia camera.
Pensava veramente di potermi incantare con questi giochetti?
Che bambino.
Appena entrai in camera notai subito un letto enorme. Era avvolto da una coperta di seta, bianca. C’erano tanti di quei cuscini che tra un po’ occupavano l’intero materasso.
Il pavimento era di parchè chiaro, mentre il muro era di un rosa pallido.
Davanti al letto c’era un armadio enorme. Ci sarebbe stato dentro cinque volte il contenuto della mia valigia.
Di fianco a questo c’era una scrivania di metallo opaco, e una sedia dall’aria molto comoda.
Anche la camera era completamente costituita di vetrate. Mi avvicinai a guardare fuori. Il panorama era incredibile.
Rimasi così per un po’, poi iniziai a disfare i bagagli. 
Quando finii andai alla ricerca del bagno, e dopo aver aperto un paio di porte a vuoto lo trovai.
Era enorme. Il pavimento era di legno scuro, strana scelta per un bagno, ma dava un moderno tocco elegante. Il muro era bianco e al centro della stanza si trovava una vasca enorme. Mi avvicinai e la sfiorai con le dita. Era una vasca con l’idromassaggio!
La tentazione era troppa, quindi decisi di farmi un bagno.
Mi spogliai e mi infilai nell’acqua calda.
Era incredibile. Mi innamorai di quella sensazione di relax mai provata prima.
Una volta finito, uscii a malincuore da quel piccolo angolo di paradiso, e mi avvolsi in un asciugamano morbida. Raggiunsi in fretta la mia camera e mi rivestii.
Non avevo niente da fare, quindi decisi di farmi un giro in quella casa incredibile.
Andai al piano di sotto, dove notai subito una porticina nel salotto.
L’aprii piano, e appena entrai i miei occhi si illuminarono.
Era uno studio bellissimo. C’era una scrivania elegante cosparsa di fogli, ma quello che attirò la mia attenzione furono gli strumenti musicali disposti per la stanza.
Un piano forte nero, incredibilmente maestoso, una batteria nell’angolo rialzata da terra. Ed infine il motivo del mio entusiasmo: Due splendide chitarre. Una acustica, l’altra elettrica.
Mi avvicinai, meravigliata. Non potei far a meno di sfiorarle.
Era da così tanto tempo che non suonavo.
Fu più forte di me. Presi quella acustica. Era fatta di un legno pregiato, e già perfettamente accordata.
Il mio cuore batteva all’impazzata quando con i polpastrelli pizzicai quelle corde.
Era perfetta.
Senza pensarci, iniziai a strimpellare una melodia, ed i ricordi che avevo seppellito in un angolo della mia mente e del mio cuore, riaffiorarono a galla più impetuosi che mai.


“Brava piccola, così.” Mio padre mi accarezzava i capelli mentre cercavo di seguire le note dello spartito.
Diceva sempre che avevo un dono, e che non avrei dovuto sprecarlo: che un giorno avremmo suonato insieme sopra un grande palco, circondati da tantissimi fan, che avrebbero cantato con noi.
“La musica deve uscirti dal cuore piccola. Non devi pensarci. L’unica cosa che devi fare è liberare la mente e sentirla dentro.”
Quando mio padre parlava della musica, gli brillavano gli occhi. Era sempre stata il suo unico grande amore.
Avevamo iniziato a scrivere una canzone assieme. Quella stessa canzone, che stavo strimpellando ora, senza nemmeno essere sicura che fosse così, ma che mi riempiva il cuore di gioia. Quella stessa canzone, che non eravamo mai riusciti a finire.

“Non pensavo suonassi.” Una splendida voce mi trascinò fuori dai miei pensieri, riportandomi brutalmente alla realtà.
Riaprì gli occhi, che si erano riempiti di lacrime, quando mi accorsi che Jared era appoggiato al muro, che mi guardava incredulo.
Me li asciugai velocemente, e rimisi subito la chitarra al suo posto.
“S-scusa. Mi dispiace, veramente.”  La mia voce usci quasi come un soffio. “È che era da così tanto tempo che non suonavo.. Non sono riuscita a resistere.” Confessai con un mezzo sorriso.
Lui intanto mi si era avvicinato, e quel suo profumo tanto dolce mi annebbiò i sensi. “Stai bene?” mi chiese. Sembrava veramente preoccupato. Gli sorrisi. “Si, certo.”
“Sei brava.” Osservò.
“Grazie. Mi era mancato farlo.” Ero sincera. Mi era mancato più di qualsiasi altra cosa.
“Perché hai smesso?”  Mi inchiodò con il suo sguardo di ghiaccio, e non potei far a meno di sputare fuori la verità. “ Beh, credo sia perché non avevo più stimoli.. Non avevo più colui che mi insegnava.. Era lui che mi dava spingeva a migliorare, le sue parole. Il modo in cui gli si illuminava il viso quando mi sentiva suonare e cantare..” Sospirai “ E poi, comunque, non avrei mai fatto successo. Non sono così brava.”
Sembrava affascinato dalle mie parole. Il suo sguardo mi fece arrossire.
“Mmh.”  Fu l’unica cosa che disse.
Prese nuovamente la chitarra e me la porse.
“Ti va di cantarmi qualcosa?” Chiese, e sembrava ci tenesse davvero.
“No.” Risposi terrorizzata al solo pensiero. “Non canto più da troppo tempo ormai.”
“Se vuoi allora, puoi sentire me cantare.” Mi fece un sorriso.
Annui.
Lui si sedette con la chitarra in mano, l’accordò velocemente e mi guardò.
C’era qualcosa di diverso in quello sguardo. Non erano più i soliti occhi di ghiaccio, beffardi e arroganti. Era come se si stesse sforzando di mettersi a nudo.
Sfiorò le corde con le dita lunghe e bianche, creando un suono dolce e forte.
La melodia che ne usciva era fantastica.
Poco dopo iniziò a cantare.
“No matter how many times that you told
me you wanted to leave
No matter how many breaths that you took
you still couldn’t breathe
No matter how many nights that you’d lie
wide awake to the sound of the poison rain”

Sentivo il dolore in quelle parole. Sentivo quello che provava mentre le cantava.
“Where did you go?
Where did you go?
Where did you go?
tell me would you kill to save your life?
tell me would you kill to prove you’re right?
crash, crash, burn let it all burn
this hurricane’s chasing us all underground”

La sua voce era incredibile.
Dei piccoli brividi presero a scorrermi veloci sulla pelle, mentre mille emozioni mi inondarono il cuore.
“no matter how many deaths that I die,
I will never forget
no matter how many lies that I live,
i will never regret
there is a fire inside that has started a riot about to explode into flames”
Era come se quella canzone mi leggesse dentro. Come se la sua voce desse vita ai miei pensieri più nascosti.
I miei occhi si riempirono nuovamente di lacrime.
“where is your God?
where is your God?
where is your God?
do you really want?
do you really want me?
do you really want me dead or alive to torture for my sins”

Si fermò, e mi guardò, anche lui con gli occhi lucidi.
“Gli eventi improvvisi ci coglieranno sempre impreparati. Possono causarci dolore, ma ci insegnano anche a sopravvivergli.”  
Pronunciò quelle parole guardandomi negli occhi come mai aveva fatto.
Quella volta ci lessi dentro disperazione, dolore, ma anche forza e sicurezza.
Quella volta, il suo sguardo mi lasciò senza parole.
Si alzò, e rimise la chitarra al suo posto, e senza dire un parola in più si allontanò dalla stanza.

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Capitolo 4
*** Sentimenti ***


Ero sdraiata sul mio letto non so da quanto tempo. Non riuscivo a smettere di pensare a quella canzone. Alle sensazioni che mi aveva trasmesso.. Ma soprattutto alla sua voce. Il solo ricordo mi fece arrossire e dei brividi presero a corrermi lungo le braccia.
Quello che avevo visto nello studio non era il Jared a cui ero abituata.
Era diverso.. Non so come, ma era diverso. Più vero, meno costruito.
Qualcuno bussò alla porta facendomi sobbalzare.
“Chi è?” Chiesi alzandomi.
“Sono Shannon! Ti disturbo?”
Aprii la porta e gli feci un sorriso.
“No ma va! Entra”
“Volevo chiederti un favore.” Disse lui, guardandomi negli occhi preoccupato.
Non me n’ero ancora accorta fino ad ora. Ma aveva dei riflessi verdi attorno all’iride. Erano due occhi dolcissimi.
Gli feci un sorriso di incoraggiamento. “Dimmi”
“Vieni a cena con me. Sta sera.” Quella richiesta mi spiazzò, ma prima che avessi anche solo il tempo di metabolizzare la cosa, lui continuò. “Jared è uscito, e di cenare da solo non ho voglia. Poi ho pensato che potrei farti vedere un posto carino dove sono stato una volta. Sempre se per te non è un problema.”
Lo guardai un po’ perplessa. “Non so.. E se dovessero vederci?” Non ero abituata ad uscire con persone con una certa fama.. Lui scoppiò a ridere.
“Siamo a Los Angeles Elisa, non ci sarebbe niente di male! E’ un uscita tranquilla tra amici.”
Sorrisi. D’altronde, che male mi avrebbe fatto staccare un po’? E poi, quel ragazzone che all’inizio mi metteva a disagio, si stava rivelando davvero divertente.
“Va bene” Acconsentii.
Rise di nuovo, questa volta più forte. “Lo sapevo che avresti accettato! Per questo ti ho preso una cosa.”
Lo guardai sorpresa mentre si allontanava per prendere un pacco che poi mi porse.
Lo aprii incuriosita.
Era un vestito. Il vestito più bello che io avessi mai visto.
“Oddio! Grazie! E’ meraviglioso. Ma non so se posso accettarlo..” Lo guardai dispiaciuta. “Ti sarà costato un casino.” Dissi notando delle piccole pietre che ne ornavano la scollatura.
Lui alzò gli occhi al cielo. “Se non lo indosserai sta sera mi riterrò offeso e ferito nell’orgoglio.” Fece una finta faccia arrabbiata.
Scoppiai a ridere, era davvero facile parlare con lui. “Dai! Provalo!” Mi suggerì curioso di vedere come mi sarebbe stato addosso, e in effetti lo ero anche io.
Mi alzai. “Grazie.” Gli sorrisi e lo cacciai fuori dalla stanza per potermi cambiare.
Mi guardavo allo specchio, meravigliata.
Il vestito era di raso nero, aperto sulla schiena. Scendeva leggero lungo i miei fianchi, e lo spacco, non troppo profondo, mi slanciava.  La scollatura era particolare, le spalline larghe formavano un intreccio alla vita, e si riunivano sulla schiena con un fiocco. Erano punteggiate di piccoli brillanti, che riflettevano la luce creando sfumature meravigliose.
Assieme al vestito trovai anche un paio di scarpe col tacco argentate, anch’esse cosparse di piccoli brillanti.
Mi raccolsi i capelli lunghi in uno chignon, e lasciai poche ciocche cadere delicate davanti alle orecchie.
“Posso entrare adesso?” La voce di Shan era impaziente.
Risi. “Certo.”
Quando entrò nella stanza rimase per un attimo immobile ad osservarmi.
Io arrossii. “Cavolo Elisa. Sei bellissima.” Si complimentò.. “Grazie, veramente.” Sorrisi un po’ impacciata.
Poco dopo si cambiò anche lui. Si mise uno smoking scuro. Ed in smoking era incredibilmente bello.
Uscimmo in macchina, dopo poco arrivammo davanti ad un ristorante elegante.
Non lo facevo il tipo da portare una ragazza a cena in un posto del genere.
Ci sedemmo al tavolo e ordinammo.
“Quindi, perché hai deciso di fare la giornalista?” Chiese lui d’un tratto.
Sorrisi, con lui era inevitabile. “Non lo so.” Risposi sincera. “Il mio sogno era un altro.”
“Quale?” Notai una scintilla di curiosità in quegli occhi tanto espressivi.
“Non metterti a ridere ti prego.” Lo guardai supplicante.
Lui mi incoraggiò con un sorriso.
“Volevo diventare una musicista.” Risposi sospirando.
“Perché hai mollato?” chiese assolutamente serio.
“Penso sia stato perché non avevo abbastanza fiducia in me stessa. Oppure perché la mia passione non era tanto forte da spingermi a rischiare tutto. Scelsi di fare la giornalista penso, perché così potevo stare a contatto col mondo di cui mi ero innamorata, ma senza mettermi realmente in gioco.” Era così facile parlare con lui.
Mi sorrise. “Ti capisco.” Sospirò. “Nemmeno per me è stato facile sai?”
Lo guardai curiosa.
“ Prima di entrare a far parte di questo mondo, io ero una persona completamente diversa. Non ho passato dei bei momenti.”
“Cosa intendi?” Gli chiesi.
“Ho avuto un passato complicato, ma questa non è sicuramente una buona scusa per quello che ho fatto. Anche mio fratello passò quei momenti con me, eppure lui era più forte. Riuscii comunque a studiare, ed a intraprendere il cammino che aveva sempre desiderato. Mentre io.. Beh ero più debole. Mi lasciavo trascinare, ed iniziai a drogarmi. Stavo veramente toccando il fondo.
Sebbene sapevo che il mio destino era la musica, non avevo il coraggio di rischiare tutto. Non avevo il coraggio di mollare quella vita.
Fu Jared a salvarmi, sai? Mi portò via con lui. Mi portò nel suo mondo. E io ritrovai finalmente la mia musica.”
Nelle sue parole c’era una nota di profonda ammirazione verso il fratello.
“Mi salvò la vita. Gli sarò grato per sempre per quello che ha fatto.”
Gli sorrisi, comprensiva.  
“Sono felice che tu ne sia uscito.”
“Oh, anche io. Credimi” Rise, contagiando anche me. “Magari, un giorno riuscirai ad uscire anche tu da tutto quello che ti blocca. E magari ritroverai la tua musica.” Mi sorrise, cercando di incoraggiarmi.
“Sarebbe fantastico.” Gli risposi con tutta sincerità.  
Parlammo molto quella sera, parlammo di tutto. Era così facile stare con lui.
Ridevamo e scherzavamo come se ci conoscessimo da una vita. E quando fu ora di tornare a casa, quasi mi dispiaceva.
Il viaggio in macchina fu probabilmente il pezzo più divertente, e una volta arrivati alla porta non smettevamo più di ridere. Forse era l’effetto del vino rosso, ma era stata comunque una serata fantastica.
Entrammo in casa, e mi scordai completamente dei gradini. Inciampai e gli caddi addosso.
Restammo distesi a terra a ridere per un quarto d’ora buono, fino a quando Jared non apparve da dietro la porta dello studio.
“Ma che state facendo voi due?” Chiese incredulo nel vederci seduti a terra come dei bambini.
“Gli sono caduta addosso.” Risposi trattenendo a stento le risate.
“L’hai fatta bere?” Chiese a Shan.
“Bro, solo un po’! Dai non arrabbiarti!” Anche Shannon se la rideva sotto i baffi.
“Guarda che non sono una bambina.” Gli risposi secca. “So badare a me stessa.”
“Si, ed è per questo che sei distesa sul mio pavimento mezza ubriaca.” Mi zittì lui.
“Dai ti porto a letto.” Fece per avvicinarsi, ma lo fermai con un gesto.
“Non ce n’è bisogno. Ci vado da sola.” Mi alzai, e salii le scale con un passo pesante.
Ma chi si credeva di essere? Mio padre?! Sbuffai irritata e mi diressi in camera.
Non mi accorsi che mi aveva seguita fino a quando non iniziai a spogliarmi, e sentii qualcuno alle mie spalle tossire.
“Oh, no ti prego. Non fermarti solo per me.” Disse ironico con un sorriso malizioso.
“Jared, ma che vuoi?” Chiesi seccata.
“Solo vedere se stai bene.”
“Te l’ho detto. Non sono una bambina. E non sono ubriaca, mi stavo solo divertendo un po’.” Alzai le spalle.
Lui si chiuse la porta alle spalle, e si avvicinò a me.
“Comunque, sei bellissima.” Disse sfiorandomi la spalla con la punta delle dita. Il suo respiro si infranse sul mio collo, facendomi avvampare di colore.
“Grazie.” Risposi in un soffio.
Spostò la mano fino al collo, e scese lungo la schiena, procurandomi dei brividi.
Mi scansai. “Ma che fai?” Gli chiesi seccata.
“Beh, mi pare ovvio.” Mi si avvicinò ancora, guardandomi con quegli occhi incredibili. “Ti faccio capire quanto sei bella per me.”
Il mio cuore prese ad accelerale, e il mio respiro di fece corto.
Non poteva farmi impazzire in questo modo.
“Forse è il caso che io ora vada a dormire.” Gli dissi, sottraendomi al suo sguardo di ghiaccio.
“Forse..” Mi accarezzò la guancia con le punta delle dita, e mi si avvicinò piano.
Le nostre labbra quasi si toccarono, e il mio cuore iniziò a battere frenetico, poi si spostò leggermente, baciandomi delicatamente sulla guancia.
Il suo profumo fresco e dolce, mi fece girare la testa.
Mi aggrappai alla scrivania, per non cadere.
“Buona notte, dolcezza.” Disse sorridendo, e scomparve richiudendosi la porta alle spalle.  
 
Quella notte non riuscii a chiudere occhio sebbene fossi esausta.
Ogni volta che chiudevo gli occhi mi passavano davanti le immagini di quella sera.
I suoi occhi, le sue labbra tanto vicine e quel profumo che mi annebbiava i sensi.
Ogni volta che stavo per addormentarmi, la sua voce mi risuonava nella testa, facendomi provare una sensazione stranissima allo stomaco. Faceva quasi male.
Continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto agitata e tesa. Quindi decisi di alzarmi, e scendere un po’ nello studio, magari mi avrebbe fatto bene suonare un po’.
Una volta presa in mano la chitarra acustica mi sentii subito meglio, e decisi di provare a suonare una canzone che non sentivo più da molto tempo.
Mio padre me la cantava sempre quando ero piccola, mi aiutava a rilassarmi quando ero spaventata da qualcosa.
Iniziai pizzicando piano le corde, liberando la mente e lasciando spazio alla musica di uscire direttamente dal cuore.
Non saprei dire esattamente quando iniziai, ma prima che potessi accorgermene stavo cantando, a voce bassa, quasi sussurrando, una melodia anche troppo famigliare.
Avevo gli occhi chiusi, e per la prima volta da molto tempo mi sentii libera. Era bello poter cantare di nuovo.
Ero felice.
Quando finii l’ultima strofa della canzone, sentii una sensazione scordata da troppo tempo.
Era bello poter essere di nuovo se stessi.
“Finalmente sono riuscito a sentirti cantare.” Era impossibile non riconoscere quella voce incredibilmente bella e suadente. Come un vampiro che chiama la sua preda.
Aprii gli occhi sicura di trovarlo appoggiato alla porta, come l’ultima volta.
“Non avresti dovuto sentirmi.” Dissi imbarazzata.
“Già. Sarebbe stato meglio se non l’avessi fatto.” Rispose lui con un sospiro.
Mi si avvicinò. “Te l’avevo detto che era da molto che non cantavo..” Cercai di giustificarmi, ma lui mi fece segno di star zitta.
“Sai perché sarebbe stato meglio non sentirti?” chiese guardandomi negli occhi con un espressione che non avevo mai visto prima sul suo viso angelico.
“Perché ora la tua voce mi resterà in testa tutta la notte.” Mi sussurrò all’orecchio.
Rabbrividii e divenni immediatamente rossa.
“Hai una voce fantastica.” Si era inginocchiato davanti a me, e distava solo pochi centimetri dal mio viso.
Il suo fiato fresco si infrangeva sulle mie labbra, facendomi venir voglia di avvicinarmi ancora di più.
“Grazie” balbettai.
“Mi rendo conto dell’effetto che ho su di te sai?” Mi sussurrò sulle labbra. “Mi piace.”
Rimasi immobile per qualche secondo, poi scossi la testa. Cercando di riprendere il controllo della mia mente.
“Beh, ti sbagli. Non hai alcun effetto su di me.” Stavo mentendo spudoratamente, e lo sapevamo benissimo entrambi, ma non potevo ammetterlo.
“Beh, è un peccato. Perché anche tu hai un certo effetto su di me.” Si alzò e mi passò una mano tra i capelli, sfiorandomi il viso che subito prese a pizzicare.
“Cerca di dormire. Domani ci aspetta una giornata impegnativa.”
Si abbassò e mi diede un leggero bacio sulla fronte, lasciandomi ancora una volta con mille domande e un garbuglio di sentimenti mai provati prima. 

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