King of the Sky - Torchwood

di margotj
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** parte 1 ***
Capitolo 2: *** parte 2 ***
Capitolo 3: *** parte 3 (ultimo capitolo) ***



Capitolo 1
*** parte 1 ***


Di MargotJ

King of the Sky

(part 1)

 

Di MargotJ

 

A Carmilla. Perché si è abituata e non si riesce a farle passare l’isteria da Captain Harkness

E perché ha fatto andare me un pelino fuori di testa. :)

 

Spoiler per: prima stagione di Torchwood. Le frasi in corsivo sono tratte dagli episodi.

Pairing: Jack/Ianto slash

Rating: NC17, Slash, Angst

Timeline: post 1x04, The Cyberwoman

Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Nota dell’autrice: avevo solo voglia di scrivere, non c’è nessun intento di scrivere qualcosa di profondo o memorabile. È una fanfic vecchio stampo, scritta per aggiungere qualche scena che io, personalmente, avrei voluto vedere. E, trattandosi di gusti, non mi aspetto che i personaggi siano del tutto in carattere. Magari lo sono.. magari no.

 

A seguito di spiacevoli episodi tale Fanfiction è disponibile con la mia autorizzazione solo presso il mio sito, Vs. Ananke e, da settembre 2008, su EFP. Per richieste o segnalazioni, per cortesia, scrivetemi . Grazie, MJ

 

 

Non aveva contato i colpi. Dieci o mille, che importanza potevano avere, a quel punto.

Solo il primo aveva un suono nella sua mente. Perché il primo era stato la fine del sogno.

Lisa se ne era andata. Jack l’aveva uccisa. Uccisa.

 

Uccisa.

 

Ianto si chiuse la giacca, con un gesto misurato. E, con passo tranquillo, senza illudersi di poter nascondere la propria esitazione, varcò la cancellata della grande sala centrale.

Poi alzò gli occhi.

C’era Jack, dietro la vetrata della sala riunioni. Forse anche Gwen. Ma Ianto ebbe l’impressione di non riuscire a vederla.

 

Jack lo fissava. E Ianto fissava Jack.

 

Traditore, colpevole, debole, penitente.

Assurdo, distrutto, incomprensibile Ianto.

 

Vuoi che me ne vada?

 

Nulla. Solo occhi di ghiaccio.

 

Vuoi che resti?

 

E Jack annuì, senza smettere di stringersi tra le braccia, in una posizione di assoluta difesa.

 

 

***

 

 

 

 

 

 

 

No fear, no pain

Nobody left to blame

I'll try alone

Make destiny my own

I learn to free my mind

Myself I now must find

Once more

Once more

 

(Helloween - If I Could Fly)

 

 

Nessuna paura, nessuna sofferenza/Non é rimasto nessuno da biasimare/Voglio provarci da solo/Farmi da solo il mio destino/

Ho imparato a liberare la mente/Ora devo trovare me stesso/Ancora una volta/Ancora una volta

 

 

Il pregio di una giornata infinita è avere un termine. Inaspettato come un miracolo, paradossale come l’angoscia provata a non veder mai calare il sole.

 

Se ne erano andati tutti. Ora Lisa avrebbe avuto il suo funerale.

 

Ianto compilò accuratamente i verbali di una, due, tre morti. Sacche, cartellini, sportelli metallici da aprire e richiudere. Gelo, gelo che inonda particelle morte e le rende eterne.

Uno, due, tre... Lisa a frammenti, come il suo cuore.

 

Ianto sospirò, impercettibilmente. Pose ancora una firma, asciugò una singola lacrima.

Strano, pensò, strofinando assieme le dita, credevo fossero finite. Ghiacciate.

 

Chiuse una pratica, aprì la seconda. Barrò alcune caselle, pose una firma. E si voltò, per chiudere l’ultimo loculo. Una spinta, un cigolio. La morte oltre la lastra metallica. Assieme alla vita.

 

Stringendo i fogli, restò appoggiato allo sportello appena chiuso. Il gelo risaliva lungo la spina dorsale.

 

La vita e la morte, pensò ancora, fissando il pavimento, con aria assente.

 

L’amore e l’odio... lentamente si portò le dita alla bocca, riflettendo.

 

Il reale e l’irreale, si ammonì, un polpastrello a premere sulle labbra.

 

Lisa... Jack.

 

Alzò gli occhi, di scatto. Jack era fermo, oltre il passaggio circolare.

 

***

 

Per un istante pensò che si sarebbe materializzato così vicino da soffocarlo, una mano sulla sua gola. Un modo pulito, preciso e senza rimorso di liberarsi del traditore. Poi alcune pratiche, un altro sportello da chiudere e un nuovo colloquio di assunzione.

Nient’altro. Ianto sapeva di non essere altro.

 

Io la amo, Jack. Lo puoi capire questo?

 

Lo puoi capire questo?

 

Devi capire da che parte vuoi stare... perché, se non lo sai... da questa storia non uscirai vivo.

 

No, non poteva. Jack preferiva uccidere che amare.

Allora uccidimi, Jack. Uccidimi ora e leviamoci il pensiero.

 

E Ianto, abbandonando la propria immobilità, lasciando cadere quei fogli diligentemente compilati, scattò verso di lui.

 

Jack, semplicemente, annuì. E allargò le braccia.

 

***

 

Lo afferrò e lo strinse, non reggendo l’impatto del suo corpo e della sua rabbia. Volarono a terra e il piacere del primo pugno spettò a Ianto.

Preciso, diretto.

La seconda volta in quella giornata ignobile.

Il labbro ancora contuso di Jack si ruppe nuovamente, macchiandogli le nocche di sangue e accecandolo. Altro sangue, ancora sangue. Lo colpì ancora, sentendo lo zigomo solido opporre resistenza sotto la dita doloranti.

Poi alzò il braccio e, in uno slancio di onestà, attese, attese che Jack gli rendesse il favore.

 

Perché sapeva di meritarsi un colpo, sapeva di meritare la morte.

 

Adesso è arrivato il momento di far parte della squadra...

 

Traditore. Traditore della sua stessa famiglia. La sua unica...

 

Jack non perse tempo. Ribaltò le parti, facendolo impattare con violenza con il pavimento. Le scapole di Ianto scricchiolarono in maniera sinistra, ma Jack non mollò la presa, bloccandolo con una pressione sullo sterno, la sua camicia stretta tra le dita.

 

Hai tenuto una Cyber nascosta nella base di Torchwood e non ce lo hai detto...

 

E alzò la mano, per colpire.

Colpire.

 

Cosa vi importa... io pulisco la vostra merda senza fare domande, perchè a voi piace così. Quando mai... quando mai mi avete chiesto qualcosa sulla mia vita privata...

 

Ianto chiuse gli occhi, una frazione di secondo. Poi li riaprì. E attese, in silenzio, arreso, le braccia aperte sul pavimento gelido. E Jack, il corpo di Jack e la sua rabbia cocente, a schiacciarlo.

 

Opprimerlo.

 

Tu non hai capito niente.

 

Condannarlo.

Hai mai amato qualcuno?

 

Il pugno levato tremò. La vibrazione si propagò lungo il suo corpo. Anche Ianto sembrò sentirla. Le sue pupille si dilatarono, le iridi sembrarono cristallizzarsi nel fissare Jack dritto in viso.

 

Jack, che apriva lentamente le mani, rinunciando alla vendetta, lasciandolo libero.

Jack che non diceva nulla ma aveva la bocca come incurvata in una smorfia.

 

C’è sempre qualcosa che possiamo perdere.

 

Si rialzò, con lentezza. E, quando fu certo che i passi fossero lontani, Ianto si voltò sul fianco, coprendosi la testa con entrambe le braccia. E pianse.

 

Tu pensi di essere un eroe, ma sei il mostro peggiore di tutti.

 

Pianse, come se il mondo fosse andato in frantumi.

 

***

 

Un giorno avrò la possibilità di salvarti. E ti guarderò soffrire e morire.

 

Jack si sedette, improvvisamente sveglio.

E, d’istinto, si passò le dita sulla bocca, sulla ferita dolorante e...

 

Ianto...

 

Si alzò, percorrendo con calma lo stretto passaggio, le mani sepolte nelle tasche, la testa china, ed emerse nell’ufficio. Il ritmo metallico e acuto dei sensori gli sembrò rassicurante, nel silenzio. Una coperta per reazioni meno regolari, casuali... umane...

Eppure...

 

Eppure...

 

C’era un altro suono, nelle profondità della base, discontinuo, roco.

Dapprima attutito dal cemento, dal vetro, dalla lontananza. E, man mano che Jack avanzava verso i corridoi del piano inferiore, sempre più forte, disperato.

Lamiera contro lamiera, vetri infranti, urla soffocate. Colpi ritmati, veloci, poi più solenni, poi pieni di furia.

Jack emerse dall’oscurità, nell’ultima stanza. Alcune candele erano state accese, la loro luce gialla brillava in maniera inquietante sullo scenario di distruzione. L’unità di conversione, la macchina che aveva tenuto in vita Lisa, era in pezzi. Ianto, con la mazza da baseball di Owen stretta tra le mani, non smetteva di colpire i circuiti, i sostegni, i meccanismi.

A denti stretti, gli occhi asciutti a riflettere le fiamme danzanti.

 

C’erano bottiglie a terra, vuote, semivuote. E pastiglie, un flacone arancione rovesciato. Jack lo fissò, senza fiatare. E Ianto non diede l’impressione di averlo visto.

Ma, quando barcollò, quando la mazza gli cadde di mano e le spalle si curvarono, Jack lo afferrò per la vita, mantenendolo in piedi.

 

“Se ne è andata.” - ansimò, la voce rauca, come se urla interiori lo avessero prosciugato - “Se ne è andata.”

Si appoggiò pesantemente a Jack. Perché sapeva che era Jack, non gli serviva voltarsi, udirne la voce. Gli bastavano il respiro e il calore, quel dannato calore che sentivi nello stargli vicino.

“Lo so.” - rispose Jack, mentre scivolavano a terra, uno contro l’altro, Ianto contro di lui, la fronte così vicina alla sua guancia da poterne sentire pulsare la tempia - “Mi dispiace, Ianto. Ma era così che doveva andare.”

 

Non sai mentire, nemmeno ora, pensò Ianto. Non menti nemmeno ora...

 

“Ti senti un re del cielo, vero Jack?” - domandò, con un sospiro, chiudendo gli occhi, non volendo abbandonare quelle braccia - “Decidi della vita, della morte... del giusto, dello sbagliato...”

Voltò la testa, riaprendo gli occhi, osservando la distruzione che li circondava. Ma Jack lo sentì, nitido, ricercargli la bocca con il viso. E inarcarsi, lentamente, fissandogli le labbra.

 

“Non è vero, Jack? Non sei un re del cielo? Un dio?” - sussurrò ancora, gli occhi lievemente vitrei. E le pupille dilatate per chissà quale droga - “Qui lo credono tutti...”

“Non avevo scelta.” - rispose Jack, esitando. E resistendo. Resistendo al desiderio di prendersi quella bocca, quel labbro a cuore che lasciava intravedere gli incisivi - “Non avevamo scelta.”

“Io si. Io potevo... potevo farmi sparare.”

 

Il gelo era palpabile, come il silenzio.

 

“E, invece... ho preso la pistola. Per uccidere Lisa. Per te.”

 

Ianto si alzò, sforzando il proprio fisico, eppure senza barcollare. Ma Jack non fece altrettanto. Rimase immobile, un ginocchio a terra, lo sguardo alzato verso Ianto, Ianto già oltre la soglia.

 

“Grazie.” - lo sentì dire, senza voltarsi, prima di svanire nel buio - “Grazie di averla uccisa per me.”

 

 

***

 

Ianto contava i giorni senza Lisa. E mai le notti con Jack.

Le notti erano come i colpi di pistola che l’avevano ammazzata. Solo il primo contava. Solo il primo proiettile aveva cambiato il destino. E gli altri... gli altri avevano fatto numero.

 

Solo la prima notte era stata importante. Ianto l’aveva creduta tale.

 

Poi, non aveva trovato nulla per illudersi.

Ma aveva capito le regole del gioco. E gli erano piaciute.

Jack aveva parlato di scegliere. Rimetterci o guadagnare. Ianto si era limitato ad applicare alla lettera i suoi consigli. Ci aveva rimesso e si era impegnato per guadagnare.

 

E, così, ad una notte ne era seguita ad un’altra. Un colpo, due colpi... tre...

Scanditi, regolari, letali.

Jack non aveva pietà e non conosceva esitazione. Mirava. E uccideva.

 

Ianto, semplicemente, veniva a lui in silenzio. E, in silenzio, se ne andava.

Jack non gli diceva mai addio. Come Lisa.

 

“Tutto questo non esiste.” - aveva mormorato, una notte, raccogliendo la propria cravatta e passandosela attorno al collo. La camicia spiegazzata, la giacca sotto il braccio, l’assurda impressione di avere il cuore stropicciato - “Come Torchwood.”

“Ma noi esistiamo.” - aveva risposto Jack, seduto alla propria scrivania, i piedi sul tavolo, l’incuranza di non indossare poi molto - “E ne siamo consapevoli. Non dovrebbe importarci dell’opinione degli altri.”

“Eppure ci importa, no?” - si era voltato, con lentezza, guardandolo, dandogli l’impressione di poter celare ogni più piccola sfumatura in fondo alla gola - “Ci importa perchè ci ostacolerebbero... ci importa perchè non capirebbero... Torchwood preferisce non esistere. Meno problemi.”

 

Come noi. Noi, l’amore e la morte di Lisa.

 

“C’è.” - Ianto aveva alzato le spalle, con rassegnato sarcasmo. E gli occhi gli erano brillati come onice - “C’è. Ma non esiste.”

Se ne era andato con queste parole. E Jack aveva spento le luci e riordinato la stanza.

 

***

 

“Tutto questo sesso... quello che vediamo.. quello che pensiamo...

ci sembra così bello ma ci fa tanta paura. Lo desideriamo, ma ho paura.”

 

Paura...

 

“Ancora uno.. ancora uno e sarò forte. Ogni volta ha meno effetto, ogni volta mi sento più debole.”

 

Ancora una volta.. ancora una notte... ancora...

 

“Solo uno per farmi sentire viva, per farmi sentire umana.”

 

Ancora uno... ancora una sola volta e sarà abbastanza.

Ma non lo era mai.

 

Gli bastava un’occhiata per averlo. E per avere, ogni volta, l’insoddisfazione di non averlo domato, piegato, compreso. Ianto gli sfuggiva. Continuava a sfuggirgli. Non avrebbe mai smesso di farlo.

 

Un giorno avrò la possibilità di salvarti. E ti guarderò soffrire e morire.

 

Si, era stata una profezia.

Ianto era la sua stessa profezia. Jack non si faceva particolare illusioni. Anche i re dei cieli cadono, ad un certo punto. E, immortali, restano intrappolati sulla terra a rimpiangere la loro grandezza e il volare libero che, un tempo, sapevano compiere.

 

I re del cielo...

 

Del resto, chi fa certe minacce deve essere abituato a metterle in pratica. Parola del capitano Harkness. E Jack non tendeva a contraddire se stesso, mai.

A quanto sembrava, Ianto era un buon allievo. E, prima o poi, Jack non dubitava, se ne sarebbe reso conto.

Tutto stava a vedere a chi avrebbe sparato per fondare la sua certezza.

 

“Meno male che non posso morire.” - sospirò dunque, posando il verbale che stava leggendo, lasciandolo cadere sulla scrivania tra mille altre scartoffie.

“Davvero?” - domandò Ianto, alle sue spalle.

Non c’era bisogno di voltarsi, per sapere che, probabilmente, stretto nel suo panciotto e nella giacca su misura, era impeccabile.

“Credo nell’immortalità dell’anima.” - ribattè Jack, con una bella risata - “Pensavo te ne fossi andato.”

“Ormai dovresti aver capito...” - replicò, avanzando con lentezza - “che non riesco ad andarmene facilmente.”

 

Come un senso di colpa, pensò Jack, guardandolo fermarsi davanti alla scrivania e abbassare lo sguardo verso di lui. O come un’ossessione.

Si lasciò andare contro lo schienale, guardandolo, la bocca inarcata in un sorriso ironico.

“Ianto Jones...” - mormorò - “Cosa posso fare per te?”

Ianto non rispose. Alzò fuggevolmente gli occhi e allungò le dita, raddrizzando un fermacarte.

“Signore?”

Una leggera flessione interrogativa. E ogni mistero, al suo interno.

“Ianto.” - ripetè Jack. E la voce divenne acciaio, come gli occhi - “Cosa.”

 

Cosa. Cosa vuoi.

 

“Tu vuoi il mio perdono?” - ritorse Ianto. Impostava ogni parola con lentezza, assaporandola, lo sguardo distratto, tra le proprie mani e il viso di Jack. E le matite, che lasciava scivolare nel portapenne, producevano un suono secco, stranamente nitido.

“Non l’ho già avuto?”

“Non del tutto, no.” - la bocca si aprì e si richiuse, meccanica - “Lo vuoi, Jack?”

 

Lo vuoi a parole?

 

“Non ne ho bisogno.” - Jack scosse la testa, incrociando le braccia - “E tu? Vuoi il mio perdono?”

 

E Ianto fece qualcosa di inaspettato. Sorrise. E gli occhi gli brillarono.

 

“Ogni giorno...” - scandì - “Ogni giorno... Jack...”

 

Un attimo dopo, la scrivania gli sembrò dura. Più del solito.

 

***

 

“Cosa è successo...” - mormorò Ianto, una notte, nel buio - “Oggi...”

 

Jack non rispose prontamente. Nell’oscurità, Ianto sentiva il suo respiro, da concitato, divenire più regolare, perdere il ritmo spezzato, svanire poco a poco. Era un suono unico. E non si sarebbe mai stancato di ascoltarlo.

Ianto avrebbe rinunciato a quel suono per una sola cosa... per la sua voce.

“Vuoi sapere perchè nessuno di loro voglia parlarmi?”

 

Sarcasmo. Durezza. Desiderio di ... si, desiderio di dirlo.

Ianto respirò piano, inudibile.

 

“Si.” - annuì. Non guardarlo si ammonì, o volerà via.

“L’ho lasciata andare via, con le fate.”

“La bambina?”

“Già. La bambina è svanita con i suoi amici, il patrigno è stato ammazzato, la madre ha cercato di cavarmi gli occhi e io... le ho saputo solo dire mi dispiace.”

Ianto voltò la testa, cercandolo, nell’oscurità.

“E ti dispiaceva?”

“Non di aver salvato il mondo. No, non mi dispiaceva. Ma, per il suo dolore...”

La voce svanì, dandogli l’impressione di non poterla mai più risentire.

“So cosa sia il dolore. E posso capire cosa significa amare. E perdere chi si ama.” - aggiunse, poco dopo.

 

Ho amato. So amare. Ho perduto.

Mi credi, Ianto?

 

“Ed Estella?” - domandò Ianto, senza frenarsi. E vide gli occhi azzurri brillare, nell’oscurità.

 

***

 

Ianto fu rapido. Non lo avrebbe lasciato. Fu in piedi, a lato del letto, una mano stretta al suo polso prima ancora di rendersene conto.

No. Lo trattenne, con uno strattone se lo tirò vicino.

“Non fuggire, Jack.” - sibilò, stringendo con tutte le sue forze - “Non questa volta.”

 

Non fuggire se nemmeno io fuggo.

 

“Cosa vuoi, Ianto.” - Jack era vicino. I contorni del suo viso apparivano e svanivano, nel buio della stanza, nel silenzio, i suoi occhi erano azzurri, in tempesta come sempre - “Rivelazioni? Intimità? Cosa vuoi ancora? Ancora perdono? Più di così?”

Ianto lo colpì, facendolo barcollare, sbattere contro la parete, i mobili. Oggetti di ogni genere volarono a terra, un vetro si infranse. Jack si pulì la bocca insanguinata e reagì.

Un pugno, un bacio. Lo afferrò, gli aprì di violenza la bocca, lo sentì rispondere e piantargli le unghie nella pelle. Poi un altro pugno. Altra distruzione.

“Cosa credi che accadrà, ora.” - ringhiò, quando furono a terra, aggrovigliati, un nodo pulsante di contraddizioni e furia - “Cosa!”

“Quello che succede di solito.” - Ianto scattò, un colpo di reni, invertendo le posizioni, fermandolo. Era forte, furioso, senza freni - “Poi sorgerà il sole e sarà tutto come al solito. Caffè, signore? Preferisce the?”

Lo colpì, deciso, senza curarsi del contraccolpo sordo della nuca di Jack contro il pavimento. Poi lo afferrò per i capelli.

“Le chiavi della macchina, signore? Ecco la giacca...” - sputò, assieme a sangue, lacrime e bile - “Questo accadrà, Jack. Per cui fottimi ora se proprio ci tieni, perchè ho parecchio da fare.”

“Non abbastanza, Ianto...” - Jack aveva la bocca rossa, i denti macchiati, inquietanti - “Se hai così tanto tempo per compatirti...”

 

Ianto perse il conto dei colpi che gli diede. E si fermò, soltanto quando il respiro, quel respiro che lo ossessionava nel buio, non fu più udibile.

 

***

 

Fu strano.

Fu assurdo.

Fu terribile.

 

Ma Ianto non se ne sorprese.

 

Rimase solo immobile, sdraiato su di lui, l’orecchio al suo petto, in attesa.

E il battito fu come uno scatto pulito, secco. Come un colpo in canna, pensò, trattenendo una risata isterica.

Poi fu la volta dei polmoni. Si dilatarono, si riempirono d’aria. Ianto si mosse, cercando di rialzarsi, di non opprimerlo. Ma le mani di Jack lo avevano stretto, impedendogli ogni movimento. Le sue braccia si erano chiuse, serrate, attorno alle sue spalle, accompagnate da un rantolio tale da farlo tremare.

 

Jack chiuse gli occhi e rabbrividì, battendo i denti. Ianto, d’istinto, in quella morsa, gli cinse il torace, ricambiando la stretta. Abbracciati, in un mare di sangue appiccicoso.

 

“Soddisfatto, ora?” - mormorò Jack, d’un tratto. Rauco, la testa inarcata indietro - “Hai ucciso il tuo re del cielo... sei un eroe... adesso... non di certo un mostro...”

“Ti prego, Jack.” - replicò Ianto, senza osare guardarlo. Ma Jack non mollò la presa. Lo tenne, fin quasi a soffocarlo, senza negare e senza rivelare, senza curarsi di ciò che Ianto aveva compreso. O di ciò che avrebbe potuto dire agli altri.

Perchè avrebbe dovuto farlo, dopotutto?

Ianto sapeva mantenere un segreto.

Ianto sapeva essere un segreto.

 

E, con infinita lentezza, aprì le braccia, per lasciarlo andare.

Ma Ianto non lo fece. Si raddrizzò, quanto bastava da baciarlo, assaporandolo, silenziosamente. E aiutandolo ad alzarsi.

Di nuovo quegli occhi, pensò jack, accettando la mano tesa, di nuovo la pace assurda che emanava, la calma senza pensieri, senza scalfitture.

Eccolo, di nuovo, indomato. Ferito, sporco, pallido. Ma libero. Libero.

E Jack si ritrovò a percorrergli la linea del viso con le dita, dallo zigomo al mento.

 

“Siamo pari, adesso?” - domandò.

E Ianto annuì. E mentì.

 

No, Jack. Noi siamo oltre.

 

(febbraio 2008)

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** parte 2 ***


Di MargotJ

King of the Sky

(part 2)

 

Di MargotJ

 

Spoiler per: prima stagione di Torchwood. Le frasi in corsivo sono tratte dagli episodi 1x06, 07, 08.

Pairing: Jack/Ianto slash

Rating: NC17, Slash, Romance (?)

Timeline: post 1x06, Countrycide

Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Nota dell’ autrice: come al solito, il non visto. decisamente più narrativa, continuata, rispetto alle altre fic. E sono consapevole di come prema sull’acceleratore nella resa psicologica dei personaggi. Ma non riesco a concepirla diversa E un po’ mi dispiace.

 

A seguito di spiacevoli episodi tale Fanfiction è disponibile con la mia autorizzazione solo presso il mio sito, Vs. Ananke e, da settembre 2008, su EFP. Per richieste o segnalazioni, per cortesia, scrivetemi . Grazie, MJ

 

Era finita come doveva finire. Li avevano arrestati tutti, posto fine a un massacro tra tanti, soltanto perché qualcuno ne aveva sentito parlare. Senza gloria e senza unicità.

Casualità. Un lieto fine per casualità.

 

Jack aveva guidato fino a Cardiff senza volere il cambio. Seduti dietro, stretti e provati, Gwen, Ianto, Tosh. Al suo fianco, un Owen stranamente silenzioso.

Odio la campagna, aveva mormorato, salutando l’ultimo cartello alle porte della città. E Jack aveva concordato, in cuor suo. Non c’era stato nulla da amare, in quella campagna.

Alzò gli occhi verso lo specchietto, per l’ennesima volta. Gwen era pallida, Tosh le teneva la testa sulla spalla, fissando un punto indefinito. Ianto, appoggiato al finestrino, aveva l’espressione stranamente corrucciata. E, con gli occhi chiusi, non sembrava lui. Non del tutto.

Owen gli gettò un’occhiata storta, notando il movimento. Poi si voltò, indicandoli uno a uno.

“Colpo di fucile a piombo, lieve trauma da sequestro, commozione cerebrale da corpo contundente.” - elencò, tornando poi a fissare la strada - “Non c’è niente da vedere.”

“Un ospedale su quattro ruote.” - commentò Jack, con una bella risata.

“Certo. E il dottore abita lì. Fammi scendere.” - aggiunse Owen, slacciandosi la cintura e voltandosi di nuovo - “Gwen, sveglia. Ti do un passaggio fino a casa. Tosh? Ianto?”

Le ragazze si riscossero, districandosi, accettando con tono assonnato, frasi brevi. Ianto, non appena il sedile fu sgombro, si sdraiò, senza rispondere.

Owen lo fissò, indecifrabile. Poi gli schioccò le dita sotto al naso, obbligandolo a spalancare gli occhi. Gli controllò le pupille, gli sentì il polso e lasciò che le ragazze saltellassero infreddolite sul marciapiede, aspettandolo.

“Letto o pronto soccorso?” - chiese Jack, restando appeso al volante e, suo malgrado, voltato a seguire la scena.

“Letto.” - commentò Ianto, tornando a chiudere gli occhi, con il tono di sempre - “Per favore.”

“E letto sia.” - Owen alzò gli occhi - “Jack?”

 

Cosa ti aspetti... che lo porti nel mio?

 

“Nessun problema.” - rispose il capitano Harkness - “Me ne occupo io.”

“Jack.” - mormorò la voce, dal sedile posteriore, non appena ebbe messo in moto - “Non credo di aver parlato del mio letto...”

“Chissà perché...” - replico Jack, svoltando e alzando gli occhi - “...lo avevo intuito.”

 

Nel riflesso dello specchietto, Ianto stava sorridendo.

 

***

So here I am

In solitude I stand

I've got dreams inside

I need to realize

My faith has grown

No fear of the unknown

No more

No more

 

(Helloween - If I Could Fly)

 

 

Ma sono qui/tutto solo/ho dei sogni dentro me/ho bisogno di realizzarli/la mia fede é cresciuta/non ho paura dell'ignoto/non piu/non piu

 

Viviamo in una società di predatori. Tutti abbiamo un raccolto da fare e tutti siamo pronti a sbranarci uno con l’altro, se la situazione lo richiede. Il caso appena seguito non era poi così originale, dunque, a pensarci, considerò Jack, restando sdraiato, le braccia distese sopra la testa.

Ci divoriamo a vicenda. Senza nessuna pietà.

 

E, alla fine, valutò, fissando il soffitto cemento della propria camera da letto, scarnificati e spezzati, ci arrendiamo. E diveniamo cibo per i vermi.

Interessante prospettiva. Per gli altri. Io e i vermi non sembriamo compatibili.

 

“Niente male.” - commentò Ianto, nudo, barcollando e tornando a gettarsi sul letto - “Davvero niente male. Grazie, capitano Harkness.”

“Di niente... soldato Jones.” - rise Jack - “Riposo...”

“Davvero?” - Ianto sbadigliò, coprendo la bocca con una mano e tormentandosi poi le palpebre con un unico gesto liquido - “Riposo?”

Jack rotolò sul fianco e, appoggiata la tempia al pugno chiuso, lo fissò. La tumefazione stava divenendo scura a lato del viso, più visibili i segni dei colpi con cui lo avevano tramortito.

Violacei, come quelli che aveva sul corpo... e che non erano dovuti alla colluttazione... ma alla lotta con lui.

“Vuoi?” - domandò, serio. Ianto aveva ciglia lunghe, arcuate, bionde - “Vuoi restare?”

 

Ianto voltò la testa. Nessuna risposta in quel gesto. La linea del viso era sparita lungo quella delle lenzuola stropicciate su cui giaceva, delle coperte, dei vestiti rimasti impigliati. Gli occhi, calmi, si erano levati verso i suoi, senza manifestare nulla. Sorpresa, ironia... nulla.

 

Cosa pensi, quando divieni silenzio...

 

“Hai vagamente l’idea di ciò che...” - esordì, compassato.

“So benissimo cosa ho detto.” - lo zittì Jack, una finta incuranza nello spalancare gli occhi. Poi sorrise, irresistibile - “Dopotutto, ho detto al medico che mi sarei occupato io di metterti a letto.”

“Attenzione, signore... Queste sono molestie...”

E Jack lo baciò. Inaspettato, come sempre.

“No. Queste sono molestie.” - rotolò su se stesso e, con un colpo, spense la luce - “Buonanotte.”

 

Cibo... siamo solo cibo per le fauci delle belve.

 

Se restò sveglio, non lo diede a vedere. E Ianto si sentì solo, nel continuare a fissare il soffitto.

 

***

La testa faceva male. Ianto aveva l’impressione che si riempisse di spilli, di continuo, svegliandolo.

Spalancava gli occhi, cambiava posizione, ripiombava in un sonno agitato.

A notte fonda, Jack si rassegnò a dovergli cedere il letto completamente. Non tollerava più di esser preso a calci ed era, per una volta, tristemente consapevole di non poterglieli restituire. Quindi si sedette nella poltrona di pelle, nell’angolo della stanza, un libro tra le mani. Non sarebbe riuscito a dormire, nemmeno se fosse andato a caccia di una branda o di un divano. Si lasciò andare contro lo schienale, senza aprire il libro. E allungò le gambe, intrecciando le caviglie. Tanto valeva restare. E guardare.

 

Prede e predatori. Resta a vedere chi mangia chi, valutò, tornando alle riflessioni di poco prima.

Mangiare, vivere, morire... divorare...

 

Da quella angolazione, Ianto non sembrava un predatore. Era più simile a una preda, una preda nuda, un braccio disteso verso il pavimento, il collo inarcato, quasi innaturale. Nemmeno l’ematoma distorceva le linee pulite del viso, gettando ombre errate.

 

La mia preda, valutò, con cinismo, il capitano Harkness. La mia inafferrabile, indomata preda.

 

Un attimo. Poi di nuovo il girarsi impaziente tra le lenzuola, in cerca una posizione differente.

Ho dormito con tanta gente, considerò Jack, piegando la testa e seguendo il movimento, mai nessuno è rimasto così composto in così tante manovre.

 

Forme di vita non umane incluse?

 

Poche illusioni. Ianto non si sarebbe mai lasciato piegare. Nascondeva ogni palpito dietro l’espressione distaccata, nel modo indagatorio con cui carezzava il circostante. Lo aveva fatto con Gwen poche ora prima. Per l’importanza di un bacio.

 

“Tocca a me, giusto? Io con Lisa.”

 

Una frase per imbarazzare Gwen. Una frase per dire a Jack che non era nulla.

 

“Ianto mi dispiace.”

“Ti dispiace che è morta o che ne ho parlato?”

 

Inaspettato, rapido nel colpire e celare la mano.

Un mezzo sorriso per gelare tutti gli altri.

 

“È che... non ci ho pensato...”

“Te ne eri dimenticata.”

 

Aveva giocato, tranquillo. E aveva vinto per abbandono.

Solo Jack era rimasto, mentre gli altri si allontanavano. Solo Jack, che era la vittima designata. Jack, che aveva ricambiato la sua occhiata, senza battere ciglio.

Ianto sapeva giocare. E stava imparando dal migliore.

Restava solo da scoprire quale fosse la sua puntata.

 

Un bacio. Importa davvero così tanto a chi appartengono le labbra che lo ricevono?

È importante di chi siano quelle che lo donano?

 

Quanto è importante, si domandò ancora Jack, tormentandosi il labbro inferiore, quanto...

E Ianto si mosse, ancora.

 

***

 

Lo osservò allungare le braccia, estendersi fino a mettere in risalto la muscolatura della spalla, del braccio verso il posto lasciato libero. E stringere le lenzuola con un pugno.

Lenzuola ormai non più calde.

Ianto si levò di scatto, fissando la propria mano stretta alle coperte, come se una consapevolezza assurda e inaspettata lo avesse svegliato, con crudeltà.

 

Jack, da dove si trovava, vide nitidamente la cassa toracica in piena dilatazione, le spalle di colpo dure, contratte. Vide le labbra aprirsi, senza che ne uscisse un suono.

Ma riconoscendone il movimento. L’inequivocabile parola di sconfitta. E di piacere.

Jack, diceva quella bocca.

 

Jack.

 

E Jack sentì il sangue gelarsi nelle vene e ogni frase morire nel silenzio, quel silenzio che portava il suo nome.  Dopo, come se il letto fosse in fiamme, Ianto scattò in piedi, una mano contro il muro per restare diritto, l’aria spiritata.

Alzò gli occhi, ansimando. C’era Jack, in piedi. Fermo, un libro a terra, dimenticato. Lo fissò, come se fosse un fantasma, come se non esistesse motivo per cui potesse essere in quella stanza, in quel momento. Poi, i pugni divennero mani distese. Il collo, le spalle, tutto sembrò rilassarsi.

 

E l’uomo che aveva di fronte, nudo, furioso, non spaventato, pensò Jack, furioso come un leone in gabbia,  tornò ad essere Ianto. Ianto, la preda nuda al centro del letto.

 

“Scusami.” - disse soltanto. Null’altro. Scusami - “Un... un incubo.”

 

E, un attimo dopo, raccolti i propri vestiti, se ne era andato.

Jack si risedette, come un automa. Raccolse il libro, le spalle nuovamente contro lo schienale. Si concesse un respiro, profondo. E la menzogna di Ianto gli girò ancora una volta nella mente.

 

Scusami, un incubo. Un incubo.

“Tocca a me, giusto? Io con lisa.”

 

Non era stato il sogno. Era stata la realtà.

Una realtà in cui si svegliava solo. E Jack non c’era.

 

***

 

Forse, dopotutto, si poteva parlare di visione sfalsata. Di filtro di percezione. Non riuscire a vedere, non cogliere l’ovvio se non con la coda nell’occhio.

 

Forse si poteva parlare di stupidità.

Forse si poteva iniziare a pensare di avere un problema.

E di non essere intenzionati a risolverlo.

 

Forse, dopotutto, le prede non erano poi indifese. Forse, le prede avevano scoperto che i predatori vivono del proprio senso di onnipotenza. E ne avevano fatto un’arma.

Dopotutto, in un ieri non molto lontano, nel mezzo di un’odiosa campagna, il cibo si era ribellato.

Le prede sono fuggite e i predatori sono diventati carne da macello, pensò Jack. Casualità?

 

Rimase in piedi, innanzi alla vetrata, le mani in tasca, lo sguardo sulla base. Ognuno era impegnato nelle proprie attività. E Toshiko, con un vestito a fiori che le lasciava scoperte le ginocchia, stava salendo le scale, per raggiungerlo.

Non aveva detto molto dalla morte di Mary e dalla distruzione del ciondolo. Aveva l’assurda pacatezza delle persone che sanno di avere fatto la cosa giusta e non si rimproverano per altro. E Jack si voltò, sorridendo, accettando il foglio di dati e le spiegazioni a riguardo.

Quando annuì e le rese il foglio, istintivamente libero, tornò a fissare la base. E Ianto, che la percorreva a lunghi passi, con una tazza in mano. Una scena normale, quasi banale. Il passo incurante, il fisico ben celato dalla giacca su misura, il nodo ben stretto della cravatta, l’espressione lievemente assente.

E Tosh, da dietro la montatura leggera degli occhiali, seguì il suo sguardo.

 

Ci sono cose che è meglio non sapere...

 

Fino a Ianto.

E poi di ritorno a Jack, agli occhi eccessivamente chiari.

“Jack, io...” - si tolse gli occhiali, chiudendoli e giocherellandoci - “c’è una cosa che devo.. che ho sentito...”

Jack si voltò, dedicandole attenzione. Era gentile con lei, in maniera fraterna, ben diversa da quella che aveva nei confronti di Gwen. Ma Tosh era intimamente grata di quelle poche attenzioni. Perché quell’uomo, il capitano Harkness, la spaventava, per migliaia di sfumature. E per l’oscurità che, certe volte, trasudava dalle sue azioni.

Jack era una presenza. E, quando lo aveva a fianco, talvolta, Tosh non si sentiva protetta. Ma soffocata.

 

“Perché non leggevo i tuoi pensieri...”

“Non lo so, però sentivo che tentavi di scavarmi dentro”.

“Ma non trovavo niente... come se fossi... non lo so, morto...”

 

“Ianto non...” - si interruppe, cercando le parole nel guardare nuovamente oltre la vetrata - “Lo so che è sbagliato, che non dovrei, ma...”

“Toshiko.” - Jack lo scandì, perché la voce del comando non si perdesse - “Cosa hai letto nella mente di Ianto?”

“Nulla.” - frettolosa nel rispondere. Una confessione in piena regola. E su un segreto che, non si sorprese Jack, dovevano sapere tutti - “Nulla che c’entri con il Torchwood ma... ma si tratta di lui.”

 

Chissà se arriverà mai il momento in cui sentirò più niente...

 

“Sta nascondendo qualcosa?” - chiese. Serio, professionale. Un capo, con il sospetto del tradimento.

Sentendosi tale. E null’altro.

 

Il dolore è costante, come se avessi lo stomaco pieno di topi...

 

“Solo se stesso.” - Tosh abbassò lo sguardo. Gwen allungava la mano e afferrava il caffè. Senza voltarsi - “E’ come se volesse essere invisibile... e ci sta riuscendo.”

 

Mi sembra di avere solo questo, adesso, non c’è una parte di me che non senta dolore.

 

“Ha il cuore spezzato.” - aggiunse, dopo un attimo. E, come se la frase fosse stata eccessiva, si rimise gli occhiali e afferrò le pratiche. Jack non la trattenne, immobile, assorto in chissà quali pensieri.

 

Ha il cuore spezzato.

E sono stato io.

 

***

 

E’ tutta colpa tua Jack, tu mi hai voluto con te.

 

La voce di Suzie non lo abbandonava. Come la sua risata.

Istintivamente, Jack serrò ancora la mano, quasi stringesse il calcio della pistola. E ripensò all’obitorio, a Suzie, già sul piano metallico, a Ianto che compilava i fogli per l’ibernazione.

Chissà se aveva un nome anche per quelle scartoffie...

Era bravo a inventare nuovi nomi... e soprannomi. Del resto, un re del cielo...

Dopo il guanto della resurrezione, il pugnale della vita.. la pistola che stordisce... le parole della fine? Oppure l’epilogo ad inchiostro?

 

Non aveva fatto in tempo a chiederlo, a scherzarci sopra. Tutta colpa di un cronometro. E di un mezzo sorriso, appena accennato.

 

Bhe, ci pensi bene. Ci si potrebbero fare molte cose.

Ah si, ne ho già mente un paio.

La lista è lunga.

 

Oh, si. Una lunga lista. Una lista che aveva richiesto buona parte della notte. E il cronometro si era perso, assieme ai vestiti, tutto attorno al letto.

 

“Le ossessioni e le passioni, sono come i guanti...” - mormorò - “Vanno sempre in coppia.”

Si stiracchiò e, quando lasciò ricadere le braccia, sentì la propria mano posarsi in un’altra.

“Paragone appropriato, signore.” - commentò Ianto. E il suo pollice percorse il palmo della mano di Jack, tracciando una scia fresca, fino alle dita - “Come la vita e la morte...”

“Direi che, di questi tempi, la vita e la morte tendono a mischiarsi più del dovuto...”

“Come l’odio e il sesso...” - Jack si voltò di scatto. E Ianto sostenne l’occhiata - “...signore.”

 

Sdraiati uno a fianco dell’altro. I visi voltati, uno verso l’altro. Gli occhi, dentro agli occhi. E quelle due mani, intrecciate, tra di loro.

 

Poi Jack sorrise, di scherno. E gli occhi gli brillarono.

 

E’ tutta colpa tua Jack, tu mi hai voluto con te.

 

“Forse.” - replicò, allungandosi verso di lui, verso la sua bocca - “Ma non ci vedo niente di male... Ianto...”

 

Ianto non si ritrasse dal bacio. E non gli lasciò andare la mano.

Avanti... fine dei giochi. Scopriamo le carte.

 

“Vuoi dire basta?” - mormorò, incurante, incombendo su di lui, il viso tanto vicino da sembrare ancora un bacio - “Vuoi finirla qui?”

Ianto non rispose. Lo sguardo scivolò dalle labbra agli occhi di Jack, liquido.

“Una sola parola, Ianto. Decidi tu.”

“Una, due... Non ha importanza.”

 

Come?

 

“Non ha importanza, Jack.” - mormorò Ianto, guardandolo. E la mano si strinse spasmodica, attorno alla sua - “Non importa perché tu svanirai, un giorno. E averti detto si.. o no... ora... non avrà nessuna importanza. Mi sveglierò e sarò solo in questo letto.”

 

Te ne andrai, così come sei giunto.

Prima... o dopo... nessuna differenza. E il dolore non finirà mai.

 

“I re del cielo sono fatti per volare. Non sanno stare a lungo tra i mortali... non è la loro natura.” - aggiunse, senza smettere di bruciarlo, con quegli occhi. Prima di voltarsi e spegnere la luce.

 

I re del cielo non sanno morire. E non sanno amare.

 

“Ti basta, Jack? Ti basta come risposta?” - mormorò l’oscurità.

 

Jack non disse nulla. Prede. E predatori. Sempre in eterna lotta per sbranarsi a vicenda. E sempre insieme. La sua mano strinse le dita di Ianto, con forza.

 

Capitano, mio capitano, lo vuoi sapere un segreto?

Qualcosa si muove nel buio e sta venendo, Jack Harkness... sta venendo da te.

 

Resta, stanotte. Perché hai ragione, accadrà. Ma non sarà domani.

(09 febbraio 2008)

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Capitolo 3
*** parte 3 (ultimo capitolo) ***


King of the Sky

King of the Sky

(part 3)

 

Di MargotJ

 

Spoiler per: prima stagione di Torchwood. Le frasi in corsivo sono tratte dagli episodi 1x10-13.

Pairing: Jack/Ianto slash

Rating: NC17, Slash, Romance (?)

Timeline: post 1x10, Out of Time

Disclaimer: i personaggi non appartengono ai legittimi proprietari. L’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Nota dell’ autrice: ultimo atto. Mi sono parecchio divertita e parecchio messa alla prova. Sarebbe lungo da spiegare ma, credetemi, non è stato semplice. E non sono certa di ciò che ho fatto. Risponderò a me stessa con il tempo :)

 

A seguito di spiacevoli episodi tale Fanfiction è disponibile con la mia autorizzazione solo presso il mio sito, Vs. Ananke e, da settembre 2008, su EFP. Per richieste o segnalazioni, per cortesia, scrivetemi . Grazie, MJ

 

Ianto si affacciò dall’ufficio, sentendo lo scatto di sicurezza del cancello. E Jack irruppe nella base, con passo deciso. Rimase immobile, a cavallo della soglia, guardandolo venirgli incontro. Gli occhi spiritati, la mascella tesa, la falcata lunga, rapida. Furibondo. O disperato.

 

Io sono nato nel futuro e appartengo al passato, anche io vivo fuori dal tempo.

 

Si levò il cappotto camminando, lo gettò a terra. E la fondina con la pistola seguì la stessa sorte.

Quando lo raggiunse, investendolo e afferrandolo per le braccia, anche la camicia era slacciata, per buona parte. Un chiaro invito, per Ianto, a continuare l’opera. O forse un ordine.

Ma Ianto, educato come suo solito, non si fece pregare.

I vestiti di Jack puzzavano di fumo, di acre, di monossido di carbonio. Poco importava. Li sfilò dal suo corpo, uno ad uno, arretrando. Rispose all’attacco con la stessa impazienza, baciando, resistendo quanto bastava da renderlo ancora più deciso, impaziente. Gli afferrò la pelle nuda, piantando le unghie e sentì il fuoco iniziare a bruciarlo dall’interno, come una fitta, come un uragano.

 

Aspetteremo. Sorgerà il sole, faremo colazione, passeggeremo...

 

Non gli chiese nulla. Forse non gli importava.

O forse sapeva che Jack non avrebbe risposto, se non in quella maniera.

Jack parlava solo con il corpo e con lo sguardo, senza trovare mai parole per esprimersi.

Jack non doveva spiegazioni a nessuno.

 

Si, un nuovo giorno.

 

Ora, senza spiegare, si limitava a baciarlo, afferrargli il viso, spingerlo con impazienza.

E Ianto, quando lo seppe, lo sentì, nudo.. semplicemente terminò l’opera, spogliando se stesso.

Perché Jack lo voleva. Ma si stava prendendo solo la sua bocca, il suo viso, con le labbra, con le dita. E le sue mani, le sue guance... erano bagnate.

 

Chi sei, Jack?

Chi sei tu?

 

“Ianto.” - un ringhio basso, deciso, sulla sua gola, sulla sua bocca, sulle sue palpebre, sulla fronte. E poi giù, ancora la bocca, il petto, il ventre, la rabbia e l’impazienza, la solitudine e la disperazione.

 

E i vestiti che, finalmente, scivolavano sulla pelle, mentre Ianto impattava contro la parete.

Con le scapole. E poi con il viso.

 

Un uomo, come te, fuori dal tempo. 

 

E non restò che chiudere gli occhi.

E sussurrare solo il suo nome.

 

Solo. E spaventato.

***

 

If I could fly

Like the king of the sky

Could not tumble nor fall

I would picture it all

If I could fly

See the world through my eyes

Would not stumble nor fail

I could ravage my jail

If I could fly

 

(Helloween - If I Could Fly)

 

Se potessi volare/Come il re del cielo/Non poter ruzzolare ne cadere/vorrei disegnare tutto questo

Se potessi volare/Guardare il mondo attraverso i miei occhi/non inciamperei e non fallirei/potrei devastare la mia prigione/se potessi volare

 

 

E come lo sopporti?

Devo sopportarlo. Devo farlo. Non ho altra scelta.

 

“Va meglio?” - domandò Ianto, sottovoce. E la sua voce, assorta e modulata, non seppe di ironia.

Erano a terra, sul pavimento nudo. Intrecciati. E Jack, con gli occhi sbarrati, posava il viso sul suo petto, mozzandogli il fiato.

 

Ma io si. Io posso scegliere. Se vuoi aiutarmi, lasciami andare con dignità.

 

Jack non gli rispose. Nessuna sorpresa. Il calore, il sudore, il respiro esasperato di entrambi si mischiavano alla luce giallastra della scrivania, agli scatti metallici dei macchinari in funzione.

E Ianto non provava freddo, perché il corpo di Jack era rovente, percorso di una forma di elettricità che sembrava risucchiarlo verso il silenzio.

Non aveva parole. Non ne avrebbe pronunciate.

Ma le ciglia sfiorarono il petto di Ianto, nel chiudersi improvviso degli occhi. E le spalle si strinsero, per un brivido. Jack bruciava, provando freddo, tra le sue braccia, per quanto lo stringesse. Anche i suoi capelli sapevano di monossido, di morte. Ma Ianto, come per i vestiti, ritenne che ci fosse qualcosa più importante delle spiegazioni. Si piegò, dunque, posando le labbra su quella nuca ermetica, in cui i pensieri restavano intrappolati.

“E’ morto, vero?” - domandò soltanto, osando.

“Si.” - Jack rispose, senza intonazione - “E’ morto.”

 

Era un uomo come me. Un uomo fuori dal tempo. Non ce l’ha fatta. Ha potuto scegliere.

 

Ianto lo ascoltò respirare più profondamente.

Poi tirarsi su, a forza di braccia, per guardarlo.

Jack lo fissava. Ed aveva un’espressione che non avrebbe mai saputo afferrare.

Forse lo vedeva. Ma, si domandò Ianto, cosa stava realmente vedendo?

 

E io soffrirò... ma sorriderò, agitando la coda.

E, non appena volterai le spalle, farò in modo di non sbagliare più. Perché io voglio morire.

 

Lasciò che Jack si alzasse, allontanandosi, sparendo verso la sua stanza. E si rivestì, almeno in parte, raccogliendo i propri vestiti e quelli di Jack, piegandoli, accuratamente.

In lontananza, il rumore dell’acqua scrosciante nella doccia era un invito alla solitudine. Inequivocabile.

 

Forse se ne sarebbe dovuto andare. Ma non lo fece.

Restò, in silenzio.

 

E, quando vide la luce spegnersi, si sedette in ufficio. E attese, di guardia, l’alba.

 

***

 

Non ne fecero mai realmente parola. Non era nel loro stile.

Sarebbe suonato intimo, complice.

 

Non avrebbe avuto nessun senso.

 

Ma la mattina dopo, svegliandosi, Ianto lo aveva visto seduto alla scrivania, a pochi passi. Normale, tranquillo, le mani su alcuni incartamenti. Assolutamente incurante della sua presenza. E, quando si era mosso, sulla poltrona su cui aveva dormito, Jack si era alzato, avvicinandosi.

 

Senza una parola, gli aveva offerto il proprio caffè.

 

“Non è come il tuo. Ma è forte.” - aveva mormorato, prima di piegarsi, sedersi sui talloni per essere alla sua altezza - “Occorre che io mi scusi, per ieri sera?”

“No. Sto bene.” - Ianto portò la tazza alle labbra, gli occhi nei suoi - “E tu?”

Jack aveva solo sorriso. Enigmatico.

 

Solo. E spaventato.

 

“Vattene a casa.” - aveva detto. Ma la mano con cui era scivolato sul suo ginocchio, aveva detto molto di più.

 

Qualcosa si muove nel buio e sta venendo, Jack Harkness... sta venendo da te.

 

***

 

Essere intrappolato nel 1941 aveva solo peggiorato le cose. Il silenzio che Jack si portava dentro si era esteso, amplificato, alimentandosi con la tensione che Owen creava con al sua stessa presenza.

Torchwood era divenuta una bomba ad orologeria emotiva, ingestibile.

Conflitti, paure, incomprensioni. E la frattura, come una vibrazione, sotto i loro piedi.

 

Jack lo sapeva. Sapeva da tempo che sarebbe accaduto.

Ma non l’aveva detto.

 

La fessura non andava toccata. Con la fessura non si deve giocare. Lo aveva ordinato ad oltranza, lo aveva ripetuto fino a nausearli. Ed Owen gli aveva disubbidito, deliberatamente.

Anche se Jack era il suo capitano.

 

Quella fessura ha preso la mia donna e il mio capitano. Perciò, se morirò cercando di aprirla, allora sarò morto facendo il mio dovere.

 

E Ianto, che non era nessuno, con nessun potere, aveva cercato in tutti i modi di fermarlo.

Perché il capitano, il suo capitano...

 

Devi lasciar andare diane, come io ho fatto con lisa.

Tu non puoi paragonarti a me. Sei soltanto un maggiordomo.

Sono molto di più, invece.

 

Fece il giro delle sale, riflettendo, spegnendo le luci, una ad una. Era come se la base si stesse riempiendo di echi, di rumori indistinti, di assurdi giochi di luce. Allucinazioni, forse. Stanchezza, probabilmente.

Ma Ianto sentiva la tensione come una morsa, allo stomaco.

 

Si, nei tuoi sogni, Ianto. Nei tuoi tristi sogni, in cui sei il suo amante part-time

 

Accadrà. Inutile illudersi. Accadrà qualcosa.

 

Scese le scale con lentezza e percorse gli ambienti inferiori, fino alla stanza di Jack. E bussò, sulla porta aperta.

Jack era sdraiato sul letto, gli occhi al soffitto, come sempre. Rifletteva, ricordava, le braccia alzate sopra la testa, a torso nudo. E, a quel suono educato, di richiesta, si voltò, interrogativo.

“Ti spiace?” - domandò soltanto. E Jack scosse la testa, intuendo.

 

Resta, Ianto. Resta.

 

“Nessun problema.”- rispose, lasciando che si spogliasse, con lentezza. Gli piaceva il modo che aveva di levarsi i vestiti, quasi solenne. Li piegava, li posava uno sull’altro, con calma, come se godesse del contatto con la stoffa, dei riflessi, dei colori.

Uno alla volta.

E, quando fu a torso nudo, Jack la vide. Una lunga ombra viola, sul fianco. Un segno, quasi nero, esteso. E comprese che la lentezza, quella lentezza che in Ianto era arte, celava abilmente la difficoltà di movimento. E il dolore.

Si alzò, sedendo ai piedi del letto.

“Cosa è successo?” - domandò. E i suoi occhi spiegarono a Ianto a cosa si riferisse.

“Non è nulla.” - rispose, arrotolando la cintura e posandola sul mobile, vicino ai gemelli, respirando il meno possibile - “Owen mi ha solo dato un calcio. Cose che capitano, facendo a pugni.”

“Fammi vedere.”

 

Jack, improvvisamente vicino. E la sua mano, leggera, su quella zona fatta di una fitta allo stato puro, gli provocò un brivido.

“E’ una costola rotta.”

“Probabile.”

“Dovresti farti vedere....”

“Da chi... da Owen?” - Ianto sorrise, in una linea sottile, lieve - “Andiamo, Jack... io gli ho sparato...”

 

Jack ha bisogno di me.

 

Lo so. Jack lo fissò, dritto negli occhi. Lo so. E mi spaventa che tu l’abbia fatto.

 

Se qualcuno cerca di fermarmi, io gli sparo.

Chi fa queste minacce deve essere preparato a metterle in pratica.

 

“Dovevo provarci, Jack. Dovevo provare a fermarlo...”

 

Se mi disobbedisci ora, io ti sparo davvero.

 

Non l’avresti fatto, quella sera, per Lisa. Era scritto nel tuo sguardo, un’emozione in superficie, per una volta in vita tua. Non l’avresti fatto. Ma, per me...

 

Non gli avresti mai sparato...

Ah no?

 

Si protese, baciandolo. Sulla bocca. Poi, a sorpresa, sulla fronte.

 

Scusa, se ti ho trascinato in questa storia. Io avrò cura di te.

 

Perdonami. Perdonami per ogni cosa.

 

“Mi dispiace.” - disse soltanto.

E Ianto sentì, in quelle due parole, il dolore del mondo.

 

***

 

“C’erano davvero?” - domandò, poco dopo.

Giacevano, vicini. E non ricercavano altro.

Solo la vicinanza, nella loro personale oscurità.

“Cosa...” - Jack gli teneva un braccio sul petto, abbandonato. E Ianto poteva sentire la sua mano coprirgli la spalla, racchiuderla, come in una coppa. Un contatto, lontano dalla costola, il surrogato di un abbraccio che non potevano concedersi del tutto.

“Gli angeli che ballavano al Ritz...”

“Si. C’erano davvero.”

 

Capitano Jack Harkness. 133° squadrone.

 

“Cosa è successo...”

“Nulla. Nulla di incredibile. Era solo un ballo.”

 

Un ballo soltanto. Uno solo. L’ultimo.

 

“Jack.”

“Non è nulla, Ianto.”

 

Nulla.

 

“Credi ancora che io sia un dio del cielo?”

 

La sua voce, nel buio, era velluto.

“Tu lo sei, Jack.” - replicò, cercò di muoversi, voltarsi, ma la mano di Jack lo obbligò a restare fermo. Imperiosa, eppure stranamente...

 

Non cedere. Non cedere, ora.

 

“Ti sbagli.”  - la sua risata era amara, come la notte che li circondava - “Non sono io il capitano Harkness, re dei cieli... io sono solo... una maschera... un impostore, con il nome di un eroe.”

 

Al capitano Jack.

 

Al capitano...

 

Le loro mani si cercarono. E si trovarono, come le loro labbra.

“Tu sei Jack Harkness.” - soffiò Ianto, su quella bocca possessiva - “L’unico che io abbia mai conosciuto. E io ti seguirei, fino alla fine dell’universo, se fosse necessario. E oltre.”

 

E oltre. Ma so che tu, Jack, tu mi lascerai indietro. Senza un addio.

 

“Cambierà tutto.” - rispose Jack, in un sussurro - “Cambierà tutto, molto presto.”

 

È sarà.. sarà la fine. La fine dei giorni.

 

Sarebbe orgoglioso di averti dato il suo nome. Perché tu, ora, stai salvando il mondo.

 

***

 

I re dei cieli non muoiono mai.

 

Ma Jack era sul piano metallico, in obitorio. Ed era freddo, bianco, morto.

 

Morto perché aveva dovuto salvarli.

Morto perché non avevano saputo fidarsi di lui.

Morto, perché i fantasmi avevano avuto troppo valore rispetto alla sua voce, alla sua volontà, alla sua ostinata e incomprensibile rabbia.

 

Jack, che ogni giorno aveva dato vita alle loro paure, quanto e peggio della fessura.

Jack, che era rimasto immobile mentre lo tradivano. E se ne andavano.

 

 “Il tuo spirito di contraddizione...” - mormorò Ianto, posando il certificato di morte - “... è irraggiungibile.”

 

Lo avevano ammazzato. E lui, testardo come suo solito, era tornato indietro.

Per ammazzarsi con le proprie mani.

 

Alzò la testa, cercando di dominarsi. E si voltò. Di fronte a loro, la targhetta indicava il nome di lisa. Nessuno avrebbe badato a quella simmetria. Ma Ianto sapeva. Ianto, guardiano dei morti e dei vivi, aveva scelto. Perché, dopotutto, amore e odio sono veramente come guanti... e sono sempre in coppia...

Rise, piegando la testa. E si sedette, fissando il corpo, il profilo e l’assoluta assenza di sonno profondo che gli aveva sempre invidiato. Era... vuoto.

“Dannazione, Jack.” - aggiunse, abbassando lo sguardo. E si rese conto che il mondo era sfocato, soffuso - “Non intendevo questo, quando dicevo che mi avresti lasciato.”

 

Volevo odiarti. Odiarti.

Non volevo piangerti.

 

“Ed ora mi manchi.” - aggiunse, cercando di controllare la voce, senza riuscirci - “Mi mancano le tue braccia, le tua mani, quel modo che avevi...”

 

Quel modo che avevi di farmi sempre del male.

Mi mancano i tuoi occhi.

Mi manca la tua bocca, quella tua dannata bocca con cui tutto è cominciato.

Mi manca quel tuo non amarmi che odiavo.

Mi manca il tuo silenzio.

 

“Dannazione, Jack.” - mormorò, ancora, le mani sulle ginocchia, la testa china.

Piegò le spalle, cercando di non tremare. E si alzò, le mani sui fianchi, respirando a fondo.

 

Ma tutto, tutto parlava di Jack. Tutto urlava di Jack. E il silenzio, giusto o sbagliato, era perduto.

Chiuse gli occhi, respirò ancora.

Si ricompose.

 

E, quando fu il momento, cedette il passo a Gwen.

 

***

 

Se ne era andato.

Jack era svanito. Nessuna sorpresa.

Nessuna.

 

Nemmeno la morte frena Jack Harkness. Figuriamoci l’amore.

 

Che gli altri si illudessero pure, fino a domattina... Ma Jack non sarebbe tornato.

E Ianto non aveva bisogno di attendere per avere conferma.

Spense le luci e si versò da bere.

Attraversò l’oscurità e si sedette nell’ufficio, le mani sugli incartamenti. Profumo di Jack, ovunque.

 

Aveva creato il silenzio. Nel silenzio, era svanito. E, nel silenzio, Ianto alzò il bicchiere.

 

Al capitano. Al re del cielo e al suo volo, fino alla fine dell’universo.

 

If I could fly

See the world through my eyes

Would not stumble nor fail

To the heavens I sail

 

Se potessi volare/Guardare il mondo attraverso i miei occhi/non inciamperei e non fallirei/volerei verso paradisi

 

(09 febbraio 2008)

 

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