The Secret Agent

di Elrien
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


capitolo 1 Oh no. Non di nuovo. Maledetto traffico di New York! Sono un’altra volta in ritardo per il lavoro, o meglio, impiego assolutamente temporaneo che consiste nell’intrattenere ragazzini con la bocca che puzza ancora di latte. In effetti perdere questo “lavoro” non mi darebbe poi un gran dispiacere. Ma devo stringere i denti in attesa che almeno una delle agenzie a cui ho inviato il mio curriculum mi richiami, e poi si tratta comunque di un impiego. Certo, dopo una laurea in giurisprudenza mi sarei aspettata tutto tranne che questo, ma so che altri sono in condizioni peggiori. Scacciando via le mie preoccupazioni alzo il volume della musica e con “Single Ladies” nelle orecchie cerco di evitare spostando lo scooter le macchine e di superare la colonna enorme di autovetture. Mezz’ora dopo riesco a raggiungere l’indirizzo che i genitori del festeggiato mi avevano consegnato. In quel momento il mio cuore perde un battito. No. Non può essere. Un edificio enorme completamente dedicato al “divertimento del bambino”, almeno così dice lo striscione all’entrata. In pochi secondi i miei incubi di bambina mi riassalgono. In più, come farò a controllare trentatre bambini scatenati in un posto così grande? Mi faccio coraggio e procedo. Superato un lunghissimo e altrettanto inquietante corridoio con alle pareti numerose foto di feste precedenti (tutte hanno in comune una cosa: l’ animatore con la faccia sbattuta e disperata che si vede a malapena sullo sfondo. Giusto in una un animatore di circa trent’anni è bello sorridente. Probabilmente perché era finita la festa o lo avevano pagato di più.), raggiungo una sorta di reception a cui fa distrattamente la guardia una ragazza con la faccia disperata ma allo stesso tempo rassegnata. Mastica svogliatamente una gomma e quando mi vede arrivare alza gli occhi verso di me e vedendo il mio cartellino con su scritto “Emma-Animatrice”, mi lancia uno sguardo compassionevole e mi dice con un sussurro: -è di là- ma in realtà sembrava più che volesse dire:-sento il tuo dolore, sorella, ma tieni duro, un giorno finiremo nella terra promessa e là avremo la nostra ricompensa-. Le sorrido e avanzo impavida. Due porte automatiche si aprono davanti a me e vengo travolta da un’insieme di grida. Cerco di fare il punto della situazione: un bambino gira in tondo con un secchiello in testa, un altro sta gustando col naso quella che sembra essere un’ottima crostata alla nutella e una bambina picchia con la barbie un piccolo innocente con apparecchio e occhiali che subisce inerme. Vengo raggiunta dalla mamma del festeggiato che, leggermente spettinata e con un bambino piccolissimo in braccio (penso sia il secondo figlio), mi dice: -saresti dovuta essere qua quaranta minuti fa! Per cosa ti pago allora? Per essere assente?- -lo so mi dispiace signora, ho avuto dei problemi con il traffico venendo- -okay, okay, ora però io devo andare- e dicendo questo mi ammolla il figlio -come scusi? Ma io non posso guardare anche lui, e poi avevamo detto che sarebbe stata presente anche lei!- -certo, certo-dice-ma adesso è molto importante che vada a comprare il…parmigiano. Fa bene alle ossa e lo abbiamo finito- prima che potessi controbattere schizza via. Ripensandoci, non ci sono supermercati nel raggio di 60 km. Furba, la madre. Sospiro e guardo il bambino che sembra incredibilmente dolce e sorrido. -ma devi essere proprio un mattacchione tu eh?- dico al bambino scherzando. Lui in tutta risposta si leva dalla bocca il ciuccio con fare autoritario e dice: -ghl ghl bla- bhè, molto loquace per la sua età. Decido che è ora di fare il mio lavoro e mi avvicino a un gruppetto di bambini seduti e con le facce deluse. -allora bambini, vi volete divertire un po’?- un coro di “siiiiii” emozionati mi travolge e penso “ora viene la parte che amo sinceramente del mio lavoro”. In effetti far divertire in bambini mi piace molto, poi in particolar modo se mi danno retta. Tiro fuori un lettore CD e le casse e alzo il volume al massimo. Richiamo l’attenzione di tutti i bambini e li invito a formare delle file, uno dietro l’altro. Premo “Play” e l’enorme sala è riempita da “bomba”. Ballare è la cosa che m piace di più, dopo la legge. Ma amo in particolar modo i balli di gruppo, mi fanno sentire in contatto con le persone. Mentre balliamo tutti insieme rido e mi diverto, molti bambini sono un po’ scoordinati e spesso vanno a sbattere l’uno contro l’altro. Dopo un’ora e mezzo di balli (in cui abbiamo ripetuto 5 volte la Macarena e ben 7 volte Mueve la colita) e quaranta minuti di pignatta (sono fortunata ad avere ancora tutti i denti!) decido di far andare i bambini a giocare sui gonfiabili. Intanto con il bambino in braccio comincio a sentire un po’ di stanchezza. Guardo il neonato che improvvisamente fa una faccia contrita e prima che possa capire ciò che sta succedendo mi vomita sulla maglietta con più violenza di quanta me ne sarei aspettata. La giornata trascorre, a volte più velocemente, a volte più lentamente. Ma adesso, finalmente, alle 20.15 sto per tornare a casa. Non vedo l’ora. Avverto una strana sensazione però, mentre metto il casco. Come se fossi osservata.
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ciao a tutti! spero vi sia piaciuto questo primo capitolo. mi serviva per introdurre il personaggio. per favore commentate e fatemi sapere come potrei migliorare! grazie grazie grazie!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
Non sono riuscita a togliermi di dosso quella sensazione. È come se qualcuno mi stesse seguendo, il che però mi sembra ridicolo. Se si trattasse di un ladro mi avrebbe già derubato, non rischierebbe di essere scoperto. Probabilmente si tratta solo di un’impressione, e poi tutti quei film d’azione che vedo di certo non mi aiutano. Dopo altri 40 minuti in mezzo al traffico finalmente raggiungo la mia villetta. È una casa con un piccolo giardino davanti e i muri pitturati di bianco e di rosso. Accanto alla casa c’è un piccolo garage che uso per lo scooter e come ripostiglio. Parcheggio e tiro fuori le chiavi per aprire la porta di casa. Ma non mi servono. Infatti la porta è socchiusa, eppure sono sicura di aver chiuso quando sono uscita. Entro in casa e provo ad avvicinarmi a tentoni all’interrotture. Ma prima che possa accendere la luce sento un dolore fortissimo alla nuca e poi vedo il buio più completo avvolgermi. Quando mi risveglio non sono più a casa mia. Sono in una stanza ampia con le pareti scure e una flebile luce  che a malapena mi permette di vedere oltre il mio naso. Mi fa male la testa e mia accorgo di essere stata legata alla sedia. Davanti a me c’è un tavolo e sono apparentemente sola nella stanza. Ma avverto la presenza di qualcun altro che, non appena si rende conto del mio risveglio dice:
-Ah, finalmente. Cominciavo  a preoccuparmi- poiché io non rispondo mi dice:
-Hai paura?- faccio segno di sì con la testa –non dovresti. Sei più al sicuro qui di quanto non lo fossi là fuori-
-Sono legata a questa sedia, però-
-Semplice precauzione- dice slegandomi
-Comunque, ti abbiamo portato in questa struttura perché ci serve il tuo aiuto. Immagino tu sappia dei progetti di Sean.-
inizialmente non capisco di cosa stia parlando, non conosco nessuno con quel nome. Poi mi viene in mente che invece conoscevo qualcuno che aveva quel nome , ma non lo vedo da anni ormai, è impossibile che si riferisca a lui.
-Lei non starà parlando di…- dico e l’ uomo mi interrompe facendo un passo avanti verso la luce.
-si, sto parlando di tuo padre, Sean Smith-
******
-Papà, papà! Dove stai andando? Posso venire con te?-
-tesoro, papà proprio non può portarti con sé, ma torna presto. Prometto che sarò qui per il tuo settimo compleanno-
ricordo ancora la macchina di mio padre che lascia il vialetto. Ma nonostante la sua promessa, non tornerà più da me né dalla mamma che ogni sera vedo piangere con la foto di famiglia tra le mani. Ma ogni volta che le chiedo perché papà sia dovuto andare via, perché piange, che le dico che papà tornerà presto, come ha promesso, lei mi risponde sorridendo tristemente e abbracciandomi forte. Solo dopo qualche tempo avrei capito. Lei sapeva che papà non sarebbe tornato, che questa volta non avrebbe mantenuto la promessa, ma non voleva farmi perdere la fiducia in lui. Negli anni seguenti tutto quello che ho ricevuto da lui erano cartoline.
******
-mi dispiace, io non posso aiutarla, non vedo quell’uomo da quando avevo sei anni-
-lo sappiamo. Vedi, tuo padre lavorava per noi-
-come scusi? Lavorava per voi? E soprattutto: perché lavoraVA?- l’uomo abbassò lo sguardo e sussurrò un “mi dispiace”
-cosa? Mio padre è…? Non ci posso credere, è impossibile, lui era un dottore, lavorava al Children Hospital fino a qualche anno fa e poi si è trasferito in Africa, me lo ha detto null’ultima cartolina che mi ha inviato, 8 mesi fa!- mi sembra che il mio cuore abbia smesso di battere, non capisco più nulla e mi sento più che mai persa e confusa. Mio padre…
prese un respiro profondo e disse:
-non era tuo padre a scrivere. Un esperto scriveva le cartoline e l’agenzia te le inviava con francobolli falsi. Non sapevamo in che altro modo fare. Tuo padre era scomparso e non potevamo fare altrimenti. Ma adesso le cose sono cambiate e…-
-mi sta dicendo che mi avete preso in giro per vent’anni, senza nemmeno degnarvi di dirmi la verità su MIO padre? E che cosa sarebbe successo poi da cambiare la situazione? La sua morte? Mi dispiace, ma avrei preferito continuare a ricevere false cartoline! Lo sa cosa significa questo per me? Chi è lei? E soprattutto: che cavolo di organizzazione sarà mai questa per aver mandato mio padre a morire?-
-Emma, siamo la CIA- rimasi a bocca aperta. La CIA? Mio padre lavorava per la CIA?
-sta dicendo che mio padre è…era una specie di agente segreto?-
-no, tuo padre era un ricercatore della CIA, creava gadget e nuove armi per noi. Era una risorsa preziosa per l’agenzia. Un giorno fu richiesta la sua partecipazione ad una missione sotto copertura, sarebbe durata mesi, se non anni, ma tuo padre accettò: era particolarmente devoto al suo lavoro. 
Ancora evidentemente scossa, gli chiedo:
-e in cosa consisteva questa missione?-
-tuo padre avrebbe dovuto tenere d’occhio un ormai noto trafficante d’armi, Vladimir Abramov. Avevamo e, purtroppo, abbiamo ancora ragione di credere che stia preparando un arsenale atomico. Il compito di tuo padre era quello di aiutarlo apparentemente, ma intanto tenerci informati. Sei mesi fa abbiamo smesso di ricevere quelle informazioni. Riteniamo che sia saltata la sua copertura-
rimaniamo entrambi in silenzio per 5 minuti, poi mi decido a dire:
-e io a cosa vi servirei?-
-sappiamo che tuo padre conservava informazioni di vitale importanza di entrambe le agenzie: la nostra e quella di Abramov. Sappiano anche che in questo momento l’hard drive su cui sono contenute è nelle mani dei russi. Capisci cosa potrebbe significare per noi se fossero in grado di decifrarlo. Abbiamo bisogno di te, che tu diventi un agente e lo vada a recuperare-
-ma perché io? Avete centinaia di ottimi agenti, perché scegliere me?-
-sei sulla nostra lista da anni, Emma. La tua intelligenza, la tua approfondita conoscenza del computer, e soprattutto il legame di parentela con Sean sono fattori fondamentali per la riuscita della missione. Inoltre abbiamo già provato ad inviare altri due agenti. Prima di morire nell’intento ci è stata mandata la foto dello schermo del computer che richiedeva la password per accedere al contenuto dell’hard drive. Diceva: mia figlia è la risposta-
-non è possibile. Mio padre non mi ha mai parlato di nessun hard drive e tanto meno di una password. E se quello che dice è vero, anche i russi potrebbero essere sulle mie tracce-
ora capisco e sue parole di poco fa: “sei più al sicuro qui di quanto no n lo fossi là fuori”. Lui annuisce.
-E cosa le fa pensare che io possa avere successo?- chiedo giocherellando con il ciondolo che porto al collo, l’ultimo ricordo di mio padre.
-nulla. Sei la nostra ultima speranza Emma-. --------ciao a tutti! questo è il secondo capitolo della storia, e spero vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me scriverlo. fatemi sapere come posso migliorare e se vi intriga almeno un pochino-ino la storia! grazie mille!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
Blocco la sveglia, che segna le 7 del mattino. Ma non ne ho bisogno, ho passato la notte con gli occhi rivolti al soffitto, pensando a quello che mi ha detto quell’agente. Successivamente mi ha detto di chiamarsi Jhon Skyler. È alto, con un pizzetto appena accennato, e è evidente il frutto di numerosi anni di esercizio. Le sue parole rimbombano ancora nella mia testa “tuo padre era un ricercatore della CIA”. Non riesco a crederci. Mi alzo ripetendo quelle parole. Mi dirigo in cucina per fare colazione.
***********
-sei disposta allora ad aiutarci?- mi chiede  Jhon Skyler
-no. No perché mi avete preso in giro per tutti questi anni. No perché mi avete rubato l’infanzia e no perché non sarei comunque in grado di abbindolare un trafficante di armi russo con le mie bugie e non voglio fare la stessa fine di mio padre -  rispondo decisa.
Non riesco a pensare ad altro. Tutte quelle cartoline, le storie a cui ho creduto negli ultimi anni. Tutta una farsa.
Mi alzo, ancora un po’ scombussolata dalla botta in testa.
-Puoi andare allora, non tenterò di convincerti-
-un’altra cosa: non entrate mai più in casa mia. Lasciatemi in pace-
***********
Quasi non sento la caffettiera che fischia e mi trovo costretta a ripulire i fornelli dal caffè fuoriuscito. Faccio distrattamente colazione e mi siedo sul divano a pensare, per fortuna oggi non ho appuntamenti. Accendo la televisione,  sperando di trovare una distrazione. Ma improvvisamente appare un video sullo schermo. Compare il volto di un uomo di mezza età, con una cicatrice sul sopracciglio e occhi scuri, profondi, ma che sprigionano una cattiveria disumana. La sua voce rompe il silenzio che aveva seguito la comparsa del video.
-Salve, cittadini del mondo- è evidente un accento straniero, forse russo
-mi presento: sono Vladimir Abramov, un trafficante di armi russo. Come le vostre autorità già sanno, sto allestendo un arsenale atomico. Quello che ancora non sanno però è che è già al completo. Pronto per essere scagliato contro un bersaglio a mio piacimento. Dalla prossima settimana se non mi verrà consegnato il rappresentante di ogni Paese, scaglierò una bomba in una località a caso della Terra. Cominceremo dai paesi dell’Est e finiremo con la grande America. Proprio a voi lancio una sfida: sarete in grado di fermarmi? Vi do un suggerimento: non entrate in guerra, altrimenti scaglierò le bombe prima che voi possiate pensare di intimidirmi con qualche assalto. Quindi preparatevi: stringetevi ai vostri cari, chiedete perdono al vostro dio dei peccati commessi e consegnatemi i capi di Stato-
rimango a bocca aperta davanti alla televisione.  Non riesco a crederci. Deve essere una trovata della CIA per farmi entrare nelle loro schiere. Eppure sento che anche nella strada c’è un silenzio di tomba e quando mi affaccio vedo i volti pieni di terrore dei passanti con i loro cellulari in mano. Devo fare qualcosa. Ne ho la possibilità, potrei se tutto andasse a buon fine, salvare la vita di milioni, forse miliardi di persone. Afferro il giacchetto e prendo lo scooter quando poi mi rendo conto di non conoscere la strada. Immagino che chiedere in giro informazioni circa la base segreta della CIA non sia molto saggio. Devo trovare un modo di attirare la loro attenzione. Rientro decisa in casa e afferro il PC. Faccio appello a tutte le lezioni che  mio padre mi ha impartito sull’argomento per farmi forza. Un attimo di esitazione mi costringe a fermare al mano mentre scrive. È illegale, lo so, ma non ho altra possibilità. L’unica soluzione che ho è quella di entrare nel Database della CIA, o almeno provarci. Sicuramente avranno un sistema di sicurezza che li avvisa di ogni infiltrazione. Comincio a scrivere stringhe di codice e dopo un’ora sento un elicottero in lontananza. Wow sono veloci, non ho nemmeno penetrato il primo livello di sicurezza.
Tre uomini fanno irruzione sfondando la porta e appena li vedo alzo le mani in segno di resa.
-portatemi da Jhon Skyler. Per favore-.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
Questa volta quando entro nel quartier generale della CIA non sono bendata. Ma ho le mani legate dietro la schiena. Un uomo mi trascina sgarbatamente verso un ufficio e riconosco la spia che mi ha portata qui per la prima volta. Dà le spalle alla porta a vetri e parla al telefono guardando distrattamente dall’alto tutta New York, come se ne fosse il segreto burattinaio, come se la città fosse uno dei suoi tanti giocattoli ormai passato di moda.
L’uomo che mi aveva trascinata dentro mi fa cenno di aspettare fuori e con fare reverenziale bussa timidamente sulla porta per attirare l’attenzione del suo capo. Questi si gira e fissa il suo sguardo su di me e vedo un sorrisetto compiaciuto dipingersi sul suo volto. Liquida velocemente il suo interlocutore e con la mano mi invita ad entrare.
-Mi eri sembrata chiara quando avevi detto di non voler più avere a che fare con noi- dice spavaldo
-infatti, ma ha visto il video del trafficante che ha ucciso mio padre? Se posso fare qualcosa per porre fine a questa pazzia, voglio farlo- rispondo fissandolo negli occhi più decisa che mai
-allora ti devo avvisare: non sarà facile, la probabilità di morire è altissima e di certo, se sarai in grado di portare a termine il tuo compito, non riceverai la gratitudine del mondo intero. Sarà un’esperienza che ti segnerà a vita-
-a questo ho già pensato, e voglio farlo. Per mio padre. Solo non si immagini che sono fedele alla sua causa. Adesso, gentilmente, la smetta di farmi perdere del tempo prezioso. Cosa devo fare per essere pronta?-
-non sarai mai pronta per una cosa del genere, ma potrebbe iniziare la preparazione col corso di autodifesa-.
 
La palestra della CIA è gremita di agenti che si agitano con mosse dall’ aria improbabile.
Un agente che non supera probabilmente il metro e cinquanta viene aggredito alle spalle da un altro agente, alto almeno il doppio di lui, e non riesco a trattenermi dall’urlare:
-Occhio!-
il “piccoletto” si gira di scatto e afferra con un braccio il polso dell’aggressore, torcendolo fino allo stremo, per poi scaraventarlo a terra con una forza che non avrei attribuito nemmeno all’omone che lo aveva attaccato. Lo sfortunato mi guarda in cagnesco da terra, volto la testa per non incrociare lo sguardo.
-lei ha appena compromesso una valutazione ufficiale lo sa?- mi dice il mio insegnante
-ma il signore si sarebbe fatto male poi- dico con fare infantile
-se ne sarebbe accorto comunque, è Patrick Adams, il migliore qui, per quanto riguarda le arti marziali-
-oh, capito- rispondo, un po’ delusa di non poter depennare “salvare bambino da aggressione” dalla lista delle cose eroiche da fare prima di morire.
-okay, forse è meglio cominciare, che ne dice?-
-va bene-
-allora per prima cosa: non imparerà a fare salti carpiati e giravolte nell’aria come fanno vedere nei film. Per quello c’è la nazionale di tuffi sincronizzati, che non ha nemmeno fatto malaccio a Londra nel 2012. Quello che sto per insegnarle è una tecnica di autodifesa mirata a fare del male quando si viene attaccati. Procediamo-
 
 
Nelle successive due ore vengo sbattuta innumerevoli volte per terra. Al termine della mia dolorosa lezione il mio insegnante, Paul O’Hara, mi mostra come quasi-strangolare una persona, mettendo da dietro la schiena dello sfortunato le braccia davanti al suo viso, per poi unirle posando il palmo destro sull’avambraccio sinistro, per poi portare questo braccio dietro la testa e fare pressione. Quando esco dalla spoglia stanza circolare (allestita solamente con degli enormi tappeti blu per l’allenamento), mi stupisco della mia stessa tranquillità e improvvisamente mi travolge nuovamente il marasma degli ultimi avvenimenti. Qualcosa mi dice che papà è ancora vivo. Lo sento.
 
Torno a casa, mi faccio una doccia e ordino la cena dal ristorante cinese dietro l ‘angolo, ma lo faccio per telefono: mi fa male ogni singolo muscolo del corpo. Vado in salone per vedere la televisione, ma quando provo ad accendere la luce, l’interruttore non funziona.
“un’altra visitina della CIA? Che strazio” penso. Quindi cerco di spostare lo sguardo in cerca dell’agente, ma non vedo nulla. “ma per quale motivo ancora non mi parla?”.
-Jhon adesso mi puoi parlare, anche se la trovata della luce mi costerà un bel po’- dico meno sicura di quanto non sembri.
-Oh signorina Emma. Si sbaglia di grosso, non sono Jhon- la voce che mi risponde è fredda e  ha un forte accento russo. Prima che possa fare qualsiasi cosa sento un fazzoletto bagnato premuto sul naso e sulla bocca, tento di divincolarmi, ma tutti i miei sforzi sono resi vani quando cado sul pavimento svenuta.



--------------------------------------------> vorrei ringraziare infinitamente coloro che utilizzano parte del propio tempo per leggere le mie storie (che escono una volta ogni 4-5 mesi, e di questo vi chiedo scusa), e in particolare steph808 che mi sostiene in questo percorso e ogni volta che leggo un suo racconto mi ammalia con il suo stile. grazie mille ancora, spero che questo capitolo vi interessi, non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate! alla prossima!

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