I'll stand by you

di Ily Briarroot
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo capitolo ***
Capitolo 9: *** Nono capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


I'LL STAND BY YOU


[... I'll stand by you 
Take me in, into your darkest hour

and I'll never desert you... ] - The Pretenders



L'atmosfera tesa era l'unica cosa che faceva da sfondo a quel silenzio innaturale.
La dolce bambina dai capelli color pece e lo sguardo dolce non riuscì a evitare di scrutare l'espressione ambigua di sua madre, oltre gli occhiali scuri, nel tentativo di penetrare nel mistero che aleggiava intorno alla sua figura.
Rimase a fissare la sua immagine ingenuamente, chiedendosi il motivo di quei giorni che sembravano non trascorrere mai, le tende chiuse dalle quali suo padre a volte sbirciava senza proferire parola, lo sguardo assente della donna tanto dolce quanto piena di segreti.
Akemi aveva soltanto cinque anni, ma aveva capito tutto. Sentiva su di sé il peso di una vita non ancora cominciata, ma che non avrebbe voluto vivere, e cercava di concentrarsi sull'affetto che le trasmettevano i suoi genitori, mese dopo mese.
Riusciva a incantare chiunque con il suo viso dolce, che mascherava un'enorme voglia di conoscere il mondo, e con i grandi occhi blu mare, che avevano imparato a distinguere il bene dal male e davanti ai quali non si poteva mentire.
La bambina era la dolcezza fatta persona, una dolcezza infinita e rara che poche volte capita di incontrare nella vita.
Il pianto improvviso di un neonato la fece voltare di scatto mentre era intenta a scrutare la donna dai lunghi capelli castani.
Corse verso la camera da letto prima che potessero farlo i suoi genitori e si avvicinò alla culla interamente circondata dall'oscurità. Si affacciò su di essa, sorridendo alla piccola creatura che vi era all'interno.
Ciao, Shiho”.
Allungò il dito, afferrando il mignolo della neonata mentre quest'ultima, pian piano, si tranquillizzava fino a emettere soltanto qualche vagito.
Stai tranquilla. Non è successo niente. La mamma dice che tra un po' ce ne andiamo da qui”.
Tornò seria per qualche istante, sfoggiando poi di nuovo il suo immenso sorriso.
Questo posto non piace neanche a me, ma sono sicura che ce ne andremo. Neanche papà è contento, si vede. Ma non ti preoccupare, io resterò sempre con te”.
La piccola le restituì lo sguardo interessato e le strinse il dito, senza poter credere al fatto che quelle parole le sarebbero rimaste impresse nel cuore.


* * * * * * * * * * * * *

Note dell'autrice: eccomi di ritorno nel fandom di un anime che ho amato con tutta me stessa e che - penso - amerò sempre. Questo che ho postato è soltanto il primo capitolo, che vale più come premessa, di una storia a più capitoli; una storia incentrata, come avrete capito, sulla vita di Shiho e Akemi, sulla loro infanzia di certo non semplice e sul loro rapporto molto profondo. Voglio provare ad affrontare questa loro situazione cercando di descriverla al meglio, perché ho sempre amato entrambe e, a parte qualche flashback, purtroppo non conosciamo il loro passato nel dettaglio. 
Ho preso lo spunto per il titolo da una canzone che si intitola proprio "I'll stand by you" (Sarò con te) dei "The Pretenders" :) che dire? Spero che questo primo capitolo, seppur breve, vi sia piaciuto. Alla prossima!

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


Secondo capitolo

 

“Akemi, tesoro... “.
Elena prese la mano di sua figlia, facendo in modo che le si avvicinasse. Incrociò l'espressione intrisa di curiosità e confusione sul suo volto e le accennò un sorriso, senza lasciare trapelare neanche un briciolo della tensione e del dolore che provava in realtà.
“Cosa c'è, mamma?”.
La donna si soffermò un istante in più sull'immagine della sua bellissima bambina che aveva compiuto sette anni soltanto qualche giorno prima. Cercò di imprimerla nella mente, per non dimenticarla mai.
“Tesoro... io e tuo padre dobbiamo partire”.
Akemi sgranò gli occhi, senza comprendere fino in fondo. Sentiva ancora la stretta delicata di sua madre sulla pelle.
“Perché?”.
Elena le si inginocchiò accanto, guardandola negli occhi attraverso le lenti scure.
“Perché dobbiamo fare un lavoro importante. Tu e Shiho resterete qui, i signori che ci sono venuti a trovare l'altra volta si prenderanno cura di voi”.
La bambina notò il tremolio lieve nella sua voce e l'insicurezza che le stava trasmettendo. Scosse appena la testa, senza capire.
“Ma avevi detto che ce ne saremmo andati tutti da qui. E poi quei signori non mi piacciono. Mi fanno paura”.
Elena ascoltò attenta ogni minima parola, ma dovette sforzarsi per rimanere sicura. Portò una mano sulla nuca di sua figlia e la strinse a sé in un abbraccio che sperò non finisse mai.
“Torneremo presto. E staremo di nuovo tutti insieme”.
Poco prima di salire a bordo dell'automobile che chissà dove li avrebbe condotti, Elena si voltò verso sua figlia maggiore, inginocchiandosi.
“Prenditi cura di Shiho. Ne ha molto bisogno” le sussurrò, accarezzandole il viso con una mano.
Dopodiché guardò malinconica l'uomo interamente vestito di nero che le intimava di fare in fretta e si sedette a bordo, imitando suo marito.
Quando l'automobile con Elena e Atsushi Miyano partì, Akemi teneva la piccola mano della sorella, cercando di trattenere le lacrime che minacciavano di traboccarle sulle guance rosee.
L'ambiente in cui vivevano non era lo stesso appartamento stretto e umido dal quale aveva sempre voluto andarsene, ma un luogo tetro e buio in cui era facile perdersi.
Lungo il corridoio stretto, le stanze che vi affacciavano erano piccole e completamente bianche. Spesso non si vedeva nessuno e soltanto in quel momento Akemi capì che erano rimaste sole.
Sperava di vedere la sagoma di sua madre comparire davanti a se' per portarle via. L'unica cosa che riusciva a farla vivere davvero, a farla sorridere, a essere sempre solare allo stesso modo, era il ricordo delle parole di Elena.

Torneremo presto.

E lei ci credeva davvero.
Vedeva Shiho crescere, le faceva da tutto ciò che potesse rappresentare una famiglia. La vedeva chiusa, introversa, schiva. Non sapeva parlare, ma rimaneva totalmente silenziosa di fronte agli uomini vestiti di nero che conosceva da sempre, senza una speranza, senza un ricordo di ciò che vi fosse fuori, senza un'immagine di ciò che fosse la vita vera.
Si apriva soltanto in presenza della sorella. Ed erano quelli i momenti in cui, lasciate sole, le mostrava i suoi sorrisi più autentici, i suoi gesti affettuosi. In cui le donava tutto l'affetto di cui era capace. In cui, guardandola, ci si rendeva conto della spensieratezza di una bambina felice ma che non poteva esserlo fino in fondo. Dopodiché, il suo sguardo si rabbuiava e tornava la bambina silenziosa e malinconica di sempre.
Soltanto in quel frangente la sorella maggiore capì cosa avesse voluto dire sua madre, prima di partire.

Prenditi cura di Shiho. Ne ha molto bisogno.

Doveva essere forte e doveva farlo per Shiho. Doveva sopportare i continui trasferimenti da una città all'altra, doveva sopportare di sentirsi strattonare di continuo da persone che neanche conosceva e che continuavano a farle paura. Non si era ancora abituata alla loro presenza.
Tuttavia, niente riusciva a scalfire i ricordi e la fiducia di una bambina solare che aveva conosciuto ciò che esiste all'esterno, il mondo che l'aspettava. Perché, al contrario di Shiho, lei aveva vissuto una vita felice prima di scoprire cosa fosse l'oscurità. Ne aveva avuto l'occasione.
Qualunque cosa fosse successa, sapeva soltanto che doveva riuscire a raggiungere quella realtà dove, ne era sicura, sarebbe stata libera.
Dove avrebbe potuto vivere in pace con i suoi genitori e con sua sorella, una volta che questi fossero tornati a prenderle.
Akemi non perse le speranze neanche quando, qualche mese dopo, una donna dai lunghi capelli biondi le si inginocchiò accanto, una sigaretta spenta tra le labbra curate.
Shiho, seduta sul tappeto, posò di colpo sul pavimento il pupazzo con il quale stava giocando e la scrutò seria.
La donna sorrise amaramente, una mano sulla testa della bambina dai capelli color pece.
“I'm so sorry, my dear”.
Si alzò in piedi, accendendo la sigaretta. Dopodiché incrociò le braccia e riprese.
“I tuoi genitori sono morti. Hanno avuto un incidente”.
Quando Akemi si voltò, aveva lo sguardo basso, le lacrime agli occhi. Ma non pianse, non davanti a lei.
Quando lo fece, sua sorella la guardò negli occhi senza scomporsi, probabilmente senza neanche capire a fondo, realizzando soltanto ciò che una bambina di due anni e mezzo può comprendere.
Fu in quel momento che le si inginocchiò accanto, stringendola forte a se'. Aveva soltanto lei, nulla di più. Shiho era tutto. Shiho era sempre stata tutto.
La motivazione era di colpo diventata più forte. La tentazione e la voglia di scappare via da quel luogo sarebbero rimaste sempre in lei, per tutta la vita. E avrebbe lottato, avrebbe fatto di tutto per riuscirci. 

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Capitolo 3
*** Terzo capitolo ***


Terzo capitolo

 

 

Gli anni trascorrevano senza sosta, nonostante sembrasse il contrario.
Chiunque le si avvicinasse, vedeva in Akemi la rara dolcezza e bontà che una bambina di dodici anni riusciva a racchiudere in se', una gentilezza unica che si poteva intravedere dai grandi occhi celesti.
Qualcuno avrebbe detto che il suo volto angelico e ingenuo riusciva a far assopire il desiderio di uccidere. Qualcuno, l'avrebbe voluta rivedere per fare in modo che, lo stesso sentimento di vendetta, si placasse di nuovo.
Akemi era tutto questo.
Gli uomini con cui sia lei che la sorella minore avevano a che fare ogni giorno, voltavano lo sguardo per non incrociare quello di lei, così semplice e puro.
A dodici anni aveva già deciso di svolgere il ruolo di famiglia, di sorella e di madre. Unicamente per Shiho.
Cercava di starle accanto più tempo che poteva. Giocava con lei, le insegnava a parlare, le faceva scoprire il mondo, nonostante fosse limitato tra le mura fatiscenti dell'ennesimo edificio in cui erano costrette a vivere.
Ma, prima o poi, le avrebbe fatto scoprire il mondo vero, quello reale che lei stessa aveva avuto la fortuna di conoscere prima di sentirsi prigioniera in quel luogo angusto.
Shiho non era cambiata in quegli anni; non parlava con nessuno, rimaneva chiusa nel suo silenzio. Proferiva qualche parola soltanto con la sorella e quest'ultima non poteva fare a meno di sentirsi felice non appena vedeva anche soltanto un accenno di sorriso sul volto della più piccola. Le accarezzava i capelli ramati, le prometteva che l'avrebbe portata via.
Non importava come avrebbe fatto, ma le persone che vedevano giorno dopo giorno e anno dopo anno le incutevano ancora timore.
Alcune volte qualcuno di quegli uomini vestiti di nero tornava e strattonava con se' Shiho e, spesso, era presente anche la donna dai capelli biondi con la solita sigaretta tra le dita o tra le labbra.
Teneva le braccia incrociate e sorrideva tutto il tempo, finché non sparivano oltre la porta bianca stringendo il braccio della sorella minore.
Erano quelli i momenti in cui Akemi si accorgeva di essere sola, in cui l'ansia le attanagliava la gola e percepiva i battiti del cuore sbucarle dal petto. Le accadeva sempre, finché non sentiva di nuovo i passi oltre la stanza e si tranquillizzava, certa che stessero tornando con Shiho.
E poi succedeva anche a lei. Raramente, molto più raramente, uomini diversi andavano a prelevarla, soli. Non vi era mai quella donna e, ogni volta, ringraziava mentalmente qualcuno nonostante non sapesse chi o che cosa. Provava semplicemente sollievo nel non vederla. 
E la costringevano a quelle che potevano sembrare visite mediche, mentre un uomo alto e con il camice bianco segnava qualcosa su qualche foglio bianco.
Con Shiho era diverso.
Le facevano fare test, quiz, domande di ragionamento o di logica. La sottoponevano a prove che neanche Akemi riusciva a immaginare, sotto lo sguardo interessato della bella donna che ogni tanto esclamava qualcosa in inglese.
Tuttavia, nessuna delle due sorelle diede molta importanza alla continua routine di quei giorni lenti e soffocanti. Nessuna delle due riusciva ancora a comprendere cosa sarebbe accaduto qualche mese dopo.
Si riconobbe dai tacchi che echeggiavano nel corridoio e la bambina dai capelli neri alzò lo sguardo, attenta.
Un uomo disse qualcosa alla donna che era in procinto di entrare nella stanza, ma lei rispose senza scomporsi più di tanto.
"Preparate la macchina. E' ciò che ci serve”.
Quando spalancò la porta, gli occhi freddi del colore del ghiaccio incontrarono per un istante quelli caldi e dolci della bambina. Ma non si rivolse a lei.
Fece un cenno all'uomo dietro se' con il camice bianco e questi si diresse verso Shiho, afferrandole entrambe le braccia nel tentativo di trascinarla fuori dalla stanza.
You have to go, now. E' ora che questa principessa inizi la scuola”.
Akemi corse incontro alla sorella, verso l'uomo che la teneva bloccata.
Cosa le fate? Lasciatela! Dove la portate?!”.
La donna le si inginocchiò accanto, trattenendola con le mani sulle spalle.
A secret makes a woman, woman. Ma rivedrai presto la tua sorellina, stai tranquilla”.
E, mentre l'uomo portava via tutto ciò che rimaneva della sua famglia, Akemi rimase ferma e vuota, mentre incrociò per l'ultima volta prima di molto tempo lo sguardo confuso di Shiho che non le toglieva gli occhi di dosso.

 

 

* * * * *

 

Note dell'autrice: ed eccomi, dopo uno spaventoso ritardo a causa delle vacanze (più studio per test d'ingresso, scelta dell'università e cose varie). Sì, lo so, sono imperdonabile!
Però pian piano, capitolo dopo capitolo, spiegherò per benino tutto, se avrete pazienza e voglia di leggere, s'intende ;)
Grazie mille a tutti coloro che leggono e continuano a recensire, ogni singolo commento mi fa davvero tanto piacere! E se per caso qualcuno mi sfugge perdonatemi, magari alcune volte penso di aver risposto e in realtà, alla fine, non è così xD

Al prossimo capitolo e grazie ancora!

 

Ile_W

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Capitolo 4
*** Quarto capitolo ***


Quarto capitolo


Scelse il vestito che le aveva regalato una delle sue più care amiche soltanto qualche tempo prima e che si era sempre rifiutata d'indossare per mancanza di occasioni particolari.
Si specchiò, notando l'immagine che le restituiva lo specchio: quello di un fiore sbocciato, di una giovane donna cambiata, cresciuta, rispetto al passato.
La dolcezza, però, era un tratto irremovibile del suo intero essere. Gli occhi di Akemi non avevano perso la gentilezza e la profondità che tanto la contraddistinguevano, così come lo sguardo angelico capace di rasserenare il cuore di chiunque.
La bellezza faceva parte di lei, in tutti i sensi.
Si osservò, notando il vestito verde che le arrivava appena sopra il ginocchio, e giudicò soltanto dopo qualche istante che, in fin dei conti, non le stava male.
Il cellulare squillò nello stesso momento e la ragazza lo afferrò d'impulso, portandoselo all'orecchio.
“Sì, pronto?”.
“Akemi, ma che fine hai fatto? Ti stiamo aspettando vicino alla caffetteria in centro, non fare tardi!”.
La voce femminile dall'altra parte della cornetta era tremendamente acuta e squillante.
“Arrivo subito!”.
Attaccò immediatamente e uscì dalla stanza, per poi accorgersi di aver dimenticato qualcosa in camera da letto. Tornò indietro e prese la borsetta che aveva appoggiato sul mobile, sospirando. Rimase qualche secondo a riflettere, combattuta. Dopodiché, lo fece.
Scostò piano le tende senza mostrarsi, adocchiando al piano di sotto un'automobile nera, proprio sul ciglio della strada. Inarcò un sopracciglio e strinse i denti prima di uscire velocemente dall'appartamento.

“Allora, che ne dite di un bel film al cinema questa sera?”.
Le tre ragazze si guardarono annuendo e inizialmente non fecero caso allo sguardo perso della loro amica. La più giovane si fermò, scrutandola.
“Ehi, Akemi. Ma cos'hai? Sembri in pensiero. Non ti piace l'idea?”.
Come svegliata improvvisamente da un sogno, la ragazza dai lunghi capelli neri si riscosse, stupita.
Si voltò un secondo verso il negozio d'abbigliamento dal quale erano appena uscite e un altro presentimento le bloccò il respiro nel petto.
Tornò a guardare verso la direzione in cui le sue amiche cercavano inutilmente di attirare la sua attenzione, notando la stessa automobile nera, a pochi metri da loro.
Sospirò, fingendo la massima indifferenza. Doveva esserci abituata, ormai. Lo sapeva.
“No, ragazze. E' meglio di no. Sono un po' stanca, scusate. Sarà per la prossima volta”.
Le salutò subito dopo e si avviò verso casa, lasciandole di stucco.

Era passata un'ora quando la vide comparire davanti a se'.
I capelli rosso rame, che le incorniciavano il viso, avevano la stessa vivacità dell'infanzia. Erano ciò che più richiamavano i ricordi.
Gli occhi cerulei e allungati, i tratti così differenti rispetto a quelli giapponesi. Più dolci, più tondi.
Sorrise, notando quanto somigliasse alla madre. Come fosse cambiata dall'ultima volta in cui l'aveva vista, quasi due anni prima.
“Shiho!”.
Sollevò un braccio, agitandolo nel tentativo di catturare l'attenzione della sorella. Quando vi riuscì, la seguì con lo sguardo mentre le si avvicinava e fu quello il momento in cui riuscì a distinguere davvero i quindici anni che possedeva.
Solo fisicamente, però. Lo capì subito. L'aria malinconica ed estremamente introversa che l'avevano sempre caratterizzata non era scomparsa, facendola apparire adulta.
“Akemi” disse la più piccola, regalandole un intenso ma breve abbraccio. Si ricompose immediatamente, tesa. Rimase immobile finché gli uomini vestiti di nero che aveva alle spalle non si allontanarono, lasciandole sole.
Nascose lo sguardo sotto la frangia chiara e si avvicinò a lei, appoggiando la mano sul suo avambraccio.
“Andiamo in un posto tranquillo, va bene?”.
Akemi la scrutò stupita. Dopodiché le regalò il migliore sorriso che avesse potuto sfoggiare.
“Mi sei mancata, sorellina”.
“Anche tu. Non sai quanto”.

“Due caffè, grazie”.
Il cameriere prese in fretta le ordinazioni, fece un inchino svelto e si allontanò dal loro tavolo.
Akemi non sarebbe riuscita, neanche volendo, a cancellare dal suo volto la gioia e l'enorme sorriso che mostrava da ormai qualche ora.
Per la prima volta, di nuovo dopo tanto tempo, si sentiva ancora completa. Lì, con sua sorella accanto.
“Finalmente sei tornata! Non vedevo l'ora”.
Shiho assunse la stessa espressione, annuendo appena.
“Sì, ho qualche giorno di pausa e sono tornata in Giappone per vedere come sta la mia sorellina”.
“Il lavoro? Le ricerche stanno andando bene?”.
Non era un argomento facile, lo sapeva. Lei stessa rabbrividiva, lei stessa odiava il motivo per cui erano rinchiuse in quella prigione, il motivo per cui avevano mandato Shiho negli Stati Uniti lontana da lei, da tutto ciò che rimaneva della sua famiglia. Tuttavia, sperava che qualcosa potesse cambiare. Qualche novità, qualche scoperta su quel farmaco che tanto aveva odiato, su cui sapeva così poco, su cui non aveva più fatto domande poiché sapeva che sua sorella minore non avrebbe risposto. La voleva tenere all'oscuro di tutto, all'oscuro riguardo la sua vita in America e sugli studi che aveva compiuto.
“Niente di nuovo, lo sai. Ma cambiamo argomento. Tu come stai? Sicura che vada tutto bene?”.
Akemi annuì, per nulla stupita dalla reazione di Shiho. Era convinta che non avrebbe risposto.
“Sì, non preoccuparti per me. Ho conosciuto un professore davvero in gamba, lo sai? Mi sembra che il suo nome sia Hirota. E' molto simpatico”.
Shiho l'ascoltò con attenzione, seguendo con lo sguardo il cameriere che aveva appena lasciato i due caffè sul tavolo. Prese una tazza e ne bevve un sorso, soffiandovi sopra per raffreddarlo.
“E per il resto?”.
Il viso della sorella maggiore si fece più serio e si allungò verso l'altra, sussurrando.
“Ho intenzione di portarti via, Shiho”.
Calò un brusco silenzio tra le due, interrotto soltanto dal chiacchiericcio della gente seduta ai tavoli intorno a loro. La più piccola sgranò gli occhi, immobile per qualche istante. Non vedeva paura in quelli di Akemi. Nessun briciolo di timore, in quel momento. Soltanto tanta, tanta determinazione.
“Sarebbe impossibile. Non farlo, ti metteresti contro di loro. Sai cosa significa”.
“Io non ho paura di loro” rispose la mora, sincera “ti porterò via, Shiho. E' una promessa che ho fatto tanto tempo fa”.

L'aveva appena accompagnata all'aeroporto.
Prima di vederla salire sull'aereo, l'aveva stretta forte a se', raccomandandole di stare attenta.
Era rimasta ferma, seguendo i suoi passi con lo sguardo, uno dopo l'altro.
Immobile, davanti l'enorme vetrata, aveva aspettato finché il suo volo non fu partito verso gli Stati Uniti, verso quella terra che le separava drasticamente.
E, ancora una volta, il suo cuore era in mille pezzi.
Non lo diede a vedere, non lo mostrava agli altri. La sua forza, la corazza che cercava di mostrare ogni volta, era il sorriso. Anche quando dentro stava male, anche quando sentiva di non avere la forza per andare avanti. In molti l'avrebbero ricordata per questo. Come una ragazza che non avrebbe mai mostrato la sua debolezza, che sarebbe andata avanti fino all'ultimo respiro. Con la speranza nel cuore, ed era la stessa speranza a regalarle quel sorriso.
In macchina, ripensava soltanto a Shiho. Al poco tempo che avevano potuto trascorrere insieme, ai suoi occhi, alla sua malinconia.
Non aveva fatto caso alla strada, non in quel momento. Guidava e, per un solo istante, non si rese conto dell'uomo dai lunghi capelli neri che camminava prima a lato dell'asfalto grigio e che, soltanto all'ultimo, si era lanciato in mezzo alla carreggiata nel tentativo di attraversare.
Vide il corpo di lui ribaltarsi contro il parabrezza della macchina, per poi rotolare a terra. Frenò di colpo, il cuore in gola, si gettò sulla strada e si accasciò accanto a lui, tremando.
Sperò con tutte le sue forze che stesse bene, mentre l'ambulanza si avvicinava a sirene spiegate.

Rimase accanto allo strano tizio tutto il tempo, nella camera d'ospedale.
Seduta sulla sedia posizionata vicino al letto, le mani strette a pugno dall'agitazione, pregava con tutta se stessa che si svegliasse da un momento all'altro.
Quando lo fece il cuore perse un battito. Guardò i suoi occhi verdi, seri, quasi cupi, e sospirò di sollievo.
“Sei sveglio, finalmente!”.
Lui sbattè le palpebre, inizialmente senza capire. La osservò confuso.
“E tu... tu chi sei?”.
La sua voce era profonda e intensa.
“Davvero non te lo ricordi? Sono quella che ti ha investito con la macchina”.
Lo vide scuotere appena la testa e forzò un sorriso.
“Mi dispiace, mi ero distratta un attimo... “.
“Beh, anch'io ho attraversato senza guardare”.
Non potè credere di sentire quelle parole; era praticamente sicura che la mandasse a quel paese da un istante all'altro.
“Come stai?” si preoccupò, volgendo il proprio sguardo sulla benda che gli avvolgeva il capo “ti fa male la testa o da qualche altra parte?”.
“No, sto bene”.
L'uomo accennò un sorriso che la rincuorò del tutto.
Akemi si alzò in piedi, accertandosi un attimo delle sue condizioni.
“Che bella notizia! Vado subito a chiamare un dottore”.
Gli diede le spalle, facendo per raggiungere la soglia della camera, finché la voce di lui non la trattenne.
“Aspetta, dimmi... qual è il tuo nome?”.
Si voltò ancora verso di lui, impreparata. Dopodiché lo avvolse con un caldo sorriso.
“Sono Akemi Miyano”.
L'infortunato glielo restituì, senza distogliere lo sguardo da lei.
“Io invece mi chiamo Dai Moroboshi. Molto piacere”.
“Molto piacere”.
Ripeté la giovane con dolcezza, prima di dirigersi verso il corridoio alla ricerca di un medico.

 

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Capitolo 5
*** Quinto capitolo ***


Quinto capitolo
 

Fu lui a contattarla per primo.
Accadde appena una decina di giorni dopo l'incidente, dopo che lei gli ebbe lasciato il suo numero di telefono facendosi promettere di contattarla non appena vi fossero notizie sulle sue condizioni di salute.
L'uomo, inizialmente sorpreso, si limitò a sorriderle e accettò la sua proposta, notando la lieve agitazione che aveva preso il sopravvento su di lei nel vederlo sdraiato sul letto d'ospedale con le bende strette attorno al capo.
Nonostante Akemi avesse cercato in tutti i modi di nascondere l'ansia per ciò che fosse appena successo, sapeva che Dai Moroboshi avesse compreso il suo stato d'animo senza alcuna fatica.
Il telefono squillò parecchio prima che la giovane si precipitasse verso la camera, con i capelli bagnati e l'asciugamano legato intorno al corpo.
Non fece in tempo a rispondere, perché partì la segreteria telefonica dopo qualche squillo.
“Qui casa Miyano, non posso rispondere in questo momento, ma se lasciate un messaggio vi richiamerò, parlate dopo il-”
“-Akemi? Akemi Miyano?”.
Aveva allungato la mano verso la cornetta del telefono, ma si bloccò quando sentì il suono di una voce profonda e seria. Una voce che le sembrava di aver già sentito, da qualche parte.
“Sono Dai Moroboshi. Nel caso ti sia dimenticata... quello che hai investito con la macchina” vi fu una breve risatina, interrotta nuovamente dal suo tono quasi distaccato “Ti volevo dire che sono stato dimesso oggi dall'ospedale. Ho mantenuto la promessa di farti avere mie notizie, visto? Però a quanto pare non ci sei, quindi posso sempre-”
Akemi sollevò d'impulso la cornetta, il cuore che chissà per quale motivo le batteva forte nel petto.
“-Sì, ci sono! Scusami, sono arrivata tardi per rispondere”.
“Appena in tempo, stavo per riattaccare” ridacchiò lui, cambiando per un attimo il solito timbro serio.
“Lo sospettavo dalle tue parole” rispose lei, togliendosi l'asciugamano che le avvolgeva la testa, mentre i capelli corvini le ricadevano dolcemente sulla schiena.
“Sì, immagino. Beh, volevo dirti che sto bene. E che voglio sdebitarmi”.
“Sdebitarti? Per cosa?”.
La giovane donna non riuscì a capire. Un'altra cosa che non riusciva a spiegarsi, oltre ai battiti veloci del suo cuore.
“Per avermi assistito in ospedale tutto quel tempo. Non è una cosa da tutti”.
“Non potevo mica lasciarti lì. E poi sono stata io a investirti, ricordatelo”.
Dai sorrise, anche se lei non poteva vederlo.
“Ti voglio comunque ringraziare per ciò che hai fatto. Ti chiedo solo di andare insieme a prendere qualcosa in caffetteria. Che ne dici?”.
Akemi non seppe cosa rispondere. Completamente colta alla sprovvista, si limitò a farfugliare qualcosa d'incomprensibile prima di riuscire a formulare una frase sensata.
“Quando?”
“Adesso”.
Lei sgranò gli occhi, sorpresa. Inizialmente non disse nulla, confusa dalla sua proposta.
“Ma come?”.
Sentì di nuovo la risata sommessa di Dai, aspettando una spiegazione.
“Affacciati alla finestra” aggiunse lui, mentre il suo tono mutava ancora una volta in qualcosa di più calmo e profondo.
Akemi percepì per l'ennesima volta un battito un po' più forte rispetto agli altri. Non ne sapeva il motivo, ma lo fece. Si avvicinò lentamente alla finestra della camera, scostando le tende.
In quel momento lo vide.
Dai Moroboshi, capelli scuri, lunghi fino in vita, appoggiato alla colonna dell'edificio di fronte. Il cellulare appoggiato all'orecchio e l'altra mano in tasca, guardava dritto verso la finestra dove si era affacciata.
“Cosa?! Ma come hai fatto a-”
“-Storia lunga. E qualche ricerca. Non ti preoccupare, non cercherò di perseguitarti. Allora, questo caffè lo prendiamo o no?”.

Aveva perso il conto dei giorni che si susseguirono dopo l'incontro con Dai.
Le settimane volarono, così come i mesi. Il tempo passava troppo in fretta e tutto era cambiato così velocemente, senza neanche un minimo preavviso.
Non riusciva a capacitarsi di come fosse successo. Non avrebbe mai potuto definirsi più felice in vita sua. Forse, soltanto quando Shiho tornava dagli Stati Uniti. Forse quando la vedeva in aeroporto con i propri occhi, quando le faceva vedere cosa c'era di nuovo nel suo appartamento o soltanto quando passavano insieme qualche ora.
No, non era niente di tutto ciò.
Quella che Akemi provava stavolta, era una felicità diversa.
Una felicità di quelle che riempiono la vita e che sembra non finisca mai. Una felicità che non aveva mai provato prima e che aveva conosciuto soltanto con l'arrivo di qualcuno che non si aspettava avrebbe fatto breccia così in profondità nella sua vita.
Dai era tutto. Dai riusciva a regalarle il mondo soltanto con un sorriso. Era il suo appoggio, la sua distrazione dai giorni bui. Da quelle automobili nere parcheggiate di tanto in tanto sotto casa sua.
Inizialmente, lui non le chiese nulla.
Non capiva se facesse finta di niente o se davvero non vi facesse caso, ma per lei era meglio così. Voleva dimenticare una vita che non avrebbe voluto vivere e, probabilmente, Dai era l'appiglio giusto. Per aiutarla. Per tornare a vivere. Per cominciare a farlo realmente.
Akemi ringraziò sul serio – senza sapere chi o per quale motivo – per aver conosciuto una delle persone più importanti della sua vita. L'unica, a parte sua sorella.

Shiho tornò cinque mesi dopo.
Cinque mesi in cui, entrambe, avrebbero donato anche l'anima per vedere l'altra. Soltanto che, mentre l'una difficilmente riusciva a ignorare i propri sentimenti e il proprio dolore, l'altra aveva imparato a farlo. Era una delle cose che più aveva imparato a fare negli Stati Uniti. Trattenere la tristezza che, da piccola, aveva provato nei confronti dei suoi coetanei che preferivano allontanarsi da lei. Trattenere il dolore per una famiglia che non aveva mai avuto, e che neanche aveva mai potuto amare veramente, e che l'unico pezzetto rimastole le era stato allontanando bruscamente, quasi con violenza.
“Shiho!” la sorella le corse in contro, sollevando un braccio nel tentativo di richiamare la sua attenzione.
“Ciao, Akemi”.
Le sorrise. Non poteva evitare di farlo, contagiata dall'espressione felice della maggiore.
“Shiho, lui è Dai Moroboshi. Il ragazzo di cui ti avevo parlato”.
L'uomo si avvicinò, notando i capelli ramati e gli occhi verdi che aveva già visto. Li rivedeva benissimo in quelli di Akemi.
“Dai Moroboshi”.
Le tese la mano, attendendo. Shiho lo scrutò attentamente, in silenzio. Lo sguardo serio, che non lasciava intravedere nulla, se non una punta di curiosità.
“Shiho Miyano”.

“Ehi, mi dici una cosa?”.
Dai si sedette accanto a lei, mentre quest'ultima gli faceva spazio sul divano.
“Dimmi”.
“Quei tipi che parcheggiano sempre qui sotto con le macchine nere... “ disse, appoggiando il bicchiere di Bourbon sul tavolino davanti a sé “... perché lo fanno? E' un caso o c'entri tu?”.
Akemi si paralizzò qualche istante, mentre un brivido le percorreva la schiena.
Fu quello il momento in cui dovette prendere un bel respiro e in cui prese la difficile decisione di raccontargli ogni cosa. Per la prima volta, si aprì con qualcuno. Per la prima volta, potè parlare liberamente della sua vita senza tuffarsi nel dolore dei giorni passati. Per la prima volta, c'era Dai che la sosteneva e che non le permetteva di cadere nel buio.
Per la prima volta dopo tanto tempo, l'uomo lesse nei suoi occhi un profondo velo di tristezza. Un cuore distrutto, sotto quella maschera serena. Un peso che Akemi non meritava. Con la sua dolcezza e con la sua bellezza. Con i suoi occhi che imploravano felicità. Gioia. Vita.
Lei si meritava altro.
Lei si meritava il mondo. Non quello distrutto e logorato, ma quello pieno di splendore, quello luminoso.
Per la prima volta, pensò che lei fosse nata per migliorarlo, quel mondo. Non poteva che essere così.
Credeva questo mentre, pian piano, lei si fidava di lui.

“Che ruolo ha tua sorella in tutto questo?”.
Akemi si era voltata di scatto mentre appoggiava le buste della spesa a terra, impreparata dalla domanda.
“Lei... è una scienziata. La usano per i loro sporchi esperimenti”.
“Tu ne sai qualcosa?”.
La ragazza scosse la testa, sospirando.
“So soltanto che la costringono a fare delle ricerche su un farmaco. Non so di cosa si tratti, ma ascolta... “ gli si inginocchiò davanti, scostandosi la frangia scura dagli occhi “Meno cose sai e meglio sarà per te. Ti ho già detto che mi tengono d'occhio, non ci metterebbero nulla a scoprire che-”
“E' questo il motivo per cui non hai voluto raccontarmi tutto a casa tua, vero? Pensi che abbiano posizionato delle microspie”.
Akemi annuì, un peso all'altezza del cuore le mozzava il fiato.
“Controllano tutto. Anche la segreteria telefonica”.
Dai rimase in silenzio per istanti che sembravano non trascorrere mai. Non si scompose, né la guardava, ora.
Si alzò in piedi, immerso in un ambiente che non conosceva, in un appartamento che non aveva mai visto.
“Tu non mi conosci, Akemi. Io sono uno di loro”.
Ciò che arrivò dopo, fu vento gelido sulle spalle di entrambi.
Un cuore già irrimediabilmente spezzato, ora lacerato in minuscoli frammenti appuntiti che facevano male. Lei rimane senza parole, il suo intero essere non voleva realizzare ciò che fosse appena uscito dalle sue labbra.
“Cosa... cosa stai dicendo?”.
“Sono entrato nel giro qualche mese fa”.
“No, non puoi dirlo davvero... “
“Invece sì. Non è un gioco. Agisco con l'uomo che tu conoscerai senza dubbio come Gin”.
Il respiro corto, l'intero corpo che aveva cominciato a tremare convulsamente.
Dai sparì dalla sua vista e soltanto in quel momento Akemi si accorse di essere di nuovo sola.  

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Capitolo 6
*** Sesto capitolo ***


Sesto capitolo
 

Il lungo corridoio scuro si distingueva a malapena, mentre i passi echeggiavano decisi al contatto con il pavimento freddo.
La poca luce che illuminava appena il muro scrostato era l'unica cosa che permetteva di distinguere le varie porte a destra e a sinistra.
L'uomo non rallentò la sua camminata, neanche per un istante.
Gli occhi verdi e lo sguardo di ghiaccio vagavano impassibili in quell'ambiente umido e tetro. Le mani nascoste nelle tasche della giacca nera, i capelli che ondeggiavano a ogni movimento.
Entrò in un laboratorio, poco più avanti. Spalancò piano la porta, evitando il minimo rumore. Soltanto in quel momento la vide.
Immersa nel suo lavoro tra provette e computer, il camice bianco che le donava un aspetto molto più adulto di quanto in realtà non fosse.
I capelli ramati, gli occhi di quel colore. Lo avrebbe riconosciuto tra mille.
Lei aveva sollevato lo sguardo, fissandolo incerta. Soltanto qualche secondo più tardi riprese la sua abituale indifferenza, alzandosi dalla scrivania bianca.
“Cosa sei venuto a fare, Dai?” gli chiese, scrutandolo. Appoggiò la schiena contro il bancone dietro sé, nascondendo di nuovo il viso sotto la frangia spettinata.
“Anzi, no. Forse dovrei chiamarti Rye, adesso”.
Il giovane rimase inizialmente impassibile, senza muoversi. Soltanto dopo istanti che parvero ore tirò fuori le mani dalle tasche del lungo cappotto nero.
Era inutile. Tutto inutile. Decifrare ciò che provava era impossibile.
Non le rispose, non poteva farlo. Poteva solo sperare che le cose andassero nel verso giusto.
Il suo sguardo cadde su alcune provette riposte in ordine sulla scrivania, dietro di lei. Appena più distante, un piccolo contenitore conservava al proprio interno qualche strana capsula rossa e bianca.
Shiho non si fece sfuggire i suoi movimenti e chiuse la scatola con un gesto secco.
“Allora, mi dici perché sei qui?”.
La ragazza incrociò le braccia, ora sollevando lo sguardo. La tensione che entrambi percepivano sembrava trascinarli a chilometri di distanza tra loro. Come se non fossero stati davvero lì, uno davanti all'altra.
“Non è come credi”.
Dai Moroboshi era immobile, senza la minima intenzione di scomporsi. Mosse soltanto qualche passo, lo sguardo duro che non accennava a mutare espressione.
“Adesso devo andare. La mia permanenza negli Stati Uniti è terminata. Torno in Giappone”.
Le diede le spalle, voltandosi. Soltanto quando raggiunse la soglia del laboratorio, percepì di nuovo la voce distaccata di lei.
“Per loro conto?”.
L'uomo la guardò un ultimo istante con la coda dell'occhio, prima di decidersi a svoltare l'angolo oltre la porta.
“Agisco solo per loro, mettitelo bene in testa”.
Shiho lo scrutò, stavolta senza fiatare. Soltanto quando lo vide scomparire oltre il corridoio buio, mormorò più verso se stessa che verso di lui.
“Tu sei l'unico. Non abbandonarla”.

Akemi accese il computer e passò in rassegna ogni nuova email ricevuta nell'arco della settimana in cui, per un motivo o per un altro, non aveva controllato la posta elettronica.
Con un nodo alla gola, sperò con tutta se stessa che ci fosse un messaggio da parte della sorella più piccola, di qualunque tipo, soltanto per essere certa che stesse bene.
Era trascorso quasi un mese e non aveva ricevuto più alcuna notizia da lei, nonostante le avesse inviato qualche tempo prima un dischetto contenenti le foto dell'ultima gita universitaria. Niente di niente.
Come, fino a poco tempo prima, sembrava che la sua vita fosse cambiata in meglio, ora si sentiva per l'ennesima volta nel vortice freddo e scuro della solitudine. Una solitudine imposta da quel qualcosa che non faceva avvicinare gli altri a sé. Una solitudine che non voleva, trascinata da una vita di sofferenza in cui poteva contare soltanto sulle proprie forze.
Fece un respiro profondo quando l'occhio cadde sulla foto che aveva lasciato sulla scrivania, dimenticata lì da chissà quanto tempo.
Allungò il braccio e la prese in mano, mentre un macigno pesante le contorceva lo stomaco. Non poteva più credere a ciò che vi fosse impresso, non poteva più credere a quell'immagine. Non poteva riconoscersi in quella ragazza felice, la luce emanata dagli occhi, accanto a un uomo dallo sguardo serio ma sereno. Dagli occhi verdi, quasi glaciali, ma dei quali lei si fidava ancora.
In quello stesso istante, il telefono squillò e spense il computer velocemente, correndo verso la cornetta nel salone.
Quando rispose, riconobbe immediatamente quella voce.
Si stupì, realizzando di non provare alcuna sorta di risentimento. Non era arrabbiata, non era delusa da lui. Era tornato, contava soltanto questo. Era tornato in Giappone. Era tornato da lei.

Il motivo, lo capì soltanto quando si recò all'appuntamento.
Aveva controllato più volte che non ci fossero automobili nere nei dintorni, dopodiché lo raggiunse. Lo trovò appoggiato contro la parete, l'espressione assorta.
Sorrise quando la vide e lei non potè che esserne felice. Di nuovo, come se lo vedesse per la prima volta. Come innamorarsene per la prima volta.
“Ciao, Akemi”.
Non erano necessarie altre dimostrazioni. Non era necessaria neanche una parola. Bastava questo. Soltanto questo.
In cuor suo, e con tutta se stessa, Akemi Miyano sapeva di potersi fidare di lui. Ora ne era certa. L'unico, che forse avrebbe potuto tirarla fuori dal vero incubo. Doveva crederci ancora, doveva lasciarglielo fare.
Ne ebbe l'ennesima conferma quando lo guardò negli occhi, occhi che potevano soltanto dirle la verità. Occhi che non erano cattivi. Occhi che non potevano avere niente a che fare con il colore nero, né con l'oscurità che lei stessa aveva conosciuto.

I giorni trascorrevano in fretta in quello che la giovane donna avrebbe potuto definire il periodo più bello della sua vita.
Non riusciva a pensare a Dai come un membro dell'organizzazione che le aveva precluso la libertà, che si era impossessata della sua vita e di quella della sua famiglia. Non poteva credere a niente di tutto ciò.
Non voleva pensare al nome Rye, continuava a rifiutarsi di vedere il male dentro di lui. Non ne esisteva alcuna traccia, ne era certa. Sentiva che fosse così; lo percepiva attraverso la pelle, attraverso la dolcezza delle sue labbra. Non era una persona cattiva, non lo era mai stato.
Con il passare del tempo, l'unica cosa che davvero le faceva male era ciò che le nascondeva.
Un segreto che, Akemi ne era certa, sarebbe riuscita a custodire. Se solo Dai glielo avesse confessato, se solo si fosse aperto verso di lei.
Il dubbio che la tormentava era un peso in gola che rimaneva immobile e che quasi non le permetteva di respirare.
La ragazza decise di aspettare, aspettare il momento giusto, aspettare un minimo cenno, anche se, probabilmente, l'uomo non le avrebbe mai detto nulla.
Ma ci volle provare comunque. Perché lo amava. Perché stare con lui significava dimenticare il passato e vivere il presente. Sognare il futuro, come una qualsiasi ragazza della sua età.
Perché stare con Dai significava sentirsi al sicuro dal mondo.

Il momento arrivò qualche tempo dopo, mentre camminavano lungo una strada poco trafficata, accanto al parco.
La confessione di Dai la colse inizialmente impreparata, un tuffo al cuore.
“Sei dell'FBI? Mi stai prendendo in giro?”.
Sperò con tutta se stessa che i suoi dubbi rimanessero tali, piuttosto che conoscere la verità. Perché sapeva che avrebbe fatto male, sapeva che sarebbe stato come una lama affilata nel cuore. Non voleva credere che lui, in realtà, stesse soltanto fingendo un sentimento che non esisteva.
“Niente affatto. Parto domani per risistemare le cose”.
Lo precedette, le lacrime che minacciavano di traboccarle dagli occhi. Forzò un sorriso che durò soltanto pochi istanti.
“Smettila, ma che cosa dici? Ti va di scherzare, vero?”.
Pregò mentalmente che Dai negasse ogni cosa, ma dentro sé lei conosceva già la risposta. Capì tutto quando lui rimase in silenzio, impassibile.
“No... tu stai parlando sul serio... “.
Si voltò verso di lui, stringendo la cinghia della borsa appoggiata sulla spalla. Le lacrime presero a traboccarle lentamente dagli occhi.
“Vuoi sapere la verità? Lo sospettavo da un pezzo”.
La voce tremante, le gocce leggere che le scivolavano sul viso. Finalmente riuscì a liberarsi delle parole che si era tenuta nel cuore per molto tempo.
Akemi sgranò gli occhi quando il moro l'afferrò per le spalle, l'espressione tesa. La scosse leggermente, costringendola a incrociare i suoi occhi freddi.
“Stai dicendo che lo avevi capito?! E allora perché non mi hai lasciato perdere?! Ti stavo usando e tu lo sapevi, Akemi!”.
Una fitta. Una fitta dritta al petto quasi le mozzò il respiro. La frase che Dai aveva appena pronunciato era ciò che non avrebbe voluto sentire, ciò che le faceva paura. Usata. Soltanto usata. Erano troppe le volte in cui aveva cercato di eliminare quel pensiero dalla sua mente.
Tremò, mentre le lacrime le offuscavano la vista, cercando di capire come avesse fatto lui a non trovare una risposta. Stupita dal fatto che non avesse capito.
“Ma insomma... non vedi quello che provo per te?”.
Fu l'ultima cosa che gli disse, prima di allontanarsi. Fu l'ultimo sguardo, l'ultima volta di Dai. L'ultima volta insieme, prima di affrontare la prova più importante della sua vita.
Gli diede le spalle e corse via dall'unica persona che avesse mai amato, l'unica che la facesse sentire al sicuro. L'unica, alla quale avesse donato il proprio cuore e alla quale avesse permesso di entrare nella propria vita, di stravolgerla in meglio, di farne ciò che voleva. E non si era pentita, nonostante tutto. Non si era pentita, nonostante non fosse per nulla sicura di essere stata ricambiata. Nonostante fosse stata usata da lui. Non avrebbe cambiato niente, avrebbe rivissuto ogni momento, ogni minuto, ogni secondo. Il suo cuore era ancora lì, limpido e puro, per lui. Solo per lui. Ancora per lui. Ciò che provava, non era cambiato per nulla.
Dai pensava la stessa cosa mentre la guardava correre via. Mentre non poteva far altro che rimanere stupito dal suo animo e dai suoi sentimenti così veri, intoccabili. Mentre si sentiva in colpa come non gli era mai successo, conscio del fatto di aver messo in pericolo e di aver sfruttato la donna di cui, molto probabilmente, era riuscito a innamorarsi.
Tutto questo perché, non appena aveva visto gli occhi di Akemi riempirsi di lacrime e la sofferenza impressa sul volto angelico, ogni cosa passò in secondo piano.
La missione da compiere, quella vera. Se stesso. La sua vera identità, che credeva di non possedere più del tutto.
Con lei era cambiato. Con lei riusciva sul serio a essere un'altra persona. Ma questo non lo aveva ancora compreso del tutto.
Dai non era vero, frutto di qualcosa di ancora più grande. Ma i battiti cardiaci che acceleravano stando a contatto con lei, il profumo della sua pelle e il colore corvino dei suoi capelli sì. Loro due erano reali, lei era reale.
Avrebbe preferito essere mandato al diavolo, riempito di insulti, lasciato su due piedi a studiare un altro piano per infiltrarsi in quella vita che le apparteneva e che la teneva prigioniera, schiaffeggiato.
Tutto, ma vederla soffrire per qualcosa che aveva trattenuto dentro sé e che aveva cercato di soffocare, senza successo, soltanto per l'amore che provava verso di lui era un qualcosa che gli mozzava il respiro nei polmoni.
Ciò che Akemi non sapeva, e che non aveva fatto in tempo a dirle, era che anche lui sarebbe volentieri tornato indietro nel tempo, rivivendo ogni momento, ogni minuto e ogni secondo insieme.
Perché, adesso ne era convinto più che mai, lei gli aveva rapito il cuore.

Akemi prese la decisione più importante di tutte qualche tempo dopo, quando, per l'ennesima volta, trovò la posta vuota.
La nostalgia l'aveva ormai completamente sopraffatta, la solitudine l'aveva trascinata via di nuovo, inesorabilmente, dalla realtà.
Voltò lo sguardo, notando ogni piccolo dettaglio dell'appartamento che aveva preso in affitto da alcuni anni. Piccolo, comodo. Era sempre stata felice all'idea di poter vivere autonomamente, senza la sorveglianza di nessuno. Senza passare da una casa all'altra, attorniata da persone fredde come il ghiaccio e che non le avevano mai rivolto seriamente la parola.
Non pensò neanche minimamente che fosse tutto un'illusione. L'ennesima illusione che riguardava una vita che non poteva vivere. Non ancora.
Si sentiva costretta lì, in quell'ambiente che credeva familiare, con delle amiche e la libertà di poter studiare e uscire, nonostante fosse una libertà limitata dalle automobili scure parcheggiate di tanto in tanto sotto casa. Il mondo, però, lo aveva conosciuto bene, sin da piccola.
Stentava a pensare a Shiho, chiusa in un laboratorio di un paese straniero, strappata da lei, strappata da una realtà che non aveva mai conosciuto, costantemente ai loro ordini.
Fu in quel momento che vide la risposta della sorella minore, scritta velocemente in poche semplici righe. Stava bene. Sì, stava bene.
Ma non era più l'unica cosa a dover contare, adesso.
Ormai, era una lotta per la libertà.
Fu quello il momento in cui decise di mantenere la promessa a cui aveva sempre creduto sin da quando erano piccole. Doveva farlo per Shiho. Doveva farlo per se stessa. Doveva farlo per una vita che doveva essere vissuta fino in fondo.
Era ora di cominciare.
E avrebbe dato tutta se stessa per mantenerla, quella promessa.

 

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Capitolo 7
*** Settimo capitolo ***


Settimo capitolo

 

Non farlo, non sai a cosa vai in contro!”.
Un tono duro, un'espressione indecifrabile sul viso, la frangia ramata che copriva gli occhi chiari.
Sì che lo so. Ti ho fatto una promessa anni fa e intendo mantenerla”.
Falsa sicurezza, battiti veloci, respiro mozzato. Finta serenità.
Akemi, è una pazzia! Non ti lasceranno scampo”.
Rabbia, convinzione. Senso di protezione.
Ti porterò via, Shiho. Ti porterò via da loro, so cosa fare. Non preoccuparti”.
Un occhiolino, un sorriso affettuoso. Una voce dolce da ricordare per tutta la vita.

Akemi camminava spedita, lasciando che i propri passi echeggiassero lungo il corridoio buio. L'edificio fatiscente in cui aveva ricevuto l'appuntamento era più lugubre che mai. Non si fermò mai, non si guardò indietro. Lo sguardo deciso, gli occhi avevano perso tutta la loro dolcezza.
“C'è qualcuno?! Rispondete, avanti!”.
La risata cristallina di una voce, quella più grossa in sottofondo. Scarpe di vernice che scricchiolavano a contatto con l'asfalto rugoso.
“Ma guarda, ecco la nostra Akemi”.
Un uomo alto, interamente vestito di nero, fece la sua comparsa dall'ombra alle sue spalle. Gli occhi di ghiaccio le facevano venire i brividi ogni volta, mentre i capelli biondo platino attorniavano il suo viso spigoloso.
Gli si avvicinò un altro uomo, il ghigno stampato in faccia, più basso e tarchiato. Gli occhiali da sole non le permettevano di scrutarlo appieno.
“Finalmente” rispose lei, cancellando ogni traccia della dolce bambina che era stata in passato. Non si mosse, attenta ai due con il cuore in gola. Attendendo ogni loro movimento, cercando di cogliere ogni dettaglio nei loro modi di fare.
“Avanti, bellezza. Cos'avresti da comunicarci di tanto importante?” chiese il primo, la sigaretta accesa stretta tra i denti, in un terribile ghigno.
La giovane donna fece un passo in avanti, un braccio lungo il corpo e l'altra mano che stropicciava il tessuto del foulard che aveva intorno al collo.
“Voglio che lasciate andare me e mia sorella!” affermò decisa, guardando il biondo negli occhi gelidi.
“Cosa?!” esclamò l'altro uomo, quasi a bocca aperta. Il suo compagno sorrise, allungando la mano sinistra nella sua direzione.
“Sta' calmo, Vodka” disse, senza neanche guardarlo. Rimase con lo sguardo fermo sulla ragazza, il cuore che le martellava nel petto.
“Ma, Gin... “
“Penso si possa fare” concluse poi il più alto subito dopo, immobile. Ritrasse la mano senza neanche degnare di uno sguardo l'espressione confusa del collega.
Akemi sussultò, sgranando gli occhi. Credette di aver capito male o di aver frainteso qualche sua parola. L'unica cosa di cui era certa, era che non poteva abbassare la guardia.
“Io e mia sorella possiamo davvero lasciare l'organizzazione? Mi stai prendendo in giro?” chiese poi, un po' più tranquilla.
Il solito ghigno si dipinse nuovamente sul volto di Gin, che buttò a terra la sigaretta pestandola successivamente con il piede.
“Affatto” rispose lui, osservandola interessato, “Tu porta a termine una rapina da cento milioni di yen e noi ti permettiamo di uscire dall'organizzazione. Insieme a Sherry”.
Gli attimi che seguirono furono di sbigottimento.
Akemi rimase ferma, a rimuginare sulle sue parole. Cercando di trovare un senso che lì per lì non riuscì a comprendere.
Vodka ancora più stupefatto, guardava il suo compare con un'espressione indecifrabile. Decise tuttavia di non parlare e di assecondare le sue parole.
“Allora? Sarà il tuo biglietto d'uscita. Che ne dici?”.
La ragazza rimase a fissare l'asfalto incerta. Doveva riflettere. Doveva farlo prima di accettare. Ma decise ugualmente di tentare.
“Accetto” rispose, lasciando perdere l'indecisione del momento.
Gin sorrise sghembo, abbassando leggermente lo sguardo.
“Ti saranno inviate tutte le informazioni il prima possibile, luogo, orario, tutto ciò che ti serve. Anche il nome dei complici. Mi raccomando” disse sprezzante, prima di voltare i tacchi e andarsene, con Vodka che lo seguiva senza fiatare.

La lettera arrivò tre giorni dopo, era appena oltre la porta, sul pavimento.
Conteneva tutte le indicazioni per portare a termine il piano. Akemi lesse le lettere ordinate scritte accuratamente con l'inchiostro nero, mentre percepiva dentro di se' un senso di nausea aumentare pian piano al solo pensiero di ciò che avrebbe dovuto fare.

L'ultima volta. Questa è l'ultima volta che avrò a che fare con loro.

Lesse la cifra che le aveva anticipato Gin – cento milioni di yen.
Lesse il luogo della rapina, il nome della banca.
Lesse il nome di due persone che non aveva mai conosciuto, due uomini, che avrebbero dovuto farle da complici.
Lesse l'impronta dell'organizzazione su quel foglio. Rabbia. Angoscia. Paura. Lesse tutto ciò.
Lesse anche un barlume che, per quanto piccolo e insignificante, sapeva di speranza.

“Masami Hirota... “.
Ormai era diventato quello il suo nome. Da giorni, settimane intere in cui cercava di mettere insieme il denaro, di fare conti, di organizzare e coordinare l'attività dei due uomini che le facevano da spalla.
Per la prima volta, la sua concentrazione fu attirata da uno strano bambino. Un bambino vispo, forse di dieci anni, con un paio di occhiali forse troppo grandi per un esserino così piccolo.
Sveglio, incredibilmente sveglio. Vedeva i suoi occhi limpidi, il suo sguardo sincero. Lo osservava con la coda dell'occhio, sorridendo.
Guardava le persone, gli alberi, il mondo stesso. Vedeva quel bambino e la voglia di vivere tornava implacabile. Rivedeva Dai e le mancava. Le mancava da morire.
Sorrideva, dietro alla finta montatura che nascondeva i suoi grandi occhi verdi. Voleva farlo, voleva assaporare tutto ciò che poteva, voleva assaporare le cose belle. Ancora. E ancora.
In qualunque modo sarebbe finita, lei voleva farlo. Non era sicura di nulla, non le importava. Stava rischiando la vita perché non ne voleva una all'oscuro di tutto, perché non ne voleva una a metà. Stava rischiando la vita per ridarla a sua sorella.
Masami Hirota portava avanti il piano.
Akemi Miyano sorrideva alla vita.
 

* * * * * * * * * * * * *

 

Note dell'autrice: rieccomi ad aggiornare dopo un sacco di tempo causa studio e uno strano baco che mi ha cancellato ogni mia fanfic e finché non me lo hanno sistemato sono rimasta bloccata! Ma eccomi qui :)

Ci tengo a dire, non so se sia importante o meno sottolinearlo (lo faccio comunque), che alcune volte delle frasi di Akemi o di Akai – come nel capitolo precedente – sono esattamente le stesse dell'anime :) non voglio cambiare niente di ciò che abbiamo visto noi in quel senso e penso proprio che capiterà anche nei capitoli successivi! Alcune situazioni si collegano necessariamente a spezzoni che abbiamo visto, quindi è inevitabile.

Detto questo, grazie ancora infinite per le recensioni, le leggo sempre anche se qualche volta mi dimentico di rispondere! Spero di continuare a piacervi :) alla prossima!

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Capitolo 8
*** Ottavo capitolo ***


Ottavo capitolo
 
 

I giorni trascorrevano lenti, inesorabili, nel pieno di una vita apparentemente normale, fatta di abitudini che non cambiavano mai.
Chi osservava il palazzo da fuori vedeva la solita finestra chiusa, le tendine tirate. Le tapparelle quasi costantemente abbassate, e non si faceva domande. Non era una novità, da qualche settimana.
Poco importava se dietro a tutto ciò, all'interno dell'appartamento, oltre le dicerie di sempre e al di là delle automobili nere che parcheggiavano ogni tanto nelle vicinanze, la realtà fosse ben diversa.
Poco importava della solitudine di una ragazza che, a quanto si diceva, rimaneva la maggior parte del tempo a studiare e che usciva di tanto in tanto con qualche amica.
Nessuno sapeva che quella stessa ragazza, avvolta ancora una volta nell'oscurità di una vita, aveva abbandonato – almeno temporaneamente – gli studi, per dedicarsi esclusivamente a un progetto che aveva la priorità su ogni cosa.
Nessuno sapeva che, seduta alla scrivania illuminata soltanto dalla luca fioca proveniente dalla piccola lampada lì accanto, Akemi scriveva frettolosamente, accantonando fogli disordinati, gettandone altri pasticciati, sistemava documenti, organizzava appuntamenti, stabiliva orari. 
Con la massima concentrazione, attenta a ogni dettaglio possibile, programmava, scarabocchiava, cancellava per poi ricominciare tutto.
Nessuno sapeva, però, che da quel lavoro, che da quell'atteggiamento tutto d'un tratto schivo, che da quell'impegno dipendeva tutto. Una vita intera, una vita futura. Una speranza che ora pulsava forte all'interno del suo cuore.

Era un altro pomeriggio come tanti da quando si era imposta di accettare quell'incarico, così rischioso ma importante allo stesso tempo.
Si era alzata dalla sedia davanti alla scrivania, prendendo in mano la pila di fogli e sistemandola sul tavolo. Dopodiché, si diresse in camera da letto, aprendo lentamente l'anta dell'armadio.
Rovistò qualche secondo tra i vestiti piegati accuratamente, sistemati in fondo allo scaffale, e mosse le dita finché non sfiorò una superficie rugosa, nascosta tra i panni.
Allungò le braccia e afferrò il sacchetto di carta, estraendolo dall'armadio.
Ne controllò l'interno, adocchiando i nastri sottili e leggermente impolverati sistemati come erano stati ordinati anni prima.
Infilò tutto nella borsetta nera, guardandosi un'ultima volta allo specchio. Il foulard legato dolcemente intorno al collo e la gonna al ginocchio la facevano apparire forse più grande. Sorrise e chiuse l'anta del mobile, avviandosi verso il soggiorno.
Si avvicinò alla scrivania, passando in rassegna ogni sorta di appunto che aveva preso in quegli anni. Poi lo trovò. 
Un pezzetto di carta ingiallito dal tempo, su cui era impressa una calligrafia che conosceva molto bene.
Lo prese in mano, rigirandoselo tra le dita.

Signor Dejima... “

Sotto, in minuscolo, c'era un indirizzo. Eccolo, finalmente. L'indirizzo della vecchia casa di suo padre.
Elena l'aveva segnato di proposito e lei lo aveva nascosto con cura. Si ricordava il giorno in cui, da piccola, sua madre glielo aveva dato. Insieme ai nastri che, dopo tutto quegli anni, era riuscita a nascondere per bene. L'ultimo desiderio di sua madre, si era detta una volta adolescente. Un regalo tutto speciale da lasciare a Shiho, che non l'aveva mai conosciuta. E di cui Akemi non aveva mai avuto la possibilità di raccontarle, perché quando aveva cercato di farlo la sorella minore era troppo piccola per capire. Troppo piccola per ricordarsene.
La mora sospirò, mentre un sorriso triste si dipingeva sulle proprie labbra.
Avrebbe potuto recuperare con lei, avrebbe potuto spiegarle tutto da libere. Ma, nonostante la speranza che le riempiva il cuore, Akemi sapeva che avrebbe potuto non riuscire a farlo mai.
Avrebbe rischiato di lasciare Shiho da sola. Totalmente sola, stavolta. E quei nastri sarebbero rimasto tutto l'appiglio per farle sentire il calore di una famiglia che non aveva mai avuto e che aveva cercato di essere lei per tutte e due.

“Buongiorno! E' permesso?”.
Akemi spalancò piano la porta che cigolò lievemente, mentre faceva capolino nella stanza bianca.
La accolsero due uomini, di cui uno dallo sguardo imponente, tarchiato, con i capelli bianchi e i baffi. L'altro, con una strana bandana verde legata attorno alla testa, la guardava sorridendo.
“Cosa... ma tu sei... “ disse appena, stupito.
La ragazza entrò, sfoggiando un sincero sorriso.
“Sono Akemi Miyano, sono passata a farvi un salutino”.
Un terzo uomo, scuro di pelle e dai capelli ondulati, si bloccò nel vederla. Un uomo che avrebbe giurato che tutto il mondo nasceva e scompariva dal sorriso di lei. Dal suo sguardo ingenuo, dagli occhi che emanavano tanta dolcezza e malinconia allo stesso tempo.
Sì, aveva già visto quello sguardo. Aveva già visto quel faccino, che lo aveva distolto una volta dal commettere l'errore più grande della sua vita.
“Ma tu... sei la bambina che è venuta qui da noi anni fa con il signor Miyano e sua moglie”.
“Hai ragione, è proprio lei” disse l'omone, che fino a quel momento era rimasto zitto.
“Esatto” rispose gentilmente Akemi, scrutandolo “Lei deve essere il signor Dejima. Mi ricordo quel giorno. Infatti ho deciso di tornare a trovarvi”.
L'uomo dalla pelle scura sorrise, ignorando il cuore che batteva forte e che, forse, chiedeva ancora aiuto a quella ragazza dal viso angelico.
Ricordò ancora la bambina che era comparsa alle sue spalle, circa venti anni prima.

Che ti succede? Hai una faccia strana, stai bene? Non mi piace la tua espressione... anche se non ti conosco so che sei una brava persona”

No, piccola... credo solo di essere un po' stanco”.

La giovane varcò la soglia del corridoio, certa di aver sistemato tutto come poteva.
“Allora? Tutto bene?” chiese il ragazzo gentile con la bandana, osservandola. Lei sorrise di rimando, annuendo.
“Sì, certo. Anzi, grazie per avermi fatto usare il bagno”.
Si voltò, guardando un'ultima volta la casa in cui suo padre era nato e cresciuto. C'era stata così poco tempo che quasi non le sembrava vero. Quell'ambiente era così estraneo, così lontano da se'.
“Figurati, quando vuoi. Non devi ringraziare” rispose lo strano tizio dai capelli mossi e il carattere composto. Akemi lo guardò, certa del fatto che, forse, stesse nascondendo qualcosa. Qualcosa d'importante, una richiesta d'aiuto. Qualcosa che riusciva a percepire, ma di cui non era convinta.
S'inchinò leggermente, guardandoli uno a uno. Se li ricordava vagamente, li sentiva quasi come fossero stati importanti, come fossero stati parte integrante della sua famiglia.
“Ora devo proprio andare. Ma non vi preoccupate, tornerò a trovarvi tra circa una settimana e porterò anche la mia sorellina”.
Li salutò, mentre i tre la accompagnavano alla porta. Mentre uno di loro, quello forse più fragile, vedeva i suoi occhi un'ultima volta.
Occhi che erano in grado di placare l'ira di una persona, talmente forte da trasformarla in un assassina. Occhi che non sapeva, non avrebbe più rivisto.
E Akemi si allontanava, stavolta con un briciolo di serenità in più. Ora che sapeva che i nastri erano al sicuro, qualunque cosa sarebbe successa. Shiho aveva ancora una certezza.
Se fossero riuscite a liberarsi, avrebbe mantenuto la promessa e li avrebbe consegnati lei stessa alla sorella minore.
Altrimenti, Shiho li avrebbe trovati comunque. Poco importava.
Anche se fossero tornati quegli uomini, sarebbero rimasti al sicuro. Sempre.
Le venne in mente quello strano bambino che vedeva ogni tanto da qualche settimana. Quello con l'aria sveglia, che sembrava riflettesse allo stesso modo di un adulto.
Lo vide, per un momento, in un'immagine. Un'immagine veloce, di sfuggita. I suoi occhioni che si riflettevano in quelli verdi di Shiho. Così, a caso. Senza un nesso, senza un motivo li vide insieme.
Quel ragazzino emanava un senso di protezione. Senza sapere che, un giorno, avrebbe condiviso molto di più con sua sorella.
Senza sapere che avrebbe condiviso l'intero destino con lei. E che l'avrebbe protetta realmente, a costo della vita. Una volta che Akemi non avrebbe più potuto farlo.

Una volta tornata a casa, si rimise al lavoro.
Ignorava lo squillo del telefono, ignorava la segreteria telefonica. Non le importava, non più.
Aggiustava, cambiava, modificava. Il tempo non passava mai e a volte lo faceva troppo in fretta.
Non aveva idea se avrebbe potuto rivedere Shiho, prima dell'incarico. Non avevano stabilito niente, non aveva alcuna garanzia di poterla nuovamente avere accanto.
Si fermò, lasciando un attimo da parte i documenti. Posò la penna sul legno, mentre una lacrima le rigava la guancia e macchiava il foglio.
Poi si voltò, ascoltando l'unico messaggio nella segreteria che aveva completamente rapito la sua attenzione.
“Ciao Akemi, sono Dai. Volevo dirti che sono tornato in Giappone. Nulla di più. Spero che tu stia bene”.
Lei accennò un sorriso, scuotendo la testa. Non aveva tempo, doveva soltanto tenerlo a distanza. Almeno per un po', non molto. Doveva resistere. Tutto sarebbe finito presto.
Pensava ciò mentre scriveva, mentre firmava la sua domanda di assunzione su ogni copia che aveva davanti, lasciando il segno di un'impronta che non esisteva, che non apparteneva a lei. Il suo nome, era qualcosa che doveva dimenticarsi per un po' di tempo. Respirò a fondo, prima di tracciare le lettere attraverso l'inchiostro nero. Poi lo fece. 

Masami Hirota


* * * * * * * *


Note dell'autrice: ed eccomi! Come avrete capito ci avviamo verso la fine... ho voluto inserire la scena dei nastri - avrete capito di quali nastri si tratta se seguite la serie :) trovo che sia una scena molto importante e molto bella per non essere descritta. Akemi che placa la voglia di uccidere da bambina, ma che non riesce a farlo una seconda volta. 
Vi ringrazio ancora una volta per i commenti, mi fanno davvero tanto piacere. Alla prossima!
Ile

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Capitolo 9
*** Nono capitolo ***


Nono capitolo
 

Non riuscì quasi a chiudere occhio, quella notte.
Pensava ancora, ragionava, rifletteva se tutto ciò che aveva programmato fino a quel momento potesse essere la scelta giusta, il piano perfetto.
Vide davanti agli occhi l'immagine di Shiho che le intimava di lasciar perdere. La rivide piccola, un fagotto che si muoveva lentamente nella culla, i grandi occhioni chiari che scrutavano l'ambiente circostante, e che non piangeva mai.
Il suo proteggerla da ciò che credeva essere il male, dalle persone che avevano sempre intimorito anche lei, ma che adesso poteva affrontare a testa alta.
Nella sua testa l'immagine cambiò velocemente e, al posto della neonata, comparve una bella bambina dai capelli ramati e dallo sguardo silenzioso.
La vide in un enorme edificio con tanti altri coetanei, seduta a un tavolo con un vassoio davanti. Sola, mentre masticava pian piano, lo sguardo basso di chi era tagliato fuori dal mondo.
I ragazzini che la circondavano parlavano, bisbigliavano tra di loro in una lingua diversa. Ridacchiavano, adocchiandola da lontano.
E poi la vide nuovamente da adolescente, una giovane donna che stava sbocciando, ma che non viveva al di fuori delle mura fatiscenti di un laboratorio e senza il camice bianco sulle spalle.
Akemi aprì gli occhi all'improvviso, percependo i battiti forti del proprio cuore. Sollevò la schiena, poggiando la mano sulla fronte sudata e scostando la frangia corvina da un lato.
La sveglia segnava esattamente le quattro di mattina. Poco. Mancava veramente poco adesso.
Soltanto qualche ora dopo, prima di uscire di casa, prese la borsetta nera, ricordandosi di infilarvi all'interno tutto ciò di cui probabilmente avrebbe avuto bisogno, compresa la pistola che le avevano consegnato con tanta cura e della quale percepiva chiaramente il peso, che le schiacciava i polmoni e che le mozzava il respiro.
Aprì l'anta dell'armadio, le mani che tremavano in modo convulso. Dopodiché estrasse il passamontagna nero dallo scaffale, aggiungendolo al resto.
In quel momento, si sentiva incredibilmente sola. Nonostante sapesse di esserlo ormai da tempo, da quando aveva accettato l'incarico, non se n'era mai accorta sul serio perché troppo concentrata a sistemare ogni dettaglio. Aveva allontanato tutti da settimane. Aveva rifiutato inviti, telefonate. Aveva ignorato le amiche, il postino che aveva perso il conto delle volte in cui aveva sperato di rintracciarla. Non studiava, non frequentava più le lezioni all'università da ancora prima.
L'unica cosa che aveva fatto, era stata quella di pagare anticipatamente l'affitto dell'appartamento per tutto il mese. Era corretto così, indipendentemente dal resto. Indipendentemente dal fatto che, forse, sarebbe potuta tornare alla propria vita di ogni giorno. O forse no.
Era riuscita anche ad allontanare lui. Lui, che le aveva nascosto la verità. Lui, che era finalmente tornato in Giappone. Lui, la persona che le era stata vicina più di tutte e del quale non era riuscita a cancellare i sentimenti. Lui, la persona della quale si era innamorata.
Ripensò al messaggio che le aveva lasciato in segreteria qualche giorno prima. D'un tratto, non importava più se le stesse nascondendo altro. Se avesse un'altra identità, se fosse in missione per qualche motivo a lei oscuro.
Non ci pensava più.
Prese il cellulare e sollevò lo sportellino, tesa. Rimase a fissare per qualche istante il suo nome nella rubrica. Dopodiché gli scrisse poche parole, semplici. Ciò che avrebbe voluto dirgli da una vita. Uno dei suoi più grandi desideri. In quelle righe, aveva riposto il proprio cuore.

Se mai riuscissi a lasciare l'Organizzazione... usciresti con me, come un vero fidanzato?”.

Dopodiché chiuse il cellulare con uno scatto e si riscosse, raggiungendo velocemente l'ingresso. Pronta a compiere ciò che non avrebbe mai voluto fare. Nella speranza di una vita che valeva la pena di vivere.

Il furgone era pronto. Tutto il necessario anche, stretto al sicuro all'interno della borsetta nera sotto al braccio. Corse, raggiungendo i due uomini che la scrutavano duramente, impenetrabili. Si accertò che nei paraggi non vi fosse nessuno prima di indossare velocemente la maschera nera che aveva preparato qualche sera prima. L'odore acre le fece quasi storcere il naso, mentre ne passava altre due identiche ai complici.
Dopodiché, fu tutto il lavoro di una squadra che in realtà non c'era. Di un'unione totalmente impercettibile da risultare vuota. L'unica forza, l'unico motivo per cui tutto stesse andando per il meglio, erano anni di allenamento e di sforzarsi di ragionare come loro. Oltre alla cosa di gran lunga più importante, che premeva e premeva. Shiho.
Lei rimaneva il pensiero fisso. La parte principale di tutto. Il vero motivo di ogni cosa.
Anche mentre trasferiva le valigette e i sacchi più in fretta che poteva, anche mentre faceva da palo accanto all'anta del furgone nella speranza che non arrivasse nessuno.
Anche mentre riuscirono a scappare, una volta che il più robusto dei due uomini ebbe premuto pesantemente sull'acceleratore e il furgone portavalori vuoto si fosse allontanato dalla loro visuale.

Un bambino. Sempre lo stesso.
Tratti che sentiva di aver già visto, una voce vivace e curiosa. Due occhioni blu rassicuranti che la decifravano e la facevano sentire sempre un po' in colpa. Che la spogliavano di tutto, che la portavano a contraddirsi, ad accusarsi, a realizzare di essere una criminale.
Ma non lo voleva esserlo e, per quanto lo sguardo del piccolo sospettoso la intimasse quasi a confessare perché tanto era la scelta giusta da fare, bastava ripensare al motivo per cui lo aveva fatto.

“Signorina Masami? Che cosa succede?”.

E, di colpo, era chiaro. Era quel nome a essere di troppo, era quella la persona che avrebbe dovuto lasciarsi alle spalle. Il bambino con gli occhiali che la riempiva di domande, stava parlando con lei. Soltanto con lei. Una lei che non le apparteneva. La criminale.
Akemi, intanto, percepiva il battito furioso del proprio cuore mentre i giorni passavano e tanti, strani timori venivano a galla.
Quando la morte dei due complici la colse impreparata, quando si era probabilmente trasformata in un'assassina senza neanche volerlo. Quando si rese conto che tutti gli indizi portavano a lei. Sola, lontana dal mondo, lontana dall'amore, dall'affetto.
Al centro di un fuoco che l'avrebbe schiacciata, perché era così. L'avevano incastrata nel peggiore dei modi, coloro che avrebbero dovuto mantenere la propria parola.
Avrebbe voluto lui. Sì, lo avrebbe voluto ancora al suo fianco, a rassicurarla, a proteggerla. Qualunque cosa. Avrebbe voluto parlare con Shiho, dirle che sarebbe andato tutto bene. In fin dei conti, aveva fatto ciò che loro volevano.
E invece, giorno dopo giorno, sentiva sempre di più il peso su di se'. Su Masami. Ma, prima di tutto, su Akemi.

Lo aveva visto, prima di procedere verso l'ascensore.
Il bambino correva, nell'evidente tentativo di fermarla. Non lo fece, non si scompose. Lo guardò negli occhi profondi e, per qualche strano e assurdo motivo, rivide di riflesso nelle iridi blu quelle di sua sorella. Era un meccanismo, un collegamento, che scattava, per quanto assurdo, in modo istintivo.
Akemi non si voltò più. Raggiunse l'auto e mise in moto con foga, premendo sull'acceleratore con il cuore in gola. Doveva finire bene. Cercava di pensare solo a questo mentre entrava sulla strada che costeggiava alcuni capannoni abbandonati.
Prese il cellulare, sollevando lo schermo con due dita. Il messaggio che aveva mandato a Dai era ancora lì, tra quelli inviati, senza alcuna risposta. Accennò appena un sorriso triste e lo ripose nella borsa, stringendo poi la stoffa nel foulard con una mano.
Non mancava tanto. Si sarebbe fermata di lì a breve, verso la fine della strada.
Per un istante, quando scese dall'auto, si convinse di essere sola. Fece qualche passo decisa, cercando di celare il tremore e la paura che in realtà stavano combattendo contro di lei.
“Ottimo lavoro, Masami Hirota... “
L'improvvisa voce maschile, dura e calma, la costrinse a fermarsi.
“O, meglio... Akemi Miyano”.
Le due figure uscirono allo scoperto. I cappotti neri le avvolgevano dalle spalle ai piedi, i ghigni dipinti sul volto. Era il primo a parlare, colui che aveva odiato per anni.
“Perché hai ucciso gli altri due? Che male ti avevano fatto?! Avanti, dimmelo!”.
Il timore divenne rabbia. Guardò il biondo con occhi che non lasciavano trapelare nient'altro.
Una risata, poi le labbra dell'uomo ripresero a muoversi.
“Noi facciamo sempre così, bellezza. Allora, dicci dove sono i soldi”.
Akemi arretrò appena, di un passo. Dopodiché incrociò le braccia, fissandoli ferma, senza scomporsi.
“Prima voglio vedere mia sorella!”.
La giovane donna studiò entrambi, notando il leggero stupore nell'espressione del compagno.
“Cos'hai detto?!”.
“Avevate promesso che una volta portato a termine il piano avreste permesso a me e a mia sorella di lasciare l'organizzazione!”.
Speranza. Speranza che andava via via sgretolandosi. Iniziava ad averne la conferma scrutando gli occhi di ghiaccio dell'uomo che aveva davanti. Di colpo, sentì le gambe deboli. Ma non doveva cedere, non davanti a loro.
“Vedi, tua sorella è una mente indispensabile nella nostra organizzazione, quindi è necessario che resti con noi. Anche lei lo vuole”.
Gin rise, una risata argentina e raccapricciante. La rabbia, quella vera, quella che Akemi Miyano non aveva mai provato in vita sua e, che, non era in grado di provare, aveva preso il sopravvento su di lei. Uno strano desiderio si faceva largo nel suo corpo, nelle sue membra, nei suoi muscoli.
Il desiderio di uccidere.
Cercò di scacciare dalla mente quel pensiero, nel vanto tentativo di controllarsi.
“Sei un bugiardo, sono tutte menzogne!”.
Non li sconvolse per nulla. Impassibili, indifferenti. Anche la più piccola luce di speranza si distrusse in mille pezzi, formando un peso in gola che non riusciva a deglutire, quando vide Gin sollevare una pistola e puntare la canna contro di se'.
Poteva dire addio a tutto, forse. In quel frangente, in quel solo attimo, si sentì egoista nel formulare il vano pensiero che Dai potesse accorrere in suo aiuto. Per un solo, inutile momento, pensò che voleva vederlo. Un'ultima volta. Ancora.
“E' la tua ultima possibilità” la voce dell'uomo che la minacciava la riportò bruscamente alla realtà “Dicci dove si trovano i soldi”.
Akemi scosse la testa, respirando a fondo. Guardò l'arma, cercando di essere forte. Era stata una stupida, lo sapeva. Non aveva dimostrato niente, non era arrivata a nulla. Si era lasciata usare, pur sapendo come sarebbe finita, da qualche parte dentro se'. E aveva sbagliato. Da ingenua, aveva fallito.
“Non li troverete mai, li ho nascosti!”.
Un ghigno breve, sbrigativo.
“Come ti avevo detto, era la tua ultima possibilità”.
Uno sparo. Un dolore lancinante all'altezza dello stomaco. Ne percepì dell'altro quando le ginocchia batterono contro l'asfalto freddo, mentre la vista si offuscava velocemente.
Quando sollevò lo sguardo, le due sagome non c'erano più.
C'era soltanto tanta confusione, unita a pensieri e a sensazioni che non riusciva a controllare.
Sentì dei passi. Qualcuno la raggiunse, premendo una mano sul sto stomaco, macchiandosi con il suo sangue.
Distinse delle voci, forse una, che la chiamava.

Masami!


Masami...

 

Tossì di nuovo e, solo in quel momento si accorse del rivolo di sangue che le scivolava dall'angolo della bocca, ma la sua concentrazione, ora, era rivolta verso la persona che stava cercando di aiutarla.
“C-Conan... sei tu... ? Come hai fatto a trovarmi?”.
La voce sottile del bambino giungeva con fatica alle sue orecchie. Cercò di capire qualcosa della frase, di captare qualche parola. Perché non riusciva a comprendere del tutto, né a ragionare come avrebbe voluto. Soltanto quando fu certa di aver capito qualcosa che avesse a che fare con delle trasmittenti e con la sua automobile, sgranò appena gli occhi.
Il piccolo la spinse delicatamente verso terra, facendole appoggiare la schiena sull'asfalto, e Akemi non riuscì del tutto a trattenere un gemito di dolore. Dolore che intaccava lo stomaco, il fegato, i polmoni. Respirare faceva male, così come in ogni parte del corpo. Ogni muscolo, ogni battito.
Lo osservò affaccendarsi intorno a lei, lo sguardo teso. La paura negli occhi, di quel colore profondo. Occhi che aveva già visto.
E poi, di colpo, le venne in mente. Un giorno di chissà quanto tempo prima, ricordava di essersi stupita sentendo la notizia di un detective liceale. Un ragazzo. Infallibile. Coraggioso. Che non sbagliava mai.

“Shinichi Kudo? Quel famoso detective?”.

Shiho non si era scomposta, quando gliene aveva parlato. Aveva continuato a sorseggiare la sua tazza di caffè quasi indifferente, senza pronunciarsi oltre. Eppure, qualcosa le diceva che lei sapesse. Che lei aveva avuto modo di conoscerlo. O che lo avrebbe fatto presto, in un modo o nell'altro.
La sagoma del ragazzo nella sua testa, di colpo si sostituì con quella del bambino che stava cercando disperatamente di tenerla sveglia.
Fu allora che realizzò.
Nel suo cuore, aveva già capito.
Glielo volle chiedere comunque, per esserne certa, e mantenne lo sguardo su di lui, lottando contro la visuale che pian piano si offuscava.
“Ma tu... chi sei veramente?”.
Nonostante lo sforzo per rimanere cosciente e la ciocca di capelli corvini che le finiva sull'occhio, lo vide abbassare lo sguardo e nasconderlo per qualche attimo oltre le lenti degli occhiali tondi.
La sua risposta, non le lasciò più alcuna sorta di dubbio.
Lui. Lui poteva essere tutto. Lui poteva continuare ciò che non era stata in grado di fare.
Akemi tossì di nuovo, mentre dalla bocca le fuoriuscì l'ennesima traccia rossastra.
E si fidò. Si fidò perché sapeva di poterlo fare. Perché le infondeva la stessa sicurezza che riusciva a trasmetterle Dai.
E glielo raccontò. Gli raccontò degli uomini che le avevano distrutto la vita, gli disse di più

aiutami...

E non perché si trovasse sdraiata a terra in una pozza di sangue. No.
Per finire ciò che le aveva iniziato, ora che, ne era certa, non avrebbe potuto più continuare. Era una richiesta di libertà, era una disperata richiesta di trovarla, di trovare sua sorella e di salvarla. Gli stava chiedendo d'incontrarla, attraverso gli occhi chiari che, presto, non avrebbero più brillato di speranza. Senza parole, non ve n'era bisogno, gli stava chiedendo di unire il suo destino a quello di Shiho, di donarle la felicità che nessuno era stato in grado di offrirle.
Conan ascoltava, il cuore che batteva a mille, digrignando i denti, mentre una sensazione di vendetta di faceva largo in lui. Per la prima volta, ebbe il desiderio di farla pagare a qualcuno, andando contro ogni suo ideale, contro ogni suo principio. A mani nude o armato, non importava.

Non voglio essere usata da quei criminali anche da morta...

Nonostante avesse saputo, dentro il suo cuore, che sarebbe finita così, nonostante avesse cercato comunque di lottare, si era sbagliata. Adesso era convinta che tutto ciò fosse servito a qualcosa.
Perché era sicura che la persona che stava cercando di salvarle la vita, non l'avrebbe delusa. Per un secondo, un solo secondo, ripensò nuovamente a Dai. Avrebbe voluto vederlo un'ultima volta. Avrebbe voluto aspettare la risposta al messaggio che gli aveva inviato, ma, forse, era meglio così.
Era stato bello innamorarsi. Sentirsi amata, vivere. Dedicare tutto l'amore del mondo a una sorellina che, in tutti quegli anni, ne aveva avuto bisogno. E sperava che qualcuno continuasse a donarglielo, perché se lo meritava. Perché doveva andare avanti, anche senza di lei.
Tanti, tantissimi pensieri tutti nello stesso momento. Tantissime cose da fare, da vivere, da sperimentare.
Un sussurro, un filo che la teneva legata alla vita. Poi più nulla.

Masami...

Quando Akemi Miyano chiuse gli occhi, si sgretolò qualcosa. Qualcosa che aveva a che fare con il mondo o l'universo, qualcosa nel cuore di molti.
Il bambino strinse le palpebre, mentre la sirena dell'ambulanza si avvicinava. Mentre sentiva l'abbraccio stretto di qualcuno dietro alle spalle.
Mentre una parte di se stesso, se ne andava con quella giovane donna che aveva cercato inutilmente di proteggere.
Shinichi Kudo si sentì per la prima volta miserabile, davanti a una vita che non era riuscito a salvare.
Senza sapere che le certezze di quella stessa donna, si sarebbero avverate. Che avrebbe incontrato una persona da proteggere e che avrebbe protetto più della sua stessa vita. Una persona alla quale si sarebbe affezionato, a cui avrebbe voluto un gran bene. Una persona fragile, ma dal carattere freddo e distaccato, con la quale avrebbe dovuto spartire un destino.
Una persona che gli avrebbe dato la possibilità di rimediare, e che avrebbe riposto in lui tutta la sua fiducia.
Tutto questo, però, non lo sapeva ancora.
In quel momento, davanti al corpo inerme della ragazza, fece una promessa.

Una promessa nata dal suo orgoglio, dalla sua testardaggine e dal suo coraggio. Una promessa che, ne era certo, non avrebbe mai tradito.


* * * * *


Note dell'autrice: ciao a tutti! Chiedo veramente e umilmente perdono per aver tardato così tanto, ma l'università quasi non lascia respiro e tra studio e vacanze purtroppo non sono riuscita ad aggiornare prima. E il capitolo era pronto per metà!
Comunque, questo era l'ultimo :) ho messo davvero tutta me stessa per scriverlo e, spero di aver trasmesso ciò che mi ero prefissata. Akemi è stata una persona bellissima e descrivere la sua morte mi fa rimanere con il peso in gola.
Volevo chiarire che non ho messo tutti i dialoghi e descritto ogni scena, perché l'anime è diverso dal manga e non volevo prendere spunto da uno dei due in particolare :) volevo unire le due cose e far pensare a una storia sola.

Spero che vi sia piaciuta, anche se mi dispiace un po' averla conclusa! Ringrazio ancora tutti voi che leggete e soprattutto chi mi dona un po' del suo tempo facendomi sapere cosa ne pensa.

Alla prossima, se vorrete.

 

Ile

 

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