It's just a fairytale di Ayumi Yoshida (/viewuser.php?uid=34262)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Indice ***
Capitolo 2: *** 18. A common passion for the lonely hour [ShikaIno] ***
Capitolo 3: *** 04. Making love in the temple [ShikaIno] ***
Capitolo 4: *** SPOILER! 25. A thousand sunsets in a box [Fugaku/Mikoto] ***
Capitolo 5: *** 07. Did you find your enlightenment, your paradise? [Gaara/Hinata] ***
Capitolo 6: *** 01. Let snow and silence mark the site of my unseemly appetite [Naruto centric] ***
Capitolo 7: *** 31. Il drago [NaruHinaSasu] ***
Capitolo 8: *** 8. Mare di zucchero [Obito/Rin] ***
Capitolo 9: *** 10. Espiazione [Jiraiya e Konan] ***
Capitolo 10: *** 11. In case [Neji, Neji/Hinata] ***
Capitolo 11: *** 19. Petali [Sasuke, Karin e... - KarinSasu] ***
Capitolo 1 *** Indice ***
index
It’s
just a fairytale
by
Ayumi Yoshida
[Raccolta basata sui
temi del mese di Dicembre 2008 della comunità ‘31
Days’ su
Livejornal]
Prima
shot:
18.
A common passion for the lonely hour [ShikaIno]
Lei
lo guardò male, le mani sui fianchi. Poi gli si
avvicinò e gli
si sedette accanto.
“Voglio
rilassarmi. E mi sentivo sola.” Rispose semplicemente la
kunoichi, alzando gli occhi cristallini al cielo e cominciando ad
osservare le
nuvole.
Shikamaru
dismise l’espressione ghignante per assumerne una
sorpresa.
Non
poteva credere che Ino Yamanaka, la kunoichi più popolare di
tutta Konoha, si divertisse minimamente
nell’osservare le nuvole.
Non era da lei.
[Auguri Sil!
<3]
Genere: Sentimentale, Commedia,
Comico
Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru
Nara, Altri
Seconda
shot:
04.
Making love in the temple
[ShikaIno]
“Si
dà il caso” riprese
Ino a voce molto più alta, quasi strillando “che oggi
sia il nostro
anniversario e che il mio più grande desiderio per
festeggiarlo fosse venire
qui!”
“Ah, sì, ora ricordo!” sudando freddo,
lo shinobi cominciò a fare mente locale,
cercando di rammentare qualunque cosa, anche soltanto una parola per
rendere
più convincenti i suoi monosillabi di risposta.
“Si, certo!”
“Ah, ma davvero?”
[Auguri Luly! *_*]
Genere: Romantico, Commedia, Erotico
Personaggi: Ino Yamanaka, Shikamaru
Nara, Altri
Terza
shot: ( SPOILER! )
25.
A thousand sunsets in
a box [Fugaku/Mikoto]
Sotto
la carta giallognola, la
scatolina si presentava di un comunissimo color cartone.
Mikoto trattenne il respiro e ne tolse il coperchio.
Genere: Sentimentale, Commedia,
Introspettivo
Personaggi: Fugaku e Mikoto Uchiha
Quarta
shot:
Did
you find your enlightenment,
your paradise? [Gaara/Hinata] (Accenni NaruHina)
(07. Did
you find enlightenment in the Western Paradise?)
Era
sembrato quasi buffo quanto velocemente fosse accaduto tutto: gli
abitanti del
villaggio non avevano avuto il tempo di rendersi conto di
ciò che stava
accadendo che erano dovuti partire per recarsi presso il villaggio
avversario,
abbandonando amici e parenti. Lei si era salvata soltanto
perché ormai era
considerata da tutti una traditrice.
Nonostante tutto, però, Hinata si sentiva finalmente felice.
Aveva
trovato la sua
ragione, il suo paradiso. La sua libertà.
[Quarta classificata al contest "Pairing and word" di Kimly e
vincitrice del premio "Migliore trattazione della coppia"]
Genere:
Angst, Sentimentale, Triste
Personaggi:
Gaara, Hinata Hyuga, Naruto
Uzumaki, Temari, Jiraiya, Ino Yamanaka, Shikamaru Nara, Kiba Inuzuka,
Altri
Quinta
shot:
01.
Let snow and silence mark the site of my
unseemly appetite [Naruto
centric]
“Ho
fame.”
Il
tuo solito grugnito.
Qualcosa di
semplice, che apparentemente non nasconde alcun desiderio in
particolare.
Apparentemente.
Un
desiderio, in realtà, c’è. Soprattutto
oggi, quel desiderio è più forte
che mai.
Muori dalla voglia
mangiare.
Non hai mai sentito il
tuo stomaco gorgogliare a quel modo.
[A Katia *_* - Buon
Natale!]
Genere: Comico, Commedia,
Introspettivo
Personaggi: Naruto Uzumaki, Shino Aburame
Sesta
shot:
Il Drago
[NaruHinaSasu] (Più NaruHina che HinaSasu)
(31. Here lies a Veritable Dragon)
"Sei
qui da sola?"
Non fu in grado di trattenersi dal cominciare a fare
conversazione come al solito, ma lei non sembrò infastidita
quando
scosse la testa, piuttosto gli diede l'impressione di essere abbattuta.
"Sono qui con il mio fidanzato... Ma è come se fossi sola."
[Prima
classificata al contest "AU power! *.*" indetto da
Nejisfan *__*]
Genere: Introspettivo,
sentimentale, malinconico, AU
Personaggi:
Hinata Hyuga, Naruto
Uzumaki, Sasuke Uchiha
Settima shot:
Mare di zucchero
[Obito/Rin]
(8. Why should our children learn about monsters)
All’improvviso si era sentito catapultato via dal quel luogo
affollato,
non più sudaticcio, ma con una rumorosa tachicardia e una
grande voglia
di afferrarle la mano. E di sfiorarle la guancia che diventava
perfettamente tonda quando gli sorrideva.
[Seconda clssificata e
vincitrice del premio "il dolce più buono" al contest "Dolci
insoliti"
di La procastinatrice]
Genere: introspettivo, fluff, romantico
Personaggi:
Altri, Obito Uchiha, Rin
Ottava shot:
Espiazione
[Jiraiya e Konan]
(8. Here's the vengeance for you story-books)
Forse non stava riuscendo ad espiare per bene le colpe di quei padri.
[Fic scritta per il
contest "Inferno, Purgatorio o Paradiso?" indetto da Giacopinzia17]
Genere: introspettivo, angst
Personaggi:
Jiraiya, Konan, Nagato, Yahiko
Nona shot:
In case [Neji,
Neji/Hinata]
(11. Dying is what, to live, each has to do)
Hinata non pensava mai alla sua vita, sempre pronta a mettersi al
servizio degli altri. Non aveva esitato un attimo a mettersi davanti a
Naruto per proteggerlo con il suo corpo da quegli aculei di legno
appuntiti.
[Fic scritta per il
contest "I miei gusti, le vostre storie!" di Fefy07]
Genere: angst,
introspettivo, sentimentale
Personaggi:
Hinata, Neji, Naruto
Decima shot:
Petali [Sasuke, Karin e... -
Karin/Sasuke]
(19. and he chants the hate of a million years)
“Finalmente… Finalmente domani sarà il giorno!”
(…) L’aveva detto già almeno cinque volte, ed ogni volta la sfumatura
nella sua voce non era cambiata. Karin sentiva uno strano fremito in
quelle parole, una sensazione di attesa impossibile che non aveva mai
udito nella voce di Sasuke, che pianificava sempre tutto, talmente
tanto da non avere la possibilità di conoscere l'ansia dell'attesa.
[Teza classificata al contest "Che cosa
vi assegnerà la sorte?" indetto da Mokochan!]
Genere: angst, introspettivo,
sentimentale
Personaggi: Karin, Juugo,
Suigetsu, Sasuke, sorpresa!
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Capitolo 2 *** 18. A common passion for the lonely hour [ShikaIno] ***
A Sil, perchè oggi compie gli anni. AUGURI! <3
(motivazione ufficiale)
A
Sil, perchè è un'amica splendida, una scrittrice
bravissima, una
persona magnifica e mille altre cose belle che adesso non mi vengono XD
(motivazione criptica)
A
Sil, perchè le voglio un mondo di bene! (motivazione
melensa...)
Perchè tu possa passare una gionata piena di
felicità! Ancora auguri! *-*
A common passion for the
lonely hour.
[31 Days –
Theme
XVIII – December]
A
casa Nara si respirava un’insolita
atmosfera tranquilla, in quel pomeriggio presto di Marzo.
Shikaku,
comodamente spaparanzato sul
divano, la bocca semiaperta, russava profondamente da qualche ora; suo
figlio
Shikamaru, invece, se ne stava seduto in un angolo della stanza a
giocare a
shogi da solo, muovendo contemporaneamente le pedine sue e del suo
incorporeo
avversario, l’espressione annoiata.
Ben
presto il ragazzo sbuffò, colpendo una
delle pedine con quella che aveva in mano e facendola cadere dal piano
di
gioco.
Sua
madre non si vedeva dalla mattina. Si
era preparata accampando mille frasi di circostanza ed era scomparsa
velocemente, lasciando i due uomini sgomenti.
Non
perché preoccupati da tutta quella
fretta, ma disperati perché tutta quella faccenda
significava solo una cosa:
niente colazione.
Per
la prima volta Shikamaru si ritrovava a
fissare la scacchiera senza alcuna voglia di giocare e con lo stomaco
terribilmente infuriato.
Non
riusciva a ricordare di essere mai
rimasto a digiuno per un intera giornata dall’inizio della
sua vita, forse
semplicemente perché non era mai successo.
Lanciò
uno sguardo distratto fuori dalla
finestra, sperando di scorgere sua madre: il cielo quel giorno sembrava
come risplendere
di piccoli cristalli di luce grazie ai caldi raggi del sole che si
insinuavano
tra le nuvole.
Si
maledì mentalmente mentre si alzava: era
possibile che proprio a lui fosse capitata una madre così
snaturata?
Stiracchiandosi,
raggiunse il divano dove
era seduto Shikaku e cominciò a scuoterlo violentemente.
L’uomo,
però, non sembrò risentire di quel
brusco movimento: dapprima corrugò le sopracciglia come
infastidito, poi la sua
espressione ritornò perfettamente normale.
Shikamaru
alzò gli occhi al soffitto.
“Papà.”
Lo chiamò.
“Dimmi.”
Rispose l’altro. La sua voce era
impastata. Di sicuro era ancora nel dormiveglia.
“Comincio
ad avere fame.”
“Dillo
a tua madre” fu la semplice risposta
dell’uomo, che poi si voltò dall’altro
lato e riprese a russare.
Avrebbe
dovuto immaginarlo.
Cominciò
a misurare la cucina a grandi
passi, le dita ghiacchiate sulle tempie, tentando di accelerare con la
forza
del pensiero lo scorrere delle lancette dell’orologio appeso
alla parete sopra
il divano, ma senza risultati visibili.
Era
così concentrato sul suo obiettivo che
non si accorse dei passi leggeri che risuonavano nel silenzio irreale
dell’abitazione fino a che qualcuno
non
richiuse rumorosamente la porta.
“Shikamaru!”
una voce baldanzosa e un tocco
sulla spalla lo fecero ripiombare alla realtà in men che non
si dica.
“Mamma.”
Pronunciò neutro, voltandosi.
Sapeva già che era lei, non c’era neanche bisogno
di assicurarsene. La sua voce
era inconfondibile.
“Shikamaru!”
ripeté Yoshino “cosa stai
combinando?”
Lo
stava fissando accusatoria, le mani sui
fianchi. La sua classica posizione prima di una sfuriata.
“Cerco
di farmi passare la fame.” Le rispose
sarcastico.
Gli
occhi della donna scintillarono
pericolosamente.
“Beh,
scusami tanto se gli Yamanaka avevano
bisogno di aiuto per sistemare il nuovo carico di fiori in negozio e tuo padre non è voluto
andare!”
Gli
puntò un dito addosso, agitandolo con
violenza e continuò: “Non potevo rifiutarmi. E
comunque, se proprio non potevi
aspettare, poteva pensarci tuo padre a cucinare.”
“Sì,
certo.”
Shikamaru
indicò svogliatamente con un
cenno della mano il divano: Shikaku era completamente steso e dormiva
beatamente.
Poi
si portò le mani alle orecchie per
coprirle. Prevedeva una tempesta che, infatti, non sarebbe tardata ad
arrivare.
“SHI-KA-KU!”
gridò Yoshino con tutto il fiato che aveva in gola. I suoi
occhi danzavano
pericolosamente.
L’uomo
sobbalzò e spalancò gli occhi
spaventato.
“Yoshino…
cara, bentornata!”
mormorò gentilmente non appena la vide
“Come…
come è andata?”
La
donna si gonfiò per la rabbia, prima di
ricominciare a strillare inviperita.
“Com’è
andata?! Com’è andata?! Pensavo di ritornare e
trovare non dico tanto, ma un
po’ di ordine, qualcosa da mangiare, invece torno e ti
ritrovo a dormire. Come
dovrebbe andare?!”
Istintivamente
Shikaku si portò la mani
davanti al petto.
“Ma
Yoshino, cara, noi… noi
aspettavamo te
perché cucinassi!”
Shikamaru
si portò, allora, una mano alla
testa, scuotendola sconvolto: quella era la goccia che faceva
traboccare il
vaso.
Inaspettatamente,
sua madre fece soltanto
una smorfia.
“Questa
è l’ultima volta, lo
giuro.” Disse solenne, regalando un
occhiata piena di veleno al marito “E’
l’ultima volta che faccio finta di
niente. La prossima volta ti faccio vedere io!”
Sbattendo
rumorosamente i tacchi raggiunse
il piano culinario, indossò il grembiule e
cominciò a mettersi al lavoro.
L’uomo
di casa batté le mani, soddisfatto.
“Così
si fa! Altro che la prossima volta…”
sussurrò sorridendo, convinto che lei
non avesse sentito.
Lei,
invece, aveva sentito tutto. Si voltò
di scatto e in tre secondi netti gli fu davanti, un cucchiaio di legno
in mano.
“Altro
che la prossima volta? Altro che la prossima
volta? ALTRO CHE LA PROSSIMA VOLTA?!”
ripeté
alzando sempre di più la voce. “Dovrei
cucinare la tua testa per pranzo!”
E
ricominciò ad urlare senza sosta.
Shikamaru
sbuffò ancora. Vivere in quella
casa si rivelava ogni giorno più impossibile.
“Io
esco.” mormorò ad un tratto, neanche
preoccupandosi di farsi notare, e si allontanò. Yoshino
smise immediatamente di
sbraitare, gli occhi sbarrati.
“Ma
non avevi fame?” domandò dubbiosa.
“Mi
è passata.” Rispose il ragazzo
semplicemente, mentre si richiudeva la porta della cucina alle spalle.
In
quel momento poté udire soltanto l’urlo
inferocito di sua madre.
Ino
si portò una mano alla fronte,
asciugandola.
Grondava
completamente di sudore per via del
carico di tutti i fiori che aveva dovuto sistemare in negozio quel
pomeriggio.
Nonostante
il volenteroso aiuto della madre
di Shikamaru, la parte maggiore del lavoro era toccata a lei. Solo lei
sapeva
dove porre i fiori, le quantità giuste di terra, di acqua,
di luce…
Era
stata davvero una giornata stancante,
ma finalmente, dopo che l’ultimo vaso era stato messo al
proprio posto, poteva
rilassarsi un po’.
Si
sedette dietro al bancone, le gambe
accavallate, e cominciò a sciogliersi i capelli e a
pettinarli con l’aiuto
delle dita. L’elastico ancora una volta non aveva retto e la
coda era scesa.
Era
la terza volta che accadeva durante la
settimana.
Sbuffò.
Odiava
avere i capelli in disordine. Era
questo il motivo principale per cui li portava sempre legati. In quelle
condizioni, però, sicuramente era inguardabile.
Cominciò
a tamburellare le dita sul
bancone, innervosita.
Stava
vedendo tutto il suo relax volare via
all’improvviso per colpa dei suoi capelli.
Certamente
non era il massimo.
Si
alzò di scatto facendo forza sul bancone
con le mani e buttò indietro la testa, combattiva.
Per
quella volta avrebbe vinto lei.
“Mamma,
papà, io esco! Ci vediamo dopo!”
esclamò a voce così alta in modo che fosse
impossibile non sentirla, anche
nella stanza attigua.
“Ma
Ino… non avevi detto che staresti stata
tu in negozio?”
Sua
madre giunse a grandi passi dal retro,
guardandosi intorno in cerca della figlia, mentre proferiva quella
parole, ma
fu tutto inutile: Ino era già sparita.
Non
appena fu fuori dal negozio, Ino
respirò profondamente, lasciando che l’aria le
inondasse ogni centimetro
quadrato del petto. Poi espirò lentamente.
Si
sentiva già molto meglio, ma non ancora
benissimo.
Si
guardò intorno: per strada non c’era
nessuno.
Era
naturale, dato che erano le tre di
pomeriggio. Sospirò sconsolata.
“Dove
potrei andare?” cominciò a pensare
mentre camminava per una Konoha stranamente deserta e tranquilla.
“Come potrei
rilassarmi? Non c’è neanche qualcuno con cui
scambiare quattro chiacchiere…”
Magari
parlare con qualcuno le avrebbe
risollevato il morale e l’avrebbe fatta sentire meno sola.
Peccato
che praticamente fosse sola.
Non
le sembrava neanche una buona idea
andare da Sakura. Di sicuro avrebbero finito per litigare e lei non
aveva
bisogno di incorporare altro stress, dopo tutto quel lavoro.
Aveva
bisogno di calma, quiete e silenzio
per poter riflettere, per perdersi nei suoi pensieri e non uscirne
più… almeno
fino a quando ne avesse avuto voglia!
Un
posto così, se fosse davvero esistito,
sarebbe stato splendido.
All’improvviso
una sensazione la folgorò, facendole
spalancare gli occhi.
Lei
un posto del genere lo conosceva!
“La
collina…” sussurrò, dandosi un colpetto
sul capo e scoppiando a ridere.
Come
aveva fatto a non pensarci?
Immediatamente
cominciò a correre verso la
foresta, mentre il suo sorriso si allargava sempre di più ad
ogni passo.
Shikamaru
si sistemò meglio sull’erba,
facendo aderire perfettamente la schiena al suolo umido di rugiada.
Quello
era davvero il paradiso. Altro che
un bel pasto sul tavolo mentre il tuo corpo da sempre più
segni di voler cedere
per la fame!
Certo, il suo stomaco non mancava di farsi sentire, emettendo gorgoglii
e
borbottii, ma quei rumori così sgradevoli sembravano
scomparire di fronte
all’azzurro limpido che lo sovrastava.
Il
cielo era particolarmente luminoso, quel
giorno. Formava reticolati di luce con i raggi del sole proiettati
verso
l’erba. Soltanto poche nuvole soffici e bianche lo solcavano
leggere, dando
vita alle forme più strane e diverse.
Shikamaru
si concentrò su quella
apparentemente più vicina, praticamente in corrispondenza
del suo viso. Alzò la
testa, sorridendo.
Amava
osservare le nuvole.
Quella
silenziosa solitudine lo faceva
stare bene, gli provocava una magnifica sensazione di
tranquillità. Gli avrebbe
di sicuro anche fatto dimenticare tutti i suoi problemi, semmai ne
avesse
avuti, ovviamente.
“Choji.”
Disse poi piano, continuando a
sorridere.
Quella
nuvola assomigliava terribilmente al
suo compagno di squadra. In essa riusciva a distinguere i suoi capelli
castani,
il suo coprifronte, la sua lunga sciarpa e, naturalmente, il
fedelissimo
pacchetto di patatine.
Come
sarebbe mai potuto mancare?
Gli
scappò una risata. Non ricordava di
aver mai visto Choji senza le sue patatine in mano.
Si
portò le mani dietro la nuca,
sbadigliando leggermente, e continuò la sua osservazione.
Un’altra
nuvola molto diversa dalla prima
attirò la sua attenzione.
Era
più sottile, labile, quasi un elegante velo
bianco disteso nel cielo.
“Ino.”
Shikamaru
pronunciò sicuro il suo nome.
Quelle nuvola poteva rappresentare solo lei.
Così
forte, così combattiva, ma così
fragile. E così bella.
Peccato
non potesse ammetterlo, altrimenti
lei l’avrebbe preso in giro a vita.
Sospirò.
“Shikamaru!”
Una
voce baldanzosa interruppe il
districato filo dei suoi pensieri e lo fece voltare verso il piccolo
sentiero
battuto che conduceva fin sopra la collina. C’era proprio Ino
di fronte a lui, apparentemente
felice, ma leggermente trafelata.
“Ino!”
lo shinobi pronunciò il suo nome
sogghignando “Cosa ti porta qui?”
Lei
lo guardò male, le mani sui fianchi.
Poi gli si avvicinò e gli si sedette accanto.
“Voglio
rilassarmi. E mi sentivo sola.”
Rispose semplicemente la kunoichi, alzando gli occhi cristallini al
cielo e
cominciando ad osservare le nuvole.
Shikamaru
dismise l’espressione ghignante
per assumerne una sorpresa.
Non
poteva credere che Ino Yamanaka, la
kunoichi più popolare di tutta Konoha, si divertisse minimamente nell’osservare le
nuvole. Non era da lei.
“Anche…
anche tu?” domandò allibito.
“Certo.
Perché?”
Continuava
a tenere gli occhi al cielo
mentre parlava con lui.
“Beh…
ecco… perché non pensavo ti piacesse
guardare le nuvole, tutto qui.” Ammise con
difficoltà, sperando che lei non
staccasse mai più gli occhi dal cielo.
Non
credeva sarebbe stato più in grado di
sostenere il suo sguardo.
Sempre
se fosse sopravvissuto.
Accadde,
però, tutto l’opposto di ciò che
aveva sperato.
Gli
occhi di Ino smisero di fissare il
cielo e si posarono su di lui. Un sorriso le illuminava il viso.
“Infatti
non credevo che l’avrei mai fatto.
Ma ho imparato da te che può essere una cosa piacevole, a
volte.”
La semplicità delle sue parole lo disarmò
letteralmente. Shikamaru spalancò la
bocca, ma la richiuse immediatamente non appena si accorse di
ciò che aveva
fatto.
Non
poteva crederci. Non si era infuriata.
“Quindi…
noi due cominciamo ad avere una
passione comune?” le
chiese ancora
sottolineando l’ultima parola, indeciso se essere disgustato
o sorpreso.
Dopotutto, anche se le faceva compagnia nella sua attività
preferita, lei era
pur sempre una donna!
Ino
si morse un labbro.
“Ehm
a questo punto… direi di sì!”
Sorrise
vivacemente. Finalmente lei e
Shikamaru cominciavano ad andare d’accordo, anche se soltanto
un poco.
“Allora,
cosa aspetti a raccontarmi cosa
vedi tu in quella nuvola?” chiese indicandogliene una con il
dito. “Io ci
vedo…”
Shikamaru
si sistemò meglio sull’erba, sorridendo.
Finalmente
lui e Ino cominciavano ad andare d’accordo, anche se soltanto
un poco.
Nonostante
questo, era certo che sarebbe potuto rimanere ore ad ascoltarla.
Ma
ancor di più, era certo che sarebbe rimasto ore a
condividere quella loro
passione delle ore solitarie.
[“Posso…
posso sdraiarmi affianco a te?” azzardò Ino,
imbarazzata.
“Eh?!”
Shikamaru la fissò sconvolto, convinto che lei lo stesse
prendendo in giro.
“Non
si vedono meglio le nuvole, da lì?”
“Sì
sì, certo.”
Ancora
leggermente turbato lo shinobi si spostò leggermente, per
permetterle di sedersi.
Immediatamente Ino prese posto accanto a lui e si abbracciò
le ginocchia. Poi
alzò gli occhi al cielo, sorridente.
“Le
nuvole sono… straordinarie.” Mormorò in
un soffio.
“Si.”
Shikamaru sorrise ancora, mentre rialzava gli occhi al cielo.
Ino
Yamanaka, alla fine, non era poi così male.]
Tanti
auguri a Sil! Tanti auguri a Sil! *_* *canta*
Ebbene
sì. Con questa raccolta sono ritornata definitivamente nel
fandom. ^^
Era
un pò che avevo intenzione di cominciarla, ma ho preferito
aspettare fino al compleanno di Sil per inaugurarla!
Il
titolo della raccolta è preso dalla canzone omonima di
Anastacia. Anche se in questa raccolta di Dicembre si
parlerà molto poco, comunque. XD
Spero
proprio che questa shot vi sia piaciuta! E' stata una ShikaIno davvero
sofferta. Era da tanto che non ne scrivevo una!
Spero che i personaggi siano IC. *_*
Mi
farebbe molto piacere avere un vostro parere! ^^
Un
grazie speciale
va a Silvia che me l'ha betata (non so come avrei fatto senza di te!
*_*) e alle mie splendide amiche, che mi sopportano sempre (e dico
sempre!) durante la progettazione e la stesura di tutte le storie. Vi
voglio bene! <3
Non
so se riuscirò a scrivere tutte e trentuno le shot, ma spero
davvero di farcela. E' il mio sogno! *_*
Bene,
mi dileguo. ^^
Alla
prossima e fate gli auguri a Sil, mi raccomando! ;D
Vostra Ayumi
|
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Capitolo 3 *** 04. Making love in the temple [ShikaIno] ***
Alla
mia neechan Luly, sperando che possa farti tornare il sorriso.
Questa
è per te, per ringraziarti di tutto quello che fai per me e
per tutte le volte che sei stata tu a tirarmi su di morale.
Ti
voglio bene e ti adoro! Buon compleanno! <3
Making love in the temple
[31 Days
– Theme IV - December]
Ino
si guardò attorno con circospezione,
allungando cauta il
collo oltre la poderosa
cinta muraria. Non c’era nessuno o, almeno, così
pareva.
“Strada
libera!” sussurrò al suo interlocutore
che stava sbuffando sonoramente dietro di lei “Vuoi
seguirmi?”
Non
era una richiesta. La kunoichi bionda lo
afferrò per un braccio e se lo trascinò dietro
senza alcuna delicatezza.
“Potresti
essere più gentile, e che cavolo!”
imprecò quello continuando a sbuffare.
Lei
si voltò e lo fissò per un attimo, un sorriso
fintamente disteso sul volto.
“Certo,
magari ti porto in braccio! Ti ricordo
che sarebbe il tuo compito, se è per
questo.”
“Che
seccatura!” Shikamaru –perché era lui
che
Ino stava trascinando a forza da circa una mezz’ora
attraverso i più
impensabili sentieri infangati della foresta e poi nei luoghi
più nascosti
dell’intero universo- si fermò di scatto e
appoggiò la schiena al primo albero
che riuscì a scorgere dietro quell’ ammasso di
scuri mattoni.
“Cosa
fai adesso? Ti fermi!?”
Come
aveva immaginato, Ino non aveva gradito la
sua sosta senza
un motivo apparentemente
convincente.
Era
impressionante quanto potesse essere
fastidiosa.
A
volte Shikamaru arrivava addirittura a chiedersi
sotto l’effetto di quale maledizione le avesse chiesto di
diventare la sua
ragazza.
La
ragazza Continuava
a gridare, a gesticolare infervorata, a buttare indietro la testa
facendo
ondeggiare i capelli.
Lo
faceva da sempre. E allora perché mai le aveva
chiesto di mettersi con lui?
Shikamaru
cominciò a fissare un punto imprecisato
davanti a lui: in quel modo sarebbe apparso interessato, mentre in
verità
qualunque parola gli sarebbe scivolata addosso.
“Non
possiamo fermarci! Andiamo!”
Riuscì
a captare solo l’ultima parte dei suoi
monologhi appassionati, ma quando capì a che conclusione era
giunta Ino era
ormai troppo tardi: la kunoichi l’aveva di nuovo afferrato
per un braccio e
aveva ricominciato a trascinarlo.
“Ma
si può sapere dove cavolo mi stai portando? E
perché tutta questa fretta?”
Il
ninja col codino poté giurare di averla vista
arrossire un pochino dopo alla sua domanda.
“Vedrai.”
Di
certo non era il massimo nel dare spiegazioni.
Continuava semplicemente a trascinarlo in luoghi sconosciuti senza
neanche
dirgli dove stessero andando.
Tutto
ciò non prometteva nulla di buono.
“Eccoci
arrivati!”
Ino
batté le mani, soddisfatta. Davanti a loro si
apriva la vista di un immenso tempio nero, al quale si poteva accedere
da una
lunga scalinata di legno. Due tetti spioventi sempre di colore scuro
ricoprivano ciascuno dei due piani, scanditi da finestre completamente
coperte
da delicate tendine bianche di lino.
Era
il classico luogo che sarebbe potuto piacere
a Ino, questo era certo, ma Shikamaru non riusciva ancora a comprendere
perché
l’avesse portato proprio lì.
“Allora?”
“Allora
cosa?”
Ino
strabuzzò gli occhi.
“Vuol
dire che non ti ricordi nulla?!” La ragazza si trattenne a stento
dall’urlare, ma solo perché
quello era un luogo sacro e perché non voleva farsi scoprire.
Lui
sorrise sarcasticamente.
“Cosa
dovrei ricordare?”
La
kunoichi alzò gli occhi al cielo, sospirando.
“Seguimi!”
Senza
neanche aspettarlo si avviò a passo felpato
ma svelto verso l’immenso portico coperto che girava tutto
intorno al tempio.
Per fortuna il legno del tatami non cigolava.
Ino Si voltò
soltanto un attimo per controllare che Shikamaru la stesse seguendo e
poi
ricominciò a camminare.
Giunta
ad un angolo nascosto del portico, si
fermò. Si guardò ancora intorno per assicurarsi
che non ci fosse nessuno e,
quando ne fu sicura, tirò un sospiro di sollievo.
“Che
cos’è tutta questa segretezza?”
domandò Shikamaru interessato. Si era accorto immediatamente
che c’era qualcosa
di strano, in tutta quella situazione.
Lei
sbuffò, innervosita. “Dovresti saperlo. E se,
per caso, questo posto non dovesse ancora ricordarti
nulla, vedi di non
farmelo più presente.”
Si
era offesa. Ma Shikamaru non riusciva a capire
per colpa di che cosa.
Le
donne era proprio impossibile capirle.
Si
mise le mani in tasca e la seguì, mentre lei
apriva una piccola porta di legno che sembrava occupare il suo stipite
da
millenni.
Ino
trattenne il respiro.
All’interno
l’atmosfera era soffusa. Una sola
candela illuminava una piccola stanza con le pareti completamente
affrescate.
Shikamaru
si avvicinò al muro per osservarlo
meglio.
I
dipinti su di esso ritraevano animali, uomini,
divinità e una grande, coloratissima farfalla che stava per
spiccare il volo.
Ino
cominciò a fissarlo trepidante, incrociando
le braccia.
“Allora?”
“Di
nuovo? Stai diventando noiosa, sai…”
Il
ninja col codino sbadigliò di gusto. “Questi
affreschi sono molto belli, ma non riesco a capire perché tu
mi abbia
trascinato fino a qui per poterli vedere. Non bastava una
cartolina?”
Fiamme
bluastre cominciarono a danzare
pericolosamente negli occhi della kunoichi bionda.
“Una
cartolina, certo! Magari con anche su
scritta una bella frase d’amore…”
Ormai
i loro volti erano a due centimetri di
distanza: teso e contratto quello di Ino, rilassato quello di Shikamaru.
Tutta
quella situazione era non poco strana.
“Andiamo,
Ino!” domandò lo shinobi annoiato
“Cos’è che devi dirmi? Cosa dovrei
ricordarmi?”
Lei
gli strinse le mani, stritolandole.
“Caro
Shikamaru” cominciò a dire con fare
falsamente amichevole “credo di averti raccontato, qualche
volta, di quale
fosse il mio più grande desiderio, nel giorno del nostro
anniversario.”
“Può
darsi.” Rispose lui per niente convinto “Ma
cosa c’entra con ‘il tuo più grande
desiderio’ e con ‘il giorno del nostro
anniversario’?”
“Si
dà il caso” riprese Ino a voce molto
più
alta, quasi strillando “che oggi sia il
nostro anniversario e che il mio
più grande desiderio per festeggiarlo fosse venire
qui!”
“Ah,
sì, ora ricordo!” sudando freddo, lo shinobi
cominciò a fare mente locale, cercando di rammentare
qualunque cosa, anche
soltanto una parola per rendere più convincenti i suoi
monosillabi di risposta.
“Si, certo!”
“Ah,
ma davvero?” Neanche la kunoichi ne sembrava
convinta. “E sentiamo, questa farfalla? Ti ricorda
qualcosa?”
Indicò
le larghe ali multicolore dipinte sul muro
e attese.
Dallo
sguardo di Shikamaru comprese
immediatamente che in quel momento non poteva ricordare neanche il suo
nome.
“Ehm..”
“Te
ne avrò parlato un milione di volte mentre
guardavi le nuvole! Questa è la farfalla degli innamorati!
Porta felicità e
prosperità a chiunque dimostri di amare davanti a lei! Non
ti ricordi?” Nei
suoi occhi, oltre alla rabbia, c’era anche un po’
di sconvolgimento.
“Direi
di no. Se me ne hai parlato mentre
guardavo le nuvole…”
Ovvia
risposta che puoi aspettarti da Shikamaru.
Dispiaciuta,
Ino si sedette a terra,
strofinandosi forte gli occhi.
Che
delusione che aveva avuto! Aveva fatto tutta
quella strada per niente. Il suo sogno era andato in frantumi ancora
prima di
realizzarsi.
Sospirò.
“Ehm,
cosa bisogna fare davanti alla farfalla per
avere la felicità eterna?”
Shikamaru
aveva parlato in tono ironico,
inginocchiandosi al suo fianco e stringendola appena.
“Non
ci credi, eh?” Lo rimproverò Ino, voltando
la testa dal lato opposto. “Bisogna dimostrare di amarsi,
semplicemente. Ma se
non ci credi è inutile.”
“Pensi
che fare l’amore qui andrà bene?”
“Cosa?!”
gridò immediatamente la kunoichi,
rivoltandosi verso di lui e arrossendo appena “Ma sei
impazzito? Guarda che
basta un bacio…”
Aveva
già dischiuso le labbra, ma la risata di
Shikamaru la bloccò.
“Secondo
te, dopo tutta questa strada, io mi
accontento solo di un bacio? Mi deludi, Yamanaka.”
Lei
ridusse gli occhi a fessure.
“Non
è colpa mia se sei un porco, Nara.”
“Sono
solo un uomo.” Precisò Shikamaru facendo
spallucce come se la cosa non lo riguardasse. “Allora,
onoriamo o no questa
benedetta farfalla?”
“Beh…
ok. Ho sempre amato il rischio.” La
kunoichi sorrise, senza esitazioni. “A questo tempio,
allora!”
“A
questo splendido tempio.”
sottolineò lo
shinobi malizioso, cominciandole a baciare il collo.
Da
quel giorno in poi avrebbe apprezzato di più le gite di
piacere in un tempio.
Ancora una ShikaIno. Oh,
sì. Per Luly questo e altro. ù_ù
Quanto mi piacerebbe riuscire
a sfornare una ShikaIno al giono! *_*
Comunque... Auguri neechan!
*_* *stritola* Spero possa esserti piaciuta almeno un pochino, anche se
non è bella come le tue! *_*
Spero davvero che questa sia
piaciuta più della prima. A quanto pare l'altra faceva un
pò schifo, visto che nessuno l'ha letta. E vabbè.
XD
Ringrazio tantissimo Sil, che
ha avuto la pazienza di betarmela e di sorbirsi tutti gli orrori in anteprima.
Grazie mille! *_*
Il tempio descritto si rifà a questa immagine. (Tempio
Todaiji) Il tempio si trova a Nara... che coincidenza, eh? XD
Che dite, vogliamo lasciarla
una recensione? XD Anche per dire che fa schifo, non problem.
L'importante che sia costruttiva. ^^
Chiedo scusa a Sil
e a
Ryanforever se non rispondo alle recensioni, ma purtroppo
sono di fretta.
Grazie, grazie
mille, davvero! Non potrò mai ringraziarvi abbastanza! *_*
Rimedierò nel
prossimo capitolo, lo prometto. ^^
Bene, è tutto.
Ancora auguri a Luly! *_*
Un bacio,
Ayumi
|
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Capitolo 4 *** SPOILER! 25. A thousand sunsets in a box [Fugaku/Mikoto] ***
Alla
mia Ele e ai suoi sedici.
Perché
oggi la giornata deve essere tutta tua.
Perché
un compleanno è sempre una giornata speciale.
Perché
il tuo pensiero allieta le mie, di giornate.
Ti
voglio bene, tesoro.
Tanti
auguri! <3
A
thousand sunsets in a box
Spoiler ! [31
Days – Theme XXV - December]
“Questo…
questo è davvero per me?”
Il giorno del suo diciottesimo
compleanno, Mikoto contemplava con gli occhi
scintillanti una piccola scatola incartata con una foglio ruvido e
giallognolo
che le era appena stata posta da un annoiato Fugaku.
Il ragazzo incrociò
le braccia e rispose sbuffando: “se la sto dando a
te!”
Lei lo guardò male
per un attimo e tornò a concentrarsi sulla scatolina che
aveva in mano.
Era davvero piccola e non
sembrava neanche tanto invitante per essere un regalo
di compleanno, doveva ammetterlo, ma per lei quella scatolina in quel
momento rappresentava
tutto.
Era il primo compleanno che
trascorreva con Fugaku da quando stavano insieme e
quello era il primo regalo che riceveva da lui. Mikoto era
emozionatissima.
Il ragazzo l’aveva
persino trasportata nel bosco, lontano da tutti, per
consegnarle il suo regalo, quindi doveva essere sicuramente qualcosa di
importante.
La ragazza lanciò
ancora una sguardo divertito a Fugaku, che poggiato contro il
tronco di un albero si guardava intorno privo di interesse, e,
tremante, si
apprestò a rompere l’incarto della scatola.
Sotto la carta giallognola, la
scatolina si presentava di un comunissimo color
cartone.
Mikoto trattenne il respiro e
ne tolse il coperchio.
“E’…
vuota?!” esclamò incredula quando l’ebbe
aperta. Lanciò il coperchio
lontano. “Vuota!”
Effettivamente la scatola era
vuota. La kunoichi la voltò e la rigirò, la
agitò
come se si aspettasse di vederne uscire qualcosa
all’improvviso, ma non accadde
nulla.
Fugaku le aveva regalato
proprio una scatola vuota.
“Beh, grazie”
sussurrò lei schiumante
di rabbia “Bel modo per farmi ricordare il mio primo
compleanno da fidanzata!”
Già sentiva che gli
occhi stavano diventando lucidi. Si voltò e fece per
andarsene, ma la voce di Fugaku la fermò.
“Mikoto”
disse lui piano.
Lei si voltò e lo
fissò con rabbia.
“Sì?”
“Lasciami
spiegare.”
La kunoichi si
portò le mani sui fianchi e disse con violenza:
“Spiegati!”
Moriva dalla voglia di sapere
cosa mai gli fosse passato per la testa per
decidere di rovinarle il compleanno in quel modo.
Così poi avrebbe
potuto ucciderlo senza avere alcun rimpianto.
“Scusa per il
regalo. Purtroppo…” cominciò a dire
Fugaku spostando lo sguardo,
leggermente imbarazzato “… non ho soldi, in questo
momento, e non ho potuto
comprarti nulla. Considera quella scatola come un pegno. Il tuo regalo
arriverà
non appena tornerò dalla missione, dopo che
l’Hokage mi avrà pagato. Te lo
prometto.”
E rialzò lo
sguardo, restituendogli il solito cipiglio fiero, e cominciò
a
fissarla, penetrante.
Mikoto era immobile e aveva
gli occhi vacui, stupiti. Strinse forte i pugni.
Come aveva potuto pensare che
il ragazzo volesse rovinarle la sua giornata?
Sì, lui era fiero,
silenzioso, a volte poteva sembrare anche un po’ egoista, ma
non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere. La kunoichi sorrise.
“Butta pure la
scatola, se vuoi, non c’è problema.”
aggiunse poi Fugaku, sempre
guardandola. Stava aspettando impazientemente una sua qualunque
reazione: non
era da Mikoto, infatti, non reagire ad un avvenimento del genere.
Tuttavia non
aveva notato che lei stava sorridendo.
“Io… io
non butterò niente.” Disse lei piano.
La sua voce era marcata da una
strana calma che fece quasi rabbrividire Fugaku.
“Credo…
credo che la terrò.”
Il ragazzo la fissò
alquanto stupito. Non si era neanche arrabbiata.
Che fortuna.
“Se
vuoi…” propose.
Mikoto sorrise.
“Certo.”
Poi gli si avvicinò
e lo abbracciò, facendolo arrossire lievemente.
“Grazie
mille.”
Fugaku si portò una
mano alla nuca, imbarazzato, e annunciò: “Allora
vado. Ci
vediamo presto.”
La kunoichi annui.
“Quando sarai di
ritorno?”
“Non so il giorno
preciso, ma di sicuro dopo il tramonto. Ti farò sapere
appena
posso.”
“Benissimo.”
Lei sorrise e sciolse
l’abbraccio.
“Ci
vediamo” esclamò Fugaku, accarezzandole
velocemente la guancia con la mano.
Poi corse via in direzione del villaggio.
Mikoto lo guardò
svanire in lontananza, accompagnato da una leggera e calda
brezza che muoveva pigramente le foglie, e strinse forte tra le mani la
scatola
piccola e scura che lui le aveva regalato.
Non le importava della sua
piccolezza, non le importava se era vuota.
Quella scatolina sapeva di
lui, della sua fierezza, del suo amore silenzioso
per lei, della sua vita devota al villaggio e in essa avrebbe potuto
ammirare
gli splendidi e dorati tramonti che ogni sera avrebbe ammirato e
contato nell’attesa
del suo ritorno.
Se sarebbero stati
venticinque, cinquanta o cento non lo sapeva, ma li avrebbe contemplati
tutti, fino all’ultimo, nella scatolina che aveva in mano,
pensando a lui.
E in quel modo sarebbe
riuscita a sentirlo sempre vicino a sé.
*^*^*
Auguri
Elena! *_* Spero che questo minuscolo pensiero ti piaccia, anche se fa
schifo ç_ç
Credo che questa shot
necessiti di una spiegazione. XD
Era tanto tempo che
desideravo scrivere una Mikoto/Fugaku, ma non ne trovavo mai
tempo/voglia/idee ecc., ma, per il compleanno del mio tesoro, ho
sentito che era il momento giusto per mettermi all'opera. All'inizio,
infatti, avrei voluto scrivere una storia su dei personaggi che lei
adora (Sasuke e Itachi), ma, come tutti ormai sapranno, Sasuke lo odio
XD, Itachi non ho voluto rovinarlo con i miei pastrocchi. Alla fine,
poi, ho avuto l'idea: perché non scrivere una storia sui
genitori di questi due? XDSpero di essere riuscita a
tenere i personaggi IC. E' questo il mio cruccio più grande.
I pareri sono ovviamente graditi. ^^
Ringrazio ryanforver (grazie *_*) e Luly (oh! *_*) che hanno avuto il
coraggio di recensire la scorsa shot, qualche anno fa. XD Grazie
mille!
Alla prossima (non oso
neanche promettere quando, tanto sono sempre in ritardo XD),
Ayumi
PS: come avrete
sicuramente notato ho cambiato il titolo della raccolta, quello di
prima non mi piaceva più. Non che questo mi soddisfi tanto,
comunque. XD Semmai lo cambierò nuovamente in futuro.
PPS (XD): ho
aggiunto una specie di indice per le shot al primo capitolo, sperando
possa essere utile a chi legge. ^^
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Capitolo 5 *** 07. Did you find your enlightenment, your paradise? [Gaara/Hinata] ***
Did you find your
enlightenment, your paradise?
[31 Days –
Theme VII - December]
Il
vento, quella sera, soffiava particolarmente forte, insinuandosi tra
i suoi capelli scuri e scompigliandoli.
Hinata
rabbrividì sensibilmente, stringendosi nelle spalle, ma non
accennò a lasciare la sua postazione preferita per ritornare
al caldo della sua
casetta acquistata da poco.
Da
quando aveva lasciato l’immensa tenuta Hyuga aveva ripreso a
respirare - soltanto un poco, ma almeno non viveva più di
vuoto e sofferenza –
e aveva deciso di adottare piacevoli abitudini per dimenticare la sua
vecchia
vita.
Una
di queste era restare fino a tardi a fissare il cielo, anche quando
non c’era la luna, anche quando non c’era una sola
stella.
Se
ne stava seduta su un fazzoletto di terra antistante casa sua, alzava
gli occhi al cielo e pensava.
Rifletteva
di ciò che era accaduto, di ciò che continuava a
succedere
attorno a lei, un vortice di decisioni soppesate e emozioni
incontrollabili:
finalmente aveva trovato il coraggio di abbandonare la sua famiglia,
– sempre
che così potesse essere chiamata, dopo tutto ciò
che aveva dovuto sopportare – di
andare a vivere insieme al suo uomo in una casetta che aveva acquistato
con i
suoi risparmi faticosamente accumulati, contro il volere di tutto e di
tutti.
La
situazione nel Paese non era, infatti, delle migliori: Konoha aveva
intrapreso una difficile guerra di logoramento contro il villaggio di
Suna già
da un anno. L’alleanza così difficilmente
costruita con il Paese della Sabbia
si era sciolta come ghiaccio al sole in pochissimi minuti –
Hinata stessa aveva
assistito all’incontro tra i due Kage, lavorando al palazzo
dell’Hokage – e la
guerra era cominciata. Era sembrato quasi buffo quanto velocemente
fosse
accaduto tutto: gli abitanti del villaggio non avevano avuto il tempo
di
rendersi conto di ciò che stava accadendo che erano dovuti
partire per recarsi
presso il villaggio avversario, abbandonando amici e parenti. Lei si
era
salvata soltanto perché ormai era considerata da tutti una
traditrice.
Nonostante
tutto, però, Hinata si sentiva finalmente felice.
Non
le importava di ciò che credevano gli altri, dei
pettegolezzi della
gente, dei maltrattamenti e dalle frecciate che aveva dovuto sopportare
da
parte degli altri membri del suo clan, ormai sentiva di non aver
più nulla a
che fare con loro.
Viveva
nel villaggio, ma non si sentiva più parte di esso. Aveva
comprato una casetta quanto più lontana dagli altri abitanti
per non assistere
ai loro continui sguardi delusi o sgarbati.
Lavorava
al palazzo dell’Hokage, ma soltanto perché
l’Hokage stesso le
faceva da garante. Suo padre e gli altri uomini del Consiglio avevano
tentato
di cacciarla, ma l’Hokage aveva ordinato di non avvicinarsi
mai più a lei, per
nessun motivo. Hinata ancora non capiva perché mai il capo
del villaggio
continuasse ancora a difenderla: ormai, a Konoha, tutti quanti la
odiavano.
Era
stata abbandonata dai parenti, dagli amici. Tutti la insultavano, la
disprezzavano.
Era
rimasta soltanto una persona, nell’intero villaggio, che la
amasse e
che la trattasse come una donna, non come un animale, ed era
quell’uomo che,
con passi cadenzati e silenziosi, le si stava avvicinando per pregarla
di
rientrare.
“Hinata,
torniamo dentro?” La sua voce era profonda e ferma.
“Fa molto
freddo, stasera.”
La
kunoichi non si voltò. Non ce n’era bisogno,
avrebbe riconosciuto la
sua voce tra mille. Ormai vivevano insieme da un anno.
“Vorrei
restare qui un altro po’” mormorò piano
“Ma grazie per essere
venuto, Gaara.”
Lo
shinobi dai capelli fulvi non rispose. Si inginocchiò
silenziosamente
dietro di lei, per poi sedersi, e le circondò le spalle con
le braccia,
affondando il viso nei suoi capelli.
Hinata
piegò le gambe e si cinse le ginocchia con le braccia,
arrossendo
un poco.
“A
cosa stai pensando, stasera?” le domandò
l’uomo piano.
Ella
non rispose immediatamente. Voleva trovare le parole giuste per
spiegare ciò che stava provando, ciò che da
qualche settimana continuava ad
immaginare.
“Vorrei…andare
via da qui” gli confidò, infine, continuando a
guardare
il cielo “Mi sento in trappola. Voglio trovare la
libertà. Voglio essere libera
di camminare per strada senza attirare l’attenzione, di
vivere dove nessuno mi
additi…”
Gaara
annuì. “Ti capisco. Capisco quanto per te sia
difficile. Io la mia
libertà l’ho trovata qui, con te, ma se per te in
questo posto non esiste
libertà… io sono con te.”
La
kunoichi sorrise tristemente.
Era
un anno che Hinata sognava ad occhi aperti la libertà, un
anno che
vivevano insieme, un anno che erano cominciati tutti i loro problemi.
Più
di dodici mesi prima, a Suna, con un colpo di stato, era stato posto
a capo del villaggio un nuovo Kazekage e Gaara era dovuto fuggire. Si
era
recato a Konoha, dove aveva ritrovato Hinata, la kunoichi che qualche
tempo
prima aveva strappato dal suo petto il sentimento più
profondo con il suo
essere dolce e gentile, ormai donna e ospitalità grazie al
Kage della Foglia.
Poi,
però, era scoppiata la guerra, che era stata presentata a
Konoha
come qualcosa che lo stesso Gaara aveva voluto, ma in realtà
era stata pianificata
da coloro che l’avevano spodestato.
La
vita di Gaara e Hinata, da quel momento, era diventata un inferno.
Insulti,
odio, delusione e paura avevano marcato i luoghi in cui essi
vivevano, le strade che percorrevano.
Il
Consiglio del villaggio, anche spinto dalle continue proteste degli
altri abitanti, aveva cercato di allontanare entrambi dal Paese, ma
senza
risultato, poiché l’Hokage, imperterrito,
continuava a proteggerli.
Allontanarsi,
però, era proprio ciò che Hinata desiderava
più
profondamente. Voleva finalmente essere libera dal suo stesso villaggio
che,
con disprezzo e terrore, la teneva prigioniera. Per questo aveva deciso
che se
non l’avessero allontana gli altri, l’avrebbe fatto
lei stessa, spontaneamente.
E,
in quel momento, sapere di poter anche contare sull’aiuto di
Gaara le
infondeva sempre più coraggio.
“Allora…
sarà domani.” disse all’improvviso,
rompendo il silenzio,
animata da una strana determinazione che pian piano si stava facendo
largo
dentro di lei. “Grazie mille, Gaara. Grazie,
davvero.”
Gaara
posò il mento sulla sua spalla e cominciò a
fissare lo spazio
scuro e indistinto davanti a sé, lo sguardo pensieroso.
“Vuoi
che venga con te, domani?” le domandò, poi, dopo
qualche secondo
di silenzio.
La
kunoichi chiuse gli occhi, improvvisamente intristita e svuotata, e
rispose con voce rotta, rivelando finalmente il timore che
l’aveva bloccata per
tutto quel tempo: “Credo che sia meglio andare da sola.
L’Hokage potrebbe
rimanere male se vede che tu, uno dei suoi migliori amici, hai deciso
di
rifiutare il suo aiuto. Gli dirò tutto io stessa.”
Lo
shinobi sospirò a sua volta e la rassicurò:
“Come desideri”; poi
strinse di più l’abbraccio, avvicinando la guancia
a quella della sua donna e
annullando ogni distanza: in quel modo, almeno per quella sera, nulla
avrebbe
più potuto insinuarsi tra di loro.
Quella
mattina, sebbene si sentisse spossata, Hinata si alzò di
buon
ora.
Il
sole splendeva in tutta la sua magnificenza nel cielo e i suoi raggi
caldi risultavano piacevolissimi, accarezzandole la pelle delicatamente
mentre
si recava a passo veloce verso il palazzo dell’Hokage.
Non
si preoccupò neppure di deviare in stradine secondarie, come
faceva
ogni mattina, per non dare alla gente del villaggio occasioni di
parlottare su
di lei: la fretta dettava ogni suo movimento. Non incontro nessuno
degli occhi
– scuri o chiari che fossero – che per tutto il
percorso la squadrarono
invadenti e giudicatori, non sentì nessuna delle voci che la
insultarono con
parole pesanti.
Guardando
fisso davanti a sé, la kunoichi vedeva scorrere nella mente
migliaia di parole diverse che si intrecciavano in combinazioni e
discorsi
complessi.
Si
stava recando dall’Hokage per dare le dimissioni e per
informarlo che
avrebbe lasciato il villaggio, ma non sapeva ancora cosa
gli avrebbe detto.
Sapeva
che sarebbe stato tutto molto difficile: l’Hokage aveva
sempre protetto
lei e Gaara, si era persino opposto quando il Consiglio aveva deciso di
prendere provvedimenti e di sicuro l’avrebbe fatto anche dopo
che Hinata gli
avrebbe comunicato la sua decisione.
Per
questo motivo sperava ardentemente che il loro incontro durasse
poco, così poco da non sentire il senso di colpa balenarle
dentro
all’improvviso incontrando i suoi occhi limpidi.
Lo
sentiva già, nascosto nel più profondo delle sue
viscere, sbuffare
impaziente in attesa del suo momento.
Giunta
innanzi ad uno spesso portone di legno, fece un respiro profondo
ed entrò.
Le
guardie del palazzo evitarono prontamente il suo sguardo e lo stesso
fecero tutti gli altri shinobi che incontrò lungo la
scalinata che portava al
piano superiore.
Hinata
sentì gli occhi cominciare a pizzicare non appena si accorse
che
tra di essi vi era anche sua sorella Hanabi, - ella addirittura, quando
l’aveva
notata, aveva fatto qualche passo indietro ed era sparita in un
corridoio per
non incontrarla – ma cercò di trattenere le
lacrime.
Non
voleva mostrare agli altri che, dentro si sé, soffriva per
il
comportamento freddo che tutti le riservavano.
Questo
era un altro dei motivi per cui desiderava lasciare il villaggio:
voleva cercare di dimenticare che, oltre a Gaara, ormai non aveva
più nessuno
al mondo.
Neanche
suo padre, neanche sua sorella. Neanche i suoi amici.
Si
asciugò le palpebre prima di bussare all’ufficio
dell’Hokage, perché
era certa che le lacrime sfuggite al suo volere avrebbero reso tutto
ancora più
difficile, e fece
un altro respiro per
prendere coraggio. Poi entrò.
“Ehi
Hinata!” la salutò una voce, allegramente
“Tutto bene?”
Un
paio di occhi azzurri si alzarono repentini da un documento che
stavano esaminando e la fissarono dolcemente.
La
kunoichi li incontrò e cercò di ricacciare
indietro le lacrime.
“S-sì…”
balbettò, cercando di dimenticare i volti di tutte le
persone
che l’avevano evitata lungo le scale. Anche se accadeva ogni
mattina, le faceva
ancora molto male. “Va bene,
grazie.
Buongiorno, Hokage sama.”
Si
chinò per un attimo in un goffo inchino davanti a Naruto,
– il nuovo
Hokage della Foglia da ormai due anni – ma subito lui la
interruppe con un
sorriso.
“Buongiorno
a te! Hai bisogno di qualcosa?”
Hinata
arrossì un poco e mormorò flebilmente:
“Vorrei parlarle.”
Lo
sguardo dell’Hokage si fermò, sospettoso, sui suoi
occhi lucidi, poi
si spostò sulla sedia posta di fronte a lui
dall’altro lato della scrivania.
“Siediti,
dai.”
La
kunoichi scosse piano la testa.
“Non
ce n’è bisogno, farò in
fretta.” sussurrò, cercando di evitare i
suoi occhi.
Era
passato molto tempo da quando Naruto aveva cominciato a non
significare più nulla per lei, ma i suoi occhi chiari le
provocavano ancora
soggezione, quando li fissava.
Sembrava
che riuscissero a leggerle dentro, ad annullare la barriera che
c’era tra di loro e che ella stessa aveva innalzato per
cercare di provare meno
imbarazzo possibile.
Per
quel motivo, da quando lui era il capo del villaggio, gli dava del
lei e non lo chiamava più per nome.
“Parla,
Hinata” esclamò l’Hokage, incalzante, e
guardandola fisso negli
occhi.
La
donna raccolse tutto il suo coraggio e disse lentamente:
“Voglio
lasciare il villaggio.”
Gli
occhi azzurri che aveva di fronte divennero improvvisamente non
infuriati, come lei aveva immaginato, ma sconvolti.
Naruto
spalancò la bocca, arrabbiato, e gridò:
“Perché?”
Hinata,
intimorita dalla sua reazione, prese a balbettare sommessamente.
“Io…voglio
trovare la mia libertà… voglio poter camminare
tranquilla,
senza aver paura che qualcuno mi faccia del male… senza che
tutti mi evitino…”
L’uomo continuava a stringere i pugni tanto forte che la
pelle, tesa e lucida,
sembrava doversi strappare da un momento all’altro, mentre
ascoltava la sua
spiegazione a testa bassa.
“…
non posso più a vivere in questa maniera… tutti
mi odiano… nessuno mi
guarda più negli occhi… nessuno mi
vuole…”
La
kunoichi s’interruppe, spaventata, perché aveva
udito la poltrona
dell’Hokage scricchiolare: Naruto si era alzato in piedi e la
guardava
amaramente, le unghie conficcate nel legno della scrivania.
“Io ti voglio”
disse semplicemente lui,
chiudendo gli occhi. Hinata spalancò gli occhi, immobile.
“Io ti amo. Mi sono
sentito malissimo quando ti ho visto con Gaara per la prima volta, ma ho continuato a
sorridere per non darlo a
vedere, perché lui è mio amico. Sono stato male
ogni volta che ti guardavo
negli occhi, perché sapevo che alla fine della giornata
saresti corsa da lui, non
da me. Ti ho offerto protezione e lavoro, affinché Gaara non
ti portasse via
dal villaggio, perché tu rimanessi qui, accanto a
me…”
Il
suo sorriso era ancora una smorfia amara quando i suoi occhi si
riaprirono, fissando le guance pallide di Hinata, la sua voce febbrile.
“Perché
vuoi abbandonarmi? Perché mi fai questo?”
pronunciò con voce
disperata quanto i suoi occhi “Resta, ti prego.
Farò tutto ciò che desideri,
tutto, ma, per favore, non andare via!”
Fissò
la kunoichi supplice, affondando sempre di più i palmi sul
piano
della scrivania in attesa di una sua decisione e accarezzando, nel
frattempo, teneramente
con lo sguardo il suo profilo, i suoi capelli, di nuovo corti come la
prima
volta che l’aveva vista arrossire davanti a lui.
Hinata,
però, non ricambiò il suo sguardo quando gli
rispose.
“E’
tardi ormai, Hokage sama.” sussurrò dispiaciuta
“E’ passato così
tanto tempo da quando…” deglutì e
continuò timidamente, arrossendo “…
da quando Lei per me è stato qualcosa di
più di un semplice compagno; adesso è Gaara
che…”
“Mi
chiamavi Naruto kun” bisbigliò l’uomo
interrompendola e continuando
a fissarla tristemente, con gli occhi vuoti, perso in un pensiero
lontano e
impalpabile “Ti ricordi? Ti prego, non te ne
andare!”
“Mi
dispiace” ripeté Hinata cercando di trattenere le
lacrime.
Il
senso di colpa aveva preso a strisciarle dentro come un serpente
silenzioso, cominciando a distruggerla. Ciò significava che
quella
conversazione era durata anche troppo.
“Adesso
c’è Gaara nella mia vita” concluse la
kunoichi con voce rotta
“Io amo Gaara. Mi dispiace. Ero venuta a darle le dimissioni.
La ringrazio per
tutto quello che ha fatto per noi, grazie di cuore. Addio.”
Le
lacrime scorrevano sulle guance ormai liberamente, offuscandole la
vista, e Hinata non vide gli occhi di Naruto pieni di lacrime, proprio
come i
suoi, non vide la sua espressione disperata quando corse via dalla
stanza.
Desiderava
solo Gaara.
Accompagnata
dal rimbombo continuo dei suoi tacchi sul pavimento, desiderava
solo essere stretta dalle sue braccia, sentirsi al sicuro: voleva
lasciarsi
alle spalle tutto ciò che stava vivendo, voleva cancellare
dalla sua mente
l’ultimo sguardo disperato e pieno d’amore di
Naruto, voleva dimenticare di
aver fatto soffrire l’uomo che aveva amato tanto, voleva solo
scappare.
Voleva
solo la sua libertà.
“Hinata!”
La
kunoichi, tutta spettinata e madida di lacrime, non ebbe la forza di
rispondere all’esclamazione preoccupata di Gaara e si
precipitò, terminando
finalmente la sua corsa, tra le sue braccia.
Ancora
faticava a respirare: aveva percorso tutto il tragitto dal
palazzo dell’Hokage fino a casa correndo
all’impazzata in una marcia disperata
per cercare dimenticare il viso sconfortato e turbato di Naruto, ma
senza
successo.
I
suoi occhi azzurri continuavano risalire imperterriti nella sua testa,
sebbene travolti da mille altri pensieri.
“Cosa
ti è successo?” chiese l’uomo
nervosamente. La sua tensione,
tenuta a bada come al solito nel il tempo in cui Hinata si era recata
dall’Hokage, era scoppiata improvvisamente dentro di lui e
strabordata
violentemente al rumore straziante del pianto della sua donna e la sua
voce si
era fatta quasi ostile, mentre la stringeva forte a sé.
Hinata
continuò a singhiozzare senza parlare, affondando la testa
nel
suo petto. Sentì le dita di Gaara stringersi attorno alla
sua vita, tanto
minacciose da mozzarle il respiro e da spaventarla.
Allora
incontrò i suoi occhi: ardevano di un sentimento che non
aveva
mai conosciuto prima.
“Cosa
ti è successo?” domandò nuovamente lo
shinobi con voce rabbiosa.
La
kunoichi sbatté le palpebre, spaventata, respirando sempre
più
lentamente.
“N-nulla,
non è successo… nulla.”
sussurrò ormai senza più aria nei polmoni.
L’uomo
le rivolse un’occhiata non molto convinta, ma lei
annuì, cercando
di ricacciare indietro le lacrime. Visto che non ci riusciva, prese a
tamponarsi le guance con un fazzoletto candido che aveva in tasca,
ancora
intimorita.
“Io…
mi sento in colpa per quello che ho fatto” spiegò
rompendo un piccolo
singhiozzo nel fazzoletto “L’Hokage
ci è rimasto molto male”
Gaara
sospirò piano e, visibilmente sollevato, allentò
la presa attorno
alla vita della kunoichi, stringendola a sé.
“Scusami
se sono stato duro,” le sussurrò
all’orecchio “ma credevo che
qualcuno…”
Non
terminò la frase e con un battito di palpebre
scacciò via dalla sua
testa tutte le angustie che l’avevano affollata dopo aver
visto Hinata piangere
così disperatamente.
Per
un attimo era tornato adolescente, pronto ad esplodere e a fare a
pezzi chiunque avesse osato anche solo dirle una parola sgradita, ma
avrebbe
dovuto immaginare subito che la sua donna, quella mattina, non piangeva
per
quel motivo: l’umanità di Hinata era infinita e la
sua coscienza avrebbe potuto
anche infierire su di lei per tutta la vita.
“Non
sentirti in colpa, non preoccuparti” la rassicurò,
prendendo ad
accarezzarle dolcemente la testa; la kunoichi aveva preso a
singhiozzare di
nuovo. “Naruto capirà. Anche a me dispiace:
è mio amico, è stato l’unico che ci
abbia aiutato, ma io seguirò te,
ovunque. In questo momento si sentirà preso in giro,
tradito, infuriato, ma
passerà. Lui non vive la nostra situazione, non ha nessuno, non può capire.”
A
quelle parole Hinata si sentì ancora più
inaridita e i suoi singhiozzi
silenziosi aumentarono.
Lo
shinobi le posò un bacio sui capelli e
con un ultima carezza le ricordò:
“Tutto è
pronto. Vuoi ancora compiere questo passo?”
La
donna alzò gli occhi, ancora pieni di lacrime, di dolore, ma
carichi anche
di determinazione e coraggio e annuì silenziosamente. Ormai
non aveva più senso
restare.
Le
sue lacrime erano l’ultimo passo verso il dolore che stava
per
lasciarsi alle spalle; da quel momento avrebbe finalmente conquistato
la
felicità, la libertà di amare il suo uomo, di
vivere la sua vita.
Quella
libertà che, da qualche parte lungo la via, ella sentiva
già
attenderla.
Il
cielo era limpido, quel giorno: non c’era la minima traccia
di una
nuvola e il sole splendeva caldissimo, bollente.
Hinata
si sistemò con cura il mantello beige sulla testa,
coprendosi i
capelli, e alzò gli occhi verso l’azzurro sopra di
lei: era tranquillo, sereno,
proprio come tutto avrebbe dovuto essere quel giorno.
Sospirò
piano, cercando di non farsi notare, ma subito sentì la mano
di
Gaara, in piedi accanto a lei, stringere forte la sua; imbarazzata,
allora,
spostò gli occhi al suolo, uno strato di sabbia fine e
liscissima.
All’orizzonte,
dove il sole sconfinava nella sabbia, non si vedeva
ancora nessuna sagoma.
Si
trovavano a Suna, appena fuori dal villaggio insieme ad una dozzina
di shinobi, tra cui Temari, Kankuro e alcuni anziani del Consiglio, ad
attendere l’arrivo di una delegazione della Foglia.
Qualche
tempo prima Gaara era finalmente riuscito a sconfiggere coloro
che lo avevano spodestato e aveva ripreso il suo posto di Kazekage al
villaggio. Era ritornato a casa in trionfo, tra la festa e gli urli
felici
della gente di Suna, e con sé aveva condotto anche Hinata,
che era stata
accolta come una benedizione da tutti.
Come
Temari le aveva spiegato una volta, con voce dura e sguardo lontano
dal suo per stemperare l’imbarazzo, il popolo amava
così tanto suo fratello che
era molto triste nel saperlo solo; per questo, quando Hinata era
arrivata,
tutti erano stati così felici. La kunoichi della Foglia,
allora, aveva sorriso
con il cuore e, rompendo ogni regola, aveva abbracciato sua cognata,
pietrificata da tanto purezza.
La
loro vita trascorreva felicemente: vivevano nell’immenso
palazzo del
Kazekage e, sebbene Gaara fosse molto impegnato con i suoi compiti, non
la
lasciava mai sola. Hinata era trattata con rispetto da tutti, ogni
persona non
faceva che lodarne la gentilezza e la limpidezza d’animo,
tutti le volevano
bene con il cuore. Finalmente la
kunoichi, anche se ancora faticava a crederlo, aveva trovato la sua
libertà e
si stava lasciando alle spalle tutto ciò che di
più terribile le era accaduto.
Quel
giorno, però, il passato aveva deciso di ritrovare il
presente e
Hinata si sentiva un pochino ansiosa: presto avrebbe rivisto i suoi
compagni,
di cui non aveva più notizie da ormai due anni, anche a
causa della guerra che
continuava a protrarsi senza indugi.
Certo,
non si aspettava che essi, di chiunque si trattasse, fossero
felici di vederla, ma lei era realmente desiderosa di abbracciarli
tutti, anche
solo con lo sguardo, di poter sapere come stessero, di poter vedere
quanto
fossero cambiati.
Man
mano che i minuti passavano, Hinata si scopriva sempre più
impaziente di rivedere i suoi compagni, i suoi amici a cui, nonostante
tutto,
voleva ancora molto bene: continuava a scrutare lo spazio libero
davanti a sé
con attenzione, spingendo gli occhi sempre più in
là fino all’orizzonte giallo
e rossastro.
All’improvviso
Temari fece un cenno col capo in avanti e tutti si misero
sull’attenti, cominciando a guardare a loro volta nella
direzione suggerita
dalla kunoichi. Hinata, presa dall’emozione, sentì
il cuore perdere un battito
e finalmente spostò gli occhi più lontano sulla
sabbia, dove, sbiadite da una
tempesta di granelli minuscoli, cominciavano a comparire alcune figure
coperte
da mantelli e cappucci.
La
delegazione era molto meno numerosa di quello che gli shinobi della
Sabbia avevano immaginato: si trattava al massimo cinque o sei persone
che
incedevano a passo lento, ostacolate dalla sabbia e dai pesanti zaini
che
avevano sulle spalle.
Il
cuore di Hinata continuava a battere sempre più forte a mano
a mano
che i suoi compagni di Konoha diventavano più grandi e dai
contorni meno
confusi e quei minuti che la separavano da loro sembravano ore, anni.
Emozionata, continuava a fantasticare e ad immaginare quali visi si
nascondessero dietro quei cappucci. Gaara continuava a stringere forte
la sua
mano.
Erano
in cinque.
Si
fermarono ad un passo da loro in silenzio, posando a terra gli zaini,
poi si abbassarono i cappucci e Hinata
s’immobilizzò, pietrificata: un paio di
occhi azzurri l’aveva trafitta con sicurezza incrollabile.
La
kunoichi vacillò per un solo momento e i suoi occhi si
svuotarono,
stringendo forte la mano del suo uomo, poi la sua mente
tornò lucida: erano
passati due anni, ormai, lui doveva
averla dimenticata.
Naruto,
in piedi innanzi a lei, invece, le sorrise, gioioso, e le
accarezzò
il viso con gli occhi luminosi, come se avesse visto il sole per la
prima volta
dopo anni di buio e Hinata desiderò sprofondare: per lui non
era cambiato
nulla. Abbassò lo sguardo, imbarazzata.
Gaara
le lasciò lentamente la mano e, con un sorriso in volto,
colmò la
distanza che lo separava dall’amico.
L’Hokage
della Foglia ricambiò il suo sorriso e gli strinse
energicamente la mano.
“Un
bentornato da tutti noi!” esclamò con entusiasmo,
continuando a
sorridere. Nulla poteva rovinare quel momento: aveva rivisto la donna
che amava
più di ogni cosa al mondo, e neanche avere davanti a
sé il suo rivale riusciva
a fargli provare tristezza o frustrazione. “Sono felicissimo
di essere qui!”
“Benvenuti
nel nostro villaggio” li accolse Kazekage, guardando con
gentilezza ciascuno degli shinobi della delegazione “Mi fa
piacere che tu sia
venuto prima possibile, Naruto. Mettere fine alla guerra è
la cosa che desidero
maggiormente, in questo momento.”
Il
Kage della Foglia scosse la testa con foga.
“Nessun
problema, Gaara. Desidero anche io porre fine a questa
guerra.”
Lanciò un’altra occhiata furtiva a Hinata e
aggiunse: “Era anche molto tempo
che non ci vedevamo! Come stai?”
Gaara
rispose che stava bene, ma quella conversazione tra amici
terminò
lì perché gli anziani del villaggio erano molto
impazienti di conoscere la
delegazione e i suoi ninja in ogni dettaglio.
Solo
allora Hinata, che fino a quel momento aveva tenuto gli occhi bassi
per non incontrare quelli cristallini di Naruto, riconobbe gli altri
membri del
gruppo: Shikamaru, a sinistra di Naruto, sembrava molto nervoso, ma le
rivolse
comunque un sorriso, anche se tirato; l’espressione di Ino,
invece, era stranamente
piena di imbarazzo, mentre stringeva con forza il braccio dello shinobi
e
cercava di evitare gli occhi bianchi di Hinata. La kunoichi bionda,
letteralmente agghiacciata dalla gioia che era esplosa sul viso di
Hinata non
appena li aveva rivisti, si sentiva in colpa per tutte le cattiverie
che aveva
detto su lei prima che andasse via dal villaggio, e non osava mostrare
un’espressione acida e sfrontata di fronte al dolce sorriso
della sua ex
compagna.
Alla
destra di Naruto c’era Jiraiya, per la prima volta con
un’espressione seria in volto, che stringeva una spalla del
suo allievo con
tutta la forza che aveva nella mano. Il Sannin lanciò
un’occhiata obliqua a
Gaara e subito distolse lo sguardo senza, però, sorridere.
Solo
Kiba, al fianco di Ino, sorrideva.
Sorrideva
radioso, felicissimo di poter rivedere la
sua compagna di squadra e di poterla riabbracciare più
tardi. A Hinata,
incredula, vennero le lacrime agli occhi quando capì che
almeno qualcuno ancora
la riconosceva come amica e Kiba, accortosi dei suoi occhi lucidi,
annuì con la
testa.
La
loro amicizia, qualunque cosa fosse accaduta,
sarebbe durata per sempre.
La
kunoichi non ascoltò le presentazioni e le frasi di
circostanza che
seguirono, perché le lacrime ormai si erano impossessate dei
sue occhi, nonostante
lei continuasse ad asciugarle con il lembo del mantello che le ricadeva
su una
spalla.
Nessuno
si accorse che piangeva. Ringraziò il cielo: non voleva
mostrare
ai suoi compagni lacrime; lei, in quel momento, provava solo
felicità.
“Andiamo,
seguitemi.” ordinò finalmente Gaara, mettendo fine
al
silenzioso oblio di Hinata, che sollevò la testa. La
kunoichi vide gli occhi di
Naruto vagare perplessi verso di lei e, in un attimo,
abbassò di nuovo la
testa; poi, più veloce che potesse, raggiunse il suo uomo e
si mise a camminare
al suo fianco.
Gli
anziani del Consiglio seguirono il loro Kazekage immediatamente, uno
dietro l’altro; lo stesso fecero i membri della delegazione
Foglia dopo essersi
rimessi in spalla gli zaini.
Naruto,
però, non accennò a
muoversi
di un solo passo. Quando Gaara ne fu avvertito, si voltò e
lo fissò,
interrogativo, ma lo shinobi biondo disse semplicemente:
“Andate pure avanti,
vorrei scambiare due chiacchiere con Hinata. Vi raggiungerò
il prima
possibile.”
Il
Kazekage annuì e la kunoichi impallidì
visibilmente.
In
un attimo tutti gli shinobi scomparvero dietro la porta del
villaggio, lasciando Hinata e Naruto da soli, uno di fronte
all’altra.
Hinata
accomodò meglio il suo mantello a testa bassa in un gesto di
protezione, e Naruto scoppiò in un risolino ansioso.
“Allora,”
esclamò con un fare gentile visibilmente costruito e
contrario
alla sua spontaneità che intimorì la kunoichi
“da quanto tempo non ci vediamo!
Come stai?”
Non
attese neppure che ella potesse rispondere che continuò:
“Hai
trovato la tua libertà, il tuo paradiso?”
La kunoichi lo fissò, ferita: il suo tono di voce era fatto
improvvisamente
beffardo e il suo sorriso finto si era tramutato in un ghigno con una
chiara
intenzione canzonatoria. Annuì in silenzio.
Il
volto strafottente dello shinobi, però, in un secondo
cambiò
nuovamente espressione e divenne pieno di frustrazione.
“Perché
prima piangevi, allora?”
Allora
Naruto se ne era accorto. Hinata abbassò lo sguardo e
mormorò
timidamente: “Io… non stavo
piangendo…” sperando ardentemente che lui le
credesse, ma era tutto inutile. L’uomo continuava a fissarla,
l’ombra di una
nuova ostinazione sul volto.
“Tu
non sei felice qui.” disse lentamente, cercando in ogni modo
gli
occhi bianchi della kunoichi “Ti avevo detto di restare a
Konoha con me.”
Ella
alzò gli occhi, ansiosa di spiegare la verità.
“Io
non… piangevo per quello.” confessò.
“Sono felice, qui” sussurrò,
poi, dispiaciuta. Dopo tanto tempo, con immenso terrore sentiva di
nuovo il
senso di colpa crescere dentro di lei e sperava in ogni modo di non
scoppiare a
piangere come era accaduto l’ultima volta. “Ho
trovato la libertà di andare
dove desidero, di amare Gaara senza opposizioni…”
“Ma
io ti amo” affermò Naruto senza alcuna logica,
all’improvviso “Ti
amo più di tutta la mia vita.”
A
quelle parole Hinata arrossì vistosamente e
abbassò lo sguardo.
“Anche
io ti voglio bene.” mormorò sommessamente,
smettendo finalmente
di dargli del lei “Però amo Gaara.”
Naruto
emise un verso strozzato e la kunoichi, distrutta dal dolore,
trovò finalmente il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Io
amo Gaara.” ripeté addolorata fissando per
l’ultima volta le sue
iridi blu nella mente, consapevole di averlo pugnalato con tutta la
violenza e
l’odio del mondo “Tu sei mio amico.”
Hinata
non fissò un secondo di più il volto
dell’Hokage, temendo di
poterlo vedere stravolto o disperato e di dover, così,
cancellare l’ultima
immagine che custodiva di lui, ma immediatamente, cercando di arginare
le
lacrime, si voltò e corse via.
L’uomo
la fissò con occhi vacui, mentre correva al più
non posso e
raggiungeva il suo uomo, stringendogli forte la mano, bagnando la
sabbia di caldi
rivoli. Le sue ginocchia cedettero.
In
quel momento camminavano sulla strada che conduceva al palazzo del
Kazekage fianco a fianco, le mani intrecciate a dimostrazione del loro
sentimento, tanto forte da sopravvivere alle difficoltà,
tanto forte da non
poter essere spezzato.
Alla
fine, Hinata aveva trovato la sua ragione, il suo paradiso. La sua
libertà.
E la sua libertà,
tutta la sua libertà ormai era soltanto di Gaara.
***
Questa
fan fiction si è classificata quarta a pari merito con
quella di Yuri al
contest “Pairing and word” indetto da Kimly sul
forum e ha vinto il premio per la migliore trattazione della coppia.
Sono
felicissima, perché era la mia prima GaaraHinata (e chi mi
conosce sa bene
perché XD), perché erano secoli che non scrivevo
su Naruto e avevo paura di
aver perso la mano e perché ho ricevuto un giudizio con
punteggi davvero molto
alti, che qui riporto.
4°
classificata parimerito: Ayumi Yoshida "Did you find your
enlightenment,
your paradise?"
Grammatica: 9/10 Alcuni errori sparsi e in alcune
frasi mancavano i
punti fermi.
Originalità: 9.5/10 La storia
è molto originale, a parte alcuni elementi
già letti. L’idea di una guerra fra Suna e Konoha
è stata una bella trovata!
IC:4.5/5 Hinata è IC, mentre Gaara e
Naruto hanno alcuni attimi non
proprio da loro, ovviamente secondo il mio punto di vista.
Attinenza al tema: 15/15 Perfetto sia per quanto
riguarda la parola sia
l’immagine data, brava!
Giudizio giudice:5/5 Veramente unica. Io sono pro
NaruHina, ma hai reso
la coppia GaaHina benissimo, dolce al punto giusto. Complimenti!
Stile:5/5 Che dire, mi piace molto il tuo stile.
Ricco di descrizioni,
soprattutto quelle emotive. Ancora bravissima!
Tot: 48/50
Grazie
mille, quindi, a Kimly per la sua pazienza e velocità e a
tutti gli altri
concorrenti che mi hanno permesso, con la loro partecipazione, di
continuare
migliorare. Complimenti a tutti! *_*
Prima
di chiudere, vi lascio ad alcune note, scritte appositamente per la
giudice del
contest, che comunque potranno farvi comprendere meglio la fic.
Vorrei
spendere una parola (anche se
sicuramente ne saranno molte di più) per la
caratterizzazione dei personaggi
che ho utilizzato: questa fic è ambientata dopo Shippuden e
i personaggi hanno
dai venticinque ai trent’anni, quindi ho avuto un
po’ di problemi per la
caratterizzazione.
Con Gaara è stato - diciamo - facile, dato che ho cercato di
renderlo in modo
simile a come viene dipinto da Kishimoto in Shippuden, ma con Hinata
non molto.
Per la prima volta mi sono trovata ad operare con una Hinata che non
è
innamorata di Naruto, quindi ho dovuto – diciamo –
“ricominciare da capo” con
la sua caratterizzazione, estrapolando gli aspetti di lei che vengono
fuori
quando Naruto non è nei paraggi, come, per esempio, la sua
forza di volontà, la
sua gentilezza e la sua umanità. Quando, invece, ho dovuto
farla interagire con
Naruto, l’ho descritta sì imbarazzata e timida, ma
molto meno di ciò che siamo
abituati a vedere, perché l’Hinata che ho
utilizzato è cresciuta e ormai per
Naruto non prova più nulla.
Infine, per il personaggio di Naruto ho seguito ciò che mi
suggeriva la mia
intuizione: Naruto è già cresciuto molto nel
manga e ancora di più nella mia fic,
ha già sofferto parecchio per ciò che
è accaduto, ma, nonostante questo, ho
cercato di riprendere anche altri aspetti del suo carattere, come, ad
esempio,
la sua impulsività e la sua allegria e
spontaneità.
Infine, come avrete notato, mi sono permessa di inserire un piccolo
“what if”
nella fic, “resuscitando” Jiraiya.
Perché? Presto detto. E’ un personaggio che
amo molto e volevo che in questa fic ci fosse a tutti i costi per
assistere
alla crescita morale di Naruto.
Il
titolo della fic, infine, è il
prompt # 7 (did you find
enlightenment in the Western Paradise?)
della
community “31 Days” su livejournal, mese di
Dicembre 2008,
da me modificato ed ha un significato soprattutto simbolico.
“Enlightenment”
significa “illuminismo”, che io ho inteso come
“ragione” in collegamento alla
libertà che la protagonista femminile di questa fic ricerca
continuamente, una
libertà che, come si è visto, è una
vera e propria ragione di vita.
Mi
prendo,
infine, due righe per ringraziare kry,
che ha recensito la scorsa shot, e la mia Ele,
a cui voglio un bene dall’anima, e per pregarvi di recensire.
Una
recensione è l’unico modo per comunicare un
parere, positivo o negativo che
sia, perciò vi chiedo di voler perdere due minuti del vostro
tempo per farmi
sapere cosa ne pensate.
Grazie.
Alla
prossima.
Un
bacio,
Ayumi
Questo splendido bannerino
è stato fatto da Shurei. Complimentissimi, è
fantastico! *_*
Questo
splendido bannerino è stato fatto da Kimly. Grazie mille *_*
|
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Capitolo 6 *** 01. Let snow and silence mark the site of my unseemly appetite [Naruto centric] ***
Let
snow and silence mark the site of my unseemly appetite
[31 Days – Theme I - December]
“Ho
fame.”
Il tuo solito
grugnito. Qualcosa
di semplice, che apparentemente non nasconde alcun desiderio in
particolare.
Apparentemente.
Un desiderio, in realtà, c’è.
Soprattutto oggi, quel desiderio è più forte
che mai.
Muori dalla voglia mangiare.
Non hai mai sentito il tuo stomaco gorgogliare a quel modo.
“Ho fame.”
Ti stringi di più nel cappotto più pesante che
hai, mentre il vento gelido
continua a spirarti sulle guance, ormai infiammate.
Cavolo, che giornata.
A Konoha non ha mai fatto tanto freddo; non che tu lo ricordi.
E’ un freddo
ghiacciato, pungente, capace di ghiacciarti le vene e bloccarti il
sangue
nonostante tu abbia addosso qualcosa come tre maglioni.
E’ terribile.
Da quel che hai sentito dire in giro, sembra che la temperatura debba
abbassarsi ancora di qualche grado. Come se non facesse abbastanza
freddo!
Dopotutto, potrebbero sempre essere soltanto voci. Lo speri vivamente.
Se vuoi davvero mangiare, devi farti coraggio e affrontare la
realtà.
Finalmente riesci a staccarti dallo stipite della porta
d’ingresso, che non ti
era mai sembrato tanto accogliente, familiare e caldo
come oggi.
Come cambiano le opinioni personali.
Fino a ieri avresti pagato tutto l’ora del mondo per poter
uscire di casa, ma
oggi non ti sei neanche allontanato e già non vedi
l’ora di ritornarci.
Giusto il tempo di mangiare e poi sarai di nuovo al caldo. Questa
è la missione
della giornata.
Riponi le banconote sgualcite che hai in mano nella tasca del pantalone
con non
poca difficoltà –le tue mani sono ormai
ghiacciate, a furia di indugiare sulla
porta, e rifiutano di fare alcun movimento- e fai un respiro profondo.
Devi proprio andare.
Persino il tuo stomaco si è chiuso in un riottoso silenzio,
tanto è offeso da
questa situazione inconcepibile.
Infili le mani nelle tasche, sperando di trovare un po’ di
sollievo, e cominci
a camminare.
Ti muovi velocemente, a grandi passi, in mezzo alle strade
completamente
deserte.
Chissà come mai in giro non c’è anima
viva.
Certo, è presto, ma comunque a Konoha sono solitamente tutti
molto mattinieri.
Sarà per il freddo, allora. Il freddo potrà
fermare gli altri, ma non te, anche
se devi attraversare tutto il
villaggio.
Semmai, arriverai alla tua meta con dei cubetti di ghiaccio nelle vene,
ma poi
ti riscalderai per bene, ne sei certo.
Ne vale di sicuro la pena.
Anche gli alberi sembrano soffrire per il freddo artico: appaiono
rinsecchiti,
spenti. Per non parlare poi dei cespugli, ormai completamente distrutti
e
sradicati dal terreno a causa di quel vento che soffia senza mai
fermarsi da
ieri sera.
Solo adesso stai cominciando a capire perché
nessuno sia in giro.
Se nessuno è in giro, certo non
farà
eccezione Shikamaru.
Ti balena in testa questo pensiero non appena ti accorgi di
aver superato
casa sua.
Fai dietro front e, a piccoli passi -come se non volessi fare rumore-,
la
raggiungi.
Infatti.
Tutte le tende sono ancora tirate e la porta sarà di sicuro
chiusa a tripla
mandata.
Sospiri.
Lui non ha bisogno di uscire per mettere qualcosa sotto i denti.
Ecco il bello di avere una donna in casa. Saranno noiose, fastidiose
–come non
fa altro che ricordare-, ma almeno a qualcosa servono: ti preparano da
mangiare.
Eh sì, di questi tempi conviene accasarsi il prima possibile.
Ricominci il tuo percorso ad ostacoli leggermente irritato.
Le fortune capitano sempre ad altri, naturalmente, e a te tocca gelare
per
poter accontentare il tuo stomaco.
Finalmente puoi scostare lo sguardo dai disastri ambientali di Konoha,
puoi
smettere di formulare pensieri intrisi di ostilità e di
malizia e guardare
davanti a te.
Il chiosco di Teuchi appare maestoso e splendente nel suo candore ai
tuoi occhi
stanchi.
Sei arrivato a destinazione!
Finalmente i tuoi arti intorpiditi –e il tuo stomaco-
potranno trovare un po’
di ristoro.
All’improvviso ti senti rinvigorito: in un balzo sei davanti
al chiosco, pronto
a divorare chili su chili di ramen e già ti lecchi i baffi
al pensiero della
ciotola fumante che il proprietario porrà davanti a te sul
bancone, ma vedi
qualcosa che non avresti mai voluto
vedere, nella tua intera vita.
IL-CHIOSCO-E’-CHIUSO.
In
meno di un secondo
tutte le tue speranze si sono infrante proprio come farebbe un oggetto
di
cristallo se cadesse sul tatami.
Ti ci vuole meno del solito per realizzare che tutto ciò
significa ‘niente
cibo’.
Anche il tuo stomaco l’ha capito immediatamente e ritorna a
farsi sentire: tuona,
più furioso che mai, facendo mostra di tutta la sua rabbia.
Senti come qualcosa
che cerca di distruggere con violenza la tua parete muscolare e venire
fuori.
Ti accasci sul muro del chiosco, sconvolto, e pian piano scivoli verso
terra.
Potrebbe aprirsi un buco nero e risucchiarti, risparmiandoti la morte
per fame,
oppure…
Oppure niente.
L’unica cosa che puoi fare è attendere e sperare
che Teuchi arrivi presto ad
aprire la sua bottega e magari che ti offra anche qualche ciotola di
ramen
gratuita, visto ciò che hai dovuto affrontare.
Anche il suolo è freddo, cinico, ma non hai neppure la forza
di alzarti. Di
fronte a te c’è una panchina, ma di sicuro
sarà ghiacciata anche quella. Tanto
vale restare in questa posizione e cercare di generare un po’
di calore, almeno
quello necessario per sopravvivere durante una tempesta polare.
Ma non può restare tutto così, vero? Troppo
tranquillo per essere vero.
Adesso ci si mette anche la neve.
Leggeri fiocchi lattei cominciano a scendere dal cielo, volteggiando in
una
strana ed elegante danza fino a posarsi a terra.
Ma non solo a terra. Ti inondano anche i vestiti, le scarpe, i capelli.
Nel giro di qualche minuto la quantità di fiocchi nivei
aumenta
sproporzionatamente e ti ritrovi i capelli ghiacciati e il corpo bianco
abbagliante. Sicuramente sembrerai una torta decorata con ciuffi di
panna.
Cosa può esserci di peggio?
Sbuffi sconfitto.
Tempo orribile, corpo a pezzi, neve in quantità
sproporzionata, un silenzio di
tomba che avvolge ogni cosa nel raggio di cento chilometri.
Per fortuna, però, almeno nessuno ti ha visto.
Ehm, ti aveva visto.
“Naruto?”
Riconosceresti questa voce tra mille. Passano gli anni, le persone
cambiano, ma
lui e il suo modo di parlare strano non cambiano mai.
“Shino, ciao…” Cerchi di sembrare
allegro e convincente, ma sai benissimo che
sarà un impresa fallita in partenza.
“Cosa ci fai qui?”
Lui ti fissa con aria di superiorità tramite i suoi
onnipresenti occhiali scuri.
“Sono di ritorno da un allenamento.”
“Con questo freddo?!”
E’ sicuramente pazzo. Zero gradi centigradi e va ad
allenarsi. Hai sempre
pensato che fosse pazzo, ma finalmente ne hai avuto la conferma.
Esulti mentalmente.
“Il freddo non è un problema, per
me.”
Sottolinea con più enfasi del dovuto le ultime due parole.
Ecco perché lo odi.
“Tu piuttosto” continua serio “cosa ci
fai qui?”
Bene, benissimo. E adesso?
“Io… beh… ecco…”
cominci cincischiando, ma il tuo stomaco –più
velocemente-
spiega tutto, emettendo un rumore indecoroso. Arrossisci.
Shino sogghigna e all’improvviso ti viene voglia di
spaccargli la faccia.
“Capisco… ma Ichiraku è
chiuso.”
“L’ho notato.”
Gli rispondi freddamente, stringendo i pugni, cercando di dominare
quell’istinto
primordiale che ti urla nella testa ‘Saltagli addosso e
ammazzalo, non perdere
questa occasione!’.
“Aspetterò che apra.”
Vendetta compiuta senza sporcarsi le mani.
“Allora aspetterai per un po’. Oggi nessun negozio
aprirà. Ieri un ordinanza di
Godaime sama vietava ai negozianti di lavorare, perché si
sapeva che prima o
poi sarebbe nevicato. Tra un po’ il villaggio sarà
sommerso dalla neve.”
Sì, lo odi proprio. Non solo ti porta brutte notizie, ma non
si scompone
neanche quando tu spalanchi la bocca e cominci a sibilare maledizioni
velocissimamente nella sua direzione.
Lo odi con tutto te stesso.
“Allora vado. E sarebbe conveniente che anche tu andassi; la
neve cade sempre
più fitta. Ci si vede in giro.”
Non hai neanche il tempo di ribattere, di dirgli pensare ai suoi affari
che è
già sparito.
Questo è uno dei tanti motivi per cui lo odi: è
troppo misterioso e
evanescente.
Ma ora devi pensare a cose più importanti.
Ti porti le mani al ventre, per controllare se il tuo stomaco dia
ancora segni
di vita, ma non senti nulla. Si è nuovamente chiuso in un
sordo mutismo.
Bene.
Non hai più la forza di reagire.
Ti seppellisci ancora di più nella neve, che ormai ti arriva
a metà polpaccio,
e tiri fin sotto il naso il collo del tuo giubbotto. Almeno
così starai al
caldo.
Stanco, chiudi gli occhi.
Aspetterai fino a quando il sole avrà sciolto la neve e i
gorgoglii indecenti
del tuo stomaco avranno annullato il silenzio irreale che avvolge
l’Ichiraku
ramen.
Perché accadrà,
vero?
A Katia! Buon
Natale! *_* Ecco il mio ragalino per te! *balla*
Ebbene, come non avevo assolutamente previsto, un aggiornamento
natalizio. Ma si sa, quando comincio a scrivere senza un'idea non so
neanche io dove andrò a finire. E da questa stramba "magia"
è uscita questa storia con protagonista il mio Naruto! *_*
L'ambientazione non è specificatamente natalizia, ma a me
piace immaginarla così, perché c'è la
neve.
E' una shot un po' strana, comincia bene e termina non si sa come (XD),
ma dopotutto ne sono molto soddisfatta. Spero soddisfi anche voi!
Che ne dite di lasciare un parere? Come regalo di Natale! *occhi dolci*
Buon
Natale e buone feste
a voi tutti!
Un
bacione,
Ayumi
|
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Capitolo 7 *** 31. Il drago [NaruHinaSasu] ***
ficcy
Prima
classificata al contest “AU power! *.*”
di Nejisfan
(Tema
# 31)
Il drago
Finalmente meritato
riposo!
Naruto si stiracchiò
il più possibile nel sacco a pelo e distese le gambe: gli bruciavano
come non
mai, ma almeno era quasi arrivato. Dopo quattro ore di cammino su
sentieri
stretti e tortuosi, aveva finalmente raggiunto il rifugio Goraikoukan e
poteva
godersi un po’ di riposo senza far nulla. Aveva bevuto una cioccolata
calda con
un po’ di panna, mangiato l’ultimo panino che gli era rimasto ed era
corso
nella camera dove avrebbe dovuto dormire. Quando gliel’avevano
mostrata,
l’aveva trovata stipata di sacchi a pelo e affollata di gente di tutte
le età
proprio come gli avevano raccontato e aveva capito perfettamente che
dormire
sarebbe stato impossibile.
Pensare che aveva
sperato di essere fresco e riposato prima di raggiungere la cima del
monte Fuji…
Che illuso.
Aveva sistemato il
sacco a pelo facendosi strada con difficoltà fino centro della stanza,
guardando
fuori dalla finestra la scarpata rocciosa del monte e finalmente si era
disteso. Il sole stava tramontando e lui si sentiva stanco, ma felice.
Il
rifugio Goraikoukan era l’ultimo luogo dove si potesse sostare prima di
raggiungere la cima del monte Fuji, il primo obiettivo che si era
prefisso sin
da quando aveva cominciato ad appassionarsi al trekking, e finalmente
lo
avrebbe raggiunto. Si sentiva come un generale dell’esercito che avesse
appena
conquistato la fortezza ribelle. Ce l’aveva fatta.
Chiuse gli occhi.
Sentiva il bisogno
impellente di andare in bagno.
Si strofinò gli
occhi con le mani, assonnato, e fece per alzarsi cercando di non
schiacciarsi
le dita nella zip del sacco a pelo. Una volta in piedi, allungò le
braccia
davanti a sé come avrebbe fatto un sonnambulo e fece un piccolo passo.
Dove
posò il piede, il pavimento era libero. Esultante, si disse che poteva
farcela
ad uscire dalla stanza senza calpestare o inciampare in un sacco a pelo
altrui.
Avanzò nuovamente verso la direzione in cui ricordava ci fosse la
porta, ma
sbatté contro qualcosa di morbido. Cavolo.
“Ahia.” si lamentò
una voce in un mormorio.
Allarmato, Naruto
guardò verso il basso: c’era proprio una persona davanti a lui, e stava
scivolando lentamente fuori dal proprio sacco a pelo. I suoi occhi, che
ormai
si stavano abituando un poco al buio, gli confermarono che l’aveva
colpita,
dato che si teneva il fianco.
“Mi dispiace!”
esclamò, e la voce replicò bassissima e dolce: “Non fa niente.”, e
Naruto capì
che si trattava di una ragazza. Ciò riuscì a farlo sentire ancora più
in colpa.
“Mi dispiace!”
sussurrò imitando, senza sapere il perché, il suo modo di fare
silenzioso.
Lei ripeté: “Non fa
nulla, davvero!”, ma continuò a massaggiarsi il fianco.
“Voglio offrirle
qualcosa per scusarmi.” le disse, e, ai suoi rifiuti, insistette
ostinatamente.
Finalmente, lei annuì con la testa - forse soltanto per farlo smettere
di
assillarla, chissà - e, recuperato il proprio zaino, Naruto si
avventurò fuori
dalla stanza in silenzio, accompagnato da quella sconosciuta dagli
occhi chiari
e i capelli scuri e lunghi che aveva notato di sfuggita mentre si era
voltato
per controllare che lei lo stesse davvero seguendo.
Giunto nella stanza
dove aveva mangiato non appena era arrivato, la trovò piuttosto
illuminata,
faticando ad abituarvisi. Alcuni uomini erano indaffarati dietro il
bancone
contenente il cibo. Spostò lo sguardo oltre le finestre coperte per
metà da
tendine bianche e vide che era ancora la luna a rischiarare il monte
Fuji.
Doveva essere all’incirca
mezzanotte. Il suo obiettivo era sempre più vicino.
Carico, si sedette
su una panca e, posato lo zaino sul tavolo, cominciò a frugarvi alla
ricerca di
qualcosa da mangiare.
“Ho una barretta di cioccolato…
Una merendina… Dei biscotti… Oppure potrei offrirle la colazione! Cosa
preferisce?” propose tutto d’un fiato. Alzò lo sguardo e la ragazza lo
ricambiò, leggermente a disagio.
“Non c’è bisogno che
si preoccupi, non fa niente…” gli ripeté, ma Naruto le sorrise: “Ci
tengo a
scusarmi! Si sieda!”
Ella prese posto di
fronte a lui e mormorò: “Il cioccolato va benissimo.”, prendendo a
mangiarlo in
silenzio, quasi ad occhi bassi, quando lui glielo porse. Approfittando
della
luce per scrutarla, Naruto notò che aveva la carnagione chiara, quasi
trasparente in confronto alla sua. Non sembrava affatto adatta al
trekking,
sembrava troppo delicata.
“Sei qui da sola?”
Non fu in grado di
trattenersi dal cominciare a fare conversazione come al solito, ma lei
non
sembrò infastidita quando scosse la testa, piuttosto gli diede
l’impressione di
essere abbattuta.
“Sono qui con il mio
fidanzato… Ma è come se fossi sola.”
Si morse il labbro
per un secondo, come se si fosse pentita di quelle parole, e tornò a
mangiare
la barretta di cioccolato tristemente, a testa bassa. Naruto si scoprì
stranamente
desideroso di conoscere quella vicenda.
“Perché dici
questo?”
“Beh… Tra di noi le
cose non vanno molto bene ultimamente.” replicò lei con voce piatta.
“Credo… Credo
che abbia un’altra.”
La sua voce si
spense, affranta, e Naruto provò immediatamente pietà e simpatia nei
confronti
di quella ragazza sconosciuta. Quanto poteva essere fuori di testa una
persona
per tradire una ragazza dolce e composta come lei?
“Mi chiamo Naruto!”
esclamò improvvisamente, porgendole la mano. Lei alzò gli occhi già
lucidi e
mormorò: “Io sono Hinata.” facendo un piccolo inchino con il capo.
Voleva forse
nascondergli le lacrime che voleva piangere?
“Scusami se mi
intrometto, Hinata… Sei sicura che il tuo fidanzato sia normale?
Intendo,” tentò di giustificarsi per non darle
l’impressione di essere maleducato “sembri una ragazza tanto dolce…
Perché il
tuo fidanzato dovrebbe voler avere un’altra?”
Hinata gli lanciò
un’occhiata fugace in silenzio, le mani giunte e le guance rosse, e
sorrise
dispiaciuta.
“Non so… Non so se
essere felice o disperarmi per quello che mi hai detto…” confessò e
spostò
immediatamente lo sguardo verso la finestra, perdendosi nell’immagine
della
luna che dominava il cielo. La sua espressione era così triste, raccolta, che persino a Naruto, che non
si fermava mai a riflettere, sembrò di riuscire a condividere il suo
dolore.
Era una sensazione stranissima. Per un momento, sentì un drago
ruggirgli in
petto, tentatore e malefico, e seppe immediatamente cosa fare.
“Se vuoi… Domani
possiamo raggiungere la cima insieme.” azzardò, cercando di non dare a
vedere
che stava fremendo. La ragazza spostò nuovamente lo sguardo su di lui,
stupita,
e inclinò la testa da un lato, rendendolo certo per un attimo del fatto
che
avrebbe accettato la sua proposta, ma una voce baldanzosa impedì loro
di
guardarsi ancora negli occhi.
“Hinata!”
“Sasuke!” squittì la
ragazza, allarmata. Il nuovo arrivato li raggiunse velocemente,
rivolgendole
uno sguardo severo senza neppure notare Naruto.
“Non ti ho più vista
e mi sono preoccupato.”
“S-scusami.”
“Torniamo a
dormire.” ordinò sbuffando, e la afferrò per un braccio costringendola
a
seguirlo verso il dormitorio. Hinata fece appena in tempo a voltarsi
verso Naruto
e a lanciargli un’occhiata di scuse, ma non disse nulla.
Così era lui il
fidanzato fedifrago.
Non appena i due
furono scomparsi dalla sua vista, Naruto si accorse di non avere più
sonno. Non
voleva più mettere piede in quella stanza e fare il terzo incomodo. Si
sentiva
infastidito se pensava che, probabilmente, i due avrebbero fatto
l’amore per
fare pace, così lui l’avrebbe ingannata ancora.
Incrociò le mani e
vi posò sopra il mento, chiudendo gli occhi. Nella sua testa mille
pensieri si
rimescolavano come trasportati da uno tsunami. Poco a poco, con il
passare
delle ore, il suo fastidio si trasformò in determinazione di aiutare
Hinata a
liberarsi di quel fidanzato che la faceva soffrire in quel modo. Non si
era
affatto chiesto il perché, era accaduto in modo naturale: quel Sasuke
gli era
risultato antipatico sin dalla prima occhiata e si vedeva lontano un
miglio che
voleva soltanto approfittare della ragazza. Un bastardo patentato.
Indugiò ancora per
qualche ora nella sala che si riempì e si svuotò più volte,
ritmicamente, degli
ospiti che mangiavano qualcosa prima di rimettersi in marcia. Poi,
verso le
cinque, Sasuke e Hinata ricomparvero mano nella mano, i volti segnati
dalla
stanchezza, e Naruto sentì nuovamente quel moto di fastidio che l’aveva
accompagnato
tutta la notte. Li guardò meglio e si rese conto che erano già
attrezzati di
tutto punto per cominciare la scalata della vetta, due zaini dall’aria
pesantissima sulle spalle.
Corse verso di loro
mentre stavano uscendo dal rifugio, fermandoli giusto in tempo sullo
spiazzo
antistante l’ingresso.
“Buongiorno!”
esclamò parandosi davanti a loro. Hinata lo salutò con un sorriso
timido.
Sasuke sembrava ancora più accigliato della prima volta che l’aveva
visto:
lanciò un’occhiata impaziente a Hinata, che balbettò: “T-Ti presento
Naruto,
l’ho conosciuto ieri sera… Naruto, lui è Sasuke…”
Naruto allungò la
mano verso il ragazzo con un sorriso tanto largo quanto falso, ma
l’altro si
limitò a bofonchiare: “Piacere.” senza neppure sforzarsi di dare
l’impressione
di pensarlo davvero. Immediatamente, fece per andarsene, invitando
Hinata a
seguirlo. La ragazza lo guardò, ansiosa, senza obbedirgli.
“Perché non facciamo
la strada insieme?” esclamò allora Naruto, sogghignando alla vista
dell’espressione turbata di Sasuke. “Come ti ho detto ieri, Hinata,
volevo
arrivare in cima con te.”
La ragazza abbassò
lo sguardo imbarazzata, senza sapere cosa dire, e Naruto aggiunse in
tono
casuale, con un cenno del capo a Sasuke: “Non fa niente se c’è anche
lui, eh.”
La guerra era ormai
aperta. Dentro di lui, quel drago ruggiva e rideva prepotentemente,
sentendosi
fortissimo.
“Bene.” replicò Sasuke
serrando le labbra, l’unico segno di fastidio per quella situazione che
si
concesse. Afferrò la mano di Hinata e imboccò il sentiero che portava
alla
cima.
Quando il percorso
era diventato talmente stretto da risultare claustrofobico, non potendo
camminare affiancati come avevano fatto fino a quel momento, avevano
formato
una fila guidata da Sasuke, che non li degnava neppure di uno sguardo.
Dovevano
attraversare quello che, secondo Naruto, era il tratto più difficile,
camminando sapendo che la montagna finiva a due centimetri dal pezzetto
di
terra su cui stavano posando i piedi.
Il
resto della scarpata non si vedeva, ma il ragazzo non si lasciò
scoraggiare:
continuò a raccontare storielle divertenti come aveva fatto dall’inizio
del
loro cammino facendo sorridere Hinata al più non posso. Quelle volte
che era
riuscito a scorgere per caso lo sguardo di Sasuke l’aveva visto sempre
irritato
a morte, ma fino a quel momento non aveva mai parlato.
Se non gli importava
affatto che lui stesse flirtando spudoratamente con la sua fidanzata,
aveva
certamente la coscienza sporca. Tuttavia, non aveva mai lasciato la
mano della
ragazza, e quello stava cominciando ad irritarlo sul serio.
“C’è un segnale!”
disse all’improvviso Hinata. “Manca ancora un’ora di cammino!”
Naruto le
sorrise per ringraziarla. Avevano appena incontrato un bivio da cui il
sentiero
si divideva in due, una parte panoramica e un altro ripido e scosceso,
ma più
breve, e il ragazzo si sentiva sempre più determinato a dare una
lezione a quel
Sasuke. Egli sembrava sempre più spazientito, quindi forse quella notte
le cose
non erano andate come aveva pensato Naruto.
“Ma poi, come si fa
a fare l’amore in un sacco a pelo?” si chiese, scoprendo che non gli
interessava affatto, anzi, forse sì, a patto che la sua compagna fosse
stata la
ragazza che in quel momento stava bevendo da una bottiglietta di fronte
a lui,
approfittando del fatto che finalmente il suo fidanzato le avesse
lasciato la
mano.
Anche con il
cappellino calcato sulla testa e il viso imperlato di sudore, Hinata
riusciva a
comunicargli comunque un senso di pace e di dolcezza a lui sconosciuti.
Il drago ruggì così
forte da fargli tremare lo stomaco.
Hinata gli piaceva; non
voleva mai più vedere la sua mano stretta in quella di Sasuke.
“Hinata, che ne dici
se prendiamo il sentiero panoramico?” propose indicando con un dito la
direzione opposta a quella da cui erano arrivati. “Non si viene sul
monte Fuji
tutti i giorni!”
La ragazza mormorò:
“Mi piacerebbe.” annuendo con la testa, ma il suo sguardo cadde ancora
una
volta su Sasuke che indugiava all’imbocco del sentiero più breve.
“Se prendiamo il
sentiero panoramico, dobbiamo camminare per altre due ore.” disse,
spazientito
“Prendiamo quello più corto e vediamo di raggiungere questa maledetta
vetta una
volta per tutte.”
Naruto sentì
improvvisamente il sangue montargli alla testa. Aprì la bocca per
insultarlo,
ma si fermò non appena si rese conto che Hinata si era morsa un labbro
guardando il suo fidanzato in modo strano.
“Non si scala il
monte Fuji tutti i giorni.” sussurrò, ripetendo con voce piatta quello
che
aveva detto Naruto.
“In questo modo non
arriveremo mai!” esclamò Sasuke, esasperato.
“Ti sei annoiato,
non è vero?”
Finalmente, Hinata
lo guardò dritto negli occhi. Si sfilò lo zaino dalle spalle e prese a
frugarvi
all’interno. “Non voglio più essere accompagnata da te...” Mentre
qualche
lacrima le sfuggiva dagli occhi, afferrò una busta di plastica e la
allungò
nella direzione del ragazzo. “So che non volevi neppure venire. Io
speravo che
il monte Fuji potesse aiutarci… Prendi il tuo pranzo, per favore…”
Sasuke la guardò,
sconvolto, e spostò lo sguardo da lei a Naruto senza riuscire a capire
cosa
stesse succedendo.
“Cosa dici?” le
chiese, incredulo “Prendi lo zaino e andiamo.”
La ragazza scosse la
testa e replicò: “Non posso. So… So di non essere abbastanza per te,
che hai
un’altra. Torna pure a valle, io continuerò la salita…”
Furibondo, Sasuke
fulminò Naruto con lo sguardo.
“Con lui, forse?”
All’improvviso,
Naruto sentì che era finito il tempo di stare a guardare. Si scagliò
contro il
ragazzo, pieno di rabbia, ma Hinata gli tagliò la strada parandoglisi
davanti.
Lo guardò devastata, desiderosa di quiete e Naruto lasciò ricadere le
braccia
lungo il corpo, il respiro pesante. Non voleva causarle altri
dispiaceri. Come
se in quel luogo ci fossero stati soltanto loro due, le afferrò una
mano senza
dire una parola, la trascinò vicino allo zaino che era rimasto per
terra, lo
raccolse e prese a correre verso la cima del monte, più lontano
possibile da
Sasuke. Si accorse che Hinata aveva cominciato a piangere soltanto
quando, dopo
qualche metro di corsa, si fermò con il fiatone. Non riuscì a fare a
meno di
abbracciarla, mentre il drago nel suo stomaco si distendeva, guaendo
soddisfatto,
ma la ragazza spinse lievemente contro il suo petto per allontanarsi e
lo
guardò tristemente negli occhi.
“Ti prego, non
consolarmi.” mormorò allontanandosi definitivamente da lui,
spiazzandolo. “Non
ne valgo la pena.”
Naruto boccheggiò,
senza sapere cosa dire. “Tu mi piaci.” disse alla fine con sincerità.
Per la
prima volta, la sua parlantina non voleva saperne di andargli in aiuto
e quello
era l’unico modo in cui poteva farle capire che non stava scherzando.
Hinata
gli sorrise tra le lacrime dolcemente, bellissima nonostante tutto
quello che le
era accaduto quella mattinata.
“Grazie per tutto
quello che hai fatto per me. Mi ha reso molto felice. Però… Non posso
ricambiare
i tuoi sentimenti.” Arrossì lievemente, un sorriso amaro sul volto.
“Non sono
pronta per stare con qualcuno. Non sono
abbastanza.”
Ritrovata
improvvisamente la voglia di parlare, il ragazzo si morse un labbro per
restare
in silenzio. Le parole di Hinata lo avevano impressionato talmente
tanto da non
voler dire più nulla: lei era talmente stupefacente, talmente
incredibile nella
sua umiltà da essere troppo per lui. Sapeva che, qualunque cosa le
avesse
detto, qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe stato abbastanza per
convincerla. Fu con quella consapevolezza che il drago che aveva nello
stomaco,
appena rialzatosi per continuare la sua lotta, si accucciò di nuovo,
deluso.
Aveva perso.
“Però…” La ragazza
attirò la sua attenzione con un mormorio indistinto “Dovremmo
continuare la
salita. Non si scala il monte Fuji tutti i giorni.”
A quelle parole,
Naruto annuì con la testa: in fondo era quello l’obiettivo per cui si
era
spinto in una regione tanto lontana dalla sua. Non contava il fatto che
in quel
giorno avesse visto svanire in una nuvola troppo vicina al cielo tutte
le sue
speranze. Quando aveva esternato per la prima volta la volontà di
scalare il
monte Fuji, uno shintoista gli aveva detto che, posati i piedi sul suo
corpo
roccioso, si sarebbe sentito completo, ma non era stato così.
Con Hinata era
scomparso anche quel drago che si era impadronito del suo stomaco,
lasciandogli
un’immensa sensazione di vuoto.
Note:
riesumo questa
raccolta per postare questa storia che si è classificata prima al
concorso “AU
power” indetto da Nejisfan. *___*
Non nego
che, in un impeto di “devo cancellare
tuttoooo!” avevo pensato di far sparire anche questa raccolta (XD),
dato che
era tantissimo tempo che non la prendevo più in mano, poi, però, ho
riletto le
shot che la compongono e mi sono piaciute, nonostante siano molto
vecchie,
quindi ho deciso di continuare questa impresa pazza in cui mi ero
imbarcata
ormai più di quattro anni fa. Come passa veloce il tempo, eh? ;) Spero
di
essere più costante, per il futuro! Nel frattempo, il tema di oggi è il
numero 31, quello dell'ultimo dell'anno, "here lies a veritable
dragon". ^^
Sono
felicissima per la posizione in classifica di questa storia e per il
giudizio
della giudicia! *__* Ne approfitto
ancora una volta per ringraziarla delle correzioni che mi hanno
permesso di
pubblicare questa fic senza errori. Era tantissimo tempo che non
scrivevo una
AU in questo fandom e sono stata contentissima di replicare con
l’ambientazione
che mi è uscita. Dire che io adoro la montagna è un eufemismo, perché
per me la
montagna É il luogo per eccellenza, ma non avrei mai pensato di
scriverci su.
Finalmente posso dire di aver fatto anche questo! ^^
Questa fic era
nata come una ambientata sulle Alpi italiane, ma non mi piaceva il
fatto che i
nomi dei personaggi non c’entrassero nulla con l’ambientazione, quindi
ho
modificato la trama parlando del monte Fuji. Su Google ho trovato un
articolo
molto utile che mi ha guidato e ha stimolato la mia fantasia (http://www.travelblog.it/post/11000/giappone-la-scalata-del-monte-fuji),
poi mi sono servita anche di Wikipedia per le informazioni sullo
shintoismo e
il suo culto della natura, ma soprattutto sul drago, dai giapponesi
considerato
un simbolo maligno.
Sono stata in
dubbio anche su chi mettere nei panni dell’antagonista: all’inizio
avevo
pensato a Kiba, poi, dato che mi dispiaceva fargli fare la figura del
bastardo,
ho ripiegato su Sasuke, che a mio parere si adatta al ruolo molto bene.
XD
Questa fic
doveva essere più fluff di così, perché all’inizio avevo pensato ad una
commedia, ma come al solito se non faccio soffrire qualcuno non sono
contenta.
XD Ho cercato di affrontare la crescita interna di Naruto, come persona
e come
alpinista, narrando la vicenda dal suo punto di vista e usando un
linguaggio
piuttosto colloquiale. Poi, sono sincera, mi diverte da matti farlo
soffrire da
cani perché Hinata non lo considera/è già impegnata ecc. ecc. XD
Che altro dire?
Spero davvero che questa fic vi sia piaciuta quanto è piaciuto a me
scriverla. Mi
farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate. ^^
In ultimo, ma
non meno importante, complimenti alle mie compagne di contest! Dai
giudizi
della giudicia, le vostre fic
sembrano molto interessanti, non vedo l’ora di leggerle! *___*
Alla prossima!
Ayumi
Il
drago, di Ayumi Yoshida:
Grammatica:
8,5/10
IC: 9/10
Originalità: 8/10
Gradimento personale: 5/5
Ambientazione: 5/5
Totale: 35,5/40
Yeah:
La Grammatica è buona, ho trovato tre errorini di numero: dopo
"appassionarsi al trekking" manca una virgola, "un generale
dell'esercito che aveva" non avesse, e, infine, manca un'altra virgola
dopo "affiancati come avevano fatto fino a quel momento", fine.
L'IC è davvero favoloso, ti sei impegnata su questo punto e si vede.
Hinata è proprio lei, e anche Naruto; Sasuke, più marginale, è stronzo
quanto è
di solito. Ottimo lavoro.
E' originale la trama che hai scelto, il trekking e il monte Fuji (ti
fa onore,
tra l'altro, esserti documentata).
Ovviamente l'ambientazione è perfetta.
A me è piaciuta da morire, questa fic, l'ho trovata fresca (perdona il
tristissimo gioco di parole con la montagna) e piacevole: mi ha stupita
il
finale, e lo stupore è sempre un buon segno, e mi è piaciuta un sacco
la
trovata del drago.
Brava, davvero.
|
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Capitolo 8 *** 8. Mare di zucchero [Obito/Rin] ***
Note: lascio qualche significato di alcune parole
giapponesi che compaiono
nel testo qui, il resto dopo la fic! ^_-
*Tanabata:
festa che cade il 7 luglio
quando le stelle Vega
e Altair
si incrociano nel
cielo. É legata a una leggenda
secondo cui i due innamorati Hikoboshi e Orihime (rappresentanti la
stella
Altair e la stella Vega) vengono separati dalla Via Lattea,
potendosi
incontrare solo il settimo giorno del settimo mese lunare del calendario
lunisolare, il giorno del Tanabata, appunto.
*Yukata: è il
kimono femminile estivo.
*Tanzaku: sono
i bigliettini da attaccare su ramoscelli di bambù che ospitano i
desideri delle
persone che li scrivono, che sono poi bruciati alla fine del Tanabata.
Mare
di zucchero
Seconda
classificata al contest “Dolci insoliti”
di La procrastinatrice
Minato-sensei
gli aveva detto che il Tanabata quell’anno sarebbe stato splendido, e
non
sapeva quanto avesse regione. Camminare così vicino a Rin, rischiando
quasi di
sfiorarla, era fantastico. Stava quasi dimenticando perché
quell’anno i
festeggiamenti fossero così esagerati e diversi dal solito, e forse
dipendeva
anche dal fatto che Kakashi non si era più visto da quando era stato
promosso a
jonin.
Con uno sbuffo,
Obito si disse che era meglio così, attirando senza volerlo
l’attenzione di Rin
che si fermò per un momento e gli chiese: “Tutto bene?”
Lui annuì con
un sorriso e ripresero a camminare. Non doveva sprecare quell’occasione
per
nessun motivo al mondo, doveva approfittare al meglio di quella
inaspettata, ma
utilissima assenza di Kakashi: avrebbe potuto passare tutta la giornata
con
Rin, parlarle, vederla sorridere come soltanto lei sapeva fare.
Le strade del
villaggio si erano riempite di gente come non se ne vedeva da tempo:
era
splendido vedere tutti camminare senza fretta, rincontrarsi, salutarsi,
parlare
in quel giorno di festeggiamenti per i nuovi jonin. Obito avrebbe
potuto essere
più felice soltanto se fosse stato di grado superiore a Kakashi, ma
purtroppo
era una cosa impossibile.
“Non devi
pensare a queste cose, cavolo! Sei con Rin!” si ordinò automaticamente,
e si
voltò a sinistra per controllare che lei fosse ancora accanto a lui. La
sua
spalla destra era quasi schiacciata contro la sua, mentre si faceva
strada tra
un gruppo di uomini che si erano fermati a parlare nel mezzo della
strada.
Rivoli di sudore cominciavano a colarle sulle guance come se stesse
piangendo.
Faceva proprio caldo, quel giorno, e lei doveva sentirne molto di più,
avvolta
tra le stoffe e i nastri del suo yukata* a fiori.
Era davvero
bellissima. Rin si voltò di scatto, il volto pensoso, e lo sfiorò per
caso con
la mano.
“Minato-sensei
non aveva detto che dovevamo incontrarci qui?”
Obito annuì con
la testa, gli occhi spalancati e l’espressione poco convinta, incapace
di
mascherare il dolore che le sue viscere gli stavano causando torcendosi
violentemente da quando lei lo aveva sfiorato. All’improvviso
si era sentito catapultato via dal quel luogo affollato, non più
sudaticcio, ma
con una rumorosa tachicardia e una grande voglia di afferrarle la mano.
E di
sfiorarle la guancia che diventava perfettamente tonda quando gli
sorrideva.
Allarmato, si
pizzicò il fianco per tornare nel mondo reale, coscienzioso e padrone
di sé, ma
Rin che si sventolava con una mano, tutta sudata, non lo aiutò affatto.
“Ho bisogno di
un bicchiere d’acqua.” si disse, vergognandosi profondamente nel
riscoprirsi a
fissare la ragazza con occhi famelici, speranzoso che lei si allentasse
lo
yukata all'altezza del petto.
“Sono
preoccupata. Sarà successo qualcosa?”
“Assolutamente
no!” esclamò Obito di rimando, convinto che, per chissà quale motivo,
in realtà
lei stesse parlando di lui. “E’ che… Vado a bere qualcosa!” aggiunse
improvvisamente, afferrando al volo l’occasione di eclissarsi dietro le
tendine
di Ichiraku, il chiosco di ramen preferito del loro maestro, che si
trovava di
fronte al punto in cui si erano dati appuntamento con lui. “Torno
subito!”
“Sono un
mostro!” sussurrò non appena fu al sicuro, senza riuscire però a
nascondersi da
Teuchi, il proprietario, che esclamò: “Obito! Che piacere! Sei qui da
solo?
Cosa posso servirti?”
Tutto
imparpagliato, il ragazzo balbettò: “No… Ecco, io… In realtà, volevo
soltanto
dell’acqua…”
“Fa molto
caldo, oggi, non è vero?” gli chiese l’uomo per fare conversazione
mentre
riempiva un bicchiere di acqua gelida sul bancone davanti a lui. “Ecco
a te!
Offre la casa!”
“Grazie mille.”
Obito vuotò il
bicchiere tutto d’un fiato. Non riusciva ancora a darsi una spiegazione
per
quello che aveva osato pensare pochi minuti prima, quando era stato
talmente
vicino a Rin da sentirsi male. Forse era stato il caldo, oppure era
davvero lui
ad essere maligno e spaventoso come quel drago mostruoso che aveva
visto una
volta su un arazzo al palazzo dell’Hokage.
“Devo scusarmi
con Rin.” si disse, anche se lei non avesse mai capito che cosa era
successo.
“Le comprerò qualcosa da mangiare, e le offrirò i miei tanzaku*…
Zucchero
filato!”
Riusciva a
sentirne l’odore perfettamente, anche se aveva superato quel chiosco
molti
metri prima di Ichiraku. Lanciò un’occhiata al lato opposto della
strada per
controllare che Rin fosse ancora dove l'aveva lasciata, ringraziò
ancora una
volta Teuchi e corse al chiosco dello zucchero filato, miracolosamente
poco
affollato. Si fece strada tra i bambini appiccicosi e urlanti e riuscì
ad
uscirne in poco tempo con due stecche di legno stracolme di zucchero
filato
bianco. Corse verso Rin con un sorriso larghissimo sul volto.
“Minato-sensei
non è ancora arrivato.” lo informò lei, guardando con curiosità i due
zuccheri
filati che aveva nelle mani “E quelli per chi sono?”
“Per te e
per me.”
Obito non
riuscì a non arrossire quando gliene porse uno, sentendosi di nuovo
sottosopra
al suo sorriso di ringraziamento. Fortunatamente il maestro non era con
loro,
altrimenti sarebbe certamente esploso per l'imbarazzo.
“Devo affogare
il mostro nello zucchero.” pensò, spaventato, e staccò un grande morso
dalla
stecca di legno. Rin stava prendendo lo zucchero con una mano,
mangiandolo poco
per volta con le dita, e il ragazzo non riuscì a non osservarla,
ipnotizzandosi
al movimento delle sue labbra piene di sottili filamenti bianchi. Per
un
momento sentì che il suo cuore era su quella stecca, leggero come lo
zucchero
che stavano mangiando, poi, all’improvviso, lo vide sciogliersi,
lasciandolo
stranito e impaurito. Il suo cervello voleva assolutamente che il suo
corpo
allungasse una mano verso quella libera di Rin per stringerla, ma Obito
sapeva
perfettamente che obbedire avrebbe significato distruggere quello
splendido
Tanabata che voleva ricordare per tutta la vita. Sapeva perfettamente
che lei
amava Kakashi.
Improvvisamente
abbattuto e perso tra i suoi pensieri, non si accorse neppure che Rin
lo stava
guardando con la stessa espressione preoccupata che riservava sempre a
Kakashi
quando le sembrava che avesse qualche problema.
“Obito, scusami
se te lo chiedo ancora, ma c’è qualcosa che non va? Mi sembri… Triste.”
Alle quelle parole,
il ragazzo si riscosse dal suo zucchero filato e la guardò, stupito e
disorientato. Stava per caso cercando di salvarlo da quel vaporoso mare
di
zucchero in cui voleva affogarsi? Scoppiando di felicità, le sorrise
con tutta
la forza che aveva ed esclamò: “Che ne dici se scriviamo i tanzaku?
Tanto
Minato-sensei non arriva più!” e le depose nella mano le decine di
biglietti
colorati che aveva nelle tasche. Rin annuì con entusiasmo: non vedeva
l’ora di
leggere cosa vi avrebbe scritto. Lui sapeva già cosa richiedere per
quell’anno:
voleva che lo zucchero che adorava tanto sotto ogni forma conosciuta
smettesse
di deprimerlo e di farlo sentire un fallito. Era un Uchiha, ed era
appena stato
promosso chunin, non poteva permetterselo. Rin gli piaceva ogni giorno
di più,
e voleva mettercela tutta perché lei provasse lo stesso. Senza
l’intercessione
dei tanzaku.
Note:
Sono stata
contentissima di partecipare a questo contest, perché mi ha permesso di
scrivere la mia prima Obito/Rin, una coppia che mi piace molto, ma di
cui non
avevo avuto mai l'occasione di scrivere. Ho scoperto che scrivere di
Obito mi
sconvolge così tanto da impedirmi di dare un sad ending ad una fic,
cosa che
faccio sempre. XD Mi dispiaceva farlo soffrire di depressione anche
nella mia
fic, ed in occasione di una festa poi, quindi ho optato per un finale
aperto
che rispecchi tutta la sua determinazione. ^^
Ho dipinto i
protagonisti quasi adolescenti (se i conti fatti sono giusti,
dovrebbero avere
all’incirca 13 - 14 anni) ed ho cercato proprio di dipingere gli ormoni
in
subbuglio di Obito (XD) con le sue annesse reazioni. In realtà, da
quanto
risulta dal flashback del capitolo 599, la promozione di Kakashi a
jonin
dovrebbe essere avvenuta in autunno, dato che si vedono foglie che
volano
dappertutto, ma io ho ambientato la vicenda il giorno del Tanabata per
sfruttare il caldo per la trama. Perdonatemi la licenza. ;)
Ho inoltre
immaginato che Obito amasse tanto i dolci, dato che al primo esame dei
chunin
che disputa non sputa neppure la caramella prima di cominciare (una
scena che,
lo confesso, mi ha fatto morire dal ridere XD).
Spero davvero
che i personaggi siano IC, dato che adoro Obito e non vorrei rovinarlo
per
nulla al mondo, e che questa storia possa piacere almeno un po’ quanto
ha
soddisfatto me nello scriverla. Fatmi sapere, se vi va. ^^
Il tema usato,
questa volta, è il numero 8, why should
our children know about monsters + il prompt del contest,
“zucchero filato”.
^^
Ne approfitto
per fare i complimenti alle partecipanti e alla vincitrice, Minority, e
per
ringraziare la giudicia per la sua
celerità e precisione nei giudizi. ^^
Alla
prossima!
Mare di zucchero di Ayumi
Yoshida
GRAMMATICA: 8,5/10
Brava, non ho notato errori particolari.
Ho una sola osservazione da fare:
In alcune frasi ti sei dimenticata di iniziare il discorso con la
lettera
maiuscola dopo il punto.
ES: “Ho bisogno di un bicchiere d’acqua.” si disse.
(corretto: Si
disse)
“Assolutamente no!” esclamò Obito. (corretto: Esclamò)
“È che…vado a bere qualcosa!” aggiunse. (corretto: Aggiunse)
A parte questo, come ho già detto, non ho notato nient’altro che non
vada.
IC PERSONAGGI: 8,5/10
L’IC lo hai rispettato, senza ombra di dubbio.
Abbiamo un Obito insicuro, pasticcione, cotto di Rin e molto dolce.
Su di Rin invece non posso dire molto, dato che la storia è concentrata
prevalentemente su Obito, mentre lei si presenta come una figura di
contorno
(come nell’opera originale, d’altra parte…)
Mi ha comunque dato l’idea di una ragazza calma e gentile, esattamente
come nel
manga.
ORIGINALITÀ: 4/5
La storia mi ha colpita, l’ho trovata fuori dall’ordinario.
Non tanto per l’ambientazione, quanto per il fatto che hai trattato una
tematica particolare: quella della fine della fanciullezza e
dell’inizio
dell’adolescenza, con tutto il carico di nuovi sentimenti, nuove
sensazioni e
la confusione che ne consegue.
GRADIMENTO PERSONALE: 4/5
Mi è piaciuta molto questa one-shot.
Innanzitutto, ho apprezzato l’ambientazione e il fatto che ti sei
informata
sulla festa di Tanabata e sulle tradizioni legate a questa ricorrenza,
prima di
scrivere la storia.
Ma soprattutto mi è piaciuto come hai curato l’introspezione di Obito,
i suoi
sentimenti contrastanti e la sua confusione. Mi ha davvero fatto molta
tenerezza.
GESTIONE COPPIA: 4/5
Anche per quanto riguarda quest’aspetto, sono davvero soddisfatta.
Ho trovato Obito e Rin molto dolci, ben caratterizzati e i sentimenti
di Obito
verso la compagna resi molto bene. Diciamo che, più che di “coppia”,
qui
parliamo principalmente dell’amore unilaterale di Obito. Ma credo
proprio che
se tu avessi inserito qualche input rilevante anche da parte di Rin, la
storia
avrebbe forse perso parte del suo fascino. Quindi meglio così!
RISPETTO COMPITO ASSEGNATO: 5/5
Il compito è stato rispettato alla perfezione.
Qui l’elemento del dolce assume davvero un ruolo rilevante, dato che
viene utilizzato
quasi come un simbolo per descrivere i sentimenti di Obito verso Rin.
PUNTEGGIO TOTALE: 34/40
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Capitolo 9 *** 10. Espiazione [Jiraiya e Konan] ***
Il
mondo era orribile.
Jiraiya
l’aveva capito immediatamente quando era stato
rifiutato senza pietà da Tsunade per la prima volta, perché lei aveva
creduto
che stesse scherzando. Forse era perché non riusciva mai a togliersi
quel
sorrisetto fastidioso dalla faccia.
Il
mondo era orribile: se ne era convinto quando, poco più
che ventenne, aveva dovuto combattere una guerra che non gli
apparteneva. Poi
aveva incontrato quegli orfani, li aveva guardati negli occhi ed era
stato
finalmente certo che il mondo fosse ingiusto. Quale orrendo peccato
avevano
dovuto compiere quei genitori per permettere al destino di accanirsi in
quel
modo sui loro figli?
Ottenebrato
dalla pena, aveva deciso di restare con loro.
Sarebbe stato lontano da Tsunade, ma almeno avrebbe cercato di espiare
le sue
colpe per aver reso quel mondo un po’ peggiore, non riuscendo a
consolarla
quando il suo amato Dan era morto.
Espiazione
Forse
non stava riuscendo ad espiare per bene le colpe di
quei padri.
Cercò
il proprio riflesso nel bicchiere di tè che era posato
sul tavolo davanti a lui, ma era vuoto. Sospirò. Stava cercando di
insegnare ai
tre ragazzini le tecniche ninja, ma non vedeva risultati: Yahiko era
troppo
impaziente e non accettava mai di sbagliare, Nagato non parlava mai e
se ne
stava sempre chiuso in se stesso e Konan... Lei era troppo dolce e
gentile per
poter persino sembrare uno shinobi.
Non
c'erano stati miglioramenti. Forse era anche un po'
colpa sua, che non riusciva ad essere un buon maestro. O
che non era una maestro e basta, gli suggerì, maligna, la
sua
coscienza.
"Sensei,
vuoi un altro po' di tè?"
Konan,
il vassoio con il bollitore tra le mani, lo guardò
con un sorriso. Era cresciuta molto dalla prima volta in cui l'aveva
vista;
adesso che sapeva procurarsi il cibo da sola era più in carne e più
fiduciosa
nel futuro. I suoi occhi erano pieni di vita. Era qualcosa di splendido
da
osservare. Con un
sorriso stanco,
Jiraiya annuì e la ragazza riempì nuovamente il suo bicchiere senza
smettere di
guardarlo.
"Cosa
c'è?"
"A
cosa stai pensando, sensei?"
Konan
abbassò il vassoio all’altezza del ventre, le mani
vicinissime tra di loro.
"Pensavo
a quanto sei cresciuta. Sei così bella, ed è
un peccato che tu debba vivere in una casa come questa con noi."
La
ragazzina abbassò lo sguardo, imbarazzata, e mormorò con
un sorriso sincero: "Ma io voglio vivere con voi!"
Pensi sempre e solo alle
donne, si disse Jiraiya
maledicendosi mentalmente, e il suo pensiero andò per l'ennesima volta
a
Tsunade. Chissà cosa stava facendo in quel momento. Non poteva ancora
vederla,
meglio non pensarci.
"Dove
sono Yahiko e Nagato?" le chiese, allora,
per cambiare argomento.
"Sono
andati ad allenarsi." Konan abbassò
nuovamente lo sguardo, sembrandogli improvvisamente triste. "Sensei?"
"Cosa
c'è?"
"Yahiko...
Yahiko non vuole più che io vada con lui e
con Nagato. Dice che sono una ragazza, e che le ragazze devono essere
protette." gli confessò in un lamento, come se stesse per piangere.
"Konan?"
Jiraiya le tolse il vassoio dalle mani,
costringendola ad alzare lo sguardo. "Ricordi la mia compagna di
squadra,
quella ragazza che era accanto a me quando ci siamo conosciuti?"
La
ragazzina annuì compostamente.
"Lei
è uno dei più dotati ninja medico di Konoha, ed è
una donna."
Constatò
con un sospiro che era finito di nuovo a parlare di
Tsunade, ma almeno vide la sue allieva sorridere rassicurata. Se anche
una
parola proibita serviva a ridarle il sorriso, era una parola ben spesa.
"Grazie
mille, sensei."
Jiraiya
la guardò di nuovo e vide che la sua allieva aveva
gli occhi pieni di lacrime, ma sorrideva. Forse non era poi un maestro
così
incapace.
"Sensei?"
Konan
lo guardò senza riuscire a dissimulare la
preoccupazione che la animava. Jiraiya le rivolse un sorriso: con il
passare
del tempo il suo viso si era scavato sulle guance, dandole un'aria più
compunta, e il suo seno era cresciuto. Era diventata ancora più bella
ed era
ormai terribilmente brava a padroneggiare le tecniche ninja, come
Yahiko e
Nagato.
"Stai
pensando di andare via, non è vero?"
Il
sorriso di Jiraiya si schiacciò in labbra contratte e
l'uomo sospirò. Non poteva negarlo: da qualche giorno a quella parte
non faceva
che pensare al proprio villaggio, a quello che vi aveva lasciato, a Tsunade, e i suoi allievi non lo
aiutavano. Ormai erano perfettamente in grado di cavarsela da soli, non
avevano
più bisogno di lui. Non avrebbero più patito alcun dolore. Aveva
insegnato
bene, era riuscito a cancellare un pezzetto di dolore che qualcun altro
aveva causato
al mondo, ad espiare colpe di ninja sconosciuti e crudeli. Sorrise
amaramente.
"Konan,
farai qualunque cosa ti dirò?"
La
ragazza annuì immediatamente, senza battere ciglio: era
troppo ingenua per poter anche soltanto pensare che lui avrebbe potuto
chiederle
cose che neppure poteva immaginare. Rise apertamente, con l'angoscia
nel cuore,
e afferrò il vassoio che la sua allieva aveva in mano, spingendola a
sedersi di
fronte a lui. Guardandola, si accorse di ricordare perfettamente il
momento in
cui l'aveva incontrata per la prima volta: aveva visto la morte nei
suoi occhi,
la disperazione su un viso di bambina che avrebbe dovuto conoscere ben
altri
sentimenti. Era un sollievo grandissimo poter vedere un’espressione
talmente
trasformata.
"Ormai
non avete più bisogno di me, siete in grado di
vivere da soli. Io devo continuare a viaggiare."
"Perché?"
Konan
lo guardò con la fronte corrugata, senza riuscire a
capire. Anche se erano cresciuti, probabilmente sarebbero restati
sempre
bambini nel cuore, incapaci di abbandonare quei momenti in cui si erano
sentiti
felici e amati, non come lui, che riusciva sempre a vedere il male
dappertutto
e cercava continuamente la pace.
"Per
cambiare le cose."
Per non far scoppiare più
guerre, per tornare a casa come un uomo migliore.
La
sua allieva aveva smesso di guardarlo già da un po' di
tempo, persa nei suoi pensieri, l'espressione vuota. Anche Jiraiya
distolse
immediatamente lo sguardo: non voleva sapere a cosa stesse pensando,
non voleva
conoscere la sua tristezza, voleva andarsene convinto di aver fatto del
bene.
Si alzò in piedi e si stirò alzando le braccia al soffitto.
"Stasera
ceniamo tutti insieme." propose, e la
ragazza annuì meccanicamente con la testa, in silenzio. "Puoi andare a
chiamare i ragazzi?"
Konan
si alzò e si diresse verso la porta, ma essa si
spalancò e Yahiko e Nagato entrarono nella stanza ricoperti di fango da
capo a
piedi trasportando un grosso animale morto sulle spalle.
"Sensei,
oggi pesca grossa!" esclamò Yahiko con un
sorriso larghissimo e fiero. Persino Nagato sembrava felice. Jiraiya
fischiò,
ammirato, sentendo una tristezza ostile stringergli il petto. Sperò che
nessuno
dei due si accorgesse di Konan, immobile in un angolo della stanza, già
in
procinto di piangere. Anche se aveva fatto del bene, non riusciva a
sentirsi un
uomo migliore: che senso aveva rimediare al male altrui se poi, per un
motivo e
per un altro, era sempre il primo a compierne, se non riusciva ad
espiare per
prima cosa i suoi peccati?
Per
la prima volta nella sua vita si sentì un uomo orribile,
ancora più di quel mondo che cercava a tutti costi di cambiare. Non
riusciva
mai ad ottenere quel che voleva, nessuno comprendeva le sue intenzioni,
però
quel desiderio di migliorare il mondo continuava a bruciare
violentemente in lui
e lo trasformava nel perfetto antieroe tormentato di cui si rifiutava
ogni
volta di scrivere. Ci sarebbe mai stata una fine a quella storia, una
finale
soddisfacente e che rendesse felice tutti? Forse no.
Nonostante
tutto quello che aveva fatto, nonostante tutto
quello che avrebbe voluto fare per cambiare il mondo, chi era intorno a
lui,
incapace di cogliere il significato della sua espiazione, continuava
imperterrito a piangere.
Note:
Questa
fic è stata scritta per partecipare al contest di
Giacopinzia “Inferno, Purgatorio o Paradiso?” di ispirazione dantesca
(*____*),
ma purtroppo esso è stato annullato. Mi dispiace molto, perché era
davvero
interessante! T_T
Scrivere
questa storia mi ha fatto davvero ingarbugliare,
perché non trovavo mai il punto esatto per inserire le ragioni di
Jiraiya, ma
quando vi ho messo la parola "fine" mi sono sentita davvero
soddisfatta, perché ho cercato di dare una visione particolare di
Jiraiya,
perché finalmente ho scritto anche di Konan, un personaggio che mi ha
sempre
attratta, perché ho potuto usare un prompt così particolare come la
parola
espiazione. La fic è tutta orientata su una serie di contrasti che
fanno
apparire Jiraiya "cattivo" all'esterno e nei suoi stessi pensieri,
anche se ciò che fa è orientato al "bene", in bilico tra una ragione
e un'altra, come se fosse in un purgatorio, insomma. Spero, in questo,
di aver
saputo riprendere per bene lo spirito delle anime dantesche in attesa
di essere
accettate al cielo, anche se forse la mia fic è più pessimistica da
questo
punto di vista. ^^
Spero, inoltre, che la caratterizzazione di Jiraiya sia credibile:
sappiamo che
è molto sensibile e attento ai problemi del mondo (ha lottato fino alla
fine
per la pace), ma che si trincera dietro l’indifferenza e il sarcasmo
per
proteggere le proprie debolezze, e spero di essere riuscita a dare di
lui
questa visione “doppia”. Konan è un personaggio che mi ha sempre
ispirato malinconia
nel manga, e su questa sensazione mi sono basata per caratterizzarla in
questa
fic.
Parlando
della raccolta, il prompt per questa shot è il
numero 10, here's vengeance for your
story-books.
Che altro dire? So che si tratta di una storia pesante, pesantissima,
tutta di inner action, ma spero
possa piacere tanto
quanto io ho cercato di dare nello scriverla.
Alla
prossima! ^^
|
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Capitolo 10 *** 11. In case [Neji, Neji/Hinata] ***
In case
Quando
Hinata si era inchinata davanti a lui, la testa così
bassa da sfiorare il pavimento per chiedergli di aiutarla ad affinare
il Juken
del clan, si era sentito stupito, incredulo. Nonostante tutto quello
che le
aveva fatto, lei non aveva pensato due volte a rivolgersi a lui,
umilmente come
al solito, senza tutte quelle pretese che avrebbe potuto avanzare come
membro
del clan più importante.
Quando
era con Hinata, nonostante fosse inferiore, si
sentiva un suo pari: lei aveva quella capacità, gli faceva
dimenticare tutto
quello che era accaduto in passato soltanto standogli vicino, senza
parlare.
Quando
aveva deciso di cambiare, si era imposto di
cominciare da lei, per
farsi
perdonare di tutto quello che le aveva fatto, di tutto l’odio
che le aveva
riversato addosso soltanto perché era la figlia
dell’uomo che aveva creduto per
dodici anni l’assassino di suo padre. Essere buoni con Hinata
era davvero
semplice, veniva spontaneo, e spesso si era ritrovato a chiedersi
perché non se
ne fosse accorto prima. Il suo modo di fare gentile, così
poco adatto alla loro
vita, la sua volontà incrollabile, la sua forza nascosta gli
suscitavano ogni
volta una scossa al petto che lo privava di ogni sentimento malvagio,
facendolo
sentire in pace.
In
quel modo aveva capito di amarla. Se n’era accorto
all’improvviso, come una rivelazione piovuta per caso dal
cielo che chiariva
ogni cosa, ma non ne era rimasto sconvolto più di tanto: il
suo cuore aveva
smesso di cercare vendetta e finalmente si era fermato a riposare,
rendendolo
più sereno. Persino sopportare la sua condizione era
diventato più facile, e
dover obbedire a suo zio non gli sembrava più tanto
umiliante.
Era
felice. Anche se sapeva che Hinata non l’avrebbe mai
compreso fino in fondo, perché il suo cuore era
già occupato da quando aveva
visto Naruto per la prima volta.
“Neji-niisan!
Mi cercavi?”
Hinata
gli sorrise timidamente e si sedette accanto a lui,
lasciando penzolare i piedi fuori dal tatami della verandina. Aveva i
capelli
scompigliati e i vestiti zuppi, probabilmente aveva passato
l’intera mattinata
ad allenarsi.
“Scusami
se ti ho disturbata, Hinata-sama. Vorrei parlarti.”
La
kunoichi scosse la testa.
“Non
preoccuparti.”
“Il
maestro Gai mi ha comunicato questa mattina che il
consiglio ha proposto di promuovermi a jonin.”
“Oh,
congratulazioni!”
Hinata
lo disse realmente contenta per lui, con gli occhi
che le brillavano, ma Neji non lo sembrava affatto, come se qualcosa
non lo
convincesse fino in fondo.
“C’è…
C’è qualcosa che non va?” gli chiese
allora
sommessamente. Neji incontrò i suoi occhi per un attimo, poi
scosse la testa
con un sospiro.
“No,
è che…” Soppesò per un
momento quello che desiderava
dirle, temendo che sarebbe stato eccessivo aprirsi in quel modo con
lei, ma l’occhiata
davvero preoccupata che la kunoichi gli rivolse lo convinse a parlare.
“Temo di
non essere all’altezza dell’incarico.”
confessò alzando gli occhi al cielo,
quel giorno luminoso e libero dalle nuvole “Potrei dover
avere degli allievi,
un giorno…”
“Secondo
me saresti un ottimo maestro.” replicò Hinata con
un filo di voce. Neji abbassò gli occhi e la
guardò sorpreso, facendola
arrossire e balbettare: “Ecco… Tu… Tu
mi hai insegnato bene! Se ora sono più
forte… È grazie a te…”
Con
un sorriso quasi invisibile, Neji spostò lo sguardo
davanti a sé.
“Sono
certa che saresti un ottimo jonin, non rinunciare!”
ripeté Hinata stringendosi le mani all’altezza del
petto. La sua voce era
bassa, ma talmente sicura che lo stupì profondamente.
Avrebbe voluto dirle che
riponeva troppa fiducia in lui, che non la meritava, però
non se la sentì di
deluderla in quel modo.
“Posso
provarci.” si disse allora, e annuì
all’indirizzo di
sua cugina con la stessa fiducia che lei riponeva in lui.
“Grazie,
Hinata-sama.”
Lei
gli sorrise, visibilmente più tranquilla, e il suo cuore
spiccò il volo, certo, per la prima volta, che Hinata
credeva fino in fondo in
lui.
Hinata
non pensava mai alla sua vita, sempre pronta a
mettersi al servizio degli altri. Non aveva esitato un attimo a
mettersi
davanti a Naruto per proteggerlo con il suo corpo da quegli aculei di
legno
appuntiti. Non sapeva se sarebbe stata veloce abbastanza da respingerli
tutti,
ma si era lanciata comunque in quell’impresa. L’amore
fa fare cose impensabili.
Non
sarebbe riuscita ad evitare quell’aculeo, lo sentiva
dentro. Vide Hinata già trapassata, cadere per terra
grondante di sangue senza
neppure una lacrima di Naruto, perché lui non era mai
riuscito a capire, e si
lanciò verso di lei con le
ultime forze che gli restavano. Il legno lo trapassò in
più punti del corpo,
sentì la schiena andare a fuoco e non riuscì
più a tenersi in piedi. Naruto lo
afferrò; lesse il terrore nei suoi occhi. Guardò
Hinata, immobile in ginocchio
davanti a lui, e sorrise amaramente alle sue lacrime. Allora lo amava
un po’
anche lei.
Si
sentì felice, felice di averla salvata, di essersi
sentito libero di disporre della propria vita per lei. C’era
ancora una cosa
che voleva fare prima di chiudere gli occhi per sempre.
“Naruto,
Hinata-sama è pronta a morire per te.”
Lo
disse senza staccare gli occhi dalla ragazza, cercando
disperatamente di aprire quelli di Naruto a quell’amore senza
fine che sua
cugina provava per lui. La kunoichi continuò a piangere in
silenzio, con gli
occhi pieni di una preghiera che Neji osò credere fosse
soltanto per lui.
Qualunque cose lei stesse chiedendo, pregò a sua volta che
fosse esaudita: desiderava
con tutto se stesso che Hinata potesse essere finalmente felice, anche
se lui
non avrebbe mai potuto vederla. Anche se non con lui.
But
I keep it just in case
Yeah,
I keep it just in case
In
case
You
don't find what you're looking for
In
case
You're
missing what you had before
In
case
You
change your mind, I'll be waiting here
In
case
You
just want to come home
(Demi Lovato – In
case)
Note:
Questa
fic mi è stata ispirata da un commento di un utente
del forum ItaSasu riguardante il capitolo 414. Il commento era
più o meno
questo: “Neji doveva amare Hinata davvero tanto per
sacrificarsi in quel modo.”
Beh, queste parole mi hanno stuzzicato per giorni e finalmente sono
riuscita a
mettere per iscritto quello che avevo in mente. Scrivere di un Neji
innamorato,
felice anche se non ricambiato è stato molto interessante e
istruttivo. Ho
amato l’evoluzione di questo personaggio e scrivere di lui, e
mi dispiace di
come Kishimoto l’abbia messo da parte per poi farlo uscire di
scena in modo
così frettoloso. Ma ormai quel che è fatto
è fatto.
Note
(31/07/2014):
Eccomi
a pubblicare la fic, aggiungendo a ciò che ho già
scritto che essa è ispirata al tema 11, dying
is what, to live, each has to do; un tema
che mi ha aveva dato molte idee e
che all’inizio doveva essere una scena familiare con Minato,
Kushina e Naruto,
ma che dedico più che volentieri a Neji, il cui sacrificio
non ha nulla da
invidiare a quello dei genitori di Naruto.
Essendo
ancora in attesa dei risultati, presto aggiungerò
qualche altra nota, nel contempo sarei contentissima di ricevere pareri
di ogni
tipo.
Grazie
anticipatamente! ^^
Pian
piano questa raccolta continua… Ho scritto altri
capitoli, ma non ne sono convinta e li lascerò a
“maturare” ancora un po’, ma
non escludo che nel contempo potrebbero nascere capitoli del tutto
nuovi!
Mai
disperare! Puoi farcela, Ayumi! ;)
EDIT del 19/08/2014: ieri sera la giudiciA Fefy, che ringrazio di cuore (<3) ha pubblicato le valutazioni del contest, che ho molto apprezzato e con cui concordo in tutto. La copio-incollo qui sotto e speriamo di fare meglio al prossimo contest! ;)
Ayumi Yoshida
La grammatica della tua storia è ben curata, non ho trovato errori di distrazione o di battitura, né di forma. In un paio di punti avrei utilizzato la punteggiatura in modo differente, aggiungendo delle virgole ed eliminandone altre, ma nel complesso è tutta una questione di gusto personale e non c’è niente che possa essere definito un errore. Complimenti.
Lo stile è semplice ma curato, però devo ammettere di non averlo trovato molto coinvolgente. Forse perché si tratta perlopiù di un flusso di pensieri in tutta la prima porzione della storia, che – secondo la mia opinione – ha appesantito un po’ il ritmo, rendendo l’inizio lento. La storia diventa più piacevole nello spezzone del ricordo e raggiunge il massimo nel finale, che è stato la mia parte preferita, in cui sei stata capace di mettere insieme sia i pensieri e sentimenti di Neji che l’azione, senza annoiare. Un’annotazione puramente formale che ti farei riguarda il passaggio in cui Neji pensa: hai utilizzato ancora le virgolette alte, che fino ad allora erano state usate nei dialoghi. Per una questione di coerenza nell’utilizzo della punteggiatura, penso che dovresti rimuoverle e utilizzare un altro stile di scrittura, magari il corsivo.
Il lessico mi sembra molto adeguato alla situazione descritta e non ho trovato niente fuori luogo da segnalare.
La caratterizzazione dei personaggi si è bilanciata, per così dire, su due poli opposti. Trovo interessante, ma non proprio credibile, l’amore di Neji per Hinata, anche se penso che fosse un amore più “fraterno” che quel sentimento profondo con cui li hai legati. Comunque, Neji in generale è ben caratterizzato, mi sono piaciuti in particolare i riferimenti al cuore in pace perché liberato dal desiderio di vendetta, dall’odio che provava nei confronti della cugina. Ho trovato un po’ meno IC i passaggi in cui descriveva quant’era facile essere gentile con lei e come si è aperto riguardo alle sue insicurezze. Anche se di Neji, dopo aver saputo la sua storia, ci è stato dato molto poco da conoscere, mi è sempre sembrato un po’ burbero nelle sue manifestazioni d’affetto e riservato al riguardo dei suoi sentimenti. Diciamo che un Neji che si prende cura di Hinata in maniera implicita l’avrei trovato molto più IC.
Hinata invece mi è piaciuta moltissimo e ho ritrovato negli atteggiamenti che le hai fatto assumere l’Hinata del manga che io tanto amo: determinata a migliorarsi, con una volontà ferma, altruista e un po’ timida. L’immagine di Hinata che arrossisce e balbetta dopo essersi complimentata con Neji la trovo centrata in pieno e assolutamente IC.
Come ti ho già spiegato, senza considerare l’inizio lento, la storia nel complesso mi è piaciuta, quindi il gradimento personale è medio. Non è una storia che salverei, ecco, però è stata una lettura piacevole e sicuramente originale, visto che un amore così di Neji per Hinata non l’avevo mai letto e mi ha lasciato sorpresa e intrigata.
Grazie alla giudicia per questo magnifico banner! *______*
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Capitolo 11 *** 19. Petali [Sasuke, Karin e... - KarinSasu] ***
Petali
Nei miei incubi di solito ho paura di perdere te.
La ragazza di fuoco – Suzanne Collins
Camminavano da ore, ormai, e i suoi piedi non smettevano più di ricordarglielo dolendo.
Sasuke e Suigetsu, fianco a fianco davanti a lei, a capo della fila, non sembravano sentire fatica, e la loro marcia non aveva mai rallentato un attimo. Persino Juugo, che di solito chiudeva la fila, l’aveva superata.
Karin sbuffò assottigliando gli occhi, ben attenta a non farsi sentire da Suigetsu, altrimenti lui avrebbe cominciato a punzecchiarla tanto per passare il tempo. Il sole era basso sulla linea d’aria che stavano seguendo, avrebbero dovuto fermarsi presto. In ogni caso non sarebbero mai arrivati a Konoha prima di quattro giorni, avevano soltanto due giorni di cammino nelle gambe.
Se non fosse stata certa che Sasuke stesse morendo di impazienza, non sarebbe mai stata in grado di capire perché li stesse spingendo tanto lontano. Camminavano da due giorni, si erano fermati soltanto durante la mattinata per mangiare qualcosa; gli altri non avevano neppure dormito, a differenza sua che era crollata quando la luna era ormai alta da un po’. Non appena si era risvegliata, Suigetsu non aveva perso tempo a farle notare quanto fastidio avesse arrecato loro, dato che erano stati costretti a farla trasportare sulla schiena da Juugo.
Sasuke non vedeva l’ora di giungere a Konoha e di combinare un putiferio. Un’osservatrice attenta come lei l’aveva capito subito dal modo in cui avevano fremuto le sue labbra quando aveva detto: “Andiamo a Konoha.”, dalla foga con cui muoveva i suoi passi nel bosco. Doveva avere in mente un piano terrificante, quasi le dispiaceva per chi avrebbe assistito.
“Ci fermiamo.” ordinò la voce di Sasuke, più vicina di quello che avrebbe immaginato, e rialzando gli occhi dal suolo Karin si accorse che, fermo nel mezzo del sentiero, si era voltato per osservarla.
Il suo petto scoppiò improvvisamente e le sue labbra si allargarono in un sorriso.
“Bene! Proprio adesso ho sentito rumore di acqua…”
Entusiasta perché non faceva un bagno da giorni, quasi aveva dimenticato la fatica che le legava i piedi. Seguì con gli occhi il rumore che aveva sentito finché non scoprì una piccola pozza che raccoglieva l’acqua del ruscello che scorreva accanto a loro in lontananza tra gli alberi.
“Non riesco a crederci!”
Sorridendo apertamente, superò in un attimo Suigetsu che borbottava qualcosa di offensivo sulle donne bugiarde, ma non gli diede neppure retta, correndo al più non posso verso il laghetto. Di certo non avrebbe approfittato soltanto lei dell’acqua, ma anche Sasuke… Soltanto immaginarlo a torso nudo le causò un black out così potente nella testa che quasi inciampò nella ramaglia sparsa sul terreno.
“Calmati!” si disse cercando di riacquisire autorità “Ci vuole un piano…”
Mentre pensava cercando di trattenere il suo cervello da visioni celestiali, Suigetsu e Juugo sparirono nel bosco dopo scuse non molto realistiche. Dovevano di certo andare in bagno. Ridendo sotto i baffi per l’occasione che le si era presentata all’improvviso, decise di rischiare ancora un po’ e di lasciarsi guidare dall’istinto.
Chiamò Sasuke due o tre volte, ma lui non le rispose. Facendo attenzione a non fare rumore, allora, si avvicinò al laghetto con passo felpato: Sasuke vi era già immerso fino a metà del petto, completamente ricoperto d’acqua, gli occhi chiusi e il viso disteso. Delusa, si lasciò scappare un sospiro.
“Scusami, Sasuke-kun!” sussurrò concitata, senza riuscire a trattenere la delusione di non averlo visto nudo“Non pensavo che fossi già… Sasuke-kun? Sasuke-kun?”
Lo shinobi non rispondeva. Gli si avvicinò ancora, preoccupata, e, quando ormai era già in ginocchio sulla riva e si sporgeva con la testa sull’acqua per controllare che fosse vivo, sentì un rumore sordo di aria che veniva espirata. Stava dormendo. Sasuke stava dormendo. Emozionata, il suo cuore perse un battito e il suo sorriso si allargò ancora di più, persa nelle mille possibilità che lo comprendevano addormentato. Il ragazzo era a due centimetri da lei, non poteva vederla, e Suigetsu e Juugo…
Suigetsu e Juugo. Improvvisamente allarmata, come se avesse sentito il loro chakra fluttuare attorno a loro, si guardò intorno per cercarli, ma non vide nessuno. C’erano soltanto i vestiti di Sasuke, gettati alla rinfusa sotto ad un albero poco lontano, e scintillavano come illuminati dal sole. Il loro richiamo era magnetico. Dopo un’altra occhiata furtiva, corse verso l’albero e li raccolse. Li avvicinò al naso, inspirando l’odore di Sasuke più volte ad occhi chiusi, godendosi quella solitudine, pronta a tornare subito da lui per osservarlo dormire da vicino. Ma mentre si rigirava tra le mani i suoi pantaloni, una scatolina rotonda di legno cadde per terra. Con un balzo felino, temendo che il rumore avesse potuto svegliare Sasuke, la afferrò e se la portò al petto per nasconderla.
Si voltò verso Sasuke, intimorita, ma lui era ancora immobile nella stessa posizione. Senza riuscire a nascondere i battiti martellanti del suo cuore, rigirò la scatolina più volte tra le mani. Era un piccolo portagioie di legno scuro e piuttosto resistente, nonostante ciò era graffiato in più punti. Anch’esso doveva aver affrontato un lungo viaggio: da quanto tempo Sasuke lo portava con sé?
Il cuore di Karin prese a battere più forte quando si accorse che aprirlo era molto semplice. Senza neppure provare a resistere, lo voltò, diede un colpetto sul fondo e il coperchio che lo teneva chiuso ricadde nella sua mano, ma non fu così per i gioielli, perché non ne conteneva. C’era, invece, soltanto un petalo di un fiore ormai marcio ben saldo sul fondo. Il suo odore era terribile.
Disgustata, richiuse il portagioie. Perché mai Sasuke lo portava con sé? Perché portava con sé un oggetto tanto inutile, perché lo nascondeva? Nessuno l’aveva mai visto tenerlo in mano, lei era stata la prima a scoprirlo. Era forse il ricordo di un antico amore? Soltanto il pensarlo la fece imbronciare.
Sasuke non le era mai sembrato un ragazzo del genere, non avrebbe mai pensato che potesse conservare un fiore. Ma se quella ragazza fosse stata il suo primo amore, se avesse dovuto abbandonarla a forza, se fosse stato davvero innamorato di lei…
Strinse forte il portagioie nella mano, consapevole che non avrebbe mai potuto chiederglielo. Se l’avesse fatto, lui si sarebbe infuriato come non mai perché aveva azzardato spiare tra le sue cose. Di certo aveva lasciato i vestiti lontano sicuro del fatto che nessuno avrebbe osato avvicinarsi a lui per non fare una brutta fine, perché quando si arrabbiava il mondo poteva finire.
Non avrebbe mai potuto saperlo.
Infuriata, rigettò il portagioie tra gli abiti. Era l’unica spiegazione plausibile. Un vecchio amore, la promessa di amarsi per sempre, quella sua fredda convinzione che non vacillava mai. Per quel motivo Sasuke non la degnava mai di attenzione. Si proclamava un vendicatore, fingeva che nessun sentimento gli importasse, ma anche lui era umano, anche il suo cuore batteva per qualcuno e quel qualcuno non era lei.
Realizzarlo fu una pugnalata che le fece venire voglia di sputare fuori quell’odore che aveva respirato dai suoi vestiti.
Il giorno successivo sarebbero arrivati a Konoha, se non aveva sbagliato a calcolare i giorni di cammino. Dall’ultima pausa non si erano più fermati, camminando per tre giorni di fila. Dopo aver scoperto il portagioie non le era più importato di trattenere il dolore, di non riuscire ad avanzare con loro, perché non le importava più nulla di Sasuke e della sua missione. Si era accasciata a terra più volte e Juugo l’aveva trasportata; non sapeva cosa avesse detto Sasuke, ma Suigetsu era a metà tra l’irritato e il divertito, perché, sì, lei li ostacolava con la sua debolezza, ma in quel modo poteva provocarla liberamente.
Ormai non le importava più obbedire. Li seguiva soltanto perché non avrebbe saputo dove andare, se li avesse lasciati, e forse Sasuke l’avrebbe uccisa, se l’avesse fatto. Sapeva troppe cose che avrebbero potuto costare a tutti la vita.
“Oggi non cadi ancora per terra?” la attaccò Suigetsu all’improvviso, voltandosi verso di lei e ridendo sguaiatamente. La formazione non era cambiata, Karin era sempre l’ultima, ma la sua voglia di litigare era del tutto scomparsa: non urlò, non lo insultò, si limitò a guardalo male e a sibilare qualcosa che lui non avrebbe neppure potuto sentire.
Mentre un’insolita calma avvolgeva la loro squadra, il viso di Suigetsu diventava sempre più imbronciato perché Karin si comportava da giorni in modo insolito. Non raccoglieva più nessuna sua provocazione, non degnava nessuno di uno sguardo. Sembrava quasi svogliata. Mentre se ne domandava il perché, all’improvviso Sasuke ordinò di andare verso est.
“Perché dobbiamo cambiare strada?” si lamentò allora con una smorfia “Ad est è tutta foresta, ci toccherà saltare!”
“C’è un vecchio rifugio nella foresta.” spiegò Sasuke senza neppure fermarsi a guardarlo, volgendosi subito ad est “Lo sfrutteremo per la notte.”
Juugo lo seguì senza dire una parola, e così fece Karin. Suigetsu attese che lei fosse saltata sul primo albero e la seguì a stretta distanza.
“Nel caso dovessi addormentarti e cadere!” si lasciò scappare ridendo di gusto. Riusciva a divertirsi con poco, lui.
Raggiunsero il rifugio di cui aveva parlato Sasuke dopo pochi minuti di cammino. Era una casupola in legno quasi completamente marcito dal tempo, ma che stranamente si teneva ancora in piedi. Vi entrarono di controvoglia per via dell’odore di muffa che emanava e vi abbandonarono i mantelli. Suigetsu si accasciò sul pavimento con un sospiro di sollievo, ma immediatamente saltò di nuovo in piedi con un sorriso sarcastico, come mosso da un’idea improvvisa: “Devo andare a vedere se c’è qualcuno nelle vicinanze, vero?”
Senza neppure attendere una risposta da parte di Sasuke che di certo sarebbe stata positiva, perché facevano sempre così quando si fermavano, lui e Juugo lasciarono la casa e sparirono correndo nel bosco. Karin, seduta sul pavimento, la schiena contro il muro, si strinse di più sotto al mantello, intirizzita, e voltò la testa per non guardare Sasuke: si sentiva a disagio, adesso che erano rimasti solo loro due.
“Vai anche tu.” ordinò Sasuke con un tono che non ammetteva repliche. Per la prima volta, Karin fu felice che lui la stessa cacciando. A testa bassa, si sollevò a fatica da terra e uscì dalla casetta.
Ormai era scesa la sera, e tutto intorno era buio: non si vedevano neppure Suigetsu e Juugo in lontananza. Non sapendo cosa fare e non avendo voglia di camminare in un luogo sconosciuto come la foresta, fece il giro della casa e si inginocchiò contro la parete posteriore, avvolgendosi con cautela nel mantello.
Il giorno dopo tutto sarebbe finito, sarebbero arrivati a Konoha e Sasuke avrebbe avuto la sua agognata vendetta. Non sapeva per quale motivazione, non sapeva per chi, ma ormai se ne era quasi convinta. Era per lei. La ragazza che amava poteva essere contenta, Sasuke non avrebbe tradito la sua promessa, aveva camminato per giorni interi per mantenerla. Era fortunata; non come lei, che nessuno desiderava…
Si addormentò non appena quel pensiero le sfiorò la mente, piangendo in silenzio per non farsi scoprire, gli occhi rivolti alla luna.
“Finalmente… Finalmente domani sarà il giorno!”
La voce di Sasuke suonava stranamente emozionata e agitata attraverso le cellule del suo cervello.
Karin batté le palpebre, incredula, e si stropicciò gli occhi. La luna non si era quasi per nulla mossa dalla posizione in cui l’aveva vista prima di addormentarsi; si sentiva anche gli occhi ancora pieni di lacrime.
Quanto aveva dormito? Dieci minuti, un quarto d’ora? Suigetsu e Juugo erano tornati? Se era così, non c’era bisogno che lei restasse fuori a dormire, poteva rientrare. Si alzò lentamente, con le gambe che le formicolavano, e a tentoni fece il giro del rifugio. La porta d’ingresso era aperta, ma dentro non c’era nessuno. Eppure aveva sentito la voce di Sasuke…
Si accorse soltanto in quel momento che il ragazzo stava continuando a parlare, e che la sua voce proveniva da una porta che era socchiusa in fondo alla stanza. Cercando di non fare rumore, le si avvicinò e chinò il viso accanto alla serratura, accucciandosi sul pavimento. Attraverso di essa, vide un letto malandato, sopra cui Sasuke aveva lanciato il suo mantello; di fronte ad esso un mobile senza ante pieno di buchi. Su di esso, il portagioie aperto e vuoto. Sasuke aveva tra le mani il petalo rinsecchito e lo stava fissando come se fosse stata la reliquia più preziosa del mondo, senza curarsi del suo marciume e dell’odoraccio che emanava.
“Finalmente… Finalmente domani sarà il giorno!” ripeté ancora, senza riuscire a trattenere l’emozione. L’aveva detto già almeno cinque volte, ed ogni volta la sfumatura nella sua voce non era cambiata. Karin sentiva uno strano fremito in quelle parole, una sensazione di attesa impossibile che non aveva mai udito nella voce di Sasuke, che pianificava sempre tutto, talmente tanto da non avere la possibilità di conoscere l'ansia dell'attesa.
“Finalmente… Finalmente domani sarà il giorno! Domani avrai la tua vendetta!”
Sasuke aggiunse quelle parole come guardando il petalo in un paio di occhi immaginari. Lui lo amava. Amava la ragazza che quel petalo rappresentava con tutto se stesso. Il giorno dopo finiva l'attesa, l'avrebbe finalmente rivista, lei che non era mai riuscito a dimenticare. L'avrebbe portata con sé, magari avrebbero dovuto dividere la stessa aria che respiravano, oppure avrebbe abbandonato lei? Il pensiero le fece venire di nuovo le lacrime agli occhi, ma si coprì la bocca con le mani per non far sentire i singhiozzi: piangere non sarebbe servito, l’avrebbe solo fatta scoprire.
“Domani finirà tutto.” Il ragazzo scoppiò in una strana risata mentre il cuore della kunoichi si chiudeva di scatto come colpito da un pugno fortissimo. Sasuke continuava a parlare con quel fiore come se fosse la cosa più normale del mondo, acquistando pian piano un'umanità che Karin non aveva mai visto prima, gesticolando, modellando la voce, ridendo spesso, ma in modo cosi strano da terrorizzarla. “Ti ho portato con me così tanto tempo... Ma domani tutto sarà finito, te lo prometto. Avrai quel che meriti da così tanto tempo. Niente potrà fermarmi. Finalmente pagheranno la tua morte.”
Così, lei non c’era più. Saperlo non la consolò affatto, al contrario la rese ancora più avida di spiegazioni. Sasuke, però, fece silenzio, impegnato a passarsi il petalo da una mano all’altra e ad osservalo da tutte le angolazioni possibili come per denotarne i danni irreparabili del tempo.
“Sembra essere passato un secolo, invece sono solo otto anni…” sussurrò all’improvviso, come perso in un pensiero difficile. “Non credevo che questo iris sarebbe resistito così tanto, invece avevi ragione… È proprio il fiore della purezza, nulla può cancellarlo… Neanche la tua morte.”
“Neanche la tua morte.” ripeté. Guardò il petalo un’ultima volta stringendo le labbra e lo richiuse con attenzione nel portagioie, saldo nel pugno. “Domani finirà tutto, mamma. Domani sarai vendicata.”
Karin saltò in piedi come attraversata da una scarica elettrica, gli occhi spalancati, e corse fuori dalla casa senza preoccuparsi di aver fatto rumore. Mamma, aveva detto mamma! Quel fiore, quell’iris era sua madre. Soltanto una madre avrebbe potuto restituire a Sasuke tutta la sua umanità.
Sentendosi all’improvviso nuovamente piena di vita, faticò a fermarsi nel bosco a poca distanza, perché il suo cuore non voleva smettere di battere fino a sfinirla. Quella donna era sua madre, solo sua madre, nulla era perduto. Respirando a fatica, schiacciò la schiena contro il tronco dell’albero presso cui si era fermata, mentre un sorriso cominciava a piegarle le labbra. Nulla era perduto, tutto sarebbe potuto accadere. E all’improvviso una voce conosciuta la fece sobbalzare e le riempì il petto di aria.
“Karin!” Si voltò lentamente, trovandosi faccia a faccia con Sasuke, spigoloso e duro come al solito: aveva già cancellato per sempre la sua umanità.
“Sì?”
“Ho sentito qualcuno uscire correndo dal rifugio… Eri tu?”
Karin lasciò che le occhiali le scivolassero sul naso per assumere un’aria provocante.
“Assolutamente no! Ero qui a controllare che-”
“Suigetsu e Juugo non sono ancora tornati.” la interruppe lo shinobi, irritato “Che si sbrighino, domani dobbiamo partire appena sorge il sole.”
“Già, domani finisce tutto.” annuì Karin con un largo sorriso, leggendo lo stupore nei suoi occhi: avrebbe fatto di tutto per supportarlo fino alla fine; sarebbe morta per lui, adesso che aveva sconfitto quel petalo.
“Perché mi hai portato dei fiori?”
Mikoto spostò lo sguardo da suo figlio maggiore, imbarazzato e ancora sulla porta, al bouquet che lui le aveva appena consegnato tra le mani, incuriosita. “Oggi non è il mio compleanno!”
Itachi si morse un labbro senza sapere cosa dire, massaggiandosi la nuca, ed azzardò: “Beh, passavo davanti al negozio di Inoichi Yamanaka, li ho visti e…”
“Grazie.” La donna gli sorrise dolcemente per interromperlo, consapevole di avergli fatto quasi raggiungere un punto di rottura: i suoi uomini erano tutti così, non riuscivano ad esprimersi quando si arrivava ai sentimenti. Si alzò per recuperare un vaso e vi mise dentro i fiori senza riuscire a smettere di guardarli.
“Che fiori sono?” chiese mentre riempiva il vaso d’acqua.
“Iris.”
“E perché bianchi? Qual è il loro significato?”
Forse aveva fatto ad Itachi la domanda sbagliata, perché il ragazzo s’incupì di colpo, ma fu un attimo, perché subito azzardò: “Purezza?”
“Allora doppi ringraziamenti, nessuno me l’aveva mai detto prima! Sono pura!”
Mikoto rise lievemente e ritornò ai fornelli, contenta.
“Oggi rientrerò tardi.” disse allora Itachi in tono casuale, guardando intensamente il colletto della propria maglia. La donna si voltò con l’espressione preoccupata, ancora con un mestolo in mano.
“Fai attenzione, stasera. Da quando Shisui è stato u-”
“Certo.” la interruppe il ragazzo con voce dura e si richiuse la porta d’ingresso alle spalle. Con un sospiro, Mikoto fece per tornare ai fornelli, ma i suoi occhi caddero di nuovo sul vaso ricolmo di fiori che aveva messo sul davanzale della finestra. In realtà, l’iris significava protezione. Con un sospiro, staccò un petalo da uno dei fiori e, stringendolo tra le dita, si recò nella sua camera. Il portagioie in cui la sera riponeva il bracciale che le aveva regalato Fukagu per il loro fidanzamento era ancora sul comodino. Lo aprì e vi ripose il petalo ancora bianco.
“Speriamo che ci aiuti davvero.” sussurrò, sconsolata: negli ultimi tempi le cose per gli Uchiha non stavano andando bene, e lo stesso era per loro. Non riusciva quasi più a riconoscere Itachi.
Mentre apriva la porta scorrevole per tornare in cucina, sentì due piedini scalpicciare velocemente nel corridoio. Sasuke si allontanò correndo da casa sbattendosi la porta alle spalle, intimamente colpito da quel gesto: mai aveva visto una persona riservare tanta tenerezza e cautela ad un fiore, sua madre era davvero speciale. Fiero di lei, con un largo sorriso sul volto, si mise alla ricerca di Itachi per raccontargli ogni cosa: aveva ancora del tempo prima dell’inizio delle lezioni all’Accademia.
Nei miei incubi di solito ho paura di perdere te. E sto bene quando mi accorgo che ci sei.
La ragazza di fuoco – Suzanne Collins
Note
Eccola qua, bella (?) e finita. All’inizio volevo scrivere una fic comica, con protagonista Kiba, ma poi la scena di Sasuke che parla ad un fiore come un invasato (XD) mi è venuta in testa dal nulla e ho sviluppato questa idea. È la storia di Karin, di Sasuke e di Mikoto e delle loro perdite. In questa fic ognuno perde qualcosa, ma solo Karin riesce a ritrovare quel che desidera, Mikoto no di certo, Sasuke non si sa (XD), ma nei miei pensieri no, anche se la fine sembra quasi speranzosa. Ma, ahimé, quella del flashback è la giornata del massacro degli Uchiha.
Leggendo Narutopedia, ho visto che il massacro degli Uchiha è accaduto quattro anni prima dell’inizio del manga, in cui i protagonisti hanno 12 anni. Nella seconda serie ne hanno 16, quindi sono trascorsi 8 anni. Speriamo che l’orizzonte temporale sia giusto! XD
Parlando della trama, mi è piaciuto immaginare questa sorta di “viaggio della speranza” e, soprattutto, riprendere questi personaggi che tanto mi affascinano, due cose di cui non avevo mai scritto prima. Spero di non aver fatto un casino con l’IC, soprattutto quando Karin “si lascia andare” dopo la “scoperta” che Sasuke ama qualcuno che non è lei. Spero di aver mantenuto viva la curiosità su chi questa donna possa essere fino alla fine ;) Chi poteva essere se non sua madre? Secondo me è l’unica donna che abbia davvero amato ed avuto la possibilità di amare nella sua vita.
Karin si lascia andare, è vero, ma l’ho resa comunque “egoista” come nel manga, nel senso che continua a pensare a se stessa anche dopo tutto quello che è successo, continuando a seguire il gruppo anche se non vuole per non rischiare la vita. Non voglio pensare, poi, alla parte fangirlante di lei che ho descritto all’inizio, mi sono sentita in colpa come se fossi io stessa al suo posto a spiare Sasuke! XD Insomma, spero che questa caratterizzazione sia azzeccata. Odio quando Karin viene dipinta solo come un’oca giuliva nel manga e nelle fic, perché ogni tanto anche lei mostra un lato umano e profondo ed è sempre così che vorrei pensare a questo personaggio. :)
Di Sasuke ho davvero paura, perché in questa fic letteralmente “scoppia”, ma ho pensato che da solo, senza che nessuno lo guardasse (secondo lui), la scena fosse possibile. In questa fic Sasuke diventa umano, o almeno spero che dia questa idea, e lo stesso accade per Mikoto, che abbandona per un attimo la maschera della madre perfetta e felice, anche se Sasuke è troppo piccolo ed ingenuo per accorgersene e per comprendere le sue preoccupazioni.
Per svelare i prompt del contest, essi erano "portagioie" e "iris" e la citazione di Hunger Games, vi dicono nulla? ;)
Parlando del tema della raccolta, invece, questa volta è 19) and he chants the hate of a million years, ovviamente rivolto a Sasuke che "scoppia" in particolare, ma a ciascuno dei personaggi che si mette a nudo in generale.
E così un altro capitolo è andato, e su dei personaggi che non credevo sarei mai riuscita ad affrontare. We're getting better! ;)
Come per lo scorso capitolo - in cui, ahimé, non sono stata ascoltata - vi chiedo, se avete apprezzato, ma anche se la fic non vi è piaciuta, di lasciare un parere. Qualunque parere va bene se è costruttivo e se può migliorare le cose. Grazie anticipatamente! :)
Alla prossima, allora!
Ayumi
PS: il portagioie è questo! Così può stare in tasca! ;) http://img.edilportale.com/product-thumbs/b_prodotti-52463-rel93849ed0-2101-2271-d3bb-2396102f705f.jpg
Note del 13/10/2014: dopo secoli ho finalmente potuto leggere i risultati del contest, e, con mia somma gioia, ho scoperto questa fic si è classificata terza vincendo anche i premi trama e originalità. Sono davvero felicissima, perché questa fic è nata come un'illuminazione e temevo che non sarei stata in grado di trasporla su carta.
Moko, che ringrazio di cuore (♥) è stata così gentile da incollare il giudizio nei commenti come recensione, quindi riporto solo i banner fatti dalla bravissima MiZUUMi... Non sono bellissimi? *_____*
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