la margherita

di _Mikan_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un rifugio ***
Capitolo 2: *** Spaventata ***
Capitolo 3: *** Tutto troppo in fretta! ***
Capitolo 4: *** Il mio fiore preferito ***
Capitolo 5: *** La natura sta morendo ***
Capitolo 6: *** La dea che canta ***
Capitolo 7: *** Il fazzoletto sporco di cera. ***
Capitolo 8: *** "Non avrò vissuto invano." ***
Capitolo 9: *** Quel cielo color ocra ***
Capitolo 10: *** Aiuterò. ***
Capitolo 11: *** Magia è il secondo nome di Musica ***
Capitolo 12: *** Un pezzettino di noi ***
Capitolo 13: *** La dea in trappola ***
Capitolo 14: *** Canto solo per me stessa e per te ***



Capitolo 1
*** Un rifugio ***


Si stava bene.

Anche se era un giorno d’agosto, la dolce carezza del vento lo rendeva sopportabile.

In più, quel posto era fantastico. Il mio corpo appoggiato sull'erba morbida e quella rimanente che si muoveva al richiamo del vento, che smuoveva anche le foglie degli alberi.Il cinguettio degli uccellini era stupendo, così come i raggi solari che toccavano la pelle, regalandoti dei minuti di felicità e calore; il tutto equilibrato dall'armonioso cielo azzurro, con tanto di nuvole dalle forme più particolari che si muovevano lentamente, ma con passo deciso.

“Così fragili e così belle. Chissà, magari anche buone, dopotutto assomigliano allo zucchero filato.” Questo mi ripeteva sempre mio padre, quando tutte e due ci sdraiavamo su quel paradiso a contemplare le nuvole. Anche le stelle ci piacevano. Soprattutto ci piaceva pensare che loro c'erano sempre per noi: ovunque eravamo, potevamo rimanere uniti grazie ad esse.
“Se un giorno saremo distanti, alza gli occhi e osserva il cielo, giorno o notte che sia. Le dolci nuvole e le romantiche stelle ci uniranno per sempre.”
Si, anche questa era un'altra di quelle cose che il babbo mi ripeteva sempre e non ho mai smesso di crederci, anche allora che avevo sedici anni.

Quel posto, quell'immenso prato circondato dal bosco, era il nostro rifugio. Più tardi però, diventò solo mio.

Purtroppo un incidente portò via la vita di mio padre. Avevo sette anni quando successe. Fu uno shock per me, gli volevo un bene dell'anima ed era, oltre a una figura paterna, il mio migliore amico. Con lui condividevo ogni cosa e mi insegnò fin dal piccola tutto quello che sapeva sulla natura, noi che l'amavamo così tanto, se no non si spiegherebbe un trasloco in mezzo a tanto verde. 
Inoltre, ero abbastanza grande per non credere a storie come “Papà è partito, ma tornerà presto”, per non tornare mai più. Per questo motivo mi fu detto tutto fin da subito e mi rinchiusi in me stessa, portando una maschera di sorrisi per non far preoccupare la mamma.
In realtà, quella che più aveva bisogno di aiuto era lei: avrebbe dovuto trovare un lavoro in così poco tempo e con così poco preavviso, tra il dolore della perdita di suo marito. Non dimenticherò mai quelle sue notti insonni sul tavolo della cucina, tra i debiti e le mani fra i capelli, per poi dirmi: “Va tutto bene, non ti preoccupare: la mamma si prenderà cura di te”. 
Quello che in realtà non le ho mai confessato è che le vedevo benissimo le borse sotto gli occhi, anche con tutto il trucco per nasconderle e soprattutto notavo gli occhi rossi e gonfi per le lacrime versate la notte.
Perciò non potevo permettermi di lamentarmi o piangere: dovevo essere forte per appoggiarla; lei che stava facendo così tanto per me non meritava altre preoccupazioni e problemi. 
Fortunatamente poco dopo ci riprendemmo: la mamma trovò lavoro nel paese vicino e anch'io divenni una normale studentessa delle superiori, nello stesso paese.


Quel giorno mi stavo godendo più che mai il mio rifugio. Con me c'era anche il mio cane, Calzino. Lo chiamai così perché era marroncino con una macchia bianca nella zampa anteriore destra che sembrava, appunto, un calzino. Come se il nome non fosse abbastanza, a volte lo chiamavo “Pantofola” per la brutta abitudine di infilarsi dentro le pantofole della mamma che si infuriava parecchio nel ritrovarsi i peli dell'animale nei piedi. Io, ovviamente, morivo dalle risate.
Ricordo che nella mia mente giravano frasi come: “A sedici anni stai ancora a giocare?” oppure “Ormai sei grande! Smettila di oziare e dammi una mano!”
Io mi infuriavo parecchio: non poteva certo sapere cosa si provava senza prima averlo testato. Ah, le madri!
Una senzazione magnifica come la libertà, non la si può descrivere: bisogna viverla per capirla.
Inolte, quando la natura si impossessava di me, mi sembrava di avere accanto mio padre e questo mi rendeva così felice da poter superare ogni prova.


All'improvviso Calzino iniziò ad abbaiare energeticamente.
“Ehi, cosa ti prende Calzino? Sta buono!”
Sembrava come se ci fosse veramente qualcuno, ma per quanto io mi sforzassi per capire, riuscivo a vedere solo un cane che abbaiava al vuoto.
“Che ti prende?! La finisci?”
Ero incuriosita, ma anche spaventata. Magari c'era qualche serpente nell'erba alta: non erano rari.
Presi un grosso ramo dal terreno e iniziai a sbatterlo più forte che potevo, provocando delle vibrazioni che avrebbero fatto scappare il serpente, sempre se effettivamente c'era. Anche dopo “il piano anti – serpenti” Calzino non smise di abbaiare. Ma cosa accidenti aveva quel giorno?
Forse qualche ultrasuono l'aveva spaventato, ma era di più del solito spavento: anche con il suo pelo marroncino, riuscivo a vedere i suoi muscoli tesi, le orecchie, anch'esse ricoperte di peluria, restavano in alto, immobili e la sua figura se ne stava davanti a me, come se il suo obbiettivo era quello di proteggermi.
Inoltre, presi Calzino all'età di dieci anni, perciò conoscevo molto bene i suoi movimenti. Per qualche strano motivo, quando voleva difendermi da qualcuno o qualcosa, la sua zampetta bianca rimaneva leggermente alzata. Non ho mai capito il vero motivo, ma quelle erano le sue abitudini.

Non avevo più dubbi: mi stava difendendo da qualcuno. Ma … da chi?

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Capitolo 2
*** Spaventata ***


“Margaret! Su, vieni!”

“Margaret?!”

La mamma urlava sempre. Era un sua caratteristica.

“Ma dove diavolo si sarà cacciata?” -Pensava ad alta voce- “Non voleva aiutarmi a fare l'impasto per la pizza?”

Visto che le urla non furono utili, posò il sacchetto della farina e si pulì le mani sul suo grazioso grembiulino col bordino ricamato, avanzando verso le scale.

“Ora mi sente quella peste”

Ma restò a mani vuote: in camera non c'era nessuno.

Come consolazione però, trovò un'altra scusa per sgridarmi: il disordine.

La parete lilla era impreziosita dai mobili di un legno chiaro non molto pregiato. La lampada, al soffitto, era bianca con i bordi dipinti di oro e dava una luce fioca: chiesi io di averla così perché amavo quando l'atmosfera diventava leggera e magica, per così dire. Se desideravo illuminare la stanza per bene, mi bastava accendere il lume che alloggiava nella parte sinistra della mia scrivania. Essa era l'unico mobile di un legno più scuro, ma non troppo, perché era appoggiato alla parete bianca ben visibile appena varcata la porta, girando lo sguardo a destra.

Uno dei motivi principali del mio disordire era proprio la mia scrivania. Oltre ad utilizzarla per svolgere i compiti, passavo il mio tempo a disegnare. Perciò, oltre a foglietti e libri della scuola, l'occhio disperato di mamma cadeva su tutti gli strumenti come matite con vari tratti, quelle a carboncino, tempere, pennelli, pastelli ad acquarello, matite colorate, pastelli a cera, stilografiche, penne con punta di ogni dimensione, cartoncini colorati, tele e così via.

“Perché non le metti a posto?!”-Gridava lei.

Non lo facevo quasi mai perché sapevo benissimo che, una volta tornata dalla stancante e noiosa giornata scolastica, il mio pensiero principale sarebbe stato quello di realizzare qualche altra opera, o di finirne una già iniziata la sera prima. In inverno mi scordavo perfino di togliere il cappotto.

“Ma ti servono davvero tutte queste cose inutili?”-Continuava.

Non mi arrabbiavo perché in realtà sapevo quanto felice fosse nel vedermi così appassionata a qualcosa.

Infatti il disegno restava nella classifica dei preferiti, al secondo posto però: la natura batteva qualsiasi cosa.

“Basta avere una matita e dei pastelli, no? Quasi quasi mi sbarazzo di tutto”

E qui si che che partivano le minacce: “Non ci provare”- Il mio era un tono mooooolto provocatorio e così sapevo che le sue mani da “vedo e butto” non avrebbero mai intralciato l'amore fra me e i miei strumenti.

Però FORSE un po' aveva ragione: avrei dovuto sistemare.

Ma un altro dei pensieri snervanti della mamma era il letto. Aveva la base dello stesso legno chiaro e le coperte erano “ordinatamente” disordinate. Certo, perché qualsiasi cosa può diventare arte, no?

“Ma alla tua età non hai ancora imparato a sistemare il letto ogni mattina??!!”- E urlava ancora di più, e più urlava, più io sbuffavo.

“Ma mamma! Guarda il lato positivo!”- Mi difendevo.

A questa frase lei assumeva un'espressione molto annoiata e il suo sopracciglio destro si alzava sempre di più a ogni secondo di attesa per udire il mio tanto acclamato “lato positivo”.

Così, mi avvicinavo al letto e iniziavo a spiegare con gli occhi che brillavano: “Guarda anche tu. Osserva come stanno bene il leggero azzurro del lenzuolo e la coperta beige con le decorazioni blu. E poi, il tutto un po' stropicciato, come fosse carta e infine il cuscino bianco candido storto e spostato sulla destra.”

“Questa … è arte!”-Finivo il mio discorso, soddisfatta.

Ma a quanto pare una certa persona non era poi così entusiasta all'idea.

“E anche quel cumulo di vestiti è arte?”-Chiedeva in modo sarcastico, ma sempre con quel sopracciglio elevato.

“Ma certo!”

E partiva il castigo.

Quella volta però non ero in camera, per mia fortuna.

“Dove si sarà cacciata? E che disordine! Quando la trovo la sgrido per bene.”

La mamma scese le scale e iniziò a gironzolare per tutta la casa. Prima il bagno che si affacciava sulle scale; bussò, ma non rispose nessuno. Poi cercò in camera sua, ma anche qui non le rispose nemmeno il silenzio. Il salone era ben visibile ed era chiaro che non mi trovassi lì. L'ultima era la cucina, scontata perché proprio da lì partì la “caccia alla figlia”, ma controllò lo stesso per poi rimanere delusa.

Dove doveva cercarmi? Era ovvio. In mezzo alla natura.

Si mise le scarpe da ginnastica, quelle vecchiotte, perché sapeva di dover affrontare il grande nemico chiamato fango; si tolse il grembiulino e aprì la porta molto arrabbiata. Ormai l'impasto della pizza non esisteva più, mi stava cercando per il disordine!

Aveva appena iniziato ad attraversare il bosco che già tutti gli animali non ne potevano più delle sue lamentele: “Ma insomma. Guarda tutto questo fango e tutti questi legnetti lasciati per terra! Grazie ad essi stavo per morire poco fa.”

“E per non parlare di tutti questi rami curvi che mi vengono il faccia. Quando ritorno a casa devo imparare la danza del limbo!”-Continuava a lamentarsi sarcastica.

Ce ne sono molte altre, ma non le cito, perché fareste la fine dei poveri animali.

“Oh santo cielo! Devo cercarla su questa distesa enorme di erba? Alta per giunta?! Sto per svenire”

Poi però, si ricordò di calzino. Portavamo, sia io che lei, un fischietto a ultrasuoni per cani. Lo utilizzò, aspettò qualche minuto, ma non arrivò nessuno. Ripeté le medesime azioni, ma ebbe lo stesso risultato. Sconsolata, fece qualche passo e iniziò ad urlare il mio nome per più volte e sempre più forte ed iniziò a preoccuparsi.

Presa da questa emozione, si scordò tutte le sue lamentele e iniziò a setacciare tutta la distesa d'erba per trovarmi, ma il tempo passò e si fece sempre più buio, così da perdere ancor di più le mie tracce.

Tornò a casa e chiamò la polizia. Erano passate diverse ore dalla mia scomparsa, quindi poteva denunciarmi.

“Signora, ha per caso detto o fatto qualcosa che avrebbe potuto mettere in fuga sua figlia?”-Chiese un agente.

“No, non penso...”-Balbettava.

Poi, ci rifletté e in effetti qualcosa aveva combinato.

“Vuoi vedere che...? Ma si! Avrà sentito la mia conversazione al telefono con Luisa in cui dicevo di volermi trasferire!”

“Mi scusi?”-Chiese spiegazioni l'uomo.

“Vede agente, questo posto è immensamente importante per mia figlia e sentendo quella telefonata avrà protestato e forse è questo il suo modo di farlo.”

Poi si mise a piangere, colpevole.

Ma in realtà, non andò proprio così … la mia scomparsa era qualcosa di ben più strano!

 

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Capitolo 3
*** Tutto troppo in fretta! ***


Sobbalzai, spaventata, e caddi a terra, finendo con lo sporcare i miei nuovi jeans grigi.

Calzino rimaneva davanti ai miei piedi e lo fissai, per poi passare alle mie scarpe.

Blu, bianche e rosse, vecchie e malridotte, avrebbero dovuto esser cambiate. Mi stupii di come un pensiero così insignificante mi passò per la mente durante
la situazione assurda che si stava verificando. Mi ripresi.

“T-Tu chi sei?!”-Gridai spaventata.

Quel viso mi era del tutto nuovo. Aveva i capelli lunghi fino alla vita, lisci e biondo scuro. La ciocca che avrebbe dovuto servire da ciuffo o frangia, era raccolta indietro da un fiocco
rosa di un'esagerata misura, così da lasciare ben visibile la fronte. La carnagione era chiara, le labbra piccole e carnose e gli occhi verdi. Minuta e snella, portava in tutta
la sua leggerezza un vestitino del medesimo colore del fermaglio e con pochi dettagli bianco latte, con le cuciture rifinite dal merletto.

All'altezza del petto furono cuciti dei bottoncini, probabilmente solo per estetica, con ancora il merletto a far da padrone. Un nastro rosa di una sfumatura più scura le copriva la vita,
mostrando un altro fiocco dietro la schiena. Il vestito le copriva fino alle ginocchia, così da poter ammirare le belle gambe snelle. Come calzatura, delle ballerine bianche con poco tacco.

Nonostante il seno non troppo sviluppato e l'altezza poco sotto la media, le avrei dato di per certo sedici anni, la mia stessa età.

Cosa strana, portava un mantello blu scuro infeltrito e con mezzo dito di fango all'estremità inferiore, indumento che faceva a pugni con quell'abito da signorina. In realtà tutto
il “costume” era strano: sembrava un quadro antico, quasi provenisse da un'altra era o addirittura da un altro mondo. Di certo non avrei indossato quell'abito per andare al
supermercato, in mezzo a tanto verde e fango.

“Cosa ci fai tu qui? E come ci sei arrivata?!”-Le mie ora erano urla di pretese. I miei pensieri erano concentrati in un vortice di ipotesi e conlusioni troppo affrettate e
troppo strane per spiegare l'impossibile avvenimento. Com'era possibile che una ragazza si era materializzata dal nulla vicino a me? Molto probabilmente Calzino avvertì
la sua presenza, per questo iniziò ad abbaiare senza sosta ad un eventuale pericolo.

La ragazza aveva un viso adorabile. Le guance erano color albicocca e la luce del sole rifletteva sui suoi capelli, rendendoli ancora più belli.

Si guardò intorno seria, poi fermò lo sguardo su di me, tanto imbranata e sciatta in confronto a lei.

“Mi rispondi?”

“Vieni con me”-Disse in modo pacato.

“Cosa? Dove? Ma aspetta! Non hai risposto alla mia domanda!”-Risposi al suo ordine, confusa.

Fu in quel momento che desiderai di non aver mai parlato. Il suo viso adorabile, ora si era fatto ancora più serio. Il suo sguardo diventò profondo, non saprei dire se fosse triste,
ma di certo aveva gli occhi di qualcuno con esperienza alle spalle e con delle responsabilità, forse troppo pretensiose. Poi, chiuse gli occhi. Quando li riaprì sentii una
stretta al cuore, troppo forte.

“Per favore”

Il suo tono cambiò leggermente. Sempre serio, ma questa volta più ansioso e pietoso. Chissà perché, proprio in quell'istante avrei voluto abbracciarla, confortarla.
Si sentiva fin troppo bene il sentimento dietro alle sue parole, mi pregavano di aiutarla a sorreggere il suo masso perché troppo pesante per lei. Cosa dovevo fare?
Infondo era una sconosciuta e il mistero della sua comparsa “magica” restava comunque. Avrei dovuto fidarmi?

Mi alzai dal terreno. Ottimo: avevo tutti i pantaloni sporchi d'erba con macchie di fango qua e la. Ma lei non ci fece caso e anch'io in fondo ero troppo presa dalla situazione per arrabbiarmi.

“Dimmi almeno il tuo nome”-Le dissi.

“Lo prenderò come un sì”

Detto questo afferrò il mio polso di scatto e mi tirò a se. L'ultima cosa che ricordo è che cercai di prendere Calzino, ma i miei tentativi furono vani e persi
conoscenza fra le sue braccia.


 

Mi risvegliai, anche se non tanto lucida.

Me ne stavo, dolorante, sdraiata su un divanetto di velluto color panna con decorazioni cucite rappresentanti delle rose color magenta e con i manici in legno chiaro
ben lucidato e a prima vista costoso.

La carta da parati era ovunque ed era sicuramente elegante. Anche tutti gli altri mobili erano in un legno pregiato e lucidato a dovere, così come il parquet.
E poi, il lampadario: bianco avorio con le decorazioni in oro. Queste, sicuramente, erano in oro vero.

Era proprio il contrario dei miei mobili. I miei mobili? Già, dov'erano? Non era stato tutto un sogno?

Fu con questi pensieri che mi alzai di scatto, o almeno ci provai. Provavo un forte dolore ai muscoli, come quando svolgi due ore di ginnastica a scuola e non ci sei
più abituata perché le vacanze estive ti hanno indolenzito le ossa, rendendoti una bella pappamolle nella corsa.

Perciò decisi di risdraiarmi, delicatamente, e di rilassarmi un attimo. Strano, una ragazza si era materializzata davanti a me, ero svenuta dimenticando il povero Calzino,
mi trovavo sdraiata in un divano piena di dolori ed io ero ancora in grado di chiudere tranquillamente gli occhi? Molto strano.

Ad un certo punto la porta di spalancò, così come le mie palpebre. Rizzai immediatamente il busto, che dallo spavento non provò dolore, e osservai la scena ammutolita.

Tre uomini, una donna e la ragazza incontrata nel mio rifugio. Almeno vedevo un viso conoscente, per così dire.

I tre uomini erano vestiti alla stessa maniera: portavano un'armatura di ferro, a prima vista molto pesante, con alcuni punti coperti da un tessuto rosso.
Alla vita si poteva benissimo notare una cintura, con tanto di spada e ciò non era per niente rassicurante.

Uno di loro sbattè bruscamente le mani robuste sul tavolo di marmo posto davanti al divanetto, facendo rimbombare un forte suono.

“Avanti! Sputa il rospo! Sei tu la ragazza che cerchiamo, giusto?!”-Disse subito dopo la sua sceneggiata col tavolo.

Io, impaurita e del tutto ignorante alla piega che il discorso intraprese, ammutolii completamente, fissando quel goffo ometto. Robusto e basso, era caratterizzato dalla
lunga barba nera a trattri grigia e dal suo buffo modo di storcere il naso pretendendo delle risposte da parte mia.

“Su Gondo, così la spaventi”-Disse l'uomo affianco a lui, poggiandogli la mano sulla spalla.

Questo invece, era il contrario del così detto “Gondo”: alto e snello, aveva i capelli marroni, corti e lisci e la barba rasata. Si vedeva perfettamente la sua gioventù e
insicurezza nei movimenti. Probabilmente aveva poca esperienza nel suo lavoro.

“Ha ragione Leo, dovremmo prima farla calmare. Non vedi come è spaventata?”

Si aggiunse il terzo, anch'esso alto, con i capelli lunghi e biondi. Gli occhi azzurri definivano i tratti del suo viso e notai pure che era profondamente osservato dalla donna accanto.

Una bella donna, di sicuro. Capelli molto unghi e ondulati, color ruggine, raccolti accuratamente sulla nuca con dei fermagli, con delle ciocche lasciate cadere sulle spalle e sul viso.
Aveva dei bellissimi occhi verdi che mi ricordavano molto la mia distesa d'erba. Portava un vestito viola con tratti neri, molto elegante, lungo fino ai piedi, ma alla giusta lunghezza
per far notare le punte e il tacco degli stivali neri in pelle; gli accessori con pietre preziose chiudevano l'abbigliamento.
Era un pensiero strano, ma pensai che somigliasse a una … fata.

Dov'ero finita? In un film fantasy/storico?

La giovane donna fece qualche passo e si accomodò nel sofà, vicino a me. Aveva un bellissimo sorriso.

“Mi dispiace di averti staventato”-Si scusò.

“Io sono Clarence, piacere.”

Poi, indicò l'ometto con la barba e l'amico accanto.

“Loro sono Gondo e Leonardo, che chiamiamo più amichevolmente Leo.”

“Poi ...”-Si fermò un attimo. Capii che il turno spettava all'altro giovane uomo biondo. Lo guardava con'aria “strana”.

Lo indicò.

“Lui … è Edwin.”

Esitò.

“Mio fratello”

Silenziosa, pensai: “Le mie esperienze da investigatore di storie d'amore hanno fallito?”

“E infine ...”

Clarence guardò la bella ragazza dai capelli biondo scuro. Ora non portava più quel mantello blu sporco di fango.

“Lei è -” -Fu interrotta proprio dalla ragazza, che si presentò a suo modo.

“Mi chiamo Elisabeth Allyson Adelaide Caris Giselle Hortensia”

“Il mio cognome è Marsal Morrison. Anche se in realtà non ho detto il mio nome completo”-Concluse.

Mi scappò un “wow” con voce sottile. Cos'era? Una sorta di principessa? Ormai da secoli non si danno nomi così lunghi e il bello è che non aveva neppure finito di presentarsi!

“Ah, i miei più cari mi chiamano Luv. Significa “amore,tesoro”

Poi mi guardò con degli occhi crudeli e pieni di superiorità.

“Per. Te. Altezza”

Scandì anche le parole! Un brivido mi percosse la schiena. Era veramente una principessa, o cosa?!

Clarence si schiarì la voce e con voce gentile mi incuriosì:

“Tu ...”

Alzai il sopracciglio destro, forse era un'abitudine di famiglia, per invitarla a continuare.

“Tu, sai cantare?”-Chiese poi energetica.

“Cosa?”-Pensai- “Perché vogliono saperlo?!!”

“Sono stonatissima!”-Ripresi i miei pensieri con una faccia sorpresa e spaventata-”E se mi chiedono di cantare? No, Aiuto!”

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Capitolo 4
*** Il mio fiore preferito ***


Fin dai primi ricordi la musica ha sempre fatto parte della mia vita: l'amavo, così come la amo adesso.

Purtroppo però, la mia voce non era molto collaborativa e ogni volta che provavo a cantare uscivano fuori note troppo alte o troppo basse, fuori tempo e stonate come una campana. Forse è per questo che iniziai a disegnare, di più, sempre di più per dimostrare a chiunque e a me stessa, soprattutto, che sapevo fare qualcosa. Ma nonostante tutto non ero mai soddisfatta dei miei risultati. I miei quadri mi sembravano sempre non adatti e con qualcosa di perenne mancanza. E questo mi spingeva a darmi da fare ancor di più per riuscire a realizzare l'opera perfetta, ma sia la mia mente che la mia coscienza non sopportavano l'idea del vuoto dentro di me che non si colmava mai, anche con diecimila quadri.

“Ma come fai? Sei bravissima! Sei un genio, io non riuscirei mai a farlo!”-Queste frasi che si ripetevano e si contorcevano nella mia mente non riuscivano comunque a darmi pace.

“Hai un talento naturale!”

No, non era vero. Passavo intere giornate a disegnare, torturando la mia mentalità con l'idea di non essere mai veramente abbastanza. Perché... perché il disegno non mi dava soddisfazione? Eppure a detta degli altri ero “un'artista”, anche se a me non sembrava poi così vero.

Per risolvere la situazione, pensai e ripensai a cosa avessi sbagliato. Alla fine ricordai la mia passione per la musica, in dettaglio per il canto. Provai senza sosta, ma i risultati furono più che scarsi, perciò decisi di lasciar perdere una volta per tutte e di non pensarci più.

E quel giorno, tutti aspettavano con impazienza la risposta alla domanda: “Tu sai cantare?”.

Che dovevo fare? Non importava l'età: che fosse sedici o ottanta, mi disturbava comunque dover confessare loro il mio lavoro da campana della chiesa. Se mentivo e dicevo di sì, avrei dovuto dimostrarlo e la verità sarebbe comunque saltata fuori, anche se l'orologio avrebbe segnato a malapena due secondi che mi avrebbero pregato di non continuare.

Se dicevo no, sarebbe finito tutto lì, giusto? Anche se con enorme imbarazzo.

“P-perché v-volete saperlo?”-Balbettai imbarazzata.

“Ma cos'ha questa? E' balbuziente?”-Questo sicuramente stava pensando il grosso Gondo (a giudicare dall'espressione). Sempre se il termine “balbuziente” da loro esisteva. Non ne ero sicura, dopotutto mi trovavo in una specie di castello, con una principessa e con i suoi amici vestiti in maniera inusuale.

“Semplice curiosità”-Rispose gentilmente Clarence.

“Menomale”-Pensai-”Se non è niente di importante allora posso anche dire la verità.”

E così feci. Dissi loro di avere un'enorme passione per la musica, ma con scarse capacità vocali. Parlai pure del mio talento artistico, anche se non mi ha mai appagato come si deve.

Mi sentivo sollevata.

Con un sospiro chiusi gli occhi, quasi aspettando una loro reazione.

Silenzio. Lentamente, offuscando la mia vista, li riaprii.

Cosa stava succedendo? Perché la notizia della mia voce stava causando tanta tristezza?

Anzi, più che tristezza, dai loro occhi traspariva sconforto ed era come se la loro speranza si stesse affievolendo a poco a poco. Ma … speranza per cosa?

Luv- volevo dire “Sua Maestà” si riprese da quella espressione malinconica e con tono pacato mi disse testuali parole: “Fa niente. La prego di perdonare il nostro disturbo. Finché non potrà tornare a casa, usi pure le nostre camere.”

Che? Prima mi trattava come fossi spazzatura e poi dandomi del “lei”. Assolutamente fuori di testa o forse aveva semplicemente un ego assurdo.

Ma...

“Che vuol dire: “Finché non potrò tornare a casa?” Dove mi trovo? E come ha fatto “Sua. Maestà.” a materializzarsi vicino a me? E questa storia del canto?”-Continuavo a farfugliare domande una dietro l'altra, quasi incomprensibili. Però mantennero tutti un comportamento paziente.

“Ti spiegheremo tutto più tardi.”-Disse Clarence.

“Fino ad allora puoi riposare nella tua camera.”-Concluse.

Nella “mia” camera?

 

Successivamente Gondo e Leo mi guidarono verso la tanto attesa (solo da me) stanza. Questo vuol dire che già mi aspettavano? Erano tante le domande, anche se in quell'istante la mia curiosità era rivolta verso l'arredamento: come sarebbe stato il mio momentaneo, ci speravo, alloggio?

Con tutti quei pensieri in testa, non mi accorsi che intanto eravamo già arrivati alla porta.

Come il resto, era di un legno scuro pregiato e lucidato. Il pomello era rotondo e d'oro: non ero sicura della sua autenticità, ma di sicuro brillava e rifletteva come uno specchio.

Lentamente, insicura, tesi la mano e girai il pomo d'oro facendo rimbombare nella silenziosa situazione un bel “Clack” e la porta si aprì. Con grande curiosità mi affrettai ad affacciarmi, scrutando ogni minimo particolare. Meraviglioso.

Ora che avevo la conferma di non esser finita in una topaia (anche se forse non era questo il problema) entrai del tutto e iniziai a guardarmi intorno con l'espressione di una bambina meravigliata. Il tutto accompagnato da frenetici “Wow” e “Non ci posso credere!”

Sì: avrei dormito in un posto da favola con un letto gigantesco e ghirigoroso, con la natura dipinta sui quadri e con tanti mobili e comodità degni di una principessa (chissà, magari anche Luv aveva dormito in quella stanza).

Appoggiati i piedi a terra e ristabilita una sanità mentale, mi girai e tirai un sospiro di meraviglia e sollievo: c'era un balconcino con una vista spettacolare. Ne approfittai e avanzai verso di esso, mentre Leo e Gondo se ne andarono lasciandomi sola.

Fantastico. Mi appoggiai alla ringhiera del balcone. Il vento, dolce, passava tra i capelli e li accarezzava. Passava anche sui prati fioriti che portavano un odore quasi nauseante di polline, ma io c'ero abituata. Mi ricordava un po' il mio rifugio e senza che me ne accorgessi mi stavo già preoccupando.

Mia mamma stava bene? Mi stava cercando, preoccupata? E Calzino?

Poi, spinto dal vento, un fiorellino di quel grande prato si stacco e si andò a posare sulla mia spalla: era una margherita bianca. Era fantastica. Geometricamente perfetta e con un lavoro da svolgere all'interno della natura. Bella sotto ogni aspetto. L'odore di polline era fortissimo.

Dopo averla guardata a lungo, lasciai la presa del fiorellino che volò via, sempre più lontano e in alto.

“Torna a casa piccolina.”-Sussurrai al vento.

Dopotutto, la margherita si poteva definire un po' … il mio fiore preferito.

Perfino il mio nome mi legava a essa.

Ma chissà, forse quel posto rientrava nelle tante tappe del mio destino.

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Capitolo 5
*** La natura sta morendo ***



Aprii difficilmente gli occhi pesanti e assonnati. La bocca secca e la vista appannata erano veramente di disturbo, senza
dimenticare i muscoli molli e viziati dal materasso caldo e comodo. Inolte c'era la lucidità dei pensieri che si limitava a quanto 
fosse bello il cuscino.
Ci provaii, certo, ma proprio non riuscii ad alzarmi dal letto. Che ore erano? La fioca luce, che con gentilezza chiedeva il permesso di
poter trapassare il vetro, si posava poi sul mobiletto di legno accanto al letto. Qualche raggio mi andò anche in faccia, ma non mi spostai:
era piacevole e caldo. Ti faceva sentire vivo. Anche quando mi sdraiavo sull'erba con Calzino mi piaceva ricevere i caldi raggi del sole. 

*Toc Toc* 

Non importa il luogo o il tempo: la mattina c'è e ci sarà sempre qualcuno pronto a disturbare il tuo sonno beato,
ma ero ancora mezza addormentata per poter dire qualcosa. Perciò, iniziai a grugnire versi incomprensibili dannatamente scocciati, con 
un forte tocco di lamentela. 

*Toc Toc* 

A malavoglia misi al corrente il disturbatore/disturbatori che non volevo alzarmi (questa volta usando la voce).
Però, a quanto pare, non ebbi l'effetto sperato e quattro cameriere super allegre e sbriga-tutto
iniziarono a saltellare da un angolo all'altro della stanza.
Mi faceva venir da vomitare tanta energia e allegria al mattino. 
Che ora saranno state? Bho. So solo che avevo sonno e anche molto. 

Sentii qualcosa tirare il mio braccio e, con ancora gli occhi chiusi, mi ritrovai in piedi, in mezzo alla stanza, con una coperta di lana
che mi avvolgeva come un fagotto. Sembravo uno zombie che dormiva.

Una delle sbriga-tutto portò via i miei vestiti: "Ehi che stai facendo?!"-Le gridai nervosa,
ma aveva ormai varcato la porta e superato la mia soglia visiva. E io, tanto pigra e assonnata, non avevo certo voglia di
fare una scenata e correrle dietro per tutto il castello (sempre se lo era).

Poco importava, mi sarei arrangiata con-
"Cosa?! Devo mettere questo vestito?!! Ma scherziamo?!"
Non ero il tipo da merlettini, bottoncini, nastrini e chissà cos'altro. 
"No. Io. Non. Lo. Metto."

La cameriera che mi porgeva il vestito azzurrino era giovane e di bassa statura.
Mi guardava dal basso con due occhi verdi enormi (troppo enormi!) che ti travolgevano di dolcezza e pietà.
Continuava a fissami, ammutolita e sbattendo ripetitivamente le palpebre.
Mi stava corrompendo, o almeno cercava di farlo.

Ancora un po', ancora un "Ti prego" e avrei ceduto, costretta ad indossare quei merletti. 
Come andò a finire? Provate ad immaginarlo.
Mi porse delle scarpette bianche col tacchettino.
"Ah no, io queste non le metto proprio. Puoi restare fino a sta sera con quegli occhioni, ma io proprio non le metto."
Ero abituata con le comode scarpe da ginnastica: non potevo certo entrare nel bosco con i tacchi e di sicuro non erano comode per
correre nei prati, tra erba alta, fiori, fango, rami e ... Calzino! Figuriamoci se mettevo delle scarpe del genere per
rincorrerlo. E poi ero ben a conoscenza della sua abitudine affettuosa per le scarpe: mi avrebbe assalito, tutto sporco di terra.
No no, volevo le Mie scarpe, la Mia comodità e la Mia libertà di correre.

"Allora? Dove le avete messe?"-Chiesi rivolgendomi a tutte. 
"Cosa, signorina?"-Chiese la tappetta con gli occhioni verdi.

Signorina? Robe da pazzi.
 
"Le mie scarpe, cosa se no?"-Risposi.
"Ah, quelle cose indefinite, sporche, vecchie, bucate e brutte?"-Chiese, molto probabilmente in modo provocatorio,
la cameriera più anziana.
"Sì, proprio quelle!"-Gridai nervosamente.
"Buttate."-Disse in modo pacato la stessa cameriera.

Le ginocchia non ressero e caddi all'indietro sul letto. 
Buttate? Le mie bellissime (brutte), perfette (bucate), nuove (vecchie) e pulite (no, erano incrostate di fango) scarpe!
"Come farò adesso?!!"-Gridai esasperata.
Quella vecchia megera, era sua la colpa!

"Chi ti ha dato il permesso di buttarle?!"-Mi rivolsi alla "befana".
Lei si girò, con tanto di rugosa espressione annoiata e scocciata, e disse con lo stesso modo pacato: "Sua Altezza, la signorina Luv."
(Ma non si faceva chiamare Luv solo dagli amici?)
Ora ero totalmente esasperata e da ogni poro del mio corpo usciva ira.
"No, rivoglio indietro le mie scarpe. Ora mi sente!"
Velocemente, feci lo slalom fra le domestiche e mi avviai verso la porta arrabbiata più che mai.

"Ma non può uscire in pigiama!"-Gridò la più piccola.
Di tutta risposta: "Oh, si che posso!"
E così mi lasciai alle spalle il trio: la dolce e scrupolosa, l'anziana megera e la terza troppo "Fate voi, io non centro niente".
La quarta era sparita con i miei vestiti, ma prima o poi l'avrei trovata.

Percorrevo un corridoio che sembrava non finire mai, con troppe decorazioni per elencarle tutte. Ma il mio intento era 
cercare "Sua. Maestà." e quindi non mi soffermai a guardare estasiata quelle pareti e quel tetto cui la sua esistenza equivaleva
a sfamare un intero esercito di bambini poveri ed affamati. Ma probabilmente il lusso aveva distrutto un parte del cervello chiamata
"generosità". 
"Che sia in questo, che in un altro mondo, la differenza fra ricchi e poveri c'è e ci sarà sempre."-Questo pensai mentre correvo. 

Durante il percorso mi imbattei in un'altra cameriera di circa la mia età.
"Ehi tu."-Le dissi avvicinandomi.
Accidenti, l'avevo messa in soggezione.
"Sai dirmi dove si trova la "principessina viziata butta-scarpe altrui?" Allora?"
Con un'espressione spaventata e con una notevole dose di coraggio, mi rispose: "S-sta forse parlando di sua altezza?"
"Sì, proprio di lei. Sai dov'è?"
Riacquistò un po' di sicurezza e mi indicò la strada per il giardino perché probabilmente era lì che si nascondeva.
Ancora qualche minuto e, al posto di una principessa, ci sarebbe stata una poltiglia uniforme.

"Trovata!"-Pensai felice. 
Era seduta su una di quelle panchine bianche che dondolano.
"Ehi! Perché hai ordinato di far buttare le mie scarpe?!!"-Le gridai arrabbiata.
Nessuna reazione.
Se ne stava immobile e zitta, con la schiena diritta e il mento alzato. Sembrava in posa per un quadro e a malapena intravedevo
il movimento del respiro.
Mi dava sui nervi questo suo comportamento. Rischiavo seriamente di esplodere!
"Allora?! Perché non rispondi?!"

"Sta morendo."-Disse seria, fregandosene senza vergogna delle mie urla. 
Tacqui immediatamente e mi accomodai vicino a lei.

"Sentiamo. Cos'è più importante delle mie scarpe?"-Le chiesi ironicamente.
Ma non rise. Non rideva mai. Così seria e piena di disciplina, sembrava non godersi a pieno la gioventù.
Sì, lo pensai: sembrava un'adulta. Maturata troppo in fretta, rischiava seriamente di perdere tutte le gioie della vita.
La guardai per ricevere risposta.

"La natura"-finì la frase, senza distogliere lo sguardo diritto. 
Allora diressi il mio sguardo verso il suo punto di riferimento e con tanto di osservazione nei minimi dettagli, non riuscivo
a notare quella che lei definiva "la natura morta". Dov'è che stava morendo? 
"Ma che dici? Guarda che bella erba verde e che alberi grandi e alti. Ci sono perfino quelli da frutta, a giudicare dall'aspetto
sono sani e produrranno buonissimi frutti succosi. E poi guarda come ti sei data tanto da fare per curare questi bei fiori.
Non mi sembra un paesaggio con terreni brulli e aridi, alberi secchi e fiori inesistenti"-Spiegai.
"Sai cosa significa morta?"-Conclusi.

Chiuse gli occhi. Presumo che la stessi infastidendo: "Non solo devo condividere i miei pensieri con lei, ma è pure ottusa!"-Sicuramente
stava pensando ciò. Poco importava.
"Non è fuori che sta morendo, ma dentro."-Sapevo che quello era l'inizio di un lungo discorso che sicuramente non avrei capito.
Infatti dovetti chiedere spiegazioni fin da subito: "Non capisco. Cosa vuoi dire?"
"C'è poca energia, non possiamo andare avanti così."

Continuava a spiegare, ma più parlava, più non capivo. Natura morta, energia? Che paroloni si stava inventando?
"Senti"-Le dissi-"Se non volevi ridarmi le mie scarpe e ti serviva una scusa per dirmelo, è meglio che la smetti subito"
Stavo per alzarmi e lei mi fermò con un ordine, serio. Sapevo bene di rischiare la morte se il mio bel sederino decideva di
non stare seduto. E siccome sedici anni erano troppo pochi per morire, decisi di obbedire all'ordine.

"Vieni da un altro mondo, non puoi saperlo. Però mi sembra giusto darti delle spiegazioni per tutto il disturbo che ti abbiamo causato"-Disse,
stranamente con un tocco di miracolo, in modo gentile. 
"Forse però, è meglio fartelo vedere."
"E come intendi fare?"-Le chiesi incuriosita. Però ero anche un po' spaventata. Aveva sollevato un grande polverone sulla questione: 
e se era qualcosa di pericoloso? Oppure qualcosa di spaventoso? Chissà, ma la curiosità vinse su tutto e istintivamente la seguii.
"Dove mi porti?"
Senza girarsi, continuando a camminare con sicurezza e fierezza davanti a me, disse:
"Da nessuna parte con quel pigiama."

Pigiama? Ma di che cosa stava parlan- 
Abbassai la testa e arrossii per il mio abbigliamento. Non che mi causasse qualche problema, figuriamoci, 
ma davanti a una principessa è un po' fuori luogo.

Mi accompagnò in camera.  Lei sempre con il suo mento alto, io con la testa abbassata e le labbra morsicate per tutti
i pensieri stupidi che rischiavo di dire. 

"E' meglio se lo indossi, non credo tu abbia altra scelta."

La cosa più brutta e umiliante era che aveva ragione, così fui costretta ad indossarlo. Mi guardai allo specchio.
Era molto più semplice del vestito rosa che indossava Luv al nostro primo incontro, ma comunque era bello.
Azzurrino, con decorazioni bianche: bottoncini sul petto e nastro sulla vita, con un fiocco dietro. Menomale: non c'erano merletti.
Li odiavo davvero. Mi toccò anche indossare le "scarpettine col tacchettino tanto carino!" o così le chiamava la terza cameriera, quella:
"Fate voi, io non centro niente se non per dire stupidi commenti su stupide SCARPETTINE". Stavo odiando quella parola.
Comunque non era male: mi aspettavo di peggio. I capelli neri e lisci, due dita sotto la spalla, mi stavano bene con l'azzurrino del vestito.

"Non ti lamentare: il colore richiama anche i tuoi occhi."-Disse Luv.

Sì, anche se era un po' diverso: occhi color ghiaccio. Ne andavo molto fiera.
In effetti mi sono sempre chiesta da chi avessi preso: sia mamma che papà avevano
i capelli e gli occhi castani. Forse da qualche nonno? Chi lo sa. O forse da un parente ... sconosciuto? 
Beh, con la mia carnagione chiara (fin troppo) la mia trasformazione in zombie era
definitiva.

"Andiamo."-Mi ordinò la principessina.
Poi fece segno con la mano alle cameriere di ritirarsi.

"E dai, me lo vuoi dire dove andiamo?"-Le chiesi cercando di starle dietro: aveva il passo veloce, ma lo teneva comunque elegante:
figuriamoci se mai in vita sua avesse provato a correre. Guai! Si sarebbe scombinata i capelli e avrebbe sudato!

"Ho detto che volevo fartelo vedere, no?"-Rispose.

"Sì, certo. Ma cosa?"

"Non fare domande."-Disse seria e con il suo solito mento alzato, quasi irritante.
"Andiamo in città."

"Preparati."-Concluse.

Rabbrividii. Prepararmi?
Cosa mi aspettava in città? 

Io non ce la facevo più: le novità erano all'ordine del giorno e le stranezze dietro l'angolo. 
Stancante. Ma mi toccava arrangiarmi, dopotutto il modo per farmi tornare indietro era nelle loro mani. 

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Capitolo 6
*** La dea che canta ***


Carrozza. Davvero, non pensavo fosse così brutto viaggiarci. 
A ogni passo dei cavalli stavo male. Le strade poi non aiutavano di certo: viali infiniti di terra con buche e sassi enormi cui la
loro funzione era quella di farmi salire lo stomaco in gola, più volte. 
Non ne potevo più. Inoltre la principessina volle chiudere le tende per ripararsi dal sole: "Fa male alla pelle."-Disse.
Ma per favore! La luce fa male alla pelle? Allora io a quel tempo avrei dovuto essere già morta per tutti i raggi ricevuti.
Cosa assolutamente strana però era che non mi abbronzavo mai, anche con ventiquattrore di cucitura stesa sull'erba.

Luv chiuse gli occhi per una ventina di minuti, ma sempre restando diritta. 
Nemmeno per riposare si lasciava andare? Sembrava un gesso vivente.
Un grosso sasso la svegliò. 

Gradualmente i cavalli si fermarono e dopo qualche minuto il cocchiere venne ad aprire lo sportello di legno con le incisioni
pitturate di nero raffiguranti dei fiori stilizzati. 
"Prego signorine."-Disse.

Era un ragazzo. Alto, magro, abbastanza bello, ma conciato come un pinguino. Mi dispiaceva per lui!
Prima uscì sua altezza, poi io. 
Era già tanto che mi permise di salire con lei. 
Scesi dalla carrozza cercando di evitare una grossa pozzanghera: non potevo sporcare le "scarpettine tanto carine".
Luv fece segno al cocchiere di rimanere nei paraggi e con grande ansia (forse solo mia) ci avviammo a visitare la città.

Gli occhi della mia guida restavano fissi sulla via, tristi. Ogni tanto li chiudeva per alcuni secondi che sembravano interminabili.
Forse, non era proprio entusiasta di farmi vedere la città. Ma perché? 

Stavamo avanzando su una "sottospecie di marciapiede", decorato con tante foglie con sfumature diverse, dal rosso al giallino quasi verde,
appiccicate dalla pioggia come se gli alberi avessero voluto fare un collage. I rami erano sfogli, o quasi. 
Ogni tanto notavi delle gocce che con prepotenza cadevano nell'acqua sporca delle pozzanghere, formando dei cerchi sempre più
grandi, fino a scomparire. Il cielo color piombo finiva l'opera di tristezza. 

Poi mi ricordai com'erano i giardini a palazzo, ovvero veramente stupendi e molto curati. 
In città invece i fiori erano innominabili e l'erba la vedevi di rado, ma solo qualche ciuffetto e nulla di più.

Luv stava in silenzio. Io stavo in silenzio. Tutta la città sembrava stare in silenzio. Oltre al suono dei nostri tacchettini, non c'era altro. 
Ma quando tutto sembrava perduto, sentii le voci provenienti da una grande folla. Urlavano qualcosa in coro, ma non ne definivo le parole.

"Possiamo avvicinarci? Sono curiosa di sapere cosa sta succedendo."-Chiesi.
Luv, come al solito, non rispose ignorandomi del tutto. 
Però mi accontento. O forse era già in programma di andarci.

"Diva quibus canit! Diva quibus canit! Diva quibus canit!"-Le urla provenivano da una folla arrabbiata, con tanto di forconi e torce infuocate,
come si usava un tempo. 

"Cosa stanno facendo?!"-Chiesi agitata. 
Ma incredibilmente la principessa non mi ignorò e mi rispose.

"Acclamano la Diva quibus canit."-Disse.
Alla fine non avevo capito comunque.
La guardai male, come per darle della pazza. Lei, spazientita, non poté far altro che spiegarmi nel "modo comprensibile alle bambine" o 
così lo definiva lei. In parole povere mi stava dando della bambina (e anche della stupida).

"E' latino. Vuol dire "La dea che canta." Capito?"-Rispose.
Ma si, certo! Era tutto chiaro! 

"Non capisco."-Ribadii con voce pacata. Il mio rapporto col latino a quel tempo era pressappoco simile a cane e gatto. Non andavamo molto d'accordo.
Lei si girò a guardami. Incredibilmente non aveva uno sguardo arrabbiato o stufo. Alzò la testa e immobile si mise a guardare il cielo scuro. 

Spostò il suo piede destro un po' più in là per evitare una piccola pozzanghera su cui rifletteva la luce delle torce impugnate dai cittadini protestanti. 
"Sai"-Disse Luv con voce fioca, questa volta spostando lo sguardo triste sui suoi piedi. 
"Sai che mese è?"-Chiese più sicura.

Sì, lo sapevo bene. Era agosto. Infatti è così che risposi.
"E sai perché il tempo è così uggioso?"
Non dissi niente. Mi limitai ad aspettare una risposta.

"Ti racconterò una storia."-Disse seria e mi incuriosì.

Annuii in silenzio. 

"C'era una volta..."-Si interruppe-"Ma dai. Cosa siamo, bambine?"
Allora iniziò in un altro modo: "Fin dai tempi antichi questo mondo usufruiva di una forza divina per vivere."
"La dea che canta..."-sussurrai.
Luv mi guardò e continuò il suo raccontò: "Sì, è esatto. Fin dai tempi remoti esisteva questa "dea che canta", chiamata così perché il suo canto aveva poteri divini e miracolosi ed era
proprio lei che donava vita al mondo e alla natura."

Con un'espressione buffa mi chiese: "Sai come fanno gli alberi a crescere, le nuvole a formarsi..."
La interruppi: "So tutto della natura. Procedi pure."
Mi aveva presa per una bambina piccola? Sì.

Prima di ricominciare, però, mi dette l'ultima occhiata perplessa. "E va bene"-Disse. E riprese la sua incredibile storia.
"Sì, dunque ... era grazie alla dea se la natura cresceva rigogliosa. Ma la divinità non era immortale. Strano vero?"
Mentre parlava, guardavo estasiata.
"La prima dea di questo mondo rimase incinta e nell'arco della gestazione donò tutti i suoi poteri alla bimba che portava in grembo finché, al giorno della sua nascita, morì e la bambina nata 
sarebbe stata la prossima dea. E così per tutti gli anni a venire."

"Ho tre domande."-Affermai.
Mi guardò con lo sguardo di un'insegnante.

"Come fa a partorire da sola? Perché hai definito il suo bimbo direttamente di sesso femminile? E poi non capisco: se la dea è morta, lasciando solo una bambina piccola ... 
chi nel tempo della sua crescita avrebbe portato l'equilibrio nel mondo?"

"Vedo che sei stata attenta. Brava bambina."-Disse la principessina, dandomi delle pacche sulla testa. La odiavo quando mi prendeva in giro.

"Ti dimentichi che è una dea, cara Margaret. E poi ho direttamente parlato al femminile perché è così. La prima dea, ma anche le successive, hanno dato vita a una bambina. Per l'altro quesito, è semplice: da quel che
ci risulta i poteri di ogni dea si risvegliano compiuti sedici anni e nel tempo della sua crescita il potere della madre è così forte da poter resistere per questo lungo periodo."-Rispose gentilmente.

"Va bene, allora qual è il problema?"-Le chiesi. 
Luv ammutolì per pochi minuti.
"Sedici anni fa."-Affermò in modo pacato, con lo sguardo diretto verso i cittadini ancora agguerriti. 
Feci senno di continuare.

"L'ultima dea, sedici anni fa, si innamorò di un umano ed ebbe una figlia con lui."-Spiegò-"Era una cosa che non andava fatta. La bambina nata aveva comunque ereditato i poteri dalla madre, ma la figura 
paterna non voleva vedere la propria figlia andare incontro ad un destino così grande. Chiese pietà e l'ultima dea, prima di morire, aprì un passaggio che portava ad un altro mondo cosicché il 
suo amato e la sua bambina potessero scappare."

Sospirai, triste.
"Sono passati sedici anni e sei mesi da allora. La figlia sperduta ha acquistato i suoi poteri e quelli della madre sono svaniti.
Ecco perché questo mondo, in così poco tempo, è andato in rovina."-Concluse Luv preoccupata.
"E perché a palazzo è tutto così bello?"-Chiesi.
"Perché la dea si esibiva nei suoi canti proprio a palazzo e il suo potere è ancora nell'aria. In un certo senso è anche per questo che i cittadini protestano. Vorrebbero vivere a palazzo." 
Luv soddisfò la mia curiosità. 

"E voi state cercando la dea di sedici anni, vero? Ora tutto si spiega, anche la domanda che mi avete fatto!"-Dissi, FINALMENTE sollevata.
"Quale domanda?"-Chiese la principessa in preda ad un vuoto di memoria. 
"Se sapevo cantare."-Risposi.
"Ah, certo! E' da cinque mesi che grazie al passaggio della dea andiamo nel tuo mondo a "rapire" varie candidate, ma ormai abbiamo perso la speranza."-Spiegò Luv. 
"E non solo quella!"-Continuò-"Il potere è debolissimo e per aprire un altro passaggio ci serve molto tempo."

"In poche parole ..."
Trattenni il respiro per la preoccupazione.
"Non potrai tornare a casa per molto tempo."-Disse.

Le mie gambe stavano per cedere e avrei potuto svenire da un momento all'altro. 
Dopo cinque minuti non mi ero ancora ripresa e in preda al panico cercai di cambiar discorso, senza successo perché la prima cosa che mi venne in mente era: "Com'era la dea
di sedici anni fa?"

Luv rispose ben contenta: "Oh, io non l'ho vista perché ero nata da poco, ma Gondo mi ha raccontato che la sua bellezza era proprio come si immaginava: divina. 
Ma la cosa più affascinante era la sua voce. Bastava ascoltare anche pochi secondi di quella splendida melodia, che ti sentivi in paradiso. Il tuo cuore annegava nella tranquillità e la mente
si liberava di qualsiasi pensiero impuro. 
Bastava un piccolo sguardo per accecarti e solo la sua voce per innamorarti.  Gondo mi spiegò però che se la osservavi bene, aveva un'aria così sofferente e il suo volto si accendeva
solo accanto a quel bel giovane di cui si innamorò."

Era proprio vero:  il solo sentir parlare di lei mi calmò e mi riempì di gioia. E poi Luv raccontava della dea in un modo tanto dolce, come se l'avesse veramente conosciuta.
"E di aspetto fisico, invece?"-Chiesi entusiasta. 
"Aveva lunghissimi capelli neri e lisci, la pelle era chiarissima e gli occhi erano color ghiaccio. Si vestiva con una tunica bianca con decorazioni d'oro; collane, orecchini e bracciali d'oro 
la rendevano ancora più bella. Inoltre mi è stato raccontato che quando avveniva la magia del suo canto per la natura, lei si sollevava a mezz'aria, ricoperta da tante luci dal colore calmo.
In più le spuntavano magnifiche ali d'angelo con piume di un bianco purissimo e soffici come le nuvole."-Rispose, soddisfatta, Luv.

Rimasi incantata, ma nello stesso tempo scioccata.
Capelli neri e lisci, pelle chiara e occhi color ... ghiaccio?

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Capitolo 7
*** Il fazzoletto sporco di cera. ***


||Angolino di Mikan||

~Ciao! Prima di tutto ci tengo a ringraziare i lettori che mi seguono ancora adesso e che hanno recensito i miei capitoli.
I vostri consigli sono molto graditi e di grande aiuto e in più date la forza alla mia fantasia che deve esprimersi continuamente 
per scrivere qualcosa di buono per i capitoli settimanali. A proposito di questo ... mi scuso *si inginocchia penosamente* per i miei
continui ritardi. A volte ritardo di uno, due, tre giorni, altre volte di due settimane. E so che è anche fastidioso perché dopo questo
lungo periodo bisogna rileggere il capitolo precedente per ricordarsi la storia. Chiedo venia. *Si inginocchia nuovamente*.
Detto questo, spero di aver ricontrollato bene e di non aver fatto errori di battitura e/o grammatica. 
Inoltre credo proprio che ci saranno altri ||Angolini di Mikan|| in futuro, speriamo non per constatare quanto io sia in ritardo. 
Buona lettura! :)~


Erano arrivate delle guardie a gestire la rivolta.
Guardavo allibita.
Non era pericoloso per Luv? Se i cittadini l'avessero vista, lei non ne sarebbe sicuramente uscita indenne.
Infatti non fui l'unica a pensarlo: la folla avanzò avendola riconosciuta.
"Andiamo"-Disse e iniziò a correre tenendo il mio polso stretto. Faceva male.
"Ecco la carrozza!"-Gridai e ci avviammo il più veloce possibile verso il cocchiere che capì subito
la situazione. Mantenne i nervi saldi e, dopo esser salite, in un batter d'occhio i cavalli iniziarono a correre
come dei piloti di formula uno verso il palazzo. 
"L'abbiamo scampata per un pelo."-Dissi con il fiatone pesante.
"Già."-Annuì Luv, anche lei stanca.

Scampato il pericolo, la carrozza riprese gradualmente un'andatura normale. 
Il mal di pancia per il sentiero pieno di sassi iniziò a martellarmi, ma avevo troppi pensieri nella testa per lamentarmi.
Se non era per gli zoccoli dei cavalli, il silenzio avrebbe totalmente inghiottito quella scatola di legno con le ruote.

Ripensai all'aspetto fisico della dea che Luv mi descrisse. Era proprio come me! (Salvo per la lunghezza dei capelli).
"Dopotutto sono stata "rapita" da Luv, no? Un motivo ci sarà."-Pensai.
"Ma cosa penso! E' impossibile. Non sono io la dea!"-Gridai, per sbaglio. 
Sua altezza si limitò a spostare lo sguardo dal finestrino a me, per poi abbassare la testa in silenzio. 
Forse riusciva a cogliere il significato di ogni mia espressione e a capire i miei pensieri.
Era comprensibile, penso.


La carrozza si fermò di colpo. Guardai dal vetro appannato e notai che non eravamo arrivate a destinazione.
Luv chiese spiegazioni al cocchiere che intanto venne ad aprirci.
"Cos'è successo?"-Chiese la principessa con fermezza.
"C'è una bambina in mezzo alla strada che piange disperata. Cosa devo fare altezza?"-Rispose il ragazzo.
Cosa deve fare? Ma è ovvio no? Non c'è nemmeno bisogno di chiedere!

Luv ci pensò a lungo e prima che potesse aprir bocca, io stavo già consolando quella bambina.
Era adorabile: i suoi capelli erano color biondo cenere, leggermente mossi alla spalla. Aveva due magnifici occhioni verdi e
portava un grazioso vestitino bianco. Il viso era come quello di un angioletto, ma purtroppo nascosto da un'espressione triste
e da goccioloni che le scendevano nelle guance arrossate.
Piegai leggermente le gambe e misi le mani sopra le cosce per poter parlare alla sua altezza.
"Ehi, piccola che succede? Ti sei persa?"-Le chiesi.
Non mi rispose, ma il suo pianto sembrava star passando. 
"Come ti chiami?"-Chiesi nuovamente, ma in modo più dolce.
"Eli.."-Disse con voce sottile.
"Non ho capito, puoi ripetere?"
"E-elisa"-Rispose la bambina balbettando. 
"Bene Elisa, sai dirmi come sei finita qui? Dove sono i tuoi genitori?"-Domandai con voce dolce e sensibile.
In questi casi bisogna essere delicati. 
Elisa non piangeva più, ma faticava ancora a parlare per i tipici singhiozzi che seguono il pianto.
"I-io non lo so"-Disse e ricominciò a piangere forte di prima. Mi si stringeva il cuore a vederla così.

Intanto non mi accorsi che la principessa si trovava alle mie spalle con un intento omicida. Che avevo fatto di male non lo so.
"Allora Erica..."-Disse Luv.
"Si chiama Elisa. Non ci senti?"-La interruppi con sguardo di sfida.
"Sì, quello che è."-Rispose lei seccata-"Allora, ELISA, dove sono i tuoi genitori?"
Certe volte mi pareva di non percepire nemmeno un singolo tocco di sensibilità nelle sue parole. 
Perché Luv si comportava sempre così?
Oltre che molto irascibile e insensibile, era sempre attenta e responsabile. Non faceva mai una pausa. Come mai? 
Forse perché la responsabilità di essere una reale comportava grande impegno. 

"Senti"-Mi rivolsi a Luv-"Posso farti una domanda?"
"Me l'hai già fatta."-Rispose. 
Penso di aver sentito questa battuta un miliardo di volte.
"Fa niente la faccio lo stesso."-Affermai, guardandola seria.
I miei occhi si appiccicarono a quelli di Luv e viceversa.
Voleva dirmi di continuare. Era raro poterle fare una domanda. Rispondeva solo se non la reputava sciocca. E quella volta,
probabilmente, capii che ero seria.
"Rispondi"-Dissi-"Tu hai i genitori?"

Continuò a fissarmi. Poi, spostò lo sguardo verso la bambina che intanto smise di piangere. 
"No. Sono morti da qualche anno."-Rispose, semplicemente. 
Mi soffermai sulla sua risposta. Sudai freddo. E quel giorno capii: mi trovavo davanti ad una principessa sedicenne senza genitori; l'energia della dea si stava velocemente affievolendo, così come il regno che stava morendo. E piano piano il suo
destino si stava sgretolando. Tutto questo per una singola persona, è orribile. Per di più così giovane.
Non potevo nemmeno avvicinarmi ai veri sentimenti di pressione, preoccupazione e responsabilità che provava Luv. 
Mi decisi: da quel momento in poi avrei aiutato la principessina a portare quell'enorme peso sulle spalle. Lo giurai!

"Che fai? Vuoi rimanere in mezzo alla strada?!"-Mi gridò Luv dalla carrozza. 
Con tutti quei pensieri poetici mi imbambolai. 
"Si vengo!"-Le gridai altrettanto, sbrigandomi ad entrare e a prender posto. Elisa sedeva davanti a me.
"Ti sei calmata?"-Le chiesi dolcemente.
"Sì!"-Mi sorrise calorosamente. Che bello, aveva proprio un viso da angioletto. 

Il viaggio fu, come sempre, orribile (solo per me a dir la verità. Gli altri sembravano ormai abituati). 
Portammo la bambina al castello con noi perché, con una serie di insensibili minacce, Luv riuscì finalmente a decifrare tutti i 
balbettii della povera bambina e capii che era figlia di una dama di corte. 
Ebbene, tutti erano indaffarati nella ricerca della sua cara mamma. 
Io non conoscevo molto bene il castello (cioè non sapevo minimamente in che muro sbattere la testa) e provai ad entrare in tutte le porte  che vedevo, infatti in molte di esse mi son beccata una sgridata o, peggio ancora, un ceffone da parte di qualche fanciulla troppo viziata. Bastava mandarmi via non troppo duramente. Che maleducazione! (Anche se ero io in torto).

Vidi una porta bianca con un pomello di legno nero; la pittura in certi punti non c'era più. Invece nella porta erano presenti
scaglie appuntite, alcune anche abbastanza grosse, molto pericolose. Rispetto a quello porta vecchia e malridotta, tutto il resto sembrava risplendere. 
Per questo quella pecora nera nel gregge bianco mi incuriosì. Cosa ci poteva mai essere dentro? 
Appoggiai il palmo della mano nel pomello scuro e con un scatto veloce lo aprii. Le cose troppo lente mettevano ancora più paura.
La luce nella stanza era poca. C'era una sola e piccola finestra, chiusa con delle assi di legno fissati con dei chiodi e ciò lasciava passare solo pochi fasci stretti di luce in cui potevi intravedere le piccole palline di polvere che svolazzavano leggere. 
C'erano ragnatele in tutti gli angoli dei muri, le due poltrone erano inutili in quanto tutte e due rotte e con il cuoio strappato. 
La libreria non aveva quasi più libri e in quelli presenti la polvere riposava su ogni singola pagina e le copertine sembravano
far la muffa. Notai un tavolino, a destra della stanza, nascosto dietro la vecchia poltrona. Sopra di esso vi era un piccolo vasino
di vetro (quello che ne rimaneva) e dentro infilata non accuratamente una candela. Mi avvicinai. 
Molte gocce di cera ricoprivano il legno  scuro del tavolino. Le toccai: erano ancora calde.
Qualcuno era entrato e aveva acceso la candela da poco, infatti sentii anche il pizzicore al naso che 
mi veniva ogni qualvolta c'era del fumo. 

"Non conosco questo castello. Non sono affari miei se qualcuno usa questa stanza."-Dissi e mi girai per ritornare alla porta, aprirla e cercare la mamma di Elisa dimenticando tutto. 

Spalancai la porta. Sentii tirarmi con forza e prepotenza: qualcuno mi bloccò e i miei tentativi di scappare furono vani.
Mi ritrovai un fazzoletto appoggiato al naso, sporco di cera.
Sapevo bene in che situazione mi cacciai infatti, dopo pochi minuti passati a cercare di liberarmi da quella presa di ferro, la vista mi si appannò e senza rendermene conto persi conoscenza.

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Capitolo 8
*** "Non avrò vissuto invano." ***


Sentii delle voci. Aprii gli occhi ma vidi solo il buio. L'aria era pesante e respiravo a fatica. Cercai una via d'uscita, un fascio di luce, ma trovai
solo del tessuto ruvido, probabilmente un sacco.

"Allora? Cosa ci facciamo?"-Parlò una voce maschile, piuttosto bassa.
"Cosa facciamo?! Ancora non l'hai capito, stupido?!"-Tuonò un'altra voce anonima, questa volta più acuta-"E' la dea! Vale una fortuna!"

Avevo sentito bene? Cercavano la dea? No ... credevano che io fossi la dea!
"In che senso?"-Chiese la voce bassa. 
Da quei pochi minuti di discussione capii che aveva veramente poco sale in zucca. 
"Ma devo sempre spiegarti tutto?!"-Urlò il secondo-"L'abbiamo rapita, facciamo aspettare un po' di tempo e la riconsegniamo!"
"E questo dovrebbe portarci soldi?"
Sentii un rumore. Sicuramente era un pugno.
"Sua altezza ci ripagherà!"-Spiegò il più "intelligente". 

L'aria si faceva sempre più pesante e si moriva di caldo. Mi dimenai e non poco per cercare di uscire. I due se ne accorsero e velocemente mi aprirono.
Penso che volessero una "dea" viva. Purtroppo si sbagliarono, io non ero la dea e mai lo sarei stata. Era impossibile e inconcepibile da pensare.
Non sapevo nemmeno cantare! L'unica cosa che mi riusciva bene era il disegno e non ero nemmeno molto soddisfatta da esso. 
Poveretti, presero un granchio bello grosso!

Uscita dal sacco potevo guardarli dritto negli occhi, coloro che son capaci di rapire una ragazza per i loro scopi.
Uno era alto e muscoloso, capelli rasati quasi a zero ed espressione da falso cattivo. In pratica era lo stupido di turno che si faceva comandare
a bacchetta dall'amico e non sapeva nemmeno fare una faccia maligna. Stupido e buono. Capii che il vocione basso proveniva da lui. Era a petto nudo,
per far notare il suo armadio muscoloso (in qualche modo doveva ricompensare il cervello), ma portava dei pantaloni di tela lisa stretti alla vita con un laccio blu. 

L'altro era anch'esso alto, striminzito e poco nutrito, i capelli biondi chiari, alternati a quelli grigi, si raccoglievano in una specie di coda sopra le spalle.
Portava una lunga tunica blu e nera. 

"Se stai buona non ti faremo del male!"-Mi disse lo stecchino-"Ora noi andiamo a risolvere qualche problemino. Tu fai la brava, ok?"
Il suo tono di voce era simile a quello usato con i bambini, ma notavo una nota di ironia.
Tutti e due uscirono e chiusero la porta a chiave e il rumore dei loro passi nel legno scricchiolante poco a poco scomparì.
Non mi avevano legata ad una sedia o messo un fazzoletto in bocca: ero semplicemente chiusa a chiave. Che stupidi.
Mi guardai intorno. La stanza era un po' come tutte le altre: ormai ero abituata al lusso del castello. Non c'erano finestre. 
Sospirai: "Fa niente, proverò in un altro modo."
Mi alzai e con calma pulii il mio vestito dalla polvere. Inquadrai un tavolino di legno bello duro; contai fino a tre, lo caricai sulla spalla e mi scagliai
con forza verso la porta che cedette dopo due tentativi, cadendo rumorosamente a terra. "Ecco fatto."-Dissi e soddisfatta posai il tavolino dove l'avevo trovato.

"Ed ora?"-Mi chiesi perplessa. Mi voltai: il corridoio e le camere sembravano non finire mai. "Da che parte andare?"-Pensai sospirando. 
Staccai il braccialetto dal polso: aveva una perlina metà arancione e metà blu. La lanciai come si fa con le monete. "Se esce arancione vado a sud, se esce blu
a nord." Il braccialetto volò velocemente in aria e dopo qualche piroetta cadde mostrando una bella perlina blu. E mi incamminai verso nord. 
Mi sentivo un po' come se fossi sperduta in un bosco, con la differenza che al posto degli alberi c'erano pareti e porte luccicanti. E inoltre in una selva me la
sarei cavata anche meglio. Ridacchiai da sola e pensai: "Viva i boschi."




Era da circa mezzora che camminavo senza sosta. Il castello non finiva mai? Forse avevo sbagliato direzione. Il mio intento principale, oltre a trovare Luv per 
raccontarle dei due malviventi che mi avevano rapita, era quello di trovare la mia stanza.

Incontrai una cameriera molto giovane. "Ehm, scusa! Sai dirmi dov'è la mia camera?"-Le chiesi.
"Mi scusi signorina, ma se non l'ha notato da sola ci sono molte stanze. Sarei lieta di aiutarla, ma mi dia un indizio.-Rispose.
Mi mise totalmente in difficoltà. Cominciai a pensare profondamente, tanto che le mie rughe fecero un festino. 
"Ah, già! La parete davanti alla porta era pitturata. Se non sbaglio raffigurava ... degli angeli."-Dissi. 
L'espressione della ragazza cambiò: anche lei era in difficoltà.
"Questo castello è pieno di decorazioni del genere."
Sospirai tristemente.
"Però"-Riprese la domestica-"So di per certo che le pareti pitturate sono nella direzione opposta."
"Grazie mille braccialetto."-Pensai. 
"Va bene."-Mi rivolsi a lei-"E' già qualcosa. Te ne sono grata!"
"Prego."-Rispose. 
La guardai l'ultima volta e con un gesto di saluto me la lasciai alle spalle. 

Superai la porta dove precedentemente mi imprigionarono. Avanzai per la stessa direzione per alcuni minuti quando all'improvviso la luce del sole mi abbagliò ed
istintivamente mi portai la mano agli occhi per proteggerli. Dopo un po' la spostai lentamente e rimasi incantata. La parete si interrompeva per lasciar spazio
ad un magnifico peristilio di colonne di marmo che delimitavano un giardino meraviglioso. Al centro di esso, per la meraviglia dei miei occhi, vi era una fontana con
in mezzo una statua di pietra raffigurante un angioletto. I roveti con le rose bianche e rosse circondavano con prepotenza il giardino e le api passavo 
da fiore in fiore in cerca di cibo come dei rabdomanti.
L'edera si contorceva fra i pali di un portico di legno a destra del giardino. A sinistra invece, un piccolo stagno faceva il suo ingresso con tanti insetti 
pattinatori sopra di esso. Lasciai il pavimento fatto di graniglia del palazzo e mi inoltrai nell'erba tagliata. 

C'era tutto: i raggi del sole che picchiavano sulla testa e nel collo scoperto, il vento che rendeva sopportabile il calore e scombinava i capelli,
l'odore di erba tagliata e di polline e il ronzio degli insetti, grandi lavoratori instancabili. Mi sentivo a casa. 
Mi lasciai trasportare dalle emozioni: salii su una grossa pietra e lentamente portai le braccia alla posizione del volo. Chiusi gli occhi.

"If I may avoid
a heart to break
I shall not live in vain
If I can ease the pain of a lifetime
or one penalty
or help one bird
to find the nest
I shall not live in vain."


Le labbra si muovevano da sole e la voce che fino a quel momento rompeva le campane, ora portava pace e tranquillità. Ero così felice che non trattenni le lacrime. 
Ancora, ancora e ancora. Volevo cantare ancora. Sentii una stretta al cuore e una forte fitta che mi martellava lo stomaco. La testa mi girava, ma mantenni la stessa posizione.
La melodia si conficcò in testa e iniziò a girare per tutto il corpo. Le lacrime, silenziose, arrossavano la mia pelle chiara. "Io amo la musica! Io amo cantare!"-Urlai e il vento trasportò via queste mie parole. Piansi penosamente, come una bambina. Le parole cantate si mescolavano alle gocce salate che purificavano il mio animo e ogni minima ansia.

"Sai papà?"-Dissi con la voce tremolante e il collo bagnato-"Ho trovato qualcosa di soddisfacente. Ho trovato la strada da seguire, ho scoperto il mio destino."
"Questo però"-Continuai asciugandomi il viso-"Non lo deve sapere nessuno. Sarà un segreto fra me e te, va bene babbo? Come hai vecchi tempi."
"Perché papà ... io non voglio una responsabilità così grande. Dovresti saperlo, no? Io sono una semplice."
Ricominciai a piangere. "E tu mi vuoi bene anche così, non è vero? Anche se rifiuto di essere una dea, giusto papà?"
Osservai con gli occhi appannati l'orizzonte che ormai era diventato color ocra.

Mi odiai profondamente. Giurai di aiutare Luv a portare il masso che abitava nel cuore, ma evidentemente ero troppo egoista per farlo. Non potevo e non volevo accettare tutta quella responsabilità. Non volevo morire tra un paio di ali d'angelo e tra melodie magiche.
Però avevo trovato finalmente qualcosa che colmava le mie parti mancanti e mi completava. 
Cosa dovevo fare? Questo, in cuor mio, lo chiesi più di una volta a papà. Se fosse stato ancora vivo, mi avrebbe risposto sicuramente con un sorriso.

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Continua ...         
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Capitolo 9
*** Quel cielo color ocra ***


Strinsi le mani al petto. Il cuore mi batteva forte, tanto da far male. 
I pensieri confusi mandavano in tilt ogni parte del mio cervello.
Ero un'esplosione di emozioni diverse che non decifravo.

Mi voltai verso il giardino. Ogni piccola sensazione mi svolazzò in mente come un vecchio film in bianco e nero. 
Rabbrividii. Faceva freddo, ma in realtà sapevo bene che la sensazione era dovuta ad altro.
Cosa avrei fatto da quel momento in poi? Avevo avuto sospetti, ma non credevo che si sarebbero avverati. Era un incubo.
Ma perché? Cosa spingeva il destino a prendersi gioco di me? Per sedici lunghi anni non ricevetti nessun segno della mia probabile discendenza da una dea. E poi non sapevo cantare! 
Strofinai gli occhi.
"Forse è tutto un brutto sogno che finirà presto."-Dissi. Ma sapevo bene che era la tipica frase per incoraggiarsi e che alla fine i pizzicotti parlavano da se. Era la realtà. 
La mente si annebbiò di pensieri, questa volta, ansiosi e il cuore quasi si fermò come per aspettare una mia risposta. Ma non avevo una risposta. Non sapevo in che muro sbattere la testa. 
La mia pacifica vita era stata totalmente destabilizzata. Non ne potevo più. Non riuscivo più a trattenere questo mio stato di subbuglio.
Iniziai a pensare che se ero veramente la dea, avrei dovuto dirlo a Luv. Quello stesso pomeriggio giurai di aiutarla. Dovevo mantenere la promessa, ma qualcosa me lo impediva.
Ripensai al racconto della principessa: ogni dea si manifestava all'età di sedici anni e i poteri della madre scomparivano. 
"Quando ho compiuto sedici anni?"-Pensai-"Sei mesi fa."
"E la città da quando ha iniziato ad andare in rovina?" "Da sei mesi."
E queste non erano semplici coincidenze.
Fin da piccola fui sempre stonata. Perché di colpo sprigionai il mio talento?
Non c'erano altre spiegazioni se non pensare che quelli fossero i miei poteri, finalmente sprigionati al mio compleanno. Perché non me ne ero accorta prima? Semplicemente smisi di cantare
all'età di dieci anni per la troppa delusione. Se avessi saputo che dei poteri da dea mi sarebbero stati donati al mio compleanno, non avrei fatto altro che cantare. Però l'ho scoperto tardi.

Il cielo color ocra si era ben presto trasformato in un bel blu. Si era fatto tardi e non avevo ancora trovato Luv per spiegare il motivo della mia assenza. La prima parte, ovvio. Non avrei mai
spifferato una sola parola di ciò che ero successo poco prima in quel giardino. Nessuno doveva sapere il mio segreto. Le mie gambe erano deboli e tremavano, chissà perché. Forse avevo fame.
Riconobbi le decorazioni pittate nelle pareti che portavano alla mia camera. Felice mi misi a correre per raggiungerla. Mi ci volle molto tempo per orientarmi, ma alla fine ne uscii vincitrice.
Ed è proprio dentro al mio alloggio che trovai Sua Altezza. Era di spalle, girata verso la grande finestra bianca. Ero felicissima di averla trovata. Ma quando si girò facendo incontrare il suo
sguardo al mio, un vortice di emozioni mi travolse, tra cui anche i sensi di colpa. Mi sentivo da schifo, come se la causa della rovina di Luv fossi io. Tremai. In effetti era proprio mia la colpa.
Possedevo dei poteri così grandi, per l'esattezza quelli per proprio cercava la principessa. Eppure ... non aiutavo. Pensavo solo a me e al mio desiderio di non soffrire. 

Luv rimase in silenzio, a fissarmi. Poi si girò di nuovo a guardare fuori dalla finestra. 
Nel frattempo entrò con grande vivacità la bambina del pomeriggio. 
"Margaret ti stavamo cercando!"-Urlò felice Elisa e strinse forte le mie gambe.
Spostai lo sguardo dalla bambina alla porta che venne aperta da un'alta signora bruna. Aveva il viso segnato dal tempo, ma le rughe non le impedivano di essere ancora fiera e bella. 
"Mamma! Questa è Margaret, la ragazza di cui ti ho parlato!"-Gridò Elisa, felicemente. 
La madre accennò un sì, piegando leggermente la testa per inquadrare meglio la figlia. 
Mi scusai per la mia maleducazione e mi presentai a dovere. 
Anche lei lo fece: "Piacere, penso tu abbia capito che sono la madre di quella piccola peste."
Elisa fece la linguaccia. 
"Niente cordialità, per favore. Chiamami Sofia."
"Elisa."-Dissi-"Ti avevo promesso di aiutarti nelle ricerche. Perdonami."-Mi scusai.
"Fa niente!"-Mi rispose calorosamente. E cercò l'approvazione della madre nei suoi occhi. 

"Dove sei stata?"-Mi chiese alzandosi Luv.
Mi tornarono in mente i due volti dei rapitori e un colpo d'ira mi travolse. Se li acciuffavo ...!
"Siccome mi ero persa, cercai in tutte le stanze che vedevo"-Iniziai a raccontare-"Poi trovai una porta bianca che suscitò la mia curiosità ed entrai per dare un'occhiata."
"Quando stavo per uscire ed andarmene qualcuno mi ha bloccato e sono svenuta. Mi sono ritrovata in un sacco e..."
Non ho potuto finire il racconto che Luv mi interruppe dicendo: "Ma sei sicura di non aver sbattuto la testa?" 
Mi guardò buffamente. 
"No. Stammi a sentire piuttosto. E' una cosa seria!"-Le dissi seccata.
"Va bene, va bene. Continua pure."
"I due rapitori volevano riconsegnarmi alla principessa, passando per degli "eroi". Pensavano che sarebbero stati ricompensati."-Spiegai.
La madre di Elisa fece qualche passo avanti e mi chiese: "Perché?"
Mi bloccai. Perché i due rapitori mi ritenevano importante? Ah, giusto. Perché credevano fossi la dea. Ed in effetti lo ero. 
"Non lo so."-Risposi. Che bugiarda che ero diventata. Ripudiavo me stessa per questo. 

"In ogni caso l'importante è che tu adesso sia sana e salva."-Mi consolò Sofia. 
Accennai e ringraziai.
Qualcuno bussò la porta. Senza aspettar risposta la figura snella di Clarence avanzò frettolosa e preoccupata verso di me.
Probabilmente la mia scomparsa deve aver coinvolto tutti.
"Ti sei fatta male? Dove sei stata? Stai bene? Che ti è successo?" 
La calmai e le raccontai tutto.

"Capisco. Ora è tutto finito."-Mi consolò Clarence.
"Grazie."
"Ma non sai dove sono andati?"-Chiese Sofia.
"No, mi dispiace. Mi avevano detto di rimanere nella stanza e che dovevano sbrigare delle faccende"-Spiegai-"Non so di che tipo però."
"Sicuramente non da lodare."-Si aggiunse Luv in modo ironico. 
"Questo è sicuro."-La assecondai. 

"Io non capisco comunque."-Affermò perplessa Clarence-"Perché ti ritenevano tanto importante per Luv?"
Ma perché dovevano tutti chiedermelo? 
"Forse perché credevano fossi un'amica di Luv e lei, tanto preoccupata, sarebbe venuta a cercarmi."-Spiegai stropicciandomi il vestito per il nervosismo di mentire.
"Io amica di questo essere non identificato? Come potrei mai essere in confidenza con una scimmia? Che stupidi rapitori!"-Disse con uno sguardo di sfida.
E detto questo cadde in una grossa risata finta ... da oca. 
"Oh, oh. Hai proprio ragione. Che stupidi rapitori! Come potrei mai essere amica di un'oca marcia?"-Le risposi a tono. 
Mi fulminò con gli occhi.
"Di sicuro assomigli al tuo animale domestico. Cane."-Mi disse. Ma questa volta aveva un tono più offensivo.
"Come ti permetti di insultare Calzino?!"-Le gridai contro. 
"Insultare il tuo cane? Io? Ho insultato te, mica lui. E che diavolo di nome è Calzino?"
Aveva superato ogni limite. Diventai rossa come un peperone, lasciai cadere le braccia e strinsi i pugni. 
Calzino non dovevano nemmeno nominarlo. Lui era il mio migliore amico che colmava l'assenza di papà. Era come insultare una parte della mia vita. 

Rilassai le mani. I pugni mi lasciarono le impronte arrossate delle unghie sul palmo. 
Presi fiato e sia il mio colorito che la mia espressione si stabilizzarono. 
"Sai Luv."-Dissi calma, alzando lo sguardo verso la sua figura snella-"Non ti conviene comportarti così con me."
Lei alzò il sopracciglio, incrociò le braccia e iniziò a sbattere ripetitivamente il piede destro. Non so se fosse arrabbiata oppure in attesa. 
"Cosa vorresti dire?"-Mi chiese acida.
E intanto nessuno cercava di intromettersi fra di noi. 
"Oh, no. Niente di che. Ti sto solo avvisando."
"Si sa. Uomo avvisato, mezzo salvato."-Conclusi ironica.
"Sei tu quella che dovrebbe portarmi rispetto. Se voglio posso anche decidere di buttarti in prigione"-Rispose alla provocazione Luv-"O peggio ... posso anche decidere di non
aprire il portale per te. E sai che significa? Che non vedrai mai più il tuo bel cagnolino."
Ghignò soddisfatta.
Ma non fu l'unica a farlo. Io me la ridevo silenziosamente di gusto. Avevo il potere per aprire il portale, bastava chiedere a qualcuno come fare.
"Contenta tu."-Risposi. E le voltai le spalle in segno irrispettoso e ovviamente senza nessun inchino. Non era la mia sovrana, quindi per me era come chiunque altro. E questo lei lo sapeva bene,
per questo si arrabbiava parecchio. 
Mi diressi verso la porta per andarmene. Ma assolutamente no! Era la mia stanza e quindi l'indesiderata doveva andarsene!
"Sia chiaro."-Disse la principessa-"Sono io che me ne voglio andare!"
E detto questo si allontanò colma d'ira in modo altezzoso. 
Elisa e Sofia invece se ne andarono, dopo avermi salutato, fino a sparire dalla mai vista. 

Rimanevamo io e Clarence.
Mi accasciai esausta nel letto ghirigoroso nella posizione a croce. Chiusi gli occhi. 
"Cosa c'è?"-Mi rivolsi a Clarence, ma senza muovere un muscolo.
Sapevo che qualcosa non andava.
"Senti Margaret."-Disse-"Non so cosa ti passa per la testa, ma non credo sia una buona idea prenderci per stupidi."
Spalancai gli occhi. Che avesse ...?
"Mi dispiace per te, ma nessuno l'ha mai fatta franca con me."
"C-cosa intendi?"-Chiesi balbettando. E alzai il busto. 
"Avanti, a me puoi dirlo. I rapitori ti hanno fatto qualcosa?"-Mi chiese.
Menomale ... non aveva intuito.
"No, no."-Risposi.
"Allora ..."
"Perché ti hanno rapita?"-Chiese.
"L'ho detto no? P-perché pensavano fossi un'amica della princ-" 
Fui interrotta dallo sguardo preoccupato di Clarence. Si sedette vicino a me. 
"Per favore."-Disse-"Dimmi la verità."
Aveva un tono di voce supplichevole e uno sguardo pietoso. 
Avrei dovuto confessare? Potevo fidarmi di lei? Avrebbe detto tutto a Luv? Forse se avessi spiegato il perché delle mie bugie ... avrebbe capito?
Il mento mi tremava. Gli occhi mi bruciavano. Il naso stava per colarmi. 
Perché avrei dovuto aiutare una persona come Luv? Lei provava odio verso di me. 
Mi imbattei di nuovo nello sguardo di Clarence. 
No. Stavo sbagliando tutto. Non si trattava solo di Luv, ma di Clarence, Elisa, Sofia, Gondo, Leo e tutti quei cittadini protestanti! Dovevo aiutarli: avevo il potere per farlo.

"Prometti di non giudicarmi?"-Le chiesi.
"Sì."-Rispose lei con un sorriso caloroso.
Mi si appannarono gli occhi. 
"Prima o poi lo avrebbero scoperto."-Pensai. 


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Capitolo 10
*** Aiuterò. ***


"Abbiamo trovato delle impronte."-Disse il poliziotto.
"Sul serio?"-Chiese felice lei, alzandosi di scatto dalla sedia.
"Però è molto strano: si interrompono bruscamente."-Spiegò l'uomo-"Ma non si preoccupi. Cercheremo meglio domani. Adesso è troppo buio."
Sconsolata, mamma si risedette. 
"Figlia mia ..."-Sussurrò con voce tremolante. 
I suoi occhi erano tristi, persi nel vuoto. Mi cercava nei ricordi annebbiati, non nella realtà. 
E nel cuor mio speravo proprio che mi trovasse e che mi portasse via da quel mondo sconosciuto.
"Aiutami mamma."-Pensavo. Chissà se sentiva le mie parole.



"Ma allora è vero!"-Gridò entusiasta Clarence.
Le feci senno di abbassare la voce: "Vuoi farci scoprire?"-La sgridai. 
"Scusa, ma l'idea di avere la dea davanti a me è un sogno."-Spiegò lei-"Sei la nostra speranza Margaret!"
"Ti cercavamo da così tanto tempo e per poco non perdevamo tutte le speranze."-Continuò.
"E' un miracolo!"-Gridò di nuovo.

Abbassai la testa.
Il sorriso di Clarence svanì velocemente. 
"Cosa c'è che non va?"-Mi chiese preoccupata. 
Poi si illuminò, come se avesse capito: "In effetti ... perché l'hai tenuto nascosto?"
Rialzai la testa. "Scusa."-Dissi. 
"E per cosa?"
"Sono stata un'egoista. Ho pensato solo a me stessa e non al dolore che tutti voi state passando."-Spiegai.
"Per quale motivo ti reputi così tanto egoista?"-Mi chiese perplessa. Si alzò in piedi e mise le mani sui fianchi per aspettar risposta.
"L'ho scoperto quasi per caso. Sì, insomma. Di essere la dea. E ne ero tanto felice perché finalmente potevo avverare i miei sogni."-Risposi gesticolando.
Clarence mi guardò ancora perplessa: "Cioè?"-Chiese.
"Cantare!"-Dissi. E il mio viso si illuminò: "E' da quando ho memoria che amo la musica, ma avrei voluto anche cantare."

La figura in piedi davanti a me sorrise e lentamente piegò le gambe, si sistemò il vestito e infine si sedette nel pavimento di legno a gambe incrociate.
Sbarrai gli occhi. "Sicura che va bene?"-Chiesi-"Non ti sporchi il vestito?"
"No, no. Tranquilla. E poi non mi piace nemmeno."-Rispose sorridendo calorosamente.
E così feci lo stesso: presi posto nel pavimento, di fronte a lei.
Era bello. Anche se ero più piccola di Clarence sembravamo due amiche del cuore che si raccontano dei segreti tra sorrisi infantili.
Forse lo stava facendo per me: voleva farmi sentire più a mio agio. E in cuor mio la ringraziai.

"Su racconta. Dimmi tutto quello che ti angoscia."-Disse lei appoggiando la mano alla guancia per utilizzarla come perno. 
Ero perplessa, ma togliermi un po' di peso non poteva farmi che bene. 
Subito iniziai a raccontare: "La verità è che, nell'aver scoperto i miei poteri, ero molto felice, ma subito dopo ho pensato alla grande responsabilità."
"Devo ammettere che ho pensato anche al racconto della principessa."
"Che racconto?"-Mi chiese Clarence.
"Prima che si manifestassero i miei poteri ero stata in città con Luv."-Spiegai-"Mentre osservavamo la folla con i forconi, sono venuta a conoscenza della storia di questo regno."
"Di come è iniziato ad andare in rovina?"
"Sì."
"Ed è per questo che hai sentito una forte responsabilità sulle tue spalle?"-Chiese lei, togliendo la mano dalla guancia. Le era rimasto il segno rosso.
"Sì."-Accennai triste-"Inoltre mi sentivo fortemente in colpa."
"Ma non è tutto."-Dissi-"A dir la verità ho avuto pensieri anche per i discendenti della dea."
"Ah, vuoi dire le bambine nate?"
"Esatto. Luv mi ha detto che non hanno un padre."-Dissi perplessa.
"Dimentichi che la madre è una dea."-Affermò, ridacchiando.
"Guarda caso"-Mi rivolsi a lei-"E' proprio quello che mi ha detto anche Luv."
E per un secondo mi fermai a pensare alla nostra litigata. 
Scossi la testa. Non dovevo pensarci adesso.

"Però l'ultima dea si innamorò di un umano."-Affermai. 
"Quindi la mia mamma ... in realtà non lo è?"
Clarence si ammutolì per qualche minuto. 
"Lo è."-Disse-"E' colei che ti ha nutrito, cresciuto ed amato."
"Lo è e lo sarà per sempre."

Mi fermai un attimo. Guardai il soffitto, sospirai e poi tornai allo sguardo di Clarence.
"Forse io non avrei dovuto nascere?"-Chiesi.
Non so che aspetto avevo. Non so che voce avevo. Non so che cosa dicevo. 
Ero talmente annebbiata da tante emozioni che non reagivo più. 

"Non dire queste cose!"-Gridò arrabbiata Clarence alzandosi di scatto. 
Era una scenata comprensibile.
"Non osare mai, mai, mai più sperperare in giro che non saresti dovuta nascere!"-Gridò nuovamente. 
Abbassai la testa e il mio volto divenne scuro.
Poi Clarence si chinò nuovamente e forti braccia mi strinsero. 
"Ascoltami."-Disse lei con voce calma-"Sei giovane e bella. Hai una vita da vivere. E se inizi a pensare a frasi di questo tipo fin da subito, non riuscirai a viverla al meglio."
Forse aveva ragione. 
Mi scesero delle lacrime. Erano lente e pesanti. 
"Mi dispiace! Perdonami"-Gridavo con voce tremolante, mescolata alle lacrime. 
Erano calde però. 
"So che è davvero una grande responsabilità. Ma potresti aiutarci?"-Mi chiese Clarence.
I suoi occhi erano incollati ai miei e ne io ne lei avevamo intenzione di spostare lo sguardo. 
Lei aveva due magnifici occhi verdi. Mi perdevo in essi ogni volta, o meglio, nei ricordi.
I miei erano color ghiaccio. E insieme ai capelli erano le caratteristiche di mia mamma, quella vera. 
Ma quel giorno Clarence mi insegnò che i legami di sangue non sono niente in confronto all'amore. La mia mamma era una: quella con il grembiulino, le mani sporche di farina,
i capelli quasi sempre raccolti in un mollettone, con gli occhi rossi e le borse sotto gli occhi. Quella che sbraitava per una matita fuori posto e per i cumuli di vestiti nel letto.
La mia mamma restava sempre lei. Per l'esattezza quella che mi diceva: "Va tutto bene."

Mi asciugai le lacrime.
"Sì!"-Gridai energeticamente.
"Ti aiuterò!"
Poi mi corressi: "Aiuterò tutto il regno!"



"Margaret?!"-Gridò mia mamma svegliandosi da un sogno. 
Sudava freddo.
Scese dal letto e si infilò le pantofole. Era da un po' che non trovata più i peli di Calzino nei piedi. Anche lui era scomparso.
Cercando di trattenere le lacrime per i ricordi, scese le scale e attraversando il salotto entrò in cucina.
Accese la luce e si diresse verso il frigo. Con gli occhi cercò la bottiglia d'acqua e quando la trovò l'afferrò distrattamente.
Versò il contenuto nel bicchiere e dopo aver rimesso tutto a posto si andò a sedere nel suo posto preferito della tavola. 
Per distrarsi un attimo accese la televisione che iniziò subito a parlare come una radio rotta che improvvisamente ricomincia a funzionare: "Scomparsa ragazza di sedici 
anni di nome Margherita, pare ch-"
La spense subito. 
"Questo non servirà a ritrovare mia figlia!"-Urlò. 
Si portò le mani fra i capelli. 
"Margaret, ti prego. Ritorna."
"Che stupida."-Pensò-"Probabilmente nemmeno questo la farà ritornare."

Spense la luce e si lasciò alle spalle la stanza gelida. Arrivata all'ultimo gradino delle scale si bloccò. 
Cambiò direzione ed entrò nella mia stanza: non osò entrarci dalla mia scomparsa.
Il disordine dilagava: ogni cosa era al suo posto così com'era stata lasciata.

Mamma si avvicinò alla scura scrivania "da lavoro" o così la definivo io.
Era ancora in disordine con mille fogli sparsi un po' dappertutto. 
Delicatamente sfiorò dei disegni con le dita.
Si soffermò su uno in particolare: raffigurava una donna seduta su una grande pietra. Lo sfondo era un meraviglioso giardino con rose di ogni tipo. C'era perfino una fontana.
Ma le vere protagoniste erano delle ali con piume candide e morbide. 
Mamma prese il foglio e lo avvicinò per osservarlo meglio. Ciò che più la ammutolì furono dei bellissimi capelli lunghi, lisci come la seta e di un nero come il carbone. 
Si portò la mano alla bocca. 
"Non è possibile."-Disse perplessa-"Non può averlo scoperto."

Il mio destino era già scritto ed io lo rappresentavo su carta senza neanche accorgermene.
Da quel momento però, sarei potuta andare avanti fino al suo compimento con il canto.
 

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Capitolo 11
*** Magia è il secondo nome di Musica ***


||Angolino di Mikan||
Ciao! Incredibile, sono al capitolo undici. Può anche sembrare uno sciocchezza, ma per me è un traguardo enorme. Non immaginavo minimamente di essere seguita da tante persone e per tutto questo tempo. Quindi vi ringrazio veramente per questo, ma anche per il vostro autocontrollo nel menarmi per i miei continui ritardi. Specialmente in questo
capitolo il ritardo è stato molto lungo. Scusatemi tanto. Ora dovrete rileggere il capitolo dieci per ricordarvi bene ed è solo colpa mia.
Ma fortunatamente non è solo per parlare dei miei disastri che ho "riaperto" l'Angolino di Mikan. 
So che magari non interessa a nessuno (sì, so che è così), ma se invece vi incuriosisce io sono qui.
Questo capitolo è un po' autobiografico, devo ammetterlo.
Purtroppo devo fare uno spoiler... però si parla di un violino. Perché proprio questo strumento? L'ho scelto per due motivi: 1) secondo me è la scelta migliore per rappresentare questa storia, ovvero in un mondo diverso, con un palazzo elegante e persone magnifiche ovunque. Però, anche per rappresentare la tristezza del mondo perfetto che cade a pezzi. Quindi per me il violino è perfetto. 2) Ho scelto questo strumento fantastico perché ne sono innamorata fin da piccola, così come il piano.
E' un capitolo autobiografico perché, come leggerete sotto, è vero che ho da sempre voluto suonarlo, ma per mancanza di soldi non sono stata in grado di comprarlo. 
Ma nonostante tutto ne sono ancora appassionata e meravigliata e ho deciso di farlo protagonista nel mio racconto, perché merita. Io spero solo di aver raccontato bene le sensazioni che si prova ad ascoltare un violino. 
Ho alcune domandine e poi prometto che non vi rompo più. Solo per curiosità, a voi piace il violino? (Non siete assolutamente obbligati a spiegarmi perché vi piace o perché non vi piace) Siete persone a cui fa piacere fermarsi un attimo ad ascoltarlo se lo sentite e poi basta, oppure lo ascoltate sempre e volentieri? E ultima domandina: artisti preferiti? 
Ovviamente non obbligo nessuno a rispondere. E' solo curiosità. Anzi, non so nemmeno se posso chiedere cose del genere. Se vado contro il regolamento, ditemelo subito che tolgo tutto >. Scusate tanto, ma davvero tanto queste mie idee schifose. Vi lascio alla lettura (ç.ç)
P.S: Questo racconto non è un sentimentale/romantico. Capirete poi il perché di questo avviso. 



"Non pensi di dover far pace con Luv?"-Mi chiese Clarence.
"Assolutamente no. Ha incominciato lei."-Risposi.
"E cosa siete, delle bambine?"-Ribatté.
"Non mi importa. Ha insultato me e Calzino."
"Santo cielo ... come devo fare con voi."-Sospirò lei. 

Però forse aveva ragione. Ormai il mio segreto era stato scoperto. Se volevo veramente aiutare con i miei poteri, avrei dovuto collaborare con Luv.
Ma proprio non ne avevo voglia. Era insopportabile e quando la principessa si metteva in testa di comportarsi come un'oca, proprio non la reggevo. 
E pensare che giurai di aiutarla. Perché dare una mano a una persona tanto maleducata nei tuoi confronti? 

"A modo suo è gentile."-Mi disse Clarence.
"Sì, come no. Secondo me quella è contro gli animali."-Dissi-"Però in questo caso ... sarebbe contro se stessa?!"
Clarence mi guardò male. 
"Non dire queste cose."
"Che c'è di male nel riconoscere un'oca? Non l'hai mai vista? Se vai dritto e poi giri a destra ne trovi una."-Continuai ironica-"Ha pure un nome: Luv."

"E' solo molto nervosa e stressata."-Affermò.
Guardai Clarence dritto negli occhi verdi. "Continua."-Dissi.
"Sai che è sola, vero?"-Mi chiese.
Risposi di sì. Fui io a chiedere a Luv se avesse i genitori e rispose di no.
Sapevo bene quanto fosse sola ed ero a conoscenza della grande responsabilità sopra le sue spalle ed è per questo
che qualcosa mi impediva di allontanarmi da lei. Mi faceva pena.

"E sai come sono venuti a mancare il re e la regina?"-Chiese nuovamente.
"No."-Risposi.
Clarence mi guardò tristemente e disse: "La madre, Harmonie, morì quattro anni fa per una grave malattia."
Non spiccicai parola.
"Il padre fu assassinato un anno dopo."-"In davvero poco tempo una ragazzina si è trovata così sola e con un regno da governare."-Concluse.
"Sai perché?"-Chiesi.
"No. So solo che il colpevole non è ancora stato trovato."-Spiegò.-"L'assassino potrebbe trovarsi in città, ma anche nel castello."
"E' ingiusto. Dovremmo far giustizia."-Affermai.
"Sì, ma non si hanno indizi."
Clarence mi fissò. 
I suoi bei occhi verdi si spensero, come ipnotizzati. La sua espressione mi rimase impressa nella mente: il suo viso non era triste,
ma segnato dai rimorsi e dalla pazzia.
"Sai, potrei esser stata anche io."-Disse.
Mi vennero i brividi.
"Ovviamente scherzo!"-Tuonò ridacchiando.-"Spaventata?"
"Sì, non farlo mai più!"-Gridai.
Sarà, ma a me non sembrò per niente uno scherzo. 


"Al momento Luv ha questioni urgenti di cui occuparsi."-Disse Clarence.-"Ora vado, ma ti vengo a prendere dopo, quando lei avrò finito."
"E perché?"
"Perché? Ovviamente per far pace!"
"Contaci."-Le dissi.
Clarence uscì dalla camera e si allontanò fino a diventar piccina. 
Allora chiusi la porta e mi affacciai alla finestra bianca.

Sentii suonare uno strumento. 
Era un violino. Potevo riconoscere da chilometri il suo elegante suono.
Era meraviglioso. Qualcuno stava suonando una melodia malinconica.
Chiusi gli occhi. 
Il vento era piacevole e trasportò anche alcuni petali rosa dentro la stanza. 
D'improvviso il brano si trasformò in un allegro vivace.
Era così bello che mi sembrava di sognare. Senza aprire gli occhi iniziai ad agitare le mani come un direttore d'orchestra. 
Le note del violino, come piume, volteggiavano nell'aria e nella mia testa. Il corpo si alleggerì e senza rendermene conto
mi lasciai trasportare: intonai la stessa melodia dello strumento con la voce alternando gli identici tratti allegri e malinconici del brano.
Ad ogni singola nota la passione del mio canto aumentava, così come il tono di voce e la forza e sicurezza delle mani.
Il piede destro si rifiutò di star fermo. 
Il suono del violino si fece sempre più forte. Aprii gli occhi, lentamente, e incredula vidi il fantastico musicista che suonava così magnificamente.
Ma la mia voce desiderava ancora seguire il divino suono che producevano quella scatolina pregiata di legno e l'abilità del ragazzo.
Le ultime note del finale riecheggiarono nelle mie orecchie, fino a spegnersi. 

Applaudimmo contemporaneamente. 
Non riuscivo a parlare. I miei occhi rimasero appiccicati ai suoi.
Erano profondi e di un azzurro intenso. Chiunque avesse osato guardarli, si sarebbe perso in essi. 
Il ragazzo aveva la mia stessa età. Con stupore notai il colore dei suoi capelli: nero pece, un po' arruffati con qualche ciocca che adorabilmente 
cadeva sui suoi occhi. Come me, aveva carnagione chiara. Anche se ero sopraelevata a lui, riuscì a capire che fosse poco più alto di me. 
Pensai che fosse fragile, ma la sicurezza e l'eleganza con cui suonava quel violino mi dovettero far ricredere.
Non mi vergognai a pensare che fosse anche molto bello e non mi sorpresi: ovunque guardassi in quel mondo sconosciuto notavo persone
belle,eleganti e superiori a me. 

Poi ripensai bene all'accaduto: "D-da quanto sei lì?"-Chiesi imbarazzata.
Quel ragazzo vide tutta la scena! E sentì il mio canto. 
"Da poco."-Disse sorridendo-"Mi sono avvicinato per vedere chi stesse cantando così divinamente."
Io? Stavo cantando divinamente?
"Ma no. Io stavo solo seguendo la tua magnifica musica."-Spiegai.
"Sei eccezionale!"-Gridai entusiasta e applausi.
"Grazie mille."-Disse lui. E con mio grande stupore si inchinò elegantemente.
"A dir la verità ti invidio."-Gli confidai.
Lui sorpreso mi chiese il perché.
Indicai il violino.
"E' bellissimo."-Affermai.
"Ti invidio perché ho sempre voluto suonarlo anch'io."-Dissi.
"E perché allora non l'hai fatto?"-Chiese lui.
"Non avevo abbastanza soldi per comprarlo. E nemmeno adesso."-Spiegai attorcigliandomi una ciocca di capelli per l'imbarazzo.
"Davvero?"-Chiese lui stupito-"Tu vivi qui e non hai i soldi per comprarne uno?"
"Ah, a dir la verità non abito qui."
"Amica di qualcuno?"-Domandò. 
"Sono un'ospite ... o un qualcosa del genere."-Risposi. 
"Di chi?"
"Della principessa."
"Anche se è stato più un rapimento."-Sussurrai ridacchiando. Fortunatamente non mi sentì. 
"In effetti sono in molti ad invidiare chi suona il violino."-Affermò.
Pensai di immaginare il perché. Ma chiesi comunque: "E tu sai come mai?" 
"Sì. Lo so."-Rispose gentilmente.
"Suonare il violino è senza dubbio un grande privilegio. Non riesco ad immaginare un mezzo di espressione più intenso
ed efficace, capace di mettere in comunicazione con l’esterno i luoghi più nascosti dell'anima."-Spiegò-"E che il violino sia uno strumento un po' magico, si sa.
Mi stupisco io stesso, che sono il primo a subirne il fascino, delle reazioni che suscita: un misto di incanto e di riverenza; è  sufficiente una nota per 
veder brillare gli occhi di chi ascolta. E poi, intorno al violino ci sono storie bellissime, misteri, delitti, antiche sapienze." 
"E la cosa che più mi piace del violino è che dopo aver finito di suonare, il cuore si riempe di soddisfazione che ripaga i tuoi enormi sforzi."-Concluse sorridendo.
Mi incantai ascoltando le dolci parole dirette al suo violino, probabilmente compagno di tante esperienze nella sua vita. 

"Bellissimo."-Dissi.
Lui alzò lo sguardo e mi fissò.
"Cosa?"-Chiese.
"Perdonami. Pensavo solo che quando parli del violino ti si illuminano gli occhi."-Spiegai-"E ciò è bellissimo."
"Scommetto che proverei le stesse cose nel vederti parlare delle tue passioni."-Disse.
Ci fu un attimo di silenzio. Però, stranamente, non fui per niente a disagio.

"Posso farti una domanda?"-Disse lui serio.
"Certamente."
"Secondo te, esiste la magia?"
Rimasi un po' scioccata, ma non per molto. Sorrisi calorosamente e con gioia risposi: "Sì!"
I suoi occhi erano increduli e gioiosi. Probabilmente la mia reazione lo stupì e non poco. 
"E sai come si può usare?"-Mi domandò tutto felice.
Mi bloccai pensierosa. "No, come?"
"La magia è solo il secondo nome di musica."-Affermò-"Però solo pochi individui lo sanno."
"Quindi..."-Continuò sorridendo-"Che ne dici se rimane un nostro segreto?"-Disse facendomi l'occhiolino.
Mi sentii la faccia caldissima e le mani sudate. Che figura!

"Posso sapere il tuo nome?"-Chiese.
"Margaret."-Risposi insicura.
"Che bel nome."-Disse e ciò mi imbarazzò molto.
"E il tuo?"-Domandai curiosa.
E mentre aspettavo ansiosamente il suo nome, la voce di una signora riecheggiò in tutto il giardino: "Signorino! Dove siete?! E' ora di rientrare!"
"Ora devo andare."-Disse lui-"Sono sicuro che ci incontreremo di nuovo." 
"Sì."-Affermai-"E la prossima volta ti parlerò delle mie passioni!"
"Non vedo l'ora."-Disse voltandosi di spalle.
Si stava già allontanando e anche con una certa fretta, ma io lo fermai.
"Aspetta! Non mi hai detto ancora il tuo nome!"-Gridai.
Lui si girò e con un lieve sorriso rispose: "Livius!"
Poi, tra la lieve nebbia che nel frattempo era calata, scomparve.

"La magia è il secondo nome di musica, eh?"-Pensai.
Chiusi gli occhi e sorrisi calorosamente.
"Quanto è vero."-Dissi. 

L'incontro con Livius, mi ricordò il mio destino. Non vedevo l'ora di aiutare quel mondo ormai a pezzi e soprattutto di cantare. 
"E poi chissà."-Pensai-"Potrei anche prendere lezioni di violino."
"Tanto paga Luv."-"La convincerò con la mia innata retorica."-Pensai soddisfatta e subito dopo ridacchiai. 
Chiusi la finestra e mi sdraiai nel morbido letto.
"Ora non mi resta che aspettare Clarence."-Pensai.
Strinsi i denti e i pugni.
"E. Fare. Pace. Con. Quella. Serpe."-Dissi scandendo le parole.

Quello stesso giorno, quando Clarence mi venne a chiamare, mi disse che mi fui appisolata ... con un meraviglioso sorriso. 
"Che ti è successo? Eri così arrabbiata prima."-Disse lei.
"Se - gre - to."-Le risposi.
Già, il mio segreto. Il nostro segreto. Mio e di Livius. 


 

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Capitolo 12
*** Un pezzettino di noi ***


||Angolino di Mikan||
Inutile dire che sono passati secoli dall'ultimo capitolo. Magari vi eravate pure dimenticati dell'esistenza di questa storia (cosa probabile).
No tranquilli, non soffrite di perdita di memoria. E' colpa mia. Per di più questo capitolo inizia praticamente come continuazione al vecchio ... quindi 
se non ve lo ricordate... (mi dispiace per questo, davvero!) dovete rileggerlo :(
Siccome ho già perso troppo tempo (tra un capitolo e l'altro passano ere) mi riduco ai minimi termini.
Ci tengo ad avvisare che questo capitolo sarà pieno di descrizioni. Già. (Mi sa che non la legge più nessuno :'D) Mi dispiace. Spero non siano troppo noiose
e pesanti, anzi. Speriamo in bene! Vi lascio alla lettura, Ciaaaaao. ♥
---


"Avanti ... fate pace."-Disse Clarence.
Allungai insicura la mano destra e notai che anche Luv ci stava provando.
Questo mi donò sicurezza. 
La sua mano strinse la mia. O forse era la mia che strinse quella di Luv? 
Mi piaceva invece pensare che tutte e due le mani contemporaneamente si donassero calore a vicenda.

"E ora chiedetevi scusa."-Continuò con un tono di rimprovero.
"Ma io cosa ho fatto? Semmai è lei che si deve scusare!"-Gridai protestando.
Luv ritirò il braccio. 
Sentivo ancora il calore nel palmo. Strinsi il pugno per non disperderlo, per conservarlo ancora un po'.

"Lo sapevo! Con questa qui non si può fare pace!"-Gridò altrettanto Luv. 
"Cosa? "Questa qui" ha un nome e soprattutto non sono io che non voglio fare pace."-Ribattei.
"E allora perché non ti vuoi scusare?"-Mi chiese Clarence.
"E' solo che non penso di aver fatto nulla di male."
"Pensaci bene."-Disse la principessa.
"Già, mettiti una mano nella coscienza e riflettici su."

Lo feci. Mi portai la mano destra al petto, nella posizione del cuore.
Ripensai a tutto lo scenario, come i minuti di un vecchio film che trascorrevano nella mia mente.
"Però Luv, anche tu hai di che scusarti."-Le dissi.
"Questo lo so. E infatti ero pronta a farlo. Ma se proprio tu non vuoi ..."

Possibile che l'avessi veramente offesa con "oca"? 
Magari sotto sotto era una ragazza sensibile. 
O forse era soltanto infastidita dalla mia maleducazione nei suoi confronti.
Dopotutto era la principessa.
No ... non era questo. C'era qualcosa di più.

"Allora?"-Chiese impaziente Clarence.
L'orgoglio faceva dubitare sia me che Luv.
E in effetti ci comportavamo da bambine, come ripeteva sempre Clarence.
Forse perché tutte e due non avevamo vissuto la nostra infanzia giustamente.
Eravamo diventate grandi troppo presto. Non fisicamente, ma mentalmente.
Io lo ero diventata pensando ai vecchi ricordi del babbo e sorreggendo con una maschera di sorrisi mia mamma.
Luv si era lasciata l'infanzia alle spalle con la morte dei genitori e con un popolo affamato pronto ad inseguirla.

Così, abbiamo sviluppato una mentalità matura e delle personalità forti, troppo forti per la nostra età.
Ma nel profondo i nostri cuori rimanevano fragili e desideravamo veramente comportarci come gli altri.
Volevamo piangere per attirare le attenzioni. Volevamo litigare per piccole cose banali. Volevamo ridere con leggerezza.
Volevamo poter perdere le staffe per qualche minuto. Volevamo giocare senza preoccuparci di nessuno. Volevamo non sorreggere niente.
Volevamo goderci la nostra personalità infantile finché potevamo. Non volevamo avere responsabilità fino alla fase più adulta, come chiunque altro. 
Ma noi non potemmo goderci tutto ciò.
Io ero perfino diventata una dea. Ormai non avevo più alcuna chance di godermi un pizzico di libertà. 

"Sai Luv, vedendo la situazione di mia mamma, mi sono sempre detta che pensare a cose come "vorrei poter fare questo e questo" fosse egoistico."-Dissi.
Luv mi guardò perplessa. Non riusciva a comprendere.
Di certo non aveva il potere di leggermi nella mente.
Ma piano piano anche lei capì. Non ci vollero chissà quante parole. 
"Però ho desiderato tante volte potermi sfogare. Ma così avrei fatto preoccupare di più la mamma."-Continuai.
"E sai la cosa più buffa? Mentre io notavo gli occhi rossi e gonfi per le lacrime che la mamma cercava di nascondere col trucco... lei notava i miei."
"E quando li vedeva, mi accarezzava la testa e sorridendo mi diceva: << Non potrei desiderare una figlia migliore di te. >>"

Alzai il capo e sorrisi.
"Grazie."-Dissi.
"Grazie?"-Ripeterono Luv e Clarence insieme.
"Sì. Esattamente."-Confermai-"Grazie per aver litigato con me."
Già, proprio così. Ringraziai Luv per quel litigio perché mi donò un pizzico di infantilità. Mi donò un pezzettino di infanzia. 
Riallungai la mano.
Luv la strinse forte. 
"Grazie."-Disse allora lei. 
E sorridemmo. 
Anche la principessa capì. 
Da cosa lo notai?
Finalmente, dopo tanto tempo, delle lacrime leggerissime scesero via velocemente, accompagnate da uno splendido sorriso.
Un sorriso sincero, non forzato come quelli che mostravo a mia mamma.

"Finalmente."-Sospirò esausta Clarence.
Era sorpresa dalle nostre lacrime, ma felice allo stesso tempo.

"S-sei così buffa."-Mi disse Luv ridendo e asciugandosi le guance. 
"Anche tu."-Ribattei sorridendo allo stesso modo. 

"Ed ora..."-Disse Clarence, voltandosi verso di me-"Che ne dici di dirle anche quell'altra cosa?"
"Hai promesso che ci avresti aiutato. Inizia con il confidarlo anche a lei."-Concluse.
Luv mi scrutò dubbiosa. 
"Cos'è che mi devi confidare?"-Chiese con il tono di chi vorrebbe smascherare un criminale. 

Non me n'ero dimenticata.
Lo avevo ben stampato nella mente. E' solo che ero così felice per la questione del litigio che, per una volta, mi scordai delle mie responsabilità.
Poco importava. Sapevo che quella gioia non poteva durare in eterno; anche se lo desiderai profondamente.

Raccontai alla principessa ogni cosa: su come diventai la dea, sulle mie preoccupazioni al riguardo e che alla
fine mi decisi ad aiutare il regno.

Strinsi le mani al petto, aspettandomi una sgridata per  il mio comportamento.
Ma dopo interminabili minuti alzai il capo e con grande stupore vidi gli occhi adulti di Luv rilassarsi.
Il suo viso era un misto di felicità, stupore e sollievo.

"Davvero? Non stai scherzando, vero?"-Mi domandò eccitata come una bambina.
Poi tossì, si sistemò i capelli e si ricompose. 
"Bene. Clarence dobbiamo subito andarci a preparare."-Disse seria.
"Per cosa?"-Chiesi io. 
"E me lo chiedi?! Sei la dea! E' una notizia splendida, dobbiamo organizzare un'enorme banchetto e presentarti
al regno!"-Gridò Luv di nuovo entusiasta. 
Tossì una seconda volta.
Mi divertiva vedere come cercasse in tutti i modi di non scomporsi.
"Forza, andiamo."-Disse e mi afferrò per un braccio per trascinarmi fino ad una
gigantesca porta dorata. Clarence ci seguì felice. 

Luv non bussò, ovviamente. Si limitò a ad aprirla con non-chalance.
Mi liberai dalla presa della principessa e senza aspettare il suo permesso entrai
nell'enorme stanza presa dalla curiosità e... meraviglia!
Centinaia di cameriere che camminavano con passo frettoloso da un lato
all'altro della stanza. Alcune con cumuli di stoffe in mano, altre con gioielli, scarpe e tante altre cose.
All'improvviso tutte le domestiche si fermarono e guardarono sorprese nella nostra direzione.

Luv portò le sue mani sopra la testa e con eleganza fece rimbombare nella stanza due battiti di mani.
A quel gesto tutte capirono e interruppero immediatamente qualsiasi lavoro per fare un lieve inchino.
Fu davvero sorprendente, e un po' anche inquietante, come riuscirono ad inchinarsi tutte contemporaneamente.
"Cosa desiderate vostra altezza?"-Parlò una donna avvicinandosi a noi. Era robusta con un viso rugoso. 
Era chiaramente la più anziana e a giudicare dagli sguardi delle più giovani, veniva rispettata molto.

"Preparate due vestiti per questa signorina."-Disse indicandomi-"Stessa cosa per me."
"Immediatamente."-Rispose la signora inchinandosi.
Non fece domande. Si limitò solamente ad obbedire. Trovai questa cosa un po' ... scorretta.
"Perché due l'uno?"-Chiesi.
"Uno per la parata, l'altro per la festa a palazzo di stasera."
"P-PARATA?!!"-Gridai sconvolta.
"Sì, allora?"-Chiese Luv guardandomi scioccata.
"Allora?! Io non so cosa si fa! E poi non voglio! Tutta quella gente ad osservarmi! No!"-Le urlai contro.

"Prima di tutto: calmati. Non è poi così difficile. Devi soltanto passare con una carrozza aperta salutando e sorridendo.
E non sarai sola."-Spiegò-"Forse l'unica difficoltà sarà scendere dalla carrozza senza umiliarti davanti a tutti. Tipico di te."
Avrei voluto sputarle in faccia! Non-so-no-co-sì-mal-de-stra!

All'improvviso due cameriere mi afferrarono per le braccia, trascinandomi davanti ad uno specchio.
Dozzine di ragazze mi appoggiavano, senza aspettare il loro turno, tantissime stoffe di vari colori, tanto che stavo andando in tilt.
Poi iniziarono a prendermi le misure col metro e le mie risate rimbombarono nella stanza. 
Non resistevo più e muovendomi freneticamente dal solletico appoggiai il piede in un pezzo di stoffa e scivolai cadendo con i glutei su...
qualcosa... no! Qualcuno! Alzai la testa e vidi tante domestiche a terra, cadute per l'effetto domino, tutte doloranti. 
Ok ... forse un po' maldestra lo ero per davvero!

Luv mi porse la mano trattenendo a stento una grossa risata. 
"Non c'è niente da ridere."-Sbuffai imbronciata.
"Ah, davvero? Perché io sto scoppiando!"-Disse e la sua valvola esplose. 
Era rossa e si prendeva gioco di me, piegandosi dalle risate.
"Ah, ah. Molto divertente!"
"Lo so! Era da tantissimo tempo che non mi sbellicavo così!"-Disse Luv.
"E da quanto esattamente?"-Assunsi un'aria più seria.
"Non saprei, dall'età di sei anni?"-Rispose sua altezza sempre sghignazzando.
Sgranai gli occhi. Era seria?
In realtà la cosa che più mi sorprese fu che anch'io in fondo ... non ebbi molte occasioni per ridere così. 

"Bene."-Disse Luv asciugandosi una lacrima-"Ritorniamo al tuo vestito, ok? Prima quello della parata."
Tutte le cameriere si erano già alzate da tempo, ma io non le notai. Ero troppo impegnata a prendermela con la principessa.
Quest'ultima mi osservò a lungo, e ciò era molto imbarazzante, e alla fine domandò ad alta voce: 
"Abbiamo ancora il vestito della vecchia dea?"
Una minuta ragazza rispose di sì e lo prese con cura da un armadio di legno bianco.
"Ecco a voi."-Disse riponendolo delicatamente nelle mani di Luv, poi fece un inchino e un passo indietro.
Io guardai estasiata il vestito: lungo fino ai piedi, con un tessuto molto leggero e plissettato, era di un bianco panna.
Non aveva le maniche, ma spalline larghe che terminavano con una profonda scollatura a v. Aderente fino in vita, 
si staccava dall'elegante gonna con le balze, che donavano volume e movimento all'abito, grazie ad un cinturino oro.

Un'altra domestica portò anche dei meravigliosi gioielli: un bracciale per l'avambraccio; molto semplice: era un
filo d'oro bianco con delle farfalline, dello stesso materiale, che avrebbero dovuto girarmi intorno al braccio. Poi due altri
bracciali per il polso, sempre oro, ma senza decorazioni. 
La cameriera li porse ancora a Luv.

"Che ne dici di provare il vestito?"-Mi chiese quest'ultima.
Io ero scioccata ed emozionatissima.
Io in quel vestito? Ma proprio io? Non era uno scherzo vero?
Vedendo la mia espressione sorpresa, Luv mi riportò alla vita ultraterrena con uno schiocco di dita.
"Avanti, provalo."-Disse.
Mi guardai intorno, cercando invano qualche porticina nascosta per cambiarmi.
Luv capì la situazione.
"Siamo tutte donne, no? Che aspetti?."

Effettivamente aveva ragione, ma era imbarazzante cambiarsi con centomila occhi puntati addosso!
La principessa era abituata a tutto ciò, ma io no! 
Alla fine mi arresi. Abbassai la testa durante l'atto per nascondere il mio rossore.
Fatto. Il vestito era messo. Forse ero ridicola, ma non potevo vedermi.

Iniziarono tutte quante a scrutarmi come degli avvoltoi che studiano la propria preda.
Stavo cominciando ad arrabbiarmi sul serio.
"Posso vedermi o no?!"-Gridai esasperata.
"Calma, calma."-Sentì alle mie spalle.
Era la signora di prima che mi accompagnò davanti allo specchio.
Rimasi a bocca aperta, letteralmente. Non per dire.

Luv mi aiutò ad indossare i bracciali e poi mi portò degli orecchini lunghi, molto belli.
"Manca qualcosa."-Disse lei-"Il tocco finale."
Mi spostò i capelli lateralmente per mettermi una splendida collana.
Toccai affascinata il rubino incastonato proprio al centro di essa. Per qualche motivo non era un pugno
in un occhio con i miei occhi color ghiaccio e i capelli carbone. Anzi. Ero molto felice per questo.

"Che ne dici Clarence?"-Domandò Luv.
Clarence? Era sempre stata lì per tutto quel tempo? 
Avanzò verso di me sorridendo.
"Sei mozzafiato."
Ricambiai il sorriso, anche se mi sentivo piuttosto insicura.
Io ero abituata ai jeans, alle mie logore scarpe e alle magliette per rotolarmi nell'erba.

La "capo-domestica" si avvicinò ancora una volta a me.
Prese degli spilli ed iniziò ad applicarli nella stoffa nel vestito, pungendomi di volta in volta.
"Ahi, fa attenzione!"-Le dissi.
"Scusa, se solo avessi QUALCHE misura in più!"-Mi rispose a tono.
A Clarence scappò un sorrisetto, ma per fortuna nulla di più. Lei si che ci teneva a me.
Luv, al contrario, se la rideva di gusto.
Ero diventata rossa come il rubino che portavo al collo, se non di più!
"Non ridere troppo "principessina"! O dovrei chiamarti Principe? Io vedo una bella tavola piatta lì!"-E mi misi a ridere.

Nessuno fiatò più. Silenzio di tomba.
Forse l'avevo combinata grossa.
Il viso di Luv sembrava calmo e inespressivo. E se dentro stava pianificando un piano per uccidermi?
Lentamente e dolorosamente. Ero terrorizzata.

Intanto la signora-spilli finì il suo lavoro e mi fece cenno di togliermi il vestito. E così feci. 
"In quanto sarà pronto?"-Chiese Luv.
"E' una modifica di poco conto. L'abito sarà terminato a breve."
"Bene. Intanto noi scegliamo l'abito per stasera, va bene?"-Chiese la principessa girandosi verso di me.
Feci cenno di sì con la testa. 
Non mi rivestì nemmeno, dato che avrei dovuto provare centomila abiti. 

Alla fine scelsero (io non potevo parlare, solo provare!) un bel vestito devo dire. Anch'esso lungo,ma con 
il corpetto a cuore di colore bianco, decorato con tante piccole pietre azzurrine, una vicina all'altra, che formavano
il disegno di una farfalla. Lo adoravo!
Poi partiva la lunga e leggera stoffa blu che, andando verso il basso, continuava a schiarirsi fino al bianco. 
Mi provai degli accessori, quando ci avvisarono che il vestito per la parata era pronto.

Lo indossai, senza farmelo ripetere due volte, ed infilai le scarpe.
Il tacco. Il tacco! Era altissimo! Non potevo farcela a camminare su quei trampoli!
Poi mi acconciarono i capelli con una semplice treccia laterale, fissando qua e là dei fiorellini nei miei capelli.
Essendo neri, i fiori bianchi risaltavano molto e ciò non mi dispiaceva.

"Pronta!"-Disse Luv, che intanto si era agghindata come me.
"Andiamo!"-Ripetè in coro con Clarence.
E contro la mia volontà mi trascinarono fuori dal paradiso delle cameriere.
(paradiso si fa per dire)

"Non sono affatto pronta!"-Gridai in preda al panico.
"Non ti preoccupare! Abbiamo un po' di tempo. Ti spiegherò cosa devi fare."-Mi chiarì Luv.
"E non sarai sola."-Mi incoraggiò, invece, Clarence facendomi l'occhiolino.
Le sorrisi e la ringraziai mentalmente.

"Ce la posso fare."-Mi ripetevo. 
Poi scivolai grazie al tacco.
"Non ce la posso fare!"-Urlai.

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Capitolo 13
*** La dea in trappola ***


Alzai leggermente il vestito per non rischiare di sporcarlo e soprattutto per evitare una brutta caduta.
Ero così agitata che non mi accorsi di chi mi sedeva accanto nella carrozza. Era Livius, in tutta la sua
bellezza ed eleganza. 
Ci guardammo tutte e due a bocca aperta.
"T-tu sei la dea?!"-Quasi urlò dallo stupore.
Sorrisi amaramente.
"Già."

Livius stava per inchinarsi.
"No fermo, non serve, davvero. Sarò pure la dea, ma non merito questo trattamento."
Sorrisi ancora.
"Tranquilla."-Affermò lui-"Mi sarei inchinato comunque di fronte a tale bellezza."
E mi mostrò uno dei più bei sorrisi del mondo. Ma non potevo sciogliermi dopo le ore di
preparazione! 

"La dea, eh?"-Sussurrò Livius chiudendo gli occhi-"Dopotutto chi mai avrebbe potuto cantare in quel modo?"
Si girò verso di me e mi fece l'occhiolino. Si riferiva al nostro incontro. Che imbarazzo! Però non mi sarebbe
dispiaciuto cantare ancora una volta accompagnata dal suo fantastico violino.

Poco dopo ci raggiunsero anche Luv e Clarence. 
Cercai aiuto negl'occhi di quest'ultima, ma lei restava impassibile.
"Luuuuvv!!"-Sbuffai esasperata.
"Non ti agitare, puoi farcela!"-Mi consolò lei-"Sorridi e agita la mano. Tutto qui. Quando sarà ora di scendere
dovrai salire nel palchetto e..."
La interruppi.
"Dove dovrei salire io?! Perché?!"-Urlai nuovamente.

Questo me lo spiegò la voce calma di Livius: "Tu sei in questa carrozza per mostrarti a tutti. Una volta scesi,
dovrai salire su quel palco e restare lì per un po', ascoltando dei paroloni noiosi, ma fondamentali.
Tu cerca solo di non addormentarti."-E mi sorrise calorosamente-"E' un normale rito. 
Alla fine ti faranno dono di una coroncina che dovrai sempre portare in testa. E dopo sarai di nuovo libera."

Niente di difficile per una persona normale. Ma io non lo ero. Buttai a terra cento cameriere solo perché
cercavano di prendermi le misure. Inoltre con i trampoli ai piedi la figuraccia era assicurata.
Non volevo farlo. Poi mi sentivo ridicola. Non ero degna di portare un vestito come quello; e se ricevevo
solo grandi risate?

I cavalli iniziarono a muoversi lentamente. MOLTO LENTAMENTE. Questa velocità rendeva tutto più anzioso.
La mia mano tremante trovò il calore di qualcuno. Era Livius. La mia preoccupazione era così evidente?
"Puoi farcela."-Mi sussurrò e fu l'ultima cosa che sentii dopo che degli enormi cancelli si aprirono, lasciando
spazio a folle di uomini, donne e bambini che acclamavano qualcosa. Me? Chiamavano il mio nome?

Livius alzò la sua mano in alto, tenendo ancora la mia e a questo gesto il rumore della folla crebbe a dismisura.
"Grazie, faccio da sola."-Affermai fredda lasciando la sua mano.
Copiai i movimenti leggiadri di Luv, anche se io a confronto ero paragonabile ad un ippopotamo che cerca
di volare, fallendo miseramente.
Anche Clarence era molto affascinante quel giorno.
Solo io ero un pesce fuor d'acqua.

Salutai dei bambini che mi sorrisero gioiosamente. Che carini!



La carrozza percorse non so quanti chilometri e alla fine, lentamente, si fermò davanti ad un grande palco
in legno addobbato e decorato a dovere. In mezzo c'era una donna alta con i capelli marroni e gli occhi color
cioccolato. Portava una tunica bianca con una fascia rossa legata alla vita.
Al centro del palco, un tavolino anch'esso in legno. 

Luv e Clarence scesero senza il minimo sforzo; io invece stavo già avendo la nausea.
Mi bloccai per la paura di cadere e fare una pessima figura.
Avrei voluto muovere le gambe, ma qualcosa me lo impediva.
Tremavo. 

E nel momento più critico, il mio eroe: Livius scese dal mezzo di trasporto e venne a porgermi una mano con
trentadue denti in bella vista.

"Ti devo un favore."-Gli dissi e afferrai la sua mano, non mollandola fino a toccare terra coi piedi.
"Di nulla."-Rispose.

Bene. Dovevo solo salire nel palco e cercare di NON addormentarmi, scivolare, far cadere qualcosa,
strappare il vestito e tante altre disavventure.
Mi avviai verso la struttura in legno con un goffo tentativo di sembrare più fiduciosa e fiera, ma ottenendo solamente
delle gambe tremolanti.
I tacchi. Quei maledetti tacchi! 

Una scaletta si stava prendendo gioco della mia persona. La potevo sentire chiaramente.
Rideva e si burlava di me. Mi sussurrava: "Cadrai. Cadrai sicuramente!" E rideva di gusto. Ma in
fondo era solo una scala. Potevo batterla. Prima un piede, poi un altro e così via. Potevo farcela sicuramente.
Superai la scala compiaciuta di me stessa per aver zittito quel pezzo di legno e mi diressi verso il centro,
dove mi aspettava quella donna.
La guardai bene: era molto bella e curata.

Mi sorrise dolcemente, come una sorella e mi fece segno di portarmi la mano al  cuore. 
Seguì le sue istruzioni.
Poi si voltò verso il popolo e iniziò un lungo discorso:
"Oh miei amati, siamo tutti qui riuniti oggi per celebrare, finalmente, la venuta della nostra dea millenaria.
E' necessario, come ben sapete, un rito fondamentale per farla divenire la nostra dea: i giuramenti."
La donna si rivolse di nuovo a me.
"Dica <>"-Disse e sorrise.
"Va bene."

"Giuri, oh nostra dea, fedeltà al regno?"
"Lo giuro."
"Giuri, oh nostra dea, di vegliare a noi e alla natura, per farla crescere forte e rigogliosa, come una madre amorevole?
"Lo giuro."
"Giuri, oh nostra dea, di purificare i nostri cuori da comuni mortali con il tuo soffio divino? E di alleviare le nostre 
orecchie e quelle di madre natura con la tua elegante voce?"
"Lo giuro."
"Giuri di rimanere al nostro fianco? Noi lo faremo."
"Lo giuro."
"Di indicarci la giusta via e di illuminarci diventando il nostro sole e la nostra luna?"
"Lo giuro."
"Di essere dalla parte della giustizia? Di provare compassione ed essere severa quando serve?"
"Lo giuro."
"Di NON innamorarti di nessun umano, ma di amarci tutti allo stesso modo?"

Eh? Cosa? Perché non potevo innamorarmi?
Ripensai a mia madre; quella vera. Mio papà ... era stato uno sbaglio? Non doveva innamorarsi di lui?
E' per questo che scappò con me nell'altro mondo? 
Cercai lo sguardo di Luv fra la folla. Non sapevo che fare. 
Quando la vidi ... trovai solo uno sguardo freddo che aspettava il mio "Lo giuro."
Ma come poteva farmi questo? E ai miei sentimenti non ci pensava nessuno? 
Anche Clarence e Livius erano della stessa idea. Dai loro occhi glaciali non trapelava nessuna
emozione. Forse dal momento in cui confessai loro di essere la dea, mi videro solo come tale; come un
contenitore vuoto di sentimenti, ma pieno di poteri divini che potevano sfruttare a loro piacemento.
Non avendo l'appoggio di nessuno ed essendo nel panico, continuai.

"Lo giuro."-Dissi titubante. 
"Ed ora, oh nostra dea..."-Si fermò un attimo la donna-"Giuri di dare alla luce la prossima speranza 
per il nostro regno? Colei che continuerà a darci potere per le prossime generazioni?
E di vivere quel poco tempo della tua vita donandoci i tuoi poteri e la tua intelligenza?"

Sgranai gli occhi. 
Ero scioccata.
"FERMI TUTTI."-Pensai.
"D-dare alla luce?"-Domandai con un filo di voce.
"Sì."-Annuì la donna-"Non adesso, ma tra qualche tempo darai alla luce un'altra dea."

Luv mi raccontò la storia delle precedenti dee. E anche della mia vera mamma.
Quando la nuova e piccola dea nasce, la vita della madre si spegne.
Ero spaventata. Non volevo. Perché? Perché era successo a me?
Io ero solo una normale sedicenne un po' (ma solo un po') isolata nella sua natura.

<>
La frase mi rimbombava nella testa. 

Il popolo cominciava a spazientirsi.
"Avanti! E giuralo!"
"Sì, che aspetti!"
Sudavo freddo. La voce spezzata, le gambe tremolanti, il dolore al petto.
Non avevo la minima idea di dove sbattere la testa.
"Aiutatemi."-Sussurrai, ma lo feci così piano che nessuno, fra le lamentele della folla, mi sentì.

"Allora, lo giuri?"-Mi chiese la donna al mio fianco.

Presi un lungo e profondo respiro e feci un passo in avanti.
"NO."-Dissi sicura.
A quelle parole si scatenò l'inferno.
Il viso di Clarence mi sembrò preoccupato, Luv invece si coprì gli occhi con la mano.
Livius era immobile, calmo. Forse tutti e tre se lo aspettavano.
Anch'io non era certa della mia scelta di aiutare il regno.
Ci avevo riflettuto molto, ma evidentemente non abbastanza. 

"Non voglio morire!"-Urlai in preda alla rabbia.
C'erano così tante persone intorno a me, eppure nessuno si era fermato un secondo a pensare ai
miei sentimenti, a capirmi davvero.
Ero furiosa di tutto ciò. 

"Non vuole morire!"-Parlò una voce dal pubblico-"E quindi per colpa tua dobbiamo morire noi?"
Notai tanto odio nelle sue parole. Ma io non avevo fatto nulla.
"Io non ho colpe."-Affermai-"E di sicuro non ne avrò se voi tutti morirete."
Bisbigli, imprecazioni, rabbia, odio, tutti rivolti verso di me. 

"Siete voi che vi state scavando la fossa!"-Urlai sicura. 
Non avrei pagato per colpe che non avevo commesso. 
Dovevo difendermi e gli argomenti per farlo non mi mancavano.

"Smettetela una volta per tutte di contare su queste dee! Crescete!"
"Io sono la figlia della precedente dea ..."
"E di mio padre."
L'ultima parola generò scalpore fra il popolo che ora, nel panico, urlava o si strappava i capelli.
"E' la maledizione! E' colpa sua! Uccidetela!"-Urlavano.

"Non indietreggerò!"-Gridai ancora-"Mio padre mi portò in un altro mondo, quello da cui vengo!"
"Lì le persone hanno imparato a cavarsela da soli. Non stanno con le mani in mano aspettando
qualcuno che faccia crescere i raccolti! State solo oziando nella vostra ignoranza! Le dee le
avete create voi!"
Mi avvicinai al tavolo in legno in mezzo al palco.
Appoggiata sopra un cuscino rosso c'era una coroncina d'oro con la forma delle foglie d'alloro.
La presi, mi voltai verso il mio pubblico e la spezzai.
Tutti rimasero immobili, col fiato sospeso e dipendevano dalle mie labbra.

"Basta."-Dissi-"Rimboccatevi le mani. Non contate più su nessuna dea, distruggetela come ho
fatto con questa coroncina!"

"Ci ha dato il permesso lei!"-Urla qualcuno-"DISTRUGGIAMOLA!"
L'enorme folla avanzò verso di me ... con l'intento di uccidermi.
"Non intendevo questo!"-Gridai in presi al panico. 
Mi guardai intorno per cercare una via d'uscita: le persone salivano sul palco in ogni modo possibile.

Il battito accelerato del cuore sembrava scoppiarmi in testa. 
Il destino aveva davvero questo in serbo per me?
Farmi uccidere da un popolo arrabbiato e ignorante o morire giovane dando alla luce una bambina?
Ero in trappola. 

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Capitolo 14
*** Canto solo per me stessa e per te ***


||Riassunto Capitolo Precedente||
Visto che è passato un millenio, vi riassumo brevemente qua sotto il capitolo. MOLTO brevemente:

Finalmente anche Luv ha scoperto che Margaret è la Dea di cui il regno ha bisogno da molto tempo.
Quindi non perde tempo ed inizia subito i preparativi per la parata: la nostra sfortunata protagonista
è costretta a salutare nel modo più aggrazziato possibile tutto il regno, passando fra la gente con
una bellissima carrozza. Ad accompagnarla ci sono anche Luv, Clarence e Livius al suo fianco che 
non tarderà a confortarla come può.
Finita la parata, Margaret sale su un palco in legno ben allestito con il suo magnifico vestito elegante 
appartenente alla madre naturale.
Qui fa dei giuramenti per rinascere come Dea. Rimane un po' perplessa quando scopre di non 
potersi innamorare di nessun umano. Ma, titubante, decide di andare avanti. 
Il suo coraggio va in frantumi quando capisce di dover dare alla nascita la prossima Dea e quindi morire. 
Si ribella, urla e schernisce quell'ignorante regno che si affida solo a qualcuno per vivere.
"Distruggete l'immagine della Dea, proprio come ho fatto io con questa coroncina!" 
Il popolo si arrabbia e, prendendo alla lettera le sue parole, la insegue con l'intento di ucciderla.
FINE. Ops. Ho parlato troppo comunque! Vi lascio a questo capitolo! Bye <3


  Il respiro irregolare era l'unica cosa che sentivo oltre ai miei rapidi passi e al cuore che pareva
potesse esplodere da un momento all'altro. 
Riuscii a seminare la folla arrabbiata entrando negli irriconoscibili corridoi del palazzo, senza fine.
Mi fermai per riposare, appoggiando le mani alle ginocchia piegate. Ci vollero interminabili minuti per far
tornare il respiro alla norma.

Quando rialzai il capo fu come se qualcuno mi avesse scagliato un pugno a tutta forza nello stomaco, 
carico di tristezza,stupore e sensi di colpa:
mi trovai davanti il giardino in cui i miei poteri si svelarono per la prima volta. 
Non riuscì a restare immobile a guardare il mio orgoglio distruggersi lentamente, perciò ricominciai a correre
con le lacrime agli occhi. 

Non potevo credere a ciò che successe qualche minuto prima. 
Quella folla furiosa era capace di uccidermi senza esistazione. Non volevo morire. 
Volevo vivere e tornare a casa mia. 

In quegli istanti che sembrarono interminabili odiai con tutto il cuore quel regno in cui ero capitata.
Mi aveva sconvolto la vita, in tutti i sensi. E ciò stava portando solo sofferenze e paure. 

La mia infanzia fu un masso enorme da portare sulle spalle e onestamente mi bastò. 
Non ne avrei mai voluto un altro, figuriamoci se più pesante.

Ridacchiai amaramente mentre il vento provocato dalla mia incessante fuga mi asciugò le guance. 

Avrei voluto soltanto cantare; nulla di più. Non mi pare di aver chiesto chissà che cosa.
Avrei voluto farlo con tutta sicurezza, senza dover badare ad un regno, partorire una figlia e morire.
Domandavo troppo? Chiunque poteva usare la propria voce, anche i più stonati. 
Io no. 
Non potevo. 

Sono proprio un'egoista. Una grande ed indiscussa egoista.
Ma infondo è essere egoista voler soltanto riuscire a fare una cosa comune e banale come tutti gli altri?

Iniziarono a farmi male le gambe ed il fianco destro non smetteva di pulsare. 
Rallentai per sbirciare alle mie spalle: nessuno mi seguiva. 
Potevo fermarmi. Ma non fermai le mie convinzioni. 

"Devo tornare a casa."-Mormorai sconsolata. 
Però non sapevo come fare. E solo una persona poteva donarmi aiuto. 

Solo che ... quella persona credette in me ed io la delusi amaramente. 
Luv, così come Clarence e Livius, non mi avrebbero mai e poi mai perdonato.
Forse. 

Se solo non ci fosse stato il rischio di farmi scoprire, avrei sicuramente urlato a perdi fiato per sfogarmi
da tutta la rabbia e lo stress accumulato in quell'ultima ventina di minuti. 

Ma qualcos'altro attirò la mia vigile (in quel momento sì) attenzione. 
Un violino. Ma non uno qualsiasi: era di Livius.
Avrei riconosciuto quel dolce suono anche da un altro mondo.

Suonava una melodia così triste, malinconica. Forse delusa, ma non ne sono certa.
Mi attirava a se come un'apetta in cerca di miele. Il mio cuore batteva ancora più forte e fremevo dalla
voglia di andare da lui e cantare come l'ultima volta. Ma non potevo. 

Il suono si fece sempre più vicino, mi rimbombava nelle orecchie e nella testa.
Sbatteva in ogni singolo punto del mio corpo e mi sussurrava: "Avanti, Margaret. Canta. Canta."
"No, NO!"-Urlai. 

Ora che ci penso, perché il canto era così importante per me?
Al nostro primo incontro Livius mi parlò del suo violino. Quella luce nei suoi occhi mi fece sognare ad
occhi aperti. Pensai che forse anch'io un giorno avrei potuto parlare della mia passione allo stesso modo.
Ma in quel momento, con le mani che mi tappavano le orecchie, il tormento di una voce interiore e le mie
urla strazianti per non starla ad ascoltare, pensavo che fosse davvero impossibile avverare il mio sogno.

Più il suono si avvicinava, più gemevo dalla rabbia. 
Arrivai perfino a sentire il rumore dei passi di Livius. 
Perché lo faceva? Gli piaceva torturarmi forse? 
Quel suo sorriso gentile era tutta una scena che sarebbe poi crollata una volta accettato, come una
brava cagnolina, tutti i giuramenti per rinascere come Dea.

"Margaret."-Mi chiamò.

Era a pochi passi da me. Smise di suonare il violino, ma io rimasi nella medesima posizione; con le
orecchie tappate, le ginocchia a terra e un'espressione orribile sul volto. 

"Margaret!"-Gridò. 
Il mio cuore sobbalzò urlando aiuto, ma il corpo ... rifiutava di muoversi.

Livius perse la pazienza e cercò di liberarmi con la forza da quella posizione che sembrava quasi 
una morsa di pura sofferenza. Non volevo mai più ascoltare neanche una nota. Mi faceva ricordare
i miei fallimenti, i miei sogni andati in fumo ... le mie orribili responsabilità dalle quali preferivo 
scappare. Eppure, nonostante pareva chiaro tutto ciò, Livius non si arrese.

"Ti prego, non fare così!" 

Il suo tono di voce mi sorprese. Era un misto di dolore, preoccupazione e compassione.
Sembrava quasi che stesse per mettersi a piangere. Io facevo già da moltissimo tempo.
Quei goccioloni mi rigavano il viso senza sosta, mentre non volevo assolutamente guardare
in faccia il ragazzo che si preoccupava tanto per me. 

Avevo paura. Paura che fosse tutta un'altra farsa per convincermi nuovamente ad adempire
ai mei doveri da Dea. In me la disperazione dilagava cercando invano delle risposte.
Livius era mio amico? Potevo fidarmi di lui, si o no? E se mi stava mentendo? Forse anche lui
era deluso dal mio comportamento e voleva liberarsi di me. 

"Margaret..."-Sussurrò lui. 

"Cosa c'è..?"-Chiesi sconfitta. 

"Canta, ti prego."

Guardai la mia mano. Era diventata rossa. 
Anche la guancia di Livius era del medesimo colore.
Mi pentii pochi secondi dopo di avergli dato uno schiaffo. 
Agii di stinto. A quelle parole mi sono sentita tradita, umiliata e presa in giro. Proprio da lui.

"Io ci speravo davvero, che tu fossi diverso."-Spiegai arrabbiata, con il volto afflitto e le lacrime 
che mi bagnavano il collo. 
"Tutti in questo schifoso mondo mi trattano come se fossi un oggetto! Non sono vostra! Non
potete dirmi cosa devo fare!"-Urlai sfogando tutto lo stress accumulato.

"Questo lo so."-Rispose lui.

"QUINDI E' PER QUESTO CHE CERCATE DI DOMARMI CON I VOSTRI SORRISI GENTILI?!"

Non ci vedevo più. I perfetti lineamenti di Livius diventarono sempre più sfogati per le lacrime. 
Tutta quella rabbia esplose con una singola frase. Mi sentivo sfinita, come se mi avessero
letteralmente torturato per ore. Non ce la facevo più. Le gambe cedettero e mi ritrovai in ginocchio
con le mani a coprire gli occhi. E piangevo, come mai avevo fatto. 

Mi vergogno di me stessa per non aver rispettato la promessa fatta a Clarence, perché quel
giorno ho desiderato davvero morire. Proprio lì, davanti a Livius, l'ho ammisi:
"Non ho scelta, Livius. Se divento una Dea, morirò. Se rinuncio ai miei poteri, il popolo mi ucciderà.
Tanto vale morire adesso, non trovi?"

Lo guardai con gli occhi ormai spenti, senza luce. Mi ero arresa.

"Non permetterò che ti facciano del male, Margaret. E anche Luv e Clarence la pensano allo stesso modo."

Ridacchiai amaramente. 
"Certo che non lo permetterete. Io vi servo. La vostra preziosa Dea non
può morire! Quindi mi torturerete! Con i vostri falsi, falsissimi gesti gentili, fino a quando una nuova creatura
prenderà il mio posto ed io morirò. Non sopporto tutto questo. Odio questo mondo. Vi odio tutti."

Sgranai gli occhi appena quel calore e quelle braccia forti mi avvolsero. 
Potevo benissimo uscire dal suo abbraccio, eppure qualcosa mi frenava. 
Stavo bene rannicchiata al suo petto. Mi sentivo protetta, in qualche modo.
Gli bagnai gli indumenti con le mie lacrime, ma a lui sembrava non importare granché.

"Ascoltami bene."

Io annuii obbediente, ancora frastornata dalla sua audacia e dal suo profumo travolgente.

"Tu non vuoi diventare una Dea, giusto? Perché altrimenti moriresti."

Accennai un sì con la testa: "Ma il regno è infuriato. Mi ucciderà."

"Tranquilla. Finché sei sotto la nostra protezione non potranno farti alcun male."-Spiegò con voce 
calma e paziente.-"Dunque, possiamo trovare un accordo."

"Ovvero?"-Domandai curiosa.
Intanto immersi il viso nei suoi vestiti. Ero troppo imbarazzata per guardarlo in faccia.
E, lato positivo, le mie lacrime finalmente si placarono. 

"Io posso farti tornare a casa."-Disse con voce compiaciuta.

Eh? Pensavo che solo Luv fosse a conoscenza del metodo.
In effetti mi ero sempre chiusa nella mia totale ignoranza, convinta che solo lei potesse aiutarmi.
Ma non era così. Livius conosceva il modo per salvarmi da quell'inferno. 

L'unica cosa che sapevo di certo è che per aprire il vortice e farmi tornare fra le
braccia di mia madre, serviva il mio potere.

"Come?"

"Ah, fammi finire."-Mi bacchettò-"Ti farò tornare a casa, ma noi non possiamo restare senza una Dea."

Ecco, lo sapevo. Sfruttata al massimo, imbrogliata fino alla fine.

"Il discorso che hai fatto sul palco ... sembrava interessante. Hai ragione: ci affidiamo a qualcuno
dandogli tutte le responsabilità. E mi dispiace davvero che questo destino crudele sia capitato a te, Margaret.
Quindi che ne dici di collaborare? Potresti insegnarci come si fa... insomma a mantenere la natura viva
senza il potere di una Dea. Nel tuo mondo fanno così, giusto?"

Le sue parole mi lasciarono perplessa, ma soprattutto stupita.
Non mi era passata nemmeno per la mente questa soluzione! 

"E quando finalmente avremo imparato, potrai tornare a casa. Sempre se lo desideri ovviamente."-Concluse
sorridente. 

Mi sciolsi dalla sua presa e lo guardai dritto negli occhi. 
Non stava mentendo. Voleva davvero collaborare. 

Che avevo da perdere? Infondo avrei potuto finalmente abbracciare mamma e Calzino.

"Ah, prima però dobbiamo convincere Luv ... e parlare con una folla infuriata."-Ridacchiò lui.

Non importava. Potevamo farcela, insieme.
"Mi dovrai aiutare."-Sorrisi teneramente.

"Ovviamente."

Livius si alzò in piedi, sistemandosi i vestiti.
Lo imitai. Asciugai anche le ultime tracce di lacrime sul mio collo. 

"Margaret."-Mi chiamò sorridente. 

"Sì?"

"Non sei felice?"-Domandò.
"Sì, lo sono. Perché?"

"Perché adesso puoi cantare liberamente."

Sgranai gli occhi e mi trattenni dal piangere nuovamente.
Accidenti che piagnucolona che divenni in quello strano posto.

"Canta. Fallo per me. Non per la natura, il regno o tutto quello che vuoi."-Disse Livius-"Fallo per me. E per te."

Annuii. Ero al settimo cielo. 
Quel giorno... il mio sogno si era avverato.
Cantai con tutta me stessa, accompagnata dallo splendido violino.
Durante la nostra magica esibizione, il mio potere si risvegliò ancora una volta, rivelando le mie 
splendide ali candide. Ma non mi importava più ormai. Cantavo per me, per il gusto di farlo. 
Cantavo per il mio eroe, Livius.

Ed era un sollievo sapere che non sarei morta di lì a poco. 

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