Amnesia

di larry_xoxo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** New life ***
Capitolo 3: *** First day ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Il mio nome è Eileen Marie Kahn, ma preferisco farmi chiamare Leen. Ho 16 anni ed insieme a mia cugina, Jillian Brooks, frequento la St.Paul's High School, a New York. Abbiamo alcune lezioni in comune e spesso ci ritroviamo a casa sua, o a casa mia, per fare i compiti o trascorrere del tempo assieme.

 I miei genitori si sono separati da appena un anno e per mia madre è difficile mantenere me e mia sorella, nonostante mio padre ci mandi una buona parte di soldi per contribuire al nostro mantenimento, e così, per facilitarle le cose, ho scelto di seguire Jillian, assieme alla sua famiglia, in Australia a Riverstone. Lì i miei zii hanno comprato una villa abbastanza grande, anche se io e Jill condivideremo la stanza; non sarà un problema visto che condividiamo ogni singola cosa, tra noi non ci sono segreti.

 Una cosa che forse mi preoccupa è il fatto che lì non conosciamo nessuno e sarà difficile integrarsi tra gli altri studenti che frequentano il Norwest Christian College (è lì che andremo) da già tre anni. Be', forse è inutile preoccuparsi delle dicerie riguardo quella cittadina - dicono che in quel paese sono molto distaccati e freddi - e godersi la nuova vita che sta per iniziare.

 Un anno e mezzo fa avevo un amico di nome Charlie. Era come se fossimo inseparabili, poi lui ha deciso di andarsene, di sparire. Ricordo quel giorno come se fosse accaduto poco fa; in un freddo 23 gennaio stavo andando, come quasi tutti i giorni, a trovare il mio amico, Charlie. Giunta a casa sua bussai al campanello, nessuna risposta. Così bussai più volte finché non mi ricordai della chiave di riserva che teneva sotto lo zerbino e, così, aprii la porta. Salii subito al piano di sopra per recarmi in camera sua mentre chiamavo ripetutamente il suo nome. Davanti la porta trovai una lettera:

 

Ti ho voluto bene, ti voglio bene e te ne vorrò sempre. Sarò il tuo scudo, dietro il quale ti proteggerai. Sarò la spalla, su cui piangerai. Sarò il tuo migliore amico, su cui potrai contare. Sempre. Scusami se ti ho abbandonata ma l'oscurità non permetteva all'unico raggio di sole, tu, di illuminarmi la via. L'oscurità mi ha abbattuto, sconfitto.

 

Ti vorrò sempre bene. Perdonami,

 

Charlie.”

 

A quel punto i miei occhi si riempirono di lacrime, ma non volevo crederci. Certo, Charlie non era una persona a cui piaceva fare scherzi di questo genere, anzi li aveva sempre odiati, ma in quel momento ci speravo, speravo tutta me stessa che quello fosse uno scherzo. Ma quando aprii la porta di camera sua, le mie ultime e vane speranze… svanirono. Il suo corpo, disteso lì… in quella marea di sangue che sorgeva dal petto… quel coltello, anch'esso sporco di sangue, che teneva ancora tra le dita. Non poteva essere, il mio migliore amico non c'era più.

 Da allora conservo la lettera che mi scrisse e ogni sera gli racconto le mie giornate tramite un diario che gli è interamente dedicato. Come se lui potesse sentirmi. Non avevo mai saputo che Charlie soffriva di depressione, non l'avevo mai capito. E adesso mi sento in colpa. Non mi sono mai arrabbiata con lui per avermi abbandonata, ma mi sentivo solamente in colpa.

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Capitolo 2
*** New life ***


Il giorno della partenza verso Riverstone è finalmente giunto, lo aspettavo con impazienza anche se ora sento già la mancanza di mia madre e di mia sorella. Non ho mai preso un aereo fino ad ora e l'ansia si sta facendo sentire, accompagnata dalla nausea. Dopo le solite raccomandazioni di mia madre e dopo tutte le volte che mi ha detto che le sarei mancata, finalmente esco di casa per recarmi da Jill. Mentre cammino, respiro a fondo l'aria mite di New York. Mi mancherà questo posto. Decido di prendere la strada più lunga - così da dare a questa città un addio meritevole - attraversando i piccoli vicoli tra le palazzine.

 

 Purtroppo mia madre non ha potuto accompagnarmi all'aeroporto e quindi eccomi qui su un aereo dritto verso Sidney. Anche se ho dovuto abbandonare la mia famiglia qui, sono felice di lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare una nuova vita. Dopo le raccomandazioni delle hostess riguardo alle cinture di sicurezza, finalmente l'aereo si prepara per il decollo e il senso d'ansia e di nausea ritornano.

 

«Sai, dicono il Norwest è un'ottima scuola. Anche a livello sociale.», dice Jill tenendo gli occhi chiusi. Ormai eravamo ad alta quota.

«Davvero? Allora non credo avremo problemi.», sospiro, cominciando a rilassarmi.

«Ci aspettano venti ore di volo e quarantacinque minuti di macchina.», sbuffa impaziente prima di aprire gli occhi e tirare giù la tendina dell'oblò. Tutti i passeggeri, compresi gli zii e Jill, cominciano a prendere un cuscino e dormire. Non ho voglia di ascoltare la musica, nè tantomeno di leggere un libro o una rivista, così chiudo gli occhi anch'io.

 

 

Dopo aver dormito, letto qualche paragrafo di “50 sfumature di grigio” e ascoltato tutta la mia playlist due volte, le venti -  ed interminabili - ore di volo finiscono ed arriviamo finalmente a Sidney. L'aria è già diversa rispetto a quella di New York, sento già il caldo di settembre che a New York avremmo sentito solo verso metà luglio. Controllo lo schermo del mio cellulare che porta le 15.00, la fame inizia a farsi sentire. Sorrido involontariamente alla mia nuova città, è bellissima. E non vedo l'ora, durante i 45 minuti che passeremo in macchina, di ammirare il panorama e gli alti palazzi di Sidney.

 

 

Mentre siamo in macchina chiamo mia madre per dirle che siamo atterrati, anche lei nota il mio entusiasmo ed è davvero contenta. Una volta finita la telefonata, tiro fuori le cuffiette dallo zaino dopodiché le metto alle orecchie e ascolto, un'ennesima volta, qualche canzone dalla mia playlist fin quando non arriviamo a destinazione.

 Davanti ai miei occhi, circondata da una recinzione, sorge una piccola villa.

Vista dall'esterno, ha un aspetto moderno ed ha le facciate di colore bianco. Dalla facciata frontale, si vedono due balconi affiancati, ciascuno per una stanza. 

 

Scendiamo dall'auto scaricando tutti i bagagli e, trascinandoli, li portiamo sino al cancelletto della villa; inoltre ci sono anche la cassetta della posta e il citofono.

 Entrando noto di fianco allo stretto sentiero, alcune piante di azalee e qualche piccolo albero dall'altro lato del giardino.

 Finalmente la porta principale si apre ed, appena dentro, inalando l'aria della nuova casa, noto un odore di pittura: naturalmente la casa è stata imbiancata.

 Boccheggio nell'intento di descrivere quell'enorme casa ma non ce n'è verso.

 

L'interno è completamente diverso dall'esterno. I muri sono di un colore marrone chiaro, così come tutto il resto della casa.

 Appena si entra, a sinistra vi è la penisola della cucina (molto grande) e dietro vi sono il piano cottura e tutto il resto. Il colore dominante in cucina è il bianco. I piani della cucina sono lisci mentre i mobili sono laccati. 

 A destra c'è il salone con un ampio divano, marrone, ed un tavolo in vetro con sopra un piccolo ma particolare vaso in terracotta. Di fronte c'è una parete attrezzata in noce canaletto con una televisione da 40 pollici, uno più o uno meno.

 Dalla parte opposta c'è l'aerea “sala da pranzo”; ovvero, un tavolo abbastanza grande con attorno otto sedie in pelle bianca. Sfioro la superficie del tavolo: è legno puro.

 

«È bellissima…», dico con un filo di voce. “Bellissima” per quella casa non bastava.

 

Io e Jill restiamo a fissarci per un minuto intero senza proferire parola, fin quando, non corriamo verso il piano di sopra. Ci sono ben cinque porte. Non vedo l'ora di condividere la stanza con mia cugina. 

 Stiamo per aprire una di quelle porte finché zio William non ci avvolge con le sue braccia.

 

«Ho una sorpresa per voi.», dice sorridendo.

«Quale?», chiediamo impazienti all'unisono.

«Ognuna di voi avrà la sua camera. Ci ho pensato e mi sono detto che ora avete sedici anni e che preferite starvene per i fatti vostri e volete un po' di privacy.»

«Ammetto che condividere la camera con Jillian sarebbe stato bellissimo, ma… wow… una camera tutta mia… grazie zio William!!», esclamo abbracciandolo senza esitare.

 

Lui comincia a ridere e, dopo aver ricambiato l'abbraccio, scende giù. Molto probabilmente dovrà aiutare zia Theresa a portare le valige al piano di sopra.

 

«Allora, quale vuoi che sia la tua camera?», chiede Jillian con un sorriso a trentadue denti.

«Non ho ancora visto nessuna delle due; come faccio a scegliere?!», esclamo ridendo.

Sbuffa.«Facciamo che io prendo quella a destra e tu quella a sinistra?», propone.

«Affare fatto!»

 

Mi avvicino lentamente alla porta in fon al corridoio. Chiudo gli occhi e sospiro, aprendo lentamente la porta.

 È la camera che tutti sognano. Perfetta. È ampia e alla mia sinistra c'è una finestra che prende quasi tutta la parete con davanti una piccola panca. Il posto ideale dove leggere i miei libri.

Poi vi è il letto con sopra delle mensoline, dopo mi occuperò di metterci qualcosa sopra. C'è anche una piccola scrivania con un portatile sopra e con una sedia bianca con le rotelle. Dietro ci sono altre mensole. Dalla parte opposta del letto c'è una parete con la televisione. Di fianco c'è un'altra porta, apro anche quella e mi ritrovo davanti una cabina armadio. Ci sono già alcuni capi e qualche paio di scarpe a riempire quella piccola stanza. E quando credo che le sorprese siano finite, quando torno in camera, trovo una piccola finestrella, subito a destra della porta. Trascino la sedia che sta dietro la scrivania appena sotto e ci salgo sopra. La apro e trovo Jillian in camera sua che saltella entusiasta.

 

«Contenta eh?», chiedo ironicamente.

«Oddio, ma abbiamo che una finestra comunicante? Che bello!», esclama quasi urlando.

Sorrido scuotendo la testa.

«Mi aspettavo un bagno tutto mio ma la cabina armadio mi basta.», scherza.

«Ora sistemo un po' di roba, a dopo!», dico saltando giù dalla sedia e dirigendomi verso il mio bagaglio a mano.

Apro la zip e ne estraggo una foto in una cornice. Cosa raffigura quella foto? Me e Charlie. Era così felice, almeno così sembrava. La posiziono su una delle mensole sopra il letto e la fisso, sorridendo. Mi è sempre vicino.

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Capitolo 3
*** First day ***


Sento il suono della sveglia che rimbomba nelle orecchie. Dio mio, credevo che fosse stata piacevole la scuola qui ma, molto probabilmente, non avevo calcolato il fatto dello svegliarsi alle 6.25.

 “Quella che ci mette tempo a prepararsi è Jillian, non io”, altra ragione per alzare il culo da questo fottuto letto e correre nel ba… ma noi ne abbiamo due di bagni! Provo a trovare un altro motivo valido per alzarmi e, mentre penso che andare a scuola dopo aver visto un po' di televisione alle 6.30 di mattina per avere un aspetto più rilassato e non risultare più rivoltante di quanto già sia, qualcuno spalanca la porta. Jillian.

 

«Non rompere le palle!», mugolo nascondendomi il viso sotto il cuscino mentre lei spalanca la finestra.

«Svegliati, secondo te a scuola ci andiamo solo per studiare? Ho sentito dire che qui in Australia ci sono ragazzi non poco belli.», dice ridendo e facendomi l'occhiolino.

«Tu sei matta.», sospiro alzandomi rassegnata.

«E tu sei ancora in pigiama mentre io mi sono già vestita.»

«Ma devi ancora lavarti, giusto?»

«Giusto..»

 

Apro il cassetto e tiro fuori la maglia dei Nirvana e un paio di jeans, dopodiché, corro subito in bagno.

 Appena entrata in bagno, apro il rubinetto e regolo l'acqua ad un temperatura piuttosto fredda. Metto le mani sotto il getto d'acqua e le sfrego sulla faccia. Mi guardo allo specchio: niente di meraviglioso ma è certamente meglio della faccia che avevo prima, appena sveglia. Mi lavo i denti e finisco di prepararmi e vestirmi. Torno in camera per mettere il mio profumo al cioccolato bianco. Afferro la mia tracolla - che contiene solo qualche quaderno non ancora usato - e sorrido al mio migliore amico che sorride guardandomi. Quanto mi manca; a lui sarebbe sicuramente piaciuto qui.

 

Dopo aver fatto colazione, usciamo fuori e camminiamo sino alla fermata dell'autobus.

 C'è il solito freddo di prima mattina e la cosa non mi dispiace. Sono talmente nervosa che ho le farfalle nello stomaco e ogni tanto controllo l'ora per l'impazienza di andare a scuola, cosa che durerà solo i primi giorni. Ne sono più che certa.

 Finalmente l'autobus arriva e subito ci saliamo sopra. È molto grande e ci sono tantissimi ragazzi del Norwest, credo. Quella è la scuola più vicina. 

 Tra tutti i ragazzi ne spiccano tre che fanno casino in fondo all'autobus: un ragazzo castano con gli occhi scuri e abbastanza alto, un altro con gli occhi chiari e con i capelli tinti di un biondo chiarissimo mentre al centro sono tinti di nero. Ed infine c'è n'è un altro con i capelli biondo cenere e con degli occhi così azzurri che brillerebbero anche nel buio pesto. Anche lui indossa la maglietta dei Nirvana come me. Probabilmente si è accorto che lo sto fissando perché si gira verso di me e mi squadra dalla testa i piedi. Solo adesso mi accorgo che ha un piercing al labbro inferiore, a sinistra. Subito distolgo lo sguardo da lui e, imbarazzata, cerco di parlare del più e del meno con Jillian fin quando non arriviamo a destinazione. Insieme a noi, anche i tre regali scendono alla fermata di fronte al Norwest e anche lui, quando si guarda attorno, si accorge di me.

 

Raggiungiamo l'atrio principale dove chiediamo indicazioni per trovare il corso di matematica. Ci dicono di arrivare al secondo piano, andare in fondo al corridoio e entrare all'ultima porta a destra. E così facciamo. 

 Una volta davanti alla porta tutte e due tiriamo un sospiro che non sapevamo di star trattenendo. Appena entriamo in classe sento tutti gli occhi addosso e, prendendo coraggio, guardo i miei nuovi compagni di classe ed eccolo lì insieme agli altri due. Avevo il sospetto di ritrovarmelo in classe ed ora eccolo lì.

 Mi volto verso l'insegnante e le sorrido in segno di saluto. Anche lei ricambia con un ampio sorriso.

 

«Salve, noi siamo nuove in questa scuola. Dobbiamo per caso darle i nostri nomi?», chiede Jillian nervosa.

«Oh, certo. Voi siete le americane, avevo sentito parlare di voi. - sorride ancora - Io sono la vostra insegnante di matematica, Mrs. Hemmings.»

 

In classe c'è ancora un silenzio fastidioso e appena mi giro trovo quegli occhi azzurri intenti a fissarmi. Mi giro.

 

«Allora, noi siamo Jillian Brooks ed Eileen Kahn.», Jillian mi indica mentre pronuncia il mio nome e l'insegnante li segna sul registro. 

«Okay. Jillian, tu ti siedi vicino a Calum mentre Eileen, tu ti siedi vicino Michael.», ci dice indicandoceli.

 

Ecco come si chiama il ragazzo tinto.

 

Con un passo svelto raggiungo il posto che mi è stato assegnato - sempre sotto lo sguardo di quel ragazzo - e mi siedo sorridendo al mio compagno di banco.

 

«Michael, piacere.», si presenta sussurrando e allungandomi una mano.

«Eileen, ma puoi chiamarmi Leen.», faccio lo stesso stringendogli la mano.

 

Michael è molto simpatico. Durante la lezione fa spesso delle battutine molto divertenti ma riesco comunque a seguire Mrs.Hemmings. Mi aspettavo un'insegnante di matematica antipatica e irascibile e invece Mrs.Hemmings è l'esatto opposto, pertanto, la lezione passa in fretta e ci rechiamo tutti verso l'aula di biologia.

 

«Allora, come ti trovi qui a Sidney Miss.America?», mi chiede Michael scherzando.

«Bene. Posso chiederti una cosa?», domandai ridendo.

«L'hai già fatto ma ti concedo un'altra domanda.», rise sonoramente.

«Hai sbagliato la tinta?»

«No. - rise ancora - Mi piacciono così. Qualche settimana e passerò ad un altro colore.»

«Ah, be' mi piacciono.», continuai sincera.

«Grazie.»

 

È strano che mi trovi subito con una persona. Sento di conoscere già Michael, in lui… ho ritrovato Charlie. È come parlare con lui. Forse sento troppo la sua mancanza e in ogni persona rivedo lui. Ma ho la certezza che io e Michael andremo molto d'accordo. 

 

«Io posso chiamarti Leen e tu puoi chiamarmi Mike.»

«Va bene, Mike.»

 

E scoppiamo di nuovo a ridere.

 Siamo davanti all'aula di biologia che pian piano si riempie.

 

«Adesso dobbiamo estrarre dei nomi per scegliere vicino a chi ci sederemo tutto l'anno.», mi spiega mentre entriamo nell'aula e lui si dirige verso la cattedra per poi segnare il mio ed il suo nome su due foglietti diversi. Poi li piega e li mette in una ciotola già occupata da qualche foglietto.

«Spero tanto di capitare con te!», gli dico e lo penso veramente.

«Anch'io. Altrimenti dovrò attendere matematica per stare un po' con te.»

«Perché, in quel corso siamo vicini tutto l'anno?», chiedo speranzosa.

Lui annuisce in segno di risposta.

«Oddio, che bello!», sussurro entusiasta.

«Almeno ho trovato un motivo per adorare l'ora di mate.», scherza facendomi ridere.

 

Mr. Foster entra e, siccome molti banchi sono ancora vuoti, ci dice di sederci ognuno ad un banco. In modo che i ragazzi che arriveranno più tardi estrarranno i nomi dalla ciotola e sedersi accanto a noi. Michael è nel banco davanti al mio.

 

D'un tratto sento la risata di Jillian e alzando lo sguardo la trovo a parlare con quel ragazzo, Calum. E con loro c'è di nuovo quel ragazzo di cui ancora non so il nome. Tutti e tre pescarono un foglietto dalla ciotola. Il ragazzo dagli occhi azzurri, con uno sguardo accigliato, mostra il suo foglietto a Jillian e lei mi indica sorridendo. Lui prende lo zaino che un attimo prima aveva poggiato sul pavimento e viene verso di me. Oddio.

 

«Ciao.», mi dice una volta che si è seduto.

Ricambio con un cenno della testa.

 Noto che Jillian si è seduta di fianco a Mike e stanno già conversando, mentre l'altro ragazzo, Calum, è vicino ad una ragazza dai capelli ramati che sembra già conoscere.

«Ti chiami Eileen vero?», chiede.

«Si, come lo sai?»

«Il foglietto.»

«Ah, giusto. Tu come ti chiami?»

«Luke.»

«Luke… ?», lo incito a dirmi il suo cognome.

«Hemmings.»

«Tua madre è…», cerco di chiedergli se sua madre  l'insegnante di matematica ma lui mi interrompe dicendo:

«Si. L'insegnante di matematica è mia madre.»

«Ritieniti fortunato allora.»

«Direi di no, è piuttosto imbarazzante ma ha anche i suoi vantaggi.», afferma ridendo.

 

La lezione di biologia inizia ed anche quest'ultima passa veloce. Forse anche come primo giorno il professore si è presentato a noi alunni nuovi ed abbiamo letto qualche paragrafo dal libro dell'anno precedente. Io, ovviamente, non ce l'ho e quindi ho dovuto leggere insieme a Luke. Lo stesso anche per Jillian e Mike.

 

Come già ho detto, quelle due ore di biologia passarono veloci. Per essere un lunedì stava andando piuttosto bene.

 Insieme a Luke, Mike e Calum, io e Jillian andiamo verso la mensa e ci mettiamo in fila, dopodiché raggiungiamo i tavoli.

 

«Fin ora hai trovato molte differenza dalla tua vecchia scuola?», mi chiede Luke.

«Non tante. Anzi, qui è decisamente meglio.», rispondo.

«In che senso?»

«Lì ti classificano subito per una cosa che fai. Ad esempio se il primo giorno fai cadere il tuo vassoio, resterai sempre il ragazzo a cui è caduto il vassoio. E poi qui le ore passano veloci. Di solito gli insegnanti di matematica da noi sono tutti irascibili mentre qui è il contrario. E non lo dico solo per tua madre.»

«E io che credevo che in America fosse tutto migliore.»

«L'apparenza inganna.»

«Tu mi sembri una brava ragazza, quella che sta nella sua stanza a studiare tanto per il test del giorno seguente. Sei così? O anche in questo caso centra il detto?», dice guardandomi e poggiandosi di peso su uno dei tavoli con il braccio destro.

«Be' questo lo scoprirai da solo. E, inoltre, tu all'apparenza mi sembri un ragazzo che trasgredisce le regole e a cui non importa niente di nessuno. Invece non è così. Quel piercing al labbro ti da quest'aria.»

Lui sorride maliziosamente afferrando coi denti l'anellino che ha al labbro inferiore.

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