Welcome to the Jungle di PuffolaPigmeaBlu (/viewuser.php?uid=504004)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Aisling O'Moore ***
Capitolo 2: *** 2. Yannick Gaillarde ***
Capitolo 3: *** 3. Elena D'Amico ***
Capitolo 4: *** Juliette Gaillarde ***
Capitolo 1 *** 1. Aisling O'Moore ***
primo capitolo mutaforma new
1.
Aisling O’Moore
Era
stressante attendere fuori dalla porta di una classe -della propria futura
classe- che il personale A.T.A. del piano avvertisse il docente della
prima ora che la nuova studentessa era arrivata ed aspettava il suo
consenso per entrare.
Aisling, come chiunque del resto, sarebbe entrata nel panico, non fosse
stato che per lei quella storia si ripeteva tutti gli anni, a volte
anche più volte l’anno. Smise di torturarsi le
dita quando si accorse che, se avesse maltrattato ancora un
po’ la pelle del pollice, sarebbe andata in giro con
l’osso di fuori, una cosa che sicuramente avrebbe attratto
attenzione.
Proprio quella che lei non voleva, anche se arrivare sei mesi dopo
l’inizio della scuola in un nuovo istituto ed essere alta
molto più della media, era un ottimo modo per ottenerla. Per
lo meno non era l’unica: aveva notato che, fuori dalla porta
di un’altra classe del suo stesso piano, un’altra
ragazza, probabilmente di un anno o due più di lei, alta ed
esile con lunghi capelli biondi ricci, stava subendo la stessa tortura,
ma sembrava molto più agitata.
"Sarà una pivellina del settore -cambiamo allegramente
scuola ogni quando tuo padre è di cattivo umore- ” pensò,
eppure non riuscì a non capirla, anche lei le prime volte si
era sentita piuttosto in imbarazzo, ma dopo un po’ vi aveva
fatto l’abitudine.
La ragazza alzò lo sguardo e sorrise, mostrando una
dentatura perfetta e bianchissima.
Aisling la invidiò pensando al suo apparecchio ortodontico
fisso.
Le si avvicinò, pensando di presentarsi e magari cercare di
rassicurarla.
Aisling non era mai stata un tipo estroverso, anzi, la sua timidezza
rasentava l’isolamento volontario: l’ultima
migliore amica che aveva avuto era stata al primo anno di asilo, eppure
provò un’inaspettata simpatia nei confronti della
poveretta che sembrava timida tanto quanto lei. Pensò quasi
di avvicinarsi e provare a fare amicizia, ma la bidella uscì
dalla sua nuova classe proprio mentre muoveva i primi passi.
-O' Moore, sono pronti ad accoglierti- le disse con un sorriso di
incoraggiamento.
Aisling sorrise un’ultima volta alla ragazza bionda, poi si
voltò e tornò verso la sua classe, prendendo dei
respiri profondi e preparandosi ad affrontare ventiquattro paia
d’occhi pronti a squadrarla dalla testa ai piedi e poi di
nuovo dai piedi alla testa.
All’ultimo secondo cercò di mettersi in ordine la
frangetta scompigliata, ma poi decise di lasciar perdere e di entrare,
in barba a tutto quello che i suoi nuovi compagni avrebbero potuto
pensare di lei, tanto sarebbe comunque stata la nuova, anche in una
classe di recente formazione come quella.
-Buongiorno- salutò, avvicinandosi alla cattedra dove
l’attendeva una donna piccola ed in carne con un paio di
occhiali quadrati sul naso, impegnata ad aggiungere il suo nome sul
registro di classe.
-Buongiorno, io sono la professoressa Lorenzini, insegno italiano,
storia e geografia. C’è un posto libero
all’ultimo banco della fila della finestra, accomodati e
prova a seguire, quando avrai i libri e l’orario ti
rimetterai a paro- fu gentile ma fredda, ma a Aisling non
dispiacque.
Evitò di dirle che aveva già tutti i libri e
seguì ciò che la professoressa le aveva detto. In
silenzio, con gli occhi di tutti puntati addosso, andò a
sedersi vicino ad una ragazza minuta con dei lunghi capelli castani e
gli occhi verdi.
La ragazza le sorrise, poi, sussurrando un -Mi chiamo Emma-, si
voltò a guardare la professoressa che si era alzata e si era
appoggiata alla cattedra dopo averla aggirata.
-Bene ragazzi, come avrete notato avete una nuova compagna, si chiama
Aisling O'Moore. Spero che la farete sentire a suo agio.
Sarà lei a darvi ulteriori informazioni, in seguito, se
vorrà- disse e Aisling attese la serie di domande che ogni
volta venivano poste ai nuovi arrivati.
Stranamente ne arrivò una sola, a cui lei aveva
già risposto precedentemente.
-Da dove provieni? Il tuo cognome mi sembra inglese- le chiese la
professoressa, incuriosita.
-Sono irlandese, ma vivo in Italia da quando ho sette anni- rispose,
senza dilungarsi spiegando che il padre era irlandese trapiantato in
Italia ma sua madre era italiana, di Roma, e che dopo tre anni passati
a vederla solo a fine settimana alternati in cui lei aveva dovuto
sopportare un viaggio in aereo di un’ora per arrivare a Roma
ed un’ora per tornare a Milano, i suoi genitori si erano
finalmente, e miracolosamente soprattutto, accordati
affinché Aisling e suo padre, con cui viveva, si
trasferissero a Roma così da non strapazzarla troppo.
-Ecco perché è così pallida ed ha i
capelli rossi e le lentiggini- sentì dire ad un ragazzo
qualche banco davanti a lei.
Anche quella era un’esclamazione che ripetevano spesso.
Peccato che lei avesse preso capelli e lentiggini da sua madre,
perfettamente italiana.
Decisa a diventare in poco tempo la prima della classe, proprio come
era successo in tutte le altre scuole, Aisling prestò
attenzione esclusivamente alla spiegazione della professoressa,
annotandola con precisione con la sua grafia piccola e ordinata sul
quaderno degli appunti. Quando terminò anche la seconda ora
di lezione, il mercoledì le prime due ore erano di storia e
geografia, si permise di chiudere il libro e di darsi
un’occhiata in torno. La classe era di dimensioni medie,
adatta a contenere i ventiquattro studenti più uno, lei, con
le pareti verde bosco ed il soffitto bianco.
C’erano due grandi finestre, alcune cartine malandate appese
alle pareti insieme a qualche cartellone di studenti degli anni
precedenti. Dietro alla cattedra vi era la lavagna interattiva, quella
di ardesia le stava accanto, vecchia e leggermente scheggiata, sporca
di gesso. Era una classe normalissima di una normale scuola di Roma,
eppure a lei faceva venire i sudori freddi.
Nessuno le avrebbe tolto dalla mente che entro la fine
dell’anno in quella scuola si sarebbe fatta male seriamente,
e di solito le sue sensazioni non sbagliavano. Vicino a lei Emma, la
sua compagna di banco, chiacchierava senza sosta con due ragazze che si
erano avvicinate al cambio dell’ora e che, dopo essersi
presentate come Francesca e Alessia, l’avevano
volontariamente esclusa dalla conversazione, parlando così
piano che era un miracolo riuscissero a sentirsi a cinque centimetri di
distanza.
In terza ora fu la volta di greco, la professoressa Basso, nemmeno a
farlo apposta, era una donna minuta e leggermente gobba, con capelli
tinti color biondo cenere ed occhiali da vista con la montatura azzurra
tempestata da brillantini che copriva un paio d’occhi a cui,
immaginò Aisling, non sfuggisse niente. Camminava con le
ginocchia larghe, ad Aisling ricordò un po’ una
papera. Si trattenne dal ridere per educazione, ma tutta
l’ironia passò non appena la donna si accorse di
lei e le sorrise, gelandola.
-Faccia nuova, eh? Ben arrivata, io sono la professoressa Basso ed
insegno Greco. Vieni alla cattedra così vediamo che
avete combinato questi sei mesi nella tua vecchia scuola- le disse, e
Aisling capì che quella professoressa avrebbe fatto di tutto
per metterle i bastoni tra le ruote. Le chiese di tutto, a partire
dall’alfabeto, vocali lunghe, brevi e ancipiti e la divisione
delle consonanti, fino ad arrivare all’imperfetto dei verbi
in omega “ω”.
Aisling, probabilmente risvegliando la compassione di qualche santo del
paradiso, riuscì a rispondere correttamente a tutto. La
donna, soddisfatta, la rimandò al posto. Lei si
riaccomodò con il cuore in gola che non accennava a
calmarsi. Si impose di prendere i libri ed il suo fido quaderno e
scrisse parola per parola ciò che la Basso diceva, senza,
per la verità, capire un gran che.
Poco male, avrebbe risolto il problema rileggendo tutto.
Quando squillò la campana e vide i suoi compagni alzarsi per
la ricreazione decise di fare lo stesso. Uscì in corridoio,
cercando di evitare la fiumana di gente che si riversava fuori dalle
classi per scendere in cortile. Quando la calca si fu esaurita si
appoggiò con la fronte alla finestra di fronte alla sua
classe e chiuse gli occhi massaggiandosi le tempie, la sensazione di
gelo che si faceva sempre più intensa.
Le era successo solamente una volta prima di allora, e quando
l’aveva detto al padre avevano immediatamente traslocato, per
cui decise di cercare di fingere che non fosse nulla fino al momento in
cui non le fosse passata. Sentì distintamente risuonare un
paio di tacchi, forse quelli di un paio di stivali, e si
voltò a vedere chi fosse.
Dovette tenersi saldamente al marmo sbreccato del davanzale della
finestra per non cadere a terra tanto il gelo che l’aveva
pervasa fino a quel momento si era fatta intensa.
Vide passare una ragazza, molto bella, alta, con lunghi capelli neri
lucidi mossi, la pelle olivastra ed occhi a mandorla color nero pece,
che la fissarono per qualche secondo prima di posarsi su uno dei due
ragazzi che le stavano accanto.
Entrambi i ragazzi erano molto alti, sul metro e novanta se non di
più, per questo in un primo momento le erano sembrati molto
più grandi di quanto i loro lineamenti lasciassero
intendere; uno era biondo, abbronzato e l’altro moro e con la
pelle diafana come l’alabastro.
Aisling si accorse che con loro vi era la ragazza a cui si era quasi
presentata due ore prima. Non sembrava che apprezzasse particolarmente
la loro compagnia, a giudicare dalla smorfia annoiata che campeggiava
sul suo viso.
Il ragazzo con i capelli scuri la guardò, i suoi occhi, un
misto di sfumature che andavano dal grigio ardesia al blu cobalto,
quasi la ipnotizzarono, le sembrò quasi che le stesse
analizzando la mente.
Fu solo per un secondo, poi la lasciarono, per tornare a fissare quelli
della ragazza mora, come per comunicarle un assenso.
La ragazza bionda, senza farsi vedere, sillabò una sola
parola verso di lei -Scappa-.
Aisling avrebbe tanto voluto seguire il consiglio, quei due la
mettevano in soggezione, eppure, quando provò a camminare
verso la sua classe, non vi riuscì: le gambe non la ressero
e lei si ritrovò sdraiata per terra, con il respiro grosso,
preda di uno dei suoi frequenti attacchi di panico. Nessuno dei tre
ragazzi la soccorse, solo la ragazza bionda provò, ma venne
trattenuta da uno sguardo del ragazzo dai capelli scuri. Senza degnarla
di altra attenzione uscirono dalla porta che collegava il piano con le
scale.
La sensazione di gelo che pervadeva il corpo di Aisling andò
scemando dopo poco, ma il panico restò, stringendole la gola
e lo stomaco. Si accorse di essere accerchiata da tre persone, una
dottoressa che le parlava, anche se lei non riusciva a capire bene le
sue parole, e due uomini che cercavano alzarla dal marmo gelido con
scarso successo.
Quando riuscirono nell’impresa, Aisling perse conoscenza,
cadendo di nuovo.
***
Si
risvegliò in una piccola stanza gelida,
l’infermeria della scuola al suo capezzale il medico della
scuola e sua madre. Provò a mettersi a sedere, ma la testa
le pulsava dolorosamente e decise di rinunciare.
Quando si accorse che la figlia si era finalmente svegliata, Giulia
Argento lasciò cadere a terra il foglio a righe che aveva
tenuto in mano fino a quel momento e le prestò tutta la sua
attenzione, cosa più unica che rara per Asling, che si era
sempre vista anteporre il lavoro da entrambi i genitori.
-Come ti senti?- le chiese, dalla sua voce traspariva preoccupazione
genuina e Aisling si disse che probabilmente avrebbe dovuto farla
preoccupare più spesso visto che in quel modo riusciva ad
ottenere la sua attenzione.
-Come una che ha usato la propria testa come una sala per feste-
rispose, la voce roca e la bocca asciutta.
-Ci hai fatto prendere un colpo, questo non è stato un
attacco di panico normale, signorina-.
Aisling si chiese se per caso sua madre fosse convinta che a lei
facesse piacere quella situazione che si verificava più
volte al mese, e sempre quando era a scuola.
-Mamma, credimi, non so cosa sia successo. Avevo mal di testa, stavo
guardando fuori dalla finestra e ad un tratto mi sono trovata sdraiata
sul pavimento, e poi sono svenuta- raccontò, decidendo di
estromettere la sensazione di gelo e di aver visto due ragazzi glaciali
per non sembrare pazza.
Sua madre non avrebbe capito, ne era certa.
-Ti capita spesso di avere attacchi di panico?- si intromise il medico,
cercando di spegnere la tensione, che si sarebbe potuta tagliare con un
coltello ben affilato, venutasi a creare tra madre e figlia.
-Almeno tre volte al mese, ne soffro da quando ero molto piccola-
rispose Aisling con una voce che sembrava provenire da dieci metri
sottoterra per quanto era flebile.
-Posso avere un po’ d’acqua?- chiese, ed
immediatamente la madre le mise in mano un bicchiere di acqua
frizzante.
Aisling detestava l’acqua gassata, ma la bevve comunque,
dopotutto meglio quella che niente. Sua madre estrasse il cellulare
dalla borsa, ed uscì dalla stanza dicendole che doveva
avvertire suo padre.
Lei rimase sola con il medico nella piccola stanza bianca, come unico
rumore le chiacchiere di sottofondo con cui il dottore cercava di
metterla a suo agio.
Buonsalve! Dopo una vita passata
solo a leggere, ho finalmente deciso insieme ad ale_van_alen di
scrivere questa fanfiction. Spero che questo primo capitolo vi piaccia
, recensite in tanti! :^)
BENNY: Grazie mille a
BennyloveAstral per essere la mia bellissima e fantastica Beta Reader!
MOMY: Benny ti ho detto mille
volte di non scrivere mentre sto scrivendo io!!
BENNY: Scusa scusa ma ho detto la
verità :3
MOMY: Ma quale verità
e verità, piantala e fai la seria...
BENNY: SCIMMIEEEEEE!!!
MOMY: ODDIO... O.o
ALE: Basta con tutte queste
cavolate... -.-"
Seriamente, non andate a chiamare
la neuro, siamo sane di mente (chi più e chi meno
ù.ù). Io ed Ale saremmo veramente contente se
qualcuno ci dicesse cosa ne pensa della storia (visto che la nostra
Beta è a dir poco eclettica). Per cui, non ci resta che
mandarvi un saluto affettuoso, per evitare che il commenti sia
più lungo del misero capitolo, e alla prossima!
Momy e Ale.
E Benny di straforo :)
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Capitolo 2 *** 2. Yannick Gaillarde ***
2.
Yannick
Gaillarde
-Yannick,
è una complementare-.
Juliette si agitò.
–Cerca di reperire
informazioni e non perderla di vista finché non avrai
scoperto anche
quante volte starnutisce- gli ordinò.
Yannick chinò la testa in
segno di assenso, chiuse gli occhi e sparì.
Adorava diventare
invisibile, era una delle cose più divertenti che un
Mutaforma
potesse fare, a parte prendere forma animale, ma lui non poteva
ancora perché non possedeva completamente il suo potere. Un
po’
meno divertente era spiare le persone. Nick sbuffò,
detestava
obbedire agli ordini della sua dispotica sorella, ma in quel
frangente sarebbe stato costretto, la missione le apparteneva di
diritto, era lei la maggiore tra i due dopotutto.
Attraversò la
porta, sfruttando la sua abilità di controllo degli spazi e
delle
superfici, e si avvicinò alla ragazzina che giaceva a terra,
preda
di un attacco di panico. Era normale, quando una persona costituiva
il complementare di qualcuno, ovvero aveva nel suo corpo un frammento
di potere di qualcun altro, si sentiva sempre debilitata vicino al
legittimo possessore del potere poiché esso si risvegliava
alla
presenza della forza gemella.
Guardando la ragazzina gli risultò
persino difficile credere che avesse qualcosa di speciale,
figuriamoci nascondere una grande potenza. Si domandò di chi
fosse
la vittima, tra loro quattro.
Non di Juliette, lei aveva già
incontrato e distrutto il suo due anni prima, e sicuramente non di
Elena, la ragazza che avevano intercettato quel giorno e che stavano
trasportando nel loro rifugio per il completamento della
consacrazione e l’inizio dell’addestramento.
Il motivo per cui
loro erano in quella scuola. Restavano solo lui e Adrien.
Dovette
ammettere che si sarebbe sentito molto insultato nel caso in cui la
ragazzina fosse stata il proprio nemico: il potere e
l’abilità di
un Mutaforma era riflessa nel suo complementare, e quella della
ragazzina era pari a quella di un moscerino ubriaco.
Vide correre
verso di lei la bidella, il medico della scuola e il suo professore
di ginnastica, assistette ai loro tentativi di sollevarla ma non li
aiutò, personalmente prima quell’impiastro fosse
morto e prima
avrebbe potuto dedicarsi a faccende più serie, tanto
sicuramente si
sarebbe venuto a sapere che era legata ad Adrien, lui
l’avrebbe
uccisa e avrebbe completato i suoi poteri.
In barba lui che cercava
il suo complementare da quando aveva undici anni.
Almeno a lui non
avrebbe avuto la sfortuna di avere un complementare di sesso opposto,
o almeno lo sperava! La vide battere la testa e restare svenuta sul
pavimento.
Quasi trattenne uno sbadiglio.
Quando arrivò la barella
per portarla in infermeria saltò giù dalla
finestra del quarto
piano, attento a non produrre il minimo rumore quando venne a
contatto con l’asfalto.
Entrò nell’infermeria, resistendo
all’impulso di tapparsi il naso per il forte odore di
disinfettante
al limone che campeggiava nell’aria.
Il professor Romano era
rimasto fuori la porta per aspettare i genitori della ragazza, anzi,
della bambina.
Li vide arrivare, un uomo sulla cinquantina ed una donna sui
quaranta.
La donna rimproverò l’uomo per averla mandata a
scuola,
giurando e spergiurando che l’avrebbe portato in tribunale
per
richiedere l’affido esclusivo.
Nick provò un po’ di pena per la
poveretta distesa nel letto, non era mai bello che i genitori si
facessero la guerra e si sentì fortunato di non avere
esperienza nel
campo.
Dopotutto, lui non aveva mai avuto un padre.
-Giulia,
non puoi farla studiare da privatista- esclamò
l’uomo esasperato,
tenendo per le spalle la donna che stava avendo una crisi isterica.
–Già ha difficoltà a fare amicizia,
figuriamoci isolandola-.
Yannick capì che, se non fosse intervenuto, e avesse
permesso che la bambina
fosse stata educata da privatista, perdendola così di vista,
Juliette l’avrebbe ucciso e poi avrebbe dato le sue interiora
in
pasto al suo cucciolo, un Rottweiler di nome Auguste a cui lei teneva
più della sua vita. Sbuffò sonoramente, poi si
decise.
Si avvicinò
alla donna e le mise una mano sulla nuca. Lei non si accorse di
nulla, rabbrividì solo leggermente e sentì i suoi
sensi
annebbiarsi.
-Forse
hai ragione Luke- esclamò, più pacifica, tanto
che l’uomo alzò
un sopracciglio scettico.
Probabilmente
era abituato a lottare molto
di più per ottenere qualche cosa da quella megera della sua
ex
moglie.
-La
mia bambina- piagnucolò la donna.
Yannick
alzò gli occhi al cielo:
quando si allenava con Adrien uno di loro due finiva sempre per avere
un trauma cranico serio, invece la figlia aveva solo avuto un attacco
di panico da cui si sarebbe ripresa a meraviglia dopo solo due ore di
sonno.
Quanto erano sciocchi i mortali!
-Giulia,
è inutile che fingi, sappiamo bene che ti importa
più del tuo
lavoro che di lei- ribatté l’uomo.
Yannick gli avrebbe
volentieri stretto la mano, dopotutto aveva fegato per parlare in
quel modo ad una simile arpia!
-Smettila
di dire sciocchezze e vedi piuttosto di andartene, a lei penso io-
borbottò la donna, di nuovo sul piede di guerra.
L’uomo fece per
opporsi, ma lei lo cacciò letteralmente fuori dalla stanza e
poi si
accomodò al capezzale della figlia, carezzandole i capelli.
Dopo
qualche minuto tirò fuori dei fogli dalla valigetta che
aveva con sé
ed iniziò a leggerli.
Yannick attese che si svegliasse, passò
un’ora. Sentì la discussione tra madre e figlia,
avvertendo un
leggero imbarazzo per essere spettatore di un momento così
privato.
Quando entrambe andarono via, probabilmente a casa, entrò
nello
stabile dove si trovava la segreteria e, con un po’
d’impegno,
trovò il fascicolo, piuttosto corposo, della
ragazzina.
Gli bastò
leggere il tutto una volta per riuscire a memorizzarlo, poi lo
risistemò e uscì in cortile, dove si sedette su
una panchina a cui
mancava una stecca nella parte della seduta, e continuò ad
aspettare
la fine delle lezioni.
Quando suonò la campanella dell’ultima ora,
dopo aver fatto passare una prima fila di studenti, divenne di nuovo
visibile e si spostò verso l’entrata del secondo
palazzo per
aspettare la sorella.
Quando Juliette lo vide, la prima cosa che gli
disse fu un –Allora?!- sussurrato.
Yannick quasi non rise tanto era
tesa la gemella.
-Si
chiama Aisling O’Moore, ha quattordici anni compiuti il
venticinque
settembre, oggi è stato il suo primo giorno di scuola,
entrambi i
genitori sono medici, padre chirurgo e madre psicoanalista,
divorziati da quando lei aveva otto anni, affidata esclusivamente al
padre, per sua concessione può vedere la madre a week-end
alterni.
Ha cambiato una decina di scuole, dalla materna fino ad oggi.
È
irlandese, è in Italia da quando ha sette anni. Fino a ieri
viveva a
Milano, al centro.-
Snocciolò quelle informazioni con calma, a bassa
voce, mentre camminavano verso il cancello d’uscita, Adrien
dietro
di loro.
–Adesso arriva il bello- esclamò.
– Ogni suo
trasferimento è collegato al periodo in cui uno dei nostri
era in
una delle scuole da lei frequentate, soffre di attacchi di panico da
sempre, i suoi spostamenti ci confermano che almeno uno dei suoi
genitori sa che possiede una dote particolare. Io azzarderei che
anche uno di loro è come lei, è molto raro che la
capacità si
manifesti senza trasmissione diretta-.
Juliette sembrò euforica dopo
quelle informazioni, di certo la scoperta e l’eliminazione di
un
essere simile durante una missione a lei affidata le avrebbe fatto
guadagnare diversi punti con i superiori
dell’accademia.
Sebbene
sia lei che Yannick facessero parte di una famiglia che in ogni
generazione da diversi secoli manifestava poteri magici che diversi
millenni prima aveva aiutato a fondare la congrega delle streghe, ed
aveva la dote di Mutaforma, cosa molto rara, non avevano mai ricevuto
trattamenti di favore, anzi, i loro compiti erano sempre più
gravosi
rispetto a quelli degli altri.
-Cosa
suggerisci di fare?- chiese Nick.
Il sottinteso era chiaro a entrambi: tua la
missione, tua la decisione, tua la ramanzina in caso di sbagli.
-Direi
di aspettare, scoprire di chi è il complementare, valutare
la sua
pericolosità e, se fosse di basso livello, lasciarla in vita
per far
sì che se la veda con chi di dovere-.
Yannick capì che quest’ultima
eventualità l’avrebbe lasciata con
l’amaro in bocca, a volte si
preoccupava per la sete di sangue che sembrava crescere continuamente
in sua sorella.
-Eseguo
gli ordini- fu la sua brusca risposta coincisa.
Era un tipo di poche
parole, la sua famiglia conosceva a perfezione la sua idea di
pensiero: piuttosto che dare fiato alla bocca meglio stare zitti,
così, quando non aveva nulla di importante da dire
taceva.
Conoscendo la guida di Juliette, quando la ragazza si mise al volante
il suo stomaco iniziò ad attorcigliarsi; avrebbe fatto
meglio ad
iniziare a pregare, peccato che lui fosse ateo. Di conseguenza non
ebbe nessuno a cui chiedere un favore mentre la gemella lasciava
più
volte i segni delle ruote sull’asfalto per via delle brusche
frenate.
Di nuovo buonsalve a tutti!!
Eccoci qui (anche se in ritardo... -.-") con il secondo capitolo della
storia :) spero che vi sia piaciuto, a me e ad Ale farebbe piacere
leggere delle vostre recensioni! (Scusate ancora il ritardo, ma la
nostra ehm... Beta Reader/Tecnica ha la velocità di una
lumaca -.-").
BENNY: NON E' VERO!
MOMY: AH NO!? IL CAPITOLO SAREBBE
STATO PUBBLICATO PRIMA SE NON AVESSI SCARICATO TUTTO L'INTERNET SULLA
TUA CHIAVETTA!
BENNY: Ma dovevo vedermi Attack
on Titan! (ps. Per chi non lo conoscesse, è un anime da non
perdere! Vedetelo!!!! W Shynseki no Koejii!).
MOMY: NON FARE PUBBLICITA'!
BENNY: Ma dai, è solo
una not...
ALE: ..... la volete finire o no?
-.-"
MOMY: Si... se qualcuno non fosse
impazzito per un anime...
Comunque, arrivederci e al
prossimo capitolo
Un bacione
Momy e Ale
BENNY: E io!? 0.o
Si si, anche tu!
MOMY E ALE: Ciaooo!
BENNY: SCIMMIEEEE!
|
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Capitolo 3 *** 3. Elena D'Amico ***
3.
Elena
D'Amico
Elena
cercò di rimanere sveglia nonostante le parole della
professoressa
Agosti fungessero per lei da sonnifero.
La notte precedente, come
tutte quelle venute prima nell’arco di un mese,
l’aveva passata
insonne: Juliette, che lei considerava una piccola dittatrice, aveva
giurato che non le avrebbe fatto chiudere occhio fino a quando non
fosse riuscita almeno a ripetere parola per parola la definizione di
“complementare”.
Elena avrebbe tanto voluto dirle che due ore di
sonno avrebbero fatto miracoli sulla sua concentrazione, ma la
verità
era che aveva una paura immane ad aprire bocca se lei si trovava
anche a soli dieci metri di distanza;
Juliette avrebbe messo paura
persino ad un orso e lei non era mai stata particolarmente
coraggiosa, aveva sempre preferito mandare in avanscoperta gli altri
per poi decidere se intervenire o no. Alcuni avrebbero potuto
considerarla subdola, lei personalmente preferiva i termini
intelligente e assennata.
Si costrinse a prendere almeno qualche
appunto su Russell, giusto per riuscire a capire qualcosa quando
sarebbe andata a studiarlo, ma la sua coscienza non voleva proprio
lasciarla in pace. Gli si ripresentava spesso in mente
l’immagine
della ragazzina che era arrivata a scuola il suo stesso giorno,
accasciata sul pavimento in preda agli attacchi di panico.
E pensare
che aveva anche provato ad avvertirla per permetterle una via di
fuga, sebbene sfuggire a chi ha l’abilità, ma
soprattutto
l’ordine, di ritrovarti anche in capo al mondo, sia
inutile.
Aveva
visto il panico nei suoi occhi color ghiaccio, ed aveva capito che
sarebbe stata spacciata. Elena era una delle poche fortunate ad aver
sempre saputo cosa realmente fosse, da dove provenisse la sete di
sangue che molto spesso le attanagliava le viscere, eppure non aveva
mai fatto nulla per cercare di sviluppare i propri poteri, anzi,
aveva sempre cercato di sfuggire al loro controllo, riuscendo ogni
volta nel suo intento. Almeno fino a quando si era ritrovata
accerchiata da tre della sua specie, solo molto più
addestrati, ma
soprattutto infinitamente più potenti di lei. Per lo meno
due lo
erano, i gemelli glaciali, Juliette e Yannick, che si trovavano al
banco dietro di lei, impegnati in una conversazione fatta soprattutto
di sibili, inudibile a qualsiasi orecchio umano, ma non alle sue, che
avevano sempre saputo cogliere anche i minimi rumori fin
dall’infanzia.
Le sembrava che quei due ragazzi fossero
indistruttibili, quasi come se non avessero avuto bisogni umani come
mangiare o dormire. Le mettevano addosso una sensazione d’
inquietudine non indifferente. Da quello che aveva capito si
trovavano al culmine della gerarchia, sia per discendenza che per
potenzialità, e quasi tutti i loro coetanei del mondo
segreto
provavano un timore referenziale nei loro confronti. Quando
suonò la
campanella fu la prima a mettere giù la penna e ad
alzarsi.
Scrisse
i compiti velocemente, poi si catapultò fuori dalla classe
prima che
i suoi demoniaci carcerieri avessero il tempo di seguirla. Fu tutto
inutile, due secondi più tardi Juliette la prese
sottobraccio
ridacchiando e scuotendo la testa, quasi come se avesse saputo che
nessuno sarebbe riuscito a sfuggirle.
Improvvisamente si fece
coraggio e le pose una domanda.
-Juliette,
che ne è stato della ragazzina del mese scorso?- le
sussurrò, e
vide l’altra stringere i denti, irritata.
-E’
tornata a scuola dopo essere rimasta due giorni a casa- rispose,
nascondendo la rabbia dietro un ghigno divertito.
–Se ti va possiamo
andare a farle un saluto, sta proprio venendo verso di noi-.
Elena
aveva voglia di scuotere il capo, e allontanarsi, il senso di colpa
per il mancato soccorso le stava chiudendo la gola.
La ragazzina le
sorpassò senza dare segni di essersi accorta della loro
presenza,
come unico segnale Elena notò l’acceleramento del
passo. Juliette
aggrottò la fronte, quasi stupida del fatto che la ragazzina
non
avesse avuto nessun malore.
La sentì borbottare, troppo piano
persino per le sue orecchie, riuscì a cogliere solamente
poche
parole: “ Non va come avevo pensato”.
Probabilmente aveva pensato
che fosse il suo specchio, ma ovviamente non era così. Si
sentì
leggermente rincuorata nel constatare che anche Juliette potesse
sbagliare.
-Elena,
hai finito di leggere almeno il primo dei libri che ti ho prestato?-
le chiese Juliette, di nuovo con il suo solito tono disinteressato,
anche se ovviamente era una finzione: quando Juliette non provava
interesse per un argomento, non si fermava a chiedere delucidazioni,
l’aveva imparato a proprie spese.
-Mi
manca solamente un capitolo, ho intenzione di chiuderlo questa sera e
magari iniziare a provare a leggere il secondo volume- rispose,
cercando di non far trasparire nella sua voce alcuna nota di
indecisione.
-Perfetto.
Ma vedi di tener fede ai tuoi programmi- era distratta, Elena se ne
accorse subito, infatti dopo pochi minuti le chiese di scusarla e si
allontanò, diretta verso la sua classe, molto probabilmente
cercando
il fratello.
Elena rimase in corridoio, lo sguardo perso verso il
cortile della scuola, pullulante di ragazzi, fissandoli senza
realmente vederli.
Attese
il secondo suono della campanella, poi
rientrò in classe, pronta per il compito di matematica
***
Quando
suonò la campanella dell’ultima ora Elena
saltò su dalla sedia
immediatamente, consegnò il compito finito ed disordinato,
mise
apposto lo zaino ed uscì nella calca del corridoio.
Rischiò quasi
di finire addosso a due ragazze che passavano in quel momento davanti
alla porta della sua classe.
Mormorò uno “Scusatemi” ed
imboccò
velocemente la porta delle scale.
Uscì dall’istituto e si affrettò
a scendere le scale della metro, strisciò la tessera
magnetica
sull’obliteratrice, attese che e scale mobili la portassero
alla
banchina e si mise ad aspettare il treno, sperando che la sua
aguzzina non decidesse di seguirla anche lì. Quando
finalmente il
treno arrivò, dopo cinque minuti, tirò un lungo
sospiro di sollievo
ed entrò.
Per una volta fu fortunata, trovando il posto a sedere,
cosa rara all’ora di punta.
Chiuse gli occhi e spinse la testa
all’indietro, appoggiandola al vetro freddo del finestrino,
intorno
a lei il chiacchiericcio degli studenti appena usciti da scuola e la
voce meccanica che annunciava le varie fermate.
Dopo Lucio Sestio si
accorse che il chiacchiericcio, come al solito, era notevolmente
diminuito. Sentì il cellulare vibrare, lo estrasse dalla
tasca e
rispose.
-Elena,
sono Matteo- disse il suo fratello adottivo –Dove sei?-.
-Ho
appena lasciato cinecittà, sto arrivando ad Anagnina-
rispose,
sperando che non fosse successo niente di brutto visto il tono di
voce stranamente serio del fratello.
-Io
sono ad Anagnina, ti vengo a prendere così ti eviti
l’autobus-.
Elena quasi si commosse per la gentilezza che ogni volta quel
ragazzo, che conosceva solo da pochi mesi, dimostrava nei suoi
confronti. Non era abituata a persone che si prendessero cura di
lei.
Fin da quando era piccola aveva sempre dovuto fare tutto da sola.
-Ok.
Grazie mille, a dopo- borbottò e chiuse la chiamata,
inserendo gli
auricolari e facendo partire il lettore musicale.
Sorrise quando
nelle orecchie le risuonò il falsetto di Axl Rose, il
cantante dei
Guns ‘n roses, che diceva di non piangere.
Avevano lo stesso scopo,
anche se per motivi differenti.
Arrivò
ad Anagnina, il capolinea della metro, pochi secondi dopo, si
inserì
in mezzo alle persone che come lei cercavano di raggiungere
l’uscita
e salì al capoluogo degli autobus, dove vide la nuova Toyota
Yaris
color grigio fumo di Matteo, faceva pendant con il cielo che
prometteva un violento temporale.
Entrando nell’abitacolo venne
invasa dal calore, sorrise pensando che ad Aprile a Roma solamente
Matteo avesse il coraggio di tenere acceso il riscaldamento.
-Ciao,
come è andato il compito?-.
Elena sbuffò, parlare di matematica con
un fratello che si era appena laureato in ingegneria la faceva
sentire più ignorante in materia di quanto realmente non
fosse.
-Era
un compito di matematica, sarà il solito sei striminzito-
biascicò,
togliendosi la giacca poiché aveva iniziato a sudare.
–Piuttosto
tu che ne sapevi del mio compito?- gli chiese, incuriosita.
-Diciamo
che se vuoi tenere segreta una cosa dovresti evitare di appendere i
post-it sul frigorifero- le rispose ridacchiando.
Elena si chiese per
quale motivo madre natura avesse dovuto farla nascere così
tonta da
non ricordarsi di levare la prova del reato -perché per lei
la
matematica era un reato punibile con la pena di morte-.
-Dimmi
che Vanessa ed Emanuele non l’hanno visto, ti prego- lo
implorò,
facendolo ridere di gusto.
-Ci
ho pensato io a levarlo, tanto tu il voto glielo dirai lo stesso!- le
rispose.
Elena pensò che glielo avrebbe detto se non fosse sceso
sotto lo zero.
In tal caso avrebbe evitato.
-Vedremo-
lo sfidò con falsa sicurezza, poi alzò il volume
della radio e mise
fine alla conversazione.
Si sentiva stanca, quasi come se stesse
covando l’influenza.
Probabilmente era a causa del tempo.
Rabbrividì quando pensò che aveva davanti un
pomeriggio sui libri
ed una nottata a casa di Juliette su altri libri.
Fortunatamente
Emanuele faceva parte della congrega e di conseguenza era al corrente
di cosa combinava lei di notte, Vanessa sapeva come stavano le cose,
quindi non si preoccupava quando rincasava alle quattro di mattina,
appena in tempo per stendersi sul letto e far riposare la schiena un
paio d’ore per poi alzarsi e ricominciare la giornata.
Non
vedeva l’ora di finire l’addestramento.
Eccoci qui eccoci qui eccoci
quiiiiiiiii!!! *si inginocchia e manda baci ovunque* ragazzi e ragazze,
fancuilli e via dicendo, sono BennyloveAstral, Tecnica
nonché Beta Reader delle autrici di questa stora
*èleilaveraprotagonista*:) sono davvero contenta di sapere
che la storia vi incuriosisce e vorrei ringraziare tutti coloro che
hanno recensito e dare loro le mie più sincere cong...
MOMY:
BENDETTAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
BENNY: O.O
MOMY: ORA TI UCCIDO IN MODO LENTO
E DOLOROSO! LA STORIA E' MIA E DI ALE, ESIBIZIONISTA DA
STRAPAZZO!
ALE: Moca, calmati. Spaventi i
lettori.
MOMY: Sì, lo so hai
ragione...MA MI MANDA AI MATTI! -.-" Comunque, davvero grazie mille a
tutti coloro che hanno recensito e che leggono questa storia, siete
davvero i migliori *-*
ALE: Approvo.
MOMY: ^-^ a presto!
ALE: E comunque Moca la
presentazione di Benni non era così male...
BENNY: *fa la linguaccia a Momy e
le tira una crostata in faccia*
MOMY: ARGH! *rincorre Benny con
in mano una mazza e istinti omicidi*
ALE: Ops.
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Capitolo 4 *** Juliette Gaillarde ***
Juliette Gaillarde
Juliette entrò nella grandissima e candidissima cucina della casa dove lei e Nick vivevano con tutta l’intenzione di fare uno strappo alla dieta a base di frutta e verdura, che lei scrupolosamente seguiva, per una delle barrette di cioccolato al latte che il fratello, aveva scoperto, teneva nascoste all’interno del vaso dove la loro madre conservava le tisane depuranti all’ortica. Si guardò furtivamente in torno per controllare che Yannick non stesse per entrare, poi si protese verso il ripiano al di sopra del forno, saltellando per raggiungerlo. Per quanto lei fosse alta, superava abbondantemente il metro e settantacinque, non poteva competere con l’altezza di Yannick. Fu quasi sul punto di rinunciare, poi, dopo un salto particolarmente alto, riuscì a raggiungere il recipiente di cristallo decorato a motivi floreali. Vi infilò avidamente una mano dentro ed estrasse una stecca grande come il suo pollice, ricoperta di carta argentata. Rimise a posto il vaso, vittoriosa, con un sorriso che le arrivava ad entrambe le orecchie, fin quando non sentì uno schiarimento di gola, tipico di chi vuole far presente qualcuno della propria presenza, Nick era appoggiato al tavolo, poco dietro di lei, e la osservava con un misto di divertimento e fastidio sul volto. Il viso di Juliette assunse un’espressione molto simile a quella di chi sa di essere colpevole ed è consapevole che anche gli altri lo sappiano.
-Julie, perché hai in mano una stecca del mio cioccolato?- la voce del fratello non le lasciava presagire nulla di buono.
-Ah, è tuo?- Juliette optò per la strategia del fingersi tonta –pensavo che fosse di mamma, e visto che lei non deve assolutamente mangiarla ho pensato di farla sparire- spiegò, con una recitazione degna del premio Oscar, peccato che Yannick non fosse affatto stupido, anzi.
-Adesso sai che è mia- ribattè, non contraddicendola-quindi dammela, stavo proprio venendo a prenderla- e tese la mano verso di lei che vi posò la cioccolata in gesto di sfida. Yanick fece per uscire dalla cucina, quando si bloccò, si voltò e sorrise alla gemella. Chissà perché Julie la avvertì come un una minaccia di morte.
-E’ il mio primo e ultimo avvertimento Julie, stai lontana dalla mia cioccolata- e sparì dietro la porta, mordendo un pezzo della stecca.
Juliette represse un gemito di frustrazione e si diresse verso le scale, nel lato più estremo della cucina, decisa ad andare a farsi una doccia. Si disse che avrebbe dovuto ringraziare Yannick per averle evitato duecento calorie di troppo, eppure il suo stomaco e la sua bocca gridavano vendetta, ma lei decise di ignorarli.
Nella sua stanza, grande, con le pareti color crema e arancio ed il mobilio in legno scuro, si sedette alla scrivania ed afferrò la stilografica d’oro ed un foglio di carta da lettere, ed iniziò a scrivere il resoconto dell’operazione in corso. Non fece parola di Aisling, era sicura che i suoi superiori l’avrebbero esortata ad ucciderla per paura che potesse essere il complementare di un appartenente alla setta di Mutaforma che aveva scelto di non seguire la via della Congrega, i Reietti, proprio come avrebbe dovuto uccidere uno di questi nel caso in cui se lo fosse ritrovato davanti.
Anche quell’occupazione purtroppo finì, e l’ansia riprese il sopravvento sulla concentrazione e la calma che aveva ritrovato scrivendo quelle poche righe. Nelle precedenti settimane aveva avuto molte insicurezze, accuratamente celate dietro il suo comportamento gelido e autoritario che la rendeva rispettata e odiata allo stesso tempo. Avrebbe voluto essere ancora a Parigi, nell’attico che si affacciava sulla Senna appartenuto a sua nonna ed ereditato da sua madre cinque anni prima, quando era salita a capo della congrega. Juliette e Yannick erano stati cresciuti da uno stuolo di Infirmière che servivano a sostituire la madre, impegnata nei suoi viaggi per conto della comunità, ed il padre che loro non avevano mai conosciuto, l’avventura di una notte della loro madre, da cui poi erano nati loro. Fin da piccoli erano stati in giro per l’Europa, ma risiedevano principalmente a Vienna. Parigi era la loro città natale e l’unico posto in cui potevano trascorrere un po’ di tempo in famiglia, sia con la madre che con i nonni. Aveva risentito moltissimo del trasferimento in Italia, avvenuto solamente durante il mese precedente. Era stato difficile fingere di essere lì da cinque anni, di conoscere i compagni ed i professori, soprattutto visto che entrambi avevano sempre studiato da privatisti con il nonno, professore universitario. Ancor più difficile era avere sulle spalle la responsabilità di un compito importante, da quel che le avevano spiegato l’ Augusto era il liceo in cui vi erano più Negati, persone con poteri sovrannaturali ma inconsapevoli di averli, che in qualsiasi altro posto, e lei, con suo fratello e Adrien doveva cercare di portare dalla parte della congrega quante più persone con sangue magico nelle vene, Mutaforma o no. Chiuse la lettera accuratamente, imprimendovi sopra un incantesimo affinché solo il responsabile della Congrega, sua madre, potesse aprirla, poi la fece volare dalla finestra, mormorò la parola Parigi, ovvero la destinazione, e la vide sparire davanti ai suoi occhi.
Per un attimo si chiese se non avesse commesso un errore a non menzionare nemmeno una volta la ragazzina nella lettera, ma la sua coscienza la convinse di aver fatto la cosa giusta. Sospirò, poi si decise a prendere dalla libreria il fascicolo di storia per iniziare a ripassare i tre capitole su cui avrebbe avuto il compito due giorni dopo. Si immerse nel periodo illuminista fino a quando una frase di Voltaire, “E’ meglio correre il rischio di salvare un colpevole piuttosto che condannare un innocente”, ed una di Rousseau, “E’ soprattutto nella solitudine che si sente il vantaggio di vivere con qualcuno che sappia pensare, le fecero capire che sarebbe stata una buona idea esporre al fratello le sue convinzioni, ovvero che Aisling O’Moore fosse il suo complementare. Aveva delle riserve unicamente perché si solito i complementari erano entrambi dello stesso sesso, ma non impossibile che fossero di sesso opposto, solamente molto raro: prima di allora era avvenuto solamente tre volte nella loro storia, e tutte e tre si erano concluse male. Chiuse il libro di storia con un tonfo e si fiondò nella stanza del fratello senza nemmeno bussare. Lo trovò senza maglietta, sdraiato sul letto, con gli auricolari dell’ iPod nelle orecchie. Provò a chiamarlo ma senza risultati, decidendo così di ricorrere alle maniere forti.
-Yannick Gaillarde, togliti quei cosi dalle orecchie e ascoltami- urlò per sovrastare la musica, ed il fratello diede finalmente segno di averla sentita, visto che si tolse le cuffie e si mise a sedere, pronto ad ascoltarla.
-Yana, ho paura che la ragazza su cui ti ho fatto fare le ricerche, Aisling O’Moore, sia il tuo complementare- fu brutale, ma scaricare la tensione in quel momento le era fondamentale. Yannick riuscì a capire la tensione della sorella dal nomignolo che aveva usato, un epiteto familiare che sua madre ed i suoi nonni usavano quando era molto piccolo, e che era caduto in disuso non appena era entrato a pieno diritto nella Congrega.
-Ci avevo pensato anche io Julie- ribattè il gemello sospirando. –Da cosa l’hai dedotto?- le chiese, incuriosito, sperando di non essersi lasciato scappare qualche segnale.
-All’inizio credevo fosse legata ad Elena, ma questa mattina a ricreazione io e lei eravamo insieme. La ragazzina ci è passata vicino senza dare segni di malessere, solo di paura, e l’intuito mi dice che non è quella di Damien- spiegò –non ne ho ancora parlato con mamma, non gliel’ho scritto nel resoconto giornaliero. Ho paura di aver sbagliato- confessò, rannicchiandosi sulla poltrona davanti la finestra quasi come se avesse voluto sparire. Vide Yannick inarcare le sopracciglia dallo stupore, senza motivo: anche lei poteva commettere errori dopotutto.
-Perché hai deciso così?- le chiese, sinceramente curioso. Juliette era a conoscenza del fatto che, per gli altri, lei era sempre stata la punta di diamante de gruppo, fedele fino in fondo alla Congrega da quando, sette anni prima, aveva giurato sulle cinque gocce di sangue dei primi fondatori. Tutti gli altri avevano sempre avuto qualche scheletro nell’armadio da tenere assolutamente nascosto ai superiori, lei mai. Con il suo carattere irascibile e la sua natura fredda, si era guadagnata degli appellativi poco carini, eppure non vi aveva mai prestato attenzione, sempre sicura di essere nel giusto. Probabilmente proprio per quel motivo Yannick stentava a credere che avesse deciso di mantenere in vita, seppur fino a quando non fossero riusciti a capire se per loro poteva essere un amico o un nemico, una persona a lei sconosciuta e che probabilmente non doveva esserle nemmeno molto simpatica visto che sembrava che dalla sua bocca fuoriuscisse veleno ogni volta che pronunciava il suo nome.
-Perché poco prima che cadesse a terra l’ho guardata negli occhi ed ho visto il suo sguardo pieno di terrore- esclamò, senza neanche pensarci su –e per una volta mi sono chiesta se non fosse il caso di avere prima la conferma di una sua interferenza nei nostri piani. Inizio a sentire addosso il sangue di quelli della mia razza che ho condannato a morte- l’ultima frese venne emessa con una debole emissione di fiato.
-Abbiamo ucciso insieme Julie, e sempre consapevoli di poter essere in errore- Yannick non la guardò negli occhi come durante il resto della conversazione, quasi avesse paura che la sorella gemelle riuscisse ad intuire i suoi sentimenti dai sui occhi oltre che dalla sua voce priva di calore.
-E’ vero- confermò lei –ma inizio a chiedermi se ciò che abbiamo fatto per quello che abbiamo sempre seguito come ideale di vita sia stato giusto- Yannick tornò di nuovo a guardarla, chiedendosi se ciò che stava pensando corrispondesse a quello che aveva fatto la sorella.
Juliette fissò i suoi occhi scuri in quelli così simili del fratello, preparandosi ad annunciargli una notizia importante.
-Ho deciso di abbandonare il comando dell’operazione. Non mi sento in grado di portarla a termine. Nella prossima lettera che arriverà questa sera da Parigi verrai nominato ufficialmente capo- la bomba cadde nella stanza e venne accolta dal silenzio attonito del fratello che la guardò con tanto d’occhi.
Buonasera a tutti!
Chiediamo scusa per l'iper mega ultra ritardo, ma abbiamo avuto dei problemi con il computer, senza contare il blocco dello scrittore, sempre colpa sua! Visto che Benny non può pubblicare per problemi tecnici, e che Momy si era dimenticata di avere un computer, ci siamo bloccate per un bel pezzo. Insomma, vi chiediamo scusa in tre, siamo in ginocchio sui ceci. Speriamo che a qualcuno interessi ancora leggere la nostra storia. Ora smetto di annoiarvi, mi raccomando, fateci sapere cosa ne pensate del capitolo, commenti e critiche sempre ben accetti. Oggi niente battute sceme perchè siamo giù di tono.
Un bacione,
Momy ed Ale ( e Benny, che ci ha comunque corretto il capitolo)
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