Armageddon

di xingchan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter I ***
Capitolo 2: *** Chapter II ***
Capitolo 3: *** Chapter III ***
Capitolo 4: *** Chapter IV ***
Capitolo 5: *** Chapter V ***
Capitolo 6: *** Chapter VI ***
Capitolo 7: *** Chapter VII ***
Capitolo 8: *** Chapter VIII ***
Capitolo 9: *** Chapter IX ***
Capitolo 10: *** Chapter X ***



Capitolo 1
*** Chapter I ***


 

Texas, Houston – 6 Maggio 1991

 

Il sole stava lentamente calando.

All’osservatorio NASA situato laggiù, un gruppo di studiosi e militari aveva letteralmente mandato in subbuglio l’intera sede. Un’improvvisa pioggia di meteoriti aveva appena distrutto un shuttle, uccidendo l’intero equipaggio e danneggiando seriamente il satellite in prossimità dell’atmosfera del pianeta Terra.

Uno dei più grandi astrofisici del mondo, Jeremy Garrad, un uomo dai capelli oramai brizzolati e con enormi occhiali da vista dalla montatura scura sul naso, dopo l’accaduto, attraverso un semplice telescopio, rivelò un corpo celeste di proporzioni mastodontiche della stessa traiettoria dei piccoli meteoriti, che nel frattempo si avvicinavano a gran velocità.

“Professor Brockley, venga a vedere!” esclamò Garrad senza distogliere lo sguardo atterrito dallo schermo circolare del rivelatore elettronico. Barnaby Brockley, un esperto in comunicazioni radio castano e dall’aspetto piuttosto giovane si precipitò verso Jeremy, mentre il colonnello Andrew Eartha, incuriosito dal nervosismo con cui i due sussurravano fra loro si avvicinò, esigendo di metterlo al corrente della situazione reale. Era un uomo inflessibile, che si arrabbiava molto facilmente, e che solo raramente dimostrava di avere una natura umana come gli altri.

“Colonnello! C’è un asteroide molto, molto più grande che si muove verso il pianeta Terra, signore!”

C’era paura negli occhi di Garrad, osservò Eartha. Sapeva che lo scienziato aveva parlato in modo semplice per evitargli incomprensioni imbarazzanti, ma lo disse come se avesse voluto attenuare il peso della paura della morte che sembrava aleggiare sulle loro teste.

Ebbe paura anche lui. Eppure la sua mente era convinta che non sarebbe mai riuscito a comprendere la gravità della situazione finché la fine del mondo non si fosse presentata dinanzi ai suoi occhi cerulei.

“Siete riusciti a mettervi in contatto con lo shuttle?” domandò poi il colonnello rivoltosi a Brockley.

“No, sono tutti morti.”

Un silenzio di tomba calò sui presenti. La tensione, mista al dolore della perdita dei ragazzi, si stava facendo sempre più insostenibile. Sicuramente non era dovuta solamente alla loro dipartita, ma anche alla consapevolezza che nell’arco di  pochissimo tempo la Terra come la conoscevano loro sarebbe andata in frantumi, cancellando per sempre umanità, animali e vegetazione.

Ogni piccolo barlume di speranza sembrava vana contro una catastrofe di quelle proporzioni.

I tre uomini, dopo aver gettato affranti lo sguardo a terra, si osservarono, ognuno in cerca di consolazione da poter leggere negli occhi degli altri.

“Cosa possiamo fare?”

La risposta a quella domanda arrivò esitante, ma senza alternative.

“Niente, signore.”

La maschera contrita e abbandonata a se stessa del colonnello fece ora spazio ad una severa ed incollerita. Persino il suo respiro divenne più ansante per la furia che stava crescendo dentro di lui.

NIENTE, SIGNORE?” tuonò Eartha, afferrando con violenza Brockley per il bavero del camice bianco. “È solo questo che sai dire? Sei un cazzo di scienziato, no? Allora prova a far funzionare quel dannato cervello!”

Per la veemenza, Barnaby strizzò le palpebre prendendo a piangere convulsamente, mentre l’altro, paonazzo in volto e con numerose vene che gli pulsavano sulle tempie, lo strattonava ad intervalli regolari per ricevere una qualsivoglia replica, soprattutto per farlo smettere di singhiozzare.

La scena andò avanti per qualche secondo ancora, finché un altro rappresentante della NASA avanzò verso di loro per dividerli. Theobold Ralston, il pilota di shuttle con più missioni spaziali alle spalle di tutti; e uno dei pochi che ancora conservava un animo disinteressato ed estremamente paterno all’interno di quel dipartimento. Aveva un vago accento tedesco, che testimoniava la sua permanenza in Germania dalla prima infanzia fino alla fine dell’adolescenza.

“Su, forza! Finiamola con le scenate!” disse, prendendo con docilità l’avambraccio del colonnello affinché mollasse la presa sul collega. “Litigare non serve a nulla. Per ora urge la massima calma, se vogliamo trovare un modo per salvarci.”

In sintonia solo in parte con la proposta di Ralston, Andrew Eartha lasciò andare Brockley, il quale si aggrappò al tavolo di fronte agli schermi di rivelazione di segnali elettromagnetici con un’evidente faccia rasserenata, sebbene si potesse ancora scrutare l’ombra soffocante della fine imminente.

“Il mio team dice che abbiamo solo diciotto giorni prima che… l’asteroide si schianti sul nostro pianeta.” sostenne Garrad seriamente, ritornando da pochi metri più in là, dove era seduta un’intera squadra di studiosi. “A mio parere,” osò dire poi “si potrebbe spaccarlo dall’interno con una bomba, così da ridurlo in due corpi celesti minori che seguiranno una traiettoria differente da quella attuale. C’è la possibilità che sfiorino l’atmosfera terrestre, ma oltre questa non ho la più pallida idea di cosa potremmo fare…”

“Non c’è la possibilità che si riduca a più frammenti?”

“Sì, ma secondo le leggi della fisica dovrebbero comunque sorvolare la Terra senza causare danni.”

“Non si potrebbe bombardarlo dal di fuori?” domandò il colonnello Eartha, impaziente di agire di testa propria.

“Non servirebbe a niente. Attaccando la superficie non si farà altro che sprecare  tempo prezioso. Solo un’implosione sarebbe efficace.”

“Ma per realizzare un’impresa del genere si dovrebbe atterrare proprio sull’asteroide!” protestò un altro.

“Sì!”

“E si dovrebbe scavare finché non si raggiunge il centro!”

“LO SO!” gridò esasperato Garrad. “Ma qualcuno deve farlo! Qualcuno che riesca in poco tempo a farsi strada nella ferrite inscalfibile dell’asteroide.”

Proprio in quel momento, un ragazzo entrò trafelato, annunciando che alcuni degli asteroidi più piccoli avevano colpito alcune città degli Stati Uniti e dell’Europa. Una notizia che fece sgranare gli occhi anche al capitano in fondo che fino a quel momento non aveva fatto altro che riderci su.

“Ma come possiamo attuare tutto ciò? Non abbiamo i mezzi per una simile eventualità.”

“Già,” concordò Ralston “dobbiamo trovare alcune persone nel mondo forti abbastanza da poter creare questo tunnel per posizionare la bomba, un piccolo gruppo che sia capace di fare miracoli.”

Tacquero. Alcuni scossero la testa con rassegnazione, altri cominciarono a mormorare qualcosa, forse delle preghiere. L’atmosfera cupa che permeava l’osservatorio era così palpabile che molti si meravigliarono di non aver ancora assistito a sintomi di follia.

“Abbiamo poche ore per trovarli, portarli qui e addestrarli per mandarli nello spazio. Iniziate le ricerche, e non fatene parola con nessuno.”

 

***

 

Tokyo, Nerima – 7 Maggio 1991

 

“Avanti pigrone, alzati!”

Dall’altra parte del mondo, precisamente nel distretto di Nerima, Tokyo, Ranma Saotome stava tentando disperatamente di coprire le sue orecchie servendosi del cuscino del suo futon, in modo da attutire le urla di Akane Tendo, che troneggiava su di lui con un’arcigna espressione di disgusto e collera disegnata sul visino, le gambe divaricate (a guisa di lottatore di sumo, come non mancava di evidenziare il ragazzo con il codino) e le mani sui fianchi.

“Lasciami dormire, Akane…” si lamentò il giovane con il codino, raggomitolandosi sempre di più sotto le coperte tanto da ridurre la sua sagoma ad una massa rotondeggiante e leggermente informe. Indispettita più dai suoi atteggiamenti che dall’orologio che quella mattina sembrava correre come un matto, non ci pensò due volte a scostargli le coperte con violenza, lasciandolo completamente in balìa dell’arietta fresca di primavera che filtrava dalla fessura della finestra semichiusa.

“No! Non ti lascio dormire! Stamattina abbiamo la verifica di Biologia, e non voglio assolutamente far tardi! Quindi” lo minacciò la ragazza “o ti alzi subito o andrai a scuola senza di me, prendendoti un bel voto approssimativo, come tuo solito!”

Era un tono che non ammetteva repliche, quello, che lo faceva sentire troppo alle strette. Anche se era una consuetudine che Akane gli parlasse in quel modo, quella mattina Ranma credeva di avere già di per sé la luna storta.

Aveva sognato cose spiacevoli, riguardanti la sua maledizione. Aveva sognato di provare una bottiglia di Nannichuan dopo l’altra, ottenendo comunque risultati differenti. Si trasformava in qualsiasi essere vivente, dal più grosso al più piccolo, senza riuscire a tornare uomo. Superfluo dire che si era svegliato di soprassalto, madido di sudore e con una gran voglia di fare a botte con suo padre per fargliela pagare un’ennesima volta di averlo trascinato a Jusenkyo qualche tempo addietro. Sfortunatamente, la preda dei suoi istinti omicidi lo aveva preceduto alzandosi prima del previsto forse per avventarsi sulle pietanze mattutine di Kasumi. Sicuramente per mangiarsi anche la sua, di colazione.

Ma non era finita qui. Il giorno prima aveva combattuto contro un'instancabile Ryoga da casa fino a decine di isolati più avanti, gli stessi che portano alle vie commerciali della città (ed infatti ci stavano quasi arrivando), finendo come sempre in una fontana stracolma di acqua fredda.

Akane aveva preso le difese del porco, convinta com’era che fosse Ranma il bruto che aveva iniziato a malmenarlo, e si era rintanata con lui in camera da letto, dove chissà cosa aveva visto il suino del corpo della sua fidanzata.

Meno male che quella scema patentata non l’aveva portato con sé fino alla stanza che condivideva con il padre. Non lo vedeva nei paraggi, infatti. Almeno il buonsenso di andarsene subito l’ha avuto, il maiale.

Pensando a tutto questo, non poté fare a meno di vomitare tutta la sua frustrazione sulla persona che le stava davanti. Poco importava se era Akane, Nabiki, Kasumi, Happosai o quei due ubriaconi organizza-matrimoni-al-più-insignificante-momento-opportuno che non erano altro.

Si sollevò dalla sua posizione prona, voltando lo sguardo verso di lei ed osservandola con furia. “Va’ pure da sola, stupida! Con la forza erculea che ti ritrovi non hai mica bisogno di una guardia del corpo!”

Era un insulto come un altro a dire il vero, ma detto con così tanta foga da far sobbalzare dallo stupore una già accigliata Akane. La sensazione di rabbioso caldo che fluiva velocemente nelle vene della ragazza salì a livelli vertiginosi, facendole ribollire il sangue come poche volte le era capitato. Lì per lì non riuscì nemmeno a formulare un’offesa di rimando, tanto era infuriata, e l’occhiataccia di fuoco del ragazzo con il codino che continuava a persistere imperturbabile sulla sua faccia da schiaffi non era di grande aiuto, tutt’altro. Improvvisamente si rese conto di essere arrivata sull’orlo delle lacrime, ma non lasciò loro il tempo di scorrere via. Sferrò un calcio non troppo forte sul fianco di Ranma, ascoltandolo soltanto gemere per la sua soddisfazione personale e voltandosi per correre in direzione del Furinkan.

 

***

 

Era già passata la prima ora, e Ranma non ancora si era fatto vivo a scuola. Ukyo era sul punto di domandare ad Akane cosa gli fosse successo, ma qualcosa, una forza repulsiva sembrava volerla fermare.

Si vedeva da lontano che Akane non era dell’umore adatto per chiacchierare. Era entrata in classe salutando le sue amiche borbottando, per poco non sfondava la gabbia toracica del povero Kuno pronto ad importunarla come da copione e sedendosi senza degnare di uno sguardo Gosunkugi, rimasto pietrificato dal suo atteggiamento eccessivamente scontroso al fianco del suo banco.

Durante la lezione di giapponese antico non andò meglio. La cuoca la sorprese almeno sette volte ad asciugarsi furtivamente il viso con un fazzoletto tenuto per intero nella mano chiusa a pugno, molto probabilmente per non dare al professore l’occasione di riprenderla ed accorgersi che qualcosa non andava.

Non era il caso disturbarla, si disse la giovane Kuonji. Se magari l’avesse vista in condizioni migliori nell’arco di quella giornata, forse si sarebbe fatta avanti per chiedere di Ranma.

I suoi propositi non ebbero buon esito, però. Nel bel mezzo delle spiegazioni del professor Yamashita,  l’altoparlante situato in tutte le aule dell’istituto si attivò, troncando la voce del professore di netto e facendo rimbombare quella fastidiosa al tempo stesso squillante del preside Koccho Kuno.

“Ladies and gentlemen! Pay attention, please!”

Alcuni studenti saltarono sulla sedia per lo spavento; altri cominciavano a pensare ci fosse in cantiere un altro tentative di tagliare i capelli a zero; ed alcuni credettero che la causa dell’intervento del preside fosse dovuto all’assenza del codinato. Solo un numero esiguo di ragazzi presero ad ascoltare con attenzione fin dall’inizio cosa aveva da dire.

“I need urgentemente della presenza di Miss Akane Tendo e di Miss Ukyo Kuonji. Sono richiesti also Tatewaki Kuno, Ranma Saotome  e Miss Nabiki Tendo, here in presidenza. Hurry, guys!”

Nella sua voce c’era una strana nota inquieta e confusa. Niente a che vedere con la sua irritante e gioviale parlantina sciolta.

Akane e Ukyo si osservarono per un istante pensando entrambe che avrebbero dovuto giustificarsi per Ranma, per poi alzarsi con moderazione ed avviarsi insieme verso la presidenza. Incontrarono la mezzana Tendo ed il kendonista, ora più tranquillo e con l’ordinaria divisa scolastica.

“Sai perché il preside ci ha convocati?” chiese Nabiki affiancandosi alla sorella.

“No,” rispose quella “ma sicuramente sarà una delle sue trovate idiote. Senza offesa, Kuno…” proseguì rivoltasi al ragazzo dietro di lei.

“Non so perché,” disse Ukyo fermando sul nascere la replica di Tatewaki “ma mi puzza.”

Poco prima di arrivare a destinazione, videro un trafelato Ranma correre con un toast stretto fra le labbra, con la cartella che volava per i movimenti troppo bruschi.

Quando lo vide, Akane mancò di un battito. Non credeva di incontrarlo nuovamente così presto, e non era pronta ad affrontarlo ancora una volta: non ancora. Ancor meno era intenzionata a farsi vedere sul punto di piangere. Troppe volte l’aveva umiliata, sia in pubblico che in privato, perciò il suo orgoglio le imponeva di nascondere il lato più debole di se stessa, per fargli capire che lei era la tostissima Akane Tendo, forte, tenace e invulnerabile.

Riuscì per un soffio a deviare il suo sguardo carico di astio verso le scarpe di Nabiki, sentendosi addosso quello blu cobalto del fidanzato, probabilmente ancora furibondo. La scena fece sì che gli altri si cucissero la bocca di loro spontanea volontà, chi per paura, chi per senso di inadeguatezza.

La tensione creatasi non sfuggì a nessuno; nemmeno a Nabiki, che prese Akane per un braccio e la trascinò con sé, riservando a Ranma soltanto una smorfia torva e risentita. La più piccola si lasciò pilotare come una bambola priva di forze, sebbene negli occhi nocciola ardesse una spavalderia tutta nuova e prorompente.

Ranma dovette lottare selvaggiamente con se stesso per non arrendersi alla voglia di riappacificarsi, ma nell’istante in cui si decise a far crescere la sua superbia a dismisura, udì una voce cinguettante che per poco non gli sfondava i timpani.

“Oh, Ranma! Sei arrivato!” esclamò la cuoca, affrettandosi a piazzarsi fra lui e la piccola Tendo che si stava allontanando. Gli spiegò dove erano diretti, siccome il ragazzo le aveva fatto una faccia interrogativa, e che lui doveva andare con loro.

“Ma che ho fatto?” si lamentò, bloccandosi davanti a Tatewaki che, inbufalito anche più di lui prima, gli chiedeva gentilmente cosa avesse fatto alla dolcissima ed eterea Akane Tendo per farla cadere in quella oscura depressione. “Va bene, per ora ti concedo tregua. La curiosità che nutro verso ciò che deve dirci mio padre mi corrode l’animo.” si giustificò con tono solenne. Ma abbandonò il suo metodo di espressione teatrale per puntare l’indice contro Ranma e dire: “Ma non finisce qui, sappilo!”

“Ehi, siamo arrivati...” Acidamente, Nabiki li avvertì silenziosamente di tacere, un ordine che venne eseguito da tutti. Aprì la porta lentamente, ma non appena scrutò dei capelli color lavanda smossi dal vento che proveniva dalla finestra, Nabiki la spalancò, sgranando gli occhi.

Nella presidenza c’erano anche Shan Pu, Kodachi e Ryoga in fila davanti al preside comodo sulla sua poltrona e con l’ukulele sulle ginocchia. Erano tutti seri. La Rosa Nera si contorceva le mani sottili e si lisciava nervosamente la gonna della divisa: non era mai stata chiamata da suo padre nel Furinkan, se c’era una cosa che il papà doveva dire doveva essere estremamente importante; Shan Pu, con ancora addosso il grembiule del Nekohanten, aveva ancora una consegna da fare tra le mani, ammiccando non appena si rese conto di essere nella stessa stanza con il suo “futuro marito”. Ryoga non smetteva un secondo di tamburellare le dita sul braccio incrociato all’altro, destando l’interesse di Akane.

Il volto rugoso di Koccho Kuno si illuminò alla vista dei ragazzi, ma l’estasi che si era impadronita di lui si trasformò in un piagnisteo istericamente vile e balbettante.

“Good guys. Ci siete tutti, now! Pensavo non sareste venuti!”

“La pianti con queste sciorinate!” inveì Ranma, in posizione di difesa. “Se cerca di tagliarci i capelli a tutti, beh, si sbaglia di grosso!”

“No, Saotome. Non vi ho chiamati for this...”

“E allora…?”

“Complimenti, boys and girls!” esclamò, perdendosi in un’ilarità in contrasto con la preoccupazione dei giovani davanti a lui. “Siete stati scelti per fare un giro intorno the world!”

“La... parola?” chiese stranito il giovane Saotome.

Ryoga lo osservò con occhi canzonatori, esultando per la figuraccia del suo rivale.

“Scemo, world vuol dire mondo!” lo corresse con un ghigno compiaciuto, incrociando le braccia e sfidandolo mostrando i canini.

“Non è questo il punto, maiale! Qualcuno vuol dirci che succede?”

Stava perdendo la pazienza, sempre se non l’avesse già mandata in vacanza. Ranma non ne poteva più. Prima l’incubo, poi Akane; adesso ci si metteva quel pazzoide del preside che, con chissà quale nuova diavoleria, voleva farli partecipare ad una cosa per la quale esitava a fornire le dovute spiegazioni... Forse il mondo stava impazzendo, o forse era lui che sarebbe finito al manicomio quanto prima.

“The National Aeronautics and Space Administration also known as NASA has selected you for a mission in the space, which...”

“Parli in giapponese!” lo interruppe Ranma. “Non ci capisco niente!”

“La NASA vi ha reclutato per svolgere una missione nello spazio. Non so di che natura sia, ma hanno inviato una lettera here, dicendo che verranno a prendervi fra un giorno esatto e di farvi trovare davanti ai cancelli scolastici con le vostre cose!”

Il preside li guardò ad uno ad uno, tentando di trovare un accenno a proseguire. Non ne ebbe. Ciascuno di loro si stava chiedendo come mai la NASA aveva bisogno del loro aiuto per una missione spaziale. Loro non erano astronauti; erano semplici studenti, anche se abili esperti di arti marziali. Cosa dovevano fare? Combattere nello spazio?

“È uno scherzo, non è vero?” intervenne Nabiki per la prima volta.

 

 

 

 

NDA

Salve! :D

Ecco che torno ad ammorbare questo fandom! xD

Dunque, innanzitutto grazie per essere arrivati fin qui leggendo questa piccola ingrata idea spuntata fuori solo ora, e che spero recensiate. Vi avviso fin da ora che gli aggiornamenti saranno discontinui, perché per me iniziare una ff multicapitolo proprio in questo momento (con un’altra in sospeso, per giunta) è un azzardo di proporzioni colossali, che sia breve oppure no.

In secondo luogo, non darò niente per scontato. Coloro che conoscono il film (lo spero, perché è un capolavoro! *^*) non sono avvantaggiati circa alcune questioni salienti.

Per chi non lo conosce, o non l’ha mai visto, assicuro loro la visione appena possono perché è una meraviglia cinematografica degna di esser nominata in qualunque Top 5 di qualunque classifica, e lo si apprezza anche se non si ama particolarmente il genere catastrofico (testato dermatologicamente su mia nonna, davvero, non scherzo!).

I personaggi già esistenti appartengono a Rumiko Takahashi, mentre i personaggi della Nasa sono inventati da me, seguendo comunque le direttive generali del film. Perciò, non è né una AU, né un crossover, ma soltanto una sorta di movieverse.

Grazie per l’attenzione.

Passo e chiudo. :)

 

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Capitolo 2
*** Chapter II ***


No, non era uno scherzo. 
L’indomani, davanti alla scuola, si presentò un elicottero azzurro con il logo della NASA grande abbastanza per contenere loro ed i loro bagagli. E fu proprio con questa tangibilissima prova  che Nabiki si era convinta di essere nel bel mezzo di un evento importante. Si sentiva caricata di una responsabilità di cui ancora non ne conosceva i dettagli; ma ovviamente, se si viene prelevati da un elicottero di uno dei più grandi enti internazionali non si poteva fare a meno di avere il sentore che stava per accadere qualcosa più grande di loro, che li avrebbe resi degli eroi, se non delle divinità.
La cosa più sconcertante però, l’unica nota che stonava in quella solenne sinfonia di grandezza, era che tutti avevano preso quell’importantissima convocazione per una gita. Per poco non si portavano binocoli, guide turistiche e creme solari. E come una gita che si rispetti, non mancavano di certo gli schiamazzi.
Perfino Mousse si era unito alla confusione generale. Aveva pregato Shan Pu affinché lo portasse con sé e lei, dopo una miriade di coloratissimi insulti, lo aveva lasciato fare. Al contrario, Obaba era stata felicissima fin da subito della volontaria partecipazione del ragazzo papera. Chissà, aveva pensato non senza una punta di divertimento, che i membri della Nasa lo avessero lasciato ad orbitare intorno alla Terra per il resto del suo ossigeno.
Il ragazzo era consapevole che la vecchia amazzone gli aveva concesso la possibilità di seguire sua nipote soltanto per tentare di sbarazzarsi di lui una volta per tutte, ma in cuor suo non gl’importava. Amando la bella cinesina alla follia, era disposto a morire per lei.
Ed ora eccolo lì, che le frignava dietro per non essere ignorato come al solito.
“Shan Pu, lascia perdere quel Saotome!” ripeteva, facendosi largo a spintoni per dividere la ragazza da un Ranma completamente verde per la mancanza d’aria circondato dalle sue tre spasimanti, che nel frattempo se lo contendevano come tigri inferocite.
“Mollalo, gattaccia! Mi chiedo perché la NASA abbia bisogno di una buona a nulla come te!”
“Come osi, spatolona! E tu, avvelenatrice, levati di mezzo!”
“Neanche morta, cara. Ranma vuole solo me! Non è vero, amore?”
“Smettetela tutte! Sto soffocando!” rantolava inutilmente, cercando di farsi spazio per ricevere aria e per elemosinare l’aiuto di Akane, la quale stava discutendo amabilmente circa il fine di quella chiamata così particolare con Ryoga, completamente paonazzo ma, chissà come, ancora capace di parlare.
“Secondo me,” provò ad immaginare il giovane Hibiki gesticolando per enfatizzare ciò che diceva “ci manderanno su Marte o sulla Luna a raccogliere alcuni campioni di rocce! O magari per reclutarci tutti permanentemente!”.
Akane annuiva, sorridendo come non faceva da un giorno, ormai. La sera prima suo padre aveva abbracciato lei e Nabiki con enorme disappunto di quest’ultima, maledicendo la NASA per aver convocato le sue due figlie più piccole dall’altro capo del mondo.  Aveva pianto per ore, finché Genma non l’ha convinto a bere con lui cinque bottiglie di birra scura di fila e non l’ha consolato dicendo che anche suo figlio sarebbe stato lontano per tempo a destinarsi; e che nel frattempo avevano campo libero da tutti per poter incastrare i figli in un matrimonio a sorpresa. Completamente brillo ed incapace di intendere e di volere, Soun aveva cominciato a ridere come un matto seguito dall’amico di una vita, del tutto indifferenti alle proteste imbufalite dei due interessati. Questi li avevano riempiti di pugni fino a coprirli interamente di lividi, ma era servito poco per dissuaderli dai loro malsani progetti.
Sconfitta, Akane si era ritirata nel dojo chiudendosi a chiave, non permettendo cioè a nessuno di condividerlo con lei, quella sera. Ranma aveva avuto la stessa idea, ma non valse a nulla bussare con forza per farsi aprire: irremovibile, la piccola Tendo era rimasta fino a tarda notte lì dentro, a sfogare la sua frustrazione su dei poveri ed innocenti blocchi di cemento i cui frammenti volavano come proiettili in tutte le direzioni.
Ed ora, pensava il ragazzo con il codino, faceva la svenevole con quel dannato maiale di Ryoga, che ovviamente non perdeva occasione di starle il più vicino possibile, in forma umana per giunta. Meno male che almeno Kuno era indaffarato ad inveire contro la sorella, ricordandole quanto fosse disonorevole contrarre matrimonio con un plebeo qual era Ranma.
Ma quelli che erano davvero in difficoltà era il pilota dell’elicottero ed il copilota al suo fianco. Non essendo abituati a trasportare tutta quella baraonda, era a dir poco impossibile per loro mantenere la calma.
“Fa’ un favore a tutto il mondo: tagliati quelle zampacce e lascia in pace il mio Ranma!”
 “Tuo? E da quando è tuo? Quando l’hai complato, si può sapele?”
 “Ehi, qui nessuno compra Ranma! È mio, lasciatelo stare!”
“Non sono di nessuno! Basta! Aiutami Akane!!”
“Shan Pu, non abbandonarmi!”
“… e poi c’è Saturno, con i suoi anelli, e…”
“Urano!”
“Bravissima, Akane! Urano!”
“Sorella! Non osare deturpare l’onore della nostra famiglia accogliendo quell’insetto disgustoso di un Saotome!”
Finché un urlo belluino si sollevò nell’aria, rimbombando per tutto il velivolo.
“ADESSO BASTAAA!”
Era il pilota. Aveva chiamato a raccolta tutta la sua foga di cui disponeva, in massima parte causata da loro, e l’aveva riversata fuori di sé, pretendendo un minimo di rispetto.
“NON HO MAI, DICO MAI, AVUTO A CHE FARE CON PASSEGGERI CHIASSOSI COME VOI! SIETE UN BRANCO DI BELVE, MALEDETTI!”
Salì loro il cuore in gola non appena sentirono quella scarica di esasperazione. Lo osservarono per qualche secondo impauriti, ritornando lentamente seduti composti. Ma nonostante fossero muti come pesci, non la finirono un solo istante di fulminarsi con lo sguardo a vicenda.
“Ripetimi il motivo per cui abbiamo ingaggiato un gruppo di mocciosi come questo…” fece il copilota, vedendo scuotere la testa dell’altro.
 
***
 
Per metri e metri, il gruppo non aveva visto altro che immense stanze interamente colorate di azzurro e grigio metallico. L’aria stessa che si respirava, anche se abbastanza pura, sembrava provenire dall’acciaio fuso. Gli ambienti, oltre ad essere estremamente spartani, erano tutti adibiti  solo per ospitare macchinari, schermi con tastiere simili a computer, scaffali degli archivi e da tavoli nel mezzo. Faceva un po’ caldo.
La testa della comitiva di Nerima era casualmente di Ranma Tatewaki e Ryoga, preceduti da un tipo biondo ed occhialuto che li scortava, e un po’ più dietro di loro Akane, Nabiki e Ukyo. A chiudere la fila c’erano Shan Pu, Kodachi e Mousse. Le due ragazze non avevano smesso un solo istante di sfidarsi con gli occhi; soltanto l’atmosfera rigida del luogo riusciva in qualche modo a farle desistere dal combattere.
Arrivarono in una camera rettangolare, più luminosa di quelle che avevano oltrepassato. Sembrava una di quelle camere d’interrogatorio investigativo che si vedevano nei film, ma molto più grande, tanto da racchiudere un tavolo di almeno dieci metri, con una decina di sedie su cui l’uomo con gli occhiali li aveva esortati a sedersi e di aspettare. Dopodiché, si allontanò di pochi metri, al fine di parlare agli orecchi di altri due uomini, uno in divisa militare statunitense e l’altro in semplice camice da scienziato. Il soldato voltò il capo giusto per osservarli di sottecchi, mentre l’astrofisico si avviò verso di loro subito, aggiustandosi distrattamente gli occhiali sul naso.
Con modi seri, ma nel complesso socievoli, offrì la mano al primo di loro che ebbe davanti, Tatewaki Kuno, per poi proseguire con il resto della compagnia.
“Sono Jeremy Garrad, astrofisico.” Non disse altro per introdursi. I ragazzi pensarono che non avesse aggiunto ulteriori dettagli sulla sua carica per non farli sentire troppo fuori tema. Il colonnello Eartha però non fu così  gentile. Imitò lo scienziato, dando la mano a ciascuno di loro ed il proprio nome, ma i suoi gesti erano secchi e sbrigativi. A Ranma, come a molti altri, risultò estremamente antipatico; al contrario di Kuno che, nel suo sconfinato amore per le consuetudini rigide, lo reputò un uomo rispettabile, anche se sotto sotto condivideva gli stessi pensieri degli altri giovani.
Per fortuna parlò Garrad. “Bene, vi starete chiedendo che ci fate nel Texas quando invece dovreste essere a Tokyo… Nerima, giusto?” Annuirono all’unisono. “Sappiamo che molti  di voi sono dei combattenti molto forti; alcuni di voi possiedono la facoltà di utilizzare tecniche marziali eccellenti e degne di nota…”
“Tutti tranne Akane Tendo!” lo interruppe Ranma sorridendo sornione. La risposta dalla suddetta ragazza non si fece attendere. Con Ryoga e Tatewaki a darle man forte, la piccola Tendo assestò un pugno allo stomaco del ragazzo con il codino facendolo piegare in due dal dolore, e versare due lacrime amare decisamente poco virili. Il più disturbato fu il colonnello, infastidito dalla mancanza di educazione che quei bambocci ostentavano; Garrad invece prese ad osservarli con crescente curiosità.
Ecco che ci risiamo, si disse Nabiki. Stavano dando spettacolo come consuetudine. Non voleva che si facesse confusione proprio all’interno della NASA, perciò si intromise nel discorso.
“No, mia sorella è un’esperta di arti marziali, come tutti. Sono io l’unica che non le pratica.”
“Tu sei Nabiki Tendo.” disse Eartha.
“Sì, colonnello.”
Garrad tossicchiò per attirare su di sé l’attenzione; parlò ancora quando sentì tutte le paia d’occhi puntati addosso. “Vi abbiamo convocati per uno scopo ben preciso. Quello che sto per dirvi non è un gioco, tanto meno uno scherzo… Qualche giorno fa abbiamo avvistato un asteroide la cui traiettoria è in rotta di collisione contro il pianeta Terra.”
Si levò un mormorio indistinto di voci allarmate, ma fu subito sedato da un’occhiataccia del colonnello. “Abbiamo scelto voi perché siete l’unica ancora di salvezza della Terra. Con le vostre tecniche marziali più potenti sareste in grado di creare una voragine nell’asteroide nella cui cavità verrà inserita una bomba, in modo da dividere in due il corpo celeste e dirigerne i frammenti fuori dalla traiettoria attuale.”
Erano attoniti.
Sbalorditi come non lo erano mai stati.
Mai avevano pensato ad una cosa del genere.
Alcuni avevano avvertito un giramento di testa improvviso, ma non poterono far altro che prendere la testa fra le mani e sbatterla contro il tavolo, come Mousse e Ukyo. Ranma rimase a bocca aperta, ed il respiro gli mancò per una manciata di secondi buoni prima di ricordarsi che aveva bisogno di ossigenazione. I pugni di Ryoga si serrarono fino a sbiancare, così come i volti delle ragazze.
Le varie espressioni crearono un vero e proprio tumulto nello stomaco dello scienziato. Osservandoli meglio, non poté fare a meno di ricordare a se stesso che erano solo ragazzi, e che la NASA non avrebbe dovuto caricare un tale peso sulle loro spalle.
“Ovviamente, dovete sentirvela di fare una cosa del genere: non c’è nessuna garanzia che ne usciate indenni da questa storia. Perciò, nessuno vi obbliga.”
Alcuni percepirono maggior libertà di scelta udendo quelle parole. Ma tutti, indistintamente, pensarono la medesima cosa: che non potevano restare indifferenti quando tutti gli esseri viventi erano minacciati da una tale calamità.
“Io ci sto!”
Perentoria e senza alcuna esitazione, Akane fu la prima a farsi avanti. Le scintille di fierezza che le illuminavano gli occhi castani testimoniavano perfettamente la sua fermezza. I ragazzi sussultarono dallo sgomento; Ranma tentava di guardarla negli occhi per farla desistere, ma la piccola Tendo neanche lo degnò di un’occhiata.
“No, Akane!” proferì il ragazzo con la bandana sbattendo un pugno sul tavolo e protendendosi verso la direzione della giovane. “Non puoi intraprendere questa missione, così come tutte le ragazze. Lascia fare agli uomini, è troppo pericoloso!”
“Non posso stare con le mani in mano mentre il pianeta rischia l’estinzione!” esclamò furiosa. Le dispiaceva rivolgersi in modo tanto sgarbato a Ryoga, ma ciò che aveva detto e che sentiva era vero: se non avesse nemmeno provato a fare qualcosa, ne avrebbe avuto uno schiacciante rimorso.
“Akane Tendo ha ragione…” esordì Mousse alzandosi dalla sedia. “Non possiamo stare qui ad aspettare di morire con tutti gli esseri viventi. Dobbiamo accollarci questo incarico, costi quel che costi. Personalmente, accetto l’impresa.”
“Di quante persone avete bisogno? Voglio dire, quante ne dovreste mandare?” chiese Ranma incrociando le braccia. Era diventato molto inquieto quando Akane aveva dato l’assenso per il proprio contributo. Si era trattenuto per non far intendere a nessuno ciò che non avrebbe voluto, ma voleva quante più informazioni possibili. Magari sarebbe riuscito a far escludere tutte le donne dalla missione. Ma la risposta non lo soddisfece.
“Manderemo due equipaggi, uno per ogni shuttle.”
Due squadre che sarebbero state inviate sull’asteroide separatamente implicava per forza un numero cospicuo di persone. Ranma espirò l’aria che aveva trattenuto nei polmoni con agitazione. Non era quello che voleva sentirsi dire.
Shan Pu, nel frattempo, era indecisa sul da farsi. Sicuramente non voleva rischiare così tanto per una cosa che direttamente non la riguardava; ma più pensava alla determinazione rovente di Akane, più si sentiva in dovere di ostentare un coraggio pari al suo, se non più elevato.
Anche se, ripensandoci, se il mondo avesse conosciuto la sua fine anzitempo, non avrebbe avuto occasione di sposare nessuno.
Al contrario, Ukyo era preoccupatissima. Ma non aveva dubbi su cosa era giusto fare. Era d’accordo con Akane, ed avrebbe seguito Ranma anche nel cielo più denso ed oscuro a cui l’occhio umano non potrebbe mai arrivare.
Forse, gli unici che comprendevano sul serio che la vita terrestre era nelle loro mani, oltre ai primi, erano Ryoga, Mousse e Nabiki. I fratelli Kuno provarono un immenso onore nel constatare una simile considerazione, ed erano altrettanto animati dal senso del dovere. Dei due, forse era Kodachi quella con la testa meno sulle spalle.
Accettarono tutti, con fermezza, senza dimostrare nessun sintomo che avrebbe potuto testimoniare un’eventuale diniego.
I due uomini sorrisero, bisbigliando un semplice grazie.
“Ma che c’entla la stlega succhiasoldi?” chiese la cinesina indicando la mezzana Tendo affianco a lei.
“Ti riferisci a Nabiki Tendo? Beh, lei ha il sangue freddo necessario per stare ai comandi di uno dei due shuttle insieme al pilota. Avrà il comando assoluto su di voi, oltre che calcolare le varie percentuali e misurazioni. Lei avrà un altro tipo di addestramento, oltre a quello che affronterete anche voi.”
“Visto che mi avete tirato in ballo” esordì sarcastica la mezzana Tendo “cosa ci guadagniamo se riuscissimo nell’impresa?”
La domanda galleggiò nell’aria per qualche secondo abbondante. L’avevano descritta come una ragazza sagace, furba, che non si lasciava scappare nulla che le fruttasse. Ma fu comunque un pugno nello stomaco per gli adulti provare il caratteraccio di Nabiki sulla loro pelle.
La ragazza non ottenne nulla di esauriente, se non alcune parole balbettate buttate lì per circostanza.
“Hai lagione!” intervenne Shan Pu. “Io voglio un viaggio in Cina!”
La proposta fece granare gli occhi a chiunque lì dentro avesse la maledizione delle sorgenti, e non appena si alzò un concitato insieme di voci.
“Signorina, ma…”
“Credo che il mondo valga molto di più di un semplice giretto per l’Oriente.” sbottò Nabiki. “Dovrete ricompensarci molto più profumatamente... oppure non se ne parla.”
E il colonnello, con sommo stupore dello scienziato, acconsentì allo scambio.
 
 
 

 

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Capitolo 3
*** Chapter III ***


La sfacciataggine di Nabiki l’aveva scandalizzata. Akane sapeva che sua sorella era il tipo che non si lasciava sfuggire nulla, ma chiedere alla Nasa di comprarle una villa in California e riempirla di lingotti d’oro, beh, quello era davvero troppo. La vita sul Pianeta non aveva un prezzo. Non per Akane.
Gli altri non furono da meno. Ciascuno aveva chiesto qualcosa per sé, ma la minore delle Tendo non aveva contrattato su nulla. Esempio seguito solo da Tatewaki, perché desideroso di mantenere le buone maniere. Soprattutto il buon senso.
Jeremy Garrad non aveva perso ulteriore tempo prezioso: una volta che i ragazzi avevano finito con le loro richieste. Aveva separato i maschi dalle femmine, e condotto entrambi i gruppi in spogliatoi diversi, dove fu intimato loro di indossare soltanto delle tuniche ospedaliere, per i controlli medici.
I ragazzi che possedevano la maledizione delle sorgenti furono costretti a svelare la loro condizione ai dottori, che sfortunatamente non avevano loro creduto. Ma mentre gli uomini avevano gettato la spugna, decidendo di concentrarsi sulla missione, Shan Pu si era infuriata per questo, ed aveva creato scompiglio rovesciando tutti gli strumenti, e solo gli insulti di Kodachi avevano fermato il suo assalto. Ma con l’altrettanto disastroso risultato di accanirsi contro di lei.
“A quanto pare, siete nate per fare risse, voi due...” osservò Nabiki.
Nella sezione maschile non andava di certo meglio. Kuno aveva cominciato a fare meravigliosi voli pindarici a proposito delle sue prossime gesta eroiche da narrare alla sfortunatamente assente Ragazza con il Codino, dicendo che si sarebbe comunque confortato dal fatto che c’era Akane Tendo ad osservarlo, sotto lo sguardo irritato e dolorante di Ryoga e di un Ranma che non riusciva neanche  a controbattere, a causa del dolore provocatogli dall’iniezione esageratamente grande che gli avevano fatto sul sedere.
Finché non arrivarono i test psicologici, il mattino seguente. E lì cominciarono tutti i guai.
Erano basati su una sfilza di domande, imbarazzanti e non, che prevedevano comunque una certa sincerità nelle risposte. Le risposte comunque, furono molto eloquenti, e perfettamente consone al modo di essere dei ragazzi. Gli esaminatori almeno non avevano alcun dubbio sul loro senso dell’umorismo, atteggiato e gentilmente accompagnato dalla sbruffoneria.
Per Ranma:
“È mai stato in orbita? Nello spazio, intendo...”
“Lei non sa quante volte...”;
per il vagabondo Ryoga:
“Lassù non può permettersi di gironzolare per l’asteroide, quindi ripeta con me: sono incapace di perdermi! Ripeta!”
“Sono. Incapace. Di. Perdermi!”;
Mousse:
“La sua vista non è molto buona; se dovessero mandarla comunque sull’asteroide, dovrà mettersi delle lenti a contatto.”
“Non posso stare qui a guardare quando la mia Shan Pu è lassù con Saotome, mi capisce?”
per il maestro di kendo Kuno:
“Cosa le viene in mente in questo momento?”
“Akane Tendo e la Ragazza con il Codino!”
per la piccola Akane:
“Da quanto tempo pratica le arti marziali?”
“Da quando sono nata, ovviamente! Ma che domande sono?!”;
la cuoca di okonomiyaki Ukyo:
“Dovrà partire senza la sua spatola, signorina. Dal rapporto risulta che non l’ha lasciata neanche per i controlli medici...”
“Neanche per idea, dovessi morire!”;
la cinesina Shan Pu:
“Pensa di farcela?”
Devo falcela, al ritolno devo sposalmi!”;
per la squinternata Kodachi:
“Cosa le fa pensare di essere all’altezza della situazione?”
“La sottoscritta è in grado di qualunque cosa! Vedremo se lo spazio sarà alla mia altezza, semmai! Ahahahahahahah!!”;
ed infine per la mezzana Tendo Nabiki:
“I suoi interessi?”
“I soldi! Credevo fosse chiaro...”.
Naturalmente, nessuno di loro passò con successo il test.
Sebbene mantenesse dei toni relativamente tranquilli, Garrad non poté non infuriarsi non appena aveva visto che una di loro non era assolutamente adatta per la missione. Non aveva mai visto nulla di più malsano al di fuori di quella ragazza, Kodachi Kuno. Fra tutti, era quella che oltrepassava, e di molto, la linea massima di insanità mentale. Per questo, fu costretta a ritirarsi. Non senza replicare a suo modo, prima.
“Non si dica mai che Kodachi Kuno, la Rosa Nera, venga rifiutata da un così eccellente programma spaziale!”
“Signorina, lei ha raggiunto un livello di idoneità molto, troppo basso per mandarla nello spazio. Non potremo neanche volendo. Potrebbe perdere la testa, lassù, se non peggio.”
L’unica che secondo le previsioni ne sarebbe stata in grado, Akane, finì comunque nel perdere la pazienza quando il colonnello Eartha entrò nella sala senza permesso alcuno, intimandole di abbandonare l’impresa, tutt’al più senza motivo.
Però, Akane non aveva previsto che lo sguardo di quell’uomo fosse così raggelante. Aveva incassato la sua reazione con una freddezza che rasentava un’ingente fiducia nelle proprie capacità, ma soprattutto del proprio potere. Cominciò ad aver paura.
 
***
 
I ragazzi non avevano mai visto niente di più maestoso. La torre di Tokyo sicuramente non rendeva giustizia a quelle creazioni d’alta tecnologia.
Dopo averli forniti di tute dall’insolito color grigio con il logo della NASA all’altezza del cuore, li avevano condotti in quello che rassomigliava molto ad un immenso garage moderno, dove all’interno erano custoditi i due shuttle che li avrebbero condotti sull’asteroide.
Gli shuttle Freedom e Indipendence sembravano dominarli dall’alto, stagliandosi nel soffitto di metallo celandolo per metri.
“Siete rimasti a bocca aperta!” sorrise Ralston. “Non nego di provare meraviglia anche io nel vederli, sapete?”
“Sono giganteschi!” commentò Ryoga. Nei suoi viaggi non gli era mai capitato di vedere da vicino dei razzi di proporzioni così colossali. “Sul serio i razzi sono così grandi?”
“Non sono razzi, ragazzo mio, sono degli shuttle! Comunque,” proseguì l’uomo “il colonnello Eartha ed io vi daremo alcuni suggerimenti su come si pilotano. Oh, non fate quelle facce, non dovete pilotarli personalmente, ma è bene che sappiate cosa fare in caso di emergenza. Se le cose dovessero andar male per l’Indipendence, quello principale, il Freedom dovrà fare il doppio dello sforzo, sì, ma prenderebbe al volo delle redini sfuggite di mano, delle redini di vitale importanza, se così vogliamo intenderci. La signorina Nabiki Tendo, dopo aver eseguito gli addestramenti riservati a lei, dovrà averne alcuni speciali per farle conoscere le attrezzature elettroniche per saperle usare. Allora, chi di voi è Ranma Saotome?”
Ranma fece un passo avanti, indifferente agli sguardi di tutti puntati addosso. “Io!”
“Vedo che sei abbastanza robusto per avere diciotto anni.” osservò con soddisfazione Theobold sorridendo. “Tu comanderai lo shuttle Freedom insieme a me, mentre Nabiki Tendo avrà il controllo dell’equipaggio dell’Indipendence con Barnaby Brockley ed il suo collega Stewart Hunter.”
“Una domanda!”
Mousse alzò una mano attendendo il momento in cui l’uomo gliel’avrebbe concessa.
“Dimmi... Tu sei Mousse, giusto?”
Il ragazzo con gli occhiali annuì, per poi chiedere con estremo interesse: “Sapete come dividere le due squadre?”
“Non ancora,” sospirò il pilota, “molto probabilmente lo sapremo domani.”
Mousse si rattristò, cominciando una sorta di conto alla rovescia per il giorno seguente. Anche se sembravano mentire a se stessi, quell’operazione sarebbe stata molto pericolosa, e si sarebbe maledetto cento volte se Shan Pu non fosse stata assegnata nel suo stesso equipaggio.
Tuttavia, anche se aveva la pazienza appesa ad un filo, doveva comunque accettare gli ordini degli scienziati che aveva di fronte.
 
***
 
L'addestramento acquatico non andò meglio.
Mentre la squadra capitanata da Nabiki, composta da Shan Pu, Ukyo e Mousse, faceva silenziosamente del proprio meglio dimostrando una notevolissima disciplina, lo stesso non si poteva dire degli altri.
Avevano assegnato a Ranma il comando del secondo shuttle affinché si facesse carico della disciplina della sua squadra. Ma ciascuno sembrava andarsene per i fatti propri. I suoi “compagni di viaggio”, ovvero Ryoga, Akane e Tatewaki si erano rivelati più delle palle al piede che dei veri aiuti.
Il maestro di Kendo aveva cominciato a pretendere di fare tutto di testa propria.
Facendo saltare in aria una delle bombole d’ossigeno di riserva.
Anche con indosso la tuta spaziale, Akane aveva tentato senza successo di rimanere calma. I dipendenti della NASA cercavano invano di tenerle sotto controllo la pressione sanguigna e le pulsazioni cardiache, ma la ragazza aveva così paura dell’acqua che Ranma dovette riprenderla un mare di volte, finendo per il litigare con lei. Come se non fosse già abbastanza tenere in riga Kuno.
Il ragazzo maiale, più che a pensare alle procedure di alimentazione, pregava costantemente i Kami affinché non si trasformasse in porcellino davanti ad Akane.
Un tipo anziano che non avevano mai visto si alzò in piedi, facendo continui gesti con le braccia di interrompere la simulazione.
“Cosa c’è, ora?” urlò Ranma ancora intento a discutere con la fidanzata ed il compagno di scuola.
“Cosa c’è?” rispose Eartha con sarcasmo. “C’è che fra qualche istante scoppierà una rissa, ecco quello che c’è! L’altra quadra sembra non ci sia, tanto è silenziosa. Si sente solo la signorina Tendo che impartisce ordini, ma per il resto è così quieta che li manderei subito.”
Ranma, Tatewaki e Akane si guardarono per metà dispiaciuti, facendosi trascinare fuori dalla vasca con apatia.
“Dovrò fare uno scambio, ragazzi. Akane Tendo si trasferirà nel gruppo di Nabiki Tendo, Ukyo Kuonji in quello di Ranma Saotome.”
“È uno scherzo?” ribatté Ranma furibondo. “Non potete scambiarci i posti a vostro piacimento!” disse, avanzando minacciosamente contro il colonnello. Aveva tirato un sospiro di sollievo nell’apprendere che Akane sarebbe stata nella sua squadra, in modo da tenerla d’occhio durante il viaggio ed una volta arrivati sull’asteroide; ma adesso che volevano togliergliela dalla sua supervisione senti il mondo crollargli addosso. Avvertì un intenso groppo in gola allargarsi ad ogni secondo che passava, e chissà come un impellente bisogno di piangere.
Se Akane si fosse trovata nei guai, chi l’avrebbe tratta in salvo fuori se non lui?
“Sì, invece. Dobbiamo assicurarci tutte le precauzioni possibili. Non possiamo aspettarci che tu e la signorina Tendo vi mettiate a bisticciare in mezzo all’universo!”
“Ma...”
“Ranma!” lo prevenne Akane, guardandolo con impassibilità. “Ha ragione il colonnello. Non possiamo fare questa cosa così. È meglio che vada nell’altra squadra.” Odiò con tutto il cuore dire quelle parole, odiò ancora di più Ranma che la osservava con quel barlume di disperazione annidato nei suoi occhi azzurri, ma se volevano portare a compimento la missione, dovevano separarsi. Non potevano permettersi di creare confusione i quei momenti così delicati che li attendevano.
Un uomo comparve un po’ trafelato, annunciando che c’era una telefonata per Akane e Nabiki Tendo. Era loro padre. Le pregò di seguirlo per parlargli.
“Non dovete dire nulla sulla missione. Inventate una scusa accettabile. Non vogliamo che si scateni il panico, mi capite?”
La giovane Akane acconsentì alla richiesta, Nabiki non accennò nulla, per poi seguire il segretario.
“Pronto?”
“BAMBINA MIA, COME STAI? E NABIKI?”
“Bene! È tutto apposto, papà.” disse Akane, che aveva preso la cornetta per prima. “La NASA ci ha consultati per... per vedere quanto degli studenti normali come noi ne sapessero di universo.” mentì, nascondendo il tremolio della sua voce. Soun la diede per buona: dopotutto, non importava tanto di quello che stavano facendo, ma se sua figlia stesse bene. Era così agitato quel giorno in cui prelevarono le sue bambine che era stato in pena per tutto quel tempo.
Akane sentì che Kasumi cercava di tranquillizzare il padre, mentre gli chiedeva se poteva sentirle anche lei.
“Akane! Ci dicevano continuamente che non potevate rispondere. Perché?”
“Beh, eravamo occupati con i quiz.”
“Oh, meno male.”
Era orrendo mentire a suo padre, ancora di più a sua sorella. Ad Akane scese una lacrima, e vedendo la situazione, Nakibi le tolse il telefono di mano per continuare lei la conversazione.
“Dì a papà di non preoccuparsi. Sono cose da niente, che resti calmo.”
“Sì, Nabiki.”
Riagganciando, Nabiki vide che il pianto di Akane era diventato ancora più violento, e che la sorella si era aggrappata a lei per tentare di acquietarsi. Inutilmente.
Aveva il serio timore che quella fosse stata l’ultima volta che li avrebbe sentiti.
 
 
 
 
 
 
NDA
Scusate il ritardo, ragazzi! *cerca di schivare i pomodori* ^-^’
Comunque, ringrazio chiunque stia seguendo questa ff, che commenti, che la metta fra le preferite, fra le seguite, fra le ricordate o che legga soltanto.
A presto! ;)
 
 

 

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Capitolo 4
*** Chapter IV ***



Mancavano cinque giorni alla fatidica partenza, e finalmente era arrivato il momento più atteso di tutti gli addestramenti.
I ragazzi quel giorno avrebbero iniziato ad allenarsi sulle loro tecniche di arti marziali, quelle che avrebbero decretato, più di tutte, la riuscita dell’impresa.
Come da programma, Nabiki fu accompagnata da Brockley per addestrarla con Stewart Hunter. Questi si era rivelato essere una persona molto simile alla mezzana Tendo. Aveva l’aria di sapere il fatto suo, e di essere una persona che era in grado di autocontrollarsi, non lasciandosi prendere dalle emozioni. Tuttavia, era palese che fosse migliore del colonnello. Anche Nabiki, come Akane, aveva mal sopportato l’eccessiva impertinenza del militare, sebbene all’inizio gli stesse “simpatico”.
Il signor Hunter era munito di umanità, al di sotto della sua apparenza di ghiaccio.
“Bene, signorina Tendo.” La salutò soltanto, senza perdersi in ulteriori ed inutili chiacchiere. “Le faccio vedere i comandi che troverà sullo shuttle.”
 
***
 
Fu consigliato loro di cominciare fin da subito indossando le tute spaziali, in modo tale da abituarsi all’ingombro che avrebbero comportato nella missione. I ragazzi non erano ancora assuefatti all’equipaggiamento, e farlo in ritardo significava non essere preparati, sotto un certo aspetto.
Jeremy Garrad si assicurò che davanti a loro non ci fosse nessuno, salvo un’enorme lastra di metallo in grado di assorbire le ventate d’energia che i giovani avrebbero espulso con i loro colpi più potenti. Poi, prese da uno schedario una cartella, e una penna da un cassetto.
“Bene, disponetevi in riga e quando vi chiamo, fate tre passi avanti e preparate il vostro colpo migliore.”
“Mi scusi” l’interruppe Mousse “chi ha delle armi può utilizzarle?”
L’astrofisico fu interdetto da quella domanda. Aveva discusso a lungo con i colleghi su quella possibilità, e fu l’unico, a dir del vero, che non aveva contestato l’uso delle loro armi. Gli altri scienziati erano convinti che potessero utilizzare le loro attrezzature senza ulteriori mezzi per portare a termine la missione con successo, ma Jeremy non era della stessa opinione. Perciò, a dispetto della decisione quasi unanime che aveva preso con il resto dell’organizzazione, diede loro il suo consenso.
Ordinò ad alcuni assistenti di recarsi nei loro alloggi per recuperarle, ma si assicurò che avrebbero fatto del loro meglio anche a mani nude.
Partì Ranma con il suo micidiale Moko Takabisha, a cui seguì Kuno che sfoderò una katana di acciaio dalla quale fuoriuscì un’ingente quantità di energia distruttiva.
Nel suo Shishi Hoko Dan, Ryoga riversò tutta la sua angoscia per gli eventi futuri, costringendo gli altri a coprirsi gli occhi per l’intensità della luce. Gli attacchi di Shan Pu e Ukyo erano davvero poca cosa al confronto. Le due utilizzarono le loro armi usuali, ma per Garrad furono attacchi molto più deboli rispetto ai primi tre; tutt’al più che quelle specie di bastoni rotondeggianti e le spatole affilate avrebbero ceduto di fronte alla solidità dell’asteroide. Ciò che invece lo entusiasmò furono la serie di catene e coltelli di Mousse, con grande sorpresa della bella cinesina.
Akane fu l’ultima. Per dimostrare le sue qualità di combattente, preparò un Double Moko Takabisha* che superò, seppur per poco, il colpo della tigre di Ranma.
Tutto quello che provò nell’esternare quel colpo non fu felicità, sicurezza di sé, neanche disperazione: era determinazione, nel salvare tutto il pianeta, e di tornare finalmente a casa.
Tutti i colpi deformarono la lastra di acciaio, superando brillantemente la prova.
 
***
 
Superate quelle prove, ai ragazzi non restò che essere introdotti in un ambiente privo di gravità, che simulasse il tipo di atmosfera che avrebbero trovato sull’asteroide, e le prove aeree a cui partecipò anche Nabiki.
Queste ultime si erano rivelate più ardue del previsto: nessuno di loro aveva mai preso un aereo, eccetto Tatewaki, e gli episodi di nausea non mancarono. Persino la regina di ghiaccio pareva giù di tono appena scesa dall’aereo militare.
L’ultima lezione consisteva nel spiegare a loro il piano nei minimi particolari.
“Allora, prima di arrivare in prossimità della Luna, dovrete sostare alla stazione spaziale russa dove verrete riforniti di ossigeno liquido. Quando poi arriverete sul nostro satellite naturale, la spinta propulsiva vi fionderà verso l’asteroide, dove atterrete. Ricordate che la velocità che affronterete è ben superiore di qualsiasi altro mezzo su cui siete mai stati. Non mi spreco neanche a dirvelo numericamente parlando. Perciò” continuò Garrad “cercate di non lamentarvi: site stati avvisati. Inoltre, ogni shuttle atterrerà in zone diverse...”
Non poté continuare. I ragazzi emisero continui mormorii che infastidirono leggermente l’astrofisico. Dovevano ascoltare senza parlare fra loro se volevano portare a termine l’impresa.
“Scusatemi, sentite quello che ho da dirvi, altrimenti non riuscirete a comprendere cosa dovete fare.”
“Che diavolo vuol dire che atterreremo in zone diverse?” sbottò infuriato Ranma sbattendo un pugno sul tavolo a cui erano seduti. Si era trattenuto a fatica, ma non poteva non ribattere. Fino a quel momento aveva accettato tutte le loro condizioni, ma che un equipaggio sarebbe stato diviso dall’altro era davvero troppo.
“È necessario affinché non si crei un intoppo. È come se due aerei atterrassero sulla stessa piattaforma. Potrebbe finir male se i due shuttle dovessero scontrarsi per sbaglio.” spiegò l’uomo, ma il ragazzo con il codino non si arrese. Scavalcò con incredibile facilità il tavolo, creando lo stupore di tutti, e si parò davanti a Jeremy Garrad prendendogli un lembo della camicia. Ryoga lo aveva imitato, ma soltanto per cercare di fermarlo, nonostante anche lui volesse delle spiegazioni.
“Ranma, fermati!” esclamò il giovane con la bandana, afferrando l’amico per le spalle.
L’uomo cercò di non scomporsi, anche se molti altri scienziati erano rimasti con le braccia sospese a mezz’aria nel tentativo di fermare il giovane.
“Avete fatto tutto quello che vi saltava in quelle vostre maledette teste, ora basta! Questa non l’accetto! Saremo in un luogo che non somiglia a nessun altro sulla Terra, dico bene? E voi volete che lavoriamo per voi in due gruppi distanti e separati?! Così non potremmo proteggerci a vicenda, bastardi!”
“Vuole morire?”
Il tono perentorio dell’uomo non ammetteva nessun tipo di protesta.
“Cosa...?”
“Risponda, Saotome! Vuole morire? Prima che riusciate a fare qualcosa?”
Nessuna risposta. Neanche la sua espressione tradiva un ripensamento da parte del ragazzo con il codino. Ma il suo silenzio parlava fin troppo eloquentemente. E Nabiki comprese che era il momento di fare qualcosa.
“Allora la smetta di essere così focoso! Si fidi! Crede che qui alla NASA non sappiamo quello che facciamo?”
Quelle parole non sortirono l’effetto sperato. Ranma continuava a guardare Garrad con odio cocente, mentre Ryoga era in procinto di trascinarlo via. Vedendo i tentativi del ragazzo, Ranma si dimenò dalla sua presa, inveendo anche contro di lui.
“Lasciami, idiota!” disse; con un colpo secco lo allontanò da sé e cominciò a discutere con lui, ma in modo più sommesso e minaccioso. “Vuoi davvero che facciano il comodo loro, mentre noi rischiamo la vita?”
“Lo vuoi capire che siamo dei completi ignoranti in materia? Non possiamo fare niente di testa nostra! Se falliamo, moriremo noi e moriranno tutti!”
Quelle parole lo scossero, così come tutti gli altri, che nel frattempo si erano alzati dalle loro sedie assistendo costernati alla scenata di Ranma. Quest’ultimo cercò Akane con lo sguardo, per poi chinare il capo. Non sapeva cosa fare, ma una cosa era certa: non sarebbe rimasto lì con Garrad e gli altri senza fare niente. Lasciò la camera con fretta innaturale, dirigendosi verso i cancelli esterni, accanto alle stanze adibite ai loro alloggi.
Non avrebbe voluto sottostare alle loro regole, ma in fondo, quel barlume di verità espresso da Ryoga non poteva essere ignorata. Maledisse quello schifoso maiale per avergli detto le cose come stavano senza remore, e per avergli dato occasione di pensare.
Ancora un giorno, e poi sarebbero partiti per lo spazio. Tutto ciò gli sembrò così surreale che non si astenne dal darsi dei pizzicotti per essere svegliato, per rivelare quell’avventura nient’altro che un sogno. Si sforzò di credere di essere a casa, nel suo futon, preda degli attacchi isterici mattinieri di Akane, e di doversi alzare per correre a scuola con lei.
Di essere importunato da Kuno, da Ryoga; di essere rincorso da Shan Pu; di andare a mangiare da Ucchan.
Di allenarsi con Akane, di creare situazioni imbarazzanti con lei. Di provare ad abbracciarla, a baciarle le labbra e a farle capire che le altre sono solo un impiccio, che non contano niente se paragonate a lei. Non si rese conto neanche di essere arrossito, e a dir la verità, gl’importava poco.
 
***
 
“Colonnello, le devo parlare.”
“Cosa vuole?”
Quella ragazza, Nabiki Tendo, cominciava a dargli sui nervi. Troppo imperativa, troppo perspicace. Non avrebbero mai dovuto portare lì gente che sapeva tener testa ad un militare del suo rango.
“Ho uno scambio da proporle.”
L’uomo si voltò, con una certa irritazione dipinta sul volto duro.
“Non ha già avuto uno scambio? Lei e tutti i suoi amici?”
Era palese che si riferisse alle loro richieste in cambio della loro collaborazione, ma Nabiki non si arrese. Non si sarebbe lasciata intimidire proprio ora che si era creata quella tensione. Non era da lei.
“Sì, ha assolutamente ragione. Ma lei sa quanto è essenziale la fermezza per poter dar spazio alla disciplina.”
“Dove vuole arrivare?”
“Bene, è impaziente. Andiamo al sodo, allora: voglio una giornata libera per loro, per noi; altrimenti niente ragazzini giapponesi in giro per lo spazio.”
Il colonnello la guardò come se fosse un serpente da uccidere immediatamente. “Non potete darci il vostro consenso per poi tradirci!” s’infuriò Eartha.
“L’ha visto anche lei, mi sembra: i nervi dei ragazzi sono a pezzi. Hanno bisogno di aria, e di poter vedere  e sentire che diavolo stanno salvando! Le mie condizioni sono queste: non è un prendere o lasciare, colonnello, la mia è un’imposizione.”
Si squadrarono per tanti, tantissimi istanti. Gli occhi gelidi di Andrew Eartha contro quelli furbi ed attenti di Nabiki Tendo. La giovane mezzana sapeva che l’aveva messo con le spalle al muro: dopotutto, erano la loro unica speranza di sopravvivere all’imminente disastro. A conferma di ciò, il militare persistette soltanto qualche minuto, ma alla fine, davanti a quello sguardo bruno che non aveva nulla da invidiare al suo in fatto di tenacia, acconsentì, seppure con astio.
“Se vi lascerete scappare da quelle maledette bocche chi siete e cosa state per fare, non avete idea di quello che vi succederà.” sibilò l’uomo, puntando l’indice tremante di collera contro la ragazza.
“Affare fatto” rispose atona lei.
 
 
 
 
 
NDA
*La tecnica non è presente nella serie, bensì in un teaser che vede protagonisti i personaggi principali del Rumic World.  Si trova su Youtube.
Sì, sono in ritardo. Ma non da molto, eh? ;)
Siccome non l’ho ancora fatto come si deve, colgo l’occasione di ringraziare voi tutti (la vostra pazienza è invidiabile xD):
chi mi recensisce, più o meno regolarmente: Spirit99, Gretel85, wifeofslanderman, Lallywhite, VioletLumos, rachel868, maymell e Pchan05;
chi ha messo fra le preferite la storia: Cerbyatta Cullen, Lallywhite e wifeofslanderman;
e chi la segue (vi riconto, tanto che fa!): Cerbyatta Cullen, Ialex, maymell, Saiyanprincess2013, Spirit99 e wifeofslanderman.
Grazie per il supporto e l’immensa pazienza! xD
Perdonate gli eventuali errori.
 

 

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Capitolo 5
*** Chapter V ***



Venne riferito loro che avevano una giornata libera, fuori dalla NASA se lo volevano. I giovani ragazzi erano alquanto felici di avere quel fantomatico permesso di poter staccare la spina per qualche ora: si erano resi conto tutti che la situazione era diventata insostenibile, e che una sosta prima dell’imbarco era più che legittima.
Non che servisse a qualcosa, pensò Ranma.
Il problema principale rimaneva, e lui proprio non se la sentiva di lasciar perdere e concedere a quelli della NASA tutta l’organizzazione. Avrebbe voluto tanto trovare un modo per fare di testa sua, cosicché avesse Akane nelle vicinanze durante la complicata missione.
Ma non gli venne in mente nulla, se non cercarla.
Non sapeva se una volta davanti le avrebbe intimato di abbandonare i suoi propositi. Lei non gli avrebbe permesso di intromettersi in una sua scelta, tutt’al più così nobile come salvare il Pianeta Terra.
Sicuramente, però, le avrebbe chiesto scusa. Sì, per tutto quello che le aveva sempre detto non pensandolo sul serio, ma solo per cercare di schermarsi da  quei sentimenti più grandi di lui. E, cosa più importante, avrebbe tentato di non litigare ancora, anche perché non avrebbe giovato a nessuno vedere i propri compagni in preda allo stress e all’ansia, perciò s’impose di rilassarsi.
Uscì di corsa dai suoi alloggi, dirigendosi verso la prima direzione che gli era capitata a tiro.
Voleva passare quelle ore con Akane.
Voleva che stesse pensando la medesima cosa, e che, come lui, lo stesse cercando.
Non voleva perdersi quegli attimi che, molto probabilmente, sarebbero stati gli ultimi della loro esistenza. Non voleva perdersi nulla.
 
***
 
Perfino Nabiki non ne poteva più. Ed infatti, non avrebbe preteso quella pausa senza ricavarne qualcosa personalmente. Non appena le ore libere cominciarono, venne chiesto loro se preferissero restare alla base o condotti in città. La mezzana Tendo si era subito dileguata, salutando soltanto Akane, ed ignorando completamente Tatewaki che le implorava di vendergli qualche foto. In realtà, in quei giorni non ne aveva avuto neanche il tempo materiale. A stento si erano concessi una doccia veloce, figurarsi dedicarsi agli hobby ed ai guadagni.
“Fratello aspetta!”
A Kodachi Kuno era stato intimato di ritornare a Tokyo, ma la ragazza non se l’era sentita. Primo motivo fra tutti, non voleva lasciare Ranma senza il suo conforto. E benché avesse le migliori intenzioni con lui, più lo cercava, e più sembrava sfuggirle. Finché, non aveva incontrato il fratello, in procinto di prendere un’auto che lo avrebbe condotto nel centro di Houston al fine di distrarlo.
Tatewaki si voltò, per nulla infastidito dal richiamo della sorella. Solitamente lo era, ma perfino lui aveva paura che qualcosa andasse storto.
I due consanguinei si guardarono negli occhi, cercando disperatamente quell’appoggio che l’uno aveva sempre negato all’altro.
“Resta qui...”
“Vieni con me!”
Kodachi rimase di sasso. Non aveva mai usato quel tono dolce con lei. Il programma spaziale, e tutta quella situazione, lo aveva cambiato nel modo di porsi nei suoi confronti.
Sebbene fosse riluttante, la ragazza decise di stare con lui. Avrebbe avuto tempo per Ranma in un secondo momento. Ora, quel che era importante era l’amore di suo fratello.
 
***
 
Aveva cominciato ad avere seriamente paura. Fino a quel momento, i nobili pensieri di Mousse erano rivolti soltanto a Shan Pu ed alla sua incolumità. Come se qualcuno lo avesse ascoltato, si erano perfino ritrovati nella stessa squadra.
Ripensò con tristezza alla reazione furibonda che ebbe il suo rivale. Se fosse stato al posto suo, molto probabilmente avrebbe fatto di peggio. Altro che prendere il bavero del camice e lanciare qualche parolaccia. Gli fece quasi pena; quasi si pentì di averlo giudicato male e di accusarlo continuamente di andare dietro a Shan Pu quando si capiva lontano un miglio che la ragazza che amava era Akane.
“Ranma!”
“Lanma!!”
Mentre faceva dondolare le sue gambe oltre il cornicione, alle orecchie di Mousse arrivò la voce della sua amata cinesina, insieme a quella della cuoca di okonomiyaki. Si guardò intorno cercando di capire da dove provenisse il richiamo; soltanto gettando lo sguardo verso il basso, alla parete esterna laterale dell’immensa struttura principale della NASA, vide le due ragazze che, trafelate, erano in cerca del ragazzo con il codino.
Shan Pu, ed anche Ukyo, non si rendeva conto che il suo amore non era ricambiato.
“Eppure, è uscito proprio da questa parte! Sono sicurissima di averlo visto!”
L’amazzone però non fece caso ad Ukyo. Cominciò a correre verso la sinistra di Mousse, dirigendosi verso le scale della terrazza. Si era sicuramente intestardita a trascorrere quelle ore con l’uomo che lei professava essere il suo futuro marito.
E mentre vedeva un’incerta Kuonji sulla strada da prendere, udì invocare il suo nome dalla ragazza che voleva con tutto se stesso a pochissimi metri da sé.
“Mousse?”
Era senza dubbio l’istante più romantico che Mousse abbia mai trascorso, se non fosse per quella sfumatura delusa della voce.
“Sì, ti aspettavi Saotome?”
“Già!” disse lei stizzita. Incrociò le braccia, osservandolo con sdegno. Non le piaceva affatto quando qualcuno si rivolgeva a lei con sarcasmo, soprattutto quando a farlo era un umile e malandato cameriere lavapiatti come Mousse.
“Ma lui non si aspetta te.” continuò imperterrito il giovane. “E tu lo sai, non è vero?”
Aveva deciso che quel giorno, invece di pregarle in ginocchio di considerarlo un po’ di più, le avrebbe indirizzato lo stesso dardo avvelenato che lei aveva utilizzato contro di lui per tutti quegli anni. Gli effetti sortiti erano quelli che voleva. Solo, non credeva di stare così meglio.
“Sta’ a sentile, stupido papelo!” brontolò la ragazza. “Non so che diavolo ti prende per mancalmi di lispetto in questo modo. Quel che so è invece che ti stai sbagliando, e di glosso anche: Lanma mi starà celcando, proplio come ola sto facendo io. Quindi non cledere di potel mettelmi in testa l’assulda idea che mi lifiutelà! Soplattutto stanotte che potlà avelmi...”
Con il suo tono ammaliante, la cinesina lasciò intendere che lo avrebbe sedotto quella sera stessa; e Mousse si accigliò, stringendo i pugni fino a quasi farsi sanguinare le palme delle mani contro le unghie, ma non si mosse, né disse qualcosa.
Gli stava restituendo ciò che lui le aveva rinfacciato, con i dovuti interessi per giunta. Ma non si pentì di averle sbattuto in faccia come stavano realmente le cose.
“Passa buona giolnata! Chissà se lo salà pel te...” concluse Shan Pu, prima di ritornare sui suoi passi.
 
***
 
Si era perso di nuovo. Che novità!
Sbuffò calciando un sassolino che gli ostacolava il cammino, osservandosi intorno.
Era finito in un quella che pareva un’enorme cisterna: nel fondo c’erano delle strane apparecchiature, simili a quelle che avevano usato per gli addestramenti, con dei fili collegati che finivano dentro ad aperture dotate di una specie di porticine di gomma, quella che doveva essere gomma, pressata.
Avanzò con cautela fino all’orlo, stando ben attento a posizionare bene i piedi. E d’un tratto quella bizzarra disposizione di circuiti disposti sul fondo di una vasca gli sembrò interessante, proprio mentre era affaccendato a fare altro. Proprio mentre stava cercando Akane, anche se si rendeva conto ora che le sue speranze erano del tutto vane. Si sentì un emerito cretino. Lo aveva visto con i suoi occhi come stavano le cose. Era sempre Ranma che aveva la meglio, su qualsiasi cosa. Anche sul piano affettivo, con quell’atteggiamento da selvaggio che si ritrovava. Senza dubbio, però, sapeva che teneva ad Akane. Con lui la piccola Tendo era sempre uscita indenne, anche in situazioni disperate. E lei, anche se non era suo costume essere indelicata, aveva già fatto capire che Ranma era l’unico con cui avrebbe trascorso la vita, e che il sottoscritto era soltanto un amico. Carissimo, ma pur sempre un amico.
E molto probabilmente doveva rimanere tale.
Il dolore di quella tacita affermazione lo risvegliò, ma fu troppo tardi. Lo scossone che ebbe lo fece capitolare dentro, provocando la sua trasformazione istantanea in un porcellino nero.
“Ryoga?”
Stupefatta, la cuoca di okonomiyaki si accovacciò proprio davanti all’orlo della cisterna, senza però degnarlo del suo soccorso. Lo osservava dimenarsi nell’acqua, con i suoi vestiti sparsi, con una curiosità che rasentava la beffa.
“Sai dov’è Ranma?”
Se magari lo avesse aiutato, sarebbe stato anche in grado di parlare. Anche se non aveva la più pallida idea di dove fosse quell’imbecille. Ma la ragazza castana sembrava non arrivarci.
“Va beh, fa niente...” fece spallucce, alzandosi per andarsene. Solo quando udì i suoi grugniti farsi più acuti ritornò indietro per afferrarlo e trascinarlo su. “Uffa, quanto sei fastidioso! Vado a cercare dell’acqua calda...” borbottò seccata.
A dispetto della noia che le aveva provocato, Ryoga si rese conto che non era poi così indispettita. Di certo, non si aspettava che gli andasse a procurare dell’acqua calda.
Quando ritornò Ukyo, e quando poté assumere le sue fattezze naturali, il giovane con la bandana la ringraziò.
“Sì, sì... Ora mi dici dove si trova Ranma?”
“Non lo so! Non sono mica la sua balia!”
“Mi hai fatto fare tutto questo senza rispondere alla mia domanda?!”
Se prima la ragazza lo avesse aiutato quasi con piacere, ora era diventata una maschera di pura rabbia. Si erse in tutta la sua statura, non molto più alta di lui, e cominciò a minacciarlo con la sua spatola. “Vorrà dire che ti darò una lezione...”
“Ma non lo so sul serio, Ucchan!” implorò il ragazzo indietreggiando.
“Non chiamarmi così!” disse lei, avanzando per averlo sotto torchio.
Ok, i tentativi di lisciarla non erano serviti a niente, se non a farla imbufalire ancora di più. Così, Ryoga non ebbe altra scelta che afferrare la spatola tagliente e a strattonarla per fargliela mollare. Stupita, Ukyo la lasciò andare senza troppa resistenza.
Era la prima volta che qualcuno bloccava e s’impossessava del suo arnese da cucina preferito.
Fissò il giovane soppesare l’arma con interesse, brandendola come se fosse una lancia. Somigliava così tanto a Ranma, solo che Ryoga era molto più gentile e remissivo.
Poi si riscosse, andandogli incontro e agguantando la spatola con una mano.
“Dammela subito!”
“Io avevo pensato di cercare Akane, sai?” disse il giovane senza scomporsi. Ukyo si fermò e tese le orecchie. “Ma dopo aver riflettuto sulla scenata che ha fatto Ranma ieri, sono arrivato alla conclusione che forse è meglio che si trovino loro due oggi, e che mettano in chiaro tutto quanto. Potrebbe essere il loro ultimo giorno sulla Terra.”
Sentire quella triste probabilità, alla giovane Kuonji salì un groppo in gola. Ci aveva pensato poco al fatto che molto probabilmente alcuni di loro non sarebbero tornati a casa, e non era preparata a udirlo,  tutt’al più con quella freddezza inaudita.
“Che intendi per tutto quanto?”
“Non ci arrivi da sola?”
Sì che ci era arrivata da sola. Ma ancora non aveva il coraggio di rassegnarsi. Il suo era un amore che durava da una vita intera, e che credeva sarebbe vissuto fino alla sua morte. Tutto qui.
Ora che Ryoga aveva gettato la spugna, chissà se ci sarebbe riuscita anche lei.
“Non è facile, Ryoga. Dopo averlo amato per tutto questo tempo, non è affatto facile.”
“Non ho detto che lo è.” Riprese a guardarlo negli occhi, e si rese conto che erano lucidi. Se si fosse messo a piangere proprio in quel momento, senza dubbio lei lo avrebbe imitato. Le riconsegnò l’arma, continuando ad infonderle lo stesso spirito di reticenza che lui stesso aveva assunto nei confronti di Akane. “Ma è ancora più difficile stare accanto ad una persona che desidera qualcun altro, non credi?”
La ragazza annuì. Chi se li dimenticava i pomeriggi in cui Ranma andava da lei solo per sfogarsi del suo difficile rapporto con Akane? Chi si dimenticava la sua infelicità pura che emanava la sua cadenza di voce quando litigava con lei? Stando seduto al suo ristorante, Ranma non sembrava cavarne alcun conforto. Mangiava, sprizzante di felicità, ed usciva con l’intento di riappacificarsi con lei. Mai che pensasse ai suoi sentimenti, mai che di decidesse a trasferirsi da lei. Come un angelo burlesco, che ti faceva ascendere al Paradiso e poi ti scaraventava all’Inferno, a suo piacimento. Si ritrovò ad odiarlo, anche se lui la considerava la più cara delle amiche e per questo non voleva fargli torto. Tanto meno ora.
 
***
 
Sarebbe stato inutile scorrazzare per una città in cui si sarebbe potuta smarrire.
Anche se al confronto con Ryoga era una bussola, Akane decise di rimanere nell’alloggio che condivideva con le altre ragazze, ora assenti, che sicuramente erano andati a cacciare Ranma come se fosse stato un animale da braccare e da spellare non appena ci sarebbe stata l’occasione.
Aveva cominciato quel giorno di libertà facendosi un bagno e lavandosi i capelli, siccome in quei giorni ce n’erano state poche di occasioni per farlo. Anche se non aveva intenzione di uscire, si mise gli indumenti migliori che aveva portato con sé: un paio di jeans ed una camicetta azzurra.
Stava spazzolandosi i capelli davanti allo specchio, quando sentì bussare alla porta con insistenza.
Posò la spazzola sul ripiano, andando ad aprire.
Il cuore le mancò di un battito. Era Ranma, con il fiato corto e gli occhi che parevano bruciargli.
“Ranma...”
Lo aveva immaginato avvinghiato alle sue spasimanti per ore, ma se era davanti a lei c’erano solo due possibilità: aveva le allucinazioni, dovute alla tensione, oppure aveva fatto male i suoi calcoli.
Il ragazzo le sorrise amorevolmente, chiedendole di entrare. E lei glielo aveva concesso.
 
 
 
 
 
NDA
Il rimando alla canzone che fa da colonna sonora al film (“I don't want to miss a thing” degli Aerosmith) è puramente casuale (seeee...dicono tutti così!).
Stavolta sono stata veloce, nevvero? :D
Ringrazio i lettori che si sono aggiunti, oltre a quelli che già seguivano! :)
Se ci sono errori chiedo venia.
 

 

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Capitolo 6
*** Chapter VI ***



 
“Io pensavo...”
“...che fossi da qualcuna di loro?”
“Sì...”
Incatenando i suoi occhi a quelli della ragazza, Ranma cercò di trasmetterle sicurezza da donare nei suoi confronti, in modo che non cadesse di nuovo nel fraintendimento. E ci riuscì, con sua somma sorpresa.
“Ed invece eccomi qui...”
Se avesse continuato a guardarla in quella maniera, Akane si sarebbe sicuramente sciolta. Doveva continuare a parlare, altrimenti dalla sua bocca non sarebbe uscito più nulla per le successive due ore.
“Posso... sapere per quale motivo sei venuto da me? Non credo tu abbia voglia di passare questa giornata con un maschiaccio, no?”
“Invece ne ho voglia, credimi.” ribatté lui un po’ alterato.
Akane accennò un timido sorriso, e mai come in quel momento si sentì così emozionata. Arrossì, e nonostante la circostanza ed il luogo le sembrarono alquanto ambigui, lo abbracciò poggiando la testa sul suo petto. E per quanto desiderasse un gesto simile da parte sua, Ranma non poté fare a meno di irrigidirsi, sentendo le curve morbide della fidanzata premere delicatamente contro di lui.
Divenne rosso fino alla punta delle orecchie, calibrando bene cosa avrebbe potuto fare in quella circostanza. Se avesse ricambiato il suo abbraccio, Akane che cosa avrebbe fatto? Avrebbe apprezzato oppure lo avrebbe spedito fuori a calci?
Scosse la testa, liberandosi di tutti quei assurdi dubbi. La cinse a sé, affondando il volto nell’incavo del collo di lei, mentre la giovane, resasi consapevole del fatto che il fidanzato cercasse un approccio più intimo, rafforzò ancora di più la presa. Il calore di Ranma le sembrava molto più accentuato del suo, come se il ragazzo fosse arrivato apposta per farla sentire calda e protetta. Era così felice in quell’istante che ebbe timore di un’eventuale capovolgimento da parte di Ranma; ma questo sembrava non arrivare. Perciò si tranquillizzò, beandosi delle sensazioni che stava provando.
“Saremo molto lontani quando arriveremo sull’asteroide...” disse Ranma d’un tratto. “Vorrei che tutta quest’avventura non ci fosse mai capitata. Vorrei svegliarmi al dojo, con te che mi urli dietro!”
La giovane Tendo rise contro la camicia, per poi alzare lo sguardo verso di lui. “Anch’io, Ranma.” affermò, con la cadenza di voce più disarmante che poté emettere “Ma dobbiamo farlo per il bene di tutti: pensa a quanti ora stanno facendo la stessa cosa.” affermò alludendo al loro abbraccio, e al fiato che l’uno stava percependo dell’altro.
Lo disse per rassicurarlo, per incitarlo ad andare fino in fondo. Era ovvio che Ranma non aveva paura per se stesso, ma per tutti i suoi amici. E molto probabilmente anche per lei.
“Hai paura?” chiese soltanto.
“Ho paura per te!” mormorò Ranma con enfasi stringendola ancora, come se quella fosse la loro ultima occasione di stare insieme. “Promettimi che starai attenta, e che non farai niente di avventato.”
“Non è da te chiedermi una cosa simile. Comunque, sì: te lo prometto. Ma fa’ la stessa cosa: dimmi che non ti caccerai nei guai e che non farai niente per disobbedire agli ordini, neanche per me.”
Il suo tono, così dolce ed implorante, lo spingeva sempre più verso quel giuramento. Ma non era affatto certo di quello che le stava promettendo. Come poteva stare al loro gioco quando c’era di mezzo la vita di Akane? Come poteva infischiarsene di quello che sarebbe potuto succedere?
“Non me lo puoi chiedere, Akane...”
E lui non poteva mettere sempre a repentaglio la sua vita per gli altri.
Gli prese il volto fra le mani, accarezzandogli lentamente le guance con i pollici. Non aveva mai fatto una cosa simile, se non nelle sue fantasie.
“Infatti non te l’ho chiesto. Devi farlo, anche se qualcuno di noi ci rimette. Hai capito?”
Il ragazzo sospirò contrariato, prima allentando la stretta poi lasciandola del tutto. “Non lo so, Akane. Non so se ci riuscirò. Non voglio dare la mia parola se sono sicuro di non poterla mantenere. Non voglio mentire, tanto meno a te. Tu sei l’ultima persona che imbroglierei.”
Vedendo che Akane aveva smesso di ribattere, forse rimuginare fra sé, il ragazzo con il codino fu indeciso su cosa dire o fare. Se aveva deciso che la scelta sarebbe toccata a lei, ovviamente lui avrebbe seguito il suo istinto. Ed il suo cuore. Era una decisione, quella, che Ranma non avrebbe mai preso. Certo sapeva che, anche se inconsapevolmente, l’umanità aveva riposto la propria fiducia su di loro, ma erano persone che per lui non avevano lo stesso valore che attribuiva ad Akane. Spesso si era soffermato a pensare che neanche suo padre era importante come lo era lei: come poteva far sì che desse più credito a loro che non alla sua fidanzata? Era impossibile. Ci avrebbe provato, magari, ma il suo egoismo lo reputava più che legittimo.
“So che non lo accetterai, ma se qualcosa dovesse andare storta, non esiterò a proteggerti.”
“Non puoi sempre rischiare, Ranma!”
“Nessuno mi obbliga!”
Erano arrivati ad urlarsi contro. Lui fremente di collera, lei con le lacrime agli occhi.
Non avrebbero dato peso se qualche responsabile li avesse sorpresi nella zona femminile.
“Questa non è la solita disputa fra combattenti!” rincarò la ragazza.
“Credi che non lo sappia? Credi che non sia consapevole che qui davvero qualcuno di noi morirà?”
Si pentì subito di quello che aveva appena detto. Deglutì sonoramente, osservando con orrore come le lacrime di Akane solcassero il suo viso apparentemente impassibile, perso. La piccola Tendo passò in rassegna nella sua testa tutti i ragazzi impegnati nella missione, scoprendosi in qualche modo legata a ciascuno di loro, indissolubilmente: dalle ragazze che tentarono di ucciderla varie volte, come Shan Pu, ai semplici seccatori che non riuscivano a comprendere che la loro era null’altro che un’infatuazione, come Tatewaki.
Quando però la sua mente aveva toccato Ranma, diventò tutto ancora più nero. S’immaginò sola, che ritornava a casa senza di lui. E non ci sarebbero stati più insulti, più bisticci. Non ci sarebbe stato più amore, lo stesso di cui si nutriva fin dal giorno in cui lo conobbe in sembianze femminili. E chissà lei quale orrenda fine avesse fatto, insieme al dojo che tanto amava.
Era così strano. Fino a qualche tempo prima rifiutava categoricamente l’idea di doverlo gestire con un uomo, ed ora invece ne aveva un’angosciante necessità, come se si fosse strappato un pezzo di sé, e cercandolo lo aveva trovato proprio in Ranma. Sentì di odiarlo per averla ridotta in quello stato pietoso; ma ormai il latte era versato, e non sarebbe mai potuta ritornare l’Akane di prima.
Ranma l’aveva trascinata in quel mondo sconosciuto ch’è l’amore; ed ora non avrebbe potuto far altro che rimanerci.
“Ti odio, maledetto!”
Pianse, vergognandosi di ogni singola lacrima che Ranma vedeva scendere. Osservò il suo volto afflitto e allucinato, coprendosi la bocca troppo tardi. Non si sarebbe stupita se fosse uscito immediatamente da quella porta.
“Sai che c'è? Non mi importa niente se mi odi!”
Quello avrebbe potuto essere il suo ultimo giorno, e non aveva nessuna intenzione di sprecarlo.
Con incredibile velocità, Ranma le afferrò le braccia senza farle troppo male e per poco non l’addossò alla parete. Per l’impeto, Akane strizzò gli occhi girando la testa di lato. Anche se Ranma non le aveva alzato un dito neanche una volta, non sapeva che aspettarsi soprattutto ora che appariva così arrabbiato. Anche se ebbe paura, tentò di ragionare lucidamente: Ranma non avrebbe mai fatto nulla che lei non volesse. Era un dato di fatto.
Finché, non accadde l’inaspettato.
Ranma si era avvicinato al suo collo scoperto, lasciando interminabili scie del suo respiro. Durarono il tempo necessario perché Akane captasse la sua residua incertezza. E all’improvviso lo aveva baciato, delineando i tratti ancora infantili della sua mascella, assaggiando il sale delle sue lacrime.
Akane sentì un brivido farsi strada nella colonna vertebrale, a cui seguirono molti altri altrettanto intensi. La smorfia contratta della sua espressione fece spazio ad una più lasciva, estatica, e mentre Ranma la riaccolse fra le sue braccia, come se fosse la creatura più fragile che ci fosse, Akane non perse altro tempo. Ripeté le stesse movenze, trasmettendogli le medesime sensazioni. Si rese conto di esserci riuscita non appena il fiato di Ranma divenne più ansante; e ne ebbe l’assoluta certezza nel momento in cui Ranma si protese ancora di più verso le sue labbra per impossessarsene.
Le sue perplessità iniziali su di una probabile reazione violenta di Akane erano ormai un vago ricordo. Tutto ciò che sentiva ora era un’insopportabile caldo che confluiva dalle loro bocche per poi arrivare in tutti gli angoli più remoti del suo corpo, e la setosa consistenza delle labbra della giovane diventare via via tangibile dal momento in cui Akane aveva ricambiato con ardore, trattenendo quel contatto quanto più possibile.
Aveva fantasticato su quel momento diverse volte; solo ora però aveva compreso quanto la realtà fosse di gran lunga migliore.
La lasciò andare solo quando la sua fidanzata cominciò a gemere piano, per mancanza di aria.
Era così rossa che Ranma credette di vederla svenire da un momento all’altro. Ma questo non successe. Le accarezzò il volto, portandole via le lacrime ancora bagnate.
Erano così vicini che pareva che l’uno respirasse con il fiato dell’altro.
“Dimmi che non mi odi...”
“Hai detto che non t'importava, mi sembra...” disse sarcasticamente lei.
“Invece sì.”
“Va bene. Non ti odio.”
“Ripetilo, ti prego.” incitò Ranma, premendo la fronte sulla sua.
“Non ti odio, Ranma.”
“Grazie.”
“L'ho detto perché è vero. Non ti odio. Se mai ti ho odiato sul serio, è stato per orgoglio.”
Ranma non avrebbe saputo dirlo in modo migliore. Anche se non l’aveva fatto per prima, Akane si era privata della sua corazza, e per una volta aveva dato prova di come la fierezza potesse portare inevitabilmente ad incomprensioni e  conflitti, rendendo immobile un rapporto come il loro.
“Senti, io... volevo chiederti scusa per tutti gli insulti che ti ho rifilato. Non sei grassa, tanto meno racchia. È perché mi piaci molto quando ti arrabbi. Quando sorridi. Quando combatti. Quando dormi...”
“Quando mi baci. Io adoro quando mi baci...” sorrisero.
Ripresero a baciarsi, stavolta con più trasporto. Ranma le lambiva i fianchi con desiderio represso, arrivando ai bottoncini della camicia. Lo colse una paura matta di commettere un errore, approfittando di lei così spudoratamente. Ma una mano di lei sulla sua lo spronò a continuare, fino a quando anche l’ultima chiusura della camicia fu slacciata, così come gli alamari della sua.
Akane scoprì il suo petto possente, non senza rimanerne intimidita. Cominciò ad avere paura, ed avrebbe voluto fermarsi subito nonostante si sentisse sciocca anche al solo pensarlo.
La sensazione di timore ed inadeguatezza si accentuarono non appena Ranma fece aderire la sua pelle nuda sulle parti scoperte di lei. Insinuò le sue mani all’altezza della schiena, e continuando a baciarle le guance per rassicurarla le sue dita armeggiarono con l’apertura del reggiseno.
Si destò di colpo, facendo scivolare via le mani dalla ragazza.
No. Non poteva fare l’amore con Akane. Sarebbe stato immorale approfittare del suo momento di debolezza per soddisfare il suo desiderio. Inoltre se Soun avesse saputo che sua figlia era stata violata anzitempo, chissà che putiferio sarebbe esploso. E poi, il giorno dopo non avrebbe avuto nient'altro nella testa.
Come poteva affrontare una missione così rischiosa se non riusciva a pensare ad altro che ad Akane, al suo corpo, al suo amore che aveva deciso di donargli?
“Scusami, mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo...”
Si preparò ad essere preso a sberle e a pugni, ma Akane non fece niente di tutto ciò. Piuttosto, sembrava sollevata per quell’interruzione. Si limitò ad abbracciarlo ancora, mormorando piano.
“Non prendertela, ma non sono ancora... pronta, ecco.”
“Hai ragione, mi dispiace.”
Akane scosse la testa. “Non dispiacerti. È stato così bello...”
Qualcuno bussò alla porta, e i due si guardarono sgranando gli occhi. Se li avessero scoperti lì, insieme, con alcun indumenti sbottonati, di certo si sarebbe scatenato un pandemonio come minimo.
“Mi scusi!” La voce era pressoché sconosciuta, e aveva un timbro molto più marcato. “Sono un’inserviente. Dovrei pulire la vostra camera!”
“Sì, le dispiace aspettare dieci minuti?” gridò Akane da dentro.
“Cosa?” rispose indignato l’uomo. Poi emise un rumore simile ad uno sbuffo. “E va bene, nel frattempo mi prendo un caffè...”
Si ricomposero, dileguandosi una volta che nessuno fosse stato a portata d’occhio, per poi uscire dalla struttura, ridendo e arrossendo.
Sarebbe stato meraviglioso fare l’amore, ma per il momento tutto questo bastava.
 
 
 
 


NDA
Qualcuno mi ammazzerà per aver impedito loro di andare oltre, ma ho pensato che comunque sono ancora alle prime armi, si sono appena mezzi dichiarati, e mi sembrava una forzatura (tralasciando il fatto che non mi sembra adeguato cambiare il bollino, visto che fin dall’inizio volevo mantenermi sul giallo). Se volete consolarvi ricordate che nel film non c’è nessuna scena spinta. xD
Accetto pomodori, mele, o qualsiasi altra cosa vogliate lanciarmi contro! xD
Perdonate gli errori. :P

 

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Capitolo 7
*** Chapter VII ***



 
Il Kennedy Space Center era gremito di persone, tenute a debita distanza dalla piattaforma di lancio. Molti erano giornalisti, altri rappresentanti di autorità, altri semplici appassionati e curiosi. Non c’era nessuno ora che non sapesse della missione che attendeva quei giovanissimi ragazzi della periferia di Tokyo, e di come fosse sconvolgente una notizia del genere.
Solo vedendo questa scena, il gruppo di Nerima, con le tenute spaziali, ebbe davvero il sentore che il mondo era tutto nelle loro mani. Si sentirono a disagio, caricati di una responsabilità molto, troppo grande. Si resero conto che scongiurare l’impatto di un asteroide sul pianeta Terra non era affatto una passeggiata. Certo, avevano più o meno realizzato che sarebbe stata un’impresa di proporzioni colossali, ma ora credevano che fosse ancora più mastodontica.
E si sentirono per la prima volta così piccoli in confronto all’universo.
Era stato spiegato loro di sganciare la bomba nella voragine da loro stessi creata, e di partire immediatamente per ritornare indietro. Avrebbero avuto solo una possibilità per ciascun equipaggio di atterrare sull’asteroide, e solo qualche limitata ora per perforarlo. Sarebbe partito un countdown automatico che collegava le testate nucleari dalla Terra che avrebbe fatto il resto, spaccando in due l’asteroide cambiandone la traiettoria.
“Tornerò, sorella, come ti ho promesso!”
Kodachi piangeva istericamente, e questo non faceva altro che peggiorare la già difficile situazione, scoraggiando di molto gli animi.
Non c’era bisogno di parole di conforto da scambiarsi in quel frangente: anche un semplice “In bocca al lupo” sarebbe stato superfluo. I saluti che invece i ragazzi si concedevano l’un l’altro erano dei sorrisi appena accennati e sguardi carichi di speranza e paura.
Tutto sembrava vorticare in un’infinità di sensazioni nuove, mentre ciascuno di loro si scoprì innamorato della Terra come mai era parso. Percepirono ancora una volta l’usuale quanto sconosciuta meraviglia dell’essere parte di un pianeta, con i piedi ben piantati in terra, ignari di tutto quello che girava intorno.
Attraversarono il margine di sicurezza, sostando davanti agli ingressi dei due shuttle in attesa di ordini. Eartha, Hunter e Ralston erano con loro, mentre Brockley e Garrad erano rimasti all’interno della NASA per seguire entrambi gli equipaggi.
Eartha parlò per qualche secondo con Ralston, poi invitò Ranma, Ryoga, Ukyo e Tatewaki a varcare la soglia dello shuttle Freedom con loro. Lo stesso face Stewart Hunter con Nabiki, Akane Shan Pu e Mousse.
Quando fu il momento di muovere i primi passi però, sentirono che quelli potevano essere gli ultimi sul loro pianeta, e nel constatare questo furono tentati di ritornare indietro. Ma se ne pentirono subito: con che faccia potevano abbandonare la missione, e condannare a morte certa l’intera umanità?
Akane fu la prima a scuotere la testa e ad ignorare le occhiate del fidanzato che cercava disperatamente il suo sguardo. Nel suo invece non sembrava esserci nulla, se non una smania cocente di salire su quello shuttle e finire il lavoro assegnato loro. Non c’era nulla in quel momento che riusciva a distoglierla dall’impresa. Neanche il bacio di Ranma. Aveva deciso di pensarci il meno possibile, per il bene di tutti: e ci stava riuscendo.
Entrarono, sedendosi su dei sedili muniti di cinghie, e vennero fissati ad essi dai loro rispettivi esperti. Nabiki si rivelò essere molto celere nel compiere il proprio dovere. Hunter ne fu soddisfatto.
“Come ti senti?” chiese Ranma a Ryoga mentre venivano legati. Voleva che i suoi compagni di viaggio stessero in perfette condizioni, sia psichiche che fisiche.
“Non so dirti con sicurezza, ma sento che esploderò per l’emozione... Sembra adrenalina, ma è anche paura... ma...”
“Piantala, Ryoga!” lo interruppe Ukyo “Siamo tutti tesi; ci manchi tu che entri in crisi proprio adesso!”
Il giovane Saotome si voltò per quel che poté per osservarla. Era molto nervosa, e appariva molto sofferente, come se si sarebbe messa a piangere da un momento all’altro.
“Restiamo uniti, e nessuno ci lascerà le penne, ok?” disse Ranma. “Non possiamo permetterci di lasciarci prendere dall’ansia.”
“Sono fiero di lei, signor Saotome!” gli disse d’un tratto Ralston sorridendogli. “Sta cercando di mantenere il controllo del suo equipaggio!”
“Grazie, anche se non mi sono mai sentito così inadatto ad essere un capo.” confessò. I ragazzi parvero perplessi dalla sua affermazione. In tutte le avventure vissute insieme, era sempre il ragazzo con il codino a farla da padrone; era sempre lui a guidarli nelle spedizioni più pericolose. Ora si giudicava negativamente, come mai avevano udito.
“Beh, questa è un’esperienza nuova; è normale che ci si senta così.” affermò Ralston per tranquillizzarlo. “Non mollare proprio ora che stai vivendo questa avventura così rischiosa. I tuoi amici, qui, hanno bisogno di tutto il tuo coraggio. Ora più che mai.”
Ukyo annuì ad un Ranma sempre più dubbioso, mentre si rese conto  che Tatewaki non aveva replicato. Lo vide concentrarsi su ciò che aveva appena ascoltato, riflettendoci su. Persino uno stupido come lui doveva riconoscere che Ranma lo aveva salvato innumerevoli volte.
 
***
 
“Ma è siculo che è necessalio?”
“Se non vuole essere sballottata durante il viaggio, sì signorina!”
Stewart Hunter come al solito non ammetteva obiezioni. Il suo lavoro era per lui come una vocazione, e detestava sentire lamentele durante le missioni. Che arrivassero da pivellini che non sapevano un’acca di spazio e dintorni ancora peggio. Ma Shan Pu non era al corrente delle sue facili irritazioni e del suo sarcasmo. Nabiki ne aveva avuto un più che valido assaggio durante il suo personalissimo addestramento, rimanendone perfino divertita.
“Zitta, Shan Pu. Ne abbiamo abbastanza!”
Mousse ed Akane si scambiarono un cenno d’intesa, infondendosi coraggio.
Akane non credeva che quel ragazzo fosse così mite e buono. Spesso si era chiesta come mai Shan Pu non apprezzasse la sua sensibilità e la sua devozione nei suoi confronti. Perché si comportasse con lui così acidamente, nonostante non fosse l’uomo che voleva sposare.
Ricordò che una volta lo aveva spronato a lottare per colei che amava, ma ora si stava rendendo conto che non c’è competizione nell’amore. C’era solo gente che come lui non veniva ricambiato e soffriva. Non c’era nulla per cui combattere, specie quando la persona dei propri sogni non ti considera neanche come un amico.
Lei era stata fortunata, per quanto non credesse a cose simili. Ranma, nonostante non avesse pronunciato le fatidiche parole, aveva dimostrato che oltre lei nel suo cuore non c’era nessun’altra, a dispetto delle miriade di spasimanti che Akane reputava anche più belle di lei.
“Come va, Akane?” chiese il giovane accortosi di essere osservato dalla piccola Tendo.
“Bene. Magari un po’ nervosa, sai com’è...”
Tentava di ridere, di sdrammatizzare, ma Mousse doveva riconoscere che non ci riusciva neanche per scherzo. Proprio lei, che aveva sempre cercato fin dall'inizio di regalare un po' della sua forza agli altri, ora cercava di fare buon viso a cattivo gioco, celando stancamente la sua paura.
“Indipendence, mi sentite?”
La voce proveniente dall’altoparlante dello shuttle Indipendence era sicuramente di Jeremy Garrad.
“Forte e chiaro, Houston!” rispose Hunter al microfono delle sue cuffie.
“Bene! Fra due minuti si parte, ragazzi!”
Successivamente si sentì un vociare fra Garrad, Brockley e gli altri membri della NASA, che impostavano le comunicazioni, la traiettoria, le ricetrasmittenti, ed altro che i giovani non seppero identificare. L’adrenalina saliva, si sentivano eccitati e vivi come pochissime volte nella loro vita. L’elettricità delle loro membra sembrava non voler accennare a diminuire, anzi. Cresceva, e si cibava del loro respiro, lasciandoli senza fiato. La salivazione si azzerò quasi del tutto, e si sentirono improvvisamente grati per aver ricevuto dell’acqua prima dell’imbarco. Ma non era abbastanza. Nonostante tutto, non si diedero per vinti. Non così presto.
“Indossate le visiere.” intimò Brockley dalla stazione di comando.
I giovani eseguirono senza batter ciglio, mentre un altro altoparlante annunciava l'imminente partenza.
“Manca un minuto al lancio.”
Il giorno in cui nacquero sicuramente non era così emozionante come lo era essere sparati nello spazio per salvare la Terra, così come tutte le esperienze più belle e più brutte. Mantennero la calma finché poterono, aggrappandosi alla sicurezza che emanavano le voci conosciute e gli esperti che erano a bordo con loro.
“Siete già degli eroi, ragazzi miei...” disse Garrad con una punta d’orgoglio nella voce. “Pensate a rilassarvi.”
Gli shuttle cominciarono a tremare, e da quel che potevano saperne sembrava un terremoto.
“Trenta secondi al lancio.”
Gli uomini che li accompagnavano erano seduti davanti a loro Così emozionati, eppure così tranquilli. Non sembravano naturali, quasi.
Dieci, nove, otto, ed il loro cuore cominciò a battere forte, e sentirono caldo. L’areazione all’interno delle tute spaziali mitigava solo in parte la sensazione di calura che avevano.
Sette, sei, cinque, e le luci intorno a loro assunsero tonalità rosse, gialle, azzurre e verdi. Le loro pupille si dilatarono, incapaci di opporsi ai comandi del cervello.
Quattro, tre, due, ed Akane strizzò gli occhi, esausta. Le emozioni erano al culmine della sopportazione, e non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire una lacrima.
Uno.
Gli shuttle partirono, lentamente, borbottando con i loro motori, mentre i sistemi di volo vennero regolarizzati.
La violenza degli scossoni era inaudita. Sentirono le orecchie ovattarsi.
“Siamo fuori dall’atmosfera!” osservò Ralston.
Il viaggio dei due shuttle procedette per il meglio. Da quel che potevano capire, nonostante gli scombussolamenti che di tanto in tanto subivano i mezzi, ora meno forti, non c’era nulla di cui preoccuparsi.
“La stazione orbitante russa è a due minuti da noi. Anche se appartiene alla Russia, il colonnello che vi abitava è dovuto ritornare sulla Terra per cause di salute e lo hanno sostituito con un esperto giapponese. È lassù già da un paio di mesi. Potrebbe essere un po’ strano, ma ci farete il callo.”
Ranma e Ryoga si fissarono sconcertati. Non avevano mai detto che ci fosse un giapponese in una stazione spaziale russa. Sarà per quello che avevano ingaggiato proprio loro?
Non ci fu tempo per le domande.
“Abbassate le visiere di sicurezza. Fra poco ci agganceremo.”
D’un tratto, Shan Pu squittì: cominciò a sentirsi pesante, come sulla Terra, ma in modo instabile. Era una sensazione nauseante. Ukyo si sentiva strana, come se una parte del suo corpo galleggiasse nello spazio, e un’altra fosse pesante come piombo.
Mousse cominciò a sudare freddo, ma tenne duro così come Akane.
Sentirono un rumore metallico e un altro spasmodico scossone. Un’estremità dello shuttle Freedom era agganciato da una parte della stazione russa; ed un’estremità dell’Indipendence all’altra.
Vennero slegati, e scesero all’interno della stazione. Era come essere in un gigantesco tubo pieno zeppo di circuiti e schermi. I due gruppi si incontrarono nel centro, ma nessuno si lasciò andare a reazioni di nessun tipo.
“C’è nessuno?” esclamò Stewart Hunter.
Non ci fu risposta, se non l’avvicinamento di un essere piccolo, informe, la cui identità era nascosta dalla pesante seppur minuscola tuta spaziale che indossava. Man mano che si avvicinava, Ranma poté riconoscere il Chi di quella persona. Non ne era sicurissimo, ma probabilmente la conosceva.
“Chi diavolo potrebbe mai ingaggiare un uomo così piccolo e sgraziato?” domandò inorridita Ukyo.
Improvvisamente parlò, emettendo una vocina stridula e anziana.
“Benvenuti, ragazzi miei! Soprattutto a te, Ranma!”
L’interpellato sgranò gli occhi per la sorpresa, temendo che lo spazio gli avesse giocato brutti scherzi.
“Happosai?!”
La cuoca era già in procinto di vomitare di suo, figurarsi ora che aveva davanti l'incubo di tutte le ragazze.
 
***
 
“Forza!”
Il vecchietto cominciò a dare ordini a destra e a manca, vantando una notevole esperienza sul campo. Invitò Ranma ad osservare come si apriva il serbatoio di ossigeno liquido, sotto il completo sgomento dell’altro, mentre tutti gli altri si affaccendavano per trasportare l’estremità di un pesante tubo fino al serbatoio di ciascuno shuttle.
“Mi vuoi spiegare come diavolo hai fatto a finire fin qui? Non ti avrà spedito qui Akane, spero!” ironizzò Ranma mentre tentava di capire la sequenza di leve da abbassare e di pulsanti da premere, al di sotto di una sorta di buca.
“Spiritoso! Il mio allievo è sempre il solito stupido...”
“No, è che mi chiedo come mai sei in missione per la NASA. Uno come te non vedo come può essere utile per loro.”
“Se lo è un fesso come te, non vedo come non potrebbe esserlo un maestro come me...”
“Ehi, vecchiaccio! Io ti...”
“Attento! Non vorrai provocare un incendio, vero?”
Ranma gli ringhiò contro, per poi prestare nuovamente attenzione a quel che stava facendo. In poco tempo gli shuttle furono pronti a partire, al suono della voce di Ralston ed Eartha che riferivano a Houston che il primo passo dell’impresa era compiuto.
 
***
 
Arrivarono in prossimità della Luna. Dal Freedom la vista era magnifica, e Ukyo ebbe un tuffo al cuore nell’osservare quanto grande fosse il satellite che spesso aveva osservato dalla Terra. Aveva pianto così tanto in sua compagnia, sperando che come d’incanto Ranma cominciasse a considerarla come la sua donna, che le lacrime pian piano erano andate esaurendosi.
Aveva provato una felicità infinita quel momento in cui il colonnello annunciò che sarebbe stata al fianco del giovane Saotome al posto di Akane, ma vedendo che quell’entusiasmo non era condiviso dall’oggetto del suo interesse, aveva provato tristezza, sfinimento. Ma anche una strana rassegnazione, come se sapesse in cuor suo che non avrebbe mai avuto speranze con lui, non dal momento in cui Akane diventò la sua promessa sposa.
Le parole di Ryoga, poi, avevano scavato e trovato quella consapevolezza remota, e l’avevano mostrata in tutta la sua crudezza. Si rivelò per quello che era, la piccola Ukyo: una sciocca ragazza che ha vissuto per anni appigliata ad un voto fatto tra infanti, e perciò non preso con le dovute responsabilità. Certo, lei e suo padre avevano subito un torto, e per questo i Saotome avrebbero dovuto risarcirli con la promessa di un’unione matrimoniale, ma come doveva essere un matrimonio combinato? Anche se conosceva Ranma da una vita, come avrebbe potuto vivere felice come se si fosse innamorata, scegliendo di sua spontanea volontà e senza l’intervento di un’amicizia fra bambini solitari? Ora che ci pensava, l’essersi conosciuti così piccoli le sembrava un forzato preludio al matrimonio.
Ranma non era mai stato favorevole al fidanzamento, ma si era innamorato. Era cresciuto, conosciuto Akane e si era innamorato.
E quando ci si innamora, niente ha più importanza, neanche le pretese che aveva avanzato lei per tutto quel tempo. Doveva smetterla di corrergli dietro, come le aveva consigliato Ryoga Hibiki, o si sarebbe consumata.
Un oggetto sbatté sulla fiancata del Freedom, proprio dove c’era Ukyo. La giovane Kuonji accantonò del tutto i propri pensieri, tentando, seppur con sovrastante paura, di capire che stava succedendo.
“Siete in prossimità della coda dell’asteroide! Attenzione, ragazzi!” disse la voce di Garrad.
“Mantenete il contatto radio, Freedom e Indipendence!” gli fece eco Brockley. “La pioggia di meteoriti può creare scompensi nelle comunicazioni.”
“Pioggia di meteoriti?”
“La coda è composta di frammenti di roccia e ghiaccio, signor Saotome.” spiegò Eartha. Accelerò in accordo con Ralston. L’eccesso di velocità li portò a sballottarsi contro i sedili: se non fossero stati nuovamente legati sarebbero andati a sbattere contro le pareti degli shuttle, rimettendoci così la vita.
I meteoriti e quelle che sembrava grandine bombardarono gli shuttle in modo irruento, provocando delle leggere ammaccature sull’acciaio. Andarono avanti in questo modo per quella che a loro parve un’infinità, con rumori terribili che sembravano evocare esplosioni d’ogni sorta, finché le turbolenze subirono una leggera battuta d’arresto.
“Tutto bene?” si assicurò Eartha voltandosi.
“Sono stato meglio!” borbottò Ryoga dal suo sedile.
“Pelché ho accettato?” si lamentava la cinesina a bordo dell’Indipendence, meritandosi il silenzio di Hunter e l’occhiataccia di Nabiki.
“Non ho mai avuto così paura in vita mia...” confessò Akane.
“Sono le pecche del mestiere, purtroppo. Siamo alla periferia della coda dell’asteroide. Ci siamo allontanati in modo da avere meno danni possibili.” le rispose il tono freddo di Hunter mentre armeggiava con i comandi sopra la sua testa.
“Tenetevi!”
La pioggia di meteoriti ricominciò a picchiettare contro gli shuttle, sempre più tenace. Si schiantavano con sempre più forza, incrinando i vetri. Nabiki divenne sempre più tesa, ma non cedette.
Al Freedom, Eartha controllava di continuo che non ci fossero aperture facilmente danneggiabili per lo shuttle; nel frattempo, Ralston eseguì quella che doveva essere una sferzata per schivare un pezzo di ferro particolarmente grande. Ma gli altri meteoriti colpivano lo stesso. I ragazzi non riuscirono più a tenere il conto e gli shuttle presero a tremare, tanto che gli equipaggi sentirono il bisogno di urlare per il dolore: era come essere agitati da giganti che non provavano pietà per esseri piccoli come loro.
Le comunicazioni radio si interruppero, e non poterono più udire Garrad.
“Houston, rispondete!”

 

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Capitolo 8
*** Chapter VIII ***



 
Il silenzio della base venne soppiantato dai continui rumori metallici che permeavano dentro e fuori lo shuttle, e dagli schianti forti e secchi di meteoriti che ora erano sempre più grandi. Alcuni andarono a incrinare rovinosamente i solidi vetri dell’Indipendence, altri lo sfioravano creando delle gravi ammaccature. Stewart Hunter provò una manovra verso sinistra, in modo che la giovane al suo fianco non rischiasse di essere spazzata via con mezza fiancata.
Ma se riuscì a schivarne uno grande, non poté sottrarre tutti dalla pioggia di quelli più piccoli, che cominciarono ad infittirsi. Hunter sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe andato a finire male, risucchiato dall’assenza di gravità esterna.
Si rese conto che poteva scegliere chi doveva restare in vita, e chi invece aveva avuto abbastanza per lasciarsi morire. Certo, avrebbe lasciato una moglie ed una figlia di tredici anni, ma la giovane accanto a lui molto probabilmente non aveva neanche deciso cosa fare da grande. Spettava a lei la priorità di continuare a vivere, almeno di avere una chance. Pensò tutto in una frazione di secondo.
“Signorina Tendo, prenda i comandi generali, e cerchi di atterrare!” urlò l’uomo, cercando di legare Nabiki al sedile.
“Che significa cerchi? Qual è la situazione?”
“Lo shuttle sta per schiantarsi sulla superficie. I vetri stanno cedendo. Cerchi di restare ancorata al sedile e si assicuri che atterriate nella zona più liscia possibile. Cerchi anche di non sprecare la sua vita e quella degli altri.”
In pochi istanti, il vetro davanti Stewart Hunter si frantumò sotto gli impietosi colpi dei meteoriti, tirando verso l’esterno il pilota come se ci fossero dei tentacoli invisibili che stavano pericolosamente afferrando la vittima per portarla via. L’uomo urlò per l’eccessiva velocità ma durò per pochissimo tempo, finché il suo corpo non si disperse dietro di loro.
Nabiki non si sentì mai così terrorizzata in vita sua. La scena a cui aveva appena assistito era stata orribile, ma non poteva lasciarsi prendere dal panico ora che aveva tutto il resto dell’equipaggio sulle proprie spalle. Con  gli occhi ancora sgranati e pallida, spinse le leve di atterraggio in avanti, con cautela, sperando di trovare una piattaforma che non infrangesse ancora di più lo shuttle già fortemente danneggiato.
Le urla degli altri non la fecero ragionare lucidamente abbastanza, ma comunque si diede da fare per schiantarsi con meno violenza possibile sull’asteroide.
Le punte aguzze delle irregolarità stridevano contro il metallo, facendo vibrare il mezzo. Nakibi abbassò ancora di più i comandi, facendo cozzare lo shuttle contro il freddo metallo del corpo celeste. Cominciò a svilupparsi un incendio che coinvolse gran parte della parte posteriore, a causa dei troppi e scoraggianti guasti al sistema elettrico.
Era la fine. Erano soli, e l’altro shuttle non avrebbe potuto raggiungerli per salvarli neanche volendo. La corsa dello shuttle mezzo distrutto cominciò attraverso il ghiaccio ed il ferro, frenandosi soltanto quando sbatté contro uno sperone di roccia più grande, schiacciando tutta la parte anteriore.
Le grida di sua sorella erano già finite da un bel pezzo. Nella sua testa continuava a rimbombare imperterrita una voce che le diceva che Akane era morta.
“No! No!!”
Si liberò dai lacci ostinati che Hunter le aveva rafforzato, balzando esausta, sudata e dolorante verso il sedile della sorella minore, non curandosi né di Shan Pu, né di Mousse.
“Akane! Akane!” chiamava. Il sedile era stato letteralmente sradicato dal punto in cui lo avevano montato, e di Akane neanche l’ombra. Scavalcò le macerie, trovando il corpo esanime di Akane che giaceva da un lato. La prese fra le braccia, scrollandola ed invocandola per nome.
Le palpebre della piccola Tendo tremarono, per poi alzarsi lentamente. Dopo l’offuscamento iniziale, riconobbe il viso della sorella.
“Nabiki...”
Sul viso della mezzana comparve un sorriso sollevato: se la sua sorellina fosse morta, chissà cos’era in grado di combinare.
Akane si toccò la testa, protetta dal casco della tenuta spaziale. Doveva aver battuto la testa, anche se Nabiki non vide nessuna traccia di sangue o di altri traumi.
“Sei sveglia, finalmente!” sospirò la ragazza. “Altrimenti, chi li sentiva papà e Ranma?”
Akane sorrise, pensando alla repentina velocità con cui la regina di ghiaccio avesse cambiato registro per non apparire preoccupata. “Dove sono gli altri?” chiese poi.
“Stewart Hunter ha cercato di salvarci per quel che ha potuto.” proferì Nabiki, senza lasciar trapelare nessuna emozione.
Akane si mise in piedi, rendendosi conto che Mousse e Shan Pu erano come scomparsi. Fortunatamente li trovò a pochi centimetri l’uno dall’altra, con Mousse che teneva teneramente la mano della cinesina. A quella vista, lo sguardo di Akane si appannò di lacrime, ripensando a tutte le delusioni che il giovane cinese aveva avuto proprio a causa della ragazza che amava.
Videro che pian piano Mousse si stava riprendendo, e che allarmato stava chiamando la cinesina ancora priva di sensi.
Se l’avesse avuta anche stavolta, una delusione da lei?
“Levami quelle manacce di dosso!” esclamò Shan Pu, secondo le previsioni di Akane.
Vide che l’innamorato però non reagiva come suo solito. Si ricompose, proponendo di cercare l’altro equipaggio. E Shan Pu non fu per nulla disturbata dalla sua indifferenza mascherata. Borbottò un assenso, mentre le due sorelle già cominciarono ad uscire dallo shuttle disfatto e completamente fuori uso.
 
***
 
“Che diavolo significa che non c’è più segnale? Qualcuno me lo spieghi, dannazione!”
L’Indipendence non risponde, e neanche la base! Cos’è che non è chiaro, ragazzo?”
Eartha urlò così forte da zittire tutti i membri dell’equipaggio. Quei ragazzini non avevano il minimo senso della misura. Si stavano facendo troppe beffe del suo ruolo di colonnello, e quel ragazzo con il codino e Nibiki Tendo erano quelli che più mal sopportava.
“Che cosa è successo all’Indipendence?”
Ranma però non si fece impaurire dal tono autoritario dell’uomo. Cercò di protendersi il più possibile per dar maggior enfasi alla sua domanda, affinché venisse preso in considerazione, e non come un ragazzino impulsivo che arrecava solo disordine per capriccio.
Il colonnello riuscì a fissarlo pochissimo tempo, prima di essere sopraffatto dallo sguardo del giovane. Perché ci vide del fuoco, al di là del mare.
“Non risponde,” rispose comprensivo Ralston “stiamo cercando di ripristinare le comunicazioni.”
Ranma tacque, ma in compenso l’ansia continuava a crescere. Si rese conto di essere in pensiero per tutti, non solo per Akane. Ma il suo punto fermo restava sempre e solo lei. Akane.
“Saotome, ascolta.”
Per la prima volta da quando si erano imbarcati sul Freedom, Tatewaki gli rivolse la parola.
“Nella mia immensa saggezza non ti ho mai chiesto nulla, ma devi promettermi una cosa: se dovessi morire, dì alla Ragazza con il Codino che l’ho amata, e che anche se mi ha sempre denigrato sapevo che non era altro che un modo per entrare nelle mie grazie.”
“Dannazione, Kuno, non ti ci mettere pure tu!”
“Niente da fare!” Theobold continuava a schiacciare un pulsante spazientito “Non risponde nessuno, e non abbiamo più informazioni dall’Indipendence!”
“Dobbiamo atterrare comunque, Ralston!” sentenziò Eartha.
Il pilota digrignò i denti, incerto se seguire le direttive del colonnello o continuare a tentare di riprendere il contatto con Houston e l’altro shuttle. All’Indipendence qualcosa era successo, e se avesse atteso ancora qualche minuto avrebbero oltrepassato la piattaforma prefissa per atterrare.
“Freedom, ci siete?”
Improvvisamente, la voce di Garrad fece capolino nel Freedom, facendo sorridere di felicità Ralston. “ Sì, Houston! Vorremo sapere se siete riusciti a contattare l’Indipendence!”
“L’Indipendence è stato seriamente danneggiato dalle meteoriti che lo hanno bombardato. Da quel che ne sappiamo potrebbe anche esser stato disintegrato...”
“Disintegrato?” esclamò Ryoga in preda al terrore, prendendo a guardare Ranma per un secondo, altrettanto sconvolto. “Che significa? Dove sono gli altri?”
“Molto probabilmente sono morti, signor Hibiki... Mi dispiace.”
Tatewaki ed Ukyo si scambiarono un’occhiata sconcertata.
Il respiro di Ryoga si fermò per un tempo indefinito. Un vuoto si aprì sotto i suoi piedi, e avvertì un giramento di testa che non aveva mai avuto. Un rivolo di sudore gli colò dalle tempie, andando a scorrere fino ad incontrarne altri. Deglutì, mentre la sua mente aveva cominciato a far slittare una serie di ricordi, tutti legati ad Akane, e al suo duplice affetto che covava per lui, che fosse in forma umana, oppure di porcellino.
“Akane...”
Il sussurrò di Ranma lo udì appena. Aveva già delle lacrime agli occhi che ancora non ebbero la forza dirompente necessaria per scendere giù, ed un violento tremore alle mani. Osservava il vuoto davanti a sé, continuando a ripetere, sempre più flebilmente, il nome della sua fidanzata.
Poi, sembrò ridestarsi. “State dicendo stronzate!”
“Non ne siamo certi, Ranma!” pronunciò Ralston mentre si accingeva ad atterrare. “Ora, da bravo, mi prometti che farai quel che devi?”
Non rispose. Respirò come se avesse affanno, annaspando, pensando a quanta determinazione avesse Akane nell’intraprendere quella difficile impresa. Forse avrebbe dovuto farla desistere con tutti i mezzi a sua disposizione, cosicché ritornasse a Nerima, al sicuro.
Sentì di odiarla, per tutta quella grinta che metteva a disposizione degli altri. Ma anche di amarla, perché non aveva incontrato mai nessuno di così altruista. Alla domanda non sapeva che replicare, ma non aveva dubbi su ciò che Akane avrebbe fatto al posto suo.
“Sì.”
 
***
 
Erano finalmente atterrati. Con alcune strumentazioni che i membri più giovani del Freedom non furono in grado di riconoscere, Si cominciò a cercare il punto più fragile in un’area di dieci metri quadrati. Se avessero cercato entro un perimetro ancora più largo, avrebbero solo finito con il perdere tempo prezioso.
Ed iniziarono a frantumare la ferrite sotto di loro, con i colpi già utilizzati nella base. Faceva caldo e freddo al tempo stesso, e questa insopportabile differenza climatica favorì in parte la consapevolezza di essere su un asteroide per salvare il pianeta, e di conseguenza la concentrazione e velocità giuste per finire il lavoro entro i limiti prefissati.
Per Ranma fu un ottimo diversivo per abbattere tutto il suo dolore e la sua frustrazione.
Non sarebbe più riuscito a ritrovarla.
Non l’avrebbe più portata a casa sana e salva.
Non avrebbe più avuto l’occasione che si presentò quell’ultimo giorno.
Non avrebbe più potuto toccarla, annusarla, mai più baciarla.
Mai più sposarla.
Niente.
Quello che lo aspettava era un dojo da gestire, ma come poteva farlo senza di lei? Che diavolo poteva continuare a vivere come se niente fosse, proprio ora che si erano trovati con il cuore, dopo due anni di ricerca?
La disperazione stava per opprimerlo; solo l’incitamento di Ralston dallo shuttle e di Ryoga accanto a lui lo spronarono a proseguire l’operazione.
Tuttavia, ciò che riuscirono a fare in mezz’ora fu un misero buchetto profondo poco più di un metro.
“Dovete arrivare a un chilometro di profondità, altrimenti non sarà servito a niente!” gridò Eartha.
I ragazzi erano sfiniti. Per quanto impiegassero i loro sforzi, riuscivano a scalfire solo una misera parte di quella che realmente serviva allo scopo.
 
***
 
“Akane, tutto a posto?”
“Credo di sì... Riesco a camminare, spero...”
Mousse offrì la mano ad una spossata Akane, mentre Shan Pu osservò torva la scena.
Quella sbruffoncella stava attirando l’attenzione del papero appositamente per farla ingelosire e farle allentare la presa su Ranma. Lo spettacolino sarebbe finito solo quando l’amazzone fosse esplosa di invidia davanti a tutti, e questo lei non poteva permetterselo. Aveva un onore da rispettare, ed una promessa da mantenere.
Per quanto riguardava Mousse, era solo questione di possesso, nulla di più nulla di meno. Il suo ruolo avrebbe conosciuto l’epilogo quando lei si sarebbe sposata con Ranma e le altre amazzoni lo avrebbero giudicato e condannato a morte. Non c’era sorte più adatta per un debole come lui.
Shan Pu era superiore a tutti. Solo Ranma era al di sopra di lei, ovviamente ottenebrato dalla sua bellezza e dalla sua sensualità.
Non si rese conto però che Akane aveva una ferita all’altezza della gamba sinistra. La tuta presentava un piccolo e profondo squarcio, quasi invisibile, ma che all’interno aveva provocato una fuoriuscita di sangue più o meno indifferente. La ragazza riusciva a camminare, ma aveva la necessità di fermarsi di tanto in tanto. Per fortuna, la poca gravità sull’asteroide rendeva la cosa molto più facile di quello che sarebbe stato sulla Terra.
Nabiki guidava il gruppo.
Era riuscita a ricavare un piccolo rilevatore ad infrarossi, spuntato fra le apparecchiature di Hunter, in modo che riuscisse a captare la presenza di esseri viventi a sangue caldo, ergo i membri del Freedom.
L’aggeggio prese a suonare più intensamente, e fu a quel segnale che la mezzana Tendo incitò ad accelerare il passo. Si arrampicò per quella che sembrava una piccola collinetta nera, scrutando l’orizzonte una volta in cima.
Non si sentì mai così orgogliosa in vita sua.
“Ehi, ragazzi! Abbiamo trovato l’equipaggio dell’Indipendence!” urlò affinché si sentisse di sotto.
I ragazzi a quelle parole ammutolirono, scoppiando in manifestazioni di gioia. Mousse per la contentezza cinse le spalle della piccola Tendo in un mezzo abbraccio, ignorando completamente che la cinesina stava fumando di rabbia.
Arrancarono quei lunghi metri che li separavano dai loro amici, urlando a squarciagola il loro ritorno.
Ranma!”
“Ecco, ora ho anche le allucinazioni!” borbottò Ranma, continuando a preparare un ennesimo colpo da infliggere al ferro. “Non ci penseranno due volte a rinchiudermi in un manicomio una volta a Terra, me lo sento...”
“Credo che non ci andrai in manicomio, Ranma!” esultò Ukyo entusiasta. Stava osservando un punto preciso su una sorta di pendio particolarmente articolato, guadagnandosi uno sguardo confuso del giovane con il codino.
Ranma seguì la direzione indicatagli dalla cuoca, così come tutti gli altri.
E la vide. Un po’ malconcia, a giudicare come zoppicava, ma viva.
Akane.
Per l’eccitazione, le pupille di Ranma Saotome si dilatarono. Sentì delle scariche elettriche pervadergli il corpo, ed il sangue che arrivava lesto al cervello.
Lasciò che la sfera di energia scoppiasse via innocua fra le sue mani, desiderando di correre verso di lei ed abbracciarla. Ma le gambe non ressero; la stanchezza cominciò a farsi sentire davvero.
Piegò le ginocchia perché si riposassero, scattando poi in piedi non appena riacquistò vigore. E partì, correndo per accorciare la distanza fra di loro il prima possibile, rendendosi conto come si sentì bene, e rinato. Le proteste di Eartha erano troppo vacue e lontane, ormai.
Arrivò, e l’accolse fra le sue braccia, nonostante fossero impediti dalle tute spaziali. Gli altri intorno a loro rimasero inteneriti dalla scena, molti di loro turbati.
“Sono così felice di rivederti, Ranma. Ho temuto di morire, e...”
“No! Non dire niente. Va tutto bene, adesso.”
Le osservò le labbra teneramente. Se avesse potuto togliersi di dosso quel maledetto casco l’avrebbe fatto.
“Allora, Casanova.” Lo riprese Nabiki, sorridendo divertita. “Credevi che sarei stata inutile?”
“Non l’ho mai pensato succhiasoldi!” si difese Ranma. “Ma che è successo al vostro shuttle?”
“È andato, e il pilota Hunter si è sacrificato per salvarci.”
Calò un silenzio inquietante, durante il quale persino respirare era diventato sacrilego. La possibilità della morte era inevitabile, era diventato persino inimmaginabile non parlarne. Si chiesero chi fosse stato il prossimo, ben sperando che non accadesse a nessuno.
Il colonnello li aveva nel frattempo raggiunti, ascoltando la sorte del pilota.
“Non abbiamo il tempo di piangerlo, dobbiamo fare questo buco prima che il limite per l’esplosione della testata nucleare venga oltrepassato!”
 



 
NDA
Questo capitolo è stato scritto di tutta furia. Spero vada bene! :)

 

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Capitolo 9
*** Chapter IX ***


 
Forti delle abilità dei sopravvissuti dell’Indipendence, Ranma e gli altri finalmente arrivarono al tanto agognato chilometro di profondità che li separava dal punto in cui avrebbero dovuto calare la testata nucleare prima che il tempo limite fosse raggiunto.
Eartha ritornò a bordo del Freedom portando con sé Ranma e Nabiki ad aiutarli, e per avvisare Ralston e Houston che la testata nucleare era pronta per l’attivazione del countdown automatico, il quale sarebbe avvenuto direttamente dalla Terra; ciò voleva dire che i ragazzi dovevano fare solo in tempo a lasciare la bomba attivata e partire subito.
Disimballarono la testata nucleare provvista di un piccolo schermo elettronico situato al di sopra di quella che somigliava ad una scatola di metallo. Ma videro che il conto alla rovescia era già stato avviato da molti minuti. E che ne restavano cinque.
“Dalla base hanno già attivato il countdown!” proferì Theobold Ralston leggermente contrariato. “Mancano solo dieci minuti. Non ce la faremo mai a calarla nella cavità e ripartire.”
Si guardò intorno, accorgendosi che i due ragazzi osservavano lui ed Eartha a turno con occhi spaventati. “Devo avvisare la base. Non possono farla esplodere in superficie!”. Prese la cornetta di un dispositivo simile ad un video telefono, invocando Houston e chiedendo di poter parlare con Jeremy Garrad. E quando sentì il collega rispondere, esplose.
“Perché avete attivato questa maledetta bomba così presto? Disattivatela immediatamente!”
“Abbiamo ricevuto l’ordine di cominciare il countdown dal Presidente degli Stati Uniti in persona. Non possiamo fare niente.”
La voce fredda ma leggermente incrinata dell’astrofisico arrivò perentorio alle orecchie di Eartha, che subito si affaccendò per strappare la cornetta di mano a Ralston per chiudere la comunicazione, per poi trasportare la bomba verso a voragine creata dai giovani di Nerima.
“Forza, dobbiamo portarla fuori!” esclamò il colonnello ai due ragazzi. Ma né Ranma, né Nabiki si mossero. In un tacito accordo, non volevano fare nulla che fosse risultato vano.
“No!” rispose il pilota. “Non sarà servito a nulla venire fin qui! Disattivi lei la testata nucleare, colonnello!”
A quelle parole, i due giovani si frapposero fra Eartha e l’ingresso dello shuttle, osservandolo torvi.
“Da qui non passa nessuno!” annunciò Nabiki fredda.
“Signorina, lei non capisce quando un ordine deve essere eseg...”
“Non sono venuta fin qui per vedere un colonnello da strapazzo obbedire agli ordini come uno schiavo!” urlò Nabiki interrompendo il colonnello. Sapeva che se Eartha avesse cominciato a forzare la loro resistenza, ci sarebbe stato Ranma ad ostacolarlo. “Faccia quello che dice Ralston e chiuda quella cazzo di bocca!”
Sentendo ciò, una vena cominciò a pulsare sulla tempia dell’uomo, segno che non avrebbe più buttato via una sola briciola di pazienza per loro. Con rabbia, cercò di spingere la ragazza a terra per farsi largo, e ci sarebbe riuscito se Ranma non gli avesse prontamente afferrato il braccio. Rafforzò la presa, spingendolo indietro circoscrivendo la bomba che stava trasportando, ora posata a terra.
Lo aveva fatto retrocedere finché non si trovarono allo schermo per le comunicazioni. “Se è un pezzo grosso, dica di disattivare questo coso, ed in fretta!”
Per quanto fosse apparso minaccioso, al colonnello non sortì l’effetto che desiderava. Andrew Eartha sembrava perfino non avvertire dolore all’altezza della sua artigliata.
“Voi siete ragazzi, non capite quand...”
Ma anche stavolta al colonnello fu preclusa la possibilità di parlare.
“Siamo ragazzi, è vero, ma capiamo quando una persona ha ragione oppure no. Ralston sta dicendo che se fate esplodere la bomba in superficie, non riusciremo a combinare niente. Quindi, o spegni questa roba o giuro che dirai addio ai tuoi padroni prima del tempo.”
“Non importa granché della tua vita quando sei un soldato.”
“A me importerebbe, invece. Mi importerebbe se in ballo ci sono otto miliardi di persone che rischiano di morire. Mi importerebbe se i miei amici, i miei genitori, la mia fidanzata dovessero morire, è chiaro?! Anche lei avrà una famiglia, no? A che serve essere un fottuto soldato se non sai cosa è giusto o no per l’umanità e per la propria famiglia? A che serve se non si può ragionare con la propria testa? Devo pensare che ci si riduca ad una macchina?”
“Sono comunque al servizio degli Stati Uniti, ragazzo!”
“Sì, ma quelli che le stanno ordinando di far esplodere questa bomba non sono qui con noi. Non hanno sulle spalle questo peso!”
Per la foga, lo aveva preso per la gola. Anche se non aveva stretto al punto di soffocarlo, ad Eartha mancò seriamente l’aria. Ranma se ne rese conto, e lo lasciò cadere a terra, e riflettere.
Non credeva che dalla sua bocca uscissero parole simili; che fossero riuscite a far ragionare il colonnello...
La bomba segnava un minuto e sette secondi. Ralston cominciò realmente a sudare freddo.
“Va bene” il colonnello annunciò la sua intenzione a collaborare “ma se dovesse andar storto qualcosa...”
“Non andrà storto niente, colonnello.” disse il pilota imperterrito. “Disattivi la bomba.”
Dovette avere ancora qualche secondo di titubanza, perché Eartha non si alzò subito in piedi. Lo fece soltanto quando Nabiki gli porse delle piccole tenaglie da taglio, con quel cipiglio ancora furente in fondo agli occhi.
Andrew Eartha si sentì in trappola. Era la prima volta che un branco di sprovveduti ragazzini si dimostravano più maturi di lui. Afferrò lo strumento senza troppi complimenti, visibilmente scosso per quella sconfitta personale. Non ebbe un attimo di esitazione però nello smontare la parte superiore del piccolo schermo elettronico e recidere il filo blu.
Il conto alla rovescia si fermò di colpo, e repentinamente arrivò una chiamata dalla base.
“Che avete fatto?”
“Abbiamo fermato tutto!” rispose Ranma prendendo il ricevitore. “Dobbiamo ancora calare la bomba. Ora aspettate altri dieci minuti e poi ricominciate il candan!”
“Countdown, imbecille!” lo corresse Nabiki.
“Quello che è!”
“Ma...”
“Quel che è fatto è fatto!” tuonò il ragazzo con il codino. “Vi saluto!” Riagganciò senza attendere altre proteste, riafferrando il colonnello per il braccio trascinandolo verso la bomba. La presero, e la portarono sull’orlo del baratro che avevano fatto.
Legarono l’ordigno all’estremità di alcune corde, e la depositarono lentamente sul fondo. Dopodiché entrarono tutti nello shuttle Freedom.
“Houston, cominciate pure il countdown!” disse Ralston al microfono.
Dalla Terra acconsentirono, avviando quanto richiesto.
“Va bene, avete dieci minuti per lasciare l’asteroide.”
Entusiasti della riuscita, i giovani cominciarono a legarsi a vicenda ai sedili, congratulandosi. Ranma pensò alle cinghie di Akane per parlarle. “Sei stata grande, Akane. Altro che schiappetta!”
La ragazza rise, consapevole dell’appellativo scherzoso che il fidanzato le aveva riservato.
Anche se dovevano ancora accertarsi che l’asteroide si spaccasse in due come prestabilito, sentivano che niente poteva andare storto. Avevano compiuto la loro missione, e ora potevano finalmente tornare a casa.
Un segnale di allarme, però, spezzò la felicità del gruppo. Quel led rosso che emetteva un suono fastidioso che avrebbe svegliato un’intera città non poteva che indicare guai.
“Freedom, mi sentite?”
La voce di Garrad sovrastò solo per poco il frastuono dell’allarme.
“Che succede?”
“C’è stata una tempesta di meteoriti; la bomba ha il detonatore incorporato seriamente danneggiato.”
Eartha ammutolì di colpo, come se un’intera cascata gli si fosse riversata addosso.  Gli altri non furono da meno.
“Nell’imballaggio c’è un telecomando che vi permetterà di farla esplodere ugualmente, ma non funziona se non nel raggio di un chilometro.”
“Che diavolo vuol dire?” chiese un infastidito Ranma.
“Che qualcuno di noi... deve rimanere qui...?”
Il respiro di Akane sembrò fermarsi, e credette che persino il suo cuore avesse cessato di battere. Mousse guardò sconvolto la piccola Tendo. Tatewaki era completamente immobile. Ukyo non resse e cominciò a piangere silenziosamente. Il giovane Hibiki osservava incredulo Eartha ed Akane, a turno.
“Sì.” affermò il colonnello.
“Va bene, rimango io.” Ralston si fece avanti, prendendo il telecomando dall’imballo e si avviò verso l’esterno dello shuttle.
“No, si fermi!”
L’uomo si voltò, osservando con occhi bonari il ragazzo che aveva parlato, Ranma. “Non è giusto che lei deve sacrificare la sua vita per tutti.” Lo guardò con disperazione, pregando che Theobold Ralston si ricredesse e cedesse il posto a qualcun altro. Ma Ranma dubitò su quest’ultimo punto: quell’uomo era troppo buono per fare una cosa del genere.
“Allora tiriamo a sorte!” propose Eartha.
Ciascuno sentì un brivido percorrere tutta la colonna vertebrale.
“NO!” ribatté il pilota.
“Ha ragione il colonnello: è più giusto sorteggiare.” disse Nabiki.
“Sei impazzita?” s’infuriò Ryoga. “E se uscisse una donna? Sei uscissi tu?”
“Quanto sei antiquato, Ryoga...” disse lei ostentando una sufficienza fasulla. “Non fa differenza al giorno d’oggi...”
“Folza, allola vediamo chi vellà solteggiato!”
Shan Pu pronunciò quelle parole con una tale sicurezza che fece trasalire gli altri. Era evidente che non aveva paura della morte, la bella cinesina.
Ma dal suo canto, se fosse stata Akane ad essere pescata, lei avrebbe avuto campo libero con Ranma, in quanto la piccola delle Tendo era sempre stata la potenziale sposa del bel giovane.
Certo, avrebbe rischiato anche lei, ma giocarsi il tutto per tutto era sempre stata la sua prerogativa. Specialmente in quel frangente; specialmente per quel premio.
Vedendo che nessuno più si opponeva a quella drastica decisione, Eartha strappò un pezzo di corda fine che sfilacciò e dispose a guisa di ventaglio i fili davanti a tutti.  Solo uno avrebbe decretato il destino della persona che doveva restare lì e morire con l’asteroide.
“La persona che prenderà quello più corto rimarrà qui.”
Ogni movimento che riuscivano a fare era lento e meccanico; Ralston non accennava a separarsi dal piccolo telecomando.
L’ultimo a pescare fu Ranma, che prese quello più corto.
Il suo istinto gli suggerì di lasciare subito il filo, come se scottasse o fosse avvelenato. Ma non lo fece. Era ridicolo solo a pensarci.
“No, Ranma...” Il sussurro flebilissimo della sua fidanzata era terribilmente angosciato.
Shan Pu rimase paralizzata, insieme a Ukyo. Non avrebbe mai creduto che fra tutti loro, proprio Ranma doveva saltare in aria con l’asteroide.
“Devo andare. Stammi bene, Akane!”
Fece per andarsene, imperterrito e impassibile, ma Akane lo fermò abbracciandolo, con le mani strette a pugno sulla sua tuta.
“Akane, non fare così...” disse poi il ragazzo, vedendo che la giovane stava piangendo. La cinse fra le sue braccia, cercando di consolarla, provando a farle capire che era sereno, e che andava tutto bene. La ragazza però se ne accorse.
“Non cercare di dirmi che devo passaci sopra senza... senza...”
Da un pianto tenue qual era, si trasformò in incessanti singhiozzi che coinvolsero tutti i presenti. Ranma la strinse ancora più forte, facendo vagare distrattamente gli occhi davanti a sé.
Ryoga.
Sì, lui era l’unico che sarebbe stato in grado di curarla e proteggerla. In fondo, era quello che l’amico aveva sempre voluto: avere Akane solo per sé.
“Ryoga, tu sei l’unico che sia degno di lei.”
Il giovane Hibiki fu sconcertato per quella rivelazione. Aggrottò le sopracciglia. Aveva accettato il fatto che Ranma ed Akane fossero inseparabili, ed aveva cominciato ad associare i due giovani, a mischiare il suo pensiero per Akane inevitabilmente a quello per Ranma, finendo con il constatare quanto fossero completi insieme, quanto fossero uno ed uno solo insieme.
Non poteva stare con lei, sapendo che Akane avrebbe pensato sempre e solo a Ranma. Il suo percorso di rassegnazione era quasi concluso, lo sapeva.
“Non potrei, Ranma. Lei appartiene a te, e tu a lei, e...”
“Finiscila. Non sei tagliato per fare il filosofo, Ryoga.”
Gli diede una pacca amichevole sulla spalla, con la fidanzata ancora avvinghiata a lui, molto probabilmente sperando che non andasse via.
“Akane, devi lasciarmi.” Quanto gli costò scostarsi da lei. Dai suoi occhi blu uscirono alcune stille, ma si assicurò che nessuno le scrutasse.
“No!”
Ranma non resistette. L’avvolse ancora una volta, distrutto dal dolore, prima che Eartha gli ricordò che avevano poco tempo, e per poco non riceveva un destro.
Fra tutti quelli che impotenti assistevano alla scena, solo uno fece il gesto più avventato della sua vita.
“Colonnello, partite immediatamente!”
In un impeto di spropositato coraggio, Mousse afferrò il telecomando dalle mani di Ralston, correndo verso l’uscita.
“Mousse!”
Ranma urlò il suo nome con quanto fiato aveva in gola. Lasciò Akane per fermarlo, ma Mousse aveva già chiuso la capsula di sicurezza dello shuttle, dirigendosi per quanto veloce poté verso la bomba.
Momenti della sua vita gli vorticavano in testa, seguite sempre e comunque dal profilo della donna che amava, e che non avrebbe mai avuto: Shan Pu.
Aveva visto Ranma Saotome ed Akane Tendo amarsi fino alla più pura e completa disperazione, e vederli in procinto di separarsi gli aveva spezzato letteralmente il cuore: gli aveva provocato una fitta fisica, lacerante, e non ci aveva pensato un attimo a preservare la loro felicità.
La donna che avrebbe adorato per tutto l’arco della sua esistenza lo rifiutava; persino ora non aveva pronunciato il suo nome. Anzi, forse era contenta che il ragazzo che aveva sempre considerato un inetto, una pesante e fastidiosa palla al piede avesse deciso di immolarsi per il bene di tutti.
Era vicino alla sua fine ormai; non riusciva neanche più a sentire la piccola Tendo che urlava “Non farlo!” a squarciagola. Lei, che si era dimostrata essere la sua unica vera amica, meritava tutto il bene dell’universo accanto all’uomo che la corrispondeva.
Paradossalmente aveva dimenticato l’indissolubile veleno di Shan Pu, ed aveva posto al centro del suo cuore Akane e la sua amicizia.
Ne fu felice.
Premette quell’unico, solitario tasto rosso sul telecomando, mentre il fuoco dirompente della testata nucleare emetteva la sua forza distruttiva ed Eartha e Ralston partivano con il resto dell’equipaggio alla volta della Terra.
Akane pianse per tutto il periodo di ritorno, mentre Ranma e tutti gli altri ringraziarono mestamente quel buffo e malinconico ragazzo papero con gli occhiali.
 

 

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Capitolo 10
*** Chapter X ***


 
Akane era emozionata.
Al loro ritorno, seppero che suo padre e quello di Ranma avevano interrotto i preparativi della loro cerimonia di nozze a causa della notizia sconvolgente che li aveva visti protagonisti insieme ai loro amici, e loro, tornati finalmente a casa, si erano dati da fare per ripreparare tutto, rigorosamente da soli.
Ormai era risaputo che i due ragazzi erano sempre stati contrari alla forzatura di un matrimonio combinato, perciò avevano preso quella rassegnazione come un modo per riscattare il loro volere.
Avendo appurato il loro legame durante la missione, i ragazzi che in quegli anni non avevano fatto altro che impedire un minimo approccio pacifico fra loro avevano gettato l’ascia di guerra per permettere loro di sposarsi.
L’unica che sembrava davvero confusa sull’atteggiamento da assumere era Shan Pu. Forse, sarebbe stato più appropriato dire “indecisa”.
Per ben due mesi interi, la ragazza non si fece vedere.
Preoccupati per questo, Ranma e Akane una sera si presentarono nel suo locale per tirarle su il morale, per parlarle di come non riuscissero a serbarle rancore per averli ostacolati in tutti quegli anni, ma furono repentinamente congedati da Obaba, per poi venire a sapere che Shan Pu si era recata da sola in Cina qualche giorno più tardi per poter scrivere la parola fine alla sua maledizione.
Shan Pu passò un periodo di furiosa lotta interiore, nel costante dubbio che la attanagliava fin da subito dopo aver rimesso piede sulla Terra. Sentiva che la sua vita sarebbe drasticamente cambiata dal sacrificio di Mousse, ma non era in grado di definire se in meglio o in peggio.
Lassù aveva perso quel fastidioso ragazzo che giorno dopo giorno le faceva la corte ben sapendo che l’amore della bella cinesina era indirizzato solo al giovane con il codino; ma c’erano momenti che, come sprazzi di memoria perduta che ritorna, le ricordavano anche quegli istanti felici quando, ancora bambini, si rincorrevano per gioco.
Shan Pu aveva poi deciso di relegare quei ricordi nell'angolo più remoto della sua mente, nel tentativo di dimenticarli, facendo prevalere la rabbia che provava nei suoi confronti ogni volta che si frapponeva fra lei e il suo futuro marito, come ormai aveva soprannominato Ranma.
Si era liberata della sua maledizione senza recare con sé la cura anche per gli altri giovani bagnati dalle sorgenti maledette, ed era ritornata in Giappone, non senza chiedere al Consiglio delle Amazzoni un’unica, disperata possibilità di ritornare mantenendo fede alla promessa di tornare con un marito: colui che l’aveva sconfitta.
Si era informata riguardo al giorno delle nozze di Ranma ed Akane, pianificando di boicottarle.
Era rimasta sul tetto del dojo tutta la notte, attendendo con trepidazione il momento in cui avrebbe ucciso quella ragazza che le aveva fatto così tanto del male. Avrebbe dato non sapeva cosa affinché tutto fosse andato liscio come aveva prestabilito.
Ed ora era lì, il chi completamente annullato, a spiare la ragazza violenta in abito da sposa mirarsi allo specchio con espressione meravigliata e trasognata al tempo stesso, torturandosi le mani velate di guanti di seta.
A Shan Pu sembrò non reggere quell’immagine. Più osservava Akane specchiarsi arrossendo, più le sue dita artigliate sul cornicione del tetto tremavano per la collera. Sentì che sarebbe stata in grado di frantumarlo in mille pezzi. Ma non lo fece. Quel che si manifestò in segno di rabbia fu soltanto quel cipiglio duro, segnato di rosso per le lacrime, per quella insana consapevolezza che prepotente ondeggiava come una barca di ferro nel mare in tempesta della sua mente: che nessuno, neanche Ranma, l’avrebbe mai amata, cercata, e idolatrata come faceva Mousse.
Quando al di là della porta udì che la maggiore delle sorelle incitò Akane ad uscire dalla sua stanza, Shan Pu attese che la giovane sposa si voltasse e sgattaiolò dentro la stanza.
Il pensiero per il suo amico d’infanzia la fece destabilizzare per qualche momento, ma la titubanza non durò molto. Con agilità, corse silenziosamente verso Akane, con il preciso intento di bloccare l’entrata in scena della piccola Tendo. E così fece.
Non appena fu sulla soglia della sua camera, Akane percepì improvvisamente un’immensa aura dietro di lei, ma non ebbe il tempo neanche di voltarsi per vedere chi fosse che la cinesina l’aveva afferrata per le spalle per poi immobilizzarla, fermando entrambi i polsi con una mano e premendole la gola con il braccio libero.
Per la sorpresa, Kasumi squittì sonoramente, mentre Akane cominciò a divincolarsi affinché riuscisse ad allentare la presa. Cercò di sferrarle un calcio all’indietro, ma fu vano perché la reazione non fece altro che rafforzare la stretta, rischiando di soffocarla.
“Ola molilai, lagazza violenta!”
 
***
 
L’impazienza stava uccidendo Soun.
Ammetteva che la sua bambina doveva essere molto emozionata all’idea di sposarsi, ma da lì a ritardare di mezz’ora gli sembrava troppo. Senza contare che anche Ranma non vedendola avrebbe pensato la stessa cosa.
Invece di attenderla oltre all’ingresso di casa Tendo, appena ai piedi dell’ultima scalinata, salì le scale invocandola con impazienza mista a comprensione.
“Akane! Su, non essere nervosa!”
Cercava di ridacchiare, di smorzare l’ansia, soprattutto sua, che lo stava divorando già da due giorni, ma quello che si trovò davanti cancellò ogni sensazione trasudante felicità.
Akane era immobile nell’abbraccio letale di Shan Pu. Doveva appena aver perso i sensi, perché l’uomo con i baffi vide chiaramente la testa di sua figlia cadere ciondoloni.
“AKANE!”
Kasumi si voltò ad osservare il padre con le lacrime agli occhi, incapace di muoversi.
Shan Pu lasciò andare la ragazza esanime, gettandola letteralmente a terra. Soun non se lo fece ripetere due volte: accorse al corpo di Akane, esortando Kasumi a non stare ferma ed andare ad avvisare Ranma.
“Mi plesentelò io al suo posto!” disse rabbiosa. Con un balzo tagliò la strada a Kasumi mentre correva al dojo, spingendola addosso ad una parete.
Soun si precipitò anche dall’altra figlia, aiutandola ad alzarsi. Per fortuna Shan Pu le aveva procurato solo un livido. Riprendendosi quasi subito, la maggiore si preoccupò di Akane e la raggiunse, seguita a ruota dal padre, prendendola dolcemente fra le braccia.
“Akane, rispondi!”
 
***
 
“Vuoi stare calmo o no?” ripeté Nabiki l’ennesima volta.
“Fatti gli affari tuoi! Non sta a te decidere se devo rimanere calmo o no!”
Il battibecco fra lo sposo e la testimone di lei si stava perpetuando già da parecchi minuti. Ryoga si accigliò un poco, ma le continue occhiate di Ukyo gli dicevano chiaramente di non intervenire.
Già due creavano scompiglio, figurarsi tre!
Ma dovette farlo, quando in fondo al dojo comparve la bella Shan Pu. Aveva i suoi soliti abiti cinesi, e occhi che sembravano cocenti per la rabbia, reduci di una battaglia.
“Ryoga, lasciamo star...”
Ranma vide Shan Pu avanzare per il dojo addobbato con delle splendide rose rosse e bianche, e subito il suo pensiero corse ad Akane. Stava aspettando la sua fidanzata per poterla sposare, e si era ritrovato davanti Shan Pu. Dallo sguardo languido della cinesina intuì che c’era qualcosa che non andava, e l’impressione diventò certezza quando la ragazza si fermò accanto a lui, dove doveva esserci la piccola Tendo.
“Dov’è mia sorella? Tu che diavolo ci fai qui?”
La prima a riprendere il controllo di se stessa fu Nabiki, che cominciò ad aggredirla verbalmente.
“Sono qui pel sposale Lanma, mi sembla ovvio!”
“Cosa?” proruppe Ranma. “Dov’è Akane?” disse quasi urlando.
Shan Pu non volle più dare spiegazioni. Mentre Ranma si accinse ad uscire dal dojo, la ragazza lo tenne stretto a sé, ordinando al povero cerimoniere di cominciare il rito.
“Lasciami Shan Pu!”
Le dita delle mani erano così saldamente avvinghiate al suo braccio, come se fossero di metallo, che il giovane dovette strattonarlo con forza sovrumana, per poi darle uno schiaffo che echeggiò per tutto il dojo.
Nonostante la sua prerogativa di non alzare mai le mani su una donna, non si pentì di quel gesto. Non si fermò neanche ad osservare la sua reazione: corse a perdifiato fuori dalla palestra, in cerca della donna che era in procinto di sposare.
La trovò, magnifica nel suo vestito da sposa, a terra, cullata da Kasumi che piangeva senza remora alcuna.
“Akane!”
Si agitò nel vedere la ragazza in quello stato, ma subito le si avvicinò.
“Ranma...”
“Vada a prendere del pepe, signor Soun!” comandò. Controllò che respirasse ancora, ma il suo debole fiato non arrivava nemmeno a sfiorare la mano che Ranma aveva accostato apposta al suo viso per controllare che fosse viva.
Lo era, per fortuna.
“È stata Shan Pu, non è vero?!” sibilò a Kasumi, che annuì fra i singhiozzi.
L’anziano Tendo le fece inalare con delicatezza la spezia, destandola.
“Akane! Akane!” Ranma la scosse, in modo tale da farle prendere coscienza immediatamente. Non sarebbe riuscito a vederla in quelle condizioni un minuto di più.
Akane strabuzzò gli occhi, intontita, non comprendendo inizialmente per quale motivo fosse a terra, sorretta solo dalle braccia della sorella. Questi la fece alzare a sedere, chiedendole se stesse bene.
“Sei stata più di mezz’ora svenuta, lo sai?”
“Shan Pu mi ha...”
“Aggredita, lo so. Giuro, Akane,” disse Ranma prendendole la mano: quant’era fredda! “ che questa me la paga!”
La ragazza non rispose, facendosi pensierosa. Era ovvio che la cinesina era turbata dall’assenza di Mousse. Nessuno lo avrebbe mai creduto, ma il fatto che non ci fosse, ancor di più che si fosse sacrificato per il bene di tutti loro, pesava indescrivibilmente nel cuore di tutti, facendoli quasi sentire colpevoli.
E pensare che aveva cominciato ad essergli davvero amica durante la loro permanenza alla NASA e durante il viaggio nello spazio, confidandosi solo come una sorella poteva fare, esprimendo il suo nervosismo nei confronti dell’impresa e tutta l’incertezza che ne derivava.
Colta dalla nostalgia, Akane cominciò a piangere, in silenzio, mentre con forza si aggrappava a Ranma, che ricambiò l’abbraccio.
 
***
 
Quando Ranma, Akane, Kasumi e Soun tornarono al dojo, ciò che videro li paralizzò per lo sconforto.
Vi era un intenso vociare fra gli invitati, ed un trambusto ancor più forte in fondo, appena sotto l’altarino di famiglia. Ranma si fece largo fra la folla, aspettandosi di trovare Shan Pu magari bloccata da Ryoga. Ma non c’era niente di simile, anzi.
Il giovane Hibiki aveva un panno premuto sulle narici, segno che ne stava fuoriuscendo del sangue. Accanto a lui Ukyo sembrava assisterlo, insieme al dottor Tofu. Nabiki era indispettita come poche volte: il matrimonio per cui aveva speso tutti i suoi risparmi non era andato in porto. Fosse stato per lei, Shan Pu a quell’ora sarebbe stata nelle sue grinfie, a scontare la sua irriverenza a suon di ceffoni.
Ranma si guardò intorno. “Dov’è il cerimoniere?”
“È scappato.” sbuffò Nabiki. “E non ne troveremo mai un altro entro oggi.”
“E Shan Pu?”
“È scappata anche lei” disse Ryoga “abbiamo cercato di fermarla ma...”
“Già, lo vedo...” asserì Ranma. Di sicuro era stato proprio lui a provare ad arrestare la sua fuga. “Non preoccuparti, Ryoga.”
“Dovrete rimandare le nozze...” continuò Ryoga contrito.
L’aveva intuito, Akane, ma sentirlo con le proprie orecchie le fece ancora più male.
“Già...” e Ranma, a giudicare dalla cadenza di voce non era da meno.
 
***
 
Akane si tolse il velo da sposa con espressione delusa.
Ancora non riusciva a credere che Shan Pu le avesse rovinato la giornata più importante della sua vita. Era stata così distante, anche fisicamente parlando, che ormai tutti pensavano non costituisse un problema per la riuscita della cerimonia, tanto meno un pericolo per lei.
Per lei la battaglia non era ancora finita.
Si spogliò del suo abito bianco, indossando quella che doveva essere il suo “pigiama” quella notte, la prima con Ranma: una camicetta da notte bianca semitrasparente, corta appena sopra le ginocchia.
Nabiki le aveva detto che la faceva sembrare un angelo, per poi cominciare con le sue battute smaliziate, che l’hanno fatta terribilmente imbarazzare. “Ranma non ci penserà due volte a saltarti addosso” e “Chissà cosa ti sfilerà via per primo: se il reggiseno o le mutandine” sono state quelle che l’avevano fatta letteralmente rifugiare a gambe levate nella sua stanza, due settimane prima. Ricordava anche che aveva evitato Ranma per giorni, facendogli credere che non voleva più sposarlo. Quella era stata la cosa peggiore.
Akane rise un po’, sospirando poi per la mancata riuscita del matrimonio.
Sarebbe stato per un’altra volta, sicuramente. Ranma stesso ne era rammaricato.
 Un ticchettio la fece trasalire. Ranma era alla finestra, picchiettando con le nocche per poter entrare. Dalle sue guance infiammate, doveva già star lì ad osservarla da molto.
Con evidente pudore, la ragazza si avvicinò alla finestra, ma soltanto per tirare le tende gialle.
Ma non servì praticamente a niente. Il giovane Saotome bussò ancora più forte sui vetri tanto da farli seriamente tremare. “Aprimi!” disse con voce ovattata.
Akane affacciò la testa in mezzo alle tende, restia a farsi vedere con solo quello indosso. Se Ranma l’avesse ancora presa in giro per il suo essere poco sexy non sapeva che fine avrebbe fatto.
“È tardi, Ranma! Non dovresti essere qui! Vattene a dormire!”
Allora Ranma addolcì i lineamenti, certo che con quell’espressione da cagnolino ferito avrebbe fatto breccia nelle ferree imposizioni della fidanzata.
Già, ancora fidanzata. Questo pensiero contribuì a rendere i suoi occhi ancora più tristi.
Con felice rassegnazione, la giovane aprì la finestra mentre cercava qualcosa di meno sconcio da mettersi.
Ma un bacio caldo e sensuale da parte di Ranma la dissuase dal coprirsi, preferendo lasciarsi abbracciare. Avvolta dalle braccia del suo fidanzato, sentendosi letteralmente al settimo cielo, che senso avrebbe avuto coprirsi ulteriormente?
“Sei bellissima...”
Prese a baciarle il collo, ansimando, e quella già poca resistenza della ragazza s’infranse. Akane armeggiò con gli alamari della camicia del ragazzo, gettandola per terra.
Anche se la celebrazione non era andata in porto, avrebbero comunque avuto la loro prima notte.
Ranma la sollevò, sentendo il suo corpo premere delicatamente contro il suo, e una volta a letto cominciò a sfilarle la sottilissima camicetta.
Akane ebbe uno spasmo di dolce impazienza, e si slacciò il reggiseno coprendosi con le braccia. Si vergognava di farsi vedere nuda davanti a lui, ma allo stesso tempo una travolgente voglia di lui mista a una cocente paura si impossessò di lei: vinse la prima; e il calore del suo basso ventre crebbe sempre di più quando vide Ranma che, completamente nudo, le calava le mutandine.
Sentire il suo tocco sulla pelle, poi, le aveva regalato mugugni di piacere. Freddo e caldo si mescolarono in una miscela impossibile da gestire; solo perfetta da assecondare. Akane non sembrò resistere, tanto che divaricò le gambe, accogliendo l’addome di Ranma nel mezzo.
Il fiato divenne sempre più corto, sempre più languido, e mentre Ranma la penetrò, il dolore sempre più acuto.
Il ragazzo aspettò che la ferita che il viso di Akane evocava scemasse, accarezzandola e baciandole la bocca, la fronte, gli occhi, le guance, per poi ridiscendere lascivamente sulle sue dolci labbra.
Nel momento in cui Akane lo strinse maggiormente a sé rispondendo ai suoi baci con più irruenza, Ranma cominciò a muoversi lentamente, guardando la sua fidanzata lasciarsi andare a piacevoli ansimi e lussuriosi gemiti che coinvolsero lui stesso.
Sentì d’improvviso che stesse per scoppiare, finché il cielo nei suoi occhi si aprì, in sincrono con l’urlo istintivo dell’orgasmo di Akane. Il piacere intenso durò alcuni secondi: la piccola Tendo abbassò la schiena fino a quell’istante inarcata,
Esausto, Ranma si abbandonò fra le braccia di Akane. La ragazza cercò di regolarizzare il respiro ed il tremore. Poi rise. Quell’improvvisa ilarità spinse Ranma a riprendere a baciarla e ad amarla.
E continuarono a farlo. Fino all’alba.
 
 


 
NDA
 
Ed eccoci alla fine di quest'avventura! E' stato strabiliante poter far rivivere le scene del film “necessariamente” convertite in Ranma-style! xD
Guardando il film mi rendevo sempre più conto che in qualche modo i nostri giovinciuelli di Nerima fossero adatti ad andare nello spazio a spaccare in due un enorme asteroide, con tanto di scene comiche alternate a quelle più drammatiche.  Molti di voi hanno davvero preso male la morte di Mousse, ma era necessario che qualcuno lo facesse, no?
Shan Pu a quanto pare ha proprio perso la testa. Ora però è scappata chissà dove (forse alle Maldive, alla faccia nostra!) e siamo tutti contenti. xD
Anyway, è stata davvero dura, specialmente per le prime parti. Ci sono stati passaggi in cui ho avuto serie difficoltà, scene ed eventi che ho “tolto” direttamente, ma il supporto che mi avete dato è impagabile! *^*
Ringrazio tutti coloro che mi hanno sostenuta in questa impresa:
chi mi ha recensito: Gretel85, InuAra, RyogaHibiki, Pchan05, VioletLumos, faith84, Lallywhite, rachel868, Spirit99, wifeofslanderman e maymell! Grazie!!
Chi ha messo la storia fra le preferite: Cerbyatta Cullen e Palmetta, oltre le già citate Gretel85, Lallywhite, Pchan05 e wifeofslanderman; chi fra le seguite: Ialex, maymell, ran_ko, Sayanprincess2013, SweetCherry, oltre le altre di sopra.
Grazie, grazie grazie! :*
E scusate gli errori!

 

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