Summertime

di Polyjuice Potion
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** | ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***
Capitolo 9: *** IX ***
Capitolo 10: *** X ***
Capitolo 11: *** XI ***
Capitolo 12: *** XII prima parte ***
Capitolo 13: *** XII seconda parte ***
Capitolo 14: *** XIII ***
Capitolo 15: *** XIV ***
Capitolo 16: *** XV ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** | ***


Era una mattina tranquilla, avevo appena finito un paio di scatti con mio fratello (pose stupide, a parer mio. Ti fanno indossare una semplice maglietta strappata e dei jeans, e tu devi posare con una rosa tra i denti o baciare qualche ragazza. Ecco, il genere di foto che fanno sbavare le ragazzine), e mi stavo mangiando un panino con insalata e formaggio da solo, su un divanetto davanti alla sala d’aspetto del capo, quando entrò. Se ne stava fermo immobile guardandosi intorno, scrutando la sala con gli occhioni verdi. Era basso, davvero basso, e mi sembrava incredibile che avessero preso un tale così basso (quante volte ho usato la parola basso?). Ma dovetti ammettere che era davvero bello: viso curato, braccio tatuato, belle labbra. Probabilmente pensava che qualcuno lo andasse ad aiutare, ma non era così, non all'agenzia. Te la dovevi cavare da solo. Sembrava che non mi avesse notato, perciò tornai sul mio panino. Sapete, non sono il tipo di persona che si mette a fare il samaritano o chissà quali altre sciocchezze. Quando arrivai, nessuno mi aiutò: passai dei mesi orribili in completa solitudine, lavorando come un matto e leggendo, leggendo un sacco. Amo leggere. Mi avevano preso perché “davo questo look un po’ punk”, con i capelli rossi (tinti, ahimè), ero alto e slanciato, non troppo magro. Purtroppo, dopo poco, cominciai a non dormire più. Ero emaciato, dimagrito, probabilmente sulla soglia dell’anoressia. Perdevo i capelli, avevo spesso le vertigini, mi sentivo sempre stanco e rischiavo di essere licenziato. Ed ero solo. Poco tempo dopo, fortunatamente, arrivò mio fratello. Mi aiutò un sacco, mi ripresi e ripartii; da lì è il mio migliore amico. Tutte gli amici e i parenti sostengono che siamo il miracolo della nostra famiglia. E’ già abbastanza impossibile che un ragazzo entri a far parte del mondo della moda, figuriamoci due fratelli. I nostri genitori, ai tempi, erano in crisi. Io partivo per un posto e per l’altro a fare stage, e mia madre piangeva perché non avevamo soldi, e mio padre si lamentava con lei perché non faceva abbastanza. Poi mi presero in questa agenzia e fu la nostra fortuna. Piano piano cominciai a fare soldi e a vent’anni riuscivo quasi a mantenere la mia famiglia. E Mikey, oh quello fu davvero un miracolo. Era praticamente stregato dal mio lavoro e decise di provare. Beh, pochi anni dopo era lì, in fianco a me, sulla mia stessa passerella. E wow, pensai che lassù qualcuno doveva davvero volerci bene.
 
 
Mi ero presentato con un quarto d’ora d’anticipo, ma non avrei mai pensato di ricevere quella non-accoglienza. Voglio dire, possibile che nessuno si fosse accorto di me? Eppure, il rosso sul divano mi aveva guardato. Non sapevo dove andare, così mi sedetti su una poltroncina blu carta da zucchero di fronte al ragazzo e mi guardai intorno: lui era lì, una presenza quasi incorporea, mangiava senza alzare gli occhi dai piedi scalzi (evidentemente qui la gente girava a piedi nudi), non emetteva alcun suono neanche mentre masticava. Non mi guardò nemmeno una volta e ci rimasi un po’ male. I capelli rosso fuoco sembravano dire “ehi, io ci sono, e sto per esplodere.” Il locale era carino. Piuttosto spoglio, ma carino. Non passava mai nessuno e mi preoccupai: e se fossi stato nel posto sbagliato? Mi dicevano che molti modelli lavorano qui, ma per i corridoi non c’era l’ombra di alcun ragazzo. Cercai di rilassarmi: era un mio difetto farmi prendere dall’ansia troppo spesso e per le cose più stupide, ma quella volta c’era qualcosa che mi fermava. Per qualche motivo, non volevo iniziare a tremare e a fare le respirazioni davanti a lui. Il ragazzo dai capelli esplosivi, intendo. C’era qualcosa in lui che mi tranquillizzava ma allo stesso tempo mi incuteva timore. Ritornai a fissarlo spostando lo sguardo dagli zigomi abbastanza pronunciati, agli occhi bassi, al petto. Indossava una maglietta bianca strappata. Poi mi diressi verso il basso, i pantaloni erano jeans neri e aderenti, che risaltavano i muscoli delle cosce. Era bello, mi dissi, ma non il mio tipo. Mi soffermai sui piedi nudi e sobbalzai quando disse: -E’ per comodità.-    
Lo guardai sbalordito. –Che… Che cosa?-                                                                        
-I piedi scalzi.- rispose, e per un breve momento mi sembrò che avesse sorriso, così ricambiai. Mi aspettavo una conversazione o almeno un saluto, ma lui raccolse le sue cose, si alzò e prese l’ascensore.
 

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Capitolo 2
*** II ***


Rimasi seduto sulla poltrona, nella luce biancastra del grande locale, aspettando che qualcuno venisse in mio soccorso. Pensai a tutte le possibilità possibili: potevo bussare, ma avrei disturbato? Magari sarei potuto uscire e cercare qualcuno, ma avevo paura che in quel frangente di tempo il capo uscisse dalla porta. Così, optai per la prima. Mi alzai piano, cercando di non fare rumore, e feci qualche passo verso la porta. Stavo per bussare, quando dall’uscio sbucò colui che doveva essere Alex, il mio capo. Era alto e magro, giovane, portava lo smalto nero e la matita agli occhi, il ciuffo biondo che sbucava da un cappellino da football. Non sembrava né troppo simpatico né troppo antipatico. Era lì, e si faceva notare.                                                                                                                                          
–Tu devi essere Frank! Ti stavamo aspettando!- urlò, così forte che temetti che la porta si staccasse dai cardini.                                                                                                                  
–Sì, sono io.- abbozzai un sorriso gli tesi che la mano, che lui prese vigorosamente trascinandomi nel suo ufficio. Ad aspettarmi c’era una ragazza mora, capelli mossi, ciglia lunghe, carnagione piuttosto scura. Sembrava italiana. Alex si accorse che la stavo fissando e accorse per presentarmela.                                                                                                                        
–Lei è Roberta- disse, confermando la mia ipotesi –è l’assistente di tutti i modelli e le modelle, perciò ascolta sempre lei, intesi?- rise e le schioccò un bacio sulla guancia. –Ah, inoltre, è mia moglie.-                                               
Sembrava molto fiero di lei e del fatto che fossero sposati. D’altronde, era una ragazza a dir poco perfetta. La salutai con un movimento del capo e un sorriso (sono un tipo che sorride spesso, se non l’avete notato).                                    Roberta si avvicinò squadrandomi. Furono dei secondi interminabili, il sangue mi fluì in viso e diventai paonazzo: e se non le fossi piaciuto? Sarebbe stato tutto molto più difficile.                                                                              
–Quanti anni hai, Frank?- mi chiese dolcemente.                                                             
–Ventitré- risposi. Sperai di non aver sussurrato.                                                           
Mi posò una mano sulla testa scompigliandomi i capelli corvini che mi arrivavano al mento.                                                                                                                                               
–Questi vanno tagliati. Poi vediamo… Tesoro, sai con chi starebbe bene?- si rivolse al marito.                                                                                                       
–Con chi?-                                                                                                                                  
-Con Gerard, ovviamente.- rispose. La faceva sembrare la cosa più semplice del mondo.                                                                                                                     
–Ne sei sicura? Io non…-                                                                                                               
-Scusate, ehm… Chi è Gerard?- interruppi, pentendomene subito.                         
–Capelli rossi, occhi penetranti, sguardo triste… Non l’hai visto prima?-                   
-Io… io penso di sì.- deglutii. Allora era così che si chiamava, Gerard.                                                                   
–E in che senso “starei bene con lui?”- chiesi.                                                                      
–Vedi Frank, qui funziona così: puoi sfilare o posare con chiunque, ma ci deve sempre essere un modello o una modella che ti fa da spalla. Ad esempio, ci chiedono degli scatti importanti? Noi presentiamo tu e Gerard, che siete il nostro cavallo di battaglia, insieme. Insomma, due modelli o modelle che, in coppia, starebbero bene anche vestiti da barboni.- stavolta rispose Alex.                                                                                    
Wow. Mi sembrava una cosa senza senso, ma decisi che era un modo per conoscere meglio Gerard. Mi immaginai insieme a lui, tra le pagine di un magazine rinomato, oppure su una passerella, o addirittura in un camera d’hotel, dopo una sfilata. Mi vennero i brividi.                                                                 
–Frank, sei ufficialmente con Gerard. In pratica, segui lui per i primi giorni e poi vedrai che ti viene naturale e capisci il meccanismo. Vieni, ora ti porto da lui.- propose Roberta.                                                                                        
La seguii fuori dalla porta come un cane segue il suo padrone, superammo l’ascensore e salimmo le scale. Mi chiesi il perché. Comunque, arrivammo al primo piano ed entrammo in una stanza con le pareti di vetro. Gerard stavo posando davanti a un fotografo che gli continuava a dare ordini: guarda a destra, nono un po’ un più a sinistra, ecco, bravo Gee, clic, adesso qui nell’obbiettivo, clic... Si era cambiato i vestiti, ora aveva un paio di bermuda, una camicia, dei mocassini marroni e a me piaceva di più prima. Sullo sfondo, la città. Si accorse di noi e finì gli ultimi scatti guardandomi. Poi venne nella nostra direzione, si tolse le scarpe e la camicia, prendendo un bicchiere d’acqua dal bottiglione che la distribuiva gratis nell’angolo.                                                                                                            
–Gerard, lui è Frank- il rosso fece un sorrisetto che ai miei occhi sembrò piuttosto sadico -E’ nuovo, ha bisogno di un giro per l’agenzia e di un amico.- detto questo, Roberta girò i tacchi ed uscì dalla stanza lasciandoci soli. Poi all’improvviso si girò di scatto e urlò: -E da ora siete una coppia!-          Gerard mi guardò furente come se fosse stata colpa mia, e io dovetti alzare le spalle: nemmeno io morivo dalla voglia di stare con quella bomba umana. Perché davvero, sembrava sul punto di esplodere.                      
–Roba da non credere,- si sedette per terra e bevve un sorso –sono qui da cinque anni e non mi hanno mai messo con nessuno perché “ero troppo unico e particolare” e ora mi accalappiano il primo che passa.- gettò il bicchierino di plastica nel cestino e sembrò solo in quel momento che si accorse che lo stavo fissando.                                                                                                                   
–Non dirmi che non hai mai visto un ragazzo a petto nudo!- strillò. Sembrava una ragazzina.                                                                                                   
–Ne ho visti parecchi, in realtà.- dissi, cercando di sembrare il più serio possibile.                                                                                                                     
–Ecco, bene.-                                                                                                                         
-Beh, se ci ha messo insieme ci sarà un motivo. E poi ha sentito che ha detto? Ho bisogno di un giro turistico, quindi, dai.- gli tesi la mano sorridendo, lui la prese e lo tirai in piedi.                                                                 
–Okay, ma le farò cambiare idea. Non è buona cosa essere mio amico, fidati.-  
 
Angolo dell’autrice                                                                                                                        
Ehi<3 intanto volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto il primo capitolo e katietta19 per averlo recensito. Grazie mille, davvero, ci tengo tantissimo a questa storia. E’ la prima che pubblico, perciò siate clementi, non so come togliere quegli spazi! :’) Vi abbraccio tutti <3                                                             

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Capitolo 3
*** III ***


Lo portai a vedere tutte le varie camere dell’agenzia, compresa la mensa, dove praticamente nessuno andava più. E lui si emozionava per ognuna, come un bambino che vedeva le caramelle. E non so perché, ma dannazione, mi dava un senso di pace vederlo felice, vederlo sorridere, che avrei voluto ci fossero più stanze da mostrargli.
-Come fa a non venirci nessuno? E’ così grande e bella, ci passerei le giornate. Non per mangiare, solo per leggere. Vedi là?- indicò un angolo dell’enorme sala. –Io mi siederei lì, vicino alla finestra, e leggerei.-
In fondo, non aveva tutti i torti. La mensa era molto luminosa e dalla vetrata che aveva indicato Frank si vedevano solo alberi. Ma a dire la verità, non avevo mai pensato di venire qui a leggere.
-Guarda,- si avvicinò – qui ricavi una specie di nicchia, tra la finestra e il tavolo. E’ una cosa fantastica, non pensi?-
La finestra aveva questa specie di davanzale, all’interno, come un oblò. Era un bel posto dove rifugiarsi. Ma perché lì, quando aveva tutta la sala a disposizione?
-Vedi, Frank, la gente non viene qui perché non mangia quasi più.- dissi, cercando di smorzargli l’entusiasmo.
-Ho sempre odiato questa cosa. Voglio dire, io mangio. Certo, non barattoli di gelato, ma mangio… Oh, guarda Gerard, c’è un uccellino!-
Lo sollevai di peso per il cappuccio della felpa e lo trascinai via.
 
Arrivammo poi all’ultima tappa del giro turistico, come lo chiamava Frank, cioè l’ufficio di Roberta.
-Ma davvero vi lascia entrare così? Cioè, non è privato?-
-No, quando non vuole che entriamo si chiude dentro a chiave.-
Il suo ufficio si trovava proprio di fronte a quello di Alex, era tutto sull’azzurro e c’erano delle foto di alcuni modelli e modelle sulle pareti.
-Gira voce che proprio qui,- sbattei una mano sul tavolo –si sia fatta tutti i modelli migliori.-
-E tu ci credi?- mi chiese lui, ridendo.
-Io non ci credo, io ci giurerei. E’ una tale sgualdrina…- aprii un cassetto e ci sputai dentro.
-Ehi, ma che fai? Sei impazzito?- rise ancora, e mi fece venire voglia di rifarlo. –Poi, come fai ad esserne così sicuro? Sei uno di quei modelli?-
Lo guardai negli per qualche secondo e poi sbottai con un: -Assolutamente no.- Avevo avuto una sola ragazza in tutta la mia vita, e non mi piaceva neanche tanto.
-Capisco. Beh, che dire, Mikey sembra molto simpatico.- constatò.
-Lo è. E’ l’unico amico che ho.- dissi piano.
-Non credere che io mene vada così in fretta. Mi dovrai sopportare per un bel pezzo, perciò considerami pure come un tuo…-
-Ho intenzione di dire a Roberta di dividerci.- lo dissi, e sembrò deluso. Mi prese una fitta allo stomaco fortissima.
-Dai, scherzavo.- sorrisi, anche se avevo appena abbandonato l’idea che avevo in mente dall’inizio di quell’incubo chiamato “Frank Iero”. Non voglio renderti triste Frank, voglio solo vedere quel sorriso che mi fa sentire in pace con me stesso sulle tue labbra, ti prego, sorridi, pensai. E così lo fece, sorrise, grazie al cielo, salvandomi dai sensi di colpa.
Lo avevo scarrozzato in giro per l’agenzia, gli avevo fatto conoscere metà dei modelli e delle modelle, raccontato leggende e verità sul personale… e mi stava simpatico. Dopotutto, potevo sopportarlo, non era così drammatica la faccenda. E poi c’era quel dannato sorriso, dio, ce l’avevo stampato in testa come una fotografia. Avevo bisogno di quel sorriso nella mia vita, e fu per questo che decisi di non fare parola a Roberta su quanto volessi tornare solo ed accettare di lavorare con lui.
-Che dici, Frankie, andiamo a tagliarci quei capelli o no?- non sapevo da dove mi era saltato fuori quel nomignolo, ma gli stava fottutamente bene. Era così piccolino e carino che “Frank” sembrava troppo serio per un tipetto come lui.
Così, uscimmo dall’agenzia e ci dirigemmo verso la mia auto.
-Vuoi… vuoi che salga sulla tua macchina?-
-E perché no? Non ti mangio mica.- anche se prima l’idea mi aveva sfiorato, mentre sorrideva e gli spuntavano quelle guanciotte bellissime. Oddio, sono veramente ossessionato. Salimmo in macchina. Durante il viaggio rimase muto, non toccò nulla, e la cosa mi spaventò un pochino. Fortunatamente arrivammo presto, e passammo i minuti ad aspettare il barbiere a decidere il taglio. Frank optò per un ciuffo che gli faceva andare i capelli da tutte le parti, ma a me piaceva. Sembrava ancora più piccolo. Poi lo portai in stazione, dove sarebbe dovuto tornare a casa. Abitava a parecchi chilometri dall’agenzia, e non poteva spendere troppo in benzina.
-Ci vediamo domani, allora. Mi raccomando, puntuale.-
-Sì, certo,- rise –a domani.-
E io rimasi lì a fissare la sua bocca tirata in un sorriso così luminoso per parecchio tempo, anche mentre salì sul treno a si mise a parlare al telefono, portandosi le mani davanti alla bocca, ridendo di gusto.
Me ne andai a passo svelto, portandomi le mani nei capelli e urlando, urlandomi dentro quanto fossi idiota.
 
 
Angolo dell’autrice
Ecco qui il terzo capitolo, finalmente Gee e Frank prendono confidenza. Spero che vi sia piaciuto. Ringrazio tantissimo tutte le persone che hanno recensito, messo tra i preferito, o anche solo letto i primi due capitoli. Un bacio. <3

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Capitolo 4
*** IV ***


Quando tornai in agenzia la mattina dopo, per cominciare a lavorare davvero, Gerard era seduto sulla poltroncina blu che avevo usato io il giorno prima. Si alzò e con un gesto molto teatrale aprì le braccia.
-Eccoti!- esclamò serio. Non so perché, ma lui non sorrideva spesso, anzi, mai.
Mi avvicinai quasi impaurito.
-Che devo fare?- chiesi.
-Intanto seguimi.- e così salimmo le scale (ascensore, quello sconosciuto), svoltammo a destra ed entrammo in una camera dove era stato posizionato un telo completamente bianco.
-Lì ci sono i vestiti, spogliati e mettiteli, poi aspettiamo il fotografo.- mi ordinò. Tutta la “dolcezza” della giornata precedente sembrava sparita. Prima che potessi ribattere qualcosa, Gerard cominciò a sbottonarsi i jeans sgualciti e a cavarseli. Mi girai immediatamente, imbarazzato, e mi avviai verso la sedia dove c’erano i miei. Li osservai: una camicia, un pullover e dei pantaloni neri attillatissimi, usati sicuramente per mettere il mostra le gambe decisamente femminili di Gerard.
-Ah, Frank, domani dovremmo…- mi girai di scatto verso la sua voce.
-Gerard!- strillai. Merda, era completamente nudo!
-Che cavolo c’è?- chiese urlando –Credevo che avessi lavorato in altre agenzie! Non vi spogliavate davanti agli altri?-
In quel preciso istante entrò il fotografo, che lo salutò con un cenno del capo. Ma erano tutti pazzi? Gerard era nudo, e non faceva una piega? Finalmente il rosso si mise degli slip, penso sostituendoli ai boxer, e mi si avvicinò. Credetti di scoppiare dall’imbarazzo.
-Siamo abituati a spogliarci davanti a tutti, anche alle ragazze. Non c’è tempo per andare negli spogliatoi come al liceo qui, Frankie.- sussurrò vicino al mio orecchio, piano –E scommetto che tu non hai problemi a farlo davanti a me, giusto?- disse ancora più flebilmente, staccandosi. Stava biascicando. Smisi di guardarlo negli occhi. Ridacchiò.
-Comincio ad odiarti, Gerard.-
-Taci e spogliati.- mi sentivo i suoi occhi addosso.
Lo presi come un ordine e mi tolsi la maglietta.
-Bravo Frankie.- si allontanò da me e tornò al suo posto, grazie al cielo.
Finimmo di cambiarci tranquillamente e ci posizionammo davanti al telo bianco, i piedi nudi.
-Perché non abbiamo le scarpe?- chiesi.
-Non so, non erano lì…-
-Gee e ehm…- ci chiamò il fotografo.
-Frank, sono Frank.- dissi piano. Cominciava a salire l’ansia.
-Okay, allora, tu vieni avanti Frank, e Gerard sta un po’ più indietro, sulla sinistra.-
Oh-oh. Non ero lì per soffiare il lavoro a Gerard, vero? Cercai di non pensarci e feci ciò che disse il fotografo, più tardi mi dissero che si chiamava Matty, senza fiatare. Un po’ di scatti così e poi invertimmo le posizioni, solo che ero troppo basso per stare dietro. Cercavamo di capire cosa potessimo fare e che posizione trovare, quando Gee disse:
-Nell’armadio ci dovrebbero essere delle scarpe da donna. Prova a dare un’occhiata, Frankie.-
-Gerard, tu sei un genio!- esclamò Matty.
-State scherzando.-
-Tanto i piedi non entrano nelle foto, dai.-
Mi avviai verso l’armadio e presi le scarpe. Avevano un tacco altissimo.
-Avanti Frankie, lo so che sei capace di portarle.-
Mi salì un groppo in gola. Aveva scoperto che sono gay? Impossibile. Cercai di tranquillizzarmi e ci misi i piedi. In effetti, riuscivo a camminarci. Gerard non aveva tutti i torti.
-Ecco, ora ti odio sul serio.-
-Non fare il cattivo.-
Detto questo, finimmo quei maledetti scatti e tornammo giù per pranzare.
-Che mi stavi dicendo prima?- chiesi.
-Quando?-
-Quando mi sei apparso davanti nudo.- risposi secco.
-Ah, già. Allora, domani avrei un servizio fotografico per una marca molto importante giù al mare.-
-Sul serio?- ero sbalordito.
-Sì. Perciò non ci sarò. Non so cosa farai tu qui, dopo chiediamo a Roberta.-
Annuii. Non volevo rimanere solo già il secondo giorno di lavoro. Forse Gerard era davvero troppo bravo e troppo bello per fare coppia con me.
-Mangiamo?- domandai, per cambiare discorso. Avevo molto caldo. Era fine giugno, e mi sembrava di morire, nonostante fossi al chiuso.
-Stai bene, Frankie?-
-Sì, tranquillo. Ho… ho solo un po’ caldo.-
Scartai il mio panino con pomodori, formaggio e tonno. Io mangio, non voglio diventare anoressico.
-Allora, che mi dici? Com’è andato il tuo primo giorno di lavoro?-
-Oh, smettila, sembri mia madre!- risi, e gli occhi di Gerard si illuminarono. –E abbiamo ancora il pomeriggio.- sussurrai.
-Non mi sembra. Tu, almeno, non dovresti avere nulla da fare. Io ho un lavoro con Mikey.-
-Okay, perfetto.-
Finimmo di mangiare in silenzio e alla fine dissi:
-Allora io vado a fare un giro qui, se non mi trovi sono già andato alla stazione.-
-D’accordo Frankie, a dopo.-
Mi alzai e gettai la carta nel bidone dell’immondizia di fianco all’ufficio di Roberta. Poi, finalmente, presi l’ascensore e salii.
 
 
Gli scatti con Mikey durarono poco più di un’ora, che per me durò un’infinità. Volevo vedere Frank, accompagnarlo alla stazione, salutarlo. Il giorno dopo non ci saremmo visti. Una volta finito, sistemai le cose e andai a cercarlo. Sapevo dove trovarlo e ci andai subito: in mensa. Mi appoggiai allo stipite della porta e detti un’occhiata in giro: e infatti era là, nella sua nicchia. Guardai il suo profilo da lontano: i capelli tutti arruffati, le lunghe ciglia che coprivano gli occhi intenti a leggere, il naso, le labbra. Era bellissimo. Non volevo disturbarlo: rimasi una manciata di minuti ad osservarlo. Poi mi avvicinai piano, fino quando non fui a mezzo metro di distanza.
-Frankie…- sussurrai.
-Gee! Cazzo, mi hai…-
-Vieni, ti porto alla stazione.- dissi, con la voce più dolce che riuscissi a tirar fuori. Volevo che si fidasse di me. Gli tesi la mano, lui la prese e lo tirai su, come aveva fatto lui con me.
 
 
Angolo dell’autrice
Eccomi con il quarto capitolo, forse un po’ più lungo degli altri. Ringrazio tutti coloro che hanno letto gli altri chapters, ve se ama<3 Siete liberi di lasciarmi una piccola recensione dicendomi cosa ne pensate di questa storia e se vale la pena continuarla, accetto anche critiche ovviamente. Detto questo, non so se riuscirò a postare il quinto chap domani, perdonatemi. Un abbraccio <3

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Capitolo 5
*** V ***


Il sole batteva forte sulla mia pelle e non volevo che si abbronzasse. Faceva molto caldo, stavo sudando e la voglia di lavorare era pari a zero. L’unica cosa bella era il rumore delle onde, così lento e rilassante E l’odore della salsedine, anche, che cercai di inspirare a pieni polmoni. Non potevo fare a meno di pensare a Frank: chissà cosa avrebbe fatto, con chi avrebbe lavorato, se avrebbe sentito la mia mancanza… E poi, aveva un profumo mille volte meglio di quello marino. Roberta non c’era, grazie al cielo. Cominciammo a lavorare registrando qualche breve video: camminavo piano lungo la riva, mi accendevo una sigaretta, mi mordicchiavo il labbro inferiore. Il genere di cose che odiavo. Non era passata neanche un’ora quando vidi sbucare da una duna di sabbia la nostra segretaria e, dietro, ben nascosto, riconobbi il volto dispiaciuto di Frankie. Ditemi che non è vero, pensai. Abbandonai la posa che avevo assunto e cercai di mantenermi calmo.
-Non te l’avevo detto ieri, ma Frank lavora con te anche oggi. Ci sembra abbastanza in gamba. Forza.- spiegò Roberta.
Non sapevo se sentirmi confuso, arrabbiato o sorpreso. Era la mia unica e sola occasione per dimostrare chi ero a tutto il mondo, e ora mi toccava dividere il successo con Frank. Può sembrare da egoisti, ma quando aspetti per cinque anni un lavoro simile… beh, ci tieni almeno un po’. Sbuffai forte, cercando di mantenere la calma. Il piccolo mi si avvicinò con aria disperata.
-Gee, scusami, so quanto ci tieni a questo progetto e io non sono nessuno per rubarti il lavoro… mi dispiace tanto, davvero, ma non posso farci niente, io…-
Lo zittii piano. –Non fa niente, Frankie. Un po’ mi mancavi.- dissi, anche se una parte di me stava urlando: “Sì, Frank, non sei nessuno per soffiarmi il posto, traditore!” Ma l’unica cosa che volevo in quel momento era vederlo sorridere.
-Frank, tesoro, cavati quello che hai addosso.- squittì Roberta.
Ecco, ci mancava solo quella. Speravo che non diventasse il suo preferito. Ciò comportava anche il fatto di portarselo a letto (o meglio, sulla scrivania), e io non volevo. Ero geloso. Geloso del mio successo, geloso del mio lavoro, geloso della simpatia delle mia segretaria (che odiavo), geloso di Frank. Mi feci schifo.
Frank si spogliò, rigorosamente girato di schiena, e si infilò i boxer. I suoi erano sul grigio. I miei occhi non poterono fare a meno di posarsi su “quel” punto. Frankie aveva davvero un bel sedere. Si girò verso di me e vidi i suoi occhi fissi sul mio petto. Si scansò un po’ e il fotografo con l’accento francese lo fece mettere in varie pose, facendomi uscire dall’obbiettivo. La mia giornata di lavoro era terminata. Grazie, Frankie. Ero davvero furente, non potevano sostituirmi con un novellino qualunque. “No, non è “qualunque”, è Frank.” mi corressi. Pensai che il moro si fosse accorto della mia incazzatura, perché non fece altro che guardare altrove durante tutto il servizio fotografico. Mai un contatto visivo con il sottoscritto. Così, ne approfittai per osservarlo. Non era muscoloso, era magro. E bello. Aveva più o meno una cinquantina di tatuaggi, sia sul petto, sia sulla braccia. Le gambe esili si muovevano con indecisione, leggermente tremanti.
-Frank, sei bravissimo. Spostiamoci in acqua adesso.- disse l’altra fotografa, con l’accento inglese.
Quello fu davvero troppo. Mi aveva rubato lavoro, soldi, successo. E se fosse stato tutto un gioco? Frank fingeva di essere ingenuo e timido, ma poi mi pugnalava alle spalle. Mi sembrava assurdo, ma plausibile. Me ne andai vicino agli scogli e ci salii sopra, fino al punto più alto. Passò mezz’ora. Mi coricai piano per non farmi male e chiusi gli occhi. Non pensavo a niente. Mi immaginavo la mia vita distrutta: avrei deluso i miei genitori, Mikey, niente più soldi, successo. Avrei ripreso a bere e a farmi e a non mangiare più, e allora mio fratello non ci sarebbe stato. Piansi. Non so per quanto, cinque minuti o forse un’altra mezz’ora. Singhiozzavo piano, per non farmi sentire. E poi arrivò. Si sedette in fianco a me e mi tirai su. Aveva i capelli neri tutti bagnati e alcune gocce gli cadevano sul mento e poi giù lungo il collo, percorrevano il petto per poi fermarsi all’ombelico. Posò una mano leggera sul mio viso bagnato e con un movimento molto delicato del pollice mi asciugò una lacrima. Poi la portò dietro il collo e l’appoggiò sulla spalla. E allora io mi appoggiai nel sua incavo tra collo e clavicola. Lui non disse niente, non si ritrasse. E allora capii.
Eravamo un triste quadro perfetto, una pennellata di tristezza, una di malinconia. Ma non importava, perché Frank stava provando a salvarmi, Frank aveva capito, in così poco tempo, chi ero. Frank era riuscito a raschiare la mia corazza e a vedere il mio vero carattere, le mie debolezze. E seppi che non voleva soffiarmi il lavoro, seppi che non era un traditore, seppi che gliene importava di me. Mi abbandonai ancora di più sulla sua spalla umida di lacrime e i singhiozzi cessarono.
 
 
Angolo dell’autrice
Ce l’ho fatta! Sono riuscita a pubblicare il quinto capitolo e che dire, mi ha spezzato il cuore ç_ç un po’ più corto del solito, ma molto intenso. Spero che vi sia piaciuto! Al prossimo capitolo <3
Se recensite, in regalo per un voi un mini Frank da coccolare. Baci <3

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Capitolo 6
*** VI ***


Non parlammo mai di quell’episodio, almeno per qualche mese. Sì, Gerard mi piaceva e anche tanto. La tentazione di baciarlo era tanta, lassù sulla scogliera, ma a) non sapevo se fosse gay, b) ci conoscevamo appena. Comunque, si poteva benissimo dire che ci eravamo avvicinati tanto. Io avevo fatto un sacco di carriera, in agenzia mi conoscevano tutti, e Gerard non sembrava più geloso, anzi, era felice per me. Ce ne stavamo sempre insieme, mi accompagnava tutti i giorni in stazione e ogni tanto ci salutavamo con un abbraccio, soprattutto prima dei weekend. Era anche capitato un paio di volte che, spostandoci da una stanza dell’agenzia all’altra, ci trovassimo con le dita intrecciate. Non so come mai, ma penso che sia stato un po’ per dirci “io ci sono”. Mi piaceva quando succedeva. Le sue mani erano morbide e fredde, senza tagli, senza imperfezioni. Gerard non era una persona allegra, era il tipo di ragazzo che, per vederlo ridere, DOVEVI farlo ridere. Ci trovavamo spesso in mensa, all’ora di pranzo, e ce ne stavamo nella mia nicchia a leggere o a parlare. Una sera lo invitai anche a cenare a casa mia. Fu divertente: mangiammo e giocammo alla Wii fino a notte fonda. Era tutto tranquillo, quando un giorno di metà agosto Roberta interruppe il nostro servizio fotografico conducendoci nel suo ufficio. Avevo paura. Avevo fatto qualcosa di male? Stavo per essere licenziato? E Gerard? Fu in quel momento che mi prese la mano, stavolta di sua spontanea volontà. Non parlò, ma i suoi occhi dicevano “va tutto bene” e allora mi calmai. Il contatto con la sua pelle aveva un effetto benefico su di me.
Solo quando si chiuse la porta alle spalle, la nostra segretaria distese le labbra in un ampio sorriso.
-Buone notizie!-
-Lo potevi anche dire prima! Mi hai fatto prendere un cazzo di infarto.- strillò Gee, il quel suo modo da ragazzina adolescente.
-Tesoro, mi dispiace.- il suo sorriso svanì lentamente, per poi ricomporsi tutto in una volta.
In poche parole, ci disse che un’importante marca di jeans aveva chiesto di me e Gerard (specificando che quest’ultimo aveva delle gambe bellissime) e che potevamo provare qualche scatto insieme due giorni dopo. Accettammo subito.
Quarantott’ore eravamo in volo verso il nord della California. L’ansia mi prese lo stomaco e non riuscì a mangiare fino a che non arrivammo. Ma a parte questo piccolo inconveniente, il viaggiò andò bene e in una mattina gli scatti erano già fatti. Gerard sembrava una ragazza, dico sul serio. La segretaria di QUEI modelli, che venivano continuamente presi e poi licenziati perché “qui ogni giorno ci serve gente nuova”, stava sfogliando le nostre foto con sguardo severo come cercando un verdetto mortale per noi due. Invece disse:
-Niente male. Beh, vi faremo sapere. Intanto stasera c’è una festa per inaugurare l’ala nuova di questa agenzia. Volete unirvi a noi? Trovo piuttosto sconveniente tornare subito a casa quando avete da mangiare e bere gratis, per poi tornare domani mattina. Che ne dite?-
Era. Sul. Serio. Un. Invito. Credetti di sognare. Guardai Gee che approvò con un:
-Certo. Si può fare.-
-Perfetto, provvederemo  noi a spostare il volo.- e se andò.
Mi voltai verso Gerard e lo abbracciai forte, salendo in punta di piedi.
-Ha detto niente male!- soffocai un urlo nella sua spalla.
-Sì,- rise –amo quando ti emozioni così. Sembra che tu ti debba pisciare addosso da un momento all’altro. Sei adorabile.-
Mi staccai mettendo su un finto broncio.
-Saresti un pessimo attore, Frankie.- 
 
 
Quel pomeriggio facemmo un giro in città e ci comprammo camicia e pantaloni uguali per la serata. Eravamo su di giri. La festa si sarebbe tenuta nell’ala nuova, ed era davvero bella. Io e Gee ne rimanemmo sconvolti. C’era un tavolo lungo tutta la sala principale riempito con ogni ben di dio. E poi c’era il tavolo dei vini. E quello con il barman che faceva i cocktail. E un sacco di ragazzi e ragazze bellissimi. Non avevamo mai visto niente di simile. Ci servimmo. Era tutto ottimo. Ma chi mai avrebbe mangiato tutta quella roba? I modelli no di certo.
-Frankie, vado a prendere qualcosa da bere. Torno subito.- mi urlò Gerard, per sovrastare il rumore infernale della festa. Annuii. Aspettai una decina di minuti. Venti. Doveva essersi fermato a parlare con qualcuno. Trenta. Tornò molto lentamente e io mi alzai subito, capendo che era completamente ubriaco. Lo sorressi per le spalle.
-Ma che cazzo hai fatto? Sei pazzo? Cosa hai…- urlai fortissimo, ma venni interrotto. Le sue calde labbra erano sulle mie e sapevano di alcool e fumo, ma non importava, perché era bellissimo. Non fu un bacio impegnativo, ma era Gerard, il mio Gerard, e mi piacque fin troppo. Si staccò con un sorrisone e mi stritolò, sussurrandomi all’orecchio un “Ti amo, Frankie”, appena prima di vomitarmi addosso.
 
Angolo dell’autrice <3
Saaalve <3 ho deciso che da oggi pubblicherò un capitolo un giorno sì e uno no, per alternare la scrittura agli impegni scolastici *piange*. In più, ho cambiato nickname (sixxsvoice) per averlo uguale a quello di twitter. Niente di che. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, alla prossima <3

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Capitolo 7
*** VII ***


Mi svegliai nella camera d’albergo che dividevo con Frank. Lui non c’era. Chiusi gli occhi stropicciandomeli con le dita. Avevo un mal di testa terribile e la luce che filtrava dalla tapparella non aiutava. Volevo vedere Frank, chiedergli della sera prima. Lo chiamai subito e sbucò dal bagno. Vedendo che stavo bene, il suo volto si aprì in uno di quei sorrisi che amavo da quando l’avevo conosciuto.
-Frankie… che diamine è successo ieri sera? Non mi ricordo nulla… dio, è la sbronza più sbronza della mia vita.- mi tirai a sedere e notai che Frank aveva un’espressione piuttosto delusa. -Ehm, niente Gee. Hai soltanto bevuto un po’ troppo. Tutto qua-
Il piccolo mi raccontò che dopo essermi allontanato per una mezz’ora buona, ero tornato da lui ubriaco fradicio e gli avevo vomitato addosso. Così, mi aveva portato in camera, spogliato e lavato. Ed io, nel frattempo, non avevo fatto altro che ridere. Fui sollevato dal fatto che non mi ricordavo nulla di tutto ciò: doveva essere stata un’esperienza piuttosto imbarazzante per entrambi. Frankie tornò in bagno e lentamente mi alzai dal letto. Le fitte alla testa aumentarono drasticamente. Saremmo dovuti essere in aereo porto un’ora dopo, così mi preparai velocemente le poche cose che avevo portato e lasciai in bagno il bel completo sporco di vomito. Mi dispiace un sacco per Frank, gli avevo rovinato la serata, ma lui non sembrava dispiaciuto.
 
Il viaggio di ritorno andò meglio dell’andata. Frankie non stette male, riuscì a mangiare, a me passò il mal di testa e ci leggemmo i nostri libri.
-Gerard.- disse piano.
-Sì?- risposi con un sorriso.
-Non ti ricordi proprio niente?-
-Eh?-
-Intendo di ieri sera.- precisò, un po’ secco.
-No, nulla. Perché?-
-Vado in bagno, scusami un attimo.-
-Ma stiamo per arrivare!-
-Non importa.- si alzò dal sedile vicino al finestrino, mi passò davanti dandomi la schiena e scomparve lungo il corridoio.
 
Sembrava così dannatamente impossibile. Mi appoggiai alla porta del minuscolo bagno, in preda ad un attacco di panico. Cercai di respirare forte, ma non riuscivo a farla entrare, l’aria non ne voleva sapere. Riempii i miei polmoni dopo un bel po’ con un singhiozzo e scoppiai in lacrime. Ma non era un pianto come quello di Gerard. Lui piangeva forte, provava a fare il meno rumore possibile, ma piangeva così fottutamente forte. Sentirlo piangere è una delle cose più brutte e angoscianti che possano succedere. Io lacrimavo e basta, a volte mi partivano dei gemiti sussurrati. Era il mio modo di tenermi tutto dentro.
Com’era possibile? Quella mattina mi ero svegliato con la consapevolezza di essere amato e nel giro di venti minuti era crollato tutto. Era solo ubriaco. Non era vero niente. Quando le gambe smisero di tremare mi sollevai e lavai via ogni traccia di lacrime. Avevo ancora gli occhi arrossati, ma non importava, stavamo per atterrare. Tornai al mio posto giusto in tempo, quando il le hostess raccomandavano di agganciare le cinture. Con un piccolo sorriso incerto, mi appoggiai piano a Gerard e lui intrecciò le sue dita con le mie, fermando il tremore.
Quando tornammo in agenzia, i nostri colleghi ci saltarono addosso. Facevano mille domande, chiedevano se ci avevano preso, addirittura una ragazza urlò:
-Scommetto che hanno tutti sbavato quando hanno visto le gambe di Gee!-
Mi chiesi se fosse normale una cosa del genere.
-Non dovrebbero essere gelosi?-
-E’ il bello di questo posto. Siamo tutti abbastanza solidali, non come là, non hai visto? Scommetto che nessuno ha un amico in quell’agenzia.-
-A parte te. Ti sei incazzato a morte quando…-
-Mi avevi rubato il lavoro!- rise –Comunque, non me ne andrò mai di qui.-
-Come no? Ma ci hanno appena detto “niente male”!-
-Frank, rifletti. Tu vai in quell’agenzia e dopo un anno sei fuori, perché sei troppo vecchio, troppo grasso, troppo magro, troppo insicuro, troppo conosciuto. E poi dove vai? In rovina? Esatto. Meglio rimanere qui, almeno sei sicuro di avere un lavoro per almeno otto anni. Fidati di me.- aveva appena mandato in frantumi il mio sogno di una vita. Non mi sarei di certo accontentato. Sarei salito di livello.
-Ma… sembravi felice, ieri.- ero sull’orlo del pianto.
-Lo ero, infatti. Non preoccuparti, Frankie, tanto non ci prenderanno. E anche se non lo faranno non vorrei mai e poi mai andarci.-
 
E fu per questo che, la mattina dopo, non gli dissi della e-mail che mi arrivò prima di prendere il treno.
 
 
Angolo dell’autrice
Finalmente eccomi con il settimo capitolo! Vorrei ringraziare le persone che hanno recensito gli ultimi capitoli, o anche solo se gli hanno letti. Grazie, grazie di cuore, non immaginate quanto sia importante per me. E niente, fatemi sapere se vi piace o no, oppure se dovrei smettere di scrivere ewe. Un bacio, alla prossima. <3

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Capitolo 8
*** VIII ***


Egregio Signor Iero,
saremmo felici se si unisse a noi
in questo campo minato che è la moda.
Ci faccia sapere.
 
Lessi e rilessi quelle parole una, due, infinite volte per capacitarmene. Mi avevano preso? Quando sarei dovuto andare là? Non sapevo come reagire, non potevo dirlo a Gerard e neanche a Roberta. Come diavolo avrei fatto? Dare le dimissioni e partire per la California così a caso? E la casa? E Gerard? Il viaggio in treno fu più corto del solito, probabilmente perché l’ultima cosa che volevo era vedere Gerard. L’avrebbe presa male sicuramente. Avrebbe pensato che un pivellino faceva più strada di lui e lo avrebbe fatto stare male, come quella volta al mare. Gerard voleva il successo, voleva la popolarità, ma non voleva restare solo. Sarebbe rimasto nella nostra agenzia per          sempre. Avrebbero potuto volerlo anche in capo al mondo, ma lui non ci sarebbe andato. La sua mente era una delle cose più contorte da decifrare, ma lassù, sulla scogliera, io avevo fissato i suoi pezzi. E avevo capito che si sarebbe sempre sentito in debito con me per questo. Non volevo vederlo star male, non volevo vederlo depresso o morente, non volevo vederlo come si era descritto all’inizio della sua carriera. Così decisi di non dirgli niente della e-mail, di fingere ancora.
Quando arrivai in agenzia era lì, come al solito, ad aspettarmi. I capelli rossi ora si stavano scurendo in alto, all’attaccatura. Si vedeva che si stava un po’ trascurando, ma non dissi nulla. Mi salutò con un abbraccio molto forte e non seppi il perché fino a che non mi disse:
-Grazie, Frank, davvero. Per l’altra sera, intendo. A volte non mi so controllare e faccio casini, ma ti assicuro che non sono sempre così, te lo giuro…-
Odiavo quando faceva così. Partiva a parlare come un treno e non si fermava, continuando a tirar fuori parole su parole fino a che non gli dicevo di calmarsi. Però era tenero.
-Gerard, basta, lo so. Lo so che non sei sempre così. E poi non hai fatto nulla, mi dispiace solo per i vestiti.- ridacchiai e lui fece lo stesso. Gli misi un braccio intorno alle spalle e ci avviammo verso l’ascensore (sì, finalmente cominciammo a prenderlo). Mi sentivo sempre più a disagio riguardo al posto di lavoro che mi avevano offerto e al fatto di tacerlo a Gerard, ma non potevo parlargliene, non in quel maledetto ascensore.
-Qualche volta devi tornare a casa mia. Sul serio, ho voglia di giocare a Mario Kart.- buttai lì. Mi sembrava un buon contesto per dargli la notizia: cena e lacrime.
-Sicuro, non vedo l’ora. Quando torniamo ci mettiamo d’accordo.- le porte si aprirono.
-Torniamo da dove?-
-Non lo sai? Oh beh, fra tre giorni abbiamo una sfilata.-
Il mio cuore perse un colpo.
-Solo noi o…?-
-Tutta l’agenzia.-
Ma perché ero sempre l’ultimo a sapere queste cose? A loro sembravano scontate, ma era la mia prima sfilata! Cominciai già a farmi salire l’ansia e Gee se ne accorse subito.
-Frankie, no, non fare così, ti prego. Dai, sorridi.- sorrise piano e portò le mani agli angoli della mia bocca e lì tirò su. Risi. Perché non potevamo restare così per sempre? A fissare i nostri sorrisi, per l’eternità?
Amavo il sorriso di Gerard. Non sorrideva quasi mai, ma quando il miracolo accadeva, da qualche parte nasceva una fata. Ne sono sicuro. Era qualcosa di luminoso e splendente. Ma abbinato agli occhi, così tristi, era macabro. Una specie di Joker. Gli occhi e il sorriso di Gerard erano una strana coppia, ma mi avevano fatto innamorare di lui.
 
Frank era strano quella mattina. Arrivò leggermente in ritardo, ma non glielo dissi. Mi aveva chiesto di cenare con lui per la seconda volta, cosa che non mi dispiaceva, perché insieme a lui stavo bene, ma lo trovavo… strano. E poi era andato in ansia solo perché gli avevo annunciato la sfilata. Io mi chiedo, non ne aveva mai fatta una in tutta la sua vita? Ma non gli domandai neanche questo, perché sapevo che ci sarebbe rimasto male. Usammo la camera con gli specchi, una cosa nuova per Frank, che ne era sempre stato affascinato. Anche a me piaceva, perché potevo vedere tanti Frank. Ah, comunque, il piccoletto continuò ad usare le scarpe da donna.
 
Per pranzo, andammo in mensa, nella nostra nicchia, a mangiare cracker e succo di frutta. Frank amava l’arancia rossa, io il pompelmo. Lui è un tipo da arancia rossa. Uno che vedi per strada e pensi “Eh sì, lui alla mattina beve il succo di frutta all’arancia rossa.” Io invece ero per il pompelmo. Era aspro, ma allo stesso tempo buono e in un certo senso dolce. Uno di quei cibi che ti fanno venire l’acquolina in bocca. Frankie mi stava raccontando una delle tante figure di merda che faceva da ragazzino e che tutt’ora accadevano, e stavamo ridendo, eravamo realmente felici.
-Amo il tuo sorriso.-
Chinò la testa, imbarazzato.
-Amo il tuo sorriso.- ripetei.
Si coprì il viso con le mani.
-Amo il tuo sorriso.-
Rise forte.
-Amo il tuo sorriso.-
-Gerard…-
-Amo il tuo sorriso.-
-Gee!-
-Ok, ho capito.-
 
 
Angolo dell’autrice
Finalmente sabatoo!! Rileggo questo capitolo e devo dire che mi piace, mi sono divertita un sacco a scriverlo. Spero che piaccia anche a voi. Faaaaatemi sapere cosa ne pensate, un bacione <3

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Capitolo 9
*** IX ***


I due giorni successivi passarono tra i preparativi per la sfilata, che si sarebbe tenuta a Madrid, e i miei vani tentativi di salvare Frank dai suoi attacchi d’ansia. Quel ragazzo mi faceva impazzire, in tutti i sensi. Provai più volte, insieme a Mikey e a qualche ragazza, a farlo sfilare. Ma lui crollava e le gambe gli tremavano. Continuava a ripetersi che era sbagliato, che era troppo basso, che non ne sarebbe mai stato capace, che ci sarebbe stata troppa gente. E io gli ribadivo che saremmo stati uno davanti all’altro, che sarebbe bastato seguirmi e mettere i piedi dove li mettevo io per non sbagliare.
-No Gerard, io là non ci vado. Gerard fammi scendere!-
Continuai ad ignorarlo fino a che l’areo non fece per decollare. Era da quella mattina che continuava ad agitarsi, ma io non ci potevo fare nulla. Guardai fuori dal finestrino. I motori si erano accesi e stavamo partendo, finalmente.
-Porca di quella puttana, Gerard vai dal pilota e digli di fermarsi! Cazzo, cazzo, cazzo!-
Si teneva il viso tra le mani e tremava tutto, nella sua t-shirt a righe. Piangeva. Non l’avevo mai visto piangere.
-Frankie…- pensai di dover ricambiare le tenerezze che lui mi aveva dato sulla scogliera. Ma lui non mi rispondeva e continuava a piangere, e io avevo paura. Frank non era il tipo che piangeva per niente. Non sapevo come tranquillizzarlo, come reagire. Ma era lì, e stava singhiozzando piano, così piccolo che mi venne quasi da piangere anche a me. Dovevo fare qualcosa. Lo presi per le spalle e lo feci girare verso di me. Per fortuna nessuno aveva fatto a caso a lui, così cercai di focalizzare la sua attenzione su di me. Misi entrambe le mani sulle sue, e cercai di staccargliele dal viso. Scosse la testa forte. Non voleva farsi vedere da me.
-Frank, va tutto bene. Ti prego, fammi vedere i tuoi occhi.- queste parole e questi gesti non mi spaventavano più. Era il mio piccolo Frank e avrei fatto qualsiasi cosa pur di vederlo sorridere. E poi c’era molta alchimia tra di noi, sotto questo punto di vista. Finalmente lo convinsi a togliersi le mani dal viso e le portai sulle mie ginocchia, disegnando dei cerchietti con i pollici su tutte le nocche e poi sui palmi. Fissammo le nostre mani intrecciate per dei lunghi minuti, fino a che Frank non smise di fare le sue respirazioni. Sapevo che non voleva che lo guardassi mentre le faceva. Lo guardai negli occhi. Erano ancora rossi e gonfi e si mordeva il labbro inferiore.
-Bene così?- chiesi in un sorriso.
Annuì.
Feci per lasciargli le mani, ma lui le strinse ancora più forte e si appoggiò alla mia spalla, chiudendo gli occhi. E si addormentò così, le mani tra le mie.
Fui costretto a scostarlo piano da me quando giunse l’ora di cena, ma lui non fece una piega. Continuò a dormire che sembrava un bambino. Fu solo verso l’una che sì svegliò.
-Gee…- bisbigliò, facendomi sussultare. Stavo per entrare nel mondo dei sogni anche io.
-Frankie… ehi, da quanto non dormivi?- chiesi, più dolcemente che potei.
-Da quando mi hai detto di questa maledetta sfilata.-
-A proposito, va un po’ meglio?-
-Benissimo,- mi diede un bacio veloce sullo zigomo e poi si girò verso il corridoio –notte!-
Non risposi. Era così che doveva finire? Con un semplice bacio sulla guancia? Risi fra me e me, con il cuore che batteva all’impazzata.
 
Arrivammo all’aereo porto all’alba, scendemmo e prendemmo i bagagli. Frankie sembrava stare bene. Non parlammo per la maggior parte del viaggio fino alla sede dove si sarebbe tenuta la sfilata. Mi dispiaceva un po’ per lui. Era davvero la sua prima sfilata… Mezza agenzia era già arrivata con il volo prima ed era in albergo. Così, io e Frank attraversammo cinque isolati e arrivammo in hotel, senza proferire parola. Sapevo che era agitato. Avevamo la camera in comune, ovviamente, come tutte le coppie. Mi sentivo piuttosto a disagio mentre il moro si svestiva e si faceva la doccia. Io disfacevo le valigie, sia le mie sia quelle di Frank. Aveva detto che potevo farlo senza problemi. Scoprii che portava un profumo da donna,  per questo odorava sempre di buono. Aveva tre magliette bianche, identiche. Non sapevo a cosa gli sarebbero servite, in una sola notte. Quando uscì dal bagno portava solo i boxer.
-Non so se riuscirai a infilarti i pantaloni con…- ma le parole mi morirono in gola.
-Intendi con questi?- indicò i boxer –Oh beh, vorrà dire che mi metterò gli slip. Fece per tirarseli giù.
-Frank!- mi coprii il viso.
-Che c’è?- ridacchiò. Mi stava prendendo in giro. Gli tirai un cuscino, il primo che trovai.
-Porti ancora rancore, eh piccoletto?-
Rise forte e mi sembrava così sicuro di sé mentre recitava me stesso che mi dimenticai del ragazzo tremante dell’aereo.
 
Eravamo lì, tutti pronti, con i nostri vestiti tutti stravaganti, tranne Frank. Lo cercai dappertutto, fino ai camerini. Ed infine lo trovai, piegato in due sulla tazza del cesso. Aspettai che finisse chinato fianco a lui. L’odore era insopportabile.
-Frankie, Frankie, Frankie…- gli misi una mano sulla spalla e con l’altra tirai velocemente l’acqua. Gli tolsi la sciarpa per evitare che si sporcasse.
-Ancora?- chiesi. Lui annuì pallido e si rigettò sul gabinetto. Non avevo mai visto nessuno stare tanto male per una sfilata. Quando ebbe finito tirai l’acqua un’altra volta.
-Fammi sentire il cuore.- gli sbottonai piano la giacca e infilai una mano gelida sotto la maglietta. A quel contatto il moro rabbrividì, ma io rimasi fermo, la dite tese sulla sua pelle, mentre gli guidavo le respirazioni. Questa volta guardandolo negli occhi. Tolsi la mano solo quando i battiti tornarono regolari. E allora gli abbottonai la giacca e gli rimisi la sciarpa, con delicatezza, come piaceva a lui. Continuando a mantenere il contatto visivo e a inspirare forte e ad espirare tutta l’aria che c’era nei polmoni, insieme, i nostri respiri estremamente coordinati.
Mi alzai e gli tesi la mano, lui la prese saldamente e lo tirai su, come aveva  fatto lui il primo giorno. Come solo lui sapeva fare.
 
 
Angolo dell’autrice
AAAHHH so che volete uccidermi! Vi faccio stare tanto sulle spine, perdonatemi T.T spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e come sempre vi chiedo di lasciare una piccola recensione con un commentino. Per me significa molto. Grazie a tutti, un bacione <3

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Capitolo 10
*** X ***


Tornammo in camera che ero a pezzi. Non avrei mai creduto che un solo giro di una passerella mi avrebbe reso tanto stanco. Ma tutto sommato era andata bene. Roberta mi aveva guardato sorridente per tutto il tempo, come per incoraggiarmi, e Gerard, una volta finito, continuava ad abbracciarmi parlando a vanvera come faceva di solito quando si agitava. Ma io non riuscivo a sorridere. Continuavo a pensare alla mail, al fatto di lasciare l’agenzia, tutti i miei amici e Gee. Non riuscivo proprio a parlargliene, però. Mi sentivo uno schifo, ma mi sforzai di festeggiare. Ora che hai fatto qualcosa di reale devi parlarne con Gerard, mi promisi. Croce sul cuore, pensai. Ci togliemmo i vestiti piano, come al rallentatore. Togliersi i costumi e ritornare alla vita reale, lontano dalle macchine fotografiche, era snervante. Andai in bagno che Gerard era sul balcone a fumare, come faceva tutte le sere. Mi lavai denti e faccia e basta. Non avevo nessuna voglia di farmi una doccia, non volevo che l’adrenalina scomparisse del tutto. Uscii dal piccolo bagno e trovai Gee a letto, girato su un fianco, gli occhi chiusi. Andai nel mio mezzo letto cercando di non far rumore. Stavo per disfare le lenzuola e coricarmi quando il rosso mi chiamò.
-Frankie.- mi girai, con il cuore a mille. Un po’ per lo spavento, un po’ per l’emozione. Gerard batté la mano sul letto, in fianco a lui. Ma che cavolo? Feci il disinvolto, come se ogni mio amico mi avesse chiesto di dormire con lui almeno una volta, e mi coricai a pancia in su nel letto matrimoniale che avrebbe dovuto usare solo Gee. Lui appoggiò la testa sulla mano, tirandosi su, e io chiusi gli occhi. Con l’altra prese a giochicchiare con il mio ciuffetto di capelli corvini.
-Beh, non mi sembra che sia andata tanto male.- commentò.
-Mhmh.- annuii.
-A che ti servono tre magliette bianche?- bisbigliò vicino al mio orecchio. Risi.
-Una per dormire, una per domani e l’altra di scorta.-
-Che fissato.- ridacchiò.
Era il momento giusto, dovevo dirglielo. Mi preparai in testa un breve discorso per qualche secondo e partii, sempre con gli occhi chiusi.
-Gerard. C’è una cosa che non ti ho detto.- dai capelli arrivò ad accarezzarmi la fronte.
-Riguardo a…- passò un dito sul profilo mio naso, piano. No, no, no. Che stava facendo? Non potevo dirglielo ora, non così. Stava andando tutto bene, merda. Cercai di sviare il discorso.
-…a quando eri ubriaco. Mi dissi una cosa.- fece scorrere l’indice nell’incavo tra il naso e le labbra, e un brivido mi percorse dalla testa ai piedi. E ora?
-Mi dissi…- il dito arrivò alle labbra e lo baciai, perché sapevo che lui lo voleva. Ecco, era fatta.
-Ti dissi?- chiese piano.
-Mi dissi… ti amo.- sussurrai sul suo dito. Ecco dove era andata a finire la conversazione. Per un momento ebbi paura. Ma con l’indice e  il pollice mi alzò il mento e fui costretto ad aprire gli occhi per guardare nei suoi e in quel momento non seppi dirmi se fossero stati verdi o grigi. E poi le sue labbra furono sulle mie. Sapevano di fumo, e le amavo. Finalmente stava succedendo, finalmente potevo assaggiare Gerard come si deve, senza temere che mi vomitasse addosso. Portai un braccio dietro il suo collo per approfondire il bacio, girandomi completamente verso di lui. Non avevo pianificato che la serata finisse così, sennò avrei fatto davvero la doccia e fanculo adrenalina. Le sue mani percorsero il mio corpo fino ad arrivare ai fianchi e mi avvicinò di più a sé. Si staccò un attimo per riprendere fiato e biascicò:
-Non lo sapevi che, uhm…- lo baciai –gli ubriachi dicono sempre la verità?-
Sorrise sulla mia bocca provocando la terza guerra mondiale nel mio stomaco. Dio, era così adorabile. E mio. Per un tempo che mi sembrò infinito morse il labret che portavo al labbro inferiore e percorse il contorno delle mie labbra con la lingua almeno una decina di volte, facendomi emettere gemiti di piacere che Gerard intese come un okay per continuare. Prese a baciarmi piano il collo sfiorandomi i fianchi da sotto la maglietta. La mia pelle nuda, al contatto con le sue dita fredde, ebbe un fremito, seguito dalla pelle d’oca in tutto il corpo. Con i pollici sfiorò le due colombe tatuate sopra i boxer. E poi, avvenne l’inevitabile. Almeno, in una serata come quella.
-Gerard…- sibilai sul suo collo.
-Mh?- continuò a lasciarmi dei leggeri succhiotti fino alla clavicola.
-Gerard, uhm… sono davvero stanco.- si staccò piano. Le labbra scarlatte e bagnate mi provocarono un capogiro.
-Dico sul serio, io… non riesco a tenere gli occhi aperti.-
Mi baciò sulla fronte.
-Gee…-
-Va bene, tranquillo.- disse in un sorriso. Wow. Il sorriso più bello del mondo.
Ci intrufolammo sotto le lenzuola, nonostante fosse fine agosto, e mi girai dall’altra parte, dandogli la schiena. Mi accoccolai sul suo petto, fino a che non lo sentii sbattere contro la mia spina dorsale.
-Frankie, sei magro. Pungi.-
Sorrisi.
-Mi scusi…-
Intrecciò le gambe alle mie e diventammo un bel casino. Due corpi allacciati. Ma ero lì, dentro di lui, così piccolo da starci, tra le gambe e la testa. Dio mio, quanto lo amavo. Stavo per dirglielo, quando il sonno mi inghiottì.
 
 
Angolo dell’autrice
*stappa lo champagne* *tira fuori i coriandoli* *festeggia fino a notte fonda*
FINALMENTEEEE!!! Ci sono voluti dieci capitoli ma alla fine ce l’abbiamo fatta, yyeeee. Sto pure decidendo se cambiare il rating da arancione a rosso. Ehehehhe.
Insomma, spero come sempre che il capitolo vi sia piaciuto nonostante l’attesa e vi chiedo di lasciare una piccola recensione. Se vi va. *si mette in ginocchio*
Un abbraccio a tutti e grazie <3

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Capitolo 11
*** XI ***


Ci pensai per su per qualche minuto, prima di aprire gli occhi. Mi ero svegliato e il mio primo pensiero era andato a Frank. Era successo davvero o era solo un sogno? Se mi concentravo riuscivo a sentire ancora le sue labbra appoggiate sulle mie, così morbide e calde. E quel labret, ghiacciato non meno delle mie mani. Sì, era realmente accaduto. No, non era un sogno. E probabilmente sarebbe successo anche una seconda volta. Aprii gli occhi: Frankie dormiva a pancia in giù, il viso girato dalla mia parte. Dio, era così bello. In capelli arruffati più del solito, le labbra socchiuse, la maglietta alzata più o meno al livello dell’ombelico. Mi avvicinai al suo corpo e sussurrai un leggero:
-Frankie…- per tutta risposta, mi arrivò una manata in pieno viso che mi allontanò da lui.
-Gerard, vai via. Il tuo alito puzza.- biascicò.
-Stronzo.- 
Rise forte e aprì gli occhi, regalandomi una carica di vita.
-Lo so che pensavi di svegliarti con me che ti portavo la colazione a letto su un vassoio d’argento. Beh, ti sbagli. Ti dovrai accontentare del mio alito puzzolente- ribadii.
-Vieni qui- mi attirò a sé con un sorriso e mi diede un bacio sulle labbra, un innocente bacio sulle labbra.
-Però adesso ti vai a lavare i denti- sussurrò divertito sulla mia bocca.
-Seh seh- mi alzai dal letto ed entrai in bagno. Feci tutto quello che dovevo fare. Sentivo Frank che si alzava e si vestiva per il viaggio e per un momento fui tentato di sbirciare.
Ogni volta che pensavo alla sera prima il cuore faceva un balzo nel petto. Dio mio, era successo davvero? Gli avevo realmente detto lo amavo a quella dannata festa? E lui non me l’aveva mai detto? Beh, sì. Ma tutto sommato, era stata un bene. E saremmo andati oltre se solo Frank non si fosse addormentato come un sasso. Ma potevo capirlo, l’ansia l’aveva tenuto sotto pressione per tutta la giornata e non deve essere comunque semplice gestirla. Anche solo pensare ai conati di vomito del pomeriggio prima mi fece sentir male. Mi sembravo quasi un eroe. Avevo condotto le respirazioni di Frank, oh mio dio.
Uscii dal bagno e il piccoletto era lì, già pronto per partire.
-Prima facciamo colazione, però- dissi.
-D’accordo,- guardò l’orologio che portava al polso destro –ma non più di un quarto d’ora-
-Andata-
Scendemmo in sala da pranzo e prendemmo una cosa come tre brioches da dividere. Una alla marmellata, una alla crema e una al cioccolato. Sapevo che non potevamo permettercele, ma chi se ne importava? In quel momento, il mio peso non interessava a nessuno dei due. Ovviamente, Frank si sporcò di cioccolato. La maglietta si macchiò sul petto.
-Merda- imprecò –sono un idiota-
-Un po’. Ma almeno puoi usare la tua maglietta di riserva- gli tolsi dalle labbra un po’ di crema alla nocciola.
-Vedi che serve a qualcosa?-
-Sì, ho visto. Complimenti- risi.
-Sai a cosa stavo pensando?- chiese con la bocca piena.
-A cosa?-
-Che dovresti- mandò giù il boccone –cambiare tinta-
-Che coooosa?!- strillai.
-Non fare così, sembri una ragazzina- mi sgridò.
-Io non abbandono i miei capelli rossi. Sono bellissimi.- mi accarezzai la chioma, fingendo di essere offeso.
-Io dico che staresti bene moro-
-E’ il mio colore naturale-
-Allora lasciateli crescere neri. Per me-
-Ma sembrerò una specie di mucca nera e rossa. E chi li vuole i servizi fotografici con me poi?-
-Allora andiamo dal parrucchiere te li fai tingere completamente neri-
-Non mi puoi obbligare- mi alzai in piedi e Frank fece lo stesso.
-Io penso di sì…- mi mese una mano sul culo. Sì, proprio sul culo. Frankie!
-Che hai in mente, piccoletto?-
-Intanto andiamo, che siamo in ritardo. E non darmi dello stronzo di nuovo-
Ridacchiai. Lo amavo, lo amavo come mai avevo amato nessuno. Fatta forse eccezione per mio fratello. Ma era un amore diverso, ovviamente.
-Prima dammi un bacino- implorai.
-No.- rispose secco.
Ci avviammo verso le porte dell’ascensore già aperte e lo feci entrare per primo. Aspettai che si chiudessero dietro di noi per poi girarmi verso di lui e cingergli i fianchi con le braccia. Inclinai la testa di lato e l’ascensore prese a salire.
-Dammi un bacio-
-Poi però ti fai i capelli neri-
Sospirai forte.
-E va bene. Ma sbrigati che stiamo per arrivare- ci mancava circa un piano. E finalmente mi baciò, un bacio serio, non come quello da appena svegli. Dio, me lo meritavo! Strinsi più forte i fianchi di Frank contro i miei per farlo gemere, (lo so, ero un genio del male) quando le porte scorrevoli si aprirono e ci staccammo in fretta, beccandoci sguardi straniti dalle signore delle pulizie. Frank entrò in camera per cambiarsi la maglietta e portare fuori le valigie e io lo aspettai sulla soglia.
-Quando finirete di occupare la camera? Siete già in ritardo- mi rimproverò una delle due signore dell’ascensore.
-Beh ecco…mh, ci dia tre minuti- misi dentro la testa urlando:
-Frank! Muoviti!- e tornai a sorridere alla tizia.
-Grazie- disse irritata.
Merda in croce, ma che gente girava? Alla fine Frankie uscì con tutta la sua roba, blaterando, come sempre.
-Tesoro, siamo in ritardo, ma in un ritardo fotonico, quindi…- si bloccò non appena vide la donna di fronte a me, che disse solo:
-Capisco.- ed entrò nella camera chiudendosi dietro la porta, probabilmente sperando di non trovare qualche strano giocattolino gay tra le lenzuola. Frank alzò le spalle e mi fece cenno di aiutarlo con le valigie. Mi misi all’opera e neanche venti minuti dopo eravamo in aereo porto, pronti per imbarcarci. Come al solito presi il posto di fianco al finestrino. Due file più avanti a noi sedeva Roberta, lo sguardo soddisfatto dal successone della sera prima. Mi girai verso il vetro e mi misi le cuffiette, perdendomi nei miei pensieri, sempre tristi e depressi.
-Ma come, non parli con me?- mi chiese Frank, decisamente deluso. In effetti mi sembrava un cattiveria, ma avevo bisogno di stare un po’ con me stesso e riflettere sugli ultimi avvenimenti almeno tanto quanto lui aveva bisogno di dormire la notte prima. Gli feci un segno che significava “dopo” con una mano e chiusi gli occhi. Sembrò aver capito, perché si giro verso la mia schiena e prese ad accarezzarmi i capelli e la nuca, come una ninnananna o qualcosa del genere. Sta di fatto che mi rilassai molto. Ovviamente, non feci altro che pensare a lui.
 
Quando atterrammo, Gerard propose di portarmi alla stazione e io accettai, come sempre. Era così strano, trovarsi in macchina insieme dopo quello che ci era successo. Era come se avessi pensato che quei momenti sarebbero rimasti là, a Madrid, per sempre. E invece no, Gerard era lì, di fianco a me. Dopo smisurati minuti di silenzio gli feci una proposta:
-Domani sera. Casa mia. Cena. Mario Kart.- avevo bisogno di dirglielo, quel segreto mi schiacciava. Anche mentre lo baciavo, quella mattina, mi era tornato in mente.
-Mario Kart?- sorrise malizioso, gli occhi sempre posati sulla strada davanti a lui.
-Una specie- risposi, ridacchiando.
-Ci sto- concluse. Bene. Grazie a dio.
-Facciamo che non prendi il treno e andiamo a casa insieme in macchina, ok?- propose.
-Mhmh- annuii.
-Tutto bene?- mi chiese, visibilmente incuriosito. Non ebbi il tempo di rispondere. Per fortuna, eravamo arrivati. Ringraziai il cielo per la seconda volta nel giro di due minuti. Gerard mi aiutò a scaricare le valigie dal baule e mi accompagnò fino al binario, come faceva sempre. Aspettammo che arrivasse il treno, in silenzio. Quando dagli altoparlanti venne annunciata la mia corsa, mi voltai verso il rosso (che presto sarebbe stato nero. Muahaha.)
-Allora ciao- mi avvicinai e lo abbracciai fortissimo, lasciandomi stringere da quelle braccia che mi facevano sentire piccolo piccolo. Ancora di più.
-A domani- rispose lui, lasciandomi un bacio in testa. Mi allontanai sorridendogli, soddisfatto.
 
 
Angolo dell’autrice
Ahhhwww quanto li amo *---* a parte gli scleri, questo è un capitolo piuttosto di passaggio, non conta molto per la trama, in realtà. Io gli ho sempre trovati piacevoli e leggeri da leggere, quindi perché non inserirne uno? Spero come sempre che vi sia piaciuto almeno un terzo di quanto vi piacciono F&G (anche se è difficile ew) e vi chiedo di recensire, se vi va. Un bacione, alla prossima <3
 

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Capitolo 12
*** XII prima parte ***


Frank fissava la strada davanti a sé, sembrava assorto nei suoi pensieri ancora più del solito. Avevo riflettuto molto al fatto del suo invito e su cosa avremmo fatto durante le serata, e mi ero preparato psicologicamente ad affrontare la questione del verginello sfigato, quale ero. Non ero del tutto sicuro del fatto che Frank l’avesse già fatto. E neanche se fosse stato bisessuale. Non ne avevamo mai parlato, quindi decisi che glielo avrei chiesto, in un modo o nell’altro.
-Sei strano oggi- buttai lì. Girai la testa verso di lui per un momento.
-Huh- fu tutto ciò che ottenni.
-C’è qualcosa che ti disturba, mh?- chiesi, scocciato.
-No, nono. Uhm, ho l’insalata per cena-
-Va benissimo- non potevamo permetterci altro.
-Oppure un po’ di prosciutto cotto col pane-
-Qualsiasi cosa va bene- annuii e mentre cambiavo marcia allungai due dita verso la sua coscia fasciata da un jeans nero e gliela sfiorai, riuscendo a strappargli un sorrisino.
L’appartamento di Frank distava qualcosa come 150 km dall’agenzia, perciò non ci mettemmo troppo, ma quando vidi che mancavano pochi minuti gli chiesi piano:
-Allora…mh… hai mai avuto un ragazzo prima?- mi allungai verso di lui, per prendere il pacchetto di Marlboro rosse che tenevo nel cruscotto. Ci fermammo ad un semaforo e l’accesi, tirando giù il finestrino.
Frank annuì piano, senza guardarmi.
Oh, merda.
-E tu?- sussurrò. Feci un tiro e poi lasciai cadere la cenere sull’asfalto, tenendo il braccio fuori.
-Io no- cercai di non sembrare preoccupato o ansioso.
-E dimmi, com’è andata a finire poi?- domandai a Frank.
-Mi ha lasciato lui più o meno due anni fa- fece una pausa, per guardarmi, e poi dovetti ripartire, interrompendo il contatto visivo. Il rosso era diventato verde.
-E’ stato l’unico che ho avuto. A parte te-
Mi piaceva quando sembrava così spaventato.
-Perché lo ha fatto? Voglio dire, perché ti ha…-
-Oh. Aveva scoperto il mio lavoro-
-Che c’è di male nell’essere un modello?-
-Vedi, Gerard…- si appoggiò al finestrino, tenendosi la testa con la mano -veniamo spesso paragonati ai prostituti. Non lo sapevi?-
Non ci avevo mai pensato. E in effetti, i ragazzi che andavano con Roberta venivano sempre trattati con un occhio di riguardo. A parte me, ovviamente. Io venivo trattato con un occhio di riguardo da chiunque e in qualsiasi momento. Oh, dio. Frank aveva ragione.
Stavo per rispondere, quando Frank mi indicò una bifamiliare moderna. Subito mi tornarono in mente tutti i particolari di quelle casa e della serata che ci avevo passato neanche due mesi prima. Scendemmo dalla macchina e Frank mi prese per mano, stranamente prendendo un’iniziativa. Non ci eravamo ancora baciati dalla giornata precedente e tutto quello che volevo erano le sue labbra. Salimmo le scale superando l’appartamento dei suoi vicini per poi arrivare davanti alla sua porta. Come la volta precedente, lo zerbino recitava: MY HOME, MY MUSIC. Mi piaceva. Entrammo e la prima cosa che vidi fu la televisione: era grande, almenoo 55 pollici, una cosa assurda. Di fronte, il solito divano bianco e dietro, il tavolo. Una libreria colma di libri e cd divideva il soggiorno dalla cucina.
-Frank ma… hai cambiato la televisione-
Mollò la mia mano e mi guardò raggiante.
-Per giocare meglio a Mario Kart- risi. –Beh, sai, me le posso permettere certe cose ora-
Annui, almeno per la decima volta quella giornata.
-Togliti la felpa e le scarpe, fai come se fossi in casa tua- e detto questo andò in bagno. Misi le mie converse sfasciate vicino alla porta d’ingresso e buttai la felpa blu sul divano, sedendomi. Dio, volevo concludere. Con Frank, intendo. In quel momento esatto. Sul divano. Lo desideravo. Non mi era ancora stato concesso. Stavo pensando a queste cose molto poco caste, quando il piccoletto mise fuori la testa dal bagno, sorridendomi.  
-Psst, Gee- si sporse un po’ di più, e notai che indossava solo i boxer.
-Muoviti-
Non me lo feci ripetere due volte e corsi in bagno. Mi concessi due nanosecondi per ammirare il suo meraviglioso… ma che dico? … sublime fisico, per poi passare all’attacco. Mi avvicinai velocemente ma lui, quel piccolo sadico, mi mise le mani sulle spalle e solo quell’istante notai che portava i guanti in lattice.
-Ma che diamine…-
Mi zittì, facendomi sedere sul gabinetto, di fronte allo specchio. Si girò e aprì uno sportello del mobile in fianco alla doccia.
-Allora… qui ho: nero, marrone scuro, rosso MOLTO scuro e biondo. Decidi-
E fu allora che capii.
-Frank… tu sei pazzo-
-Oh no, adesso scegli. Sennò lo farò io e non avrai possibilità di ribattere-
-Che cazzo Frank, allora nero-
-Bene, scelta ottima- sentii che prendeva il tubetto e lavorava alle mie spalle, spremendolo in una ciotola. Si posizionò dietro di me e mi fasciò con un telo di plastica giallo.
-E questo da dove salta fuori?- non rispose.
-Frank!-
-Smettila di urlare, mi sto concentrando-
Divise i miei capelli a metà con una riga in mezzo ignobile e prese a spennellarmi prima la ricrescita e poi la lunghezza. Detti addio ai miei favolosi capelli rossi.
-Ti odio, Frankie-
Ridacchiò mentre lavorava.
-Ecco, adesso devi stare fermo per un po’-
-D’accordo. Che si fa?- chiesi speranzoso. Un bel bacio me lo poteva dare. Almeno quello.
-Che ne dici biondi dalle parti e il ciuffo rosso?- mi domandò mentre si guardava allo specchio.
-Oh, buon dio- sospirai, sapendo che il bacio me lo sarei sognato.
Senza aspettare una mia risposta, prese il rasoio e, con il terribile rumore di un tagliaerba, si rasò i capelli dalle parti, fin dietro sulla nuca. Dei ciuffetti ribelli spuntavano qua e là. Sembrava piuttosto soddisfatto del suo lavoro. Senza fermarsi un secondo, prese a pennellarsi di giallo i capelli corti e la punta del ciuffo di rosso.
Per tutto il tempo dell’operazione, lo fissai come un ebete. Il suo lavoro precedente era il barbiere e non lo sapevo? Ed era terribilmente affascinante. Dio, quanto sono patetico. Finimmo col sciacquarsi i capelli e asciugarceli, nemmeno un’ora dopo. Mi ispezionai allo specchio. Dopotutto, non ero così male. Solo…
-Non è che potresti tagliarli un po’?- mi arrivavano all’altezza del mento.
Senza rispondermi afferrò le forbici e tagliuzzò fino al quando non arrivarono a coprire le orecchie. Poi mi tolse quella specie di tunica, finalmente.
-MI piacciono un sacco- decisi.
-Te l’avevo detto-
Anche i suoi gli stavano bene. Sembrava un nano punk. Ok, lo so, faccio schifo.
-Adesso però…- mi avvicinai prendendogli i fianchi nudi con le mani.
-Tocca a me-
Lo baciai piano, inclinando la testa. Grazie al cielo era arrivato il momento, nonostante fossimo in un bagno. Beh, non m’importava. Salii con le dita, contandogli le vertebre. E di nuovo, fino a sfiorare il collo, dandogli i brividi. Lui si alzò in punta di piedi. Adoravo quando faceva così. Mi strinse in quello che doveva essere un abbraccio senza smettere di baciarmi ed era così bello, così tenero, così “alla Frank”, che mi sarei dovuto aspettare un imprevisto.
-Gee… non- mi riagganci alle sue labbra. No, no, no, Frank, non andare via ancora. E invece lo fece, stronzo.
-Non dovremmo mangiare?-
Mi staccai e annuii. Di nuovo. Cazzo Frank.
Si rimise la camicia e in jeans con una velocità preoccupante e ci dirigemmo in cucina dove assistemmo, con orrore, a uno dei cliché più schifosi di sempre. La lavastoviglie stava fumando e l’acqua cominciava ad uscire dagli angoli.
Frank si girò verso un me impotente.
-Merda, merda, merda!- urlò. Premette tutti i pulsanti presenti e non per spegnerla e dopo almeno tre minuti buoni ci riuscì. Fece un respiro profondo e prese la maniglia, sicuro di aprirla. Inutile dirvi che era bloccata. Che due sfigati.
Senza dire nulla, sapendo benissimo la sorte che ci sarebbe toccata (quella di mangiare con i piatti di carta), cominciammo ad asciugare il bagnello che si era formato per terra. Non so nemmeno se la parole bagnello esista, in verità. La diceva mio fratello quando era piccolo. Ma comunque, riuscimmo a sederci a tavola alle nove e mezza passate. Mangiammo la nostra insalata e il nostro prosciutto, nei nostri piatti di plastica, senza proferire parola. Più o meno alla fine di quel misero pasto, Frankie si decise a parlare.
-C’è UN’ALTRA cosa che non ti ho detto, Gerard-
 
 
Ecco, stava succedendo. Le parole fatidiche stavano per uscire dalla mia bocca.
-C’è UN’ALTRA cosa che non ti ho detto, Gerard- cercai di calmarmi, ma sentivo che le lacrime si facevano vedere. Gee doveva essersene accorto, perché mi studiò con aria preoccupata.
-Non è per rovinarti ulteriormente la serata, è solo che… Dio, Gerard, mi dispiace tanto…- due lacrime mi rigarono il viso. Perché ero così dannatamente fragile? Lui si allarmò e mi prese il viso tra le mani, ma io scossi la testa, asciugandomi le lacrime.
-No Gerard, questa volta non è colpa tua. Mi hanno preso. Mi hanno preso in quell’agenzia e… E io ho accettato, Gerard, capisci? Ho accettato e mi dispiace tanto- presi a singhiozzare violentemente, il mio corpo che veniva scosso dai brividi. Non volevo guardarlo negli occhi, ma mi imposi di farlo e quanto mai lo feci. Vidi il terrore, in quegli occhi che tanto amavo e dio, quella volta era reale.
E poi cominciò a piangere anche lui.
 
 
Angolo dell’autrice
Ecco. Sono in lacrime. Scusate se ci sono errori, ma non ho avuto il tempo di rileggerla… mi ha davvero spezzato il cuore scrivere le ultime righe, anche se me immaginavo da quando ho iniziato questa storia.
Spero che vi piaccia anche questo straziante capitolo, fatemi sapere… un bacio <3

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Capitolo 13
*** XII seconda parte ***


Ero immobilizzato. L’ho già detto che vedere Gerard piangere è una delle cose più brutte che possano succedere? Non sapevo davvero come muovermi, perciò per prima cosa mi asciugai le lacrime. Prima era un lamento, poi quasi un grido.
-Non puoi lasciarmi, Frank… Non puoi farmi questo!- singhiozzava fortissimo, più forte che sulla scogliera.
-Sai cosa succede se te ne vai? E Mikey non ci sarà questa volta. Frank, non ne te andare. Non te ne andare, non te andare Frank, per favore…-
Continuava a ripetere la stessa frase, dondolandosi sulla sedia, avanti e indietro, piano, con la testa tra le mani. Dovetti farmi forza e raccogliere tutte il mio coraggio per avvicinarmi. Feci il giro del tavolo fino a che non mi trovai in fianco a lui, a capotavola.
-Mi dispiace tanto… Ma lo sai che non posso farci nulla… Noi due siamo diversi-
-Certo che lo siamo! Io ti lascerei mai!-
Bastarono tre parole, tre sole parole, e sentii il mio cuore sbriciolarsi in tanti piccoli frammenti.
-Io non ti lascio, lo sai-
Si alzò dalla tavola spaventandomi e facendomi indietreggiare. Avevo paura, Gerard aveva davvero dei problemi. La solitudine lo terrorizzava.
-Lo sai?! Che cosa credi di fare eh? Te ne vai, cambi agenzia, cambi stato, cambi casa, cambi tutto! Da quando te l’hanno detto?-
-Non sono neanche due settimane-
-Ti odio. Ti odio-
-Non è vero, Gerard-
-Non è vero? Avresti potuto almeno dirmelo prima! Io non voglio morire, Frank. Non voglio ricominciare a bere, non voglio stare male- stava implorando, non sono a chi o a che cosa, ma tra i singhiozzi, io lo sentivo, lui stava implorando. Stava implorando aiuto.
-Non voglio morire, non voglio morire-
-Stai zitto- non volevo che cominciasse a blaterare a caso.
-Non voglio…-
Lo presi per i capelli e lo baciai con impeto, assaggiando le sue lacrime. Volevo solo che non lo ripetesse.
Mi staccai.
-Non mi lasci morire, vero?-
-Devi stare zitto, capito?- catturai di nuovo le sue labbra, sperando di distrarlo. Ma niente, non reagiva, continuava a singhiozzare nella mia bocca.
-Gerard… basta, ti prego- gli accarezzai la guancia con la mano destra, asciugandogli occhi con il pollice.
-Non voglio che pensi a queste cose, mai. Okay?- gli lasciai un bacio leggero sul collo, poi un altro e un altro ancora, fino a che non lo sentii annuire. Gli spostai i capelli dal viso per poterlo baciare meglio, per fargli capire che C’ERO. Anche se per poco. Gerard, ricambia il bacio per favore, pensai. Era come baciare un morto.
Poi finalmente mi portò una mano dietro il collo, attirandomi a sé. Fece per stendersi sul tavolo.
-N-no. Di là, Gerard- ci spostammo verso la camera da letto e mi sedetti vicino a lui, in modo da poterlo vedere di profilo. Tutta la foga di prima sembrava sparita, Gerard guardava il vuoto. Mi avvicinai e lo feci girare verso di me.
-Gerard?- chiesi, posando una mano sul suo ginocchio.
-Che c’è?-
-Voglio fare l’amore.- risposi, più sicuro di quanto pensassi.
-Okay- mi baciò piano, cingendomi la schiena. Lo stavo forzando? Gli tolsi la maglietta e non fece una piega. La sua pelle diafana quasi brillava nel semi-buio della stanza. Era quasi bianca che desiderai riempirlo di baci e morsi ovunque, nonostante la situazione fosse tragica. Avevo un bisogno morboso, un bisogno morboso di Gerard.
Lo feci stendere baciandogli piano la clavicola. Ricominciò a piangere.
-Gerard?- chiesi di nuovo. Mi portai su, vicino al suo viso.
-Non vuoi?- appoggiai la fronte alla sua.
-L’ho voluto dalla prima volta che ti ho visto. Solo che non riesco a smettere di pensare al morire, Frank. Non lasciarmi-
-Non ti lascio, non ti lascio- e ripresi a baciarlo sulle labbra, esplorando con le dita il viso umido. Sapevo che non era così. L’avrei lasciato. Non ci potevamo fare nulla. Ma nemmeno io potei sopportare il pensiero di un Gerard ancora depresso e alcolizzato. Non doveva morire. Probabilmente lui per “morire” intendeva la depressione. Oh, dio. Per fortuna smise di piangere e finalmente reagì al mio tocco, che dal viso si era spostato ai fianchi. Si rilassò sotto il mio corpo. Non avevo un briciolo di esperienza in queste cose, ma sembrava che gli piacesse. Cercai di non notare i segni rossi che gli lasciavi di tanto in tanto sul petto. Gli sfilai i pantaloni, per poi ritornare a baciargli le labbra, scarlatte in confronto al resto del corpo. Mi tolse la maglietta bianca e decise che era arrivato il momento di cambiare le posizioni. Grazie al cielo.
Spinse il suoi bacino contro i miei fianchi e gemetti a contatto con la sua erezione, nonostante i tre livelli di tessuti che ci dividevano.
  1. I suoi boxer
  2. I miei jeans
  3. I miei boxer
Mi accarezzò piano il petto, dall’altezza del gomito fino alla cintura dei pantaloni mentre mi mordicchiava il labret. Gli implorai di muoversi. Non ce la faceva più, là sotto. Si decise a togliermi i jeans, ma poi sembrò cambiare idea e continuò a dedicarsi al mio collo. Salì con la lingua fino al lobo dell’orecchio e rabbrividii. Le sue mani fredde, ghiacciate, continuavano ad accarezzarmi in fondo alla pancia, sulle due colombe, quando sentii che superavano l’elastico dei boxer.
Oh, merda.
Sapevo che non sarei durato. La mia prima volta, capite? Com’era possibile durare tanto? E con uno come Gerard, poi?
Mi masturbò con dei movimenti delicati, mentre si teneva alzato su un gomito. Non riusciva a baciarmi mentre faceva tutto ciò.
Per essere la prima volta di entrambi non era male. Non eravamo poi così goffi.
O magari sì, lo ammetto.
-G-gerard…- capì che non sarei durato a lungo, così mi sfilò del tutto i boxer, primi che venissi nelle mutande. Lui fece lo stesso.
Non avrei mai e poi mai immaginato, la prima volta che lo vidi, che sarebbe andata a finire così.
Eppure, in quel momento, uno dei più belli della mia vita, stava sussurrando al mio orecchio, senza nessuna punta di malizia:
-Vuoi?-
In tutta riposta, agganciai le gambe alla sua schiena e mi avvicinai per baciarlo.
 
Quando finimmo, mi stesi sul letto sfatto, accedendomi una sigaretta. Sapevo che Frank lo tollerava. Mi si avvicinò, per accarezzarmi la schiena nuda.
-Non avrà fatto troppo male, spero- sussurrai dispiaciuto.
-Non tanto quanto raccontano-
Solo quando lo avevo penetrato mi ero accorto che non lo aveva mai fatto. Aveva iniziato a piangere, dicendomi comunque che andava tutto bene. Stavo male per lui. Ma nemmeno io ero stato troppo bravo. Nel senso, cazzo, chi è che pensa alla morte mentre fa sesso con il ragazzo più sexy della Terra?
Esattamente, io.
Dio, quanto ero stupido. Ma i miei pensieri non erano errati. Frank mi stava lasciando e questo significava solo una cosa: depressione. Io lo sapevo. Sapevo che non mi sarei dovuto affezionare a lui. Feci un tiro, cacciando indietro le lacrime. Non doveva vedermi piangere ancora.
-Ti amo- mi disse.
Girai la testa verso di lui e sorrisi. Ci baciammo, tra un tiro e l’altro. Era la prima volta che me lo diceva. Non me lo aveva mai detto nessuno.
Poi, un lampo mi saettò nel cervello. Una lampadina.
No, lui non mi amava.
Sennò non mi avrebbe lasciato.
Raccattai le mie cose velocemente e mi vestii.
-Pensavo che stessi con me, per questa notte-
-Huh?-
-No?-
-Mi ami?-
-Sì, Gerard- sospirò –ma che ti prende?-
-Allora perché mi lasci morire?-
-Io non ti lascerò morire, intesi? Perché dici così? Ti prego, non dire più niente del genere-
Mi rimisi a letto, rannicchiandomi vicino a lui.
-Sto diventando matto?- mormorai.
 
 
Angolo dell’autrice
Ok, ok, ok *respiri profondi* ho deciso di dividere il capitolo in due parti, come avrete magari visto.
Finalmente concludono, amen.
Non volevo però una scena né troppo volgare né troppo dolce. Così ci ho messo le lacrime e mi odio. Ma comunque… sì, questo è il capitolo di oggi, spero che vi sia piaciuto e fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacio a tutti <3

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Capitolo 14
*** XIII ***


La mattina dopo, cercai di non pensare al fatto che Frank stava per andarsene, ma provai a bearmi del fatto che mi sarei goduto appieno uno degli ultimi giorni in sua compagnia. Ho sempre odiato la domenica. Perché io di domenica me ne sto a casa, a leggere, a guardare la televisione e a mangiare. Non faccio nient’altro e ho sempre paura di non riuscire a tornare con i piedi per terra il lunedì, e di conseguenza morire. Non vivo più con Mikey, lui ha la ragazza e non si occupa più di me. Ricordo che, quando stavo male, tutte le mattine mi svegliava e mi lavava, nella vasca minuscola del nostro ex appartamento. Addirittura, una sera tornò a casa dal lavoro e si accorse che avevo ingerito qualche medicina di troppo, così mi ficcò lui due dita in gola, perché io mi rifiutavo di farlo. Non volevo vomitare, io volevo morire. Non avevo mai pensato a come doveva essere per lui trovarmi tutti i giorni sbronzo, a letto, pelle e ossa e fatto due giorni sì e uno no. Ma non deve essere stato piacevole. Io lo amo. Nel senso, sul serio. Non sarei qui a raccontarvi la mia storia con Frank se non fosse stato per lui.
Comunque, quella mattina era una domenica. La prima di settembre. Mi resi conto che Frank era stato un’estate. Una breve ma intesa estate, che volevo non finisse mai più come lo vogliono gli studenti. La prima cosa che feci fu prendere il pacchetto di sigarette e avviarmi piano verso il balcone della camera da letto di Frank cercando di fare il meno rumore possibile. Tirai la tenda nera di qualche centimetro e mi accorsi che c’era già tanta luce. Merda. Allora la tirai del tutto e Frankie si svegliò.
-Gee… che diamine stai facendo?- si mise a sedere e si stropicciò gli occhi.
-Mettiti le mutande, Frank- ridacchiai e accesi una sigaretta, uscendo in terrazzo. Poco dopo il piccoletto mi raggiunse e mi chiese una sigaretta.
-Wow… non credevo che fumassi- annuii meravigliato e gliene porsi una.
-Diciamo che… fumavo- l’accese e fece un tiro (dio, era così bello) –quando stavo con il mio ex-
-Perché hai smesso?-
-Lui non era una brava persona, in verità. Eravamo in una brutta compagnia che ci trascinavamo dal liceo. Tutti drogati e alcolizzati, tutti possessivi… lui era possessivo- rabbrividì.
-Mi stai descrivendo, lo sai vero?- gli feci notare.
-Loro lo facevano per divertimento- si sedette sul parapetto, e io con lui.
Gli accarezzai una guancia, perché non ne potevo fare a meno.
-E tu? Tu l’hai mai fatto?- mormorai.
Frank si guardò i piedi scalzi e buttò fuori il fumo strizzando gli occhi. Non era più abituato a fumare, si vedeva. Annuì un paio di volte.
Ah.
Lo strinsi a me baciandolo sulla testa e lui ridacchiò. Era brutto vederlo sentirsi in colpa. Capita a tutti di sbagliare conoscenze, di sbagliare vita, mentre si trova quella giusta. Ci alzammo e lo presi in braccio stile “marito e moglie“, provocandogli mille risate. Lo buttai sul letto e presi a fargli il solletico.
-Gee! Gee basta, bastaaaa-
Era bellissimo.
Lui.
E tutto lo era, in quel momento.
Mi coricai di fianco a lui ansimando, con il sorriso sulle labbra, e lo strinsi tra le mie braccia fortissimo. Non dovevano portarmelo via.
-Non te ne vai da me-
-Non adesso, Gerard- sbuffò, il viso intrappolato nella mia spalla.
-Ho paura. Quanto ci resta?-
-Quattro giorni-
Le due parole che mi sconvolsero l’esistenza.
-Quattro giorni sono pochi- lo abbracciai ancora più forte –non voglio che tu te ne vada-
-Nelle ultime dodici ore lo avrai detto trenta volte, sai? E ognuna mi ha fatto più male dell’altra-
Sembrava arrabbiato. Ne aveva il diritto?
No. Sì.
Stavo diventando possessivo come il suo ex ragazzo.
-Frankie…-
-Sì?-
-Stavo pensando… sei stato un bel po’ con quel tipo, perché non avete mai…?-
-Che cosa? Ah, uhm. Lui aveva… un problema con queste cose. Ogni volta che… avevo in programma di concludere, lui si sbronzava. E quando mi avvicinavo mi trattava male-
-Frankie…-
-Mi picchiava. Cioè, non proprio… il peggio che ha fatto è stato rompermi un dito-
Merda. Ma che cazzo venivo a scoprire?
-Perché non l’hai lasciato, allora?-
-Si vede che non hai mai amato qualcuno, Gerard-
Falso. Io ti amo, pensai.
-Quando si ama qualcuno, si fa di tutto pur di salvarlo-
Vero.
-Non lo si lascia morire-
Vero.
-E allora perché tu lo stai facendo?- chiesi.
Lui si staccò dalla mia stretta.
-Cosa?! Gerard, io non ti lascio morire. Smettila, per favore. Tu non stai morendo, cazzo. Non sei più malato, stai bene, guardati. Ora basta dire stronzate-
Aveva ragione, lo sapevo.
-Ora ce ne andiamo in un bar e facciamo colazione, ok?- si alzò dal letto e venne dalla mia parte, facendomi segno di alzarmi. Mi mise un po’ a posto i capelli tutti arruffati e mi diede il primo bacio della giornata, che non potei fare altro che ricambiare portando una mano sul suo sedere. Lui la prese e l’appoggiò sul mio, ridendo.
-Che stronzo- ridacchiai.
-Il tuo è meglio- mi baciò.
-E’ una gara?- lo baciai.
-Forse- stavo per dargli un altro bacio, ma lui mise un dito sulle mie labbra e allora ci vestimmo. Pendevo letteralmente dalle sue labbra, in tutti i sensi.
In fondo alla via di Frank c’era un bar piuttosto carino, perciò decidemmo di fermarci lì. Appena entrammo, si paralizzò. Nel senso, strinse forte la mia mano e questa quasi andò in cancrena. Guardava fisso il bancone e mi fece segno con gli occhi di avviarci. Ancora non capivo. Ci sedemmo sugli sgabelli neri e blu e chiesi una spiegazione a Frank.
-Lui è qui- sibilò.
Chi? Mi guardai intorno.
-Non guardare-
-Frank… la mia mano-
-Sì, hai ragione. Allora, il mio ex è qui-
Appena me lo disse lo riconobbi. Era altissimo, sicuramente anoressico, i capelli biondi. Sui trenta. Sembrava una persona normale, ma c’era qualcosa che non andava.
L’occhio.
Aveva un occhio di vetro. Apposto.
-Vuoi che andiamo da un’altra parte?- notai che stava tremando.
-Andiamo a casa, ti prego-
-Sta piovendo-
-Sul serio?-
Non osava girarsi, il suo sguardo era fisso sulle varie bottiglie di liquore esposte nelle vetrine dietro il bancone.
-Non importa. Voglio uscire di qui-
Decisi che la sua scelta contava più di tre mie scelte messe insieme.
Proprio quando la cameriera si avvicinava a noi, uscimmo piano dal locale e i due si scambiarono uno sguardo veloce. Ci buttammo sulla strada e piano piano i nostri vestiti si inzupparono.
Sapevo quello che sarebbe successo a casa. Era un enorme cliché, ma io volevo che accadesse.
E infatti, appena dentro, non dissi una parola e mi fiondai in bagno. Lasciai i miei vestiti zuppi sul pavimento ed entrai nella enorme doccia. Non feci in tempo a mettere la testa sotto l’acqua che sentii i passi di Frank. Entrò anche lui.
-Non abbiamo fatto colazione… scusa-
-Non importa- notai che la sua voce tremava ancora, così come le mani. Gliele strinsi.
-Stai bene?-
-Uhm, sì. Più o meno-
La doccia era così enorme che non ci sfiorammo neanche. Ci lavammo e basta. E a me andava bene così.
 
 
Angolo dell’autrice
Eccomi con una altro capitolo di passaggio piuttosto breve. Penso che mancheranno più o meno tre capitoli alla fine e un po’ mi dispiace, mi ci sono davvero affezionata a questa storia çç coomunque, spero che vi sia piaciuto e come sempre vi mando un bacione.
Alla prossima <3

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Capitolo 15
*** XIV ***


Tutta la notte seguente pensai a Gerard e a quanto doveva essere vulnerabile. Ero pazzo, ero davvero pazzo a fare una cosa del genere. Sapevo che andarmene avrebbe lasciato vincere i suoi demoni. Potevo immaginarmi tutte le cose brutte che gli sarebbero capitate. E se invece riuscisse a dimenticarmi e andare avanti?, pensavo. Ma Gerard non era un tipo che faceva cose del genere. Non aveva mai amato nessuno e probabilmente non amava neanche me, ma ero sicuramente l’unico ad avergli donato certi momenti e certe sensazioni impossibili da dimenticare. Mi sentivo un mostro, avrei dovuto averne parlato con lui prima di accettare il lavoro nuovo? Sicuramente. Non volevo che stesse male, anche se non sembra. Ma io e Gerard eravamo diversi. Io non volevo certamente fermarmi, volevo continuare la mia carriera. Avevo paura, anche. Gerard era l’unico che mi aveva capito, accettato e aiutato. L’unico, e dico l’unico, che era riuscito a guidarmi le respirazioni. Nemmeno lo psicologo che avevo a 11 anni, quello che mi aveva, appunto, diagnosticato gli attacchi di panico, riusciva a farlo. Io non volevo. Mi nascondevo sotto il lettino e me le guidavo da solo, fino a che il battito non ritornava normale. Non volevo che mi vedesse in stato di vulnerabilità. Eppure mi ero mostrato debole un sacco di volte davanti a Gerard e mai in una di queste mi ero sentito intimidito o impaurito. Ci vado ancora dallo psicologo, ogni tanto. E non voglio che mi veda tutt’ora. Il fatto è che non fa male solo il cuore, che sembra esplodere, tremi tutto, piangi, a volte mi era capitato anche di buttare a terra ciò che avevo in mano. Mia mamma diceva che non mi riconosceva, quando avevo quegli scatti. E poi, le mani diventano ghiacciate. Gerard aveva sempre le mani fredde. Se mi concentro, riesco a ancora a sentirle sulla mia schiena, sul mio collo, sul mio viso, sulla mia pelle.
Quella mattina, il lunedì, uscii di casa presto. Volevo vederlo e dirgli che lo amavo sul serio, che non lo avrei lasciato morire. Lui era fuori, seduto al tavolino appena sulla soglia dell’agenzia, che fumava una delle sue amate Marlboro rosse. Appena mi vide si alzò buttando la cicca per terra. Affondai nel suo petto e lui mi strinse forte, tenendomi la testa fra le mani.
-Mi sei mancato, piccolino-
Sorrisi.
Mi liberai dalla sua stretta e gli diedi un leggero bacio sulle labbra che lasciava intendere molte cose. Gli sfiorai il labbro inferiore con il pollice.
-Ti amo- sussurrai.
-Ti amo- mormorò di rimando lui.
Volevo che lo sapesse, non avevo intenzione di andarmene senza che lui lo sapesse.
Entrammo e Roberta, dietro il bancone, mi sorrise. Quella mattina avevamo un servizio insieme, l’ultimo, che non vedevo l’ora di fare. Prendemmo l’ascensore e Gerard premette il pulsante con colorato sopra il numero 6. Mi lasciò un bacio che immediatamente si trasformò in qualcosa di decisamente più approfondito.
1
2
Mi avvinghiai al suo collo con le braccia, scoprendo la gola. Mi baciò delicatamente il pomo d’Adamo, stando attento a non lasciare succhiotti.
3
4
Si appoggiò alla parete e avvicinò i nostri bacini. Gemetti, aprendo la bocca in modo decisamente volgare.
-Non vorrai mica venire in ascensore?- ridacchiò, la voce roca terribilmente eccitante.
5
-Sei squallido- risposi.
Dlin dlon.
Ci staccammo e mi sistemai la polo verde come potei. Non ero mai stato lassù, in cima, sul tetto. Ero emozionatissimo. Si vedeva tutta la città.
-Ti piace?- mi chiese Gerard, avvicinandosi.
-Molto-
-Su, piccioncini, sbrigatevi a cambiarvi- la voce di Matty s’intromise bruscamente nella conversazione. Era arrivato con tutta l’attrezzatura per scattare e filmare. Io e Gerard ci mettemmo i nostri vestiti (e sinceramente non mi ricordo neanche cosa fossero, so solo che erano orribili) e subito Matty iniziò a scattare. Dopo un po’ chiese a Gerard di accendersi una sigaretta e lui annuì.
-Scommetto che è la terza che fumi oggi- dissi.
Gerard annuì di nuovo.
Lo presi per un braccio.
-Non ti sembra di esagerare?-
-Frank!- mi riprese Matty. Mi allontanai da Gee. Tre sigarette ed erano solo le dieci di mattina.
Fortunatamente il servizio finì presto. A mezzogiorno, mi rivestii e scesi, con Gerard alle calcagna.
-Dove vai?-
-A parlare con Roberta di… beh, lo sai-
-Oh. Allora ti aspetto in mensa-
-Dammi cinque minuti-
Aspettai che Gerard svoltasse l’angolo e poi aprii la porta dell’ufficio di Roberta. Lei non c’era, ma al suo posto vidi Alex che cercava tra le scartoffie.
-Frank! Non sai quanto mi dispiace vederti andare via… ma, dopotutto, sono molto orgoglioso. Ti abbiamo cresciuto noi- continuava a parlare senza guardarmi, intento in quello che stava facendo. Quando finalmente trovò quello che cercava, alzò il foglio in segno di trionfo e uscì dalla stanza come se neanche esistessi. Rimasi lì in contemplazione dell’ufficio per un paio di minuti, poi Roberta entrò, sorridendomi. Si chiuse la porta alle spalle e vidi che con la mano cercava la chiave, nella serratura. Percepii la sciagura che arrivava. La chiave non c’era, ma sembrò non preoccuparsene. Mi si avvicinò raggiante e non potei fare a meno di indietreggiare.
-Non puoi immaginare il dispiacere che provo… il nostro piccolo Frank se ne va. Ma non prima- mi slacciò un bottone della polo –di questo-
Che cazzo stava succedendo?!
-In verità io, ehm… sono venuto per dirle…-
-Vi ho provati tutti, dal primo all’ultimo. Tranne quel Way. Quello rosso, dico, il biondo l’ho provato eccome. Gerard non ne ha mai voluto sapere, mai… una sera mi ha perfino picchiata. Ma non potevo licenziarlo, mio marito avrebbe scoperto tutto. Ora tocca a te- finì di sbottonarmi la maglietta.
Dio mio.
Prese a baciarmi sul collo e io cominciai a tremare violentemente. Lei non sembrò accorgersene. Una lacrima mi rigò la guancia, non sapevo come reagire.
La porta si aprì violentemente e l’ultima voce che volevo sentire in quel momento arrivò alle mie orecchie.
-Frank, cosa…- non appena si rese conto della situazione, le parole gli morirono in gola.
Oh dio, cosa stavo facendo?
Sbigottito, incredulo, confuso, Gerard uscì sbattendo la porta.
Roberta era rimasta impietrita. La spinsi via da me così forte che barcollò rompendosi un tacco e cadde a terra.
-Stronza…- sibilai tra le lacrime, mettendoci più odio possibile.
-Non lo vedi cos’hai fatto?-
Lei rimase ferma, come bloccata e io ripetei l’insulto un po’ più forte.
Uscii dall’ufficio e mi diressi a cercare Gerard, incapace di trattenere i singhiozzi. Per fortuna non incontrai nessuno durante il tragitto fino alla mensa. Lo trovai appoggiato alla finestra, nella nostra nicchia. Non stava piangendo, ma il suo viso era l’apoteosi della rabbia. Appena mi vide, infatti, cominciò ad urlarmi contro.
-Vattene via! Via! Non ti voglio più vedere, capito? Più!-
Quando vide che stavo singhiozzando, la voce si ridusse a un sussurro.
-Ti prego, Frank. Vai via-
E me ne andai. Fuori. Lontano. Mi gettai in strada senza più controllare il pianto e promettendomi di non rimettere più piede in quel luogo.
 
 
Angolo dell’autrice
Lo so che mi state mandando maledizioni. Lo so, lo so.
Non mi dilungo molto perché non ho tanto tempo, spero non ci siano errori di battitura e che vi sia piaciuto.
Un abbraccio e tanto angst frerard <3

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Capitolo 16
*** XV ***


I giorni seguenti furono peggio di un inferno. Li passai facendo i bagagli, prenotando i voli, parlando al telefono con la mia nuova agenzia e, infine, feci il trasloco. Era tutto così strano. La casa vuota, il portafoglio pieno e niente Gerard. Ero dell’idea che non l’avrei mai più visto, me ne ero fatto una ragione. Non sapevo dove abitava, non avevo il suo numero di telefono (cosa alquanto strana) e non avevo idea di come farmi perdonare. Era tutto finito. Un’altra era della mia vita era passata e dovevo voltare pagina, ancora e ancora. Telefonai a Mikey un paio di volte, per sapere di lui. Non si era presentato al lavoro dal lunedì e il fratello non aveva sue notizie, ma “Gerard è adulto e deve imparare a badare a sé stesso”. Da quello che capii, Gerard non aveva mai voluto un cellulare perché odiava essere rintracciato. Era una cosa accettabile. Un po’ ero preoccupato. Forse più di un po’. Ma lui non mi voleva vedere, me lo aveva urlato in faccia. Non dirò mai a nessuno quanto piansi quel giorno, quanto quelle parole mi fecero male.
Avevo deciso da un pezzo che me ne sarei andato senza salutare per l’ultima volta Gerard, quando, l’ultima sera, mi venne un’illuminazione. Mi era stata concessa un’estate, una sola estate per salvarlo. Ne avevo il dovere, dovevo farlo. Erano le sette e mezza e l’agenzia avrebbe chiuso alle otto. Avevo poco tempo per decidere il daffare.
Aspettai una decina di minuto, tanto per vedere se avrei cambiato idea. Ovviamente, mi decisi a comporre il numero dell’agenzia.
Squillò tre volte, dopodiché una voce femminile mi ordinò di attendere in linea. Obbedii. Dopo una manciata di minuti la segretaria che stava al bancone di solito, rispose.
-Sono Frank. Iero- risposi alla domanda “Con chi parlo?”
-Oh, Frank. Posso aiutarti?-
-Sì, penso. Uhm, avrei bisogno dell’indirizzo civico di Gerard Way- chiesi cortesemente, con la gola secca.
-Un attimo- sentii che apriva i cassetti della scrivania –Hai sue notizie? So che siete amici e non viene da un po’-
-No… n-non so nulla-
Mi dettò l’indirizzo e io lo scrissi su un post it appiccato a uno degli ultimi scatoloni.
-Ecco. Spero che stia bene-
-Anch’io. Grazie mille-
Riagganciai.
Mi passai una mano sul viso, accorgendomi di aver sudato solo per una telefonata. Mi spostai lentamente in bagno e entrai in doccia, buttando i vestiti nel lavandino. Lasciai che il getto mi arrivasse dritto in faccia, facendomi male. Che cosa potevo fare? Avevo l’indirizzo di Gerard, abitava una manciata di isolati dall’agenzia. Una volta in casa sua, cosa avrei fatto? Cosa, o meglio, chi avrei trovato? Non volevo trovarmi di fronte un Gerard ubriaco fradicio un’altra volta, ma era il minimo. E se fosse stato già “morto”? Morto per colpa mia?
In pochi secondi mi rivestii e scesi per strada, la maglietta bianca appiccicata al petto ancora umido, il foglietto stretto in pugno. Attraversai la strada e imboccai il primo viale, che mi avrebbe portato in stazione. Era una cosa folle.
Controllai i cartelli: il treno non sarebbe arrivato prima di un’ora, così decisi di andare a mangiare qualcosa al bar della stazione. Dovevo avere un aspetto orrendo, perché tutti, nessuno escluso, si girarono verso di me. Mangiai due panini, anche se non avrei dovuto, e una birra. Così, tanto per. Mi sedetti su una panchina arrugginita e aspettai la mia corsa. Cominciava a fare freddo e io avevo solo una t-shirt e le bermuda. E i capelli bagnati. Mi portai le braccia al petto cercando di scaldarmi, pregando che Gerard fosse ancora tra noi.
Il treno arrivò alle nove. Saltai su utilizzando uno degli ultimi tre biglietti che mi erano rimasti da agosto. Mi lasciai cadere sul primo sedile libero che trovai, purché si trovasse in un vagone completamente vuoto. E non fu così difficile trovarlo, a quell’ora. Tirai fuori dalla tasca il post it giallo. Avrei finalmente rivisto Gerard. L’avrei salvato, ne ero sicuro. Poco dopo, due vecchi si sedettero sui sedili davanti a me. Al diavolo.
Passai il resto del viaggio ascoltando i loro discorsi, principalmente basati su partite al bingo e cose così.
Dio, se esisti, vai da Gee e digli che lo amo e che sto arrivando, pensavo.
Mi sembrava pazzesca la piega che aveva preso la serata.
Quando finalmente arrivai, decisi cosa fosse meglio tra correre o camminare normalmente fino alla casa di Gerard. Era piuttosto lontana, una mezz’ora buona, e non potevo permettermi il taxi. Non avevo portato con me nulla e il poco che avevo in tasca l’avevo speso per la cena. Mi maledissi. Cominciai a camminare a passo spedito e dopo una ventina di minuti mi ritrovai davanti all’agenzia. Le luci spente, le finestre chiuse. Per un momento pensai che potevo rompere un vetro, così, per fare un dispetto. Ma poi lasciai perdere.
Dopo aver visto quel posto, il mio umore era caduto ai piedi. Mi trascinai per altri cinque isolati e avanzai fino a che la scritta sui cartelli non combaciò perfettamente a quella del mio fogliettino. Preso trovai anche il numero civico di Gee e rimasi sbalordito. Era una villa gigantesca, bianca e verde, da quello che riuscivo a vedere. Le finestre erano chiuse e i vetri oscurati. Mi sedetti sui gradini che davano sul vialetto e ci ripensai su un attimo. Quello che stavo per fare non aveva senso. Entrare in casa del mio ex ragazzo e…
Oh, merda.
La porta non era del tutto chiusa. L’avevo visto, uno spiraglio di luce. Ogni tanto mi stupisco di quanto possa essere fantastico il mio cervello. Oh, dio, l’avevo visto. Non avrei avuto bisogno di bussare e sarebbe stato tutto più facile.
Grazie, grazie, grazie.
Comunque, quello fu il colpo di grazia che mi decise ad alzare le chiappe e ad entrare in casa di Gerard. Mi soffermai un’ultima volta sotto il portico e controllai l’orario, le undici, ma poi mi mandai a cagare e aprii delicatamente la porta. Fui subito bloccato da un paio di jeans scuri buttati a terra e due bottiglie vuote di birra. Spinsi un po’ di più e misi dentro la testa, senza fare il minimo rumore. Davanti a me c’era l’ingresso, con uno specchio antico gigantesco appoggiato a una credenza in legno. Entrai completamente, calpestando i jeans, mi girai e lo vidi. Chiusi la porta alle mie spalle. Lui non sembrava essersi accorto di me. Portava maglietta e pantaloni neri, entrambi troppi grandi per lui, e se ne stava seduto sul divano di pelle a guardare il vuoto, un sorrisino gli incurvava le labbra. Stava fumando e ai suoi piedi aveva una cosa come una dozzina tra lattine e bottiglie di qualsiasi cosa e il portacenere sul tavolino alla sua sinistra era colmo.
Non c’era molta luce nella stanza, soltanto una lampada alogena in un angolo, in fondo. Era comunque un bel salotto, moderno, ben arredato, con grandi vetrate. Mossi qualche passo e lui si girò verso di me. Il sorrisino di prima sparì immediatamente. Percorsi l’ingresso con decisione e mi appostai di fronte al divano. Era sbronzo fuori misura.
-Gerard…-
-Cosa ci fai qui?- mormorò. Sembrava impaurito. Aveva paura. Di me?
-Non dovresti tenere la porta aperta. E’ pericoloso-
-Penso di non averla chiusa quando è arrivato il tipo delle pizze- rise fortissimo, senza motivo, senza un perché. Ero preoccupato. Forse non sarei riuscito a salvarlo.
-Oh, dio, Gerard…- sussurrai, portandomi una mano alla bocca.
Bevve un sorso da una lattina di birra.
Odiavo vederlo così, odiavo guardarlo distruggersi, odiavo osservarlo morire senza poter fare nulla.
Mi avvicinai a lui, forse troppo in fretta.
-Devi finirla, adesso- gli ordinai, alludendo al bere.
Probabilmente mi vide come un minaccia e si spaventò, perché in un nanosecondo mi ritrovai attaccato al muro, i polsi immobilizzati. Gerard, dalla foga, aveva colpito anche la televisione, e l’X Box giaceva a terra, sicuramente irrecuperabile.
Sentii le unghie del moro penetrarmi la pelle all’interno del polso, il suo fiato bollente d’alcool che mi pungeva il naso.
-Chi ti credi di essere? Ti imbuchi in casa mia, dopo quello che mi hai fatto, e ti permetti anche di dirmi cosa fare e cosa non fare? Vaffanculo, Frank- sibilò o urlò, non seppi riconoscerlo, il dolore mi attutiva i sensi, ma la cosa certa era il fatto che fosse furente.
-Gerard… Smettila, m-mi stai facendo male- ero sull’orlo del pianto.
Mi lasciò e vidi il senso di colpa percorrerlo dalla testa ai piedi.
-Dio, Frank, cosa ho fatto- si risedette sul divano nero, la testa tra le mani.
Non dissi nulla. Il fatto era che Gerard si stava mostrando talmente vulnerabile… avevo paura di ferirlo. Mi sedetti in fianco a lui.
-Ti ho fatto male?- mi guardò i polsi
Non era ubriaco.
Era fatto.
Lo vedevo dai suoi occhi.
-Un po’- mentii. Mi aveva fatto tanto male.
-Mi dispiace. Sei l’ultima persona a cui vorrei far del male-
Si morse il labbro e spuntò un rivolo di sangue. Lo asciugai con il pollice.
-Frank, mi dispiace…- iniziava a piangere e io non volevo.
-E’ colpa mia. Shh, è colpa mia-
Lo strinsi a me. Un po’ avevo paura della sua reazione, ma poi si abbandonò al mio abbraccio. Non volevo che finisse, ma Gerard si lasciò cadere sul divano.
Così mi dovetti spostare anche io e mi misi a cavalcioni sulle sue cosce.
-Ehi- gli accarezzai il viso, sorridendo.
-Ehi- sorrise anche lui e il mio cuore, per un secondo, smise di battere.
Mi avvicinai stampandogli un bacio sulla fronte.
-Perché sei venuto?- biascicò.
-Domani mattina parto-
Scesi e le nostre fronti si toccarono. Lo baciai timidamente.
-Oh- commentò, per poi tornare sulle mie labbra, inumidendole.
Si staccò, improvvisamente.
-So di alcool, vero?-
-Solo un pochino- ammisi, mentendo di nuovo.
Gli tolsi piano la maglietta, che poi appoggiai alla mia sinistra. Gli sorrisi.
Oh, dio.
Aveva lo sguardo completamente perso.
Stavamo per fare l’amore per l’ultima volta e lui era fatto.
Gli accarezzai la schiena pallida, cercando di cacciare indietro le lacrime che facevano capolino.
Non smisi di guardarlo, per attirare la sua attenzione. Lo accarezzai ancora e ancora, su e giù, dalla nuca fino alla cintura dei pantaloni.
Finalmente tornò a guardarmi.
-Ehi- ripetei dolcemente.
In tutta risposta cercò le mie labbra, che trovarono subito le sue, ancora una volta.
Non mi sarei mai stufato di baciare Gerard.
Di sentire il suo respiro sul mio collo.
Dei morsi che dava al mio labret.
Mi tolsi anch’io la maglietta e come ogni volta Gee trattenne il fiato. Mi attirò di nuovo a sé, cingendomi i fianchi e mi baciò piano il collo fino alle clavicole. Poi scese al petto, le dita gelide appoggiate alle mie spalle e di nuovo su, sulle labbra. Passò la lingua più e più volte sul contorno della mia bocca facendomi gemere, segno che lui aveva da sempre inteso come un’accettazione per spingersi più in là.
Le mie mani percorrevano il suo petto alla ricerca delle sue e quando le trovarono ci si agganciarono forte.
Si slacciò dalla mia presa per toccarmi.
-Vuoi?- chiese, come la volta precedente. Non era mai malizioso, neanche da fatto.
Annuii. Ci togliemmo tutti i vestiti e facemmo spazio sul divano.
Pregai che l’effetto della droga fosse già sparito.
 
 
Angolo dell’autrice
Penultimo capitolo. Okay, adesso, siamo sinceri, è il più bello di tutta la storia. Non pensavo che sarei mai riuscita a scrivere di Frank e Gerard in questo modo, ma mi hanno davvero preso.
Spero che vi sia piaciuto e che non vi abbia distrutto troppo i feels.
Domani posto l’epilogo.
Un bacione <3

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Dire addio è triste.
Dire addio a Frank lo è ancora di più.
Venire privati delle persone che si amano è terribile.
Se poi si conta che Frank è l’unica che amo, lo è ancora di più.
 
Se potessi scegliere un momento da fotografare e poi incorniciare sceglierei questo.
Frank è qui, sul mio petto diafano, che si alza e si abbassa al mio respiro. La bocca socchiusa e gli occhi che fissano il pavimento.
Oh, dio, Frank, quanto ti amo.
-Quanto tempo hai ancora?-
-Quanto ne vuoi-
-Allora resta per sempre-
Frank sospira solleticando la mia pelle con il suo soffio.
Alza la testa e mi guarda.
Lo stringo a me, intrecciando le gambe con le sue.
-Il volo è alle nove-
-Non riuscirò a vivere a lungo senza di te, lo sai-
Guardò il soffitto, facendo rientrare le lacrime.
-Ci ho provato, Gerard-
Frank piange.
-Te lo giuro, ma non posso. L’unico modo per salvarti è rimanere qui, lo so-
Lo faccio alzare e gli dico di vestirsi.
Raccolgo il mazzo di chiavi che tengo sempre in entrata e usciamo.
Saliamo in macchina.
-Gerard, non puoi-
-Posso-
-Non sei nelle condizioni adatte per farlo-
-Frank…-
-Gerard.-
Non gli rispondo più e avvio il motore, percorrendo il vialetto.
-Perché non lasci guidare me?-
-Perché non sai dove stiamo andando-
-E tu lo sai?-
-No-
Lo so.
 
Nonostante siano le tre di notte, le strade non sono deserte.
Fiancheggiamo la costa e continuo a ripetere a Frank che lo amo.
Più che posso, ancora e ancora, fino allo sfinimento.
Parcheggio e scendiamo sulla spiaggia.
Frank mi abbraccia e io lo stringo forte, più forte che mai, perché lui sa il motivo.
Il perché di quel posto.
Saliamo sulla scogliera senza dire una parola, il silenzio ci sembra opportuno.
Mi siedo a gambe incrociate di fronte a Frank e lo guardo.
-Te lo meriti. Quel lavoro-
-Gerard…-
-Grazie, Frankie. Anche se non mi hai salvato, anche se ci stiamo dicendo addio, anche se sono un disastro e ho sprecato gli ultimi giorni che mi rimanevano con te a bere a farmi… Grazie, perché so di essere amato-
Appoggio la fronte sulla sua e così, come tutto è iniziato, lentamente finisce.
 
 
Angolo dell’autrice
Dopo quindici capitoli, ecco la fine. Mi si spezza il cuore, perché sono le mie creature, i miei personaggi e mi dispiace davvero finirla. Ho già in mente delle idee per altre storie e spero che mi seguiate sempre.
Ringrazio tantissimo tutte le persone che hanno letto, recensito, messo tra i preferiti o tra i seguiti la mia storia.
Un grazie speciale va a katietta91 che mi ha sempre supportata, in ogni capitolo e con uno solo commento mi ha sempre fatta sentire… importante? Grazie infinite, davvero, sei un tesoro.
È la prima fanfiction in assoluto che pubblico e che PENSO per intero e non sapete nemmeno quanto io ci tenga.
Vi ringrazio tutti, dal primo all’ultimo.
Un bacione <3

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