Colpa Delle Stelle, Larry Stylinson

di DwyClifford
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo uno

Nel tardo inverno dei miei sedici anni mia madre ha deciso che ero depresso,
presumibilmente perché non uscivo molto di casa, passavo un sacco di tempo a
letto, rileggevo infinite volte lo stesso libro, mangiavo molto poco e dedicavo
parecchio del mio abbondante tempo libero a pensare alla morte.
Sugli opuscoli che parlano di tumori o nei siti dedicati, tra gli effetti collaterali
del cancro c'è sempre la depressione. In realtà la depressione non è un effetto
collaterale del cancro. La depressione è un effetto collaterale del morire. (Anche il
cancro è un effetto collaterale del morire. Quasi tutto lo è, a dire il vero.) Mia
madre però si era convinta che avevo bisogno di nuove cure, così mi ha portato
dal dottor Jim, il mio medico di base, il quale ha confermato che stavo
sguazzando in una paralizzante e certo clinica depressione, e che perciò i miei
farmaci dovevano essere rivisti e dovevo anche frequentare un gruppo di
supporto.
Il mio gruppo di supporto era composto da un cast mobile di personaggi in vari
stadi di malessere indotto dal tumore. Perché il cast era mobile? Un effetto
collaterale del morire.
Il gruppo di supporto, nemmeno a dirlo, era deprimente al massimo. Ci si
incontrava ogni mercoledì nel seminterrato di una chiesa episcopale in muratura a
forma di croce. Ci sedevamo tutti in cerchio proprio al centro della croce, dove i
due bracci si incrociavano, nel punto in cui si trovava il cuore di Gesù. L'avevo
notato perché Paul, il capogruppo, nonché l'unico della stanza ad avere più di
25 anni, parlava del cuore di Gesù a ogni singolo assurdo incontro, dicendo
che noi, giovani sopravvissuti al cancro, ci trovavamo proprio nel sacro cuore di
Gesù, e così via.
Nel cuore di Dio le cose andavano così: i sei o sette o dieci che eravamo
entravano a piedi/in carrozzina, brucavano una decrepita selezione di biscotti e
limonata, si sedevano nel Cerchio della Fiducia e ascoltavano Paul raccontare
per la millesima volta la sua miserevole, deprimente storia di vita.
Poi noi ci presentavamo. Nome. Età. Diagnosi. E come stavamo quel giorno.
Sono Louis, dicevo quando toccava a me. 22 anni. In origine tiroide, ma con
una solida e nutrita colonia satellite nei polmoni. Sto così così.
Finite le presentazioni, Paul chiedeva sempre se c'era qualcuno che voleva
esprimere le sue emozioni. E allora iniziava il sussulto circolare di supporto: tutti
che parlavano del loro combattere e battagliare e vincere e recedere e sottoporsi a
esami.
L'unico aspetto positivo del gruppo di supporto era Niall, un tipo con la faccia
paffuta, magrissimo, i capelli biondi tinti lisci che gli ricadevano apposta sopra un
occhio.
E il suo problema erano proprio gli occhi. Aveva un cancro straordinariamente
improbabile agli occhi. Uno gli era stato tolto da piccolo, e ora portava lenti
spesse che gli facevano sembrare gli occhi (sia quello vero che quello di vetro)
enormi in un modo innaturale, come se la sua intera testa si riducesse
semplicemente a questi due occhi, quello finto e quello vero, che ti fissavano. Da
quanto riuscivo a capire nelle rare occasioni in cui Niall condivideva la sua
esperienza col gruppo, la ricomparsa del male aveva messo il suo unico occhio
buono in mortale pericolo.
Io e Niall comunicavamo quasi esclusivamente attraverso sospiri. Ogni volta
che qualcuno discuteva delle diete anticancro o dei benefici della pinna di
pescecane, lui mi scoccava un'occhiatina, a cui faceva seguito un microscopico
sospiro. Io per tutta risposta scuotevo la testa in maniera impercettibile e sbuffavo.
Il gruppo di supporto, quindi, si era rivelato una gran delusione, e nel giro di
poche settimane sono diventato piuttosto refrattaria rispetto alla faccenda. In
effetti, il mercoledì in cui ho fatto la conoscenza di Harry Edward Styles avevo tentato
in tutti i modi di evitare il gruppo di supporto standomene seduto sul divano con
mia madre a guardare la terza parte di una maratona di dodici ore di XFactor UK
della passata stagione, che, devo ammetterlo, avevo già visto, ma
comunque.
Io: «Mi rifiuto di andare al gruppo di supporto.»
Mamma: «Uno dei sintomi della depressione è il disinteresse per le attività.»
Io: «Ti prego, lasciami guardare XFactor. È un'attività.»
Mamma: «La televisione è una passività.»
Io: «Oh, mamma, per favore.»
Mamma: «Louis, sei un'adolescente. Non sei più un bambino. Hai bisogno di
farti degli amici, di uscire di casa e di vivere la tua vita.»
Io: «Se vuoi che io sia un'adolescente non spedirmi al gruppo di supporto.
Comprami una carta d'identità falsa, così posso andare ai club, bere vodka e
spararmi un po' d'erba.»
Mamma: «L'erba uno non se la spara, tanto per cominciare.»
Io: «Vedi? Questo è proprio il genere di cose che saprei se tu mi procurassi una
carta d'identità falsa.»
Mamma: «Vai al gruppo di supporto.»
Io: «MHHHHHHHHHHH.»
Mamma: «Boo, ti meriti una vita.»
E con questo mi ha zittito, anche se non riuscivo a vedere come frequentare un
gruppo di supporto rientrasse nella definizione di vita. Comunque mi sono deciso
ad andare, dopo aver negoziato il diritto di registrare l'episodio e mezzo di XFacotr
che mi sarei perso.
Sono andato al gruppo di supporto per lo stesso motivo per cui una volta avevo
consentito a certi infermieri con appena un anno e mezzo di pratica di
avvelenarmi con medicinali dai nomi esotici: volevo fare contenti i miei genitori.
C'è solo una cosa al mondo più merdosa di dover combattere contro il cancro
quando hai 22 anni, ed è avere un figlio che combatte contro il cancro.
La mamma si è infilata nel vialetto circolare dietro la chiesa alle 4.56. Io mi
sono trastullato un secondo con la bombola d'ossigeno, giusto per perdere un po'
di tempo.
La bombola verde cilindrica pesava solo pochi
chili, e avevo un carrellino di acciaio con le ruote per tirarmela dietro. Mi forniva
due litri di ossigeno al minuto attraverso una cannula, un tubo trasparente che si
divideva proprio sotto il mio collo, mi passava dietro le orecchie e poi si riuniva
vicino alle narici. Il marchingegno era necessario perché i miei polmoni come
polmoni facevano schifo.
«Ti voglio bene» ha detto la mamma.
«Anch'io. Ci vediamo alle sei.»
«Fatti degli amici!» ha detto dal finestrino abbassato mentre mi allontanavo.
Non volevo prendere l'ascensore perché al gruppo di supporto prendere
l'ascensore è un po' la tipica attività da Ultimi Giorni, così ho infilato le scale. Ho
preso un biscotto e mi sono versato della limonata in un bicchiere di carta, poi mi
sono voltato.
Un ragazzo mi stava fissando.
Ero abbastanza sicuro di non averlo mai visto prima. Alto, asciutto e
muscoloso, faceva sembrare minuscola la sedia di plastica da scuola elementare
su cui stava. Capelli color mogano, ricci e lunghi. Sembrava avere più o meno la
mia età, forse qualche anno in meno, e sedeva con l'osso sacro contro il bordo della sedia,
con una postura aggressivamente sbagliata, e una mano mezza infilata nella tasca
dei jeans scuri.
Ho distolto lo sguardo, consapevole di colpo delle mie infinite inadeguatezze.
Portavo un paio di vecchi jeans e una maglietta gialla con il nome di una band
che non mi piaceva nemmeno più. E poi i capelli: avevo questo taglio col ciuffo lungo, e non mi ero nemmeno preso la briga di pettinarmi. In più avevo le
guance assurdamente paffute, da scoiattolino, un effetto collaterale delle cure.
Sembravo una persona di normali proporzioni con un pallone al posto della testa.
Per non parlare della bombola che mi trascinavo dietro. Eppure… gli ho lanciato
uno sguardo di soppiatto, e i suoi occhi erano ancora su di me.
Ho capito perché lo chiamano contatto visivo.
Sono entrato nel cerchio e mi sono seduto vicino a Niall, a due sedie di distanza
dal ragazzo. L'ho guardato di nuovo. Mi stava ancora osservando.
Insomma, diciamolo: era sexy. Se a fissarti in modo ostinato è un ragazzo non
sexy, nel migliore dei casi si tratta di una cosa imbarazzante, nel peggiore è una
forma di aggressione. Ma quando lo fa un ragazzo sexy… be'.
Ho preso il telefono per vedere che ora fosse: 4:59. Il cerchio si è riempito
degli sfortunati malati dai dodici ai diciott'anni, e poi Paul ci ha fatto
cominciare con la preghiera della serenità. Signore, concedimi la serenità di
accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che
posso e la saggezza di capirne la differenza. Il ragazzo mi stava ancora
guardando. Mi sentivo avvampare.
Alla fine ho deciso che la strategia migliore fosse fissarlo a mia volta. I ragazzi
non hanno il monopolio di questa cosa del fissare, dopotutto. Così l'ho guardato
apertamente mentre Paul confessava per la millesima volta la sua mancanza di
palle eccetera eccetera, e ben presto è stata una gara di sguardi. Dopo un po' il
ragazzo ha sorriso e poi ha distolto i suoi occhi verdi. Quando mi ha guardato di
nuovo, io ho inarcato le sopracciglia come per dire: Ho vinto.
Lui si è stretto nelle spalle. Paul è andato avanti e finalmente è venuto il
momento delle presentazioni. «Niall, forse oggi potresti iniziare tu. So che stai
affrontando un momento difficile.»
«Ok» ha detto Niall. «Mi chiamo Niall. Ho 21 anni. E pare che mi
debba operare tra un paio di settimane, dopodiché diventerò cieco. Non è che
voglio stare qui a lamentarmi né niente, perché so che a molti di voi va peggio…
ma be', ecco, essere cieco fa abbastanza schifo. La mia ragazza mi è di aiuto,
però. E gli amici come Harry.» Ha fatto un cenno verso il ragazzo, che adesso
quindi aveva acquistato un nome. «È così» ha continuato Niall. Si guardava le
mani, che teneva serrate una contro l'altra come la cima di un tepee. «Non ci si
può far niente.»
«Siamo qui per te, Niall» ha detto Paul. «Diciamoglielo, ragazzi.» E noi, in
un coro monotono: «Siamo qui per te, Niall.»
Poi è toccato a Michael. Aveva 19 anni. E la leucemia. Ce l'aveva da
sempre. Stava così così. (A sentir lui, quantomeno. Aveva preso l'ascensore.) Ashton
aveva 20 anni. Era un frequentatore abituale, in lunga remissione da un cancro all'appendice, una forma tumorale di cui, prima di conoscere lui, non
sospettavo nemmeno l'esistenza. Ha detto – come aveva fatto a tutti gli altri
incontri del gruppo a cui avevo partecipato – che si sentiva forte, il che, mentre i
tubicini dell'ossigeno mi solleticavano le narici, mi è parso una vanteria.
Ne sono dovuti passare altri cinque prima di arrivare a lui. Quando è venuto il
suo turno ha sorriso un po'. Aveva una voce bassa, fumosa, eccitante da morire.
«Il mio nome è Harry Edward Styles» ha detto. «Ho 20 anni. Ho avuto un
lieve osteosarcoma un anno e mezzo fa, ma oggi sono qui solo su richiesta di
Niall.»
«E come ti senti?» ha chiesto Paul.
«Oh, a meraviglia.» Harry Styles ha sorriso con un angolo della bocca, mostrando una piccola fossetta.
«Sono su una montagna russa che va solo in salita, amico mio.»
Quando è arrivato il mio turno ho detto: «Mi chiamo Louis. Ho 22 anni.
Tiroide con metastasi polmonari. Sto così così.»
L'ora è passata in fretta. Sono state raccontate lotte, battaglie vinte in mezzo a
guerre che sarebbero state certamente perse; ci si è aggrappati a speranze; le
famiglie sono state sia celebrate che criticate; si è convenuto sul fatto che gli
amici non possono proprio capire; si sono versate lacrime; è stato elargito
conforto. Né io né Harry Styles abbiamo più aperto bocca fino a che Paul
ha detto: «Harry, forse ti piacerebbe condividere le tue paure con il gruppo.»
«Le mie paure?»
«Sì.»
«Ho paura dell'oblio» ha detto lui senza nemmeno un attimo di esitazione. «Ne
ho paura come il proverbiale cieco aveva paura del buio.»
«Il paragone giusto al momento giusto, non c'è che dire» è intervenuto Niall,
aprendosi in un sorriso.
«Sono stato indelicato?» ha chiesto Harry. «Mi capita di essere piuttosto
cieco in materia di sentimenti altrui.»
Niall stava ridendo, ma Paul ha alzato un dito in segno di rimprovero e ha
detto: «Harry, per favore, torniamo a te e ai tuoi problemi. Hai detto che hai
paura dell'oblio?»
«Proprio così» ha risposto lui.
Paul era confuso. «Qualcuno… ehm… qualcuno vuole aggiungere qualcosa
in proposito?»
Erano tre anni che non frequentavo una scuola vera e propria. I miei genitori
erano i miei due migliori amici. Il mio terzo migliore amico era un scrittore che
non sapeva nemmeno che esistessi. Ero una persona piuttosto timida, non il tipo
che alza la mano.
Eppure, solo per quella volta, ho deciso di parlare. Ho alzato la mano appena
appena e Paul, tutto soddisfatto, ha detto subito: «Louis!» Deve aver pensato
che finalmente mi stessi aprendo. Che stessi finalmente diventando Parte Del
Gruppo.
Ho guardato Harry Styles, che ha ricambiato il mio sguardo. Aveva gli
occhi così verdi che ci si poteva quasi vedere attraverso. «Verrà un tempo» ho detto «in cui tutti noi saremo morti. Tutti. Verrà un tempo in cui non ci saranno
esseri umani rimasti a ricordare che qualcuno sia mai esistito o che la nostra
specie abbia mai fatto qualcosa. Non ci sarà rimasto nessuno a ricordare Aristotele
o Cleopatra, figuriamoci te. Tutto quello che abbiamo fatto, costruito, scritto,
pensato o scoperto sarà dimenticato, e tutto questo» – ho fatto un gesto che
abbracciava la stanza – «non sarà servito a niente. Forse quel momento sta per
arrivare o forse è lontano milioni di anni, ma anche se noi sopravvivessimo al
collasso del nostro sistema solare non sopravviveremo per sempre. È esistito un
tempo prima che gli organismi prendessero coscienza, e ce ne sarà uno dopo. E se
l'inevitabilità dell'oblio umano ti preoccupa, ti incoraggio a ignorarla. Sa il cielo
se non è quello che fanno tutti.»
Era una cosa, questa, che avevo imparato dal mio summenzionato terzo miglior
amico, Peter Van Houten, il misantropo autore di Un'imperiale afflizione, il libro
che era per me una Bibbia. Peter Van Houten era l'unica persona che mi fosse mai
capitato di incrociare che (a) sembrava capire che cosa significa davvero stare per
morire, e (b) non era morto.
C'è stata una pausa di silenzio abbastanza lunga. E poi un sorriso si è diffuso su
tutto il viso di Harry: non il sorriso ammiccante appena accennato del ragazzo
che cercava di fare il sexy con me mentre mi fissava, ma il suo vero sorriso,
troppo grande per il suo volto. «Accidenti» ha detto piano. «Certo che sei un bel
tipo.»
Nessuno di noi ha detto più niente per il resto dell'incontro. Alla fine, come al
solito, ci siamo presi tutti per mano e Paul ci ha guidato in preghiera. «Cristo
Signore, siamo riuniti qui nel Tuo cuore, letteralmente nel Tuo cuore, essendo
sopravvissuti al cancro. Tu e tu solo ci conosci come noi ci conosciamo. Guidaci
verso la luce nei momenti di difficoltà. Preghiamo per gli occhi di Niall, per il
sangue di Michael e Ash, per le ossa di Harry, per i polmoni di Louis, per la
gola di James. Preghiamo che Tu ci possa guarire e che noi possiamo sentire il
Tuo amore e la Tua pace, che supera ogni comprensione. E ricordiamo nel nostro
cuore coloro che abbiamo conosciuto e amato e che sono tornati a casa da Te:
Maria, Kade, Joseph, Haley, Abigail, Angelina, Taylor, Gabriel, e…» Era un
elenco lungo. Il mondo contiene tantissime persone morte. E mentre Paul
continuava, leggendo l'elenco su un foglio dato che era troppo lungo perché
potesse ricordarselo a memoria, io ho tenuto gli occhi chiusi, cercando di
concentrarmi sul pregare, ma anche immaginando il giorno in cui il mio nome si
sarebbe fatto largo in quell'elenco, all'ultimo posto, quando ormai non ascoltava
più nessuno.
Quando Paul ha finito, abbiamo recitato insieme quello stupido mantra –
VIVERE OGGI LA NOSTRA VITA MIGLIORE – e siamo stati liberati.
Harry Styles si è spinto su dalla sedia e mi è venuto incontro. Aveva
un'andatura leggermente sbilenca, come il suo sorriso. Torreggiava su di me, ma
si è tenuto un po' a distanza, così da non costringermi a torcere il collo per
guardarlo negli occhi. «Come ti chiami?» mi ha chiesto.
«Louis.»
«No, il tuo nome completo.»
«Uhm. Louis William Tomlinson.» Stava per dire qualcos'altro quando Niall si è
avvicinato. «Solo un attimo» ha detto Harry alzando un dito, poi si è rivolto a
Niall. «È stato molto peggio di quanto mi avevi detto.»
«Te l'avevo detto che era squallido.»
«Perché ci vieni?»
«Non lo so. Un po', be', aiuta.»
Harry si è sporto verso di lui, forse pensando che così non lo avrei sentito.
«Lui è uno che viene sempre?» Non sono riuscito a sentire la risposta di Niall, ma
Harry ha ribattuto: «Sono d'accordo.» Ha afferrato Niall per le spalle e poi ha
fatto mezzo passo indietro. «Di' a Louis della clinica.»
Niall ha posato una mano sul tavolo dei biscotti e ha puntato i suoi enormi
occhi su di me. «Okay. Dunque, stamattina vado in clinica e dico al chirurgo che
preferirei essere sordo che cieco. E lui mi dice: “Non è così che funziona”, e io,
tipo: “Sì, mi rendo conto che non funziona così, sto solo dicendo che preferirei
essere sordo che cieco, se potessi scegliere, ma lo so che non posso” e lui dice:
“Be', la buona notizia è che non diventerai sordo” e io, tipo: “Grazie per avermi
spiegato che il mio cancro agli occhi non mi renderà sordo. È una fortuna che un
intellettuale della sua levatura si degni di operarmi.”»
«Che genio» ho detto. «Cercherò di farmi venire un cancro agli occhi solo per
poter conoscere questo tipo.»
«In bocca al lupo, allora. Devo andare. Adele mi sta aspettando. Devo
guardarla un sacco finché posso.»
«Counterinsurgence domani?» ha chiesto Harry.
«Certo.» Niall si è voltato e si è avviato verso l'uscita, facendo due scalini alla
volta.
Harry Styles si è girato verso di me. «Letteralmente» ha detto.
«Letteralmente?» ho chiesto.
«Siamo letteralmente nel cuore di Gesù» ha detto. «Pensavo che fossimo nel
seminterrato di una chiesa, ma siamo letteralmente nel cuore di Gesù.»
«Qualcuno dovrebbe dirglielo, a Gesù» ho fatto io. «Dev'essere un bel rischio
per Lui tenere nel cuore dei ragazzini malati di cancro.»
«Glielo direi io» ha ribattuto Harry, «ma si dà il caso che sia letteralmente
incastrato dentro il Suo cuore, per cui non mi sentirebbe.» Ho riso. Lui ha scosso
la testa e mi ha guardato.
«Cosa c'è?» ho chiesto.
«Niente» ha detto.
«Perché mi guardi così?»
Harry ha fatto un mezzo sorriso. «Perché sei bello. Mi piace guardare la
gente bella, e poco fa ho deciso di non negarmi i semplici piaceri della vita.» Poi
un breve silenzio impacciato. Harry l'ha interrotto: «Voglio dire, dato che,
come tu hai fatto così deliziosamente notare, tutto questo finirà nell'oblio e via
dicendo.» Scoppiai in una fragorosa risata, una di quelle vere che raramente riuscivo a fare. Forse l’ultima volta era stato quando avevo confessato alla mia ex di essere gay. Pagherei per rivedere l’espressione che fece. Poi però mi tirò uno schiaffo, il che mi fa sorridere, ripensandoci.
«Perché sorridi, Louis William Tomlinson?» mi sorrise Harry Styles.
«Stavo ripensando ad un evento»
«Posso avere l’onore di entrare nella tua mente per vedere quest’evento e sorridere anch’io?»
«E’ successo due anni fa. Ero fidanzato con una ragazza bellissima, alta, mora, dagli occhi marroni. Si chiama Eleanor. Un pomeriggio le chiesi di uscire, e le confessai d’aver capito d’essere gay. Mi tirò uno schiaffo talmente potente che le persone intorno a noi si girarono. Non la sento più da quel giorno» confessai. Mi girai per vedere la sua espressione. Divenne tutto rosso per poi scoppiare a ridere.
«Sei un disastro Louis William Tomlinson»                        
Già… e molto probabilmente tu sarai il mio, Harry Edward Styles. Pensai.

Spazio autrice:
Ciao a tutti :) Questo è il primo capitolo di questa versione di Colpa Delle Stelle. Se ci sono errori, avvisatemi con una recensione neutra, oppure scrivetemi su Twitter: @NHoran5SOS
Allora, come ben vedete, questo primo capitolo è quasi uguale alla storia originale ( Colpa Delle Stelle, John Green), eccetto i nomi e la fine del capitolo. Ho intenzione di modificare, per quel che posso cercando di seguire l’originale, molte cose di questa storia. Non aspettatevi il gran-triste-finale con la morte di Augustus-Harry. No. Sarà diverso.
Lasciatemi qualche recensione :)

Dwyght.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Ogni sua sillaba flirtava. Dico sul serio, mi eccitava. Non avevo idea che i

ragazzi potessero eccitarmi… cioè, non nella vita vera. Ammetto che però qualche sega davanti a video porno gay me l’ero fatta, ma è un segreto.

Una ragazzina più piccola ci è passata vicino. «Come va, Allyson?» le ha chiesto

lui. Lei ha sorriso e borbottato: «Ciao, Harry.»

Chissà se lui faceva questo effetto a tutte le ragazze. Ma domanda ancora più importante, chissà se a lui piacevano le ragazze.

«Una del Memorial» ha

spiegato lui, interrompendo i miei pensieri poco filosofici.

 Il Memorial era il grande ospedale coi laboratori di ricerca.

«Tu in quale vai?»

«Al Pediatrico» ho detto, con voce più esile di quanto mi aspettassi. Lui ha

annuito. La conversazione è parsa finire lì. «Be'» ho detto, accennando agli scalini

che ci portavano fuori dal Cuore Letterale di Gesù. Ho inclinato il carrellino sulle

ruote e ho cominciato a camminare. Lui si è messo a zoppicarmi accanto. «Ci

vediamo la prossima volta, magari?» gli ho chiesto.

«Dovresti vedere un film comico» ha detto.

«Okay» ho detto. «Appena torno a casa.» chissà perché un film comico.

«No. Con me. A casa mia» ha detto. «Adesso.»

Mi sono fermato. Le mie guance hanno cominciato ad andarmi a fuoco e finalmente capii cosa la gente intendeva con la frase sulle “farfalle nello stomaco”.

«Quasi non ti conosco, Harry Styles. Potresti essere un assassino psicopatico.»

Lui ha sorriso. «Oh, Louis William, dovresti imparare a divertirti ogni tanto.»

Mi è passato davanti, le spalle che gli riempivano la polo verde, la schiena diritta, il passo leggermente aritmico sul lato

destro, mentre camminava sicuro e baldanzoso su quella che ero sicuro fosse una

gamba finta. Fui colpito da un profumo pungente, simile alla fragranza di un pino.

 L'osteosarcoma a volte ti prende un arto per scoprire chi sei. Se poi gli piaci, si prende il resto.

L'ho seguito di sopra, perdendo terreno dato che salivo lentamente: le scale non

sono il posto ideale per i miei polmoni.

E poi eccoci fuori dal cuore di Gesù, nel parcheggio, con l'aria di primavera

perfetta seppure un po' pungente, la luce del tardo pomeriggio paradisiaca e

struggente.

La mamma non c'era ancora: strano, perché era quasi sempre lì ad aspettarmi.

Mi sono guardato intorno e ho visto che una ragazza bruna, alta e formosa aveva

bloccato Niall contro il muro di pietra della chiesa e lo stava baciando in modo

piuttosto aggressivo. Non erano molto lontani, tanto che riuscivo a sentire gli

strani rumori che facevano le loro bocche unendosi, e lui che diceva «Sempre» e

lei che diceva «Sempre» in risposta.

Harry mi è spuntato accanto tutto di colpo, e ha sussurrato: «Credono

fermamente nelle pubbliche manifestazioni di affetto.»

«Perché quei “sempre”?» I rumori di lingue attorcigliate sono cresciuti.

«Sempre è la loro parola. Si ameranno per sempre e così via. In un calcolo

approssimativo per difetto, direi che si sono messaggiati la parola sempre quattro

milioni di volte nell'ultimo anno.»

Sono arrivate altre due auto, che hanno portato via Michael e Allyson. Eravamo

rimasti solo io e Harry, e guardavamo Niall e Adele che si davano da fare

come se non fossero schiacciati contro un luogo di culto. La mano di lui ha

cercato la tetta di lei sopra la maglietta e l'ha stretta, il palmo fermo, le dita che

esploravano tutto intorno.

«Immagina di fare quell'ultimo viaggio in ospedale» ho detto piano. «L'ultima

volta che potrai guidare un'auto.»

Senza voltarsi a guardarmi, Harry ha detto: «Così mi ammazzi le vibrazioni,

Louis William. Sto cercando di contemplare un amore giovane in tutta la sua

splendida goffaggine.»

«Credo che le stia facendo male alla tetta» ho detto.

«Sì, non si capisce se stia cercando di eccitarla o di farle un esame diagnostico

al seno.» Poi Harry Styles si è infilato la mano in tasca e di tutte le cose

possibili ha tirato fuori un pacchetto di sigarette. Ha fatto scattare il coperchio e si

è messo una sigaretta fra le labbra.

«Non ci posso credere» ho detto. «Pensi che sia figo? Oh, mio Dio, hai appena

rovinato tutto.»

«Tutto cosa?» mi ha chiesto, voltandosi verso di me. La sigaretta gli pendeva

spenta dall'angolo non sorridente della bocca.

«Quel tutto per cui un ragazzo che è non poco attraente e non poco intelligente,

insomma, non inaccettabile, mi fissa e sottolinea un uso scorretto della letteralità

e mi chiede di andare a vedere un film a casa sua. Ma

naturalmente c'è sempre una hamartia, e la tua evidentemente è questa. Voglio

dire, anche se AVEVI UN DANNATO CANCRO, dai soldi a una multinazionale

del tabacco in cambio della possibilità di farti venire ANCORA PIÙ CANCRO.

Oh, mio Dio. Lasciami solo dirti che non essere in grado di respirare sai cosa fa?

SCHIFO. Che delusione. Che delusione totale.»

«Una hamartia?» ha detto lui, la sigaretta ancora in bocca. Gli faceva sporgere

più in fuori la mascella. E aveva una mascella fantastica, purtroppo.

«Un'imperfezione fatale» ho detto, voltandomi dall'altra parte. Sono partito

verso il marciapiede lasciandomi Harry Styles alle spalle, e a quel punto ho

sentito una macchina arrivare. Era la mamma. Aveva aspettato che io mi facessi

degli amici o roba del genere.

Ho sentito una miscela di delusione e rabbia montarmi dentro. Non so

nemmeno che sentimento fosse, davvero, so solo che ce n'era tanto, e volevo

tirare ad Harry Styles uno schiaffo ma anche scambiare i miei polmoni con

due polmoni che come polmoni non facessero schifo. Ero lì in piedi con le mie

Vans sul ciglio del marciapiede, la bombola di ossigeno fissata al carrellino, e

nel momento in cui mia madre è arrivata ho sentito una mano afferrare la mia. Ho dato uno strattone per liberarmi, ma mi sono voltato verso di lui.

«Non ti uccidono, se non le accendi» ha detto mentre la mamma fermava l'auto

praticamente attaccata al cordolo. «E non ne ho mai accesa una. È una metafora,

sai: ti metti la cosa che uccide fra i denti, ma non le dai il potere di farlo.»

«È una metafora» ho detto, dubbioso. La mamma temporeggiava.

«Proprio così, una metafora» ha detto lui.

«E quindi tu ti comporteresti in un modo rispetto a un altro sulla base delle

risonanze metaforiche…» ho detto.

«Oh, sì.» Ha sorriso. Il suo sorriso largo, quello vero, quello buffo. «Sono un

devoto credente nella metafora, Louis William.»

Mi sono voltato verso l'auto. Ho dato un colpetto al finestrino. Si è abbassato.

«Vado a vedere un film con Harry Styles» ho detto. «Per favore, registrami i

prossimi episodi della maratona di XFactor.»

Spazio autrice:

Siccome ho visto che in pochissimo eravamo già a 60 letture e 4 recensioni, ho deciso di aggiornare stasera. Piano piano cerco di cambiare sempre più cose.

Come vi ho già detto nel capitolo precedente, se notate qualche errore, avvisatemi subito, che almeno correggo. Se avete qualche idea da consigliarmi per il continuo, soprattutto chi ha già letto o visto l’originale, scrivetemi pure!

3° capitolo a 5 recensioni!

Dwy.

PS: nel mio profilo trovate anche un’OS sempre Larry che ho scritto ispirandomi alla canzone Amnesia dei 5 Seconds Of Summer. Mi farebbe piacere se ci passaste. Grazie mille ancora!

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