Nella buona e nella cattiva sorte

di Maty66
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Verità dimenticata ***
Capitolo 3: *** Spiegazioni imperfette ***
Capitolo 4: *** Proposte inaspettate ***
Capitolo 5: *** Orgoglio ***
Capitolo 6: *** Tanja ***
Capitolo 7: *** A folle velocità ***
Capitolo 8: *** Conseguenze pericolose ***
Capitolo 9: *** Mi vuoi ancora bene? ***
Capitolo 10: *** Una nuova vita ***
Capitolo 11: *** Amicizia perduta ***
Capitolo 12: *** Lettere, canzoni e tristi compleanni ***
Capitolo 13: *** Punto di non ritorno ***
Capitolo 14: *** Chiedere perdono ***
Capitolo 15: *** Cuore di ghiaccio ***
Capitolo 16: *** Senza pietà ***
Capitolo 17: *** Sempre più giù ***
Capitolo 18: *** Quel che non sei ***
Capitolo 19: *** Le parole che non ti ho detto ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
Ben aveva freddo, un freddo terribile.
Non riusciva ad ordinare al suo corpo di smettere di tremare e sentiva la neve bagnata penetrare sempre di più negli abiti già fradici, aggravando la sensazione di gelo che ormai paralizzava anche i suoi pensieri.
Il cellulare… la sua unica speranza era il cellulare.
Con estrema lentezza cercò, in quell’ammasso di rottami in cui  era ormai ridotta la sua auto, di raggiungere il giubbotto che aveva lasciato sul sedile posteriore, ma ogni movimento gli rimandava dolori terribili in tutto il corpo.
Aveva movimenti molto limitati e quando respirava sentiva uno strano rumore dentro.
Percepiva il sangue caldo scorrere lungo il polpaccio della gamba destra, completamente bloccata sotto il volante, ma cercò comunque di girarsi ed arrivare con la mano libera alla giacca.
Finalmente, dopo un tempo infinito e mentre sentiva la testa girare in tondo e la nausea sempre più forte, riuscì a tirare l’indumento verso di sé e a mettere la mano in tasca.
“Calma Ben… calma, non fartelo cadere…” si disse mentre prendeva tremante il cellulare.
Aveva la vista annebbiata, ma riuscì a trovare il numero che cercava, il primo, l’unico che gli era venuto in mente.
Erano quasi sei mesi che non componeva quel numero.
“Ti prego rispondi… ti prego…  rispondi anche se non riconosci il numero” pensò mentre sentiva gli squilli.
“S… Semir…” balbettò appena sentì la voce familiare dall’altro capo della linea.
“Chi è? Ben? Che vuoi a quest’ora?”  la voce di Semir era irritata e nonostante la drammaticità della situazione per un attimo a Ben venne da sorridere. Il carattere turco non si smentiva mai.
Con un sforzo  quasi sovraumano si costrinse a  parlare, anche se l’oscurità ormai incombeva minacciosa su di lui.
“S… Semir… aiut.. aiuto…” balbettò con voce debolissima.
“Che succede? Ben… che è successo?” L’irritazione nella voce di Semir si trasformò in preoccupazione
“Mi… buttato… fuori…str…” balbettò con le ultime forze.
“Cosa?? Dove sei?? Ben… che è successo… rispondi!!!”
Ora nella voce di Semir si coglieva il panico.
“BEN!!! Dimmi dove sei!!!” urlò ancora.
“Stat… statal….” Ben non riuscì a completare la frase.
Ormai l’oscurità era su di lui e non poteva fare più nulla per combatterla.
“Quale statale??? Ben… rispondi!!! Ti prego, parla con me!!!”
Le urla, ormai disperate, di Semir si fecero sempre più lontane, mentre lasciava andare il cellulare.
Con un sospiro doloroso, Ben si abbandonò alla oscurità allettante che veniva pietosa a liberarlo dal dolore e dalla paura. 
"Mi spiace Semir... mi spiace tanto..." fu il suo ultimo pensiero.

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Capitolo 2
*** Verità dimenticata ***


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Verità  dimenticata
 
Semir aspettò impaziente che i pesanti cancelli si aprissero di fronte a lui. Appena si aprì un varco entrò nel lungo corridoio del penitenziario dove l’attendeva il direttore, con aria lugubre.
“Buonasera ispettore Gerkan, alla fine ha deciso di venire” lo salutò l’anziano uomo. Aveva un’aria straordinariamente mite per essere il direttore del carcere di maggiore sicurezza dell’intera Germania Federale.
Semir gli strinse con vigore la mano.
“Al telefono mi hanno detto che è ormai alla fine…” disse calmo.
“Sì, ma non devo ricordarle io che Sander Kalvus resta un detenuto pericoloso, anche se  è in infermeria e anche se è ormai in fin di vita”
I due si avviarono lungo il corridoio.
“Lei non sa di cosa vuole parlarmi?” chiese Semir, fermandosi poco prima della porta della infermeria del carcere.
“Non ne ho proprio idea, ispettore. So solo che  ha insistito moltissimo per incontrarla. Il medico mi ha appena detto che non passerà la notte”  rispose il direttore, mentre apriva la porta e faceva strada all’interno del reparto.
La puzza di disinfettante innervosì immediatamente Semir; tutti gli ospedali  avevano il medesimo odore terribile, di disinfettante, ma in realtà era odore di malattia e morte.
Dopo le molte settimane passate accanto a Ben,  fra ospedale  e centro di riabilitazione, ormai Semir non sopportava più quell’odore.
Ma si fece forza; non rientrava nella sua personalità negare  un incontro ad un moribondo, anche se si trattava di Sander Kalvus, anche se si trattava dell’uomo che gli aveva fatto passare il peggiore incubo della sua vita.
“Ispettore Gerkan?” il giovane medico gli venne incontro con la cartellina in mano.
Semir annuì serio.
“Venga è da questa parte. Cerchi di non affaticarlo, è ormai alla fine”  fece il medico indicandogli l’unico letto occupato della corsia.
Semir si avvicinò e nonostante tutto provò un moto di pietà per la figura, magra e sofferente, che vi era stesa.
Ma poi gli tornarono subito in mente  le immagini di Ben riverso a  terra, morente, in quel magazzino, e la rabbia prese di nuovo il sopravvento. 
Sander socchiuse gli occhi quando lo vide accanto al letto.
“Sei venuto alla fine…” disse un voce tremolante.
“Volevi parlarmi giusto? Bene… sono qui, parla” rispose duro Semir.
Sander iniziò a ridacchiare, ma la risata si trasformò in un rantolo ansimante.
“Vedo che non hai perso la superbia… potevi non venire, invece sei qui. Sei curioso o hai paura?” chiese ansimando.
“Dì subito quello che devi dire e facciamola finita” Semir stava per perdere la pazienza. Sentiva sempre più forte l’impulso di scappare via da quel posto.
Sander riprese a  ridacchiare.
“Come sta il tuo amico? Lavorate ancora bene insieme?”
Semir sentì una morsa allo stomaco.
Come faceva quel lurido bastardo a sapere cosa stava succedendo?
I quattro mesi da quando  Ben  era rientrato in servizio non erano stati facili.
All’apparenza era tutto normale, Ben si comportava come al solito, gioviale, simpatico e affettuosissimo con le bambine.
Ma sul lavoro Semir sentiva che c’era qualcosa che non andava, come se si fosse persa quell’alchimia, quella perfetta sintonia che aveva caratterizzato il loro lavoro sin dal primo giorno che si erano incontrati.
Come quando, nella loro prima azione vera dopo il rientro di Ben, avevano rischiato di rimetterci tutti e due la pelle perché Ben era rimasto imbambolato dietro l’auto senza dare retta a cosa gli diceva.
Non che Ben avesse perso le sue capacità di poliziotto, anzi era più spericolato che mai e la cosa preoccupava parecchio il collega più anziano, soprattutto quando il ragazzo andava di pattuglia con gli altri colleghi.
Il che ormai avveniva sempre più di frequente e sempre su richiesta di Ben.
A volte a Semir sembrava quasi che lo volesse evitare, almeno sul lavoro.
All’inizio si era detto che era solo  il trauma per gli eventi passati, ma la cosa iniziava ad impensierirlo.
E ora… cosa ne sapeva quel bastardo di quello che stava succedendo?
“Il mio amico sta benissimo, grazie. Vuoi parlarmi solo di questo? Allora mi hai fatto perdere solo tempo” rispose duro mentre accennava ad allontanarsi.
“E dimmi si fida ancora di te?” chiese ancora sempre con tono ironico Sander, mentre Semir era già di spalle.
Il poliziotto turco si girò con occhi di fuoco.
“Kalvus… non credere che caschi di nuovo in questa storia, non più. La verità è già venuta fuori, anche al processo. Quindi smettila e cerca piuttosto di chiedere perdono a chi sta sopra di noi, se ci credi. Non ti resta più molto tempo” rispose con un pizzico di crudeltà Semir. Del resto quell’essere diabolico se la meritava.
“Vuoi credere a quello che ti ha raccontato il ragazzo, vero? Dì un po’, quanto ti è sembrato convincente al processo il tuo amico? Ti sei fatto qualche domandina semplice semplice? Ad esempio perché Decker, che ha spifferato tutto, non ha confessato anche questo? E chi sarebbe mai questo fantomatico  uomo che ha colpito Jager? ” la voce di Kalvus era roca e debole, ma ferma.
Semir rabbrividì ricordando la testimonianza di Ben al processo.
Agli altri era sembrato sicuro di sé, mentre raccontava quello che era successo nel magazzino, tanto che Kalvus ed i suoi uomini erano stati condannati anche per tentato omicidio nei suoi confronti, ma Semir aveva avuto per tutto il tempo una strana sensazione.
E quando era sceso dal banco dei testimoni Ben non l’aveva guardato negli occhi.
Solo ora ci ripensò… non lo aveva guardato negli occhi.
“Tu sei solo una lurida carogna, non ti smentisci mai, neppure in punto di morte, ma se credi che io ci caschi di nuovo…”
“Sapevo che avresti reagito  in questo modo, per questo mi sono procurato un piccolo regalino, da farti prima della mia… dipartita. Consideralo un mio regalo d’addio. Cassetta di sicurezza 32 della German Bank. Codice di accesso 923124Bea. Lì, se ancora non ricordi quello che è davvero successo, potrai trovare la verità. Un ricordino che mi sono procurato all’epoca, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere”
 Semir avrebbe volentieri preso a pugni quel bastardo, anche se morente.
“Non penserai che io…”
“La scelta è tua sbirro, se vuoi continuare a credere alle fesserie che ti ha raccontato il tuo amico, fai pure. Ma se vuoi sapere cose è successo veramente vai lì. Una cosa te la dico però: il tuo caro compagno ti ha mentito, ti ha  spudoratamente mentito, forse perché  conosce il vigliacco che  è in te e non ti ritiene in grado di sopportare la verità. E la verità è che nel bene e nel male sei stato tu… sei stato tu…”
 Kalvus iniziò a tossire ed ansimare. Le labbra erano diventate blu ed il monitor accanto al letto iniziò a lanciare segnali continui.
Il medico  del reparto arrivò di corsa.
“Ora esca per favore” gli intimò con aria severa, mentre anche i due infermieri presenti si avvicinavano.
Barcollando Semir uscì dall’infermeria.
Un attimo, era bastato un attimo, e quell’uomo l’aveva fatto rimpiombare nell’incubo dell’anno prima.
Si appoggiò ansimando allo stipite della porta maledicendosi per essere venuto in quel posto.
“Ispettore Gerkan, si sente bene?” chiese il direttore vedendolo pallidissimo-
“Sì… certo” balbettò Semir, cercando di riprendere il controllo delle proprie emozioni.
Proprio in quel momento uscì il medico con la faccia scura.
“E’ morto” annunciò.
 

Semir era fermo da più di un’ora davanti alla banca senza  trovare il coraggio di entrare.
Aveva passato l’intera notte in bianco, agitandosi nel letto in continuazione. Ovviamente aveva mentito ad Andrea dicendole di aver mal di stomaco, ma dubitava che la moglie gli avesse creduto. Comunque per fortuna non aveva fatto domande, anche perché Semir non avrebbe proprio saputo cosa risponderle.
“Coraggio, non puoi restare in questo limbo” si disse scendendo dall’auto.
L’accesso alla cassetta di sicurezza fu straordinariamente facile con il codice che gli aveva dato Kalvus.
Quando fu lasciato solo dal direttore della banca rimase per molti minuti a fissare la cassetta davanti a lui, sul tavolo, prima di decidersi finalmente ad aprirla.
All’interno trovò un piccolo notebook.
Semir dovette ordinare alla sua mano di non tremare, mentre avviava il video che trovò sull’hard-disk.
Era stato con evidenza  girato con un cellulare. A Semir sembrò addirittura di sentire Kalvus ridacchiare in sottofondo
Con crescente disperazione si vide all’interno di quel magazzino.
Si vide cacciare, con il desiderio di uccidere sul viso. Si vide mentre colpiva con la spranga il suo migliore amico, fino a ridurlo in fin di vita
Istintivamente chiuse gli occhi alla vista della scena finale.
Ma non poteva chiudere gli occhi alla realtà: era stato lui.

Rieccomi a tormentarvi con le mie storielle.
Questa è un po' particolare, vi avverto subito, e probabilmente deluderà qualcuna di voi.
Spero comunque nelle vostre recensioni belle o brutte. Mi fanno capire che  qualcuno legge e comprende quello che scrivo. Il che può non essere facile viste le sciocchezze che ci sono scritte.
Grazie  e bacioni.

 

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Capitolo 3
*** Spiegazioni imperfette ***


 Spiegazioni imperfette
 
Semir si era fermato al piccolo bar di fronte al distretto, nel tentativo di calmarsi prima di entrare in ufficio.
Non sapeva cosa dire, non sapeva cosa fare.
Mille pensieri gli agitavano la mente ed il solo pensiero di vedersi Ben davanti lo terrorizzava.
Si girava e rigirava fra le mani la lettera che il direttore della banca gli aveva consegnato poco prima che uscisse, con in bella vista il suo nome.
La grafia era inequivocabilmente quella di Kalvus ed il primo impulso di Semir era stato quello di strapparla o meglio ancora bruciarla, aveva già ricevuto troppo male da quell’essere mostruoso.
Ma alla fine era prevalso il suo desiderio di conoscere fino in fondo la verità e la piccola speranza di trovare in quella lettera qualcosa che potesse alleggerire l’angoscia che lo aveva preso e minacciava di distruggerlo.
Dopo averla fissata per  minuti interi si decise e la aprì.
“Gerkan, usare per iniziare la dizione “mio caro” mi sembrerebbe ipocrita e noi  non siamo mai stati ipocriti giusto?
Se leggi questa lettera significa che hai visto il filmato e quindi ora conosci la verità.
Ti chiederai perché io non te l’abbia mostrato prima. In realtà la tentazione è stata forte per tutto il processo mentre assistevo alla sceneggiata che aveva messo su il tuo amico.
Jager non è mai stato bravo a mentire, gli si leggeva in faccia che lo stava facendo, solo tu non te ne sei accorto. Perché non te ne volevi accorgere, volevi berti la favoletta che ti ha raccontato.
Vigliacco, sei solo un vigliacco, e ora che è passato tempo, ora che  ti sei calmato, scopri la verità.
 Questa è la mia vendetta, questa ed il fatto che anche tu ora sai che il tuo amico non si fida più di te. Ho le mie fonti sai, certe cose nell’ambiente si vanno diffondendo. La coppia d’oro  non è più tale giusto?
Come ti senti al pensiero che tutto questo è colpa tua? Al fatto che il tuo caro amico non dimenticherà mai quello che gli hai fatto? Che non si fiderà mai più di te? E soprattutto come ti senti al pensiero che come il criminale che tu credi io sia stato, anche tu sei capace di uccidere a sangue freddo?
Certo ti dirai, ero drogato non è colpa mia. Ma dentro di te lo sai, lo hai sempre saputo. Anche tu sei capace di uccidere, e di uccidere una delle persone che dici di amare di più.
Questo è tutto Gerkan, sappi che alla fine ho avuto quello che volevo, la mia vendetta. Ora posso anche  andare all’inferno, nulla sarà peggio di quello che mi hai fatto vivere su questa terra”  
  
Semir richiuse la lettera con la nausea che gli saliva alla gola. Ringraziò Dio di non aver fatto colazione, altrimenti l’avrebbe vomitata lì sul posto.
“Semir… ma che fai seduto qui? L’orario di lavoro è iniziato da un pezzo…” la voce di Jenni lo richiamò alla realtà.
“Sì… stavo solo facendo colazione…” mentì Semir cercando di rimettersi in sesto e lasciando precipitosamente il bar.
 
Entrando nel Distretto Semir cercò con gli occhi Ben, sperando inconsciamente che quel giorno non si fosse presentato al lavoro. Subito dopo però lo vide mentre chiacchierava con Susanne, appoggiato alla scrivania della segretaria.
“Ehi… sei in ritardo lo sai? Che c’è la tua sveglia per una volta non ha funzionato?” il sorriso di Ben gli morì sulle labbra mentre vedeva lo sguardo scuro del socio.
“Devo parlarti” fece Semir mentre si avviava nel loro ufficio comune.
 
“Che c’è?  E’ vero non ho ripulito la scrivania come ti avevo promesso ieri, ma lo faccio ora se ti dà tanto fastidio…” disse subito il giovane cercando di  alleggerire l’atmosfera.
Semir non parlò, prese la lettera di Kalvus dalla tasca e gliela porse con aria severa.
Mentre la leggeva vide Ben sbiancare.
“Ecco dove sei andato ieri sera. Potevi dirmelo…” fece alla fine il giovane.
 “Dirtelo? Così avresti trovato una scusa per non farmi andare da Kalvus, giusto? Per continuare la  commedia che hai recitato in tutti questi mesi…”
  Ben lo guardò con aria smarrita.
“Semir… io non volevo farti soffrire, lo sai anche tu che quello che è successo  in quel magazzino non è colpa tua. Ti avevano drogato, non eri in grado di capire quello che stavi facendo…”
“Se davvero ne sei convinto perché non hai detto la verità? Perché  mi hai mentito per tutti questi mesi raccontando la storiella che era stato l’uomo di Kalvus? Ti rendi conto che hai tra l’altro testimoniato il falso in tribunale?” Semir era sempre più arrabbiato
“Oh senti… Kalvus avrebbe avuto l’ergastolo anche senza la mia testimonianza. Ho fatto  quello che ho fatto solo per proteggerti, perché non è stata colpa tua… tu non volevi… non hai nessuna colpa”
 “Ne sei davvero convinto?? Perché invece secondo me quel lurido bastardo ha ragione. Credi che non mi sia accorto che non ti fidi più di me??”
“Questo non è vero!!” protestò Ben
“Non è vero?? Credi che non mi sia accorto che sobbalzi ogni volta che ti  arrivo alle spalle? Che non riesci più ad essere sereno quando andiamo di pattuglia? In questo solo mese hai già chiesto tre volte di cambiare turno pur di non lavorare con me…”
“Non è vero…” protestò ancora Ben
Semir perse definitivamente le staffe.
“Basta, smettila di mentire. E’ quasi un anno che lo fai… basta!!” urlò.
Ben rimase ammutolito.
In tutti quei mesi si era prefigurato la possibilità che Semir venisse a conoscenza della verità, che alla fine Kalvus poteva parlare o portargli qualche prova, ma mai avrebbe immaginato una reazione del genere.
Semir era letteralmente furibondo e la cosa iniziava a dare fastidio a Ben… dopo tutto  se gli aveva mentito era stato solo per il suo bene.
“Semir, vedi di calmarti. E’ vero ti ho mentito, ma l’ho fatto solo perché volevo proteggerti, non volevo farti soffrire…”
“Ecco vedi? Tu non mi ritenevi in grado di sopportare la verità. Non hai pensato che potevo venirlo a sapere nel peggiore dei modi, come poi è successo? Ieri sera quel bastardo mi ha riso in faccia prima di morire…”
 “Lo so mi dispiace, ho solo pensato che con il tempo sarei riuscito ad affrontare il discorso con calma…”
“Con calma… invece sai quale è la verità? E’ che nonostante quello che dici tu non riesci a dimenticare quello che è successo in quel magazzino. A parole dici che non è colpa mia, ma nel tuo animo non riesci a perdonare…”
“Ti ho già detto che questo non è vero!!”
Ma Semir ormai non lo stava più a sentire.
“Forse se mi avessi detto  subito la verità  potevamo superare la cosa insieme, ma ora… ora…  se non ti fidi di me come facciamo a lavorare insieme?” la voce di Semir era diventata improvvisamente calma
“Che vuoi dire?  Che non vuoi più lavorare con me?” chiese Ben ruvido.
“Sei tu che nel profondo del tuo animo non vuoi più lavorare con me. Io  al contrario tuo e al contrario di quello che pensi  ho il coraggio di affrontare la verità” rispose Semir uscendo dall’ufficio, sbattendo la porta
 
 Ben rimase ammutolito a guardare Semir che usciva di corsa dal Distretto.
Non capiva bene cosa era successo, sapeva solo che stavolta correva davvero il rischio di perdere il rapporto con una delle persone più importanti della sua vita; esattamente quello che aveva cercato di evitare per tutti quei mesi, anche a costo di mentire.
Si maledisse per non aver dato sufficiente ascolto a  ciò che gli aveva consigliato Max, quando era ancora ricoverato all’ospedale di Berlino. Il medico l’aveva avvertito delle possibili conseguenze, del fatto che inconsciamente poteva avere conseguenze dal trauma psicologico subito. Ma lui non l’era stato a sentire, si era considerato forte tanto da sopportare la verità  al posto di Semir, senza dirgli nulla.
Ma al contrario di quanto aveva creduto e sperato le immagini terribili del magazzino continuavano a tornare e tornare prepotenti nella sua mente, soprattutto quando erano in azione. Nella vita privata riusciva ad essere abbastanza sereno, quando erano di pattuglia  il senso di angoscia lo aggrediva in modo talmente violento da paralizzarlo completamente.
Si era quasi deciso a chiedere aiuto, magari a Max… ed ora questo. La delusione ed il dolore si confondevano nel suo animo con la rabbia; come poteva Semir essere così stupido da non capire che anche se aveva sbagliato l’aveva fatto solo per proteggerlo, perché  gli voleva bene?
“E’ possibile sapere cosa è successo e dove è andato Gerkan?”
La voce della Kruger distolse Ben dai suoi tristi pensieri.
“Aveva un  servizio urgente da sbrigare, non è successo nulla” mentì il giovane.
“Non ha mai saputo mentire bene Jager. Comunque ci sono delle persone che la aspettano in sala riunioni”


Ecco la prima di una lunga serie di incomprensioni fra i due soci.
Come ho già detto è un storia lunga  e complicata. Alla fine qualcuna di voi mi ritirerà la recensione, mi sa.
Grazie alla mia beta che si sorbisce anche tutti i miei dubbi sulle trame delle storielle che scrivo.
E grazie e tutti voi che leggete. Aspetto  sempre con ansia le vostre recensioni.


 

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Capitolo 4
*** Proposte inaspettate ***


Proposte inaspettate

Ben rimase sorpreso nel vedere dall’ampia vetrata le due persone che erano sedute al tavolo.
In realtà ne conosceva solo una Mathias Burke, il commissario dell’LKA. Era stato il suo capo quando vi lavorava.
“Ciao Ben… è un piacere rivederti” disse cordiale l’uomo alzandosi dalla sedia appena lo vide entrare e porgendogli la mano.
“Mathias… che sorpresa”  disse Ben rispondendo calorosamente alla stretta di mano.
L’uomo era uno delle poche persone con cui era rimasto in buoni rapporti dopo aver lasciato l’LKA e più che un capo era stato un amico per lui.
“Ben, lei è l’ispettrice Tanja Marcus” disse Mathias presentando la giovane donna che era al suo fianco.
Ben ne rimase subito affascinato. Era certamente una delle donne più belle che ricordava di aver visto. Alta, snella, capelli biondo scuro e i più bei occhi verdi mai visti.
“Piacere…” disse la ragazza porgendo la mano sottile.
“Ben Jager” si presentò il giovane e il contatto con la pelle fresca della donna gli provocò una piccola scossa.
 “Allora Mathias a cosa devo la visita?” chiese Ben incuriosito.
“Se ti siedi parliamo un po’” rispose lui guardando ostinatamente la Kruger.
Era un chiaro invito a lasciare la stanza.
Cosa che la Kruger fece con un sorriso, anche se Ben colse nello sguardo un chiaro lampo di ostilità.
 

“Cosa vogliono quei tizi da Ben?” chiese Bonrath appena Kim chiuse la porta alle sue spalle.
“Ma come si permettono? Venire qui a cercare di soffiarmi gli uomini migliori sotto gli  occhi…” borbottò irata lei  tornando nel suo studio.
“Vuole dire che vogliono che Ben torni all’LKA?” chiese sorpreso l’agente che l’aveva seguita.
“Proprio così, una bella faccia tosta. E’ una cosa assolutamente contraria alla prassi e al galateo istituzionale”
“Ma Commissario io non mi preoccuperei, Ben non accetterà mai. Non lascerebbe mai il Distretto e soprattutto Semir…” 
 Kim annuì pensierosa mentre guardava dalla vetrata i tre che parlavano seduti al tavolo.

 
“Allora Ben… tu sai che ti ho sempre considerato uno dei miei uomini migliori. Mi è dispiaciuto molto quando te ne sei andato. E poi per rifugiarti qui all’autostradale” iniziò  il discorso Mathias.
“Qui mi trovo bene, e poi lo sai bene quali sono state le ragioni per cui ho chiesto il trasferimento” rispose il giovane guardandolo negli occhi.
“Sì certo, ma ora le cose sono cambiate. Sono a capo del dipartimento di Colonia-Dusseldorf  e ho intenzione di rifondarlo completamente. Sto formando la mia squadra di élite. E ti voglio con me” Lo sguardo di Mathias era eccitato ed orgoglioso.
“Ti ringrazio Mathias, ma io…”
“Prima di rifiutare stammi a sentire. Ho intenzione di creare una squadra che si occupi dei casi più delicati, dei più importanti, con i miei agenti migliori e voglio Tanja e te  come capi operativi di questa unità”
 Ben rimase in silenzio a guardarlo.
 “Pensaci bene, niente più pattugliamenti sull’autostrada, turni di notte o posti di blocco  con gli autovelox. Ti occuperesti solo di casi importanti e poi… tu e Tanja avreste il grado di vice commissario. Per uno giovane come te è una grande occasione” lo lusingò ancora Mathias.
Ben sorrise, effettivamente era una grande occasione.
“Beh… a dire la verità a me piace andare di pattuglia sull’autostrada” sorrise, anche se per un attimo gli si fece strada il pensiero che  non era poi tanto bello da un po’ di tempo.
“Ben… posso chiamarti così? Pensaci bene. Mi farebbe piacere lavorare con te, Mathias mi ha parlato di te in toni entusiasti” intervenne Tanja che sino a quel momento era rimasta in silenzio.
La voce della ragazza era dolce e flautata, ma anche decisa.
Ben rimase ancora una volta in silenzio.
“Mathias io sono lusingato della proposta, ma…” disse alla fine, mentre il suo pensiero volava a Semir, e a come sarebbe stato lavorare senza di lui.
“Facciamo così, non rispondere subito, pensaci un po’. Con calma. Credimi potrebbe essere l’occasione della tua vita”.
Ben gli sorrise annuendo.
In fondo poteva permettersi un po’ di tempo prima di rifiutare.
Guardò Tanja e Mathias che uscivano dall’ufficio dopo aver rivolto un cenno di saluto alla Kruger.
Lavorare senza Semir… inconcepibile in fondo.
Solo che ora doveva trovare il modo di chiarire le cose con il socio, ovvero l’uomo più testardo ed orgoglioso che avesse mai conosciuto.  
 
 
Semir aveva preso la BMW e aveva guidato sino al grande ponte sul Reno come in trance.
A mente fredda  si rendeva conto che forse aveva avuto una reazione esagerata; se il ragazzo gli aveva mentito lo aveva fatto perché credeva che quella fosse la cosa migliore per lui.
Ma l’origine della sua rabbia era diversa; quello che gli faceva male era la mancanza di fiducia che gli stava dimostrando il suo migliore amico. In fondo se aveva mentito per mesi e mesi anche in tribunale era perché non lo riteneva in grado di sopportare la verità.
Fragile, così lo vedeva, fragile ed indifeso.
Ma lui non era così. Anzi era Ben quello fragile ed indifeso.
Chi non riusciva a dimenticare era proprio lui.
Semir rabbrividì al vento che veniva dal fiume che scorreva impetuoso sotto il ponte.
Quello era il suo posto preferito per pensare e calmarsi, ma stavolta proprio non ci riusciva.
Con l’animo pesante chiamò il Distretto. Proprio non ce la faceva a tornare in ufficio e rivedere il ragazzo, almeno per oggi.
“Susanne, sì ciao sono io… senti non mi sento molto bene, vado a casa. Avverti la Kruger che prendo un giorno di ferie”
La bionda segretaria dall’altro lato della linea rimase  per un attimo interdetta.
“Ok…  senti c’è Ben qui, perché non parli con lui… forse dovresti venire un attimo perché…”
“Qualunque cosa sia la risolviamo domani” fece brusco Semir chiudendo la conversazione.

 
Arrivò davanti casa e prima di scendere dall’auto rimase seduto alcuni momenti in silenzio.
Si chiese cosa doveva dire ad Andrea. Certamente gli avrebbe chiesto perché era a casa a quell’ora e perchè la stava evitando  già dalla sera prima, quando era tornato dal penitenziario.
Ma la sorte era dalla sua parte. Entrando in casa  si ricordò  che non c’era nessuno, Andrea era andata dalla madre perché era arrivata una cugina in visita dall’Austria.
Stanco morto per la notte insonne che aveva sulle spalle si stese sul divano e quasi subito si addormentò.
 
 
“Come sarebbe un giorno di ferie?” chiese stupito Ben a Susanne.
“Così mi ha detto e così ti riferisco. Quindi vai di pattuglia con Dieter.” fece la segretaria.
“No dai, con Dieter no, piuttosto con Jenni” protestò il giovane, ma la segretaria fu irremovibile.
Con il broncio Ben uscì dall’ufficio e si avviò fuori dove già lo aspettava Dieter poggiato alla Mercedes.
“Bene… allora oggi sarà una giornata di duro lavoro. Vedrai ci divertiremo” sorrise l’agente vedendolo arrivare.
“Sì come no…” borbottò Ben mettendosi al volante.
 
Era stata una giornata particolarmente noiosa e mancavano ancora due ore  alla fine del turno.
Ben sbadigliò mentre Dieter si dilungava ancora una volta sui vantaggi della guida sicura e a velocità costante.
“Bene, allora torniamo in ufficio per stendere i rapporti e poi a casa” disse felice l’uomo scendendo dalla Mercedes di Ben e sgranchendosi le lunghe gambe.
Ben sbuffò vistosamente.
“Senti Dieter tu inizia a scrivere i rapporti, io ho una cosa urgente da fare” disse e senza neppure dare il tempo al collega di rispondere risalì in macchina e partì.
Dieci minuti dopo era davanti casa di Semir.
Sapeva che lui era lì, la BMW era parcheggiata regolarmente di fronte all’ingresso, ma  rimase in macchina un bel po’ a cercare le parole giuste.
Solo che dopo mezz’ora ancora non le aveva trovate e così si decise ad improvvisare.
Scese dall’auto e suonò al campanello.
Dopo la terza volta finalmente comparve la faccia di Semir da uno spiraglio della porta di ingresso.
“Che vuoi?” gli chiese brusco.
“Posso entrare per favore?” rispose Ben indossando la sua aria più mite e conciliante.
Dopo un attimo di esitazione Il piccolo turco gli aprì la porta.
“Andrea non c’è?” chiese speranzoso Ben, se c’era lei le cose sarebbero state molto più facili.
“No, è dai genitori con le bambine” la voce di Semir era atona.
“Senti Semir ti prego, chiariamo questa storia…” iniziò il giovane collega.
“Non c’è nulla da chiarire. Qualsiasi sia la ragione restano due fatti oggettivi: primo mi hai mentito per quasi un anno, questo perché non mi ritenervi abbastanza forte da sopportare la verità. E secondo tu non ti fidi più di me” la voce di Semir si alzò improvvisamente e questo, come sapeva Ben, non era mai un buon segno.
“E’ vero ti ho mentito, ma se l’ho fatto è perché credevo di fare la cosa migliore. Ne avevamo passate tante, Bohm ci stava addosso… ma non è vero che non mi fido più di te”
“Non è vero?? Non è vero?? Vuoi che ti elenchi tutte le volte che in questi mesi hai rischiato di mandare all’aria qualche operazione perché non facevi quello che ti dicevo? Vuoi che ti dica di tutte le volte che non sei entrato in azione mentre io ti coprivo? Almeno sii onesto con te stesso!!”
Ben rimase in silenzio per un po’ e poi provò l’ultima carta.
“E va bene… se tu ritieni che questo sia davvero un problema cercherò qualcuno che mi aiuti, come mi aveva suggerito Max…”
Semir sbarrò gli occhi
“Max?? Vuoi dire che lui sapeva la verità? E che sapeva che tu avresti reagito in questo modo? E nonostante tutto tu sei andato avanti, a fare finta di nulla??”  Ormai Semir urlava dalla rabbia.
Ma anche Ben era un  tipo impulsivo.
“Ora basta però con queste accuse. Devi essere chiaro… cosa facciamo? Non vuoi più lavorare con me?”
Semir rimase in silenzio e quel silenzio fu per Ben peggio di una coltellata.
“Molto bene. La decisione l’hai presa tu però” disse freddo mentre usciva  sbattendo la porta.
“Ben… aspetta…” sussurrò Semir, ma le parole gli morirono in gola.
Era stanco, così stanco, avrebbe chiarito l’indomani.

 
L’indomani Semir arrivò al lavoro con  tre ore di ritardo, per la prima volta dopo tanti anni.
Aveva dormito bene quella notte, nonostante il litigio. Anzi forse proprio a causa del litigio. Aveva avuto un lungo colloquio con Andrea e la cosa gli era servita a schiarirsi le idee. Ora era calmo e pronto a riprendere il discorso con il suo socio. Perché Ben era  sempre e sarebbe stato sempre il suo socio, nonostante tutto.
Forse aveva ragione lui. Dovevano farsi aiutare da qualcuno a superare la storia, ma poi tutto sarebbe tornato come prima.
Appena arrivò in ufficio ebbe però una strana sensazione, al suo passaggio tutti lo guardavano in modo strano, a metà fra compassione e… rancore.
“Buongiorno Susanne” Semir salutò  la bionda segretaria ma ricevette in risposta solo un timido “Giorno”
Entrò nell’ufficio che condivideva con Ben e subito notò qualcosa di strano.
Inizialmente non capiva cosa, ma poi gli  balzò agli occhi.
La scrivania di Ben, di fronte alla sua, era in perfetto ordine.
Sorrise fra sé e sé.
“Beh… se litigare con lui serve a fargli mettere in ordine lo faccio più spesso” pensò, ma poi lo sguardo gli cadde nell’angolo.
La chitarra? Che fine aveva fatto la chitarra che Ben teneva sempre nell’angolo dietro la scrivania?
Neppure il tempo di trovare una risposta che la Kruger lo richiamò alle spalle.
“Gerkan, nel mio ufficio” disse dura.
Semir la seguì con una specie di morsa che iniziava a prendergli lo stomaco.
“Giorno capo…” provò a salutare, ma Kim non ricambiò il saluto.
“Posso sapere cosa è successo fra lei e Jager ieri mattina?” chiese a muso duro.
“Ma nulla capo…” provò a giustificarsi Semir.
“Non mi pare nulla se Jager ha accettato il trasferimento immediato all’LKA”
 

Ebbene sì... fine della coppia d'oro, esattamente come aveva previsto Sander Kalvus.
Torneranno mai a lavorare insieme?
La storia è lunga...
Grazie a tutti i lettori, ai recensori ( Marti, Sophie, Furia, Laura,  e la nuova arrivata chlo) e soprattutto alla mia beta. Senza di lei i cancelli al posto di essere "pesanti" sarebbero "pensanti" e i capelli- cappelli.
A proposito... teniamo d'occhio la new entry femminile... riserverà sorprese

 

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Capitolo 5
*** Orgoglio ***


Orgoglio
 
Semir rimase  letteralmente di stucco incapace di dire qualunque cosa.
Era sbalordito e al tempo stesso addolorato. Ma anche arrabbiato.
Come aveva potuto? Come aveva potuto piantarlo in asso così per un semplice litigio?
Piano piano si fece largo in lui la convinzione che allora era tutto vero… in fondo aveva colto l’occasione per chiudere con lui. Perché era vero… lui non si fidava più.
“Si decide a dirmi qualcosa Gerkan?” sbottò la Kruger.
“Io di questa storia  non so nulla, Commissario mi creda” rispose Semir.
 “Vuol dire che lei non sapeva nulla del colloquio di ieri mattina  di Jager con quelli dell’LKA?” chiese stupita Kim.
“Assolutamente no”
Kim lo guardò imbarazzata ed incredula.
“Che è successo fra lei e Ben? Deve per forza essere successo qualcosa, perché  altrimenti…” chiese di nuovo.
Semir non le lasciò finire la frase.
“Ma insomma deve essere per forza colpa mia? Forse semplicemente non voleva più lavorare qui” sbottò furibondo.
Kim lo guardò allibita, ma conservò la calma.
“Se mi sono rivolta a lei è perché lei è il partner di Jager, quindi credevo che fosse a conoscenza di qualcosa. E io non mi faccio soffiare gli uomini migliori sotto il naso senza fare  nulla” sibilò.
“Benissimo, allora ci parli lei, veda lei cosa è successo e lo convinca a tornare. Ma gli trovi anche un altro partner. Io con lui ho chiuso” sbottò Semir uscendo di corsa dall’ufficio del suo capo.
“Vieni Jenni andiamo di pattuglia” urlò alla ragazza che era rimasta come tutti gli altri congelati ad assistere alla discussione.
La giovane agente non potè fare altro che seguire il piccolo turco che si precipitava verso la sua BMW.

 
La giornata era passata tranquilla.
Ma l’animo di Semir non era per nulla tranquillo.
Per la prima volta dopo tanti anni aveva la netta sensazione che qualcosa di quella magica alchimia che lo legava all’amico si fosse davvero rotta, ed in modo irrecuperabile.
Era preda di sentimenti contrastanti.  Da un lato il desiderio di rimediare, di porre fine a questa assurda situazione che gli stava portando via una  delle persone più importanti della sua vita e dall’altro la rabbia. Rabbia perché quello stupido ragazzo immaturo non aveva capito l’importanza di quel legame e si era arreso alla prima difficoltà. Rabbia e dolore per la sensazione che in fondo aveva avuto ragione a pensare che non si fidava più di lui, che nonostante le belle parole lo riteneva colpevole per quello che era successo l’anno prima nel magazzino.
Durante il servizio aveva rivolto sì e no due parole a Jenni e lei era rimasta praticamente muta ed immobile, senza il coraggio neppure di emettere un  fiato nel timore che il piccolo ispettore esplodesse.
Ma ora mentre tornavano in ufficio Jenni non si trattenne.
“Semir devi andare a parlare con Ben” disse senza guardarlo negli occhi.
“Chi ti dice che io voglia farlo? Ha preso la sua decisione senza dirmi nulla non vedo perché dovrei parlargli” sbottò.
“Oh per favore Semir, lo sanno tutti che deve essere successo qualcosa fra te e lui, altrimenti Ben non avrebbe mai accettato il trasferimento. E se non gli parli ora lui non tornerà più. E te ne pentirai.” fece di rimando la ragazza entrando in ufficio.
Semir si bloccò sulla porta.
Era vero. La ragazzina era più matura di lui. Doveva risolvere ora.

 
Semir parcheggiò nell’unico posto libero scovato davanti alla sede dell’LKA.
C’erano i furgoni delle tv ferme e giornalisti che andavano e venivano. Doveva essere in corso una conferenza stampa.
Semir espose il suo tesserino di riconoscimento sulla giacca ed entrò nell’ampio ingresso dell’edificio.
Non lo ricordava così grande nel breve periodo in cui anche lui aveva chiesto il trasferimento, per accontentare Andrea.
Si fermò al desk di accettazione e si rivolse alla bionda segretaria.
“Buonasera vorrei parlare con l’ispettore Jager, sa dirmi dove trovarlo?”
La ragazza lo guardò perplessa.
“Il “vicecommissario” Jager è impegnato nella conferenza stampa. Deve aspettare che finisca se vuole parlare con lui…ispettore Gerkan” disse sporgendosi per leggere il nome sul tesserino.
Vicecommissario… gli avevano dato anche la promozione diretta.
Semir rimase perplesso. Certo a trentacinque anni era un bel passo avanti nella carriera. Ora il giovane, che aveva quattordici anni meno di lui, era tecnicamente un suo superiore. Con un pizzico di invidia pensò a tutte le volte in cui Ben l’aveva spronato a tentare l’esame per passare di grado. Ma era un esame difficile e lui non aveva né il tempo, né la voglia di tentarlo. Stava bene così, lo stipendio era decente e aveva il miglior partner che si potesse desiderare.
Ed invece lui aveva ceduto alla lusinga della carriera.
Semir si avvicinò alla grande sala riunioni dove era in corso la conferenza stampa.
Mathias Burke, il commissario capo, che Semir  conosceva di vista, sedeva al centro del grande tavolo, circondato dai microfoni. Alla sua destra sedeva Ben, con aria imbarazzata e alla sinistra una ragazza bionda.
Dietro erano schierati una dozzina di agenti in uniforme.
“La squadra è nata direttamente da una idea del Ministro degli Interni. Si tratta dei migliori agenti che abbiamo reclutato in tutti i vari reparti della polizia federale. A coordinarli saranno i vicecommissari Ben Jager e Tanja Marcus che vedete seduti accanto a me. La squadra si occuperà dei più delicati casi della polizia criminale e risponderà direttamente a me e al Ministro degli Interni. Si tratta come vedete di una operazione senza precedenti…”
Semir non ce la fece più a sentire le chiacchiere di quel burocrate.
Gli era bastata una occhiata per capire che ormai Ben aveva scelto.
Se ne stava lì tutto impettito a pavoneggiarsi con i giornalisti.
Se voleva restare all’LKA ci restasse maledizione, pensò Semir mentre si allontanava furibondo.
 

Ben aveva gli occhi che minacciavano di chiudersi da un momento all’altro.
Gli avvenimenti degli ultimi due giorni  avevano completamente sconvolto la sua vita.
Neppure il tempo di dire a Mathias che accettava la sua offerta e  si era ritrovato nel nuovo ufficio, con tutta la sua roba già prelevata dalla Autostradale e sistemata in perfetto ordine, ivi compresa la chitarra.
Dopo di che era stato tutto un turbinio di incontri, il Ministro dell’Interno Federale, quello regionale, il capo della Polizia Federale, il Procuratore capo, le riunioni con Tanja e gli altri arruolati per la nuova squadra, tutto talmente veloce e asfissiante che Ben non aveva neppure avuto il tempo di pensare bene e ragionare sulle conseguenze della scelta che aveva fatto.
Ma ora durante la conferenza stampa, mentre Mathias parlava in tono monocorde e rispondeva alle stupidissime domande dei giornalisti, si era ritrovato a rimuginare sul futuro che l’aspettava.
Certo ora era vicecommissario, la sua nuova tessera di identificazione  era già nel suo taschino, il lavoro sembra eccitante ed interessante, molta azione e poche scartoffie, ma non ci sarebbe stato più Semir al suo fianco.
Si ritrovò a pensare a tutte le mattine, i pomeriggi e le serate passate a lavorare  o divertirsi senza di lui. Certo poteva cercare di recuperare e salvare almeno il rapporto di amicizia, ma non sarebbe stato più lo stesso senza essere partner.
“Cavolo Ben, ma che c… stai facendo?” si ritrovò a pensare mentre Mathias presentava lui, Tanja ed il resto della squadra.
“… ed il nome della squadra sarà Squadra Delta” concluse Mathias con orgoglio.
Squadra Delta…  sembrava il titolo di uno di quei pessimi film di azione americani.
Ben girò lo sguardo annoiato  nella sala fino a che la sua attenzione non fu catturata dalla piccola figura maschile sul fondo.
Subito gli  spuntò un piccolo sorriso sulle labbra; Semir era venuto a riprenderlo.
Mentalmente cercò di pensare alle parole da dire per potergli chiedere scusa per quello che era successo, ma la delusione si impossessò di lui quando vide il suo partner, perché lui lo considerava ancora così, andare via, non prima di avergli lanciato uno sguardo di rancore assoluto.
Un dispiacere fortissimo, quasi a livello di dolore fisico, si impadronì del suo animo.
Cercò di calmarsi e concentrarsi su quello che diceva Mathias.
Doveva rassegnarsi, Semir non voleva più lavorare con lui.

Dunque capitolo un po' di transizione, ma non vi preoccupate nel prossimo faremo conoscenza con la bionda nuova collega di Ben (e  ci saranno sorprese), oltre che con la nuova vita di Kim.
Grazie sempre a tutti.
Se ci sono i punti alla fine delle frasi è merito della mia beta, io sto litigata con i punti.

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Capitolo 6
*** Tanja ***


Tanja
 
“Bene ragazzi, direi che per oggi è tutto. Riprendiamo domani. Perché voi due non familiarizzate? Potreste andare a farvi una birra, così parlate un po’, dopotutto dovete lavorare a stretto contatto” disse Mathias mentre raccoglieva i fogli dal tavolo.
Gli altri erano già andati tutti via e nella grande sala erano rimasti solo Tanja e Ben, oltre Mathias.
La ragazza era davvero bella, a Ben girava un po’ la testa ogni volta che si avvicinava e ne sentiva il profumo.
Certo doveva imparare a considerarla solo una collega, ma la cosa allo stato gli risultava difficile.
“Per me va bene… tu che ne dici?” chiese Tanja guardandolo negli occhi.
“Certo… dove andiamo?” concordò Ben. Dopotutto  non gli andava per nulla di stare solo quella sera con tutti i pensieri che gli frullavano in testa.
“Conosco io un bel posto” fece Tanja mentre si avviava all’uscita.
 
Il locale era carino e poco affollato.
Ben e Tanja si sedettero ad uno dei tavoli sul fondo ed ordinarono da mangiare e due birre.
Ben non riusciva a smettere di fissare la ragazza. Era  una delle più belle che avesse mai conosciuto e sicuramente la più sensuale. Anche negli anonimi e quasi maschili vestiti che indossava si muoveva con una femminilità quasi felina. Al suo passaggio tutti i maschi del locale si erano girati e Ben non potè fare a meno di sentire sulla pelle gli sguardi di invidia che gli arrivavano da tutte le parti.
“Non è educato fissare” fece la ragazza guardandolo con aria di sfida.
Ben arrossì all’istante.
“Scusa… non volevo, cioè…” si sentiva imbranato come un adolescente.
“Dobbiamo lavorare insieme, quindi guardami per bene e poi la finiamo” concluse lei sicura. Era sicuramente conscia della propria bellezza.
Ben non trovò la forza di rispondere.
“Senti… ma tu sei sicuro di voler lavorare con noi? Ti vedo distratto, quasi svogliato…” la voce di Tanja era flautata, ma incuteva anche timore per la decisione.
“No è che… non ho avuto ancora il tempo di metabolizzare bene” provò a giustificarsi Ben.
“Non ci possono essere distrazioni nel nostro lavoro. Se devo lavorare con te, devo essere sicura che mi copri le spalle, così come io le copro a te”
“Non sono un pivello, queste cose le so… e ti posso assicurare che in azione non ho mai abbandonato il mio partner” Ben ora iniziava ad offendersi.
“Semir Gerkan, giusto? Eravate la coppia d’oro della CID, mi spieghi perché alla fine hai accettato il trasferimento?”
“Fatti miei” sbottò Ben.
“La tua risposta rende evidente che la cosa ti brucia”
Ora Ben stava davvero per perdere la pazienza.
“Te lo ripeto: la ragione per cui ho lasciato l’autostradale sono solo fatti miei, non credo che ti possano interessare”
“Sono fatti anche miei, se mi mettono in pericolo in azione o mettono in pericolo gli altri della squadra”
“Ti ho già detto che non è così” Ben ora era furioso.
Ma Tanja sfoderò uno dei suoi favolosi sorrisi.
“Ok” disse semplicemente prendendo un sorso della sua birra.
 
Rimasero a parlare del più e del meno per quasi tre ore.
Dopo l’iniziale litigio gli animi si erano placati e avevano parlato delle loro pregresse esperienze, dell’accademia e dei loro hobbies .
Avevano in comune la passione per la musica e le moto e quando si alzarono dal tavolo Ben ebbe l’impressione che quella ragazza bellissima era anche molto misteriosa ed intrigante.
“Ben smettila, mai relazioni fra colleghi” pensò ricordando la prima lezione che gli avevano dato all’accademia.
  
“Allora  a domani” disse Ben salutandola, mentre si avvicinavano alle loro auto.
Ma la ragazza,  al posto di dirigersi verso l’auto, si avvicinò sempre più.
“Buonanotte” sussurrò accostando il viso a quello di Ben.
Ben fu colto completamente di sorpresa dal bacio.
E non fu un bacio normale, casto come può essere un qualsiasi primo bacio.
Fu il bacio più passionale mai ricevuto.
La testa di Ben iniziò a girare furiosamente mentre le labbra di lei, dolci e profumate, si schiudevano per aprirsi in un contatto profondo.
Sempre più scioccato sentì che la ragazza lo spingeva verso un angolo scuro del vicolo.
Sentì la mani sottili di lei che iniziavano ad sfiorarlo, prima sul collo e poi sul petto, ma non riusciva ad ordinare al suo corpo di fermarsi, non riusciva ad ordinare alle sue braccia di allontanare la ragazza.
E le carezze, sempre più insistenti, sempre più decise, continuavano e continuavano, come il bacio, sempre più lungo e profondo, tanto da non  lasciargli neppure la forza di respirare.
Ben sentiva che stava per perdere completamente il controllo.
“Che stai facendo!! E’ una collega…” si ripeteva, ma non riusciva a restare razionale, sentiva solo le mani sottili e fresche di lei che si insinuavano sotto la camicia e scendevano sempre di più.
“Tanja… aspetta forse non…”mormorò quando la bocca di Tanja si staccò dalla sua per andare sul collo  e poi dietro l’orecchio mordicchiandolo.
Non riuscì neppure a finire la frase.
Il profumo della ragazza, il contatto con la sua pelle, la sensazione del suo seno contro il suo torace lo mandavano in estasi.
Sussultò quando le mani arrivarono alla cintura dei pantaloni.
“No non lo farà… non può farlo…” pensò con la mente completamente offuscata dai sensi.
Ed invece sentì  che la cintura veniva slacciata e le mani si insinuavano sempre più sfacciate.
“O porca… siamo in pubblico…” pensò, ma ormai non aveva la forza e neppure la voglia per fermarla.
 
E poi all’improvviso Tanja si staccò bruscamente da lui.
“Ci vediamo domani” disse mentre gli sorrideva, senza coinvolgimento.
Anche nella penombra Ben vide lo sguardo di sfida che Tanja aveva negli occhi prima di rimettersi in ordine ed andare via.
Ansimando  e completamente sconvolto la vide salire in macchina ed allontanarsi veloce.
 
 
Kim Kruger non aveva più avuto un compagno fisso dal divorzio.
Per lei era difficile, abituata come era alla assoluta indipendenza, adattarsi ora alla idea di aver un uomo stabile nella sua vita, con cui convivere, andare in vacanza, ridere e piangere, confidare le preoccupazioni.
Ma con Max  Weiss la cosa le era venuta naturale.
Quando lui le aveva proposto di stare insieme e di convivere, quantomeno nei fine settimana e nei periodi di vacanza, quando Max era libero dal servizio all’ospedale di Berlino e lei dai suoi impegni di lavoro, era stata restia ad accettare.
Ma già dopo i primi giorni si era accorta  che quell’uomo era la  perfetta metà della mela; stessi gusti, stesse abitudini, ambedue abbastanza rispettosi della indipendenza e autonomia dell’altro.
E così Kim per la prima volta dopo tanti anni si era ritrovata a fantasticare su di un futuro insieme, una casa e magari dei figli.
 
Quel giorno era così furiosa che neppure si ricordò che era venerdì e che quindi Max era in casa.
Sobbalzò nel vederlo uscire dalla cucina con un assurdo grembiule colorato e un sorriso un po’ ebete stampato sul volto.
“Come sta il più bel commissario della Vestfalia?” chiese mentre la prendeva fra le braccia e la baciava sul volto.
“Ciao Max” Kim lo abbracciò, ma il compagno capì all’istante, dalla tensione del corpo della donna, che c’era qualcosa che non andava.
“Ehi… tutto bene?” chiese.
“Sì… insomma… oggi Ben Jager ha lasciato il distretto e si è trasferito all’LKA”
Max la guardò incredulo.
“Ben? Senza Semir? Ma cosa…”
“Non chiedermi cosa è successo, perché proprio non lo so. Suppongo che abbiano litigato e poco dopo Jager ha accettato il trasferimento che quella serpe di Mathias Burke gli aveva proposto. Pensa che non è passato neppure a salutare o a prendere le sue cose. Hanno mandato due agenti dell’LKA a sgomberare l’ufficio” La voce di Kim era a metà fra l’addolorato e l’arrabbiato.
“Ma hai parlato con Semir? Ti ha detto cosa è successo?” chiese Max, mentre iniziava ad apparecchiare la tavola.
“Certo, ma non si sbottona. Non mi vuole dire  cosa è successo e si rifiuta anche di andarci a parlare”
Max sospirò iniziando ad intuire cosa poteva essere successo.
Era uno dei pochi che aveva la conoscenza reale dei fatti, ovvero che Ben stava mentendo da più di un anno su quello che era successo nel magazzino di Berlino.
“Forse dovresti lasciare stare. Vedrai che fra un po’ torna indietro” Disse cercando di stemperare il clima
“Non credo. Ho appena visto in tv la conferenza stampa di presentazione della sua nuova squadra. La dirigerà lui insieme ad una collega, e l’hanno anche fatto vicecommissario per promozione diretta…”
“Che c’è? Non vuoi perdere Ben? Dì la verità, ti sei affezionata” Max cercò ancora una volta di alleggerire il clima.
“Io non mi faccio soffiare gli uomini migliori da sotto il naso così. Quella serpe di Mathias… è altamente scorretto quello che ha fatto, ha proposto il trasferimento a Jager senza neppure parlarne prima con me…”
“Ahhh allora sei solo possessiva…” Max abbracciò da dietro Kim
“No, è che senza Jager anche Gerkan lavora male…” tentò di giustificarsi la donna
“Ma non eri tu quella che si lamentava sempre del fatto che quei due insieme sono micidiali, distruggono le auto ecc. ecc.?”
Kim sbuffò.
“Senti Max… tu sei molto amico di entrambi… perché non provi a capire cosa è successo?”
Max annuì, ma nel suo cuore aveva il fondato sospetto di conoscere già la risposta a quella domanda; e se così era poteva fare ben poco per rimediare, Ben e Semir dovevano superare la cosa da soli.
Cercò di non pensarci mentre baciava appassionatamente la sua donna
 
 
Semir rientrò in casa che sentiva  lo stomaco come chiuso in una morsa a tenaglia.
Non capiva se era rabbia o delusione; sentiva come se all’improvviso il mondo si fosse rivoltato. Se qualcuno anche solo  qualche giorno prima gli avesse detto che avrebbe provato questi sentimenti verso il suo migliore amico non ci avrebbe mai creduto.
“Ciao Semir…” gli fece Andrea vedendolo entrare, ma la faccia scura del marito le fece subito capire che la situazione non si era risolta.
“Ciao Andrea” Semir si tolse la giacca e si buttò sul divano esausto.
“Non  avete fatto pace giusto?” chiese la donna sedendosi accanto al marito.
“Andrea non siamo bambini che hanno litigato e devono fare pace. E poi la decisione ormai l’ha presa lui. Ha lasciato il distretto”
La donna sbarrò gli occhi dalla sorpresa.
 
Quando Semir ebbe finito il suo racconto Andrea si limitò a guardarlo scettica
“Quindi neppure gli hai parlato…lo faccio io se tu non vuoi farlo” disse sicura.
Semir si infuriò ancor di più.
“Non mi pare proprio il caso, dopotutto è lui che deve fare il primo passo, io non ho detto nulla, lui mi ha mentito, lui se n’è andato senza dire nulla, lui…”
Andrea lo interruppe brusca.
“Semir basta!! Sembri  un bambino a cui hanno tolto le caramelle. Ben è il migliore amico che tu abbia mai avuto ed è anche mio amico. E’ Il padrino di Lily e Aida lo ama alla follia…”
“Dovranno imparare a fare a meno di lui, tutti noi dovremo imparare…”
“Cosa? Ma sei impazzito? Ma ti senti?” gli urlò contro la moglie.
“E’ una faccenda che riguarda me. Tu devi starne fuori, capito?” disse alzandosi di scatto dal divano.
“Attento Semir, l’orgoglio spesso è un pessimo consigliere. Potresti pentirti amaramente di non avergli parlato” disse decisa mentre si alzava anche lei e rientrava in cucina.


Un po' focosa la nostra Tanja... spero che la descrizione della scena non abbia offeso nessuno.
Comunque, vi ripeto... riserverà tante, tante soprese la ragazza.
A presto e grazie delle recensioni e delle letture.

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Capitolo 7
*** A folle velocità ***


A folle velocità

Ben si svegliò al suono stridulo della sveglia. A tentoni la trovò sul comodino e la spense mentre cercava di recuperare lucidità.
Nonostante gli avvenimenti del giorno prima l’avessero lasciato esterrefatto aveva dormito come un sasso. Il che avveniva raramente dai fatti di Berlino.
Sbadigliando entrò nella doccia e si chiese per l’ennesima volta come doveva comportarsi ora con Tanja, dopo quello che era successo la sera prima.
L’intraprendenza e la sfacciataggine della ragazza lo irritavano e lo affascinavano al tempo stesso.
“Ben non deve succedere più, è una collega e devi lavorare insieme a lei” si disse ricordando le parole che gli diceva sempre Semir quando si girava a guardare le belle colleghe del Distretto.
Semir.
Per alcune ore aveva distratto la mente dal pensiero dell’amico. 
Ma ora  il dolore sottile del distacco tornò a farsi sentire prepotente.
Oggi non avrebbe lavorato con lui. Probabilmente da oggi non avrebbe mai più lavorato con lui. Come era potuto succedere?
Si ritrovò a pensare ai sabato e alle domeniche passati a casa Gerkan e al fatto che fra un po’ sarebbe stato il compleanno di Aida.
No, non poteva permettere a quello stupido testardo orgoglioso di togliergli anche le bambine. Loro dovevano restare fuori da questa storia.
Con mille pensieri nella testa arrivò alla sede dell’LKA e venne accolto da un laconico “buongiorno” da Tanja che già sedeva nel suo ufficio.
Ben entrò direttamente nel suo e accese il pc, iniziando ad organizzare i file che gli avevano passato la sera prima.
Cercò insistentemente di non guardare per tutto il tempo Tanja, attraverso la vetrata di fronte a lui, ma la cosa risultava difficile.   
La ragazza sembrava del tutto normale, lo guardava indifferente, come se nulla fosse successo e la cosa lo sconvolgeva sempre più.
Con una certa ansia la vide  venire verso di lui.
“Mathias ci vuole subito di là, abbiamo il nostro primo caso” disse sporgendosi appena dalla porta.
Ben si alzò e la seguì nel lungo corridoio, ma prima di entrare la tirò in disparte.
“Tanja… forse dovremo parlare di quello che è successo ieri sera” bisbigliò per non farsi sentire dagli altri agenti che si stavano dirigendo verso l’ufficio del capo.
Tanja lo guardò sorpresa.
“Cosa è successo ieri sera? Nulla di importante mi pare…” fece con una certa dose di ironia.
Ben rimase ancor più interdetto.
“Siamo colleghi Tanja non dovremmo…”
“Senti Ben… io non so quali tipi di ragazze frequenti. Ma io sono fatta così. Sono indipendente e se mi va di fare una cosa la faccio. Senza alcun coinvolgimento emotivo, credimi. Quello che è successo ieri sera non è nulla di più di quello che hai visto, ovvero puro divertimento. Se non ti va, basta dirlo. E ti assicuro che da parte mia non c’è alcun coinvolgimento che ci possa impedire di lavorare insieme” disse sicura di sé.
Ben rimase a guardarla mentre con il solito passo felino entrava nella stanza di Mathias.
Quella ragazza era la cosa più strana e sconvolgente che gli era capitata negli ultimi anni.
 
 
“Il servizio segreto civile ci ha appena informato che uno dei più grossi carichi di armi di tutti i tempi, provenienti dall’est Europa transiterà sul nostro territorio, diretto in un porto in Italia e poi del nord Africa. Dobbiamo bloccarlo mentre transita sulla A/24 diretto al Brennero”
Mathias Burke parlava sicuro di sé e leggermente eccitato.
Tutti annuirono soddisfatti di entrare in azione e far vedere quanto valevano.
“La strategia è evitare i posti di blocco, potrebbero esserci problemi per i civili e quello che ci interessa e cercare di recuperare tutte le armi. Per questo li  seguiremo e li fermeremo alla sosta per il rifornimento di carburante” continuò.
“Scusa  Mathias, ma così se il crimine avviene sull’autostrada la competenza è della CID” fece Ben interdetto.
Mathias lo guardò con aria divertita.
“Noi non siamo legati ad alcuna competenza. Ci occupiamo dei casi  di cui io ritengo che ci dobbiamo occupare. Ho carta bianca sul punto da parte del Ministro  e del capo della Polizia Federale. Quanto alla CID ci fornirà solo servizio di copertura. Non voglio che quegli incompetenti facciano fallire l’operazione” rispose sarcastico.
Ben sentì un moto di rabbia salirgli alla gola, ma non poteva reagire subito. Già Tanja l’aveva accusato di non essere convinto del nuovo lavoro. Per cui ingoiò la sua rabbia e stette in silenzio ad ascoltare le restanti istruzioni.
 

“Signori, nel mio ufficio” disse Kim con la solita aria autoritaria affacciandosi alla porta del suo ufficio.
Semir si alzò svogliatamente dalla sedia cercando di non far caso alla scrivania desolatamente vuota di fronte a lui.
L’atmosfera nel Distretto era strana e silenziosa, sembrava quasi un ufficio normale senza Ben che imperversava canticchiando e facendo battute.
Semir, Dieter, Jenni e gli altri agenti si sedettero attorno al tavolo delle riunioni e Kim iniziò la sua relazione.
“La squadra Delta ci ha chiesto servizio di appoggio per una operazione. Si tratta di intercettare  un enorme carico di armi in transito sula A/24. Il nostro compito è quello di fornire sorveglianza ed eventuale supporto sino a che non interverranno  loro per bloccarlo” disse con voce atona.
“Scusi capo…ma se il reato avviene o viene accertato in autostrada la competenza dovrebbe essere nostra…” fece Dieter.
Kim lo guardò con un sorriso ironico.
“La squadra Delta,  a quanto pare, non ha limiti di competenze, si occupa dei casi di cui si vuole occupare” rispose acida.
Semir seguiva annoiato la conversazione. In fondo senza Ben  nessun caso o missione era eccitante;  per lui ora lo stesso stare a dirigere il traffico e  fare multe o seguire un carico di armi.
“Dunque signori saremo divisi in squadre e ci divideremo la sorveglianza del percorso del  camion. Sarà necessaria la massima discrezione, quindi silenzio radio, abiti civili ed auto civetta…” continuò a spiegare Kim.

 
“Non metti il giubbotto?” chiese Ben mentre vedeva Tanja che indossava la giacca senza il giubbotto antiproiettile sotto.
“Mi dà fastidio  durante la guida” disse sicura la ragazza, senza neppure guardarlo.
“E cosa ti fa pensare che guiderai tu?” chiese Ben a metà fra l’ironico e l’irritato.
“Il fatto che ho deciso così e sono stata la prima del mio corso di guida”
La voce di Tanja lasciò per un attimo interdetto Ben.
Era molto supponente e la cosa iniziava a dargli veramente fastidio.
Ma come al solito la ragazza  riuscì a spiazzarlo prima che riuscisse a dire o fare qualsiasi cosa.
Gli si avvicinò quasi a sfiorare il viso con il suo.
“Facciamo così oggi guido io, alla prossima se vuoi ti lascio il volante” sussurrò guardandolo con aria da bambina maliziosa.
Era la donna più seducente che Ben avesse mai incontrato.
Il suo profumo lo mandò ancora in volta in tilt e rimase imbambolato a guardarla mentre si metteva la pistola nella fondina e si avviava sicura alla uscita.
 
 
“Vorrei proprio sapere perché non ti sei cambiato come ci aveva ordinato la Kruger” fece Jenni guardando spazientita verso Dieter che le sedeva  affianco, ancora in uniforme.
“Scusa tanto se io non ho un vero e proprio guardaroba come te nell’armadietto. E se non mi sono potuto far prestare nulla dagli altri vista l’altezza” sbottò il collega.
“Ora però devi restare in macchina, come ha ordinato la Kruger. Se quelli si accorgono che siamo polizotti…”
“Tranquilla non mi muovo” rispose l’agente.
Erano entrambi seduti in un’auto civile, parcheggiati nell’area di sosta dove si aspettavano che facesse rifornimento il camion con a bordo le armi.
Semir  era a bordo di un’altra auto a sorveglianza della piazzola successiva.
Da lontano Dieter continuava a guardare con aria scettica Ben e la ragazza bionda che si aggiravano indifferenti nei pressi del bar, fingendosi clienti.
I due continuavano a parlottare e ridacchiare seduti ad un tavolino esterno.
“Ehi ma hai visto quei due? Ci scommetto la testa che quella bionda c’entra qualcosa nel fatto che Ben ha lasciato il Distretto…” borbottò l’agente.
“Perché deve sempre essere colpa di una donna? Io dico che Ben ha lasciato il distretto perché ha litigato con Semir e quei due sono troppo ostinati e orgogliosi per fare il primo passo e chiedere scusa” rispose seccata la collega.
“Sarà… ma conoscendo Ben ora è difficile che torni indietro con una partner così” ridacchiò Dieter, beccandosi una occhiataccia dalla sua collega.
Ormai erano diverse ore che stavano lì ad aspettare e la noia faceva quasi chiudere gli occhi ai due.
Dopo altre due ore di attesa Dieter iniziò ad agitarsi inquieto sul sedile.
“Che hai?” chiese Jenni sbadigliando vistosamente
“Devo andare in bagno…”
“La mamma non ti ha insegnato a tenerla?” rise Jenni.
“Sì, ma sono ore che siamo qui e non ce la faccio più”
“Non puoi scendere Dieter sei in uniforme, se ti vedono…”
“Senti siamo qui da ore e non si vede ancora nulla, ci metto cinque minuti” rispose l’alto poliziotto e senza aspettare la risposta della collega scese dalla macchina e si avviò lesto  verso l’entrata del bar.
Ben gli lanciò una occhiata di fuoco mentre entrava, ma lui non ci fece caso.
“Ci sono cose che non si  possono rimandare” pensò avviandosi all’interno.

 
“Ma quello è un demente… è in uniforme!!!” sibilò Tanja guardando verso Bonrath che entrava nel bar.
“Ehi, modera i termini, è un mio amico”  si inalberò Ben.
“Allora hai amici dementi. Avevamo ordinato specificamente abiti civili” 
Nessuno dei due ebbe tempo di continuare la discussione.
Nei loro auricolari arrivò la voce di Mathias: “Occhio ragazzi… Delta 4 ci ha appena comunicato che stanno per arrivare da voi”
“A tutte le unità… in posizione” sussurrò Ben nel piccolo microfono nascosto sotto il bavero della giacca.
Non passarono che pochi secondi che videro il grosso autoarticolato entrare nel parcheggio, seguito da due grosse berline nere.
 
“Aspettate che scendano … poi procediamo come previsto” sussurrò Ben nel microfono guardando  sottecchi i colleghi che si erano mimetizzati in giro per l’area di sosta.
Il grosso camion parcheggiò proprio vicino all’auto di Jenni e Dieter, e ne scesero quattro uomini vestiti di nero, come gli altri sei che scesero dalle auto che  seguivano il mezzo.
Immediatamente il gruppetto iniziò a guardarsi sospettoso intorno, poi uno di loro fece un cenno all’autista che mise in moto il mezzo ed iniziò a dirigersi verso il distributore.
“Aspettate che si allontanino dal mezzo” bisbigliò ancora Ben.
Girato di spalle neppure vide Dieter che fischiettando, nella sua sgargiante uniforme, usciva dal bar e si dirigeva, con due tazze di caffè, verso l’auto con Jenni a bordo.

 
Gli uomini vestiti di nero si bloccarono quasi completamente alla vista dell’alto poliziotto che, invece, neppure fece caso alla loro presenza, avvicinandosi allegro all’auto.
“Jenni ti ho portato un po’ di caffè, questi appostamenti possono essere mortalmente noiosi…” disse rivolto alla collega seduta in auto che cercava con lo sguardo di segnalargli la presenza del gruppetto.
Poi successe tutto molto in fretta.
Gli uomini impugnarono le armi ed iniziarono a sparare all’impazzata. mentre raggiungevano le loro vetture.
Il camion  con una brusca accelerata  lasciò l’area di sosta e si immise sulla trafficatissima carreggiata.
“Merda” imprecò Ben mentre correva con Tanja verso l’auto.
 
 
“A tutte le unità abbiamo un autoarticolato  e due berline nere, a bordo un totale dieci unità armate e pericolose, in direzione Brennero altezza km 265”
La voce di Mathias che dirigeva le operazioni dal centro di controllo mobile era straordinariamente calma.
Tanja guidava veloce e sicura, schivando con zig zag improvvisi le varie vetture che protestavano con rumorosi colpi di clacson.
”Attenta… è sulla tua destra” la avvertì Ben, ma la ragazza aveva gli occhi fissi sulla strada e non dava cenno di averlo sentito.
“Accosta, io cerco di salire dal lato…” fece Ben iniziando a sporgersi dal finestrino.
Neppure stavolta Tanja rispose, ma sterzando veloce si accostò al lato del camion, proprio mentre una pioggia di proiettili piombava sull’auto, schizzando da tutte le parti.

 
Semir sbadigliò per l’ennesima volta seduto al volante della sua BMV parcheggiata nella piazzola di sosta.
Tutto gli sembrava mortalmente noioso e cercava di non guardare il sedile desolatamente vuoto accanto a lui e di non pensare a come sarebbe stato quell’appostamento se ci fosse stato Ben,
Sicuramente il tempo sarebbe passato in un baleno a chiacchierare di donne, auto nuove, calcio e così via.
La perfetta amicizia maschile … come poteva finire così?
“A tutte le unità abbiamo un autoarticolato  e due berline nere,  a bordo un totale dieci unità armate e pericolose in direzione Brennero altezza km 265”
La voce di Mathias Burke penetrò nella depressione di Semir e finalmente lo rianimò.
Il piccolo ispettore turco mise in moto l’autovettura e sgommò verso l’autostrada, giusto in tempo per vedersi passare davanti il grosso articolato seguito dalle due berline nere e  affiancata l’auto guidata da Tanja.

 
“Accosta, fatti più vicino” urlò Ben sporgendosi sempre di più.
Abilissima, Tanja avvicinò ancor di più l’auto al lato del furgone, tenendo la stessa velocità, mentre un mare di proiettili provenivano dalle auto che lo seguivano; con fatica Ben trovò dei punti di appiglio e con la forza delle braccia si issò sul lato del camion.
Sentiva i proiettili fischiargli vicino alle orecchie, ma cercò di non farci caso mentre iniziava l’arrampicata verso il tetto.
Il vento dato dalla velocità quasi folle del camion rendeva ogni movimento difficile e più volte Ben sentì le dita scivolare sui pochi appigli che aveva trovato.
Finalmente, con non pochi sforzi, riuscì a raggiungere la cima e stava per salire quando vide, minacciose le gambe di uno degli uomini vestiti di nero  che si avvicinavano barcollando alla forza del vento.

 
“O porca… ma tu guarda questo incosciente” balbettò tra sé e sé Semir vedendo Ben arrampicarsi sul lato del camion.
Una pioggia di proiettili piombavano sul giovane  dalle auto che  precedevano la BMW di Semir.
Il piccolo ispettore turco sapeva bene che gli avevano ordinato di non intervenire mai, per nessuna ragione, ma  l’istinto di protezione che nutriva verso Ben non era venuto meno in pochi giorni.
Tenendo il volante con la mano destra impugnò la pistola con la sinistra e si sporse dal finestrino, mirando alla berlina scura che lo precedeva.
Era abile nel tiro anche con la sinistra, ma colpire a quella velocità e tenendo la strada era veramente difficile.
“Cobra 11!!! Che stai facendo… ti è stato ordinato di non intervenire” la voce di Mathias era adirata e durissima, ma Semir non si degnò di rispondere.
Continuò a sparare sino a che non centrò la gomma posteriore sinistra della berlina.
L’auto sbandò e il guidatore non riuscì a tenere la strada. Sfondò il guard-rail e con un paio di capovolte finì direttamente nella cunetta laterale.
“Fuori uno” pensò soddisfatto mentre continuava l’inseguimento.

 
Ben riuscì a fatica ad issarsi sul tetto del camion; riusciva a stento a stare in piedi, mentre la forza del vento lo spingeva indietro e di fronte a lui aveva un omaccione con una pistola in pugno.
“Magnifico…” pensò preparandosi alla battaglia.
I proiettili continuavano a rimbalzare da tutte le parti e Ben cercava di tenersi basso, ma l’uomo si avvicinava puntandogli la pistola contro.
Mentre pensava freneticamente a cosa fare sentì un botto fortissimo; con la coda dell’occhio vide una delle berline nere che finiva cunetta laterale con una serie di carambole e gli sembrò di vedere la BMW argento di Semir.
Ma non aveva il tempo di pensare: approfittò della distrazione dell’uomo, che si era voltato a guardare da dove proveniva il botto, e con un calcio lo disarmò.
 
Semir continuava a sparare in direzione dell’altra berlina nera e per un attimo si affiancò all’auto di Tanja.
“Maledizione fai qualcosa!!!” le urlò dal finestrino, ma la ragazza continuò a guardarlo indifferente; per un minuto Semir ebbe la sensazione che addirittura gli sorridesse beffarda, mentre lo superava e si accodava al camion.
“Ma guarda questa!”  si disse furibondo mentre riprendeva a sparare alla berlina nera che era immediatamente avanti a lui.
Ma la sua attenzione era completamente distratta dalla lotta che si svolgeva sul tetto del camion.
 
Ben cercava di mantenere l’equilibrio e nel contempo schivare i pugni dell’omone che lo fronteggiava.
Anche se la cosa risultava difficile, sembrava fatto di acciaio e i pugni che gli dava nello stomaco sembravano non scalfirlo neppure.
Un pugno fenomenale gli arrivò direttamente in faccia e Ben finì a gambe all’all’aria sul tetto del camion.
Appena il tempo di rendersi conto di quello che era successo che l’omone era su di lui con le mani alla gola, stringendo forte.
A Ben iniziò a mancare il respiro e tante stelline colorate gli comparvero davanti agli occhi.
 
“O porca miseria” imprecò Semir vedendo la scena dall’auto.
“Lascialo stare bastardo” urlò anche se nessuno poteva sentirlo.
Furibondo iniziò a sparare verso il tetto del camion e al grosso uomo che cercava di strozzare Ben.
Non lo colpì, ma i proiettili distrassero l’omone che allentò la presa su Ben che lesto gli rifilò un calcio alle parti basse.
L’uomo  strabuzzò gli occhi e si  piegò in due per il dolore, tempo sufficiente perché Ben, ansimando, si rialzasse e lo scaraventasse con un  altro calcio oltre il tetto del camion.
“Bravo ragazzo!” lo incitò mentalmente Semir mentre lo vedeva avvicinarsi alla cabina di guida.
 
Ben percorse barcollando e cercando di non cadere tutto il tetto dell’autoarticolato sino alla cabina.
Poi tenendosi con una mano e impugnando la pistola con l’altra si sporse verso il finestrino di guida.
Puntò la pistola contro il guidatore.
“Fermati stronzo!!” gli intimò.
 
L’auto di Tanja intanto con una manovra fulminea sorpassò il camion e gli si parò davanti cercando di fargli diminuire la velocità.
Ma l’uomo al volante non fece caso alla pistola che gli puntava Ben.
Accelerò e tamponò l’auto di Tanja, sbalzandola in avanti, ma la ragazza riuscì a tenere la strada e schivando le auto che la precedevano si pose di traverso sulla strada.
Con estrema calma, ma velocissima si sporse dal finestrino e puntò la pistola alle gomme del camion.
Poi con calma sparò.
Senza  pensare minimamente al fatto che Ben che era sul tetto; il giovane quando l’autoarticolato sbandò a causa della gomma bucata non riuscì a tenersi in equilibrio e precipitò sull’asfalto.
 
“Oh mio Dio!!!” urlò Semir vedendo Ben cadere e rotolare sull’asfalto.
Frenò all’istante sgommando, come fecero tutte le vetture che lo seguivano, ivi compresa quella di Jenni e Dieter, per non investirlo.
In un attimo a Semir passarono in mente scenari apocalittici , Ben travolto e schiacciato dall’autoarticolato, ferito mortalmente dalla caduta…
Ma il suo ex partner era straordinariamente agile, lo era sempre stato.
Cadendo riuscì a rannicchiarsi e a rotolare sull’asfalto.
Rimase per un momento intontito ed immobile, ma poi tenendosi la spalla, si alzò e corse verso il camion.
“Scendete tutti!! Siete circondati”
Gli uomini della Delta comparvero come dal nulla con le mitragliette in pugno  e circondarono la berlina e l’autoarticolato.
Il gruppetto di uomini vestiti di nero si arrese quasi subito, uscendo dai mezzi con le braccia alzate.
 

E con questo capitolo vi lascio per un paio di settimane. Maty va in vacanza.
Al mio rientro aggiornerò con velocità... anche perchè devono succedere ancora molte molte cose.
Grazie di nuovo a tutti e buone vacanze

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Capitolo 8
*** Conseguenze pericolose ***


 
Conseguenze pericolose
Semir scese furibondo e allo stesso tempo terrorizzato dalla sua BMW.
Quella grandissima str… aveva sparato alle gomme  del camion senza pensare minimamente che così Ben poteva rimetterci la pelle.
E in mezzo a tutta quella confusione e marea di gente  non riusciva neppure a vedere dove era e se stava bene.
Fosse stato ancora il suo compagno l’avrebbe trascinato in ospedale a farsi controllare, ma visto il comportamento che aveva la donna che l’aveva sostituito, dubitava molto che lei avrebbe fatto lo stesso.
Cercò  con gli occhi di individuare l’alta figura del giovane senza risultati.
Quella che vide fu invece la Kruger che scese scura in volto dalla sua auto.
“Dov’è Bonrath?” chiese adirata.
“Deve essere qui intorno, capo…ma la prego non si arrabbi troppo con lui, in fondo era sceso solo…” Semir provò subito a trovare una giustificazione per l’amico.
“Stia zitto Gerkan, già mi sono dovuta sorbire le ramanzine di Burke per il suo comportamento. Le era stato ordinato di non intervenire” il commissario era sempre più furibondo.
“Guardi che se ho sparato è solo perché quella bionda che hanno piazzato a dirigere la squadra con Ben è un pericolo pubblico. Ma ha visto? Ha sparato alle gomme del camion senza curarsi che c’era Ben lì sopra, poteva rimetterci la pelle”. Adesso era Semir ad essere furioso.
La voce di Kruger sembrò addolcirsi un po’.
“Senta Semir, lo so che è difficile abituarsi, ma Ben non lavora più nella nostra squadra. Lei deve eseguire gli ordini, altrimenti chi ci va di mezzo è la sottoscritta. E non ho intenzione di sorbirmi di nuovo la faccia di Burke che mi rimprovera come una scolaretta. Ci siamo capiti?” disse andando verso Dieter che era comparso con l’aria mogia.
Mentre Semir stava a guardare la scena della Kruger che urlava con Dieter Tanja  gli passò accanto.
Il carattere turco del piccolo ispettore prese il sopravvento.
“Ehi scusi, aspetti un po’…” la chiamò.
Tanja si voltò con uno sguardo quasi di disgusto, il che fece imbufalire Semir ancora di più.
“Si è resa conto quando ha sparato che c’era il suo compagno sul tetto del camion? Si è resa conto che poteva anche ammazzarlo così?” le sibilò in faccia.
Tanja continuò a fissarlo senza espressione.
“Gerkan giusto? Non mi pare  che io le debba delle spiegazioni, ma se proprio vuole saperlo io calcolo tutte le mie mosse al millimetro. E Ben non ha bisogno di una balia che gli tenga la manina in azione. E’ un poliziotto addestrato” fece dura
“Calcolato? Non si deve mai mettere in pericolo la vita del proprio compagno, mai!” Semir quasi urlava.
“Si calmi ispettore. Le ripeto io e Ben avevamo tutto sotto controllo. O forse  crede che senza il suo “paparino” Ben non sia in grado di fare nulla?” fece quasi ridendo mentre lo piantava in asso.
Semir rimase letteralmente sconcertato: quella era una donna pericolosa.

 
Finalmente lo vide, era seduto sul guard-rail circondato da un gruppo di colleghi che ridevano e scherzavano, ma si teneva la spalla con aria dolorante.
“Come minimo se l’è slogata” pensò Semir, tentando di avvicinarsi per prenderlo e trascinarlo verso  una delle ambulanze in attesa ai bordi della carreggiata.
Ma subito Burke si avvicinò al giovane, accompagnato da un paio di giornalisti.
La rabbia montò di nuovo in Semir mentre vedeva Ben che parlava e sorrideva come un ebete, pavoneggiandosi alle lodi di Burke.
Fu tentato più volte di fargli almeno un cenno di saluto, ma Ben sembrava troppo concentrato su se stesso per dare retta a chiunque.
Triste e arrabbiato montò sulla BMW e tornò al Distretto.

 
La spalla di Ben era una vera e propria fonte di tortura per lui.
Gli faceva male a qualsiasi movimento, ma non aveva avuto il tempo di cercare qualcuno che  desse una occhiata.
Immediatamente dopo la conclusione della operazione era stato circondato da colleghi, giornalisti spuntati non si sa da dove, centinaia di persone che chiedevano e facevano di tutto attorno a lui.
E non era neppure riuscito a trovare Semir, a parlare con lui finalmente. E soprattutto a ringraziarlo per avergli salvato la pelle.
Così quando lo aveva scorto fra la folla stava per alzarsi ed andargli incontro, ma era stato bloccato da  altri due stupidi giornalisti, condotti da Burke che gli facevano domande stupide e quando aveva rialzato gli occhi non aveva visto altro che la BMW argento che si allontanava.
Ormai si doveva rassegnare: Semir non voleva avere più nulla a che fare con lui.

 
“Bene è andato tutto bene, alla fine, nonostante quel cretino della CID. Ha rischiato di far saltare tutto. Questo non fa altro che dimostrare che non possiamo fidarci degli altri reparti, sono tutti incompetenti” disse Tanja, guidando verso casa di Ben.
Il giovane continuava a tenersi la spalla dolorante.
“Ti ho già pregato di non usare quei termini con Dieter, è un mio amico” rispose Ben inalberandosi.
“E io ti ho già detto che purtroppo i tuoi amici sono incompetenti. Questo è un dato di fatto, ha rischiato di far fallire tutta l’operazione e ci ha costretto ad un inseguimento pazzesco” rispose Tanja.
Ed in effetti Ben doveva  ammettere che aveva ragione, solo che l’affetto che provava per Dieter non gli faceva vedere le cose brutte.
Tuttavia si limitò a guardare la donna torvo, senza aggiungere nulla.
E come al solito Tanja cambiò umore ed atteggiamento.
“Che ne dici se quando arriviamo a casa tua ci mangiamo una pizza? Non mi sembra che con quella spalla puoi procurarti da mangiare da solo…” sorrise.
“Ok…” Ben era sempre più perplesso dal comportamento della ragazza, ma provava una sorta di attrazione magnetica verso di lei cui non riusciva a sfuggire.
   
Salirono le scale che portavano al loft di Ben che già si sentiva correre fra loro l’elettricità.
Tanja si guardò attorno, appena entrata nell’ampio ingresso del loft.
“Allora è vero quello che si dice…”
“Perché, che si dice?”
 “Che hai un sacco di soldi… “
“Non sempre quello che si dice è vero” rispose Ben aprendo il frigo e facendo una smorfia di dolore al movimento della spalla.
“Vuoi una birra?” chiese guardando all’interno del frigo.
“No, voglio qualche altra cosa” fece lei, sorridendo mentre gli arrivava alle spalle.
Ben sentì le mani sottili che si infilavano sotto la camicia.
Stavolta non si fece cogliere di sorpresa e non erano in pubblico.
Si voltò e la baciò.
La giovane rispose al bacio in modo talmente passionale da fargli mancare il respiro.
I due iniziarono a spogliarsi velocemente, presi da una furia incontrollabile.
“Aspetta un momento Tanja…” Ben cercò di recuperare un po’ di lucidità.
“Non mi va di aspettare” rispose lei maliziosa mentre lo spingeva a terra, sul costoso laminato.
 

Semir arrivò a casa esausto.
Era spossato per l’azione adrenalinica cui aveva partecipato e per la delusione emotiva  cui era andato ancora una volta incontro.
Entrò in casa e si buttò sul divano, chiudendo gli occhi per recuperare le forze.
“Amore sei tornato, ho visto alla tv il disastro sulla autostrada, tutto bene?” chiese Andrea uscendo dalla cucina.
Semir si limitò d annuire.
“E Ben? Sta bene? Alla tv ne parlano come di  un eroe…”
“Sta benissimo, non ti preoccupare” rispose amaro il marito, massaggiandosi le tempie.
Vedendo  l’aria demoralizzata del marito Andrea si sedette accanto a lui sul divano.
 “Ancora non gli hai parlato, giusto?”  chiese
“No, e non dire che non mi sono sforzato. Volevo parlargli e magari anche fargli dare una occhiata alla spalla. Si deve essere  ferito durante l’azione. Ma lui stava lì a pavoneggiarsi di nuovo con i giornalisti e quella spocchiosa della sua nuova partner. Non mi ha degnato di uno sguardo…”
 “Semir…  sinceramente il tuo mi sembra un atteggiamento infantile. Non mi ha degnato di uno sguardo,  è vanitoso. Insomma è il tuo migliore amico, come puoi permettere che l’amicizia che c’è fra voi finisca così? Parla con lui una volta per tutte” la voce di Andrea ora era adirata.
La donna si alzò e tornò in cucina con aria severa.
“Potrebbe venire anche lui a parlare con me, però” protesto il marito sbuffando.
Ma doveva ammettere che la moglie aveva ragione.
E poi era preoccupato.
“Chissà se si è fatto visitare, quell’incosciente” pensò sospirando.
Poi prese il cellulare e mandò un SMS al numero del suo migliore amico.
 
 
Ben era rimasto sul pavimento senza neppure la forza di alzarsi.
Quella era stata senza dubbio l’esperienza più sconvolgente avuta con una donna, e dire che non era un pivellino in materia.
Tanja era rimasta accanto a lui sdraiata e guardava con aria assente il soffitto.
“Beh direi che abbiamo entrambi bisogno di una doccia…” rise Ben, carezzandole il viso e togliendole i capelli sudati dalla fronte.
Tanja lo lasciò fare, ma per un attimo Ben ebbe la sensazione che volesse invece scansare la mano.
“Prima tu dai … e metti qualcosa su quella spalla”  fece la ragazza alzandosi ed infilandosi la  maglietta ed i jeans.
A fatica, mugolando per il dolore Ben si alzò e si avviò verso il piano superiore.
Tanja iniziò a gironzolare per l’appartamento sino a che non sentì  il segnale  sul cellulare di  Ben, poggiato sul tavolo della cucina.
Guardò verso le scale per assicurarsi che il giovane non stesse scendendo e poi aprì il messaggio che era arrivato.
Da Semir:  “Come stai? Ti sei fatto visitare? Chiamami appena puoi”
Tanja rimase per un attimo a guardare il messaggio.
Poi con un gesto deciso lo cancellò  e rimise il cellulare nel posto dove l’aveva trovato.
 
Ben rimase a guardare stupito e leggermente infastidito Tanja che  usciva con disinvoltura dal suo appartamento.
Le aveva proposto di cenare insieme, qualcosa di più decente della pizza, magari di andare al ristorante italiano sotto casa… e magari di trascorrere la notte insieme, ma la ragazza con semplicità disarmante, dopo essere uscita dalla doccia  si era rivestita e con un sorriso malizioso gli aveva comunicato che ormai la fame le era passata. E che preferiva dormire nel suo letto.
Così lo aveva lasciato  esterrefatto salutandolo con un semplice “ciao”.
La scena in qualche modo sembrò familiare a Ben, solo che l’aveva sempre vissuta a parti invertite, quando era lui a piantare in asso una ragazza. Iniziò a provare un leggero senso di rimorso per tutte le volte che l’aveva fatto: ora capiva come ci si sentiva.
Si sedette in  cucina aspettando che la pizza che aveva tirato fuori dal freezer si riscaldasse nel forno a microonde, massaggiandosi la spalla dolorante.
Si sentiva solo.
In altri tempi sarebbe bastato prendere il telefono e chiamare Semir.
Lui sarebbe venuto a casa sua, o meglio ancora Ben sarebbe stato invitato a cena da Andrea. E non sarebbe stato solo.
Il giovane prese il telefono e controllò: nessun messaggio.
Stava per comporre il numero di Semir, ma poi si bloccò.
Doveva preparare la strada alla riconciliazione prima, altrimenti rischiava che il brutto carattere turco prendesse il sopravvento.
E sapeva anche quale poteva essere l’occasione.
Fra due giorni era il compleanno di Aida.
Lì  poteva chiarire tutto.


Rieccomi. Tornata dalle vacanze... e pronta a tromentarvi con le mie storielle. Grazie ancora a chi mi segue e alla mia socia  di tortura per Bennuccio. Anche se in questa storia chi verrà torturato di più sarà il povero Semir

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Capitolo 9
*** Mi vuoi ancora bene? ***


 
Mi vuoi ancora bene?

Semir aveva trascorso una notte agitata, guardando per tutto il tempo il cellulare in attesa di una telefonata che non era arrivata.
Non sapeva se sentirsi demoralizzato o arrabbiato e alla fine decise che la seconda opzione era meno dolorosa. Quindi iniziò a sentirsi decisamente incazzato. Anzi decisamente furioso. Ieri gli aveva salvato la pelle, si era preoccupato anche di chiedere  se stava bene e quel moccioso superbo non lo aveva neppure richiamato.
Il flusso dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto dai richiami di Aida.
“Papà! Ma mi senti??” fece la bambina guardandolo fisso, seduta di fronte a lui al tavolo della colazione.
”Sì tesoro, dimmi” rispose il padre.
“Ti avevo chiesto se hai deciso dove mettere alla mia festa i microfoni per la band di zio Ben. Hanno bisogno di un posto dove cantare” Aida aveva un tono deciso, lo stesso che aveva Andrea ogni volta che doveva ottenere qualcosa.
Semir rimase completamente interdetto; solo allora si ricordò che  da lì a due giorni sarebbe stato il compleanno della bambina e che avevano deciso da tempo  che la band di Ben avrebbe suonato e cantato alla festa.
Ma Semir proprio non se la sentiva di vedere il “moccioso superbo”, gli avrebbe rovinato la festa della figlia.
“Tesoro… forse Ben non verrà…”  disse senza guardarla negli occhi.
La bambina rimase del tutto allibita.
“Cosa??? Che significa che non verrà? Sta male?” chiese con una nota di preoccupazione nella voce.
“No, sta benissimo… è che ha da fare…” balbettò il padre, mentre Andrea gli lanciava sguardi di fuoco dall’altro lato del tavolo.
“Ma lui me lo aveva promesso… aveva detto che era felice di cantare alla mia festa ed io l’ho detto già a tutti i miei amici…” Ora la voce della piccola era triste e a Semir si strinse il cuore.
“Semir ti posso parlare un attimo in cucina?” disse Andrea alzandosi dal tavolo con fare deciso.

 
“Dì un po’… ma sei impazzito?? Lascia fuori le bambine dai tuoi litigi con Ben!”  gli sibilò appena arrivati in cucina.
“Te l’ho già detto Andrea, dobbiamo abituarci tutti a fare a meno di lui. Ed è lui che non vuole più avere a che fare con me… con noi. Ieri sera gli ho mandato un messaggio per sapere se stava bene e non ha neppure avuto la decenza di richiamarmi…”
“Ed io ti ho già detto che devi chiarire questa cosa. Gli devi parlare non mandare messaggi. Per il tuo orgoglio stai perdendo una persona importante”
“Il mio orgoglio? E’ lui che non se ne frega più di noi. Io non ho bisogno di lui”
Andrea non rispose. Guardava fisso verso la porta dove Aida stava ferma a fissare con le lacrime agli occhi i genitori.
“Quindi è colpa tua! Hai litigato con lo zio ed ora lui non mi vuole più vedere…” disse rivolta al padre con un misto di rabbia e disperazione.
“Aida… non è così, è solo che papà e Ben hanno avuto un piccolo litigio…” provò a giustificare Andrea.
“Allora fai pace! Come dici sempre a me quando litigo con i compagni” urlò la bambina.
“Non  così facile, piccola,  per i grandi…”
“La verità è che sei tu  che non vuoi fare pace, non vuoi neppure parlare con zio Ben”
Aida si voltò e salì di corsa le scale verso la sua camera.
Poco dopo ne discese con lo zaino per la scuola. Era stranamente calma.
“Oggi pomeriggio vado a studiare da Anne” annunciò mentre usciva impettita dalla porta di casa.

 
Ben arrivò in ufficio in ritardo.
Era riuscito a prendere sonno solo molto tardi e non aveva sentito la sveglia.
“Buongiorno. Finalmente!” gli disse Tanja che era già seduta alla sua scrivania.
Come al solito la ragazza si comportava come se non fosse successo nulla fra loro la sera prima e Ben si impose di fare altrettanto.
“Buongiorno. Non ho sentito la sveglia” fece laconicamente sedendo alla scrivania del suo ufficio.

 
“Fra dieci minuti riunione operativa” annunciò Burke nel corridoio.
Ben si alzò ed andò nell’ufficio di Tanja.
“Tutto bene?” chiese imponendosi di restare freddo, ma la vista della ragazza gli provocò un formicolio nello stomaco. Era ufficiale: gli piaceva. E molto. Nonostante i bruschi cambiamenti di atteggiamento e umore.
“Sì tutto bene” rispose Tanja con aria quasi gelida.
Come al solito quella donna era in grado di rompere tutti gli schemi mentali di Ben. Un momento dolce e passionale e quello dopo fredda e distaccata.
E la cosa fu ancora più evidente quando anche Tanja si alzò dalla sedia e, passandogli vicino per andare nella sala riunioni, gli rivolse uno dei suoi sorrisi.
“Comunque… ieri sera è stato piacevole, se vuoi  qualche altra sera si può replicare” sussurrò guardandolo negli occhi.

 
“Dunque signori, per prima cosa lasciate che vi faccia i miei complimenti per l’operazione di ieri. Soprattutto a Ben e a Tanja, ovviamente” disse trionfale Mathias.
Dagli altri del gruppo partì un piccolo applauso che fece arrossire un po’ Ben, mentre Tanja si limitò a sorridere fredda.
“Nonostante qualche intoppo dovuto alla inefficienza di altri reparti, possiamo dire che è stato un vero successo.  Nell’autoarticolato c’erano diverse centinaia di armi leggere, fra mitragliette lanciarazzi e bombe. Non male come prima operazione, direi…”
Mathias era euforico e Ben non ebbe neppure il tempo di replicare alla offesa fatta ai suoi vecchi colleghi che il capo squadra lanciò sullo schermo una foto di un edificio moderno ed enorme.
“Il Ministro è molto contento di noi e per questo ci ha proposto una nuova sede. Signori ecco a voi la nuova sede  della Delta. Moderna, efficiente con collegamenti satellitari in qualsiasi parte del mondo, possibilità di interagire con qualsiasi banca dati mondiale…”
Mathias continuava a magnificare la nuova sede, proiettando le foto degli interni. Ma Ben non riusciva ad individuare la zona di Colonia dove  si trovava l’edificio.
Ed infatti subito dopo, uno degli altri componenti della squadra chiese dove era questa magnifica sede.
“Ah sì… scordavo di dirvelo. A Norimberga. Quindi dobbiamo trasferirci tutti lì.”
La cosa suscitò un borbottio di disapprovazione.
“Non vi preoccupate. Il Ministero ci ha già procurato degli alloggi comodi e lussuosi, quindi non avrete alcun aggravio. Dopo tutto siamo tutti single, quindi non ci dovrebbero essere problemi…” continuò Mathias.
Ben  era rimasto senza parole.
Fra Norimberga e Colonia c’erano  più di 400 km.
Quattrocento km fra lui e Semir, fra lui e le bambine, fra lui e la sua vera famiglia.
Per la prima volta in quelle settimane Ben pensò davvero che aveva fatto un errore ad accettare  quel lavoro.
Ma forse poteva ancora rimediare.

 
Semir era andato di pattuglia con Dieter  e la sua aria da cane bastonato.
La Kruger gli aveva fatto una lavata di capo eccezionale e lo stesso Capo della Polizia si era lamentato di lui in via ufficiale.
Poteva dire addio a qualsiasi tipo di promozione per almeno due o tre anni.
“Dai Dieter, tirati su, sono cose che possono succedere…” provò a consolarlo Semir mentre scendevano dalla BMW.
“No il capo ha ragione, mi sono comportato come un pivellino, ho rischiato di mettere in pericolo l’operazione. E se penso a quello che poteva succedere a Ben… ho rischiato di farlo uccidere”
“Chi ha rischiato di farlo uccidere è quella incosciente della sua nuova partner. E lui non sembra da meno in questo periodo” rispose piccato Semir.
Dieter per la prima volta nella giornata sorrise.
“Sì… ma hai visto che sventola la bionda? Ci credo che Ben le sbava dietro”
“Già quando vede una gonnella…” rise a sua volta Semir, ma subito dopo tornò serio.
Tanja Marcus non gli piaceva. Ogni volta che pensava a lei aveva una strana sensazione di paura.
 

Entrando in ufficio Semir udì il suo cellulare squillare.
“Andrea dimmi…” rispose alla moglie.
“Semir… Aida è sparita” disse la donna con voce terrorizzata dall’altro lato della linea.
 

Ben era tornato a casa, rimuginando per tutto il tempo.
Non sapeva proprio cosa fare… non gli andava di mollare la squadra ora, dopo appena una settimana da che si era insediato, e non gli andava di lasciare  Tanja ed il suo fascino magnetico.
Ma d’altro canto non gli andava di mettere una così grande distanza fra lui ed Semir e soprattutto fra lui e le bambine. Già i rapporti erano tesi, se ora andava via sarebbe stato sempre più difficile rimediare.
Salendo le scale si disse che la festa di Aida era l’occasione giusta per chiarire con Semir e poi avrebbe deciso cosa fare.
Appena giunto davanti alla porta rimase però a bocca aperta.
“Aida… cosa ci fai qui?” disse sbalordito mentre vedeva la piccola rannicchiata sulle scale.
“Ti stavo aspettando…” balbettò la bambina.
 
“Allora… ora chiamiamo mamma e la tranquillizziamo. Poi ci prendiamo un mega gelato e parliamo un po’, ok?” propose Ben facendo entrare la bambina in casa e togliendole giacca e zaino.
Non si spiegava come fosse arrivata sin lì; la scuola della bambina era dall’altro lato della città e per arrivare era necessario prendere almeno tre autobus diversi.
Sorrise fra sé e sé… in fondo era una ragazzina in gamba se ci era riuscita senza spaventarsi più di tanto.
Dopo aver chiamato Andrea, Ben si sedette in cucina di fronte alla bambina e le porse una coppa enorme di gelato al cioccolato, l’unica cosa che non mancava mai nel suo frigo.
“Allora signorina? Lo sai che hai fatto prendere un grosso spavento a mamma e papà?”
Aida rimase a guardarlo mordicchiandosi il labbro inferiore, stesso gesto che faceva il padre quando era imbarazzato. La cosa fece sorridere di nuovo Ben, ma si sforzò di rimanere serio per far capire alla bambina la gravità di quello che aveva fatto.
“Sì lo so… ma… ma…” Aida si bloccò guardandolo con le lacrime agli occhi.
“Ehi… piccola che c’è?”
L’espressione disperata della bambina lo colpì: Aida era una bambina coraggiosa e determinata, come aveva dimostrato l’anno prima quando era stata rapita da Kalvus, e se si comportava così ci doveva essere una ragione grave.
Dopo molti secondi di silenzio la bambina lo guardò e sbottò “Perché non ci vuoi più bene?”
Ben rimase di stucco. Non poteva crederci… non poteva credere che Semir avesse fatto credere questo alla bambina.
Cercò di restare calmo comunque. Non voleva dire nulla alla piccina  che potesse sconvolgerla ancora di più.
“Chi ti ha detto questo? Non è affatto vero io vi voglio bene, a te e a Lily, ve ne voglio tanto…”
Allora perché non vuoi più venire alla mia festa… mi avevi promesso di cantare… ed invece papà dice che hai da fare…” la voce della bambina si strozzò in un singhiozzo.
Ben rimase interdetto su cosa fare… non voleva deludere la bambina, ma non poteva neanche presentarsi a casa  di Semir e rischiare una litigata davanti a lei e agli altri bambini.
“Vedi piccina il mio nuovo lavoro è difficile, a volte devo lavorare sino a tardi e mi mandano in missione senza avvisarmi prima…” cercò di giustificarsi.
“Allora è vero! Non verrai! E stai anche dicendo una bugia: tu non verrai perchè hai litigato con papà e non volete fare pace!”
Ora Aida era arrabbiata; nella sua  stingente logica infantile non riusciva a capire perché quelle stupide persone adulte dovessero comportarsi come bambini capricciosi.
Ben sorrise  brevemente. La bambina aveva ereditato il carattere turco del padre e la logica tedesca della madre.
”Vieni qui piccola” disse Ben, aprendo le braccia per farla sedere sulle sue ginocchia.
“Qualunque cosa succeda, qualsiasi cosa ci diciamo io e papà, noi ci vogliamo bene e soprattutto io voglio bene a te e a tua sorella. Siete le mie principesse, io vi amo e questo non cambierà mai, d’accordo?”
Aida lo guardò e gli sorrise ma la conversazione non potè andare avanti.
Il citofono all’ingresso suonò e sul video comparve il faccione di Semir.
“Sono venuto a prendere Aida” disse conciso.
Ben accompagnò la bambina  per le scale.
“Sali in macchina, con te parliamo dopo” le disse severo il padre e la piccola non ebbe il coraggio di replicare.
Mogia si infilò nella BMW, seguita dal padre.
“Senti Semir…” provò a richiamarlo Ben.
Ma il piccolo ispettore turco non lo stette a sentire.
Si infilò al posto di guida e partì veloce, lasciando Ben incredulo ed immobile.  
 
 
“Ti rendi conto di quello che hai fatto? Tua madre stava impazzendo di paura!!”  Semir quasi urlava contro la figlia mentre percorreva veloce la via verso casa.
La bambina non rispondeva, si limitava a guardarlo con aria a metà fra il triste e l’infuriato.
“Cosa credevi di fare venendo qui?” disse ancora il padre con tono duro.
“Volevo parlare con zio Ben… capire se ancora ci vuole bene…”
La risposta lasciò senza fiato il padre. Solo allora si rese conto  della sofferenza che stava provocando alla piccola.
“Ma certo che vi vuole ancora bene… è solo che…” provò a giustificare.
“Sì, sono cose da grandi… lo hai già detto, però a me quando litigo con Anne dici sempre che devo fare pace subito, che non si va mai a dormire senza aver fatto pace con le persone a cui vuoi bene…”
Semir provò una stretta al cuore, ma non riuscì a dire niente altro.
Arrivati a casa, Aida scese di corsa dall’auto e neppure salutò la madre che l’aspettava sulla porta. Salì di corsa in camera sua.
Semir doveva tornare al lavoro e si avvicinò alla moglie per salutarla.
“Tutto bene, sta bene, voleva solo essere rassicurata da Ben…”
“Non mi pare che stia bene, e non mi pare che neppure tu stia bene. Te lo ripeto Semir, metti fine a questa stupida ed irragionevole storia o  prima o poi te ne pentirai” rispose la moglie chiudendogli in faccia la porta di casa.
 
 
La mattina seguente Ben venne svegliato dal suono insistente del citofono.
“Maledizione” disse guardando l’orologio: le sette.
Sbadigliando arrancò verso l’ingresso e sul display comparve un viso sconosciuto.
“Jager? Siamo la ditta dei traslochi” disse l’omaccione in tuta.
“Ditta dei traslochi? Quale ditta dei traslochi?” chiese Ben sorpreso.
“Ci manda il Ministero… per il trasloco a Norimberga” fece ancor più sorpreso l’omaccione.
Ben rimase interdetto. Come al solito Mathias non perdeva tempo. Decideva una cosa e la faceva subito.
Rassegnato aprì agli operai che come cavallette gli invasero l’appartamento.
 

“Bene,  gli operai per il trasloco dovrebbero già essere a casa di ciascuno di voi, si occuperanno di tutto loro così potremo essere operativi già da domani a Norimeberga” disse Mathias nel corso della solita riunione mattutina.
“Scusa Mathias… ma non credevo che le cose andassero in questo modo, così veloce” protestò Ben. L’indomani era il compleanno di Aida.
“Hai qualche problema Jager?” gli rispose Mathias guardandolo fisso e chiamandolo ostentatamente per il solo cognome.
Anche Tanja lo guardava con aria scettica, in attesa della risposta, quasi a confermare i suoi sospetti.
E Ben si rassegnò.
Il comportamento di Semir della sera prima non lasciava certo intendere che avesse intenzione di porre fine al litigio, anzi sembrava più deciso che mai a troncare ogni rapporto. E non poteva rischiare di discutere con lui alla festa della bambina.
Era meglio non andarci proprio alla festa.
“No nessun problema”  rispose triste.
"Signori tutta questa fretta di trasferirci nella nostra nuova sede ha una ragione precisa in realtà. Abbiamo un nuovo caso…”
Mathias iniziò monotono a spiegare di cosa si sarebbero occupati.

 
“Aida scendi… c’è qualcosa per te” chiamò Andrea.
Era molto indaffarata a preparare la festa della sua primogenita e l’arrivo di quella buffa ragazza l’aveva sorpresa, ma non più di tanto quando aveva scoperto di cosa si trattava.
Aida scese di corsa le scale e si trovò di fronte una ragazza di non più di venti anni, magrissima ed occhialuta, con un grosso pacco infiocchettato.
“Ciao Aida io sono Nicole, e sono una  istruttrice di informatica per bambini. Sono qui per insegnarti ad installare ed usare il regalo che ti manda tuo zio Ben” le sorrise la ragazza  porgendole l’enorme pacco.
Aida strappò  quasi con violenza la carta regalo.
“Lo sapevo… un pc!! Un pc tutto mio!!” urlò con aria trionfante.
Andrea sorrise.
Era almeno un anno che la bambina lo chiedeva insistentemente, ma visto anche il costo, Semir aveva sempre rimandato.
“Allora dove lo sistemiamo?” chiese la ragazza occhialuta.
“In camera mia, in un posto dove Lily non arriva” fece Aida salendo le scale verso la sua stanza seguita da Nicole.
 
“Ecco e questo è il tasto per chiamare lo zio ogni volta che lo vedi connesso… così non devi usare il telefono” fece Nicole mostrando lo schermo ad Aida.
La ragazzina sbuffò…ma chi credeva di essere? Il novanta per cento delle cose che le aveva spiegato lei già le sapeva, era figlia della modernità, sapeva come si usava Skype.
Eccitata chiamò  lo zio Ben ed attese che gli rispondesse in video chat
“La mia principessa… tanti auguri piccola!” esclamò lo zio comparendo sullo schermo.
 
Andrea  stava finendo i preparativi della festa sistemando i palloncini colorati nel giardino e si augurò davvero che quella sera le cose fra il marito e Ben si potessero chiarire.
Il giovane le mancava molto, e quel litigio non solo aveva privato le sue figlie dello zio preferito, ma anche lei del suo figlio più grande. Sentiva una punta di risentimento nei confronti del marito che aveva consentito tutto questo. Come faceva a non capire che se Ben gli aveva mentito lo aveva fatto perché credeva che fosse il meglio per lui?
Pensierosa guardò il marito scendere dalla BMW e prendere dal retro lo scatolone della torta.
“Dove la sistemo?” chiese Semir ansimando.
“In cucina…” rispose la moglie seguendolo in casa.
“Dov’è Aida?” chiese poi Semir.
“In camera sua… con una istruttrice di pc per bambini”
Il marito la guardò perplesso.
“Fammi indovinare… Ben?”
Andrea si limitò a sorridere e ad annuire.
“Lo sapevo… e come minimo conoscendolo sarà un pc degno della Nasa…” la voce di Semir era arrabbiata.
“Semir non ricominciare” fece di rimando la moglie.
“Non ricomincio, dico solo che  le avevamo detto che non potevamo permettercelo fino a Natale e invece arriva lui, con tutti i suoi soldi… e chiama addirittura una istruttrice…”
Andrea lo guardò scettica; non era la prima volta che Ben faceva regali anche molto costosi alle bambine, ma era la prima volta che Semir ci faceva caso.
“Ora sei anche geloso?” chiese la moglie iniziando davvero a spazientirsi.
Semir stava per continuare la discussione, ma vennero raggiunti da una Aida furiosa ed in lacrime.
“Lasciare stare la festa, non la voglio più, se zio Ben non viene, io non voglio nessuna festa!!!”
 
“Ora lo chiami e chiarisci una volta e per tutte questa storia!” Andrea era furibonda e quasi sibilava mentre parlava con il marito in cucina per non farsi sentire da una sconvolta Aida.
“Che colpa ho io se Ben non vuole venire alla festa? E poi ad Aida ha detto che è fuori città…” si giustificò il marito, ma ora anche lui iniziava a sentirsi a disagio.
Nonostante tutto non avrebbe mai creduto che il giovane rinunciasse davvero alla festa.
Si ritrovò a pensare che lo stava davvero perdendo e a chiedersi se era disposto ad accettare la cosa, ad accettare che quel ragazzone impulsivo, guascone, allegro, ma anche così coraggioso ed affettuoso, non facesse più parte della sua vita.
Pur con tutti i suoi dubbi si disse che almeno un tentativo per impedirlo doveva essere fatto.
Così si mise in auto e si diresse verso la casa  di quello che sino a qualche settimana prima era stato il migliore amico che avesse mai avuto.
 

“Benvenuti” disse la donna di mezza età che li attendeva all’ingresso dell’elegantissimo condominio in pieno centro a Norimberga, mentre consegnava loro le chiavi.
Ben sbuffò all’indirizzo di Tanja. Non gli piaceva l’idea che il Ministero li avesse sistemati tutti in un unico condominio, supersorvegliato. Si sentiva in gabbia e senza possibilità di frequentare chi voleva.
La cosa andò a peggiorare il suo umore già pessimo. Dire ad Aida che non sarebbe andato alla sua festa era stata una cosa difficilissima e si sentiva depresso e demotivato.
Entrò nell’appartamento che gli avevano assegnato.
Era poco più piccolo di quello di Colonia, ma arredato in modo molto raffinato e lussuoso.
Fece un giro per le stanze, tutte molto luminose e notò che la ditta era stata velocissima e precisa; in un angolo del salone c’erano le sue chitarre e in bella vista sul tavolo le chiavi della Harley.
“Bene siamo vicini… io sono qui a fianco…” disse Tanja entrando anche lei nella stanza da letto dove Ben stava controllando il contenuto degli armadi.
Sfrontata come al solito non aveva bussato e non aveva  fatto notare prima la sua presenza: era semplicemente entrata dalla porta lasciata aperta sul pianerottolo.
Ben si limitò a guardarla senza espressione.
Si sentiva davvero  depresso.
Come se gli avesse letto nel pensiero Tanja gli si avvicinò e gli sfiorò il viso con un dito.
“Sei triste? Non ti piace l’appartamento?” disse seducente mentre gli si faceva sempre più vicina.
“No è che… stasera non sono…” rispose Ben, ma come al solito la vicinanza della ragazza  non lo faceva ragionare in modo lucido.
“Questo  materasso sembra molto comodo…” disse ancora Tanja mentre lo baciava sul collo e lo spingeva lentamente, ma inesorabilmente verso il letto.
 

Semir parcheggiò la BMW davanti all’ingresso della casa di Ben e salì direttamente al piano avendo trovato la porta delle scale aperta.
Salendo cercò di prepararsi almeno il saluto, ma poi lasciò perdere, avrebbe fatto come gli veniva al momento.
Ma bussò e bussò al campanello senza alcuna risposta.
Tirò fuori il cellulare e compose il numero dell’amico con una strana inquietudine in mente. Nulla, staccato.
Stava per prendere i suoi attrezzi e forzare la serratura quando vide Martin, l’anziano inquilino del piano di sopra, arrancare per le scale.
“Ispettore Gerkan…” fece sorpreso.
“Non starà  mica cercando Ben… è già andato via… e la ditta ha finito da almeno due ore”
Semir lo guardò stupefatto.
“Quale ditta?” chiese.
“La ditta dei traslochi… efficientissimi sa, mai vista una cosa simile” ciarlò il vecchio.
“Traslochi? Per dove?” Semir era sempre più sconcertato.
“Ma per Norimberga… non sa che Ben si è trasferito a Norimberga? Mi ha lasciato le chiavi per le emergenze…”
A Semir  quasi mancò il fiato.
Norimberga… se ne era andato a quattrocento km di distanza, senza neppure salutare.
 

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Capitolo 10
*** Una nuova vita ***



Una nuova vita
 
Quattro mesi dopo
Ben lasciò correre l’acqua sul corpo rilassandosi sotto il getto tiepido della doccia.
Ad adornare il corpo ora c’erano oltre che i tatuaggi anche i segni lasciati da Tanja nelle loro notti passionali.
Mai vista una donna così passionale, era bella da impazzire quella ragazza.
Passionale, bella, intelligente e coraggiosa in azione.
Il fatto di abitare l’una accanto all’altro aveva fatto sì che il  dolore sottile del distacco dalla  famiglia che Ben provava  fosse sopportabile e poco a poco le notti passate insieme alla collega gli erano diventate quasi indispensabili.
E mentre Ben faceva sempre più fatica a nascondere la loro relazione al lavoro, per Tanja la cosa era semplicissima;  in ufficio  appariva fredda, impeccabile e quasi gelida con lui.
L’opposto della donna con cui divideva quasi tutte le notti.
Durante il giorno però il disagio, lo sconforto di trovarsi lì da solo, senza  quella che per quasi sei anni era stata la sua famiglia putativa,  assaliva Ben all’improvviso, con ricordi dolorosi delle indagini compiute insieme al suo amico, delle domeniche, delle vacanze, della vita condotta  praticamente in simbiosi con Semir.
Non che gli mancassero le soddisfazioni professionali; anzi la Delta mieteva successi uno dopo l’altro. Praticamente quasi ogni edizione della cronaca si apriva con il resoconto di una loro  azione e Ben iniziava a percepire che la gente lo  riconosceva per strada, vedendolo tanto spesso in tv o sui giornali.
Con amarezza pensò che aveva desiderato questa cosa per tanti anni, soprattutto in gioventù, ma la sua speranza era quella di diventare famoso per la sua musica e non perché era diventato una specie di "rambo".
 
“Sbrigati, oggi la riunione operativa è alle otto” gli disse Tanja appena lo vide uscire dalla doccia.
Lei era già pronta e con la solita razione di caffè doppio nella tazza fumante.
La ragazza sembrava abbastanza nervosa negli ultimi giorni e Ben non se ne spiegava il motivo.
Inizialmente aveva pensato che come tutte le ragazze desiderasse una evoluzione del loro rapporto e lui sarebbe stato decisamente felice di accontentarla, ma la donna gli aveva fatto capire, ai primi segnali, che invece desiderava proprio il contrario.  Una relazione basata sul momento, senza alcun coinvolgimento.
E la cosa aveva deluso  non poco Ben.
Perché il giovane nonostante facesse lo spavaldo si stava proprio innamorando.
 
All'uscita Ben e Tanja si divisero come al solito raggiungendo la sede della Delta ciascuno con la propria auto di servizio.
Ora Ben aveva una BMW, e ogni volta che si metteva alla guida pensava alle infinite discussioni che aveva avuto con il socio su quale auto era da considerarsi migliore, la BMW o la Mercedes preferita da Ben.
Quanto gli mancavano quelle discussioni, quanto gli mancava  la sua famiglia vera.
L’unico contatto che gli era rimasto era Aida che lo chiamava quasi ogni settimana con Skype. Ma anche quelle conversazioni stavano diventando sempre più  tristi e imbarazzanti, posto che la bambina evitava qualsiasi riferimento al padre.
In un paio di occasioni aveva anche parlato con Andrea, ma anche in quei casi la conversazione era stata triste, posto che Ben aveva bloccato qualsiasi accenno lei volesse fare a Semir e al loro litigio.
Gli faceva ancora troppo male.
Triste entrò nell’edificio e  raggiunse il suo ufficio. Dopo quattro mesi lo sentiva ancora estraneo, non ci aveva portato nulla di suo, tanto meno la chitarra. Tanto nessuno avrebbe gradito che la suonasse lì.
Sbrigate le prime cose si avviò nella grande sala riunioni, dove Mathias aveva già iniziato la riunione operativa.
“Signori … vi presento Abdul Joussef El Marough” disse il capo mentre proiettava sul grande schermo LED la foto segnaletica di un uomo, con tutta evidenza arabo, di circa quaranta anni.
“E il più pericolo terrorista yemenita non legato ad Al Qaeda  presente attualmente in Europa. E  ha deciso di farci visita in Germania” 
 
“Non sappiamo di preciso quali siano tutti i suoi contatti o le sue intenzioni in Germania, sappiamo però che questo signore … è uno dei suoi contatti” continuò Mathias proiettando sullo schermo la foto di un occidentale di circa cinquant’anni.
“Robert Holmes … è uno dei biologi e  direttori tecnici della Klones’s Industries” terminò.
Ben che stava ad osservare,  un po’ distratto, Tanja ebbe netta l’impressione che lei sobbalzasse alla vista della seconda foto.
“L’industria farmaceutica?” chiese uno della squadra.
“Già, e questo lascia mal presagire” rispose Mathias.
Tutti sapevano a cosa si voleva riferire.
Da molto tempo tutti non facevano altro che ricevere sulle loro scrivanie rapporti dell’antiterrorismo sulla possibilità di un attacco con armi biologiche nei prossimi mesi.
“Che facciamo?” chiese Ben sovrastando il vocio che si era creato nella sala.
“Ufficialmente non possiamo fare molto. Metterebbe in allarme Holmes se davvero c’entra qualcosa. Quindi,  almeno per ora, ci limiteremo ad una sorveglianza  ventiquattro ore su ventiquattro. Per questo servizio di ruotine ci serviremo di altri reparti. Noi cercheremo di reperire informazioni nei luoghi che frequenta Holmes. Voi due …” fece rivolgendosi a Ben e Tanja “Nei prossimi giorni sorveglierete con gli altri il Crazy Horse  di Dusseldorf. Pare che Holmes lo frequenti ogni sera e che in un paio di occasioni si sia fatto vedere anche il nostro Abdul”
“Ma Mathias  … il Crazy è …” Ben non finì la frase, ma conosceva bene il club; era vissuto a Dusseldorf e lì il posto era famoso.
“Sì Ben è uno strip club… che c’è sei ancora minorenne?” fece ridacchiando il capo.
“No no… è solo che Tanja…” continuò sempre più imbarazzato il giovane.
“Parla per te… io non ho proprio nulla di cui preoccuparmi” gli rispose la ragazza quasi acida.
Anche se Ben che  aveva finalmente imparato a leggere in quei bellissimi occhi verdi vide  passarvi un lampo di preoccupazione.
 

“Semir… ma  mi stai ascoltando?” chiese Andrea seduta al tavolo della colazione
Semir si riscosse dai suoi pensieri.
“Sì certo… ti sto ascoltando…”
“Allora che ne dici, per te va bene? Potremo andarci anche con i miei…”
Semir guardò la moglie perplesso, cercando di non dare a vedere che non capiva quello che stava dicendo, posto che in realtà non era stato a sentire.
Ci mise qualche minuto a  recuperare e capire che stava parlando della organizzazione del suo compleanno.
“Ad Aida farebbe piacere andare  allo zoo e tu devi recuperare un po’ con lei…” disse infine la moglie.
Semir sospirò: aveva ragione  la moglie, lui e la sua primogenita praticamente non si rivolgevano la parola da quando Ben non si era presentato alla festa della bambina; la piccola lo accusava di non aver fatto pace con l’adorato zietto e quindi di essere la causa della sua lontananza.
Aida poteva essere una bambina molto, molto caparbia ed il padre pensò che toccava a lui fare il primo passo per riavvicinarsi.
Il primo passo… era passati ormai quattro mesi e Ben non si era fatto più sentire.
Ogni tanto aveva captato qualche colloquio fra lui e Aida origliando alla porta chiusa della stanza della bambina, ma la piccola si rifiutava poi  categoricamente di riferire qualcosa su quello che gli aveva detto lo zio. Semir aveva netta l’impressione che lo facesse apposta, per punirlo.
Cercò di scacciare dalla mente le immagini del suo compleanno dell’anno prima, quando erano andati tutti all’acquapark e Ben aveva convinto di nascosto l’istruttrice dei delfini a far portare ad uno degli animali un cartello, con su scritto gli auguri per lui.
Quest’anno Ben non ci sarebbe stato. Non ci sarebbe stato per il compleanno e neppure per le feste natalizie e la cosa acuì in Semir il dolore, ma anche la rabbia.
“Vada per lo zoo” acconsentì, anche se lui odiava lo zoo.
 
Arrivato in ufficio Semir   evitò accuratamente di guardare verso il commissario, seduta nel suo ufficio. Non voleva riprendere la discussione  dei giorni o meglio dei mesi precedenti, ovvero perché non aveva ancora scelto il nuovo partner. Eppure aveva avuto carta bianca dalla Kruger, poteva scegliere chi voleva, anche di altri reparti, e lei avrebbe fatto di tutto per ottenerne il trasferimento.
Ma lui semplicemente non  voleva un altro partner: dopo quello che era successo voleva stare solo.
“Tutti in sala riunioni per favore” intimò il capo con la sola aria autoritaria.
“Signori la Delta ci ha richiesto nuovamente  assistenza, e spero vivamente che stavolta i risultati siano migliori della volta scorsa”
Semir non potè fare a meno di sobbalzare a sentire nominare la Delta.
“Questi fischiano e noi corriamo come cagnolini…” borbottò Dieter beccandosi l’occhiataccia della Kruger.
“Dobbiamo  tenere sotto sorveglianza  questo signore… Robert Holmes…  risiede qui a Colonia. E lavora alla Klones’s Industries a Dusseldorf”
“Possiamo sapere perché è sotto sorveglianza?” chiese Semir
“Gerkan… le risulta che la Delta ci informi sulle ragioni o gli scopi di una operazione? Le linee di indirizzo del Ministro sono chiare. Loro ordinano, noi eseguiamo” disse dura e quasi beffarda Kim.


 
Ben fermò la moto davanti al club, dove c’erano in attesa di entrare già diverse decine di persone.
Tolse il casco e lo mise nel vano sulla ruota posteriore, guardandosi in giro.
Certo non era il luogo tipico di frequentazione di un tranquillo biologo di mezza età.
Uomini e donne di tutte le razze e nazionalità si aggiravano, le donne tutte vestite in abiti succinti, e tutti con scritto in faccia lo scopo per cui erano lì quella sera: godersi la serata e avere qualche avvenuta facile, senza complicazioni, coperti dall’anonimato più assoluto.
Impaziente, iniziò a bighellonare  in attesa di Tanja.
Come al solito la ragazza  aveva insistito per arrivare separati e come al solito Tanja amava le entrate ad effetto in questi casi.
Infatti dopo poco Tanja parcheggiò l’Audi nera poco distante e la ragazza scese.
Era semplicemente spettacolare, in minigonna nera e tacco a spillo, ma Ben provò una strana sensazione mentre, come al solito, gli sguardi di tutti i maschi si appuntavano su di lei che camminava sensuale verso l’entrata.
All’inizio pensò che era geloso, ma poi uno strano pensiero gli venne in mente: non era solo geloso, lo infastidiva il fatto che lei si trovasse così a suo agio mentre camminava provocante  in un posto equivoco, gli dava fastidio il suo esibizionismo.
“Ti sei vestito per un funerale?” gli chiese guardando il semplice completo scuro del giovane.
In realtà Ben era vestito come la maggior parte degli uomini lì fuori, ma Tanja sorrise maliziosa mentre gli passava vicino.
Entrambi entrarono nel locale, fumoso e con la musica soffusa.
Poca gente ballava sulla pista, la maggior parte era nascosta nei vari separè e si capiva bene cosa stessero facendo.
Tanja, senza dirgli neppure una parola, si avvicinò al bancone del bar ed ordinò da bere, rivolgendosi al barista con fare sensuale.
Ben cercò di non farci caso e non farsi prendere dalla gelosia; sul lavoro erano solo colleghi e lei si comportava come riteneva opportuno.
Gironzolò per il locale, rispondendo di quando in quando alle domande e alle avances delle donne nel locale, abbastanza cortese da non far capire di essere lì per altri motivi, ma mai troppo per evitare intoppi.
Passarono circa due ore alla fine delle quali Ben ormai faceva fatica a rispondere laconicamente alle proposte delle signore del locale e Tanja invece era  sempre circondata da maschi di tutte le età, senza il minimo imbarazzo.
Ben stava per andare a prendere l’ennesima birra per distrarsi e sfuggire alle donne vogliose, quando con la coda dell’occhio vide Robert Holmes uscire da uno dei salottini privati.
L’uomo si aggiustò la cravatta e la camicia nei pantaloni, poi con aria soddisfatta si avviò anche lui al bar.
Cercando di essere più disinvolto possibile Ben si avvicinò anche lui al bancone e vide Robert che scambiava qualche parola con Tanja.
La cosa non doveva provocargli sorpresa… tutti i maschi al bancone del bar si avvicinavano per parlare con Tanja… ma  Holmes gli sembrò che le parlasse con un atteggiamento familiare.. troppo.
Per un attimo gli passò per la mente il pensiero che già si conoscessero, ma cercò di cancellarlo subito dalla mente.
Non poteva essere, e poi lei era una poliziotta,  era suo dovere informare se lo conosceva.
I due si scambiarono poche parole e Holmes si allontanò nervoso, prima dell’uscita però entrò di nuovo nel salottino.
Dalla tenda semi socchiusa Ben intravide che all’interno c’erano un paio di uomini, oltre alle solite donnine.
Stava per attraversare il locale ed andare a dare una occhiata, quando attorno a lui si scatenò il delirio.
Tutti iniziarono ad urlare frasi sconce e fischiare rumorosamente all’indirizzo del palco, dove accanto al palo della lap dance c’era… Tanja.
Ben la guardò con gli occhi sbarrati, indeciso su cosa fare.
“Signore e signori, per la serata dei dilettanti  oggi abbiamo una nuova magnifica ballerina…”
Tutti i maschi del locale presero ad urlare eccitati e sgomitarono per avvicinarsi il più possibile al palco ed avere una vista migliore, creando un caos assoluto nel locale.
Tanja iniziò a strusciarsi e scivolare sensuale sul palo, cingendolo con le gambe, scendendo e risalendo piano a tempo di musica, con sulle labbra quel sorriso che solo lei aveva, innocente e al tempo stesso seducente.
Ben rimase a guardare come congelato: era indeciso se piombare sul palco e trascinarla via di lì o  cercare di superare la folla e andare a vedere chi c’era nel salottino.
Alla fine non fece né l’una né l’altra cosa, limitandosi a guardare imbambolato la danza che si svolgeva sul palco.
Tanja continuava a volteggiare, leggera e conturbante, senza mai essere volgare, ma eccitante sì. Per lunghi momenti Ben ebbe l’impressione che lo guardasse con aria di sfida.
La cosa andò avanti per alcuni minuti e finalmente quando Ben si svegliò la tenda del salottino era aperta e dentro non c’era più nessuno.
Arrabbiato e deluso, soprattutto dal proprio comportamento, Ben lasciò il locale.
 
 
 
Ben aveva dormito malissimo.
Alla fine non ce l’aveva fatta a tornare a Norimberga né ad andare a dormire nel suo appartamento di Colonia ed aveva preso una stanza in un albergo in centro città a Dusseldorf.
Dopo colazione prima di tornare in moto a Norimberga provò a raggiungere Tanja sul cellulare, senza risultati.
Alla fine non sapeva neppure se era uscita dal locale incolume e iniziò a sentirsi in colpa.
Si era fatto prendere dalla gelosia, ma aveva ben chiaro che Tanja era perfettamente in grado di cavarsela da sola e la scenetta della lapdance l’aveva fatta volontariamente.
Stava per  mettere il  casco e salire sulla moto, quando si sentì chiamare alle spalle.
“Ben!!” fece sorpreso Konrad Jager.
“Ciao papà” rispose il giovane imbarazzato.
“Ma… che ci fai qui? Ora dormi in albergo qui a Dusseldorf? Non hai più una casa in questa città?” la voce del vecchio imprenditore era adirata.
“Sono qui per lavoro papà e ieri sera ho fatto tardi, non volevo svegliarti” provò a giustificarsi. In realtà non ci aveva neppure pensato ad andare a villa Jager.
“Sì, ma stamattina stavi andando via senza neppure passare a salutare. Sono più di cinque mesi che non ti vedo Ben, non rispondi alle telefonate, devo accendere la tv  e guardare il telegiornale  per sapere se stai bene?” il vecchio era sempre più adirato.
“Lo so papà, scusa, ma il nuovo lavoro…”
Konrad lo guardò fisso.
“Almeno hai tempo per un caffè?” chiese con sguardo indagatore.
Ben stava per rifiutare, ma si rese conto che questo avrebbe compromesso ancor di più i rapporti con il padre.
Da dopo i fatti di Berlino non lo aveva quasi più visto, stretto fra l’affetto che provava per lui e l’ostilità palese che Konrad nutriva per Semir.
“Vada per il caffè” disse avviandosi con il padre verso la caffetteria di fronte.

 
Semir salì in macchina e si preparò al turno di sorveglianza della casa di Robert Holmes.
Era uno degli incarichi più odiosi, ore ed ore ad aspettare  di vedere qualcosa, ed ovviamente quelli della Delta non si degnavano di mettere i loro uomini a fare questo servizio.
Giunto all’indirizzo parcheggiò in posizione defilata, ma tale comunque da tenere sotto controllo l’ingresso e si preparò alla lunga attesa.
Era ancora presto, prima dell’orario stabilito per l’inizio della sorveglianza, ma tanto erano giorni e giorni che non riusciva a dormire bene.
Le sue previsioni di una defaticante inerzia vennero subito smentite.
La porta della villetta di Holmes si aprì e ne uscirono l’uomo e una donna bionda che si salutarono frettolosamente prima che lei salisse in taxi.
Alla vista Semir rimase senza fiato.
Tanja Marcus.

 
“Quindi vuoi dire che  è stato lui?” Konrad strabuzzò gli occhi e subito divenne rosso di rabbia.
Alla fine Ben, dopo un vero e proprio interrogatorio sulle ragioni per cui aveva lasciato Colonia e il Distretto, si era lasciato scappare la verità.
O forse aveva un disperato bisogno di parlarne con qualcuno.
“Non è stato lui papà… o meglio l’ha fatto solo perché era sotto l’influenza di quella droga…” provò a giustificarlo Ben. In fondo provava sempre e comunque il desiderio di difendere l’amico.
“Droga? Ti ha quasi massacrato, Ben!! Io solo so cosa ho provato a  vederti mezzo morto in quel letto. E poi hai rischiato di nuovo la vita per salvare lui e la figlia, lo hai coperto per tutto questo tempo ed ora si permette anche di fare l’orgoglioso?” la voce di Konrad era sempre più dura
“Tu vedi solo un lato della vicenda… in realtà lui…”
“Ora basta Ben, non basta essere scappato a Norimberga? Lo devi ancora difendere?” sbottò il padre.
“Comunque le cose ormai stanno così. Il mio nuovo lavoro mi piace …”
“E’ un lavoro pericolosissimo… credi che non veda in tv quello che fate? Per quanto ancora vuoi rischiare la vita? Per lo stesso stipendio da fame poi… e ora non c’è più neppure il tuo amico”
Ben iniziò ad irritarsi seriamente.
“Oh papà, sempre gli stessi discorsi. Non ti sei ancora rassegnato? Sono un poliziotto perché voglio esserlo, con o senza Semir” sbottò alzandosi di scatto dalla sedia ed uscendo dal locale, senza dare al padre il tempo di replicare.
   
 
Semir tornò dal turno di sorveglianza e si infilò direttamente nell’ufficio della Kruger.
Era agitato ma non  sapeva cosa fare; aveva visto la partner di Ben uscire dalla casa di un sorvegliato, ma non conoscendo neppure la ragione per cui la casa era sotto controllo questo poteva voler dire poco.  Tecnicamente gli ordini erano di osservare e prendere nota di quello che succedeva e non intervenire a meno di reati in corso.
Kim lo guardò perplessa.
“Mi deve dire qualcosa Gerkan?” chiese, mentre lui stava di fronte alla scrivania immobile, mordendosi le labbra.
“Capo… posso sapere perché sorvegliamo la casa di questo Holmes?” chiese secco.
“Ne abbiamo già discusso, non ne siamo a conoscenza e non dobbiamo esserlo” rispose lei aggrottando la fronte
“C’è qualcosa che non va?” chiese vedendo  che Semir non accennava ad uscire né ad andare avanti nel discorso.
“E’ solo che… beh stamattina ho visto Tanja Marcus che usciva dalla casa di Holmes.
“Tanja Marcus? La partner di Ben alla Delta?”  Kim Kruger era sorpresa.
“Proprio lei… quella donna non mi piace commissario. Perché era lì, nella casa del sorvegliato?”
“Potrebbe non voler dire niente. E poi se ci fosse qualcosa di strano lei certo sapeva che la casa è sorvegliata quindi non avrebbe rischiato di uscire da lì e farsi vedere”
“Sì, ma la sorveglianza mattutina doveva iniziare alle otto, sono io che sono arrivato prima…”
"Secondo me lei sta facendo una tempesta in un bicchiere d’acqua. Comunque lei  metta la cosa nel rapporto che manderemo alla Delta. Se qualcosa non va se ne occuperà Burke”
Semir rimase comunque fermo davanti alla scrivania.
“C’è qualcos’altro?” chiese il commissario senza alzare lo sguardo dai fogli che aveva ripreso a leggere.
La donna già intuiva doveva voleva andare a finire il discorso, ma voleva che Semir lo dicesse apertamente.
“Capo…  davvero non possiamo sapere qualcosa di più su questa operazione?” chiese l’ispettore con aria un po’ imbarazzata.
“E’ preoccupato per qualcosa… o forse per qualcuno?” chiese Kim alzando gli occhi dai fogli.
“Ma no, è solo che…” Semir si sentì scoperto con le mani  nella marmellata. Nonostante tutto non poteva non continuare a preoccuparsi per quel marmocchio stupido. E sapeva dentro di sé che quella Marcus era una tipa pericolosa.
Kim sorrise.
“Va bene cercherò di parlare con Burke e fargli dire qualcosa” lo rassicurò.
Semir uscì e si mise subito a compilare il rapporto.
Ci mise quasi tutto il pomeriggio per compilarlo. Era sera  quando finì  e  lo guardò e riguardò a lungo.
Poi prese la sua decisione… nella lista degli indirizzi mail inserì anche quello di Ben Jager presso la Delta.

 
Ben era arrivato nel pomeriggio alla sede Delta di Norimberga e, dopo aver riferito a Burke della sera precedente si era infilato direttamente nel suo ufficio, senza neppure guardare Tanja che sedeva nel suo.
Non aveva riferito al capo i sospetti che aveva avuto sul comportamento di Tanja con Holmes, né il fatto che a causa del suo spettacolino non era riuscito a capire chi c’era nel separè  da cui era uscito il biologo.
Con la mente ingombra di pensieri si mise a lavorare sui rapporti  e cercò di non pensare che fra due o tre sere doveva tornare con Tanja nel locale. Sarebbe toccato di nuovo a loro e non era sicuro quale sarebbe stata la sua reazione se la ragazza  replicava il comportamento avuto la sera prima.
“Smettila Ben… non puoi essere geloso, lei è stata molto chiara sul punto…”
Per la prima volta dopo quei mesi si fece in lui chiara la necessità di porre distanza fra lui e la collega, altrimenti si sarebbe innamorato davvero e due partner innamorati non lavoravano bene insieme.
Mancava poco alla fine dell’orario di lavoro e Ben si alzò chiuse  il pc e dopo aver preso la giacca si avviò all’ascensore.
C’era poca gente in giro, erano quasi tutti impegnati nei turni di sorveglianza dei luoghi frequentati da El Marough e da Holmes.
Le porte dell’ascensore stavano per chiudersi quando di corsa si infilò nella cabina Tanja.
“Ehi… che fine hai fatto ieri sera? Sei sparito…” chiese con un mezzo sorriso.
“Mi sembravi molto impegnata… non ho voluto disturbare il tuo divertimento…” rispose lui con un tono di voce acido.
Tanja lo guardò con aria maliziosa.
“Mi sono semplicemente finta una cliente di quel locale. Di solito le donne che lo frequentano fanno di queste cose… ed anche peggio. E poi ti dovevo coprire, visto che sembravi un pesce fuor d’acqua…” rispose lei  guardandolo fisso.
“Cosa ti ha detto Holmes?” chiese Ben duro.
Tanja lo guardò aggrottando la fronte.
Poi sorrise.
“Sei geloso per caso?” chiese sorridendo
Ben si sentì punto sul vivo.
“Volevo solo sapere cosa ti ha detto il sospettato”
“Niente di particolare, voleva solo offrirmi da bere… come tutti gli uomini del locale del resto…” rispose lei, cercando con la mano il pulsante per bloccare l’ascensore. Negli occhi aveva la solita malizia.
Stavolta però Ben fu più veloce.
“Andiamo a casa Tanja è meglio” disse allontanando la mano di lei dal pulsante.
Appena le porte dell’ascensore si aprirono Ben uscì  e si avviò verso la sua auto, senza mai voltarsi indietro.
 
 

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Capitolo 11
*** Amicizia perduta ***


Amicizia perduta
 
“Ciao Semir” disse Max Weiss vedendo il piccolo ispettore turco uscire dal Distretto.
“Ciao Max” salutò cordialmente Semir.
“Stai aspettando il capo?” chiese curioso.
“No macché, ha una riunione stasera… così mi chiedevo se ti andava una birra…” fece il medico, indicando il pub proprio di fronte al Distretto.
Semir accettò volentieri, da quando non c’era Ben non  aveva più fatto una  uscita fra soli uomini
I due entrarono nel locale  e si sedettero ad un tavolo in fondo.
 “Allora cosa mi racconti, è un po’ che non ti fai sentire…” fece subito il medico. Prima, quando c’era anche Ben, avevano l’abitudine di uscire ogni tanto tutti e tre, erano diventati molto amici in fondo.
“Sai il lavoro, la famiglia…”
Ma Max andò subito al sodo.
“L’hai più sentito?” chiese senza fare il nome, posto che era ovvio a chi si stava riferendo.
“No… e non ne ho neppure voglia…” rispose duro Semir.
Anche se subito dopo non poté fare a meno di chiedere “E tu?”
“No… l’altro giorno ho incontrato per caso Julia e mi ha detto che  non si fa sentire neppure in famiglia” rispose il medico.
Semir rimase in silenzio, ma Max aveva imparato a leggere le preoccupazioni dell’amico nei suoi occhi.
“C’è qualcosa che non va?” chiese il medico.
Semir lo guardò.
“Niente è solo che… beh credo che si stia mettendo nei guai…”
“Ben è un poliziotto capace…  anzi a sentirlo descrivere dai telegiornali sembra una specie di “rambo”, per non parlare della collega, quella biondona” rise Max cercando di alleggerire l’atmosfera.
“Ecco proprio lei è quella che mi preoccupa di più” la voce di Semir non era per nulla divertita.
 
Max lo guardò e non chiese di più tanto, sapeva che non avrebbe ottenuto risposte.
“Semir… scusa se te lo dico, ma mi sembra proprio venuto il momento di chiarire con Ben questa storia” disse guardandolo negli occhi.
“Credi che non ci abbia provato? Sono passato sopra il mio orgoglio, ma quando sono andato a casa sua per chiedergli di venire alla festa di compleanno di Aida lui se ne era andato a Norimberga, senza neppure avere la decenza di salutare o dire qualcosa” rispose amaro il piccolo turco.
“Sei andato lì per Aida o per te stesso?” chiese Max.
Semir rimase in silenzio per un po’.
“Cosa credi che non mi manchi? Certo che mi manca… ogni giorno. Le mie figlie non mi parlano più, mia moglie prova rancore nei miei confronti… ma resta il fatto che mi ha mentito, per quasi un anno… mi ha guardato negli occhi e mi ha mentito per tutto quel tempo”
“Sei sicuro che sia questo il problema?” chiese Max.
Semir lo guardò.
“Che vuoi dire?”
“Che a volte ci si concentra su di un aspetto della vicenda per non pensare ad altri” rispose dopo un attimo di esitazione il medico.
Il piccolo turco guardò Max con gli occhi che iniziavano a scurirsi per la rabbia.
“Ah ecco… vuoi dire che me la prendo con Ben perché mi ha mentito, per non pensare a quello che ho fatto  in quel magazzino di Berlino?” sibilò.
Max lo guardò fisso.
“Ognuno di noi ha le sue paure Semir. Quello che è successo due anni fa a Berlino non è colpa tua, ma di questo devi convincerti per primo tu. Se non lo fai, se non affronti prima tu la realtà non potrai mai affrontarla con Ben” disse calmo.
Semir rimase immobile, con la mascella serrata per la rabbia.
“Possiamo parlare d’altro per favore? Pensavo che volessi farti una birra con un amico non psicoanalizzarlo” fece con un sorriso forzato.
Max lasciò cadere il discorso che scivolò pian piano su cose futili.
Uscendo dal locale il medico aveva però chiara una cosa: doveva tentare una azione di forza per far riappacificare quei due.
 
 
Ben si piazzò sotto la doccia cercando di cancellare dalla mente ogni pensiero della giornata precedente.
Guardando dentro se stesso pensò che la gelosia non era un sentimento adatto al rapporto che lo legava a Tanja. Lei non gli aveva mai fatto capire di volere una relazione completa e stabile, anzi proprio il contrario.
Ma forse quello che provava non era gelosia… era più un sentimento di inquietudine… chi era veramente Tanja? In fondo lui non sapeva niente di lei. Non gli aveva mai parlato della sua famiglia, di quello che faceva prima di entrare alla Delta, dei suoi amici. Non l’aveva mai vista telefonare o frequentare qualcuno al di fuori di quelli della squadra.
Agitato da questi cupi pensieri neppure si accorse  della porta a vetri della doccia che  si apriva sino a che non sentì il corpo fresco della ragazza attaccarsi alla sua schiena.
Il contatto con il seno e la pelle setosa  gli provocarono subito i soliti brividi di passione.
“Tanja? Come sei entrata?” chiese, sapendo già la risposta. La ragazza era l’unica persona più abile di Semir a forzare le serrature senza romperle.
“Ho pensato che volessi compagnia…” sussurrò lei in un orecchio mentre le mani sottili, impertinenti e sfacciate come al solito, prendevano a sfiorarlo dappertutto.
Mentre le cedeva ancora una volta, con la mente offuscata da quel profumo, da quelle mani, da quella pelle liscia e perfetta, Ben  provò sempre più forte quel senso di inquietudine.
 
Tanja si mosse piano per non svegliare il giovane uomo che dormiva al suo fianco, respirando tranquillo.
Silenziosa come un gatto andò in cucina, dove in bella mostra sul tavolo c’era il tablet di servizio di Ben.
Quasi con noncuranza aprì la posta personale del giovane e immediatamente lo sguardo le cadde sulla prima missiva. Da Semir Gerkan-CID recitava l’oggetto della mail.
La aprì e leggendola la sua espressione mutò leggermente.
“Maledizione…” sussurrò subito prima di cancellarla.
Poi si rivestì in silenzio ed uscì.
 
 
 
“Buon giorno signori” disse Mathias Burke entrando,  con aria gioviale come al solito, nella sala riunioni.
“Allora abbiamo novità  sul nostro El Marough”
Ben cercò con lo sguardo Tanja, ma non la vide.
Quella mattina svegliandosi non l’aveva trovata in casa, e la cosa non lo sorprendeva.
Ma non c’era neppure nel suo appartamento e la cosa gli era sembrata strana.
Come strano era il fatto che non fosse alla riunione operativa, di solito era la prima ad arrivare e  l’ultima ad andare via.
“I contatti dei servizi segreti  ci hanno informato che  i componenti del gruppo armato di El Marough sono arrivati a Düsseldorf. Ma la cosa interessante è che prima di partire si sono vaccinati tutti contro il vaiolo”
“Il vaiolo? Ma è una malattia debellata da decenni” intervenne Marius un componente della squadra.
“Esatto. Ma  proprio questo lascia mal presagire” borbottò Mathias.
“Un attacco biologico” ragionò Ben.
La riunione era quasi terminata quando Tanja entrò nella sala.
Con discrezione raggiunse il suo posto accanto a Ben,  a cui lanciò un mezzo sorriso.
“Dove eri?” chiese sottovoce Ben mentre Mathias proiettava sullo schermo le foto dei restanti componenti della cellula terroristica di El  Marough.
Ma la  giovane si limitò ad un sorriso ed una stretta di spalle.
“Ma non possiamo arrestarli?” chiese uno degli agenti.
“Certo sarebbe facile. Ma non sappiamo se hanno altri contatti qui in Germania, se hanno già preparato l’attentato e dove… e soprattutto se hanno complici qui in Germania”
Nella sala si levò un borbottio.
“Quindi  per ora ci limitiamo a seguirli per scoprire quali sono le loro intenzioni. A questo proposito vorrei sollecitare Marie, che tiene i  nostri contatti con gli altri dipartimenti a stare più attenta alla tempestività nella trasmissione dei rapporti. Se non arrivano devi imporre la puntualità, non aspettare che te li inviino quando sono comodi. Come è successo con il rapporto della CID di Colonia”
“A me hanno detto che l’avevano mandato ieri sera…” replicò la ragazza, analista informatica ed il membro più giovane della squadra.
“Evidentemente non è così visto che è arrivato sulla mia casella di posta elettronica solo stamattina” replicò Mathias con una voce che non ammetteva repliche.
“Capo, ma non sarebbe il caso di capire se la Klones’s Industries c’entra qualcosa?” chiese Ben.
“Invece non mi sembra proprio il caso… non abbiamo alcuna prova che la Klones c’entri in questa faccenda e potremmo…” obiettò Tanja con voce che a Ben suonò stranamente agitata.
“Invece io credo che sia una buona idea, con le dovute precauzioni. Voi due cercate di capire se Victor Klones sa qualcosa di quello che combina il suo dipendente”
 
Ben e Tanja arrivarono a bordo della BMW di Ben davanti alla enorme sede della Klones’s Industries di Düsseldorf e parcheggiarono proprio davanti.
 Durante il tragitto Tanja non aveva profferito parola, limitandosi a guardare per tutto il tempo il paesaggio fuori dal finestrino. A Ben sembrava sempre più nervosa, e la cosa continuava a stupirlo se confrontava questo suo comportamento con quello avuto  dalla ragazza nei mesi precedenti.
“Tutto bene?” le chiese mentre si avviavano all’ingresso.
“Certo… perché non dovrebbe…” rispose Tanja, ma ancora una volta Ben lesse una nota di agitazione nella voce.
Una volta presentati i tesserini all’ingresso i due furono fatti salire subito al decimo piano dell’edificio, dove c’era l’ufficio di Victor Klones.
Sulla porta vennero ricevuti da un uomo alto ed elegante, di circa sessanta anni, capelli brizzolati ed occhi azzurri di ghiaccio.
“Buon pomeriggio signor Klones,  vicecommissario Ben Jager e questa è la mia collega Tanja Marcus” si presentò Ben entrando e mostrando il tesserino.
“Jager? Parente di Konrad Jager?” rispose l’uomo con accento mellifluo.
A Ben non sfuggì lo strano sguardo che aveva lanciato a Tanja, ma si costrinse ad un sorriso.
“Sì in effetti è mio padre…” rispose leggermente imbarazzato.  
“Ma guarda… conosco bene suo padre… abbiamo ottimi rapporti di lavoro…” Klones ricambiò il sorriso in modo ostentato.
“Mi scusi, ma non credo che questo sia rilevante al momento” fece Ben tornando duro e serio.
“Certo… mi scusi lei. Come posso aiutarvi? Avere una visita della Delta non è cosa di tutti i giorni” la voce di Klones ostentava sicurezza.
“Signor Klones lei è a conoscenza dei rapporti che ha un suo dipendente, il dottor Holmes con un cittadino yemenita, tale El Marorgh?”  intervenne Tanja.
Klones la fissò negli occhi.
“No di certo, non posso mica conoscere tutte le persone che frequentano i miei dipendenti. Sono oltre 500, sparsi in cinque paesi diversi” rispose con estrema calma.
“Holmes lavora per lei qui nella sede di Düsseldorf, però. E’ a capo di uno dei suoi laboratori” fece Ben cercando di carpire le reazioni dell’uomo.
Klones rimase  molto calmo.
“Sì  certo, si occupa del settore dei  vaccini, ma solo della produzione, non della ricerca. Quella la facciamo nella sede di Amburgo.  Ed è un settore che non rende molto, tanto che sto pensando di chiudere il reparto”
Ben si limitò a guardarlo  senza emozione.
Quell’uomo non gli piaceva.
“Posso sapere di cosa è accusato il mio dipendente? Se è accusato di qualcosa…”
“Oggi è in servizio?” chiese Tanja senza rispondere alla domanda.
“No, ha preso due  giorni di ferie” rispose a sua volta Klones.
“Possiamo dare una occhiata al suo ufficio?”
Klones rimase per un attimo in silenzio.
“Suppongo che non mi possa rifiutare… giusto?”
“Se preferisce ci procuriamo un mandato di perquisizione” intervenne Ben.
Klones lo guardò scuro in volto.
“No… non è necessario. Vado a chiamare qualcuno che vi accompagni” disse l’uomo uscendo.
Ben ne approfittò per dare una occhiata in giro.
L’ufficio era ampio e luminoso, ma arredato in modo molto spartano.
Sulla scrivania, in perfetto ordine, Ben notò subito un grazioso pacchetto di una nota gioielleria della zona, la Tiffany Time. Ben la conosceva bene, suo padre  era un ottimo cliente e qualche volta Ben vi aveva comprato regalini per le sue ragazze.
“Bene, la signorina Frederick vi accompagnerà nell’ufficio di Holmes” disse Klones rientrando  seguito da una ragazza magra e occhialuta.
“Naturalmente le raccomandiamo la discrezione, signor Klones. E’ di vitale importanza” fece Tanja mentre uscivano.
“Ma certo, non vi preoccupate” sorrise l’uomo.
Ed ancora una volta Ben provò quella strana sensazione di inquietudine.
 
“Bene, come ti avevo pronosticato abbiamo fatto un bel buco nell’acqua” disse Tanja, uscendo dall’edificio della Klones’s Industries, senza che avessero trovato nulla di interessante nell’ufficio di Holmes.
Ben non rispose.
Tutta la storia lo metteva in allarme.
Pensò che era vero, avevano commesso un errore, ma solo perché avevano  messo Klones sulla difensiva.
Ben era sicuro che quell’uomo era dentro nella storia fino al collo.
Seguendo il filo dei suoi pensieri si rimise in macchina, con Tanja a fianco, quando gli squillò il cellulare.
“Max…” rispose sorpreso, ma anche felice, alla chiamata.
 
 
 
Semir era nervoso.
Nessuno si era degnato di avere la benché minima reazione a quanto aveva scritto nel suo rapporto  su Tanja Marcus.
Né quelli della Delta in via ufficiale, né tantomeno Ben. Anche se ormai sperava poco nel suo ex migliore amico, aveva comunque avuto l’ennesima dimostrazione di quanto gli fosse indifferente la loro amicizia.
Ma ciononostante Semir non riusciva proprio  a far finta di nulla.
Si alzò ed entrò senza bussare nell’ufficio della Kruger.
“Gerkan… ora non conosciamo più neppure le regole della buona educazione?” fece indispettita la donna.
“Sì mi scusi capo… ma volevo sapere… ha avuto notizie sul mio rapporto su Tanja Marcus?”
“No Semir, nulla. Burke non mi ha richiamato, né ha chiesto spiegazioni. In compenso si sono lamentati del fatto che non lo avevamo spedito in tempo, mentre io stessa l’ho mandato sulla casella di posta della Delta appena lei me lo ha passato”
“Ma…”
“Niente ma, Semir. Noi siamo solo esecutori di ordini in questa indagine. Si rassegni” chiuse il discorso Kim.
Il piccolo ispettore uscì mogio dall’ufficio e stava per rientrare nel suo quando il cellulare squillò.
“Max? Ciao come stai… domani a cena? Perché no…”
Semir rispose entusiasta all’invito del medico. Dopotutto una serata fuori non poteva fargli che bene.
Dalla sua scrivania Kim Kruger sorrise di nascosto nel sentire la risposta di Semir, conoscendo i piani del suo compagno.
 
 
“Mathias, ti dico che Klones è dentro  fino al collo in questa storia” fece Ben adirato.
Era arrivato di buon mattino proprio per parlare con Burke da solo, ma il capo della Delta non era molto propenso a sentire le sue ragioni.
“Tanja non la pensa come te…” si oppose Mathias, suscitando una reazione rabbiosa in Ben.
“Non è che se lei non è d’accordo su di una cosa dobbiamo per forza abbandonare la pista” rispose il giovane irritato.
Mathias lo guardò perplesso.
“Secondo te un piccolo burocrate come Holmes può organizzare tutto da solo? Ragiona Mathias…” continuò Ben.
“Sì, ma la Klones’s Industries non produce né ha a sua disposizione il virus del vaiolo. Se pensiamo ad un attacco biologico, la Klones  può al limite produrre solo  il vaccino….”
La discussione venne interrotta dall’entrata di Tanja che guardò sorpresa i due.
“Mi sono persa qualcosa?” chiese irritata, guardando velenosa verso Ben.
Ma Mathias calmò la situazione.
“Nulla di importante. Facciamo così Ben… penso a quello che mi hai detto e ti faccio sapere ok?”
Ben annuì lasciando volutamente cadere il discorso. Non sapeva spiegarsene la ragione, ma non voleva che Tanja conoscesse i suoi sospetti.
Mentre si stava recando nel suo ufficio venne raggiunto dalla ragazza.
“Ehi…  ti aspetto da me stasera?” chiese con la solita voce intrigante e sensuale.
“No stasera no, ho da fare” rispose laconico mentre entrava in ufficio e chiudeva la porta a vetri.
 
 
Max sedeva nervoso al tavolo del ristorante, in attesa dei suoi ospiti.
Ci aveva messo un bel po’ a convincere Ben  a venire da Norimberga a Colonia quella sera, ma sperava che facendoli finalmente incontrare tutto si sarebbe risolto. Solo che aveva taciuto ad entrambi dell’incontro e sperava vivamente che la cosa non portasse problemi.
Sorrise alzandosi all’entrata di  Semir.
“Ciao Semir…”
“Max… è stata una sorpresa il tuo invito, ma piacevole devo dire…”
I due si sedettero al tavolo, ma immediatamente Semir notò che era apparecchiato per tre.
“Aspettiamo qualcuno?” chiese incuriosito.
Appena colse lo sguardo di Max, Semir intuì all’istante di chi si trattava.
“Max no… questo non lo dovevi fare” borbottò.
“Avanti Semir non ti pare che avete tirato questa storia un po’ troppo per le lunghe?”
“Non mi pare che siano affari tuoi, Max…” rispose irritato il piccolo turco.
Ma Max stava già guardando verso l’ingresso del locale, dove era appena entrato Ben.
 
Il giovane rimase di sale vedendo Semir, ma si avvicinò comunque al tavolo.
“Bene ragazzi, facciamo così, io vado a bere qualcosa al bancone del bar… voi nel frattempo parlate ok?” fece Max sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.
Ben rimase impalato di fronte al tavolo.
“Tanto vale che ti siedi”  disse Semir senza guardarlo.
Il giovane si sedette di fronte a quello che era stato per anni il suo migliore amico.
“Come stai?” chiese Semir senza espressione.
“Bene…Andrea e le bambine?” rispose imbarazzato il ragazzo.
“Bene, ma questo suppongo che lo sai. Parli con Aida, giusto? Parli con lei, ma non con me…”
“Veramente sei tu che non vuoi parlare con me…”
Semir sentì il sangue salirgli alla testa.
Rise ironico. “Questa è buona… ed io che continuo a preoccupami per te…” ringhiò.
“Io non ho bisogno che ti preoccupi per me… so cavarmela benissimo da solo… e poi non vedo in te tutta questa preoccupazione” Anche Ben si stava alterando, e parecchio.
“Ti ho salvato il culo, bamboccio, se non fosse stato per me saresti rimasto sotto le ruote di quel camion…”
Ben cercò di non esplodere. “Veramente ci avete costretto voi a inseguirlo… se non fosse stato per la vostra incompetenza, tutto sarebbe filato liscio”.
Semir si ficcò le unghie nel palmo della mano nel disperato tentativo di non reagire. Non riusciva a credere che stavano davvero dicendosi quelle cose.
“Piantiamola ok? Cerchiamo di essere civili, almeno per Max” sibilò. 
Ben lo guardò duro, Semir non gli aveva mai visto quello sguardo.
“Sai  cosa non capisco? Perché tu ce l’abbia tanto con me. Sono io quello che stava per rimanerci secco in quel magazzino a Berlino e se ti ho mentito è perché credevo…”
“Cosa credevi dimmi? Che impazzissi  conoscendo la verità?  Mi credi davvero così debole? La verità è che mi hai mentito nel tentativo di nascondere a te stesso che non ti fidavi più… per questo sei scappato alla Delta. Sii sincero almeno una volta”
“Ho accettato il lavoro alla Delta perché tu non volevi più lavorare con me. E sinceramente  sono felice della scelta”
“Certo… abbiamo il super uomo. Sempre in azione, sempre sui giornali. Lui e la sua fida compagna. Dì un po’… di  lei ti fidi giusto? Ti fidi di lei e non di me… nonostante tutto”
“Cosa vuoi dire?” chiese Ben guardandolo duro.
“Nulla, quello che dovevo dire l’ho scritto, ma tu te ne sei fregato”
“Smettila Semir, non so di che stai parlando… Tanja è un’ottima collega”
Semir lo guardò fisso, ma ormai il suo  brutto ed impulsivo carattere aveva preso il sopravvento.
“Aspetta un momento… te la porti a letto giusto? Perciò la difendi… è un’altra delle tante sgualdrine che  ti scaldano il letto…”
Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso per Ben.
Di impulso si alzò e prima ancora di rendersene conto aveva già mollato un pugno sul naso di Semir, facendo cadere piatti e bicchieri che apparecchiavano la tavola.
Prima che il piccolo turco potesse reagire arrivò Max a separarli.
“Ma siete impazziti??” Finitela subito!!” urlò il medico.
Semir guardò Ben asciugandosi le gocce di sangue che gli colavano dal naso
“Ma chi sei diventato?? Sparisci, non farti mai più vedere da me” gli urlò in faccia.
Ben non se lo fece ripetere due volte.
“Scusa Max… mi spiace tanto, non volevo” borbottò prima di uscire di corsa dal locale.
 
 
Appena fuori la porta Ben si appoggiò al muro ansimando.
Non riusciva a credere a quello che era appena successo, gli sembrava una scena di un film, un brutto film.
Ma non ebbe il tempo di pensare oltre.
Il cellulare nella tasca del giubbotto si mise a vibrare.
Era Mathias Burke.
“Ben… ma dove cazzo sei finito?? Devi venire subito qui a Colonia, a casa di Holmes. Hanno appena scoperto il suo cadavere” gli disse concitato.
 
 
Ben arrivò alla villetta di Holmes con la testa che gli girava per lo stress emotivo.
Le mani gli tremavano ancora…  gli era capitato altre volte di litigare con Semir, e anche di fare a pugni con lui… ma stavolta era diverso. Sentiva che erano giunti ad un punto di non ritorno. E la cosa lo lasciava sgomento.
Con animo triste scese dall’auto ed andò incontro a Tanja, che era ferma all’ingresso della villetta e stava parlando con quelli della scientifica.
“Finalmente… eppure lo sai che devi essere sempre reperibile” lo rimproverò.
Ben cercò di concentrarsi e non pensare a quello che era successo poco prima.
Mise i sovra scarpe ed i guanti in lattice ed  entrò nell’ampio salone a vista. Appena varcò la soglia vide il cadavere di Holmes, che ancora penzolava dalla trave del soffitto.
“Pare proprio un suicidio…” borbottò il medico legale andandogli incontro.
Ma Ben sentì subito che qualcosa non quadrava.
Girò nell’appartamento, in perfetto ordine, sembrava ripulito da poco tanto era asettico.
“Probabilmente si è sentito scoperto…” disse Tanja arrivando di spalle.
Ben non rispose… e  in quel momento capì quanto gli mancava Hartmut. Einstein avrebbe trovato di certo qualcosa.
 “Non lo so… la cosa non mi convince…”  si limitò a dire.
All’improvviso si rese anche conto che non voleva condividere i suoi sospetti con  Tanja e gli tornarono in mente confusamente le parole di Semir “Quello che dovevo dire l’ho scritto, ma tu te ne sei fregato”
Cosa aveva voluto dire? Il rapporto che avevano spedito alla Delta non conteneva nulla di strano, tantomeno nei confronti di Tanja.
Ma la testa di Ben continuava  a ronzare e ronzare, mentre Tanja gli sorrideva seducente. Da un paio di giorni si era fatta più sfacciata in pubblico ed aveva tentato di sedurlo anche in ufficio.
Nonostante l’attrazione che Ben ancora provava per lei, ora il giovane  sentiva quel senso di inquietudine già provato farsi prepotente.
Distolse lo sguardo dal viso di porcellana della  ragazza e cercò di concentrarsi su altro.
 
 
Semir  rientrò a casa completamente sconvolto.
Ancora non riusciva a metabolizzare gli eventi, ma ora provava un senso di tristezza profonda.
Era finita.
Il Ben che conosceva non c’era più, e lui aveva definitivamente perso il suo amico.
Si sentiva quasi come dopo la morte di Tom, solo che stavolta il suo migliore amico non era morto. Aveva scelto deliberatamente di  uscire dalla sua vita.
La tristezza si trasformò rapidamente in rabbia, soprattutto contro la Marcus. C’era lei all’origine di tutto ne era sicuro, ma se quello stupido moccioso non voleva rendersene conto lui non poteva fare nulla.
Andrea e le bambine già dormivano e Semir prese una intera confezione di birra dal frigo, con la seria intenzione di scolarsela tutta.
Alla memoria dell’amicizia perduta.


 

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Capitolo 12
*** Lettere, canzoni e tristi compleanni ***


Lettere, canzoni e tristi compleanni
 
 “Mathias ti devo parlare. Da solo” fece Ben entrando la mattina seguente in ufficio.
Il capo gli fece cenno di entrare.
“Se vuoi parlare del suicidio di Holmes …”
“Io non sono per nulla convinto  che sia un suicidio … questa storia puzza lontano un miglio e di sicuro Klones c’è dentro”
“Siamo alla solita storia, non abbiamo alcun riscontro … anche Tanja è d’accordo su questo”
“Per favore Mathias, apri gli occhi. Quando abbiamo chiesto a Klones se Holmes era in servizio, lui subito ci ha detto che era in ferie. Come fa il proprietario di una grande industria a sapere che uno dei suoi 500 dipendenti è in ferie per due giorni? E secondo te un semplice  biologo di una industria farmaceutica ha contatti con terroristi islamici da solo? Come potrebbe aiutarli? Non sarebbe comunque in grado di ricreare o procurarsi il virus senza la complicità di Klones …” Ben era concitato.
Mathias lo guardò perplesso.
Ma alla fine sospirò.
“Ok … proviamo ad ottenere un mandato di perquisizione per la sede  della Klones. Vediamo se troviamo qualcosa”
Ben annuì soddisfatto.
Cercò di  non incrociare lo sguardo di Tanja che entrava in ufficio.
 
La giornata passò tranquilla, in attesa del risultato dell’autopsia che tuttavia non rilevò nulla di strano. Holmes era morto per soffocamento.
Tornato a casa, Ben si ritrovò subito Tanja davanti alla porta.
“Mi stai evitando? chiese la ragazza piano.
“Cosa te lo fa credere?” Ben cercò di sembrare il più disinvolto possibile.
“Allora vieni da me … mi sei mancato ieri sera …” mugolò la ragazza, avvicinandosi sempre più.
“Non sono dell’umore adatto Tanja. Mi spiace” Ben la bloccò anche se dolcemente.
Per un attimo  vide un lampo di ira passare negli occhi verdi.
Ma la ragazza sorrise seducente come al solito.
“Ok allora di vediamo domani” disse sfiorando con le labbra quelle del giovane.
Ben entrò in casa e chiuse accuratamente a chiave la porta.
Stremato si sedette sul divano di pelle e si guardò triste in giro.
Il pensiero tornò a quello che era successo il giorno prima. Non poteva credere di aver perso uno dei sentimenti più importanti della sua vita. Aveva amato Semir come suo padre, forse di più … ed ora… 
Lo sguardo cadde sul calendario appeso all’ingresso della cucina.
Il  due dicembre.  Il giorno dopo sarebbe stato il compleanno di Semir.
No non poteva permettere che tutto finisse così, non era disposto a questo.
Ben si alzò e prese la sua chitarra.
Non scriveva una canzone da tanto, tanto tempo, e nel farlo provò un piacere dimenticato.
Le note e le parole gli venivano in mente fluide, senza intoppi, come se fossero lì da sempre in attesa di essere messe  solo su carta.
Passò tutta la notte in bianco.
Quando finì il suo lavoro era già l’alba.
Prese un foglio e scrisse le parole che avrebbe voluto dire e non aveva detto.
Chiuse la busta con l’mp3 e la lettera e poi scrisse l’indirizzo della persona cui erano destinate.


La giovane donna entrò nella grande villa e venne subito accolta dal maggiordomo che le prese il cappotto con fare ossequioso.
“Prego il signore la sta aspettando nello studio” disse.
Tanja entrò nello studio e subito andò verso la figura elegante, ferma vicino al caminetto.
Victor Klones si girò e le prese il viso fra le mani prima di baciarla appassionatamente.
“Mi sei mancata …” fece mentre la guardava con desiderio.

“Non sai quando faranno la perquisizione?” chiese Victor accendendosi una sigaretta ed accarezzando la schiena nuda di Tanja, distesa a fianco a lui nel grande letto.
“Non ancora, abbiamo bisogno del mandato. La Klones  è troppo in vista per agire senza autorizzazione, ma  ci conviene far sparire tutto subito” rispose la donna accarezzando il torace del suo amante.
“Credevo che, avendo tolto di mezzo Holmes, i problemi fossero risolti” la voce di Klones era leggermente infastidita.
“Certo, ma Jager si è messo di mezzo…”
“Quando ti ho concesso di divertirti con lui avevi in mente di tenerlo a bada … avevi detto che così potevi controllare meglio la squadra ”
“E fino ad ora ci sono riuscita, come sai. Lo tranquillizzerò di nuovo, ho solo bisogno di un po’ di tempo. Deve essersi visto con quel Gerkan. Quello sì che è un tipo pericoloso, ho fatto una fatica enorme a cancellare dal suo rapporto il fatto che mi aveva visto uscire dalla casa di Holmes”
“Vuoi che lo eliminiamo?” chiese Klones senza nessuna emozione.
“No … lo insospettirebbe. E’ ancora molto legato al turco. Me la sbrigo io, so come fare …” sorrise Tanja
“Di questo sono sicuro. Almeno ti  diverti con Jager?” fece Klones.
“Sì a letto è bravo, non c’è che dire …” sorrise la donna.
All’improvviso il viso di Klones si fece duro.
Afferrò i capelli di Tanja e le girò il viso verso di lui quasi con violenza.
“Ricorda … ti ho concesso solo divertimento con lui. Per il resto sei mia … hai capito?” sibilò con sguardo di fuoco.
Tanja lo guardò con aria di sfida.
“Sì certo”
Klones la lasciò e si sporse per prendere un pacchetto dal comodino.
“Questo è per te” le disse porgendole il grazioso pacchettino.
“Sai che non amo i regali … non sono quel tipo di donna …”
“Sì lo so, ma quando l’ho visto non ho potuto fare a meno di pensare a te” rispose lui.
Tanja aprì il pacchetto e tirò fuori la semplice catenina da cui pendeva però un solitario gigantesco.
“Semplice e raro come te” disse Klones con aria orgogliosa, mentre glielo metteva al collo.
“Grazie” sussurrò Tanja con voce del tutto indifferente.
Si alzò dal letto e completamente nuda si  rimirò brevemente nell’ampio specchio del bagno, ma poi si tolse  il ciondolo e lo ripose con cura nella scatola che infilò in borsa.
Quello che lei desiderava non erano gioielli, era il potere. Quello che solo il denaro in quantità spropositate ti può dare.
 
“I suoi ospiti la stanno attendendo nello studio” disse il maggiordomo, discreto, sporgendosi appena dalla porta socchiusa.
Tanja stava finendo di rivestirsi, mentre Klones era già pronto e perfetto.
“Dì loro che arriviamo subito” rispose il padrone di casa.
Appena arrivati nello studio Klones salutò con un  cenno del capo i due uomini che lo stavano aspettando.
“Signor El Marough è un piacere rivederla finalmente”
 
“Quando abbiamo preso i nostri accordi non mi aveva detto che le cose potevano complicarsi in questo modo …” disse guardando le fiamme che ardevano nel caminetto El Marough.
Era un uomo che decisamente incuteva timore, anche se non per il suo aspetto fisico, che era quello di un tranquillo uomo sulla quarantina anche piuttosto in sovrappeso.
Ma gli occhi, quelli sì che incutevano timore; neri e profondi e pieni di odio per gli occidentali.
Anche nel modo in cui trattava Klones si percepiva il suo disgusto, ma il tedesco pareva non farci caso.
“Sinceramente credo che sia stato commesso più di un errore da lei ed i suoi uomini; si sono fatti vedere troppe volte con Holmes, anche nel locale di Dusseldorf. Se non fosse stato per la signorina Marcus, il collega che era con lei li avrebbe scoperti e seguiti e sarebbe di certo giunto a lei” disse mellifluo Klones.
Ma El Marough  non degnò di uno sguardo né lui, né Tanja che gli era accanto.
“Mi pare che entrambi abbiamo risolto  questi problemi” rispose calmo, facendo intuire la brutta fine che avevano fatto i suoi collaboratori poco attenti.
“Certo … quindi veniamo a noi. Le ho già procurato il virus nella quantità che le serve; resta inteso che aspetterà il mio via libera per l’azione alla stazione ferroviaria di Colonia. Devo ovviamente prima ottenere l’esclusiva per la produzione del vaccino, mi mancano solo un altro paio di industrie concorrenti che godono  del brevetto”
L’arabo si limitò ad annuire, ma poi sorrise beffardo.
“Sinceramente signor Klones lei ancora mi stupisce. Capisco che voi occidentali abbiate quale unico scopo il denaro, ma non credevo che sarebbe arrivato a barattare la vita di migliaia di persone con il profitto, per quanto elevato possa essere” disse sempre con il medesimo tono di voce.
“Come lei sono convinto che il nostro è un mondo corrotto. Io non faccio altro che cercare di sopravvivere. Lei  otterrà il suo scopo e punirà questo mondo corrotto ed infedele. Ed io otterrò il mio vendendo a peso d’oro, in primo luogo ai militari il vaccino, quando partirà dopo l’attentato, la vaccinazione di massa. In fondo non siamo molto diversi:  vogliamo ottenere il nostro scopo. Lei per un ideale ed io per un altro” concluse Klones.
Tanja stette ad ascoltare il resto della conversazione, praticamente ignorata da El Marough.
Intuiva che la sua presenza dava fastidio agli arabi, che l’avrebbero volentieri costretta ad indossare il chador.
Ma non le importava.
Il fine giustifica i mezzi, si disse. E lei per il potere era disposta a tutto. Anche ad uccidere migliaia di persone.
 

Uscendo di casa di buon mattino Ben imbucò la lettera e poi si recò direttamente in ufficio.
Non aveva più visto Tanja dalla sera precedente, ma quando era uscito aveva notato che l’Audi non era parcheggiata davanti casa, quindi o la ragazza aveva trascorso la notte fuori o era uscita molto presto.
Pensò al fatto che sino a pochi giorni addietro la prima ipotesi gli avrebbe provocato certamente un moto di gelosia, mentre ora era solo preoccupato per quello che poteva aver combinato la donna in quelle ore.
Entrò nell’ufficio  di Burke, guardandosi intorno alla ricerca di Tanja, che per fortuna non c’era.
Era indeciso se rivelare al suo capo i sospetti che ormai aveva sulla sua collega ed amante, ma un sottile senso di inquietudine la spingeva a dubitare di tutto e tutti ormai.
“Ben… sei arrivato presto.  Ho appena parlato con il Procuratore distrettuale per il mandato di perquisizione alla Klones, ci ho messo una eternità per convincerlo, ma per oggi dovremmo averlo”
“Bene” si limitò a rispondere il giovane.
“Ben… c’è qualcosa che non va? Mi sembri  nervoso” chiese Mathias.
Per un attimo la tentazione di rivelargli i suoi sospetti fu forte, ma si trattenne, anche perché da lontano aveva visto arrivare la figura sottile di Tanja.
 
“Dove sei stata  stanotte?” le chiese a bruciapelo Ben appena entrò nel suo ufficio.
Tanja lo guardò con un’aria a metà fra il divertito e  l’ironico.
“Non penso di doverti giustificazioni, soprattutto dopo che ieri sera mi hai praticamente cacciato” rispose la ragazza.
“Non mi pare che qui a Norimberga tu conosca qualcuno dove trascorrere la notte … o sbaglio?”
Nella voce di Ben non c’era traccia di gelosia, ma solo  sospetto, e Tanja se ne accorse immediatamente.
“Sono andata a trovare una mia vecchia amica dell’accademia e  mi sono addormentata sul suo divano … contento? O vuoi qualche altra spiegazione?” chiese  a sua volta dura.
Ben lasciò cadere l’argomento, anche se ormai  gli era palese che la donna nascondesse qualcosa. Tanja non era tipo da rimpatriate con vecchi compagni di accademia.
“No, no di certo …” si costrinse ad un tono di voce conciliante, avvicinandosi a lei.
Tanja gli sorrise come al solito con la sua aria seducente.
“Visto che ti sono mancata tanto,  stasera potremmo farci compagnia … che ne dici?”
Ben la guardò ed iniziò per la prima volta in tanti mesi a provare disgusto per quella donna, pur così bella e seducente.
“Ma certo …” si costrinse a rispondere per non destare sospetti.
“Ok ragazzi, abbiamo il mandato di perquisizione. Possiamo muoverci” disse uscendo dall’ufficio Burke e tutto il reparto si animò.
 

“Tanti auguri papà” fece Lily con la sua voce sottile correndo incontro al padre che scendeva le scale.
“Questo è per te …” gli disse porgendogli il suo disegno
“Ma è bellissimo, grazie piccola” la lodò il padre, anche se non capiva bene l’oggetto del ritratto.
“Aida, non fai gli auguri a papà?”  sollecitò Andrea vedendo che la figlia maggiore non accennava invece ad andare incontro al padre.
La bambina si avvicinò a Semir di malavoglia e sussurrò a stento i suoi auguri.
“Allora bambine… siamo pronte per lo zoo? Oggi sarà una bellissima giornata, ci divertiremo tanto…” incoraggiò il padre, cercando di alleggerire l’atmosfera.
I rapporti con la sua primogenita erano sempre più difficili. La bambina ormai gli mostrava palesemente in ogni occasione il suo risentimento e tutti i tentativi di avvicinarla erano  miseramente falliti.
Prelevati i suoceri, il gruppetto familiare si diresse verso lo zoo cittadino.
Semir odiava lo zoo, gli facevano pietà tutte quelle povere creature costrette in spazi ristretti, ma le bambine adoravano gli animali e quella era una delle poche occasioni di poterli vedere dal vivo.
Durante tutta la visita Aida si limitò a seguire la famiglia con aria assente e senza nessun entusiasmo.
Semir non ce la fece più e ad un certo punto  fece in modo di trovarsi solo con lei, a guardare gli orsi polari che giocavano in acqua.
“Aida, ti prego… dimmi cosa c’è che non va… perché mi tieni il broncio?”
“Lo sai cosa c’è che non va…” disse la bambina senza guardarlo.
“Tesoro… mi devi credere, anche a me dispiace che Ben se ne sia andato a Norimberga, ma non è dipeso da me. E poi come ti ha detto, anche se io e lui litighiamo questo non vuol dire che Ben non vi voglia più bene. Fra voi nulla è cambiato” Il padre provò a consolare la bambina.
Ma Aida era intelligente e testarda.
“Mi prendi in giro? Se zio Ben non è qui oggi è perché avete litigato. Se non fate pace, lui non tornerà mai più…”
Semir guardò la figlia, così giovane e già così matura. Come poteva dirle che probabilmente non sarebbe mai più riuscito a fare pace con il suo adorato zietto?
 
La giornata non era stata piacevole, anzi era stato uno dei compleanni più tristi che Semir ricordava.
Accolse quasi con sollievo l’arrivo a casa, anche se Aida non lo aveva più degnato di uno sguardo dalla loro conversazione. 
Pensieroso aprì la cassetta della posta e il cuore ebbe un balzo.
Riconobbe immediatamente la grafia sulla busta.
Rimase per un po’ a fissarla e al tatto sentiva che c’è anche qualcosa all’interno.
Ma ora non aveva la forza per leggere cosa c’era scritto.
Forse ne aveva paura.
Piegò la busta e se la mise nella tasca interna della giacca.
Aveva bisogno di recuperare un po’ di lucidità prima di leggere.
 

“Avevo detto che avremmo fatto di nuovo un buco nell’acqua … e così è stato” esplose Tanja appena fuori dalla grande sede della Klones. Avevano appena effettuato la perquisizione della sede e di tutti i magazzini della Klones senza trovare assolutamente nulla di rilevante.
La donna era particolarmente agitata e lo era stata per tutta la giornata.
“Beh… bisogna ammettere che avevi ragione. Ma anche Ben aveva le sue ragioni. E’ stato un tentativo…” rispose Mathias mentre usciva anche lui dall’edificio.
Ben stava invece silenzioso vicino alla sua auto, con in mente mille pensieri.
Quando Tanja aveva saputo della perquisizione  era diventata furibonda e la cosa non aveva fatto altro che acuire i sospetti di Ben.
Ormai ne era certo: Tanja nascondeva qualcosa.
Sempre silenzioso risalì in auto e tornò a Norimberga senza  avvisare nessuno.
 
Appena arrivato  chiamò un collega della Delta per assicurarsi che Tanja fosse ancora impegnata in ufficio.
Poi, forzando la serratura, entrò nell’appartamento della ragazza.
Entrando pensò che in fondo era stato in quella casa poche volte e solo per poco tempo. Non vi aveva mai passato la notte ad esempio, era sempre Tanja che veniva da lui.
Si aggirò per le stanze in cerca di indizi, ma era tutto asettico, quasi impersonale.
Non una fotografia, non un vero effetto personale. Anche gli abiti nell’armadio potevano appartenere a chiunque.
Sembrava quasi una stanza di albergo e Ben pensò che era una circostanza tipica di chi non vuole far sapere nulla del suo passato agli altri.
Stava quasi per uscire quando l’occhio cadde su di un pacchetto nascosto sul fondo dell’armadio.
Con le mani che iniziavano a tremare lo tirò fuori.
Era un pacchetto di una gioielleria, la Tiffany Time, e Ben ne fu subito sicuro, era lo stesso pacchetto che aveva visto sulla scrivania di Klones il giorno che erano andati a interrogarlo.
Lo aprì e guardò per un momento il  solitario che conteneva. Era un regalo costoso, di quelli che si fanno alle mogli. O alle amanti.
In un attimo ricostruì tutto il puzzle dei suoi sospetti.
L’atteggiamento di Holmes verso Tanja nel locale di Dusseldorf, come  Klones aveva guardato Tanja, l’atteggiamento della donna negli ultimi tempi, il suo nervosismo quando si parlava della Klones. E poi la frase di Semir “Quello che dovevo dire l’ho scritto”. Il rapporto, quello che Mathias aveva ricevuto in ritardo che  la CID sosteneva di aver invece  inviato tempestivamente(.)
Rimise a posto il pacchetto e tornò nel suo appartamento.
Chiamò Marie, la giovane analista.
“Marie scusa per l’ora, dovresti entrare nella mia posta personale e scoprire se di recente è stato cancellato qualche file… sì grazie… aspetto in linea”
La ragazza ci mise poco  a rispondere.
La testa di Ben girava vorticosamente per l’emozione mentre apriva il file che aveva recuperato.
Era il rapporto di Semir sul servizio di sorveglianza alla casa di Holmes.
E riportava chiaro che Tanja Marcus era uscita da quella casa.
 
Respirò profondamente e cercò di calmarsi.
Un vero turbine di emozioni si era impadronito di lui.
Le immagini di Tanja, delle notti passate, dei comportamenti avuti con lui. Passione, sfrontatezza e freddezza.
In un attimo gli fu chiaro. Era stato usato, Tanja non aveva fatto altro che servirsi di lui.
Demoralizzato come non mai, quasi sobbalzò nel sentire la porta dell’appartamento a fianco chiudersi.
Tanja era tornata.
Si aspettava da un momento all’altro che bussasse alla porta o entrasse forzando la serratura ed era quasi terrorizzato al pensiero di quello che doveva o poteva fare.
Ma con sorpresa dopo pochi minuti sentì la porta dell’appartamento chiudersi di nuovo.
Dallo spioncino della sua porta di ingresso vide Tanja scendere veloce le scale.
Senza capire neppure bene la ragione aspettò  di non poter essere visto e poi veloce  anche lui scese le scale; salì sulla sua BMW,  e si mise a distanza di sicurezza a seguire l’Audi nera di Tanja.
 
L’Audi percorreva veloce la  strada, diretta con evidenza alla periferia della città.
Mentre guidava mille pensieri si agitavano nella mente di Ben. Ci fosse stato almeno Semir… quanto gli mancava qualcuno di cui potersi fidare incondizionatamente.
Finita questa storia farò pace con lui a costo di strisciare per chiedere perdono, si ripromise.
All’improvviso l’Audi nera davanti  lui sterzò in un stradina laterale.
Per non essere scoperto Ben proseguì diritto, salvo fermare poco distante, in una cunetta nascosta, la BMW e scendere subito dopo.
Per fortuna l’Audi si era fermata poco  distante dall’imbocco della strada, accanto ad una vistosa Maserati.
Quando vide l’uomo che era accanto all’auto intento a parlare fitto con Tanja non fu sorpreso più di tanto: Victor Klones.
 
Ben si avvicinò, nascondendosi dietro gli alberi, aiutato dalla oscurità quasi assoluta.
“La situazione  ci sta sfuggendo di mano… Jager è sempre più sospettoso…” disse la donna.
“Avevi detto di poterlo tenere a bada con il sesso … per questo ho consentito che avessi una relazione con lui” ribattè duro Klones.
“E fino ad ora è stato così… ma ora mi sta evitando, sono sicura che ha dei sospetti…”
“E tu tienilo a bada. Credo che  tu sappia come fare… manca poco ormai. Ieri l’ultima industria ha firmato per la liberatoria sul brevetto… Poi, dopo l’attentato, saremo immensamente ricchi”
“Non vorrei essere costretta ad eliminarlo…” rispose Tanja.
Victor la attirò a sé brusco.
“Che c’è ti sei affezionata? Ricorda, con lui solo divertimento e sesso. Per il resto tu sei mia!” sibilò mentre la costringeva ad un bacio.
“Non occorre che me lo ricordi sempre” rispose dura Tanja subito dopo, mentre risaliva in auto.
Guardando le due vetture  allontanarsi nella oscurità Ben rimase immobile.
Era sconvolto.
Non solo per la delusione,  ma anche per il proprio comportamento.
Come aveva fatto ad essere così stupido? Si era fatto imbambolare … e si stava quasi innamorando di una criminale.
 
Ben aveva trascorso una notte insonne.
Cosa poteva fare ora?
Non si fidava di nessuno alla Delta.
Neppure di Mathias.
Il rapporto di Semir era stato inviato anche a lui e non aveva fatto e detto nulla su Tanja.
C’era una sola persona  di cui si poteva fidare, ma non sapeva come contattarlo.
Non sapeva se aveva letto la lettera che gli aveva inviato. Non sapeva se avrebbe risposto alle sue chiamate. Non sapeva come affrontarlo direttamente.
Ma aveva un bisogno disperato di lui.
E finalmente ebbe l’idea vincente.
Chiamò Aida su Skype.

 
“Papà aspetta!!” urlò Aida mentre il padre si stava già infilando in auto per andare al lavoro.
“Che c’è piccola?” chiese preoccupato Semir vedendola arrivare trafelata.
“Papà… zio Ben ha assoluto bisogno di vederti. Ti aspetta alla stazione di servizio della A19, stasera alle sei. Ha detto che è importante…” gli disse trafelata la bambina.
Semir rimase di stucco.
“Come ti ha contattato?”
“Con Skype… ci andrai vero? Farete pace?” negli occhi della bambina si leggeva la felicità per la possibilità di recuperare lo zio lontano.
“Sì certo…” mentì Semir.
Ma in cuor suo sapeva che non ci sarebbe andato.
Quella notte ci aveva pensato bene.
Voleva farlo soffrire ancora  un po’.
Poi lo avrebbe chiamato lui e forse, se chiedeva adeguatamente perdono, avrebbero messo definitivamente fine a questo stupido litigio.
 

Stiamo arrivando al cuore della storia...  Ben ha  chiesto l'aiuto dell'amico, ma Semir non ha letto la lettera e ha deciso di non andare all'appuntamento.
E le conseguenze di questa decisione si trascineranno per molto molto tempo
Grazie sempre a chi mi segue, ai recensori e soprattutto alla mia beta "puntinomane"


 

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Capitolo 13
*** Punto di non ritorno ***


Punto di non ritorno
 
Ben aspettò ed aspettò, con l’animo che gli si faceva sempre più pesante.
Era più che certo che Aida avesse avvertito Semir. Si era molto raccomandato e appena  finito di chiedere la bambina si era precipitata a chiamare il padre.
Se Semir non era lì, era perché non voleva esserci.
Ed in fondo poteva anche capirlo.
Lo aveva offeso ed anche picchiato, cosa si aspettava? Una amicizia per quanto profonda non poteva reggere  tutto.
E ora era solo e doveva cavarsela da solo.
Con l’animo scuro, oppresso da uno fosco presentimento, risalì in macchina e si diresse la Klones’s Industries.
 

Era già notte quando la BMW di Ben si fermò  poco distante dall’ingresso della Klones.
Era una serata freddissima ed in lontananza si sentivano i tuoni che si avvicinavano sempre più.
Ci sarebbe stata tempesta.
L’edificio era quasi completamente buio, ad  eccezione dell’entrata a piano terra, illuminata. Dalla porta a vetri Ben intravide subito i due sorveglianti notturni intenti a parlottare e a guardare lo schermo di una piccola tv portatile.
Era fortunato, quella sera la squadra di calcio della città, il Fortuna Düsseldorf, si giocava in Italia la permanenza in Europa League, ed i due erano evidentemente intenti a guardare la partita. Probabilmente nessuno si sarebbe degnato di fare i giri di perlustrazione previsti, almeno sino al fischio finale.
Silenzioso come un gatto Ben si appostò fra i cespugli del piccolo giardinetto antistante l’ingresso e cercò con lo sguardo una via per entrare. Acquattato fece mezzo giro dell’edificio fino ad incontrare la porta sul retro che dava ai garage.  
Non ci mise molto a forzarla e con un gesto veloce staccò il filo dell’allarme perimetrale.
Sperò vivamente che i due sorveglianti non si fossero accorti della manomissione, e con suo sollievo non li vide arrivare. Segno che erano troppo occupati a guardare la partita.
Sempre silenzioso prese l’ascensore e salì al decimo piano, diretto all’ufficio di Klones.
Non aveva ancora bene in mente cosa poteva trovare, ma di certo quello era il primo posto dove iniziare a cercare.
Entrò nell’ampio ufficio, illuminandolo alla luce della piccola torcia che portava sempre con sé.
Tutto era in ordine perfetto, asettico quasi, esattamente come l’appartamento di Tanja.
Ben si sedette alla scrivania ed accese il pc; ovviamente era munito di password… ci fosse stato Hartmut avrebbe risolto il problema in un momento, ma ora doveva cavarsela da solo.
Provò e riprovò con tutte le combinazioni che gli venivano in mente, sino a che non ebbe un’intuizione. 
Digitò la parola “tanja”… ma il display gli rimandò il solito messaggio di errore.
Pensa Ben pensa, si disse.
E così pensò al rapporto che poteva legare quei due… no “tanja” era troppo confidenziale e affettuoso in fondo.
Digitò “marcus” e come per magia il video gli mandò l’immagine del desktop aperto.
Febbrilmente si mise ad aprire tutti i file che potevano ricondurre a  qualche indizio, sino a che non scoprì una cartella catalogata “brevetto”.
La aprì e si mise a leggere velocemente il contenuto.
Erano tutti contratti di acquisto da altre industrie farmaceutiche dei diritti di brevetto per un vaccino… quello contro il vaiolo. I contratti erano intestati ad un’altra società, ma con evidenza era solo un paravento della Klones.
A Ben quasi mancò il respiro. Dopo un eventuale attentato con armi biologiche, quando la malattia si sarebbe diffusa nuovamente fra la popolazione, era quasi certo che sarebbe partita una vaccinazione di massa della popolazione mondiale e  l’industria che aveva la privativa sul vaccino  li avrebbe fabbricati e venduti a prezzi d’oro.
“Bastardi” Ben imprecò fra sé e sé, terrorizzato al pensiero delle migliaia e migliaia  di morti che ci sarebbero stati  a causa di una malattia tremenda.
Doveva assolutamente scoprire quando e dove ci sarebbe stato l’attentato con la diffusione del virus.
Con la mano malferma prese la chiavetta USB che portava sempre con sé e lanciò l’ordine di copia dell’intera cartella.
All’improvviso i sensi, acuiti dalla tensione, percepirono dei passi avvicinarsi nel corridoio.
Veloce più che poteva spense lo schermo del pc, lasciando che il programma continuasse la copia e si nascose dietro la porta del bagno annesso all’ufficio.
Appena in tempo.
Dopo pochi secondi dopo entrarono Tanja e Klones.
 
 
“Ormai è tutto pronto” disse Klones stringendo possessivo Tanja.
“Ho la privativa per la produzione del vaccino e mi sono procurato anche il virus, nelle quantità giuste” continuò.
“Quando è previsto l’attentato?” chiese con aria indifferente Tanja.
“Fra domenica e lunedì della prossima settimana. Alla stazione centrale di Colonia”
“Quanti morti ci saranno?” chiese ancora la donna con voce  sempre atona.
“Ti interessa davvero? Non ti starai facendo venire degli scrupoli di coscienza …”
Tanja lo guardò scettica.
“Comunque in una prima fase non meno di mille, contagiati direttamente. Nei successivi 14 giorni, dopo l’incubazione del virus  nelle persone infettate dai primi malati, ameno altri  sei o settemila”
Ben sentì le gambe che gli tremavano … mio Dio come potevano quei due prendere parte con tanta freddezza ad un piano così mostruoso?
“Quando farai la vaccinazione?” chiese Klones.
“Domani credo”
“E Jager? Come te la stai cavando con lui?” chiese preoccupato Victor.
Tanja cambiò tono di voce.
“Non bene… non riesco a rintracciarlo da ieri. Credo abbia mangiato la foglia”
“Allora sai cosa devi fare…”
“Certo… ma devo trovare il momento giusto, non posso insospettire nessuno ora, il momento è troppo delicato…”
All’improvviso la conversazione fu interrotta dallo squillo del cellulare di Klones.
Era uno degli uomini di El Marough. 
 
Klones uscì dalla stanza per andare a controllare qualcosa nel laboratorio al quinto piano e Tanja rimase sola.
Iniziò a bighellonare tranquilla; Ben la vedeva aggirarsi fischiettando e la rabbia gli montava dentro, unitamente alla paura di essere scoperto.
Fortunatamente la porta USB era posizionata dietro la macchina, ma il pc continuava a rimandare il ronzio del suo funzionamento mentre copiava i dati.
Ben continuò a guardare la ragazza che ora gli dava le spalle. Sarebbe stato così facile eliminarla, spararle, la pistola che il giovane poliziotto aveva consè era anche munita di silenziatore.
Ben tolse l’arma dalla fondina e cercò con la mano tremante il silenziatore.
Sarebbe stato così facile. Spararle, prendere la chiavetta e fuggire.
Davanti agli occhi gli passarono però le mille immagini delle notti che aveva passato con lei, unico rifugio nella solitudine che aveva invaso il suo animo.
Se ne era quasi innamorato …
No, non poteva farlo …
E l’errore fu fatale.
 
Tanja notò con la coda dell’occhio che il pc sulla scrivania era in funzionamento.
Era matematicamente sicura che quando Klones lasciava l’ufficio chiudeva tutto.
Cercando di apparire  disinvolta, si girò e tolse la sicura alla fondina della pistola.
Si guardò intorno. L’unico posto dove ci si poteva nascondere era dietro la porta del bagno.
Fulminea estrasse la pistola e con un calcio aprì la porta.
“Bene… siamo alla resa dei conti a quanto pare …” disse puntando la pistola contro Ben.
   
Ben guardò la donna che era stata in tutti quei mesi la sua partner di lavoro e di vita e gli sembrò di non riconoscerla.
La bellezza fisica era trasfigurata dallo sguardo duro, di odio, che c’era nei bellissimi occhi verdi.
“Come puoi? Come puoi metterti con gente così? Come puoi pianificare la morte di migliaia di persone innocenti per puro profitto?” chiese Ben alzando le mani e lasciando cadere la pistola.
“Non accetto lezioni di morale da chi è cresciuto imboccato con un cucchiaino d’argento” disse lei beffarda.
“Ora mi propinerai la storia della povera ragazza senza soldi, cresciuta negli stenti? E’ una storia vecchia Tanja, e di certo non ti addice”
Tanja rise.
“Su questo hai ragione. Niente traumi familiari, né povertà patita in gioventù. Solo che alcune persone come me nascono con un obiettivo e fanno di tutto per perseguirlo …”
“Quale obiettivo? Il denaro? Il potere? Per questo sei disposta a tutto vero? Ti sei servita di me… e ora ti stai servendo di Klones…”
Tanja continuò a sorridere.
“In fondo è stato piacevole sino a che è durato. Una perfetta sintesi fra utile e dilettevole, come si suol dire”
“E il tuo amico Klones immagina la fine che farà non appena non gli servirai più?” chiese duro Ben.
“Io e lui abbiamo un rapporto molto chiaro. Ho cercato di farlo capire anche a te… ma sei un bamboccio romantico…e ora mi dispiace anche un po’ doverti uccidere… ma sai… nulla di personale…” disse puntando la pistola direttamente al petto del giovane.
Ma Ben fu più veloce.
Con uno scatto improvviso le colpì il braccio, facendole cadere la pistola a terra.
Tanja si mise subito in posizione difensiva, ma nonostante la ragazza fosse agile, Ben era perfettamente addestrato e molto più forte fisicamente.
Dopo una breve lotta Ben colpì Tanja alla nuca e la donna finì al tappeto senza sensi.
Ansimando recuperò la pistola.  Sarebbe stato facile spararle, ma Ben non ci pensò neppure.
Recuperò la chiavetta USB con i dati e corse fuori.
 
Tanja riprese lentamente i sensi.
Rialzandosi vide Klones rientrare in ufficio.
“Ma cosa è successo qui?” chiese meravigliato.
“Maledetto… Jager è arrivato sin qui… ha copiato dei dati dal tuo pc. Cosa può essere?”
“I contratti, quelli conclusi dalla società prestanome con le altre farmaceutiche per la liberatoria sul brevetto” fece Klones sbarrando gli occhi.
“Maledizione” imprecò la donna.
“Chiamo i miei uomini?” chiese agitato Klones.
“No ci penso io” disse uscendo di corsa dall’ufficio.

 
Ben aveva nascosto la chiavetta nella tasca segreta che aveva all’interno della fodera della giacca, prima di buttarla sul sedile posteriore. Era un vecchio trucco che gli aveva insegnato Semir.
Ansimando come un mantice  era uscito dall’ascensore e percorso senza farsi vedere la strada verso l’uscita. I due sorveglianti erano talmente intenti a guardare la partita e  che non avrebbero fatto caso neppure ad un elefante che passeggiava nell’atrio.
Mentre entrava in macchina e  partiva,  sgommando, si chiese a chi poteva rivolgersi ora.
Non si fidava di Mathias… e doveva raggiungere prima possibile il procuratore distrettuale.
Gli venne in mente un’unica persona di cui si fidava e che potesse aiutarlo ad avere subito il colloquio.
Kim Kruger.
 
Tanja montò in macchina e stava per imboccare l’autostrada per Norimberga quando si bloccò.
Aveva imparato a conoscere i processi mentali di Jager… non si  fidava di Burke, altrimenti non sarebbe venuto lì da solo.
Quindi aveva intensione di rivolgersi a qualcun altro…  qualcuno di cui si fidava.
Quindi o il turco o il suo vecchio capo della CID.
Veloce guidò l’Audi verso la statale per Colonia.
 
I primi fiocchi di neve cadevano sulla strada, si avvicinava la prima bufera dell’inverno.
Ben aveva mille pensieri in testa, al punto di non aver neppure acceso il riscaldamento in auto.
Solo quando iniziò a tremare per il freddo si decise ad azionarlo, ma la cosa non servì a far diminuire il gelo che sentiva nel cuore.
Come  aveva fatto a non capire chi era la persona che si era insinuata nel suo letto e nella sua vita?
In fondo Semir aveva ragione… aveva ceduto alla passione, ancora una volta si era fidato di una sgualdrina che si era solo servita di lui. E non era neppure la prima volta che succedeva.
Perso nelle sue fosche considerazioni intravide solo all’ultimo momento l’Audi nera che gli si accodava.
Poi venne violentemente sbalzato in avanti.
Tanja stava cercando di buttarlo fuori strada.
 
Ormai la tempesta imperversava violentemente e la visibilità diminuiva sempre più.
Ben vedeva l’Audi nera di Tanja avvicinarsi, anche se lui guidava veloce cercando in tutti i modi di seminarla.
Ma non era facile. Tanja era abilissima nella guida ed aveva un’auto più potente della sua.
Per la seconda volta sentì un forte urto posteriore e venneviolentemente sbalzato in avanti.
Solo con difficoltà riuscì a tenere la strada; il fondo stradale iniziava a ghiacciarsi e non aveva neppure montato le gomme invernali.
Pigiò ancora di più il piede sull’acceleratore cercando di guadagnare terreno, aveva il cuore che gli batteva a mille.
Ma non fu sufficiente.
Più potente  e con le gomme adatte l’Audi nera di Tanja si accostò alla BMW di Ben… dal finestrino per un minuto i loro sguardi si incrociarono. Ben vi lesse  rabbia e furia omicida.
L’Audi sterzò violentemente per cercare di buttare fuori strada la BMW e più volte ne tamponò la fiancata.
Per un paio di volte Ben riuscì a tenere il controllo, ma poi si ritrovò davanti una curva.
Il terreno era  ghiacciato e Ben non riuscì a frenare in tempo.
La BMV sfondò il guardrail e dopo una serie di carambole finì la sua corsa contro un albero nella scarpata.
 
Ben vedeva il mondo davanti a lui girare e girare più volte.
Gli airbag gli scoppiarono in faccia e per un attimo gli tolsero  il respiro.
In quel momento pensò che era vero quanto si diceva… nel momento della morte ti passa tutta la tua vita davanti.
In un attimo  si ritrovò a pensare a tutte le cose fatte e a quelle che avrebbe voluto fare, al chiarimento che non aveva avuto con Semir, ai figli che avrebbe voluto avere, alle bambine che non avrebbe veduto crescere, a suo padre e sua sorella, famiglia in cui si era sempre sentito un corpo estraneo.
I colpi che riceveva mentre l’auto si ribaltava gli procuravano dolori indicibili e Ben pregò più volte che almeno finisse presto.
Poi l’oscurità calò su di lui.

 
Semir era tornato a casa con una sensazione strana. Forse era la bufera che si stava avvicinando, o forse  si stava beccando l’influenza, ma si sentiva come oppresso.
Per tutto il pomeriggio  si era imposto di non  pensare a Ben che probabilmente lo stava aspettando inutilmente in quella stazione di servizio. Una lezione gli avrebbe  fatto bene… dopo tutto se voleva chiedere scusa, poteva soffrire un po’ il moccioso.
Poi lui l’avrebbe chiamato e allora sì che potevano finalmente chiarire.
Aveva anche chiesto due giorni di ferie per poter andare a Norimberga.
Ma non aveva fatto i conti con Aida e con la moglie.
Appena entrato in casa venne letteralmente travolto dalla figlia.
“Allora?? Avete fatto pace? Quando torna zio Ben?” chiese la figlia eccitatissima.
Semir rimase di stucco: non poteva mentirle … aveva dei regolari contatti con Ben su Skype e certamente il giovane le avrebbe detto la verità.
“Aida… veramente io…” balbettò alla ricerca disperata di una scusa plausibile.
Ma la bambina lo fissò subito con occhi di fuoco.
“Non ci sei andato … tu non ci sei andato!!!” disse sbalordita mentre le lacrime le salivano.
Andrea stava sulla soglia delle cucina a fissare muta la scena, ma Semir le leggeva lo stupore negli occhi.
“Aida  vai di sopra per favore… devo parlare un attimo con papà” le disse.
Ma la bambina rimaneva immobile a fissare il padre.
“Aida ti prego… vengo subito da te…” le disse ancora la madre.
E finalmente la bambina si mosse, ma salendo le scale rivolse uno sguardo terribile al padre.
“Io ti odio” gli sibilò.
Semir rimase come congelato, mai si sarebbe aspettato una reazione del genere.
“Ma… ma…” riuscì solo a balbettare verso la moglie.
“Cosa ti aspettavi??? Sinceramente neppure io riesco a capire cosa ti prende… aveva chiesto di incontrarti e tu non ci vai? Ma sei impazzito??” Andrea quasi urlava.
“Deve maturare… per questo non ci sono andato… deve soffrire… e capire che non può avere tutto servito su di un vassoio d’argento. Dopo quello che ha combinato  cosa crede? Che basti fare un fischio perché mi precipiti da lui?”
“Ma ti senti? Che cosa stai dicendo? E’ Ben… stai parlando di Ben…” ribatté la moglie.
“Ed infatti domani lo chiamo e vado a Norimberga a parlargli. Ma prima doveva avere una lezione”
“E cosa ti fa pensare che a questo punto lui sia ancora disposto ad ascoltarti?”
“Beh, se così non fosse peggio per lui”  fece duro Semir, stizzito dalla reazione della moglie  e anche un po’ geloso.
“E non pensi alle bambine? Non pensi a me? Cosa ti fa pensare che anche noi siamo disposte a rinunciare a lui?”
Andrea non lo degnò più di uno sguardo, mentre saliva le scale verso la stanza delle bambine.
Semir rimase per un attimo a guardarla; avrebbe voluto richiamarla, dirle che in fondo tutto si sarebbe aggiustato l’indomani, quando lui sarebbe andato a Norimberga.
Ma non ce la fece a parlare.
Una orrenda sensazione si impadronì di lui, come se lo stomaco gli fosse diventato di ghiaccio.
Stremato si sedette sul divano e cercò di calmarsi.

   
Tanja vide la BMW sfondare il guardrail ed  udì i tonfi secchi mentre precipitava nel fossato.
Sorrise a se stessa. Ancora una volta aveva ottenuto quello che voleva.
Cercò un posto poco distante dove fermare l’Audi, in posizione nascosta.
Lo trovò a poche centinaia di metri, un una piccola rientranza della strada completamente al buio.
Scese dall’auto e munita di una piccola torcia si avviò verso i rottami dell’auto.
Doveva accertarsi di aver effettivamente completato il lavoro e recuperare i dati che quel bastardo aveva copiato.
 
Ben aprì gli occhi, velati dal sangue che gli colava sul viso.
All’inizio non  si orientò bene, ma ci mise poco a ricordare cosa era successo.
Provò a muoversi, ma la cosa gli provocò un dolore indicibile; aveva la vista annebbiata dal sangue che gli colava davanti agli occhi e le gambe bloccate sotto lo sterzo. Non riusciva a respirare mentre il sapore ferroso del sangue gli saliva in bocca.
Poi vide il piccolo fascio di luce che si avvicinava. Tanja era venuta a controllare se aveva finito il lavoro.
“Bravo… sei ancora vivo… così puoi dirmi dove hai nascosto i dati che hai copiato dal pc…” disse la donna sporgendosi appena dal finestrino rotto.
“Fanculo” sussurrò Ben.
“Oh…  povero piccolo… facciamo i coraggiosi …. tanto morirai qui, e fra poco. A quanto vedo la cosa non sarà piacevole …” Tanja sorrideva beffarda.
“Dimmi dove  hai nascosto la copia e ti concederò una fine  veloce… non penso che ti farà piacere morire dissanguato o congelato” gli disse dura, puntandogli la torcia in faccia.
La tormenta era diventata violentissima.
“Fottiti” le disse ancora Ben, mentre ogni respiro gli provocava un dolore lancinante.
Lampi di ira passarono negli occhi di Tanja.
“Maledetto…” imprecò mentre cercava di aprire la portiera dell’auto che però era bloccata.
“Bastardo… dimmi dov’è” sibilò furibonda.
 
“C’è qualcuno laggiù?” urlò una voce sopra la scarpata.
Immediatamente Tanja spense la torcia e si acquattò contro il rottame.
  La scarpata era completamente buia e il rottame seminascosto dalle foglie, ma aveva le  luci di posizioni ancora accese.
“Ehi… c’è qualcuno???” urlò di nuovo la voce. Evidentemente un automobilista si era fermato vedendo il guardrail sfondato.
Tanja temette seriamente di essere scoperta. Il tizio poteva farsi venire in testa di scendere e allora l’avrebbe certamente vista.
Veloce si allontanò e risalì più avanti il pendio.
Nell’auto Ben neppure si rese conto che la persona sulla scarpata, dopo aver chiamato ancora un paio di volte  si era poi allontanata senza vederlo, lasciandolo al suo destino.
 
Ben aveva freddo, un freddo terribile.
Non riusciva ad ordinare al suo corpo di smettere di tremare e sentiva la neve bagnata penetrare sempre di più negli abiti già fradici, aggravando la sensazione di gelo che ormai paralizzava anche i suoi pensieri.
Il cellulare… la sua unica speranza era il cellulare.
Con estrema lentezza cercò, in quell’ammasso di rottami in cui  era ormai ridotta la sua auto, di raggiungere il giubbotto che aveva lasciato sul sedile posteriore, ma ogni movimento gli rimandava dolori terribili in tutto il corpo.
Aveva movimenti molto limitati e quando respirava sentiva uno strano rumore dentro.
Percepiva il sangue caldo scorrere lungo il polpaccio della gamba destra, completamente bloccata sotto il volante, ma cercò comunque di girarsi ed arrivare con la mano libera alla giacca.
Finalmente, dopo un tempo infinito e mentre sentiva la testa girare in tondo e la nausea sempre più forte, riuscì a tirare l’indumento verso di sé e a mettere la mano in tasca.
“Calma Ben… calma, non fartelo cadere…” si disse mentre prendeva tremante il cellulare.
Aveva la vista annebbiata, ma riuscì a trovare il numero che cercava, il primo, l’unico che gli era venuto in mente.
Erano quasi sei mesi che non componeva quel numero.
“Ti prego rispondi… ti prego…  rispondi anche se non riconosci il numero” pensò mentre sentiva gli squilli.
“S… Semir…” balbettò appena sentì la voce familiare dall’altro capo della linea.
“Chi è? Ben? Che vuoi a quest’ora?”  la voce di Semir era irritata e nonostante la drammaticità della situazione per un attimo a Ben venne da sorridere. Il carattere turco non si smentiva mai.
Con un sforzo  quasi sovraumano si costrinse a  parlare, anche se l’oscurità ormai incombeva minacciosa su di lui.
“S… Semir… aiut.. aiuto…” balbettò con voce debolissima.
“Che succede? Ben… che è successo?” L’irritazione nella voce di Semir si trasformò in preoccupazione.
“Mi… buttato… fuori…str…” balbettò con le ultime forze.
“Cosa?? Dove sei?? Ben… che è successo… rispondi!!!”
Ora nella voce di Semir si coglieva il panico.“BEN!!! Dimmi dove sei!!!” urlò ancora.
“Stat… statal….” Ben non riuscì a completare la frase.
Ormai l’oscurità era su di lui e non poteva fare più nulla per combatterla.
“Quale statale??? Ben… rispondi!!! Ti prego, parla con me!!!”
Le urla, ormai disperate, di Semir si fecero sempre più lontane, mentre lasciava andare il cellulare.
Con un sospiro doloroso, Ben si abbandonò alla oscurità allettante che veniva pietosa a liberarlo dal dolore e dalla paura.
"Mi spiace Semir... mi spiace tanto..." fu il suo ultimo pensiero.

Bene, come vedete siamo arrivati a prologo.
Che poi, in fondo è l'inizio di una nuova storia e della discesa all'inferno di Semir.
Grazie sempre a chi mi segue... sono commossa.
E graze soprattutto, come sempre alla mia beta.
Alla prossima.

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Capitolo 14
*** Chiedere perdono ***


 Chiedere perdono
 
Semir continuava ad urlare  al telefono il nome di Ben, ma ormai era chiaro che non avrebbe ricevuto risposta.
“Semir! Ma che succede?” chiese Andrea scendendo di corsa le scale, richiamata dalle urla del marito.
Semir le porse il telefono “Cerca di farti rispondere… è Ben… sta male, credo abbia avuto un incidente” fece agitatissimo.
Con gli occhi sbarrati Andrea prese il cellulare ed iniziò anche lei a chiamare il giovane, senza risposta, mentre il marito con il cuore che gli batteva a mille e le mani che tremavano  chiamava con il telefono fisso il numero del Distretto. Per fortuna, nonostante l’ora tarda, dopo due soli squilli rispose Susanne, che  era di turno.
“Susanne devi rintracciare subito la chiamata che in questo momento è sul mio cellulare…”
“Semir? Ma non eri in ferie? E poi a quest’ora della notte?” La voce di Susanne era molto scettica.
“Ti ho detto di rintracciare subito la chiamata, non perdere tempo, ne va della vita di Ben” la voce di Semir suonò terrorizzata e irritata.
“Ben? Ma Ben è a Norimberga… e poi perché ti ha contattato? Cosa gli è successo…”
“Lo so anche io dove dovrebbe essere, ma mi ha appena chiamato… è successo qualcosa di molto grave… rintraccia quel numero! Subito!!” urlò Semir sempre più irritato.
“Ok, Ok… dammi solo due minuti” rispose la segretaria.
I minuti sembravano infiniti a Semir mentre sentiva le dita di Susanne battere sul computer.
“Ci sono quasi… pare uno dei numeri segreti in uso all’LKA… ecco… statale 210…  più o meno fra il km 56 ed il 75…”
“Ma sono quasi venti chilometri… non puoi essere più precisa?” la voce di Semir era sempre più disperata.
“Purtroppo no, la triangolazione non  mi dà risultati migliori”
“Chiama  i soccorsi, io vado lì” fece brusco Semir chiudendo la chiamata.
“E’ caduta la linea…” gli disse Andrea restituendogli il cellulare con le lacrime agli occhi.
“Io vado  da lui …” negli occhi di Semir si leggeva il terrore.
Mentre prendeva la giacca a vento ed usciva nella bufera di neve che in quel momento imperversava compose il numero di Max.
“Max, ti prego… ho bisogno del tuo aiuto… subito”.
 
 
Semir cercava disperatamente di intravedere la strada nella bufera di  neve che  turbinava intorno all’auto. I tergicristalli non riuscivano  a spazzare via la neve dal parabrezza e per strada non c’era praticamente nessuno.
Con l’auricolare Semir aveva provato a chiamare più e più volte il numero da cui aveva ricevuto la telefonata, ma ora risultava staccato.
“Ti prego Dio, ti prego fammelo trovare…” continuava a ripetersi cercando di scorgere le pietre ai lati della strada che segnalavano i chilometri.
Mentre cercava di tenere la strada vide una Mercedes nera che gli si accodava e faceva lampeggiare i fari.
“Max…” pensò con gratitudine accostando al lato della strada.
Quando scese dall’auto il vento gelido lo prese come  in un vortice.
Barcollando  si avvicinò all’auto di Max, che subito abbassò il finestrino.
 Solo allora Semir si accorse che in auto c’era anche la Kruger.
“Commissario, è venuta anche lei…”
“Certo, ma cosa è successo di preciso?” chiese Kim sporgendosi dal lato passeggero.
“Io… io… non lo so di preciso. Mi ha chiamato  e mi ha detto che qualcuno l’aveva spinto fuori strada, almeno credo. Non si sentiva molto… sembrava stare così male…” Semir era sull’orlo delle lacrime.
“Ora lo troviamo, vedrà che lo troviamo…” cercò di consolarlo Kim.
Semir risalì in macchina e lentamente iniziò a percorrere la strada, guardando costantemente nelle cunette laterali, sempre seguito dall’auto di Max.
“56… 57… 58… 59…” Semir contava sempre più disperato le pietre di segnalazione dei chilometri, ma non scorgeva nulla.
“Maledizione… dove sei Ben…” pensò ancora una volta.
Arrivato alla pietra di segnalazione del chilometro 76 si fermò di nuovo e scese dall’auto, girandosi tutto intorno.
La bufera era sempre più fitta e la neve  iniziava ad attecchire anche sull’asfalto coperto di sale.
“Niente… cosa facciamo ora?” fece disperato mentre anche Kim e Max scendevano dalla loro auto.
“E’ meglio aspettare che arrivino gli altri soccorsi… non si vede quasi nulla…” urlò Kim cercando di farsi sentire con il vento che fischiava forte.
“Aspettare?? Ben non può aspettare… ha contattato Burke?” chiese Semir agitatissimo.
“Non ci sono riuscita” rispose contrita Kim.
“Quel bastardo, lo sapevo che sarebbe successo qualcosa” imprecò il piccolo ispettore.
“Che facciamo ora?” chiese Max battendo i piedi in terra per il freddo.
“Provo a scendere nelle cunette…” propose Semir.
“Ma sei pazzo? Non si vede nulla… potresti cadere in qualche strapiombo…”
“E che vuoi che faccia che stia qui ad aspettare? Stava male, maledizione, forse è già morto…” urlò di rimando Semir.
“Semir, Max… guardate lì” disse all’improvviso Kim  indicando un punto davanti a sé.
Stropicciando gli occhi Semir vide una piccola luce di posizione lampeggiante in fondo alla scarpata.
"BEN!!” urlò scavalcando il guardrail e correndo disperato verso il burrone.
 
 
“Semir… aspetti è pericoloso, dove sta andando??”
Semir sentiva le urla della Kruger alle sue spalle, ma non se ne curava.
Aveva un solo obiettivo in mente, raggiungere l’auto… salvare Ben.
Ma quando finalmente dopo essere inciampato e rialzato più volte arrivò ansimando alla carcassa dell’auto rimase come bloccato dalla paura.
Era una BMW, ed era quasi completamente distrutta. Evidentemente doveva essersi capovolta più volte prima di concludere la sua corsa contro un albero.
Illuminando l’auto con la piccola torcia che aveva sempre con sè  Semir intravide il sangue che macchiava il parabrezza e riconobbe immediatamente la  figura riversa sui sedili.
“O mio  Dio… no no no” urlò precipitandosi verso l’auto.
 
“Ben… ti prego rispondimi… Ben…”  Semir chiamava e chiamava, cercando di aprire la portiera che però era completamente bloccata. Ma il giovane rimaneva immobile, parzialmente riverso su sedile passeggero.
Semir non capiva più nulla, vedeva solo il sangue che  macchiava tutto l’abitacolo e le gambe di Ben incastrate sotto il volante. E non riusciva a vedere se il petto del giovane si alzava ed abbassava.
“MAX!!! Aiutami Max…” urlò sempre più disperato, ma non vedeva o sentiva quasi nulla nella bufera che continuava ad imperversare.
Finalmente un raggio di luce illuminò il posto: i fari dell’auto di Max, ferma sul ciglio della strada sopra la scarpata.
“Spostati!!” ordinò Max, materializzatosi come per magia accanto a Semir con la valigetta del pronto soccorso.
Come in trance, ansimando, il piccolo ispettore obbedì, mentre ormai non riusciva più a trattenere le lacrime.
Allungandosi attraverso il finestrino rotto Max mise le dita sul collo di Ben e l’espressione del suo viso terrorizzò ancora di più Semir.
“Dobbiamo aprire la portiera” disse il medico serio “Kim vieni a darci una mano!!” urlò in direzione della Kruger che subito scese il ripido pendio.
Con enormi sforzi, tirando e tirando, i tre riuscirono finalmente ad aprire la portiera.
“Cerca di capire dove sono i soccorsi, devono sbrigarsi” urlò poi Max a Kim che subito tornò sulla strada.
Semir era rimasto come congelato, non riusciva a fare più nulla, se non agitarsi e piangere.
“Semir  cerca di restare razionale . Ora tento di fermare l’emorragia, poi dobbiamo cercare in qualche modo di  tirarlo fuori dalla macchina” disse mentre apriva la valigetta alla ricerca di un laccio emostatico.
“Ben… mi senti… rispondi forza…” chiamò Max mentre legava stretto il laccio alla gamba del giovane.
Ma il ragazzo continuava a rimanere immobile e muto.
“Semir forza, cerchiamo di spostare lo sterzo e liberagli le gambe… Semir!!” Max dovette urlare per penetrare il muro di terrore che impediva al piccolo ispettore turco di muoversi e fare alcunché.
Finalmente l’uomo si risvegliò dal torpore e corse vicino a Max.
“Al mio tre!!!” fece Semir in modo da concentrare gli sforzi.
Dopo innumerevoli tentativi finalmente riuscirono a spostare il piantone dello sterzo.
Semir dovette trattenere la nausea alla vista della ferita sulla coscia di Ben, talmente profonda che dallo squarcio si intravedeva l’osso.
“Ora lo spostiamo, ma piano, mi raccomando” Max  iniziò piano a portare le gambe di Ben al di fuori dell’abitacolo.
 

Il dolore risvegliò Ben che lanciò un urlo.
“Ben, sono qui, sono qui… calma… ora finisce tutto” singhiozzò Semir, mentre aiutava Max a trascinare il corpo fuori dall’auto e ad adagiarlo sul terreno innevato. 
Ben mentre lo spostavano continuava a urlare dal dolore, ma le grida si facevano man mano più deboli.
Semir  si inginocchiò dietro di lui e gli mise la testa sulle ginocchia.
“Ben… ehi socio, sono io, ci sono io qui, ora arriva aiuto… resisti dai, dimmi qualcosa…” fece accarezzandogli il viso insanguinato.
Max aveva nel frattempo preso lo stetoscopio e lo sfigmomanometro  per la pressione ed aveva iniziato i suoi controlli; Semir lo vide diventare sempre più scuro in volto.
 
“S… Se…mir…” sussurrò Ben aprendo piano gli occhi.
“Ehi… sono qui…va tutto bene…” balbettò l’amico, carezzandogli la fronte.
“S… Sem.. la giac… la giacca… nella tas… fodera…tasca… la chiav… chiavetta… la stazione… a Colonia…” balbettò il giovane, mentre iniziava a tossire. Un rivolo di sangue gli spuntò all’angolo della bocca.    
Semir guardò con orrore Max che continuava i sui controlli.
“Giriamolo sul fianco altrimenti rischia di soffocare. Deve avere un polmone perforato” ordinò il medico, ma anche a lui spuntarono le lacrime negli occhi.
“Signore Iddio, ti prego aiutalo” pensò mentre aiutava Max a girare Ben su di un fianco, sempre tenendogli la testa sulle ginocchia.
La manovra provocò un altro debole urlo di dolore.
“Dove cavolo è l’ambulanza?” imprecò Max e la sua espressione di terrore mandò completamente nel panico Semir. Sentiva il respiro debole ed accelerato di Ben  sul ginocchio.
“Fa fred..” balbettò e Semir subito si tolse la giacca a vento per coprirlo alla men peggio.
“S… Semir… ti preg… perdon…nami…io… io…” balbettò Ben talmente piano che Semir dovette chinarsi per sentirlo. Un altro rivolo di sangue gli uscì dalla bocca andando a macchiare i jeans di Semir.
“Shhhhhh non c’è nulla da perdonare…va tutto bene… va tutto bene…” singhiozzò il piccolo turco, continuando ad accarezzare i capelli scuri del giovane, ormai completamente bagnati dal sangue e dalla neve.
Ormai il respiro era diventato solo un rantolo accelerato.
In lontananza iniziò ad udirsi il suono lamentoso della sirena.
“Finalmente… tu tienilo  sveglio, io vado ad organizzare…” urlò Max salendo di corsa lungo il pendio.
“Ben… è arrivata l’ambulanza… ora andiamo in ospedale, vedrai andrà tutto bene, basta che resti sveglio. Dai forza parlami, dimmi qualcosa… ti prego…” balbettò Semir sempre più terrorizzato.
“Ben dai, resta con me… ti prego non mi lasciare…   ti prego resisti” continuò ad incitarlo, ma non riusciva più a trattenere il pianto a dirotto.
Ben alzò gli occhi verso di lui.
“Ehi...Sem..ir… non piangere… tu tu devi fer… fermarli… la stazione…”
Ma il piccolo ispettore turco era troppo disperato per capire cosa diceva realmente il giovane.
Riusciva solo a vedere tutto quel sangue che gli macchiava le mani ed i vestiti.
“Ehi… non osare piantarmi in asso… io… io non ce la posso fare senza di te…” urlò di rimando.
Anche nel buio e nella tormenta a Semir sembrò che il giovane gli sorridesse.
Ormai sembrava già in un mondo lontano.
“Ti voglio bene… ” sussurrò Ben con un rantolo addolorato.
Alla luce debole dei fari delle altre autovetture che  ora erano parcheggiate sul ciglio della strada Semir vide il giovane fissare verso un  punto lontano.
E all’improvviso gli sembrò completamente calmo, anzi quasi sereno.
“Mamma…” sussurrò Ben  con un alito di voce, sempre guardando verso quel punto indefinito.
Semir sentì il panico impadronirsi di ogni fibra del suo essere.
Sapeva cosa si dice delle persone che vedono i propri familiari morti.
Assurdamente guardò anche lui  nella stessa direzione di Ben.
“Ti prego non portartelo via, ti prego…” supplicò, parlando al nulla.
Ma  con un sussulto Ben si accasciò completamente fra le sue braccia.
Terrorizzato Semir gli mise una mano davanti al viso nel tentativo di sentire il respiro… nulla.
“Ti prego no… non puoi farmi questo…” urlò cercando disperatamente il battito della carotide sul collo.
Nulla…  non sentiva più la pulsazione.
“NO NO NO! NON PUOI FARMI QUESTO. TI PREGO NO!!”
 
L’urlo di dolore di Semir, come quello di un animale ferito a morte, riecheggiò nella bufera.


Ehm Ehm... forse dopo questo capitolo devo chiedere perdono io...
Povero Bennuccio... stavolta l'ho torturato per BEN. Ma per fortuna sua ha trovato pace (eterna?). 
Scherzi a parte non mi stanco di ringraziare tutti, ovviamente  in primis la mia beta.
E... continuate a seguire, la storia non è finita ;)


     

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Capitolo 15
*** Cuore di ghiaccio ***


Cuore di ghiaccio
 
“Carica di nuovo a 360” ordinò Max al paramedico che gli stava accanto.
Ormai era circa mezz’ora che il medico e il personale dell’ambulanza stavano tentando di rianimare senza esito Ben.
Semir ormai non aveva più lacrime, se ne stava impietrito in ginocchio nelle neve, balbettando frasi incoerenti.
“Libera” ordinò Max subito  prima di dare di nuovo l’impulso al corpo del giovane, che si sollevò da terra con un sussulto.
Ma la linea dell’elettrocardiogramma restò tragicamente piatta ed il suono del monitor lugubremente  in un unico tono.
“Riproviamo!” ordinò Max.
“Dottore…” provò ad opporsi uno dei paramedici, guardandolo con aria triste.
“Ho detto riproviamo!” urlò Max.
“Dottore sono quasi trenta minuti…” disse piano il secondo paramedico mentre continuava ad immettere aria  nei polmoni con il pallone ambu.
Max lo guardò quasi furibondo.
 “Libera” ordinò.
Semir sentiva come se qualcuno gli  stesse artigliando il petto. Ogni scarica era come se la sentisse sulla sua pelle.
All’ennesimo tentativo fallito,  Semir riprese a piangere.
“Basta, vi prego… basta… non lo torturate più” balbettò disperato come non lo era mai stato.
Ma Max non stava a sentire nessuno, né la ragione, né le implorazioni di Semir.
E alla fine ottenne quello che voleva.
L’elettrocardiogramma mandò  i primi deboli suoni ritmici.
“L’abbiamo ripreso” fece uno dei paramedici, ma Semir non vide sollievo negli occhi dei sanitari.
Spossato il piccolo turco cercò di rialzarsi, sentiva che gli tremavano le gambe, ma subito fu sostenuto dal braccio della Kruger che era rimasta per tutto il tempo in piedi immobile e muta.
 Mentre i paramedici salivano con la barella verso l’ambulanza, Kim si avvicinò al suo compagno di vita.
Max tremava come una foglia e Kim capì subito che non era per il freddo.
“Max… ce l’hai fatta, l’hai riportato indietro” disse nel tentativo di calmarlo, mettendogli una mano sulla spalla.
Max si voltò a guardarla con le lacrime che ormai non riusciva più a trattenere.
“Sinceramente proprio non so cosa ho riportato effettivamente indietro. E soprattutto per quanto tempo.” balbettò mentre si avviava anche lui verso l’ambulanza.
 
Semir non emetteva neppure un suono mentre era seduto in auto accanto a Kim Kruger, diretti all’ospedale. Non piangeva più, non si disperava più, si limitava a guardare fuori dal finestrino immobile senza muovere neppure un muscolo.
L’ambulanza davanti a loro li aveva seminati da tempo, fuggendo via veloce a sirene spiegate.
Kim  procedeva veloce, ma non quanto avrebbe potuto. 
Aveva paura di quello che potevano dire i medici una volta arrivati in ospedale e la reazione emotiva di Semir la spaventava ancora di più.
“Semir…” chiamò piano, senza risposta. 
 “Semir, sta bene?” chiese ancora.
“Semir!!”
E finalmente il piccolo ispettore si girò verso di lei.
 E gli occhi di lui le fecero paura.
Non erano gli occhi buoni e generosi che aveva sempre visto, quelli che appena li incroci capisci che appartengono ad un uomo corretto ed onesto.
Erano occhi che gridavano vendetta.
“Sì sto bene” disse sottovoce la persona a cui appartenevano quegli occhi.
Una persona che Kim non aveva mai conosciuto.
 
L’uomo che la mattina dopo uscì dalle porte dell’Ospedale Universitario di Colonia non era il Semir Gerkan del giorno prima.
Era una persona completamente diversa.
Passò davanti a sua moglie che singhiozzava disperata in  un angolo senza neppure guardarla.
Passò davanti a Julia e Konrad Jager seduti impietriti, senza più lacrime, sulle sedie dell’ingresso e non disse loro neppure una parola.
Non rispose ai colleghi che cercavano di fermarlo, né alla Kruger che lo richiamava.
Nel suo animo non sentiva più nulla.
Non sentiva dolore, non sentiva disperazione.
Ormai aveva un solo desiderio.
Vendetta.
 Ad ogni costo.
 
 
Semir fermò la sua BMW, che qualcuno gli aveva fatto trovare parcheggiata di fronte all’ospedale, sul bordo della strada, proprio accanto al guardrail sfondato.
Scese e cercando di non scivolare per il ghiaccio formatosi durante la notte raggiunse sul fondo della scarpata i tecnici che stavano facendo i loro rilievi attorno ai rottami dell’auto.
Passò davanti alla enorme macchia di sangue che ancora era ben visibile sul terreno ghiacciato e si avvicinò alla carcassa.
“Semir…“ chiamò una voce debole dietro di lui.
“Semir io… io…” la voce di Hartmut si trasformò in un singhiozzo sordo, mentre il tecnico lo guardava fisso ed inebetito.
Solo allora il piccolo ispettore fece caso al fatto che non si era neppure cambiato, aveva ancora gli abiti completamente macchiati di sangue. Il sangue di Ben.
Ma non aveva tempo per queste cose.
“Hartmut, allora cosa hai scoperto?” gli chiese con voce straordinariamente calma.
Hartmut lo guardò a metà fra il sorpreso e l’addolorato.
“Sì… d… dunque… ci sono segni di frenate a cento metri da qui… e vari segni di  vernice nera sul lato posteriore sinistro… quindi l’hanno… l’hanno…” Hartmut non riuscì a finire la frase.
Scoppiò a piangere.
Semir rimase invece immobile come una sfinge. Neppure tentò di consolare l’amico.
Non aveva tempo per queste cose.
“Hartmut resta razionale per favore. Puoi dirmi a che tipo di auto corrisponde la vernice?” chiese atono. 
 “Ad una… una Audi probabilmente…” rispose Hartmut tirando su con il naso.
“Abbiamo le registrazioni delle telecamere dell’area di servizio che c’è al km 60?” chiese Semir impaziente.
 “Sì le ho appena fatte portate al distretto”
“Bene, allora io vado lì” disse avviandosi di nuovo verso la sua auto.
“Semir… Semir aspetta” lo richiamò con voce sempre debolissima Hartmut.
“Forse è meglio che porti tu queste cose al distretto” disse porgendogli una busta di plastica per la raccolta delle prove.
Dentro c’erano la giacca di Ben ed altri effetti personali trovati in auto.
Semir prese la busta e rimase per un attimo a guardare la giacca,  completamente macchiata di sangue ormai secco. 
 Cancellò dalla sua mente le immagini della sera precedente.
Non aveva tempo per queste cose. 
 

Entrando in ufficio venne accolto da un silenzio innaturale.
Si sentivano solo gli squilli dei telefoni;  i colleghi sedevano muti alle loro scrivanie, ma era evidente che nessuno stava effettivamente lavorando, si limitavano a  guardare i monitor o i fogli davanti a loro, completamente sconvolti.
Ad eccezione di Susanne, che non faceva nulla per nascondere le lacrime mentre parlava al telefono.
“Sì Andrea è appena arrivato, sì va bene ti faccio richiamare…” disse chiudendo la chiamata.
“Semir… era Andrea… è preoccupata e…” gli disse mentre l’ispettore le passava davanti.
Ma Semir non sentiva neppure una parola di quello che diceva.
La sua attenzione era tutta attratta da Mathias Burke che sedeva nell’ufficio della Kruger e parlava con lei fitto.
Come una furia aprì di botto la porta a vetri dell’ufficio e si avventò su Burke.
“Maledetto lurido schifoso… dove cazzo eri…” urlò mentre lo afferrava per il bavero e lo sbatteva contro il muro.
“Semir!” urlò La Kruger alzandosi dalla sedia. 
Ma Semir non la percepiva neppure.
Con gli occhi iniettati di sangue sbattè sempre più forte Mathias contro il muro, anche se  lui restava praticamente immobile senza reagire.
“Gerkan, tu non puoi pensare che io c’entri qualcosa in questa storia…” balbettò con voce strozzata.
“Tu sei il capo della squadra, tu ne  sei il responsabile e tu devi dirmi cosa è successo!!” urlò sempre più furibondo Semir sbattendolo, ancora più violentemente contro il muro.
“Semir ora basta, lo lasci!!” urlò di nuovo la Kruger. 
 “Io lo voglio sapere più di te … ho portato io Ben nella squadra… credi che non sia addolorato per quello che è successo?” balbettò Burke.
Semir lo guardò negli occhi e non vi vide menzogna.
Sempre furibondo lo mollò e Burke si accasciò ansimando.
Poi si aggiustò i vestiti  e si risedette alla scrivania.
“Come stavo dicendo a Kim  non sentivo Ben da due giorni, da quando abbiamo fatto la perquisizione alla società  di Victor Klones. Dopo di che lui e Tanja sono praticamente spariti dalla faccia della terra, non sono riuscito a contattarli in alcun modo. Ancora adesso non so che fine abbia fatto Tanja” disse  tossendo piano.
“Come sarebbe a dire che non sai che fine ha fatto la Marcus?” chiese duro Semir.
“Ho cercato di contattarla, per avvertirla di Ben, ma il cellulare risulta spento e non rintracciabile e a casa sua non c’è…  non c’è neppure al suo indirizzo di Colonia”
Semir sentì una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
“Che auto di servizio ha attualmente?”
 “Una Audi nera… perché?”
Semir non si prese la briga di rispondere.
Andò direttamente da Susanne.
“Ti sono arrivate le registrazioni delle telecamere dell’area di servizio?”
Susanne annuì e subito pigiò alcuni tasti sul suo pc.
Poco dopo le immagini in bianco e nero comparvero sullo schermo  nell’ufficio della Kruger.
Con il telecomando Semir accelerò lo scorrimento sino a quando non vide passare davanti all’area la BMW di Ben.
Poi rallentò e ingrandì.
 Si vedeva nettamente il giovane alla guida e la velocità era sostenuta, quasi volesse  fuggire.
E  subito dopo una Audi nera, con una bionda alla guida.
Prima ancora che Mathias Burke riconoscesse il numero di targa, Semir aveva già avuto una conferma dei suoi sospetti. Tanja Marcus.
“Dov’è?” chiese gelido.
“Un attimo Gerkan, non tiriamo subito le conclusioni. Non puoi credere che Tanja…   e poi si dice che fra lei e Ben c’era anche una relazione…” balbettò Burke.
“Ti ho chiesto dove posso trovarla” lo interruppe furioso il piccolo turco, scandendo le parole.
“Te l’ho già detto, non lo so… Di certo  non è a Norimberga i miei uomini sono nel suo appartamento proprio in  questo momento”
“L’indirizzo, dammi l’indirizzo di Colonia…” chiese con un tono che non ammetteva repliche.
Burke scarabocchiò qualcosa su di un foglio che Semir afferrò prima di uscire.
“Gerkan… aspetti, vengo con lei” fece Kim correndogli dietro, con il terrore di quello che poteva fare. 

 
Kim riuscì a stento a sedersi nella BMW di Semir prima che questi partisse a razzo sgommando.
“Semir… lei si deve calmare… da quanto tempo non mangia e dorme? Non si è nemmeno cambiato…” disse guardandolo con preoccupazione.
“Sto bene… mi cambierò dopo” si limitò a rispondere lui con lo sguardo fisso sulla strada.
Kim lo guardò ancora più preoccupata.
Non era la reazione emotiva in sé, il fatto che non piangesse o si disperasse, ma erano gli occhi del suo ispettore che la preoccupavano.
Occhi gelidi,  alla ricerca spasmodica di vendetta e Kim si stava convincendo che quegli occhi potevano essere capaci di tutto.
“Semir, lei mi deve promettere di restare calmo e razionale. Lo so che con quello che è successo è difficile, per lei come anche per me, ma lo deve fare, altrimenti sarò costretta a… Ricordi che ufficialmente l’indagine è della Delta” disse piano.
“A fare cosa? Pensa davvero che io abbia davvero bisogno del suo permesso o di quello di Burke per trovarla?” rispose Semir  quasi con sarcasmo.
“Semir… che cosa crede di risolvere facendo così?”
“Nulla, sto solo facendo il mio lavoro”
Stavolta Kim fu costretta ad assumere un tono decisamente duro, ma era per il suo bene.
“Gerkan,  non voglio ripeterlo più. Resti nei limiti legali, altrimenti neppure il dolore che tutti proviamo per quello che è successo la potrà giustificare”
“Certo… resterò nei limiti non si preoccupi” rispose Semir, ma si capiva lontano un miglio che era una finta rassicurazione.
 
Senza neppure bussare, con un calcio violento,  Semir sfondò la porta di ingresso dell’appartamento di Tanja Marcus.
In altre occasioni avrebbe aperto con i suoi attrezzi e senza danneggiare la porta, ma ora non aveva tempo per queste cose.
“Semir… non abbiamo neppure il mandato” obiettò la Kruger.
“Se lo faccia dare lei il mandato” le rispose l’ispettore senza neppure guardarla in  faccia.
 
Ovviamente di Tanja Marcus non c’era traccia e mentre Kim gironzolava per l’appartamento Semir andò diritto alla scrivania.
I cassetti erano chiusi, ma l’uomo non ci pensò due volte a sfondarli.
Rimestò fra le varie carte senza trovare nulla di interessante.
Kim lo raggiunse e cercò di accendere il pc, ma ovviamente era protetto da una password.
“Niente, dovremmo chiedere ad Hartmut… ma senza mandato…” fece il commissario sconsolata.
Semir non la stava a sentire.
La sua attenzione era stata attratta da un piccolo foglio in un cassetto. Un conto telefonico intestato a Tanja Marcus.
Ed un solo numero era frequente.
Senza farsi scorgere dalla Kruger, Semir piegò il foglio e se lo mise in tasca.
Poi indifferente riprese a gironzolare per l’appartamento in cerca di una prova che forse aveva già trovato. 
 

Note dell’autrice: prima che  mi chiediate se Ben è vivo vi rispondo già.
Se tutti piangono e si disperano una ragione ci sarà.
Son cattiva, anzi cattivissima.
Grazie a tutti, non mi stancherò mai di ripeterlo

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Capitolo 16
*** Senza pietà ***


Senza pietà

La Kruger aveva ragguagliato Semir su tutto quello che Burke le aveva detto in merito al possibile attentato.
“Lei crede che la Marcus sia implicata con Klones o con El Marough in questa faccenda?” chiese il Commissario, mentre gli uomini della Scientifica esaminavano l’appartamento di Tanja.
Semir recuperò a fatica dalla sua mente le immagini di Ben agonizzante fra le sue braccia e di quello che gli aveva detto.
“Quasi sicuramente. Ben aveva scoperto qualcosa, per questo la Marcus lo stava inseguendo; lui mi  ha parlato di qualcosa che doveva succedere alla stazione di Colonia”
“Il problema è capire cosa e come sono implicati lei e Klones” ragionò  Kim.
Ma Semir non la stava a sentire.
Non vedeva l’ora di uscire di lì senza la Kruger.
 

“Il numero corrisponde ad una villa a Düsseldorf… ed è di proprietà di Victor Klones” disse Susanne dall’altro lato della linea.
Semir, per nulla stupito, prese carta e penna e segnò l’indirizzo che gli dettava.
“Ok io vado a fare solo un controllo” provò a mentire Semir.
“Semir… che cosa stai combinando?” chiese la segretaria dall’altro lato. Lavorava con lui da troppi anni per non capire che stava mentendo.
“Niente Susanne… ma se davvero siamo amici mi devi giurare di non parlarne con la Kruger…” fece duro il piccolo turco.
“Ma…”
“Niente ma, Susanne, ti chiedo solo di fidarti di me” 
La ragazza rimase in silenzio per un po’.
“Spero solo di non pentirmene… almeno hai chiamato Andrea? Dice che  non le rispondi al cellulare…”
 “Sto passando da casa” rispose Semir chiudendo la chiamata.
Doveva cambiarsi, con quegli abiti macchiati di sangue attirava troppo l’attenzione.
 
Arrivato davanti alla piccola villetta scese di filato dall’auto ed aprì la porta di casa quasi senza far rumore, nell’assurda speranza di non farsi sentire dalla moglie.
Ma Andrea stava seduta ad aspettarlo sul divano. Aveva il volto rosso e gli occhi gonfi di pianto. 
“Semir…” sussurrò mentre si precipitava ad abbracciarlo.
Ma il marito non rispose all’abbraccio, rimase rigido ed immobile.
“Come stai?” chiese ben sapendo quanto fosse inutile quella domanda.
“Bene, sto bene. Le bambine?” rispose lui con voce atona, quasi fredda.
“Da mia madre… Semir, Aida non sa ancora nulla, forse  potremmo…” balbettò Andrea sconcertata alla reazione del marito.
“Non ora Andrea, ora non ho tempo per queste cose… mi cambio ed esco”  fece Semir salendo le scale.
Ma Semir… sono già quasi le nove. Non dormi e non mangi da quasi due giorni…”  Andrea era sempre più preoccupata, ma il marito non si degnò di risponderle.
 
Semir ci mise poco a fare la doccia  e a cambiarsi.
 Mettendo gli abiti nel cesto dei panni sporchi rimase per un attimo solo a guardare le macchie rossastre, ormai secche. Poi prese i caricatori della pistola  dalla cassaforte e controllata l’arma scese al piano di sotto.
“Dove stai andando?” chiese con un filo di voce. Gli occhi del marito, quando l’aveva guardata l’avevano spaventata a morte.
“A lavorare…” rispose lui senza neppure girarsi.
“Semir… ti prego fermati e parla con me…” Andrea era quasi in lacrime.
Il marito finalmente si girò e la fissò.
“Di cosa Andrea? Di cosa vorresti parlare? Di quanto io stia male?  O di quanto stai male tu? Di quello che è successo? Mi spiace non ho tempo…” fece girandosi di nuovo per uscire.
Guardandolo Andrea ebbe netta l’impressione che l‘uomo di fronte a lei era un estraneo.
“Ti prego, aspetta un minuto…” disse poggiandogli la mano sulla spalla.
La reazione del marito la lasciò sbalordita.
“Lasciami stare!” urlò l’uomo strattonandola con violenza.
Poi ansimando cercò di calmarsi.
“Mi spiace, scusa. Ma devo fare una cosa importante. Torno presto” fece secco uscendo di corsa dalla porta.
Andrea rimase a guardare con le lacrime che le scendevano sulle guance la BMW che partiva sgommando.
 

“Come sarebbe a dire che non hai recuperato la copia dei dati?” urlò furibondo Klones.
“E’ arrivato qualcuno, non potevo rischiare di farmi scoprire…”
Per la prima volta Tanja si giustificava davanti al suo amante per un errore commesso.
“E non sai neppure cosa è successo dopo… se  è riuscito a consegnarla a qualcuno…”
“No purtroppo no, non pensavo che avesse ancora la forza di avvisare qualcuno,  pensavo fosse già praticamente morto. Mi sono detta che avevo tutto il tempo di recuperare la copia ispezionando i suoi effetti personali…”
“Che invece ora sono in mano alla CID… cui tu non hai accesso!!!” 
Tanja rimase in silenzio.
“L’unica consolazione è che Jager non può più parlare e che ancora non hanno scoperto niente, altrimenti sarebbero già venuti ad arrestarti…” disse Tanja recuperando il suo tono freddo.
“Già, ma l’operazione è saltata. Ti rendi conto di cosa significa? Quelli non sono tipi da far saltare un piano senza conseguenze… appena dirò loro cosa è successo io e te saremo morti!!” urlò Klones paonazzo.
“E tu non dire loro nulla, lascia che gli yemeniti proseguano con il loro piano. Io cercherò di recuperare i dati, se sono ancora in tempo. Altrimenti se ti scoprono potremmo barattare le informazioni sull’attentato con la nostra immunità…” Tanja guardò Klones con il solito sguardo duro e di sfida.
L’uomo  la fissò di nuovo, stavolta più calmo.
“Vedi di non commettere errori stavolta… io nel frattempo sparirò per un po’. Ci sentiamo appena hai delle novità, sarò nel solito posto” disse mentre recuperava il cappotto.
“Se vuoi tu puoi restare qui per un po’, per ora dovrebbe essere un posto sicuro” le disse ancora.
Poi con passo svelto uscì dalla villetta e salì in macchina allontanandosi veloce.
 
 
Semir parcheggiò l’auto poco distante dalla piccola, ma lussuosa villa di Klones a Dusseldorf.
Ormai era tardi e faceva un freddo cane, praticamente in giro c’erano solo prostitute e barboni.
Si fermò un attimo a guardare l’ingresso illuminato da una elegante lampada liberty e si disse che in fondo tutto quel lusso non corrispondeva alla immagine che si era fatto della Marcus.
Quella donna era fredda gelida, certamente in cerca del potere e non della ricchezza.
Era sicuro che  la donna si stava servendo di Klones per i suoi scopi, anche se non capiva quali.
Apparentemente non c’era nessuno e Semir si mise a fare il giro della palazzina sino a che non scorse una luce accesa al piano superiore.
Rimase per un attimo a pensare a come entrare… troppo alte le finestre, non ci poteva riuscire arrampicandosi.
Non restava che l’ingresso principale.
Semir si mise a battere furiosamente alla porta.
“Aprite polizia!!” urlò. Solo per un attimo gli passò per la mente che era solo e non sapeva neppure in quanti fossero lì dentro.
Dopo più di cinque minuti finalmente comparve sulla porta un ometto sulla cinquantina in uniforme da maggiordomo.
“Polizia… “ fece Semir mostrando il tesserino.
“Ma che volete a quest’ora? Io sono solo il  maggiordomo. Qui ci sono solo io…” rispose l’ometto, visibilmente nervoso.
“Mi faccia entrare!” intimò Semir con voce furibonda.
L’omino non osò replicare e si spostò di lato per farlo entrare.
L’ingresso era ampio e poco illuminato.
 “Favorisca i documenti. Conosce una tale Tanja Marcus?” chiese brusco.
“No… chi è?” chiese l’omino mostrando la carta di identità, ma  Semir capì all’istante che stava mentendo.
“Le ripeto la domanda.. signor Muller… conosce Tanja Marcus?” chiese duro l’ispettore guardando la carta di identità.
“Le ho già detto di no…”
“Chi c’è al piano di sopra?” chiese ancora Semir.
“Ma ne… nessuno” balbettò l’omino.
“Bene andiamo a vedere…” disse  l’ispettore avviandosi verso le scale.
A questo punto l’omino venne preso dal panico.
Sbiancò e cercò di fermare Semir.
“Aspetti… non può andare di sopra…” balbettò, ma Semir si era già avviato di corsa verso la  scala al centro dell’atrio.
Appena in tempo per vedere una figura sottile correre nel corridoio buio.
Semir sfoderò la pistola pronto alla caccia.
 
 
Susanne spense il pc e si preparò ad andare a casa di Andrea.
L’atmosfera in ufficio era tristissima.
Jenni era scoppiata a piangere almeno due volte e Dieter  era corso altrettante volte in bagno per poi uscirne tirando su con il naso.
Anche Susanne aveva voglia di piangere, ma l’avrebbe fatto una volta a casa di Andrea. Ora era più terrorizzata che non addolorata.
L’amica l’aveva chiamata sconvolta per il comportamento del marito e lei non sapeva come aiutarla. Anche perché in parte capiva anche la rabbia di Semir.
“Susanne, aspetti un attimo. E’ riuscita per caso a contattare Gerkan? E’ sparito e non risponde più al cellulare…”
La Kruger richiamò la bionda segretaria vedendola uscire dall’ufficio.
Le bastò una occhiata per capire che qualcosa non andava.
“Susanne cosa c’è che non va?” chiese guardandola fisso.
“Niente…” provò a mentire Susanne.
“Non è vero… mi dica cosa succede… è per Semir giusto?”
Susanne rimase in silenzio, mordendosi le labbra, indecisa se rompere la promessa fatta all’amico o cedere alle sue paure per la sua sorte.
   “Susanne, lo ha visto anche lei in che condizioni psicologiche è Semir…sarebbe capace di tutto… se sa qualcosa me lo deve dire…” provò a convincerla Kim.
Susanne la guardò e iniziò a piangere silenziosamente.
Poi raccontò tutto.

 
Semir si aggirava  guardingo.
Neppure aveva fatto caso all’omino che urlando di paura era scappato via.
Per un attimo gli passarono davanti le immagini di due anni prima, del magazzino di Berlino.
Ma stavolta la caccia era reale nella sua mente.
Stavolta voleva davvero uccidere.
La figura passò velocissima da una stanza all’altra.
La villa era molto più grande di come sembrasse all’esterno.
Semir studiò la situazione.
Non poteva inseguirla… non c’era abbastanza luce e la ragazza sembrava veloce.
Quindi corse dalla parte opposta e poi si nascose dietro ad una porta, nella speranza di intercettarla.
E fu fortunato.
Mentre stava nascosto vide la figura nera avvicinarsi.
Con un colpo secco spedì Tanja Marcus nel mondo dei sogni.
 
“Avanti sveglia” fece duro Semir dando schiaffetti sul viso della donna, con modi non troppo gentili.
L’aveva disarmata e poggiata contro una porta.
Ora stava in piedi di fronte a lei e le puntava la pistola.
“Gerkan… è un piacere rivederti…” rispose beffarda Tanja, scuotendo la testa per riprendere lucidità.
 “Te lo chiedo una volta sola…  cosa hanno in mente Klones ed il suo amico El Marough?    E dove sono?”
Tanja rise con tono sempre più beffardo.
“Cosa  ti fa credere che io te lo voglia dire?” lo sfidò.
“Senti stronza… ti assicuro che nulla mi farebbe più piacere di farti fuori qui subito all’istante. Quindi se vuoi campare ancora qualche anno, anche se in galera, ti conviene parlare ora e subito”
“Io sono un agente della Delta… cosa credi  di ottenere? Non hai nulla in mano… Io non ho fatto niente” rise la donna.
Semir sentì il sangue salirgli alla testa.
“Abbiamo le registrazioni del tuo inseguimento all’auto di Ben. So che sei stata tu… e se sei ancora viva è solo perché  devi rispondere alle mie domande. Hanno in mente un attentato? Dove? E dove  sono?” scandì con calma rabbiosa, mentre le  puntava la pistola sulla gamba destra,
Tanja lo guardò senza timore.
Se il turco faceva quelle domande significava che Jager non aveva fatto a tempo a rivelargli nulla di concreto.
“Non saresti mai capace di farlo. Sei come il tuo amichetto… un vigliacco. Sai, sbavava ai miei piedi, supplicava per trascorrere una notte con me… era solo un povero frustrato senza dignità. Piagnucolava perché il suo paparino l’aveva tradito… perché l’hai tradito no? L’hai lasciato solo nel momento del bisogno…” rispose irosa.
Semir la fissò senza parlare per un momento e qualcosa nello sguardo di quell’uomo iniziò a farle davvero paura.
“Cosa volevi da lui? Perché volevi qualcosa, altrimenti avresti finito il lavoro giusto?  Qualcosa che lui non ha voluto darti…”
“Fanculo” rispose la donna dura.
“Per l’ultima volta. Dimmi cosa hanno in mente di fare alla stazione di Colonia e dove sono” scandì Semir premendo la canna della pistola sulla gamba della donna.
“Credi di fare il duro? Sei anche tu un povero vigliacco, come il tuo amico.  Che c’è. credi che così i tuoi sensi di colpa troveranno pace? Fanculo se ti dico qualcosa. E ora chiama Burke, voglio parlare con lui…” 
Semir la guardò calmo.
E poi tirò il grilletto.
 
Tanja urlò di dolore tenendosi la gamba destra da cui fuoriusciva un fiotto di sangue scuro.
“Maledetto…” sibilò.
“Dove sono Klones e El Marough? La prossima non sarà nel muscolo, sarà nel ginocchio e rimarrai storpia per sempre…” disse Semir con voce che neppure lui riconobbe.
Tanja lo guardò con gli occhi colmi di rabbia e dolore.
“Non lo so…”
Semir puntò la canna direttamente sul ginocchio sinistro.
“Conto fino a tre… uno… due…”
“Victor è  a Norimberga… in una villa sulla Karolinestrasse” disse la donna di getto.
“Dove sia El Marough non lo so, ma  ti illudi se credi di poterlo fermare. Solo noi possiamo fermarlo. E la cosa vi costerà…” disse ancora velenosa.
Semir la guardò fisso e deciso.
Fuori  sentiva le sirene delle auto della polizia che si avvicinavano.
Alla fine Susanne aveva parlato, ma ormai la cosa aveva poca importanza,  aveva saputo quello che voleva sapere.
“Se scopro che mi hai mentito su dove si trova  Klones, io ti trovo, dovunque tu sia. E ti uccido” le disse mentre si voltava per andarsene. Non poteva continuare l’interrogatorio, almeno con i suoi metodi, ma aveva saputo la cosa più importante.
I sensi acuiti dalla tensione percepirono a stento alle sue spalle la sicura di una pistola che scattava.
 Fulmineo si girò e fece fuoco.
Colpì Tanja Marcus in mezzo agli occhi.
La ragazza rimase immobile a fissare il vuoto, con un rivolo di sangue che le scorreva sul viso e con ancora nella mano destra la minuscola pistola che aveva recuperato dalla cavigliera.
 
 
“Cosa è successo di preciso qui?” chiese furibonda Kim.
La villa era stata letteralmente invasa dagli agenti della Delta e dalla Scientifica.
“Non c’è molto da raccontare. Ha cercato di uccidermi” rispose Semir assolutamente privo di emozione.
Kim lo guardò allibita.
Non sembrava neppure lui. La voce dura, la freddezza degli occhi. Eppure, anche se per legittima difesa, aveva appena ucciso una donna.
Sino a qualche giorno prima la cosa l’avrebbe distrutto.
“Semir… la Marcus ha una ferita da arma da fuoco sulla coscia, da distanza ravvicinata. E poi perchè è venuto qui senza dirlo a nessuno? Cosa voleva sapere da lei? Cosa le ha detto??” fece durissima Kim.
Semir la guardò senza espressione e senza emettere un suono.
“Gerkan si decide a dirmi qualcosa? Che cosa è successo qui??” il Commissario quasi urlò.
Semir rimase alcuni secondi in silenzio.
“L’unica cosa che posso dirle è che ho fatto quello che dovevo fare. Niente di più e niente di meno” fece duro.
Kim respirò a fondo per cercare di calmarsi.
“Va bene non vorrei, ma sono costretta a quanto pare. L’avevo avvertita. Lei è sospeso dal servizio. Mi consegni immediatamente pistola e tesserino!!” disse durissima porgendo la mano.
Semir rimase assolutamente impassibile mentre toglieva la pistola dalla fondina e gliela consegnava.
Poi mentre prendeva dalla tasca il tesserino di riconoscimento quasi sorrise beffardo.
“Crede che questo mi fermerà?” disse sprezzante, lasciando Kim senza parole.

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Capitolo 17
*** Sempre più giù ***


Sempre più giù
 
“Ho paura Susanne, una paura terribile. Tu non puoi immaginare in che stato è. Non lo riconosco più”
La voce di Andrea era rotta dall’emozione.
“Andrea bisogna capirlo, è sconvolto dal dolore… anche noi lo siamo in fondo” rispose la bionda segretaria cercando di consolarla.
“No, non è  solo questo. Ha negli occhi una… una rabbia omicida quasi. Al punto in cui  è credo sia capace di tutto, credimi” La voce di Andrea  era poco più di un sussurro.
“Tutti noi proviamo desiderio di vendetta credimi”
“No Susanne. E’ più di questo. E’ come se volesse punirsi. E crede che  vendicandosi di tutti i responsabili di quello che è successo potrà trovare pace…”
Susanne rimase in silenzio.
“Le bambine sono ancora con tua madre?” chiese poi.
“Sì e Aida non sa ancora nulla. Non so proprio come dirglielo. La cosa che temo di più è che ritenga in qualche modo Semir responsabile di quello che è successo”
Susanne prese la mano di Andrea nella sua.
“Andrà tutto bene, vedrai si aggiusterà tutto” provò di nuovo a consolarla.
“No Susanne, non andrà tutto bene. Non senza Ben”  
 

“Ottocento” disse l’uomo guardandosi intorno con aria sospetta.
“Avevamo detto seicento” rispose Semir con aria stizzita.
“Questo prima che sapessi che eri uno sbirro. Uno sbirro che compra una pistola al mercato nero… questa cosa mi porterà solo guai”
“Quello che sono non ti deve interessare” rispose Semir  prendendo dalla tasca le banconote.
L’uomo gli consegnò il fagotto avvolto in un panno lercio.
“Ehi,  non farmi pentire di avertela venduta” gli disse mentre si allontanava di corsa.
Semir risalì in macchina e tenendolo nascosto aprì l’involto.
Controllò accuratamente l’arma prima di metterla nella tasca interna della giacca.
 

“Semir…” balbettò Andrea vedendo entrare il marito dalla porta di ingresso.
La donna rimase lì a guardarlo, senza avere il coraggio di andargli incontro.
Susanne l’aveva appena chiamata, dopo aver lasciato da poco la casa, per dirle cosa era successo nella villa di Düsseldorf. 
E lei, anche se razionalmente non riusciva a credere che  l’uomo buono, onesto e rispettoso che aveva sposato fosse davvero riuscito a ferire una donna intenzionalmente, nel profondo del suo animo sapeva che era vero. Che l’essere in cui si stava trasformando era capace di questo ed altro.
“Dove sei stato?” chiese con voce debole, quasi impaurita.
“Credo che tu già lo sappia” rispose Semir.
Susanne l’aveva certamente chiamata per informarla di quanto era successo alla villa di Dusseldorf
“Perché non ti siedi un po’  qui vicino?” Andrea cercò di essere conciliante. Non poteva lasciare che la sete  di vendetta del marito le portasse via quel poco che le era rimasto.
Sospirando Semir si sedette sul divano.
Era stanco, tanto stanco, doveva riposare per essere lucido e portare a termine il suo piano.
“Le bambine?” chiese con voce atona.
“Ancora da mia madre. Aida non sa ancora nulla, ma non possiamo tenerle nascosta la verità ancora a lungo”
Semir rabbrividì al pensiero della reazione che avrebbe avuto la bambina. Come poteva dirle quello che era successo? L’avrebbe odiato per  l’eternità.
“Decidi tu quello che vuoi dirle, mi fido di te…” disse vigliaccamente alla moglie.
 Andrea lo guardò mentre le lacrime le salivano agli occhi.
“E’ vero?” chiese all’improvviso.
“Cosa?” rispose il marito pur sapendo già a cosa si riferiva.
“Che hai sparato a bruciapelo alla Marcus”
Semir la guardò freddo.
“Ha tentato di uccidermi” si giustificò.
“Non intendevo quello. Ti ho chiesto se è vero che le hai sparato a bruciapelo nella coscia” continuò Andrea questa volta senza guardarlo in faccia.
Semir non rispose per molti secondi.
“Ti posso solo dire quello che ho detto alla Kruger. Ho fatto quello che dovevo fare. Niente di più e niente di meno”
Andrea guardò il marito come se lo vedesse per la prima volta.
“Non guardarmi così. Vuoi sapere se sono dispiaciuto per quello che è successo? Se sono dispiaciuto perché è morta? No! Non lo sono, anzi se proprio lo vuoi sapere ne sono felice. Sono felice che lei abbia preso quella pistola dalla cavigliera, sono felice di averle sparato…” Semir ormai urlava.
“Ti devi far aiutare Semir, non stai bene. Dobbiamo trovare qualcuno che ti aiuti…” balbettò Andrea, ormai terrorizzata.
“L’unica persona che poteva aiutarmi non c’è. Non c’è più” fece Semir furibondo mentre saliva le scale verso la stanza da letto.

  
Aveva dormito sì e no tre o quattro ore prima che l’incubo terribile lo svegliasse mentre urlava fradicio di sudore.
Aveva rivissuto al rallentatore tutte le immagini della sera dell’incidente, ogni singolo istante, ogni singolo momento di terrore e dolore.
Guardò l’orologio. Le tre del pomeriggio.
Era tardi, aveva perso già troppo tempo a riposarsi.
Mentre si rivestiva dopo la rapida doccia sentiva le voci nel soggiorno. Le bambine erano tornate.
Lily parlava con la madre e la sua vocina sottile risuonava allegra.
Semir non poté fare a meno di volare con il pensiero a tutte le volte che aveva sentito quelle stesse voci risuonare allegre insieme a quella di Ben.
“Nascondetevi… ora arriva il mostroben” faceva lui con la vociona per far paura, travestito nei modi più bizzarri con le cose che era riuscito a trovare in casa. E le risate delle bambine si alzavano e risuonavano nel salotto.
Era l’unico adulto che Semir avesse mai incontrato in perfetta sintonia con il mondo infantile; ciò che i genitori dovevano chiedere più volte e spesso imporre alle bambine, Ben otteneva con un sorriso ed una parola detta al momento giusto.
“Chi sa parlare con i bambini sa parlare con Allah” diceva sempre sua nonna paterna.
Quanto sperava fosse vero. Che lui potesse davvero parlare con Dio.
Quanto gli mancava.
La nostalgia lasciò subito  il posto alla rabbia che riprese a dominarlo come un fuoco perenne.
Rabbia contro chi aveva fatto questo, contro chi l’aveva privato di quell’affetto così importante.
Morti, li voleva vedere tutti morti.
Solo così poteva cacciare i demoni che si erano impadroniti della sua anima.
Tirò fuori dalla tasca della giacca l’arma che aveva acquistato.
Morti… non in prigione, morti. Li voleva vedere morti. Solo questa era la giusta punizione per ciò che avevano fatto.
Perso nei suoi pensieri di folle vendetta Semir udì dei passi dietro le sue spalle.
In quel momento le sue reazioni furono di puro istinto.
Istinto e vendetta si impadronirono della sua mente, ormai priva di razionalità.
Fulmineo si girò di scatto puntando la pistola, con tutta la rabbia ed il furore che aveva dentro di sé.
Puntò la pistola ansimando e solo dopo alcuni secondi si accorse di chi aveva davanti.
Sua moglie Andrea.

 
 “Dio mio…” Andrea non ebbe la forza di dire altro, mentre con le lacrime che le salivano guardava la canna della pistola che suo marito le stava puntando addosso.
Semir la abbassò subito, terrorizzato dal suo stesso comportamento.
“Andrea io… io non volevo… sei entrata all’improvviso… io…”
Ma la moglie ora non lo guardava più.
Guardava la porta su cui, impietrita, c’era Aida che li fissava con lo sguardo allucinato.
 
“Mi dispiace, io non volevo” provò a giustificarsi ancora una volta Semir.
Andrea aveva portato le bambine dalla vicina di casa ed ora stava seduta, immobile, come congelata, sul divano.
“Dove hai preso quella pistola? Sei sospeso dal servizio, non può essere l’arma di ordinanza ” chiese poi con un filo di voce, recuperando un minimo di lucidità.
 Semir non rispose, ma l’occhiata che le lanciò era più eloquente di qualsiasi parola.
“Semir… ti prego… ti devi far aiutare… ci dobbiamo far aiutare, altrimenti tutto questo rischia di distruggerci…” balbettò triste la donna.
“Non ho bisogno di farmi aiutare. Io li devo prendere, lo devo a Ben. Non posso aver pace sino a che non li ho presi tutti. Solo così potrò…”
“Mi  hai puntato la pistola addosso Semir. Alla presenza di tua figlia!!  E  cosa vuoi fare eh?” Andrea lo interruppe furiosa.
“Vuoi ucciderli tutti  così potrai calmare il tuo senso di colpa?  Questo vuoi fare? Credi che servirà? Che ci farà riavere Ben?” continuò urlando.
“Io lo devo fare… come fai a non capire??? Io li devo prendere!!” urlò a sua volta il marito.
“Dammi quella pistola! Ora!” intimò Andrea.
Ma Semir rimase immobile con aria quasi di sfida.
“Ti avverto Semir, se non mi consegni la pistola e non racconti quello che sai alla Kruger, quando torni non ci troverai qui. Non posso assistere indifferente alla tua distruzione…” urlò la donna  mentre il marito le voltava la schiena per uscire.

Appena salì in macchina Semir spense il cellulare.
Era più che certo che Andrea stava già telefonando alla Kruger e lui non poteva permettersi  di essere scoperto.
Non prima di aver portato a termine il suo compito.

 
Hartmut tirò un respiro profondo e cercò di calmarsi mentre tirava fuori la giacca e le altre cose che avevano trovato nell’auto di Ben.
Quanto avrebbe voluto che  i rilievi li facessero quelli della Delta, ma non era riuscito a convincere la Kruger. Lei l’aveva chiesto con le lacrime agli occhi e lui, nonostante il dolore che provava nel maneggiare quelle cose, non aveva saputo dire di no.
“Resta razionale Hartmut, sei uno scienziato, fai quello che devi fare e contribuisci all’indagine. Lo devi a Ben” si disse mentre stendeva la giacca sul tavolo da laboratorio.
Per un attimo chiuse gli occhi vedendo le macchie di sangue, ma poi prese ad esaminare l’indumento con cura.
Quasi subito si accorse della chiavetta nascosta nella tasca interna della fodera.
La tirò fuori e subito dopo aver rilevato le impronte la infilò nella porta USB del pc che aveva sul  tavolo.
“Cavolo” imprecò prendendo il telefono per chiamare la Kruger.
 
“Sono tutti contratti per l’acquisto dell’ esclusiva sulla produzione del  vaccino contro il vaiolo” fece Hartmut mostrando i documenti alla Kruger e a Burke, seduti nell’ufficio della prima.
“E sono tutti intestati alla Enterprise Farmaceutica, una piccola impresa con sede a Nassau, nelle Bahamas.  Susanne ci ha messo un po’ di tempo, ma ha scoperto che la maggioranza delle azioni di questa società è detenuta da Victor Klones, attraverso un sistema di società collegate” relazionò ancora Hartmut.
“Ecco cosa hanno in mente… un attentato con armi biologiche. E dopo la diffusione del virus vendere a peso d’oro il vaccino” ragionò sbarrando gli occhi Burke.
“Bisogna trovare quel bastardo…” disse Kim rendendosi conto che raramente diceva parolacce come in quella occasione.
Burke annuì e prese il suo cellulare.
“Marie… contatta il Procuratore. Fai emettere un ordine di arresto su tutto il territorio  federale per Victor Klones”
“Ancora non riesco a credere di  essermi fidato di Tanja Marcus. Se solo avessi accertato prima che aveva manomesso il rapporto di Gerkan, se avessi esteso l’ordine di perquisizione ai computer della sede della Klones… Ben deve aver dubitato anche di me, per aver tentato di fare tutto da solo…”
Kim avrebbe voluto consolarlo, ma proprio non se la sentiva. In fondo i suoi sensi di colpa erano giustificati.
“Non sarà facile rintracciare Klones. E non sappiamo neppure dove e come El Marough ha intenzione di agire” rifletté ancora Burke
“Dove lo sappiamo. Alla stazione di Colonia, ce lo ha detto Ben…” rispose  Kim triste.
“Sì, ma non sappiamo quando e come, e la stazione è praticamente un posto impossibile da controllare. Ci passano centinaia di migliaia di persone al giorno e basta un attimo per diffondere il virus… senza una pista precisa è impossibile intercettare l’attentatore”
La conversazione fu interrotta dallo squillo del cellulare della Kruger.
“Andrea… che succede?” fece preoccupata rispondendo alla chiamata.
 
 
“Credi che Gerkan sappia dov’è Klones?” chiese Mathias Burke vedendo lo sguardo preoccupato che aveva  Kim Kruger  dopo la telefonata con Andrea.
“Quasi sicuramente. Altrimenti non  si sarebbe procurato una pistola. Deve averglielo detto Tanja Marcus. Il che spiega anche la ferita alla coscia… E se Semir lo trova…” ragionò Kim.
“Forse stiamo  esagerando. A quanto posso sapere Gerkan non mi sembra il tipo da cercare vendetta ad ogni costo”
“Tu non lo hai visto. Non hai visto i suoi occhi. E’ sconvolto. E credimi, ora come ora, sarebbe davvero capace di tutto” rispose Kim.
“Klones è l’unico che ci può portare a El Marough. E’ di vitale importanza che lo possiamo interrogare. Tu credi davvero che Gerkan arriverebbe al punto di…”
“Non lo  so davvero. A questo punto non  lo so. Quello che so è che devo trovare Gerkan il prima possibile, ma come? Ha tolto la scheda dal cellulare…” fece Kim sconsolata.
“Forse…” fece timidamente Hartmut.
Tutti si voltarono nella sua direzione.
“Commissario si ricorda il rilevatore che ha fatto installare sulle macchine di servizio? Quello che doveva servire a monitorare il  percorso delle auto…” fece Hartmut.
“Certo, ma non è mai stato attivato…” rispose Kim.
In realtà aveva ordinato il meccanismo per tenere d’occhio le auto di Gerkan e Jager e capire l’oscura ragione per cui quei due erano capaci di distruggerne  una al mese. Ma il progetto era stato accantonato quando Ben aveva lasciato il Distretto.
“Forse  riesco  ad attivarlo da qui, senza operare sulla BMW di Semir…” propose Hartmut.
“Ci può riuscire? Quanto tempo ci metterà?”  disse speranzosa Kim.
“Ci provo. Ma ci vorranno almeno due o tre ore…”
“Che aspetta? Vada!!”
 
 
Semir era arrivato davanti alla villetta di Karolinestrasse di Norimberga ed era rimasto sul marciapiede di fronte a studiare la situazione.
 Sembrava disabitata, ma facendo attenzione aveva scorto una figura dietro le tende.
Chissà quanta gente c’era all’interno.
Non molta, forse oltre Klones una o due persone al massimo.
Doveva cercare un modo per entrare nella villa e arrivare al bastardo.
Mentre pensava e ripensava l’occhio gli cadde su di un piccolo furgoncino parcheggiato poco più in là.
Era della compagnia telefonica ed infatti poco più in là Semir vide degli operai impegnati a riparare una cabina.
Guardandosi intorno, lesto e senza farsi scoprire, forzò  il portellone posteriore e si infilò nel furgone richiudendolo.
Era fortunato, alla luce della piccola torcia  notò subito la pettorina ed il cappello con il logo che erano in una scatola.
Li infilò, poi prese una della tante cassette per gli attrezzi che erano a terra e scese dal furgone, dirigendosi verso l’ingresso della villetta.
 
“Buongiorno. Sono della ditta dei telefoni. Abbiamo avuto problemi con la cabina che serve questa zona, dovremmo fare un controllo sulla vostra linea” disse Semir appena l’uomo, alto e robusto aprì la porta della villetta.
Con lo sguardo cercò di  scoprire quante persone fossero in casa.
E soprattutto dove fosse Klones.
“Non abbiamo la linea fissa qui” fece l’uomo cercando di richiudere la porta.
Ma Semir la bloccò con il piede.
Tirò fuori la pistola e la puntò contro l’uomo.
“Se  emetti un solo  fiato ti pianto un pallottola in mezzo agli occhi” sibilò mentre spingeva la porta ed entrava in casa.
  

 

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Capitolo 18
*** Quel che non sei ***


Quel che non sei
 
Victor Klones stava seduto alla piccola scrivania ed era sempre più agitato.
Aveva saputo dai giornali della morte di Tanja, ma non ne conosceva i particolari, visto che  riportavano la notizia semplicemente come avvenuta durante una operazione di polizia, senza alcun indizio ulteriore.
Sentiva che il piano che aveva organizzato,  quello che doveva garantirgli il potere, la cosa che aveva desiderato per tutta la vita, si stava sgretolando. Anzi era già andato in pezzi.
Ma aveva ancora una via di uscita, quanto meno per garantirsi la libertà.
Poi con il denaro dei conti segreti che aveva in Giamaica poteva ricominciare.
Doveva solo aspettare un altro po’, in modo  che i  poliziotti fossero disperati e pronti a tutto pur di prendere El Marough.
Poi avrebbe barattato le informazioni che solo lui aveva con la sua libertà. E poteva ricominciare tutto.
    
“Dov’è Klones? Quante persone ci sono in casa oltre a te?” chiese Semir sempre puntando la pistola contro l’uomo.
Ma questi rimaneva immobile senza emettere un fiato.
Semir era sempre più nervoso.
A stento, nella concitazione, notò lo sguardo che l’uomo lanciava verso la sua sinistra.
Giusto in tempo per vedere una figura alta vestita di nero che impugnava una pistola.
Fulmineo, con il cuore a mille, sparò in quella direzione e l’uomo cadde a terra, tenendosi la gamba sinistra.
A quel punto anche l’uomo che aveva aperto la porta cercò di raggiungere la pistola che aveva nella fondina sotto l’ascella.
Ma anche stavolta Semir fu più lesto.
Con un colpo secco alla nuca lo tramortì. 
Poi  prese le pistole dei due e si avviò guardingo al piano di sopra.
 
Victor Klones udì lo sparo al piano di sotto e si alzò di botto dalla scrivania.
Veloce si diresse verso la porta, ma rimase nascosto, ansimando e sudando per la paura, sino a che non vide una figura piccola imboccare il corridoio.
Non lo aveva mai visto… ma sapeva che stava cercando lui.
Aspettò che entrasse ad ispezionare la prima stanza e poi veloce cercò di imboccare le scale. Ma non era arrivato neppure al primo gradino che sentì il freddo della canna di una pistola sulla nuca.
“Dove credi di andare tu?” disse una voce alle sue spalle.
 
 
Semir afferrò Klones per il bavero della giacca e lo trascinò letteralmente per le scale, scaraventandolo sul pavimento.
L’uomo che aveva tentato di sparare stava lì, immobile e sudato, cercando di fermare l’emorragia alla gamba con le mani.
Ma Semir non ci faceva caso.
“Non farmi ripetere questa domanda. Dove sono El Marough ed i suoi uomini? Quando e come agiranno alla stazione?” chiese con voce dura.
“Chi cazzo sei tu?” chiese Victor ansimando.
“Quello che ti spedirà diritto all’inferno se non parli” rispose Semir fissandolo negli occhi.
“Allora?? Sto aspettando una risposta…” continuò.
“Sei della polizia giusto? Bene  io ho le informazioni che vuoi, ma non ve le darò certo gratis… e non parlo con i pesci piccoli. Voglio parlare con il capo delle operazioni e con il Procuratore” rispose Klones beffardo.
“Chi ti dice che io sia della Polizia?” Semir guardò disgustato Klones che riprese a sudare.
“Te lo ripeto per l’ultima volta:  dove  è El Marough e  come e quando colpiranno alla stazione?” disse con voce sempre più dura.
Klones rimase muto.
Preso da una furia incontrollabile Semir  gli mollò un calcio violentissimo nello stomaco e poi alle costole.
“Ti avverto, non scherzare con me… non avrò nessuno scrupolo a mandarti all’altro mondo. Anzi a dir la verità non aspetto altro” sibilò.
“Quelle informazioni sono il mio salvacondotto. Voglio parlare con il Procuratore” balbettò Klones, contorcendosi per il dolore.
Semir gli mollò altri due calci nello stomaco a Klones che si contorse ancora sul pavimento urlando di dolore.
Poi il piccolo turco lo sollevò con una mano per il bavero e gli puntò la pistola giusto in mezzo agli occhi.
“Ho perso la pazienza bastardo… dimmi quello che sai…” fece con il dito che premeva sempre più forte sul grilletto.
 
“Gerkan!! Getti subito a terra quella pistola!!”
La voce della Kruger alle sue spalle lo fece trasalire, mentre decine di agenti invadevano la villetta.
 
“Dovrei farla arrestare, questo lo sa giusto?”
La voce della Kruger era furibonda.
Era seduta a fianco a lui nell’auto si servizio.
“E’ in possesso di un’arma  di cui preferisco non  sapere la provenienza, e poi violazione di domicilio, lesioni gravi, sequestro di persona, minacce… vuole che continui?” sibilò.
“Mi faccia arrestare allora, perché è l’unico modo che ha per fermarmi…” disse Semir quasi in tono di sfida.
“Non mi provochi Gerkan. Cosa crede di fare? Non pensa alla sua famiglia? Andrea è terrorizzata…”
Semir rimase in silenzio per un po’.
“Come fa a non capire? Io devo prenderli…” scandì furibondo.
“Perché crede che io invece non voglia prenderli? Maledizione Gerkan non crede che  anch’io non fossi affezionata a Jager?”
“Sì, ma per me è diverso Commissario” si limitò a rispondergli il piccolo turco.
“Non si muova di qui” gli intimò Kim, mentre scendeva dall’auto per andare incontro a Burke che era appena uscito dalla villetta.
 
Semir stava a guardare dal finestrino la Kruger e Burke che parlavano fitto.
Si vedeva lontano un miglio che la Kruger era adirata e discuteva animatamente con Burke.
Colto da un  pessimo presentimento e nonostante quello che gli era stato ordinato Semir scese dall’auto e si avvicinò ai due.
“Cosa potevo fare? Quelle informazioni ci servono, ne  va della vita di  migliaia se non centinaia di persone…” Burke era imbarazzato, ma anche deciso.
“E così gli garantiamo l’impunità?? Maledizione Mathias quello schifoso era d’accordo con la Marcus… è responsabile quanto lei di quello che è successo Jager!!”
“Credi che non lo sappia? A me dispiace quanto a te…”
“Ma come potete?? Come potete barattare le informazioni con l’impunità per quell’essere disgustoso? Vi rendete conto di quello che ha fatto?” urlò furibondo Semir mentre si avvicinava.
“Gerkan le avevo detto di restare in auto!” gli fece di rimando Kim, ma Semir si era già avventato contro Klones che stava salendo  in un’auto di servizio scortato da due agenti.
“Questo è un folle. Io pretendo di essere difeso da questo pazzo…” balbettò Klones vedendolo arrivare.
Subito due agenti bloccarono Semir impedendogli di avventarsi contro Klones ma non poterono impedirgli di urlare.
“Non ti illudere. Io ti vedrò morto! Dovunque andrai, non riuscirai a sfuggirmi!”
“Gerkan la smetta immediatamente!” ordinò la Kruger,
“Voi portatelo via…” ordinò poi agli agenti che stavano facendo salire Klones in auto.
“Dove lo portate eh? In una bella casa protetta? Dopo quello che ha fatto?” chiese furibondo Semir.
“No, per ora va al penitenziario regionale. Ma se le informazioni che ci ha fornito sono esatte…”
“Il procuratore lascerà cadere le accuse, giusto? E’ incredibile…” fece velenoso il piccolo turco. 
“Semir mi dispiace, ma…”
“Non creda che io mi arrenda. Non mi arrenderò mai… fino a che…”
“Gerkan basta!! Ora la faccio accompagnare a casa e lei resterà lì sino a che io non le dirò il contrario. E se scopro che ha messo anche solo l’alluce del piede fuori della porta di ingresso le giuro che la faccio sbattere in galera. Ci siamo intesi??” Kim era diventata paonazza,
“Bonrath… accompagni immediatamente Gerkan a casa sua e non si muova di lì sino a che non avrà il cambio per la sorveglianza” ordinò poi il Commissario.
A Semir non restò altro che salire sull’auto di Dieter, mentre ancora ribolliva di furia cieca.
 
Semir entrò in casa e fu subito colpito dallo strano silenzio che vi regnava.
Ormai era giorno fatto, ma non vedeva nessuna delle attività che di solito caratterizzava la casa alla mattina.
Non c’era il vociare delle bambine che si preparavano ad andare a scuola, né i richiami di Andrea a sbrigarsi o il rumore tipici dell’ora della colazione.
Nulla, il silenzio assoluto.
Solo allora a Semir tornarono in mente le minacce della moglie.
“Non ci troverai più qui…”
Il cuore di Semir ebbe un balzo.
Iniziò a girare per la casa con il fiato corto, sino a che non vide sua moglie, seduta al tavolo della cucina.
“Dove sono le bambine?” chiese Semir con un filo di voce.
“Da mia madre e per ora resteranno lì” rispose la donna continuando a fissare la tazza di caffè che aveva davanti.
Semir si sedette anche lui al tavolo, ma non ebbe il coraggio di dire nulla.
I due rimasero in silenzio per un bel po’ prima che Andrea si decidesse a parlare di nuovo.
“Cosa ne sarà di noi?” chiese con un soffio di voce  la donna.
“Io ti amo Andrea” bisbigliò il marito.
“Ma non abbastanza da rinunciare alla tua folle vendetta…”
Semir guardò sua moglie negli occhi e vi scorse paura, paura e dolore.
“Come puoi chiedermi di dimenticare tutto quello che è successo ed andare avanti? Come puoi chiedermelo? Contava così poco per te?” chiese fissando a terra.
La frase piombò nella stanza come un macigno.
“Come ti permetti? Credi che solo tu gli fossi affezionato?? Come credi che stia io? E le bambine? Sono io che ho dovuto dire loro la verità, mentre tu inseguivi i tuoi folli propositi…”
“Voglio solo giustizia…” si inalberò Semir.
“Giustizia o vendetta? Quando ti fermerai? Quando saranno morti tutti? Credi che questo lo farà tornare? O credi di sentirti meno in colpa per non essere andato da lui quando  aveva bisogno di te?” Andrea aveva una voce dura, scandiva ogni parola.
Semir rimase per un momento a bocca aperta per lo stupore.
“Questo è davvero un colpo basso” mormorò stupito ed addolorato.
“E’ la verità Semir. In realtà tu sti facendo tutto questo per punirti. Per punire te stesso. Solo che in questa tua ansia, in questo tuo desiderio di porre rimedio a quello che ormai non può più essere riparato ti stai trascinando nella rovina. E stai trascinando anche noi. E io questo non posso permetterlo. Per le bambine soprattutto”
“Tu e le bambine siete la cosa più importante”
“Non è vero… altrimenti non mi costringeresti a dover spiegare, un giorno,  perchè il loro padre è diventato un assassino”
Andrea si alzò  e si avviò fuori.
“Io e le bambine resteremo da mia madre per un po’. Mi spiace, non vorrei farlo, ma forse se capisci che puoi perdere anche qualcos’altro oltre quello che hai già perso…” disse mentre si avvicinava alla porta di ingresso.
“Ovviamente puoi vedere le bambine quando vuoi… se vuoi vederle” fece amara.
“Andrea…” disse Semir, ma non tanto forte da farsi sentire dalla moglie che salì sulla sua auto allontanandosi veloce.
 
Semir stava seduto sul divano fissando il vuoto.
Accanto a lui Dieter russava sonoramente, tenendo ancora in mano l’unica bottiglia di birra che aveva preso dalla confezione.
Il resto se le era scolate tutte Semir, ma questo non era bastato a stordirlo.
Era rimasto perfettamente lucido  pensare alla sua vita che nel giro di pochi giorni era stata completamente distrutta.
Pensava in continuazione al volto, addolorato e al tempo stesso furioso, di sua moglie mentre lasciava la sua casa, allo sguardo terrorizzato di Aida quando l’aveva visto puntare la pistola contro la madre, al silenzio di quella casa vuota, rotto solo dal russare di Dieter, messo lì a fargli da cane da guardia. E a come l’avrebbe guardato Ben se fosse stato lì ora.
Non bene di certo, avrebbe messo su quell’aria da  bambino indispettito ed addolorato che aveva sempre quando si arrabbiava.
“Che stai facendo Semir? Che stai facendo?” si disse.
La tv rimandava il solito chiacchiericcio monotono e Semir non ci faceva neppure tanto caso, sino a che sullo schermo non comparvero le immagini di alcuni uomini, con evidenza arabi, che venivano portati via in manette.

Con il cuore in gola Semir alzò il tono del volume.
“La cellula terroristica, con a capo il cittadino yemenita El Marough, che vedete nelle immagini mentre viene arrestato dagli agenti della squadra Delta dopo essere stato scovato nel suo rifugio di Norimberga, secondo fonti accreditate  aveva in programma un attentato con armi biologiche presso la stazione di Colonia. Il piano era in avanzata fase di realizzazione ed è stato sventato solo grazie alle informazioni di un cittadino tedesco, coinvolto anch’egli nel piano, che subito dopo l’arresto si è pentito fornendo agli investigatori le informazioni decisive. Non ne è stato diffuso il nome ma si pensa che…”
La voce dello speaker  scorreva monotona mentre sullo schermo  sfilavano le immagini di El Marough trascinato in manette  da Burke, con aria meno spavalda del solito.
 Per la prima volta Burke rispondeva con un laconico “no comment” alle domande della stampa,
In Semir iniziò a montare di nuovo la rabbia.
Le informazioni di Klones erano esatte, avevano catturato i terroristi e sventato l’attentato.
Ora il procuratore gli avrebbe concesso l’immunità.
E dopo il processo sarebbe  andato via impunito, dopo quello che aveva fatto.
Non poteva permetterlo.
Lo doveva a Ben.
 
 
Semir rimase un attimo indeciso su quello che poteva fare.
Guardò Dieter che continuava a dormire sul divano, russando sonoramente.
Il più lentamente possibile sfilò la pistola dalla fondina che l’uomo aveva sul fianco.
Per un attimo pensò con rimorso al fatto che questo l’avrebbe messo nei guai seri per essersi fatto sottrarre l’arma, ma scacciò subito il pensiero dalla mente.
Così silenzioso uscì dalla porta e poi salì in auto per andare incontro al suo destino.
 
 
 
Semir arrivò al penitenziario regionale e preparò mentalmente il discorso, sperando che non fosse già troppo tardi e che Klones non fosse stato trasferito.
Con aria decisa si avvicinò alla guardiola di ingresso.
“Buonasera, Gerkan Polizia Autostradale. Ho il compito di scortare il signor Klones in una casa protetta” disse al giovane poliziotto all’ingresso.
Con aria scettica il giovane iniziò a consultare il data base e Semir pregò che la sospensione dal servizio non fosse già stata registrata negli archivi.
I pochi secondi che passarono sembrarono a Semir secoli, ma finalmente  il poliziotto gli fece un  mezzo sorriso. Evidentemente aveva trovato le sue credenziali.
“Non ci hanno avvertito…” disse.
“No, il trasferimento deve avvenire nella massima segretezza. Il Signor Klones è l’unico testimone  per incastrare pericolosi terroristi”
“Questo lo so…” fece un po’ stizzito il ragazzo.
“Bene, aspetti nella sala d’attesa tre… lo portiamo lì e poi ci dirà come vuole procedere”
 
Semir non  riusciva a  stare fermo un secondo mentre aspettava che Klones arrivasse.
La sala era isolata, e questo era un bene, ma non vi erano vie di fuga.
Ma a Semir questo non interessava. Sapeva che dopo quello che aveva in mente di fare avrebbe trascorso, nella migliore delle ipotesi, molti anni in galera.
Ma non gli importava.
Lo doveva a Ben.
 
La porta si aprì con un rumore sordo metallico e  un trionfante Klones comparve sulla porta.
Il sorriso gli morì sulle labbra quando vide Semir.
“Ehi… ehi!! dove andate questo è un pazzo… non mi potete lasciare con lui…” disse, ma la guardia che l’aveva accompagnato se ne era già andata.
Semir guardò Klones come si guarda un insetto.
“Cosa vuole da me? Burke mi ha promesso l’immunità. Vi ho fatto prendere El Marough.  Ho salvato migliaia di persone…” balbettò Klones.
“Salvato migliaia di persone… lei e la Marcus avevate intenzione di farle uccidere tutte quelle persone…  ed avevate intenzione di arricchirvi su di una malattia terribile…” sibilò Semir.  
“Io ho avuto la promessa di  immunità, lei non mi può fare nulla… qui ci sono le telecamere di sorveglianza…” balbettò Klones sempre più spaventato.
“Ma chi sei tu? Che vuoi?” continuò.
“Il nome Ben Jager ti dice niente?” fece Semir con la rabbia omicida negli occhi.
“Jager? Quello della Delta?  Quindi sei l’amichetto turco del passatempo di Tanja?” lo sguardo di  Klones tornò beffardo.
 
“Sono quello che ti spedirà all’altro mondo” rispose,  mentre gli sferrava un pugno. 
 

“Bonrath, che vuol dire che non lo trova più? E quando è uscito?”
La voce di Kim Kruger era alterata dalla rabbia.
Chiuse la telefonata con un gesto secco.
“Gerkan è  sparito da casa sua e ha preso l’arma di Bonrath” disse poi a Burke, che del resto aveva già immaginato tutto.
“Beh, comunque sappiamo dove trovarlo…”  rispose lui salendo in auto.

 
Klones ansimava sul pavimento.
“Hai ucciso tu Holmes… l’hai fatto uccidere tu… giusto? Ti sei servito di lui e poi l’hai eliminato. Facevate così tu e la Marcus… vi servivate delle persone e quando non servivano più le facevate fuori…” fece Semir sferrandogli un calcio.
“Qualsiasi cosa io abbia fatto ho l’immunità. Tu non puoi…”  disse con un filo di voce Klones.
“L’immunità che ti hanno promesso non mi riguarda”
La voce di Semir era dura e sprezzante.
“Fai quello che devi fare… uccidilo. E’ un assassino, merita la stessa fine” disse la voce nella sua testa.
Semir tirò fuori la pistola che aveva sottratto a Dieter e la puntò direttamente alla fronte di Klones, che si bloccò all’istante.
Il terrore passò negli occhi dell’uomo che iniziò ad ansimare  e sudare.
Il dito di Semir premeva sempre più forte sul grilletto.
 
E poi  all’improvviso quasi se lo vide davanti, quel giorno nell’ospedale di Berlino, quando gli aveva confessato di  aver mentito a Bohm e di non ricordare cosa era avvenuto nel magazzino.
“Tu non sei un assassino, qualsiasi cosa sia successa quel giorno tu non sei un assassino…”
La voce di Ben risuonò più volte nella sua testa.
“Io lo so, tu non sei un assassino, non lo sarai mai…”
Invece era proprio quello che era diventato, che stava diventando.
Un assassino.
“Tu non sei in assassino…”
 
Lentamente Semir abbassò la pistola, proprio mentre Burke e la Kruger facevano irruzione nella stanza.
 
“Quel pazzo mi ha aggredito… mi ha picchiato selvaggiamente e poi mi ha puntato la pistola alla testa… è un pazzo, pretendo che venga arrestato” urlò Klones mentre si  teneva ancora le costole doloranti.
Burke e la Kruger lo guardarono.
“Signor Klones…” iniziò Burke.
“Ho avuto l’immunità, quell’uomo non aveva il diritto di aggredirmi, l’aveva già fatto.  Ci sono le telecamere, visionate i filmati, vedrete che mi ha  colpito e poi mi ha puntato la pistola alla testa”
“Controllerò meglio,  ma ho paura che le telecamere non fossero in funzione, signor Klones” fece Burke, mentre Kim lo guardava incredula.
“Co… cosa? Ma mi ha aggredito… avete visto anche voi quando siete entrati, mi stava puntando la pistola alla testa… porto ancora i segni dei colpi che mi ha dato”
“Signor Klones… quello che io ho visto  è che lei è caduto dalla sedia. Forse è un po’ stanco, provato dalla situazione…” gli rispose Mathias con un mezzo sorriso sul viso.
Kim si limitò ad annuire stupita.
“Bastardi… vi state tirando indietro… mi avete promesso l’immunità… non potete tirarvi indietro…” urlò Klones spaventato.
“In effetti signor Klones quello che io le ho ‘promesso’ è che il Procuratore distrettuale avrebbe dato il suo parere favorevole sulla concessione della immunità. Il che è avvenuto, ma come lei sa è il giudice che decide in ultima istanza. E il giudice non è d’accordo…  mi spiace” Burke sorrise in modo ironico mentre parlava.
“Bastardi…non potete farlo, vi serve la mia testimonianza al processo…” balbettò terrorizzato Klones.
“Beh, a  dire la verità abbiamo già tutte le informazioni che ci servono per condannare El Marough e quelli della sua cellula terroristica. Ed anche per condannare lei signor Klones…” intervenne Kim.
“Maledetti vi siete serviti di me…” fece Klones accasciandosi sulla sedia.
“Come mi ha detto lei stesso quando l’abbiamo arrestata, il fine giustifica i mezzi” concluse Burke mentre usciva dalla stanza con Kim.
 
All’esterno della prigione mentre risalivano in auto Burke tirò fuori due piccoli dvd dalla tasca interna della giacca.
“Questi li ho recuperati dal sistema di sorveglianza interna. Decidi tu cosa vuoi farne”
Mentre saliva al posto di guida Burke guardò di nuovo Kim.
“Mi spiace per Ben, Kim. Mi spiace davvero tanto” disse con un filo di voce.
   
Kim Kruger si sedette davanti a Semir nella stanza degli interrogatori al Distretto.
“Il giudice non ha concesso l’immunità a Klones. Gli daranno l’ergastolo. Passerà  il resto della vita in galera” disse piano.
“Bene, ma questo non farà tornare Ben…” balbettò Semir dopo alcuni secondi di silenzio.
Kim lo guardò  lungo.
“Neppure quello che aveva in mente lei l’avrebbe fatto tornare…”
Semir annuì.
“Sì, lo so… ma… ma…”
Kim gli mise davanti sul tavolo i dvd che le aveva consegnato Burke.
“Sono i dvd del sistema interno di sorveglianza del penitenziario. Sono le sole copie…”
“Cosa intende fare Commissario?” chiese Semir, ben consapevole delle conseguenze di quello che aveva fatto.
“Per ora nulla. Ma lei si deve far aiutare Semir. Andrà da uno psicologo almeno due volte a settimana.  E  solo quando mi diranno che è pronto potrà rientrare in servizio. Ma se non sottostà a queste condizioni non esiterò un momento a farla sbattere in galera”
“Io non voglio che lei si esponga per me…” disse piano il piccolo turco.
“Quel che faccio è nell’interesse di questo Distretto. Voglio credere e pensare che quello che lei ha fatto è stato dettato dall’emozione del momento particolare. Ed io non voglio perdere uno dei miei ufficiali migliori…”
“Un altro” stava per aggiungere, ma si trattenne.
“Io non so se ce la faccio” balbettò Semir.
“Lei ce la farà, ne sono sicura” gli sorrise Kim alzandosi.
 
Semir rientrò in casa e fu accolto di nuovo da un assordante silenzio.
Silenzio.
Non c’erano le voci allegre delle sue bambine.
I rumori dei loro giochi infantili, le risate e quella confusione tipica delle case in cui ci sono bambini.
Non c’era la voce di sua moglie, i suoi richiami alle bambine, le sue richieste per l’organizzazione di ogni giorno.
Silenzio, solo silenzio.
Ed in silenzio Semir vide Andrea che scendeva le scale con un grosso borsone.
“Ti prego , Andrea” le disse  quando fu ai piedi delle scale.
La donna lo guardò triste.
“Semir… mi spiace ma…”
“Vuoi andare via così? Senza dire nulla?”
Andrea posò il borsone a terra e guardò il marito.
“Quello che ti dovevo  dire l’ho detto. Ma tu non sei stato a sentire… E sai cosa  mi fa più male? Che hai considerato la tua vendetta più importante della tua famiglia. Non ti sei fermato quasi davanti a nulla…Dio sa cosa ha bloccato la tua mano all’ultimo secondo”
“Cosa dovevo fare? Dimenticarmi di lui? Come se non fosse mai esistito?”
Andrea lo guardò quasi furibonda.
“Credi che io voglia dimenticarlo? Io non potrò mai dimenticare. E’ come se fosse successo a mio  figlio, maledizione…”
“Allora mi puoi capire…”
“No Semir non posso. Quello che ho  avuto davanti  in questi giorni non è la persona che ho sposato. E’ una persona spietata e vendicativa,  disposta a tutto e a qualsiasi costo. Mi fa paura quella persona, che però è lì, è dentro di te…”
“Mi farò aiutare se è questo quello che vuoi…” bisbigliò Semir.
“Questo è quello che dovresti volere tu!” urlò la donna mentre riprendeva il borsone e si avviava alla uscita.
“Un periodo di separazione ci farà bene Semir. Io e le bambine staremo da mia madre. Mi auguro davvero che tu capisca, che ti faccia aiutare. Se non vuoi farlo per te stesso o per noi, fallo almeno per Ben. Lui non avrebbe mai voluto  vederti ridotto così” disse mentre si avviava fuori.
Semir rimase a guardare l’auto della moglie che si allontanava portando con sé tutti i suoi ultimi sogni e le speranze per il futuro.
 
 
Dunque alla fine l’unico in grado di fermare davvero Semir è stato… Ben.
Domani pubblicherò l’ultimo capitolo.
Ci sono lettere da leggere e canzoni da ascoltare.
E qualcosa di importante da chiarire.

Sin d’ora voglio ringraziare tutti quelli che hanno seguito la storia chi ha recensito e soprattutto la mia beta.
La storia è un po’ triste, forse anche più triste di quanto avevo in mente all’inizio, ma spero vi sia piaciuta lo stesso.

 
 
 

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Capitolo 19
*** Le parole che non ti ho detto ***


Le parole che non ti ho detto
 
 
Semir scese dalla BMW respirando a pieni polmoni l’aria fredda della sera.
Cercò di non pensare agli eventi delle ultime settimane, cercò di non pensare che aveva perso tutto.
Il suo migliore amico, sua moglie, le sue figlie, il suo lavoro.
Nulla, non aveva più nulla.
A passi stanchi si avviò all’interno del grosso edificio e, come ogni sera negli ultimi due mesi, prese l’ascensore e poi percorse il lungo corridoio del quarto piano.
Ma quella sarebbe stata l’ultima sera che l’avrebbe fatto.
Ormai conosceva tutti gli occupanti delle stanze lungo il percorso; in quei  due mesi  li aveva conosciuti uno ad uno e qualcuno l’aveva visto andare via per sempre.
Il ragazzo  che aveva avuto l’incidente in moto, l’operaio caduto dall’impalcatura… ne aveva visti tanti.
“Ciao Semir” gli disse vedendolo Marie, la figlia del signor Burmann, che era qui da tanto, tanto tempo, ma lei non si stancava di venirlo a trovare ogni sera.
Semir la salutò con un cenno del capo ed entrò nella stanza in fondo a sinistra.
“Buonasera Semir” lo salutò Beate sorridendogli.
La voce della donna, alta e corpulenta, di solito era capace di donare a Semir un po’ di serenità, ma quella sera anche i suoi occhi erano tristi.
“Domani è un grande giorno” disse, mentre continuava a far fare gli esercizi di mobilizzazione al corpo disteso sul letto.
Come al solito Semir ci mise alcuni secondi prima di trovare il coraggio di guardare verso il letto, prima di guardare il corpo, ormai magro e scheletrico, di quello che era stato il suo migliore amico.
“Ciao Ben…” sussurrò accarezzandogli i capelli, come ogni sera negli ultimi due mesi.
“Faccio io” disse a Beate, mentre prendeva la gamba del giovane e la faceva piegare più e più volte come gli aveva insegnato l’infermiera.
Beate lo guardò triste, ma sorrise.
“Oggi sono venuti un sacco di amici a salutare il nostro Ben. Tutti i suoi amici della Polizia… e anche tua moglie” fece con  voce infantile mentre chiudeva la flebo e controllava il display della macchina per la respirazione.
A Semir dava sempre fastidio quando le infermiere si rivolgevano a Ben come se fosse un bambino piccolo, anche se capiva che in fondo era un segno di sensibilità ed affetto.
“Domani facciamo un bel viaggio lungo lungo… fino in America, giusto? Ora ti lascio con il tuo amico” continuò imperterrita con la medesima vocina Beate, sistemando tutti i fili ed i tubi che uscivano  dal letto, per poi uscire silenziosa.
Semir non rispose neppure stavolta, ma il cuore si chiuse in una vera e propria morsa di dolore.
 
L’indomani Konrad Jager avrebbe preso il figlio, o meglio il corpo di suo figlio, e l’avrebbe trascinato negli Stati Uniti, sino a Dallas nell’assurda speranza di farlo recuperare da quello che ormai  tutti i medici avevano  definito come uno stato vegetativo permanente.
“Ben è morto Semir… è morto quella sera… ti devi rassegnare”
Le parole di Max Weiss risuonavano come campane a morto nella testa del piccolo turco.
E nonostante  cercasse in tutti i modi di trovare dentro di sé un motivo  per credere e continuare a sperare che non fosse vero, nella sua mente, nell’angolo remoto  che non voleva aprire, lui  sapeva che era vero.
Ben era morto. 
L’aveva capito sin dalla sera dell’incidente, quando l’aveva visto dopo che Max e gli altri medici avevano tentato l’impossibile operandolo d’ urgenza.
“Mi spiace, ma il cervello è rimasto per troppo tempo senza ossigeno, non potrà recuperare stavolta” gli aveva detto Max con un filo di voce.
E infatti non era stato come due anni prima, dopo i fatti di Berlino, quando i medici volevano spegnere  le macchine.
Lì appena aveva preso la mano di Ben nella sua aveva capito che il giovane era ancora con lui, mentre  quel giorno… quel giorno, come ora, Semir non  sentiva nulla quando gli stringeva la mano o lo accarezzava o aiutava le infermiere a non fargli diminuire troppo la massa muscolare. 
Ben non c’era più,  era morto, anche se il suo cuore batteva e la macchina lo faceva respirare.
 
 
“Semir… sei qui” disse Max entrando nella stanza con la cartellina medica in mano.
Il medico lo guardò con preoccupazione, sospirando.
Da due mesi Max Weiss faceva continuamente la spola fra Berlino e l’ospedale di Colonia, anche se non se ne spiegava bene neppure lui la ragione. Tanto non poteva fare nulla. 
“Come stai?” chiese sedendosi accanto al letto ed invitando Semir a fare lo stesso.
Il piccolo turco coprì le gambe di Ben con la coperta e si voltò di spalle, mettendosi a guardare fuori dalla finestra il traffico notturno.
“Cosa vuoi sentirmi dire, Max? Che sto male? Sì sto male…” disse poi duro.
“Semir… fare così non serve a nulla. Quello che è successo…” la frase morì sulle labbra di Max,
“Quello che è successo è solo colpa mia” sbottò Semir dopo molti secondi di silenzio.
Ecco finalmente l’aveva detto.
Dopo  mesi in cui si era trasformato in una persona che lui stesso non sapeva chi fosse, in cui aveva fatto cose prima per lui inconcepibili,  ora finalmente l’aveva detto.
Quello che era successo  era colpa sua.
Max si alzò dalla sedia e gli andò vicino.
“Non è così Semir e questo lo sai anche tu” disse calmo.
E a quel punto la diga emotiva dell’ispettore crollò.
“Non è colpa mia?? Io ho lasciato che succedesse… io non l’ho protetto. Non ho chiarito con lui, ho consentito che una incomprensione, dettata da motivi di orgoglio, degenerasse sino al punto di allontanarlo da me. Sai cosa ho fatto? Lo sai? Il giorno dell’incidente aveva chiesto di incontrarmi ed io non ci sono andato… non ci sono andato… l’ho lasciato solo. Lo volevo punire per quello che aveva fatto e così l’ho lasciato solo. Solo in mano a quei criminali”
La voce di Semir era disperata, ma gli occhi ancora asciutti.
Perché Semir non piangeva.
Non aveva mai pianto in quei mesi.
 
“La ragione o il torto in questa storia non stanno da nessuna parte, Semir. Anche Ben ha avuto le sue responsabilità. Anche io, cosa credi? Credi che io non mi senta in colpa?  Avrei dovuto lasciare che accadesse quella sera, dovevo lasciarlo andare. Invece l’ho costretto a questa agonia infinita solo perché non volevo come medico che mi morisse un amico fra le braccia. Che Ben mi morisse fra le braccia…”
Max aveva le lacrime agli occhi.
“Tu non capisci. Toccava a me proteggerlo. A me… a me che sono…”
“Suo padre? Tu non sei suo padre Semir e anche se ti consideri tale,  Ben era un uomo adulto, un poliziotto, sapeva quello che faceva”
Semir si sedette sulla sedia guardando a terra e Max provò un moto di infinita pietà per lui.
“Semir… guarda  come ti sei ridotto… non mangi e dormi a sufficienza da mesi ormai… e poi… qualsiasi cosa tu possa fare o dire, non farà tornare indietro il tempo. Non lo farà alzare da quel letto. Ben non vorrebbe che tu…” gli disse piano.
Semir lo guardò negli occhi.
“Cosa non vorrebbe? Vedere che mi sono trasformato in un assassino? Perché è questo che sono diventato, giusto? Proprio come diceva Kalvus. Esattamente come aveva previsto” 
“Tu non sei un assassino Semir” disse sicuro Max.
“Invece sì. Vendetta, ecco  l’unica cosa che ho voluto. E alla fine non sono neppure riuscito a togliere di mezzo quel bastardo di Klones”
“Anche se lo avessi ucciso, Ben non sarebbe tornato da te. E questo lo sai. E tu, nonostante quello che credi non sei un assassino a sangue freddo”
Semir sospirò e si avvicinò di nuovo al letto di Ben.
“A che ora…” Chiese senza avere il coraggio di finire la frase.
“Alle sei. L’aereo è per le sei… andrà in aeroporto con un elicottero”
”Ma perché lo devono portare così lontano…” chiese sommessamente avvicinandosi al letto e carezzando i capelli scuri del ragazzo.
“Semir… ne abbiamo già parlato. E’ Konrad che decide, è il padre di Ben e nessuno può  impedirgli di inseguire una speranza per quanto assurda possa essere”
Semir lo guardò.
“A me non  l’hai lasciata quella speranza però…”
Max si limitò a fissarlo senza rispondere. Aveva già risposto tante volte a quella stessa identica domanda e Semir già conosceva la risposta che gli aveva ripetuto e ripetuto: “Quanto è grande la tua fede?”
“Non potrò neppure essere con lui quando succede… quando se ne andrà sarà di nuovo solo” balbettò.
“Semir, Ben se n’è già andato. E potrà sembrare retorico, ma in ogni caso lui lo sa che sarai sempre con lui. Dovunque sia e qualunque cosa succeda” provò a consolarlo.
“No, non lo sa. Sai cosa mi ha detto mentre stava morendo quella sera? Che mi voleva bene. Io l’ho abbandonato, l’ho tradito e lui mi ha detto che mi voleva bene. Sono state le sue ultime parole… ed io… io non ho avuto neppure  la forza di dirgli che anche io gli volevo bene… non sono riuscito a dirlo… e ora non potrò dirglielo mai più”
“Pensi davvero che ci fosse bisogno di dirlo?” chiese Max uscendo dalla stanza.
Semir si sedette di nuovo sulla sedia accanto al letto e prese la mano gelida di  Ben nella sua.
“Aiutami, ti prego aiutami…” lo supplicò.
Rimase per molte ore così senza dire più nulla, rispondendo solo a cenni alle infermiere che lo invitavano ad andare a dormire un po’.
 
Era quasi l’alba quando si alzò dalla sedia e guardò l’orologio.
Le quattro e quarantacinque.
Fra poco sarebbero venuti e l’avrebbero portato via per sempre.
Si chiese perché il distacco da quel corpo, da quello che ormai era solo un guscio vuoto, fosse per lui così doloroso, quasi a livello fisico e si diede da solo la risposta.
“Dopo non ti resterà più nulla, neppure la consolazione di venire qui ogni sera”
Aveva freddo e prese la giacca che con noncuranza aveva lasciato cadere sulla sedia al suo ingresso.
Indossandola la mano finì sulla tasca interna.
La busta… la lettera di Ben… da quanto era lì? Dal giorno del suo compleanno. Se ne era completamente scordato e comunque non aveva mai avuto il coraggio di leggerla.
Sospirando e quasi per infliggersi l’ultima punizione l’aprì.
Rigirò fra le mani il piccolo lettore mp3 che conteneva e poi aprì il foglio.
 
Caro Semir
Mia nonna, vecchia e saggia signora, mi diceva sempre che i veri amici sono quelli che possono non  frequentarsi  per anni e quando poi si rivedono sono capaci di riprendere esattamente da dove  hanno lasciato.
Non sai quanto vorrei che fosse vero.
Vorrei chiamarti e chiederti se ti va una birra, se vogliamo andare alla partita o a vedere il nuovo modello della Mercedes.
Vorrei trovare con te la scusa da raccontare ad Andrea per lasciarti venire al pub la sera del venerdì, fingere di credere che lei si sia bevuta la storiella stupida che abbiamo inventato, mentre sappiamo benissimo  che  invece ha già capito tutto e  sorride bonaria.
Vorrei prenderti in giro per la tua finta gelosia delle bambine nei miei confronti.
Vorrei   ridere  con te mentre imitiamo la Kruger o prendiamo in giro Dieter per come guida o Harty per come parla.
Vorrei perfino sentire di nuovo le tue prediche  per il mio disordine o  per il fatto che sporco l’auto mentre mangio.
Vorrei di nuovo tutte queste piccole  cose stupide, perché sono queste cose che mi mancano davvero.
Ripensando ai mesi passati non so neppure spiegarmi bene cosa sia successo.
Perché abbiamo ceduto a Kalvus? Perché  gli abbiamo consentito di portarci via una cosa importante?
Mi spiace sai… non dovevo mentirti, ma per una volta, una volta sola, volevo essere io a proteggere te.
Anche a costo di non capire che così facendo potevo mettere in pericolo la nostra amicizia.
L’ho capito  solo ora, ora, quando pian piano mi sto rendendo conto che davvero potrei perderla questa amicizia.
Ho ceduto all’orgoglio e non ti ho chiesto scusa; ho cercato di sostituire la nostra amicizia con un altro sentimento, con una passione nuova e totalizzante, ma io e te sappiamo bene che qualsiasi amore, anche il più travolgente non sarà mai la condivisione che abbiamo sperimentato in questi cinque anni.
Quindi quello che dobbiamo chiederci è: siamo davvero  disposti a rinunciarci?
La mia risposta è no. Qualsiasi cosa io debba fare, io la farò.
In fondo siamo come marito e moglie: amici nella buona e nella cattiva sorte.
Perché in fondo al mio cuore una cosa mi è chiara: anche se non dovessi sentirtelo dire mai più, io so che tu mi vuoi bene, esattamente come io ne voglio a te. 
Potremo litigare, picchiarci, farci delle ripicche come in questi mesi, ma questo non cambierà mai.
Alla fine ci spero davvero: io non chiederò scusa a te e tu non ne chiederai a me, mai. Perché noi siamo veri amici e quindi, come diceva mia nonna, siamo capaci di riprendere esattamente da dove  ci siamo lasciati.
Tuo Ben
P.S.  Buon compleanno amico mio. Nel lettore mp3 c’è il mio regalo per te. E mi raccomando… ora che hai quarantanove anni cambia la foto sul tuo tesserino di riconoscimento.. son passati davvero  troppi annetti.  
 
Semir rimase imbambolato a guardare la lettera.
Poi indossò le cuffie e ascoltò la canzone che Ben aveva scritto per lui.
Mentre ascoltava quella canzone struggente sull’amicizia finalmente Semir pianse.
Pianse su quello che poteva essere se avesse letto quella lettera prima, su quello che poteva essere se fosse andato a quell’appuntamento.
Pianse su quello che poteva essere e non era stato.
E si chiese come avrebbe fatto ad andare avanti ora.
 
Si avvicinò  al letto e guardò ciò che vi era disteso.
Tutto quello che so l’ho  imparato da te.
Il verso della canzone continuava a suonare nella sua testa.
“Cosa ti ho insegnato? Cosa? Tu volevi proteggermi… e guarda cosa ho fatto. Dovunque tu sia cerca di trovare la forza di perdonarmi. Perché io non ci riuscirò mai” singhiozzò.
 
 
Semir stette a guardare muto i preparativi delle infermiere per il trasporto, mentre Konrad Jager lo fissava quasi con odio. L’ostilità del vecchio era ormai palese e ormai non sarebbe mai venuta meno.
E come padre, Semir sentiva anche di capirlo in fondo.
Non riusciva a pensare ad altro che a quella frase scritta nella lettera: “anche se non dovessi sentirtelo dire mai più…”
Perché? Perchè non poteva dirglielo più? Anche se ora sapeva che Ben conosceva l’amore che gli portava, perché il mondo doveva essere così crudele? Perché non poteva almeno dirgli per l’ultima volta quanto bene gli voleva, quanto fosse stato importante nella sua vita?
“Ok siamo pronti” fecero i due infermieri mentre iniziavano a spingere il letto fuori della stanza.
“Un attimo… per favore un attimo solo…” sussurrò Semir con la voce rotta dal pianto.
Konrad lo guardò e stava per protestare, ma venne trascinato via da Julia.
“Vieni papà, aspettiamo tutti un secondo fuori” fece mentre lo conduceva nel corridoio.
Semir aveva solo pensieri incoerenti per la testa, il dolore, forte come un fuoco distruttivo, non lo faceva ragionare.
Si avvicinò al suo migliore amico e gli accarezzò i capelli.
Poi lo baciò sulla fronte.
“Un giorno ci rivedremo, sai, e ricominceremo esattamente da dove abbiamo lasciato” bisbigliò.
“Ben, oğlum seni seviyorum”(ti voglio bene figlio mio)  gli sussurrò in turco prima di uscire dalla stanza, senza voltarsi indietro.    
 
Stette a guardare l’elicottero che si alzava dal tetto dell’ospedale e si portava via un pezzo del suo cuore e della sua vita.
Nulla, non aveva più nulla, doveva ricominciare tutto daccapo. Ed era solo.
Cercò di reprimere le lacrime che tornavano prepotenti respirando a pieni polmoni l’aria del mattino.
Ormai  albeggiava.
Entrando in auto trovò sul cruscotto il cellulare che vi aveva dimenticato.
Guardò il display. C’era un messaggio di Aida.
“Come stai papà?”
Le sue figlie. 
L’unica cosa che gli rimaneva.
L’unica cosa da cui poteva ricominciare.
 
FINE
 
Piccolo back stage
 
Questa storia nasce da una piccola sfida fra me e ChiaraBJ.
Dopo aver letto “Incubo” lei un giorno mi disse che, secondo lei, in fondo non sarei mai stata capace di scrivere una storia che finiva con la morte di Ben.
E poiché io sono una che  non sopporta bene l’essere sfidata, la prima stesura della storia prevedeva la dipartita definitiva del nostro amato bennuccio.
Poi l’evoluzione e l’idea successiva hanno portato a questo, chiamiamolo, “compromesso” (anche se in realtà forse era meglio  la dipartita definitiva).
Per farla breve e prima che lo chiediate, sì, ci sarà la terza puntata e sarà a quattro mani, due mie e due di Chiara.
Vi promettiamo che ci sarà anche Ben, ma in una veste inaspettata, e soprattutto che non sarà una storia triste.
Ora i ringraziamenti.
Ai recensori, che mi fanno capire che anche se scrivo cretinate almeno divertono e distraggono qualcuno.
E quindi grazie a Sophie97, -chlo; MartiAntares, 144kagome(ecc.ecc) Tinta87, Furia76, Marcellina, Laura, Redbull, djalikiss, ChiaraC80 (spero tu abbia letto l’ultimo cap.). Spero di non aver dimenticato nessuno, se l'ho fatto chiedo umilmente perdono.  
Grazie a chi ha inserito la storia nelle preferite e/o ricordate-seguite e a chi mi ha inserito nella lista degli scrittori preferiti.
Grazie a chi ha letto e non ha fatto nulla di tutto quello sopra descritto.
Il ringraziamento alla mia beta... beh quello non posso scriverlo qui... è troppo lungo e personale, mi scorderei di sicuro qualche puntino.
Spero di non avervi deluso. I complimenti delle recensioni sono immeritati, ma piacevoli.
E quindi…. alla prossima.
                                                                               Maty

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