Otto passi e mezzo all'immortalità

di gattapelosa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La via dell'immortale ***
Capitolo 2: *** Passo numero uno: impara a non piangere mai ***
Capitolo 3: *** Passo numero due: impara a non chiedere aiuto ***
Capitolo 4: *** Passo numero tre: impara a non sentire bisogno di affetto ***
Capitolo 5: *** Passo numero quattro: impara a non avere paura ***
Capitolo 6: *** Passo numero cinque: impara come essere forte ***
Capitolo 7: *** Passo numero sei: impara a farti rispettare ***



Capitolo 1
*** La via dell'immortale ***


 
 
Otto passi e mezzo all'immortalità





Clove Reen, 6 anni
 



Mamma è morta d’inverno. Colpa di una malattia, dice papà, ma se quella malattia avesse tentato di uccidere me io non glielo avrei certo permesso. Mamma era debole, e ora è morta: presto il suo nome sarà inciso su una lapide, sola e dimenticata, tra i tanti caduti del Distretto 2.
Non piangerò per la mamma. Non piangerò mai. La verità è che sono arrabbiata, perché non ci ha nemmeno provato a restare in vita, la stronza. E io glielo avevo chiesto, certo che glielo avevo chiesto.
 
— Mamma, ti prego, non morire!
— Clove, non avere paura per me. Io vivrò sempre dentro il tuo cuore.

 
Ed è pure una bugiarda, la stronza. Non importa se papà non vuole che la insulti: mamma è stronza. E sono così arrabbiata con lei che tiro un pugno contro il muro, perché un fantasma non lo puoi prendere a cazzotti. E poi ne tiro ancora un altro, e un altro ancora, e ora le nocche sono sporche di sangue, ma io voglio solo farle del male. 
Papà spalanca la porta della stanza, stringendo a sé il piccolo Jace. Nei suoi occhi leggo paura, sconcerto e rabbia, ma non me ne importa, non mi importa di niente.
— Clove, smettila!— grida, appoggiando Jace sul letto e provando ad abbracciarmi da dietro. — Clove, basta, calmati, calmati!
Ma io non voglio calmarmi! Io sono arrabbiata, arrabbiatissima! Però papà è più forte di me, riesce a tenermi bloccata. Ora sono arrabbiata anche con il mio piccolo corpo, troppo debole e troppo stanco, come la mamma.
— Lasciami stare!— grido, ma ormai non c’è più nulla da fare. Mi abbandono contro il suo petto, piangendo lacrime di rabbia e impotenza.
— Clove…— cerca di parlare lui. — Clove, perché l’hai fatto?
— La mamma è una stronza. Se n’è andata, non esiste più. Ci ha lasciato!
— Tesoro mio…— ora il suo sguardo crucciato pare comprensivo, complice. Mi solleva da terra e mi trascina verso il divano, lasciando che io mi accoccoli contro il bracciolo.
— Piccola, mamma non ha potuto fare altro. Lei non era una persona immortale.
— È colpa sua.
— Sì, è colpa sua. — dice lui — Mamma non è mai voluta diventare una persona immortale. Io lo sono, zia Tyria lo è, tua madre no.
— Io sono immortale?
— Non ancora. — risponde. — Ma puoi diventarlo.
— E come?
— Ci sono nove cose che devi assolutamente fare. Nove traguardi da raggiungere. Dopo, se anche il tuo corpo morirà, Clove Reen esisterà per sempre.
Io mi alzo in piedi; sento il corpo leggero, di nuovo vivo.
— Quali sono questi nove passi? 




Bacheca dell'autrice


Questa fic partecipa al contest "Origami"; consiste nel raccontare la storia di una persona fragile, sulla base di alcuni prompt. E allora pensa, e ripensa, e ripensa, ed ecco la soluzione: il personaggio fragile è Clove, e ora vi racconterò perché. 

 

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Capitolo 2
*** Passo numero uno: impara a non piangere mai ***



Passo numero uno: impara a non piangere mai




Clove Reen, 6 anni



Sto per piangere?

Tirare pugni contro il muro fa davvero molto male. Ora le nocche sono tutte rosse e sbucciate, ma non penso più alla mamma. Papà dice che devo imparare a non piangere, è il primo passo, la via dell’immortale.
Ho scoperto che il dolore fisico posso sopportarlo molto meglio di certi brutti pensieri. Non piango mica per qualche nocca sbucciata, figuriamoci! È che la mamma è morta, mi ha abbandonato e Jace parla sempre di lei, gli altri bambini mi prendono in giro e io non ce la faccio più.
Sto per piangere? Un pugno contro il muro.
E, Dio santo, come vorrei avere la forza di lottare! Vorrei ridere e scherzare e guardare la foto della mamma senza sentire il bisogno di strapparla, sistemarla e strapparla di nuovo! Vorrei abbracciarla e chiederle perché se ne sia andata così, perché non è voluta diventare immortale. Non mi voleva abbastanza bene, forse.
No! È una lacrima, Clove? Pugno contro il muro, pugno contro il muro, maledizione!
Non fa abbastanza male. Ci sono volte in cui niente riesce a fare abbastanza male da permettermi di dimenticare.
Il pugno lo tiro contro lo specchio, ora. Sono sette anni di guai e mille frammenti di vetro tra il pavimento, il letto e la mia mano. Sento dolore, tanto dolore, e l’odore del sangue, della carne, di me.
Ecco, ora fa abbastanza male. 



Bacheca dell'autrice


Passo numero uno: impara a non piangere mai. Clove qui ha ancora sei anni, perché il dolore per la morte di sua madre va affrontato di petto. 

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Capitolo 3
*** Passo numero due: impara a non chiedere aiuto ***





Passo numero due: impara a non chiedere aiuto




Clove Reen – 7 anni

 
 
— Non ho bisogno di te. Vattene via.
— Ma Clove, io…
— Ho detto vattene!
Trent non se ne va. Sapevo già che non mi avrebbe lasciata da sola. 
La verità è che avrei davvero bisogno di lui, ora. Non sarei dovuta salire così in alto, ma i bambini più grandi sono già tutti bravi ad arrampicarsi, volevo solo provarci pure io.
— Tu hai le gambe troppo corte!— mia aveva detto Trent, prima. Aveva ragione, per salire avevo dovuto saltare su per i rami e ora sono abbastanza in alto da non vedere più le panchine. Arrischiarmi a penzolare nel vuoto sarebbe pericoloso, ma non posso proprio accettare l’aiuto di Trent. Lui ha dieci anni ed è già bravo, non voglio che si creda migliore di me.
Chiudo gli occhi e mi lascio calare giù. Tra le mie gambe e il ramo successivo ci saranno cinque centimetri buoni di vuoto. Non posso negare di avere un po’ paura, ma non permetterò certo a Trent di darmi una mano, nossignore!
Con tutto il sangue freddo che posso, mollo la presa. E riesco ad afferrare l’altro ramo.
— Clove! Stai bene?
— Certo che sto bene!— rispondo, felice. — Cosa pensi, che possa sbagliare?
Ora mi sento più sicura, salto da un ramo all’altro con flessibilità, come uno scoiattolo, ne vado fiera. All’ultimo, però, perdo la presa e scivolo di spalle. Urto un paio di rami, poi ruzzolo sull’erba, con la gamba destra che brucia e le spalle pesanti. Vorrei piangere, ma ho imparato che a piangere sono solo i deboli. In certi momenti mi piacerebbe proprio non essere più la forte e invincibile Clove.
— Cosa ti sei fatta? Hai male? Clove!— Trent sta ancora scendendo dall’albero, non può aver già notato la ferita. La copro con i pantaloni, poi mi alzo in piedi, sicura e fiera.
— Non fare il cretino, è stata colpa della rugiada se sono caduta. E non mi sono fatta niente, ovvio!
Non so se ci crede davvero, ma poco importa. Posso fare a meno della sua gentilezza, della sua disponibilità, della sua amicizia.
E no, non ci resto affatto male quando vedo che se ne va. Non mi interessa, mica ho bisogno di lui, io.
Così torno sola e zoppicante a casa, salvaguardando me stessa e i miei valori. Papà sarebbe proprio fiero di me. 




Bacheca dell'autrice

Tra quelle scritte fin'ora, forse questa flash mi ispira meno. Però è importante anche che Clove impari a bastare a se stessa, quindi...

 

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Capitolo 4
*** Passo numero tre: impara a non sentire bisogno di affetto ***


 

Passo numero tre: impara a non sentire bisogno di affetto




Clove Reen – 8 anni

 
 
La collina è tanto alta che riesco quasi a vedere l’intero Distretto. Lo chiamano “colle dei mille papaveri” o “terra di innamorati”. Beh, oggi non ci sono innamorati, sulla collina. Sono sola.
So che non troverei mai il coraggio di ammettere perché io sia qui ora. La verità è che forse avrei voluto vederli, quelli innamorati.
L’amore mi evita come la peste, ma la colpa è tutta mia: ho scelto io di non guardare più in faccia nessuno, di rifiutare la loro amicizia, il loro affetto. Papà mi ha dato questo consiglio per diventare forte, poi però si è arrabbiato con me quando ho iniziato a prenderlo sul serio.
— Ora esageri Clove, sono tuo padre! Non puoi rifiutarti anche di toccarmi!— è colpa mia, lo so che è colpa mia, ma penso sia meglio così. Io non ho bisogno di nessuno.
È così che diventerò importante, sarò invincibile, grandiosa, tutti mi conosceranno. La mia tomba diverrà un mausoleo immenso; passeranno anni, e tutti ricorderanno il mio nome. Jace, i miei figli, non piangeranno per me: riuscirò a diventare tanto forte da vincere ogni battaglia.
Rifiutare gli abbracci di mio padre fa parte di quella forza. Bisogna avere il coraggio di vivere da soli, ecco tutto: devi essere davvero debole per sentire il bisogno di affidarti all’amore di altri.
Però oggi sono qui, sulla collina dei papaveri, ad aspettare che due giovani innamorati mostrino al mondo la loro deliziosa debolezza. E invece non c’è nessuno.
Mi stendo sul prato, con lo sguardo rivolto al cielo. Che cosa vuol dire, poi, bastare a se stessi? Cosa rimane ad una persona, se togli al suo spirito l’affetto di un padre, di un fratello, l’amicizia sincera dei suoi compagni, il desiderio di amare?
La solitudine, ecco cosa. È per questo che oggi sono qui, stesa sul prato erboso di un colle dimenticato, nell’aria fresca del mattino, con il cielo che mi guarda. Ora credo di capire cosa sia davvero la solitudine.
La solitudine è ascoltare il vento è non poterlo dire a nessuno.


Bacheca dell'autrice

L'ultima frase dovevo metterla come citazione necessaria per il contest cui sto partecipando, non è mia. Comunque, ecco la piccola Clove, ancora un po' più cresciutella. 

 

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Capitolo 5
*** Passo numero quattro: impara a non avere paura ***


 

Passo numero quattro: impara a non avere paura




Clove Reen – 9 anni

 
 
Un fulmine squarcia il cielo, la pioggia batte contro la finestra. Non sono mai riuscita ad ammetterlo, né mai lo faro, ma ho paura.
Nei giorni di tempesta vorrei poter godere del conforto di mio padre, ma ho promesso a me stessa che sarò forte, che riuscirò a non avere più paura. Di solito mi rannicchio sul fondo dell’armadio, protetta da un folto strato di giacchette, ma oggi la tempesta pare quasi ruggire più forte del solito e io non resisto alla tentazione di muovere mezzo passo verso la camera di papà.
Sulla sua soglia, l’esile corpicino di Jace bussa con insistenza. Lo vedo così, ingobbito sotto il peso della paura, con il pupazzo di Mr Doggy stretto al petto. Poi papà apre la porta, gli dà una carezza sulla fronte, lo prende in braccio e ora Jace sorride, sollevato. Se lo porta in camera – sapevo che se lo sarebbe portato in camera. Dormiranno abbracciati, questa notte, ma io non sono gelosa, non posso essere gelosa. Io devo vincere la mia paura.
Ed è con questa folle consapevolezza che striscio i piedi fino alla porta di casa. Ogni tanto sento il clamore di un tuono, i vetri vibrare, ma faccio forza su me stessa per non tornare indietro. È giunto il momento di porre fine alla mia tortura.
Apro la porta di casa con riluttanza e vengo interamente travolta da una tempesta d’acqua e grandine. L’ennesimo tuono mi spinge a fare un paio di passi indietro, ma, con le lacrime agli occhi, decido di mettere da parte tutto quello che sento e mi costringo a uscire. Un paio di passi per strada e sono sotto la tempesta, con il vento che fa forza per spingermi via, l’acqua che m’inonda le vesti e un freddo talmente pungente da non riuscire più a sentire bene le dita dei piedi. C’è rumore, sotto la tempesta. Non solo il ruggito di un tuono rombante – e ce ne sono molti, davvero molti -, sento l’aria, gli alberi, finestre che sbattono, cancelli che cigolano, percepisco la gloria di un caos primordiale, la libertà. E rido, certo che rido. Lo stesso caos che vive in me.
— Clove! Cosa stai facendo là fuori? Entra, entra subito!
Quasi non sento la voce di mio padre. Ora siamo soli, io e la mia tempesta.
Ho una gran voglia di danzare. 



Bacheca dell'autrice

La nostra Clove cresce in fretta, si impone di diventare forte. Ha coraggio, senza dubbio, ma senza coraggio non avrebbe potuto prendere questa strada. Sarà stata la scelta giusta, poi? Rinunciare all'affetto di suo padre, rimanere sola, soffrire sotto il peso di una burrascosa tempesta? 
Purtroppo tutti sappiamo come si concluderà questa fiction e, devo essere sincera, mi dispiace sinceramente. Doppo tutto quello che le sto facendo passare...

 

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Capitolo 6
*** Passo numero cinque: impara come essere forte ***






Passo numero cinque: impara come essere forte




Clove Reen - 10 anni


— Ed è per questo che l’Accademia di Preparazione agli Hunger Games, nel distretto 2, è la più prestigiosa di Panem. Spero che ciascuno di voi un giorno possa vedere il proprio nome inciso sulla parete delle glorie, tra i ventiquattro eroi che hanno già varcato i confini dell’immortalità. E che la fortuna sia sempre a vostro favore, futuri vanti del Distretto!
Mi ritrovo coinvolta nell’applauso al preside, sollevata e fiduciosa. Essere ammessa all’Accademia è stato molto più difficile di quanto avessi immaginato: testano la volontà, la capacità di giudizio, l’ubbidienza, la forza fisica e morale. È una vera fortuna avervi potuto accedere già dal primo anno, i professori tengono sempre in gran considerazione quelli come me.
Il Signor Thompson, nostro futuro insegnante, scorta me e i miei nuovi compagni per i corridoi dell’Accademia. I dormitori, divisi tra maschi e femmine, comportano una media di quattro persone a camera, due bagni per ala. Le stanze sono spoglie, tristi e buie – è vietato affiggere sui muri poster, fotografie, cartoline colorate e post-it. In Accademia si indossano le divise, si seguono orari molto rigidi, si mangiano modeste porzioni di sbobba in una mensa fredda e silenziosa, ma, a parte questo, è tutto esattamente come l’avevo immaginato.
Quando il Signor Thompson raggiungere l’ala addestramento, ecco, è qui che mi sento morire: dieci palestre spaziose e modernamente attrezzate. All’interno vedo studenti picchiare manichini, innescare bombe a mano, tirare con l’arco, maneggiare armi. Ma la vera meraviglia, per me, sta  nell’ultima palestra.
Decine e decine di ragazzi che lanciano coltelli. Sottili lame di luce che sferzano l’aria e mozzano gole. Ne rimango talmente affascinata da non accorgermi subito che il Signor Thompson e gli altri miei compagni hanno già lasciato la postazione.   
— Ti piace lo spettacolo?— sento poi chiedere. Sullo stipite della porta, un ragazzino biondo e spettinato mi scruta con divertita insistenza.
— Certo, o non sarei qui. — rispondo. — Ma a te cosa interessa?
Il ragazzo mi porge una mano, sorridendo. — Il mio nome è Cato, e mi interessa tutto quello che succede in casa mia. — dice poi. 
Ricambio la stretta. — Il mio nome è Clove, e sono qui per imparare come essere forte.
Il ghigno di Cato sa di malata approvazione.   



Bacheca dell'autrice

Prima che pensiate male, l'incontro di Cato e Clove ha un suo perché. Non ve lo spiego subito perché rischierei di spoilerarvi qualcosa sul passo numero sei, ma quando aggiornerò capirete. Intanto, spero che questo semplicissimo capitolo vi piaccia, serviva qualcosa che dimostrasse la sua ammissione all'Accademia prima di parlare degli Hunger Games. 


 

 
 

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Capitolo 7
*** Passo numero sei: impara a farti rispettare ***


 

Passo numero sei: impara a farti rispettare




Clove Reen - 12 anni



Finché non compi dodici anni non sei niente, e se non ci sai fare sarai un niente per tutto il resto della vita. I veri allievi stanno solo con i veri allievi, chi non ce la fa rimane carne da macello.
I primi mesi in Accademia mi sono vista spesso con Cato, ho quasi avuto l’impressione stessimo diventando amici. Lui è come me, in corsa per l’immortalità, non cerca affetto, solo gloria. Invece, quando ha compiuto dodici anni, dopo aver vinto la sfida, sono improvvisamente diventata niente pure per lui.
— Ti aspetto — aveva detto.
Ormai sono passati quasi due anni e credo proprio abbia smesso di aspettarmi, ma non me ne curo: cerco l’alleanza di un compagno, non la sua amicizia. Qui da noi è normale trovare subito un compagno per gli Hunger Games, un qualcuno di cui ti puoi fidare, con cui sai di riuscire a lavorare bene insieme. Prima, però, bisogna imporsi come tributo degno. L’unico modo per farlo è vincere la sfida.
È il giorno del mio dodicesimo compleanno, oggi decideranno se accettarmi o meno tra i veri allievi dell’Accademia. Una commissione di quindici studenti volontari avrà il compito di valutare la mia performance nella Scatola.
Non avevo mai visto la Scatola prima, è un centro di simulazione virtuale, spaventosa nella sua magnificenza, meravigliosa nella sua pericolosità. I Grandi continuano a ripetere che dovrei stare calma, agitarsi non porta a nulla, bisogna respirare, distendere i nervi. Tutto inutile: io nervosa non lo sono per niente, anzi! La Scatola, i giudici, le loro aspettative… piccolezze, quel che voglio io è l’immortalità, al resto non bado.
Entro nella Scatola – grigia, buia e vuota. Entro nella Scatola e so di poter vincere. Ogni certezza viene meno solo quando, due secondi dopo l’attivazione, mi si scaglia contro la prima freccia virtuale. Provo a spostarmi, vengo colpita di striscio, e ora capisco perché tutti odino la Scatola: non perdo sangue, ma sento il dolore.
Per la seconda freccia sono preparata: evito il colpo, giro di lato e mi butto a terra. La Scatola reagisce circondandomi di manichini armati che, uno dopo l’altro, provano a colpirli.
Credo di comprendere perché non tutti riescano a superare la sfida, ma io sono Clove Reen, io non posso fallire. E non fallisco. Dodici minuti di lotta sfrenata e la Scatola si spegne.
Vittoriosa, vengo travolta da un meraviglioso applauso: decine e decine di spettatori che, giuro, prima non erano presenti. Ho conquistato il loro rispetto, la fiducia dei miei compagni; si congratulano con pacche sulla spalla, batti-cinque e abbracci. Poi sento qualcuno prendermi per il posto e stringervi attorno un bracciale metallico. Non devo neanche portarlo agli occhi per immaginare cosa sia: il bracciale dell’alleanza. Qualcuno mi ha scelta come compagna per gli Hunger Games.
— Avevo detto che ti avrei aspettata. — sento sussurrare.
In un piccolo, buio angolo di questo cuore nero e duro, forse ci avevo sperato.
  



Bacheca dell'autrice


Il ritardo per questo aggiornamento deriva dal fatto che come capitolo non mi piace affatto. L'ho scritto e riscritto decine di volte, ma sono entrata ora in periodo "blocco dello scrittore" e non ci posso fare nulla. Qualsiasi consiglio è ben accetto.
Per quanto riguarda la trama...immagino vi abbia stupito. La mia visione dell'Accademia è assai stramba, ma ho le mie ragioni. 
Un tributo uscito vincitore dagli Hunger Games vuol dire soldi e fama per il Distretto, quindi un Distretto favorito cerca sicuramente di organizzarsi al meglio. E questa secondo me è la migliore organizzazione possibile. I tributi possono entrare nell'Accademia dai dieci anni solo se mostrano già una certa predisposizione, gli altri sono ammessi a partire dagli undici, ovvero poco prima del possibile sorteggio. Un bimbo fino a che possibile dovrebbe concedersi pure l'educazione scolastica tradizionale, quindi, prima dell'Accademia, tutti a studiare matematica, italiano, storia e scienze. 
Poi, secondo me un Distretto ben organizzato dovrebbe proporre tributi in gamba. Meglio, dovrebbero mandare nell'Arena i migliori. Quindi credo che sia logico far decidere all'Accademia i volontari di ogni edizione...però in una situazione del genere sono convinta che molti diciottenni esclusi, dopo sette anni di duro allenamento, piuttosto che vedersi mandare a casa preferirebbero offrirsi per turni che non sono i loro.
Per quanto riguarda la scelta preventiva del compagno, anche questa ha un suo scopo funzionale: due tributi che crescono lavorando insieme sono molto più utili di due possibili sconosciuti che rischiano di farsi guerra.


 

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