Heart-shaped box

di Helpthesubmarine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Storia di un inglese che voleva un the e trovò un lavoro ***
Capitolo 2: *** Storia di una scommessa e di un concerto ***



Capitolo 1
*** Storia di un inglese che voleva un the e trovò un lavoro ***


Non era molto entusiasta di quel viaggio, perché era stato costretto a lasciare la sua cara Londra  - e ad abbandonare la sua vita abbastanza tranquilla – per trasferirsi proprio in America, più precisamente a Seattle. Aveva preso la decisione qualche settimana prima, considerando che una band che suonava principalmente grunge in Inghilterra non avrebbe avuto molto successo, specialmente in quegli anni.
Non che pensasse davvero di riuscire a sfondare e che le canzoni del suo gruppo diventassero hit nazionali, sia ben chiaro, ma sperava con una buona parte di se stesso di riuscire a combinare qualcosa, in una città non sua, appartenente a gente che non poteva vantarsi di aver dato inizio ad uno dei movimenti musicali più importanti degli ultimi trent'anni.
 
E questo, in piccola parte, riusciva a farlo sentire più sicuro e fiducioso nei confronti della sua band. Ci sarebbero state molte cose da sistemare, dal budget per ogni eventuale tour all'accordatura di ogni singolo strumento. Perché ci teneva che tutto fosse preciso in casi come quelli. L'ordine era fondamentale, lo ripeteva spesso tra sé e sé mentre pizzicava le corde alla sua fedele e un po' malconcia Mustang, che l'aveva accompagnato per anni. Era la chitarra a cui più era affezionato, e amava il suo timbro, che sentiva in armonia con la sua voce.  
  
                                                                                   *
 
Recuperata la valigia, decisi di incominciare a esplorare il luogo, insieme agli altri. Eravamo solo tre, la formazione di una band che si rispetti: un bassista, un batterista e un chitarrista. Era il minimo per fare musica seria, e a me andava bene così. Vedere quei gruppi composti anche da sette persone mi dava il voltastomaco, erano solo aggiunte inutili.
Trascinandomi gli altri due dietro, facemmo un lungo giro per osservare dove avremmo vissuto da quel momento in poi. Era stupefacente: una città piena di meraviglie, ma non sfarzosa o esagerata, semplicemente si riconosceva lo stile che si celava anche nell’animo delle nuove generazioni che avevano influenzato tutto quanto. Francis non era molto meravigliato, continuava a ripetere che lui avrebbe potuto costruire città migliori, o cose così. Il solito vanitoso, dissi tra me e me trattenendo un sorriso. Peter invece osservava tutto come se non avesse mai viaggiato, ma si poteva capire il suo stupore dato che sognava da anni di visitare quella città. Il primo giorno trascorse abbastanza tranquillamente, alla fine.
Evitai i commenti dove disprezzavo tutto il caos e dicevo di preferire la tranquillità inglese e il mio the, e le solite cose. Forse era solo perché ero stanco. Andai a dormire abbastanza presto, in fondo era stata una giornata come le altre. Francis mi svegliò come al solito molto presto. Non che la cosa mi desse fastidio, mi faceva piacere essere in orario la mattina per poter organizzare tutto quello che c’era da fare il giorno. Ma era il modo in cui mi svegliava che mi dava su i nervi.
-Mon amour, svegliati! Forza, sono già le otto, non vuoi il tuo the?-
Era fastidiosa la sua insistenza nel chiamarmi in quel modo, nonostante gli avessi fatto capire molte volte che lui non mi interessava. Mi alzai davvero imbronciato, ma un ragazzo con i capelli completamente in disordine, gli occhi di un verde incredibilmente verde ancora impastati di sonno e un pigiama con gli arcobaleni poteva solo dare l’impressione di un bambino un po’ arrabbiato con la mamma perché non le aveva preparato latte e biscotti per colazione. Andai verso la cucina, dove notai che Francis era già vestito e tutto. Nel suo stile elegante ma trasandato allo stesso momento. E quella scena mi colpì davvero un sacco. C’ero io, in pigiama, arrabbiato come un matto per l’ennesima volta che quel francese da due soldi mi chiamava con qualche appellativo smielato, fastidioso e inopportuno, in un appartamento a Seattle, mentre lui preparava delle stupide crepes che io nemmeno avevo mai sopportato.
E pensai: ‘’Questo è l’inizio della mia nuova vita? Sul serio?’’
Mi rassegnai in poco più di due minuti e presi posto al tavolo. L’altro non smetteva di guardarmi, tanto per cambiare. C’era il giornale sul tavolo, chissà chi l’aveva comprato. In prima pagina c’era una notizia riguardante il nuovo album dei Nirvana, una di quelle band tanto in voga al momento che stavano creando quel nuovo genere musicale che adoravo suonare. L’articolo diceva che aveva raggiunto il primo posto il classifica surclassando vari album, e che la cosa aveva sorpreso molti critici musicali e cose così. Fui sorpreso anch’io per il fatto che parecchi l’avevano recensito come uno dei migliori album del proprio genere. Mi chiedevo spesso, dopo aver letto o sentito parlare di altri gruppi che avevano conquistato le hit nazionali, come avremmo potuto diventare una band con un po’ di successo come loro.
-C’è qualcosa che non va?- Si rivolse a me un po’ preoccupato.
-Uh, no nulla, tranquillo.- Prese a toccarmi le guance con un dito, sapendo che mi dava fastidio.
-Sicuro?-
-Sì, e ora potresti lasciarmi in pace?- Risposi rivolgendogli uno dei miei sorrisi omicidi che l’avevano sempre fatto fuggire via. Mi guardò per un secondo prima di rivolgersi a Peter che si era appena svegliato.
-Oh, buongiorno!- La sua voce spesso dava fastidio, specialmente perché impregnata di quell’accento fastidioso. E l’avrei ucciso o preso a schiaffi ogni volta che parlava, ma non si addiceva a una persona composta come me. No, decisamente.
-Cosa c’è per colazione?- Non si degnò nemmeno di salutarci. Dopotutto per lui erano altri i pensieri che occupavano spazio nella sua mente. Peter era un ragazzino, con pochi anni meno di Francis. Ma era piuttosto infantile. Tuttavia, il suo carattere li permetteva di essere allegro ed energico, insomma la persona ideale per suonare una batteria.
                                                                                     *
Erano le dieci e venti del mattino circa, e mi svegliai dopo non molte ore di sonno. La sera prima ero rimasto a fare gli straordinari al lavoro, e non ricordavo nemmeno l’ora a cui ero tornato. Dovevano essere le due, a giudicare dal sonno che avevo in quel momento. Cercai di svegliarmi e mi diressi al frigorifero per cercare qualcosa con cui fare colazione. Ero solito andare al McDonald per fare colazione, ma non ce l’avrei mai fatta in tempo a prepararmi e tutto il resto. Trovai un sandwich con so neanche cosa che doveva avere circa due giorni, ma non aveva davvero un brutto aspetto. Lo finii in fretta, perché dovevo andare a lavoro. Ero già in ritardo di dieci minuti.
Lavoravo ad un locale, uno di quelli dove la gente entra per l’alcool e rimane per la musica. Uno di quelli per gente interessante, dove a volte trovavi anche i pezzi grossi che lasciavano la mancia abbondante per noi camerieri. Il mio capo era un tipo molto simpatico, un po’ volgare. Si chiamava Gilbert. Se riuscivo a rimanere anche dopo il mio turno – e lo facevo almeno due volte a settimana – mi aggiungeva fino a sessanta dollari in più alla busta paga.
Arrivai in ritardo di quaranta minuti. Ovviamente andai a piedi, non potevo ancora permettermi una macchina. Fingevo sempre di essere arrivato in orario inventando qualche scusa come ‘’ero nello sgabuzzino a ordinare le scope’’ o roba simile, e mi organizzavo persino con i miei colleghi di lavoro che stavano al mio gioco. Ma non se la bevevano nella maggior parte delle volte.
Era piuttosto noioso stare lì la mattina, e mi ritenevo fortunato a non dover arrivare alle sei. C’era da far andare via tutti gli ubriaconi che si erano addormentati durante gli spettacoli che finivano a quell’ora, e mettere in ordine. Il mio orario era davvero fantastico, di solito prendevo un fumetto e iniziavo a leggerlo, a volte riuscivo persino ad addormentarmi senza che nessuno protestasse. Non c’erano clienti o quasi, al massimo le band che incominciavano ad arrivare per prepararsi agli spettacoli che sarebbero incominciati verso le due del pomeriggio. Sembrava una giornata piuttosto tranquilla.
-Salve, potrei prendere qualcosa?-
Sussultai leggermente. Ero completamente concentrato nella lettura di un’avventura tra supereroi; leggevo quella roba da quando avevo poco più di sette anni, e ci ero cresciuto.
Diedi un’occhiata al cliente. Un ragazzo intorno ai diciannove anni, alto all’incirca quanto me, capelli biondo chiaro in disordine totale, occhi davvero molto verdi, sopracciglia spesse e sul viso un’aria corrucciata. Era decisamente inglese, si poteva capire anche dall’accento. Mi diede subito una buona impressione e sorrisi.
-Allora? Mi sta ascoltando?-
-Uhm, sì. Cosa vuoi di bello?- Sembrava sorpreso che gli avessi dato del tu. Magari era abituato ad altri modi.
-Si può avere un the?-
-Un the?- Non che la richiesta mi stupì più di tanto, è che ero mi preoccupavo al fatto che probabilmente non gli sarebbe piaciuto quello che preparavamo.
-Sì, grazie. Caldo, senza zucchero. Con il limone.-
E dove glielo andavo a prendere un the al limone in piena Seattle?
-Puoi aspettare un minuto?-
-Certo.-
Non sapevo minimamente come dirgli che non potevo servirgli quello che mi chiedeva. Cioè, avevamo una macchina dove preparavamo il caffè e tutto, ma non che avesse un buon sapore il the. Non poteva competere con quello fatto con un bollitore e la bustina. Pensai cinque minuti buoni a come avrei potuto salvarmi da quel guaio. All’improvviso mi venne un’idea fantastica: il capo nel suo ufficio aveva delle bustine da the, in caso gliene fosse venuta voglia. E potevo perfettamente preparare del te all’inglese senza che si lamentasse per il sapore. Dovevo solo essere fortunato e riuscire a non trovare il capo in ufficio, altrimenti mi avrebbe fatto a fettine.
Entrai silenziosamente, spingendo piano la porta. Feci un sospiro di sollievo quando notai felicemente che la stanza era vuota. Presi una bustina di the dal cassetto, sperando che bastasse per dare un buon sapore alla bevanda. Era una delle poche volte che preparavo il the in tutta la vita, e non ero la persona da stare attenta mentre cucinava. Presi un bollitore, aspettai che l’acqua arrivasse alla temperatura giusta e misi la bustina dentro. Dopo qualche tentativo, dove mi scottai anche un dito grazie alla mia incredibile capacità di combinare guai anche semplicemente respirando, riuscii a riempire una tazza. Pensai che l’inglese doveva star aspettando da decisamente troppo tempo, e corsi subito a portargli ciò che aveva chiesto. Lo trovai mentre litigava animatamente con un altro ragazzo, che sembrava un po’ più grande di lui. Appena mi videro l’altro disse qualcosa e uscì di corsa dal locale. Pensai che doveva essere un tipo assolutamente strano per comportarsi in quel modo.
-Ecco il tuo the.-
-Grazie.- Disse freddo, rivolgendo uno sguardo infastidito alla porta.
-Dimmi un po’, sei inglese?-
-Si nota così tanto?- Sul suo viso c’era un’espressione sinceramente spaventata che mi fece sorridere.
-Ma no, è che di solito nessuno ordina del the in piena Seattle, però se devo essere sincero, dal tuo accento si nota!- Risi di gusto mentre l’altro sorseggiava la bevanda non mi rivolgeva una delle sue migliori espressioni. Ci furono due o tre minuti di un silenzio terribile, mentre ci scambiavamo occhiate all’apparenza senza motivo.
-Quant’è che ti devo?- Chiese all’improvviso, e sobbalzai leggermente per il silenzio che era stato interrotto.
-Sono sessanta cent!-
-Oh, così poco? Comunque, ecco qui.- Posati i soldi sul bancone, pensai che sarebbe andato via, ma dovevo pensare a qualcosa per farlo restare.
-Chi era il tipo con cui litigavi prima?-
-Uh, Francis? È il bassista della mia band, a vol… ma che dico, è perennemente insopportabile e litighiamo ogni giorno.-
-Wow, hai una band? E avete in programma qualche concerto prossimamente?-
-Veramente siamo qui solo da ieri e dovevo informarmi in settimana apposta per questo, vorremmo trovare qualche locale dove poter suonare.-
-Qual è il tuo nome, inglesino?- Il tono con cui lo dissi gli diede non poco fastidio, e si notò.
-Arthur. Arthur Kirkland.-
-Beh, io mi chiamo Alfred Jones, e lavoro in questo locale, dove se non te ne fossi accorto c’è un palco fatto apposta per i gruppi emergenti che vogliono esibirsi! Ti immagino già a suonare qui quasi ogni sera! Magnifico!- Si guardò intorno, notando finalmente tutto ciò che non aveva notato prima. Sorrise leggermente, quasi di nascosto.
-Con chi devo parlare per poter sapere se è possibile suonare qui?-
-Oh, tranquillo! Penserò io a tutto, e vedrò anche di mettere una buona parola per te. Puoi tornare domani sera così posso dirti quando potete presentarvi tu e la tua band. Come vi chiamate?-
-Oh beh, siamo i Black Swallows. E grazie.-
-Penso che potrai tornare anche questa sera, magari con la tua band al completo. Ci si vede quindi!-
-Arrivederci.- E si diresse verso la porta, chiudendola alle sue spalle. Pensavo di aver fatto bene ad essere stato gentile con una persona che cercava lavoro, pensai. Ora bisognava solo aspettare che il capo tornasse per chiedere se c’era possibilità per una nuova band, per giunta inglese. Probabilmente avrebbe risposto sì, anche perché in Inghilterra si suona un tipo diverso di musica e tutto il resto.
                                                                                     *
Mentre camminavo pensavo a quanto fosse stato facile trovare un posto dove suonare. Credevo che avremmo dovuto girare in lungo e in largo, invece la risposta a tutti i problemi stava a poco più di cento metri da casa. Mi guardavo intorno. Per essere gennaio, c’era un sacco di gente in giro. Famiglie, ragazzi che parlavano a voce un po’ troppo alta, bambini, tutti accomunati dal pensiero del nuovo anno che cominciava. A me non importava molto, un giorno era come un altro. Si doveva pensare a scrivere canzoni, provare a suonare qualcosa insieme e racimolare abbastanza soldi con i concerti per vivere. O almeno era così da quando ero stato licenziato. Prima lavoravo in un negozio di dischi. Era bello, perché avevo a che fare con un sacco di ragazzini appassionati principalmente di musica rock. Quella che io preferisco. E poi a volte mi era permesso di prendere dei vinili che mi piacevano. Finché un giorno risposi male ad un cliente. E venni sbattuto via.
-Ah, sei tornato.- Francis era piuttosto freddo. Stava seduto vicino al tavolo con una sigaretta accesa tra le dita. Era elegante perfino quando fumava.
-Abbiamo un posto dove suonare.-
-Scherzi?-              
-No, per niente. Il tipo di quel locale mi ha detto che avrebbe messo una buona parola per farci esibire. Mi ha detto di tornare questa sera così potrà dirmi se c’è posto oppure no. Spero davvero di poter suonare lì al più presto.-
-Ah beh, è stato facile allora. Complimenti.- Probabilmente era ancora arrabbiato per prima, ma non mi interessava. Era stata tutta colpa sua se il the mi si era rovesciato addosso. E se avevamo litigato e tutto il resto.
-Dovremmo provare qualche canzone, altrimenti cosa suoneremo? Forza, Peter anche tu, sbrigati!-
La stanza dove dovevamo suonare era insonorizzata -più o meno, avevamo fatto del nostro meglio- e piuttosto spaziosa. All’inizio doveva essere una camera da letto, ma ci eravamo arresi al fatto che la batteria occupava troppo spazio e che quella stanza fosse l’unica abbastanza grande. Suonare è sempre stato magico per noi. Francis cambiava completamente indossata la tracolla del suo basso. E Peter si scatenava dopo essersi seduto davanti alla sua bella Ludwig. Invece io non cambiavo. Approfittavo solo del momento per esprimere me stesso, quello che sono davvero. E tutti mi facevano i complimenti per la voce intonata, il modo in cui riuscivo a far cantare anche la mia chitarra. E anche per tutto il resto, sempre le solite tiritere che ascoltavo ormai malvolentieri. Ma mai per le emozioni che sembravo non suscitare in nessuna delle persone che ascoltavano la mia musica. Iniziammo a suonare, per un’oretta buona. Litigavamo spesso su cosa c’era da decidere, ma quel giorno sembrava che nessuno avesse voglia di ribattere o simili.
                                                                                 *
Aspettavo che arrivasse Arthur. Non sapevo perché, forse perché volevo essere gentile e dargli la buona notizia. Gilbert aveva detto che le band inglesi erano sempre benvenute, ma solo perché attiravano un sacco di ragazze che non resistevano al ‘’fascino inglese’’ e al loro accento mentre cantavano. Erano le sette e mezza circa, avrei staccato tra non meno di un’ora. E avrei potuto comunque rimanere, sarebbe stato meglio per me. Aspettavo, e servivo i clienti che iniziavano ad arrivare. E aspettavo ancora.
Guardai l’orologio, erano le otto e mezza e ormai era l’ora di andare. Ma l’inglese non era ancora arrivato.
-Ehi capo, rimango anche questa sera!-
-Ma sei già rimasto venerdì e ieri, che ti prende Jones?-
-È che.. ho bisogno di più soldi, ecco.-
-Capisco. Beh, peggio per te!- E si mise a ridere forte.
Erano le dieci circa quando vidi la porta aprirsi e un ragazzo biondo con delle sopracciglia enormi sbucare dall’ammasso di persone che si era formato.
-Oh, scusami, ma non ho avuto davvero tempo! Allora, è un sì?-
-Oh, certo! Dopodomani c’è quasi tutta la giornata libera. Il lunedì non viene quasi nessuno, causa lavoro. A che ora pensate di venire?-
-Beh, possibilmente la sera. Verso le otto c’è qualcuno?-
-No no, tranquillo.-
-Allora arrivederci, e grazie per l’occasione.- Lo vidi girarsi, ma mi venne spontaneo afferrargli il polso. Mi guardò con un’aria stupita quanto irritata.
-Ehm, se avessi bisogno di qualunque qualcosa,- gli porsi un foglietto -qui c’è il mio numero. Puoi chiamarmi quando vuoi.-
-Grazie?- E andrò via di corsa. Avevo preparato del the, rinunciato a dormire di più e dato il mio numero ad un inglese conosciuto poche ore prima.
-Bene, sono impazzito!- Pensai ad alta voce, addossandomi le occhiate di un sacco di clienti. E fu imbarazzante.

 








Spazio dell'autrice
Ah beh, eccomi tornata! Ho voluto cimentarmi in una fan-fic a capitoli questa volta ^^'' naturalmente UsUk <3 Come avete già capito si parlerà molto di musica, infatti anche il titolo è preso da una canzone dei Nirvana :> ho cercato di scrivere più che potevo, perché a me i capitoli proprio corti non piacciono- 
Il rating si alzerà prossimamente, ma per ora ho messo il verde! Non sapevo se dovevo mettere già adesso il rosso ^^'' 
Beh, dopo aver detto tutte queste cose che probabilmente nessuno avrà letto, ringrazio chi leggerà, chi metterà tra le seguite e specialmente chi recensirà! <33
Al prossimo capitolo :DD

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Capitolo 2
*** Storia di una scommessa e di un concerto ***


Mi svegliai assai intontito. Faticai a sedermi sul letto, avevo ancora un sacco di sonno. Aprii gli occhi lentamente, la luce che filtrava dalla finestra quasi chiusa era insopportabile. Guardai per terra e capii perché ero in quelle condizioni disastrose: non una, non due, ma ben tre bottiglie di Jack Daniel’s erano rovesciate sul pavimento, proprio accanto al suo letto. E a quello di Francis. Ovviamente, - pensai - non ricordavo nulla della sera prima. Poteva essere successa qualsiasi cosa imbarazzante, e non sarei riuscita a ricordarla. Pensai che avrei chiesto a uno dei suoi due coinquilini che cos’era successo. Mi chiesi perché avevo bevuto. Era impossibile che avessi bevuto così tanto per uno dei soliti litigi tra me e quell’idiota. Rivolsi lo sguardo al letto vicino al mio: era sfatto, e di Francis nessuna traccia: evidentemente doveva essersi già svegliato. Schizzai in aria quando notai che erano le dieci e mezzo del mattino. Erano anni che non mi svegliavo a quell’orario.
-Mh, ti sei svegliato anche tu allora. Alla buon’ora.-
-Che vuoi? E mi spieghi perché ci sono tutte queste bottiglie vuote qui per terra?- Rise un po’, quel po’ necessario a esprimere il proprio divertimento ma a rimanere vergognosamente eleganti.
-Dovresti saperlo tu, mon amour!-
-What?-
-Lo scoprirai.- Uscì rapidamente dalla stanza, così come ne era entrato.
                                                                                          *
Cercai di concentrarmi per l’ennesima volta al fine di riuscire a metabolizzare che cos’era successo ieri sera. Sì, l’inglese mi aveva chiamato. Sì, sembrava che avesse bevuto non poco. E sì, mi aveva chiesto di uscire, quel pomeriggio, con il pretesto che gli facessi vedere un po’ la città. E avevo accettato. Bene, ero riuscito -più o meno- a realizzare la cosa. Ora c’era solo da passarlo a prendere a casa sua, e decidere dove portarlo. ‘‘Andrà tutto bene, come al solito!’’ O almeno cercavo di convincermene.
                                                                                  
Ero davanti alla porta di casa sua. Infilai le mani in tasca estraendone un bigliettino e controllai l’indirizzo che avevo scritto. Non c’erano dubbi, era casa sua. Era la prima volta che ero così dubbioso e ansioso per un… appuntamento? Scacciai velocemente quell’idea dalla mia mente e bussai alla porta. Sentii qualche rumore di passi e quando la porta si aprì mi ritrovai davanti un Arthur un po’ stropicciato, con indosso un maglione verde pastello con dei fiorellini che mi fece quasi ridere. Aveva un’aria davvero terrorizzata, come se avesse appena visto un mostro. Sbiancò. E mi chiuse subito la porta in faccia.
                                                                                      *
Poggiai la schiena sulla porta e cercai di rendermi conto di cosa avevo visto. Alfred era lì? E perché? Capì che doveva essere collegato a quello che era successo ieri sera, e corse dal francese per chiederli spiegazioni.
-FRANCIS BONNEFOY! Spiegami immediatamente!-
-Cosa devo spiegarti?-
-Cosa diamine è successo ieri sera?-
-Oh, niente! Stavi bevendo, e ti ho sfidato a dare un appuntamento a quel tizio di ieri!-
-Dimmi che scherzi, per favore. Non posso essermi cacciato in questo guaio!- Mi infilai le mani nei capelli, in preda alla disperazione.
-Andiamo, infilati qualcosa di decente e vai da lui, no?-
-... Quando torno facciamo i conti!- Ero arrabbiatissimo con tutti, non ci voleva davvero quest’imprevisto. Non mi ero mai comportato in questo modo, e… gli avevo chiuso la porta in faccia! Mi cambiai velocemente e corsi ad aprire la porta. Mi stupii a trovarlo ancora lì, girato di spalle, a dare colpetti al muro. Si girò di scatto, con il sorriso in volto, sentendo il rumore della porta che si apriva.
-Ah, eccoti!-
-Uhm, scusami per aver chiuso la porta.-
-Tranquillo, non devi scusarti! Come on, ora andiamo in giro per Seattle come avevi chiesto!-
                                                                                  *
Non avevo la più pallida idea di dove andare. C’erano molti posti da vedere, ma non sapevo da dove cominciare. E fu in quel momento che mi venne un’idea, che poi tanto buona non era, per tirarmi fuori dai guai.
-Dove vorresti andare?- Assunse un’aria pensosa, e rivolse lo sguardo alle sue scarpe, per poi guardarmi negli occhi.
-Non saprei, sul serio. Mi basterebbe andare un po’ in giro per le strade, non chiedo molto.-
-Come vuoi!- Sorrisi mentre lui mi guardava come se fossi la persona più strana del mondo.
Incominciammo a vagare un po’ per la città. Ogni tanto gli indicavo qualche edificio, descrivendolo come un luogo importante per la musica, o per la storia, o cose così. Oppure perché ci avevo lavorato, o perché ci lavorano miei conoscenti. Non era molto interessante, dopotutto gli stavo mostrando solo cose noiose, pensai. Ma dovetti ricredermi quando incominciammo a discutere, un po’ di quello che vedevamo, un po’ di noi, un po’ dei nostri interessi.
-E allora, com’è che sei venuto qui?-
-Volevo provare a far fortuna con la mia band, tutto qua.-
-A quanto ho capito la musica deve piacerti tanto!-
-Beh sì, i miei genitori mi hanno passato questa passione e…-
-Dimmi, qual è la tua band preferita?- La domanda lo lasciò un po’ spiazzato.
-Non è il genere di domande da fare all’improvviso!- Ridacchiò, guardandosi intorno. -È difficile rispondere! Comunque, credo i Beatles. Dopotutto, loro sono famosissimi in Inghilterra, e come ti dicevo, i miei genitori me li facevano ascoltare spesso.-
-Mh, sì, capito.-
-Perché me lo chiedi?-
-Niente, curiosità! Che ne dici adesso di andare a prendere qualcosa?-
-Okay.-
 
Nel giro di dieci minuti ci trovammo in un bar qualsiasi. Io presi la cioccolata calda, come al solito. Era sempre ottima, anche in estate in realtà. Mentre mi stupii vedendo l'inglese prendere il suo solito the fuori orario. Le cinque erano già passate. Ci sedemmo ad un tavolino, uno di fronte all'altro. 
-Uh? Perché mi guardi?- 
 
-Niente, è che è buffo vedere che prendi sempre the! Sei rimasto molto legato alle tue tradizioni a quanto pare.-
Spostai gli occhi sulla mia tazza, dove il cucchiaino affondava nella spuma bianca e lattiginosa della panna quasi sfatta. 
-Sì. Non credo che potrei mai rinunciare a ricreare almeno un po' l'aria londinese anche qui. Mi manca già tutto terribilmente, sai.-
E lo guardai di nuovo. Aveva una mano sul volto e gli occhi chiusi. La bocca leggermente piegata in una smorfia di disagio - questo era quello che ero riuscito a interpretare - e nel tutto un'aria vagamente malinconica, ma anche qualcos'altro.
Ma alla fine scacciai i pensieri dalla testa e sorrisi, senza nessun motivo apparente. Credo che questo mi abbia fatto dei perdere dei punti, ma non saprei se sì e quanti.
-Ti ho detto che suonavo in due band fino a qualche tempo fa?- 
-Ah sì? Cosa sai suonare?- 
-Beh, alcuni miei parenti se ne intendono di musica. E hanno insistito sul fatto che "il giovanotto imparasse a suonare qualcosa". E così ho imparato a suonare la chitarra e anche il pianoforte! O almeno ci provo. Ma do del mio meglio suonando la batteria.- 
-Non pensavo sapessi suonare tutti questi strumenti! Complimenti, ti sei guadagnato il mio interesse!- 
-Questo significa che posso chiederti di uscire con me?-  
Si fermò un attimo. Aveva le guance  arrossite, - e damn era buffo - e gli occhi spalancati. 
-W-what?- 
-Intendo, per discutere di musica insieme o simili!- Gli diedi un'amichevole pacca sulle spalle, forse un po' troppo forte, e andai a pagare quello che avevamo preso. Usciti dall'edificio, riprendemmo a camminare, ma notai che teneva la testa bassa.  
-C'è qualcosa che non va?- 
-Sono preoccupato, tutto qui.- 
-Per cosa?- Sapevo essere un abile ascoltatore quando mi andava, e per questo glielo chiesi. 
-Non lo so. A volte ho questa sensazione che qualcosa non vada, che non sia al posto giusto. E inizio a preoccuparmi, perché non so cos'è. Penso che prima o poi finirò per impazzire sul serio. Non so perché te lo sto raccontando, di solito tengo tutto per me e non socializzo molto facilmente. Ma tu mi sembri un tipo OK. E la mia testa dice di fare un'eccezione. È tutto così complicato!.- 
-Ehi ehi, calmati un po'! Non farti prendere dall'ansia. Tranquillo, Arthur. È tutto apposto, davvero. Sei a Seattle, in una stradina verso casa, e c'è l'Hero con te! Non hai nulla di cui preoccuparti.- 
-"Hero"? - 
-Era il mio soprannome quando avevo 10 anni! Mi comportavo da vero eroe, cioè non è che non lo faccia anche adesso. Da allora non me lo sono più tolto.- 
-E dovrei sentirmi al sicuro vicino a questo "Hero"?- Rise lievemente, tanto per prendermi in giro. Lo divertiva, evidentemente. 
-Perché, non ti senti già così? Guarda che io potrei proteggerti da qualunque cosa!- Magari pensò che potevo sembrare un bambino dicendo certe cose, come la maggior parte della gente faceva, ma la cosa non mi toccava minimamente. O quasi. 
-Certo, certo.-
Corse velocemente via, senza nemmeno darmi il tempo di rendermi conto cosa succedesse, continuando a ridere. E mi ritrovai a inseguirlo, urtando gente che mi guardava indignata e ridendo. Era un bel momento, uno di quelli dove ci starebbe bene una foto da mettere in qualche album come fanno tutti con le foto delle feste o simili.
 E decisi che avremmo comprato un album e che l'avremmo riempito di foto, perché ero certo che saremmo diventati buoni amici. 
                                                                                    * 
-Arthùr? Sei tu?- 
 
-Sì.- Risposi seccato, chiudendo la porta.  
-Com'è andata oggi?-
Stranamente non sembrava in vena di scherzi, in quel momento. E ringraziai per questo.  
-Alfred è un tipo simpatico. Pensavo che mi sarebbe andata peggio. Credo che diventeremo amici, sai.- 
-Ah-a, un tipo tranquillo come te e un esaltato che diventano amici per la pelle! Quasi da non crederci!-
Non risposi, ero intento a pensare a tutti i piccoli dettagli della giornata. Mi sembrava sempre importante ricordare tutto di momenti come quelli. Intanto il francese cominciò a parlare, ma non prestavo attenzione a quello che diceva.  
-...Mi stai ascoltando? Pronto?- Mi scosse la spalla, e allora smisi di stare a sentire i miei pensieri per tornare alla realtà.  
-Che?- 
-Ho detto che dovresti ringraziarmi per averti proposto quella scommessa ieri sera! Altrimenti non avresti avuto occasione di conoscere meglio quel ragazzo! Giusto? Inizi già ad abbordare ragazzi, eh? Non vuoi lasciarmene nemmeno uno! Sei crudele, chérie!- 
Aveva assunto la sua aria da spaccone e finto diplomatico, e faceva il finto arrabbiato. Era una scena comica, e risi genuinamente. Lo faceva molte volte quando ero giù di corda e avevo bisogno di qualcuno che mi consolasse. Non che fosse il caso, ma amava più scherzare con me che litigare, anche se è difficile da credere. Ci doveva essere un motivo per cui eravamo amici da anni, no?
Tornai serio in un attimo, cosa che sconvolgeva spesso le persone che mi conoscevano da tempo.
-Sai che domani avremo un concerto, vero?-
-Ovvio che lo so! Non dimentico certe cose così importanti, non prendermi per uno sprovveduto!-
-Dov’è Peter?-
-Mh, parlavate di me?- Era piuttosto inquietante come spuntasse all’improvviso, a volte. Sembrava che ti stesse costantemente spiando.
 
 
                                                                                    *
Stava seduto così, tranquillo, mentre tendeva l’orecchio per sentire meglio il suono della corda che vibrava. Sembrava davvero assorto in quel lavoro a detta sua ‘’di gran precisione’’. Dopotutto potevo capirlo, anche a me dava fastidio uno strumento scordato, ma non avevo quella voglia di perdere tutto quel tempo solamente per un azione del genere. E sorrisi guardandolo.
Mi fermai dal prendere ordinazioni appositamente per guardarli prepararsi. Beh, non che ci fosse molta gente in quel locale a quell’ora. Il più buffo di loro tre era certamente il batterista. Ancora un ragazzino, pensai; non dimostrava più di diciassette anni, con quella statura piuttosto bassa e il corpo gracile. Il bassista, si chiamava Francis o qualcosa di simile. Era completamente diverso dallo strumento che suonava. Cioè, appariva come qualcuno completamente sicuro di sé, e anche piuttosto esibizionista; mentre il basso non ha un suono che viene preso molto in considerazione, nella maggior parte dei casi. La chitarra è quella a cui si danno più attenzioni. Già. E mentre pensavo a tutto questo, una mano si posò sulla mia spalla.
-Eh?-
-Alfred?-
-Sì?-
-Stiamo per iniziare. Volevo ringraziarti da parte di tutti per averci dato la possibilità di suonare qui. Davvero, grazie e..- Lo abbraccia, ed evidentemente lui non se lo aspettava per nulla, perché si irrigidì di colpo.
-W-what? P-perché adesso mi abbracci?- Mi allontanai subito, guardandolo negli occhi.
-Volevo solo augurarti buona fortuna, tutto qui. Anche se forse stiamo prendendo la cosa troppo sul serio.- Mi girai un attimo a guardare la gente che intanto si sedeva, bevendo qualcosa ordinato tanto per poter rimanere nel locale senza essere disturbati dagli altri camerieri che invitavano a uscire chiunque non prendesse nulla. Rivolsi ad Arthur uno dei miei più sinceri sorrisi.
E giurai di averlo potuto vedere arrossire.










Spazio dell'autrice
Uh, salve ;w; eccomi tornata all'attacco con il secondo capitolo di questa storia! Ho deciso di fare qualche cambiamento, per esempio un Francis leggermente più simpatico (?) perché dopotutto non è così odioso come lo descriviamo tutti nelle UsUk. Ho deciso di rendere meno esaltato (????) Alfred per rendere il tutto un po' più realistico; pensateci, non è facile trovare qualcuno che tratterebbe chiunque come qualcuno che conosce da anni x°D e niente, so che è un po' corto rispetto al precedente, ma volevo solo raccontare questi avvenimenti in questo capitolo! Non mi baso sul numero di pagine, ma su ciò che accade in ogni capitolo ^^'' detto questo, grazie a chi leggerà e altri grazie a chi recensirà :D

 

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