Under Falling Leaves

di germanjj
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - the shift ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Titolo: Under Falling Leaves
Autore: germanjj 

Traduttrice: thinias 
Beta per la versione italiana: Ele106
Genere: RPS, wincest, Non-AU che diventa AU
Pairing: Jensen/Jared, Sam/Dean, solo nominati Jensen/Danneel e Jared/Genevieve
Rating: NC-17
Warning: Siate solo sicuri che vi piacciano entrambi i parings e dovreste essere a posto.
Note: come in tutte le ff RPS dell’autrice, Kim Manners fa un piccolo cameo
Spoilers: nessuno

Sommario: inizia durante le riprese della quinta stagione di Supernatural. Inizia con Jensen che ha degli incubi e Jared che cerca di essere un buon amico con lui. Inizia con due ragazzi che si ritrovano ad un punto di svolta, con uno che si sente come se la sua vita venisse ribaltata sotto sopra e con l’altro, che non è in grado di fare nulla se non restare a guardare… ma questo non si avvicina minimamente a quello che succederà alla fine.

Note della traduttrice: non so dirvi quanto ami questa storia, per la complessità della trama e per la bravura dell’autrice che è una delle mie preferite. Va detto che io ho tradotto la versione inglese della storia, ma che in origine è stata scritta in tedesco. Spero quindi di essere stata abbastanza fedele all’originale e di averne mantenuto tutto lo spirito. Spero vi piaccia. Cercherò di pubblicare con regolarità, la storia è composta da otto capitoli compreso questo, che è più che altro una piccola introduzione. Ci saranno dei warning dedicati in alcuni capitoli, per cui fate attenzione quando leggerete.

Ho deciso di tradurre questa storia, perchè anche il mio piccolo siriano Ele106 la potesse leggere (dato che non legge in inglese :P) e questo è diventato il mio regalo di compleanno per lei, ti voglio bene tesoro, so che ti piacerà.

Ovviamente l’autrice ha autorizzato questa traduzione e potrete trovare tutti i riferimenti con i suoi contatti e con i link per la storia originale nella pagina dell'autore di germanjj di efp.

 

 

Capitolo I

 

“Amico? Perché ti sei alzato?” La voce impastata arrivò dal corridoio e, un secondo dopo, Jared entrò in cucina; i suoi occhi erano ancora mezzi chiusi e i suoi capelli andavano in tutte le direzioni. Sembrava ridicolo, cresciuto e muscoloso, ma ancora come un ragazzino.

Qualcosa di caldo aleggiò attraverso lo stomaco di Jensen, famigliare e non inaspettato. Jensen lo mise da parte, seppellendolo dentro di sé nel profondo, senza nemmeno rendersene conto.

“Solo un incubo.” Disse. Prese una scodella del pensile e fece un gesto con essa verso Jared, l’altro annuì. Non era la prima volta che si incontravano in cucina nel bel mezzo della notte per mangiare gli avanzi.

Versò un po’ di quanto restava del cinese della sera precedente nella ciotola di Jared, mentre l’altro si lasciava cadere senza grazia su una delle sedie. “Hai di nuovo sognato di Dean?” Chiese il più giovane sbadigliando, e Jensen annuì senza alzare lo sguardo.

Nemmeno questo era qualcosa di nuovo. Jensen sognava spesso del suo lavoro - diavolo, era normale ogni tanto - ma, nelle ultime settimane, sognare lo show, Dean e Sam, era diventato più intenso e non solo confuso. Erano sogni che non avevano un senso. I suoi fratelli si prendevano gioco da sempre di lui per il fatto che facesse sogni molto vividi (come film) e non era differente per quelli che stava avendo attualmente. Erano come scene nascoste tra gli episodi, momenti mancanti tra Sam e Dean.

E, proprio come fanno i sogni qualche volta, sembravano fin troppo reali.

“Sei sicuro di stare bene?” chiese Jared quando ebbero finito; non avevano condiviso altro che un confortevole silenzio nell’ultimo paio di minuti.

“Amico, se ti sentirai di nuovo male svegliami, ok?”

Jensen sorrise alle parole dell’altro, ma quando alzò lo sguardo, vide che diceva sul serio.

“Grazie, amico.” Disse. “Ma starò bene. Cerca di andare a dormire. Ti ho tenuto sveglio abbastanza per stanotte.”

“D’accordo.” Jared ammiccò pigramente, poi si diresse verso la sua camera da letto; Sadie stava già aspettando in cima alle scale, ovviamente controllando cosa stesse facendo il suo papà alzato nel bel mezzo della notte.

“Andiamo ragazza.” Jensen sentì Jared chiamarla piano quando il suo amico la raggiunse, carezzandola sulla testa mentre le passava vicino e facendola muovere. Li guardò scomparire dietro l’angolo prima di cominciare finalmente a muoversi per raggiungere il suo letto.

 

****

 

La mattina successiva non sembrò andare meglio. Jensen si sentiva stanco fino al midollo, echi dei suoi sogni continuavano a tornare ogni volta che chiudeva gli occhi. Sprazzi di luce e posti oscuri. Fuoco. Urla. Era come si immaginava fosse l’inferno.

Clif era alla guida quel giorno e Jensen ne fu grato. Riuscì solo a strisciare in macchina sul suo sedile, prima che i suoi occhi si chiudessero di nuovo. Sentiva Jared vicino a sé; avrebbe giurato di poter perfino sentire lo sguardo preoccupato che gli stava lanciando, ma in quel momento Jensen era troppo stanco per curarsene.

“Siete pronti?” Chiese Clif dal posto di guida e, grazie al cielo, Jared rispose per entrambi dicendogli di far partire la macchina.

“Forse dovresti prenderti un giorno di riposo Jensen.” Disse alla fine il più giovane, quando furono a metà strada dalla loro destinazione e Jensen aprì un occhio.

Scosse la testa debolmente. “Ti ho detto che sto bene, Sammy.” Rispose.

Dopo questo, Jared rimase silenzioso per il resto del viaggio. Solo più tardi, mentre stavano girando una scena con un dialogo molto simile alla conversazione che avevano avuto in macchina, Jensen realizzò come aveva chiamato Jared.

 

****

 

L’acqua fredda scivolò sul suo viso, ma non aiutò in alcun modo con le vertigini, con il calore che gli strisciava sulla sua pelle. Jensen afferrò il lavandino con entrambe le mani e si costrinse a respirare.

Dio, non sapeva cosa ci fosse di sbagliato.

Sapeva solo che continuava a svegliarsi in quel modo, confuso, sudato; si sentiva come se stesse perdendo… l’orientamento. Se stesso.

Era tutto tranquillo, scuro e silenzioso e Jensen si rifiutò di guardare l’orologio, gli avrebbe solo detto quanto fosse dannatamente tardi e quanto avesse ancora solo tre o quattro ore di sonno prima di doversi alzare di nuovo.

Lasciò il bagno e vagò per la casa, stando attento a non fare nessun rumore, cercando di calmarsi.

Fu uno sforzo fisico quello di stare lontano dalla camera di Jared e questo era quello che lo spaventava di più. L’urgenza di svegliare il suo amico e fare in modo che stesse con lui, che gli tenesse compagnia: Jensen si sentiva come se avesse ancora otto anni, spaventato del buio, con ancora il bisogno di arrampicarsi sul letto dei suoi genitori dopo aver avuto un incubo.

Non poteva togliersi quelle immagini dalla mente e, ancora peggio, quel dolore che sentiva nel petto. Continuava a sognare di Sam e Dean; della paura di Dean di perdere suo fratello.

Se Dean fosse stato reale.

“Solamente che io… io non ci credo.”

“In cosa?”

“In te.”

Le battute continuavano a tornargli in mente e Jensen giurò a se stesso che non si sarebbe più lasciato andare così in profondità la prossima volta, nella prossima ripresa, nelle scene emotive che potevano mandarlo in pezzi. Non avrebbe permesso loro di prenderlo così tanto.

Eppure si sentiva come se non fosse riuscito a scrollarsi completamente Dean di dosso e la sofferenza per aver detto quelle parole a suo fratello continuava ancora a risuonare dentro di lui.

“Esci dalla mia testa, cazzo.” Sussurrò Jensen a se stesso. Ma quando focalizzò di nuovo l’attenzione su quello che lo circondava, si trovò di fronte alla porta della stanza di Jared.

Questa volta non cercò nemmeno di fermarsi dall’entrare.

Fortunatamente, il più giovane non aveva il sonno leggero e Harley e Sadie lanciarono solo uno sguardo a Jensen, prima di girarsi e tornare nuovamente a dormire.

Si sentì strano e inquietante, appoggiato allo stipite della porta a guardare il suo amico mentre dormiva. Ma allo stesso tempo, si sentì finalmente calmo, sentì la tranquillità scivolare su di lui. Jared era sdraiato a pancia in giù sul letto, con le braccia e le gambe che spuntavano da sotto le coperte e il viso girato verso la porta. Le luci della strada gettavano nella stanza abbastanza luce perché riuscisse a vederlo.

I suoi lineamenti erano distesi e tranquilli e il respiro di Jensen sembrò farsi ancora un po’ più facile.

Quello era Jared, non Sam. Non correva il rischio di passare al lato oscuro, non era aspro ed arrabbiato e ipocrita. Era solo Jared. Ed era felice.

Jensen odiava il fatto che qualche volta i suoi incubi glielo facessero dimenticare.

Non avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase lì a guardare il suo amico, ma quando finalmente sentì salire una profonda stanchezza dentro di sé, scivolò fuori dalla stanza e chiuse silenziosamente la porta. Cercò di non ammettere che quella non fosse la prima volta che faceva una cosa del genere.

E fortunatamente, non sapeva che dentro la sua stanza Jared aveva aperto gli occhi nell'oscurità, lanciando uno sguardo preoccupato alla  porta. Nemmeno per lui era la prima volta.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


N.d.T.

Eccoci con il nuovo capitolo. Questa volta entriamo più nel vivo della situazione tra Jared e Jensen, soprattutto nella testa di Jensen, il cui pov domina questa parte. È da qui che la situazione comincia davvero a precipitare.

Buona lettura!

 

 

Capitolo II

 

“Stop! Jensen, cosa c’è che non va? Si presuppone che tu appaia un po’ spaventato, non che tu stia per uccidere il diavolo in questo istante.” Urlò il regista, incazzato, perché era la terza volta ormai che ripetevano la scena e Jensen dentro di sé ribolliva.

Era solo che… non poteva stare a guardare Mark entrare in scena, con quel mezzo sorriso arrogante sulla faccia, che lo guardava come se possedesse il mondo.

Nel profondo sapeva che era stupido, ma in quel momento poteva a malapena fermarsi dal far esplodere la sua rabbia.

“Ci prendiamo cinque minuti di pausa!” Annunciò velocemente Jared da dietro di lui e, con un tocco gentile ma fermo sulla sua schiena, lo spinse via.

Adam e Rekha gettarono loro delle strane occhiate nervose ed entrambi fecero un passo indietro per lasciarli passare.

Non dissero una parola per tutto il tragitto fino al trailer di Jensen, ma lui sapeva di essere fregato, poteva sentirlo nella tensione controllata che trasudava dal corpo di Jared.

“Puoi spiegarmi cosa diavolo era quello?” domandò il suo amico non appena la porta si chiuse. Jared incombeva su di lui, preoccupato ed arrabbiato e Jensen non poteva affrontare nessuna delle due cose.

“Non è niente, ok? Mark mi fa incazzare!”

“Cosa?!” Jared lo guardò incredulo. “Da quando? Jensen, tu ami quel ragazzo!”

Qualcosa di simile al disgusto fece rivoltare lo stomaco di Jensen. “No, non è vero!”

Jared sembrava sempre più nervoso ad ogni secondo che passava. “Si! Si cazzo, è vero!” Emise un gemito sofferente, come se non riconoscesse l’uomo che aveva di fronte.

E anche attraverso tutta la rabbia, Jensen ebbe paura che Jared, forse, non ci riuscisse veramente.

“Jensen, tu davvero, davvero, adori Mark! Ami lavorare con lui e se anche non fosse così, non ti saresti mai comportato come hai appena fatto!”

“Io non mi sono comportato in modo differente da come faccio sempre, cazzo!” Gridò Jensen, sentendo il bisogno di difendersi, nonostante una vocina dentro la sua testa, ormai non più così piccola, gli stesse urlando che Jared aveva ragione.

“Gesù, Jensen, cosa c’è di sbagliato in te? Ti sei comportato come un bambino viziato là fuori! E non è nemmeno la prima volta!”

“Di cosa cazzo stai parlando?!”

Jared lo afferrò per la spalla facendo in modo che lo guardasse negli occhi. “Ti sei comportato nello stesso modo con Kurt l’ultima volta che è stato qui. Sei stato lunatico fin da allora. Sei scattato con Pellegrino e Sheppard e con chiunque ti abbia guardato nel modo sbagliato.”

“Non è vero, cazzo!”

“Ma ti ascolti almeno?!” Jared lo scosse non troppo forte e non troppo violentemente, ma Jensen ne aveva avuto abbastanza e si divincolò dalla presa del suo amico.

“Basta! Smettila di toccarmi per tutto il fottuto tempo, va bene?”

Jensen rimpianse quelle parole non appena ebbero lasciato la sua bocca. Vide lo spasmo doloroso sulla faccia di Jared e per un secondo lo sentì riflettersi nel suo cuore.

Ma subito dopo, l’espressione di Jared cambiò, divenendo sempre più preoccupata piuttosto che arrabbiata o ferita.

“Quindi hai un problema con me?” Il tono di Jared era mutato completamente, sembrava più prudente e freddo adesso, circospetto.

“Cosa? NO! Gesù, no, okay?” E non lo era. La verità era che Jensen non aveva idea di cosa ci fosse di sbagliato in lui ultimamente. E non voleva reagire contro nessuno, ma in qualche modo non poteva fermarsi.

Sospirò profondamente, passandosi le dita tra i capelli.

“Mi dispiace, solo... non mi sento bene oggi.” Spiegò stancamente; sapeva che Jared meritava di più. Senza menzionare la quantità di scuse che spettavano al resto del cast e della crew.

“Va tutto bene, amico. Tutti hanno il diritto di avere una brutta giornata, d’accordo? Solo, cerca di non fare in modo che tutti ti odino là fuori, intanto che ci sei... okay?” Era intesa come una battuta e Jared tentò anche di fargli un mezzo sorriso, ma Jensen si sentì solo peggio.

Irrigidì il collo, diede una pacca sul petto di Jared e gli passò oltre.

Il suo amico capì abbastanza dal suo atteggiamento da lasciarlo solo.

Poté sentire tutti gli occhi su di sé, quando attraversò il set. Quelli che intercettò, più o meno tutti, non mostravano altro che preoccupazione per lui, e questo lo fece sentire ancora di più un ingrato bastardo.

“Scusami…” disse una voce leggera dietro di lui.

“Cosa?” Jensen si girò e si trovò di fronte Misha, che lo guardava con un’espressione accigliata sul volto.

“Mi dispiace che tu ti senta così male.” Disse l’altro uomo seriamente, inclinando la testa di lato. Per un secondo sembrò più simile a Castiel di quanto, a volte, non lo fosse mentre recitava, ma questo era ridicolo e Jensen ricordò che era con Misha che stava parlando. Quell’uomo riusciva a sorprenderlo nei suoi giorni peggiori.

Non seppe cosa dire, annuì solo, con gratitudine e passò oltre senza riuscire a scrollarsi di dosso il fatto che Misha continuasse a guardarlo per tutto il tragitto, fino a che non sparì dietro l’angolo successivo.

 

****

 

Erano trascorsi due giorni e Jensen poteva continuare a sentire lo sguardo di Jared su di sé, ogni volta che l’altro uomo pensava di non essere visto. Quegli occhi preoccupati seguivano ogni sua mossa, e c’erano state alcune volte in cui avrebbe voluto farglielo notare. Ma le domande che sarebbero seguite dopo, quelle che lui era determinato ad evitare, lo avevano fatto restare in silenzio.

Jared gli passò una birra fredda dal frigo, senza dire nulla, e accese la TV. Avevano cenato in uno dei loro ristoranti preferiti, uno tranquillo, ed erano tornati a casa subito dopo, tacitamente d’accordo nel guardare la partita insieme.

Non scambiarono molte parole durante il gioco. Sorseggiarono solamente le loro birre, cercando di seguire l’incontro alla TV. Jared fu il primo a rompere il silenzio.

“Allora, c’è qualcosa che ti devo dire...” Iniziò, strusciandosi nervosamente le mani sulle cosce.

“Okay, che c’è?” Jensen si girò verso di lui, guardando il suo amico con attenzione.

“Sto per chiedere… sto per chiedere a Genevieve di sposarmi.” Jared sorrise nervosamente, il suo viso era un misto di speranza e preoccupazione e, per un momento, Jensen non poté pensare ad una ragione per cui avrebbe dovuto essere preoccupato, perché fosse nervoso di parlargli di questo.

Poi le parole dell’altro arrivarono a segno.

“Wow, questo… questo è fantastico, Jared.” Rispose e sorrise, a dispetto della morsa che gli aveva stretto le viscere e che non avrebbe saputo spiegare, e del malessere che gli riempì la pancia. “E’ fantastico! Sono felice per te, amico.” Enfatizzò la frase e il disagio svanì chiaramente dal viso di Jared, sostituito da un sorriso raggiante.

“Uhm, dato che ci siamo.” Jensen si sentì arrossire e si trovò a riflettere per un momento se quello fosse il momento giusto. Ma a quel punto aveva già atteso per due settimane e sapeva che, in primo luogo, non avrebbe mai dovuto attendere per un momento adatto. Non con Jared.

“In effetti ho comprato un anello anch’io. Lo sai… per Dani. Glielo chiederò presto. Quando mi sembrerà il momento giusto, voglio dire. Lei ha due giorni liberi il weekend dopo il prossimo, quindi pensavo che potrei volare giù e…”

Sapeva di stare balbettando ma Jared rimase a fissarlo e Jensen avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa; poi il suo amico scoppiò in un enorme sorriso. “Questo è fantastico! Jensen perché non me lo hai detto?”

Jensen si strinse nelle spalle, perché non aveva una risposta da dargli.

Ma il più giovane era già passato oltre. “Wow. Io… non posso credere che stiamo per sposarci, amico! Sposati!”

Jensen rise e sentì il cuore saltargli in gola. “Non lo abbiamo ancora chiesto, Jared. Non ci hanno ancora detto sì.” Ricordò al suo amico, ma l’altro era già saltato su dal divano, diretto verso la cucina.

“Dovremmo celebrare, amico! Penso che abbiamo ancora del vino o un po’ di champagne o qualcosa.”

Il cuore di Jensen non smise di battere furiosamente nel suo petto, nemmeno quando Jared uscì dalla stanza.

“Hey, vuoi…” il più giovane iniziò ad urlare, perché era convinto che Jensen fosse rimasto sul divano, ma lui, in tre soli passi, stava già percorrendo la distanza che li separava; con una mano sul colletto della maglietta tirò giù Jared e mise le labbra sulle sue.

Jensen aprì gli occhi per un attimo e si tirò un po’ indietro, abbastanza da poter vedere il viso dell’altro. Aveva gli occhi chiusi e stava perfettamente immobile.

Era magnifico. Angoli sottili e definiti e una pelle soffice e tonica. I capelli gli ricadevano sul viso, le ciglia erano morbidamente appoggiate sulle guance. Jensen venne improvvisamente colpito dal fatto di essere così vicino a lui e che tutto sembrava nuovo e differente, come se qualcuno avesse acceso la luce e immediatamente lui avesse potuto vedere, ma molto più in profondità; così si rese conto di cosa ci fosse sotto quel bellissimo viso, della persona che c’era dietro.

Qualcosa lo colpì nello stomaco, qualcosa di più della semplice attrazione ed era un sentimento terrificante. Prima di avere il tempo di pensare, ridusse di nuovo la distanza tra loro, lentamente ora, sentendo la soffice curva delle labbra di Jared contro le proprie.

Questa volta fu più simile ad un bacio rispetto a prima. L’esitazione che Jensen sentiva, si sciolse sotto il calore proveniente dalla pelle dell’altro, nel punto in cui si stavano toccando e lui si spinse oltre, gentilmente, persuadendo le labbra di Jared ad aprirsi; il suo corpo tremò quando finalmente le loro lingue si incontrarono, con titubanza, ma Dio, in modo così bello.

Jared lo spinse via un secondo dopo.

Jensen inciampò all’indietro andando ad impattare contro il bancone della cucina.

Il suo amico rimase a fissarlo con gli occhi dilatati, il petto che si alzava ed abbassava ansimante, in stato di shock.

“Mi dispiace.” Iniziarono entrambi all’unisono fermandosi subito dopo, i loro sguardi inchiodati uno nell’altro, l’aria che si era fatta tagliente intorno a loro.

“Jensen, cosa…”

“Jared, mi dispiace così tanto.” Lo interruppe, la voce che non sembrava nemmeno la sua. Il cuore gli batteva nel petto così forte che stava minacciando di rompergli le costole. “Non avrei dovuto farlo, non so perché…”

Jared respirava pesantemente, con tutta la confusione del mondo scritta sul viso. “Perché lo hai… Jensen?” Chiese. Non sembrava che avesse nemmeno registrato le parole dell’altro.

“Non lo so.” Ripeté. Era esattamente nella stessa situazione di Jared: scioccato e senza parole, senza indizi di cosa fosse appena accaduto.

“Ok, questo è… uhm, wow.” Il più giovane lasciò andare una risata tremante. “Onestamente non so che cosa dire.”

I suoi occhi si muovevano intorno alla stanza, focalizzandosi su tutto e niente, ma decisi a non guardare Jensen; quest’ultimo non sapeva cosa dire.

“Voglio dire, non possiamo… uhm, non posso… wow, io non…”

“Jared mi dispiace.” Jensen lo disse di nuovo perché era l’unica cosa che sapeva per certo in quel momento. “Dio, mi stavi appena dicendo di te e Gen, ed io…”

Uno sguardo scioccato si spostò su Jensen. “Cazzo, Gen!” Gemette Jared, come se avesse pensato a lei solo il quel momento, come se quella non fosse stata la principale ragione per cui aveva spinto via Jensen. “Lei non ha bisogno di saperlo, Jensen. Giusto? Loro non hanno bisogno…”

L’altro annuì silenziosamente.

“È stato un evento casuale, giusto? Solo panico, forse? Il matrimonio è un grosso passo, amico.” Jared rise, facendo uno sforzo per scrollarsi tutto di dosso e Jensen gliene fu grato, perché continuava a sentire la lingua pesante nella bocca e le sue labbra ancora non volevano rispondergli.

“Sì, certo.” Rispose rigidamente. Non era in grado di pensare, non era in grado di processare nient’altro che non fosse ‘ho baciato Jared’ e si sentiva come se stesse per impazzire. Come se, in ogni minuto, da lì in avanti, avesse potuto fare qualcosa di stupido. Qualcosa di ancora più stupido dell’aver baciato il suo migliore amico.

“Okay, quindi uhm… siamo a posto?” Chiese Jared e Jensen ebbe bisogno di alcuni secondi prima di decidersi finalmente ad annuire.

“Beh…” Proseguì il più giovane “Penso che dovrei… lo sai… andare a letto. È già tardi e hum… sì.”

Jensen lo guardò andare via; qualcosa si ruppe dentro di lui, l’unico pensiero che riecheggiava nella sua testa era: ‘domani è sabato’.

 

****

 

Nel momento in cui sentì la porta della camera di Jared chiudersi, seppe che non poteva restare. Qualcosa prudeva sotto la sua pelle, rendendolo irritabile ed irriconoscibile perfino a se stesso.

E quello che aveva appena fatto...

Jensen non ci pensò molto, si infilò semplicemente nella sua stanza, tirò fuori il suo borsone dal fondo dell’armadio, ci buttò dentro qualche vestito e alcuni accessori da bagno e tornò in cucina. Scrisse a Jared una nota veloce – “Vado a trovare Chris. Torno domenica. J.” – e fu fuori dalla casa prima che il battito del suo cuore avesse la possibilità di calmarsi.

Le gomme stridettero sull’asfalto quando se ne andò e avrebbe dovuto sentirsi imbarazzato di quanto tutto quello fosse diventato un cliché, ma in quel momento non riusciva a pensare.

Aveva fatto qualcosa di incredibilmente sbagliato e non solo per Danneel o Genevieve, ma anche per loro, Jared e Jensen, da sempre migliori amici e tutta quella merda da ragazzine, che ora non poteva essere più vera. Aveva messo tutto a rischio. Tutto.

Quando vide i primi segnali dell’aeroporto Jensen lasciò andare un respiro che non si era reso conto di trattenere. Avrebbe preso il volo successivo per andare da Chris… o all’Inferno, avrebbe continuato a guidare fin laggiù; poi si sarebbe schiarito la testa, l’avrebbe fatta tornare dritta*. Jensen gemette e chiuse gli occhi per un attimo al cattivo gioco di parole.

Chris avrebbe saputo cosa fare e cosa dire (o non dire) e lui sarebbe stato meglio con un cambio di scenario per il weekend. Jared sarebbe stato grato per un paio di giorni di libertà da lui, specialmente dopo quello che aveva fatto.

Jensen continuò a dirsi tutto questo mentre parcheggiava l’auto in aeroporto. Sebbene sentisse un brivido di disagio scendergli lungo la schiena mentre guardava una di quei pesanti aerei prendere il volo e, nonostante le fitte allo stomaco dovute a qualcosa a cui non riusciva a dare un nome si fossero fatte più forti, qualcosa che voleva che tornasse indietro, qualcosa che quasi gli fece male al pensiero di lasciare Jared, nonostante tutto, i passi di Jensen erano sicuri quando entrò nell’edificio.

 

****

 

Jensen guardò Chris sparire dietro l’angolo e subito tornò a dove era rimasto il venerdì. Il suo volo sarebbe partito solo dopo un’ora, ma Chris aveva un appuntamento importante e con lui andato, se ne era andata anche la fiducia che aveva costruito nelle ultime ore.

Chris lo aveva aiutato. Uno sguardo a Jensen e l’amico era stato determinato a fargli sputare il rospo.

Aveva impiegato fino a quel giorno.

All’inizio, Jensen non si era sentito di discuterne, non si era sentito di preoccuparsene, di condividere e di parlare dei suoi sentimenti come una scolaretta. Ma quella mattina Chris non aveva accettato oltre le sue cazzate e gli aveva fatto sputare tutto.

Chiuse gli occhi per un momento e continuò a sentire le orecchie diventare rosse al ricordo di quando lo aveva detto ad alta voce. ‘Ho baciato Jared’.

Chris aveva quasi sputato il suo caffè, ma lo aveva ascoltato senza interromperlo e all’improvviso da lui era uscito tutto.

Tutto degli incubi e delle insicurezze delle passate settimane, degli sbalzi di umore e della troppa rabbia; tutto quello era sfociato in un bacio che Jensen non aveva visto arrivare. Ma ora che aveva lasciato alla sua mente la possibilità di pensarci per un po’, forse non era poi così sorprendente dopotutto.

Chris lo aveva ascoltato silenziosamente e, quando Jensen aveva finito e aveva tirato fuori dal petto molte più cose di quelle che si era reso conto di trattenere, l’altro gli aveva posto una sola domanda.

“Lo ami?”

All’inizio, Jensen avrebbe voluto ridere, perché era ovvio che lo amasse. Era Jared.

Ma poi, lo sguardo serio di Chris gli aveva fatto capire che non se la sarebbe cavata così facilmente.

 

Jensen trasalì, tornando al presente, quando due bambini corsero vicino a lui, ridendo rumorosamente mentre giocavano. Quando si guardò in giro, poté perfino vedere due ragazze che gli facevano delle foto, sghignazzando dietro i loro cellulari. Ma non gli vennero vicino per chiedergli degli autografi e Jensen gliene fu grato.

Aspettare di salire su uno di quei pezzi di metallo assemblati, che qualcuno presupponeva potessero tenerlo in aria, era già abbastanza difficile di suo.

 

Continuava a non avere una risposta per la domanda di Chris.

Decisamente voleva bene a Jared, come suo migliore amico, un fratello, ma più di quello? Jensen non lo sapeva. Cose come quella non erano mai state in discussione prima, per lui; non aveva mai avuto l’occasione di considerare la possibilità di essere bisessuale e decisamente si sentiva troppo vecchio per considerarlo ora.

Le parole di Chris gli risuonavano nelle orecchie. Non avrebbe dovuto pensare a cose stupide (come il mettersi a succhiare uccelli tutto ad un tratto), avrebbe dovuto preoccuparsi di più del fatto di come potesse amare qualcuno che non fosse la donna che aveva l’intenzione di sposare.

Pensare a Danneel lo riportò alla realtà. Si sentiva terribilmente in colpa. Se solo avesse preso l’aereo per vedere lei invece di Chris, se glielo avesse detto lei probabilmente avrebbe riso e lo avrebbe definito carino. Entrambi lo avrebbero ridotto ad una tarda sperimentazione e lei lo avrebbe perdonato.

Ma lui aveva preso l’aereo per andare da Chris. E questo diceva a Jensen più di quanto fosse pronto ad ammettere in quel momento.

Diede un’occhiata al cellulare, il suo stomaco si contrasse alla vista del display vuoto. Nessuna chiamata da parte di Jared.

L’amico aveva cercato di rintracciarlo venerdì notte e quasi tutto il sabato. Lo aveva chiamato e aveva mandato messaggi e cercato di chiamare di nuovo, ma Jensen si era rifiutato di rispondere ad ognuno di essi. Ora sembrava che l’altro avesse rinunciato a lui.

Scorse i messaggi di Jared, anche se li conosceva a memoria, sentendosi come una ragazzina mentre lo faceva.

‘Hey, mi dispiace, ho esagerato, per favore chiamami.’

‘Jensen, per favore chiamami, d’accordo? Ho davvero reagito in modo esagerato e mi dispiace per questo.”

‘Andiamo amico, per favore non evitarmi, okay? È stupido, siamo amici giusto? Le cose succedono, possiamo parlare di tutto, okay?’

‘Jensen, per favore, cosa c’è che non va? Ci deve essere di più di un singolo bacio. Parla con me amico.’

Poi c’era quello che Jensen aveva ricevuto quella mattina presto, molto dopo la mezzanotte.

‘Jensen, se questo non è stato solo un evento casuale, possiamo parlarne ancora? Okay? Troveremo un modo di superarlo. Non posso perderti.’

Rimase a fissare i messaggi, leggendoli tutti di nuovo, poi chiuse il cellulare.

L’annuncio del suo volo pose fine alle sue riflessioni. Afferrò la borsa, ma mentre si dirigeva al gate, esitò. Sentì il forte impulso di voltarsi indietro, di non salire su quel fottuto aeroplano. Di andare a noleggiare una macchina e guidare per tutta la strada fino a Vancouver.

Ma Jensen alzò gli occhi al cielo a quel pensiero e ricominciò a camminare. Se il suo cuore cominciò a battere più forte e le sue mani iniziarono a sudare, lui lo imputò alla paura di trovarsi presto faccia a faccia con Jared.

Anche se sapeva che non era interamente vero.

 

****

 

Per tutta la strada dall’aeroporto, Jensen sperò silenziosamente che a casa sarebbe stato solo, almeno per qualche ora, così avrebbe potuto pensare a cosa dire a Jared. Ma appena si fermò di fronte alla loro casa, capì che non sarebbe stato così fortunato.

Il SUV di Jared era parcheggiato lì di fronte e, quando entrò, vide le scarpe del suo amico e sentì dei rumori provenire dalla sala da pranzo.

Jensen si prese il suo tempo, in corridoio e poi nella sua stanza. Mise lentamente via tutto, dando all’altro il tempo di fare la prima mossa e rompere il ghiaccio. Ma anche se svuotò la borsa e mise tutto a posto, si lavò la faccia e prese una bottiglia dal frigorifero in cucina, Jared rimase lontano.

Jensen emise un gemito profondo. Solo poche settimane prima tutto era a posto, ed ora era affondato fino alle ginocchia in quel casino e non sapeva come ci fosse finito, né tantomeno come ne sarebbe uscito.

“Allora? Vuoi che me ne vada?”

La domanda pacata di Jared lo spaventò facendolo voltare di scatto, e quando vide il suo amico appoggiato allo stipite della porta, che giocava con la penna che aveva in mano, gli ricordò molto Sam. Meditabondo e sulla difensiva.

“Cosa? Questa è la tua casa, amico! Io me ne dovrei andare!” Fu la prima reazione di un Jensen preso dal panico. Poi quelle parole fecero davvero presa su di lui e si sentì come se avesse preso un calcio nello stomaco. “Intendi dire… davvero?” sussurrò, incapace di guardare l’altro negli occhi.

“No! Dannazione!” Urlò Jared, buttando in aria le braccia. “Ma non so cosa ci sia che non vada, amico, e non posso aiutarti se non parli con me!”

Jensen deglutì, si sentiva a disagio, la sensazione di aver sbagliato, che era un po’ diminuita mentre era da Chris, stava tornando con pieno vigore. “Non c’è nulla di cui parlare.” Disse e non poté credere alle sue stesse orecchie. “Non so perché pensi che io voglia che tu te ne vada.”

Jared rimase a fissarlo per alcuni secondi incredulo e, per un momento, Jensen pensò che fosse tutto, che stessero per lasciar perdere la questione e che potessero andare avanti, tornare alle loro vite e far finta che quanto accaduto negli ultimi giorni non fosse mai successo.

Jared non glielo lasciò fare.

“Mi hai baciato e poi sei scappato. Amico, sei sparito dal fottuto paese per tre giorni.” Jared gettò le mani in aria, proprio come faceva quando era sconvolto e arrabbiato. “Cosa diavolo avrei dovuto pensare?”

Jensen rimase immobile. Era combattuto tra il rimanere in silenzio e il dire a Jared tutto quello che sapeva: quanto confuso fosse, quanto fuori equilibrio si sentisse quando si svegliava ogni mattina; come il suo cuore battesse più veloce ogni volta che lo vedeva, ma come, in qualche modo, non la sentisse come una stupida infatuazione.

Voleva dirgli quanto fosse spaventato. Che stava mandando tutto a puttane: la loro amicizia, Danneel, il suo lavoro. Aveva una vita perfetta ed ora si sentiva come se stesse lottando per cercare di rimanere a galla.

Voleva dire tutto a Jared ma, allo stesso tempo, sentiva che si stava chiudendo in se stesso. Si sentiva come se qualcun altro si stesse assestando su di lui, dentro di lui, riempiendolo.

“Non parleremo di questo.” Disse bruscamente e si girò per non tradire le sue parole con quello che l’altro avrebbe potuto leggere nei suoi occhi.

“Non ne parleremo?” Chiese Jared con rabbia, alzando il tono di voce ad ogni parola. “News flash, Jensen: non sei Dean, okay?”

L’altro serrò la mascella e rimase in silenzio.

Ma Jared continuò ad andare avanti. “Amico, le ultime settimane? Mi hai spaventato a morte. E non sto parlando solo del bacio. Questo non sei tu! Ti prego, se hai bisogno di aiuto, qualsiasi cosa sia, chiedilo.”

“Ho detto che sto bene.” Abbaiò Jensen, girandosi ed andandosene, ma Jared lo prese per un braccio, facendolo fermare.

“Jensen!”

Quando l’altro si voltò per guardare il suo amico, non riuscì a sopportare di vedere Jared guardarlo come un cucciolo smarrito; usava i suoi occhi e probabilmente non si rendeva nemmeno conto di farlo, ma lo colpì a prescindere.

“Senti, io…” Iniziò, sentendo la rabbia e le sue difese scivolare via. “Forse è perché la cosa con Danneel si sta facendo seria, d’accordo? Forse è quello. Non lo so. Ma non… non facciamola diventare più grande di quanto non sia, ti prego.”

Jensen si sentì uno stronzo per averlo detto; poté vedere sul viso dell’altro come quelle parole lo avessero ferito, anche se cercava di non mostrarlo. Jared era solo preoccupato per lui e lui continuava a comportarsi come un coglione.

Ma non sapeva come dirlo in modo giusto, perché continuava a non sapere cosa stava provando. Era come se dentro di lui mancasse qualcosa, un vuoto che aveva dolorosamente bisogno di essere riempito, ma qualunque cosa fosse quello che gli mancava, stava lentamente tornando indietro e lo faceva sentire estraneo e differente dal suo solito se stesso.

Come se non fosse una parte di lui o non lo fosse stata per lungo tempo.

“Jared, mi dispiace. So che ho incasinato tutto. Lo so.” Disse quando intercettò lo sguardo del suo amico. “Ma non pensi che sarebbe meglio se solo noi andassimo oltre e lasciassimo perdere questa cosa?” Sapeva che stava supplicando, implorando, ma poteva già vedere la determinazione di Jared a farlo parlare che si indeboliva, e questo era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.

“Ma sei sicuro che… siamo a posto?” Chiese il più giovane dopo un po’, la sua voce era pacata adesso, esitante. “Sei sicuro che non c’è nulla di cui dobbiamo discutere qui?” Sembrava nervoso, arrossì perfino e Jensen fu in qualche modo grato di non essere l’unico a sentirsi completamente fuori di sé.

“Ne sono sicuro.” Rispose, la sua voce solo un po’ roca, le sue parole solo una mezza bugia.

 

****

 

“Amico? Hey.”

Jensen gemette quando sentì le parole bussare contro la sua coscienza. Era più addormentato che sveglio quando qualcuno toccò la sua spalla, spingendolo.

Reagì d’istinto: la sua mano sparì sotto il cuscino, si chiuse intorno a qualcosa e tirò.

“Sei tu.” Si lamentò poi, sbattendo le palpebre in direzione di Jared e sentendo il suo intero corpo rilassarsi. Era ancora stanco, i suoi occhi erano ancora mezzi chiusi e fu per questo che non si accorse dello sguardo di panico sul viso dell’altro.

“Jensen?” Disse Jared accanto a lui e il suo tono, senza fiato e scioccato, lo svegliò all’istante.

“Che succede?” Chiese, tirandosi a sedere, studiando la faccia dell’amico.

Il più giovane indicò silenziosamente qualcosa nella mano destra di Jensen e lui seguì la direzione.

Si gelò.

C’era un coltello nella sua mano destra, un coltello da pane, quello che di solito stava in uno dei cassetti del mobile della cucina. Quello che la sua mano destra aveva appena tirato fuori da sotto il cuscino.

“Jensen?” Chiese Jared, la sua voce dieci volte più alta. “Perché hai un coltello?”

“Non lo so.” Rantolò e lo lasciò cadere immediatamente, come se gli stesse bruciando la mano. “Non lo so.” Ripeté, i suoi occhi saettavano tra Jared e il coltello.

Non era del tutto vero. Ricordava un sogno, qualcosa su Dean che si svegliava per degli strani rumori. Nel sogno cercava il pugnale sotto il cuscino, qualcosa che teneva sempre lì, e poi andava al piano di sotto per scoprire cosa fosse stato ad aver disturbato il suo sonno.

Jensen non ricordava di più, ma aveva la sensazione che il sogno fosse in qualche modo connesso con questo.

“Forse io… forse ho avuto un episodio di sonnambulismo?” La buttò lì, ma Jared continuò a fissarlo come se gli fosse cresciuta una terza testa.

“Gesù, Jensen.” Il suo amico soffiò fuori. “Questo fa dannatamente paura.”

Jensen sbuffò. “Non dirlo a me.”

“Avresti potuto ferirti, amico.” Disse Jared e subito sembrò incazzato, come se fosse colpa di Jensen.

“Non l’ho fatto di proposito!” Sibilò l’altro ed ora era spaventato quanto lo era Jared, perché il più giovane aveva ragione: avrebbe potuto farsi male. O peggio, avrebbe potuto inciampare sui cani e ferirli, avrebbe potuto andare nella stanza di Jared…

“Jensen cosa c’è che non va in te?” Chiese l’amico e questa volta sembrava addolorato e disperato.

Jensen non aveva una risposta.

 

*La parola in inglese è straight, che viene usata anche per definire l’orientamento sessuale etero, da qui il gioco di parole a cui si riferisce nella frase successiva.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

 

Jensen lanciò uno sguardo a Jared notando il suo viso arrossato, gli occhi lucidi e il sorriso sciocco, e non poté far altro che concordare con la proposta di Misha.

“Amico, ha ragione.” Disse a Jared, due volte, perché ebbe bisogno di toccare la sua mano per fare in modo che l’altro spostasse la sua attenzione su di lui. “Dovremmo davvero cominciare ad andare.”

A Jared mancava pochissimo dall’apparire pienamente imbronciato come un bambino. “E’ ancora presto!” Aveva intenzione di dirlo piano, ma gli uscì come un grido. Jensen rabbrividì quando udì gli altri ospiti del ristorante diventare silenziosi, mentre Misha iniziava di nuovo a ridacchiare.

“Ragazzi, ora, dobbiamo decisamente continuare a stare qui seduti. Verremo comunque buttati fuori tra poco, nei prossimi minuti.” Misha sghignazzò, come se quello fosse esattamente quello che sperava accadesse e Jensen fu alquanto felice di aver preso la decisione di essere quello ‘solo-leggermente-brillo’ del loro piccolo gruppo.

 “Okay, è sufficiente.” Disse, alzandosi dalla sedia. “Andiamo.”

Non era la prima volta che facevano qualcosa di simile. Tutte le volte che ne avevano il tempo, si incontravano in qualche nuovo ristorante in città che non avevano ancora provato, ma finiva sempre con loro che si bevevano la cantina di vini del posto. Prima o poi, Jensen aveva paura che sarebbero finiti su qualche blog: tre attori ubriachi fradici, buttati fuori per aver rovinato gli interni di qualche grazioso ristorante, mentre sorridono alla telecamera come gli sciocchi che sono.

Jensen la ritenne una vittoria, quando riuscì effettivamente a far camminare gli altri due ragazzi senza ulteriori lamentele. Divisero un taxi e, dopo un tempo che non fu breve, Misha fu al sicuro a casa sua, preso in consegna da una moglie divertita e lui, si trovava a spingere Jared verso casa loro.

L’umore, tuttavia, era cambiato negli ultimi minuti.

Jared era passato dal sorridere al non fare altro che fissare apertamente l’altro con un profondo cipiglio sul viso.

Jensen lo odiava. Lo faceva sentire a disagio, come se si sentisse troppo vulnerabile sotto lo sguardo del più giovane; aveva paura di essere probabilmente il primo responsabile per aver messo lì quell’espressione.

“Perché lo hai fatto?” Sputò alla fine Jared e Jensen quasi non lo sentì, troppo occupato a chiudere la porta e a mettere via le sua scarpe e la sua giacca, mentre l’amico era rimasto in piedi, oscillando, nel corridoio.

“Cosa?” Jensen lo guardò e trovò uno sguardo perso sulla sua faccia.

“Perché mi hai baciato, Jensen?”

 Jensen sentì il calore salire lungo il collo e abbassò lo sguardo, colpevole.

Ma Jared continuò, facendo qualche passo verso di lui, fino a che non sentì il soffio del suo respiro contro il viso.

“Perché mi ha baciato e hai incasinato tutto?” La voce del più giovane si spezzò alla fine della frase e Jensen indietreggiò. Non poteva credere al danno che aveva fatto con una sola azione sconsiderata. “Mi hai baciato e hai reso tutto compl… complicato e… e strano e così, così incasinato.”

“Jared, mi…” iniziò a rispondergli, ma l’altro lo fermò mettendogli una mano sul viso.

“E non riesco a smettere di pensarci, lo sai?” Sussurrò il suo amico, facendogli alzare lo sguardo. Sentì lo stesso sfarfallio nello stomaco che sentiva tutte le volte che i loro occhi si incontravano, solo un migliaio di volte più forte, più dolce.

“E non dovrei pensarci. Dio, non dovrei pensare a te così, no. Mai! No no no. Questo è così sbagliato, non dovrei pensare a te in quel modo. Dio, tu non ne hai idea, quanto non dovrei pensare a te.”

Jensen spezzò il contatto tra i loro sguardi, pensò a Genevieve, a Danneel. Aveva fatto questo a tutti loro, tirandoli dentro nei suoi stessi casini. Ma, allo stesso tempo, aveva capito quello che Jared stava davvero dicendo tra le righe. E questo lo terrorizzava.

“Jared.” Sussurrò, la sua gola era bloccata. La mano sulla sua guancia bruciava e non era sicuro di quello che voleva, se voleva spingere via Jared o… o qualcos’altro. Non aveva ancora il coraggio di pensare a questo, di affrontare quello che sentiva, nemmeno nel weekend che aveva passato con Chris. E non poteva farlo ora.

Fece un passo indietro, prese un profondo respiro e mise un po’ di distanza tra di loro. “Mi dispiace, amico.” Disse, la sua voce sembrò particolarmente forte alle sue stesse orecchie. “È stato un errore e non significa nulla. Sono davvero, davvero dispiaciuto per questo, Jared.”

L’altro rimase a guardarlo con un’espressione illeggibile sul volto, poi finalmente annuì e fece alcuni passi incerti, passando oltre Jensen.

“Starai bene?” Chiese, troppo spaventato per voltarsi e guardare il suo amico incespicare sui suoi passi. Non era quello di cui stava chiedendo in ogni modo.

“Penso di sì.” Arrivò la risposta rauca. Jensen chiuse gli occhi e sperò che Jared, al mattino, avrebbe dimenticato la loro conversazione.

 

****

 

Quando Jensen si svegliò, non era ancora mattino. Il suo orologio gli disse che erano appena passate le quattro, gemette quando si rigirò e sentì tutti i suoi muscoli fargli male. Anche la testa gli faceva un po’ male, ma nulla in confronto all’indolenzimento di gambe, braccia e torso. Si sentiva come se il suo intero corpo fosse rimasto in tensione per le ultime ore, come se avesse sofferto di crampi e spasmi.

Frammenti del suo sogno gli passarono davanti agli occhi e con essi il ricordo del dolore, di essere spintonato, preso a calci e colpito. Ricordava ogni colpo come se li avesse ricevuti davvero, non come se fosse una delle lotte coreografate che stavano davvero filmando sul set.

Ora Jensen si sentiva come se fosse reale, poteva sentire il dolore alle costole ogni volta che respirava. Stava diminuendo. Era un eco del sogno e si stava già dissolvendo, ma questo non modificava come si sentiva dentro, non fermava la paura di strisciare di nuovo in Dean e farsi colpire dal suo senso di colpa.

Era rimasto nella testa di Dean per troppo tempo, si sentiva come se non fosse più in grado di scrollarselo completamente di dosso come era solito fare, scivolando dentro e fuori da lui come si fa con una giacca indossata per lungo tempo.

Ora, pezzi del personaggio rimanevano con lui anche dopo aver girato, e per quanto Jensen tirasse e piegasse, Dean non andava via. Non completamente.

Sentì dei rumori provenire dal piano superiore, sentì che veniva accesa la luce, poi l’inconfondibile suono di passi in movimento.

Jared.

Jensen chiuse gli occhi nel buio e un tipo differente di paura e senso di colpa lo assalirono.

Non c’era ritorno dall’errore che aveva commesso, non una via semplice per uscire dal casino che aveva creato. Desiderò di potersi rimangiare tutto, di poter in qualche modo cancellare quel bacio.

Gemette e fermò di buon grado quei pensieri. Ci si aveva pensato. Ci aveva pensato spesso e continuare a farlo più e più volte non lo aveva aiutato. Non aveva cambiato nulla.

Sentì lo scarico del gabinetto, lo scorrere dell’acqua e la luce che veniva spenta.

Solo nella più totale oscurità, quando sentì che la casa si era di nuovo addormentata, si permise di ricordare quel bacio. Concesse a se stesso di soffermarsi qualche secondo su come si era sentito. Ammise a se stesso che la parte di lui che non se ne pentiva, era molto, molto più grande rispetto al resto.

 

****

 

Jensen sentì il click all’altro capo della linea e seppe di essere fottuto.

Danneel aveva capito, aveva accettato le sue ragioni – il lavoro era pesante, aveva bisogno di dormire un po’, nessuna distrazione, solo un paio di episodi alla fine, poi sarebbe stato libero e avrebbero avuto tutto il tempo del mondo – ma era rimasta delusa. Jensen la conosceva da troppo tempo per non sentirlo nella sua voce.

Non poteva vedere l’anello che teneva nascosto nel cassetto superiore, a pochi passi da lui, ma non ne aveva bisogno. Si sentiva come se fosse incandescente lì dentro, come se bruciasse e potesse quasi sentirne il fuoco sulla pelle.

“Jensen?” Un sussurro provenne da vicino e quando Jensen guardò su, poté vedere Jared in piedi appena fuori dalla sua stanza.

“Stavo…” Il suo amico arrossì, armeggiando con la porta. “Non ho potuto fare a meno di sentire, mi dispiace.” Sussurrò.

Jensen annuì vagamente, aspettando il resto, perché sembrava che Jared avesse altro da dire.

“Hai cancellato il weekend con Danneel?” Gli chiese l’amico e a lui sembrò nervoso.

“Si.”

“Perché? Voglio dire, tu non hai altri piani e non era… non volevi farle la proposta, questo weekend?”

Lo voleva. Jensen sentì qualcosa aggrovigliarsi nel suo stomaco quando ci pensò. Aveva detto a Jared di quel weekend, aveva menzionato l’anello e i suoi piani non più di due settimane prima, ma ora si sentiva come se quei giorni fossero stati una vita fa.

“Ti stai… ti stai chiamando fuori?” La voce di Jared incespicò.

“Cosa? No, io… no. Solo…” Jensen si guardò le mani, continuava a tenere il cellulare. “No, sto solo… aspettando il momento giusto. Questo non lo sembrava.”

Jared annuì silenziosamente, ma non sembrava aver compreso. I suoi occhi erano dilatati, nervosi e, quando Jensen li incrociò, sentì come se stessero avendo un’altra conversazione.

“La stai lasciando? Per me?”

“Non lo so.”

Jensen deglutì e si alzò, pronto a passare di fianco a Jared per andare in cucina o in soggiorno, dovunque, ma non lì. Si fermò sulla porta. “Lo hai già chiesto a Genevieve?” Chiese, e la sua voce suonò perfino quasi disinvolta.

“Sto aspettando il momento giusto.” Rispose l’altro.

Lui non sembrò per niente disinvolto. Jensen seppe che Jared era spaventato almeno quanto lo era lui: che potevano iniziare ad avere le loro conversazioni silenziose ad alta voce.

 

****

 

“Hey, adesso basta.” Urlò Dean, spinse sul costato di suo fratello facendolo inciampare all’indietro di alcuni passi.

“Levati dalla mia strada.” Disse Sam, cercando di mantenere il controllo.

“No.”

 “Levati dalla mia strada, Dean.” Ripeté Sam, perdendolo lentamente.

“C’è solo un modo di vincere e non è uccidendo quella cosa.”

Crowley si avvicinò a loro, spostando lo sguardo da Sam a Dean. “Bene, sembra che tu lo abbia reso bello e incazzato.”

Stavano facendo quella ripresa per la terza volta ora. Robert, il regista, non era esattamente felice per lo sviluppo della scena e Jensen la stava odiando; non sapeva cosa fosse ad irritarlo così tanto, ma non poteva più sopportarlo, lo sentiva strisciare sulla pelle come un prurito.

Questa volta scattò.

“Chiudi quella cazzo di bocca, figlio di puttana.” Urlò, senza vedere la faccia sconvolta di Mark, ma quella di Crowley, il demone, che si prendeva gioco di lui e di suo fratello, tirando le loro catene.

La cinepresa continuò a riprendere, all’inizio la crew lo seguì, lasciandogli fare le sue cose.

“Dì un’altra cosa su mio fratello e puoi dire addio al tuo culo, mi hai sentito?”

Ridusse la distanza tra loro, incombendo sull’uomo più piccolo.

“Taglia!” Urlò Robert, ma Jensen non se ne rese nemmeno conto.

Emanava ondate di calore, raggomitolato tra rabbia e senso di colpa, e molto più di quanto potesse anche solo cominciare a comprendere.

“Jensen.” Disse Jared vicino a lui, tenendo il tono di voce basso, come se stesse parlando ad un animale selvatico.

“Sta zitto, Sam! Lui può sopportarlo.” Rispose Jensen e non riconobbe più nemmeno la sua stessa voce, le parole lasciarono la sua bocca senza che le riconoscesse come proprie.

“Jensen, andiamo amico, torna qui.” La voce dell’altro rimase la stessa, abituato a questo, abituato a trascinare occasionalmente l’amico fuori dal suo personaggio.

Mark rimase a fissarlo con cautela, senza muoversi; qualcosa di simile alla soddisfazione passò attraverso Jensen quando vide la paura negli occhi dell’altro uomo.

“Jensen.” Jared si fece più vicino, gli toccò il braccio.

“Te l’ho detto, Sam, lasciami fare questa cosa.” Grugnì come unica risposta. Poi però si tirò indietro, voltandosi.

“Torna indietro, amico!” Gli disse Jared ed era vicinissimo ora, lo tratteneva per il braccio.

“Sam, lasciami andare.” Cercava di sembrare ragionevole, usando il suo tono da fratello maggiore. Ma non sembrava funzionare – rendeva solo il più giovane sempre più arrabbiato, più spaventato.

“Smettila di chiamarmi Sam, Ok? Jensen, mi stai spaventando a morte!”

Qualcosa scattò di nuovo dentro la testa di Jensen. Era mortalmente silenzioso intorno a lui e poteva praticamente sentire gli occhi di tutti quelli presenti in quella stanza fissi su di lui. Jared continuava a tenerlo, stringendogli il braccio come se avesse paura di lasciarlo andare, e quando Jensen spostò lo sguardo su Mark, lo vide pallido come un lenzuolo.

Non era il solo.

La gente lo guardava a bocca aperta e alcune delle ragazze si coprivano il volto con le mani. Robert sembrava confuso, i suoi occhi saettavano tra lui e Jared, come se aspettasse che quest’ultimo facesse qualcosa.

“Jensen?” L’amico lo chiese come se volesse assicurarsi che fosse lui e Jensen si sentì in colpa per aver provocato quello sguardo spaventato sul viso dell’altro. Sapeva che Jared odiava quando continuava a chiamarlo Sam; era una delle poche cose per cui avevano effettivamente litigato in passato.

Jensen annuì a scatti, inghiottendo il groppo che aveva in gola. Si sentiva esausto ed erano solo le due del pomeriggio, non avevano nemmeno fatto molte riprese quel giorno.

“Lo porto a casa.” Annunciò Jared, senza chiedere il permesso - come se avesse letto nell’espressione di Jensen - e nessuno lo interruppe. Si tolsero solamente dalla loro strada quando il più giovane lo guidò gentilmente fuori dal set.

“Mi dispiace.” Jared lo disse a Mark mentre se ne andavano, scusandosi per Jensen. E lui avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo per questo, ma era troppo occupato a sentirsi come se stesse cercando di strisciare fuori dalla sua testa.

“Non ti preoccupare.” Rispose Mark, annuendo ad entrambi. “Solo, portalo a casa, ok?”

Non vennero disturbati da nessuno per il tempo che servì loro per raggiungere la macchina. Solo Robert scambiò uno sguardo con Jared, silenziosamente d’accordo con lui, anche se Jensen dubitò del fatto che qualcuno avrebbe potuto fermarli.

Non si scambiarono parole sulla via di casa e, oltre alle occhiate preoccupate di Jared, c’era qualcos’altro che Jensen sentiva.

Qualsiasi cosa stesse succedendo dentro di lui, a lui, non era finita.

 

N.d.T.

Eccoci, la situazione precipita velocemente, Jensen sembra sul punto di avere un crollo psicotico, sempre più confuso e forse in fuga dalla realtà in cui ha baciato Jared, sembra che stia inconsciamente lasciando al mondo di Supernatural e a Dean di prendere il sopravvento su di lui.

Povero Jensen, menomale che nonostante tutto il suo amico continua a stargli vicino.

Vi aspetto al prossimo capitolo che sarà il fulcro che darà la svolta a questa storia ;)

Grazie a chi sta leggendo questa storia e ha voluto lasciare un commento, sono felice che stia piacendo tanto quanto è piaciuta a me la prima volta che l’ho letta.

 

Ciao a tutti ;)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - the shift ***


N.d.T.

Metto delle note qui per spiegare il senso di questo capitolo. È molto corto e come traduttrice mi sono posta il problema se unificarlo o meno con quello precedente o a quello successivo, e sono arrivata alla conclusione che deve rimanere un capitolo singolo (come ha deciso l'autrice daltronde), perché qui succede la svolta che darà un senso a tutta la storia e ai capitoli che seguiranno.

La composizione grafica del capitolo, tra la prima parte e la seconda, sottolinea ancora di più questa transizione. Passiamo infatti dal POV di Jensen che è stato prevalente per i primi tre capitoli, a quello di Jared che ci accompagnerà da qui in avanti.

Dato che però non sono così cattiva e che il quinto capitolo è già stato tradotto, vi avviso che lo pubblicherò nel fine settimana in modo da far passare meno tempo tra questo (che è quasi un’intramuscolare) e il capitolo ben più succoso che seguirà.

Portate pazienza, dovrete aspettare pochissimo ;)

Buona lettura!

 

 

Capitolo IV- the shift

 

Lo squillo del cellulare fece spaventare Jensen così tanto che diede un calcio al tavolino di fronte a sé, causando la caduta di un vecchio vaso che andò in frantumi. I cani piagnucolarono dall’angolo in cui erano rannicchiati, guardandolo con sospetto, ma senza avvicinarsi.

Sapeva che erano spaventati, sapeva che potevano percepire che era… sbagliato.

Il cellulare squillò di nuovo e finalmente Jensen lo afferrò, rispondendo senza nemmeno controllare il numero di chi lo stesse chiamando.

“Hey, vuoi che porti a casa da mangiare? Stavo pensando a del cinese.” Disse Jared senza preamboli. Non usavano presentazioni fin dalla seconda stagione.

“Io…”

“O thailandese... andrebbe bene anche quello. Qualsiasi cosa. Sono solo maledettamente affamato. Ho dovuto lavorare tutto il dannato giorno, mentre qualche altro attore (di cui non farò il nome) ha il suo culo sul divano e ha iniziato il weekend in anticipo.”

“Uhm, io non…” Jensen non poté impedire all’incertezza di trasparire dalla sua voce. Jared se ne accorse immediatamente.

“Jensen, cosa c’è che non va?”

L’altro deglutì pesantemente, sforzandosi di respirare. “Niente, io non… non mi sento molto bene, amico.”

Jared sussultò all’altro capo della linea. “Gesù, sembri messo male. È qualcosa… hai bisogno di chiamare il 911?”

C’era una lieve traccia di panico nella sua voce e Jensen si sentì malissimo per questo, per averlo messo in quella situazione. I suoi pensieri stavano correndo come se stessero per afferrare qualcosa, ma ogni volta che chiudeva gli occhi e cercava di focalizzarla, ne usciva… a mani vuote.

Solo, con questa sensazione inafferrabile, quella maledetta… sensazione sconosciuta, sempre più grande, che gli toglieva l’aria dai polmoni e rendeva le sue ginocchia più deboli.

C’era qualcosa di sbagliato in lui. Qualcosa di peggio che non gli incubi e i mal di testa. Aveva la sensazione che la sua mente stesse avendo un attacco di rabbia contro di lui, combattendo il suo stesso corpo.

“Jensen? Jensen!” Senti gridare Jared, quasi un urlo, e si rese conto che doveva essersi perso nella sua testa.

“Sono qui.” Gracchiò e si sentì pronto per scoppiare in lacrime. Lo spaventava. Lo spaventava così tanto non sapere cosa ci fosse che non andava in lui. “Sono ancora qui.”

“Ok, amico, prenderò la scorciatoia, ok? Sono ad un minuto da lì, sto arrivando, d’accordo?” Disse Jared velocemente, le sue parole cadevano le une sulle altre. “Sarò lì il più presto possibile, Jensen, mi senti? Solo resta dove sei, ok? Jensen, non ti muovere!”

 

****

 

Jared chiuse la comunicazione e fermò la macchina di fronte alla sua casa.

Una volta dentro, lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle con un tonfo e la prima cosa che notò fu il silenzio che aleggiava nell’aria, come una spessa coperta che copriva i muri, i mobili e il pavimento, riecheggiando nelle sue orecchie. La casa era buia ad eccezione della luce dell’ingresso che aveva appena acceso, nessun segno della presenza di qualcuno, anche se sapeva che Jensen non poteva essere troppo lontano.

Sentì i peli su braccia e collo rizzarsi – l’istinto forse, o la paura che lo stava prendendo a calci.

Se prima aveva sentito l’urgenza e il desiderio di raggiungere Jensen il più in fretta possibile, ora era esitante e cauto.

Fece alcuni timidi passi in avanti, abbastanza per raggiungere la porta del soggiorno, da dove avrebbe potuto scrutare all’interno, una volta che i suoi occhi si fossero adattati alla fioca luce che si diffondeva oltre l’ingresso della stanza.

Harley e Sadie furono immediatamente al suo fianco, correndo fuori dall’ombra, le unghie delle loro zampe picchiettarono sul pavimento di legno duro.

Il cuore di Jared si fece più veloce.

I suoi cani erano silenziosi, le loro code rimanevano basse, dei piagnucolii scappavano dalle loro gole.

Raramente Jared aveva visto i suoi piccoli così confusi e spaventati, la loro paura non faceva che fomentare la sua.

Accarezzò distrattamente la testa di Sadie, emettendo dei piccoli suoni per calmarli. I suoi occhi cercavano di guardare nel buio. Trovarono una figura seduta sul divano, la siluette di Jensen era quasi invisibile da dove si trovava Jared, ma era abbastanza famigliare da essere notata.

Fece ancora qualche passo e fu avvolto dall’oscurità della stanza. I suoi cani divennero sempre più nervosi dietro di lui. Li udì uggiolare, rannicchiati insieme nella sicurezza della luce del corridoio.

Il sangue gli risalì alle orecchie; i suoi occhi non lasciarono mai l’uomo di fronte a sé. Lo stava guardando ora, i loro sguardi erano inchiodati uno all’altro.

Jared non riusciva a respirare.

Oh, Dio.

Oh, Dio.

“Dean?” Il nome cadde fuori dalle sue labbra pesante e sconosciuto. L’aveva detto innumerevoli volte negli ultimi anni: infastidito, con scherno, arrabbiato, disperato, ma mai, nemmeno una volta, gli aveva fatto così male. Aveva suscitato qualcosa dentro di lui in modo così potente che le sue mani avevano preso a tremare.

“Dimmelo tu.” Rispose l’altro uomo, la sua voce appena quel poco più bassa, quel poco più ruvida. E Jared seppe con chi stava parlando.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V

 

Jared si sentiva come se stesse per svenire. Il calore strisciava nella parte posteriore del suo collo, puntini ballavano di fronte ai suoi occhi e l’unica ragione per cui non stava cadendo a terra, era perché non poteva distogliere gli occhi dall’uomo che aveva di fronte. Non osava muoversi, nemmeno battere le palpebre, troppo spaventato che tutto quello non fosse reale, che fosse solo un sogno e che non lo avrebbe mai più rivisto.

“Cosa diavolo hai fatto, Sam?” Chiese Jensen, e il nome che uscì dalla sua bocca suonò giusto questa volta; un sottile cambiamento, niente che nessun altro avrebbe potuto notare. Ma il petto di Jared si strinse e la sua gola si chiuse attorno ad un groppo dopo aver sentito il nome, dopo aver sentito Dean pronunciarlo.

“Sei tu, Sam, vero?” Chiese Jensen.

Solo allora Jared sentì l’incertezza dietro di essa, la paura. Prese un respiro tremante, voleva rispondere ma non riusciva ad emettere alcun suono.

La risposta era sulla punta della sua lingua, era rimasta lì per quasi tutta la sua vita. “Si.” Voleva dirlo. “Si, io sono Sam e io sono tuo fratello, Dean, ma tu non sei stato il mio per tutti questi anni.” Jared tremò a quel pensiero. La consapevolezza che aveva celato per tutto quel tempo, l’aver fatto finta di non ricordare chi fosse davvero, distrusse i muri che aveva eretto dentro di sé.

Jared annuì lentamente e sentì tutto il suo mondo crollare intorno sé.

“Bene.” L’altro lasciò andare il respiro, i suoi occhi si chiusero tremando per un secondo e fu Jensen a farlo, lasciando che le emozioni trasparissero sul suo volto.

Era Jensen.

Ed era Dean.

Jared si stava sentendo male, il suo stomaco si stava ribellando contro il suo corpo.

“Allora, cosa hai fatto, Sam? Cosa è successo?” Jensen non lo guardò, il più giovane rimase ad osservarlo mentre fissava un punto nel vuoto. Le sue spalle erano in tensione, come se si stesse preparando per il peggio.

“Hai fatto un altro patto?” Il maggiore rise, una risata priva di umorismo che suonava così tanto da Dean, da suo fratello, che ferì Jared fin nel profondo. “Cosa diavolo hai venduto questa volta? Perché questo deve essere stato un grosso patto del cazzo.”

“Nessun patto.” Sussurrò Jared e fu tutto quello che fu in grado di dire.

“Quindi cosa? Cos’è questo, Sam?”

“Cosa ricordi?”

“Ricordo te che salti in quel buco con Adam; Lucifer e Michael ancora dentro di voi. Mi ricordo di essermi presentato davanti alla porta di Lisa.” Deglutì pesantemente. “E poi io… io ricordo quando mia madre uscì dall’ospedale, con MacKenzie tra le braccia, così piccola, aveva solo due giorni. Josh era seduto vicino a lei sul sedile posteriore. Era la prima volta che mi era permesso di sedere davanti vicino a mio padre.”

Jared annuì, i ricordi di Jensen non erano molto differenti dai suoi. Ricordava di aver saltato, la caduta... e poi suo fratello maggiore Jeff e come avessero ricevuto gli stessi giocattoli per Natale; piccoli camioncini rossi con le luci lampeggianti; ci avevano giocato per giorni.

Jared tossì, tirandosi fuori da quei ricordi. “Io… sono stato liberato. Dall’Inferno, voglio dire. Non so chi mi abbia tirato fuori esattamente, ma ero fuori.” Guardò suo fratello, lasciando andare un respiro tremante, non poteva credere che stesse succedendo.

Non sarebbe dovuto accadere. Jensen non avrebbe dovuto ricordare.

“Poi lui è venuto da me, mi ha detto che potevo esprimere un desiderio. Ed ora… eccoci qui.” Fece un gesto vuoto, improvvisamente spaventato, improvvisamente di nuovo il fratellino di Dean.

Gli occhi di Jensen scattarono. “Chi è venuto?” Chiese.

Jared esitò, mordendosi le labbra. “Gabriel.” Lanciò all’altro un sorriso diffidente. “Sembra che a Dio piaccia avere i suoi angeli vivi.”

Jensen assorbì quell’informazione aggrottando solamente le sopracciglia. “E che cosa hai desiderato?”

“Una seconda chance.” Jared deglutì. “Per tutti noi.”

“Wow.” Jensen abbaiò una risata che fece gelare le ossa del più giovane. “Quindi questo è quello che abbiamo ottenuto? Per tutti noi? Perfino per i demoni e i cazzo di angeli? Ti suona giusto?”

Jared scosse la testa. “Vessel, ricordi? Sono i loro vessel che hanno avuto una seconda possibilità. Questo mondo non ha nulla di soprannaturale.”

“Sei sicuro? Nemmeno l’ultimo mondo era molto avvezzo a tutta quella roba, da quello che ricordo.”

Jared sospirò, emise un lamento. Questo era troppo, troppo presto, troppo inaspettato. “Ho controllato. Appena sono stato grande abbastanza per capire, ho controllato. Non c’è nulla si innaturale qui. Te lo giuro.”

Jensen continuò a guardarlo severamente. “Quindi abbiamo ottenuto questo perfetto piccolo mondo? Questa è la nostra ricompensa?”

“Non è perfetto. La gente resta la gente. È solo un’altra vita. Una chance di normalità.”

Jensen annuì tremante, i suoi occhi fluttuarono. “Dio.” Sospirò. “Non so nemmeno… non so nemmeno da dove cominciare.” Si alzò, passandosi le mani sul viso ripetutamente.

Jared poté solo rimanere lì e guardarlo, continuava a sentirsi come se stesse per svenire da un momento all’altro. Voleva toccarlo, voleva… accertarsi che fosse reale, che lui fosse reale, perché questo… questo non poteva stare accadendo. Non così all’improvviso, in quel modo, non dopo tutti quegli anni.

“Ho bisogno di uscire.” Jensen lo annunciò improvvisamente, si diresse direttamente verso la porta e questo scosse Jared dal suo stordimento.

“No, aspetta.” Disse, un po’ troppo forte.

Ma Jensen continuò a camminare, si mise le scarpe e afferrò la sua giacca; la porta di ingresso fu aperta ancora prima che Jared potesse processare quello che stava accadendo.

Che l’altro se ne stava andando.

“Jensen, aspetta, dove stai andando?” Jared lo supplicò, mentre veniva attraversato dalla paura.

L’altro uomo non rispose, non mostrò nemmeno di averlo sentito.

“Jensen?” Jared gli corse dietro oltre il loro prato, solo per riuscire ad afferrare in tempo la portiera del SUV, prima che il suo amico potesse chiuderla con un tonfo.

“Andiamo amico... Dean, aspetta, ok?” Lo pregò più silenziosamente questa volta, vagamente consapevole dello spettacolo che avrebbero dato ai vicini se qualcuno li avesse visti.

Jensen in effetti si fermò, rivolse a Jared un sorriso vuoto e accese la macchina. “Vedi? Siamo in due. Nemmeno io so chi sono.”

E con questo Jensen tirò la portiera via dalle mani del più giovane, la chiuse e se ne andò.

“Dean! Dean!” Jared gli urlò dietro, ma era stupido e inutile, e lui era assolutamente perso.

“Dean...” Continuò a dirlo, silenziosamente a se stesso, assaporando quel nome, permettendosi di sentirlo davvero per la prima volta dopo un lungo, lungo tempo.

 

****

 

Quando Jared aprì gli occhi il soffitto sopra di lui gli sembrò famigliare. Il divano su cui era sdraiato sembrava esattamente lo stesso di quando lo avevano comprato, il soffice russare dei suoi cani di fronte a lui non era nulla di nuovo. Ma il mondo… il mondo era cambiato.

La schiena gli mandò una fitta dolorosa quando fece scivolare le gambe sul pavimento. I suoi occhi andarono per prima cosa al cellulare; vide l’orario – le otto e mezza – e la mancanza di messaggi o chiamate.

Aveva speso quasi l’intera notte mandando messaggi e chiamando Jensen, Dean, e la batteria del suo cellulare era quasi morta, ma l’altro non aveva risposto e non era tornato a casa.

Jared sospirò e si nascose la testa tra le mani.

C’era un dolore nel suo cuore che derivava sia dal sollievo che dalla paura. Dall’improvvisa assenza della parte mancante dentro di sé e dalla presenza della stessa cosa che aveva desiderato per poterla riempire:

Dean.

Tutto e niente, sempre e per sempre, si riduceva a quell’unico nome, quell’unica persona.

Dean.

Jared, Sam, non poteva credere che fosse lì, che avesse riavuto suo fratello completamente, dopo così tanto tempo. E per quanta voglia avesse di scoppiare di felicità, di versare lacrime di gioia per averlo finalmente avuto indietro, Jared era spaventato fin nel profondo da chi avrebbe potuto perdere come conseguenza.

Ora era tutto aperto, le carte in tavola erano nuove.

E il risultato era ignoto.

Un breve abbaio catturò la sua attenzione e quando Jared si guardò intorno, poté vedere Harley e Sadie seduti pazientemente davanti alla porta della cucina, agitando le loro code.

“Cazzo, mi dispiace tanto.” Saltò su, con la colpa che lo attraversava. Si sentì solo peggio quando riempì le loro ciotole fino all’orlo e li guardò divorare il cibo in un attimo.

Dopo li lasciò uscire nel giardino posteriore, non era disposto a lasciare la casa nemmeno per una breve uscita con loro, in caso Jensen fosse tornato.

Questa cosa lo colpì di nuovo. La consapevolezza che Jensen non era più solo Jensen. La sua mente continuava a dimenticarlo, continuava a respingerlo e farlo scivolare indietro in onde. Jared non sapeva se vi si sarebbe mai abituato. Guardare negli occhi di Jensen e vedere anche suo fratello, che finalmente rispondeva al suo sguardo.

Il dolore era caldo e tagliente nel suo cuore – e troppo, troppo fresco – non avrebbe nemmeno saputo dire se fosse buono o cattivo, se fosse felice o triste. Sapeva solo che non era pronto per processare l’intera cosa in quel momento.

Sapeva che non era questo che aveva voluto allora. Che il patto era stato differente. Che aveva scelto qualcosa d’altro.

Jared spese la maggior parte della giornata aspettando con il cellulare in mano, sperando di avere notizie da Jensen, fuori con i suoi cani, cercando di intrattenerli. Niente funzionò. Jensen, Dean, non chiamò, non mandò un messaggio e ora della fine della giornata, Jared avrebbe potuto giurare che i suoi cani fossero davvero incazzati con lui per la mancanza di attenzioni; lo dimostrarono, quando li trovò che occupavano tutto il suo letto, dormendo rumorosamente con la schiena rivolta verso di lui.

Jared lasciò che gli rubassero il letto e tornò a fissare il suo telefono; raccolse i cocci del vaso rotto dal pavimento della sala e poi tornò a fissare l’orologio sulla parete della cucina. Cercò di fermare la sua mente dall’andare al ‘e se…’

E se Jensen non fosse tornato a casa? E se lo odiasse per non avergli detto chi era davvero, chi erano loro? E se avesse lasciato lo show, o avesse lasciato Vancouver o la sua vita per sempre?

Jared sentì la rabbia strattonare il suo cuore, la sentì bruciare nelle vene. Succedeva ancora in quel modo. La rabbia lo raggiungeva sempre per prima, ma aveva imparato come trattare con essa, aveva imparato a strapparla via e a guardare a quello che davvero stava provando. Tristezza, delusione, debolezza.

Ma era differente, oggi.

Questa volta lasciò che la rabbia lo prendesse, invece che lavorare per superarla; una vecchia sensazione, ancora famigliare, restava stantia e dolorosa, ma di sollievo molto più di quanto ricordasse.

“Gabriel!” Urlò alla stanza vuota, la sua voce era forte ed esigente. Rimbalzò sui muri, risuonò nelle sue orecchie. Aveva fatto una cosa del genere solo una manciata di volte. Tempo addietro, quando tutto era diventato improvvisamente chiaro. Quando aveva tenuto il primo script di Supernatural tra le mani, quando si era reso immediatamente conto di non essere pazzo, che tutto stava prendendo una sorta di significato perverso. La sua voce era stata terrorizzata allora, ma Gabriel venne.

Un’altra volta, fuori di sé dalla rabbia come in quel momento, quando aveva visto Jensen passare attraverso quello che Dean aveva già sofferto, quando aveva visto suo fratello fatto a pezzi di nuovo. Anche se si era trattato solo di sangue finto e di effetti speciali, lo aveva quasi spezzato. Jared aveva urlato all’arcangelo e lui era venuto.

“Gabriel! Porta il tuo fottuto culo qui! Gabriel!”

Continuò ad urlare quando vide che non accadeva nulla e divenne sempre più rabbioso. “So che puoi sentirmi!”

“Gesù, se qualche paparazzo si fermasse da queste parti, dovresti spiegargli perché sono in casa tua, amico.”

Jared ruotò su se stesso per trovarsi di fronte Richard, Gabriel, seduto al tavolo della sua cucina a sghignazzare verso di lui.

“Perché diavolo lo hai fatto? Pensi che sia divertente?” Lo attaccò direttamente, voleva solo far sparire quel ghigno dalla faccia dell’altro.

Richard alzò le mani in difesa. “Whoa, hey, hey! Che succede con tutta questa ira, Sam? Non pensi che sia un po’ troppo della tua vita passata?”

“Smettila di fare la sceneggiata e dimmi perché lo hai fatto?” Jared incombeva su di lui, ma il sorriso dell’angelo si ridusse solo di poco.

“Fatto cosa, esattamente?”

“Jensen lo sa.” Ringhiò, riusciva a malapena a mantenere il controllo sul suo corpo. Allora, nell’altra vita, perdere il controllo avrebbe significato fare molti più danni rispetto ad oggi, ma ancora… il ragazzo continuava a combattere se stesso.

“Lui sa cosa?” A quel punto Richard si accigliò e i muri dell’ira di Jared si creparono, solo un po’.

“Chi è. Chi era.” Richard lo guardò con occhi spalancati, pallido, ma lui continuava a non credergli.

“Perché lo hai fatto? Questo non era parte del nostro accordo.” Sputò fuori. “Avevamo detto nessun ricordo. Niente. Non il suo nome, non la sua vita, non l’Inferno, non me.”

“Lui ricorda tutto?” Sussurrò Richard, abbassando lo sguardo sul tavolo, come se stesse pensando attentamente.

“Si.”

“Non sono stato io.”

“Stronzate.” Sibilò Jared, perché non poteva credergli, non voleva farlo. Non quando era così arrabbiato e aveva bisogno di qualcuno da incolpare, non quando tutto era andato a puttane e il suo migliore amico, suo fratello, ora era scappato da lui.

“Non sono stato io, te lo giuro, ok?” Richard incontrò ugualmente il suo sguardo. “Forse il potere si è solo esaurito, d’accordo? Non sono esattamente Dio, perfino i miei poteri hanno dei limiti!”

Rimasero a fissarsi l’un l’altro in un silenzio carico di rabbia. Jared non voleva dargliela vinta, ma già sentiva di credergli, sentiva la delizia della furia lasciarlo. Ma fu qualcos’altro a far andare via completamente la sua rabbia.

“Wow. Ed eccoci di nuovo qui.” Disse una voce dietro di lui, delusa e ferita, che lo fece voltare con gli occhi spalancati. “Ovviamente la storia si ripete.”

“Dean.” Boccheggiò Jared, perché era del tutto Dean quello che lo stava guardando ora, e quel momento sembrò fin troppo come uno di quelli che avevano condiviso in passato. Non aveva bisogno di chiedere per sapere che Jensen aveva sentito tutto.

“Sembra tanto un déjà-vu, non credi, Sammy?” Disse Jensen con voce roca e usò le esatte parole che erano nella testa di Jared. “Non stai esorcizzando un demone con la mente, ma la cosa del ‘dietro le spalle’ e del mentire e del fingere, resta sempre la stessa.”

“Dean...” Disse di nuovo Jared, la sua bocca si era asciugata e il suo cuore batteva forte per il senso di colpa.

“Niente di soprannaturale, huh? Avrei dovuto sapere che stavi mentendo.”

“In realtà…” Intervenne Richard, mettendosi tra di loro. “Sono solo io.”

“Gabriel.” Dean annuì e Richard rispose a modo.

“Dean.”

Rimasero a guardarsi l’un l’altro, come vecchi nemici che si incontrano di nuovo dopo una guerra che è finita da tempo, ma ancora non pronti a superare i confini che essi stessi hanno disegnato.

“Quindi questo è divertente per te?” Lo pressò Jensen, la sua espressione era tutta Dean: una maschera di rabbia e furia. Jared deglutì e pensò che il maggiore non aveva nemmeno idea di citarlo.

Questa volta, però, la risposta del Trickster fu differente.

“Non sono stato io. Lo giuro. Non ti ho svegliato io.” Suonava molto di più come Richard in quel momento, come il ragazzo che entrambi conoscevano.

“Che tipo di malato del cazzo sei, huh? Lasciare che riviviamo le nostre vite in un fottuto TV show?”

“Jensen.” Jared si intromise facendo un passo verso suo fratello.

“Non ti azzardare a difenderlo.” Lo mise in guardia Jensen, le sue narici si dilatarono. “O era parte del tuo accordo? Io dovevo dimenticare ma tu ricordavi ogni piccolo dettaglio, così potevi vedermi percorrere la mia vita, completamente ignaro? Così potevi guardarmi commettere gli stessi errori di nuovo, in modo che potessi vedere quanto fossi nel giusto, ancora e ancora?”

“Dean.” Jared sussurrò e avrebbe voluto piangere perché non era giusto, questo non era quello che voleva. Questo non era per niente quello che era stato per lui.

“Woah, woah, aspetta un secondo, okay?” Richard cercò di salvarlo, una seconda volta. “Primo: il mio mondo, le mie regole. È divertente vedervi contorcere mentre passate attraverso la vostra vita passata, facendo di nuovo gli stessi errori e avere persone che curano il tutto come un cavolo di TV show? Si, lo è. Voglio dire, sono il Trickster dopotutto e ho bisogno di tenermi occupato con qualcosa quando non mi è permesso di fare troppe cose soprannaturali, giusto?”

Jared rimase in silenzio, tenendo sotto controllo la sua rabbia. Avevano già avuto questa conversazione prima.

“E secondo: Sammy qui non è completamente umano. E non sta usando un vessel. Quindi il mio potere non ha esattamente funzionato con il piccolo ragazzo.”

Il suo tono divenne sempre più serio ad ogni parola. “Ascoltate. Voi ragazzi avete impedito che l’apocalisse accadesse, avete chiuso i miei fratelli in una gabbia e il mondo è rimasto intatto. Questa qui è la vostra ricompensa. La vostra seconda possibilità. Ed è il meglio che io potessi fare, quindi prendere o lasciare.”

Guardò severamente il maggiore per un’ultima volta, poi i suoi occhi tonarono su Jared; annuì e svanì nel nulla.

Jensen si voltò verso Jared, i suoi occhi erano così pieni di senso di tradimento che il più giovane li sentì come un pugno nello stomaco. “Come hai potuto non dirmi chi ero?” Chiese. La sua voce era rabbiosa, quasi feroce, come se l’altro gli avesse piantato un coltello nella schiena.

“Stavo cercando di proteggerti!” Urlò Jared, stanco di fare la parte del cattivo, di dover difendere se stesso.

Jensen buttò in aria le mani, furioso. “Da cosa?”

“Da te stesso!”

Il maggiore rimase in silenzio, stordito per un secondo, e Jared ne approfittò per dirgli esattamente cosa aveva voluto dire rinunciare a suo fratello per sempre. Portare via a Dean tutti i ricordi del fratellino che aveva una volta, della persona che una volta aveva amato più di qualsiasi altra cosa, quello per cui era morto, più e più volte.

“Pensi davvero che io non abbia sentito quello che Carestia ti ha detto?” Sbottò Jared, urlò e sentì la sua gola chiudersi. “A proposito di quanto vuoto tu fossi, di come fossi già morto? Questo ha continuato a gridare nella mia testa per più di vent’anni! E non c’è stata una settimana in cui non ci abbia pensato, o che non mi sia svegliato sudato dopo un incubo in cui non avevamo vinto. Dove Gabriel non era mai venuto a farmi quell’offerta.”

Sussultò, sentendo la sua voce che incespicava. “Stavo per perderti, Dean. E non per qualche demone, o mostro o l’apocalisse. Ma per te. Per quanto saresti andato avanti? Con o senza di me? L’ho fatto per salvare la tua vita! Proprio come ho sempre fatto. Come abbiamo sempre fatto.” 

Jensen continuava a non reagire, continuava a guardarlo con occhi vuoti.

“Non pensare, nemmeno per un secondo, che questo sia stato semplice per me.” Disse Jared. “Ma ho dovuto farlo.”

“Cosa?” Disse finalmente Jensen e la sua voce quasi ferì il minore. “Così potevi avere la tua apple-pie-life? Nessun fratello danneggiato? Così avresti potuto essere normale? Avere quel fottuto cancello bianco che hai sempre sognato?”

“No, Dean!” Esplose l’altro, facendo un passo verso suo fratello, cercando disperatamente di fargli capire. “Così che potessi averla tu!”

“Eri… finito, Dean. Bruciato. Da lungo tempo.” Cercò di spiegare, abbassando il livello della sua voce, come se l’aria nella stanza avesse cominciato ad essere troppo spessa, troppo pesante perché si potesse respirare. “Non potevo rischiare. Non potevo rischiare di perdere tutto di te.”

Jared prese un respiro tremante. “Ho solo cercato di fare la cosa giusta.”

“Si, beh, questo è quello che facciamo sempre e guarda dove ci ha portato.” Rispose freddamente suo fratello e questo lo ammutolì.

La sentenza bruciava, le parole erano un colpo basso, perfino per Dean, e poteva vedere che anche Jensen lo sapeva. Ma anche se i suoi occhi sembravano colpevoli, non si scusò.

“Non ho la minima idea di come dovrei fare ad essere di nuovo lui.” Ammise il maggiore, la voce ruvida come carta vetrata, e fu l’unico segno che diede, del fatto che anche lui stesse soffrendo.

Jared chiuse gli occhi per un attimo, inghiottì il dolore e la rabbia meglio che poté. Lui aveva avuto un’intera vita per abituarsi a questo, suo fratello aveva avuto solo ventiquattro ore. Aveva bisogno di lui adesso.

“Tu sei tu, Dean. Tu sei Jensen. Sei stato lui per gli ultimi trent’anni, tutto questo eri sempre tu. Stessa anima, stessa cosa.”

Jensen sbuffò. “Non puoi aspettarti che io lo accetti e basta.”

“Devi farlo! Altrimenti butterai via gli ultimi trent’anni della tua vita. Cosa farai, un salto indietro nel tempo per essere quella persona ancora una volta? Tornerai a come stavi allora? E per cosa?”

“Sam.” Lo mise in guardia Jensen e gli lanciò uno sguardo tagliente, con l’intenzione di farlo fermare.

“No, Dean. Per favore. Quello che hai ora è fantastico. È quello che volevi. Se solo potessi accettare che questo è un altro passo nella tua vita, solo un'altra parte di essa, potresti avere tutto. Una vita normale, un lavoro, amici, famiglia.”

“Mia madre è morta in un incendio provocato da un demone!” Urlò Jensen, come se qualcosa si fosse spezzato dentro di lui, come se fosse infine scattato. “Mio padre è morto facendo un patto per la mia anima! Mio fratello è morto chiudendo Lucifer in una gabbia! Questo è quello che è reale per me!”

Jared prese un respiro profondo e poi un altro. Si calmò cercando di controllare l’adrenalina che gli scorreva dentro. Si spostò verso un altro lato della stanza, prese il telefono e lo offrì a suo fratello.

“Cos’è?” Chiese Jensen irritato.

“Allora chiamala.” Suggerì Jared e la sua voce era calma come voleva che fosse. “Chiama tua mamma e dille che non sei più suo figlio. Che non vuoi avere più niente a che fare con lei o con la sua famiglia. Andiamo, fallo!”

Vide gli occhi dell’altro dilatarsi, vide il suo viso impallidire ed era esattamente quello che voleva da Jensen, voleva vederlo reagire, voleva fargli comprendere cosa stava per perdere.

“E già che ci sei, chiama Jason. E Chris... e Steve e tutti gli altri amici e dì loro che non puoi più essere loro amico. Perché non sei più Jensen. E poi chiama Danneel. Dille che non lo ami più.”

“Vaffanculo, smettila.” Sussurrò Jensen. Aveva chiuso gli occhi, ma stava vibrando di rabbia. Jared poteva quasi sentire la tempesta che stava imperversando dentro di lui.

Sembrava così perso, così abbandonato, piccolo e debole. Questo toccò dei tasti profondi dentro Jared.

‘È mio fratello’ Pensò il più giovane e lo aveva pensato molte volte nell’arco degli anni, ma mai come questa volta. Non era mai stato così vero come questa volta. 

Per un momento tutto quello che Jared voleva era avvolgere le braccia intorno a suo fratello, tenerlo stretto e vicino, sentire il suo solido calore, la realtà di lui tra le sue braccia. Un promemoria fisico che quello fosse veramente lui. Completamente, con tutti i ricordi del fratellino che aveva una volta, l’unica cosa che davvero lo rendeva differente dall’uomo che era stato fino a due notti prima.

Jared attese. Attese perché Jensen dicesse qualcosa, facesse qualcosa; cercò di essere pronto a reagire in ogni modo. Ma tutto quello che l’altro fece fu di passarsi una mano sulla bocca, stanco e prosciugato, e girarsi diretto alla sua camera.

“Jensen!” Jared lo seguì, incapace ancora di lasciarlo andare.

“Non c’è nient’altro di cui parlare.”

C’era già una risposta sulla punta della lingua di Jared, ma si fermò, vedendo l’espressione sul viso di Jensen e capendo che l’altro sapeva comunque quello che gli avrebbe detto.

Jensen si voltò un’ultima volta, aveva un sorriso vuoto sulle labbra. “Vuoi dirmi ancora come non sono Dean, huh?”

Jared ignorò le sue parole, doveva farlo. “Cosa farai?” Chiese invece, preoccupato che Jensen facesse la valigia e se ne andasse, preoccupato che scappasse da tutto quello, dalla sua vita, da lui.

Jensen si mosse volutamente per chiudere la porta alle sue spalle. “Vai a dormire. Abbiamo una chiamata presto domani.”

Jared rimase senza parole e senza fiato di fronte alla porta chiusa della stanza del maggiore.

La sua mente era chiusa, vuota e silenziosa, come se avesse deciso che le ultime ore fossero state troppo per lui da assimilare e avesse dovuto spegnersi.

Ci fu un rumore che sorprese Jared e lo fece voltare, non aveva idea di quanto tempo sarebbe rimasto davanti a quella porta, se il suo telefono non avesse squillato.

Lo trovò sul tavolo, sullo schermo lampeggiava il nome di Genevieve. Jared non rispose.

Non avrebbe voluto altro che essere capace di rispondere e chiacchierare della sua normale ed eccitante giornata, ma il mondo era cambiato dalla sera precedente, profondamente e completamente, e lui non aveva nemmeno le energie per raggiungere il telefono e fare finta che tutto fosse normale.

Si girò invece, per salire al piano superiore, lasciando squillare il telefono sul tavolo.

 

 

N.d.T.

Come promesso ecco il nuovo capitolo ed eccoci alla grande rivelazione e alle conseguenti spiegazioni di quello che è successo. Jensen è Dean e Dean è Jensen, così come Jared è Sam, in un altro mondo, con un ‘altra vita. Uniti eppure separati.

Per Jensen questo è davvero un duro colpo da digerire, Jared ha potuto convivere con quella consapevolezza per anni, Jensen solo poche ore. Non sarà così semplice per nessuno dei due tenere in piedi un mondo che pare crollare intorno e dentro di loro.

Spero che questa svolta vi sia piaciuta, io l’ho trovata una cosa geniale, soprattutto nel modo in cui l’autrice gestisce le emozioni e le reazioni di entrambi i ragazzi.

Vi aspetto al prossimo capitolo :)

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI

 

Jared rimase ad osservarlo per l’intero viaggio fino al set, pronto al fatto che l’altro potesse esplodere, cambiare, scappare. Ancora non poteva credere che quando guardava Jensen, era Dean che rispondeva al suo sguardo. Erano solo piccole cose. Per la maggior parte del tempo Jensen sembrava semplicemente Jensen, ma quando girava la testa in un certo modo, o inciampava sul nome di Jared in pubblico, era differente. E sempre, senza possibilità di errore, questo mandava un brivido lungo la sua schiena.

Jensen rimase silenzioso per tutto il tempo, continuò imperterrito a guardare fuori dal finestrino. Le sue mani erano chiuse a pugno, appoggiate sulle cosce. Non poteva davvero pensare che Dean sarebbe semplicemente stato in grado di ritornare in questa vita, anche se era la sua, anche se la ricordava tutta. Non ora, quando ricordava molto di più.

Doveva esserci un tranello, doveva esserci un ostacolo, era troppo facile e Jared stava solo aspettando che venisse fuori.

Si fermarono nel loro solito posto, salutarono la gente che incontravano sempre a quell’ora, la mattina presto, mentre andavano al make-up e Jensen continuò a mantenere la sua faccia da poker, annuiva e sorrideva, anche se un po’ meno del normale. Nessuno si accorse di qualcosa di diverso e se lo fecero, pensarono solamente che fosse semplicemente stanco ed esausto. E perché non avrebbe dovuto esserlo? Avevano quasi finito con la stagione ed avevano aggiunto delle ore extra per avere il finale perfetto.

“Come fai?” Furono le prime parole che gli disse quella mattina, fuori, mentre aspettavano che il regista li chiamasse per farli mettere in posizione. Erano parole di Dean, ruvide e basse, condite con un dolore che cercava di nascondere, ma che non avrebbe mai potuto celare a suo fratello.

Jared capì immediatamente cosa volesse dire.

Si guardò intorno per la prima volta in anni, assorbendo tutto: il set difronte a lui, una stanza di ospedale che loro ricordavano, una stanza di ospedale in cui erano quasi morti anni prima. Guardò Matt salutare da un altro angolo, mentre continuava a studiare il suo copione. Un uomo di cui avrebbero avuto paura allora. Un Cavaliere dell’apocalisse.

“In realtà è molto liberatorio.” Scelse di rispondere Jared e si guadagnò uno sguardo incredulo da suo fratello.

“Questo…” Fece un gesto che incluse il set e gli altri attori. “Ti ci sei abituato molto velocemente. Sono persone normali. Perfino allora, i loro corpi erano quelli di persone normali. È come… è come se tu avessi avuto l’opportunità di incontrarli quando il demone se ne era andato e l’anima giusta era rientrata all’interno del corpo.”

Jensen lo studiò e per quanto non sembrasse molto convinto, annuì.

“E le altre cose…” La voce di Jared divenne perfino più bassa, le sue parole solo per le orecchie del fratello, come se il set intorno a loro fosse diventato ancora più affollato. “Tutte le cose che abbiamo dovuto rivivere, rifare – tutto quello che ci siamo dovuti dire di nuovo…” lasciò morire la frase, lasciando immaginare a Jensen il resto. Sapeva che avrebbe pensato alle stesse liti, le stesse parole dolorose che si erano scambiati in passato.

“Ascolta, avevo un’altra prospettiva questa volta. Ho visto cosa è successo quando non eravamo lì. Ho visto tutte le cose che hai detto e fatto, e ho letto quello che hai pensato allora, quando io non sapevo nulla.” Scrollò le spalle girandosi verso suo fratello per vedere se avesse compreso. “Ho imparato molto. Di te, di papà ma, cosa più importante, di me stesso.” Jared rise piano. “È stata come una terapia.”

Lo vide alzare gli occhi accanto a lui e non era una cosa che Dean faceva abitualmente, era più che altro una cosa di Jensen.

“Lo hai saputo per tutto il tempo? Anche quando eri piccolo?”

Jared annuì. “Quando ho realizzato che c’era qualcosa di differente ero solo un bambino. Un ragazzino normale, con i ricordi che abbracciavano quasi trent’anni e perfino un po’ di tempo all’inferno. Non ho davvero capito all’inizio. Era come se…”, cercò le parole giuste, “…se tutto fosse filtrato. Quando gli altri ragazzi cominciarono improvvisamente a notare le ragazze, io ricordai il mio primo bacio. Quando gli altri ragazzi cominciarono ad avere delle fidanzate e a fare sesso e tutto il resto, io mi ricordai com’era allora, cercando di avere una fidanzata mentre noi continuavamo a spostarci da un posto all’altro. Quando i miei amici hanno iniziato ad andare al college, io ho ricordato immediatamente Stanford e l’enorme litigata che avevo avuto con papà.”

Sentì lo sguardo curioso di Jensen su di sé, lo sentì assorbire ogni particolare che poteva fare suo di un mondo di cui non sapeva nulla. Il mondo di suo fratello.

“E per tutto il tempo, mi ricordavo di te.” Disse Jared, sentendo un sorriso che si apriva sul suo stesso volto. “Quando ero troppo piccolo per capire, tu eri il mio amico immaginario o, lo sai, fratello. Dopo, quando sapevo che eri reale, sembrava solo… come se tu fossi stato fuori città e noi presto ci saremmo incontrati di nuovo. E lo sai, forse ci è voluto un po’, ma alla fine lo abbiamo fatto.”

Rise, quando un ricordo affiorò nella sua mente. “Quando ho detto a mia madre del lavoro in Supernatural e ho menzionato il fatto che avrei interpretato il ruolo di Sam con un fratello maggiore di nome Dean, lei non poteva credere che fosse esattamente lo stesso nome del bambino che mi ero inventato quando ero piccolo.

Quello è stato il momento in cui ho ricordato il resto e ho compreso chi fossi.”

Il silenzio cadde tra di loro, i loro occhi rimasero inchiodati gli uni agli altri.

“Dai a questo mondo una possibilità, Dean, ti prego.” Sussurrò Jared più tardi, quando li chiamarono per prendere i loro posti.

Vide l’esitazione negli occhi del fratello, l’istinto che continuava a dirgli di scappare. Ma alla fine Jensen annuì, più a se stesso che a lui.

“Okay, Jared. Facciamo questa cosa.”

 

****

 

“Cosa sta succedendo?” Chiese Jared alla prima persona a cui passò di fianco.

Quella del giorno successivo era una mattinata fredda, ma il cielo era pulito e non c’era quasi vento. Era perfetta per girare la scene in esterna che avevano programmato per quella giornata. Per quello, non aveva senso che non ci fosse nessuno a correre in giro sul set, nessuno che si muovesse febbrilmente intorno a lui, urlando ordini dentro il proprio ricevitore.

“Una delle impala è sparita.” Il ragazzo - Marshall, ricordò Jared – gli spiegò. “E dato che Jensen si è dato malato, le riprese per oggi sono state cancellate.”

“Cosa?” La mente di Jared non seppe nemmeno quale informazione processare prima.

Jensen se ne era già andato quando lui si era svegliato quella mattina. Era stato strano, sì, ma non si era preoccupato. Il maggiore gli aveva lasciato un bigliettino, spiegando che era andato via presto per lavorare ad una scena e Jared, era semplicemente stato sollevato di vedere che l’altro sembrava ancora prendere il suo lavoro seriamente.

Ed ora, qualcuno aveva rubato l’impala?

Qualcosa cominciò a brontolare nella coscienza di Jared, ma era troppo occupato a processare tutto quello che era successo per accorgersene.

“Wow.” Rispose, vedendo che Marshall stava chiaramente aspettando una sua qualche reazione. “Grazie. Volevo solo… sai… passare a vedere se c’era qualcosa da fare… uhm, per me. Quindi è meglio se me ne torno a casa allora, giusto?”

Marshall annuì e un attimo dopo si stava già girando, correndo via nell’altra direzione.

Jared doveva trovare Jensen.

“Hey Jared.” Disse una voce e quando guardò in quella direzione, Jared vide Kim camminare verso di lui.

“Kim, scusami, ma non ho…” si stava già voltando, pronto ad andarsene, quando l’altro lo fermò mettendogli una mano sul braccio.

“Devo parlarti solo per un secondo.” Disse con un tono che non permise al ragazzo di disubbidire.

“Si?”

“Guarda, tu e Jensen sapete che amo gli scherzi, giusto?”

Jared annuì.

“Puoi per favore assicurarti che il tuo amico riporti indietro l’impala sana e salva? Altrimenti i grandi capi mi prenderanno a calci in culo.”

La bocca di Jared si aprì per la sorpresa. “Jensen ha l’impala?” Era ridicolmente ovvio, ma lui era onestamente sorpreso, non poteva immaginare il maggiore che si intrufolava nel garage alle prime ore del mattino e rubava una macchina. Ma ancora una volta, non era più solo Jensen.

Kim non rispose immediatamente, prima lo studiò. “Tu non lo sapevi?”

“No.” I pensieri avevano iniziato a rincorrersi nella sua mente e il panico a divampare nel suo petto.

Se Jensen, se Dean, aveva l’impala, poteva voler dire una sola cosa.

Deglutì pesantemente.

Poteva voler dire che stava scappando.

“Jared?” Kim disse serio, facendo riportare di nuovo l’attenzione del ragazzo su di sé. “Se c’è qualche problema che tu e Jensen non potete risolvere da soli, ricordati solo che ci sono altre persone intorno a voi, okay? A volte è meglio parlare con qualcuno che non ti è così vicino.”

Jared annuì di nuovo, sentendosi già in colpa. Non c’era modo che potesse parlare di questo con chicchessia. Se lui e Jensen non potevano risolvere questo problema da soli, allora semplicemente non poteva essere risolto. Chiuse gli occhi per un momento, cercando di calmare il battito del suo cuore nel petto. Forse Jensen non stava scappando. Forse aveva solo bisogno di riavere la sua macchina.

“Grazie Kim.” Disse e lo intendeva davvero.

“Okay, ragazzo. Forse dovresti andare a cercare il tuo amico, huh?” Gli diede una leggera pacca sulla spalla, indirizzandogli uno sguardo di incoraggiamento. “E hey, se lo trovi…” Disse, come se il pensiero avesse appena attraversato la sua mente. “Sam Smith vi saluta. È in città, ma non riuscirà a venire sul set per salutarvi personalmente.”

Kim gli sorrise, quindi si voltò per andarsene.

I pensieri nella mente di Jared si fermarono. “Dean.” Sussurrò. Il suo cuore si spezzò per suo fratello. Sapeva dove fosse. Era la stessa cosa che aveva fatto lui la prima volta che aveva avuto una seconda chance di vedere sua madre. 

 

****

 

Jared chiuse silenziosamente la portiera, Jensen non si voltò verso di lui, anche se non c’era dubbio che lo avesse sentito, come aveva sentito il refolo di aria fredda quando l’altro era entrato in macchina. Ci era voluta quasi tutta la mattinata e molte telefonate, ma alla fine aveva trovato suo fratello.

“Jensen.” Disse gentilmente, con la sensazione che se lo avesse detto troppo forte lo avrebbe spaventato.

Non ottenne risposta, vide solo la mascella dell’altro contrarsi.

“Allora, hai rubato l’impala.” Scherzò, piano, ed ottenne un’occhiata veloce da parte del maggiore.

“Sai, oltre a te…” Iniziò Jensen, quasi sussurrando. “La mia ragazza qui, era l’unica cosa che era davvero importante per me. E qui? Qui, di lei ce ne sono quattro. E sono tutte in qualche modo false.”

Jared si morse il labbro, trattenendosi dal dire troppo, dall’entrare troppo nello spazio di suo fratello. Voleva disperatamente raggiungerlo e toccarlo, ma non lo fece. Sperò che la sua presenza fosse sufficiente.

“Lei è lassù.” Disse Jensen, parlando di quella che ora era un’altra donna nella sua vita e si voltò, allontanandosi di nuovo da Jared. Non stava davvero parlando con lui, parlava più a se stesso; suonava come se il suo cuore si stesse spezzando. I suoi occhi erano scattati verso una finestra dell’hotel, come se sapesse esattamente dove lei fosse. “È distante solo pochi passi e non ha idea di chi io sia. O di chi sia tu.”

“Non è più nostra madre, Dean.” Sussurrò Jared, passando istintivamente all’altro nome; si sentì più vicino all’uomo accanto a lui. Non di molto, ma significava ancora qualcosa.

Finalmente Jensen si voltò e focalizzò il suo sguardo su di lui. L’altro la considerò una piccola vittoria.

“Hai…? Quando li hai incontrati la prima volta…” Si perse, lasciando il resto non detto, ma Jared lo afferrò lo stesso.

“È diventato più facile.” Il minore annuì tra sé e sé, ricordando la sua reazione quando aveva incontrato Samantha o Jeffrey o Adrienne. Ricordò il fiume di sensazioni, buone e cattive, quando aveva guardato nei loro occhi e all’inizio non aveva trovato altro che un’amichevole distanza.

“È diventato più facile.” Disse ancora e la sua gola cominciò immediatamente a fare male. Non stava mentendo. Semplicemente non gli stava dicendo quanto tempo ci sarebbe voluto.

Jensen studiò il suo volto, poi annuì, come se lo avesse compreso comunque.

“Non pensi che sia strano?” Chiese e voltò di nuovo la testa, cercando disperatamente di guardare attraverso una delle finestre dell’hotel e cogliere un segno della donna che gli era mancata per un’intera vita. E che non era più quella donna.

“Cosa intendi?”

Jensen alzò le spalle, ma non tornò a voltarsi verso di lui.

“Lo sai? pensavo che in qualche modo loro sarebbero sempre stati insieme. Mamma e papà. Non ti sembra sbagliato che in questo mondo, non si siano trovati, non si siano innamorati?”

Jared guardò le orecchie di Jensen diventare rosse, ma l’altro non smise di parlare. “So che suona terribilmente romantico, ma… merda, pensavo che dopo che papà ha speso quasi tutta la sua vita cercando vendetta per lei, loro avrebbero dovuto innamorarsi in ogni mondo in cui si sarebbero incontrati.”

Sembrava un po’ imbarazzato quando finalmente si girò ad incontrare lo sguardo di Jared, ma l’altro annuì solamente. “So cosa vuoi dire.” Gli disse. “Ma… so che si sono amati molto, al di là dei problemi che avevano. Forse era così, sai? Loro si sono amati per tutta la vita, ma non erano… anime gemelle.”

Il silenzio scese tra di loro e quando Jared vide tremare gli occhi di Jensen, il modo in cui evitava il suo sguardo, seppe che entrambi stavano pensando alla stessa cosa.

‘Loro non sono come noi.’

Il freddo suono di uno squillo li fece trasalire, spezzando il silenzio. Il cellulare del maggiore era appoggiato sul cruscotto e Jared poté leggere il display, poté vedere il nome di Danneel lampeggiare ad ogni squillo.

“È Dani. Non vuoi rispondere?” Spostò lo sguardo sul fratello, studiando lo sguardo triste sul suo volto. Ma Jensen non si mosse per rispondere al telefono.

“Non puoi evitarla per sempre.” Sussurrò il minore. Si era reso conto di come l’altro avesse ignorato le chiamate di lei, rifiutando di rispondere ai suoi messaggi. E quando lo aveva fatto, erano stati solo messaggi brevi, scuse veloci e risposte senza senso di una sola parola.

“Tu la ami.” Gli disse Jared e si sentì come se fosse il suo stesso cuore ad andare in pezzi.

“Lo so.” Rispose Jensen, la sua voce era bassa e grave, ma mise le mani sul volante e accese il motore.

 

****

 

Jared diede un colpetto a Sadie, facendola spostare un poco, in modo da poter avere finalmente un po’ di aria nei polmoni senza sentire il peso schiacciante di lei su di sé. Con Harley non era molto meglio, aveva trovato il posto perfetto in cui dormire, accanto alle sue gambe, con la testa appoggiata sui suoi piedi.

Il soggiorno era silenzioso. Jared voleva trovare qualche gioco o qualche programma sul Discovery Channel, ma senza sapere come, si era trovato sul divano con i suoi cani, la Tv non era nemmeno accesa.

Era quieto, silenzioso e aveva realizzato quanto tempo fosse passato da quando aveva potuto avere un po’ di tranquillità per se stesso. Aveva parlato con Genevieve quella mattina, non a lungo, niente di importante, ma era stato comunque significativo per lui, come se lei fosse stata un punto di riferimento per una realtà che sentiva minacciata.

Ancora meglio, aveva sentito Jensen ridere al telefono con Danneel. Ridere. Un suono che gli era mancato disperatamente. E anche se c’era qualcosa dentro di lui che si torceva al pensiero di Jensen che rideva con Danneel, qualcosa che scelse di ignorare perché non era giusto, era felice perché sembrava che il maggiore stesse lentamente trovando la sua strada verso la donna che amava.

Harley guaì quando Jared gli diede accidentalmente un calcio, ma il cane abbassò di nuovo la testa e tornò a dormire come se nulla fosse successo. Jared sorrise, piegandosi per accarezzare il suo cane e tornò a sdraiarsi sui cuscini del divano, sospirando mentre seppelliva la mano nella pelliccia di Sadie. Non si era reso conto di quanto si sentisse distrutto, quando tutto quello che era accaduto lo avesse colpito; in quel momento lo sentì fin dentro le ossa.

Jared si stiracchiò e si rilassò, chiuse gli occhi nel silenzio e pregò perché restasse in quel modo. Pregò che le cose stessero migliorando.

 

****

 

Poche ore dopo, tutto era cambiato.

Jensen non era ancora tornato a casa ed era quasi mezzanotte. Jared si sentì uno stupido, anche solo per averlo pensato, ma questo non era da Jensen. Lui non usciva in settimana e specialmente non senza aver chiamato o lasciato una nota.

Andava tutto bene poche ore prima, quando lo aveva visto per l’ultima volta. MacKenzie aveva appena chiamato quando Jared era uscito per andare a fare una lunga corsa con i cani e il maggiore non c’era quando era tornato.

Ora era seduto sul divano, i suoi occhi saettavano dalla porta di ingresso, che poteva vedere dalla sua posizione, e il suo telefono. Lo odiava, odiava sentirsi ancora in quel modo, soprattutto quando aveva passato un giorno simile a quello non molto tempo prima. Non poteva farlo di nuovo.

I peggiori scenari erano passati per la sua mente, immagini di Jensen che se ne andava; aveva con sé un piccolo borsone e una macchina per attraversare il confine, guidava e basta, mettendo miglia e miglia tra di loro.

Jared si sentiva come un genitore, che aspettava perché suo figlio tornasse a casa, e non ci fu errore nel sollievo che provò quando la porta di ingresso finalmente si aprì e Jensen incespicò all’interno, con gli occhi arrossati e la pelle così pallida che non gli ci sarebbe voluto del trucco perché potesse interpretasse un vampiro. I suoi vestiti gocciolavano e i suoi capelli erano incollati alla testa, con le gocce di pioggia che ancora scivolavano lungo il suo collo.

“Mi dispiace.”

Jensen guardò verso Jared, alle parole che aveva sussurrato con voce spezzata e si bloccò.

“Tu ti stai scusando?” Chiese un momento dopo e la sua voce era debole e sottile.

Jared si aggrappò allo stipite della porta a cui era appoggiato e lo guardò nella luce fioca che proveniva dalla cucina e che invadeva il corridoio. “Sei infelice.” Disse e il peso di quelle parole era più di quanto sentiva di poter affrontare. “Odi questo posto. Con me.”

“Come puoi dirlo?” Chiese Jensen in risposta, ma non sembrava che lo stesse negando, non davvero.

Jared non poteva spiegarlo, sperava che non dire quelle parole ad alta voce le rendesse meno vere. Alzò solo le spalle e si mosse verso Jensen.

“Sei bagnato fradicio. Sembra che tu abbia camminato sotto la pioggia per Dio sa quanto tempo.” Disse un momento dopo e suonava ancora come se fosse la risposta alla domanda di Jensen.

Gli occhi del maggiore incontrarono i suoi per un secondo, poi si spostarono sul pavimento di fronte a lui; il suo sguardo si perse, come se fosse a miglia di distanza.

“MacKenzie ha chiamato. Voleva sapere come stavo, quello che stavo facendo. Lo sai? Voleva solo parlare con suo fratello maggiore.”

Jared si maledisse per non aver visto quanto questo sarebbe stato duro per Jensen, per non averlo anticipato quando aveva visto il nome della sorella di lui sullo schermo del cellulare.

L’altro portò su di lui uno sguardo indifeso. “Come posso essere il suo fratello maggiore, quando non riesco a smettere di essere il tuo?”

Qualcosa si spezzò dentro Jared, facendogli venire voglia di raggiungerlo; andare lì ed abbracciare suo fratello, tenerlo stretto fino a quando la sensazione pungente nel suo stomaco non se ne fosse andata.

“Perché dobbiamo scegliere?” Chiese, la sua voce era carica di tristezza.

Jensen sembrò pensarci, sembrò considerare le parole di Jared e chiederlo davvero a se stesso. Una risposta non arrivò mai.

“Come ci riesci?” Chiese invece e il minore seppe cosa voleva dire, era ancora in grado di leggere suo fratello come nessun altro avrebbe mai potuto fare.

“Come ogni altro orfano, ogni altro bambino adottato, chiunque fosse cresciuto in una famiglia allargata. Ho due madri e due padri e due fratelli maggiori, ma questo non vuol dire che io debba scegliere tra di loro.” Era facile per lui, in un modo in cui non avrebbe dovuto esserlo, ma Jared aveva avuto una vita intera per convivere con questo.

Jensen inspirò a fondo e lasciò andare piano il respiro. “Non so se sono in grado di farlo.”

“Vuoi farlo?” E quella, proprio lì, era la domanda a cui tutto si riduceva.

Il silenzio calò tra di loro, a lungo e senza fiato.

Prima Jensen annuì a scatti, poi incontrò lo sguardo dell’altro e disse: “Si, si.” Come se fosse una promessa e Jared dovette combattere contro le lacrime che minacciava di versare.

Il maggiore rabbrividì, improvvisamente e violentemente, e il più giovane tornò improvvisamente alla realtà, al fatto che Jensen era ancora nei suoi vestiti fradici che stavano sgocciolando sul pavimento.

“Accidenti, andiamo.” Saltò su, lo raggiunse e iniziò a togliergli la giacca.

Jensen rimase silenzioso mentre lo sospingeva verso la sua stanza. Gli tolse tutti i vestiti lasciandolo in boxer; si sentì strano a farlo ogni volta che le sue nocche sfioravano la pelle fredda e umida dell’altro. Jensen non lo guardò nemmeno, fissava un punto appena fuori dal suo spazio, in modo da lasciare che Jared andasse avanti fino a che non avesse finito, fino a quando il maggiore non fu sdraiato nel suo letto sotto le coperte.

Non era abbastanza e lui non poteva.

Jensen era sdraiato vicino al bordo del suo stesso letto, piccolo e fragile e Jared non poteva.

Non poteva semplicemente andare oltre e avvolgersi attorno all’altro uomo come voleva disperatamente fare, non poteva trovare sollievo in quel contatto come aveva sempre fatto fin da quando era rinato come Jared; e quella vista lo stava uccidendo.

Spense invece le luci, si arrampicò sul letto e si sdraiò dietro Jensen, abbastanza vicino da confortarlo ma senza toccarlo, anche se fremeva per farlo.

“Chi sono io?” Quelle deboli parole arrivarono minuti o ore più tardi, quando Jared si era quasi assopito.

“Tu sei tu. Tu sei Dean e sei Jensen e non c’è così tanta differenza come pensi.” La risposta fu immediata, morbida e senza esitazioni, anche se Jared dovette ricacciare indietro quello che voleva veramente dire. Un singolo pensiero che continuava ad urlare dentro la sua testa.

‘Tu sei mio.’

“Jensen è il Dean che sarebbe sempre stato, se avesse avuto la possibilità di avere una vita normale.” Continuò e sperò soltanto che le sue parole fossero di aiuto. Non poteva vedere il viso di Jensen, non poteva leggere nulla nella curva della sua schiena vicino a sé. “Dean senza la sua rabbia, senza tutto il dolore e la colpa e la conoscenza di tutto il male che c’è là fuori. Dean, sei sempre tu. Solo, felice.”

Jared giurò di aver visto le spalle dell’altro rilassarsi. Solo un po’, ma abbastanza per incoraggiarlo a continuare.

“Tu continui a guardarmi le spalle. Continui ad aiutare la gente tutte le volte che puoi.”

Sorrise tra sé, quando verità dopo verità, tutte le piccole similitudini gli balenarono in mente.

“Ricordi la rissa da bar in cui ci siamo trovati?” Sussurrò nella penombra tra loro. “Tu sei tornato indietro per me, mi hai protetto, mi hai aiutato. Questo sei tu, Dean.”

Allungò una mano, abbastanza da poter giocare con il morbido cuscino su cui poggiava la testa di Jensen. “La gente ancora si rivolge a te per avere aiuto. Ti sei accorto che ogni volta che un attore ospite, tutte le volte che parla della sua esperienza sul set, è il tuo nome che menziona?” Il cuore di Jared si gonfiò di orgoglio, nessuna traccia di gelosia. “È sempre: ‘Jensen ha aiutato con questo’, ‘Jensen mi ha aiutato con quello’. Sei ancora un leader, anche se non lo vuoi essere.”

“Tu ti sei occupato di me, per tutto il dannato tempo. Continui ad amare le donne e una buona bistecca e una buona birra, ma ora… ora ti permetti di godere anche di tutto il resto.

I tuoi amici e la tua famiglia. Adori i tuoi fratelli, proprio come… proprio come hai sempre amato me. Ti prendi cura di tutti attorno a te. Tu…”

Continuò a parlare. Parlò per tutta la notte. Parlò fino a che la sua voce divenne roca. Per tutto quel tempo non ebbe idea se Jensen si fosse addormentato alle sue prime parole, ma non aveva molta importanza.

 

****

 

Jared si svegliò lentamente, chiuse le palpebre contro il sole del mattino che filtrava attraverso la finestra e dentro i suoi occhi. Si accorse immediatamente del peso caldo contro di lui, si svegliò vicino ad esso come se fosse avvolto da una coperta perfetta, che lo manteneva confortevole, caldo e protetto.

Per un secondo avrebbe solo voluto seppellirsi dentro di essa, spostarsi il più vicino possibile, fino a non sapere più dove finisse lui e iniziasse Jensen. Rimanere solamente in quella bolla perfetta di vicinanza e affetto.

Il desidero svanì mano a mano che si svegliava, ma la voglia persistente rimase la stessa.

Studiò la figura addormentata accanto a lui e si rese conto di non poter più distinguere tra Jensen e Dean, non poteva davvero separarli. Era sempre stato entrambi, una vecchia anima che semplicemente viveva una nuova vita, ma finalmente Jared sentì anche il profondo, incondizionato amore per suo fratello e il crescente affetto per il suo migliore amico, fusi tra loro.

Ancora annebbiato dal sonno e solo ad un passo dalla realtà in attesa appena al di fuori del suo letto, Jared non riuscì a trovare nulla di male in questo.

Nascose una risata felice nel suo cuscino, conscio dell’uomo addormentato accanto a lui, quando si accorse di Harley e Sadie addormentati ai piedi del letto, con i musi appoggiati sulle gambe di Jensen. Era la prima volta che avevano cercato il contatto con lui e sembrava un enorme passo avanti, ora che avevano scelto di tornare ad uno dei loro passatempi preferiti: dividere il letto con Jensen.

Quando Jared riportò gli occhi nuovamente sul viso dell’altro, trovò lo sguardo di suo fratello su di sé, assonnato ma attento.

“Hey.” Sussurrò il più giovane e gli fece un piccolo sorriso, non era pronto a disturbare la pace di quelle prime ore del mattino. Avrebbero dovuto alzarsi presto, essere pronti per la giornata ed essere portati sul set, ma in quel momento avevano ancora un po’ di tempo, non dovevano ancora alzarsi ed affrontare il mondo.

“Hey.” Gli rispose Jensen e la sua voce era roca, ancora impastata dal sonno.

Jared guardò gli occhi del fratello spostarsi da lui, giù, lungo il suo stesso corpo; poté vedere l’esatto momento in cui vide i cani.

Non gli sfuggì il respiro mozzato che sfuggì dalla gola del maggiore e il modo in cui i suoi occhi si addolcirono a quella vista.

“Devono essere venuti mentre stavamo già dormendo.” Spiegò senza che ce ne fosse bisogno, Jensen annuì solamente, mordendosi il labbro.

Qualcosa si mosse dentro lo stomaco del più giovane, rendendolo cosciente di tutti i posti in cui i loro corpi si stavano toccando, gambe e fianchi e braccia, e quando l’altro lo guardò, c’era qualcosa nei suoi occhi che Jared non poté leggere, ma che fece fluttuare il suo stomaco ancora di più.

“Probabilmente dovremmo alzarci.” Suggerì e la sua voce in quel momento suonò come quella di Jensen, rauca e bassa. Guardò il maggiore deglutire e poi annuire e Jared si voltò per divincolarsi dal suo amico, con attenzione, cercando di non svegliare i cani nel processo.

C’era della preoccupazione che stava crescendo dentro di lui e immediatamente non fu sicuro se questo gli piacesse. Essere di nuovo così legati l’uno all’altro. Non vedendo nessuno accanto a loro. Si sentiva come se non riuscisse a respirare. Si sentiva come se fosse finalmente a casa.

 

****

 

Era una mattinata strana, ma per la prima volta da quando Dean era tornato, non era strana in modo cattivo.

Era ancora molto presto, il sole non era nemmeno ancora sorto e faceva freddo, il respiro di Jared si condensò in nebbia. Stavano girando una scena notturna e gli era stato spiegato perché lo stavano facendo in quel momento e non… di notte, ma la sua mente non era ancora abbastanza sveglia e non se lo ricordava.

I suoi occhi scivolarono verso suo fratello e poté vedere che Jensen non sembrava stare meglio di quanto si sentisse lui. I suoi occhi si chiudevano ripetutamente e Jared avrebbe potuto giurare di averlo visto ondeggiare sulle gambe un paio di volte.

O meglio, lo aveva sentito, perché ogni volta che lo aveva fatto, la spalla del suo amico aveva sbattuto contro la sua. L’altro aveva cercato quella vicinanza per tutta la mattina. In casa prima che uscissero, nella macchina che li aveva portati lì e ora, mentre stavano aspettando perché il set fosse pronto. Jensen era un passo più vicino di quanto non fosse di solito, si muoveva con Jared, come se fossero connessi in qualche modo e il maggiore dovesse rispecchiare i movimenti del minore.

Jared non poteva dire che non gli piacesse. Gli piaceva. Ma questo faceva anche formicolare qualcosa dentro di lui, mettendo a tacere il campanello dall’allarme, quello sepolto in profondità dentro di lui, che avrebbe dovuto dirgli qualcosa, ma non lo faceva.

Ma era comunque troppo presto e lasciò correre, trovandosi ad apprezzare la vicinanza di suo fratello.

Misha lanciò loro uno sguardo strano quando Jared lo guardò, ma non disse nulla, il che voleva dire che perfino per lui era troppo presto.

“Santo cielo, hanno fatto?” Reclamò Jim, seduto sulla sedia a rotelle e il ragazzo lo invidiò un po’. “Mi sto gelando il culo qui.”

“Vado a vedere perché ci stanno mettendo tanto.” Misha sbadigliò e poi si incamminò in direzione della sedia del regista, dove c’era già una massa di persone che discutevano di qualcosa.

Era tranquillo dove Jensen, Jim e Jared stavano aspettando, vicino al bus che faceva parte del set; lui ora ci si era appoggiato contro e Jensen si era addossato contro di lui seguendolo.

“Quindi voi due siete di nuovo a posto?” Chiese Jim, la sua voce un po’ roca e quieta.

Jared lanciò un’occhiata a Jensen, ma forse l’altro si era addormentato, perché aveva gli occhi chiusi e non aveva mosso nemmeno un muscolo al commento di Jim.

“Sì.” Disse e sperò che fosse vero.

L’altro annuì e l’espressione del suo viso gli ricordò molto di Bobby. Ancora una volta, comunque, Jim non era mai stato così diverso dal vecchio cacciatore.

“Hey, ti sei addormentato?” sussurrò quando Jensen aprì di nuovo gli occhi, la testa quasi appoggiata alla sua spalla. Erano soli in quel momento, Misha faceva ancora parte del gruppo che discuteva intorno al regista, e Jim se ne era andato, immaginando di poter usare quell’attesa per un veloce passaggio in bagno.

“Scusami.” Borbottò Jensen, il suo respiro formò delle piccole nuvole davanti a lui.

“Ti ho mai parlato del giorno in cui ho scoperto che eri reale?” Chiese Jared tranquillamente, non era sicuro del perché quel ricordo gli fosse tornato in mente in quel momento.

Jensen scosse la testa, era stanco ma curioso quando incontrò il suo sguardo.

“Quando avevo otto anni, stavo sfogliando qualche vecchio catalogo e rivista di mia madre. Ero così annoiato quel giorno, e ho cominciato a guardare le pagine.” Ricordò, era come se potesse perfino sentire l’odore delle pagine sottili, fredde e lisce sotto la punta delle dita.

“Ho trovato una tua foto, Dean. Ti ho visto quando eri un bambino, mentre indossavi questo ridicolo vestito verde ed è stato uno dei giorni più felici della mia vita. Sapevo che eri là fuori da qualche parte.”

“Non sei venuto a cercarmi?” Chiese Jensen dopo un momento e Jared scoppiò a ridere forte.

“Amico, avevo otto anni! E non avrei nemmeno saputo da dove cominciare.” Batté contro la spalla del fratello. “Poi più tardi, quando stavo già lavorando, facevo zapping alla TV e improvvisamente ho visto papà che faceva gli occhi dolci ad una ragazza bionda in un ospedale. Parlando di stranezze…”

Sentì la risata dell’uomo accanto a lui, percepì il movimento scivolare lungo il suo stesso corpo. “Sapevo chi eri, allora.” Continuò Jared, la sua voce divenne bassa e seria. “Ma ero… ero troppo spaventato, credo. Avevo il tuo indirizzo e tutto, avrei potuto semplicemente venire da te e bussare alla tua porta. Ma…”

Non andò oltre, i suoi occhi incontrarono quelli di Jensen e vide la comprensione sul suo viso.

“Era stato difficile incontrare Jess o lo sai, Adrienne.” Sussurrò tra loro, parole così segrete che solo un’altra persona sarebbe mai stata in grado di sapere di cosa stesse parlando e questo lo fece sentire bene; essere in grado di dirlo ad alta voce lo fece sentire reale, gli diede la possibilità di fare un passo indietro per un momento ed essere di nuovo Sam Winchester. Anche solo per un piccolo attimo, ma abbastanza per dare uno sguardo alla sua vita.

“Ma lei era così dolce e felice e in qualche modo questo era bastato.” Sorrise a se stesso, non più focalizzato su Jensen, anche se poteva sentire comunque i suoi occhi su di sé. “Sai, è stato grande vedere di nuovo Jo ed Ellen e Ash. E tutte le altre persone che abbiamo perso. Ognuno di loro vivo e vegeto e felice con la propria vita. E hey, io e papà non abbiamo mai avuto un rapporto così buono come lo abbiamo ora.” Rise, ma qualcosa si rivoltò dentro di lui e quelle parole fecero male, lo ferirono nel profondo e sentì le lacrime scendere sulle sue guance prima ancora di rendersi conto di stare piangendo.

Trasalì quando sentì una mano posarsi intorno alla vita, tirandolo vicino, e quando alzò lo sguardo, incontrò quello di suo fratello e per un momento vide che entrambi erano lì, Dean e Jensen, e realizzò che Jensen non se ne era mai andato, che aveva solo lasciato passare davanti Dean.

“Va tutto bene.” Sussurrò l’altro e posò un bacio incurante sulla spalla di Jared e lui non poté essere più sorpreso, avrebbe dovuto gridare ‘whoa’ e fare un passo indietro, o ridere.

Ma un nodo dentro di lui che era fatto di acciaio, finalmente si sciolse e tutto quello che sentì fu la persona che probabilmente amava di più al mondo, che lo teneva stretto.

“Okay ragazzi, pronti in cinque minuti!” Urlò qualcuno e spaventò i due uomini, che si sciolsero da quello che era quasi un abbraccio.

“Stai bene?” Occhi verdi lo fissarono e Jared prese un profondo respiro e annuì.

“Sì.” Disse e Jensen annuì solamente, sfiorando ancora una volta la sua schiena con la mano prima di lasciarlo.

 

****

 

Jared era sprofondato nei suoi pensieri quando entrò in casa a mezzanotte e mezza. Era scuro, ad eccezione della luce che proveniva dalla cucina, e quando passò oltre la porta del soggiorno vide i suoi cani che dormivano sul divano.

“Jensen?” chiamò, chiedendosi come mai l’altro uomo non fosse andato a salutarlo. Era nervoso, non sapendo chi avrebbe potuto incontrare quando avrebbe visto il suo amico.

Quella notte non era buona.

Jared vide la bottiglia di Jack Daniels poi il bicchiere accanto ad essa, prima di vedere Jensen.

“Com’è stata la tua serata?” chiese il suo amico.

Jared sbatté gli occhi ed esitò. La sua serata era stata terribile. Era stato distratto, pensando a Jensen, Dean, e non era stato giusto per Genevieve. All’inizio lei era stata preoccupata, poi si era arrabbiata quando lui non aveva voluto parlarne. Si sentiva terribilmente male per questo. Sapeva che avrebbe reagito allo stesso modo se lei si fosse rifiutata di parlare con lui, ma non poteva farci nulla. Non in quel momento, non in futuro.

Ma quello non era ciò che aveva fermato Jared. Era stato lo sguardo negli occhi di Jensen, il tono della sua voce. Il più giovane si strinse le braccia intorno al corpo.

“Allora ti stai di nuovo scopando Ruby, huh?” Biascicò l’altro, aspro e con un sorriso freddo; Jared si bloccò.

Cercò immediatamente di calmare i suoi nervi, sentì le dita prudere mentre stringeva i pugni. “Sei ubriaco.” Scattò, parlando tanto a Jensen quanto a se stesso. “E arrabbiato. Ed io lo capisco, Jensen, davvero. Ma se parlerai ancora di Genevieve in quel modo…”

Catturò lo sguardo del maggiore, assicurandosi che avesse sentito ogni parola che aveva detto.

“Cosa…” Iniziò Jensen, ma Jared lo interruppe all’istante.

“No. Non dire una parola, amico. Non renderla peggiore. Dico sul serio.” Non poteva credere alla rabbia che lo stava attraversando, non poteva credere che Jensen avesse davvero detto quelle parole. Sapeva che era difficile per lui processare tutto questo, conosceva il mix di sentimenti che provava tutte le volte che vedeva un volto famigliare e trovava un’altra persona dietro di esso, ma questo… questo era troppo.    

Aspettò perché l’altro reagisse, ma il suo amico continuò solo a guardarlo cupamente, aveva qualcosa scritto in volto che Jared non riusciva a leggere. Forse in quel momento non voleva nemmeno farlo.

“Vado a letto. E dovresti andarci anche tu.” Disse, usando volutamente il suo corpo questa volta, incombendo su Jensen.

Ma l’altro rimase silenzioso, non si mosse di un millimetro. Ora Jared poteva sentire l’odore dell’alcool nell’aria e rabbrividì. Jensen non si era mai ubriacato da solo a casa prima di allora. Ed era qualcosa che nemmeno Dean aveva fatto spesso: ubriacarsi nelle varie stanze di motel in cui erano stati. Ma Jared poteva vedere con la coda dell’occhio la bottiglia di whisky sul bancone, già mezza vuota.

“Vai a letto Jensen.” Ripeté, senza riuscire ad impedire che il nome sibilasse attraverso i suoi denti. Detto questo, si girò, dirigendosi a sua volta verso le scale, pregando silenziosamente perché il maggiore facesse quello che gli era stato detto.

“Tu davvero non vuoi parlare di questo?” Gli chiese Jensen perplesso. “Davvero?” La sua voce rimase al limite e questo suscitò in Jared il terrore di girarsi ed ascoltare. Ma non poté farne a meno.

Perché dietro di essa, poté sentire la richiesta di suo fratello che gli chiedeva di rimanere.

“Parlare di cosa?” Chiese, sapendo che qualunque cosa fosse, non gli sarebbe piaciuta.

Jensen fece un passo incerto verso di lui, le sue sopracciglia erano accigliate. “Il fatto che ti ho baciato.” La prima frase fu detta brutalmente, con l’intenzione di schiaffeggiare Jared in faccia.

Ma la successiva fu un mormorio spaventato e quasi il minore non lo sentì.

“Il fatto che sono innamorato di te.”

Gli occhi di Jared si dilatarono, sentì il sangue salirgli alla testa. “No, questo è…” Iniziò, la sua voce era debole. “Non puoi dire in quel senso.”

Il suo cuore rimbombava nel petto, la bocca gli divenne improvvisamente secca.

Jensen gli fece solo un sorriso stanco. “Lo sai che è così.”

“Ma… Dani?” Farfugliò, cercando di tenere le emozioni sotto controllo, quelle che stavano cominciando a montare dentro di lui. Questo non poteva essere vero. Non poteva succedere.

Il dolore attraversò il volto del maggiore e, per un secondo, Jared si pentì delle sue parole. “La amo. Molto. Lo sai che è così. Ma non tanto quanto amo te.” Jensen lasciò andare una risata e lui non riuscì a credere alle sue orecchie. “Ora finalmente inizia ad acquistare un senso. Perché qualsiasi cosa provi per chiunque altro non si avvicini minimante a quello che provo per te.”

Ilminore fu colto dalle vertigini. Si sentiva come se qualcuno gli stesse tirando via la terra da sotto i piedi e la sua mente riusciva solo a pensare ‘lui mi ama’. Non oltre, non alle conseguenze.

“Jensen, tu… forse è…” non sapeva nemmeno cosa stesse dicendo.

E non ebbe nemmeno un’altra occasione, perché Jensen fece un improvviso passo in avanti e lo raggiunse, tirandolo giù e chiudendo la sua bocca con un bacio.

Fu breve e disperato e il maggiore si aggrappò a lui come se fosse l’ultimo respiro che avrebbe mai potuto prendere. Le mani di Jensen erano avvolte intorno alla testa di Jared e lui avrebbe potuto giurare di aver sentito un gemito provenire dalla gola del maggiore. Un suono come se stesse morendo.

“Ci ho provato.” Disse quando si tirò indietro, la sua voce era roca e tremava. Guardò Jared come se stesse guardando la colpa personificata.

Il minore sentì un brivido scendergli lungo la schiena quando pensò che forse era quello che era.

Lo sguardo di Jensen era caldo e intenso e lui poté sentire la sua stessa pelle fremere sotto di esso. Non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa provare, con l’altro troppo vicino a lui perché potesse concentrarsi su qualcos’altro che non fosse la fame dentro i suoi occhi.

“Non possiamo farlo.” Gracchiò ed era inutile e non aveva nulla a che fare con il problema reale. Non importava quello che facevano, quando volerlo era già abbastanza innaturale. Quando era già successo.       

“Pensavo che…” Iniziò quando Jensen non disse nulla. “Che sarebbe… andato via. Ora che tu… che lo sai. Voglio dire, si supponeva passasse, giusto? Non poteva essere così tanto… prima che sapessi chi eri, poteva? Voglio dire con te che eri innamorato di Danneel e tutto ed era… solo una cotta giusto?” Si sentiva stupido, ad annaspare con le parole, ma lui…

Lui non sapeva cosa fare. Loro non avrebbero nemmeno dovuto parlare di questo. Erano fratelli… lo erano prima e questa non era la normalità per cui Jared aveva dato così tanto.

Jensen alzò lo sguardo su di lui, aveva un sorriso triste sul volto. La sua voce, non più di un sussurro quando iniziò a parlare. “Sai che potrei scappare. Potrei andare così lontano da non vederti mai più. Potrei non toccarti più. Non parlare mai più con te.”

Per un secondo Jared fu sicuro che era quello che Jensen avrebbe fatto. Una vampata di panico lo attraversò, il cuore prese a galoppargli nel petto.

“Ma sai cosa?” Continuò il maggiore. “Non farebbe una dannata differenza per cambiare il fatto che mi sono innamorato di te. È già troppo tardi, Sammy.”

“No.” Sussurrò Jared e il suo mondo crollò intorno a lui, in un secondo, lo aveva fatto un centinaio di volte da quando Dean era tornato da lui in questa realtà.

Jensen impallidì e la sua mascella si chiuse in una linea rabbiosa, ma Jared poté vedere dietro di essa, era sempre riuscito a vedere oltre. Era dolore.

“No, amico, no.” Disse di nuovo, più forte questa volta, la disperazione cresceva nella sua voce. “Tu ami Danneel ed io amo Genevieve e noi dovevamo avere una vita normale. Cazzo, noi ci meritiamo una vita normale!” Non disse ‘tu’ anche se era quello che davvero intendeva rispetto al ‘noi’, ma conosceva Jensen, conosceva Dean.

“Mi dispiace che io non mi adatti alla tua definizione di normalità, Jared” Disse l’altro con voce fredda e, con l’uso di quel nome, per lui fu come prendere un pugno in faccia. “Ma non ho scelto io tutto questo. Tu lo hai fatto.”

Bolle di rabbia crebbero dentro il più giovane, come succedeva sempre, proprio come aveva continuato a fare negli ultimi giorni. “Non puoi buttare via quello che hai.” Gli disse, determinato. “Non te lo lascerò fare. Non te lo permetterò… non per me. Tu meriti una seconda possibilità, Dean. Un vero sprazzo di normalità e lo avrai e io non ti lascerò mollare tutto per me.”

Jensen piegò la testa di lato, studiandolo, stava vibrando di rabbia. “Tu sei un contorto figlio di puttana, lo sai vero?” Disse e la cosa che bruciava tra di loro si spostò, si trasformò, aggiungendo ora qualcosa di più oscuro. “Tu hai espresso il desiderio per tutto questo. In modo da essere dannatamente sicuro che io non ricordassi nulla di quello che c’era prima.”

Si avvicinò a lui, ma Jared rimase immobile, anche se poté sentire di nuovo il suo odore, un misto di alcool e colonia e qualcos’altro appena al di sotto.

“È poi sei tornato di nuovo nella mia vita, sei diventato mio amico, cazzo mi hai lasciato vivere con te e ora biasimi me perché tutto è andato fuori controllo?” Sogghignò, ed era direttamente nello spazio di Jared, distante solo un respiro. “Vedi, Sammy, questo è quello che ottieni quando inizi a fare casini con il Trickster.”

“No, Gesù, cazzo!” Esplose Jared. “Non sto biasimando te! Dannazione, hai almeno sentito quello che sto dicendo?” Ma non andò oltre perché Jensen non lo stava ascoltando.

Poté vederlo quando il volto dell’altro si trasformò in una maschera, troppo famigliare, troppo dolorosa da guardare, e gli pose l’unica domanda che aveva temuto per tutto il tempo.

“Ti sono mancato? In tutti i tuoi dannati 27 anni qui, cazzo ti sono mancato almeno una volta?!”

Jared rimase in silenzio. La sua gola era bloccata e le sue labbra erano sigillate. Perché non c’era una risposta semplice per questo. E, solo quello, sembrava come un proiettile sparato attraverso il cuore del fratello; l’eco di quel dolore sparato attraverso il proprio.

La rabbia, il dolore e la cosa indicibile che veniva emanata da Jensen in ondate, non c’era modo per Jared di non sentirla, di poterla ignorarla. C’era una piccola parte dentro di lui che stava chiedendo attenzione: il modo in cui Jensen lo stava guardando, come se fosse il suo intero mondo, buono e cattivo.

E c’era una grossa parte in Jared che cercava di fargli vedere che non era mai stato differente.

Ma lui ignorò tutto. Sfuggì a se stesso, combatté con se stesso per prendere la giusta decisione, per porre fine a quella follia tra di loro, invece di alimentarla ulteriormente.

Doveva andarsene, doveva uscirne, perché questa lotta poteva solo finire in due modi. Uno che non poteva nemmeno pensare fosse possibile e l’altro che avrebbe solo potuto ucciderli. Conosceva troppo bene suo fratello, li conosceva troppo bene entrambi (Jensen e Dean).

Ricordava quello che Dean gli aveva detto una volta. “Siamo il fuoco e la benzina dell’Armageddon.”

Si era sbagliato. Loro erano ancora fuoco e benzina. Ma uno dell’altro. Lo erano sempre stati. Il loro rapporto era sempre stato troppo intenso per essere sano. Troppo per stargli lontano per troppo tempo.

“Dean, vai a letto.” Disse di nuovo e la sua voce non vacillò.

Jared notò solo le sue mani tremanti, quando passò vicino a Jensen e chiuse la porta della sua stanza dietro di sé, sentendo il click della porta dell’altro che si chiudeva in risposta.

 

****

 

Non si parlarono fino a pranzo, ma Jared poté vedere come tutta la rabbia doveva aver lasciato Jensen durante la notte, perché aveva cercato freneticamente qualcosa da dirgli, le giuste parole per scusarsi.

Stava facendo tutto Jensen, non Dean, e Jared sussultò a quel pensiero. C’erano cose che suo fratello non avrebbe mai fatto, ed ora che il minore sapeva che era stato dentro di lui per tutto il tempo, si chiese allora cosa lo avesse fatto andare via. Si chiese attraverso cosa fosse passato Dean da averlo reso arrabbiato, così colpevole, perfino prima dell’inferno o dell’Apocalisse.

Jared, Sam, bloccò i pensieri su suo padre non appena questi cominciarono. Aveva giurato a se stesso di non andare là mai più.

Genevieve era lì, sul set, per tutto il tempo fino a che il regista non aveva chiamato il ‘cut’, e poi a pranzo, e in qualche modo Jared si sentiva bene, si sentiva come se la sua mente fosse stata strappata dalla follia che era di nuovo la sua vita. Parlarono e risero tra una pausa e l’altra, giocarono con i cani e si sentì quasi normale, se non fosse stato per lo sguardo colpevole che Jensen continuava a lanciare loro quando pensava che Jared non lo potesse vedere.

Genevieve se ne andò, con un breve bacio sulle labbra e pregandolo di parlare con il suo amico, perché non poteva sopportare che loro due non si parlassero.

Jared si sentì perfino peggio dopo, si sentì ancora di più fuori equilibrio e lo odiò, odiava sentirsi come un bambino che vuole che tutto torni di nuovo a posto, ma non può desiderarlo tanto forte quanto vorrebbe e non riesce a farlo diventare realtà.

“So che non c’è un modo in cui io possa mai scusarmi nella maniera giusta,” La voce lo spaventò e quando si girò trovò Jensen dietro di sé, sembrava provato e colpevole e lui avrebbe voluto fermarlo in quel momento, perché non poteva sopportare di vederlo in quel modo. “Ma voglio che tu sappia che mi dispiace. Mi dispiace davvero, Jared, non avrei dovuto dire quello che ho detto su Genevieve.”

Invece di dire qualcosa, lui si limitò ad annuire, assicurandosi che Jensen lo vedesse e si voltò verso il buffet, continuando a riempire il suo contenitore di polistirolo.

Poteva sentire il maggiore dietro di lui, una presenza solida e famigliare, ma c’era della gente intorno a loro, occhi che li seguivano, preoccupati e confusi e Jared sapeva che avevano tenuto tutti i loro colleghi sulla corda ultimamente, ma non sapeva cosa poteva farci.

“Perché lo hai fatto?” Sussurrò Jensen e questo lo fece voltare. “Perché hai scelto di lavorare con me? Perché diventare mio amico, perché venire perfino a vivere con me?”

Jensen sembrava addolorato, pronto per una risposta che non gli sarebbe piaciuta, e Jared si sentì crollare di fronte a quello, sentì tutta la voglia di lottare scivolare fuori dal suo corpo.

“Ho sempre pensato che volessi una vita normale per te. Avresti potuto vivere la tua vita senza di me. Perché hai scelto di nuovo tutto questo?” Era una versione di quello che Jensen aveva detto la sera prima, ma questa volta, era quello che intendeva davvero.

Jared ascoltò le parole non dette e si sentì pronto a piangere. Le sue spalle tremarono, il respiro lasciò la sua gola e sentì di non essere in grado di poter continuare. Lo sguardo costante sul viso di Jensen, Dean, come se lui fosse un peso per l’umanità, il costante pensiero visibile sul suo volto che lui a Jared, Sam, nemmeno piacesse.

Con cautela, il minore chiuse il contenitore che aveva in mano e lo aggiunse all’altro che aveva già riempito. Quindi si voltò verso suo fratello. “Non so più cosa fare, Dean.” Disse, abbastanza piano perché solo lui potesse sentirlo. “Ho provato per tutta la vita di fartelo vedere. Mi sento come se avessi urlato fino a perdere la voce cercando di dirtelo, ma tu proprio non vuoi ascoltare.”

Si fece un passo più vicino, coscio di ogni paio di occhi che li seguivano, ma ormai aveva smesso di preoccuparsi anche di quello. “Ti voglio bene, Dean. L’ho sempre fatto e lo farò sempre e niente di quello che puoi fare potrà mai cambiare questo. Il fatto che me ne sia andato non ha mai avuto a che fare con te. Il fatto che odiassi la vita che avevamo, non ha mai significato che io odiassi te. A volte penso solo che tu non voglia credermi, ma la verità è, che ti amo più di qualsiasi altro. E qui, con te come Jensen, è ancora vero.” Deglutì per mandare giù il groppo che aveva in gola. “E questo è il motivo per cui continuo a lottare perché tu abbia la vita che hai sempre voluto. E non te la lascerò distruggere.”

Si tirò indietro, prese un respiro profondo e vide l’espressione scioccata sul viso di Jensen, ma non poté affrontarla in quel momento, non poteva dire più di quando avesse già detto, perché si sentiva svuotato, prosciugato; sperò solo che questa volta fosse finalmente riuscito ad arrivare a suo fratello.

Si sentì strano quando si diresse verso il tavolo, dopo aver confessato il suo amore in una tenda piena di cibo e oggetti da cucina e la crew, perché continuava a sentirsi come se Jensen e lui, Dean e lui, fossero gli unici in quel luogo, come se condividessero il proprio mondo.

Non voleva sentirsi spaventato dalle sue stesse parole, perché sapeva che erano vere, che nessuno, non la sua famiglia e non Genevieve, potevamo nemmeno avvicinarsi a suo fratello. Allo stesso tempo, aveva bisogno che Dean scegliesse qualcosa, qualcuno, che non fosse lui. E anche se doveva seppellire quel dolore in profondità dentro di sé, nessuno altro doveva saperlo.






N.d.T.

Questo è forse il capitolo che più amo e che ho trovato di un impatto emotivo molto forte. Quello che prova Jensen è fin troppo evidente pur non essendo raccontato attraverso il suo POV, ma forse ancorapiù forte perchè vissuto attraverso il punto di vista di Jared. Jared e Jensen e Sam e Dean cominciano a confondersi e fondersi in qualcosa di nuovo che li rende un tutt'uno con quello che sono ora e quello che erano in passato, ma come ha giustamente fatto notare Jared, lui ha avuto molto tempo per abiturasi a quella nuova vita, per Jensen invece si tratta di una consapevolezza arrivata senza preavviso e a cui è difficile adattarsi.

Spero che il capitolo vi siapiaciuto, vi aspetto al prossimo! 

Ciao Simona

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


N.d.T

Rieccomi qui, scusate per il tremendo ritardo nel postare il nuovo capitolo. A parte un periodo molto impegnativo sul lavoro che ha fatto allungare molto i tempi, ci si è messo anche il problema di come comporre un capitolo che sarebbe impossibile postare efp per le regole che si riferiscono alle storie che riguardano l’incesto.

Potrei aprire una lunghissima discussione sul fatto che la storia riguarda Jared e Jensen che non sono fratelli, ma è impossibile (anche per come è scritta la parte che segue) non ammettere che si tratta alla stesso tempo di Sam e Dean che invece sono chiaramente fratelli. In questo mondo parallelo non c’è nessun legame di sangue tra di loro, eppure la forza di questa storia è proprio il fatto che Jensen e Jared sono le reincarnazioni dei Winchester e che tutto si basa sul tabù dell’incesto che li teneva bloccati (in modo inconscio) nella vita precedente, così come li ferma (coscientemente) in questa nuova vita.

Potete capire come questo dilemma abbia incasinato alquanto tutta la situazione e quella che poteva essere solo una semplice traduzione, si è trasformata in parziale rimaneggiamento.

Premetto che il capitolo nella sua traduzione integrale (così come tutta la storia postata fino a qui), è stato postato sulla mia pagina di livejournal e che quindi chi lo vorrà potrà comunque leggerlo. Qui su efp invece ho pubblicato una versione epurata, in cui le scene di sesso sono state tolte.

Per rendere scorrevole la scrittura e non lasciare la storia monca, ho aggiunto alcuni paragrafi scritti da me, che facessero da congiunzione tra le parti tagliate. Poche righe che cercano di riportare il contenuto emotivo presente nelle parti eliminate. Questi piccoli paragrafi sono scritti in corsivo e di colore blu in modo che si capisca che non sono parti scritte dall’autrice, ma da me.

Dopo questa doverosa premessa vi lascio al lunghissimo capitolo, sperando che vi piaccia.

Questo è il link per il capitolo tradotto completo: http://thinias.livejournal.com/34119.html

  

 

 

 

Capitolo VII

 

Jared non si era mai considerato una persona che ricorre a misure disperate, ma i giorni si trascinavano, le ore sul set diventavano ancora più pesanti ora che stavano girando il finale di stagione, e non stavano migliorando. Si sentiva come se lui e Jensen fossero bloccati all’interno di una bolla, solo loro due, ma non stavano andando oltre e non ne stavano uscendo.

E c’era questa idea fissa nella sua mente, ed era ridicolo e stupido ed in effetti anche illegale ma, invece che andare via, cresceva diventando sempre più perfetta. Aveva bisogno che facessero una pausa, che andassero avanti e c’era un solo modo per farlo.

Jared aspettò che il giorno finisse, rimase indietro quando Jensen tornò a casa e seguì il suo piano.

Parcheggiò la macchina di fronte alla loro casa, appena dietro la macchina del maggiore, suonò il clacson e uscì dall’abitacolo. Guardava la porta di ingresso quando Jensen uscì.

Jared poté vedere l’esatto momento in cui gli occhi dell’altro caddero sulla macchina e tutti i suoi sforzi di mantenere le distanze tra di loro, scivolarono via.

“Hai rubato l’Impala?” Jensen fece alcuni passi nel giardino di fronte a casa, il suo sguardo si spostava tra il minore e la Chevy.

L’altro alzò le spalle. “Tu l’hai rubata prima che lo facessi io.”

Jensen lo guardò con sospetto, poi sbuffò. “Beh, tu non dovresti fare quello che faccio io.”

“Tu sei mio fratello maggiore.” Jared sghignazzò. “Non posso farci nulla.”

Jensen si irrigidì per un momento, lo studiò, ma poi i suoi occhi tornarono sulla macchina e Jared lo guardò rilassarsi.

“Ho pensato di prenderla per fare un giro.” Suggerì il minore cautamente, preoccupato che Jensen potesse ancora voltarsi ed andarsene. “Il cielo è abbastanza sereno stasera.”

Quello che ottenne fu uno sguardo sorpreso e qualcos’altro, qualcosa di simile alla speranza, che lampeggiò sul volto di Jensen.

“Hai letto lo script, amico, so che te lo ricordi.” Jared rise.

Aveva visto Jensen leggere lo script dell’ultimo episodio della stagione, lo aveva visto librarsi sopra le piccole scene di flashback di Sam e Dean che passano il loro tempo nell’Impala, o di loro due seduti su di lei, sotto le stelle. Sapeva che Jensen ricordava, proprio come lui.

“Avremmo dovuto farlo più spesso, allora.” Disse Jared piano. “E dovremmo decisamente farlo ora.”

Jensen lo guardò cautamente, ma non poteva ingannarlo, non poteva nascondere la scintilla che aveva negli occhi. “Tu sei pazzo.”

“Me lo hanno detto.” Jared alzò di nuovo le spalle, ma sapeva di averlo in pugno e sorrise quando l’altro si mosse finalmente verso di lui.

“Guido io, stronzo.” Disse Jensen e Jared rise gettandogli le chiavi.

“Non mi aspettavo nulla di diverso, coglione.”

E così, semplicemente, furono di nuovo sulla strada giusta.

Trovarono un posticino silenzioso e solitario, poche miglia fuori Vancouver; una piccola collina, circondata solo su due lati da pochi alberi, che lasciavano arrivare fino a loro la luce della luna e delle stelle.

Jared poté vedere Jensen lottare con se stesso per decidere se fare un commento sarcastico, ma i vecchi ricordi ovviamente vinsero e l’altro rimase silenzioso.

Il maggiore rise forte quando Jared aprì il bagagliaio e tirò fuori alcune bottiglie di birra dal frigo che vi aveva messo dentro; gliene porse una e percepì il grande sorriso che aveva sul viso. E fu probabilmente la prima volta che credette a se stesso quando pensò che sarebbero stati bene.

Era freddo fuori, il vento soffiava e Jared continuava a sentirsi meglio di quanto non ricordasse di essere stato da molto tempo. Il cofano era ancora caldo sotto di loro quando si sedettero silenziosamente uno vicino all’altro, sorseggiando le loro birre e guardando le stelle.

Si sentiva un po’ sdolcinato, ma molto come ai vecchi tempi, quando erano solo loro due, con Bobby e Castiel che li guardavano da bordo campo. Tanto quanto Jared amava la sua vita e le persone che ne facevano parte, doveva ammettere che questo gli era mancato.

Che gli era mancato avere Dean tutto per sé.

“Mi hai chiesto se mi sei mai mancato.” Iniziò a parlare nel silenzio e sentì suo fratello irrigidirsi vicino a lui, sentì l’immediato cambiamento nell’aria.

“Si e no.” Continuò, perché c’erano parole che andavano dette e Jared sentì che avrebbe dovuto farlo da molto tempo.

Quasi se ne pentì comunque, quando catturò lo sguardo negli occhi dell’altro. Vide un dolore così profondo riflettersi in essi e non riuscì a credere che lo stava facendo di nuovo, che poteva ancora ferire suo fratello più profondamente di ogni altra persona sul pianeta.

“Quello che mi è mancato… la persona che mi è mancata era il Dean che mi conosceva.” Si affrettò a spiegare. “Il Dean che è cresciuto con me, quello che è stato lì per ogni passo importante della mia vita. Mi è mancato il Dean che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, che mi amava più di ogni altra cosa al mondo.”

Jared cercò di deglutire per mandare giù il groppo che aveva in gola, se la schiarì prima di continuare. “Ma sapevo che questo era egoista, sapevo che era solo per me. Perché volevo tu avessi tutto quello che hai sempre desiderato, Dean. Avevi la possibilità di avere una vita normale e anche se io volevo disperatamente che tu sapessi chi ero, volevo di più che tu avessi un’altra chance.”

C’era una frase che non stava dicendo, qualcosa che non era necessario dire ad alta voce e quando Jensen incontrò il suo sguardo per un breve momento, seppe che l’aveva sentita comunque.

‘È quello che tu avresti fatto per me.’

“C’è mai stato un momento in cui avrei voluto dirtelo?” Il respiro di Jared si spezzò. “Si, Dean, naturalmente c’è stato.”

La testa di Jensen sussultò girandosi verso di lui, i suoi occhi erano curiosi e sorpresi. “Quando?”

“La prima volta che ci siamo incontrati.” Jared chiuse brevemente gli occhi quando, ripensando a quel momento, le emozioni aggredirono il suo cuore. Ne ricordava ogni secondo. Ricordò quanto Jensen gli fosse sembrato famigliare e quanto fosse come Dean, tanto che aveva avuto paura che potesse leggere tutto dall’espressione del suo viso. Mai prima di allora e nemmeno dopo, aveva sentito il suo cuore andare in pezzi ed essere completo allo stesso tempo. “Tu mi guardavi come… come se non mi conoscessi per niente, come se non ti importasse nulla di me.”

“Perché non lo hai fatto?” Chiese Jensen quando l’altro non continuò. “Cos’è cambiato?”

Jared esitò, sapendo come sarebbero suonate le sue successive parole. E subito si chiese se fosse mai davvero stato sorpreso da tutto quello che era successo tra di loro. Si chiese se davvero non avesse sempre saputo quello che Jensen sentiva per lui. Se davvero non avesse visto dove, qualunque cosa ci fosse tra di loro, fosse rimasta nascosta per tutto il tempo.

C’era qualcosa di caldo che si stava diffondendo nella sua pancia quando rispose e il suo primo istinto fu di combatterlo, ma non poteva. Non in quel momento, non quel giorno.

“Il modo in cui mi ha i guardato.”

 

****

 

Era tardi, dopo mezzanotte, quando tornarono a casa. Gli restavano solo quattro ore di sonno, ma quando Jared vide l’espressione rilassata sul viso di Jensen, pensò ancora che ne fosse valsa la pena.

Non si erano detti una parola per tutto il tragitto fino a casa, Jensen gli aveva fatto solo un piccolo sorriso e aveva annuito prima che Jared salisse per le scale, entrambi pronti per andare a letto. 

Sorrise quando sentì l’altro al piano di sotto. Erano suoni famigliari: il rumore del calpestio dei piedi nudi sulle piastrelle, l’acqua che colpisce il lavandino quando viene aperto il rubinetto. Jared trovò un profondo appagamento nell’ascoltarli, nel sapere che l’uomo che li stava producendo era suo fratello e il suo migliore amico e molto più di questo.

Si perse nei suoi pensieri, nella noiosa ripetizione della propria routine serale, senza più ascoltare quello che lo circondava.

Ecco perché quasi saltò quando un corpo caldo si appoggiò improvvisamente contro la sua schiena.

“Devi fermarmi, Jared.” Sussurrò Jensen e il suo respiro colpì il collo del minore, facendolo boccheggiare e rabbrividire all’improvvisa intrusione.

Jensen sapeva che lì era sensibile.

Aveva la lingua aggrovigliata in bocca e le mani aggrappate al lavandino, ma una voce distante, dentro di lui, continuava a sperare che si trattasse di un sogno, o di un caso, e che Jensen si sarebbe fatto indietro da un momento all’altro.

Ma il maggiore non si mosse e Jared rimase congelato sul posto. Il suo cuore batteva rapidamente e lui sapeva, sapeva quello che avrebbe dovuto fare, ma non poteva.

“Fermami, Jared.” Mormorò Jensen contro la pelle del suo collo; le sue labbra bruciavano e le sue mani circondavano la vita di Jared tirandolo vicino.

Il minore sentì un brivido corrergli lungo la schiena, chiuse gli occhi a quella sensazione. Dimenticò come braccia e gambe lavorassero, dimenticò come dare forma alle parole nella sua bocca.

“Dio, cazzo, fermami.” Sussurrò di nuovo Jensen; gemette e, quando Jared si rigirò, catturò uno scintillio negli occhi del maggiore. I suoi occhi erano scuri e famelici e confusi.

“Jared...” I denti di Jensen strisciarono debolmente sulla pelle soffice della sua clavicola, muovendosi sempre più verso il basso; le sue mani tirarono la camicia di Jared verso l’alto, scivolando sotto di essa, mentre la sua bocca leccava e mordeva ogni centimetro di pelle che riusciva a trovare.

Jared ebbe le vertigini, sentì la voglia crescere dentro di lui così velocemente da spingere fuori il suo respiro. Non poteva farlo. Non poteva lasciare che Jensen lo facesse.

“Jared, fermami.” Lo supplicò Jensen piano, le sue dita lavoravano per aprire i pantaloni dell’altro e sembrava disperato e allo stesso tempo incapace di resistere.

“Sam.” La parola sgorgò fuori dalla bocca di Jensen e lo colpì direttamente nella pancia. Il maggiore lo morse sulla pelle morbida proprio sotto l’ombelico e Jared poté sentire il gemito che questa volta lasciò la sua bocca; cercò di raggiungere la superficie più vicina per tenersi in equilibrio, quando le sue ginocchia si piegarono sotto di lui.

“No, non farlo.” Rantolò Jared e cercò di raggiungerlo, tirò la sua camicia per averlo più vicino. Non sapeva nemmeno quello che stava dicendo.

Jensen lo guardò, già quasi in ginocchio, mentre già gli stava tirando giù i pantaloni. “Cazzo... fermami, Sam!” Disse, la sua voce bassa e gutturale in un modo che Jared non aveva mai sentito prima, ma che era sorprendentemente chiaro, e il maggiore doveva sapere cosa gli avrebbe fatto quel nome questa volta.

Jared poté sentire i suoi occhi rivoltarsi nella sua testa e i suoi fianchi spingersi impotenti contro l’uomo di fronte a sé.

“No...” Gracchiò, e fu una risposta non un ordine e sapeva cosa questo significasse. Fu l’ultimo pensiero coerente che ebbe per diverso tempo.

 

Lasciò che Jensen lo guidasse all’inseguimento di un piacere che ora voleva anche lui, e che non poteva più contrastare. Il maggiore lo accompagnò oltre il baratro e quando Jared lo guardò, attraverso occhi che faticava a tenere aperti, con i muscoli che ancora si contraevano dopo lo shock dell’orgasmo, non poté credere a quello che avevano fatto.

E sembrò che anche Jensen lo stesse realizzando.

Lanciò a Jared uno sguardo scioccato. I suoi occhi corsero lungo il corpo del più giovane che teneva tra le mani le lenzuola strappate; aveva i pantaloni e i boxer intorno alle caviglie. Jared poté solo immaginare cosa Jensen, cosa Dean, stesse vedendo: il suo fratellino che giaceva arruffato ed appagato sul letto, e del quale, probabilmente, il maggiore poteva ancora sentire il sapore in bocca.

Il suono della porta che si chiudeva con uno schianto, quando Jensen fuggì dalla stanza, fu il suono più forte che Jared avesse mai sentito. Poteva ancora sentirlo risuonare nelle sue orecchie il mattino successivo quando si fece la doccia e, con indosso vestiti puliti, in qualche modo poteva ancora sentire l’odore del fratello sul proprio corpo.

 

***

 

Jared voleva quasi gridare ‘cut’ e mollare tutto. Prendere suo fratello e andarsene senza più guardarsi indietro.

Perché era suo fratello che stava rivivendo il periodo peggiore della sua vita. Era il dolore di suo fratello quello che traspariva dal viso di Jensen ed erano le lacrime di suo fratello che brillavano nei suoi occhi.

Era la prima volta che Jared poteva pensare a qualcos’altro quando lo guardava, che poteva allontanare l’immagine dell’altro uomo sudato, con gli occhi dilatati dall’eccitazione. Che riusciva pensare a qualcos’altro che non fosse la sensazione del suo membro nella gola di suo fratello. Che poteva provare qualcos’altro, oltre al miscuglio di orrore, bisogno, shock e puro, profondo desiderio.

Si sarebbe dovuto sentire imbarazzato per se stesso, se solo la vista di suo fratello che veniva fatto a pezzi da un vecchio dolore non lo stesse uccidendo.

Era strana e differente, quella scena. Sdraiato sul pavimento, gli occhi chiusi, sapendo che Mark era sdraiato lì vicino, l’unico suono che sentiva era Jensen sopra di sé, non stava nemmeno dicendo qualcosa, era solo lacerato, con le lacrime agli occhi. Jared sapeva tutto questo perché aveva letto lo script e sapeva come Jensen avrebbe interpretato il ruolo. Non lo aveva visto nemmeno allora ma qualcosa, dell’essere solo con soltanto il rumore, lo rendeva diverso. In momenti come quello la sua mente sembrava andarsene, sembrava dimenticarsi che questo, tutto questo, era finito e se ne era andato da molto tempo. Che non erano più le stesse persone.

Qualcosa nella sua mente gli aveva fatto scordare che tutto ciò non stava accadendo in quel momento.

C’erano stati giorni peggiori, scene peggiori da interpretare. E non importava quanto spesso Jared avesse letto le battute, ancora e ancora, lottando dentro sé per andare contro di esse; niente lo aveva preparato al giacere in un letto in una casa abbandonata, fingendosi morto, e sentire suo fratello che parlava con lui. Gli aveva fatto molto male sapere che una volta Dean gli aveva detto le stesse esatte parole, quando era morto, ed era sembrato così aperto, così crudo, spogliato e scorticato fin dentro l’anima. Jared avrebbe ricordato per sempre di essere stato sdraiato su quel letto, mentre realmente una parte dentro di lui moriva.

Questa scena però, era diversa. Perché questa volta, c’era anche Dean.

 

****

 

“È incredibile.” Sussurrò Jared, scuotendo la testa; chiuse le mani a pugno e guardò Jensen voltarsi e lanciargli uno sguardo innocente.

Avrebbe funzionato molto meglio se solo Jensen lo avesse guardato almeno una volta nelle ultime ore.

“Cosa?” Aveva avuto le palle di chiedere, come se non ci fosse nulla che non andasse. Come se Jared non si sentisse come se gli mancasse un arto.

“Tu!” Lo derise Jared immediatamente, facendo cambiare all’istante l’espressione sulla faccia di suo fratello.

Erano esausti, fisicamente ed emotivamente drenati e la giornata non aveva aiutato, li aveva solo portati al limite; la lotta esplose tra di loro fin troppo facilmente, a quel punto era solo l’ultima goccia in un vaso già pieno fino al limite.

“Cosa diavolo ho fatto adesso?!” Urlò Jensen, infastidito e incazzato. Jared avrebbe anche potuto lamentarsi solamente della bottiglia del latte lasciata aperta (o del tempo) e loro sarebbero comunque stati esattamente dove si trovavano ora, a fissarsi l’un l’altro, con l’aria che ronzava per la tensione.

“Non mi hai nemmeno guardato, per tutto il giorno!”

“Oh, andiamo!” Disse Jensen, schernendolo e agendo come se l’altro fosse solo un bambino capriccioso. “Ero impegnato a lavorare, se non te ne fossi accorto. E anche ad alcune scene del cazzo molto pesanti.”

“Gesù, non mi parlare in quel modo, Jensen!” Jared seguiva ogni passo del maggiore, silenziosamente, sapeva che l’altro non aveva davvero una destinazione in mente. Stava solo camminando attraverso la casa, allontanandosi da lui.

“In che modo?”

“Come se fossi il fratellino minore, troppo stupido per comprendere.”

In effetti questa sembrava degna come risposta; Jensen si fermò e incontrò gli occhi di Jared con uno sguardo vacuo. “Beh, se la scarpa calza…”

“Fottuto…” Jared si fermò, guardò il pavimento e prese un respiro profondo. Era la famigliarità di tutto questo che lo spaventava in un modo in cui non avrebbe dovuto. Nonostante tutti i danni che stava facendo, c’era una piccola parte dentro di lui che stava godendo di quello, godendo di essere in grado di lottare di nuovo contro Dean.

“Vuoi farti da parte, Padalecki?”

Jared alzò di nuovo lo sguardo, rendendosi conto di bloccare la porta tra la cucina e il soggiorno e fece un passo indietro prima di rendersene conto. Era una nuova cosa che Jensen, Dean, faceva. Lo chiamava ‘Padalecki’ tutte le volte che cominciavano a litigare e Jared sapeva anche perché lo faceva. Teneva Jared a distanza. Lo faceva diventare solo un amico. Non era nient’altro per Dean.

“Cazzo, vuoi fermarti almeno per un secondo?”

Avrebbe voluto ridere quando Jensen lo fece, avrebbe voluto fargli notare quanto questo fosse ridicolo.

Jared era ai piedi delle scale che guardava in alto verso il maggiore, che si era fermato in cima. E come avevano fatto a finire lì? In ogni caso non c’era nulla al piano di sopra che avesse a che fare con Jensen, era il piano del minore.

“Cosa vuoi che faccia, huh?” Jensen gesticolò violentemente. “Ci sto provando, cazzo. Ci sto provando davvero, amico. Sono ancora qui, non è vero? Sto rivivendo ogni singolo errore della mia vita, per poi girarmi e sorridere alla telecamera! Ma cazzo, sono ancora qui!”

Qualcosa si chiuse nella gola di Jared. “Si, grazie a Dio lo sei.” Avrebbe voluto dirlo. Ma non poteva.

“Ma non posso solo girare l’interruttore ed essere chi tu vuoi che io sia!” Continuò l’altro.

“Jensen, io non voglio che tu sia nessuno, se non te stesso.” Disse il più giovane, e sapeva che suonava come un lamento.

Jensen lo guardò. “Pensaci ancora, genio. Cosa è successo ieri?”

Jared chiuse le palpebre per un attimo, fece una smorfia, le immagini di calore e di pelle e di voglia, passarono davanti ai suoi occhi.

“Questo sono io, ora. È quello che sono e non importa quello che io faccia, non posso fermarlo. Non andrà via.”

“Jensen.” Iniziò Jared, anche se non aveva idea di quello che voleva dire, voleva solo che l’altro si fermasse, voleva che il dolore lasciasse la voce di Jensen.

“Mi ricordo di come sei caduto… prima.” Jared sentì Jensen deglutire pesantemente perfino da dove si trovava.

“È stato sopportabile, allora. Andava… bene, convivere con quella cosa. Ma ora? Sam, tu sei già così… cazzo, tu sei già entrato così in profondità sotto la mia pelle, che non c’è modo in cui possa ignorarlo adesso. Non c’è modo in cui possa ignorare quello che provo per te, adesso.” Ripeté Jensen, a bassa voce, chiaramente non avvezzo a dire cose come quella ad alta voce, ad essere così aperto su quello che provava.

Questo incrinò il cuore di Jared.

“Io ho solo bisogno che torni.” Confessò il minore, fanculo all’atteggiamento virile e alla regola del non-si-parla-dei-propri-sentimenti. Erano andati troppo oltre, troppo in profondità.

“Dean, tutto quello che abbiamo fatto da quando sei tornato è staccarci la testa uno con l’altro! Litighiamo costantemente e io non posso continuare! Non quando l’unica cosa che vorrei è stringere le braccia intorno a te ed essere felice che tu sia qui.”

Jared chiuse gli occhi per un attimo, prese un respiro tremante.

“Ci stiamo facendo a pezzi. Come abbiamo fatto allora... e io non so se posso sopravvivere a questo una seconda volta.”

Osservò Jensen scrollare le spalle impotente. “Te l’ho detto. Non so cosa vuoi da me.”

Rimasero in silenzio per un momento, come se stessero galleggiando nell’occhio di un ciclone e Jensen era già pronto a girarsi ed andarsene quando, improvvisamente, era tornato indietro con un profondo cipiglio sul volto.

“Sai cosa? Con tutto il dannato parlare di me e dei miei cazzo di sentimenti per te – quando inizieremo a parlare di te, tanto per cambiare, huh? E di come non ti sei esattamente sentito così tanto diverso da me!”

“Di cosa stai parlando?” Chiese Jared, reagendo in modo esagerato.

Tornarono di nuovo punto e a capo, con una tensione rabbiosa tra di loro, come un elastico teso.

“Oh, andiamo! Almeno abbi la decenza di non mentirmi guardandomi in faccia, Jared!” Gridò Jensen. “Quando parleremo del fatto che tu non mi hai immediatamente spinto via, quando ti ho baciato in cucina? Che ai risposto al mio bacio, cazzo! E non come ho fatto io, tu sapevi dannatamente bene chi io fossi!”

“Cosa?” Gracchiò Jared, sentendo il calore risalire al suo volto.

“In ogni momento in cui ho incasinato tutto, tu non hai esattamente detto di no, Sam. Ti conosco. Ti conoscevo allora e ti conosco ora. E quello non eri tu che dicevi no. Quello eri tu che dicevi: ‘non sono sicuro’.”

Il respiro di Jared si fece affannoso, non sapeva cosa dire, non sapeva come rispondere a quelle parole. ‘Non è vero!’, voleva gridarlo, ma non lo fece, dalla sua bocca non uscì una parola.

“Cazzo, lo immaginavo.” Disse Jensen cupamente, girò sui tacchi e andò fuori dalla sua vista e Jared avrebbe voluto ridere, avrebbe voluto gridare: ‘Dove stai andando lassù?’. Ma non aveva voglia di ridere. Sentiva di più il bisogno di piangere.

 

****

 

Jared scattò di nuovo, proprio il giorno successivo.

Jensen evitò ogni contatto, non lo toccò, non parlò, non lo guardò nemmeno quando poteva farlo e Jared scoppiò. Se quello era uno stupido gioco da polli, su chi gettava la spugna per primo e diceva di farla finita, allora che fosse così. Jensen poteva vincere, per quello che importava a Jared. Lui non poteva mantenere così a lungo il rancore dentro di sé, non poteva vivere a lungo in quella stupida versione di litigio e aveva bisogno che il suo Jensen tornasse da lui, aveva bisogno di non svegliarsi con un nodo nella pancia, sapendo che c’era qualcosa di così sbagliato tra lui e la persona che più amava nella sua vita.

“Dobbiamo parlare.” Annunciò Jared, più sicuro di quello che davvero provava. Chiuse la porta del trailer di Jensen dietro di sé, avevano finito per quel giorno, dovevano solo farsi una doccia, cambiarsi di abito e aspettare che Clif li andasse a prendere. Quello era un buon momento come un altro, quindi Jared si infilò direttamente nel trailer del suo amico, affrontandolo.

Jensen gli gettò solo uno sguardo e, per un secondo, Jared credette di riuscire a sentire i denti dell’altro che si serravano.

“Vuoi cominciare questa cosa di nuovo?” Chiese il maggiore, mortalmente calmo.

“Voglio che tu… voglio che tu sappia che ti amo, ma non… non in quel modo.” Disse Jared con voce tremante, e Dio, si sentì di merda, sentì che era tutto sbagliato. Non sapeva nemmeno questo da dove fosse uscito, continuò solo a parlare. Come un disastro ferroviario, non poteva fermarsi. “E voglio che tu… che ci provi e che ti riprendi la tua vita, okay? Hai una bellissima ragazza che ami molto ed io ho la mia, ed entrambi ci sposeremo e avremo una vita felice, una vita normale, okay?”

Jared sentì tremare le mani quando guardò Jensen e vide quanto fosse diventato pallido il suo viso.

“È questo il tuo sogno?” Chiese il maggiore, ed in effetti sembrava curioso come se volesse davvero saperlo. “È questo il motivo per cui ti sei aggrappato così tenacemente a questa cosa? Tu ed io, con mogli e figli e cani e la dannata staccionata bianca, che viviamo uno vicino all’altro e facciamo i barbeques la domenica? È questo che vuoi davvero?”

Jared deglutì, si sentiva come se Jensen lo avesse appena inchiodato. “È il motivo per cui l’ho fatto! Ventisette anni fa ho detto sì a quel fottuto Arcangelo e ho desiderato questo. E non posso… Dean, non posso semplicemente rinunciare. Non quando io...”

“Quando tu cosa?”

Jared alzò di nuovo lo sguardo, i suoi occhi incontrarono quelli del fratello. “Quando io ho sacrificato te per questo.”

Jensen annuì tre volte e si strofinò la mano sulla bocca. “Allora dimmi, Sam, quando ti ho baciato, non lo volevi? Quando ti ho fatto un pompino, non volevi nemmeno quello?”

La sua voce aveva un suono pericoloso, qualcosa che Jared riuscì a leggere. L’altro si fece più vicino, aveva uno sguardo determinato sul volto.

“Fammi vedere.” Sbottò facendo un altro passo verso di lui. “Fammi vedere come non sei stato in grado di spingermi via, come non hai avuto la possibilità di dire di no.”

“Non ho mai detto…” iniziò Jared, voleva dire a Jensen che non lo avrebbe mai accusato di averlo forzato in questa situazione. Che solo l’idea che Jensen, che Dean, fosse capace di fare una cosa simile, era così ridicola che avrebbe voluto ridere.

Ma poteva vedere negli occhi del fratello che quello era esattamente il problema.

Qualcosa scattò nella testa di Jared e finalmente acquistò un senso. Tutta la rabbia, tutte le urla e i litigi. Jensen, Dean, non era da solo in questo, non era l’unico che sentiva tutto questo e non aveva forzato nulla in lui, non gli aveva fatto fare nulla che non volesse.

E lui disperatamente, disperatamente, voleva che il minore lo ammettesse.

Ed era qualcosa per cui Jared non sapeva se fosse pronto. Qualcosa che stava combattendo fin da prima di Dean… fin da prima.

“Jensen...” Iniziò, senza nemmeno sapere quale sarebbero state le sue successive parole, mentre Jensen continuava a spingere, a colpire la sua spalla, ad invadere il suo spazio.

“Non sei abbastanza forte da tenermi lontano? Davvero? Se davvero lo volessi?”

“Fermati!” Sussurrò Jared, ma Jensen continuò ad avvicinarsi; si stavano toccando ora, dalle cosce alle spalle. Jensen alzò lo sguardo su di lui con il calore negli occhi, pieno di rabbia e…

“Allora fermami adesso, Jared.” Rispose, la sua voce divenne ancora più bassa, sempre più tesa. “Fermami, se non è davvero quello che vuoi.”

E fu quello che fece.

Jared chiuse le mani intorno alle braccia di Jensen, appena sotto le spalle, e lo sollevò a fatica, lo tirò su e lo spinse contro il muro più vicino, usando il suo corpo per spingerlo con le spalle contro di esso.

Jensen gemette, sollevò le mani per trovare un appoggio su Jared, avvolgendo i suoi gomiti. Jared vide l’espressione sul viso di Jensen, lo vide mordersi il labbro e pensò ‘merda, merda’, prima che il suo corpo si facesse ancora più vicino all’altro uomo, completamente alla sua mercé.

Avrebbe dovuto far smettere Jensen, avrebbe dovuto fermarlo o respingerlo.

Invece, Jared si trovò a fare esattamente quello che Jensen voleva. Forse, quello che volevano entrambi.

Erano solo a pochi centimetri uno dall’altro. Entrambi ansimanti, si fissavano, i loro respiri si mischiavano.tàn"cedeva sempre, proprio come aveva continuato a fare negli ultimi giorni

Jared iniziò a tremare per lo sforzo di trattenerlo, l’adrenalina che aveva un momento prima e che gli aveva permesso di tenerlo premuto contro il muro, lo stava lentamente abbandonando. Si morse le labbra quando sentì le gambe di Jensen avvolgersi intorno alla sua vita.

Gli occhi del maggiore erano scuri e brucianti, saettavano dagli occhi di Jared alla sua bocca e viceversa; lo guardò leccarsi le labbra, più e più volte e questo lo face impazzire.

Erano molto oltre la necessità di usare le parole.

Non ci fu più nulla da dire quando Jensen strinse la presa sui fianchi di Jared, quando si spinsero più vicino e strofinarono i loro bacini uno contro l’atro; ma il minore continuò a non lasciarsi andare.

Jensen mosse in avanti la testa, solo un centimetro, appena percettibile, ma Jared si tirò indietro, continuando a mantenere la distanza che ancora li separava. Sentì il ringhio di Jensen attraverso il suo stesso corpo.

Jared sentì i propri occhi saettare verso la bocca di Jensen, li sentì focalizzarsi completamente su quelle labbra peccaminose e, questa volta, fu lui a sporgersi in avanti, senza sapere nemmeno cosa stesse facendo, solo voglioso di assaggiare quelle labbra.

Jensen tirò indietro la testa, i suoi occhi quasi neri incontrarono quelli dell’altro sfidandoli e, con improvvisa chiarezza, Jared seppe quello che voleva. Quello di cui aveva bisogno.

Lui.

Tutto di lui. Ogni parte che era suo fratello ed ogni parte che era Jensen. Voleva tutto e niente di meno. Ed era più importante di sogni a lungo dimenticati, di desideri fatti molto tempo prima. Tutto quello che aveva sempre voluto era l’uomo di fronte a sé e questo non sembrava essere mai cambiato.

Jared tenne lo sguardo inchiodato in quello di Jensen questa volta, mentre si muoveva in avanti, guardando la voglia crescere negli occhi dell’altro. Entrambi sapevano cosa sarebbe successo e i loro corpi stavano urlando per andare in quella direzione.

“Ok, ragazzi. Pronti ad andare?”

L’urlo venne da fuori dalla porta ed entrambi si spaventarono alla voce di Clif. Cautamente, lentamente, Jared lasciò scendere Jensen, lasciò andare la presa su di lui e face un passo indietro, i loro sguardi rimasero bloccati uno nell’altro.

Il movimento spezzò il momento tra di loro, ma non la tensione, e Jared poté sentire i brividi sulla pelle per tutto il tragitto fino alla macchina.

 

****

 

Per tutto il viaggio verso casa, Jared si sentì come se stesse per esplodere fuori dalla sua stessa pelle. L’adrenalina correva attraverso di lui, calda e forte e riusciva a malapena ad impedire alle sue mani di tremare.

Poteva vedere, nella tensione della linea della mascella di Jensen e nella flessione dell’avambraccio, che anche lui provava la stessa cosa. Diavolo, sapeva che perfino Clif poteva sentirla, dal modo in cui manteneva il silenzio, con gli occhi fissi sulla strada di fronte a sé, senza guardare nello specchietto retrovisore nemmeno una volta per incontrare i loro occhi.

Non si scambiarono una singola parola o uno sguardo quando la macchina si fermò di fronte alla casa. Saltarono semplicemente fuori, afferrarono le loro cose e si mantennero a distanza, camminando verso la porta di ingresso, mentre Cliff se ne andava alle loro spalle.

Quando Jared aprì la porta, con Jensen dietro di lui, che canticchiava in tensione, sapeva che era solo questione di tempo. Era solo questione di chi si sarebbe spezzato prima.

Quel pensiero mandò un brivido lungo la sua schiena, facendogli girare la testa per l’aspettativa. Era stato arduo fin da quando aveva sbattuto Jensen contro il muro del trailer.

Fu un silenzio folle quello che cadde tra di loro quando la porta si chiuse, lasciando il mondo completamente chiuso fuori; era senza fiato e allo stesso tempo carico, Jared non sapeva cosa fare di se stesso, intrappolato tra l’idea di fuggire, compiendo un ultimo atto di normalità, e il girarsi per continuare, verso quello che voleva veramente.

Si girò. Finalmente, quella fu la scelta che fece e trovò suo fratello immobile vicino alla porta, con uno sguardo duro fisso su di lui. Jared poté vederlo mentre deglutiva; da dov’era poteva perfino udire i veloci respiri che l’altro stava prendendo e, quando i suoi occhi si spostarono verso il basso, poté vedere il rigonfiamento che si stava formando nei jeans di Jensen, uguale a quello che stava crescendo nei suoi.

Un brivido lo attraversò e chiuse gli occhi per un momento.

Quando li riaprì di nuovo, Jensen si stava lentamente togliendo la giacca, la lasciò cadere sul pavimento con un tonfo sordo. Senza distogliere lo sguardo, proseguì con il maglione, lo levò con un movimento fluido e quando sollevò le braccia, un pezzetto di soffice pelle nuda, dove la maglietta si era sollevata, fece spostare lo sguardo di Jared dal viso di Jensen.

Sentì la bocca seccarsi.

Fu quando anche la maglietta fu andata e Jensen rimase lì mezzo nudo, mettendo in mostra ampie distese di pelle che fecero contrarre le dita di Jared, che anche lui cominciò a togliersi i vestiti. Tolse il maglione e la maglietta in un colpo solo.

Vide gli occhi di suo fratello farsi più scuri e i denti iniziare a mordere il suo labbro inferiore, ma Jensen non disse nulla. Invece, la sua mano abbassò la cerniera dei jeans, il bottone aperto dava già uno scorcio della sottile striscia di peluria che immediatamente Jared non vedeva l’ora di seguire con i suoi occhi, le sue dita e la sua lingua.

“Ultima possibilità.” Disse Jensen con voce graffiante quando rimasero entrambi in boxer, e il suo tono fece esplodere qualcosa dentro Jared. Il minore rimase tranquillo e sembrò tutto quello di cui Jensen aveva bisogno; piano, e con attenzione, camminò fino a Jared.

Lui non poté muoversi, sentiva il cuore battere in gola, si sentì di nuovo nervoso e piccolo, ancora come se fosse il fratellino, con Dean a dettare legge.

“Jared.” Disse Jensen e suonò come una domanda, Jared annuì, senza incontrare lo sguardo dell’altro, troppo nervoso per focalizzarsi su qualsiasi cosa, quando tutto quello che poteva sentire era il calore di un altro corpo che carezzava la sua pelle.

“Sammy.” Jensen disse di nuovo il suo nome e gli occhi di Jared si alzarono di scatto, incontrando quelli di suo fratello e poté vedere lo stesso nervosismo, la stessa paura di oltrepassare una linea che avevano oltrepassato così tante volte, ormai, ma questa volta, realmente. Per davvero.

Jared annuì di nuovo e i suoi occhi non lasciarono quelli del maggiore questa volta.

Entrambe le mani di Jensen si alzarono, una gli circondò il collo, l’altra affondò nei suoi capelli tirandoli dolcemente.

Jared lo seguì spontaneamente, seguì Jensen dove lo stava portando e scivolò nel bacio naturalmente, incontrò le labbra di suo fratello come ci si aspettava che facesse.

Fu il Paradiso.

La bocca di Jensen era morbida contro la sua, si muoveva gentilmente, proprio come Jared lo aveva visto baciare una sequenza infinita di donne nella loro vita passata e in quella presente. Jared insinuò le mani intorno alla vita dell’altro, appoggiandole solamente sui suoi fianchi, ma Jensen sussultò sotto il suo tocco e un gemito viaggiò dalla sua bocca dentro quella del minore.

Era ancora nervoso, insicuro di quello che doveva fare con un uomo, con suo fratello, ma non poteva non toccarlo, non poteva non premere più forte e cedere al soffice sondaggio della lingua di Jensen contro le sue labbra, lasciando la bocca socchiusa per lasciarlo entrare.

Era il Paradiso ed era l’Inferno, ed era sbagliato ed era giusto e Jared ne amò ogni secondo. Amò sentire il sapore di Jensen sulla sua lingua, amò spingere il naso contro la guancia del fratello e sentire la sua mano tra i capelli, che tremava e tirava.

Si separarono infine, bisognosi di aria e, quando si divisero, stavano entrambi ansimando, tremando per la forza di quello che stavano facendo.

Jared catturò lo sguardo di suo fratello e fu colpito da un misto di bramosia e amore, ma più in profondità di quello, più evidente, era la paura nei suoi occhi, il tremolio del suo labbro inferiore, che dissero al minore che l’altro stava ancora aspettando che tutto crollasse; stava ancora aspettando che Jared lo spingesse via e, nel profondo, forse stava ancora sperando accadesse.

Era il suo nuovo modo di fare, pensò Jared. Non lo lasciava più da solo davanti al problema, come era solito fare allora, ma lo forzava, lo portava ad esplodere e costringeva il minore a fare delle scelte, non importava quanto sbagliate potessero essere prese nella foga del momento.

Jared voleva dire a suo fratello quale idiota fosse, che questo suo nuovo modo di risolvere i problemi non era migliore di quello vecchio. Voleva dirgli che poteva anche smettere di provare a volere quello che era meglio per Sam, Jared, perché non li avrebbe portati da nessuna parte. Finivano sempre, prima o dopo, col volere comunque la stessa cosa, e forse, solo forse, avrebbero dovuto imparare ad arrendersi.

“Ho finito di lottare.” Jared sussurrò, cercando disperatamente di incontrare gli occhi di Jensen. “Ho finito, ok? Ho finito.” Si accertò che l’altro lo avesse sentito, si assicurò che avesse compreso quello che stava dicendo.

Ci volle un momento, un momento senza respiro e pieno di tensione, poi qualcosa tornò al suo posto dentro Jared con uno schianto, il significato delle sue stesse parole lo colpì rompendo tutte le ultime inibizioni rimaste. Fu lui a muoversi in avanti questa volta, raggiungendo suo fratello e annullando la distanza tra di loro. Il suo bacio non fu per niente come quello di Jensen, fu tutto disperazione e fame, ma Jensen corrispose immediatamente, come se avesse solo aspettato il permesso.

Jared fu colpito dallo spigolo della credenza dietro di lui e gemette nella bocca di Jensen, senza sapere se fosse stato lui a tirarlo verso di sé o se fosse stato l’altro a spingerlo contro il mobile. Ma non aveva importanza, era troppo occupato a trovare la sua strada attraverso le labbra del maggiore, artigliando la sua pelle.

Era una corsa, che esplose dentro la sua testa, era come sentiva Jensen contro di lui, il gusto che aveva, forte e flessibile, morbido e duro. Sapeva di familiare e di nuovo, e i suoni che emetteva, Jared li bevve tutti, avrebbe voluto annegare in essi.

“Jensen.” Disse in un soffio tra loro e il maggiore emise un ringhio e infilò la coscia tra le gambe di Jared costringendolo ad emettere un gemito dalla gola.

Inciamparono nel corridoio, avvinghiati l’uno all’altro. Sbatterono contro i mobili e la parete fin troppe volte, fino a che finalmente attraversarono la porta della stanza di Jensen; il giorno dopo avrebbero trovato il corridoio a soqquadro, con vestiti abbandonati dappertutto, con le cornici appese alle pareti inclinate in angoli strani, ma ora, ora c’erano solo loro, Sam e Dean, Jensen e Jared, e nessun altro al mondo.

 

Fecero l’amore, consapevoli di volerlo entrambi, bisognosi di appartenersi. In quel momento, tutte le ragioni per cui Jared aveva combattuto sembrarono ridicole e insignificanti in confronto. Quando raggiunsero l’apice del piacere, l’orgasmo li colpì con piena forza, e Jared si sentì prosciugato e privo di forze.

Il minore non tornò in sé immediatamente, galleggiò in luogo tranquillo dove la sua mente era felicemente vuota. Ma quando tornò, sentì forti braccia intorno a sé che lo tenevano stretto e solo allora realizzò che si stava agitando, che stava tremando e che il suono ansimante che sentiva, proveniva dalla sua stessa gola.

“Schhh.” Jensen mormorò vicino al suo orecchio e continuò a mantenere la stretta che aveva su di lui. Non accarezzò Jared, non lo cullò, ma continuò a tenerlo abbastanza stretto da farlo sentire al sicuro e quello era tutto ciò di cui l’altro aveva bisogno.

Qualcosa dentro Jared si stava spezzando, poteva sentire ogni singolo pezzo che si rompeva, che tagliava attraverso di lui, ma Jensen era lì, suo fratello era lì, a tenerlo fino a che non fosse finita.

Non pianse, ma non respirò nemmeno, prese delle boccate fino a quando il peggio non fu passato, fino a che il suo cuore lentamente si calmò e la sua gola fece meno male.

Le braccia di Jensen lo avvolsero fino a che smise di tremare, fino a che il calore del suo corpo e l’odore della sua pelle non furono le uniche cose che lo tennero in vita; era solo bello e meraviglioso e qualcosa che amava.

"Non ti addormentare su di me." Lo mise in guardia il maggiore, scese da letto ed immediatamente Jared sentì così freddo, che non aveva idea di come avrebbe potuto addormentarsi. Poi Jensen tornò, un asciugamano umido venne strofinato dolcemente sulla sua pelle, pulendolo.

Quando Jensen tornò a letto con lui, lo tirò vicino, in uno stretto abbraccio, Jared non poté combattere contro il peso delle palpebre che si chiudevano, non poteva combattere contro il bisogno di addormentarsi tra le braccia dell'uomo che amava.



****

 

Quando Jared si svegliò la mattina successiva, poté finalmente respirare di nuovo. Come se un enorme peso fosse stato tirato via dalle sue spalle, dai suoi polmoni, e si ritrovò a sorridere quando sbatté le palpebre contro la luce del sole che filtrava dalla tenda aperta. Il letto brontolò, le coperte erano buttate tutte intorno, ma il posto accanto a lui era ancora caldo, toccò le lenzuola e inalò il profumo di Jensen che ancora le impregnava.

Ne godette, per un momento si immerse nella sensazione calda che lo riempì, ma quando senti dei deboli rumori provenienti dalla cucina e i segni rivelatori dei suoi cani che picchiettavano con le zampe sul duro pavimento di legno, immediatamente non volle stare più solo.

Trovò Jensen sulla porta della cucina, aveva appena lasciato uscire i cani nel cortile e Jared arrossì quando lo guardò, come se stesse guardando qualcosa di nuovo e sconosciuto, qualcuno di cui si era innamorato solo il giorno prima e non una vita fa. Ma la sensazione sottostante che percepì, quando Jensen si girò e lo guardò, era sempre stata parte di lui.

Jared poté vedere il rossore anche sul viso del maggiore e non poté combattere il sorriso che apparve sulle sue labbra. Si stavano comportando come delle ragazzine, quando erano davvero molto, molto più vecchi di così.

“Ho fatto il caffè.” Disse Jensen piano e il timbro basso della sua voce mandò dei brividi lungo la schiena di Jared. Il maggiore si mosse verso il piano della cucina, dove si trovavano due tazze fumanti.

Jared annuì silenziosamente e lo guardò prendere la sua tazza voltandosi di spalle. Il minore fece alcuni passi, dritto fino a Jensen, sovrastandolo. Quasi lo toccò quando si sporse per prender la propria tazza; quasi, ma non del tutto.

Lo sentì tendersi sotto di lui, lo sentì bloccarsi per un secondo, poi Jensen lasciò andare il respiro e si rilassò. Un altro brivido gli corse lungo la schiena quando Jared vide che l’altro aveva gli occhi chiusi, come se stesse godendo della sua vicinanza, come se stesse respirando il suo odore.

Gli si fece più vicino e i capelli di Jensen gli solleticarono il naso.

Il maggiore rabbrividì di fronte a lui, si schiarì la voce e si allontanò, ma il più giovane sentì qualcosa di caldo e di bello diffondersi dentro di sé, quando vide che Jensen non era distante più di un passo e si aggirava vicino a lui.

Sorseggiarono i loro caffè in un confortevole silenzio, appoggiati al bancone della cucina e guardando fuori dalla finestra, osservando i cani che giocavano in cortile.

Era tranquillo intorno a loro, come se la tempesta delle ultime settimane fosse finalmente finita. Come se avessero continuato a lottare per stare lontano dal luogo a cui appartenevano. Ed ora che si erano entrambi arresi, il sole era sorto dopo una notte difficile e stava dando loro una bellissima e pacifica mattinata.

Quando Jensen finì il caffè, trafficò intorno alla cucina mettendo via le cose e Jared rimase a guardarlo silenziosamente. Non si sentiva inquietante, ma amava il fatto di essere finalmente in grado di farlo. Solo restare lì e guardare. Ogni tanto Jensen alzava lo sguardo su di lui e gli faceva un piccolo sorriso, commentavano una cosa o l’altra e così la loro mattina volò via in fretta, dolce e tranquilla.

Era come se avessero condiviso due vite, come se si conoscessero dentro e fuori. E allo stesso tempo, quella cosa tremante tra di loro, era qualcosa di nuovo e fresco. Vecchi sentimenti erano finalmente stati trascinati alla luce, e si erano aggiunti a quelli che avevano accumulato in questa vita.

Jared si sentì nervoso, sentì lo stomaco salirgli in gola quando lo guardò mentre gli si avvicinava, dopo aver finito di sistemare.

Ma Jensen fece un altro passo, si spinse il più vicino possibile senza tuttavia toccarlo, proprio come aveva fatto lui in precedenza, e Jared respirò il suo odore, sentì il calore del suo corpo e si calmò istantaneamente. Erano attratti l’uno dall’altro come due magneti e questo non era niente di nuovo, solo… ora era qualcosa di più.

Entrambi gli uomini si rilassarono appoggiati al piano della cucina, le loro braccia si sfioravano ad ogni movimento.

“Dove andremo da qui?” Jared sussurrò infine dopo aver giocato con quel pensiero nella sua mente per l’ultima ora, e le parole fecero male quando lasciarono la sua gola. Era troppo spaventato della risposta, anche se pensava, nel profondo, che poteva essercene una sola.

Jensen non lo guardò, ma girò il viso verso di lui e il suo naso quasi strusciò contro il collo di Jared. Era inconscio, il minore lo avrebbe giurato, ma gli disse tutto quello che aveva bisogno di sapere. “Dobbiamo decidere.” L’altro disse piano, più a se stesso che a Jared. “Dobbiamo scegliere tra noi… e loro.”

Jared lo guardò, vide come Jensen aveva chiuso gli occhi per un momento e qualcosa come il dolore fluttuò sui suoi bellissimi lineamenti. Era lo stesso sentimento che stava provando lui, perché entrambi amavano le loro fidanzate, entrambi erano stati pronti a passare le proprie vite con loro. Ma quando Jensen alzò lo sguardo e incontrò quello di Jared, lì e in quel momento, entrambi seppero che nessuno dei due, in nessun mondo, avrebbe potuto scegliere qualcuno di diverso dall’altro.

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Epilogo

 

Jared guardava Jensen dall’angolo in cui si trovava. Lo vedeva parlare con Jim, fare gesti ai ragazzi delle riprese, controllare le cose con la crew dell’illuminazione. Non poteva reprimere il sorriso orgoglioso che aveva in volto, si sentiva come se stesse scoppiando. Orgoglio, felicità, sollievo, Casa.

Se questo era il premio per la sua vita passata, di sicuro doveva aver fatto più cose giuste di quante non sapesse, toccato la vita di più persone di quante si fosse reso conto, perché non c’era modo in cui tutto questo potesse essere migliore.

Jensen era totalmente assorto in quello che stava facendo, rilassato ma concentrato, e anche se Jared aveva ancora molto da fare quel giorno, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Non che per lui fosse nuovo fare questo. Guardare.

Per tutta la sua vista passata aveva guardato Dean, osservandolo con attenzione, studiandolo. Non si sentiva molto differente, ora che Jensen era davanti a lui e poteva vedere tanto di quello che conosceva, e molte cose che erano nuove. 

Jensen era completamente a suo agio con se stesso, felice e contento e Jared provava una sensazione dolceamara, solo a vederlo. C’era una parte di lui che desiderava che Dean avesse potuto avere tutto questo molto prima, ma poi Jensen, di fronte a lui, lo guardò per un secondo, i suoi occhi si fecero dolci quando incontrarono i suoi e lui fu solo grato che l’altro potesse averlo, in questo momento.

“Sei sorprendente.” Gli sussurrò quando Jensen fece una pausa vicino a lui, cercando inconsciamente la presenza di Jared non appena avevano chiamato una breve sosta delle riprese.

Jensen si voltò, lanciando a Jared un sorriso.

“Sono fiero di te, amico.”

L’espressione di Jensen si fece seria; annuì e i suoi occhi erano dolci, caldi e riconoscenti e Jared poté vedere come le sue parole volessero dire qualcosa per l’altro, perfino prima che Jensen facesse sfiorare le loro dita con un segreto e rapido tocco, e dicesse: “Grazie.” 

Jared afferrò la mano di Jensen impedendo che il tocco si interrompesse e tirò l’altro uomo un pochino più vicino. La crew intorno ai due non prestava loro la minima attenzione.

“Jensen? Pensi che questo sia quello che sarebbe successo se noi non fossimo andati via dal nostro mondo?” Chiese Jared, il suo sguardo vagò per il set.

“Non ha importanza.” Rispose Jensen e quando gli occhi di Jared si posarono sul suo viso, le labbra del maggiore si piegarono in un sorriso, come se avesse realizzato qualcosa solo in quel momento. “Questa è solo storia, adesso. Qualcosa che possiamo fare e cambiare e dire nel modo che vogliamo. Nessun vecchio ricordo, nessun vecchio errore.”

“Ti manca qualche volta, Dean?” Jared sussurrò e qualcosa strinse il suo cuore. “Le nostre vecchie vite? Il nostro vecchio mondo? Lo sai: Bobby, Cas, la caccia, salvare le persone?” Improvvisamente ebbe paura della risposta di Jensen; perché, se chiedeva a se stesso la medesima cosa, non era sicuro della sua stessa risposta. Qualche volta, solo in alcuni rari momenti, scopriva che gli mancava.

Ma nel momento in cui guardò Jensen, l’altro eruppe in un luminoso sorriso ridacchiando piano tra sé.

“Cosa? Cos’è che ti fa ridere?” Chiese Jared, il suo cuore già sollevato.

Jensen lo guardò e c’era del rossore che si stava diffondendo sul suo viso, ma la sua voce era aperta e divertita quando rispose. “Sto per dire qualcosa di incredibilmente melenso. E tu hai il diritto di prendermi in giro per il resto della nostra vita.”

“E nella prossima?” Chiese Jared, ridacchiando a sua volta.

Jensen annuì. “E nella prossima.”

“Ok, fammi sentire.”

Gli occhi di Jensen incontrarono i suoi. “L’unica cosa che aveva importanza allora, è qui con me adesso.”

Jared non sentì il bisogno di ridere o di prenderlo in giro. Sentì un groppo salirgli in gola, strinse più forte la presa sulla mano di Jensen e, grande, ora stava per piangere come una ragazzina, dando a Jensen abbastanza munizioni da prenderlo in giro per una vita intera.

Ma Jensen non disse niente, il suo sorriso si fece solo più profondo, un semplice scintillio di comprensione nei suoi occhi.

“Genevieve ha chiamato, oggi.” Disse Jared; voleva cambiare argomento, ma era anche qualcosa che moriva dalla voglia di dire a suo fratello.

“E…?” Chiese Jensen, teso, preparato a qualsiasi cosa.

“È andata… bene.” Rispose Jared annuendo. “Davvero bene. Sembrava stare alla grande, era felice... abbiamo parlato per mezz’ora ed è stato assolutamente normale.”

Jensen strinse la sua mano, sembrava sollevato tanto quanto si sentiva lui. “È fantastico, Jared.” Disse e probabilmente lui poteva capire meglio di chiunque altro quanto fosse importante per Jared non perderla completamente.

“Oh, adesso che lo hai menzionato: Danneel ha dovuto posticipare la nostra cena, ma ha insistito che tu venissi.”

“No...” Piagnucolò Jared, giocherellando con le dita. “Un appuntamento doppio? Davvero? Non voglio incontrare questo Greg! Cosa succederebbe se lo odiassi?”

“Allora faremo quello che dobbiamo e diremo a Danneel che non è la persona giusta per lei.” Rispose Jensen, dicendolo in un modo che ne sottolineava l’ovvietà.

“Chi diavolo esce per un doppio appuntamento, con il suo ex ragazzo diventato gay?” Chiese Jared, gesticolando all’impazzata con la mano, senza lasciare quella di Jensen.

Il suo amico alzò solo le spalle. “È Dani.” Disse, come se quello spiegasse tutto, ma entrambi condivisero un sorriso affettuoso per lei e Jared seppe che sarebbe andato a quell’appuntamento. E probabilmente avrebbe odiato quel ragazzo per principio, perché nessuno era abbastanza per la loro preziosa Danneel.

“Misha!” Esclamò improvvisamente Jensen; il suo corpo scattò spaventando Jared.  

Saltarono uno lontano dall’altro, lasciandosi andare le mani come se si fossero appena scottati. Jared era sicuro che in quel momento fossero entrambi arrossiti sulle guance.

Misha, in piedi in silenzio proprio dietro di loro, spostava semplicemente lo sguardo da uno all’altro. “Siete divertenti.” Disse seccamente nella sua miglior versione della voce di Castiel. “Pensare che siete stati discreti e tutto. Come se l’intero set non si fosse reso conto del modo in cui vi state addosso l’un l’altro.

Jared poté solo sentire il calore suo volto farsi più forte, ma non disse nulla.

“Ok, c’è un punto?” Chiese Jensen quando Misha continuò a guardarli.

“Beh, solo per la cronaca…” iniziò Misha e sembrò seccato. “Mio fratello mi ha costretto a fare questo.”

Fratello?

Jared avrebbe voluto chiederlo, ma Misha andò avanti e ad ogni frase divenne più strano.

“Lui è davvero incazzato con me perché lo hai evocato e gli hai gridato addosso, quando in effetti era tecnicamente colpa mia.” Guardò Jared dicendo questo e il ragazzo si sentì spiazzato perché non riusciva a seguire nulla di quel discorso.

“E, diavolo, quel ragazzo può davvero tenere il muso! Pensavo che ormai lo avesse superato, a questo punto. Ma no, continua a non voler parlare con me! E, sapete, anche riconoscendo che lui è come una specie di bambino troppo cresciuto, mi piace davvero. Ed è l’unica famiglia che mi è rimasta qui, così ho pensato che se ve lo avessi spiegato, lui mi avrebbe perdonato... prima o poi.”

“Cosa?” Chiese Jensen dopo quelli che sembrarono minuti interi di silenzio.

Gli occhi di Misha si girarono verso Jensen e Jared poté vedere come si addolcissero un poco; un’espressione di colpevolezza apparve sul suo volto. “Mi dispiace, Dean, per averla dovuta rendere così dura per te. Ma era l’unico modo in cui potessi farlo e doveva avvenire abbastanza lentamente perché la tua testa non esplodesse nel processo, così spero che tu mi possa perdonare per tutti gli incubi e le cose strane attraverso cui sei passato. Ma alla fine ha funzionato, giusto?”

Il suo sorriso era speranzoso e Jared continuava a non capire una parola.

“Non capisco.” Il più giovane disse a voce alta quello che pensava.

Misha fece un passo più vicino a loro e la sua voce si fece ancora più bassa.

“Ho passato molto tempo con voi, allora ed adesso. Mi ci è voluto molto per capirlo, lo ammetto, e ora posso solo colpirmi in testa per non essermene reso conto per tutto il tempo.”

Misha doveva essersi accorto della confusione su entrambe le loro facce perché continuò: “Per ogni persona, là fuori, lui non è tuo fratello... non qui.”

Misha fece un cenno della testa in direzione di Jensen.

“Volevi una seconda occasione, Sam. Ho solo voluto essere sicuro che voi due aveste quella giusta.”

Ci fu un silenzio che durò esattamente quattro battiti di cuore, prima che Jensen e Jared ci arrivassero nello stesso momento.

“Cas?!” Sbottarono all’unisono.

 

 

N.d.T.

Eccoci arrivati alla fine di questa storia. Continuo ad amarla e a trovare che l’idea che sta alla base sia geniale.

Spero che sia piaciuta anche a voi e spero che la traduzione le abbia reso giustizia.

Volevo ringraziare la mia Beta per l’enorme aiuto e dato che la traduzione era fatta prima di tutto per lei spero proprio che le sia piaciuta XD.

Un grazie a tutti quelli che l’hanno letta e commentata. 

Non so se mi cimenterò più in una traduzione, ma nonostante tutto direi che mi ritengo soddisfatta del risultato.

Se volete leggere qualcuna delle mie storie le potete trovare qui:  thinias

Alla prossima storia! ;)

Ciauuuuu

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