Under Falling Leaves di germanjj (/viewuser.php?uid=754798)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - the shift ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo I ***
Titolo: Under
Falling Leaves
Autore: germanjj
Traduttrice: thinias
Beta per la versione italiana: Ele106
Genere: RPS, wincest, Non-AU che diventa AU
Pairing: Jensen/Jared, Sam/Dean, solo nominati
Jensen/Danneel e
Jared/Genevieve
Rating: NC-17
Warning: Siate solo sicuri che vi piacciano entrambi
i parings e
dovreste essere a posto.
Note: come in tutte le ff RPS
dell’autrice, Kim Manners fa un piccolo
cameo
Spoilers: nessuno
Sommario: inizia durante le riprese della quinta
stagione di Supernatural.
Inizia con Jensen che ha degli incubi e Jared che cerca di essere un
buon amico
con lui. Inizia con due ragazzi che si ritrovano ad un punto di svolta,
con uno
che si sente come se la sua vita venisse ribaltata sotto sopra e con
l’altro,
che non è in grado di fare nulla se non restare a
guardare… ma questo non si
avvicina minimamente a quello che succederà alla fine.
Note della
traduttrice: non so dirvi quanto ami questa storia, per la
complessità della
trama e per la bravura dell’autrice che è una
delle mie preferite. Va detto che
io ho tradotto la versione inglese della storia, ma che in origine
è stata
scritta in tedesco. Spero quindi di essere stata abbastanza fedele
all’originale
e di averne mantenuto tutto lo spirito. Spero vi piaccia.
Cercherò di
pubblicare con regolarità, la storia è composta
da otto capitoli compreso
questo, che è più che altro una piccola
introduzione. Ci saranno dei warning dedicati in alcuni capitoli, per cui fate attenzione quando leggerete.
Ho deciso di tradurre questa storia, perchè anche il mio piccolo siriano Ele106 la potesse leggere (dato che non legge in inglese :P) e questo è diventato il mio regalo di compleanno per lei, ti voglio bene tesoro, so che ti piacerà.
Ovviamente
l’autrice ha autorizzato questa traduzione e
potrete trovare tutti i riferimenti con i suoi contatti e con i link
per la
storia originale nella pagina
dell'autore di germanjj di efp.
Capitolo I
“Amico?
Perché ti sei alzato?” La voce impastata
arrivò dal
corridoio e, un secondo dopo, Jared entrò in cucina; i suoi
occhi erano ancora
mezzi chiusi e i suoi capelli andavano in tutte le direzioni. Sembrava
ridicolo, cresciuto e muscoloso, ma ancora come un ragazzino.
Qualcosa
di caldo aleggiò attraverso lo stomaco di Jensen,
famigliare e non inaspettato. Jensen lo mise da parte, seppellendolo
dentro di sé
nel profondo, senza nemmeno rendersene conto.
“Solo
un incubo.” Disse. Prese una scodella del pensile e
fece un gesto con essa verso Jared, l’altro annuì.
Non era la prima volta che
si incontravano in cucina nel bel mezzo della notte per mangiare gli
avanzi.
Versò
un po’ di quanto restava del cinese della sera
precedente nella ciotola di Jared, mentre l’altro si lasciava
cadere senza
grazia su una delle sedie. “Hai di nuovo sognato di
Dean?” Chiese il più
giovane sbadigliando, e Jensen annuì senza alzare lo sguardo.
Nemmeno
questo era qualcosa di nuovo. Jensen sognava spesso
del suo lavoro - diavolo, era normale ogni tanto - ma, nelle ultime
settimane,
sognare lo show, Dean e Sam, era diventato più intenso e non
solo confuso. Erano
sogni che non avevano un senso. I suoi fratelli si prendevano gioco da
sempre
di lui per il fatto che facesse sogni molto vividi (come film) e non
era
differente per quelli che stava avendo attualmente. Erano come scene
nascoste
tra gli episodi, momenti mancanti tra Sam e Dean.
E,
proprio come fanno i sogni qualche volta, sembravano fin
troppo reali.
“Sei
sicuro di stare bene?” chiese Jared quando ebbero
finito; non avevano condiviso altro che un confortevole silenzio
nell’ultimo
paio di minuti.
“Amico,
se ti sentirai di nuovo male svegliami, ok?”
Jensen
sorrise alle parole dell’altro, ma quando alzò lo
sguardo, vide che diceva sul serio.
“Grazie,
amico.” Disse. “Ma starò bene. Cerca di
andare a
dormire. Ti ho tenuto sveglio abbastanza per stanotte.”
“D’accordo.”
Jared ammiccò pigramente, poi si diresse verso
la sua camera da letto; Sadie stava già aspettando in cima
alle scale,
ovviamente controllando cosa stesse facendo il suo papà
alzato nel bel mezzo
della notte.
“Andiamo
ragazza.” Jensen sentì Jared chiamarla piano
quando
il suo amico la raggiunse, carezzandola sulla testa mentre le passava
vicino e
facendola muovere. Li guardò scomparire dietro
l’angolo prima di cominciare
finalmente a muoversi per raggiungere il suo letto.
****
La
mattina successiva non sembrò andare meglio. Jensen si
sentiva stanco fino al midollo, echi dei suoi sogni continuavano a
tornare ogni
volta che chiudeva gli occhi. Sprazzi di luce e posti oscuri. Fuoco.
Urla. Era
come si immaginava fosse l’inferno.
Clif
era alla guida quel giorno e Jensen ne fu grato. Riuscì
solo a strisciare in macchina sul suo sedile, prima che i suoi occhi si
chiudessero di nuovo. Sentiva Jared vicino a sé; avrebbe
giurato di poter
perfino sentire lo sguardo preoccupato che gli stava lanciando, ma in
quel
momento Jensen era troppo stanco per curarsene.
“Siete
pronti?” Chiese Clif dal posto di guida e, grazie al
cielo, Jared rispose per entrambi dicendogli di far partire la macchina.
“Forse
dovresti prenderti un giorno di riposo Jensen.” Disse
alla fine il più giovane, quando furono a metà
strada dalla loro destinazione e
Jensen aprì un occhio.
Scosse
la testa debolmente. “Ti ho detto che sto bene, Sammy.” Rispose.
Dopo
questo, Jared rimase silenzioso per il resto del
viaggio. Solo più tardi, mentre stavano girando una scena
con un dialogo molto
simile alla conversazione che avevano avuto in macchina, Jensen
realizzò come
aveva chiamato Jared.
****
L’acqua
fredda scivolò sul suo viso, ma non aiutò in
alcun
modo con le vertigini, con il calore che gli strisciava sulla sua
pelle. Jensen
afferrò il lavandino con entrambe le mani e si costrinse a
respirare.
Dio,
non sapeva cosa ci fosse di sbagliato.
Sapeva
solo che continuava a svegliarsi in quel modo,
confuso, sudato; si sentiva come se stesse perdendo…
l’orientamento. Se stesso.
Era
tutto tranquillo, scuro e silenzioso e Jensen si rifiutò
di guardare l’orologio, gli avrebbe solo detto quanto fosse
dannatamente tardi
e quanto avesse ancora solo tre o quattro ore di sonno prima di doversi
alzare
di nuovo.
Lasciò
il bagno e vagò per la casa, stando attento a non
fare nessun rumore, cercando di calmarsi.
Fu
uno sforzo fisico quello di stare lontano dalla camera di
Jared e questo era quello che lo spaventava di più.
L’urgenza di svegliare il
suo amico e fare in modo che stesse con lui, che gli tenesse compagnia:
Jensen
si sentiva come se avesse ancora otto anni, spaventato del buio, con
ancora il
bisogno di arrampicarsi sul letto dei suoi genitori dopo aver avuto un
incubo.
Non
poteva togliersi quelle immagini dalla mente e, ancora
peggio, quel dolore che sentiva nel petto. Continuava a sognare di Sam
e Dean; della
paura di Dean di perdere suo fratello.
Se
Dean fosse stato reale.
“Solamente
che io…
io non ci credo.”
“In
cosa?”
“In
te.”
Le
battute continuavano a tornargli in mente e Jensen giurò
a se stesso che non si sarebbe più lasciato andare
così in profondità la
prossima volta, nella prossima ripresa, nelle scene emotive che
potevano
mandarlo in pezzi. Non avrebbe permesso loro di prenderlo
così tanto.
Eppure
si sentiva come se non fosse riuscito a scrollarsi
completamente Dean di dosso e la sofferenza per aver detto quelle
parole a suo fratello
continuava ancora a risuonare
dentro di lui.
“Esci
dalla mia testa, cazzo.” Sussurrò Jensen a se
stesso.
Ma quando focalizzò di nuovo l’attenzione su
quello che lo circondava, si trovò
di fronte alla porta della stanza di Jared.
Questa
volta non cercò nemmeno di fermarsi dall’entrare.
Fortunatamente,
il più giovane non aveva il sonno leggero e
Harley e Sadie lanciarono solo uno sguardo a Jensen, prima di girarsi e
tornare
nuovamente a dormire.
Si
sentì strano e inquietante, appoggiato allo stipite della
porta a guardare il suo amico mentre dormiva. Ma allo stesso tempo, si
sentì
finalmente calmo, sentì la tranquillità scivolare
su di lui. Jared era sdraiato
a pancia in giù sul letto, con le braccia e le gambe che
spuntavano da sotto le
coperte e il viso girato verso la porta. Le luci della strada gettavano
nella
stanza abbastanza luce perché riuscisse a vederlo.
I
suoi lineamenti erano distesi e tranquilli e il respiro di
Jensen sembrò farsi ancora un po’ più
facile.
Quello
era Jared, non Sam. Non correva il rischio di passare
al lato oscuro, non era aspro ed arrabbiato e ipocrita. Era solo Jared.
Ed era
felice.
Jensen
odiava il fatto che qualche volta i suoi incubi
glielo facessero dimenticare.
Non
avrebbe saputo dire per quanto tempo rimase lì a
guardare il suo amico, ma quando finalmente sentì salire una
profonda
stanchezza dentro di sé, scivolò fuori dalla
stanza e chiuse silenziosamente la
porta. Cercò di non ammettere che quella non fosse la prima
volta che faceva
una cosa del genere.
E
fortunatamente, non sapeva che dentro la sua stanza Jared aveva aperto
gli occhi nell'oscurità, lanciando uno sguardo preoccupato
alla porta. Nemmeno per lui era la prima volta.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo II ***
N.d.T.
Eccoci
con il nuovo capitolo. Questa volta entriamo più nel
vivo della situazione tra Jared e Jensen, soprattutto nella testa di
Jensen, il
cui pov domina questa parte. È da qui che la situazione
comincia davvero a
precipitare.
Buona
lettura!
Capitolo II
“Stop!
Jensen, cosa c’è che non va? Si presuppone che tu
appaia un po’ spaventato, non che tu stia per uccidere il
diavolo in questo
istante.” Urlò il regista, incazzato,
perché era la terza volta ormai che
ripetevano la scena e Jensen dentro di sé ribolliva.
Era
solo che… non poteva stare a guardare Mark entrare in
scena, con quel mezzo sorriso arrogante sulla faccia, che lo guardava
come se
possedesse il mondo.
Nel
profondo sapeva che era stupido, ma in quel momento
poteva a malapena fermarsi dal far esplodere la sua rabbia.
“Ci
prendiamo cinque minuti di pausa!” Annunciò
velocemente
Jared da dietro di lui e, con un tocco gentile ma fermo sulla sua
schiena, lo
spinse via.
Adam
e Rekha gettarono loro delle strane occhiate nervose ed
entrambi fecero un passo indietro per lasciarli passare.
Non
dissero una parola per tutto il tragitto fino al trailer
di Jensen, ma lui sapeva di essere fregato, poteva sentirlo nella
tensione
controllata che trasudava dal corpo di Jared.
“Puoi
spiegarmi cosa diavolo era quello?” domandò il suo
amico non appena la porta si chiuse. Jared incombeva su di lui,
preoccupato ed
arrabbiato e Jensen non poteva affrontare nessuna delle due cose.
“Non
è niente, ok? Mark mi fa incazzare!”
“Cosa?!”
Jared lo guardò incredulo. “Da quando? Jensen, tu
ami quel ragazzo!”
Qualcosa
di simile al disgusto fece rivoltare lo stomaco di
Jensen. “No, non è vero!”
Jared
sembrava sempre più nervoso ad ogni secondo che
passava. “Si! Si cazzo, è vero!” Emise
un gemito sofferente, come se non
riconoscesse l’uomo che aveva di fronte.
E
anche attraverso tutta la rabbia, Jensen ebbe paura che
Jared, forse, non ci riuscisse veramente.
“Jensen,
tu davvero, davvero, adori Mark! Ami lavorare con
lui e se anche non fosse così, non ti saresti mai comportato
come hai appena
fatto!”
“Io
non mi sono comportato in modo differente da come faccio
sempre, cazzo!” Gridò Jensen, sentendo il bisogno
di difendersi, nonostante una
vocina dentro la sua testa, ormai non più così
piccola, gli stesse urlando che
Jared aveva ragione.
“Gesù,
Jensen, cosa c’è di sbagliato in te? Ti sei
comportato come un bambino viziato là fuori! E non
è nemmeno la prima volta!”
“Di
cosa cazzo stai parlando?!”
Jared
lo afferrò per la spalla facendo in modo che lo
guardasse negli occhi. “Ti sei comportato nello stesso modo
con Kurt l’ultima volta
che è stato qui. Sei stato lunatico fin da allora. Sei
scattato con Pellegrino
e Sheppard e con chiunque ti abbia guardato nel modo
sbagliato.”
“Non
è vero, cazzo!”
“Ma
ti ascolti almeno?!” Jared lo scosse non troppo forte e
non troppo violentemente, ma Jensen ne aveva avuto abbastanza e si
divincolò
dalla presa del suo amico.
“Basta!
Smettila di toccarmi per tutto il fottuto tempo, va
bene?”
Jensen
rimpianse quelle parole non appena ebbero lasciato la
sua bocca. Vide lo spasmo doloroso sulla faccia di Jared e per un
secondo lo
sentì riflettersi nel suo cuore.
Ma
subito dopo, l’espressione di Jared cambiò,
divenendo
sempre più preoccupata piuttosto che arrabbiata o ferita.
“Quindi
hai un problema con me?”
Il tono di Jared era mutato completamente, sembrava più
prudente e freddo
adesso, circospetto.
“Cosa?
NO! Gesù, no, okay?” E non lo era. La
verità era che
Jensen non aveva idea di cosa ci fosse di sbagliato in lui ultimamente.
E non
voleva reagire contro nessuno, ma in qualche modo non poteva fermarsi.
Sospirò
profondamente, passandosi le dita tra i capelli.
“Mi
dispiace, solo... non mi sento bene oggi.” Spiegò
stancamente; sapeva che Jared meritava di più. Senza
menzionare la quantità di
scuse che spettavano al resto del cast e della crew.
“Va
tutto bene, amico. Tutti hanno il diritto di avere una
brutta giornata, d’accordo? Solo, cerca di non fare in modo
che tutti ti odino
là fuori, intanto che ci sei... okay?” Era intesa
come una battuta e Jared
tentò anche di fargli un mezzo sorriso, ma Jensen si
sentì solo peggio.
Irrigidì
il collo, diede una pacca sul petto di Jared e gli
passò oltre.
Il
suo amico capì abbastanza dal suo atteggiamento da
lasciarlo solo.
Poté
sentire tutti gli occhi su di sé, quando
attraversò il
set. Quelli che intercettò, più o meno tutti, non
mostravano altro che
preoccupazione per lui, e questo lo fece sentire ancora di
più un ingrato
bastardo.
“Scusami…”
disse una voce leggera dietro di lui.
“Cosa?”
Jensen si girò e si trovò di fronte Misha, che lo
guardava con un’espressione accigliata sul volto.
“Mi
dispiace che tu ti senta così male.” Disse
l’altro uomo
seriamente, inclinando la testa di lato. Per un secondo
sembrò più simile a
Castiel di quanto, a volte, non lo fosse mentre recitava, ma questo era
ridicolo e Jensen ricordò che era con Misha che stava
parlando. Quell’uomo
riusciva a sorprenderlo nei suoi giorni peggiori.
Non
seppe cosa dire, annuì solo, con gratitudine e
passò
oltre senza riuscire a scrollarsi di dosso il fatto che Misha
continuasse a
guardarlo per tutto il tragitto, fino a che non sparì dietro
l’angolo
successivo.
****
Erano
trascorsi due giorni e Jensen poteva continuare a sentire
lo sguardo di Jared su di sé, ogni volta che
l’altro uomo pensava di non essere
visto. Quegli occhi preoccupati seguivano ogni sua mossa, e
c’erano state
alcune volte in cui avrebbe voluto farglielo notare. Ma le domande che
sarebbero seguite dopo, quelle che lui era determinato ad evitare, lo
avevano
fatto restare in silenzio.
Jared
gli passò una birra fredda dal frigo, senza dire
nulla, e accese la TV. Avevano cenato in uno dei loro ristoranti
preferiti, uno
tranquillo, ed erano tornati a casa subito dopo, tacitamente
d’accordo nel
guardare la partita insieme.
Non
scambiarono molte parole durante il gioco. Sorseggiarono
solamente le loro birre, cercando di seguire l’incontro alla
TV. Jared fu il
primo a rompere il silenzio.
“Allora,
c’è qualcosa che ti devo dire...”
Iniziò,
strusciandosi nervosamente le mani sulle cosce.
“Okay,
che c’è?” Jensen si girò
verso di lui, guardando il
suo amico con attenzione.
“Sto
per chiedere… sto per chiedere a Genevieve di
sposarmi.” Jared sorrise nervosamente, il suo viso era un
misto di speranza e
preoccupazione e, per un momento, Jensen non poté pensare ad
una ragione per
cui avrebbe dovuto essere preoccupato, perché fosse nervoso
di parlargli di
questo.
Poi
le parole dell’altro arrivarono a segno.
“Wow,
questo… questo è fantastico, Jared.”
Rispose e
sorrise, a dispetto della morsa che gli aveva stretto le viscere e che
non
avrebbe saputo spiegare, e del malessere che gli riempì la
pancia. “E’
fantastico! Sono felice per te, amico.” Enfatizzò
la frase e il disagio svanì
chiaramente dal viso di Jared, sostituito da un sorriso raggiante.
“Uhm,
dato che ci siamo.” Jensen si sentì arrossire e si
trovò a riflettere per un momento se quello fosse il momento
giusto. Ma a quel
punto aveva già atteso per due settimane e sapeva che, in
primo luogo, non
avrebbe mai dovuto attendere per un momento adatto. Non con Jared.
“In
effetti ho comprato un anello anch’io. Lo sai… per
Dani.
Glielo chiederò presto. Quando mi sembrerà il
momento giusto, voglio dire. Lei
ha due giorni liberi il weekend dopo il prossimo, quindi pensavo che
potrei
volare giù e…”
Sapeva
di stare balbettando ma Jared rimase a fissarlo e
Jensen avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa; poi il suo amico
scoppiò
in un enorme sorriso. “Questo è fantastico! Jensen
perché non me lo hai detto?”
Jensen
si strinse nelle spalle, perché non aveva una
risposta da dargli.
Ma
il più giovane era già passato oltre.
“Wow. Io… non posso
credere che stiamo per sposarci, amico! Sposati!”
Jensen
rise e sentì il cuore saltargli in gola. “Non lo
abbiamo ancora chiesto, Jared. Non ci hanno ancora detto
sì.” Ricordò al suo
amico, ma l’altro era già saltato su dal divano,
diretto verso la cucina.
“Dovremmo
celebrare, amico! Penso che abbiamo ancora del
vino o un po’ di champagne o qualcosa.”
Il
cuore di Jensen non smise di battere furiosamente nel suo
petto, nemmeno quando Jared uscì dalla stanza.
“Hey,
vuoi…” il più giovane iniziò
ad urlare, perché era
convinto che Jensen fosse rimasto sul divano, ma lui, in tre soli
passi, stava
già percorrendo la distanza che li separava; con una mano
sul colletto della
maglietta tirò giù Jared e mise le labbra
sulle sue.
Jensen
aprì gli occhi per un attimo e si tirò un
po’
indietro, abbastanza da poter vedere il viso dell’altro.
Aveva gli occhi chiusi
e stava perfettamente immobile.
Era
magnifico. Angoli sottili e definiti e una pelle soffice
e tonica. I capelli gli ricadevano sul viso, le ciglia erano
morbidamente
appoggiate sulle guance. Jensen venne improvvisamente colpito dal fatto
di
essere così vicino a lui e che tutto sembrava nuovo e
differente, come se
qualcuno avesse acceso la luce e immediatamente lui avesse potuto
vedere, ma
molto più in profondità; così si rese
conto di cosa ci fosse sotto quel
bellissimo viso, della persona che c’era dietro.
Qualcosa
lo colpì nello stomaco, qualcosa di più della
semplice attrazione ed era un sentimento terrificante. Prima di avere
il tempo
di pensare, ridusse di nuovo la distanza tra loro, lentamente ora,
sentendo la
soffice curva delle labbra di Jared contro le proprie.
Questa
volta fu più simile ad un bacio rispetto a prima.
L’esitazione
che Jensen sentiva, si sciolse sotto il calore proveniente dalla pelle
dell’altro, nel punto in cui si stavano toccando e lui si
spinse oltre,
gentilmente, persuadendo le labbra di Jared ad aprirsi; il suo corpo
tremò
quando finalmente le loro lingue si incontrarono, con titubanza, ma
Dio, in
modo così bello.
Jared
lo spinse via un secondo dopo.
Jensen
inciampò all’indietro andando ad impattare contro
il
bancone della cucina.
Il
suo amico rimase a fissarlo con gli occhi dilatati, il
petto che si alzava ed abbassava ansimante, in stato di shock.
“Mi
dispiace.” Iniziarono entrambi all’unisono
fermandosi
subito dopo, i loro sguardi inchiodati uno nell’altro,
l’aria che si era fatta
tagliente intorno a loro.
“Jensen,
cosa…”
“Jared,
mi dispiace così tanto.” Lo interruppe, la voce
che
non sembrava nemmeno la sua. Il cuore gli batteva nel petto
così forte che
stava minacciando di rompergli le costole. “Non avrei dovuto
farlo, non so
perché…”
Jared
respirava pesantemente, con tutta la confusione del
mondo scritta sul viso. “Perché lo hai…
Jensen?” Chiese. Non sembrava che
avesse nemmeno registrato le parole dell’altro.
“Non
lo so.” Ripeté. Era esattamente nella stessa
situazione
di Jared: scioccato e senza parole, senza indizi di cosa fosse appena
accaduto.
“Ok,
questo è… uhm, wow.” Il più
giovane lasciò andare una
risata tremante. “Onestamente non so che cosa dire.”
I
suoi occhi si muovevano intorno alla stanza,
focalizzandosi su tutto e niente, ma decisi a non guardare Jensen;
quest’ultimo
non sapeva cosa dire.
“Voglio
dire, non possiamo… uhm, non posso… wow, io
non…”
“Jared
mi dispiace.” Jensen lo disse di nuovo perché era
l’unica cosa che sapeva per certo in quel momento.
“Dio, mi stavi appena
dicendo di te e Gen, ed io…”
Uno
sguardo scioccato si spostò su Jensen. “Cazzo,
Gen!”
Gemette Jared, come se avesse pensato a lei solo il quel momento, come
se
quella non fosse stata la principale ragione per cui aveva spinto via
Jensen.
“Lei non ha bisogno di saperlo, Jensen. Giusto? Loro non
hanno bisogno…”
L’altro
annuì silenziosamente.
“È
stato un evento casuale, giusto? Solo panico, forse? Il
matrimonio è un grosso passo, amico.” Jared rise,
facendo uno sforzo per
scrollarsi tutto di dosso e Jensen gliene fu grato, perché
continuava a sentire
la lingua pesante nella bocca e le sue labbra ancora non volevano
rispondergli.
“Sì,
certo.” Rispose rigidamente. Non era in grado di
pensare, non era in grado di processare nient’altro che non
fosse ‘ho baciato
Jared’ e si sentiva come se
stesse per impazzire. Come se, in ogni minuto, da lì in
avanti, avesse potuto
fare qualcosa di stupido. Qualcosa di ancora più stupido
dell’aver baciato il
suo migliore amico.
“Okay,
quindi uhm… siamo a posto?” Chiese Jared e Jensen
ebbe bisogno di alcuni secondi prima di decidersi finalmente ad annuire.
“Beh…”
Proseguì il più giovane “Penso che
dovrei… lo sai…
andare a letto. È già tardi e hum…
sì.”
Jensen
lo guardò andare via; qualcosa si ruppe dentro di
lui, l’unico pensiero che riecheggiava nella sua testa era: ‘domani
è sabato’.
****
Nel
momento in cui sentì la porta della camera di Jared
chiudersi, seppe che non poteva restare. Qualcosa prudeva sotto la sua
pelle,
rendendolo irritabile ed irriconoscibile perfino a se stesso.
E
quello che aveva appena fatto...
Jensen
non ci pensò molto, si infilò semplicemente nella
sua
stanza, tirò fuori il suo borsone dal fondo
dell’armadio, ci buttò dentro
qualche vestito e alcuni accessori da bagno e tornò in
cucina. Scrisse a Jared
una nota veloce – “Vado a trovare
Chris. Torno
domenica. J.” – e fu fuori
dalla casa prima che il battito del suo
cuore avesse la possibilità di calmarsi.
Le
gomme stridettero sull’asfalto quando se ne andò e
avrebbe dovuto sentirsi imbarazzato di quanto tutto quello fosse
diventato un
cliché, ma in quel momento non riusciva a pensare.
Aveva
fatto qualcosa di incredibilmente sbagliato e non solo
per Danneel o Genevieve, ma anche per loro, Jared e Jensen, da sempre
migliori
amici e tutta quella merda da ragazzine, che ora non poteva essere
più vera.
Aveva messo tutto a rischio. Tutto.
Quando
vide i primi segnali dell’aeroporto Jensen lasciò
andare un respiro che non si era reso conto di trattenere. Avrebbe
preso il
volo successivo per andare da Chris… o
all’Inferno, avrebbe continuato a
guidare fin laggiù; poi si sarebbe schiarito la testa,
l’avrebbe fatta tornare
dritta*. Jensen gemette e chiuse gli occhi per un attimo al cattivo
gioco di
parole.
Chris
avrebbe saputo cosa fare e cosa dire (o non dire) e
lui sarebbe stato meglio con un cambio di scenario per il weekend.
Jared
sarebbe stato grato per un paio di giorni di libertà da lui,
specialmente dopo
quello che aveva fatto.
Jensen
continuò a dirsi tutto questo mentre parcheggiava
l’auto in aeroporto. Sebbene sentisse un brivido di disagio
scendergli lungo la
schiena mentre guardava una di quei pesanti aerei prendere il volo e,
nonostante le fitte allo stomaco dovute a qualcosa a cui non riusciva a
dare un
nome si fossero fatte più forti, qualcosa che voleva che
tornasse indietro,
qualcosa che quasi gli fece male al pensiero di lasciare Jared,
nonostante
tutto, i passi di Jensen erano sicuri quando entrò
nell’edificio.
****
Jensen
guardò Chris sparire dietro l’angolo e subito
tornò a
dove era rimasto il venerdì. Il suo volo sarebbe partito
solo dopo un’ora, ma
Chris aveva un appuntamento importante e con lui andato, se ne era
andata anche
la fiducia che aveva costruito nelle ultime ore.
Chris
lo aveva aiutato. Uno sguardo a Jensen e l’amico era
stato determinato a fargli sputare il rospo.
Aveva
impiegato fino a quel giorno.
All’inizio,
Jensen non si era sentito di discuterne, non si
era sentito di preoccuparsene, di condividere e di parlare dei suoi
sentimenti
come una scolaretta. Ma quella mattina Chris non aveva accettato oltre
le sue cazzate
e gli aveva fatto sputare tutto.
Chiuse
gli occhi per un momento e continuò a sentire le
orecchie diventare rosse al ricordo di quando lo aveva detto ad alta
voce. ‘Ho baciato
Jared’.
Chris
aveva quasi sputato il suo caffè, ma lo aveva ascoltato
senza interromperlo e all’improvviso da lui era uscito tutto.
Tutto
degli incubi e delle insicurezze delle passate
settimane, degli sbalzi di umore e della troppa rabbia; tutto quello
era sfociato
in un bacio che Jensen non aveva visto arrivare. Ma ora che aveva
lasciato alla
sua mente la possibilità di pensarci per un po’,
forse non era poi così
sorprendente dopotutto.
Chris
lo aveva ascoltato silenziosamente e, quando Jensen
aveva finito e aveva tirato fuori dal petto molte più cose
di quelle che si era
reso conto di trattenere, l’altro gli aveva posto una sola
domanda.
“Lo
ami?”
All’inizio,
Jensen avrebbe voluto ridere, perché era ovvio
che lo amasse. Era Jared.
Ma
poi, lo sguardo serio di Chris gli aveva fatto capire che
non se la sarebbe cavata così facilmente.
Jensen
trasalì, tornando al presente, quando due bambini
corsero vicino a lui, ridendo rumorosamente mentre giocavano. Quando si
guardò
in giro, poté perfino vedere due ragazze che gli facevano
delle foto,
sghignazzando dietro i loro cellulari. Ma non gli vennero vicino per
chiedergli
degli autografi e Jensen gliene fu grato.
Aspettare
di salire su uno di quei pezzi di metallo
assemblati, che qualcuno presupponeva potessero tenerlo in aria, era
già
abbastanza difficile di suo.
Continuava
a non avere una risposta per la domanda di Chris.
Decisamente
voleva bene a Jared, come suo migliore amico, un
fratello, ma più di quello? Jensen non lo sapeva. Cose come
quella non erano
mai state in discussione prima, per lui; non aveva mai avuto
l’occasione di
considerare la possibilità di essere bisessuale e
decisamente si sentiva troppo
vecchio per considerarlo ora.
Le
parole di Chris gli risuonavano nelle orecchie. Non
avrebbe dovuto pensare a cose stupide (come il mettersi a succhiare
uccelli
tutto ad un tratto), avrebbe dovuto preoccuparsi di più del
fatto di come
potesse amare qualcuno che non fosse la donna che aveva
l’intenzione di
sposare.
Pensare
a Danneel lo riportò alla realtà. Si sentiva
terribilmente in colpa. Se solo avesse preso l’aereo per
vedere lei invece di
Chris, se glielo avesse detto lei probabilmente avrebbe riso e lo
avrebbe
definito carino. Entrambi lo avrebbero ridotto ad una tarda
sperimentazione e
lei lo avrebbe perdonato.
Ma
lui aveva preso l’aereo per andare da Chris. E questo
diceva a Jensen più di quanto fosse pronto ad ammettere in
quel momento.
Diede
un’occhiata al cellulare, il suo stomaco si contrasse
alla vista del display vuoto. Nessuna chiamata da parte di Jared.
L’amico
aveva cercato di rintracciarlo venerdì notte e quasi
tutto il sabato. Lo aveva chiamato e aveva mandato messaggi e cercato
di
chiamare di nuovo, ma Jensen si era rifiutato di rispondere ad ognuno
di essi.
Ora sembrava che l’altro avesse rinunciato a lui.
Scorse
i messaggi di Jared, anche se li conosceva a memoria,
sentendosi come una ragazzina mentre lo faceva.
‘Hey,
mi dispiace,
ho esagerato, per favore chiamami.’
‘Jensen,
per
favore chiamami, d’accordo? Ho davvero reagito in modo
esagerato e mi dispiace
per questo.”
‘Andiamo
amico,
per favore non evitarmi, okay? È stupido, siamo amici
giusto? Le cose
succedono, possiamo parlare di tutto, okay?’
‘Jensen,
per
favore, cosa c’è che non va? Ci deve essere di
più di un singolo bacio. Parla
con me amico.’
Poi
c’era quello che Jensen aveva ricevuto quella mattina
presto, molto dopo la mezzanotte.
‘Jensen,
se questo
non è stato solo un evento casuale, possiamo parlarne
ancora? Okay? Troveremo
un modo di superarlo. Non posso perderti.’
Rimase
a fissare i messaggi, leggendoli tutti di nuovo, poi
chiuse il cellulare.
L’annuncio
del suo volo pose fine alle sue riflessioni.
Afferrò la borsa, ma mentre si dirigeva al gate,
esitò. Sentì il forte impulso di
voltarsi indietro, di non salire su quel fottuto aeroplano. Di andare a
noleggiare una macchina e guidare per tutta la strada fino a Vancouver.
Ma
Jensen alzò gli occhi al cielo a quel pensiero e
ricominciò a camminare. Se il suo cuore cominciò
a battere più forte e le sue
mani iniziarono a sudare, lui lo imputò alla paura di
trovarsi presto faccia a
faccia con Jared.
Anche
se sapeva che non era interamente vero.
****
Per
tutta la strada dall’aeroporto, Jensen sperò
silenziosamente che a casa sarebbe stato solo, almeno per qualche ora,
così
avrebbe potuto pensare a cosa dire a Jared. Ma appena si
fermò di fronte alla
loro casa, capì che non sarebbe stato così
fortunato.
Il
SUV di Jared era parcheggiato lì di fronte e, quando
entrò,
vide le scarpe del suo amico e sentì dei rumori provenire
dalla sala da pranzo.
Jensen
si prese il suo tempo, in corridoio e poi nella sua
stanza. Mise lentamente via tutto, dando all’altro il tempo
di fare la prima
mossa e rompere il ghiaccio. Ma anche se svuotò la borsa e
mise tutto a posto,
si lavò la faccia e prese una bottiglia dal frigorifero in
cucina, Jared rimase
lontano.
Jensen
emise un gemito profondo. Solo poche settimane prima
tutto era a posto, ed ora era affondato fino alle ginocchia in quel
casino e
non sapeva come ci fosse finito, né tantomeno come ne
sarebbe uscito.
“Allora?
Vuoi che me ne vada?”
La
domanda pacata di Jared lo spaventò facendolo voltare di
scatto, e quando vide il suo amico appoggiato allo stipite della porta,
che
giocava con la penna che aveva in mano, gli ricordò molto
Sam. Meditabondo e
sulla difensiva.
“Cosa?
Questa è la tua casa, amico! Io me ne dovrei
andare!”
Fu la prima reazione di un Jensen preso dal panico. Poi quelle parole
fecero
davvero presa su di lui e si sentì come se avesse preso un
calcio nello
stomaco. “Intendi dire… davvero?”
sussurrò, incapace di guardare l’altro negli
occhi.
“No!
Dannazione!” Urlò Jared, buttando in aria le
braccia.
“Ma non so cosa ci sia che non vada, amico, e non posso
aiutarti se non parli
con me!”
Jensen
deglutì, si sentiva a disagio, la sensazione di aver
sbagliato, che era un po’ diminuita mentre era da Chris,
stava tornando con
pieno vigore. “Non c’è nulla di cui
parlare.” Disse e non poté credere alle sue
stesse orecchie. “Non so perché pensi che io
voglia che tu te ne vada.”
Jared
rimase a fissarlo per alcuni secondi incredulo e, per
un momento, Jensen pensò che fosse tutto, che stessero per
lasciar perdere la
questione e che potessero andare avanti, tornare alle loro vite e far
finta che
quanto accaduto negli ultimi giorni non fosse mai successo.
Jared
non glielo lasciò fare.
“Mi
hai baciato e poi sei scappato. Amico, sei sparito dal
fottuto paese per tre giorni.” Jared gettò le mani
in aria, proprio come faceva
quando era sconvolto e arrabbiato. “Cosa diavolo avrei dovuto
pensare?”
Jensen
rimase immobile. Era combattuto tra il rimanere in
silenzio e il dire a Jared tutto quello che sapeva: quanto confuso
fosse,
quanto fuori equilibrio si sentisse quando si svegliava ogni mattina;
come il
suo cuore battesse più veloce ogni volta che lo vedeva, ma
come, in qualche
modo, non la sentisse come una stupida infatuazione.
Voleva
dirgli quanto fosse spaventato. Che stava mandando
tutto a puttane: la loro amicizia, Danneel, il suo lavoro. Aveva una
vita
perfetta ed ora si sentiva come se stesse lottando per cercare di
rimanere a
galla.
Voleva
dire tutto a Jared ma, allo stesso tempo, sentiva che
si stava chiudendo in se stesso. Si sentiva come se qualcun
altro si stesse assestando su di lui, dentro
di lui, riempiendolo.
“Non
parleremo di questo.” Disse bruscamente e si girò
per
non tradire le sue parole con quello che l’altro avrebbe
potuto leggere nei
suoi occhi.
“Non
ne parleremo?” Chiese Jared con rabbia, alzando il tono
di voce ad ogni parola. “News flash, Jensen: non sei Dean,
okay?”
L’altro
serrò la mascella e rimase in silenzio.
Ma
Jared continuò ad andare avanti. “Amico, le ultime
settimane?
Mi hai spaventato a morte. E non sto parlando solo del bacio. Questo
non sei
tu! Ti prego, se hai bisogno di aiuto, qualsiasi cosa sia,
chiedilo.”
“Ho
detto che sto bene.” Abbaiò Jensen, girandosi ed
andandosene, ma Jared lo prese per un braccio, facendolo fermare.
“Jensen!”
Quando
l’altro si voltò per guardare il suo amico, non
riuscì a sopportare di vedere Jared guardarlo come un
cucciolo smarrito; usava
i suoi occhi e probabilmente non si rendeva nemmeno conto di farlo, ma
lo colpì
a prescindere.
“Senti,
io…” Iniziò, sentendo la rabbia e le
sue difese
scivolare via. “Forse è perché la cosa
con Danneel si sta facendo seria,
d’accordo? Forse è quello. Non lo so. Ma
non… non facciamola diventare più
grande di quanto non sia, ti prego.”
Jensen
si sentì uno stronzo per averlo detto; poté
vedere
sul viso dell’altro come quelle parole lo avessero ferito,
anche se cercava di
non mostrarlo. Jared era solo preoccupato per lui e lui continuava a
comportarsi come un coglione.
Ma
non sapeva come dirlo in modo giusto, perché continuava a
non sapere cosa stava provando. Era come se dentro di lui mancasse
qualcosa, un
vuoto che aveva dolorosamente bisogno di essere riempito, ma qualunque
cosa
fosse quello che gli mancava, stava lentamente tornando indietro e lo
faceva
sentire estraneo e differente dal suo solito se stesso.
Come
se non fosse una parte di lui o non lo fosse stata per
lungo tempo.
“Jared,
mi dispiace. So che ho incasinato tutto. Lo so.”
Disse quando intercettò lo sguardo del suo amico.
“Ma non pensi che sarebbe
meglio se solo noi andassimo oltre e lasciassimo perdere questa
cosa?” Sapeva
che stava supplicando, implorando, ma poteva già vedere la
determinazione di
Jared a farlo parlare che si indeboliva, e questo era tutto
ciò di cui aveva
bisogno in quel momento.
“Ma
sei sicuro che… siamo a posto?” Chiese il
più giovane
dopo un po’, la sua voce era pacata adesso, esitante.
“Sei sicuro che non c’è
nulla di cui dobbiamo discutere qui?” Sembrava nervoso,
arrossì perfino e
Jensen fu in qualche modo grato di non essere l’unico a
sentirsi completamente
fuori di sé.
“Ne
sono sicuro.” Rispose, la sua voce solo un po’
roca, le
sue parole solo una mezza bugia.
****
“Amico?
Hey.”
Jensen
gemette quando sentì le parole bussare contro la sua
coscienza. Era più addormentato che sveglio quando qualcuno
toccò la sua
spalla, spingendolo.
Reagì
d’istinto: la sua mano sparì sotto il cuscino, si
chiuse intorno a qualcosa e tirò.
“Sei
tu.” Si lamentò poi, sbattendo le palpebre in
direzione
di Jared e sentendo il suo intero corpo rilassarsi. Era ancora stanco,
i suoi
occhi erano ancora mezzi chiusi e fu per questo che non si accorse
dello
sguardo di panico sul viso dell’altro.
“Jensen?”
Disse Jared accanto a lui e il suo tono, senza
fiato e scioccato, lo svegliò all’istante.
“Che
succede?” Chiese, tirandosi a sedere, studiando la
faccia dell’amico.
Il
più giovane indicò silenziosamente qualcosa nella
mano
destra di Jensen e lui seguì la direzione.
Si
gelò.
C’era
un coltello nella sua mano destra, un coltello da
pane, quello che di solito stava in uno dei cassetti del mobile della
cucina.
Quello che la sua mano destra aveva appena tirato fuori da sotto il
cuscino.
“Jensen?”
Chiese Jared, la sua voce dieci volte più alta.
“Perché hai un coltello?”
“Non
lo so.” Rantolò e lo lasciò cadere
immediatamente, come
se gli stesse bruciando la mano. “Non lo so.”
Ripeté, i suoi occhi saettavano
tra Jared e il coltello.
Non
era del tutto vero. Ricordava un sogno, qualcosa su Dean
che si svegliava per degli strani rumori. Nel sogno cercava il pugnale
sotto il
cuscino, qualcosa che teneva sempre lì, e poi andava al
piano di sotto per
scoprire cosa fosse stato ad aver disturbato il suo sonno.
Jensen
non ricordava di più, ma aveva la sensazione che il
sogno fosse in qualche modo connesso con questo.
“Forse
io… forse ho avuto un episodio di sonnambulismo?”
La
buttò lì, ma Jared continuò a fissarlo
come se gli fosse cresciuta una terza
testa.
“Gesù,
Jensen.” Il suo amico soffiò fuori.
“Questo fa
dannatamente paura.”
Jensen
sbuffò. “Non dirlo a me.”
“Avresti
potuto ferirti, amico.” Disse Jared e subito
sembrò
incazzato, come se fosse colpa di Jensen.
“Non
l’ho fatto di proposito!” Sibilò
l’altro ed ora era
spaventato quanto lo era Jared, perché il più
giovane aveva ragione: avrebbe
potuto farsi male. O peggio, avrebbe potuto inciampare sui cani e
ferirli,
avrebbe potuto andare nella stanza di Jared…
“Jensen
cosa c’è che non va in te?” Chiese
l’amico e questa
volta sembrava addolorato e disperato.
Jensen
non aveva una risposta.
*La
parola in inglese è straight,
che viene usata
anche per definire l’orientamento sessuale etero, da qui il
gioco di parole a
cui si riferisce nella frase successiva.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo III ***
Capitolo III
Jensen
lanciò uno sguardo a Jared notando il suo viso
arrossato, gli occhi lucidi e il sorriso sciocco, e non poté
far altro che
concordare con la proposta di Misha.
“Amico,
ha ragione.” Disse a Jared, due volte, perché ebbe
bisogno di toccare la sua mano per fare in modo che l’altro
spostasse la sua
attenzione su di lui. “Dovremmo davvero cominciare ad
andare.”
A
Jared mancava pochissimo dall’apparire pienamente
imbronciato come un bambino. “E’ ancora
presto!” Aveva intenzione di dirlo piano,
ma gli uscì come un grido. Jensen rabbrividì
quando udì gli altri ospiti del
ristorante diventare silenziosi, mentre Misha iniziava di nuovo a
ridacchiare.
“Ragazzi,
ora, dobbiamo decisamente continuare a stare qui
seduti. Verremo comunque buttati fuori tra poco, nei prossimi
minuti.” Misha sghignazzò,
come se quello fosse esattamente quello che sperava accadesse e Jensen
fu alquanto
felice di aver preso la decisione di essere quello ‘solo-leggermente-brillo’
del loro piccolo gruppo.
“Okay,
è
sufficiente.” Disse, alzandosi dalla sedia.
“Andiamo.”
Non
era la prima volta che facevano qualcosa di simile.
Tutte le volte che ne avevano il tempo, si incontravano in qualche
nuovo
ristorante in città che non avevano ancora provato, ma
finiva sempre con loro
che si bevevano la cantina di vini del posto. Prima o poi, Jensen aveva
paura
che sarebbero finiti su qualche blog: tre attori ubriachi fradici,
buttati
fuori per aver rovinato gli interni di qualche grazioso ristorante,
mentre
sorridono alla telecamera come gli sciocchi che sono.
Jensen
la ritenne una vittoria, quando riuscì effettivamente
a far camminare gli altri due ragazzi senza ulteriori lamentele.
Divisero un
taxi e, dopo un tempo che non fu breve, Misha fu al sicuro a casa sua,
preso in
consegna da una moglie divertita e lui, si trovava a spingere Jared
verso casa
loro.
L’umore,
tuttavia, era cambiato negli ultimi minuti.
Jared
era passato dal sorridere al non fare altro che
fissare apertamente l’altro con un profondo cipiglio sul viso.
Jensen
lo odiava. Lo faceva sentire a disagio, come se si
sentisse troppo vulnerabile sotto lo sguardo del più
giovane; aveva paura di
essere probabilmente il primo responsabile per aver messo lì
quell’espressione.
“Perché
lo hai fatto?” Sputò alla fine Jared e Jensen
quasi
non lo sentì, troppo occupato a chiudere la porta e a
mettere via le sua scarpe
e la sua giacca, mentre l’amico era rimasto in piedi,
oscillando, nel
corridoio.
“Cosa?”
Jensen lo guardò e trovò uno sguardo perso sulla
sua
faccia.
“Perché
mi hai baciato, Jensen?”
Jensen sentì il
calore salire lungo il collo e abbassò lo sguardo, colpevole.
Ma
Jared continuò, facendo qualche passo verso di lui, fino
a che non sentì il soffio del suo respiro contro il viso.
“Perché
mi ha baciato e hai incasinato tutto?” La voce del
più
giovane si spezzò alla fine della frase e Jensen
indietreggiò. Non poteva
credere al danno che aveva fatto con una sola azione sconsiderata.
“Mi hai
baciato e hai reso tutto compl… complicato e… e
strano e così, così
incasinato.”
“Jared,
mi…” iniziò a rispondergli, ma
l’altro lo fermò
mettendogli una mano sul viso.
“E
non riesco a smettere di pensarci, lo sai?”
Sussurrò il
suo amico, facendogli alzare lo sguardo. Sentì lo stesso
sfarfallio nello
stomaco che sentiva tutte le volte che i loro occhi si incontravano,
solo un
migliaio di volte più forte, più dolce.
“E
non dovrei pensarci. Dio, non dovrei pensare a te così,
no. Mai! No no no. Questo è così sbagliato, non
dovrei pensare a te in quel
modo. Dio, tu non ne hai idea, quanto non dovrei pensare a
te.”
Jensen
spezzò il contatto tra i loro sguardi, pensò a
Genevieve, a Danneel. Aveva fatto questo a tutti loro, tirandoli dentro
nei
suoi stessi casini. Ma, allo stesso tempo, aveva capito quello che
Jared stava
davvero dicendo tra le righe. E questo lo terrorizzava.
“Jared.”
Sussurrò, la sua gola era bloccata. La mano sulla
sua guancia bruciava e non era sicuro di quello che voleva, se voleva
spingere
via Jared o… o qualcos’altro. Non aveva ancora il
coraggio di pensare a questo,
di affrontare quello che sentiva, nemmeno nel weekend che aveva passato
con
Chris. E non poteva farlo ora.
Fece
un passo indietro, prese un profondo respiro e mise un
po’ di distanza tra di loro. “Mi dispiace,
amico.” Disse, la sua voce sembrò
particolarmente forte alle sue stesse orecchie. “È
stato un errore e non
significa nulla. Sono davvero, davvero dispiaciuto per questo,
Jared.”
L’altro
rimase a guardarlo con un’espressione illeggibile
sul volto, poi finalmente annuì e fece alcuni passi incerti,
passando oltre
Jensen.
“Starai
bene?” Chiese, troppo spaventato per voltarsi e
guardare il suo amico incespicare sui suoi passi. Non era quello di cui
stava
chiedendo in ogni modo.
“Penso
di sì.” Arrivò la risposta rauca.
Jensen chiuse gli
occhi e sperò che Jared, al mattino, avrebbe dimenticato la
loro conversazione.
****
Quando
Jensen si svegliò, non era ancora mattino. Il suo
orologio gli disse che erano appena passate le quattro, gemette quando
si
rigirò e sentì tutti i suoi muscoli fargli male.
Anche la testa gli faceva un
po’ male, ma nulla in confronto all’indolenzimento
di gambe, braccia e torso.
Si sentiva come se il suo intero corpo fosse rimasto in tensione per le
ultime
ore, come se avesse sofferto di crampi e spasmi.
Frammenti
del suo sogno gli passarono davanti agli occhi e
con essi il ricordo del dolore, di essere spintonato, preso a calci e
colpito.
Ricordava ogni colpo come se li avesse ricevuti davvero, non come se
fosse una
delle lotte coreografate che stavano davvero filmando sul set.
Ora
Jensen si sentiva come se fosse reale, poteva sentire il
dolore alle costole ogni volta che respirava. Stava diminuendo. Era un
eco del
sogno e si stava già dissolvendo, ma questo non modificava
come si sentiva
dentro, non fermava la paura di strisciare di nuovo in Dean e farsi
colpire dal
suo senso di colpa.
Era
rimasto nella testa di Dean per troppo tempo, si sentiva
come se non fosse più in grado di scrollarselo completamente
di dosso come era
solito fare, scivolando dentro e fuori da lui come si fa con una giacca
indossata per lungo tempo.
Ora,
pezzi del personaggio rimanevano con lui anche dopo
aver girato, e per quanto Jensen tirasse e piegasse, Dean non andava
via. Non
completamente.
Sentì
dei rumori provenire dal piano superiore, sentì che
veniva accesa la luce, poi l’inconfondibile suono di passi in
movimento.
Jared.
Jensen
chiuse gli occhi nel buio e un tipo differente di
paura e senso di colpa lo assalirono.
Non
c’era ritorno dall’errore che aveva commesso, non
una
via semplice per uscire dal casino che aveva creato.
Desiderò di potersi rimangiare
tutto, di poter in qualche modo cancellare quel bacio.
Gemette
e fermò di buon grado quei pensieri. Ci si aveva
pensato. Ci aveva pensato spesso e continuare a farlo più e
più volte non lo
aveva aiutato. Non aveva cambiato nulla.
Sentì
lo scarico del gabinetto, lo scorrere dell’acqua e la
luce che veniva spenta.
Solo
nella più totale oscurità, quando
sentì che la casa si
era di nuovo addormentata, si permise di ricordare quel bacio. Concesse
a se
stesso di soffermarsi qualche secondo su come si era sentito. Ammise a
se
stesso che la parte di lui che non se ne pentiva, era molto, molto
più grande
rispetto al resto.
****
Jensen
sentì il click all’altro capo della linea e seppe
di
essere fottuto.
Danneel
aveva capito, aveva accettato le sue ragioni – il
lavoro era pesante, aveva bisogno di dormire un po’, nessuna
distrazione, solo
un paio di episodi alla fine, poi sarebbe stato libero e avrebbero
avuto tutto
il tempo del mondo – ma era rimasta delusa. Jensen la
conosceva da troppo tempo
per non sentirlo nella sua voce.
Non
poteva vedere l’anello che teneva nascosto nel cassetto
superiore, a pochi passi da lui, ma non ne aveva bisogno. Si sentiva
come se
fosse incandescente lì dentro, come se bruciasse e potesse
quasi sentirne il
fuoco sulla pelle.
“Jensen?”
Un sussurro provenne da vicino e quando Jensen
guardò su, poté vedere Jared in piedi appena
fuori dalla sua stanza.
“Stavo…”
Il suo amico arrossì, armeggiando con la porta.
“Non ho potuto fare a meno di sentire, mi
dispiace.” Sussurrò.
Jensen
annuì vagamente, aspettando il resto, perché
sembrava
che Jared avesse altro da dire.
“Hai
cancellato il weekend con Danneel?” Gli chiese
l’amico
e a lui sembrò nervoso.
“Si.”
“Perché?
Voglio dire, tu non hai altri piani e non era… non
volevi farle la proposta, questo weekend?”
Lo
voleva. Jensen sentì qualcosa aggrovigliarsi nel suo
stomaco quando ci pensò. Aveva detto a Jared di quel
weekend, aveva menzionato
l’anello e i suoi piani non più di due settimane
prima, ma ora si sentiva come
se quei giorni fossero stati una vita fa.
“Ti
stai… ti stai chiamando fuori?” La voce di Jared
incespicò.
“Cosa?
No, io… no. Solo…” Jensen si
guardò le mani,
continuava a tenere il cellulare. “No, sto solo…
aspettando il momento giusto.
Questo non lo sembrava.”
Jared
annuì silenziosamente, ma non sembrava aver compreso.
I suoi occhi erano dilatati, nervosi e, quando Jensen li
incrociò, sentì come
se stessero avendo un’altra conversazione.
“La
stai lasciando?
Per me?”
“Non
lo so.”
Jensen
deglutì e si alzò, pronto a passare di fianco a
Jared
per andare in cucina o in soggiorno, dovunque, ma non lì. Si
fermò sulla porta.
“Lo hai già chiesto a Genevieve?”
Chiese, e la sua voce suonò perfino quasi
disinvolta.
“Sto
aspettando il momento giusto.” Rispose l’altro.
Lui
non sembrò per niente disinvolto. Jensen seppe che Jared
era spaventato almeno quanto lo era lui: che potevano iniziare ad avere
le loro
conversazioni silenziose ad alta voce.
****
“Hey,
adesso
basta.” Urlò Dean, spinse sul costato di suo
fratello facendolo inciampare
all’indietro di alcuni passi.
“Levati
dalla mia
strada.” Disse Sam, cercando di mantenere il controllo.
“No.”
“Levati dalla mia
strada, Dean.” Ripeté Sam,
perdendolo lentamente.
“C’è
solo un modo
di vincere e non è uccidendo quella cosa.”
Crowley
si
avvicinò a loro, spostando lo sguardo da Sam a Dean.
“Bene, sembra che tu lo
abbia reso bello e incazzato.”
Stavano
facendo quella ripresa per la terza volta ora.
Robert, il regista, non era esattamente felice per lo sviluppo della
scena e
Jensen la stava odiando; non sapeva cosa fosse ad irritarlo
così tanto, ma non
poteva più sopportarlo, lo sentiva strisciare sulla pelle
come un prurito.
Questa
volta scattò.
“Chiudi
quella cazzo di bocca, figlio di puttana.” Urlò,
senza vedere la faccia sconvolta di Mark, ma quella di Crowley, il
demone, che
si prendeva gioco di lui e di suo fratello, tirando le loro catene.
La
cinepresa continuò a riprendere, all’inizio la
crew lo
seguì, lasciandogli fare le sue cose.
“Dì
un’altra cosa su mio fratello e puoi dire addio al tuo
culo, mi hai sentito?”
Ridusse
la distanza tra loro, incombendo sull’uomo più
piccolo.
“Taglia!”
Urlò Robert, ma Jensen non se ne rese nemmeno
conto.
Emanava
ondate di calore, raggomitolato tra rabbia e senso
di colpa, e molto più di quanto potesse anche solo
cominciare a comprendere.
“Jensen.”
Disse Jared vicino a lui, tenendo il tono di voce
basso, come se stesse parlando ad un animale selvatico.
“Sta
zitto, Sam! Lui può sopportarlo.” Rispose Jensen e
non
riconobbe più nemmeno la sua stessa voce, le parole
lasciarono la sua bocca
senza che le riconoscesse come proprie.
“Jensen,
andiamo amico, torna qui.” La voce dell’altro
rimase la stessa, abituato a questo, abituato a trascinare
occasionalmente
l’amico fuori dal suo personaggio.
Mark
rimase a fissarlo con cautela, senza muoversi; qualcosa
di simile alla soddisfazione passò attraverso Jensen quando
vide la paura negli
occhi dell’altro uomo.
“Jensen.”
Jared si fece più vicino, gli toccò il braccio.
“Te
l’ho detto, Sam, lasciami fare questa cosa.”
Grugnì come
unica risposta. Poi però si tirò indietro,
voltandosi.
“Torna
indietro, amico!” Gli disse Jared ed era vicinissimo
ora, lo tratteneva per il braccio.
“Sam,
lasciami andare.” Cercava di sembrare ragionevole,
usando il suo tono da fratello maggiore. Ma non sembrava funzionare
– rendeva
solo il più giovane sempre più arrabbiato,
più spaventato.
“Smettila
di chiamarmi Sam, Ok? Jensen, mi stai spaventando
a morte!”
Qualcosa
scattò di nuovo dentro la testa di Jensen. Era
mortalmente silenzioso intorno a lui e poteva praticamente sentire gli
occhi di
tutti quelli presenti in quella stanza fissi su di lui. Jared
continuava a
tenerlo, stringendogli il braccio come se avesse paura di lasciarlo
andare, e
quando Jensen spostò lo sguardo su Mark, lo vide pallido
come un lenzuolo.
Non
era il solo.
La
gente lo guardava a bocca aperta e alcune delle ragazze
si coprivano il volto con le mani. Robert sembrava confuso, i suoi
occhi
saettavano tra lui e Jared, come se aspettasse che
quest’ultimo facesse
qualcosa.
“Jensen?”
L’amico lo chiese come se volesse assicurarsi che
fosse lui e Jensen si sentì in colpa per aver provocato
quello sguardo
spaventato sul viso dell’altro. Sapeva che Jared odiava
quando continuava a
chiamarlo Sam; era una delle poche cose per cui avevano effettivamente
litigato
in passato.
Jensen
annuì a scatti, inghiottendo il groppo che aveva in
gola. Si sentiva esausto ed erano solo le due del pomeriggio, non
avevano
nemmeno fatto molte riprese quel giorno.
“Lo
porto a casa.” Annunciò Jared, senza chiedere il
permesso - come se avesse letto nell’espressione di Jensen -
e nessuno lo
interruppe. Si tolsero solamente dalla loro strada quando il
più giovane lo
guidò gentilmente fuori dal set.
“Mi
dispiace.” Jared lo disse a Mark mentre se ne andavano,
scusandosi per Jensen. E lui avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo per
questo,
ma era troppo occupato a sentirsi come se stesse cercando di strisciare
fuori
dalla sua testa.
“Non
ti preoccupare.” Rispose Mark, annuendo ad entrambi.
“Solo, portalo a casa, ok?”
Non
vennero disturbati da nessuno per il tempo che servì
loro per raggiungere la macchina. Solo Robert scambiò uno
sguardo con Jared,
silenziosamente d’accordo con lui, anche se Jensen
dubitò del fatto che
qualcuno avrebbe potuto fermarli.
Non
si scambiarono parole sulla via di casa e, oltre alle
occhiate preoccupate di Jared, c’era qualcos’altro
che Jensen sentiva.
Qualsiasi
cosa stesse succedendo dentro di lui, a lui,
non era finita.
N.d.T.
Eccoci,
la situazione precipita velocemente, Jensen sembra
sul punto di avere un crollo psicotico, sempre più confuso e
forse in fuga
dalla realtà in cui ha baciato Jared, sembra che stia inconsciamente lasciando al mondo di
Supernatural e a Dean
di prendere il sopravvento su di lui.
Povero
Jensen, menomale che nonostante tutto il suo amico
continua a stargli vicino.
Vi
aspetto al prossimo capitolo che sarà il fulcro che
darà
la svolta a questa storia ;)
Grazie
a chi sta leggendo questa storia e ha voluto lasciare
un commento, sono felice che stia piacendo tanto quanto è
piaciuta a me la
prima volta che l’ho letta.
Ciao
a tutti ;)
|
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Capitolo 4 *** Capitolo IV - the shift ***
N.d.T.
Metto
delle note qui per spiegare il senso di questo
capitolo. È molto corto e come traduttrice mi sono posta il
problema se
unificarlo o meno con quello precedente o a quello successivo, e sono
arrivata
alla conclusione che deve rimanere un capitolo singolo (come ha deciso
l'autrice daltronde), perché qui succede la
svolta che darà un senso a tutta la storia e ai capitoli che
seguiranno.
La
composizione grafica del capitolo, tra la prima parte e la
seconda, sottolinea ancora di più questa transizione.
Passiamo infatti dal POV di
Jensen che è stato prevalente per i primi tre capitoli, a
quello di Jared
che ci accompagnerà da qui in avanti.
Dato che però non sono così cattiva e che il
quinto capitolo è già stato tradotto,
vi avviso che lo pubblicherò nel fine settimana in modo da
far passare meno
tempo tra questo (che è quasi un’intramuscolare) e
il capitolo ben più succoso
che seguirà.
Portate
pazienza, dovrete aspettare pochissimo ;)
Buona
lettura!
Capitolo IV- the
shift
Lo
squillo del cellulare fece spaventare Jensen così tanto
che diede un calcio al tavolino di fronte a sé, causando la
caduta di un
vecchio vaso che andò in frantumi. I cani piagnucolarono
dall’angolo in cui
erano rannicchiati, guardandolo con sospetto, ma senza avvicinarsi.
Sapeva
che erano spaventati, sapeva che potevano percepire
che era… sbagliato.
Il
cellulare squillò di nuovo e finalmente Jensen lo
afferrò, rispondendo senza nemmeno controllare il numero di
chi lo stesse chiamando.
“Hey,
vuoi che porti a casa da mangiare? Stavo pensando a
del cinese.” Disse Jared senza preamboli. Non usavano
presentazioni fin dalla
seconda stagione.
“Io…”
“O
thailandese... andrebbe bene anche quello. Qualsiasi
cosa. Sono solo maledettamente affamato. Ho dovuto lavorare tutto il
dannato
giorno, mentre qualche altro attore (di cui non farò il
nome) ha il suo culo
sul divano e ha iniziato il weekend in anticipo.”
“Uhm,
io non…” Jensen non poté impedire
all’incertezza di
trasparire dalla sua voce. Jared se ne accorse immediatamente.
“Jensen,
cosa c’è che non va?”
L’altro
deglutì pesantemente, sforzandosi di respirare.
“Niente, io non… non mi sento molto bene,
amico.”
Jared
sussultò all’altro capo della linea.
“Gesù, sembri
messo male. È qualcosa… hai bisogno di chiamare
il 911?”
C’era
una lieve traccia di panico nella sua voce e Jensen si
sentì malissimo per questo, per averlo messo in quella
situazione. I suoi
pensieri stavano correndo come se stessero per afferrare qualcosa, ma
ogni
volta che chiudeva gli occhi e cercava di focalizzarla, ne
usciva… a mani
vuote.
Solo,
con questa sensazione inafferrabile, quella maledetta…
sensazione sconosciuta, sempre più grande, che gli toglieva
l’aria dai polmoni
e rendeva le sue ginocchia più deboli.
C’era
qualcosa di sbagliato in lui. Qualcosa di peggio che
non gli incubi e i mal di testa. Aveva la sensazione che la sua mente
stesse
avendo un attacco di rabbia contro di lui, combattendo il suo stesso
corpo.
“Jensen?
Jensen!” Senti gridare Jared, quasi un urlo, e si
rese conto che doveva essersi perso nella sua testa.
“Sono
qui.” Gracchiò e si sentì pronto per
scoppiare in
lacrime. Lo spaventava. Lo spaventava così tanto non sapere
cosa ci fosse che
non andava in lui. “Sono ancora qui.”
“Ok,
amico, prenderò la scorciatoia, ok? Sono ad un minuto
da lì, sto arrivando, d’accordo?” Disse
Jared velocemente, le sue parole
cadevano le une sulle altre. “Sarò lì
il più presto possibile, Jensen, mi
senti? Solo resta dove sei, ok? Jensen, non ti muovere!”
****
Jared
chiuse la
comunicazione e fermò la macchina di fronte alla sua casa.
Una
volta dentro,
lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle con un
tonfo e la prima cosa
che notò fu il silenzio che aleggiava nell’aria,
come una spessa coperta che
copriva i muri, i mobili e il pavimento, riecheggiando nelle sue
orecchie. La
casa era buia ad eccezione della luce dell’ingresso che aveva
appena acceso,
nessun segno della presenza di qualcuno, anche se sapeva che Jensen non
poteva
essere troppo lontano.
Sentì
i peli su braccia
e collo rizzarsi – l’istinto forse, o la paura che
lo stava prendendo a calci.
Se
prima aveva sentito
l’urgenza e il desiderio di raggiungere Jensen il
più in fretta possibile, ora
era esitante e cauto.
Fece
alcuni timidi
passi in avanti, abbastanza per raggiungere la porta del soggiorno, da
dove avrebbe
potuto scrutare all’interno, una volta che i suoi occhi si
fossero adattati
alla fioca luce che si diffondeva oltre l’ingresso della
stanza.
Harley
e Sadie furono
immediatamente al suo fianco, correndo fuori dall’ombra, le
unghie delle loro
zampe picchiettarono sul pavimento di legno duro.
Il
cuore di Jared si
fece più veloce.
I
suoi cani erano
silenziosi, le loro code rimanevano basse, dei piagnucolii scappavano
dalle
loro gole.
Raramente
Jared aveva
visto i suoi piccoli così confusi e spaventati, la loro
paura non faceva che
fomentare la sua.
Accarezzò
distrattamente la testa di Sadie, emettendo dei piccoli suoni per
calmarli. I
suoi occhi cercavano di guardare nel buio. Trovarono una figura seduta
sul
divano, la siluette di Jensen era quasi invisibile da dove si trovava
Jared, ma
era abbastanza famigliare da essere notata.
Fece
ancora qualche
passo e fu avvolto dall’oscurità della stanza. I
suoi cani divennero sempre più
nervosi dietro di lui. Li udì uggiolare, rannicchiati
insieme nella sicurezza
della luce del corridoio.
Il
sangue gli risalì
alle orecchie; i suoi occhi non lasciarono mai l’uomo di
fronte a sé. Lo stava
guardando ora, i loro sguardi erano inchiodati uno all’altro.
Jared
non riusciva a
respirare.
Oh, Dio.
Oh, Dio.
“Dean?” Il
nome cadde fuori dalle sue
labbra pesante e sconosciuto. L’aveva detto innumerevoli
volte negli ultimi
anni: infastidito, con scherno, arrabbiato, disperato, ma mai, nemmeno
una
volta, gli aveva fatto così male. Aveva suscitato qualcosa
dentro di lui in
modo così potente che le sue mani avevano preso a tremare.
“Dimmelo
tu.” Rispose
l’altro uomo, la sua voce appena quel poco più
bassa, quel poco più ruvida. E Jared
seppe con chi stava parlando.
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Capitolo 5 *** Capitolo V ***
Capitolo V
Jared
si sentiva come se stesse per svenire. Il calore
strisciava nella parte posteriore del suo collo, puntini ballavano di
fronte ai
suoi occhi e l’unica ragione per cui non stava cadendo a
terra, era perché non
poteva distogliere gli occhi dall’uomo che aveva di fronte.
Non osava muoversi,
nemmeno battere le palpebre, troppo spaventato che tutto quello non
fosse
reale, che fosse solo un sogno e che non lo avrebbe mai più
rivisto.
“Cosa
diavolo hai fatto, Sam?” Chiese Jensen, e il nome che
uscì dalla sua bocca suonò giusto questa volta;
un sottile cambiamento, niente
che nessun altro avrebbe potuto notare. Ma il petto di Jared si strinse
e la
sua gola si chiuse attorno ad un groppo dopo aver sentito il nome, dopo
aver
sentito Dean
pronunciarlo.
“Sei
tu, Sam, vero?” Chiese Jensen.
Solo
allora Jared sentì l’incertezza dietro di essa, la
paura. Prese un respiro tremante, voleva rispondere ma non riusciva ad
emettere
alcun suono.
La
risposta era sulla punta della sua lingua, era rimasta lì
per quasi tutta la sua vita. “Si.”
Voleva dirlo. “Si, io sono
Sam
e
io sono
tuo
fratello, Dean, ma tu non sei stato il mio per
tutti questi anni.” Jared
tremò a quel pensiero. La consapevolezza
che aveva celato per tutto quel tempo, l’aver fatto finta di
non ricordare chi
fosse davvero, distrusse i muri che aveva eretto dentro di
sé.
Jared
annuì lentamente e sentì tutto il suo mondo
crollare
intorno sé.
“Bene.”
L’altro lasciò andare il respiro, i suoi occhi si
chiusero tremando per un secondo e fu Jensen a farlo, lasciando che le
emozioni
trasparissero sul suo volto.
Era
Jensen.
Ed
era Dean.
Jared
si stava sentendo male, il suo stomaco si stava
ribellando contro il suo corpo.
“Allora,
cosa hai fatto, Sam? Cosa è successo?” Jensen non
lo guardò, il più giovane rimase ad osservarlo
mentre fissava un punto nel
vuoto. Le sue spalle erano in tensione, come se si stesse preparando
per il
peggio.
“Hai
fatto un altro patto?” Il maggiore rise, una risata
priva di umorismo che suonava così tanto da Dean, da suo
fratello, che ferì
Jared fin nel profondo. “Cosa diavolo hai venduto questa
volta? Perché questo
deve essere stato un grosso patto del cazzo.”
“Nessun
patto.” Sussurrò Jared e fu tutto quello che fu in
grado di dire.
“Quindi
cosa? Cos’è questo, Sam?”
“Cosa
ricordi?”
“Ricordo
te che salti in quel buco con Adam; Lucifer e
Michael ancora dentro di voi. Mi ricordo di essermi presentato davanti
alla
porta di Lisa.” Deglutì pesantemente. “E
poi io… io ricordo quando mia madre
uscì dall’ospedale, con MacKenzie tra le braccia,
così piccola, aveva solo due
giorni. Josh era seduto vicino a lei sul sedile posteriore. Era la
prima volta
che mi era permesso di sedere davanti vicino a mio padre.”
Jared
annuì, i ricordi di Jensen non erano molto differenti
dai suoi. Ricordava di aver saltato, la caduta... e poi suo fratello
maggiore
Jeff e come avessero ricevuto gli stessi giocattoli per Natale; piccoli
camioncini rossi con le luci lampeggianti; ci avevano giocato per
giorni.
Jared
tossì, tirandosi fuori da quei ricordi.
“Io… sono
stato liberato. Dall’Inferno, voglio dire. Non so chi mi
abbia tirato fuori
esattamente, ma ero fuori.” Guardò suo fratello,
lasciando andare un respiro tremante, non poteva credere che stesse
succedendo.
Non
sarebbe dovuto accadere. Jensen non avrebbe dovuto ricordare.
“Poi
lui è venuto da me, mi ha detto che potevo esprimere un
desiderio. Ed ora… eccoci qui.” Fece un gesto
vuoto, improvvisamente
spaventato, improvvisamente di nuovo il fratellino di Dean.
Gli
occhi di Jensen scattarono. “Chi è
venuto?” Chiese.
Jared
esitò, mordendosi le labbra. “Gabriel.”
Lanciò
all’altro un sorriso diffidente. “Sembra che a Dio
piaccia avere i suoi angeli
vivi.”
Jensen
assorbì quell’informazione aggrottando solamente
le
sopracciglia. “E che cosa hai desiderato?”
“Una
seconda chance.” Jared deglutì. “Per
tutti noi.”
“Wow.”
Jensen abbaiò una risata che fece gelare le ossa del
più giovane. “Quindi questo è quello
che abbiamo ottenuto? Per tutti noi?
Perfino per i demoni e i cazzo di angeli? Ti suona giusto?”
Jared
scosse la testa. “Vessel, ricordi? Sono i loro vessel
che hanno avuto una seconda possibilità. Questo mondo non ha
nulla di
soprannaturale.”
“Sei
sicuro? Nemmeno l’ultimo mondo era molto avvezzo a
tutta quella roba, da quello che ricordo.”
Jared
sospirò, emise un lamento. Questo era troppo, troppo
presto, troppo inaspettato. “Ho controllato. Appena sono
stato grande
abbastanza per capire, ho controllato. Non c’è
nulla si innaturale qui. Te lo
giuro.”
Jensen
continuò a guardarlo severamente. “Quindi abbiamo
ottenuto questo perfetto piccolo mondo? Questa è la nostra
ricompensa?”
“Non
è perfetto. La gente resta la gente. È solo
un’altra
vita. Una chance di normalità.”
Jensen
annuì tremante, i suoi occhi fluttuarono.
“Dio.”
Sospirò. “Non so nemmeno… non so
nemmeno da dove cominciare.” Si alzò,
passandosi le mani sul viso ripetutamente.
Jared
poté solo rimanere lì e guardarlo, continuava a
sentirsi come se stesse per svenire da un momento all’altro.
Voleva toccarlo,
voleva… accertarsi che fosse reale, che lui
fosse reale, perché questo… questo non poteva
stare accadendo. Non così
all’improvviso, in quel modo, non dopo tutti quegli anni.
“Ho
bisogno di uscire.” Jensen lo annunciò
improvvisamente,
si diresse direttamente verso la porta e questo scosse Jared dal suo
stordimento.
“No,
aspetta.” Disse, un po’ troppo forte.
Ma
Jensen continuò a camminare, si mise le scarpe e
afferrò
la sua giacca; la porta di ingresso fu aperta ancora prima che Jared
potesse
processare quello che stava accadendo.
Che
l’altro se ne stava andando.
“Jensen,
aspetta, dove stai andando?” Jared lo supplicò,
mentre veniva attraversato dalla paura.
L’altro
uomo non rispose, non mostrò nemmeno di averlo
sentito.
“Jensen?”
Jared gli corse dietro oltre il loro prato, solo
per riuscire ad afferrare in tempo la portiera del SUV, prima che il
suo amico
potesse chiuderla con un tonfo.
“Andiamo
amico... Dean, aspetta, ok?” Lo pregò
più
silenziosamente questa volta, vagamente consapevole dello spettacolo
che avrebbero
dato ai vicini se qualcuno li avesse visti.
Jensen
in effetti si fermò, rivolse a Jared un sorriso vuoto
e accese la macchina. “Vedi? Siamo in due. Nemmeno io so chi
sono.”
E
con questo Jensen tirò la portiera via dalle mani del
più
giovane, la chiuse e se ne andò.
“Dean!
Dean!” Jared gli urlò dietro, ma era stupido e
inutile, e lui era assolutamente perso.
“Dean...”
Continuò a dirlo, silenziosamente a se stesso,
assaporando quel nome, permettendosi di sentirlo davvero per la prima
volta
dopo un lungo, lungo tempo.
****
Quando
Jared aprì gli occhi il soffitto sopra di lui gli
sembrò famigliare. Il divano su cui era sdraiato sembrava
esattamente lo stesso
di quando lo avevano comprato, il soffice russare dei suoi cani di
fronte a lui
non era nulla di nuovo. Ma il mondo… il mondo era cambiato.
La
schiena gli mandò una fitta dolorosa quando fece
scivolare le gambe sul pavimento. I suoi occhi andarono per prima cosa
al
cellulare; vide l’orario – le otto e mezza
– e la mancanza di messaggi o
chiamate.
Aveva
speso quasi l’intera notte mandando messaggi e chiamando
Jensen, Dean,
e la batteria del suo
cellulare era quasi morta, ma l’altro non aveva risposto e
non era tornato a
casa.
Jared
sospirò e si nascose la testa tra le mani.
C’era
un dolore nel suo cuore che derivava sia dal sollievo
che dalla paura. Dall’improvvisa assenza della parte mancante
dentro di sé e dalla
presenza della stessa cosa che aveva desiderato per poterla riempire:
Dean.
Tutto
e niente, sempre e per sempre, si riduceva a
quell’unico nome, quell’unica persona.
Dean.
Jared,
Sam,
non
poteva credere che fosse lì, che avesse riavuto suo fratello
completamente,
dopo così tanto tempo. E per quanta voglia avesse di
scoppiare di felicità, di
versare lacrime di gioia per averlo finalmente avuto indietro, Jared
era
spaventato fin nel profondo da chi avrebbe potuto perdere come
conseguenza.
Ora
era tutto aperto, le carte in tavola erano nuove.
E
il risultato era ignoto.
Un
breve abbaio catturò la sua attenzione e quando Jared si
guardò intorno, poté vedere Harley e Sadie seduti
pazientemente davanti alla
porta della cucina, agitando le loro code.
“Cazzo,
mi dispiace tanto.” Saltò su, con la colpa che lo
attraversava. Si sentì solo peggio quando riempì
le loro ciotole fino all’orlo
e li guardò divorare il cibo in un attimo.
Dopo
li lasciò uscire nel giardino posteriore, non era
disposto a lasciare la casa nemmeno per una breve uscita con loro, in
caso
Jensen fosse tornato.
Questa
cosa lo colpì di nuovo. La consapevolezza che Jensen
non era più solo Jensen. La sua mente continuava a
dimenticarlo, continuava a
respingerlo e farlo scivolare indietro in onde. Jared non sapeva se vi
si
sarebbe mai abituato. Guardare negli occhi di Jensen e vedere anche suo
fratello, che finalmente rispondeva al suo sguardo.
Il
dolore era caldo e tagliente nel suo cuore – e troppo, troppo
fresco – non avrebbe nemmeno saputo dire se fosse buono o
cattivo, se fosse
felice o triste. Sapeva solo che non era pronto per processare
l’intera cosa in
quel momento.
Sapeva
che non era questo che aveva voluto allora. Che il
patto era stato differente. Che aveva scelto qualcosa d’altro.
Jared
spese la maggior parte della giornata aspettando con
il cellulare in mano, sperando di avere notizie da Jensen, fuori con i
suoi
cani, cercando di intrattenerli. Niente funzionò. Jensen, Dean,
non chiamò, non mandò un messaggio e ora della
fine della giornata, Jared
avrebbe potuto giurare che i suoi cani fossero davvero incazzati con
lui per la
mancanza di attenzioni; lo dimostrarono, quando li trovò che
occupavano tutto
il suo letto, dormendo rumorosamente con la schiena rivolta verso di
lui.
Jared
lasciò che gli rubassero il letto e tornò a
fissare il
suo telefono; raccolse i cocci del vaso rotto dal pavimento della sala
e poi
tornò a fissare l’orologio sulla parete della
cucina. Cercò di fermare la sua
mente dall’andare al ‘e se…’
E
se Jensen non fosse tornato a casa? E se lo odiasse per
non avergli detto chi era davvero, chi erano loro? E se avesse lasciato
lo
show, o avesse lasciato Vancouver o la sua vita per sempre?
Jared
sentì la rabbia strattonare il suo cuore, la
sentì
bruciare nelle vene. Succedeva ancora in quel modo. La rabbia lo
raggiungeva
sempre per prima, ma aveva imparato come trattare con essa, aveva
imparato a
strapparla via e a guardare a quello che davvero stava provando.
Tristezza,
delusione, debolezza.
Ma
era differente, oggi.
Questa
volta lasciò che la rabbia lo prendesse, invece che
lavorare per superarla; una vecchia sensazione, ancora famigliare,
restava
stantia e dolorosa, ma di sollievo molto più di quanto
ricordasse.
“Gabriel!”
Urlò alla stanza vuota, la sua voce era forte ed
esigente. Rimbalzò sui muri, risuonò nelle sue
orecchie. Aveva fatto una cosa
del genere solo una manciata di volte. Tempo addietro, quando tutto era
diventato improvvisamente chiaro. Quando aveva tenuto il primo script
di
Supernatural tra le mani, quando si era reso immediatamente conto di
non essere
pazzo, che tutto stava prendendo una sorta di significato perverso. La
sua voce
era stata terrorizzata allora, ma Gabriel venne.
Un’altra
volta, fuori di sé dalla rabbia come in quel
momento, quando aveva visto Jensen passare attraverso quello che Dean
aveva già
sofferto, quando aveva visto suo fratello fatto a pezzi di nuovo. Anche
se si
era trattato solo di sangue finto e di effetti speciali, lo aveva quasi
spezzato. Jared aveva urlato all’arcangelo e lui era venuto.
“Gabriel!
Porta il tuo fottuto culo qui! Gabriel!”
Continuò
ad urlare quando vide che non accadeva nulla e
divenne sempre più rabbioso. “So che puoi
sentirmi!”
“Gesù,
se qualche paparazzo si fermasse da queste parti,
dovresti spiegargli perché sono in casa tua,
amico.”
Jared
ruotò su se stesso per trovarsi di fronte Richard, Gabriel,
seduto al tavolo della sua cucina
a sghignazzare verso di lui.
“Perché
diavolo lo hai fatto? Pensi che sia divertente?” Lo
attaccò direttamente, voleva solo far sparire quel ghigno
dalla faccia
dell’altro.
Richard
alzò le mani in difesa. “Whoa, hey, hey! Che
succede
con tutta questa ira, Sam? Non pensi che sia un po’ troppo
della tua vita
passata?”
“Smettila
di fare la sceneggiata e dimmi perché lo hai
fatto?” Jared incombeva su di lui, ma il sorriso
dell’angelo si ridusse solo di
poco.
“Fatto
cosa, esattamente?”
“Jensen
lo sa.” Ringhiò, riusciva a malapena a mantenere
il
controllo sul suo corpo. Allora, nell’altra vita, perdere il
controllo avrebbe
significato fare molti più danni rispetto ad oggi, ma
ancora… il ragazzo
continuava a combattere se stesso.
“Lui
sa cosa?” A quel punto Richard si accigliò e i
muri
dell’ira di Jared si creparono, solo un po’.
“Chi
è. Chi era.”
Richard lo guardò con occhi spalancati, pallido, ma lui
continuava a non
credergli.
“Perché
lo hai fatto? Questo non era parte del nostro
accordo.” Sputò fuori. “Avevamo detto
nessun ricordo. Niente. Non il suo nome,
non la sua vita, non l’Inferno, non me.”
“Lui
ricorda tutto?” Sussurrò Richard, abbassando lo
sguardo
sul tavolo, come se stesse pensando attentamente.
“Si.”
“Non
sono stato io.”
“Stronzate.”
Sibilò Jared, perché non poteva credergli, non
voleva farlo. Non quando era così arrabbiato e aveva bisogno
di qualcuno da
incolpare, non quando tutto era andato a puttane e il suo migliore
amico, suo fratello,
ora era scappato da lui.
“Non
sono stato io, te lo giuro, ok?” Richard incontrò
ugualmente il suo sguardo. “Forse il potere si è
solo esaurito, d’accordo? Non
sono esattamente Dio, perfino i miei poteri hanno dei limiti!”
Rimasero
a fissarsi l’un l’altro in un silenzio carico di
rabbia. Jared non voleva dargliela vinta, ma già sentiva di
credergli, sentiva
la delizia della furia lasciarlo. Ma fu qualcos’altro a far
andare via
completamente la sua rabbia.
“Wow.
Ed eccoci di nuovo qui.” Disse una voce dietro di lui,
delusa e ferita, che lo fece voltare con gli occhi spalancati.
“Ovviamente la
storia si ripete.”
“Dean.”
Boccheggiò Jared, perché era del tutto Dean
quello
che lo stava guardando ora, e quel momento sembrò fin troppo
come uno di quelli
che avevano condiviso in passato. Non aveva bisogno di chiedere per
sapere che
Jensen aveva sentito tutto.
“Sembra
tanto un déjà-vu, non credi, Sammy?”
Disse Jensen
con voce roca e usò le esatte parole che erano nella testa
di Jared. “Non stai
esorcizzando un demone con la mente, ma la cosa del ‘dietro
le spalle’ e del
mentire e del fingere, resta sempre la stessa.”
“Dean...”
Disse di nuovo Jared, la sua bocca si era
asciugata e il suo cuore batteva forte per il senso di colpa.
“Niente
di soprannaturale, huh? Avrei dovuto sapere che
stavi mentendo.”
“In
realtà…” Intervenne Richard, mettendosi
tra di loro.
“Sono solo io.”
“Gabriel.”
Dean annuì e Richard rispose a modo.
“Dean.”
Rimasero
a guardarsi l’un l’altro, come vecchi nemici che si
incontrano di nuovo dopo una guerra che è finita da tempo,
ma ancora non pronti
a superare i confini che essi stessi hanno disegnato.
“Quindi
questo è divertente per te?” Lo pressò
Jensen, la
sua espressione era tutta Dean: una maschera di rabbia e furia. Jared
deglutì e
pensò che il maggiore non aveva nemmeno idea di citarlo.
Questa
volta, però, la risposta del Trickster fu differente.
“Non
sono stato io. Lo giuro. Non ti ho svegliato io.”
Suonava molto di più come Richard in quel momento, come il
ragazzo che entrambi
conoscevano.
“Che
tipo di malato del cazzo sei, huh? Lasciare che
riviviamo le nostre vite in un fottuto TV show?”
“Jensen.”
Jared si intromise facendo un passo verso suo
fratello.
“Non
ti azzardare a difenderlo.” Lo mise in guardia Jensen,
le sue narici si dilatarono. “O era parte del tuo accordo? Io
dovevo
dimenticare ma tu ricordavi ogni piccolo dettaglio, così
potevi vedermi
percorrere la mia vita, completamente ignaro? Così potevi
guardarmi commettere
gli stessi errori di nuovo, in modo che potessi vedere quanto fossi nel
giusto,
ancora e ancora?”
“Dean.”
Jared sussurrò e avrebbe voluto piangere perché
non
era giusto, questo non era quello che voleva. Questo non era per niente
quello
che era stato per lui.
“Woah,
woah, aspetta un secondo, okay?” Richard cercò di
salvarlo, una seconda volta. “Primo: il mio mondo, le mie
regole. È divertente
vedervi contorcere mentre passate attraverso la vostra vita passata,
facendo di
nuovo gli stessi errori e avere persone che curano il tutto come un
cavolo di
TV show? Si, lo è. Voglio dire, sono il Trickster dopotutto
e ho bisogno di
tenermi occupato con qualcosa quando non mi è permesso di
fare troppe cose
soprannaturali, giusto?”
Jared
rimase in silenzio, tenendo sotto controllo la sua
rabbia. Avevano già avuto questa conversazione prima.
“E
secondo: Sammy qui non è completamente umano. E non sta
usando un vessel. Quindi il mio potere non ha esattamente funzionato
con il
piccolo ragazzo.”
Il
suo tono divenne sempre più serio ad ogni parola.
“Ascoltate. Voi ragazzi avete impedito che
l’apocalisse accadesse, avete chiuso
i miei fratelli in una gabbia e il mondo è rimasto intatto.
Questa qui è la
vostra ricompensa. La vostra seconda possibilità. Ed
è il meglio che io potessi
fare, quindi prendere o lasciare.”
Guardò
severamente il maggiore per un’ultima volta, poi i
suoi occhi tonarono su Jared; annuì e svanì nel
nulla.
Jensen
si voltò verso Jared, i suoi occhi erano così
pieni
di senso di tradimento che il più giovane li
sentì come un pugno nello stomaco.
“Come hai potuto non dirmi chi ero?” Chiese. La sua
voce era rabbiosa, quasi
feroce, come se l’altro gli avesse piantato un coltello nella
schiena.
“Stavo
cercando di proteggerti!” Urlò Jared, stanco di
fare
la parte del cattivo, di dover difendere se stesso.
Jensen
buttò in aria le mani, furioso. “Da
cosa?”
“Da
te stesso!”
Il
maggiore rimase in silenzio, stordito per un secondo, e
Jared ne approfittò per dirgli esattamente cosa aveva voluto
dire rinunciare a
suo fratello per sempre. Portare via a Dean tutti i ricordi del
fratellino che
aveva una volta, della persona che una volta aveva amato più
di qualsiasi altra
cosa, quello per cui era morto, più e più volte.
“Pensi
davvero che io non abbia sentito quello che Carestia
ti ha detto?” Sbottò Jared, urlò e
sentì la sua gola chiudersi. “A proposito di
quanto vuoto tu fossi, di come fossi già morto? Questo ha
continuato a gridare
nella mia testa per più di vent’anni! E non
c’è stata una settimana in cui non
ci abbia pensato, o che non mi sia svegliato sudato dopo un incubo in
cui non
avevamo vinto. Dove Gabriel non era mai venuto a farmi
quell’offerta.”
Sussultò,
sentendo la sua voce che incespicava. “Stavo per
perderti, Dean. E non per qualche demone, o mostro o
l’apocalisse. Ma per te.
Per quanto saresti andato avanti? Con o senza di me? L’ho
fatto per salvare
la tua vita! Proprio come ho sempre
fatto. Come abbiamo sempre fatto.”
Jensen
continuava a non reagire, continuava a guardarlo con
occhi vuoti.
“Non
pensare, nemmeno per un secondo, che questo sia stato
semplice per me.” Disse Jared. “Ma ho dovuto
farlo.”
“Cosa?”
Disse finalmente Jensen e la sua voce quasi ferì il
minore. “Così potevi avere la tua apple-pie-life?
Nessun fratello danneggiato?
Così avresti potuto essere normale? Avere quel fottuto
cancello bianco che hai
sempre sognato?”
“No,
Dean!” Esplose l’altro, facendo un passo verso suo
fratello, cercando disperatamente di fargli capire.
“Così che potessi averla tu!”
“Eri…
finito, Dean. Bruciato. Da lungo tempo.” Cercò di
spiegare, abbassando il livello della sua voce, come se
l’aria nella stanza
avesse cominciato ad essere troppo spessa, troppo pesante
perché si potesse
respirare. “Non potevo rischiare. Non potevo rischiare di
perdere tutto di te.”
Jared
prese un respiro tremante. “Ho solo cercato di fare la
cosa giusta.”
“Si,
beh, questo è quello che facciamo sempre e guarda dove
ci ha portato.” Rispose freddamente suo fratello e questo lo
ammutolì.
La
sentenza bruciava, le parole erano un colpo basso,
perfino per Dean, e poteva vedere che anche Jensen lo sapeva. Ma anche
se i
suoi occhi sembravano colpevoli, non si scusò.
“Non
ho la minima idea di come dovrei fare ad essere di
nuovo lui.” Ammise il maggiore, la voce ruvida come carta
vetrata, e fu l’unico
segno che diede, del fatto che anche lui stesse soffrendo.
Jared
chiuse gli occhi per un attimo, inghiottì il dolore e
la rabbia meglio che poté. Lui aveva avuto
un’intera vita per abituarsi a
questo, suo fratello aveva avuto solo ventiquattro ore. Aveva bisogno
di lui
adesso.
“Tu
sei tu,
Dean. Tu sei
Jensen. Sei stato lui per gli ultimi trent’anni, tutto questo
eri sempre tu.
Stessa anima, stessa cosa.”
Jensen
sbuffò. “Non puoi aspettarti che io lo accetti e
basta.”
“Devi
farlo! Altrimenti butterai via gli ultimi trent’anni
della tua vita. Cosa farai, un salto indietro nel tempo per essere
quella
persona ancora una volta? Tornerai a come stavi allora? E per
cosa?”
“Sam.”
Lo mise in guardia Jensen e gli lanciò uno sguardo
tagliente, con l’intenzione di farlo fermare.
“No,
Dean. Per favore. Quello che hai ora è fantastico.
È
quello che volevi. Se solo potessi accettare che questo è un
altro passo nella
tua vita, solo un'altra parte di essa, potresti avere tutto. Una vita
normale,
un lavoro, amici, famiglia.”
“Mia
madre è morta in un incendio provocato da un
demone!”
Urlò Jensen, come se qualcosa si fosse spezzato dentro di
lui, come se fosse
infine scattato. “Mio padre è morto facendo un
patto per la mia anima! Mio
fratello è morto chiudendo Lucifer in una gabbia! Questo
è quello che è reale
per me!”
Jared
prese un respiro profondo e poi un altro. Si calmò
cercando di controllare l’adrenalina che gli scorreva dentro.
Si spostò verso
un altro lato della stanza, prese il telefono e lo offrì a
suo fratello.
“Cos’è?”
Chiese Jensen irritato.
“Allora
chiamala.” Suggerì Jared e la sua voce era calma
come voleva che fosse. “Chiama tua mamma e dille che non sei
più suo figlio.
Che non vuoi avere più niente a che fare con lei o con la
sua famiglia.
Andiamo, fallo!”
Vide
gli occhi dell’altro dilatarsi, vide il suo viso
impallidire ed era esattamente quello che voleva da Jensen, voleva
vederlo
reagire, voleva fargli comprendere cosa stava per perdere.
“E
già che ci sei, chiama Jason. E Chris... e Steve e tutti
gli altri amici e dì loro che non puoi più essere
loro amico. Perché non sei
più Jensen. E poi chiama Danneel. Dille che non lo ami
più.”
“Vaffanculo,
smettila.” Sussurrò Jensen. Aveva chiuso gli
occhi, ma stava vibrando di rabbia. Jared poteva quasi sentire la
tempesta che
stava imperversando dentro di lui.
Sembrava
così perso, così abbandonato, piccolo e debole.
Questo toccò dei tasti profondi dentro Jared.
‘È
mio fratello’
Pensò il più giovane e lo aveva pensato molte
volte nell’arco degli anni, ma
mai come questa volta. Non era mai stato così vero come
questa volta.
Per
un momento tutto quello che Jared voleva era avvolgere
le braccia intorno a suo fratello, tenerlo stretto e vicino, sentire il
suo
solido calore, la realtà di lui tra le sue braccia. Un
promemoria fisico che
quello fosse veramente lui. Completamente, con tutti i ricordi del
fratellino che
aveva una volta, l’unica cosa che davvero lo rendeva
differente dall’uomo che
era stato fino a due notti prima.
Jared
attese. Attese perché Jensen dicesse qualcosa, facesse
qualcosa; cercò di essere pronto a reagire in ogni modo. Ma
tutto quello che
l’altro fece fu di passarsi una mano sulla bocca, stanco e
prosciugato, e
girarsi diretto alla sua camera.
“Jensen!”
Jared lo seguì, incapace ancora di lasciarlo
andare.
“Non
c’è nient’altro di cui
parlare.”
C’era
già una risposta sulla punta della lingua di Jared, ma
si fermò, vedendo l’espressione sul viso di Jensen
e capendo che l’altro sapeva
comunque quello che gli avrebbe detto.
Jensen
si voltò un’ultima volta, aveva un sorriso vuoto
sulle labbra. “Vuoi dirmi ancora come non sono Dean,
huh?”
Jared
ignorò le sue parole, doveva farlo. “Cosa
farai?” Chiese
invece, preoccupato che Jensen facesse la valigia e se ne andasse,
preoccupato
che scappasse da tutto quello, dalla sua vita, da lui.
Jensen
si mosse volutamente per chiudere la porta alle sue
spalle. “Vai a dormire. Abbiamo una chiamata presto
domani.”
Jared
rimase senza parole e senza fiato di fronte alla porta
chiusa della stanza del maggiore.
La
sua mente era chiusa, vuota e silenziosa, come se avesse
deciso che le ultime ore fossero state troppo per lui da assimilare e
avesse
dovuto spegnersi.
Ci
fu un rumore che sorprese Jared e lo fece voltare, non
aveva idea di quanto tempo sarebbe rimasto davanti a quella porta, se
il suo
telefono non avesse squillato.
Lo
trovò sul tavolo, sullo schermo lampeggiava il nome di
Genevieve. Jared non rispose.
Non
avrebbe voluto altro che essere capace di rispondere e chiacchierare
della sua normale ed eccitante giornata, ma il mondo era cambiato dalla
sera
precedente, profondamente e completamente, e lui non aveva nemmeno le
energie
per raggiungere il telefono e fare finta che tutto fosse normale.
Si
girò invece, per salire al piano superiore, lasciando
squillare il telefono sul tavolo.
N.d.T.
Come promesso ecco il nuovo capitolo ed eccoci
alla grande rivelazione e alle conseguenti
spiegazioni di quello che è successo. Jensen è
Dean e Dean è Jensen, così come
Jared è Sam, in un altro mondo, con un ‘altra
vita. Uniti eppure separati.
Per
Jensen questo è davvero un duro colpo da digerire, Jared
ha potuto convivere con quella consapevolezza per anni, Jensen solo
poche ore. Non
sarà così semplice per nessuno dei due tenere in
piedi un mondo che pare
crollare intorno e dentro di loro.
Spero
che questa svolta vi sia piaciuta, io l’ho trovata una
cosa geniale, soprattutto nel modo in cui l’autrice gestisce
le emozioni e le
reazioni di entrambi i ragazzi.
Vi aspetto al prossimo
capitolo :)
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Capitolo 6 *** Capitolo VI ***
Capitolo VI
Jared
rimase ad osservarlo per l’intero viaggio fino al set,
pronto al fatto che l’altro potesse esplodere, cambiare,
scappare. Ancora non
poteva credere che quando guardava Jensen, era Dean che rispondeva al
suo
sguardo. Erano solo piccole cose. Per la maggior parte del tempo Jensen
sembrava semplicemente Jensen, ma quando girava la testa in un certo
modo, o
inciampava sul nome di Jared in pubblico, era differente. E sempre,
senza
possibilità di errore, questo mandava un brivido lungo la
sua schiena.
Jensen
rimase silenzioso per tutto il tempo, continuò imperterrito
a guardare fuori dal finestrino. Le sue mani erano chiuse a pugno,
appoggiate
sulle cosce. Non poteva davvero pensare che Dean sarebbe semplicemente
stato in
grado di ritornare in questa vita, anche se era la sua, anche se la
ricordava
tutta. Non ora, quando ricordava molto di più.
Doveva
esserci un tranello, doveva esserci un ostacolo, era
troppo facile e Jared stava solo aspettando che venisse fuori.
Si
fermarono nel loro solito posto, salutarono la gente che
incontravano sempre a quell’ora, la mattina presto, mentre
andavano al make-up
e Jensen continuò a mantenere la sua faccia da poker,
annuiva e sorrideva,
anche se un po’ meno del normale. Nessuno si accorse di
qualcosa di diverso e
se lo fecero, pensarono solamente che fosse semplicemente stanco ed
esausto. E
perché non avrebbe dovuto esserlo? Avevano quasi finito con
la stagione ed
avevano aggiunto delle ore extra per avere il finale perfetto.
“Come
fai?” Furono le prime parole che gli disse quella
mattina, fuori, mentre aspettavano che il regista li chiamasse per
farli
mettere in posizione. Erano parole di Dean, ruvide e basse, condite con
un
dolore che cercava di nascondere, ma che non avrebbe mai potuto celare
a suo
fratello.
Jared
capì immediatamente cosa volesse dire.
Si
guardò intorno per la prima volta in anni, assorbendo
tutto: il set difronte a lui, una stanza di ospedale che loro
ricordavano, una
stanza di ospedale in cui erano quasi morti anni prima.
Guardò Matt salutare da
un altro angolo, mentre continuava a studiare il suo copione. Un uomo
di cui avrebbero
avuto paura allora. Un Cavaliere dell’apocalisse.
“In
realtà è molto liberatorio.” Scelse di
rispondere Jared e
si guadagnò uno sguardo incredulo da suo fratello.
“Questo…”
Fece un gesto che incluse il set e gli altri
attori. “Ti ci sei abituato molto velocemente. Sono persone
normali. Perfino
allora, i loro corpi erano quelli di persone normali. È
come… è come se tu
avessi avuto l’opportunità di incontrarli quando
il demone se ne era andato e
l’anima giusta era rientrata all’interno del
corpo.”
Jensen
lo studiò e per quanto non sembrasse molto convinto,
annuì.
“E
le altre cose…” La voce di Jared divenne perfino
più
bassa, le sue parole solo per le orecchie del fratello, come se il set
intorno
a loro fosse diventato ancora più affollato.
“Tutte le cose che abbiamo dovuto
rivivere, rifare – tutto quello che ci siamo dovuti dire di
nuovo…” lasciò
morire la frase, lasciando immaginare a Jensen il resto. Sapeva che
avrebbe
pensato alle stesse liti, le stesse parole dolorose che si erano
scambiati in
passato.
“Ascolta,
avevo un’altra prospettiva questa volta. Ho visto
cosa è successo quando non eravamo lì. Ho visto
tutte le cose che hai detto e
fatto, e ho letto quello che hai pensato allora, quando io non sapevo
nulla.”
Scrollò le spalle girandosi verso suo fratello per vedere se
avesse compreso.
“Ho imparato molto. Di te, di papà ma, cosa
più importante, di me stesso.” Jared
rise piano. “È stata come una terapia.”
Lo
vide alzare gli occhi accanto a lui e non era una cosa
che Dean faceva abitualmente, era più che altro una cosa di
Jensen.
“Lo
hai saputo per tutto il tempo? Anche quando eri piccolo?”
Jared
annuì. “Quando ho realizzato che c’era
qualcosa di
differente ero solo un bambino. Un ragazzino normale, con i ricordi che
abbracciavano quasi trent’anni e perfino un po’ di
tempo all’inferno. Non ho
davvero capito all’inizio. Era come
se…”, cercò le parole giuste,
“…se tutto fosse
filtrato. Quando gli altri ragazzi cominciarono improvvisamente a
notare le
ragazze, io ricordai il mio primo bacio. Quando gli altri ragazzi
cominciarono
ad avere delle fidanzate e a fare sesso e tutto il resto, io mi
ricordai
com’era allora, cercando di avere una fidanzata mentre noi
continuavamo a
spostarci da un posto all’altro. Quando i miei amici hanno
iniziato ad andare
al college, io ho ricordato immediatamente Stanford e
l’enorme litigata che
avevo avuto con papà.”
Sentì
lo sguardo curioso di Jensen su di sé, lo sentì
assorbire ogni particolare che poteva fare suo di un mondo di cui non
sapeva
nulla. Il mondo di suo fratello.
“E
per tutto il tempo, mi ricordavo di te.” Disse Jared,
sentendo un sorriso che si apriva sul suo stesso volto.
“Quando ero troppo
piccolo per capire, tu eri il mio amico immaginario o, lo sai,
fratello. Dopo,
quando sapevo che eri reale, sembrava solo… come se tu fossi
stato fuori città
e noi presto ci saremmo incontrati di nuovo. E lo sai, forse ci
è voluto un
po’, ma alla fine lo abbiamo fatto.”
Rise,
quando
un ricordo affiorò nella sua mente. “Quando ho
detto a mia madre del lavoro in
Supernatural e ho menzionato il fatto che avrei interpretato il ruolo
di Sam
con un fratello maggiore di nome Dean, lei non poteva credere che fosse
esattamente lo stesso nome del bambino che mi ero inventato quando ero
piccolo.
Quello
è stato il momento in cui
ho ricordato il resto e ho compreso chi fossi.”
Il
silenzio cadde tra di loro, i loro occhi rimasero
inchiodati gli uni agli altri.
“Dai
a questo mondo una possibilità, Dean, ti prego.”
Sussurrò Jared più tardi, quando li chiamarono
per prendere i loro posti.
Vide
l’esitazione negli occhi del fratello, l’istinto
che
continuava a dirgli di scappare. Ma alla fine Jensen annuì,
più a se stesso che
a lui.
“Okay,
Jared. Facciamo questa cosa.”
****
“Cosa
sta
succedendo?” Chiese Jared alla prima persona a cui
passò di fianco.
Quella
del
giorno successivo era una mattinata fredda, ma il cielo era pulito e
non c’era
quasi vento. Era perfetta per girare la scene in esterna che avevano
programmato
per quella giornata. Per quello, non aveva senso che non ci fosse
nessuno a
correre in giro sul set, nessuno che si muovesse febbrilmente intorno a
lui,
urlando ordini dentro il proprio ricevitore.
“Una
delle impala è sparita.” Il ragazzo - Marshall,
ricordò
Jared – gli spiegò. “E dato che Jensen
si è dato malato, le riprese per oggi sono
state cancellate.”
“Cosa?”
La mente di Jared non seppe nemmeno quale
informazione processare prima.
Jensen
se ne era già andato quando lui si era svegliato
quella mattina. Era stato strano, sì, ma non si era
preoccupato. Il maggiore gli
aveva lasciato un bigliettino, spiegando che era andato via presto per
lavorare
ad una scena e Jared, era semplicemente stato sollevato di vedere che
l’altro
sembrava ancora prendere il suo lavoro seriamente.
Ed
ora, qualcuno aveva rubato l’impala?
Qualcosa
cominciò a brontolare nella coscienza di Jared, ma
era troppo occupato a processare tutto quello che era successo per
accorgersene.
“Wow.”
Rispose, vedendo che Marshall stava chiaramente
aspettando una sua qualche reazione. “Grazie. Volevo
solo… sai… passare a
vedere se c’era qualcosa da fare… uhm, per me.
Quindi è meglio se me ne torno a
casa allora, giusto?”
Marshall
annuì e un attimo dopo si stava già girando,
correndo via nell’altra direzione.
Jared
doveva trovare Jensen.
“Hey
Jared.” Disse una voce e quando guardò in quella
direzione,
Jared vide Kim camminare verso di lui.
“Kim,
scusami, ma non ho…” si stava già
voltando, pronto ad
andarsene, quando l’altro lo fermò mettendogli una
mano sul braccio.
“Devo
parlarti solo per un secondo.” Disse con un tono che
non permise al ragazzo di disubbidire.
“Si?”
“Guarda,
tu e Jensen sapete che amo gli scherzi, giusto?”
Jared
annuì.
“Puoi
per favore assicurarti che il tuo amico riporti
indietro l’impala sana e salva? Altrimenti i grandi capi mi
prenderanno a calci
in culo.”
La
bocca di Jared si aprì per la sorpresa. “Jensen ha
l’impala?” Era ridicolmente ovvio, ma lui era
onestamente sorpreso, non poteva
immaginare il maggiore che si intrufolava nel garage alle prime ore del
mattino
e rubava una macchina. Ma ancora una volta, non era più solo
Jensen.
Kim
non rispose immediatamente, prima lo studiò. “Tu
non lo
sapevi?”
“No.”
I pensieri avevano iniziato a rincorrersi nella sua
mente e il panico a divampare nel suo petto.
Se
Jensen, se Dean,
aveva l’impala, poteva voler dire una sola cosa.
Deglutì
pesantemente.
Poteva
voler dire che stava scappando.
“Jared?”
Kim disse serio, facendo riportare di nuovo
l’attenzione del ragazzo su di sé. “Se
c’è qualche problema che tu e Jensen non
potete risolvere da soli, ricordati solo che ci sono altre persone
intorno a
voi, okay? A volte è meglio parlare con qualcuno che non ti
è così vicino.”
Jared
annuì di nuovo, sentendosi già in colpa. Non
c’era
modo che potesse parlare di questo con chicchessia. Se lui e Jensen non
potevano risolvere questo problema da soli, allora semplicemente non
poteva
essere risolto. Chiuse gli occhi per un momento, cercando di calmare il
battito
del suo cuore nel petto. Forse Jensen non stava scappando. Forse aveva
solo
bisogno di riavere la sua macchina.
“Grazie
Kim.” Disse e lo intendeva davvero.
“Okay,
ragazzo. Forse dovresti andare a cercare il tuo
amico, huh?” Gli diede una leggera pacca sulla spalla,
indirizzandogli uno
sguardo di incoraggiamento. “E hey, se lo
trovi…” Disse, come se il pensiero
avesse appena attraversato la sua mente. “Sam Smith vi
saluta. È in città, ma
non riuscirà a venire sul set per salutarvi
personalmente.”
Kim
gli sorrise, quindi si voltò per andarsene.
I
pensieri nella mente di Jared si fermarono. “Dean.”
Sussurrò. Il suo cuore si spezzò per suo
fratello. Sapeva dove fosse. Era la stessa
cosa che aveva fatto lui la prima volta che aveva avuto una seconda
chance di
vedere sua madre.
****
Jared
chiuse silenziosamente la portiera, Jensen non si
voltò verso di lui, anche se non c’era dubbio che
lo avesse sentito, come aveva
sentito il refolo di aria fredda quando l’altro era entrato
in macchina. Ci era
voluta quasi tutta la mattinata e molte telefonate, ma alla fine aveva
trovato
suo fratello.
“Jensen.”
Disse gentilmente, con la sensazione che se lo avesse
detto troppo forte lo avrebbe spaventato.
Non
ottenne risposta, vide solo la mascella dell’altro
contrarsi.
“Allora,
hai rubato l’impala.” Scherzò, piano, ed
ottenne
un’occhiata veloce da parte del maggiore.
“Sai,
oltre a te…” Iniziò Jensen, quasi
sussurrando. “La mia
ragazza qui, era l’unica cosa che era davvero importante per
me. E qui? Qui, di
lei ce ne sono quattro. E sono tutte in qualche modo false.”
Jared
si morse il labbro, trattenendosi dal dire troppo,
dall’entrare troppo nello spazio di suo fratello. Voleva
disperatamente
raggiungerlo e toccarlo, ma non lo fece. Sperò che la sua
presenza fosse
sufficiente.
“Lei
è lassù.” Disse Jensen, parlando di
quella che ora era
un’altra donna nella sua vita e si voltò,
allontanandosi di nuovo da Jared. Non
stava davvero parlando con lui, parlava più a se stesso;
suonava come se il suo
cuore si stesse spezzando. I suoi occhi erano scattati verso una
finestra
dell’hotel, come se sapesse esattamente dove lei fosse.
“È distante solo pochi
passi e non ha idea di chi io sia. O di chi sia tu.”
“Non
è più nostra madre, Dean.”
Sussurrò Jared, passando
istintivamente all’altro nome; si sentì
più vicino all’uomo accanto a lui. Non
di molto, ma significava ancora qualcosa.
Finalmente
Jensen si voltò e focalizzò il suo sguardo su di
lui. L’altro la considerò una piccola vittoria.
“Hai…?
Quando li hai incontrati la prima volta…” Si
perse,
lasciando il resto non detto, ma Jared lo afferrò lo stesso.
“È
diventato più facile.” Il minore annuì
tra sé e sé, ricordando
la sua reazione quando aveva incontrato Samantha o Jeffrey o Adrienne.
Ricordò
il fiume di sensazioni, buone e cattive, quando aveva guardato nei loro
occhi e
all’inizio non aveva trovato altro che
un’amichevole distanza.
“È
diventato più facile.” Disse ancora e la sua gola
cominciò immediatamente a fare male. Non stava mentendo.
Semplicemente non gli
stava dicendo quanto tempo ci sarebbe voluto.
Jensen
studiò il suo volto, poi annuì, come se lo avesse
compreso comunque.
“Non
pensi che sia strano?” Chiese e voltò di nuovo la
testa, cercando disperatamente di guardare attraverso una delle
finestre
dell’hotel e cogliere un segno della donna che gli era
mancata per un’intera
vita. E che non era più quella donna.
“Cosa
intendi?”
Jensen
alzò le spalle, ma non tornò a voltarsi verso di
lui.
“Lo
sai? pensavo che in qualche modo loro sarebbero sempre
stati insieme. Mamma e papà. Non ti sembra sbagliato che in
questo mondo, non
si siano trovati, non si siano innamorati?”
Jared
guardò le orecchie di Jensen diventare rosse, ma
l’altro non smise di parlare. “So che suona
terribilmente romantico, ma… merda,
pensavo che dopo che papà ha speso quasi tutta la sua vita
cercando vendetta
per lei, loro avrebbero dovuto innamorarsi in ogni mondo in cui si
sarebbero
incontrati.”
Sembrava
un po’ imbarazzato quando finalmente si girò ad
incontrare lo sguardo di Jared, ma l’altro annuì
solamente. “So cosa vuoi
dire.” Gli disse. “Ma… so che si sono
amati molto, al di là dei problemi che
avevano. Forse era così, sai? Loro si sono amati per tutta
la vita, ma non
erano… anime gemelle.”
Il
silenzio scese tra di loro e quando Jared vide tremare
gli occhi di Jensen, il modo in cui evitava il suo sguardo, seppe che
entrambi
stavano pensando alla stessa cosa.
‘Loro
non sono come
noi.’
Il
freddo suono di uno squillo li fece trasalire, spezzando
il silenzio. Il cellulare del maggiore era appoggiato sul cruscotto e
Jared
poté leggere il display, poté vedere il nome di
Danneel lampeggiare ad ogni
squillo.
“È
Dani. Non vuoi rispondere?” Spostò lo sguardo sul
fratello, studiando lo sguardo triste sul suo volto. Ma Jensen non si
mosse per
rispondere al telefono.
“Non
puoi evitarla per sempre.” Sussurrò il minore. Si
era
reso conto di come l’altro avesse ignorato le chiamate di
lei, rifiutando di
rispondere ai suoi messaggi. E quando lo aveva fatto, erano stati solo
messaggi
brevi, scuse veloci e risposte senza senso di una sola parola.
“Tu
la ami.” Gli disse Jared e si sentì come se fosse
il suo
stesso cuore ad andare in pezzi.
“Lo
so.” Rispose Jensen, la sua voce era bassa e grave, ma
mise le mani sul volante e accese il motore.
****
Jared
diede un colpetto a Sadie, facendola spostare un poco,
in modo da poter avere finalmente un po’ di aria nei polmoni
senza sentire il
peso schiacciante di lei su di sé. Con Harley non era molto
meglio, aveva
trovato il posto perfetto in cui dormire, accanto alle sue gambe, con
la testa
appoggiata sui suoi piedi.
Il
soggiorno era silenzioso. Jared voleva trovare qualche
gioco o qualche programma sul Discovery Channel, ma senza sapere come,
si era
trovato sul divano con i suoi cani, la Tv non era nemmeno accesa.
Era
quieto, silenzioso e aveva realizzato quanto tempo fosse
passato da quando aveva potuto avere un po’ di
tranquillità per se stesso. Aveva
parlato con Genevieve quella mattina, non a lungo, niente di
importante, ma era
stato comunque significativo per lui, come se lei fosse stata un punto
di
riferimento per una realtà che sentiva minacciata.
Ancora
meglio, aveva sentito Jensen ridere al telefono con
Danneel. Ridere. Un suono che gli era mancato disperatamente. E anche
se c’era
qualcosa dentro di lui che si torceva al pensiero di Jensen che rideva
con
Danneel, qualcosa che scelse di ignorare perché non era
giusto, era felice
perché sembrava che il maggiore stesse lentamente trovando
la sua strada verso
la donna che amava.
Harley
guaì quando Jared gli diede accidentalmente un
calcio, ma il cane abbassò di nuovo la testa e
tornò a dormire come se nulla
fosse successo. Jared sorrise, piegandosi per accarezzare il suo cane e
tornò a
sdraiarsi sui cuscini del divano, sospirando mentre seppelliva la mano
nella
pelliccia di Sadie. Non si era reso conto di quanto si sentisse
distrutto,
quando tutto quello che era accaduto lo avesse colpito; in quel momento
lo
sentì fin dentro le ossa.
Jared
si stiracchiò e si rilassò, chiuse gli occhi nel
silenzio e pregò perché restasse in quel modo.
Pregò che le cose stessero
migliorando.
****
Poche
ore dopo, tutto era cambiato.
Jensen
non era ancora tornato a casa ed era quasi
mezzanotte. Jared si sentì uno stupido, anche solo per
averlo pensato, ma
questo non era da Jensen. Lui non usciva in settimana e specialmente
non senza
aver chiamato o lasciato una nota.
Andava
tutto bene poche ore prima, quando lo aveva visto per
l’ultima volta. MacKenzie aveva appena chiamato quando Jared
era uscito per
andare a fare una lunga corsa con i cani e il maggiore non
c’era quando era
tornato.
Ora
era seduto sul divano, i suoi occhi saettavano dalla
porta di ingresso, che poteva vedere dalla sua posizione, e il suo
telefono. Lo
odiava, odiava sentirsi ancora in quel modo, soprattutto quando aveva
passato
un giorno simile a quello non molto tempo prima. Non poteva farlo di
nuovo.
I
peggiori scenari erano passati per la sua mente, immagini
di Jensen che se ne andava; aveva con sé un piccolo borsone
e una macchina per
attraversare il confine, guidava e basta, mettendo miglia e miglia tra
di loro.
Jared
si sentiva come un genitore, che aspettava perché suo
figlio tornasse a casa, e non ci fu errore nel sollievo che
provò quando la
porta di ingresso finalmente si aprì e Jensen
incespicò all’interno, con gli
occhi arrossati e la pelle così pallida che non gli ci
sarebbe voluto del
trucco perché potesse interpretasse un vampiro. I suoi
vestiti gocciolavano e i
suoi capelli erano incollati alla testa, con le gocce di pioggia che
ancora
scivolavano lungo il suo collo.
“Mi
dispiace.”
Jensen
guardò verso Jared, alle parole che aveva sussurrato
con voce spezzata e si bloccò.
“Tu
ti stai scusando?” Chiese un momento dopo e la sua voce
era debole e sottile.
Jared
si aggrappò allo stipite della porta a cui era
appoggiato e lo guardò nella luce fioca che proveniva dalla
cucina e che
invadeva il corridoio. “Sei infelice.” Disse e il
peso di quelle parole era più
di quanto sentiva di poter affrontare. “Odi questo posto. Con
me.”
“Come
puoi dirlo?” Chiese Jensen in risposta, ma non
sembrava che lo stesse negando, non davvero.
Jared
non poteva spiegarlo, sperava che non dire quelle
parole ad alta voce le rendesse meno vere. Alzò solo le
spalle e si mosse verso
Jensen.
“Sei
bagnato fradicio. Sembra che tu abbia camminato sotto
la pioggia per Dio sa quanto tempo.” Disse un momento dopo e
suonava ancora
come se fosse la risposta alla domanda di Jensen.
Gli
occhi del maggiore incontrarono i suoi per un secondo,
poi si spostarono sul pavimento di fronte a lui; il suo sguardo si
perse, come
se fosse a miglia di distanza.
“MacKenzie
ha chiamato. Voleva sapere come stavo, quello che
stavo facendo. Lo sai? Voleva solo parlare con suo fratello
maggiore.”
Jared
si maledisse per non aver visto quanto questo sarebbe
stato duro per Jensen, per non averlo anticipato quando aveva visto il
nome
della sorella di lui sullo schermo del cellulare.
L’altro
portò su di lui uno sguardo indifeso. “Come posso
essere il suo fratello maggiore, quando non riesco a smettere di essere
il tuo?”
Qualcosa
si spezzò dentro Jared, facendogli venire voglia di
raggiungerlo; andare lì ed abbracciare suo fratello, tenerlo
stretto fino a
quando la sensazione pungente nel suo stomaco non se ne fosse andata.
“Perché
dobbiamo scegliere?” Chiese, la sua voce era carica
di tristezza.
Jensen
sembrò pensarci, sembrò considerare le parole di
Jared e chiederlo davvero a se stesso. Una risposta non
arrivò mai.
“Come
ci riesci?” Chiese invece e il minore seppe cosa
voleva dire, era ancora in grado di leggere suo fratello come nessun
altro
avrebbe mai potuto fare.
“Come
ogni altro orfano, ogni altro bambino adottato,
chiunque fosse cresciuto in una famiglia allargata. Ho due madri e due
padri e
due fratelli maggiori, ma questo non vuol dire che io debba scegliere
tra di
loro.” Era facile per lui, in un modo in cui non avrebbe
dovuto esserlo, ma
Jared aveva avuto una vita intera per convivere con questo.
Jensen
inspirò a fondo e lasciò andare piano il respiro.
“Non so se sono in grado di farlo.”
“Vuoi
farlo?” E quella, proprio lì, era la domanda a cui
tutto si riduceva.
Il
silenzio calò tra di loro, a lungo e senza fiato.
Prima
Jensen annuì a scatti, poi incontrò lo sguardo
dell’altro
e disse: “Si, si.” Come se fosse una promessa e
Jared dovette combattere contro
le lacrime che minacciava di versare.
Il
maggiore rabbrividì, improvvisamente e violentemente, e
il più giovane tornò improvvisamente alla
realtà, al fatto che Jensen era
ancora nei suoi vestiti fradici che stavano sgocciolando sul pavimento.
“Accidenti,
andiamo.” Saltò su, lo raggiunse e
iniziò a
togliergli la giacca.
Jensen
rimase silenzioso mentre lo sospingeva verso la sua
stanza. Gli tolse tutti i vestiti lasciandolo in boxer; si
sentì strano a farlo
ogni volta che le sue nocche sfioravano la pelle fredda e umida
dell’altro.
Jensen non lo guardò nemmeno, fissava un punto appena fuori
dal suo spazio, in
modo da lasciare che Jared andasse avanti fino a che non avesse finito,
fino a
quando il maggiore non fu sdraiato nel suo letto sotto le coperte.
Non
era
abbastanza e lui non poteva.
Jensen
era sdraiato vicino al bordo del suo stesso letto,
piccolo e fragile e Jared non
poteva.
Non
poteva semplicemente andare oltre e avvolgersi attorno
all’altro
uomo come voleva disperatamente fare, non poteva trovare sollievo in
quel
contatto come aveva sempre fatto fin da quando era rinato come Jared; e
quella
vista lo stava uccidendo.
Spense
invece le luci, si arrampicò sul letto e si
sdraiò
dietro Jensen, abbastanza vicino da confortarlo ma senza toccarlo,
anche se
fremeva per farlo.
“Chi
sono io?” Quelle deboli parole arrivarono minuti o ore
più tardi, quando Jared si era quasi assopito.
“Tu
sei tu. Tu sei Dean e sei Jensen e non c’è
così tanta
differenza come pensi.” La risposta fu immediata, morbida e
senza esitazioni,
anche se Jared dovette ricacciare indietro quello che voleva veramente
dire. Un
singolo pensiero che continuava ad urlare dentro la sua testa.
‘Tu
sei mio.’
“Jensen
è il Dean che sarebbe sempre stato, se avesse avuto
la possibilità di avere una vita normale.”
Continuò e sperò soltanto che le sue
parole fossero di aiuto. Non poteva vedere il viso di Jensen, non
poteva
leggere nulla nella curva della sua schiena vicino a sé.
“Dean senza la sua
rabbia, senza tutto il dolore e la colpa e la conoscenza di tutto il
male che
c’è là fuori. Dean, sei sempre tu.
Solo, felice.”
Jared
giurò di aver visto le spalle dell’altro
rilassarsi.
Solo un po’, ma abbastanza per incoraggiarlo a continuare.
“Tu
continui a guardarmi le spalle. Continui ad aiutare la
gente tutte le volte che puoi.”
Sorrise
tra sé, quando verità dopo verità,
tutte le piccole
similitudini gli balenarono in mente.
“Ricordi
la rissa da bar in cui ci siamo trovati?” Sussurrò
nella
penombra tra loro. “Tu sei tornato indietro per me, mi hai
protetto, mi hai
aiutato. Questo sei tu, Dean.”
Allungò
una mano, abbastanza da poter giocare con il morbido
cuscino su cui poggiava la testa di Jensen. “La gente ancora
si rivolge a te
per avere aiuto. Ti sei accorto che ogni volta che un attore ospite,
tutte le
volte che parla della sua esperienza sul set, è il tuo nome
che menziona?” Il
cuore di Jared si gonfiò di orgoglio, nessuna traccia di
gelosia. “È sempre: ‘Jensen
ha aiutato con questo’, ‘Jensen mi ha aiutato con
quello’. Sei ancora un
leader, anche se non lo vuoi essere.”
“Tu
ti sei
occupato di me, per tutto il dannato tempo. Continui ad amare le donne
e una
buona bistecca e una buona birra, ma ora… ora ti permetti di
godere anche di
tutto il resto.
I
tuoi amici e la tua famiglia. Adori i tuoi fratelli,
proprio come… proprio come hai sempre amato me. Ti prendi
cura di tutti attorno
a te. Tu…”
Continuò
a parlare. Parlò per tutta la notte. Parlò fino a
che la sua voce divenne roca. Per tutto quel tempo non ebbe idea se
Jensen si
fosse addormentato alle sue prime parole, ma non aveva molta importanza.
****
Jared
si svegliò lentamente, chiuse le palpebre contro il
sole del mattino che filtrava attraverso la finestra e dentro i suoi
occhi. Si
accorse immediatamente del peso caldo contro di lui, si
svegliò vicino ad esso
come se fosse avvolto da una coperta perfetta, che lo manteneva
confortevole,
caldo e protetto.
Per
un secondo avrebbe solo voluto seppellirsi dentro di
essa, spostarsi il più vicino possibile, fino a non sapere
più dove finisse lui
e iniziasse Jensen. Rimanere solamente in quella bolla perfetta di
vicinanza e
affetto.
Il
desidero svanì mano a mano che si svegliava, ma la voglia
persistente rimase la stessa.
Studiò
la figura addormentata accanto a lui e si rese conto
di non poter più distinguere tra Jensen e Dean, non poteva
davvero separarli. Era
sempre stato entrambi, una vecchia anima che semplicemente viveva una
nuova
vita, ma finalmente Jared sentì anche il profondo,
incondizionato amore per suo
fratello e il crescente affetto per il suo migliore amico, fusi tra
loro.
Ancora
annebbiato dal sonno e solo ad un passo dalla realtà
in attesa appena al di fuori del suo letto, Jared non riuscì
a trovare nulla di
male in questo.
Nascose
una risata felice nel suo cuscino, conscio dell’uomo
addormentato accanto a lui, quando si accorse di Harley e Sadie
addormentati ai
piedi del letto, con i musi appoggiati sulle gambe di Jensen. Era la
prima
volta che avevano cercato il contatto con lui e sembrava un enorme
passo avanti,
ora che avevano scelto di tornare ad uno dei loro passatempi preferiti:
dividere il letto con Jensen.
Quando
Jared riportò gli occhi nuovamente sul viso
dell’altro,
trovò lo sguardo di suo fratello su di sé,
assonnato ma attento.
“Hey.”
Sussurrò il più giovane e gli fece un piccolo
sorriso, non era pronto a disturbare la pace di quelle prime ore del
mattino.
Avrebbero dovuto alzarsi presto, essere pronti per la giornata ed
essere
portati sul set, ma in quel momento avevano ancora un po’ di
tempo, non
dovevano ancora alzarsi ed affrontare il mondo.
“Hey.”
Gli rispose Jensen e la sua voce era roca, ancora
impastata dal sonno.
Jared
guardò gli occhi del fratello spostarsi da lui,
giù,
lungo il suo stesso corpo; poté vedere l’esatto
momento in cui vide i cani.
Non
gli sfuggì il respiro mozzato che sfuggì dalla
gola del
maggiore e il modo in cui i suoi occhi si addolcirono a quella vista.
“Devono
essere venuti mentre stavamo già dormendo.”
Spiegò senza
che ce ne fosse bisogno, Jensen annuì solamente, mordendosi
il labbro.
Qualcosa
si mosse dentro lo stomaco del più giovane,
rendendolo cosciente di tutti i posti in cui i loro corpi si stavano
toccando,
gambe e fianchi e braccia, e quando l’altro lo
guardò, c’era qualcosa nei suoi
occhi che Jared non poté leggere, ma che fece fluttuare il
suo stomaco ancora
di più.
“Probabilmente
dovremmo alzarci.” Suggerì e la sua voce in
quel momento suonò come quella di Jensen, rauca e bassa.
Guardò il maggiore
deglutire e poi annuire e Jared si voltò per divincolarsi
dal suo amico, con
attenzione, cercando di non svegliare i cani nel processo.
C’era
della preoccupazione che stava crescendo dentro di lui
e immediatamente non fu sicuro se questo gli piacesse. Essere di nuovo
così
legati l’uno all’altro. Non vedendo nessuno accanto
a loro. Si sentiva come se
non riuscisse a respirare. Si sentiva come se fosse finalmente a casa.
****
Era
una mattinata strana, ma per la prima volta da quando
Dean era tornato, non era strana in modo cattivo.
Era
ancora molto presto, il sole non era nemmeno ancora
sorto e faceva freddo, il respiro di Jared si condensò in
nebbia. Stavano
girando una scena notturna e gli era stato spiegato perché
lo stavano facendo
in quel momento e non… di notte, ma la sua mente non era
ancora abbastanza
sveglia e non se lo ricordava.
I
suoi occhi scivolarono verso suo fratello e poté vedere
che Jensen non sembrava stare meglio di quanto si sentisse lui. I suoi
occhi si
chiudevano ripetutamente e Jared avrebbe potuto giurare di averlo visto
ondeggiare sulle gambe un paio di volte.
O
meglio, lo aveva sentito, perché ogni volta che lo aveva
fatto, la spalla del suo amico aveva sbattuto contro la sua.
L’altro aveva
cercato quella vicinanza per tutta la mattina. In casa prima che
uscissero,
nella macchina che li aveva portati lì e ora, mentre stavano
aspettando perché
il set fosse pronto. Jensen era un passo più vicino di
quanto non fosse di
solito, si muoveva con Jared, come se fossero connessi in qualche modo
e il
maggiore dovesse rispecchiare i movimenti del minore.
Jared
non poteva dire che non gli piacesse. Gli piaceva. Ma
questo faceva anche formicolare qualcosa dentro di lui, mettendo a
tacere il
campanello dall’allarme, quello sepolto in
profondità dentro di lui, che avrebbe
dovuto dirgli qualcosa, ma non lo faceva.
Ma
era comunque troppo presto e lasciò correre, trovandosi
ad apprezzare la vicinanza di suo fratello.
Misha
lanciò loro uno sguardo strano quando Jared lo
guardò,
ma non disse nulla, il che voleva dire che perfino per lui era troppo
presto.
“Santo
cielo, hanno fatto?” Reclamò Jim, seduto sulla
sedia
a rotelle e il ragazzo lo invidiò un po’.
“Mi sto gelando il culo qui.”
“Vado
a vedere perché ci stanno mettendo tanto.” Misha
sbadigliò e poi si incamminò in direzione della
sedia del regista, dove c’era
già una massa di persone che discutevano di qualcosa.
Era
tranquillo dove Jensen, Jim e Jared stavano aspettando,
vicino al bus che faceva parte del set; lui ora ci si era appoggiato
contro e
Jensen si era addossato contro di lui seguendolo.
“Quindi
voi due siete di nuovo a posto?” Chiese Jim, la sua
voce un po’ roca e quieta.
Jared
lanciò un’occhiata a Jensen, ma forse
l’altro si era
addormentato, perché aveva gli occhi chiusi e non aveva
mosso nemmeno un
muscolo al commento di Jim.
“Sì.”
Disse e sperò che fosse vero.
L’altro
annuì e l’espressione del suo viso gli
ricordò molto
di Bobby. Ancora una volta, comunque, Jim non era mai stato
così diverso dal
vecchio cacciatore.
“Hey,
ti sei addormentato?” sussurrò quando Jensen
aprì di
nuovo gli occhi, la testa quasi appoggiata alla sua spalla. Erano soli
in quel
momento, Misha faceva ancora parte del gruppo che discuteva intorno al
regista,
e Jim se ne era andato, immaginando di poter usare
quell’attesa per un veloce
passaggio in bagno.
“Scusami.”
Borbottò Jensen, il suo respiro formò delle
piccole nuvole davanti a lui.
“Ti
ho mai parlato del giorno in cui ho scoperto che eri
reale?” Chiese Jared tranquillamente, non era sicuro del
perché quel ricordo gli
fosse tornato in mente in quel momento.
Jensen
scosse la testa, era stanco ma curioso quando
incontrò il suo sguardo.
“Quando
avevo otto anni, stavo sfogliando qualche vecchio
catalogo e rivista di mia madre. Ero così annoiato quel
giorno, e ho cominciato
a guardare le pagine.” Ricordò, era come se
potesse perfino sentire l’odore
delle pagine sottili, fredde e lisce sotto la punta delle dita.
“Ho
trovato una tua foto, Dean. Ti ho visto quando eri un
bambino, mentre indossavi questo ridicolo vestito verde ed è
stato uno dei
giorni più felici della mia vita. Sapevo che eri
là fuori da qualche parte.”
“Non
sei venuto a cercarmi?” Chiese Jensen dopo un momento e
Jared scoppiò a ridere forte.
“Amico,
avevo otto anni! E non avrei nemmeno saputo da dove
cominciare.” Batté contro la spalla del fratello.
“Poi più tardi, quando stavo
già lavorando, facevo zapping alla TV e improvvisamente ho
visto papà che
faceva gli occhi dolci ad una ragazza bionda in un ospedale. Parlando
di
stranezze…”
Sentì
la risata dell’uomo accanto a lui, percepì il
movimento scivolare lungo il suo stesso corpo. “Sapevo chi
eri, allora.”
Continuò Jared, la sua voce divenne bassa e seria.
“Ma ero… ero troppo
spaventato, credo. Avevo il tuo indirizzo e tutto, avrei potuto
semplicemente venire
da te e bussare alla tua porta. Ma…”
Non
andò oltre, i suoi occhi incontrarono quelli di Jensen e
vide la comprensione sul suo viso.
“Era
stato difficile incontrare Jess o lo sai, Adrienne.”
Sussurrò tra loro, parole così segrete che solo
un’altra persona sarebbe mai
stata in grado di sapere di cosa stesse parlando e questo lo fece
sentire bene;
essere in grado di dirlo ad alta voce lo fece sentire reale, gli diede
la
possibilità di fare un passo indietro per un momento ed
essere di nuovo Sam
Winchester. Anche solo per un piccolo attimo, ma abbastanza per dare
uno
sguardo alla sua vita.
“Ma
lei era così dolce e felice e in qualche modo questo era
bastato.” Sorrise a se stesso, non più focalizzato
su Jensen, anche se poteva
sentire comunque i suoi occhi su di sé. “Sai,
è stato grande vedere di nuovo Jo
ed Ellen e Ash. E tutte le altre persone che abbiamo perso. Ognuno di
loro vivo
e vegeto e felice con la propria vita. E hey, io e papà non
abbiamo mai avuto
un rapporto così buono come lo abbiamo ora.” Rise,
ma qualcosa si rivoltò
dentro di lui e quelle parole fecero male, lo ferirono nel profondo e
sentì le
lacrime scendere sulle sue guance prima ancora di rendersi conto di
stare
piangendo.
Trasalì
quando sentì una mano posarsi intorno alla vita, tirandolo
vicino, e quando alzò lo sguardo, incontrò quello
di suo fratello e per un
momento vide che entrambi erano lì, Dean e Jensen, e
realizzò che Jensen non se
ne era mai andato, che aveva solo lasciato passare davanti Dean.
“Va
tutto bene.” Sussurrò l’altro e
posò un bacio incurante
sulla spalla di Jared e lui non poté essere più
sorpreso, avrebbe dovuto
gridare ‘whoa’ e fare un passo indietro, o ridere.
Ma
un nodo dentro di lui che era fatto di acciaio,
finalmente si sciolse e tutto quello che sentì fu la persona
che probabilmente
amava di più al mondo, che lo teneva stretto.
“Okay
ragazzi, pronti in cinque minuti!” Urlò qualcuno e
spaventò i due uomini, che si sciolsero da quello che era
quasi un abbraccio.
“Stai
bene?” Occhi verdi lo fissarono e Jared prese un
profondo respiro e annuì.
“Sì.”
Disse e Jensen annuì solamente, sfiorando ancora una
volta la sua schiena con la mano prima di lasciarlo.
****
Jared
era sprofondato nei suoi pensieri quando entrò in casa
a mezzanotte e mezza. Era scuro, ad eccezione della luce che proveniva
dalla
cucina, e quando passò oltre la porta del soggiorno vide i
suoi cani che
dormivano sul divano.
“Jensen?”
chiamò, chiedendosi come mai l’altro uomo non
fosse andato a salutarlo. Era nervoso, non sapendo chi avrebbe potuto
incontrare quando avrebbe visto il suo amico.
Quella
notte non era buona.
Jared
vide la bottiglia di Jack Daniels poi il bicchiere
accanto ad essa, prima di vedere Jensen.
“Com’è
stata la tua serata?” chiese il suo amico.
Jared
sbatté gli occhi ed esitò. La sua serata era
stata
terribile. Era stato distratto, pensando a Jensen, Dean,
e non era stato giusto per Genevieve. All’inizio lei era
stata preoccupata, poi
si era arrabbiata quando lui non aveva voluto parlarne. Si sentiva
terribilmente
male per questo. Sapeva che avrebbe reagito allo stesso modo se lei si
fosse
rifiutata di parlare con lui, ma non poteva farci nulla. Non in quel
momento,
non in futuro.
Ma
quello non era ciò che aveva fermato Jared. Era stato lo
sguardo negli occhi di Jensen, il tono della sua voce. Il
più giovane si
strinse le braccia intorno al corpo.
“Allora
ti stai di nuovo scopando Ruby, huh?” Biascicò
l’altro,
aspro e con un sorriso freddo; Jared si bloccò.
Cercò
immediatamente di calmare i suoi nervi, sentì le dita
prudere mentre stringeva i pugni. “Sei ubriaco.”
Scattò, parlando tanto a
Jensen quanto a se stesso. “E arrabbiato. Ed io lo capisco,
Jensen, davvero. Ma
se parlerai ancora di Genevieve in quel modo…”
Catturò
lo sguardo del maggiore, assicurandosi che avesse
sentito ogni parola che aveva detto.
“Cosa…”
Iniziò Jensen, ma Jared lo interruppe all’istante.
“No.
Non dire una parola, amico. Non renderla peggiore. Dico
sul serio.” Non poteva credere alla rabbia che lo stava
attraversando, non
poteva credere che Jensen avesse davvero detto quelle parole. Sapeva
che era
difficile per lui processare tutto questo, conosceva il mix di
sentimenti che
provava tutte le volte che vedeva un volto famigliare e trovava
un’altra
persona dietro di esso, ma questo… questo era troppo.
Aspettò
perché l’altro reagisse, ma il suo amico
continuò
solo a guardarlo cupamente, aveva qualcosa scritto in volto che Jared
non
riusciva a leggere. Forse in quel momento non voleva nemmeno farlo.
“Vado
a letto. E dovresti andarci anche tu.” Disse, usando
volutamente
il suo corpo questa volta, incombendo su Jensen.
Ma
l’altro rimase silenzioso, non si mosse di un millimetro.
Ora Jared poteva sentire l’odore dell’alcool
nell’aria e rabbrividì. Jensen non
si era mai ubriacato da solo a casa prima di allora. Ed era qualcosa
che
nemmeno Dean aveva fatto spesso: ubriacarsi nelle varie stanze di motel
in cui
erano stati. Ma Jared poteva vedere con la coda dell’occhio
la bottiglia di whisky
sul bancone, già mezza vuota.
“Vai
a letto Jensen.” Ripeté, senza riuscire ad
impedire che
il nome sibilasse attraverso i suoi denti. Detto questo, si
girò, dirigendosi a
sua volta verso le scale, pregando silenziosamente perché il
maggiore facesse
quello che gli era stato detto.
“Tu
davvero
non vuoi parlare di questo?” Gli chiese Jensen perplesso.
“Davvero?” La sua
voce rimase al limite e questo suscitò in Jared il terrore
di girarsi ed
ascoltare. Ma non poté farne a meno.
Perché
dietro di essa, poté sentire la richiesta di suo fratello
che gli chiedeva di rimanere.
“Parlare
di cosa?” Chiese, sapendo che qualunque cosa fosse,
non gli sarebbe piaciuta.
Jensen
fece
un passo incerto verso di lui, le sue sopracciglia erano accigliate.
“Il fatto
che ti ho baciato.” La prima frase fu detta brutalmente, con
l’intenzione di
schiaffeggiare Jared in faccia.
Ma
la successiva fu un mormorio spaventato e quasi il minore
non lo sentì.
“Il
fatto che sono innamorato di te.”
Gli
occhi di Jared si dilatarono, sentì il sangue salirgli
alla testa. “No, questo è…”
Iniziò, la sua voce era debole. “Non puoi dire in
quel senso.”
Il
suo cuore rimbombava nel petto, la bocca gli divenne
improvvisamente secca.
Jensen
gli fece solo un sorriso stanco. “Lo sai che è
così.”
“Ma…
Dani?” Farfugliò, cercando di tenere le emozioni
sotto
controllo, quelle che stavano cominciando a montare dentro di lui.
Questo non
poteva essere vero. Non poteva succedere.
Il
dolore attraversò il volto del maggiore e, per un
secondo, Jared si pentì delle sue parole. “La amo.
Molto. Lo sai che è così. Ma
non tanto quanto amo te.” Jensen lasciò andare una
risata e lui non riuscì a
credere alle sue orecchie. “Ora finalmente inizia ad
acquistare un senso.
Perché qualsiasi cosa provi per chiunque altro non si
avvicini minimante a
quello che provo per te.”
Ilminore
fu colto dalle vertigini. Si sentiva come se
qualcuno gli stesse tirando via la terra da sotto i piedi e la sua
mente
riusciva solo a pensare ‘lui mi
ama’.
Non oltre, non alle conseguenze.
“Jensen,
tu… forse è…” non sapeva
nemmeno cosa stesse
dicendo.
E
non ebbe nemmeno un’altra occasione, perché Jensen
fece un
improvviso passo in avanti e lo raggiunse, tirandolo giù e
chiudendo la sua
bocca con un bacio.
Fu
breve e disperato e il maggiore si aggrappò a lui come se
fosse l’ultimo respiro che avrebbe mai potuto prendere. Le
mani di Jensen erano
avvolte intorno alla testa di Jared e lui avrebbe potuto giurare di
aver
sentito un gemito provenire dalla gola del maggiore. Un suono come se
stesse
morendo.
“Ci
ho provato.” Disse quando si tirò indietro, la sua
voce
era roca e tremava. Guardò Jared come se stesse guardando la
colpa
personificata.
Il
minore sentì un brivido scendergli lungo la schiena
quando pensò che forse era quello che era.
Lo
sguardo di Jensen era caldo e intenso e lui poté sentire
la sua stessa pelle fremere sotto di esso. Non sapeva cosa pensare, non
sapeva
cosa provare, con l’altro troppo vicino a lui
perché potesse concentrarsi su
qualcos’altro che non fosse la fame dentro i suoi occhi.
“Non
possiamo farlo.” Gracchiò ed era inutile e non
aveva
nulla a che fare con il problema reale. Non importava quello che
facevano,
quando volerlo era già abbastanza innaturale. Quando era
già successo.
“Pensavo
che…” Iniziò quando Jensen non disse
nulla. “Che
sarebbe… andato via. Ora che tu… che lo sai.
Voglio dire, si supponeva
passasse, giusto? Non poteva essere così tanto…
prima che sapessi chi eri,
poteva? Voglio dire con te che eri innamorato di Danneel e tutto ed
era… solo
una cotta giusto?” Si sentiva stupido, ad annaspare con le
parole, ma lui…
Lui
non sapeva cosa fare. Loro non avrebbero nemmeno dovuto
parlare di questo. Erano fratelli… lo erano prima e questa
non era la normalità
per cui Jared aveva dato così tanto.
Jensen
alzò lo sguardo su di lui, aveva un sorriso triste
sul volto. La sua voce, non più di un sussurro quando
iniziò a parlare. “Sai
che potrei scappare. Potrei andare così lontano da non
vederti mai più. Potrei
non toccarti più. Non parlare mai più con
te.”
Per
un secondo Jared fu sicuro che era quello che Jensen
avrebbe fatto. Una vampata di panico lo attraversò, il cuore
prese a
galoppargli nel petto.
“Ma
sai cosa?” Continuò il maggiore. “Non
farebbe una
dannata differenza per cambiare il fatto che mi sono innamorato di te.
È già
troppo tardi, Sammy.”
“No.”
Sussurrò Jared e il suo mondo crollò intorno a
lui, in
un secondo, lo aveva fatto un centinaio di volte da quando Dean era
tornato da
lui in questa realtà.
Jensen
impallidì e la sua mascella si chiuse in una linea
rabbiosa, ma Jared poté vedere dietro di essa, era sempre
riuscito a vedere
oltre. Era dolore.
“No,
amico, no.” Disse di nuovo, più forte questa
volta, la
disperazione cresceva nella sua voce. “Tu ami Danneel ed io
amo Genevieve e noi
dovevamo avere una vita normale. Cazzo, noi ci meritiamo una vita
normale!” Non
disse ‘tu’ anche se era quello che davvero
intendeva rispetto al ‘noi’, ma
conosceva Jensen, conosceva Dean.
“Mi
dispiace che io non mi adatti alla tua definizione di
normalità, Jared” Disse l’altro con voce
fredda e, con l’uso di quel nome, per
lui fu come prendere un pugno in faccia. “Ma non ho scelto io
tutto questo. Tu
lo hai fatto.”
Bolle
di rabbia crebbero dentro il più giovane, come
succedeva sempre, proprio come aveva continuato a fare negli ultimi
giorni.
“Non puoi buttare via quello che hai.” Gli disse,
determinato. “Non te lo
lascerò fare. Non te lo permetterò…
non per me. Tu meriti una seconda
possibilità, Dean. Un vero sprazzo di normalità e
lo avrai e io non ti lascerò
mollare tutto per me.”
Jensen
piegò la testa di lato, studiandolo, stava vibrando
di rabbia. “Tu sei un contorto figlio di puttana, lo sai
vero?” Disse e la cosa
che bruciava tra di loro si spostò, si trasformò,
aggiungendo ora qualcosa di
più oscuro. “Tu hai espresso il desiderio per
tutto questo. In modo da essere
dannatamente sicuro che io non ricordassi nulla di quello che
c’era prima.”
Si
avvicinò a lui, ma Jared rimase immobile, anche se
poté
sentire di nuovo il suo odore, un misto di alcool e colonia e
qualcos’altro
appena al di sotto.
“È
poi sei tornato di nuovo nella mia vita, sei diventato
mio amico, cazzo mi hai lasciato vivere con te e ora biasimi me
perché tutto è
andato fuori controllo?” Sogghignò, ed era
direttamente nello spazio di Jared,
distante solo un respiro. “Vedi, Sammy, questo è
quello che ottieni quando
inizi a fare casini con il Trickster.”
“No,
Gesù, cazzo!” Esplose Jared. “Non sto
biasimando te!
Dannazione, hai almeno sentito quello che sto dicendo?” Ma
non andò oltre
perché Jensen non lo stava ascoltando.
Poté
vederlo quando il volto dell’altro si trasformò in
una
maschera, troppo famigliare, troppo dolorosa da guardare, e gli pose
l’unica
domanda che aveva temuto per tutto il tempo.
“Ti
sono mancato? In tutti i tuoi dannati 27 anni qui, cazzo
ti sono mancato almeno una volta?!”
Jared
rimase in silenzio. La sua gola era bloccata e le sue
labbra erano sigillate. Perché non c’era una
risposta semplice per questo. E,
solo quello, sembrava come un proiettile sparato attraverso il cuore
del
fratello; l’eco di quel dolore sparato attraverso il proprio.
La
rabbia, il dolore e la cosa indicibile che veniva emanata
da Jensen in ondate, non c’era modo per Jared di non
sentirla, di poterla
ignorarla. C’era una piccola parte dentro di lui che stava
chiedendo
attenzione: il modo in cui Jensen lo stava guardando, come se fosse il
suo intero
mondo, buono e cattivo.
E
c’era una grossa parte in Jared che cercava di fargli
vedere che non era mai stato differente.
Ma
lui ignorò tutto. Sfuggì a se stesso,
combatté con se
stesso per prendere la giusta decisione, per porre fine a quella follia
tra di
loro, invece di alimentarla ulteriormente.
Doveva
andarsene, doveva uscirne, perché questa lotta poteva
solo finire in due modi. Uno che non poteva nemmeno pensare fosse
possibile e
l’altro che avrebbe solo potuto ucciderli. Conosceva troppo
bene suo fratello,
li conosceva troppo bene entrambi (Jensen e Dean).
Ricordava
quello che Dean gli aveva detto una volta. “Siamo il fuoco
e
la benzina dell’Armageddon.”
Si
era sbagliato. Loro erano ancora fuoco e benzina. Ma uno
dell’altro. Lo erano sempre stati. Il loro rapporto era
sempre stato troppo
intenso per essere sano. Troppo per stargli lontano per troppo tempo.
“Dean,
vai a letto.” Disse di nuovo e la sua voce non
vacillò.
Jared
notò solo le sue mani tremanti, quando passò
vicino a
Jensen e chiuse la porta della sua stanza dietro di sé,
sentendo il click della
porta dell’altro che si chiudeva in risposta.
****
Non
si parlarono fino a pranzo, ma Jared poté vedere come
tutta la rabbia doveva aver lasciato Jensen durante la notte,
perché aveva
cercato freneticamente qualcosa da dirgli, le giuste parole per
scusarsi.
Stava
facendo tutto Jensen, non Dean, e Jared sussultò a
quel pensiero. C’erano cose che suo fratello non avrebbe mai
fatto, ed ora che
il minore sapeva che era stato dentro di lui per tutto il tempo, si
chiese allora
cosa lo avesse fatto andare via. Si chiese attraverso cosa fosse
passato Dean da
averlo reso arrabbiato, così colpevole, perfino prima
dell’inferno o
dell’Apocalisse.
Jared,
Sam,
bloccò i pensieri su suo padre non appena questi
cominciarono. Aveva giurato a
se stesso di non andare là mai più.
Genevieve
era lì, sul set, per tutto il tempo fino a che il
regista non aveva chiamato il ‘cut’, e poi a
pranzo, e in qualche modo Jared si
sentiva bene, si sentiva come se la sua mente fosse stata strappata
dalla
follia che era di nuovo la sua vita. Parlarono e risero tra una pausa e
l’altra, giocarono con i cani e si sentì quasi
normale, se non fosse stato per
lo sguardo colpevole che Jensen continuava a lanciare loro quando
pensava che
Jared non lo potesse vedere.
Genevieve
se ne andò, con un breve bacio sulle labbra e
pregandolo di parlare con il suo amico, perché non poteva
sopportare che loro
due non si parlassero.
Jared
si sentì perfino peggio dopo, si sentì ancora di
più
fuori equilibrio e lo odiò, odiava sentirsi come un bambino
che vuole che tutto
torni di nuovo a posto, ma non può desiderarlo tanto forte
quanto vorrebbe e
non riesce a farlo diventare realtà.
“So
che non c’è un modo in cui io possa mai scusarmi
nella
maniera giusta,” La voce lo spaventò e quando si
girò trovò Jensen dietro di sé,
sembrava provato e colpevole e lui avrebbe voluto fermarlo in quel
momento,
perché non poteva sopportare di vederlo in quel modo.
“Ma voglio che tu sappia
che mi dispiace. Mi dispiace davvero, Jared, non avrei dovuto dire
quello che
ho detto su Genevieve.”
Invece
di dire qualcosa, lui si limitò ad annuire,
assicurandosi che Jensen lo vedesse e si voltò verso il
buffet, continuando a
riempire il suo contenitore di polistirolo.
Poteva
sentire il maggiore dietro di lui, una presenza
solida e famigliare, ma c’era della gente intorno a loro,
occhi che li
seguivano, preoccupati e confusi e Jared sapeva che avevano tenuto
tutti i loro
colleghi sulla corda ultimamente, ma non sapeva cosa poteva farci.
“Perché
lo hai fatto?” Sussurrò Jensen e questo lo fece
voltare. “Perché hai scelto di lavorare con me?
Perché diventare mio amico,
perché venire perfino a vivere con me?”
Jensen
sembrava addolorato, pronto per una risposta che non
gli sarebbe piaciuta, e Jared si sentì crollare di fronte a
quello, sentì tutta
la voglia di lottare scivolare fuori dal suo corpo.
“Ho
sempre pensato che volessi una vita normale per te.
Avresti potuto vivere la tua vita senza di me. Perché hai
scelto di nuovo tutto
questo?” Era una versione di quello che Jensen aveva detto la
sera prima, ma
questa volta, era quello che intendeva davvero.
Jared
ascoltò le parole non dette e si sentì pronto a
piangere. Le sue spalle tremarono, il respiro lasciò la sua
gola e sentì di non
essere in grado di poter continuare. Lo sguardo costante sul viso di
Jensen, Dean,
come se lui fosse un peso per
lumanità, il costante pensiero visibile sul suo
volto che lui a Jared, Sam,
nemmeno piacesse.
Con
cautela, il minore chiuse il contenitore che aveva in
mano e lo aggiunse all’altro che aveva già
riempito. Quindi si voltò verso suo
fratello. “Non so più cosa fare, Dean.”
Disse, abbastanza piano perché solo lui
potesse sentirlo. “Ho provato per tutta la vita di fartelo
vedere. Mi sento
come se avessi urlato fino a perdere la voce cercando di dirtelo, ma tu
proprio
non vuoi ascoltare.”
Si
fece un passo più vicino, coscio di ogni paio di occhi
che li seguivano, ma ormai aveva smesso di preoccuparsi anche di
quello. “Ti
voglio bene, Dean. L’ho sempre fatto e lo farò
sempre e niente di quello che
puoi fare potrà mai cambiare questo. Il fatto che me ne sia
andato non ha mai
avuto a che fare con te. Il fatto che odiassi la vita che avevamo, non
ha mai
significato che io odiassi te. A volte penso solo che tu non voglia
credermi,
ma la verità è, che ti amo più di
qualsiasi altro. E qui, con te come Jensen, è
ancora vero.” Deglutì per mandare giù
il groppo che aveva in gola. “E questo è
il motivo per cui continuo a lottare perché tu abbia la vita
che hai sempre voluto.
E non te la lascerò distruggere.”
Si
tirò indietro, prese un respiro profondo e vide
l’espressione scioccata sul viso di Jensen, ma non
poté affrontarla in quel
momento, non poteva dire più di quando avesse già
detto, perché si sentiva
svuotato, prosciugato; sperò solo che questa volta fosse
finalmente riuscito ad
arrivare a suo fratello.
Si
sentì strano quando si diresse verso il tavolo, dopo aver
confessato il suo amore in una tenda piena di cibo e oggetti da cucina
e la crew,
perché continuava a sentirsi come se Jensen e lui, Dean
e lui, fossero gli unici in quel luogo, come se
condividessero il
proprio mondo.
Non
voleva sentirsi spaventato dalle sue stesse parole,
perché sapeva che erano vere, che nessuno, non la sua
famiglia e non Genevieve,
potevamo nemmeno avvicinarsi a suo fratello. Allo stesso tempo, aveva
bisogno
che Dean scegliesse qualcosa, qualcuno, che non fosse lui. E anche se
doveva
seppellire quel dolore in profondità dentro di
sé, nessuno altro doveva
saperlo.
N.d.T.
Questo
è forse il capitolo che più amo e che ho trovato
di un impatto emotivo molto forte. Quello che prova Jensen è
fin troppo evidente pur non essendo raccontato attraverso il suo POV,
ma forse ancorapiù forte perchè vissuto
attraverso il punto di vista di Jared. Jared e Jensen e Sam e Dean
cominciano a confondersi e fondersi in qualcosa di nuovo che li rende
un tutt'uno con quello che sono ora e quello che erano in passato, ma
come ha giustamente fatto notare Jared, lui ha avuto molto tempo per
abiturasi a quella nuova vita, per Jensen invece si tratta di una
consapevolezza arrivata senza preavviso e a cui è difficile
adattarsi.
Spero
che il capitolo vi siapiaciuto, vi aspetto al prossimo!
Ciao
Simona
|
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Capitolo 7 *** Capitolo VII ***
N.d.T
Rieccomi
qui, scusate per il tremendo ritardo nel postare il
nuovo capitolo. A parte un periodo molto impegnativo sul lavoro che ha
fatto
allungare molto i tempi, ci si è messo anche il problema di
come comporre un
capitolo che sarebbe impossibile postare efp per le regole che si
riferiscono
alle storie che riguardano l’incesto.
Potrei
aprire una lunghissima discussione sul fatto che la
storia riguarda Jared e Jensen che non sono fratelli, ma è
impossibile (anche
per come è scritta la parte che segue) non ammettere che si
tratta alla stesso
tempo di Sam e Dean che invece sono chiaramente fratelli. In questo
mondo
parallelo non c’è nessun legame di sangue tra di
loro, eppure la forza di
questa storia è proprio il fatto che Jensen e Jared sono le
reincarnazioni dei
Winchester e che tutto si basa sul tabù
dell’incesto che li teneva bloccati (in
modo inconscio) nella vita precedente, così come li ferma
(coscientemente) in
questa nuova vita.
Potete
capire come questo dilemma abbia incasinato alquanto
tutta la situazione e quella che poteva essere solo una semplice
traduzione, si
è trasformata in parziale rimaneggiamento.
Premetto
che il capitolo nella sua traduzione integrale (così
come tutta la storia postata fino a qui), è stato postato
sulla mia pagina di
livejournal e che quindi chi lo vorrà potrà
comunque leggerlo. Qui su efp
invece ho pubblicato una versione epurata, in cui le scene di sesso
sono state
tolte.
Per
rendere scorrevole la scrittura e non lasciare la storia
monca, ho aggiunto alcuni paragrafi scritti da me, che facessero da
congiunzione tra le parti tagliate. Poche righe che cercano di
riportare il
contenuto emotivo presente nelle parti eliminate. Questi piccoli
paragrafi sono
scritti in corsivo e di colore blu in modo che si capisca che non sono
parti
scritte dall’autrice, ma da me.
Dopo
questa doverosa premessa vi lascio al lunghissimo
capitolo, sperando che vi piaccia.
Questo
è il link per il capitolo tradotto completo: http://thinias.livejournal.com/34119.html
Capitolo VII
Jared
non si era mai considerato una persona che ricorre a
misure disperate, ma i giorni si trascinavano, le ore sul set
diventavano
ancora più pesanti ora che stavano girando il finale di
stagione, e non stavano
migliorando. Si sentiva come se lui e Jensen fossero bloccati
all’interno di
una bolla, solo loro due, ma non stavano andando oltre e non ne stavano
uscendo.
E
c’era questa idea fissa nella sua mente, ed era ridicolo e
stupido ed in effetti anche illegale ma, invece che andare via,
cresceva
diventando sempre più perfetta. Aveva bisogno che facessero
una pausa, che andassero
avanti e c’era un solo modo per farlo.
Jared
aspettò che il giorno finisse, rimase indietro quando
Jensen tornò a casa e seguì il suo piano.
Parcheggiò
la macchina di fronte alla loro casa, appena
dietro la macchina del maggiore, suonò il clacson e
uscì dall’abitacolo. Guardava
la porta di ingresso quando Jensen uscì.
Jared
poté vedere l’esatto momento in cui gli occhi
dell’altro caddero sulla macchina e tutti i suoi sforzi di
mantenere le distanze
tra di loro, scivolarono via.
“Hai
rubato l’Impala?”
Jensen fece alcuni passi nel giardino di fronte a casa, il suo sguardo
si
spostava tra il minore e la Chevy.
L’altro
alzò le spalle. “Tu l’hai rubata prima
che lo
facessi io.”
Jensen
lo guardò con sospetto, poi sbuffò.
“Beh, tu non
dovresti fare quello che faccio io.”
“Tu
sei mio fratello maggiore.” Jared sghignazzò.
“Non posso
farci nulla.”
Jensen
si irrigidì per un momento, lo studiò, ma poi i
suoi
occhi tornarono sulla macchina e Jared lo guardò rilassarsi.
“Ho
pensato di prenderla per fare un giro.” Suggerì il
minore cautamente, preoccupato che Jensen potesse ancora voltarsi ed
andarsene.
“Il cielo è abbastanza sereno stasera.”
Quello
che ottenne fu uno sguardo sorpreso e qualcos’altro,
qualcosa di simile alla speranza, che lampeggiò sul volto di
Jensen.
“Hai
letto lo script, amico, so che te lo ricordi.” Jared
rise.
Aveva
visto Jensen leggere lo script dell’ultimo episodio
della stagione, lo aveva visto librarsi sopra le piccole scene di
flashback di
Sam e Dean che passano il loro tempo nell’Impala, o di loro
due seduti su di
lei, sotto le stelle. Sapeva che Jensen ricordava, proprio come lui.
“Avremmo
dovuto farlo più spesso, allora.” Disse Jared
piano. “E dovremmo decisamente farlo ora.”
Jensen
lo guardò cautamente, ma non poteva ingannarlo, non
poteva nascondere la scintilla che aveva negli occhi. “Tu sei
pazzo.”
“Me
lo hanno detto.” Jared alzò di nuovo le spalle, ma
sapeva di averlo in pugno e sorrise quando l’altro si mosse
finalmente verso di
lui.
“Guido
io, stronzo.” Disse Jensen e Jared rise gettandogli
le chiavi.
“Non
mi aspettavo nulla di diverso, coglione.”
E
così, semplicemente, furono di nuovo sulla strada giusta.
Trovarono
un posticino silenzioso e solitario, poche miglia
fuori Vancouver; una piccola collina, circondata solo su due lati da
pochi
alberi, che lasciavano arrivare fino a loro la luce della luna e delle
stelle.
Jared
poté vedere Jensen lottare con se stesso per decidere
se fare un commento sarcastico, ma i vecchi ricordi ovviamente vinsero
e
l’altro rimase silenzioso.
Il
maggiore rise forte quando Jared aprì il bagagliaio e
tirò fuori alcune bottiglie di birra dal frigo che vi aveva
messo dentro;
gliene porse una e percepì il grande sorriso che aveva sul
viso. E fu
probabilmente la prima volta che credette a se stesso quando
pensò che sarebbero
stati bene.
Era
freddo fuori, il vento soffiava e Jared continuava a
sentirsi meglio di quanto non ricordasse di essere stato da molto
tempo. Il
cofano era ancora caldo sotto di loro quando si sedettero
silenziosamente uno
vicino all’altro, sorseggiando le loro birre e guardando le
stelle.
Si
sentiva un po’ sdolcinato, ma molto come ai vecchi tempi,
quando erano solo loro due, con Bobby e Castiel che li guardavano da
bordo
campo. Tanto quanto Jared amava la sua vita e le persone che ne
facevano parte,
doveva ammettere che questo gli era mancato.
Che
gli era mancato avere Dean
tutto per sé.
“Mi
hai chiesto se mi sei mai mancato.” Iniziò a
parlare nel
silenzio e sentì suo fratello irrigidirsi vicino a lui,
sentì l’immediato
cambiamento nell’aria.
“Si
e no.” Continuò, perché
c’erano parole che andavano
dette e Jared sentì che avrebbe dovuto farlo da molto tempo.
Quasi
se ne pentì comunque, quando catturò lo sguardo
negli
occhi dell’altro. Vide un dolore così profondo
riflettersi in essi e non riuscì
a credere che lo stava facendo di nuovo, che poteva ancora ferire suo
fratello
più profondamente di ogni altra persona sul pianeta.
“Quello
che mi è mancato… la persona che mi è
mancata era il
Dean che mi conosceva.” Si affrettò a spiegare.
“Il Dean che è cresciuto con
me, quello che è stato lì per ogni passo
importante della mia vita. Mi è
mancato il Dean che avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, che mi amava
più di
ogni altra cosa al mondo.”
Jared
cercò di deglutire per mandare giù il groppo che
aveva
in gola, se la schiarì prima di continuare. “Ma
sapevo che questo era egoista,
sapevo che era solo per me. Perché volevo tu avessi tutto
quello che hai sempre
desiderato, Dean. Avevi la possibilità di avere una vita
normale e anche se io
volevo disperatamente che tu sapessi chi ero, volevo di più
che tu avessi
un’altra chance.”
C’era
una frase che non stava dicendo, qualcosa che non era
necessario dire ad alta voce e quando Jensen incontrò il suo
sguardo per un
breve momento, seppe che l’aveva sentita comunque.
‘È
quello che tu
avresti fatto per me.’
“C’è
mai stato un momento in cui avrei voluto dirtelo?” Il
respiro di Jared si spezzò. “Si, Dean,
naturalmente c’è stato.”
La
testa di Jensen sussultò girandosi verso di lui, i suoi
occhi erano curiosi e sorpresi. “Quando?”
“La
prima volta che ci siamo incontrati.” Jared chiuse
brevemente gli occhi quando, ripensando a quel momento, le emozioni
aggredirono
il suo cuore. Ne ricordava ogni secondo. Ricordò quanto
Jensen gli fosse
sembrato famigliare e quanto fosse come Dean, tanto che aveva avuto
paura che
potesse leggere tutto dall’espressione del suo viso. Mai
prima di allora e
nemmeno dopo, aveva sentito il suo cuore andare in pezzi ed essere
completo
allo stesso tempo. “Tu mi guardavi come… come se
non mi conoscessi per niente,
come se non ti importasse nulla di me.”
“Perché
non lo hai fatto?” Chiese Jensen quando l’altro non
continuò. “Cos’è
cambiato?”
Jared
esitò, sapendo come sarebbero suonate le sue
successive parole. E subito si chiese se fosse mai davvero stato
sorpreso da
tutto quello che era successo tra di loro. Si chiese se davvero non
avesse sempre
saputo quello che Jensen sentiva per lui. Se davvero non avesse visto
dove,
qualunque cosa ci fosse tra di loro, fosse rimasta nascosta per tutto
il tempo.
C’era
qualcosa di caldo che si stava diffondendo nella sua
pancia quando rispose e il suo primo istinto fu di combatterlo, ma non
poteva.
Non in quel momento, non quel giorno.
“Il
modo in cui mi ha i guardato.”
****
Era
tardi, dopo mezzanotte, quando tornarono a casa. Gli
restavano solo quattro ore di sonno, ma quando Jared vide
l’espressione
rilassata sul viso di Jensen, pensò ancora che ne fosse
valsa la pena.
Non
si erano detti una parola per tutto il tragitto fino a
casa, Jensen gli aveva fatto solo un piccolo sorriso e aveva annuito
prima che Jared
salisse per le scale, entrambi pronti per andare a letto.
Sorrise
quando sentì l’altro al piano di sotto. Erano
suoni
famigliari: il rumore del calpestio dei piedi nudi sulle piastrelle,
l’acqua
che colpisce il lavandino quando viene aperto il rubinetto. Jared
trovò un
profondo appagamento nell’ascoltarli, nel sapere che
l’uomo che li stava
producendo era suo fratello e il suo migliore amico e molto
più di questo.
Si
perse nei suoi pensieri, nella noiosa ripetizione della
propria routine serale, senza più ascoltare quello che lo
circondava.
Ecco
perché quasi saltò quando un corpo caldo si
appoggiò
improvvisamente contro la sua schiena.
“Devi
fermarmi, Jared.” Sussurrò Jensen e il suo respiro
colpì il collo del minore, facendolo boccheggiare e
rabbrividire all’improvvisa
intrusione.
Jensen
sapeva
che lì era sensibile.
Aveva
la lingua aggrovigliata in bocca e le mani aggrappate
al lavandino, ma una voce distante, dentro di lui, continuava a sperare
che si
trattasse di un sogno, o di un caso, e che Jensen si sarebbe fatto
indietro da
un momento all’altro.
Ma
il maggiore non si mosse e Jared rimase congelato sul
posto. Il suo cuore batteva rapidamente e lui sapeva, sapeva quello che
avrebbe
dovuto fare, ma non poteva.
“Fermami,
Jared.” Mormorò Jensen contro la pelle del suo
collo; le sue labbra bruciavano e le sue mani circondavano la vita di
Jared
tirandolo vicino.
Il
minore sentì un brivido corrergli lungo la schiena,
chiuse gli occhi a quella sensazione. Dimenticò come braccia
e gambe
lavorassero, dimenticò come dare forma alle parole nella sua
bocca.
“Dio,
cazzo, fermami.” Sussurrò di nuovo Jensen; gemette
e,
quando Jared si rigirò, catturò uno scintillio
negli occhi del maggiore. I suoi
occhi erano scuri e famelici e confusi.
“Jared...”
I denti di Jensen strisciarono debolmente sulla
pelle soffice della sua clavicola, muovendosi sempre più
verso il basso; le sue
mani tirarono la camicia di Jared verso l’alto, scivolando
sotto di essa,
mentre la sua bocca leccava e mordeva ogni centimetro di pelle che
riusciva a
trovare.
Jared
ebbe le vertigini, sentì la voglia crescere dentro di
lui così velocemente da spingere fuori il suo respiro. Non
poteva farlo. Non
poteva lasciare che Jensen lo facesse.
“Jared,
fermami.” Lo supplicò Jensen piano, le sue dita
lavoravano
per aprire i pantaloni dell’altro e sembrava disperato e allo
stesso tempo
incapace di resistere.
“Sam.”
La
parola sgorgò fuori dalla bocca di Jensen e lo
colpì direttamente nella pancia.
Il maggiore lo morse sulla pelle morbida proprio sotto
l’ombelico e Jared poté
sentire il gemito che questa volta lasciò la sua bocca;
cercò di raggiungere la
superficie più vicina per tenersi in equilibrio, quando le
sue ginocchia si
piegarono sotto di lui.
“No,
non farlo.” Rantolò Jared e cercò di
raggiungerlo, tirò
la sua camicia per averlo più vicino. Non sapeva nemmeno
quello che stava dicendo.
Jensen
lo guardò, già quasi in ginocchio, mentre
già gli stava
tirando giù i pantaloni. “Cazzo... fermami,
Sam!” Disse, la sua voce bassa e
gutturale in un modo che Jared non aveva mai sentito prima, ma che era
sorprendentemente
chiaro, e il maggiore doveva sapere cosa gli avrebbe fatto quel nome
questa
volta.
Jared
poté sentire i suoi occhi rivoltarsi nella sua testa e
i suoi fianchi spingersi impotenti contro l’uomo di fronte a
sé.
“No...”
Gracchiò, e fu una risposta non un ordine e sapeva
cosa questo significasse. Fu l’ultimo pensiero coerente che
ebbe per diverso
tempo.
Lasciò
che Jensen lo guidasse all’inseguimento di un
piacere che ora voleva anche lui, e che non poteva più
contrastare. Il maggiore
lo accompagnò oltre il baratro e quando Jared lo
guardò, attraverso occhi che
faticava a tenere aperti, con i muscoli che ancora si contraevano dopo
lo shock
dell’orgasmo, non poté credere a quello che
avevano fatto.
E
sembrò che anche Jensen lo stesse realizzando.
Lanciò
a Jared uno sguardo scioccato. I suoi occhi
corsero lungo il corpo del più giovane che teneva tra le
mani le lenzuola
strappate; aveva i pantaloni e i boxer intorno alle caviglie. Jared
poté solo
immaginare cosa Jensen, cosa Dean,
stesse vedendo: il suo fratellino che
giaceva arruffato ed appagato sul letto, e del quale, probabilmente, il
maggiore poteva ancora sentire il sapore in bocca.
Il
suono della porta che si chiudeva con uno schianto,
quando Jensen fuggì dalla stanza, fu il suono più
forte che Jared avesse mai
sentito. Poteva ancora sentirlo risuonare nelle sue orecchie il mattino
successivo quando si fece la doccia e, con indosso vestiti puliti, in
qualche
modo poteva ancora sentire l’odore del fratello sul proprio
corpo.
***
Jared
voleva quasi gridare ‘cut’ e mollare tutto.
Prendere
suo fratello e andarsene senza più guardarsi indietro.
Perché
era suo fratello che stava rivivendo il periodo
peggiore della sua vita. Era il dolore di suo fratello quello che
traspariva
dal viso di Jensen ed erano le lacrime di suo fratello che brillavano
nei suoi
occhi.
Era
la prima volta che Jared poteva pensare a qualcos’altro
quando lo guardava, che poteva allontanare l’immagine
dell’altro uomo sudato,
con gli occhi dilatati dall’eccitazione. Che riusciva pensare
a qualcos’altro
che non fosse la sensazione del suo membro nella gola di suo fratello.
Che
poteva provare qualcos’altro, oltre al miscuglio di orrore,
bisogno, shock e
puro, profondo desiderio.
Si
sarebbe dovuto sentire imbarazzato per se stesso, se solo
la vista di suo fratello che veniva fatto a pezzi da un vecchio dolore
non lo
stesse uccidendo.
Era
strana e differente, quella scena. Sdraiato sul
pavimento, gli occhi chiusi, sapendo che Mark era sdraiato
lì vicino, l’unico
suono che sentiva era Jensen sopra di sé, non stava nemmeno
dicendo qualcosa,
era solo lacerato, con le lacrime agli occhi. Jared sapeva tutto questo
perché
aveva letto lo script e sapeva come Jensen avrebbe interpretato il
ruolo. Non
lo aveva visto nemmeno allora ma qualcosa, dell’essere solo
con soltanto il
rumore, lo rendeva diverso. In momenti come quello la sua mente
sembrava
andarsene, sembrava dimenticarsi che questo, tutto questo, era finito e
se ne
era andato da molto tempo. Che non erano più le stesse
persone.
Qualcosa
nella sua mente gli aveva fatto scordare che tutto
ciò non stava accadendo in quel momento.
C’erano
stati giorni peggiori, scene peggiori da
interpretare. E non importava quanto spesso Jared avesse letto le
battute,
ancora e ancora, lottando dentro sé per andare contro di
esse; niente lo aveva
preparato al giacere in un letto in una casa abbandonata, fingendosi
morto, e
sentire suo fratello che parlava con lui. Gli aveva fatto molto male
sapere che
una volta Dean gli aveva detto le stesse esatte parole, quando era
morto, ed
era sembrato così aperto, così crudo, spogliato e
scorticato fin dentro l’anima.
Jared avrebbe ricordato per sempre di essere stato sdraiato su quel
letto,
mentre realmente una parte dentro di lui moriva.
Questa
scena però, era diversa. Perché questa volta,
c’era
anche Dean.
****
“È
incredibile.” Sussurrò Jared, scuotendo la testa;
chiuse
le mani a pugno e guardò Jensen voltarsi e lanciargli uno
sguardo innocente.
Avrebbe
funzionato molto meglio se solo Jensen lo avesse
guardato almeno una volta nelle ultime ore.
“Cosa?”
Aveva avuto le palle di chiedere, come se non ci
fosse nulla che non andasse. Come se Jared non si sentisse come se gli
mancasse
un arto.
“Tu!”
Lo derise Jared immediatamente, facendo cambiare
all’istante l’espressione sulla faccia di suo
fratello.
Erano
esausti, fisicamente ed emotivamente drenati e la
giornata non aveva aiutato, li aveva solo portati al limite; la lotta
esplose
tra di loro fin troppo facilmente, a quel punto era solo
l’ultima goccia in un
vaso già pieno fino al limite.
“Cosa
diavolo ho fatto adesso?!” Urlò Jensen,
infastidito e
incazzato. Jared avrebbe anche potuto lamentarsi solamente della
bottiglia del
latte lasciata aperta (o del tempo) e loro sarebbero comunque stati
esattamente
dove si trovavano ora, a fissarsi l’un l’altro, con
l’aria che ronzava per la
tensione.
“Non
mi hai nemmeno guardato, per tutto il giorno!”
“Oh,
andiamo!” Disse Jensen, schernendolo e agendo come se
l’altro
fosse solo un bambino capriccioso. “Ero impegnato a lavorare,
se non te ne fossi
accorto. E anche ad alcune scene del cazzo molto pesanti.”
“Gesù,
non mi parlare in quel modo, Jensen!” Jared seguiva
ogni passo del maggiore, silenziosamente, sapeva che l’altro
non aveva davvero
una destinazione in mente. Stava solo camminando attraverso la casa,
allontanandosi da lui.
“In
che modo?”
“Come
se fossi il fratellino minore, troppo stupido per
comprendere.”
In
effetti questa sembrava degna come risposta; Jensen si
fermò e incontrò gli occhi di Jared con uno
sguardo vacuo. “Beh, se la scarpa
calza…”
“Fottuto…”
Jared si fermò, guardò il pavimento e prese un
respiro profondo. Era la famigliarità di tutto questo che lo
spaventava in un
modo in cui non avrebbe dovuto. Nonostante tutti i danni che stava
facendo,
c’era una piccola parte dentro di lui che stava godendo di
quello, godendo di
essere in grado di lottare di nuovo contro Dean.
“Vuoi
farti da parte, Padalecki?”
Jared
alzò di nuovo lo sguardo, rendendosi conto di bloccare
la porta tra la cucina e il soggiorno e fece un passo indietro prima di
rendersene conto. Era una nuova cosa che Jensen, Dean,
faceva. Lo chiamava ‘Padalecki’ tutte le volte che
cominciavano a litigare e
Jared sapeva anche perché lo faceva. Teneva Jared a
distanza. Lo faceva
diventare solo un amico. Non era nient’altro per Dean.
“Cazzo,
vuoi fermarti almeno per un secondo?”
Avrebbe
voluto ridere quando Jensen lo fece, avrebbe voluto
fargli notare quanto questo fosse ridicolo.
Jared
era ai piedi delle scale che guardava in alto verso il
maggiore, che si era fermato in cima. E come avevano fatto a finire
lì? In ogni
caso non c’era nulla al piano di sopra che avesse a che fare
con Jensen, era il
piano del minore.
“Cosa
vuoi che faccia, huh?” Jensen gesticolò
violentemente.
“Ci sto provando, cazzo. Ci sto provando davvero, amico. Sono
ancora qui, non è
vero? Sto rivivendo ogni singolo errore della mia vita, per poi girarmi
e
sorridere alla telecamera! Ma cazzo, sono ancora qui!”
Qualcosa
si chiuse nella gola di Jared. “Si,
grazie a Dio lo sei.” Avrebbe voluto
dirlo. Ma non poteva.
“Ma
non posso solo girare l’interruttore ed essere chi tu
vuoi che io sia!” Continuò l’altro.
“Jensen,
io non voglio che tu sia nessuno, se non te
stesso.” Disse il più giovane, e sapeva che
suonava come un lamento.
Jensen
lo guardò. “Pensaci ancora, genio. Cosa
è successo
ieri?”
Jared
chiuse le palpebre per un attimo, fece una smorfia, le
immagini di calore e di pelle e di voglia, passarono davanti ai suoi
occhi.
“Questo
sono io, ora. È quello che sono e non importa quello
che io faccia, non posso fermarlo. Non andrà via.”
“Jensen.”
Iniziò Jared, anche se non aveva idea di quello
che voleva dire, voleva solo che l’altro si fermasse, voleva
che il dolore
lasciasse la voce di Jensen.
“Mi
ricordo di come sei caduto… prima.” Jared
sentì Jensen
deglutire pesantemente perfino da dove si trovava.
“È
stato sopportabile, allora. Andava… bene, convivere con
quella cosa. Ma ora? Sam, tu sei già
così… cazzo, tu sei già entrato
così in
profondità sotto la mia pelle, che non
c’è modo in cui possa ignorarlo adesso.
Non c’è modo in cui possa ignorare quello che
provo per te, adesso.” Ripeté
Jensen, a bassa voce, chiaramente non avvezzo a dire cose come quella
ad alta
voce, ad essere così aperto su quello che provava.
Questo
incrinò il cuore di Jared.
“Io
ho solo bisogno che torni.” Confessò il minore,
fanculo
all’atteggiamento virile e alla regola del
non-si-parla-dei-propri-sentimenti.
Erano andati troppo oltre, troppo in profondità.
“Dean,
tutto quello che abbiamo fatto da quando sei tornato
è staccarci la testa uno con l’altro! Litighiamo
costantemente e io non posso
continuare! Non quando l’unica cosa che vorrei è
stringere le braccia intorno a
te ed essere felice che tu sia qui.”
Jared
chiuse gli occhi per un attimo, prese un respiro
tremante.
“Ci
stiamo facendo a pezzi. Come abbiamo fatto allora... e
io non so se posso sopravvivere a questo una seconda volta.”
Osservò
Jensen scrollare le spalle impotente. “Te l’ho
detto. Non so cosa vuoi da me.”
Rimasero
in silenzio per un momento, come se stessero
galleggiando nell’occhio di un ciclone e Jensen era
già pronto a girarsi ed
andarsene quando, improvvisamente, era tornato indietro con un profondo
cipiglio sul volto.
“Sai
cosa? Con tutto il dannato parlare di me e dei miei
cazzo di sentimenti per te – quando inizieremo a parlare di
te, tanto per
cambiare, huh? E di come non ti sei esattamente sentito così
tanto diverso da
me!”
“Di
cosa stai parlando?” Chiese Jared, reagendo in modo
esagerato.
Tornarono
di nuovo punto e a capo, con una tensione rabbiosa
tra di loro, come un elastico teso.
“Oh,
andiamo! Almeno abbi la decenza di non mentirmi guardandomi
in faccia, Jared!” Gridò Jensen. “Quando
parleremo del fatto che tu non mi hai
immediatamente spinto via, quando ti ho baciato in cucina? Che ai
risposto al
mio bacio, cazzo! E non come ho fatto io, tu sapevi dannatamente bene
chi io
fossi!”
“Cosa?”
Gracchiò Jared, sentendo il calore risalire al suo
volto.
“In
ogni momento in cui ho incasinato tutto, tu non hai
esattamente detto di no, Sam. Ti conosco. Ti conoscevo allora e ti
conosco ora.
E quello non eri tu che dicevi no. Quello eri tu che dicevi:
‘non sono
sicuro’.”
Il
respiro di Jared si fece affannoso, non sapeva cosa dire,
non sapeva come rispondere a quelle parole. ‘Non
è vero!’,
voleva gridarlo, ma non
lo fece, dalla sua bocca non uscì una parola.
“Cazzo,
lo immaginavo.” Disse Jensen cupamente, girò sui
tacchi e andò fuori dalla sua vista e Jared avrebbe voluto
ridere, avrebbe
voluto gridare: ‘Dove stai
andando lassù?’. Ma non aveva voglia di ridere. Sentiva
di più il bisogno
di piangere.
****
Jared
scattò di nuovo, proprio il giorno successivo.
Jensen
evitò ogni contatto, non lo toccò, non
parlò, non lo
guardò nemmeno quando poteva farlo e Jared
scoppiò. Se quello era uno stupido
gioco da polli, su chi gettava la spugna per primo e diceva di farla
finita,
allora che fosse così. Jensen poteva vincere, per quello che
importava a Jared.
Lui non poteva mantenere così a lungo il rancore dentro di
sé, non poteva
vivere a lungo in quella stupida versione di litigio e aveva bisogno
che il suo
Jensen tornasse da lui, aveva bisogno di non svegliarsi con un nodo
nella
pancia, sapendo che c’era qualcosa di così
sbagliato tra lui e la persona che
più amava nella sua vita.
“Dobbiamo
parlare.” Annunciò Jared, più sicuro di
quello che
davvero provava. Chiuse la porta del trailer di Jensen dietro di
sé, avevano
finito per quel giorno, dovevano solo farsi una doccia, cambiarsi di
abito e
aspettare che Clif li andasse a prendere. Quello era un buon momento
come un
altro, quindi Jared si infilò direttamente nel trailer del
suo amico,
affrontandolo.
Jensen
gli gettò solo uno sguardo e, per un secondo, Jared
credette di riuscire a sentire i denti dell’altro che si
serravano.
“Vuoi
cominciare questa cosa di nuovo?” Chiese il maggiore,
mortalmente calmo.
“Voglio
che tu… voglio che tu sappia che ti amo, ma non…
non
in quel modo.” Disse Jared con voce tremante, e Dio, si
sentì di merda, sentì
che era tutto sbagliato. Non sapeva nemmeno questo da dove fosse
uscito,
continuò solo a parlare. Come un disastro ferroviario, non
poteva fermarsi. “E
voglio che tu… che ci provi e che ti riprendi la tua vita,
okay? Hai una
bellissima ragazza che ami molto ed io ho la mia, ed entrambi ci
sposeremo e
avremo una vita felice, una vita normale, okay?”
Jared
sentì tremare le mani quando guardò Jensen e vide
quanto fosse diventato pallido il suo viso.
“È
questo il tuo sogno?” Chiese il maggiore, ed in effetti
sembrava curioso come se volesse davvero saperlo.
“È questo il motivo per cui
ti sei aggrappato così tenacemente a questa cosa? Tu ed io,
con mogli e figli e
cani e la dannata staccionata bianca, che viviamo uno vicino
all’altro e
facciamo i barbeques la domenica? È questo che vuoi
davvero?”
Jared
deglutì, si sentiva come se Jensen lo avesse appena
inchiodato. “È il motivo per cui l’ho
fatto! Ventisette anni fa ho detto sì a
quel fottuto Arcangelo e ho desiderato questo. E non posso…
Dean, non posso
semplicemente rinunciare. Non quando io...”
“Quando
tu cosa?”
Jared
alzò di nuovo lo sguardo, i suoi occhi incontrarono
quelli del fratello. “Quando io ho sacrificato te per
questo.”
Jensen
annuì tre volte e si strofinò la mano sulla
bocca.
“Allora dimmi, Sam, quando ti ho baciato, non lo volevi?
Quando ti ho fatto un
pompino, non volevi nemmeno quello?”
La
sua voce aveva un suono pericoloso, qualcosa che Jared
riuscì a leggere. L’altro si fece più
vicino, aveva uno sguardo determinato sul
volto.
“Fammi
vedere.” Sbottò facendo un altro passo verso di
lui.
“Fammi vedere come non sei stato in grado di spingermi via,
come non hai avuto
la possibilità di dire di no.”
“Non
ho mai detto…” iniziò Jared, voleva
dire a Jensen che
non lo avrebbe mai accusato di averlo forzato in questa situazione. Che
solo
l’idea che Jensen, che Dean,
fosse capace di fare una cosa simile, era così ridicola che
avrebbe voluto
ridere.
Ma
poteva vedere negli occhi del fratello che quello era
esattamente il problema.
Qualcosa
scattò nella testa di Jared e finalmente acquistò
un senso. Tutta la rabbia, tutte le urla e i litigi. Jensen, Dean,
non era da solo in questo, non era
l’unico che sentiva tutto questo e non aveva forzato nulla in
lui, non gli
aveva fatto fare nulla che non volesse.
E
lui disperatamente, disperatamente,
voleva che il minore lo ammettesse.
Ed
era qualcosa per cui Jared non sapeva se fosse pronto.
Qualcosa che stava combattendo fin da prima di Dean… fin da
prima.
“Jensen...”
Iniziò, senza nemmeno sapere quale sarebbero
state le sue successive parole, mentre Jensen continuava a spingere, a
colpire
la sua spalla, ad invadere il suo spazio.
“Non
sei abbastanza forte da tenermi lontano? Davvero? Se
davvero lo volessi?”
“Fermati!”
Sussurrò Jared, ma Jensen continuò ad
avvicinarsi;
si stavano toccando ora, dalle cosce alle spalle. Jensen
alzò lo sguardo su di
lui con il calore negli occhi, pieno di rabbia e…
“Allora
fermami adesso, Jared.” Rispose, la sua voce divenne
ancora più bassa, sempre più tesa.
“Fermami, se non è davvero quello che
vuoi.”
E
fu quello che fece.
Jared
chiuse le mani intorno alle braccia di Jensen, appena
sotto le spalle, e lo sollevò a fatica, lo tirò
su e lo spinse contro il muro
più vicino, usando il suo corpo per spingerlo con le spalle
contro di esso.
Jensen
gemette, sollevò le mani per trovare un appoggio su
Jared, avvolgendo i suoi gomiti. Jared vide l’espressione sul
viso di Jensen,
lo vide mordersi il labbro e pensò ‘merda,
merda’,
prima che il suo corpo si facesse ancora più vicino
all’altro uomo,
completamente alla sua mercé.
Avrebbe
dovuto far smettere Jensen, avrebbe dovuto fermarlo
o respingerlo.
Invece,
Jared si trovò a fare esattamente quello che Jensen
voleva. Forse, quello che volevano entrambi.
Erano
solo a pochi centimetri uno dall’altro. Entrambi
ansimanti, si fissavano, i loro respiri si mischiavano.tàn"cedeva sempre, proprio
come aveva continuato a fare
negli ultimi giorni
Jared
iniziò a tremare per lo sforzo di trattenerlo,
l’adrenalina che aveva un momento prima e che gli aveva
permesso di tenerlo
premuto contro il muro, lo stava lentamente abbandonando. Si morse le
labbra
quando sentì le gambe di Jensen avvolgersi intorno alla sua
vita.
Gli
occhi del maggiore erano scuri e brucianti, saettavano
dagli occhi di Jared alla sua bocca e viceversa; lo guardò
leccarsi le labbra,
più e più volte e questo lo face impazzire.
Erano
molto oltre la necessità di usare le parole.
Non
ci fu più nulla da dire quando Jensen strinse la presa
sui fianchi di Jared, quando si spinsero più vicino e
strofinarono i loro
bacini uno contro l’atro; ma il minore continuò a
non lasciarsi andare.
Jensen
mosse in avanti la testa, solo un centimetro, appena
percettibile, ma Jared si tirò indietro, continuando a
mantenere la distanza
che ancora li separava. Sentì il ringhio di Jensen
attraverso il suo stesso
corpo.
Jared
sentì i propri occhi saettare verso la bocca di
Jensen, li sentì focalizzarsi completamente su quelle labbra
peccaminose e,
questa volta, fu lui a sporgersi in avanti, senza sapere nemmeno cosa
stesse
facendo, solo voglioso di assaggiare quelle labbra.
Jensen
tirò indietro la testa, i suoi occhi quasi neri
incontrarono quelli dell’altro sfidandoli e, con improvvisa
chiarezza, Jared seppe
quello che voleva. Quello di cui aveva bisogno.
Lui.
Tutto
di lui. Ogni parte che era suo fratello ed ogni parte
che era Jensen. Voleva tutto e niente di meno. Ed era più
importante di sogni a
lungo dimenticati, di desideri fatti molto tempo prima. Tutto quello
che aveva
sempre voluto era l’uomo di fronte a sé e questo
non sembrava essere mai cambiato.
Jared
tenne lo sguardo inchiodato in quello di Jensen questa
volta, mentre si muoveva in avanti, guardando la voglia crescere negli
occhi
dell’altro. Entrambi sapevano cosa sarebbe successo e i loro
corpi stavano
urlando per andare in quella direzione.
“Ok,
ragazzi. Pronti ad andare?”
L’urlo
venne da fuori dalla porta ed entrambi si
spaventarono alla voce di Clif. Cautamente, lentamente, Jared
lasciò scendere
Jensen, lasciò andare la presa su di lui e face un passo
indietro, i loro
sguardi rimasero bloccati uno nell’altro.
Il
movimento spezzò il momento tra di loro, ma non la
tensione, e Jared poté sentire i brividi sulla pelle per
tutto il tragitto fino
alla macchina.
****
Per
tutto il viaggio verso casa, Jared si sentì come se
stesse per esplodere fuori dalla sua stessa pelle.
L’adrenalina correva attraverso
di lui, calda e forte e riusciva a malapena ad impedire alle sue mani
di
tremare.
Poteva
vedere, nella tensione della linea della mascella di
Jensen e nella flessione dell’avambraccio, che anche lui
provava la stessa
cosa. Diavolo, sapeva che perfino Clif poteva sentirla, dal modo in cui
manteneva il silenzio, con gli occhi fissi sulla strada di fronte a
sé, senza
guardare nello specchietto retrovisore nemmeno una volta per incontrare
i loro
occhi.
Non
si scambiarono una singola parola o uno sguardo quando
la macchina si fermò di fronte alla casa. Saltarono
semplicemente fuori,
afferrarono le loro cose e si mantennero a distanza, camminando verso
la porta
di ingresso, mentre Cliff se ne andava alle loro spalle.
Quando
Jared aprì la porta, con Jensen dietro di lui, che
canticchiava in tensione, sapeva che era solo questione di tempo. Era
solo
questione di chi si sarebbe spezzato prima.
Quel
pensiero mandò un brivido lungo la sua schiena,
facendogli girare la testa per l’aspettativa. Era stato arduo
fin da quando
aveva sbattuto Jensen contro il muro del trailer.
Fu
un silenzio folle quello che cadde tra di loro quando la
porta si chiuse, lasciando il mondo completamente chiuso fuori; era
senza fiato
e allo stesso tempo carico, Jared non sapeva cosa fare di se stesso,
intrappolato tra l’idea di fuggire, compiendo un ultimo atto
di normalità, e il
girarsi per continuare, verso quello che voleva veramente.
Si
girò. Finalmente, quella fu la scelta che fece e
trovò
suo fratello immobile vicino alla porta, con uno sguardo duro fisso su
di lui.
Jared poté vederlo mentre deglutiva; da dov’era
poteva perfino udire i veloci
respiri che l’altro stava prendendo e, quando i suoi occhi si
spostarono verso
il basso, poté vedere il rigonfiamento che si stava formando
nei jeans di
Jensen, uguale a quello che stava crescendo nei suoi.
Un
brivido lo attraversò e chiuse gli occhi per un momento.
Quando
li riaprì di nuovo, Jensen si stava lentamente
togliendo la giacca, la lasciò cadere sul pavimento con un
tonfo sordo. Senza
distogliere lo sguardo, proseguì con il maglione, lo
levò con un movimento
fluido e quando sollevò le braccia, un pezzetto di soffice
pelle nuda, dove la
maglietta si era sollevata, fece spostare lo sguardo di Jared dal viso
di
Jensen.
Sentì
la bocca seccarsi.
Fu
quando anche la maglietta fu andata e Jensen rimase lì
mezzo nudo, mettendo in mostra ampie distese di pelle che fecero
contrarre le
dita di Jared, che anche lui cominciò a togliersi i vestiti.
Tolse il maglione
e la maglietta in un colpo solo.
Vide
gli occhi di suo fratello farsi più scuri e i denti
iniziare a mordere il suo labbro inferiore, ma Jensen non disse nulla.
Invece,
la sua mano abbassò la cerniera dei jeans, il bottone aperto
dava già uno scorcio
della sottile striscia di peluria che immediatamente Jared non vedeva
l’ora di
seguire con i suoi occhi, le sue dita e la sua lingua.
“Ultima
possibilità.” Disse Jensen con voce graffiante
quando rimasero entrambi in boxer, e il suo tono fece esplodere
qualcosa dentro
Jared. Il minore rimase tranquillo e sembrò tutto quello di
cui Jensen aveva
bisogno; piano, e con attenzione, camminò fino a Jared.
Lui
non poté muoversi, sentiva il cuore battere in gola, si
sentì di nuovo nervoso e piccolo, ancora come se fosse il
fratellino, con Dean
a dettare legge.
“Jared.”
Disse Jensen e suonò come una domanda, Jared
annuì,
senza incontrare lo sguardo dell’altro, troppo nervoso per
focalizzarsi su
qualsiasi cosa, quando tutto quello che poteva sentire era il calore di
un
altro corpo che carezzava la sua pelle.
“Sammy.”
Jensen disse di nuovo il suo nome e gli occhi di
Jared si alzarono di scatto, incontrando quelli di suo fratello e
poté vedere
lo stesso nervosismo, la stessa paura di oltrepassare una linea che
avevano
oltrepassato così tante volte, ormai, ma questa volta,
realmente. Per davvero.
Jared
annuì di nuovo e i suoi occhi non lasciarono quelli
del maggiore questa volta.
Entrambe
le mani di Jensen si alzarono, una gli circondò il
collo, l’altra affondò nei suoi capelli tirandoli
dolcemente.
Jared
lo seguì spontaneamente, seguì Jensen dove lo
stava
portando e scivolò nel bacio naturalmente,
incontrò le labbra di suo fratello come
ci si aspettava che facesse.
Fu
il Paradiso.
La
bocca di Jensen era morbida contro la sua, si muoveva
gentilmente, proprio come Jared lo aveva visto baciare una sequenza
infinita di
donne nella loro vita passata e in quella presente. Jared
insinuò le mani
intorno alla vita dell’altro, appoggiandole solamente sui
suoi fianchi, ma Jensen
sussultò sotto il suo tocco e un gemito viaggiò
dalla sua bocca dentro quella
del minore.
Era
ancora nervoso, insicuro di quello che doveva fare con
un uomo, con suo fratello, ma non poteva non toccarlo, non poteva non
premere
più forte e cedere al soffice sondaggio della lingua di
Jensen contro le sue
labbra, lasciando la bocca socchiusa per lasciarlo entrare.
Era
il Paradiso ed era l’Inferno, ed era sbagliato ed era
giusto e Jared ne amò ogni secondo. Amò sentire
il sapore di Jensen sulla sua
lingua, amò spingere il naso contro la guancia del fratello
e sentire la sua
mano tra i capelli, che tremava e tirava.
Si
separarono infine, bisognosi di aria e, quando si
divisero, stavano entrambi ansimando, tremando per la forza di quello
che
stavano facendo.
Jared
catturò lo sguardo di suo fratello e fu colpito da un
misto di bramosia e amore, ma più in profondità
di quello, più evidente, era la
paura nei suoi occhi, il tremolio del suo labbro inferiore, che dissero
al
minore che l’altro stava ancora aspettando che tutto
crollasse; stava ancora
aspettando che Jared lo spingesse via e, nel profondo, forse stava
ancora
sperando accadesse.
Era
il suo nuovo modo di fare, pensò Jared. Non lo lasciava
più da solo davanti al problema, come era solito fare
allora, ma lo forzava, lo
portava ad esplodere e costringeva il minore a fare delle scelte, non
importava
quanto sbagliate potessero essere prese nella foga del momento.
Jared
voleva dire a suo fratello quale idiota fosse, che
questo suo nuovo modo di risolvere i problemi non era migliore di
quello
vecchio. Voleva dirgli che poteva anche smettere di provare a volere
quello che
era meglio per Sam, Jared,
perché non li avrebbe portati da nessuna parte. Finivano
sempre, prima o dopo,
col volere comunque la stessa cosa, e forse, solo forse, avrebbero
dovuto
imparare ad arrendersi.
“Ho
finito di lottare.” Jared sussurrò, cercando
disperatamente di incontrare gli occhi di Jensen. “Ho finito,
ok? Ho finito.”
Si accertò che l’altro lo avesse sentito, si
assicurò che avesse compreso
quello che stava dicendo.
Ci
volle un momento, un momento senza respiro e pieno di
tensione, poi qualcosa tornò al suo posto dentro Jared con
uno schianto, il
significato delle sue stesse parole lo colpì rompendo tutte
le ultime
inibizioni rimaste. Fu lui a muoversi in avanti questa volta,
raggiungendo suo
fratello e annullando la distanza tra di loro. Il suo bacio non fu per
niente
come quello di Jensen, fu tutto disperazione e fame, ma Jensen
corrispose
immediatamente, come se avesse solo aspettato il permesso.
Jared
fu colpito dallo spigolo della credenza dietro di lui
e gemette nella bocca di Jensen, senza sapere se fosse stato lui a
tirarlo
verso di sé o se fosse stato l’altro a spingerlo
contro il mobile. Ma non aveva
importanza, era troppo occupato a trovare la sua strada attraverso le
labbra
del maggiore, artigliando la sua pelle.
Era
una corsa, che esplose dentro la sua testa, era come
sentiva Jensen contro di lui, il gusto che aveva, forte e flessibile,
morbido e
duro. Sapeva di familiare e di nuovo, e i suoni che emetteva, Jared li
bevve
tutti, avrebbe voluto annegare in essi.
“Jensen.”
Disse in un soffio tra loro e il maggiore emise un
ringhio e infilò la coscia tra le gambe di Jared
costringendolo ad emettere un
gemito dalla gola.
Inciamparono
nel corridoio, avvinghiati l’uno all’altro.
Sbatterono contro i mobili e la parete fin troppe volte, fino a che
finalmente
attraversarono la porta della stanza di Jensen; il giorno dopo
avrebbero
trovato il corridoio a soqquadro, con vestiti abbandonati dappertutto,
con le
cornici appese alle pareti inclinate in angoli strani, ma ora, ora
c’erano solo
loro, Sam e Dean, Jensen e Jared, e nessun altro al mondo.
Fecero
l’amore, consapevoli di volerlo entrambi,
bisognosi di appartenersi. In quel momento, tutte le ragioni per cui
Jared aveva
combattuto sembrarono ridicole e insignificanti in confronto. Quando
raggiunsero
l’apice del piacere, l’orgasmo li colpì
con piena forza, e Jared si sentì
prosciugato e privo di forze.
Il
minore non tornò in sé immediatamente,
galleggiò in luogo
tranquillo dove la sua mente era felicemente vuota. Ma quando
tornò, sentì
forti braccia intorno a sé che lo tenevano stretto e solo
allora realizzò che
si stava agitando, che stava tremando e che il suono ansimante che
sentiva,
proveniva dalla sua stessa gola.
“Schhh.”
Jensen mormorò vicino al suo orecchio e continuò
a
mantenere la stretta che aveva su di lui. Non accarezzò
Jared, non lo cullò, ma
continuò a tenerlo abbastanza stretto da farlo sentire al
sicuro e quello era
tutto ciò di cui l’altro aveva bisogno.
Qualcosa
dentro Jared si stava spezzando, poteva sentire
ogni singolo pezzo che si rompeva, che tagliava attraverso di lui, ma
Jensen
era lì, suo fratello era lì, a tenerlo fino a che
non fosse finita.
Non
pianse, ma non respirò nemmeno, prese delle boccate fino
a quando il peggio non fu passato, fino a che il suo cuore lentamente
si calmò
e la sua gola fece meno male.
Le
braccia di Jensen lo avvolsero fino a che smise di
tremare, fino a che il calore del suo corpo e l’odore della
sua pelle non
furono le uniche cose che lo tennero in vita; era solo bello e
meraviglioso e
qualcosa che amava.
"Non
ti addormentare su di me." Lo mise in guardia il maggiore, scese da
letto ed immediatamente Jared sentì così freddo,
che non aveva idea di come avrebbe potuto addormentarsi. Poi Jensen
tornò, un asciugamano umido venne strofinato dolcemente
sulla sua pelle, pulendolo.
Quando
Jensen tornò a letto con lui, lo tirò vicino, in
uno stretto abbraccio, Jared non poté combattere contro il
peso delle palpebre che si chiudevano, non poteva combattere contro il
bisogno di addormentarsi tra le braccia dell'uomo che amava.
****
Quando
Jared si svegliò la mattina successiva, poté
finalmente respirare di nuovo. Come se un enorme peso fosse stato
tirato via
dalle sue spalle, dai suoi polmoni, e si ritrovò a sorridere
quando sbatté le
palpebre contro la luce del sole che filtrava dalla tenda aperta. Il
letto
brontolò, le coperte erano buttate tutte intorno, ma il
posto accanto a lui era
ancora caldo, toccò le lenzuola e inalò il
profumo di Jensen che ancora le
impregnava.
Ne
godette, per un momento si immerse nella sensazione calda
che lo riempì, ma quando senti dei deboli rumori provenienti
dalla cucina e i
segni rivelatori dei suoi cani che picchiettavano con le zampe sul duro
pavimento di legno, immediatamente non volle stare più solo.
Trovò
Jensen sulla porta della cucina, aveva appena lasciato
uscire i cani nel cortile e Jared arrossì quando lo
guardò, come se stesse
guardando qualcosa di nuovo e sconosciuto, qualcuno di cui si era
innamorato
solo il giorno prima e non una vita fa. Ma la sensazione sottostante
che
percepì, quando Jensen si girò e lo
guardò, era sempre stata parte di lui.
Jared
poté vedere il rossore anche sul viso del maggiore e
non poté combattere il sorriso che apparve sulle sue labbra.
Si stavano
comportando come delle ragazzine, quando erano davvero molto, molto
più vecchi
di così.
“Ho
fatto il caffè.” Disse Jensen piano e il timbro
basso
della sua voce mandò dei brividi lungo la schiena di Jared.
Il maggiore si
mosse verso il piano della cucina, dove si trovavano due tazze fumanti.
Jared
annuì silenziosamente e lo guardò prendere la sua
tazza voltandosi di spalle. Il minore fece alcuni passi, dritto fino a
Jensen,
sovrastandolo. Quasi lo toccò quando si sporse per prender
la propria tazza;
quasi, ma non del tutto.
Lo
sentì tendersi sotto di lui, lo sentì bloccarsi
per un
secondo, poi Jensen lasciò andare il respiro e si
rilassò. Un altro brivido gli
corse lungo la schiena quando Jared vide che l’altro aveva
gli occhi chiusi,
come se stesse godendo della sua vicinanza, come se stesse respirando
il suo
odore.
Gli
si fece più vicino e i capelli di Jensen gli
solleticarono il naso.
Il
maggiore rabbrividì di fronte a lui, si schiarì
la voce e
si allontanò, ma il più giovane sentì
qualcosa di caldo e di bello diffondersi
dentro di sé, quando vide che Jensen non era distante
più di un passo e si
aggirava vicino a lui.
Sorseggiarono
i loro caffè in un confortevole silenzio,
appoggiati al bancone della cucina e guardando fuori dalla finestra,
osservando
i cani che giocavano in cortile.
Era
tranquillo intorno a loro, come se la tempesta delle
ultime settimane fosse finalmente finita. Come se avessero continuato a
lottare
per stare lontano dal luogo a cui appartenevano. Ed ora che si erano
entrambi
arresi, il sole era sorto dopo una notte difficile e stava dando loro
una
bellissima e pacifica mattinata.
Quando
Jensen finì il caffè, trafficò intorno
alla cucina
mettendo via le cose e Jared rimase a guardarlo silenziosamente. Non si
sentiva
inquietante, ma amava il fatto di essere finalmente in grado di farlo.
Solo
restare lì e guardare. Ogni tanto Jensen alzava lo sguardo
su di lui e gli
faceva un piccolo sorriso, commentavano una cosa o l’altra e
così la loro
mattina volò via in fretta, dolce e tranquilla.
Era
come se avessero condiviso due vite, come se si
conoscessero dentro e fuori. E allo stesso tempo, quella cosa tremante
tra di
loro, era qualcosa di nuovo e fresco. Vecchi sentimenti erano
finalmente stati
trascinati alla luce, e si erano aggiunti a quelli che avevano
accumulato in
questa vita.
Jared
si sentì nervoso, sentì lo stomaco salirgli in
gola
quando lo guardò mentre gli si avvicinava, dopo aver finito
di sistemare.
Ma
Jensen fece un altro passo, si spinse il più vicino
possibile senza tuttavia toccarlo, proprio come aveva fatto lui in
precedenza,
e Jared respirò il suo odore, sentì il calore del
suo corpo e si calmò
istantaneamente. Erano attratti l’uno dall’altro
come due magneti e questo non
era niente di nuovo, solo… ora era qualcosa di
più.
Entrambi
gli uomini si rilassarono appoggiati al piano della
cucina, le loro braccia si sfioravano ad ogni movimento.
“Dove
andremo da qui?” Jared sussurrò infine dopo aver
giocato con quel pensiero nella sua mente per l’ultima ora, e
le parole fecero
male quando lasciarono la sua gola. Era troppo spaventato della
risposta, anche
se pensava, nel profondo, che poteva essercene una sola.
Jensen
non lo guardò, ma girò il viso verso di lui e il
suo
naso quasi strusciò contro il collo di Jared. Era inconscio,
il minore lo
avrebbe giurato, ma gli disse tutto quello che aveva bisogno di sapere.
“Dobbiamo decidere.” L’altro disse piano,
più a se stesso che a Jared.
“Dobbiamo scegliere tra noi… e loro.”
Jared lo guardò,
vide come Jensen aveva chiuso gli occhi per
un momento e qualcosa come il dolore fluttuò sui suoi
bellissimi lineamenti.
Era lo stesso sentimento che stava provando lui, perché
entrambi amavano le
loro fidanzate, entrambi erano stati pronti a passare le proprie vite
con loro.
Ma quando Jensen alzò lo sguardo e incontrò
quello di Jared, lì e in quel
momento, entrambi seppero che nessuno dei due, in nessun mondo, avrebbe
potuto
scegliere qualcuno di diverso dall’altro.
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Capitolo 8 *** Epilogo ***
Epilogo
Jared
guardava Jensen dall’angolo in cui si trovava. Lo
vedeva parlare con Jim, fare gesti ai ragazzi delle riprese,
controllare le
cose con la crew dell’illuminazione. Non poteva reprimere il
sorriso orgoglioso
che aveva in volto, si sentiva come se stesse scoppiando. Orgoglio,
felicità,
sollievo, Casa.
Se
questo era il premio per la sua vita passata, di sicuro
doveva aver fatto più cose giuste di quante non sapesse,
toccato la vita di più
persone di quante si fosse reso conto, perché non
c’era modo in cui tutto questo
potesse essere migliore.
Jensen
era totalmente assorto in quello che stava facendo,
rilassato ma concentrato, e anche se Jared aveva ancora molto da fare
quel
giorno, non riusciva a togliergli gli occhi di dosso. Non che per lui
fosse
nuovo fare questo. Guardare.
Per
tutta la sua vista passata aveva guardato Dean,
osservandolo con attenzione, studiandolo. Non si sentiva molto
differente, ora
che Jensen era davanti a lui e poteva vedere tanto di quello che
conosceva, e
molte cose che erano nuove.
Jensen
era completamente a suo agio con se stesso, felice e
contento e Jared provava una sensazione dolceamara, solo a vederlo.
C’era una
parte di lui che desiderava che Dean avesse potuto avere tutto questo
molto
prima, ma poi Jensen, di fronte a lui, lo guardò per un
secondo, i suoi occhi
si fecero dolci quando incontrarono i suoi e lui fu solo grato che
l’altro
potesse averlo, in questo momento.
“Sei
sorprendente.” Gli sussurrò quando Jensen fece una
pausa vicino a lui, cercando inconsciamente la presenza di Jared non
appena avevano
chiamato una breve sosta delle riprese.
Jensen
si voltò, lanciando a Jared un sorriso.
“Sono
fiero di te, amico.”
L’espressione
di Jensen si fece seria; annuì e i suoi occhi
erano dolci, caldi e riconoscenti e Jared poté vedere come
le sue parole
volessero dire qualcosa per l’altro, perfino prima che Jensen
facesse sfiorare
le loro dita con un segreto e rapido tocco, e dicesse:
“Grazie.”
Jared
afferrò la mano di Jensen impedendo che il tocco si
interrompesse e tirò l’altro uomo un pochino
più vicino. La crew intorno ai due
non prestava loro la minima attenzione.
“Jensen?
Pensi che questo sia quello che sarebbe successo se
noi non fossimo andati via dal nostro mondo?” Chiese Jared,
il suo sguardo vagò
per il set.
“Non
ha importanza.” Rispose Jensen e quando gli occhi di
Jared si posarono sul suo viso, le labbra del maggiore si piegarono in
un
sorriso, come se avesse realizzato qualcosa solo in quel momento.
“Questa è
solo storia, adesso. Qualcosa che possiamo fare e cambiare e dire nel
modo che
vogliamo. Nessun vecchio ricordo, nessun vecchio errore.”
“Ti
manca qualche volta, Dean?” Jared sussurrò e
qualcosa
strinse il suo cuore. “Le nostre vecchie vite? Il nostro
vecchio mondo? Lo sai:
Bobby, Cas, la caccia, salvare le persone?” Improvvisamente
ebbe paura della
risposta di Jensen; perché, se chiedeva a se stesso la
medesima cosa, non era
sicuro della sua stessa risposta. Qualche volta, solo in alcuni rari
momenti,
scopriva che gli mancava.
Ma
nel momento in cui guardò Jensen, l’altro eruppe
in un
luminoso sorriso ridacchiando piano tra sé.
“Cosa?
Cos’è che ti fa ridere?” Chiese Jared,
il suo cuore
già sollevato.
Jensen
lo guardò e c’era del rossore che si stava
diffondendo
sul suo viso, ma la sua voce era aperta e divertita quando rispose.
“Sto per
dire qualcosa di incredibilmente melenso. E tu hai il diritto di
prendermi in
giro per il resto della nostra vita.”
“E
nella prossima?” Chiese Jared, ridacchiando a sua volta.
Jensen
annuì. “E nella prossima.”
“Ok,
fammi sentire.”
Gli
occhi di Jensen incontrarono i suoi. “L’unica cosa
che
aveva importanza allora, è qui con me adesso.”
Jared
non sentì il bisogno di ridere o di prenderlo in giro.
Sentì un groppo salirgli in gola, strinse più
forte la presa sulla mano di
Jensen e, grande,
ora stava per
piangere come una ragazzina, dando a Jensen abbastanza munizioni da
prenderlo
in giro per una vita intera.
Ma
Jensen non disse niente, il suo sorriso si fece solo più
profondo, un semplice scintillio di comprensione nei suoi occhi.
“Genevieve
ha chiamato, oggi.” Disse Jared; voleva cambiare
argomento, ma era anche qualcosa che moriva dalla voglia di dire a suo
fratello.
“E…?”
Chiese Jensen, teso, preparato a qualsiasi cosa.
“È
andata… bene.” Rispose Jared annuendo.
“Davvero bene.
Sembrava stare alla grande, era felice... abbiamo parlato per
mezz’ora ed è
stato assolutamente normale.”
Jensen
strinse la sua mano, sembrava sollevato tanto quanto
si sentiva lui. “È fantastico, Jared.”
Disse e probabilmente lui poteva capire
meglio di chiunque altro quanto fosse importante per Jared non perderla
completamente.
“Oh,
adesso che lo hai menzionato: Danneel ha dovuto
posticipare la nostra cena, ma ha insistito che tu venissi.”
“No...”
Piagnucolò Jared, giocherellando con le dita. “Un
appuntamento doppio? Davvero? Non voglio incontrare questo Greg! Cosa
succederebbe se lo odiassi?”
“Allora
faremo quello che dobbiamo e diremo a Danneel che
non è la persona giusta per lei.” Rispose Jensen,
dicendolo in un modo che ne
sottolineava l’ovvietà.
“Chi
diavolo esce per un doppio appuntamento, con il suo ex
ragazzo diventato gay?” Chiese Jared, gesticolando
all’impazzata con la mano,
senza lasciare quella di Jensen.
Il
suo amico alzò solo le spalle. “È
Dani.” Disse, come se
quello spiegasse tutto, ma entrambi condivisero un sorriso affettuoso
per lei e
Jared seppe che sarebbe andato a quell’appuntamento. E
probabilmente avrebbe
odiato quel ragazzo per principio, perché nessuno era
abbastanza per la loro
preziosa Danneel.
“Misha!”
Esclamò improvvisamente Jensen; il suo corpo
scattò
spaventando Jared.
Saltarono
uno lontano dall’altro, lasciandosi andare le mani
come se si fossero appena scottati. Jared era sicuro che in quel
momento fossero
entrambi arrossiti sulle guance.
Misha,
in piedi in silenzio proprio dietro di loro, spostava
semplicemente lo sguardo da uno all’altro. “Siete
divertenti.” Disse seccamente
nella sua miglior versione della voce di Castiel. “Pensare
che siete stati
discreti e tutto. Come se l’intero set non si fosse reso
conto del modo in cui
vi state addosso l’un l’altro.
Jared
poté solo sentire il calore suo volto farsi più
forte,
ma non disse nulla.
“Ok,
c’è un punto?” Chiese Jensen quando
Misha continuò a
guardarli.
“Beh,
solo per la cronaca…” iniziò Misha e
sembrò seccato.
“Mio fratello mi ha costretto a fare questo.”
Fratello?
Jared
avrebbe voluto chiederlo, ma Misha andò avanti e ad
ogni frase divenne più strano.
“Lui
è davvero incazzato con me perché lo hai evocato
e gli
hai gridato addosso, quando in effetti era tecnicamente colpa
mia.” Guardò
Jared dicendo questo e il ragazzo si sentì spiazzato
perché non riusciva a
seguire nulla di quel discorso.
“E,
diavolo, quel ragazzo può davvero tenere il muso! Pensavo
che ormai lo avesse superato, a questo punto. Ma no, continua a non
voler
parlare con me! E, sapete, anche riconoscendo che lui è come
una specie di
bambino troppo cresciuto, mi piace davvero. Ed è
l’unica famiglia che mi è
rimasta qui, così ho pensato che se ve lo avessi spiegato,
lui mi avrebbe
perdonato... prima o poi.”
“Cosa?”
Chiese Jensen dopo quelli che sembrarono minuti
interi di silenzio.
Gli
occhi di Misha si girarono verso Jensen e Jared poté
vedere come si addolcissero un poco; un’espressione di
colpevolezza apparve sul
suo volto. “Mi dispiace, Dean, per averla dovuta rendere
così dura per te. Ma
era l’unico modo in cui potessi farlo e doveva avvenire
abbastanza lentamente
perché la tua testa non esplodesse nel processo,
così spero che tu mi possa
perdonare per tutti gli incubi e le cose strane attraverso cui sei
passato. Ma
alla fine ha funzionato, giusto?”
Il
suo sorriso era speranzoso e Jared continuava a non
capire una parola.
“Non
capisco.” Il più giovane disse a voce alta quello
che
pensava.
Misha
fece un passo più vicino a loro e la sua voce si fece
ancora più bassa.
“Ho
passato molto tempo con voi, allora ed adesso. Mi ci è
voluto molto per capirlo, lo ammetto, e ora posso solo colpirmi in
testa per
non essermene reso conto per tutto il tempo.”
Misha
doveva essersi accorto della confusione su entrambe le
loro facce perché continuò: “Per ogni
persona, là fuori, lui non è tuo
fratello... non qui.”
Misha
fece un cenno della testa in direzione di Jensen.
“Volevi
una seconda occasione, Sam. Ho solo voluto essere
sicuro che voi due aveste quella giusta.”
Ci
fu un silenzio che durò esattamente quattro battiti di
cuore, prima che Jensen e Jared ci arrivassero nello stesso momento.
“Cas?!”
Sbottarono all’unisono.
N.d.T.
Eccoci
arrivati alla fine di questa storia. Continuo ad amarla e a trovare che
l’idea
che sta alla base sia geniale.
Spero
che
sia piaciuta anche a voi e spero che la traduzione le abbia reso
giustizia.
Volevo
ringraziare la mia Beta per l’enorme aiuto e dato che la
traduzione era fatta
prima di tutto per lei spero proprio che le sia piaciuta XD.
Un
grazie a
tutti quelli che l’hanno letta e commentata.
Non
so se mi
cimenterò più in una traduzione, ma nonostante
tutto direi che mi ritengo
soddisfatta del risultato.
Se
volete leggere qualcuna delle mie storie le potete trovare qui:
thinias
Alla
prossima storia! ;)
Ciauuuuu
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