Dad&Dad

di AsanoLight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Are you serious?! ***
Capitolo 2: *** Men ***
Capitolo 3: *** Labor ***
Capitolo 4: *** Yukkin ***
Capitolo 5: *** Zubat ***
Capitolo 6: *** Stambecchi ***
Capitolo 7: *** Countdown ***



Capitolo 1
*** Are you serious?! ***


«Hirato ed io aspettiamo un figlio»

 

Intercorse un silenzio di tomba.

I presenti si scrutarono uno ad uno, ricercando delle risposte nei vicini di tavolo, e ora si davano vicendevolmente dei pizzicotti come per accertarsi che quelle parole udite, pronunciate con un tono così apocalitticamente serio, fossero in realtà parte di uno scherzo.

Jiki sollevò il mento dal cruciverba che stava giust’appunto terminando e si portò gli indici dalle curate unghie alle tempie, massaggiandosele quietamente. «Nove verticale, sei lettere. Dicono cose stupide», disse leggendo la richiesta della casella da completare.

Kiichi si riempì le guance d'aria e, mettendo il broncio senza staccarsi dalla figura del dottore, rispose al ragazzo dai capelli di tizzo.

«Idioti »

Eva tossì pesantemente, cercare di restare seri si faceva sempre più difficile, specialmente con quell'atmosfera di ghiaccio in cui sembrava essersi cristallizzata la sala da pranzo della prima nave. Si aggiustò i turchesi capelli fermando con uno spillo una ciocca di pomposi boccoli e cominciò a tappettare le dita sul lucido pianale d'acero del tavolo, accompagnando la meditazione.

«Conosce una donna di nome Hirato e ha deciso di metterci su famiglia?», dove doveva portare quella discussione?, perfino i ragazzi non sapevano se fosse veramente il caso di ridere, «O è lei ad aver scoperto di essere una donna e, per dettagli che non ho intenzione di conoscere né mi azzardo a chiedere, lei, Akari-sensei, ha scoperto di aspettare da lui un figlio?»

«Nessuna delle due», ringhiò con una certa impazienza Akari.

«Allora è Hirato, il nostro secondo comandante, ad essere una donna?»

«Eva, se tu mi lasciassi parlare...»

La grassa risata di Tsukitachi interruppe la discussione. Il primo comandante, rosso dalle risate e con occhi strabuzzati, sputò il vino che aveva appena bevuto, bagnando il cruciverba che Jiki stava per completare dopo ore di duro lavoro e che adesso pareva più che altro reduce da una battaglia a sangue –specialmente con i vermigli schizzi che tinteggiavano a pois l'intera pagina.

«E come fareste ad aspettare un figlio, sentiamo un po'?», Kiichi sfilò dalla tasca una lima e cominciò a prendersi cura delle unghie senza prestare eccessiva attenzione alla discussione, «Se lei è un uomo e Hirato è un uomo, voi non potete avere un figlio insieme. E' biologicamente impossibile. A meno che abbiate la stessa moglie»

«Il tuo ragionamento non ha senso, Kiichi», la riprese Jiki.

«Tu non hai senso»

Yogi deglutì, livido dalla paura, e si nascose sotto al tavolo, temendo che una parola di troppo gli potesse costare una visita in anticipo alla torre di ricerca.

«I-Il dottor A-Akari diventerà... madre?»

«Povero figlio», convenne amaramente Gareki.

«STATE ZITTI! E' stato un dannato disguido! E’–...», cercò di parlare ma non riusciva a trovare le parole giuste, alla fine se la cavò miseramente con un: «Non so neppure io come sia potuto succedere»

«Dicono sempre tutti così»

«Gareki!»

«Che c’è? Ho detto la verità»

Eva lo scrutò con fare giudizioso e aggrottò la fronte.

«Non voglio scendere nei dettagli, sensei...», mormorò pensierosa, «Ma come fa a sapere che il figlio sia proprio... ‘vostro’?»

«Con le ultime tecnologie della torre di ricerca, controllare la corrispondenza genetica tra me, Hirato e la creatura è stato più facile del previsto»

I presenti posarono gli occhi sul liscio addome del dottore, la perplessità dominava gli animi già divorati da un senso di aberrazione misto a curiosità. “La creatura?”, si domandò Jiki interdetto, “E dove alloggerebbe adesso, la creatura?!”

«E questo figlio ti renderà... madre?», accavallò pensierosa le gambe Eva, non la atterrì l'aura di morte che emanava il dottore, «Avete almeno pensato ad un nome?»

«Toglimi una curiosità, Eva», grugnì Akari, stritolando nei pugni le dita, «Passando sopra al fatto che a te non interessi palesemente nulla del fatto che io ed Hirato ci ritroviamo senza volerlo infognati in questa situazione... e che anziché preoccuparvi di noi, voi, come la torre di ricerca, ci ridete in faccia... Dimmi solo... da dove diavolo ti proviene questa cieca certezza che sarò io a portare l'onere di un figlio nel grembo?»

«E’ PERCHE' SEI ROSA!», Tsukitachi riuscì a stento a pronunciare quelle parole, rischiando quasi di strozzarsi con l'ennesimo bicchiere di vino tracannato tutto d'un fiato. Non era ubriaco, quelle cose le stava sentendo davvero con le sue orecchie, e Akari non era di certo un tipo che amava scherzare quindi se lo diceva lui doveva essere vero, «Dovremo prepararci al meglio allora e fare le congratulazioni ad Hirato perché presto diventerà 'papà'! Ahahah! E dopo Akari-san, sarei tu a doverti occupare della creatura! Voglio proprio vedere come la cresci! Basta che non viene su burbera come te, uhuhuh~»

«Sembri divertito»

«Ahahah! Direi! Vedrò Akari-san con il pancione! Non vedo l'ora di incontrare Hirato! Mi devo congratulare!»

«Hirato sarà qui a momenti, Tsukitachi», mormorò in una gelida calma Akari e subito fece per uscire dalla sala, «Ora, con permesso, io me ne ritorno alla torre di ricerca»

Un coniglio robotizzato gli corse incontro e lo scortò fino al portale.

Tsukitachi continuò imperterrito a sghignazzare, battendo i pugni sul tavolo, un po' meno ilari erano Gareki, Yogi ed Eva.

«Qui c'è qualcosa che non quadra», parlò per prima la donna, e continuò ad accompagnare ogni pensiero con il solito tappettare delle dita sul tavolo come per dare loro un ritmo, «Akari è venuto qui... ci ha dato la notizia, e se n'è andato come se nulla fosse stato. E' come se l’avesse presa relativamente bene...»

«Staresti dicendo che la gravidanza l'ha fatto maturare?», Gareki parlò e una seconda risata del primo comandante lo accompagnò, Tsukitachi riusciva a stento a trovare l'aria per prendere respiro: «Fermatevi, vi prego! Mi fa male la pancia, ahahahah!»

«Gareki, non sto dicendo questo», obiettò Eva, «Ma mi è parso strano»

«Beh, di certo non è cosa da tutti i giorni, il dottore di ghiaccio che ti viene a dire che aspetta un figlio con il secondo comandante! La persona che più odia sulla faccia della Terra, oltretutto!»

«Tsukitachi, smettila! La faccenda è seria!»

«E' seria?», echeggiò sardonicamente Jiki, «A me sembra comica»

«A me sembra tragica!», ribatté Yogi, emergendo da sotto il tavolo, «Avremo un baby-dottor Akari che si aggirerà per le nostre navi e la torre di ricerca! Se quel bambino sarà un genio come lui, chi lo dice che a cinque anni non ci farà le iniezioni per conto del dottore?! E se ha la cattiveria di Hirato-san, gli basteranno tre anni per imparare a farci i peggio dispetti!»

«Uff... quindi staresti dicendo che Akari-sensei ci schiafferà il moccioso sulla nave ogni volta che avrà da fare?», bofonchiò Kiichi, che certo non nutriva un'enorme simpatia per i bambini, «Spiacente, ma se il mostriciattolo è il figlio di Hirato-san e il dottore, chi se lo deve guardare siete voi bamboccioni della seconda nave. Noi, con il danno, non c'entriamo nulla»

«Dov'è il tuo spirito di solidarietà, Kiichi?», la interrogò Jiki in un monito.

«Sottoterra», rispose la ragazza a bruciapelo, «Dove finirai anche tu, se non stai zitto»

«Io non capisco, qual è il punto di questa conversazione?», Gareki arricciò un ciuffo di capelli tra le dita e sollevò gli occhi al soffitto, «Avranno un figlio, e non oso immaginare come verrà al mondo –il solo pensarci mi da' ribrezzo; ma qualunque cosa succeda, saranno affari loro. Starsene qui a chiacchierare non cambierà la situazione di una virgola»

«Gareki, sei proprio lento», lo rimproverò Kiichi, «Qui, non è questione di ‘possiamo evitarlo o meno’. Qui si sta facendo gossip. Se non sei interessato, alza il tuo sederino e ritornatene alla seconda nave a fare compagnia alla povera Tsukumo»

«A proposito di Tsukumo... perché non è venuta?», chiese Eva.

«Ha detto che doveva occuparsi del giardino interno. C'erano delle rose colpite da un parassita, le foglie s'erano tinte di macchioline bianche e ha detto che prima di chiamare me, voleva provare a risolvere la situazione da sola»

«Sai, Jiki, penso che proprio per non chiamare te e rischiare di respirare la tua stessa aria per più di trenta secondi, abbia preferito rimanere da sola», commentò caustica Kiichi.

Questa ragazzina è davvero bastarda”, quel solo pensiero attraversò la mente di Gareki, ma data la situazione, era meglio non parlare ond'evitare di venire scaraventato fuori dal finestrino.

L'aprirsi della porta attirò magneticamente l'attenzione di ogni presente, e tutti tacquero come se ogni argomento o spunto di conversazione fosse improvvisamente divenuto tabù.

Il coniglio dal fastoso mantello di porpora entrò a passo spedito, saltellando in un insolito piglio vivace, alquanto anomalo per un robot.

 

«Usa~ Hirato-san è appena arrivato»

 

S'illuminarono d'immenso gli occhi di Tsukitachi, brillarono a quelle parole e il silenzio, senza bisogno di dirlo, s'impose su ogni essere capace di respirare in quella stanza.

Arriva la bocca della verità”, gongolò tra sé e sé Tsukitachi, “Uhuh~ Chissà cosa dirà Tokitatsu quando glielo racconterò~ Vediamo.. posso sempre dirgli: 'Ehi, lo sai che tuo fratello ha fatto il gran colpo con Akari? Adesso il dottore aspetta un figlio!'”

Eva guardò intensamente l'uscio, aveva smesso di tappettare le dita, ora batteva direttamente il palmo sul tavolo, una reazione che non sfuggì a Gareki, serio e disinteressato come sempre. «Sbrighiamoci a farla finita. Mi sta quasi venendo voglia di andare a curare il giardino con Tsukumo», borbottò, poco si curò dell'occhiata di rabbia e gelosia che gli lanciò Jiki, tediato dall'idea che quel moccioso burbero e con le mani sempre lordate di grasso per motori o elementi di dubbia utilità fosse oggetto della simpatia della sua Tsukumo-chan pur non avendo doti particolari come lui, che pure era il mago delle piante e vantava una super-vista, «Io saluto il quattrocchi, gli faccio i miei auguri, congratulazioni o qualunque altra cosa si faccia in simili occasioni e poi me ne vado. Non passerò un secondo di più in questo covo di matti, di gente che si esalta al pensiero che due uomini aspettino un–»

Hirato entrò con passo lento e dosato, il cappotto sbottonato, la camicia che si chiudeva a stento e i pantaloni con la cintura allentata. Gareki scorse aberrato quel corpo, inutile dire che l'attenzione gli ricadde inevitabilmente sul rotondo cocomero che il comandante aveva al posto del solito, liscio addome. Là dove c'erano pianure, si estendeva ora una collina spaventosamente rotonda, troppo per essere un pallone infilato per scherzo sotto la camicia, troppo per essere un'anguria ingoiata intera di proposito. La faccia lucida del comandante, leggermente paffuta, e la calma con cui sfoggiava quel tondo che il giorno prima non c'era e adesso, misteriosamente, era balzato fuori dal nulla, gli diceva che il dottor Akari non stava scherzando.

«Q-Questo...», si trovava a un passo da quel pancione e mai come allora poteva dire di essere spaventato a morte, e nulla poteva fare se non convincersi di stare sognando, “Come avrebbe intenzione di metterlo al mondo?!”, non riusciva a smettere di domandarselo, ma chiedere sarebbe stato relativamente scortese, ancor più imbarazzante, «Me ne vado. Ho da fare».

Affrettò il passo e se ne uscì dalla stanza.

Si domandò per un istante se non fosse stato meglio finire tra le mani dei Varugas e divenire cavia per i loro esperimenti, piuttosto che cavia della torre di ricerca.

Dopo un ragazzo-animale, non voleva ritrovarsi strane sorprese come scoprire di essere padre o madre di un niji parlante o di un cucciolo di idiota dalle sembiante di Nyanperowna.

Tsukitachi guardò il secondo comandate alienato, con gli occhi sbarrati, come lui erano anche i presenti.

Chi sarebbe stato tanto prode da sollevare una qualche obiezione?

Paradossalmente, era stato più facile ridere in faccia ad Akari piuttosto che ad Hirato.

 

«B-Beh... che dire, questo era inaspettato», cominciò per prima Eva, che alla vista del pancione rotondo di Hirato, si sentì per un attimo mossa da una dolce comprensione, una pietà che faceva quasi tenerezza, non riusciva a togliersi dalla testa la speranza che la dolce attesa riuscisse a molcere il cuore apparentemente algido del comandante, «E'... è successo questa mattina? N-no, cioè, voglio dire, non voglio avere i dettagli, ma com'è possibile che... proprio tu e Akari»

Hirato accarezzò il rotondo rigonfiamento e sorrise, placido come sempre, e si mise faticosamente a sedere: «Non lo sappiamo neanche noi»

«Come fai a non saperlo!?», schiamazzò Jiki, forse facendo –nella coscienza, le veci dell’assente Gareki, che con tutte le ragioni di questo mondo aveva deciso di darsela a gambe, «Avrai un figlio e non sai nemmeno come sia possibile?!»

«Un’idea potrei avercela»

Eva ringhiò furiosa: «Diccela, che aspetti?!»

Hirato sorrise, tacendo innocente, con la faccia paffuta e la mano che accarezzava il gonfio pancione, il comandante della prima nave lo guardò incerto, non sarebbe mai riuscito a fare chiarezza su come si sentisse in quel preciso istante.

«Qualcuno mi dia, per favore, una spiegazione logica al fatto che tu ora sia incinto», bofonchiò Kiichi.

Jiki si fece d'un pallore indicibile e nascose la testa tra le braccia: «Davvero, basta così. Con quel sorriso che sfoggi... non voglio sapere altri dettagli né oso chiederli. Ci sono delle incongruenze in questa storia che non oso questionare»

«Sai già di che onere ti fai carico, Hirato?», domandò Tsukitachi, toccando una dolente nota, «Voglio dire... alla maggior parte dei qui presenti non interessa conoscere i dettagli ma– hai per lo meno la più vaga idea di cosa andrai incontro durante la...»

Cercò di trattenere una risata ma fallì nell’intento addossandosi le occhiatacce dei presenti.

«...la gravi- pff... ...la gravidanza?»

Era così impossibile da essere vero, un paradosso vivente.

E chissà come mai, ma aveva come l’impressione che l'unico fondo di verità che c'era in quella storia era che prima Hirato era un uomo come lui e adesso invece stava per diventare... 'madre'?

«Scusami tanto, ma i bambini non li porta la cicogna?»

«Non eri stata te, poco fa Kiichi, a dire che per fare un bambino serve una donna?!», urlò Jiki esasperato –dannazione, non avrebbe durato un secondo di più in mezzo a quel branco di deviati.

Kiichi arrossì d'imbarazzo e gli mollò un coppino sulla nuca: «Idiota! Certo che serve una donna! La cicogna porta i bambini alle donne, mica agli uomini! Se alla porta gli apre un uomo, gli becca sulla testa; a lei stanno simpatiche le donne!»

«Kiichi, non è così che funziona! Per fare un bambino una donna deve prima–»

Non riuscì a terminare la frase il povero Jiki, che la pedata di Eva lo colpì in pieno sulla faccia, con tanto di tacco.

«Non osare dire una parola di più, Jiki!», urlò e subito accorse a rassicurare la ragazza dai cerulei capelli, «Su, su, Kiichi, non ascoltarlo. Jiki ha sempre voglia di scherzare, è stupido, non sa quello che dice. I bambini li porta la cicogna e sono sicura che la cicogna busserà anche alla porta della seconda nave –me lo auguro per te, Hirato»

Hirato sorrise sornione.

E, intimamente, si augurò che la cicogna potesse bussare il più presto possibile.

 



L'ho scritto davvero.
E' la prima volta che mi improvviso con un puro nonsense, senza una cippa di trama sotto, quindi accetto qualunque genere di recensione o spunto per miglioramenti xD
è un'idea idiota che mi è venuta almeno un mese fa e non so manco dove finirà questa storia sinceramente..... però tentar non nuoce quindi... eccola qui xD

Ringrazio come sempre chi (con molta pazienza xD) è arrivato sino a qui a leggere e chi mi segue ;-D
un bacio ;-*
AsanoLight!

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Capitolo 2
*** Men ***


«Hirato»

Il comandante inarcò un sopracciglio e ricercò il solare volto del ricercatore, ignorando evidentemente il fatto che non ci fosse nulla di effettivamente sereno o fulgido in quello sguardo truce, tra le borse penzolanti dagli occhi o la bocca piegata in una trista, spenta e stressata curva, come se a portare l’onere della gravidanza fosse stato lui. Hirato non se ne curava tuttavia, quello che avevo al suo fianco –quando era di buon umore, era ‘Akari-san’, il professore del suo passato e il dottore del suo presente.

«Akari-san?», alzò appena la voce, mielosa come quella di una chioccia, mentre si massaggiava il pancione in una maniera che al ricercatore parve alquanto ossessiva –vedendoglielo fare almeno cinquanta volte al minuto. Akari cercò di ignorare lo snervato comportamento del corvino e si guardò irritato alle spalle.

«Che diavolo ci facciamo qui, a Vantnam», bofonchiò irritato e desiderò veramente mettersi un sacchetto sopra la testa per non venire riconosciuto da nessuno, «E perché ci siamo portati dietro questo branco di idioti»

«Oi, oi... Akari-chan. Non mi sembra carino chiamarmi idiota»

«Sta’ zitto, Tsukitachi!», ringhiò liberamente il dottore, «Nessuno ti voleva in primo luogo qui, né te né quei mocciosi della prima nave!»

«Pensi che noi avessimo avuto veramente voglia di venire qui con voi?», Kiichi si portò le braccia dietro alla schiena e si lamentò in un sonoro sbadiglio, la gonna di pezza a tartan le rasentava metà coscia e gli sfarzosi capelli erano raccolti in uno striminzito codino, «Io odio i mocciosi, viventi o in scatola che siano. Figurati se mi interessa andare a zonzo con un uomo che porta in grembo uno o più esserini piagnucoloni incapaci di intendere e di volere!»

«Kiichi! Che parole rudi», Jiki la colse di sorpresa alle spalle con una pacca che gli costò un ceffone di riflesso sulla guancia destra, il primo capitano assistette alla scena con una certa passività, abituato a certi patetici exploit, e quasi non vi prestò neanche attenzione. Si voltò piuttosto verso i due futuri genitori e, piegando le labbra in un sorriso difficilmente interpretabile, prese sottobraccio i compagni di una vita e li strinse a sé.

«Pensare che saremmo arrivati fino a questo punto...», mormorò con una drammatica commozione, aumentando la presa sui due, «Ho sempre sognato il giorno in cui avrei assistito al matrimonio del ragazzo con cui ho condiviso per sei anni la camera di dormitorio! Ma pensare che l’avrei visto mettere un figlio al mondo–»

«Ancora con questa storia?!», urlò Kiichi stizzita, «I bambini li porta la cicogna!»

Jiki la immobilizzò per evitare di divenire una seconda volta sventurato bersaglio dei suoi calci, sferrati con una precisione tale che avrebbero fatto invidia a Jackie-chan.

«I bambini non nascono come dici tu! Dai retta a me che sono erudito!»

«Menzogne!», si dimenò l’azzurra tra le braccia del corvino, ma la resistenza non era sufficiente a restituirle la libertà, «Eva ha detto che sono le cicogne a portarli! Un esercito di cicogne!»

«Beh, Eva si sbaglia! Dovresti ascoltare me, invece, che sono un eccellente giardiniere oltre che un interessante ragazzo!»

«Sono pronta a questionare la tua ultima affermazione»

«Parla, parla, simpaticona. Tutti sanno come nascono i bambini»

«Ah, davvero? E sentiamo, quale sarebbe allora la tesi del sapientone?»

«Semplice!», esclamò soddisfatto Jiki, «I cavoli!»

«I cavoli.»

«I cavoli?!», urlarono quasi all’unisono Akari e Tsukitachi, ora era come se avessero avuto la certezza che aspettavano da secoli.

Erano sotto effetti di sostanze psicotrope? Sì.

Da quanto? Non lo sapevano, ma decisamente da tanto.

«Voi avete letto troppi cioè», una snervata voce esordì e non ci volle molto al ricercatore per ricondurla al comandante della seconda nave, scuro nella faccia, i denti digrignati ed entrambe le mani sul pancione.

«Hirato... stai bene?»

Akari gli posò una mano sulla spalla e cercò di leggere la preoccupazione insolitamente visibile oltre le lenti degli occhiali del corvino ma prima che potesse fare qualunque altra mossa o raccogliere fiato a sufficienza per parlare, Hirato si era già liberato con ferocia della presa mutando spaventosamente l’umore; facendo sbiancare i due compari per quella reazione così inaspettata.

“Penso sia in modalità sbalzi d’umore”, bisbigliò senza pudore Tsukitachi, noncurante che le parole pronunciate si erano imbucate in meno di un secondo nelle orecchie dal diretto interessato, e ora perfino Akari lo accusava mutamente di essere un idiota patentato.

«Io non ho sbalzi d’umore», grugnì Hirato, «E voi siete due completi deficienti, se non riuscite nemmeno a comprendere i miei sentimenti!»

«I... I tuoi ‘cosa’, scusa?», balbettò Akari, e fu certo che anche Jiki, che ora pagava duramente le conseguenze di aver intrappolato Kiichi, si fosse domandato la stessa cosa. Il più grande strinse la camicia del dottore e lo guardò con occhi di pietà, diamine se non aveva la pelle d’oca il povero ricercatore, a vedere quella persona che era e non era Hirato.

«I miei sentimenti, Akari-san!», urlò disperato, e si gettò a terra abbracciandogli le ginocchia, «Io sono solo una povera donna incinta e voi, uomini!, anziché cercare di fare qualcosa per aiutarmi ad affrontare nella piena serenità questa fase della mia vita, mi parlate alle spalle! Ingrati! Non avete nessun rispetto per una donna in stato interessante!»

Akari lo guardò aberrato, cercare di trovare le parole esatte per rispondergli o rincuorarlo (o rincuorarla, data la situazione?) era pressoché impossibile, soprattutto dato quel discorso, che non aveva né capo né coda.

«Diavolo, è grave la faccenda!», Tsukitachi gli si avvicinò tremolante all’orecchio e ostentò un sorriso quando incrociò le lacrime di coccodrillo del corvino, ancora ai piedi del ricercatore, «Prima blatera qualcosa di schifosamente femminista sui sentimenti, poi ha gli sbalzi di umore tipici di una donna in gravidanza e poi si immedesima a tal punto da non trovare altra scusa per avercela con noi se non per il fatto che siamo uomini! Sì è dimenticato di essere un uomo, Akari-chan! E’ una donna!»

«Che facciamo?», Kiichi si avvicinò al gruppo dei più grandi senza prestare troppa attenzione, cosa che non aveva fatto neppure precedentemente, e trascinò per il colletto un Jiki viola dai pugni, «Perché Hirato-san sta abbracciando le ginocchia di Akari-sensei?»

Gli occhi del corvino brillarono di compassione e con grande fatica si rialzò, prese il viso della ragazzina tra le mani, e le baciò la fronte: «Lei è un angelo. Lei si è preoccupata per me. Non come voi uomini, che pensate ai vostri affari, e ve ne fregate di tutto il resto»

«Fino a qualche giorno fa anche tu eri un uomo», Akari lasciò scivolare le mani nelle tasche, la situazione stava degenerando e poteva ringraziare che la scenata non fosse avvenuta in mezzo ad una delle vie principali di Vantnam, o Circus si sarebbe giocato l’intera credibilità dopo l’uscita di Jiki sui cavoli e le parole del comandante, «E oserei dire che l’uomo che fino a tre secondi fa mi abbracciava le ginocchia se ne stava via mesi interi a combattere chissà dove e tornava alla torre di ricerca per un solo giorno, una sola notte d’amore, per poi ripartirsene chissà dove. E poi saresti tu, l’incompresa?»

«Ecco quello che facevate quando la porta del tuo studio era chiusa...», convenne pensieroso Tsukitachi, Jiki lo seguì a ruota con il poco fiato a disposizione, tra bernoccoli e lividi, «Esperimenti... visite di routine... e suppongo... anche qualche controllino alla prostata»

«Tra moglie e marito non mettere il dito», ribatté deciso il rosso.

«Non voglio pensare... a dove possa essere finito quel dito prima di–»

«Jiki, per favore», Akari si coprì la vista con un palmo, cielo, non voleva dirlo, ma doveva fargliela pagare in qualche maniera ad Hirato, che pure sembrava non fregarsene di quella discussione, né del fatto che la loro relazione non fosse più così segreta, e chissà che non lo fosse mai stata.

«E così... in fondo in fondo, lo sai cos’è che ha causato il danno», Tsukitachi si grattò compiaciuto il mento, e il ricercatore l’avrebbe voluto uccidere per quell’insinuazione, che poteva essere certo giusta ma totalmente fuori luogo se fatta in mezzo ad una strada, davanti alle orecchie di due minorenni che credevano ancora che i bambini nascessero sotto cavoli mutanti o li portasse la cicogna o– addirittura entrambi.

«Non è così», l’imbarazzo si impadronì delle sue gote, paonazzo com’era, poteva comodamente venire scambiato per un pomodoro con il camice da dottore, «Non lo sappiamo davvero come sia successo. Quello che mi interessa più d’ogni altra cosa è sapere perché lui si comporti come una donnicciola abbandonata dal resto del mondo»

«Akari Dezart! E’ questo il modo in cui ti rivolgi ad una donna incinta?»

«...e ci risiamo con questa storia della donna...», mormorò alzando gli occhi al cielo, Tsukitachi rise inarrestabile e Kiichi, le cui guance erano ancora in balia delle paffute mani del comandante, non riuscì a trattenere un brivido di disgusto.

«Hirato-san... credo ci sia una netta differenza tra me e lei... Non credo sia una donn-»

«Toccalo»

«Eh?»

Kiichi strabuzzò gli occhi e così fecero anche gli altri.

«Hirato smettila di scherzare e fatti serio», ordinò perentorio Akari, anche se avrebbe gradito aggiungere un “se mai lo sei stato in vita tua”, ma il comandante aveva già preso la mano della ragazzina e l’aveva posata sul suo pancione nonostante i suoi rifiuti infantili, manco l’avessero portata a morire alla gogna.

«Lo senti?», domandò con occhi sognanti, e Kiichi già si domandava perché quella situazione le fosse capitata in sorte e centinaia, miriadi di quesiti senza risposta sul perché avesse permesso che Eva la scaricasse con quel branco di idioti, con un ricercatore esaurito, un uomo incinto e un ubriacone che era sobrio un giorno sì e trenta no. Ritrasse di sua sponte la mano, avvampata nel visino di serpe: «Mai più! Non ci tengo a toccare la cosa! Vade retro!».

«...che... reazione», in un rantolo Jiki, che ancora cercava di riprendere i sensi, provò a rialzarsi e spiccicare qualche parola, «...sei... una tsundere... Kiichi».

Le ultime parole del capitolo per il povero Jiki, prima che venisse nuovamente preso a mazzate.

I più grandi si guardarono perplessi, l’unico a sembrare completamente estraniato dalla situazione pareva Hirato, che molto probabilmente lo era stato sin dal principio.

«Che facciamo?», si pronunciò per primo Tsukitachi, in un ebete sorrisino, e Akari sentì più vicino e intenso che mai il desiderio di menarlo come fosse stato Jiki per Kiichi. Gli portò le mani al collo e quasi l’avrebbe strozzato, se non l’avesse frenato il buonsenso e la consapevolezza che il motto ‘morto un papa se ne fa un altro’ non poteva venire applicato ai comandanti delle navi di Circus, perché quell’idiota era veramente necessario per gli scontri –e lui stesso era costretto ad ammetterlo assai malvolentieri.

«Che diavolo sarebbe a dire ‘che facciamo’?! Sei stato tu il primo ad insistere per venire qui!, te e quella rincitrullita di Eva! E adesso mi domandi anche ‘che facciamo’?! Potevo starmene al laboratorio a fare ricerche per scoprire l’origine di questa situazione!, potevo lavorare e pulire la gabbietta di Hearty! Potevo fare una miriade di cose oggi pomeriggio, se tu non mi avessi trascinato qui!, te e quel corteo di idioti che ti porti sempre dietro come cani a passeggio! E ora te ne esci con questo?!»

No, inutile questionare, inutile arrabbiarsi.

Ci doveva essere un motivo al perché ogni volta che lasciava la torre di ricerca ed usciva assieme a loro, finivano sempre per impantanarsi in situazione al confine della normalità, così ridicole che poteva a stento definirsi reali.

Guardò ancora una volta il pancione di Hirato.

Dannazione, quella creatura era anche sua. Il solo pensarci gli dava il ribrezzo e al contempo le vertigini.

 

Dove?”

Come?”

 

«Ehilà! Ma tu guarda se quelli che vedo là in fondo non sono i bambini della prima nave!»

 

Perché?!”

 

Akari si voltò, le pesanti borse sotto agli occhi che vantava facevano quasi concorrenza alle rughe malconce di Palnedo, che con tutti quei milioni che possedeva, ricavati dagli studi che conducevano i suoi scagnozzi sui Varugas, non aveva eppure manco uno spicciolo da sperperare per uno straccio di lifting fatto come si deve. Ah– ma che si lamentava a fare... Palnedo non aveva figli. Aveva una nipote, e non si era mai riuscito a figurare da dove fosse eppure sbucata fuori, certamente con una tale considerazione non voleva certo saltare all’affrettata conclusione che l’esistenza di Elishka fosse meramente dovuta a un buco nero nella trama del manga.

Ma non riusciva neppure a figurarsi da dove sarebbe sbucato fuori suo figlio, o sua figlia, o qualunque altro individuo avesse ‘partorito’ Hirato, quindi non poté far altro che convincersi che non sarebbe stata un’idea così cattiva affidare la nascita della creatura al ‘normale’ decorso degli eventi.

Cavoli, cicogne, cesari o magie, non gli importava.

Per una volta, poteva pure fregarsene.

Tanto non toccava a lui metterla al mondo.

Si portò una mano tra i capelli raccogliendo quei pochi che gli impicciavano la vista, e avrebbe veramente preferito avessero continuato a farlo, perché ora che il misterioso figuro gli si era avvicinato, aveva come l’impressione di essere divenuto la balia a tempo fisso non di quattro bensì di cinque idioti. O forse sei, dato che Hirato contava per due.

«Tokitatsu...», Akari gli andò incontro a mezza strada, distaccandosi dal gruppo, «tu non dovresti essere nel tuo ufficio... al ministero della difesa?».

Tokitatsu dissimulò interesse per le parole del ricercatore e cercò di sbirciare e vedere cosa ci fosse oltre le spalle del dottore. «Potrei dire lo stesso di te », cercava di sporgersi e scorgere ciò che Akari, nel pieno della sua altezza, cercava inevitabilmente di impedirgli di vedere, anche a costo di rimetterci la faccia lui stesso, «D’altronde, anch’io pensavo che i bambini si trovassero a bordo delle rispettive navi, ad adempire i loro doveri, invece di bighellonare in giro con i più grandi»

Non parliamo di bambini, ti prego”, avrebbe gradito controbattere il ricercatore, che ora si sbilanciava a destra e ora a sinistra con troppo impegno, per impedirgli la vista del pancione di Hirato.

Tokitatsu corrucciò amorevolmente la fronte.

«Ehm... Akari-san... perché non mi lasci passare?»

«Cosa ti da’ l’impressione che io non voglia lasciarti passare?»

«Il fatto che mi ti pari davanti ogni volta che cerco di fare un passo?»

«Sciocchezze», ribatté con debole convinzione il rosa.

Tokitatsu, stizzito e oramai entrato nell’irreversibile modalità ‘fratellone eccessivamente possessivo’, sfruttò il potere dell’amore fraterno (?) per superare Akari e si fiondò sul corvino, unico oggetto del suo interesse, cogliendolo di sorpresa alle spalle.

«Hirato!! Fratellino! Quanto tempo!», ignorò volutamente la presenza dei più piccoli della nave; quando era con Hirato, esisteva solo lui e nessuno sembrava aver mai sollevato obiezioni a proposito –molto probabilmente perché tutti ne erano pienamente coscienti.

«Ohoh... senti che pancia che hai messo su! Dannazione, lo sapevo che non dovevo mandarti quei rotoli di liquirizia... Comunque, se me lo dicevi che ti facevano ingrassare, non te li avrei comperati!»

«Tokitatsu... non mi toccare», era truce il tono di Hirato, un piglio che il castano ignorò deliberatamente facendo accapponare la pelle di Tsukitachi.

Non sa il pericolo a cui va incontro”, pensò il rosso con una certa consapevolezza, “Sta toccando la pancia di un uomo incinto che si crede una donna... e lo sta facendo contro il suo volere. Sta per consumarsi un fratricidio. Anzi– un mezzo fratricidio, dato il loro legame”

«Come siamo acidi questa mattina, fratellino! “Non mi toccare”, manco fossi una-»

Deglutì pesantemente il castano quando realizzò che quella che aveva toccato era una pancia troppo grande per appartenere ad una persona in sovrappeso.

Tsukitachi tossi pesantemente e non seppe se gli fosse convenuto ridere o stare zitto -molto probabilmente la seconda scelta si adattava alla situazione come non mai. Akari sopraggiunse con passo lento e si riunì al gruppo ma Tokitatsu non aveva fatto una mossa, se n'era rimasto in piedi, attonito, negli occhi lo sgomento, e a Kiichi parve che avesse perfino smesso di respirare e si fosse fatto di pietra.

«E' morto sul colpo», commentò sardonica senza curarsene troppo, vivo o morto che fosse, non le cambiava di una virgola la vita lo stato di salute di Tokitatsu, «Potresti averlo ucciso te, Tsukitachi»

«Io che c'entro adesso?!»

«Eri stato tu a dire che non vedevi l'ora di parlarne con Tokitatsu!»

«E-Ehi!, io scherzavo!»

«Tsukitachi, tu non hai la cognizione dello scherzo. Racconti balle ogni volta che tiri un respiro e il concetto di ‘essere seri’ è a te sconosciuto quasi quanto quello di ‘sobrietà’ e ‘diligenza’», commentò Akari guardando con occhi di pietà il povero ministro della difesa, che ora giaceva in stato di incoscienza sul suolo di sampietrini di Vantam, accanto a Jiki, anche lui senza sensi, ma per ovvie ragioni riconducibili ad una ragazzina dai capelli cerulei. Gli picchiettò la faccia nel tentativo di farlo rinvenire e frenò Hirato quando lo vide tentare di piegarsi per aiutare il fratello –o per lo meno, si augurava l’avesse fatto per quel sano proposito e non per disegnargli sulla faccia con un pennarello tirato fuori da chissà dove.

 

«Detesto dirlo, ma sarebbe meglio che Tsukitachi si prenda cura di te fintanto che Tokitatsu non si riprende. Vai a fare una camminata da qualche parte qui intorno, ci stanno parecchi parchi e vialetti -cerca di non farti riconoscere, se possibile»

«Mi lasci con Tsukitachi», rimarcò amaramente il comandante, e perfino Kiichi osò echeggiare basita: «Ci sta serio, dottor Akari? Lo vuole mandare in giro con lui?»

«Ho altre possibilità forse?», c'era un leggero velo di riluttanza in quelle parole, «Ho un ministro della difesa senza sensi qui per terra, Jiki è nel suo stesso stato e tu sei una ragazzina incapace di badare a se stessa e altamente ignorante in materia di anatomia. E dovrei lasciare due ‘feriti’ e una minorenne tra le cure di Tsukitachi? E dove lo troviamo un altro come Tokitatsu poi?»

Un altro bastardo come lui... impossibile da trovare.

Inoltre, non voleva certo ammettere che preferiva allontanare Hirato dal gruppo e lasciarlo al comandante della prima nave, per godere almeno di qualche attimo di respiro. Da quando era... successo, il corvino gli era sempre rimasto appresso giorno e notte. Non era più riuscito a chiudere occhio da allora ed era costretto a sorbirsi ininterrottamente le sue lamentele, ventiquattro ore al giorno. Era esattamente come avere a che fare con una donna incinta, e anche se non aveva un pancione di due chili sull’addome, era più che certo che, con il fiato sul collo che gli teneva Hirato, era come se l’avesse avuto. Stava portando avanti una gravidanza a livello emotivo e psicologico e si sentiva perfino più stressato di chi l’onere lo portava in tutti i sensi.

Si sbrigasse a partorire. Già non ne posso più”

Tsukitachi gli sorrise innocente –un terribile presentimento a quella vista gli attraversò la colonna vertebrale; meglio scacciarlo.

«Beh! Allora a dopo, Akari-chan!»

«State nel parco!», ringhiò Akari quando già le loro sagome si facevano più piccole all’orizzonte, «E non fargli fare troppi sforzi!»

Oh beh, almeno non sembrava uno di quei mariti preoccupati per le mogli.

Non lo sembrava, giusto?
 



Hirato incinto ha sbalzi umorali da paura. E a me fa paura quanto OOC possa essere nei panni di uomo incinto.
Ma vabbuon, eravate stati avvertiti ;-D
Promesso!, appena la creatura nasce, Hirato ritorna ad essere il classico teaser patentato di sempre *ne sente la mancanza*
ringrazio chi mi segue sebbene questo sclero demenziale ahahahahahah
un grandissimo grazie!!!!, e un bacio! ;-*
A presto!

 

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Capitolo 3
*** Labor ***


Tsukitachi prese sottobraccio il comandante e si allontanarono dal gruppo sulla via per il parco di Vantnam. Non era la prima volta che vi facevano scalo, potevasno dire di conoscere abbastanza bene quella piccola cittadina, o forse, erano le vie dei suoi centri commerciali e i nomi dei negozi agli angoli a venire particolarmente noti ai combattenti della prima e della seconda nave. Certamente, per una persona come Tsukitachi, che non vedeva neppure la differenza tra un armadillo e un armadio, perché pronunciati entrambi sembravano piuttosto simili, Vantnam era la città che poteva vantare di conoscere meglio delle sue tasche, sebbene lui, le tasche del giubbotto, non sapeva neppure come fossero fatte, dato che -come sempre diceva, le bottiglie del brandy avevano forme troppo varie o grandi per poterci entrare.

«A cosa stai pensando?», domandò stringendo il braccio del corvino. Hirato accettò malvolentieri quella cortesia. L'ultima persona con cui voleva passare del tempo era quell'idiota con i capelli rossi. Era incinto, aspettava un figlio e anziché ricevere supporto morale dal principale responsabile, si ritrovava abbandonato a se stesso (contava veramente così poco Tsukitachi?), senza neppure una spalla su cui piangere. Akari poteva lamentarsi quanto voleva sull'ingiustizia della sua condizione, ma non era lui quello che avrebbe dovuto mettere la creatura al mondo.

Il parco oramai non era più molto distante, con i suoi begli alberelli verdi curati e i fiori splendidi, c'era una vegetazione così variopinta e rigogliosa che una foresta amazzonica poteva tranquillamente fargli concorrenza. Non che- anche il giardino di Jiki si sarebbe rivelato un degno avversario, quando non veniva distrutto da una certa ragazzina con preoccupanti manie di protagonismo.

«Penso all'infinito», rispose Hirato sovrappensiero.

«L'infinito...», Tsukitachi alzò gli occhi al cielo, scrutando le nubi e cercando di intravedere, tra un cirro e l'altro, l'azzurro del cielo, «L'infinito... tipo... il cielo?»

«”L'infinito... tipo” la tua idiozia», replicò pungente il corvino.

«Certe volte penso che tu mi sottovaluti troppo, Hirato», appoggiando le suole sulla morbida erba dell'aiuola e ignorando completamente il divieto grande quanto una casa all'entrata del parco, Tsukitachi si fece strada per l'immensa distesa edenica di verde trascinando sottobraccio il comandante incinto come un padrone fa con il cane quando non ha voglia di camminare, «Su, su! Vieni e rilassati un po'! Dev'essere impegnativo essere una do- un uo-... ... portare in grembo una creatura! Chissà quante volte avrai pensato a come verrà al mondo e come sia stato possibile e cosa farai una volta che sarà nato e-»

«Non fingere di capirmi», era freddo il tono di Hirato e per un attimo Tsukitachi pensò fosse entrato nuovamente nella sua modalità di sbalzi d'umore, una tale abilità che ricordava vagamente l'entrare nella "Zona" dei personaggi di un certo anime di giocatori liceali di pallacanestro, e aveva sudato freddo, quasi ghiaccio, quando l'ipotesi della situazione gli aveva sfiorato la mente, «Non parlare come se capissi tutto. Già non capisci niente nella norma, fa di non peggiorare la situazione. Tu non puoi immaginare cosa significhi non sapere cosa succederà. Detesto ammetterlo- ma non sono al culmine della mia tranquillità»

«Beh... Hirato, non prenderla a male... ma-», notò il comandante portarsi le mani al pancione una volta sedutosi sulla panchina e venne scosso da un brivido -se di disgusto o altro non seppe dirlo, quando lo vide massaggiarlo con movimenti calmi e circolari nei soliti comportamenti che Akari usava rimproverargli. Tossi appena e cercò di riprendere le redini del discorso: «D-Dicevo... E' normale che tu non ti senta tranquillo... ma come è entrato dovrà anche uscire, non pensi? O-Ovviamente, se sapessimo come ha fatto ad entrare sarebbe più facile...»

No, non andava bene. L'occhiata torva del corvino in quel momento non lo rassicurava affatto, anzi, vedere tanto astio concentrato su di lui con il solo sguardo e confrontarlo con l'amore e la cura dei massaggi sul pancione gli sembrava un insolito indice di disturbo bipolare da donna in gravidanza. "...So cosa significa per lo meno 'bipolare'?", il pensiero attraversò come un fulmine la mente di Tsukitachi, partendo da un estremo del cervello e giungendo rapidamente all'altro, ma nel momento in cui ebbe la piena certezza di aver realizzato il significato di 'bipolare', Hirato si era piegato in due sulla panchina strozzando un gemito di dolore.

«Oi! Tutto bene?», Tsukitachi si precipitò all'immediato addosso al comandante e gli diede una pacca sulla spalla con energia, «Stai soffocando?, respiri?»

«Come potrei soffocare?!», Hirato si mise le mani al pancione, esasperato fino alla cima del suo capello, «Ti fai troppi problemi. Sono un uomo, saprò come gestire la situazione»

"Ma se cinque secondi fa eri una sventurata donna dimenticata dal resto del mondo!"

Oramai ne era più che convinto. Hirato era bipolare.

Senza sapere cosa potesse significare o da dove avesse tratto quell'alquanto dotto termine, poteva dire tuttavia che gli stava a pennello e nessuno gli avrebbe mai strappato dalle mani e dalla mente la certezza che il comandante della seconda nave avesse qualche serio problema fintanto che era non solo in stato 'interessante' ma perfino fuori dalla norma. «Se dici di essere capace di gestire la situazione, voglio avere fiducia in te. Non che-...», mormorò a fior di labbra prendo a sua volta posto sulla panchina, al fianco del corvino, e contemplando il cielo a sprazzi azzurro e a sprazzi bianco, che pareva più che altro dipinto dalla mano di un imbianchino ubriaco -perfino lui sarebbe stato capace di una simile opera d'arte, «Ho creduto molte volte in te e nei tuoi poteri. Ti ho lasciato andare a Rinol, perché sapevo che avresti potuto sostenere il peso della missione senza problemi. E poi- anche quella volta che hai salvato Gareki e quella ragazzina, Tsubame, da quel Varuga... Sei sempre stato capace di fare cose fenomenali e straordinarie...»

«T-Tsukitachi...», Hirato si portò le mani al grembo bofonchiando il suo nome, ma avrebbe centinaia di volte preferito quello di Akari.
Maledirlo, se possibile.

«Oh! E poi, se contiamo anche quanto abile tu sia nel combattimento! Abbiamo speso molti anni insieme a Chrono Mei. Ti ricordi quella volta che siamo fuggiti dall'accademia e il preside ha fatto una sfuriata contro di noi? E poi è arrivato Akari-chan e tu hai addossato l'intera colpa su di lui! Prendi questa situazione come una sua piccola vendetta! Occhio per occhio, dente per dente!»

«Tsukitachi... p-per favore ascoltami un at-»

«Che poi, francamente, se devo essere sincero, c'è sempre stato quel ‘non so che’ di ambiguo tra te e Akari-chan sin dal primo istante! Ricordo quando gli avevi regalato i cioccolatini il giorno di san Valentino... e ogni volta che venivo a cercarti per farci quattro chiacchiere eri sempre in giro con lui, o in biblioteca o in laboratorio tra intrugli di ogni genere! Manco fossi stato un alchimista!», il comandante della prima nave si perdeva divertito nel flusso delle memorie dei bei vecchi tempi, lasciandole diluire come liquido in provetta nell'ovattata ma impalpabile morbidezza delle lontane nuvole, i cirri del suo passato, quelli a cui sempre aveva rivolto domande a cui mai aveva ottenuto risposte, «T-Tsukitachi-», già, com'erano belli i tempi andati, quando ancora tutto rientrava nella perfetta normalità e loro non erano nient'altro che ragazzini spensierati che avevano deciso di combattere per salvare il mondo dai Varuga, senza curarsi che da almeno cinquant'anni centinaia di supereroi, mecha, robots e tartarughe mutanti ninja avevano già deciso di sconfiggere il male e salvare il pianeta da nemici dai mille volti e improbabili psicopatici dalle insolite manie.
Eppure, lui, a parte fronteggiare Varuga che somigliavano vagamente ai troll delle Witch... non ricordava di aver affrontato altri generi di avversari.
Chissà che avrebbe fatto, se anziché ritrovarsi faccia a faccia con un Varuga, gli si fosse accidentalmente parato di fronte un esercito di guerrieri supersayan biondi ossigenati pronti a conquistare il mondo. Forse avrebbe avuto qualche possibilità, con il braccialetto di Circus e una modesta quantità di buona fortuna.

«Tsukitachi...», Hirato era piegato in due nei limiti che il pancione gli consentiva, e le gote paonazze e la fronte sudata e il sudore che colava a fiotti dalla fronte fino agli occhiali, che oramai gli erano scesi sino alla punta del naso, non parevano affatto indice di buona salute, «Tsukitachi!»

«Uhm? Cosa c'è, non ti senti bene?»

«Ti sembra la faccia di uno che sta bene questa?!», Hirato urlò come non aveva mai fatto in vita sua, il baritono ch'era in lui era finalmente volato libero.

Tsukitachi deglutì pesantemente, come se al posto di un bolo di saliva, si fosse improvvisamente ritrovato tra il palato e la lingua un macigno di almeno tre tonnellate. O un camion con annesso rimorchio. «Beh... non per contraddirti, Hirato...», sollevò una leggera obiezione, con un tono che qualunque marito avrebbe compreso dovendosi rivolgere alla propria moglie incinta, e capì solo allora quanto avrebbe preferito trovarsi al posto di Akari anziché tenere a bada una fiera indomita come Hirato, «...ma poco fa mi avevi assicurato che stavi bene e che- che non avevi bisogno di altro... perché sei un-»

Il livore della faccia del comandante parlò per lui e Tsukitachi sentì quel macigno trovare un comodo posto nello stomaco, e chissà quando se ne sarebbe liberato!

«Tu... AH!»

Cercò di controbattere il corvino, al quale le solide e infallibili argomentazioni non mancavano mai, ma una fitta tremenda lo costrinse ad abbandonare ogni proposito, piegato in due dalla sofferenza. Non voleva mostrare quella faccia al compagno di una vita, quel ragazzo che l'aveva sempre visto con il sorriso sulle labbra o la spietatezza nel combattere -o meglio, non era lui quello che l'avrebbe dovuto vedere in quello stato.

Ma qualcosa nel suo grembo o giù di lì si agitava, e premeva, e soffocava, e lui se ne stava ancora su quella dannata panchina, tra quei disgustosi fiorellini a cui sembrava non importare nulla dei suoi atroci dolori, e quell'idiota al suo fianco che invece non capiva niente, niente delle sue fitte, niente di quel contorcersi dentro di sé, di quel convulso e inspiegabile agitarsi, niente di quelle-

 

«CONTRAZIONI!»

 

Tsukitachi inarcò un sopracciglio e prestò maggiore attenzione alla magnifica faccia del corvino. Era un madido di sudore, si domandò per un istante se era così anche quando con Akari-

«Che fai lì impalato?!», Hirato grugnì, inutile dire che il rosso assisteva ad un raro prodigio, e osservava con inenarrabile stupore quel mistico mutare nell'animo del comandante. Aveva la stizza e il rancore di una donna, ma la forza restava quella di un uomo adulto; l'occhiata belluina con la quale lo stava imputando l'avrebbe potuto uccidere, se fosse stata una lama, «Prendi quel cazzo di cellulare e chiama Akari! Portami da qualche parte! Ho le contrazioni!»

«E dove ti porto?!», urlò di rimando il rosso e cercò di soffocare una risata quando realizzò la ridicolezza della situazione. Hirato non gli diede possibilità di replica, sfilò dalla tasca della giacca il cellulare –conoscendo il compagno e le sue abitudini, era palese che non lo avesse con sé, e glielo sbatté sul palmo: «Chiama Akari. ORA. Ho bisogno di lui»

Tsukitachi sgranò gli occhi, non era il momento più azzeccato per lasciarsi sorprendere, ma quell'ultima frase era riuscito a farlo. Era quello che non si sarebbe mai aspettato dal comandante della seconda nave, quello che forse aveva sempre nascosto agli occhi e alle orecchie di tutti, la verità innegabile, il fatto che ci sarebbe stato un momento nella sua vita in cui non ce l'avrebbe fatta da solo. "Quell'uomo ha una debolezza", realizzò in un tremito d'eccitazione mentre attendeva che Akari rispondesse.

Una catena di squilli senza risposta prima che potesse udire la voce del ricercatore.

Tsukitachi si allontanò da Hirato per parlare e, dopo un urlo dall’altra parte del telefono che avrebbero potuto sentire perfino i vecchietti che sedevano dall’altra parte del parco con il corno, fece ritorno dal compagno con un’espressione da cane bastonato.

«Alzati. Andiamo all'ospedale», convenne aiutandolo a rialzarsi dalla panchina e cercando di tratte le sue intelligenti deduzioni anatomiche dallo stato di Hirato, «Potrebbero essertisi rotte le acque!»

«Tu non sai un benemerito cavolo di nascite, vero, Tsukitachi?!», ringhiò con la ferocia di una bestia il più piccolo, tenendosi il pancione, l'idea che qualcosa, da chissà dove potesse uscirne, bastava a fargli venire i capelli bianchi, «E' una cosa comune tra voi della prima nave, come ho potuto constatare; essere ignoranti in materia di anatomia! Le contrazioni all'inizio sono lente e distanti tra di loro, poi si fanno ravvicina-!»

«Vorrei ricordarti, e ti prego di non odiarmi per questo... che tu non sei una donna», Tsukitachi abbassò di una nota il tono di voce quando pronunciò quell'ultima parola, ma Hirato era troppo preso dal suo soffrire, costretto ad appoggiarsi al compagno, per potersene curare, un motivo in più per il rosso per continuare indisturbato nella sua intelligentissima assunzione, «E che, di conseguenza, non potresti... partorire come una donna...», strinse il braccio del comandante il corvino e non riuscì questa volta a soffocare un gemito di dolore quando sentì una fitta intensa quanto un morso sulla pelle, «Voglio dire!, dopo un giorno portavi già in grembo una creatura di nove mesi! Era ovvio che il rischio che tu potessi partorire fosse incombente!»

«Se era così ovvio, perché non l'hai mai suggerito?!», c'era della rabbia nel tono di Hirato, oltre che un istinto omicida a un passo dal venire messo in atto.

Tsukitachi fece spallucce: «Nessuno mi avrebbe ascoltato, dato che mi date sempre deliberatamente dell'idiota»

«E non lo sei?!»

«E' questo il modo di rivolgersi a chi ti sta portando all'ospedale per farti partorire?!»

«Tsukitachi! Non mi dire che vuoi veramente-»

«Dove altro potrei portarti?»

Non poteva crederci.

Akari, tra le tante persone che erano presenti in quel momento, l'aveva affidato proprio a Tsukitachi, un uomo che non era neppure capace di far partorire un altro uomo. O per lo meno, di portarlo a partorire. Era lì, in travaglio, con quelle contrazioni a- non sapeva neppure lui cosa, con una creatura nel grembo (o chissà dove) che scalpitava e scalciava per uscire, si stava dannando come un disgraziato, e anziché starsene seduto e rilassarsi era costretto invece a camminare su un prato di fiorellini diretto verso... un ospedale.

E cosa avrebbero dovuto fare poi, in un ospedale?!

Se non avesse avuto troppo a che fare con quei dolori... avrebbe ammazzato Akari.

«Tu... non ti ha sfiorato l'anticamera del cervello l'idea di portarmi alla torre di ricerca?!»

«E' quello che mi ha suggerito anche Akari ma mi sembrava un'idea così stupida. Voglio dire... alla torre di ricerca? E come farebbero a far nascere un bambino?! Non hanno mica ostriche»

Hirato si portò un palmo alla fronte, «Si dice ostetriche... e comunque... Operano combattenti in fin di vita, sarebbero stati capaci di sventrare Nai se gli avessimo dato l'approvazione a farlo e ora mi dici che non saprebbero tirare fuori un figlio da me?!»

«Pensavo avessi valutato questa evenienza...»

La voce del rosso si fece nuovamente bassa e timida, l'insolita prepotenza di Hirato riusciva a tacciarlo come pochi al mondo ne avevano la capacità.

«IO. DEVO. PARTORIRE!», lo strattone prepotente del corvino spiazzò completamente Tsukitachi che oramai non poteva far altro che accondiscendere alle sue richieste, «Tu ora mi porti alla torre di ricerca, senza 'se' e senza 'ma'! Io metterò alla luce questa creatura e poi non ci si penserà più fino alla fine dei tempi! Sono stato chiaro?!».

Annuì mutamente il povero malcapitato, corrucciando disperato le labbra. Attivò il braccialetto di Circus e prendendo tra le braccia come una principessa il comandante incinto, tra lamenti e insulti rivolti più all'aria che a qualche persona di preciso, spiccò il volo.

 

 

"Comunque non pensavo che la faccia paffuta di Hirato potesse essere così carina"

Tsukitachi ebbe solo quel pensiero, volando in direzione della torre di ricerca, lasciando la prima nave incustodita, senza preoccuparsi di chi avrebbe poi dovuto riportarla a destinazione, dato che gli unici in grado di pilotarla erano loro due.

Hirato continuava a lamentarsi. Vederlo mentre si teneva il pancione ora faceva decisamente tenerezza.

 

 

"Non vedo l'ora di vedere la faccia della cicogna..."


Sghignazzando, si allontanava, sino a svanire nel lontano orizzonte.

 



Se Hirato potesse mi menerebbe con tutte le sue energie x'''D

L'ho detto, però! Questo è uno degli ultimi capitoli in cui appare in modalità 'chioccia'!
Lentamente rientrerà nel suo personaggio.... lentamente *coff coff*
Spero che questo sclero possa piacervi, anche se è un puro nonsense *fischietta*

Ho cominciato a lavorare di recente a una parodia sottotitolata dell'anime, per chiunque volesse dargli un'occhiata, ci sono i link per il download degli episodi!

https://www.facebook.com/karnevalparodia?skip_nax_wizard=true&ref_type=logout_gear

Un abbraccio e un bacione a chi mi segue, chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite, da ricordare etc... a chi recensirà e a chi, anche senza farlo, continua a seguirmi!!! Ringrazio moltissimo anche marifer198! Grazie per il tuo supporto! ;)

A presto!

AsanoLight~

 

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Capitolo 4
*** Yukkin ***


Tokitatsu era ancora a terra senza sensi e Kiichi ora lo punzecchiava con un rametto.

«Che fai?!», Akari si rizzò dalla rabbia e in un riflesso le strappò di mano il legnetto.

«Che domande. Gli faccio un massaggio d’agopuntura»

«Con un rametto?!»

«Ehi, non si arrabbi! Questo è quello che passa il convento!»

Sollevò gli occhi al cielo alla ricerca disperata di comprensione.

Se solo fosse andato con Tsukitachi. Ma che diavolo gli era saltato in mente?!

Aveva mandato suo- ... insomma, aveva mandato Hirato, incinto, in giro con un fenomeno da baraccone, uno che per come beveva poteva fare concorrenza a Malocchio in un’improbabile romanzo fantasy su maghetti dai dubbi orientamenti sessuali e con una predisposizione a finire coinvolti in situazioni di pericolo pari a quella che la signora in giallo ha di far avvenire un omicidio ovunque lei vada.

«Ci siamo giocati Tokitatsu», rimarcò con più decisione Kiichi, sbuffò quando il dottore le rifilò un’altra delle sue occhiatacce, «Non mi guardi così. Lei vorrebbe essere un buon padre?, ma non mi faccia ridere. Con quello sguardo truce farebbe piangere la sua prole dopo nemmeno due secondi di vita»

Ha parlato tata Lucia”, avrebbe gradito obiettare il caro ricercatore ma sapeva che sostenere un’argomentazione con Kiichi era come tirare una palla contro un muro di gomma e, sfidando le leggi della fisica, perfino rischiare di ritrovarsela spalmata sulla fronte senza conoscerne l’esatto motivo. «Io non ho mai detto che volevo diventare padre», disse scusandosi, ma non c’era prova o evidenza che potesse tornargli comoda per il suo caso, «Non volevo fare il genitore, né dieci anni fa, né adesso né mai. Lo so che non sono tagliato»

«Ha paura?», scorse un bagliore di interesse nelle cerulee iridi di Kiichi e se l’orgoglio non glielo avesse impedito, avrebbe potuto quasi tranquillamente rispondere di sì. Meglio non consegnare informazioni preziose tra le mani di una viziatella manipolatrice di nemmeno sedici anni; non poteva sapere di quali prodigi maledetti sarebbe stata capace quella dannata una volta ottenuti i suoi succulenti materiali per produrre gossip degni di una rivista per la sala d’attesa della Torre di Ricerca. Se si fosse lasciato sfuggire qualche parola di troppo, avrebbe potuto perfino ritrovarsi sulle bocche delle infermiere e sulle labbra di dottori e ricercatori della clinica, da mattina a sera si sarebbe discusso del prode Akari-sensei, il dottore di ghiaccio, incapace di gestire una situazione banale come quella di divenire padre.

O forse, era lui a credere che gli altri la considerassero banale.

Forse, il fatto che chiunque fosse venuto a conoscenza dell’avvenimento gli avesse riso in faccia non l’aveva di certo aiutato a farsi una buona idea della faccenda.

Tokitatsu era sdraiato inerme sul suolo, incosciente.

«Dobbiamo farlo rinvenire», convenne Akari dopo una lunga ‘meditazione’, troppo intento a valutare i rischi della lingua biforcuta della mocciosa per potersi curare del povero disgraziato supino sui sampietrini della strada di Vantnam, «Kiichi. Mi serve del ghiaccio»

«Prenderlo a ceffoni non va bene?», chiese l’azzurra rimboccandosi le maniche divertita, l’idea di poter infierire su un uomo che non fosse Jiki fomentava il suo lato di dominatrice, «Altrimenti posso usare la falce che utilizzo per combattere o c’è sempre la frusta di Jiki che dovrebbe essere efficace per-»

«Ghiaccio», sibilò il dottore e cercò di respingere il brivido di paura che lo scosse quando ipotizzò la sorte del misero ministro della difesa, preso a frustate senza un’apparente motivo –non che... alcune se le sarebbe meritato, nella modesta opinione di Akari, «Inventati qualcosa. Chiedi nei bar...»

«Non posso muovermi»

«Che cosa?!»

«Sei stato tu a dirmi di non spostarmi di qui perché sono minorenne. Altrimenti mi avresti lasciata a Tsukitachi, ricordi?»

No. Non ricordava.

Maledetta trama nonsense”, borbottò tra sé e sé, Kiichi inarcò appena il sopracciglio conscia di essersi lasciata sfuggire una confessione che il dottore aveva probabilmente rivolto a se stesso. Nel momento in cui riuscì a trovare le parole giuste per chiedere delucidazioni, Akari la interruppe: «Lascia perdere quello che ti ho detto. Puoi spostarti da sola se porti dietro con te la frusta di Jiki e prometti solennemente che non la utilizzerai per fare del male alla gente»

Kiichi mise il broncio irritata.

«Così non va... Non posso neppure usarla per punire i criminali della città?»

«Chi ti credi di essere, che devi punire i criminali? Superman?»

«Posso volare anch’io e non sono neppure allergica alla kriptonite»

«Sei violenta ed irascibile e hai fatto di Jiki una poltiglia. Sarà fuori gioco per almeno un altro capitolo!»

«Ho fatto il bene per la società»

«Hai frustato un tuo compagno!»

Kiichi fece spallucce.

Quel solo gesto suggerì ad Akari che la famigerata palla lanciata contro il muro di gomma stesse per rimbalzargli contro, e ora come non mai la vedeva terribilmente vicina alla fronte.

«Una persona che crede che i bambini nascano sotto i cavoli non merita di esistere»

Ed ecco la perla di saggezza della nostra ragazza. Dannazione, non voglio più vivere su questo pianeta. Ma chi mi ha fatto diventare ricercatore?”

«Te ne prego», odiava dirlo, ma Kiichi era l’unico essere vivente dotato di un apparente cervello pseudo-funzionante nell’arco di almeno un chilometro e non aveva altri che lei su cui fare affidamento –purtroppo, «Trovami del ghiaccio. Prendilo da dove ti pare ma portamelo»

«Uffa... che lagna, Akari-sensei...»

La ragazzina si era già allontanata con gli occhi rivolti al cielo, oramai troppo distante perché le sue lamentele sull’ingiusta sorte e il senso della vita potessero raggiungere le orecchie del ricercatore. “Voglio sperare che quella smorfiosa non combini danni. Con Jiki livido dalle bastonate, non ho neppure una spalla su cui appoggiarmi o che possa compiangere la mia situazione o sforzarsi di comprendermi, quando certi idioti se ne escono con cretinate di questo calibro. Sento che un episodio dei Griffin in un cross-over con American Dad avrebbe avuto più senso di quest’intera discussione”

Tokitatsu continuava a non dare cenni di vita, respirava appena tramite la fessura disegnata dalle sottili labbra, una piega dal vago sorriso ebete, niente a che vedere con quello del fratello minore Hirato, sbruffone e tracotante, ma pure dolcemente bastardo.

Tirò un malinconico sospiro.

Quanto aveva rimpianto in quei giorni la manata modestia di Hirato e la sua inesistente umiltà? Ogni ricordo legato alla virilità del comandante vittorioso e dominatore della seconda nave si dissipava e scemava nel sorriso da chioccia che cova nel suo caldo nido, e già lo stomaco gli faceva la bile e la voglia di mangiare andava altrove e svaniva all’immagine di quel pancione, che non era adipe, non era uno scherzo. Quella ‘cosa’, era sua.

«Tokitatsu», lo chiamò ripetutamente ma non sembravano sortire qualche effetto le sue parole. Si sentì inevitabilmente preso per i fondelli quando il ministro aprì appena la bocca e la saliva gli grondò come pioggia dai tetti nel bel mezzo di un temporale da un angolo della bocca, copiosa come il Po in piena (ma sapeva per lo meno dove si trovava il ‘Po’?).

«Tokitatsu», questa volta non c’era comprensione né disperazione nel tono del ricercatore, c’era solo la voglia di dargli i ceffoni che aveva negato a Kiichi, uno ad uno, con tanto di interessi, «Maledizione, torna tra di noi! Come pensi che possa farcela da solo io?! Sono anche impantanato con una smorfiosetta di–»

 

«LAAAAARGO!!!»

 

L’urlo fece trasalire il ricercatore.

Kiichi era già pervenuta con il materiale che avrebbe causato il mistico risveglio del malcapitato Tokitatsu ma la pessima mira unita all’impetuosa violenza della ragazzina fece sì che il mezzo curativo che avrebbe dovuto compiere il prodigio si scaraventasse sulla piena faccia del povero ministro.

Tokitatsu si rizzò in piedi di riflesso, raggelato dalla paura ma ancora troppo stordito per poter far uso della parola, e se Akari da una parte avrebbe voluto ringraziare volentieri la smorfiosa, dall’altra non fu molto contento di vedere lo sventurato Yukkin così maltrattato, ridotto ad uno straccio da schiaffare in faccia ad una delle personalità più importanti di Circus non che la meno curata dall’anime.

«Dove hai preso Yukkin?», domandò a primo impatto, dunque, quando lo prese tra le braccia e sentì il gelo oltrepassargli la camicia, lo lasciò cadere per terra sconvolto, «E perché è così freddo?! Dovrebbe essere caldo!»

«Quante domande, Akari-sensei...», ribatté Kiichi in un sonoro sbadiglio, «Questo è un nuovo modello che ci ha mandato l’altro ieri la torre di ricerca. E’ ancora in fase di sperimentazione, ma hanno detto che serve per l’intrattenimento più che per altro»

Come si aspettano che un pupazzo freddo quanto il ghiaccio possa intrattenere?! Non si può neppure abbracciare! –non che io lo farei mai, neppure se fossi da solo nell’ufficio...”

«Effettivamente la sua temperatura è di zero gradi celsius. Ma è tutto funzionale al suo scopo»

«Scopo?»

«Yukkin, fagli sentire»

Il pupazzo si avvicinò al ricercatore e si posteggiò volutamente sullo stomaco di Tokitatsu ignorando i suoi gemiti convulsi al contatto con il gelo.

«Cosa fa un giardiniere in discoteca? Il butta-fiori! Yukkin!~»

«Visto?»

Kiichi si esaltava troppo, o almeno, quella era l’impressione di Akari: «Faceva pena».

«Deve fare pena», concluse l’azzurra annuendo, «E’ un pupazzo di neve; fa freddure. Cosa ti aspettavi?»

No. NO! Questa fa pena davvero!!!”

«Aiuto! Brucia, qualcuno mi tolga questo peso dallo stomaco!»

«Oh... vedo che anche Tokitatsu è in vena di battute e modi di dire», convenne intrigata Kiichi, «Com’è che si dice? Prendere due piccioni con una fava?»

«Che diavolo c’entra con il nostro caso?!», urlò Akari, sull’orlo dell’esaurimento, e una volta liberatosi di Yukkin con un sonoro calcio su una zona che aveva deciso di sua sponte fosse il fondoschiena –anche se non era poi così certo, si piegò poi per aiutare il ministro, «La tua battuta Kiichi, è fuori luogo quanto Yukkin! Mi domando chi sia quel deficiente che abbia fatto una richiesta simile per un pupazzo di neve che fa freddure...»

Tokitatsu mormorò qualcosa massaggiandosi il gelato stomaco e se Akari avesse avuto a portata di mano una corda abbastanza resistente, si sarebbe sicuramente impiccato sul primo albero che avrebbe trovato: «Ma certo... pure io- che razza di domande faccio»

«Cos’è successo?», nella sua innocenza, Tokitatsu si asciugò la saliva che gli era colata nel sonno a bordo della bocca e cercò di rimettere in funzione almeno uno scomparto del suo cervello, per poter interagire civilmente con i presenti, «Dov’è il mio fratellino?»

Ha rimosso il ricordo della presenza di Tsukitachi?”, si chiese senza troppo stupore il dottore, e probabilmente la presenza del comandante della prima nave non era stata l’unica ad essere stata destinata all’oblio nell’ingenua mente dell’ignaro ministro. Si grattò irritato la punta del naso cercando di racimolare pensieri e idee e trovare le giuste parole.

Doveva dirgli che Hirato aspettava un figlio da lui.

Doveva trovare la maniera per dirglielo senza suonare ridicolo né causargli un secondo svenimento.

Doveva prendere la situazione con le pinze o avrebbe rischiato di peggiorare lo stato delle cose.

Scosse il capo con decisione.

 

No.

 

Era ora che si prendesse le sue responsabilità da uomo adulto e maturo.

Era ora che dicesse-

 

«Scusi, ma nessuno glielo ha detto che Hirato aspetta un bambino da Akari-sensei?»

 

Il repentino vibrare di un cellulare stese un velo di disperazione sulla conversazione, anzi, più che un velo, uno di quei teloni circensi pesanti almeno dieci chili, che per sollevarli servivano almeno due persone. Ma in quella situazione, un duo di deficienti non sarebbe bastato a riportare Tokitatsu alla vita una seconda volta, neppure se il valido assistente di Akari fosse stato il prode e logico Gareki, giustamente ancora troppo occupato a tenersi indaffarato per poter prendere parte alle disavventure della combriccola di disgraziati.

Akari notò le chiamate perse e rispose quasi al volo mentre, rassegnato, adottava il metodo suggeritogli da Kiichi e prendeva il ministro a ceffoni nel tentativo (più che altro, vano) di rinvenirlo.

«Che vuoi, Tsukitachi?!», borbottò con voce autorevole, e l’intensità sonora dello schiaffo al ministro si sovrappose per un attimo alle sue parole. Tsukitachi parlò, confessò le sue deduzioni e riferì lo stato di Hirato, aggiungendoci del suo.

«Che sarebbe a dire che si sono rotte le acque?!», urlò bianco dal terrore, tanto che perfino la ragazzina poté ringraziare di trovarsi lì e non altrove, per gustarsi il lato che non aveva mai conosciuto del dottor Dezart, la parte ansiosa che incuteva una macabra dolcezza. Le mani sudate e rosse dai ceffoni e aggrappate ora al telefono, la voce decisa ma tremolante e, ci avrebbe potuto scommettere tutti i soldi che aveva sottratto in maniera illecita dal portafoglio di Jiki, che i neuroni che gironzolavano nel suo cervello di genio si stessero in quell'istante fissando l'uno con l'altro, intrecciandosi e districandosi senza sapere dove cercare una soluzione. E poco le importava se non sapeva cosa succedesse quando si rompevano le acque. “Probabilmente è perché vengono innaffiati i cavolfiori. E quando i cavolfiori vengono innaffiati, poi fioriscono i bambini. Oppure si rompono le acque nel senso figurativo che le cicogne si rompono le scatole di aspettare e portano subito il bambino”. Kiichi non avrebbe capito, né allora né mai e nessuno si sarebbe tantomeno preso la briga di spiegarle la verità.

Ma neppure Akari capiva.

Non capiva come fosse possibile per un uomo che gli si rompessero le acque.

Soprattutto dato che un uomo non aveva...

Ah- lasciamo perdere.

Quando si trattava di Tsukitachi, tutto era possibile.

«Dove state andando adesso?!»

«C-Come dove?!», era impossibile captare lo stato d’animo del rosso dall’altra parte del telefono, la situazione non sembrava mettergli agitazione ma neppure divertirlo come avrebbe dovuto, «All'ospedale! C'è un uomo che deve partorire!»

«E lo porti in un ospedale?!», gridò Akari con voce da tenore, «Non fare un'altra mossa con quell'uomo incinto! Corri subito alla torre di ricerca, pirla!»

Non sapeva ancora bene da dove avesse tirato fuori quell'ultimo insulto, quel lemma che certo non proveniva dal lessico giapponese -ma non importava.

Purché fosse risultato offensivo e gli avesse permesso di infierire contro l'oggetto momentaneo di sfogo della tensione, tutto sarebbe andato bene.

Perfino Yukkin.

 

«Cos'è un tartufo? Una tortina non identificata! Yukkin!~»

 

O forse no.


 




Yukkin, ho finalmente scoperto la tua utilità.
Oltre all'essere un'esplosione di kawaiiezza (?)

Akari è sull'orlo di un esaurimento, Jiki è morto, Tokitatsu poco ci manca e Kiichi fa l'indifferente.
Questo è lo spirito di squadra di KARNEVAL! ;)
Ahahahah scherzi a parte, oramai il momento clou si avvicina! -sfortunatamente per un certo dottore...
Ce la faranno i nostri prodi quasi-genitori a sopravvivere?

io dico di no
*coff coff*

Come sempre, ringrazio uno schiliardo (?) di volte tutti quelli che mi seguono!
Grazie del vostro supporto!

Un profondo abbraccio *v*
AsanoLight~

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Capitolo 5
*** Zubat ***


Raggiunsero le navi alla velocità della luce.

Akari faceva da capofila all'intera combriccola, correndo a perdifiato per le vie della città, Tokitatsu al suo seguito era riuscito ad attivare quei pochi neuroni che gli rendevano possibile coordinare nel cervelletto i movimenti sufficienti a sostenere l’andatura del dottore, reggeva per una spalla il malconcio Jiki, incapace di reagire, e lo trainava come un sacco di patate.

Kiichi non sembrava avere la loro foga; si teneva a distanza di sicurezza e marciava lentamente.

Nel giro di nemmeno cinque minuti, qualunque innocente cittadino di Vantnam, fosse stato anche un vecchietto la cui dentiera era caduta per sbaglio nel bicchiere dell'acqua del nipote, era divenuto senza volerlo spettatore di quella maratona improvvisata, i cui partecipanti erano tre soggetti di altezze differenti, un medico con i capelli rosa, un ragazzo che si aggirava con una frusta da domatore (o da sadomaso) ora trattenuto come una principessa tra le braccia di un uomo troppo adulto eppure idiota per poter passare inosservato.

Senza dimenticare che dieci metri più indietro, una cosplayer con la parrucca azzurra se ne andava in giro con una falce a cuori come se fosse stata la cosa più normale del mondo.

Kiichi impiegò almeno un quarto d'ora per colmare il divario che la separava dal gruppo, dato il passo da tartaruga stordita -o da uno Tsukitachi reduce da una sbornia.

Per quando la combriccola si ritrovò riunita davanti alle navi, i suoi membri non poterono far altro che guardarsi nelle palle degli occhi, come pesci rossi in una boccia di vetro, e domandarsi all'unisono....

 

«Come ritorniamo?!»

 

 

«Non ci posso credere! Hai lasciato le navi incustodite e ti sei portato via Hirato!»

«Akari-chan... mi avevi detto tu che era urgente e che dovevo-»

«Il cervello! Dov'eri tu quando si spartivano i cervelli?!»

Akari inveiva rumorosamente al telefono, in un via vai instancabile lungo il corridoio della seconda nave. La sua scenata non venne indifferente alle pecore robotiche, i cui dati raccolti durante quella giornata su 'Akari-sensei' sarebbero bastati da sé a stabilire quanto il dottore avesse avuto bisogno di ritirarsi almeno per un mese in una casa di cura -o cominciare una terapia seria da qualcuno di competenza per il controllo della rabbia. Kiichi aveva fatto ritorno con Jiki alla vettura del proprio schieramento, se l'era scampata con la scusa del "non vorrei che l'aria della seconda nave possa sortire effetti misteriosi su di me".

E forse, non aveva poi così torto.

Perfino Akari acconsentì al suo allontanamento, ma non era sicuro di averlo fatto per il suo bene. Qualcosa gli diceva che prima di pensare alla salute della narcisista azzurra, avrebbe dovuto pensare alla propria; fisica e mentale.

 

«Akari-sensei non sta bene?», Tsukumo si avvicinò a Tokitatsu, seduto alla scrivania del fratello minore, nel suo ufficio, annotando più e più volte appunti con una perfezione quasi magistrale. Trasalì il castano quando la morbida voce della biondina gli raggiunse le orecchie, così melodica se paragonata all'infierire troglodita e primordiale del fine dottor Dezart nel corridoio accanto. Esitò lunghi istanti, avrebbe voluto parlare e confidarsi con Tsukumo -ne aveva uno spasmodico bisogno, ma la nitida sensazione del calore e della grandezza del pancione di Hirato rimastagli incollata alle mani e la consapevolezza che presto, troppo presto, il mezzo fratello che aveva lo avrebbe reso zio, gli faceva venire il capogiro e a quel solo pensiero ebbe quasi un altro mancamento e rischiò di ritrovarsi con la faccia letteralmente spalmata sulla lucidissima scrivania d'acero.

«Non è l'unico», rispose spiccio e sfilò dall'interno della giacca una pompetta per aiutarsi a respirare.

Tsukumo arricciò ingenuamente il naso, ma esitò di esporre timidamente la sua opinione: «Ministro... non sapevo soffrisse d'asma»

«Nemmeno io», replicò laconico il castano, portandosi i capelli all'indietro, disperato come non mai.

Aveva altro da dire Tsukumo, intrepidezza e curiosità le si potevano leggere scritte su tutta la faccia, ma lo spalancarsi fiero della porta recise ogni possibilità di comunicazione.

«Tu sai guidare questo coso, vero?», Akari avanzò prepotentemente a falcate, ignorando la presenza della ragazzina, il cellulare sporgeva dalla tasca del camice non più così professionale, e nel ristretto spazio di un nanosecondo aveva già agguantato Tokitatsu per la camicia costringendolo ad alzarsi dalla scrivania, «Tu devi essere buono a qualcosa, oltre che a farci perdere tempo dietro alla tua negligenza e comparire quando più ti pare nei capitoli del manga senza un'apparente motivazione! Sei il ministro della difesa! Saprai manipolare quest'aggeggio!»

«S-Sinceramente è una nav- nngh!», la presa del dottore si fece assassina quanto la sua occhiata, chi avesse assistito alla scena e non avesse conosciuto le attitudini del compìto e signorile 'Akari-sensei', avrebbe pensato fosse stato un delinquente, e non avrebbe avuto torto, «Rispondimi. Puoi pilotare questa pignatta volante e portarmi diritto alla torre di ricerca entro mezz'ora, sì o no?!»

Tokitatsu fece quasi per rispondere ma il vocino vivace di Nai fece precipitare la situazione in una possibile strage, e ora era come se la seconda nave si fosse incredibilmente prestata ad essere il set cinematografico di un film splatter di serie B della Asylum. Se solo il ministro ne avesse avuta la possibilità, avrebbe urlato al povero niji di scappare ma d'altro canto, sperava ancora che la sua innocenza lo potesse salvare dalle mani selvagge dello spietato dottore, che ora aveva allentato la presa su di lui dirigendo l’attenzione interamente sul biondino che aveva fatto irruzione nella stanza subito dopo l'albina creatura.

«Lascia stare, Tokitatsu», borbottò il dottore con un che di sadico nella voce, Yogi poté pure cominciare a tremare e già i muscoli si facevano pronti a scattare nella direzione opposta al dottore quando lo videro avvicinarsi pericolosamente a lui, come un gatto che fa la punta. Akari si rimboccò intrigato le maniche della camicia e con passi lenti e dosati, cercò di avvicinarsi al pietrificato Yogi.

«A-Akari sensei- ch-che piacere rivederla... D-D-Dov'è Hirato-san?»

«Alla torre di ricerca», l'appropinquarsi lento di Akari, così spaventosamente verosimile a quello di un Bear Grills che parte alla caccia di scarafaggi per cena, non poteva che fomentare la paura del povero ragazzo, che ora indietreggiava sempre più, fino a quando non si ritrovò con le spalle al muro e altro non gli restò se non spostarsi lateralmente, «Ovviamente, i vostri prodi comandanti se la sono filata lasciando le navi incustodite. Sai questo che significa?»

Yogi scosse il capo, ma quando fece uno scatto per scampare alla presa del dottor Akari, quello, più lesto di lui, lo afferrò per una delle code della maglietta facendolo inciampare per terra, e lo trascinò a sé come riavvolgendo il mulinello di una canna da pesca. Sogghignava, conscio che oramai aveva la chiave per raggiungere la torre di ricerca e finirla una volta per tutte con quell'insopportabile travaglio del secondo comandante.

 

«Significa che tu, Nyanperowna dei miei stivali, mi porterai da lui, o il prossimo controllo che ti faccio è alla prostata»

 

 

Dieci metri separavano il corridoio dall'ufficio di Hirato.

Ma le parole che sarebbero servite per spiegare la situazione erano probabilmente più di quante se ne potessero scrivere su uno striscione di una simile lunghezza.

Nai era ancora nello studio, assieme ad una Tsukumo alquanto confusa e un Tokitatsu troppo scosso per poter parlare, che altro non poteva fare se non elucubrare sugli errori della sua esistenza.

Doveva smetterla di lasciarsi travolgere dalle emozioni. Forse aveva sbagliato tutto nella vita sin dal primo istante, da quando aveva detto al fratellino che avrebbe dovuto seguire il suo cuore e insistere con Akari sebbene i suoi rifiuti –anche se, a distanza di tanto tempo, non ricordava se Hirato gli avesse mai chiesto un parere a riguardo.

«Cosa ci facevi qui, Nai?», domandò incuriosita Tsukumo, che per prima decise di rompere il ghiaccio vista l’insolita situazione venutasi a creare, «Perché sei venuto nell'ufficio di Hirato-san?»

«Io e Yogi giocavamo a nascondino», il niji rispose con ingenuità, gli occhioni rossi da peluche facevano una tenerezza indicibile a Tokitatsu -meglio trattenere quell'opinione per sé, non era l'unico ad avere un debole per lui, su quella nave, «...cercavo un posto sicuro dove nascondermi... Ma quando ho visto Akari-sensei parlare ad alta voce nel corridoio e minacciare di morte Tsukitachi-san, ho preferito venire qui. Pensavo ci fosse Hirato-san e invece-»

«Perché tutti cercate Hirato-san?», domandò la ragazza inarcando un sopracciglio, tradiva una certa impazienza quel suo voler celare ogni sentimento. L'entrata insolita di Yogi e la pedata della scarpa di Akari sul suo fondoschiena la costrinse a spostarsi ond'evitare di ritrovarsi con un ragazzo di vent'anni e il cervello di uno di due addosso.

«Tira fuori le chiavi, bishounen

«B-Bishounen?», balbettò Yogi arrossendo impacciato, «Non sono un bishoune-»

«Ho detto fuori le chiavi! Non farmi perdere altro tempo! Mio figlio potrebbe nascere da un momento all'altro!»

«Figlio?!», Tsukumo trasalì a quelle parole e incrociò gli occhi di pesca di Akari rimanendo a bocca aperta, «A-Akari-sensei... da quando-»

«Uhm? Tsukumo-chan, non lo sai?», Nai perfino le si avvicinò saltellando allegramente, come fosse la cosa più normale del mondo, «Hirato-san diventerà madre!»

«Madre?!»

«Basta!»

Akari berciò con quanto fiato aveva nei polmoni e si indirizzò verso la porta, diretto alla cabina di pilotaggio, tirando a sé Yogi per un orecchio: «Ancora con questa storia! Non fa ridere! Qui non ci resta altro che piangere!»

«Direi...», sollevò una fievole obiezione Yogi, che forse aveva più motivi di tutti, a bordo di quella nave, per scoppiare in lacrime -mai quanti ne avrebbe avuti Jiki...

«Tu sta zitto», ringhiò severo Akari uscendo dallo studio senza smettere di tirare il biondino con foga, «Vedi di pilotare questo zubat volante e di farmi arrivare entro mezz'ora alla torre di ricerca. Se commetti qualche sbaglio sei un uomo morto»

«S-Sì, ma- A-Akari-sensei...»

«Non voglio sentire scuse», il dottore continuava a trascinare perentoriamente il ragazzo per i corridoi, senza mollargli l'orecchio, se avesse continuato per altri dieci minuti, Yogi avrebbe potuto fare i provini per venire preso nel cast di Dumbo, nel ruolo di protagonista principale. Con un paio di noccioline ed un sorcio sulla testa, avrebbe potuto spiccare il volo senza neppure bisogno del braccialetto di Circus, dato che si sarebbe ritrovato due orecchie grosse quanto una porta aerei.

«Ma la cabina di pilotaggio...»

«Cosa vuoi?», Akari non sembrava lasciare spazio alcuno a domande, e ora aveva agganciato il povero disgraziato anche per l'altro orecchio e lo continuava a tirare, senza curarsi della sua volontà, incapace di comprendere che Yogi, oramai, si era ben rassegnato all'idea di venire schiavizzato dal ricercatore e fargli da tassista senza neppure chiedergli il conto, «Non mi dirai che mi hai mentito? Che non sai pilotare la pignatta? Quella volta che sono salito a bordo con te, c'eri riuscito, quindi non mi raccontare balle-»

«No, no! La so pilotare! E'- è... è solo che-»

«Oi»

Yogi s'interruppe e sentì le orecchie, libere e meno gonfie, riprendere la loro grandezza (e colorito) originale quando il dottore lo lasciò andare. L’attenzione di entrambi venne indirizzata quasi spontaneamente verso Gareki, appoggiato allo stipite della sua camera, con un piglio con cui cercava in ogni maniera di rendersi interessante, noncurante, ignorante e un'altra ventina di aggettivi terminanti in "-ante". Non che, nonostante le illusioni del corvino, Gareki non appariva mai come credeva. Anzi, in quella posa così artificiosa, tutto sembrava meno che capitato lì per caso -ed evidentemente non era il risultato del fato, che l'aveva voluto lì, casualmente spettatore delle vicende di un ricercatore sull'orlo di un esaurimento nervoso e un combattente che come armi utilizzava dolciumi dal sapore di arbre magiqué e zucchero a velo verosimile al talco di Pollon.

«Cosa ci fai qui, Gareki?», Akari sollevò il capo e corrucciò severamente la fronte -aveva fretta, non era quello il momento più esatto per incappare in uno dei pochi individui dotati di un cervello funzionante su quella nave. Gareki aveva indubbiamente testa, più materia grigia di quanta ne potessero avere Yogi, Hearty e la coscienza di Kiichi (che costituiva una persona a sé stante) messi insieme, ma in quella situazione non si sarebbe rivelato assai utile, come non si era mai rivelato tale durante le loro avventure -sebbene, a un anno di distanza, poteva affermare con una certa sicurezza che Gareki fosse un porta sfortuna perfettamente funzionante, capace di esorcizzare perfino un corno rosso, un paletto di frassino e tutti gli amuleti e le pietre preziose che in genere si portano contro le disgrazie. Avrebbe perfino fatto seccare un quadrifoglio.

Gareki si guardò disinteressato le unghie e sorrise come se nulla lo riguardasse: «Yogi non le ha detto dov'è la cabina di pilotaggio?»

«Sono venuto in questa nave centinaia di volte, vuoi che non lo sappia da me dove si trova?!»

Gareki non voleva chiedere in che senso Akari-sensei fosse 'venuto' su quella nave e non voleva neppure domandare il motivo di quelle visite tanto assidue. C'erano cose che era meglio non sapere e indizi che riconducevano inevitabilmente al pancione del comandante.

Meglio tacere.

Ingoiò un amaro boccone, quel solo pensiero lo fece tremare e la maschera di apparente virilità che si era costruito registrò un leggero cedimento quando venne sfiorata dall'idea che qualunque divano nello studio di Hirato dove solitamente conversavano, poteva essere stato comodamente 'la scena del delitto'.

Scosse il capo.

Doveva andare avanti.

Doveva dire la sua e rendersi tanto utile quanto lo era nell'anime.

«In ogni caso...», mormorò sentendo il sudore grondargli come le cascate del Niagara lungo la colonna vertebrale, «State procedendo nella direzione sbagliata. La cabina di pilotaggio è dall'altra parte»

Akari, preso in contropiede, arrossì imbarazzato, mentre Yogi, massaggiandosi le doloranti orecchie, sgranò gli occhi, luccicanti per l'ammirazione.

«Gareki-kun! Sei così intelligente!»

 

 

 

«Pilota»

Schiaffò il biondino contro il posto guida, gli allacciò la cintura di sicurezza per impedirgli ogni via di fuga e gli portò le mani al volante, nel timore che per il troppo shock, il ragazzo avesse rimosso come guidare uno zubat/seconda nave -o forse, preferiva piuttosto non ammettere a se stesso che c'era un alto margine di probabilità che la mancanza fosse il risultato del bernoccolo stile cono tre gusti di Dragonball che ora si ergeva, pendente come la torre di Pisa, sul capo del bishounen.

Gareki aveva alla fine deciso di abbandonare ogni proposito inerente allo spendere l’intera giornata nella solitudine -solo stando in comunità poteva farsi calcolare dai presenti e recuperare la presenza persa negli ultimi capitoli.

Tokitatsu aveva preso posto accanto ad Akari e lo aveva più volte implorato in maniera alquanto assillante e infantile di tenergli la mano con la scusante della paura del decollo. Ma Akari aveva sempre declinato quell'offerta. C'era qualcosa in Tokitatsu che gli ricordava vagamente qualcuno... qualcuno come un idiota con un debole per le cose tenere e una negata vocazione per la cucina... chissà cosa sarebbe potuto succedere se gli avesse tolto gli occhiali...

«Non lo faccia»

«Uh?»

Gareki si ripeté serio: «So cosa sta pensando. Ma la prego di non farlo. Presto, alla torre di ricerca, avremo a che fare con un uomo dai disturbi della personalità, quindi se ci tiene all'incolumità collettiva, non gli tolga gli occhiali»

"Yogi non aveva torto", Akari lo guardò con sincerità, prima di girarsi e tornare a monitorare il lavoro del biondino, assicurandosi che la nave decollasse senza impiccio, "Questo ragazzo ha davvero cervello. Almeno lui"

Tokitatsu si sporse appena, con le pupille tanto dilatate che un oculista avrebbe potuto metterci la firma dicendo fosse un effetto dato da gocce di belladonna e atropina, e sorrise con innocenza, riuscendo a dimenticare, per almeno un pugno di secondi grande quanto la mano di un bambino appena nato, il problema del decollo.

«Di cosa state parlando?»

«Del tempo», replicò spiccio Akari.

Tsukumo si era rintanata nuovamente nel giardino interno. Da quando aveva scoperto della gravidanza di Hirato, aveva sentito il bisogno di starsene da sola, nella speranza di trovare qualche cura omeopatica all'esaurimento nervoso, o in alternativa, qualche fungo speciale che le desse delle allucinazioni più piacevoli.

Yogi partì per il decollo, Tokitatsu gridò come una fangirl esaltata al concerto degli One Direction o di Hatsune Miku LIVE a Tokyo, anche se l'enfasi era data per motivi completamente avulsi, Nai alzò le mani al cielo agitandole come suggeriva la nota canzone di Capitan Uncino e Gareki cercò di dissimulare come suo solito ogni sensazione.

Tuttavia alla fine finì per stritolare la mano del niji.

«Gareki-kun, ha paura di volare?», domandò ingenuamente Nai.

Akari si voltò basito, subito dopo aver porto al ministro della difesa la pompetta per l'asma.

«Non eri tu quello che qualche mese fa millantava di essere un cavaliere senza macchia e senza paura?»

«Non gli ho preso la mano per paura», si scusò il corvino sudando freddo, «Volevo prendere la bottiglia dell'acqua»

«Mentre decollavamo?»

«Mi piace sfidare le leggi della gravità»

Il dottore si portò una mano alla fronte.

"Mi correggo. Se non fosse per quel maledetto orgoglio... potrebbe perfino essere intelligente"

Fortuna che quello non era un problema che lo riguardava. Almeno lui, era tanto sveglio da far vivere in armonia orgoglio e intelletto, senza permettere che l'uno ledesse l'altro o interferissero tra loro.

Il cellulare del dottore vibrò ma fu Yogi a fargli notare l'anomalo rumore, togliendo il dottore alle sue preoccupazioni.

Era sicuro che quando chiamava Hirato c'era sempre una suoneria, qualcosa che ricordava vagamente le canzoni di Celine Dion, ma si domandava se non fosse stata una sua impressione, dato che di recente aveva sempre sentito quel telefono vibrare. «Perché lo tiene in silenzioso, Akari-sensei?», domandò, sperando che l'interesse non gli costasse un'altra bernoccolata con tanto di interessi, «Non ha una suoneria?»

«Quella solo per Hirato e una ristretta cerchia di ricercatori. Tutti gli altri sono rotture di scatole quindi meno li sento, meglio sto»

«S-Scusi ma se, ipotizzando per estremi... Tsukitachi dovesse avere dei problemi nel campo di combattimento, Jiki vada soccorso o Kiichi stia per morire... ecco... se lei non rispondesse non potrebbe aiutarli... Morirebbero-»

«E' una grave perdita?», echeggiò Akari noncurante, con lo sconcerto dei presenti.

«Vuoi dire che hai il silenzioso anche per le mie chiamate?!», urlò di stupore Tokitatsu.

«Non vedo dove sia il problema. Il telefono è mio e faccio quello che mi pare», bofonchiò il dottore incrociando le braccia in segno di rifiuto, «Inoltre, ci tengo a precisare che la prima nave è piena di deficienti quanto questa. E i deficienti sono duri a morire. Tsukitachi se la saprebbe cavare da solo, Jiki ha più probabilità di sopravvivere ad un Varuga che a Kiichi, e parlando di lei... quella non l'ammazzerebbe neppure un meteorite. Quindi il rischio non sussiste»

«Ha intenzione di far vibrare quel cellulare a lungo?», domandò Gareki, irritato da quell'incessante ronzare.

Akari gli rifilò un'occhiataccia e rispose alla chiamata.

«Akari-chan~», Tsukitachi intonò il nome del ricercatore come una dolce ninnananna, ma il pensiero che il retrogusto di sakè, whisky e alcolici di ogni genere dovesse attentare all'innocenza di quella melodia bastò a fargli sentire il disgusto sino al palato -ma probabilmente era anche lui, quello che oramai ne aveva le tasche piene di quella situazione, «Indovina, indovinello~ Chi è che è diventato papà~?»

Akari sbiancò, e non era sicuro che le vertigini che aveva fossero dovute all'altezza a cui stavano volando.

Tsukitachi restò in silente attesa, incapace di trattenere ancora a lungo una risata.

«Akari-chan?», domandò cercando di restare serio, «Suvvia, non è la fine del mondo! Sei papà! Sai, no? D'ora in poi dovrai fare quelle cose come aiutare Hirato a cambiare i pannolini o- o andare in giro con la creaturina nel passeggino... o-»

Il silenzio dall'altra parte del telefono gli lasciò una nota di perplessità.

"E' caduta la linea...?"

«Akari-chan?»

Gli sembrò di sentire le voci preoccupate di Tokitatsu e Yogi seguite da un sonoro tonfo.

E prima che potesse dire altro, la comunicazione era stata interrotta.

 

Tsukitachi fissò disinteressato il cellulare ma distolse lo sguardo quando vide Hirato uscire goffamente dal bagno della torre di ricerca.

«Hai parlato con Akari?», domandò preoccupato il corvino, le banshee liberate dal suo capello gli facevano aria con ventagli di ogni genere.

Il rosso sorrise sornione: «Tutto a posto! Secondo i miei calcoli, dovrebbe venire qui in un battibaleno!»

«Sta bene?»

«Me lo auguro», asserì Tsukitachi.

«Anche se molte volte ti comporti come un idiota, ho come l'impressione che questa situazione stia facendo maturare anche te. Ti ringrazio per avermi ascoltato ed avvertito Akari dell'importanza, per me, di averlo al mio fianco nel momento del-», forse era più imbarazzante, ridicolo e nonsense di quanto avesse mai ritenuto, dire quella parola, «sì, insomma... ... ...del parto»

«Fidati, gli ho riferito per filo e per segno tutto quello che mi hai detto di dirgli!»

«Anche di portare la valigia con i ricambi per quando passerò le notti qui?»

Tsukitachi annuì dopo un lungo silenzio.

«Solo un idiota se lo dimenticherebbe»

«Ti scongiuro, fa di non farmi pentire delle buone parole spese per te due secondi fa», bofonchiò Hirato portandosi una mano alla fronte e l'altra al pancione e guardò disperato il soffitto implorando pietà.

Il comandante della prima nave era ancora lì al suo fianco, tranquillo e sereno come una pasqua, con quel sorriso indecifrabile sulle labbra e forse perfino un po' inquietante. Fissò il cellulare di Hirato, ancora in suo possesso, e lo consegnò al collega.

 

«Ah, a proposito», disse con noncuranza, «Credo ti si sia rotto»

 

 

*bishounen: ragazzo faigo e giovane di anime/manga

 




Tecnicamente 'zubat' è anche il nome di un pokemon... la forma delle navi di CIRCUS lo ricordano vagamente (ma non è che ho cominciato a giocare a Pokemon versione oro per ds, noooo *coff coff*).... Provo tanta pietà per Hirato. Tra le mani di chi, ti ha lasciato Akari-san...? Povero e ancora incinto xD
Orsù, il momento si avvicina... E gli ormoni fanno delirare il comandante della seconda nave. Non c'è altra spiegazione.
O forse è la disperazione ;)

In tema con i pokemon, in genere le sigle cantano che l'importante è cominciare l'avventura anche se non sai dove ti porterà....
E in effetti, non so dove mi porterà questa fan fiction ahahahahah
Prendiamola come un'avventura dei pokemon...

Se siete arrivati a leggere sino a qui, delirio dell'autrice compreso, vi ringrazio per la comprensione, ora potete tirarmi i pomodori o le pokéball se volete xD
ma siate gentili *citazione MUST da anime yaoi*
ringrazio come sempre chi mi segue/ha inserito la storia tra le
preferite/seguite etc... perché l'elenco è ultra lungo e io sono ultra pigra >3>
Vi voglio bene e vi ringrazio davvero per il vostro supporto!
Un bacio!!! :* :*


A presto!!!

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Capitolo 6
*** Stambecchi ***


Akari rimase incollato al cellulare, ancorato come se il mondo stesse per crollare e altro appiglio non avesse avuto se non quel marchingegno.

La bocca fievolmente aperta, le labbra secche e la testa che girava come una palla da discoteca coi vetrini luccicanti, e prima che i presenti se ne potessero accorgere, il dottore era già precipitato sul pavimento, senza sensi, incapace di produrre stimoli positivi o negativi alle parole della persona all’altro capo del telefono.

 

«AKARI-SENSEI!»

 

La chiamata si interruppe quando Tokitatsu si slacciò la cintura di sicurezza ed accorse al moribondo nel tentativo di rinvenirlo. I ruoli oramai s'erano scambiati ma non era sicuro che un paio di ceffoni sarebbero bastati a riportare al mondo dei viventi il ricercatore. Le sue guance di rosa s'erano sbiadite, scemava il colore verso cineree tinte. Non si sarebbe azzardato a toccarle per il timore che potessero andare in frantumi come un set di pregiate tazzine vittoriane tra le mani di Nai.

Il niji si gettò d'istinto sul dottore per soccorrerlo e si propose di andare a chiamare Tsukumo-chan, ancora rintanata nel giardino interno.

«Meglio tenere Tsukumo fuori da questa faccenda», bofonchiò Gareki grattandosi il mento con fare saccente, «Diamole il tempo di riprendersi dallo shock»

«Dici che ce la farà, Gareki-kun?», domandò Yogi, che aveva abbandonato il “timone” –o meglio, il volante, e si era avvicinato con meno timore all'inerme Akari, il cui scrutarlo gli suscitava un intimo sadico piacere quasi quanto vedere l'uomo che da troppo lo tiranneggiava pagare per le sue angherie con tanto di interessi.

«Ce la deve fare», Tokitatsu si rialzò, dal cruscotto della nave/zubat si potevano vedere le nuvole diradarsi sempre più velocemente e le case e i monti e i colli e i fiumi ingigantirsi con rapidità, «Proprio come tutti noi. Deve farcela»

Gli occhi di ammirazione di Yogi parlarono per lui.

Tokitatsu era insolitamente serio e professionale, ora che perdeva le iridi d'acquamarina tra le enormi colline che la nave stava per approcciare, sempre più vicino, sempre più vicino...

«Scusate, sono l'unico a sentire questo strano vuoto allo stomaco?», si portò una mano alla pancia e sorrise con ingenuità, osservando come Yogi stesse cercando di improvvisare assieme a Nai un massaggio cardiaco –e pregava dentro di sé che il prossimo passo non fosse stato la messa in pratica di una versione rivisitata de 'Il piccolo chirurgo', con tanto di bisturi.

Gareki, che aveva seguito sino ad allora l'operare del biondino senza sollevare obiezioni, orientò l'attenzione verso il paesaggio che la nave abbracciava. «Aspetta un attimo...», disse altalenando lo sguardo tra il biondino e la professionale figura di Tokitatsu, ora così balordamente perso nello scrutare il paesaggio, «Ma se Yogi è lì...»

«Allora...», la sensazione di vuoto crebbe esponenzialmente nello stomaco dei presenti e le pupille del ragazzo si fecero piccole come briciole dallo spavento:

 

«ALLORA CHI STA GUIDANDO LA NAVE?!»

 

«Oh! Ecco perché!», esclamò sollevato Tokitatsu, dando le spalle al cruscotto e a quella che a tutti gli effetti pareva una montagna, e riprese a massaggiarsi lo stomaco con noncuranza, «Quindi non sono io ad avere problemi di digestione! Phew!, meglio così! Era solamente Yogi che ha abbandonato il posto guida... niente di cui preoccupars–»

Gareki sgranò gli occhi, la montagna era sempre più vicina, sempre più grande, e anche se il detto vuole che se la montagna non va all'uomo, allora è l'uomo ad andare da lei, Gareki non aveva questo grande interesse nell'approcciare le innevate cime dei rilievi montuosi, né tantomeno tentare la scalata del K2 o dell'Everest quando da qualche parte, a non troppi chilometri da lì, c'era chi aveva bisogno di loro, e a bordo, l'unico dottore che avevano, era in fin di vita –e chissà quando si sarebbe ripreso.

Infilzò le unghie nel volante quasi perforando i guanti ancora unti di olio per motore che indossava e nel momento stesso in cui occupò il posto di Yogi urlò come un lottatore di sumo giapponese che si schianta sul marciapiede dall'ottavo piano di un grattacielo. Era davanti a lui, gli stambecchi lo guardavano come avessero visto un alieno, la montagna gli sorrideva e le caprette gli facevano “ciao” ma– dannazione!

Lui non era Heidi!

Strinse i denti, era come stare sull'ottovolante, la situazione era tanto paradossale da fare invidia ai film di Mel Brooks e ai suoi principali successi; per le leggi della fisica, lo schianto sarebbe dovuto avvenire oramai da troppi secondi, ma il tempo della storia differisce sempre da quello della realtà, quindi cerchiamo di convincerci che Gareki sia stato attraversato da un enorme quantitativo di pensieri che chiameremo ‘x’ nell'arco di neppure un frammento di secondo.

Effettuò una magnifica virata, una sterzata tale da far invidia ad Alonso e a tutti i piloti di Formula Uno.

La nave invertì la rotta lasciando quasi una fiancata sulla montagna e il ministro dai castani capelli non poté che dolersi per il fatto che le spese non fossero coperte dall'assicurazione ma sarebbero ricadute interamente su CIRCUS –e, inevitabilmente, su di lui.

Il corpo incosciente del dottore rotolò come un salame dall'altra parte della nave e il niji, assieme al biondino –che fino ad allora non aveva sentito il peso delle accuse di Gareki addosso, troppo impegnato a familiarizzare con l'inerme individuo, gli corsero dietro nel tentativo di recuperarlo.

Akari rotolò per alcuni metri e Nai si gettò perfino a terra nel tentativo di frenare la sua caduta libera, ma per quando gli aveva preso la caviglia, il ricercatore aveva già sbattuto la testa contro lo scaffale in noce e uno ad uno, i pregiati libri del comandante della seconda nave e i depliant di botanica che gli aveva regalato Jiki gli battezzarono il capo.

«Che diavolo è successo?!», berciò voltandosi Gareki, impossibilitato a fare altro, che ora non aveva la più pallida idea di dove andare per la torre di ricerca. Premeva uno ad uno i mille pulsanti del pannello di controllo, led e luci colorate senza neppure una spiegazione scritta sotto. Tokitatsu era già accorso da Akari, ma all'ennesima sterzata azzardata di Gareki, finì anche lui per terra e le vittime della mancata licenza di guida del corvino salirono vertiginosamente a due.

«Ministro!», Nai, la cui utilità rasentava quella di un accendino sott'acqua, cercò di avvicinarglisi, ma quando gli sollevò il viso e notò gli occhiali rotti, non poté che rabbrividire e ricordare le parole intrise di saggezza del sommo suo compagno, e il suo noto suggerimento. Cominciò a piangere a fiotti, con delle lacrime di coccodrillo che non s'erano mai viste manco alle nomination del Grande Fratello, la Talpa e l'Isola dei Famosi, tutti e tre messi assieme ed elevati all'ennesima potenza. La situazione stava precipitando e con loro la nave, anche se in genere una nave dovrebbe affondare –ma queste questioni linguistiche non dovevano preoccuparli poi un granché data la faccenda.

Le lenti in frantumi di Tokitatsu fecero tremare i presenti procurando un potenziale, nuovo tiranno per Yogi, che avrebbe presto potuto rimpiazzare il morente Akari.

«Yogi!», urlò Gareki cercando di richiamarlo ai suoi doveri, «Stiamo precipitando! Non c'è più benzina!»

«Gareki-kun... mi dispiace!!!»

«Non me ne faccio niente delle tue scuse!», gridò il corvino, «Chiama Kiichi ed avvertila di venire in nostro soccorso! Avrete un radar, un GPS... qualcosa, dannazione, per indicare le coordinate!»

«Beh– ecco... abbiamo–»

«Avete sfiga», convenne amaramente Tsukumo, entrando nella cabina di pilotaggio, la faccia esaltata e gli occhi lucidi, come un SuperMario appena andato a funghi, «Quella tanta, grazie a Gareki-kun». Diede una spinta al corvino, gli si sostituì al posto guida e con una sgommata da Rally invertì ancora una volta la rotta e diede a tutto gas nonostante il serbatoio fosse tanto vuoto quanto il cervello di Tsukitachi e la sua geniale trovata, che aveva messo a repentaglio la vita dei presenti.

Ancora una volta, per effetto della forza centrifuga e qualche altra forza di cui si intendono i professoroni di fisica e sulla quale non si intende discutere per il bene intellettuale dei lettori, tutti eccetto Tsukumo si ritrovarono sballottolati come barili e accatastati ad un lato della cabina, ammassati come stracci da pavimento. Tokitatsu fu il primo ad impattare contro il muro di faccia, dando il colpo di grazia agli occhiali, Yogi gli si schiantò addosso e subito dopo vennero Nai e Gareki. Quando la condizione della nave si stabilizzò e la direzione di volo si fece diritta e stabile come un'autostrada (a meno che l'autostrada in questione non sia la Salerno-Reggio Calabria) il quartetto, che era per rialzarsi e ritornare alla vita, si vide piombare addosso con un ritardo ingiustificabile perfino dalle leggi della fisica (prontamente sospese per volere di Gareki e la sua famigerata bottiglietta dell'acqua) il corpo del dottore, che, rotolando nella loro direzione, avvolto nel camice come uno strudel, mandò in frantumi quel poco che rimaneva del suo cellulare.

«Stiamo procedendo a 1200 km/h. Ci troviamo a settemila metri di altezza. La condizione metereologica è serena. La temperatura esterna è di trentasette gradi»

«Come fanno ad esserci trentasette gradi a quest'altezza?!»

Gareki fece spuntare la testa tra i corpi accatastati dei suoi compari, come stesse ritornando in superficie dopo un'immersione, e cercò di venirne fuori disperatamente.

Una pacca in luoghi non meglio definiti lo fece trasalire dallo sconcerto e in un riflesso condizionato, gli partì una ginocchiata contro la fronte di Yogi.

«YOGI, BASTA CON LE MOLESTIE!»

«Era solamente il sedere, Gareki-ku–»

«Lo disse anche quel dannato quattrocchi di Hirato-san e ora guarda com'è messo!»

Tokitatsu si trascinò come un verme rintronato fuori dalla mischia, strisciando come reduce da uno scontro tra giganti nel Wrestling (in Giappone, diversamente noto come Shingeki no Wrestling; ma questa è un'altra storia), e con lenti oramai in frantumi, cercò di avvinarsi al primo essere vivente disponibile perché gli facesse da guida. Afferrò la maglietta di Nai per aiutarsi a rialzare ma a quella presa il niji, atterrito e devoto all'intelletto superiore del ragazzo in giallo, proclamato erede della nota Jessica Fletcher, ultra premiato nobel per la sfiga e ufficialmente riconosciuto pari di Candy Candy, Conan e Georgie, rammentò la pericolosità del soggetto senza occhiali, e lo colpì senza pietà servendosi della bottiglietta dell'acqua che Gareki, come un dromedario, aveva prosciugato fino all'ultima goccia.

«Non provarci, cattivone!», gridò con aria eroica.

Yogi cominciò a considerare seriamente l'idea di cambiare lavoro e a fare dei corsi per diventare un crocerossino. O, in alternativa, un croceverdino.

O perché no... un croceVARUGA-ino.

L'essenza era che quella faccenda lo stava mettendo in croce.

 

 

«A me pare che funzioni», Hirato girò tra le varie applicazioni del cellulare e testò più volte le sue funzionalità chiamando il numero di Tsukitachi, «Non è rotto. Sei sicuro che non sia caduta la linea? Hai per lo meno provato a richiamarlo?».

Il rosso contorse la bocca in una smorfia, riflettendo intensamente, manco dovesse ricordare la soluzione all'enigma della Sfinge o l'anno della scoperta della Patagonia.

«Non mi hai detto di richiamarlo», aggiunse dopo una pausa così lunga e snervante che aveva fatto perdere ogni speranza perfino al comandante della seconda nave, ora troppo intento a massaggiare il pancione nel suo acquisito istinto materno per curarsi delle opinioni dell'uomo al suo fianco. Si stava scomodi sulla dura sedia di plastica del corridoio della torre di ricerca, senza potersi sdraiare su un qualche letto o tirare un respiro di sollievo e lasciare che la natura (quale natura?) facesse il suo decorso. Le contrazioni continuavano ad essere ravvicinate e sebbene il suo lato virile non tardasse a manifestarsi davanti alle prove di idiozia di Tsukitachi, era altrettanto inevitabile che, al minimale contatto con la gonfia pancia, non gli sfuggisse un sorriso –e un brivido di paura su cosa gli sarebbe potuto succedere.

Dunque, in conclusione, non sapeva se vivere quella gravidanza con tranquillità o terrore.

Ma da quando il telefono di Akari aveva smesso di squillare, irraggiungibile, la seconda opzione lo stava già facendo tremare.

«Perché non mi risponde...», mormorò con voce bassa e nefasta, «Perché non alza quella dannata cornetta?!»

Tsukitachi rabbrividì.

Quegli occhi da fiera non erano un buon segno.

«E-Ehi... calmati Hirato. P-Probabilmente ha altro da fare...–»

Le iridi d'incendio del comandante gli fecero ritirare ogni parola.

«O-Okay. Probabilmente non ha altro da fare»

«Sto per partorire e lui neppure mi risponde al telefono! Maledetto bastardo egoista!»

“Merda! E' di nuovo diventato ‘donna’!”

«Non mi guardare con quella faccia come se fossi uno psicopatico affetto da disturbi della personalità! Io non sono come mio fratello!»

«F-Fino a prova contraria... metà dei suoi geni sono tuoi–»

«Vuoi morire?!»

No.

Voleva arrivare vivo almeno al giorno seguente.

Almeno per andare in qualche discoteca e rimorchiare qualche bella donna e dimenticare l'accaduto. O affogare i suoi problemi e i ricordi di quella vicenda nel brandy. O entrambi–

Trasalì quando qualcosa gli ritornò vagamente alla mente.

«Posso fare una chiamata, Hirato?»

La bestia lo incenerì con un'occhiata e nell'arco di nemmeno un'ora Tsukitachi aveva incassato più minacce di morte di Bill Gates ogni volta che un computer Windows va in tilt. Per un effimero secondo, gli sfiorò il cervello l'idea di desistere, inventare una macchina del tempo e tornare indietro a tre secondi prima per ritirare la richiesta fatta ma il collega incinto gli aveva già schiaffato il cellulare sul palmo, ordinandogli di spicciarsi, e non poteva lui certo lasciarsi sfuggire quell'occasione d'oro.

S'alzò dalla sedia e prendendo le caute distanze da Hirato, compose rapidamente il numero di Kiichi, che conosceva e recitava ogni mattina e sera a memoria come un mantra.

Il telefono non cessava di squillare e ogni istante di attesa era un attimo di morte incombente per lui.

Finalmente, qualcuno rispose.

«Che vuoi?»

Che grazia

«Kiichi. Dov'è Akari-chan?»

«Dovrei dirtelo?», domandò l'azzurra con noncuranza.

Tsukitachi si voltò, Hirato lo stava lapidando con il solo sguardo e nel sottofondo risuonava la colonna sonora del film ‘Lo Squalo’. Rispose a quella occhiata con un mezzo sorrisino ma dopo avergli dato le spalle, si aggrappò al telefono con un desiderio mai tanto forte di voler piangere, come se avesse avuto Jack lo Squartatore alle calcagna: «Devi dirmelo! Ne va della mia vita! Sono in pericolo!»

Kiichi storse il naso e continuò a limarsi le unghie mentre accomodava lo schiacciato sedere sulla schiena di Jiki, che da quando aveva ripreso i sensi era stato costretto a fungere da sgabello per la viziata quattordicenne, «Lei pensa che io, che mi trovo a più di dieci centimetri di distanza da lei, in un paese diverso... abbia voglia di dedicare il mio preziosissimo tempo ad ascoltare le sue lamentele e farle un piacere? Proprio lei, che ci ha lasciato a piedi?».

«Fino a prova contraria...», bofonchiò Jiki, sostenendo con i gomiti tremolanti il peso della ragazzina sulla schiena, «A-Abbiamo i braccialetti. Potremmo anche volare e raggiungere la seconda nave e Ts-Tsukumo-chan senza problemi se volessimo...»

«Non è da un maniaco delle piante che me lo voglio sentire dire», distese lo smalto sul pollice e ne osservò l'intenso colore verde. Come se avesse avuto voglia di scomodarsi per loro. E lei avrebbe dovuto volare, con quel freddo che faceva, fino alla torre di ricerca scompigliandosi l'acconciatura appena fatta, per assistere nel momento del parto il comandante di una nave di deficienti? Meglio restare al sicuro nella sua postazione e lasciare il quartetto di dementi marcire nella loro quarantena, con tutti quei germi infetti. Avesse anche dovuto evitare Tsukumo-senpai per almeno una settimana –l'avrebbe sopportato. Almeno con Jiki, poteva contare di non annoiarsi e di avere sempre qualcuno su cui sfogare la rabbia.

Con la frusta, possibilmente.

«Smettetela di bisticciare!», Tsukitachi si impose con autorità e con altri dieci passi si allontanò da Hirato; approfittando del suo stordimento dopo una contrazione, e parlò quanto piano possibile per non farsi udire, «Akari-chan sta venendo alla torre di ricerca ma il collegamento con il suo cellulare si è interrotto mentre parlavamo!»

«Dove sta il problema, scusa?», Jiki prese la chiamata per Kiichi, e Tsukitachi non si fece troppe domande; la ragazzina doveva essersi già stufata di conversare con qualcuno del calibro del suo comandante e doveva aver lasciato l'onere di gestire la situazione e le ansie del superiore all'unico ragazzo con un po' di cervello nella prima nave, «Se Akari-sensei sta per arrivare alla torre di ricerca, non vedo cosa tu abbia da preoccuparti. Se dovesse succedere qualcosa, noi ce ne accorgeremmo»

“Dopo mezz'ora, dato che ci troviamo dall'altra parte della nave, a duecento metri dalla cabina di pilotaggio –ma ce ne accorgeremmo”

«Il problema è che Akari-chan pensa che Hirato abbia già partorito!»

«Gli ha detto che aveva già partorito?!», la voce di Kiichi si sostituì al misero Jiki nel momento stesso in cui fece per dare una risposta, «Ma è scemo?!»

Tsukitachi esitò.

“Chi tace acconsente”, pensò Jiki, in un'occhiata di totale intesa con la dominatrice azzurra.

«Vi prego! Dovete contattare Akari-chan e dirgli che era tutto uno scherzo!», il comandante della prima nave si aggrappò con disperazione al telefono, manco fosse stato un rametto su un dirupo a precipizio. Il vuoto che sentiva sotto i piedi doveva avere inevitabilmente a che fare con lo sguardo truce e omicida di Hirato dopo l'ennesima contrazione, quelle iridi viola come i lividi che gli avrebbe potuto lasciare il collega una volta che tutto fosse finito –o, in alternativa, se anche si fosse azzardato ad avvicinarglisi troppo in quelle condizioni. Battendo i denti, non si accorse neppure di star urlando dallo spavento e dalla paura, sudato come un campione olimpionico dopo l'impresa del secolo: «Sono disperato! Aiutatemi! Sono il vostro capo! E' un ordine!»

«A parte qualche palese eccezione», ribatté Kiichi di suo canto, «I comandanti non dovrebbero mai abbandonare la nave»

«KIICHI! Non- non lo fare! Non riattaccare! Non riattac–!»

 

 

Chiamata terminata –

 

 

Tsukitachi scorse il messaggio raggelato.

Per quando racimolò il coraggio per fare ritorno dal comandante, si ritrovò la sua ombra alle calcagna, assassina come non mai.

«H-Hirato...?», con una timida vocina, grattandosi innocentemente la nuca, accennò un secondo sorrisino cercando di celare il misfatto, ma la presa del corvino sulla sua giacca non era lontanamente paragonabile alla delicatezza delle sue carezze da chioccia. E non erano amorevoli quelle sopracciglia, la cui piega ricordava vagamente una vallata montana, una 'v' spaventosamente accentuata, e non erano soavi quei canini sporgenti da vampiro.

«Cosa avresti fatto, tu...?», nell'aria c'era odore di sangue, di percosse, e forse anche di una possibile denuncia per tentata aggressione (o effettiva), «Tu avresti mentito ad Akari sul mio stato...?»

«H-Hirato... c-cosa ti fa pensare che io abbia voluto ingannare deliberatamente Akari-chan?», inutile celarlo, la verità era lapalissiana agli occhi d'entrambi, ma Hirato era serio e Tsukitachi era idiota, il che permetteva al primo di individuare le menzogne a colpo d'occhio e impediva al secondo di migliorare la propria condizione.
Anzi, con ogni nuova buffonata inventata, il rosso non faceva che avviarsi verso un punto di non ritorno.

«Gli hai detto che avevo partorito!»

«D-Diciamo che l'ho fatto per aiutarti–»

«AIUTARMI?!», Hirato lo schiaffò al muro, lo stomaco contorto dalla furia che ora gli scorreva al posto del sangue nelle vene, «Quale delle azioni da te compiute rientrerebbero nel concetto di ‘aiutarmi’?! Non riesco a contattarlo, ho bisogno di lui e tu, anziché assicurarti che arrivi qui incolume con quell'equipe di deficienti preferisci piuttosto illuderlo e fargli prendere i colpi?! Il bambino potrebbe nascere a momenti, e ancora non capisci che lui è uno dei pochi che potrebbe gestire la situazione!»

«Ma– Akari-chan si è sempre preso cura di Hearty... c'è una bella differenza tra l'operare un criceto-coniglio lungo dieci centimetri e far venire al mondo un–»

«Di certo è più utile di te!»

P-Perché ho come l'impressione di star incassando tutti gli insulti e la rabbia di un uomo che non sa più con chi prendersela?

«Pensavo fossi abbastanza distante da non riuscire a sentirmi al telefono», cercò di deviare il discorso il rosso, bianco di gesso dalla paura.

Hirato allentò la presa su di lui, doveva calmarsi o del comandante della prima nave, presto non ne sarebbe rimasta che una floscia brodaglia maleodorante di sakè e alcolici di dubbia origine o provenienza. Liberò una banshee dalla tuba che, volteggiandogli attorno come una farfalla, cominciò a massaggiargli la schiena e le addolorate spalle: «Non sta scritto da nessuna parte che io non possa utilizzare i miei poteri per scopi puramente personali».

Dovrebbero scriverlo”, pensò tra sé e sé il rosso, “Magari a caratteri cubitali quando si entra nell'Aula Magna di Chrono Mei. Così i giovani ragazzi sapranno come reagire, quando avranno a che fare con uomini incinti

Il corvino contorse il volto in una smorfia e perfino la banshee, osservandolo piegarsi e non di certo a causa del massaggio che gli stava facendo, assunse un aspetto preoccupato prima di svanire e ritornare nel cappello. «L-La pancia–», rantolò tenendosela, e la mole della gravidanza gli cascò addosso tutta ad un tratto, più di prima. Le contrazioni si fecero più intense, i dolori più acuti. Agguantò Tsukitachi per la cravatta e il respiro gli si fece all'improvviso alterato, il ritmo arrancato, e perfino camminare era faticoso, in quella posizione, in quella condizione: «Non penso di potercela fare. Ho bisogno di un dottore–»

«O-Oi, Hirato... Non farmi così! A-Akari-chan arriverà presto, non puoi resistere un altro po'–»

«Tu pensi che la natura possa resistere?!»

«Cosa pensi sia causa di stitichezza?»

«Osi paragonare un problema futile come la stipsi al mio parto?!»

Se non avesse avuto un'altra contrazione e non avesse lasciato lo scettro a bordo della nave, l'avrebbe ucciso.

Lì.

Seduta stante.

Si aggrappò al petto del rosso e gli graffiò la camicia come un gatto che si appiglia con le affilate unghie ad una tenda. «P-Portami un dottore...», con un filo di voce, riuscì a bisbigliare quelle sole parole, la faccia pallida, gli occhi spaventosamente scavati, «Non mi importa chi–! Mandami solamente qualcuno capace di tirarlo fuori di qui!»

Troppo tardi per Tsukitachi per chiedersi ‘perché’.

Uno schianto fuori dalla torre di ricerca rubò per un attimo la sua attenzione, questione di un effimero secondo prima che il comandante incinto gli mollasse un ceffone per richiamarla su di lui.

 

«UN DOTTORE! ORA!»

 

 

Forse la frusta di Kiichi non sarebbe stata tanto male quanto pensava.


 




Gli svenimenti diventeranno un topos letterario d'ora in poi, grazie a questa fan fiction xD
Senza volerlo, mi sono accorta che non passa capitolo dove qualcuno non svenga, escluso il primo.
Cercherò di fare ammenda. Per ora non posso promettere che nessuno perderà (di nuovo) i sensi... però....
diciamo che fra qualche capitolo la condizione dei presenti potrebbe stabilizzarsi (suvvia, ma perché mi sforzo di parlare come un dottore? aahahahahah *beve un sorso dalla tazzina di tè like a lord*)
Orsù!
Spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto! -i titoli sono sempre frutto di luuuuunghe elucubrazioni *coff coff*
Un enorme bacione e un abbraccio (da non confondere con baci&abbracci ;D) a chi mi segue, mette la storia tra le preferite o semplicemente si diverte e si fa quattro o otto risate leggendola! E ovviamente, un ringraziamento speciale alle magiche recensitrici! (penso si dica così?)

A presto!
Un bacio ;*
AsanoLight

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Capitolo 7
*** Countdown ***


La nave sfrecciava a velocità smodata, spedita come una stella cometa, lasciando dietro di sé una scia di polvere magica, fulgida come lucciole in una serata d'agosto (a meno che quell'agosto non sia lo stesso cantato da Gigi D'Alessio).

Chiunque avesse alzato gli occhi al cielo, in quell'istante non avrebbe visto tuttavia altro che una minuscola figura dalla forma indefinita, forse un pipistrello, forse un moscerino, troppo distante dalla terra per poter essere identificato. Sulla vetrata esterna si stava ora formando il ghiaccio e Tsukumo, autoproclamatasi pilota ufficiale, non pareva preoccupata all'idea che quella condizione potesse costituire una minaccia per il volo anzi, era piuttosto tranquilla, per essere una che era solita badare alle responsabilità –forse doveva essere stato a causa dell'effetto dei funghi allucinogeni del giardino interno o di qualche varietà 'speciale' di erba.

Gareki riuscì a liberarsi della presa di Yogi e sgattaiolò fuori dalla catasta di gente pestando la testa di zucca di Tokitatsu. Nai lo aiutò prontamente a rimettersi in piedi e il corvino non esitò a raggiungere la docile ragazza, senza perdere di vista l'indicatore della benzina e metterlo a confronto costante con la velocità a cui stavano procedendo.

«Tsukumo...», cercò di approcciarla con delicatezza, donne e motori non vanno d'accordo, questo lo sapevano perfino i sassi e gli stambecchi della montagna dove ci avevano quasi lasciato la fiancata, ma non poteva dirglielo così apertamente. Le 'donne' erano creature suscettibili agli occhi di Gareki, perfezioniste e forse perfino un po' montate. A nessuna di loro sarebbe piaciuto sentirsi dire da un uomo che sbagliava, e non era neppure sua intenzione incassare bastonate da una che, a differenza sua, aveva dei superpoteri pari a quelli di un qualsiasi eroe MARVEL.

«Se stiamo procedendo come dici tu a 1200 km/h...», era come avvicinarsi ad una bestia selvatica... bisognava approcciarla con cautela... «Voglio dire... potremmo rischiare di finire quel poco che c'è rimasto di benzina da un momento all'altro... E nelle peggiori delle ipotesi... schiantarci»

Tsukumo non si voltò.

La spia del serbatoio lampeggiava da più di dieci minuti e la magica scia di polvere stellata al seguito dello zubat sembrava ora più che mai nera di tizzo.

«Non c'è pericolo di morte, se è questo quello che pensi», convenne dopo un eterno silenzio, osservò il radar e quando lo ritenne opportuno, si rimboccò le maniche dell'attillata maglietta a fiori e, con muscoli d'acciaio capaci di tenere testa in un braccio di ferro a Mastro Lindo, lasciò andare il volante per mettere mano ad una leva con su scritto “atterraggio d'emergenza”.

«O-Oi, Tsukumo! Starai scherzando!», gridò Gareki, pallido dallo spavento.

Indietreggiò con le vertigini quando sentì la nave perdere l'altitudine, la velocità incrementare ancora una volta e le nuvole scansarsi per lasciare spazio alla loro caduta libera. Avrebbe voluto guardare altrove, l'orgoglio lo stava tradendo e se solo avesse avuto la voce per farlo, avrebbe gridato dalla paura –eppure, ciò nonostante, non riusciva a trovare il fiato nei polmoni, né tantomeno staccare le pupille dalla loro caduta, come se l'idea di baciare la morte lo intrigasse in maniera masochista.

Un altro passo indietro e gli parve di sbattere contro qualcosa di solido.

Al suo voltarsi, un uomo dai capelli castani e le lenti degli occhiali in frantumi se ne stava in piedi, più morto che vivo.

«E’ la fine», sibilò Gareki aberrato, aspettandosi un repentino cambio di personalità nel ministro, ma prima che potesse dire altro, se lo vide piombare addosso, e stavolta non a causa di forze esterne. Tokitatsu lo stava abbracciando in lacrime –se di gioia o di paura poi, non avrebbe saputo dire, e lamentava qualcosa di incomprensibile, biascicando delle parole che il ragazzo non aveva alcuna intenzione di sforzarsi di capire.

Tsukumo controllò con maggiore precisione il radar e con un pennarello prontamente sfilato dalla borsetta, segnò una gigante ‘x’ sul monitor.

«Dobbiamo arrivare qui», disse calcolatrice, spiegandosi ad un Gareki che, tra l'abbraccio e i lamenti di Tokitatsu e i tentativi di aggressione al ministro da parte di Nai, tutto riusciva a trovare meno che il tempo da dedicarle, «Faremo un atterraggio di emergenza. Con un po' di fortuna, ve la caverete con alcune ossa rotte»

«T-Tsukumo!?», Gareki si liberò con un calcio di Tokitatsu, sgranando gli occhi quando vide la ragazza uscirsene dalla cabina di pilotaggio con la stessa naturalezza con la quale era entrata, dopo aver afferrato uno zainetto a pois con sopra disegnata la faccia di Nyanperowna: «C-Che cosa vorresti dire con 've la caverete'?!»

Aveva un cattivo presentimento.

Non sarebbe andata a finire bene, se lo sentiva.

La porta si richiuse e per quando Yogi cercò di inseguire la compagna, quella si era già dileguata e Gareki ne seguiva il leggiadro volteggiare sul paesaggio dalla vetrata della nave, mentre un paracadute con la faccia di un gatto dai dubbi orientamenti sessuali spadroneggiava sul verde delle colline di chissà quale regione.

«Ha preso l'unico paracadute...», parlò per primo Tokitatsu, amareggiato, che anche senza occhiali riusciva eppure a distinguere moderatamente bene i contorni del mondo che lo circondava, quando si trattava dei suoi affari, «Lei... che può volare e ha il braccialetto di CIRCUS... ha preso l'unico paracadute disponibile»

«Siamo fottuti»

Si guardarono l'un l'altro.

Nai aveva smesso di azzannare la gamba del ministro come un chihuhuaua forsennato, Yogi era rientrato nella cabina dopo aver fallito l'inseguimento di Tsukumo e Tokitatsu non riusciva ancora a staccare gli occhi dal monitor e la gigante ‘x’ segnata in rosso, come la croce che gli analfabeti mettono al posto della firma. Il tachimetro segnava cifre sempre più alte, pareva impazzito –o forse erano tutti loro ad esserlo.

Continuavano a precipitare.

Era finita.

Sarebbero morti tutti per un uomo incinto.

Gareki si appoggiò al cruscotto con le mani tra i capelli, senza riuscire a pensare ad una soluzione decente per poter salvare la pelle a lui e ai presenti. «Ha tirato una leva», rimarcò scettico, «Non è possibile che una leva possa permettere un atterraggio di emergenza! Non siamo in un treno! Non ci sono meccanismi! Com'è–»

«Vuoi salvarci la pelle o vuoi sfidare le leggi della fisica ancora una volta?!»

Sentì una ferrea presa sulla spalla e riconducendola per errore a Tokitatsu e alla remota possibilità che in lui avesse operato un cambio di personalità a scoppio ritardato, cacciò un urlo da ragazzina esagitata e gli rispose in falsetto sperando di riuscire, tra un balbettio e l'altro, a concludere qualcosa –e invece, non era riuscito a mettere insieme neppure mezza frase. Con suo enorme stupore –ed imbarazzo, scoprì che la figura dietro di sé non era il ministro generale della difesa.

«Akari-sensei!», Yogi schiacciò la schiena contro il muro e si servì di Nai come scudo, temendo che dallo stupore della sua voce trasparisse la palese eccitazione simulata, «E'-E' tornato tra di noi?! Non è stato via molto...»

«A differenza di voi altri», commentò bruscamente Akari, che sembrava non curarsi della caduta libera della nave e del fatto che il ghiaccio che c'era sulle ali e la brina sulla parte anteriore avessero cominciato a sciogliersi e tutto attorno l'atmosfera si scaldava, «Io sono un genio nato, e non permetterò che delle frivolezze quali il diventare padre possano diventare ostacoli alla mia vita»

«Prima di occuparci di quelle che tu chiami 'frivolezze'», mormorò Tokitatsu, pallido quanto il resto dei presenti, «Dato che sei un genio, che ne dici di tirarci fuori da questa situazione e frenare la caduta della nave?»

«Sono un genio, ma non faccio miracoli»

«Quindi vuole dire che finirà così?!», ringhiò Gareki, che era tornato a premere uno ad uno i pulsanti sul pannello dei comandi sperando che uno di loro li potesse salvare.

Il vivido e nitido colore di un led alla sua destra attirò particolarmente la sua attenzione, un tasto che era sicuro di non aver premuto precedentemente.

Vi si fiondò come fosse stata la sua ultima speranza.

D'altronde, era solamente un bottone.

Un bottone fucsia e deliziosamente rosa.

Rosa come il dottor Akari.

Niente poteva andare storto.

 

Comando di autodistruzione attivato –

 

Se non fosse stato che lui era Gareki Fletcher.

Il ragazzo in giallo.

La iella fattasi persona.

 

La voce robotica di una pecora parlò da un altoparlante, ripetendo l'ordine e dando inizio ad un countdown.

Gareki sudò freddo e guardò con aria sentenziosa il ministro, bianco dalla paura.

«Che diavolo hai combinato?!», urlò Akari, perdendo tutta la compostezza che aveva prontamente acquisito per poter fare un vanto dell'essere un genio calcolatore.

«Non lo chieda a me!», rispose del fatto suo il corvino, «Che diavolo ve ne fate di un pulsante per l'autodistruzione! Non è un film di fantascienza questo! Siete scemi?!»

«B-Beh... s-sinceramente non credevo che avessero accolto la mia proposta...»

«L'hai proposto tu?!», gridarono Akari e Gareki all'unisono, ammazzando con una sola occhiata il ministro, «Hai chiesto che fosse messo un comando per l'autodistruzione nella nave e non ci hai fatto scrivere neppure niente?!»

«E-Ecco... non volevo, eheheh...»

«’eheh’ un corno!», berciò Akari prendendolo per la camicia, «Ci sarà un modo per annullarlo!»

 

– Autodistruzione prevista in 4:12 minuti –

 

Lo zubat precipitava in picchiata e nessuno sembrò curarsi di Nai, che da un po' tirava la giacca di Tokitatsu indicandogli le scintille che spillavano dal fronte della nave. La rabbia che accendeva i cuori dei litiganti permetteva ai corpi di ciascuno di non risentire della temperatura in aumento nella cabina e nessuno ora sembrava curarsi del fatto che la terra fosse più vicina di quanto avessero immaginato.

«Qualcuno fermi la nave!», gridò esasperato Yogi, beccandosi il rimprovero sonoro di Gareki, che urlò con la violenza e l'impetuosità di uno scaricatore di porto.

«Sei tu quello con la licenza, cretino!»

Nai scoppiò in lacrime e per quando Akari aveva smesso di percuotere Tokitatsu e Gareki di rimproverare Yogi, poche centinaia di metri separavano la pancia dello zubat/seconda nave dal terreno e solo tre minuti mancavano alla sua autodistruzione.

«Non può finire così», il dottore seguì aberrato l'atterraggio, il monitor segnalava l'avvicinamento all'enorme 'x' segnata da Tsukumo, «Non posso morire così. Non tra questi idioti, non ora che sono padre. Cazzo, non prima di aver preso a ceffoni Tsukitachi!»

"Sono questi i problemi della vita...", avrebbe gradito aggiungere Gareki se la situazione fosse stata leggermente diversa e non avesse implicato che tutti loro corressero in cerchi nella speranza che piombasse dal cielo (o, in quel caso, che provenisse dalla terra o fosse già in quella nave) una soluzione per salvarsi la pelle. Non c'erano paracaduti e l'unico in grado di volare tra i membri dell'attuale equipaggiamento era Yogi.

Nessuno li avrebbe potuti salvare.

Presto avrebbero impattato la terra e se non fossero morti così, il tempo non sarebbe certo bastato loro per uscire vivi dallo zubat prima che il meccanismo di autodistruzione si attivasse.

 

«Non può finire così»

 

 

Fine –

 

 

«Dannazione, che recitazione di pessimo gusto!»

Kiichi spense il televisore e porse un bicchiere mezzo vuoto di succo di mango a Jiki, vestito per l'occasione in tenuta da cameriera, con tanto di fiocchi e controfiocchi sulla blusa femminile, in una posa così virile da far accapponare la pelle e tremare le unghie dei piedi. Posò il vetro sul vassoio e gli fece cenno di sbrigarsi con la mano: «Riempimelo tutto. E torna entro dieci secondi, mi raccomando. Non vorrei che la mia bocca si disidrati»

«Con la linguaccia che ti ritrovi... faresti un piacere a tutti, se tacessi per un po'»

«Che cosa hai detto?»

Jiki ingoiò un boccone amaro e tentò qualche passo sui tacchi che aveva indossato per l'occasione, cercando di ignorare le risate di un coniglio robotico. L'apprensione che provava per i ragazzi della seconda nave e l'impossibilità di contattarli lo stavano aiutando a non pensare alla sua misera condizione di schiavitù. Non aveva un fetish per l'essere dominato da una donna, non era uno di quei pervertiti a cui piace farsi frustare e maltrattare.

O, per lo meno, credeva di non esserlo.

«Sono preoccupato per Gareki e Nai-kun, a dire il vero»

«Tch! Staranno bene», grugnì Kiichi arricciandosi un boccolo tra l'indice e il medio, «Tsukumo-senpai è quella con più cervello. Sono in buone mani»

Il viso di Jiki si rasserenò a quella parole.

La sua angelica Tsukumo...

La donna dalle ferree e rigide morali.

«Hai ragione», convenne in un sorriso, alzando le minute spalle, in una posa che risultava estremamente moe e gayish, data la blusa da cameriera che indossava, «Non dubiterei mai di Tsukumo. Sono in ottime mani»

 

 

«Yogi!», Akari si voltò verso il biondino ma per quando aveva chiamato il suo nome, quello era già sgattaiolato nel corridoio, pronto a darsela a gambe temendo che il dottore avesse deciso di infierire su di lui in punto di morte. Arrancò passi per l'enorme antro urtando ogni pecora trovasse sul suo cammino. Il dottor Dezart riuscì a tenergli con rapidità il passo, al suo seguito c'erano Gareki, Tokitatsu e Nai, che, dato il calore e il surriscaldamento della cabina e le scintille che continuavano a spillare dal cofano della nave a causa dell'altissima velocità, avevano ritenuto cosa saggia spostarsi quanto prima.

Il biondino era incapace di intendere e di volere e affidandosi al suo istinto animalesco –cosa che per natura sarebbe dovuta venire spontanea prima d'ogni altra cosa a Nai, si fiondò verso il condotto dell'aria e ci si intrufolò.

I presenti si scrutarono attoniti.

L'esperienza aveva insegnato a ciascuno di loro –Nai in particolare, dove si finisse attraversando uno di quelli, ma altra soluzione non avevano.

«Ho un'idea», mormorò Akari con una certa fretta, e cercò di farsi strada per primo nel condotto mentre si spiegava, raggelato dall'idea che i secondi di vita rimasti alla nave/zubat ammontassero ad appena poco più di sessanta, «Aspetteremo che la nave sia ad una distanza decente da terra. Quando si avvicinerà abbastanza... sei o sette metri.. saltiamo»

«SALTIAMO?!», gridò Gareki atterrito, «Sono sei metri! Anche riuscissimo a sopravvivere, potremmo spaccarci tutte le vertebre!»

Nai sorrise innocentemente e con una spinta fece scivolare Tokitatsu e Gareki nel condotto, intrufolandosi e facendo da serra fila: «Gareki, non temere. E' un anime. Non ci può succedere niente»

«Vorrei ricordarti che anche negli anime i personaggi scompaiono o nella peggiore delle ipotesi muoiono», borbottò Gareki, avanzando riluttante nello stretto e caldo condotto, l'odore di fumo che proveniva dal muso della nave impregnava e intossicava l'aria rendendo difficile perfino respirare. Il countdown rimbombava in ciascuno dei loro cervelli, i secondi rimanenti erano sempre di meno e oramai bastavano le dita delle mani della combriccola per numerarli.

Akari si morse il labbro e, approfittando dell'improvvisa inclinazione della nave, oramai quasi verticale, si mise supino e scivolò giù per il condotto come un pinguino, carino e coccoloso, di Madagascar.

La luce era vicina, l'uscita era finalmente davanti a loro e una brezza raggelante gli stava per accarezzare il viso.

 

«Dieci»

«Nove»

«Otto»

Il termine del countdown era vicino e Gareki sentiva il cuore esplodergli nel petto.

«Più veloci, svelti!»

Akari urlò con esasperazione e tese le mani verso lo sbocco; la grata non c'era più, doveva averla sfondata Yogi fuggendo.

Allungò le braccia come un bambino piccolo le tende verso la mamma chiedendo di venire preso in braccio, come avrebbe presto fatto suo figlio una volta cresciuto. Il pensiero gli scosse il corpo in un tremito, mancavano tre secondi e poi tutto sarebbe finito.

Strinse i denti, sentiva che doveva farcela, qualunque cosa fosse successa,, lui doveva andare da Hirato, doveva essere lì per lui, doveva fare ammenda a tutte quelle volte che in campo di combattimento era stato costretto a causa del suo lavoro a stargli lontano –aspetta, ma non era l'inverso?

Non l'avrebbe abbandonato nella battaglia della loro vita, non di nuovo.

La spinta giunse inaspettata da dietro.

L'inclinazione spaventosa della nave fece spiaccicare la faccia di Nai, serrafila, sul fondoschiena di Gareki. L'effetto domino fece sì che i due cadessero addosso a Tokitatsu che, più grande di tutti, carico del peso di due persone, finì sulla schiena di Akari.

«Due»

 

«Uno»

 

Tsukitachi si voltò verso l'origine del rumore ma il ceffone di Hirato catturò interamente la sua attenzione.

Al secondo piano della torre di ricerca, delle infermiere incollarono i teneri visini imbrattati di lucidalabbra e ombretti alla finestra, indicando con le minuziose dita imperlate di gioielli un oggetto non meglio identificato in avvicinamento.

 

«Guardate! Una stella cadente!», gridò una di loro, con un acuto da operetta, «Esprimete un desiderio!»

Le sue compagne chiusero gli occhi sognanti, la più intelligente li tenne tuttavia aperti e urlò dallo spavento quando vide la 'stella' procedere nella loro direzione.

«Non è una stella!», esclamò atterrita, «E' una meteora! Si salvi chi può!»

La nave/zubat era propinqua alla torre di ricerca.

Hirato stava per infierire ancora una volta sul collega quando la potente esplosione gli tolse ogni possibilità di azione.

«Cos'è stato?», domandò frastornato, e per un attimo ringraziò quel rumore per averlo aiutato a dimenticarsi dei dolori delle contrazioni. Tsukitachi non gli aveva tuttavia risposto –il corvino non gli aveva dato la possibilità di verificare con i suoi stessi occhi, dato che quando si era voltato gli aveva prontamente mollato un ceffone; forse era meglio fare come diceva e tacere.

Hirato gli lasciò andare la camicia e cercò di raggiungere l'uscita, ma i dolori non parevano intenzionati a dargli pace.

«Ryoushi–», sibilò guardando con pietà Tsukitachi, «Chiama il mentore di Akari. L-Lui–»

«Ho capito, ho capito», annuì spiccio il rosso e fece per indirizzarsi all'ufficio dettatogli.

Salì a falcate le scale, due e tre gradini per volta e riuscì, finalmente, dopo una vita di danni e misfatti, a fare decentemente il suo lavoro ed avvertire il famigerato mentore della condizione del comandante della seconda nave. Ryoushi indossò all'istante il camice, non prima di aver cacciato le classiche lamentele sul perché non se ne potessero occupare i tirocinanti di certe faccende 'frivole' e 'sciocche' –da qualcuno Akari doveva pure aver preso...

Tsukitachi decise tuttavia di non prestargli orecchio.

Fuori dalla finestra, c'era qualcosa di decisamente più interessante da guardare.

Qualcosa come un cratere meteoritico grande quanto il Meteor Crater nell'Arizona e cinque disgraziati, piccoli quanto granelli di sabbia se ad esso paragonato, intenti a bisticciare, malconci e marroni dalla polvere.

Forse perfino un po' barcollanti.

Da quella distanza, gli sembrava di aver visto Tokitatsu piangere.

 

Doveva smettere di bere.


 




Tsukitachi, troppo alcool ti fa male. Smetto di domandarmi da dove provenga questa sua deficienza di neuroni x''D
Ma veniamo alle faccende serie...
Lo so... Hirato dovrebbe partorire e qui qualcuno potrebbe veramente tirarmi una pokéball, un pomodoro o non so cos'altro dicendo: "Cippa, ma quando lo fa 'sto figlio?!".
Ehm... ragazzi, avete ragione @__@
Ma le stime rivelano che Hirato partorirà solo quando Tokitatsu ammetterà di avere un serio complesso fraterno nei suoi confronti simile a quello di un Yukio Okomura nei confronti di Rin e quando Gareki smetterà di portare sfiga all'intera combriccola.
Troppo impossibile, vero?
Allora, diciamo in linea di massima entro due capitoli dovrebbe risolversi tutto ;D
Ringrazio veramente molto chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/da ricordare, etc!

Grazie mille per il vostro supporto!
Un bacio!

A presto!
AsanoLight


 

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