The return of the King di lagunablu (/viewuser.php?uid=679233)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Regalo ***
Capitolo 2: *** Sciroccopoli ***
Capitolo 3: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 4: *** Piani ***
Capitolo 5: *** Ferite ***
Capitolo 6: *** Amarezza ***
Capitolo 7: *** Storie e leggende ***
Capitolo 8: *** Legami ***
Capitolo 9: *** Fredda indifferenza? ***
Capitolo 10: *** Verità che vengono a galla ***
Capitolo 11: *** Recite Mielate ***
Capitolo 12: *** Pensieri velenosi ***
Capitolo 13: *** Rapimento ***
Capitolo 14: *** Pezzo dopo pezzo ***
Capitolo 15: *** Ali di cenere ***
Capitolo 16: *** Banderuola ***
Capitolo 17: *** Crocevia ***
Capitolo 18: *** Segnali di svolta ***
Capitolo 19: *** La via del ritorno ***
Capitolo 20: *** Crepe ***
Capitolo 1 *** Regalo ***
Regalo
Il
sole stava sorgendo nella regione di Unima e con il
suo arrivo migliaia di giovani allenatori si alzavano dal loro sonno
pronti per
affrontare una nuova giornata carica di avventure di vario genere. La
regione
infatti offriva una vasta gamma di sfide per chi voleva cimentarsi
nelle
celebri lotte Pokémon; venivano allenatori da Sinnoh, Kanto
e Johto per avere
la possibilità di sfidare le otto palestre e ottenere le
rispettive medaglie,
ma naturalmente la meta più desiderata altri non era che la
prestigiosa Lega di
Unima. Attorno ad essa giravano molte voci, leggende per qualcuno, sul
fatto
che da tre anni il campione inviolato fosse una ragazza, la stessa che
tempo
prima aveva sconfitto il famigerato Team Plasma. Non lo si poteva dire
con
assoluta sicurezza, ma il dato certo era che ogni sfidante che provasse
ad
entrare nella Lega di Unima ne usciva sconfitto.
Le
tende nere che coprivano le vetrate della finestra
furono tirate, permettendo così alla luce del sole di poter
finalmente entrare
ed illuminare quella triste stanza. Non che la stanza centrale della
lega di
Unima potesse essere definita triste, ma aveva un non so che di spoglio
e
tetro. Partendo dal fatto che il poco mobilio che si poteva trovare era
tutto
sulle tonalità scure: nero era il letto appoggiato alla
parete, d’ebano lo
scrittoio vicino alla finestra e grigia la pelle della poltrona al
centro della
stanza.
Si poteva dire che il tutto era in perfetto pendant con
la creatura che si trovava all’interno della master ball
poggiata sopra lo
scrittoio: il leggendario Zekrom, il Pokémon drago
appartenente all’eroe di Unima.
Sì, perché quella semplice stanza era ormai da
tre
anni la casa di Touko, colei che ora possedeva il potente Zekrom.
La ragazza fece una smorfia non appena un raggio di
sole le ferì gli occhi, ormai così abituati
all’oscurità. Ecco che arrivava un
nuovo giorno, l’ennesimo che lei avrebbe dovuto passare alla
Lega, in veste di
campionessa, e battere qualsiasi sfidante le si ponesse davanti.
Non che non le piacesse il suo lavoro, anzi
tutt’altro, infatti lo aveva preso con serio impegno. Non
appena aveva battuto
Nardo ed era stata investita della carica aveva pensato a rimodernare
completamente l’organizzazione e l’aspetto del
palazzo che ospitava la Lega.
Da sempre dotata di grande talento per le lotte, aveva
pensato personalmente a riallenare i superquattro in modo tale che al
suo
cospetto arrivassero solo gli allenatori più degni.
Altezzosa? Probabilmente lo
era, o meglio lo era diventata, ma poco le importava.
Con il tempo anche le lotte alla Lega si erano fatte meno
interessanti e così un giorno era partita alla volta di
Sinnoh, lasciando in
carica a tempo indeterminato Catlina e giunta alla sua meta, aveva
trionfato in
tutte le palestre e in poco tempo si era trovata al cospetto di
Camilla,
campionessa in quella regione. Dopo una dura lotta l’aveva
battuta, non con
poca difficoltà, e aveva trovato nella bionda una valida
amica.
Una volta tornata alla madrepatria si era dovuta
sorbire una ramanzina da parte dell’ex campione Nardo che
giudicandola
irresponsabile l’aveva sfidata, sicuro di riprendersi il
“trono” della lega, ma
il vecchio campione aveva perso e se ne era andato via con le ossa
rotte. Dal
quel momento Touko non l’aveva più visto.
Sentendosi adirata con quello che era stato il suo ex
maestro, aveva voluto cancellare qualsiasi traccia che lui avesse
lasciato nel
suo passato di campione, così aveva ordinato una completa
ristrutturazione per
la Lega e in quel mese si era nuovamente allontanata per sfidare le
palestre di
Johto.
Sfortunatamente era dovuta ritornare ad Unima prima
del previsto per alcuni problemi interni che si erano verificati. Una
volta
risolta la situazione l’agente Bellocchio le aveva caldamente
consigliato una
maggiore responsabilità poiché, dato il suo
status, Touko aveva sulle spalle la
sicurezza dell’intera regione. Indirettamente quello era un ordine per invitare la
ragazza a non
allontanarsi più dalla regione, cosa che lei prese alla
lettera.
Infatti stanca delle continue ramanzine e satura delle
noiose interviste Touko si era rintanata nella
“sua” nuova Lega e da lì non era
più uscita, salvo occasioni speciali.
Lei non voleva ammettere il motivo del cambiamento
così repentino del suo carattere, ma i suoi amici lo
sapevano da tempo e non
potevano far altro che imputare la colpa verso
“lui”.
Touko sospirò amaramente pensando all’idea di
un’altra
giornata monotona come le precedenti, ma poi ricordò con
sollievo che forse
quel giorno sarebbe stato diverso.
Belle
camminava frettolosamente come al suo solito
verso la Lega di Unima.
In breve tempo l’enorme palazzo le si parò davanti
agli occhi meravigliati: dopo la ristrutturazione avvenuta per volere
di Touko
la Lega era cambiata molto, influenzando anche l’atmosfera
intorno ad essa.
Infatti il palazzo era stato ampliato, rendendolo più
imponente che mai e dando
così all’ignaro visitatore un chiaro segno di
superiorità.
I muri erano stati ridipinti in nero con degli strani
arabeschi dorati come abbellimento.
Sì, Belle doveva proprio ammetterlo: il palazzo
rispettava fedelmente
la personalità
della nuova Touko, altezzosa, leggermente cupa e completamente
indecifrabile.
Era diventata così da quando “lui” era
partito, tre anni prima.
Forse per i primi mesi era rimasta la ragazza allegra
e spensierata di un tempo, ma dopo un po’ le cose erano
cambiate e Touko era
diventata sempre più pensierosa, cupa e smarrita.
Era stato così fino a quando aveva lottato con Nardo.
Nessuno sapeva cosa fosse realmente successo ma in
seguito allo scontro la ragazza era cambiata nuovamente ed era divenuta
sempre
più schiva, seria e severa. Aveva allontanato le persone a
lei più care,
compresi Belle e Komor, e aveva iniziato ad isolarsi sempre di
più fino ad
arrivare al punto di porre praticamente fine ad ogni suo contatto con
il mondo
esterno, imponendo la regola che nessuno potesse entrare nella sala
centrale
della Lega senza aver prima battuto i superquattro, senza eccezione,
nemmeno i
suoi amici più cari.
Quella decisione aveva ferito Belle, ma poi l’aveva in
qualche modo capita e le era stata vicino comunque: per la biondina
Touko
rimaneva pur sempre la sua migliore amica e in qualche modo poteva
capire il
dolore che si celava dietro quella maschera che la brunetta si era
abilmente
costruita.
Entrò nella sala da cui si diramavano le vie per le
varie stanze adibite alle lotte e mostrò ad un uomo un
foglietto di carta: il
suo “invito” per poter vedere Touko.
Sì, finalmente dopo un mesetto riusciva a rivederla,
in occasione del diciassettesimo compleanno della campionessa, che
“gentilmente”
l’aveva lasciata venire a palazzo.
Belle aveva preparato ogni cosa per festeggiare al
meglio il compleanno della amica, quella era la sua chance per
riportare il
sorriso sul viso della moretta e non avrebbe fallito.
«Coraggio
Stoutland!» urlò Komor all’interno della
sala lotta. «Usa Gigaimpatto!» ordinò il
ragazzo al Pokémon generosità che
aveva appena ricevuto una potente Idrondata da parte del Samurott
nemico.
«Evitalo» disse semplicemente
l’avversario facendo in modo che il suo Pokémon
evitasse abilmente il colpo
nemico.
«Cavoli Touko, il tuo Samurott è ben
allenato!»
esclamò Komor rivolto alla ragazza.
«E non hai
visto niente» sorrise malefica la brunetta mentre un debole
Sgranocchio veniva
inferto senza troppi danni al suo compagno «Ora Samurott,
vendetta!».
Il
Pokémon
dignità sfoderò tutta la sua forza in
quell’attacco decisivo, mandando
l’avversario al tappeto.
«Sono colpito,
hai lasciato che Sgranocchio colpisse Samurott per poi attaccare con
vendetta,
che oltre a essere molto efficace, aumenta di potenza se si ha subito
un
attacco in precedenza. Complimenti Touko, mi stupisci sempre di
più!» sorrise
Komor prendendo la sua ultima ball «Ma comunque non
è ancora finita. Vai
Serperior!».
Con sua grande sorpresa anche Touko ritirò nella ball
Samurott.
«Questo è
un
lavoro per te Unfezant» mormorò tra se mentre
scagliava con decisione la ball
verso il campo lotta.
Il maestoso Pokémon
orgoglio fece la sua comparsa mettendo Komor momentaneamente in
confusione:
Unfezant era un tipo volante, avvantaggiato rispetto al suo tipo erba.
«Possiamo farcela comunque, vai Serperior usa
Avvolgibotta!» ordinò cercando di fare ordine nei
suoi pensieri “almeno questo
dovrebbe bloccarlo”.
Il Pokémon regale
avvolse col la sua lunga coda Unfezant, ma Touko non fece una piega e
si limitò
a dire «Liberati con Alacciaio».
Questo il ragazzo non l’aveva previsto e una goccia di
sudore gli scivolo lungo la tempia, così preso dal panico si
giocò l’ultima
carta.
«Serperior usa
Verdebufera!», ma Touko se lo aspettava così
ordinò al Pokémon «Evitalo con
Volo e poi usa Areoattacco».
Era una
strategia molto semplice e Komor avrebbe potuto evitare
l’attacco facilmente,
ma non aveva tenuto conto della velocità di Unfezant che con
un potentissimo
colpo mandò al tappeto il Pokémon regale.
Aveva perso di
nuovo.
«Non
vincerò
mai con te!» disse il ragazzo con un sorriso amaro, mentre
ritirava il suo
Serperior esausto.
«Sei sempre fin
troppo gentile, ma stai migliorando velocemente» rispose
Touko tranquillamente.
«Hai allenato
molto i tuoi Pokémon ultimamente?» gli chiese
curioso il ragazzo.
La brunetta capì che era una domanda retorica. Era
ovvio che avesse allenato i suoi Pokémon, perché
altrimenti non avrebbe avuto
altro modo per distrarsi alla Lega, dove ormai gli sfidanti che
riuscivano ad
arrivare a lei erano sempre più rari, ma si
limitò a rispondere un semplice
“si” e a incamminarsi verso il centro del campo per
stringere la mano al suo
sfidante.
«Siete bravi voi due!» esclamò la voce
di Belle dalla
porta «Hai assistito alla mia sconfitta?»
domandò sorridendo Komor.
«Beh lei è pur sempre la campionessa»
pigolò la bionda.
«Comunque buon compleanno Touko!»
esclamò correndo ad
abbracciarla. «Grazie Belle» disse la brunetta
mentre veniva stritolata
dall’abbraccio dell’amica.
«Guarda, ho
anche portato una piccola torta per festeggiare
assieme…» «Mi dispiace non
posso» la interruppe Komor avvilito. «Vorrei
fermarmi, ma ho delle faccende da
sbrigare».
Detto questo il moro uscì di corsa.
Ultimamente faceva sempre così ed e aveva un
atteggiamento che risultava sospetto agli occhi attenti della biondina.
«Beh se non c’è Komor faremo per un
altro giorno»
provò a proporre Touko, ma Belle la zittì subito
dicendo «No, oggi si festeggia,
quindi non pensare di svignartela!».
E Touko si
permise di sorridere. Quella era la sua amica, piena di gioia e
perennemente
felice.
«E
così la professoressa Aralia mi ha proposto di
lavorare per lei, come assistente» stava dicendo Belle
intenta a mangiare
un’altra fetta di torta. Quelle poche volte che veniva la
biondina informava
l’amica di ciò che succedeva “nel mondo
esterno” e le parlava, anche per ore,
della sua vita o di qualcosa che aveva visto.
E Touko ascoltava, pazientemente, ed era felice che
l’amica ancora le parlasse dopo la decisione presa di evitare
maggiormente i
contatti con lei e i suoi amici.
Per un po’ aveva pensato addirittura che Belle la
odiasse, ma invece lei la veniva a trovare quando era possibile e le
era sempre
stata vicino. Durante le sue visite a dire il vero la brunetta non
interrompeva
mai la parlantina della bionda e non parlava mai di se, ma
d’altronde di cosa
avrebbe potuto parlarle… le sue giornate erano noiose a
confronto di quelle di
Belle.
«Aspetta!» esclamò ad un tratto la
bionda «Devo ancora
darti il tuo regalo!».
Touko fu sorpresa da quelle parole, mai si sarebbe
aspettata un regalo, per lei il suo compleanno non era altro che il
compimento
di un altro anno da quando lui era scomparso… persa nei suoi
pensieri la
ragazza non si accorse che Belle le porgeva un pacchettino sotto il
naso.
«Su aprilo!» la incitò.
Touko scartò il pacco lentamente, quasi con terrore,
non sapeva perché ma aveva un pessimo presentimento a
riguardo e non appena lo
aprì vide che il suo timore no era infondato.
«E questo che cos’è?» chiese
con lo sguardò sbarrato
dallo stupore.
«Te lo ho detto è il tuo regalo!».
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Capitolo 2 *** Sciroccopoli ***
Sciroccopoli
Touko
guardava Belle con uno sguardo perplesso,
indecisa se restituirle o meno il “fantastico”
regalo appena ricevuto. Il
fatidico dono non era altro che un semplice foglio di carta, ma era
ciò che vi
era scritto a farla preoccupare. Esso infatti altri non era che un
biglietto
per il gettonato Pokémon Musical di Sciroccopoli, uno
spettacolo per cui
l’amica Belle andava pazza.
La data dello show era quella sera stessa e Touko vide
che il posto prenotato era uno dei migliori, in prima fila.
Con orrore la brunetta si ricordò del denaro che
richiedeva una simile prenotazione e questo la mise ancora
più in difficoltà:
non poteva certo restituire quel regalo che all’amica doveva
essere costato un
occhio.
Dal canto suo Belle era euforica «Ci divertiremo tantissimo,
ne sono convinta!».
Touko però nonostante l’entusiasmo della bionda
continuava a rigirarsi tra le mani quel pezzettino di carta.
Era tesa perché era tanto che non usciva dalla Lega,
luogo che con il tempo era diventato la sua gabbia dorata. E per di
più quello
stupido musical doveva trovarsi proprio a Sciroccopoli, la capitale del
divertimento, l’ultima città dove Touko avrebbe
voluto andare.
Chissà cosa
avrebbe pensato la gente una volta che l’avesse vista:
sarebbe stata assalita
nuovamente da un branco di giornalisti affamati di gossip?
Rabbrividì solo a
quel pensiero, ma decise comunque di fare uno sforzo e voltatasi verso
l’amica,
che la guardava in trepidante attesa, fece un sorriso tirato e
sussurrò «Mi
sembra una bella idea…».
Non l’avesse mai detto!
A quelle parole
Belle emise un gridolino di gioia per poi fiondarsi alla porta dicendo
«Devo
ultimare le ultime cose per la sorpresa di stasera!»
«Che sorpresa?» provò a
chiedere la brunetta, ma
l’amica era già uscita di corsa.
Di qualsiasi cosa trattasse la sorpresa che Belle
aveva in mente, non c’era affatto da stare tranquilli. Le
volte precedenti,
quando la bionda aveva avuto qualcuna delle sue terribili idee in mezzo
c’era
sempre finita, con suo sommo dispiacere, la povera Touko.
La ragazza provò a correre dietro all’amica, ma si
accorse che lei era già uscita dalla Lega così
demoralizzata tornò indietro,
nella sua stanza. Si sedette sulla poltroncina in pelle e
sospirò abbattuta.
Perché mai aveva deciso di andarci? Chissà in
quanti l’avrebbero criticata per
la sua scelta di vita o per il fatto di essere un campione poco
presente.
Erano in arrivo altre prediche e altri commenti
velenosi, come quelli che le erano stati rivolti quel giorno in cui
aveva
battuto Nardo. Forse non ce l’avrebbe fatta ad affrontare
tutta quella gente… poi
però si ricordò chi fosse, o almeno chi dovesse
far finta di essere. Lei era
una dura, una ragazza fredda e distaccata e anche in una
città caotica come
Sciroccopoli avrebbe mantenuto il suo personaggio.
Sarebbe rimasta lucida in qualsiasi situazione, anche
se quella sera fossero passati di fronte ad un certo parco
divertimenti…
Freddo.
Freddo e umido. Questo era il clima che
aleggiava dentro la falda sotterranea dove Ghecis si nascondeva ormai
da
qualche tempo.
Sì, proprio quel Ghecis, il capo del team Plasma che
era stato sconfitto tre anni prima da una insulsa ragazzina proveniente
dalla
minuscola cittadina di Soffiolieve.
Era bastata quella quattordicenne con degli ideali
diversi dai suoi, per mandare all’aria il lavoro di una vita
e portargli via
suo figlio. Quella bambinetta aveva avuto il coraggio di entrare nel
castello
del team Plasma e di arrivare fino alla sala del trono.
Quell’essere odioso era riuscito persino a battere il
principe, nonché figlio di Ghecis, nella lotta tra i
leggendari ed era arrivata
a sconfiggere proprio lui, l’ideatore di quel grande piano,
disgregando così il
team. Alla ragazzina però questo non era bastato
perché dopo aver “salvato”
Unima e ricevuto vari riconoscimenti si era messa alla ricerca dei
sette saggi,
suoi fidati consiglieri, e dopo averli trovati e battuti li aveva
consegnati
alla giustizia mettendosi così alla ricerca di Ghecis stesso
il quale, non
avendo altra scelta che nascondersi, aveva covato odio e vendetta nei
suoi
confronti.
Come nascondiglio primario aveva optato per il
silenzioso e anonimo “deserto della quiete” che gli
dava un vantaggio rispetto
ai suoi inseguitori presentando ad ogni incauto visitatore un intricato
e
pericoloso labirinto fatto completamente di sabbia. Si era quasi
convinto che
avrebbe passato lì tutta la sua vita, quando un giorno delle
fedelissime
reclute lo avevano trovato miracolosamente in mezzo a tutte quelle
sale,
ricoperte solo di polvere e sabbia, e lo avevano riportato alla
realtà.
All’inizio l’uomo era sembrato vaneggiante,
logorato
dalle numerose ore passate in solitudine, ma dopo il grande Ghecis si
era
ripreso e aveva accolto malvolentieri la notizia
dell’esistenza di una nuova
campionessa e della pace che versava su Unima in quel periodo.
Così con quei
pochi fedeli si era ricostruito un nome nei bassifondi ed era risorto
riportando in vita un nuovo team Plasma, ma sempre tenendo un profilo
basso e
rimanendo nell’anonimato.
Infatti sin da subito si era deciso che Ghecis si
sarebbe dovuto nascondere agli occhi del mondo che lo stava ancora
cercando.
Ed ora eccolo lì, un uomo che agiva dettato solo dal
rancore, imprigionato in quella cavità dell’enorme
falda sotterranea, eccolo,
un uomo che parlava di conquiste del mondo, costretto ora al silenzio
da….
Touko. Quello era il nome della ragazzina che aveva infranto i suoi
sogni,
arrivando ad ammaliare addirittura suo figlio, il principe N.
D’altronde lo aveva sempre saputo:
una persona diventa
più forte se combatte per ciò in cui crede
veramente, se lotta per i suoi veri
ideali. Così era stato, ma quello era il passato.
Ora era lui colui che aveva gli ideali più forti,
sarebbe stato lui il vincitore. Un piano? Oh quello ce
l’aveva eccome, ma
c’erano prima delle tessere che dovevano tornare al loro
posto. Ghecis si
avvicinò ad una pozza d’acqua che si trovava
lì vicino.
Camminare gli procurava dei dolori atroci alle
giunture, divenute malandate a causa dell’umidita che erano
solite a
sopportare.
Sopra la pozza si protraeva verso dall’alto verso il
basso una stalattite e dal soffitto stava cominciando a scendere una
piccolissima goccia. Il sommo Ghecis trovò ironica la
somiglianza di quel
processo naturale con quello di rinascita del team Plasma: goccia su
goccia la
formazione calcarea diveniva ogni anno più grande, anche se
di poco, ma
comunque il suo accrescimento era dato dall’opera di tutte le
goccioline che
scendevano su di essa; così il team Plasma stava risorgendo
dalle ceneri grazie
al lavoro e alla tenacia di tutte le piccole reclute che ogni giorno
davano la
vita per un progetto più grande.
La goccia che stava scendendo dalla stalattite cadde
nella pozza, attirando l’attenzione dell’uomo che
osservò i cerchi concentrici
che quel piccolo corpo aveva creato nell’acqua.
Così sarebbe stato per la
regione di Unima: la piccola goccia, il team Plasma, avrebbe creato
grossi
problemi alla pacifica regione, su questo non c’erano dubbi.
Ad interrompere il suo flusso di pensieri fu una
semplice recluta che entrò trafelata nella grotta.
«Che succede?» domandò Ghecis con voce
roca.
«Lo abbiamo trovato, signore»
Un ghignò trionfante sfigurò maggiormente il viso
scarno dell’uomo che si limitò a rispondere
«Catturatelo!».
All’ennesimo
spintone da parte di un ignaro passante
Touko imprecò ad alta voce.
«Tutto ok?» le domandò Belle
preoccupata.
«Certo» rispose la brunetta con un tono forse un
po’
troppo stizzito.
Non era affatto vero, niente stava andando bene.
Erano arrivate a Sciroccopoli in anticipo e così Belle
aveva proposto di fare una passeggiata prima dell’inizio
dello spettacolo. Solo
che una serata estiva come quella attirava nella capitale del
divertimento
molta gente proveniente da tutta la regione.
E Touko odiava stare in mezzo alla gente.
Per le strade le due amiche facevano fatica ad
avanzare, data la densità della folla che era accorsa
proprio quella sera in
quella città e quindi avevano deciso di rintanarsi
momentaneamente al Metrò
Lotta. Naturalmente era chiuso data l’ora tarda e
così Belle aveva avuto la
splendida idea di visitare il parco divertimenti.
Già, come se Touko
non lo avesse mai visto.
Ed ora eccole lì a camminare, o meglio sgomitare, tra
quella marea di gente con una statua di Pikachu che le fissava in modo
parecchio inquietante dall’alto e con qualche clown che
cercava di vendere loro
dei palloncini. Nonostante l’atmosfera allegra che
c’era nell’aria e i discorsi
di Belle che cercavano di coprire il vociare generale, Touko riusciva
comunque
a percepire la curiosità che provava la gente nel vedere la
campionessa di
Unima in giro per la città,
sentiva i bisbigli delle malelingue e captava le
occhiate che le arrivavano da ogni dove.
Avrebbe voluto mettersi ad urlare o scappare da tutti
quegli sguardi inquisitori, ma Belle la strattonò per il
braccio dicendole
parole che la brunetta non riuscì a capire a causa della
confusione generale.
Vide che l’amica le stava indicando un punto di fronte a loro
e la seguì mentre
lei continuava a tirarla per il braccio.
Entrarono così nella palestra di Sciroccopoli,
finalmente lontane dall’inferno che c’era fuori, ma
non appena Touko scorse la
figura di Camelia in piedi di fronte a loro il suo primo pensiero fu
“dalla
padella alla brace”.
Camelia, la Capopalestra di quella chiassosa città era
forse una delle persone che le stava maggiormente antipatica. Touko
ricordava
ancora la dura lotta avvenuta proprio in quella palestra e ricordava la
sofferenza che aveva provato quando il suo fedele Pokémon,
al tempo un semplice
Dewott, era stato paralizzato dal Zebstrika di Camelia.
Allora l’eccentrica Capopalestra, che credeva di aver
già vinto la sfida, le aveva detto che lei non aveva le
capacità per andare
avanti e che non ce l’avrebbe mai fatta. All’udire
quelle parole velenose
rivolte contro la sua Allenatrice il Dewott aveva fatto un enorme
sforzo e,
nonostante la paralisi, era riuscito a scagliare un potente quanto
inaspettato
Chonchilama contro l’avversario,
riuscendo a batterlo e donando così una
preziosa vittoria a Touko.
I particolari non se li ricordava, ma la brunetta
sapeva che per Camelia darle quella medaglia le era costato un grosso
smacco
all’orgoglio.
«Ciao Belle e ciao… Touko»
iniziò Camelia,
«Wow credevo che non saresti più uscita dalla
Lega!»
«E invece eccomi qui» rispose laconica la brunetta.
«Oh, andiamo cara, ti sembra il modo di salutare una
vecchia amica?» il tono di Camelia era così dolce
da dare il voltastomaco.
«Non mi pare proprio che io e te fossimo mai state
amiche…»
rispose semplicemente Touko sempre con tono calmo.
«Vedo che la simpatia è sempre in cima alla lunga
lista dei tuoi pregi» disse acida la Capopalestra e la
ragazza si limitò a fare
un’alzata di spalle.
«Belle perché siete qui?»
domandò allora Camelia
rivolta solamente alla biondina.
«Abbiamo i biglietti per il Pokémon Musical
e…»
«Ah e tu vuoi dirmi che a quella lì piacciono i
Musical?» la interruppe aspramente la Capopalestra.
«Se almeno la lasciassi continuare»
«Ti preoccupi tardi dei tuoi amici Touko, dopo averli
abbandonati per molti anni!». C’era molto veleno
nelle parole della modella
bionda, ma Touko cercò di controllarsi e disse «
Belle è tardi, è meglio che
andiamo prima che inizi lo spettacolo».
«Sicura di voler
uscire in mezzo a tutta quella gente,
non rischi un attacco di panico, cara?». Quello era troppo.
«Belle andiamocene!» disse la brunetta fuori di
sé
trascinando all’aperto anche l’amica.
«Scusa io non immaginavo…»
balbettò la biondina una
volta fuori.
«Non preoccuparti, ora però abbiamo uno spettacolo
da
vedere» si limitò a rispondere Touko con un
sorriso tirato. E assieme si
avviarono verso il Pokémon Musical.
Bellocchio
camminava avanti e indietro per tutta la
stanza, mentre si torturava le mani nervoso. “Ma quando
arriva?” pensò tra se.
Come per miracolo la porta del suo studio si aprì facendo
entrare l’ospite
tanto atteso, che come fosse stata casa sua, si sedette tranquillamente
sulla
poltrona dell’agente.
«Ce ne hai messo di tempo…» lo
rimproverò Bellocchio,
ma venne zittito da un gesto dell’ospite.
«Cosa
credi, che abbia il dono del teletrasporto? Ora
sentiamo, dov’è la persona di dovere con cui posso
parlare?» disse il nuovo arrivato
svogliatamente.
«Immagino che d’ora in poi io sarò
tenuto all’oscuro
di questi importanti fatti» l’irritazione nel tono
dell’agente era ben
evidente.
«Ti ho fatto una domanda, rispondi per favore»
«A Sciroccopoli, per il momento» rispose
indispettito
Bellocchio.
L’ospite si alzò pigramente e fece per uscire.
«Sono sorpreso di
vedere un tipo tranquillo come Nardo
nella città dei divertimenti, ma i gusti sono
gusti…».
«Nardo?» lo interruppe l’agente.
«Sì, Nardo il campione, è con lui che
devo parlare».
Detto questo uscì in
modo teatrale non lasciando nemmeno il tempo a Bellocchio per
ribattere. Perché forse lui
non poteva saperlo, ma Nardo non era più il campione di
Unima da parecchio
tempo ormai. Ora c’era un’altra persona che si era
fatta carico delle
responsabilità della regione e l’agente
sinceramente non pensava che i due
sarebbero mai andati d’accordo.
Angolo
dell’autrice
Che poi dovrei trovare un nome migliore perché
“angolo
autrice” è un po’ troppo
semplice…
Allora mistero: chi sarà la persona che ha incontrato
Bellocchio? Ma tanto sono sicura che la metà di voi lo
avrà già capito, but
anyway non importa.
Spero il capitolo sia venuto decentemente e che la
parte della stalattite e tutto quel lungo discorso non vi abbia
annoiato o non
sia sembrato troppo forzato.
Ringrazio per il tempo speso e per i numerosi consigli
e incitamenti (se si dice così) Andy Black e SM99, i vostri
pareri sono per me
molto importanti!
Al prossimo capitolo!
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Capitolo 3 *** Nuove conoscenze ***
Nuove conoscenze
Belle
e Touko corsero velocemente per le scale che
portavano alla sala adibita allo spettacolo di quella sera. Non appena
entrarono videro che molta gente aveva già preso posto,
segno inequivocabile
che il Musical sarebbe cominciato a momenti.
Le due ragazze si avviarono verso
il loro posto cercando di destare meno attenzioni possibili, ma una
volta
arrivate Touko vide che l’amica stava salutando un ragazzo
già seduto nella poltroncina
vicino alla loro.
«Ciao Alan! Sono contenta che alla fine tu sia potuto
venire!» cinguettò Belle.
«Figurati è un piacere» sorrise affabile
il tipo che
evidentemente doveva chiamarsi Alan.
Di per sé non era un brutto ragazzo, circa sulla
ventina, sbarbato e con dei laccatissimi capelli biondi, ma Touko sin
da subito
lo giudicò un ragazzo insulso.
Il suo primo pensiero fu che l’amica si fosse
finalmente trovata un ragazzo e così fece per sedersi nel
posto più esterno,
lasciando libera la poltrona vicino al biondo, ma Belle la
fermò e scosse la
testa, facendo sedere Touko accanto ad Alan. Dopo un momento di
confusione
iniziale la ragazza capì: ecco di cosa si trattava la
sorpresa di Belle.
Nemmeno la brunetta ci voleva credere, ma la sua
“gentile” amica le aveva
procurato un appuntamento al buio. Le sembrava di vivere una di quelle
patetiche commedie rosa, che lei tanto detestava, dove due sconosciuti
si
conoscono per caso e solo dopo cinque minuti si innamoravano
felicemente.
Patetiche.
Tuttavia sperò fino all’ultimo di aver frainteso
la situazione e che
il ragazzo fosse solo un amico di Belle capitato lì per
caso, ma le sue
speranze si infransero quando lui le sorrise sornione e le disse
«Non pensavo
che la campionessa di Unima fosse così
bella».
“Cretino” fu il primo pensiero
di Touko.
Se quello era un tentativo per abbordare, era uno dei peggiori che
avesse mai visto.
Cercò di focalizzarsi sullo spettacolo che stava iniziando
quando sentì la mano di lui che sfiorava la sua cercando di
apparire dolce.
Al
contatto si ritrasse quasi subito.
Chi era lui per poterla anche solo sfiorare?
Non voleva apparire schizzinosa o problematica, anche se un
po’ lo era, ma quel
ragazzo iniziava a stargli altamente antipatico.
Si voltò verso Belle con uno sguardo
a metà tra il terrorizzato e il perplesso, ma
l’amica era troppo concentrata
sullo spettacolo così le poggiò una mano sul
braccio e la bionda si girò di
scatto allarmata
«Che c’è?» le chiese
preoccupata.
«Chi sarebbe lui?» domandò Touko
indicando Alan.
«Oh lui è Alan»
«Grazie tante, ma perché è
qui?»
«Lui è la tua sorpresa». Ecco la
conferma per i
sospetti della brunetta. Se quello era tutto un piano
dell’amica allora finiva
in cima alla lista dei peggiori.
Quella era la sua vita, come si era permessa
Belle di intromettersi e di organizzarle quel patetico incontro. Solo
il
pensiero le dava i nervi. E lei che aveva accettato di sorbirsi quella
serata
solo per non deludere l’amica… avrebbe fatto
meglio a rifiutare.
Tuttavia provò a non pensarci e tornò a guardare
lo
spettacolo sopra il palco, doveva ammettere che si aspettava di peggio
da un
Musical e fu quasi tentata di rilassarsi, ma al quinto tentativo di
abbordaggio
da parte di Alan, la classica mossa dello sbadiglio-abbraccio, Touko lo
fulminò
con gli occhi e si alzò stizzita dalla poltroncina.
Non le importava che
fossero solo a metà spettacolo, o che la sua azione avrebbe
disturbato gli
spettatori, si mise semplicemente
a
camminare nel corridoio principale fino a raggiungere la porta della
sala. Una
volta raggiunta la aprì e uscì, imbocco le scale
e si fermò nella hall del
teatro.
Solo in quell’istante si accorse della stupidità
della sua azione:
aveva lasciato lì Belle da sola, senza nemmeno una
spiegazione. Fortunatamente la
bionda uscì dalla sala pochi secondi dopo, evidentemente
l’aveva seguita, e
Touko pensò subito di scusarsi, ma l’amica si mise
le mani nei fianchi e con un
atteggiamento seccato le chiese «Ma si può sapere
cosa ti succede stasera,
prendi e te ne vai, lasciando il povero Alan da
solo!».
Il fatto che Belle
proteggesse quell’individuo fu la goccia che fece traboccare
il vaso, così i suoi
buoni propositi andarono in fumo perché la giovane le
rispose per le rime.
«Pensavo fosse la serata del mio compleanno, non la
serata prendi un tizio qualunque e fallo conoscere alla tua
amica!» esclamò
indignata.
«Alan non è un tizio qualunque, è un
aiutante della
professoressa Aralia!»
«Non m’importa chi sia o cosa faccia. Non dovevi
portarlo qui!» Touko era furiosa.
«Giusto, perché la “signorina
associale” detesta
conoscere nuove persone o…» la bionda parve
ponderare bene le parole «stare in
compagnia dei suoi vecchi amici» sussurrò
amaramente.
«E questo cosa centra? Tu non avevi il
diritto…» provò
a dire la brunetta colpita sul vivo.
«Ma ti ascolti quando parli? Volevo solo che potessi
conoscere qualcuno e che ti rifacessi una vita dopo quel maledetto di
N…».
La bionda si accorse troppo tardi di aver
nominato il
loro vecchio nemico e subito si alzò le mani per coprirsi la
bocca, ma Touko
aveva già sentito e una lacrima, forse di rabbia o forse di
tristezza, le stava
scendendo sulla guancia pallida. Non avrebbe dovuto mettere N in mezzo
al
discorso perché sapeva che per l’amica era una
ferita ancora aperta, nonostante
il tempo trascorso, ma la frenesia del battibecco glielo aveva fatto
dimenticare.
Touko si asciugò la lacrima e si voltò verso
l’uscita
del Pokémon Musical.
«Comunque sia, non dovevi immischiarti nella mia
vita»
sussurrò con risentimento.
Poi camminando lentamente si avviò verso la grande porta
in vetro e uscì.
Erano sempre più vicini, poteva sentirlo.
Non poteva
credere che “lui” lo avesse trovato anche
lì.
Eppure doveva continuare a
correre, non poteva assolutamente fermarsi altrimenti i suoi
inseguitori lo
avrebbero raggiunto. Gli arbusti gli graffiavano la faccia e ormai non
sentiva
più le gambe, mentre i polmoni sembravano aver preso fuoco
da soli. Era sfinito
ma il suo unico pensiero era quello di fuggire.
Correre, correre, correre era
assolutamente proibito fermarsi. Per quanto stanco si sentisse, per
quante
poche forze avesse in corpo non poteva darla vinta a
“lui”, l’uomo che gli
aveva rovinato la vita, l’uomo che ora detestava
più di qualsiasi altra cosa al
mondo.
Mentre pensava a tutto ciò, distraendosi, non si accorse
della presenza
di un tronco che giaceva nel sottobosco e così cadde.
Provò a tirarsi su, ma
subito si sentì mancare e capì che non sarebbe
più riuscito ad alzarsi, era
arrivato al limite.
Provò a prendere una
Pokéball, ma lo zaino dove si
trovavano era stato sbalzato qualche metro in là dopo la
caduta e lui non
riusciva a raggiungerlo.
Era troppo stanco persino per respirare.
Disteso a terra
esausto e inerme, ebbe la consapevolezza di essere arrivato al
capolinea, a
momenti sarebbe stato raggiunto e allora per lui sarebbe stata la
fine…
Sentì in lontananza dei passi che in poco tempo si
fecero sempre più vicini fino a quando dal fitto del bosco
spuntarono due
figure completamente vestite in grigio, ma che portavano lo stendardo
del Team
Plasma. Alla sola vista di quelle due iniziali, TP, una rabbia
incredibile gli
montò in petto.
«Finalmente ti abbiamo preso N» disse la prima
figura
con un sorriso di trionfo stampato in viso.
Sì, perché il fuggitivo era proprio
lui, Natural Harmonia Gropius.
Nonostante avesse i capelli verdi disordinati e
crespi a causa dei mesi di latitanza, la pelle incrostata di sangue e
sporcizia
e le vesti ridotte a brandelli N era ancora riconoscibile
dall’atteggiamento
fiero e dall’espressione triste e determinata che non lo
abbandonava mai.
«Cosa volete da me?» chiese il giovane senza
scomporsi.
«Ghecis vuole tanto vederti» lo canzonò
la seconda
figura.
«E chi dice che io voglia lo stesso?»
«Risparmia il fiato principino» gli disse la prima
figura avvicinandosi.
Contro ogni previsione era una donna.
«Sono re» disse serio N.
Doveva solo guadagnare un po’ di tempo e poi…
Un ruggito squarciò il cielo, mentre un enorme drago
bianco si stava avvicinando minaccioso ai tre umani.
N esultò tra sé: Reshiram,
il Pokémon leggendario che aveva lasciato libero per non
doverlo rinchiudere in
una Pokéball, stava venendo ad aiutarlo.
I due scagnozzi del Team Plasma
rimasero immobili di fronte a quella surreale apparizione
finché Reshiram
atterrò di fronte a loro. Quando la donna vide la coda del
drago diventare incandescente
capì che se non si fossero mossi avrebbero rischiato troppo,
ma ormai era tardi.
Il leggendario scatenò una potente Incrofiamma che in
qualche secondo provocò
un incendio nel bosco Girandola così ricco di alberi e
arbusti.
Poi si avvicinò
a N e lo invitò a salire sulla sua groppa. Il ragazzo con le
ultime forze prese
il suo zaino e si issò sul manto candido di Reshiram il
quale spiccò
immediatamente il volo.
Infine prima di lasciarsi andare al meritato riposo il
ragazzo sussurrò al Pokémon «Portami da
lei».
Le
luci del parco divertimenti in lontananza erano un
vero spettacolo. Touko le stava osservando da parecchi minuti
affacciata alla
ringhiera che dava sul canale artificiale che circondava
Sciroccopoli.
Non
sapeva perché, dopo essere uscita dal Pokémon
Musical, non se ne era tornata
direttamente alla Lega in sella al suo Unfezant. Le strade della
città si erano
leggermente svuotate, forse per l’ora tarda, e
così aveva deciso di godersi la
malinconia che le dava la vista della luminosa ruota panoramica.
Evidentemente era
masochista, ma al momento non le importava. Le interessava solamente
crogiolarsi in quel breve attimo di tristezza che si stava concedendo,
d’altronde i momenti che dedicava a se stessa, alla vera
Touko, erano rari.
Vedendo
quel grande cerchio luminoso in mezzo al parco divertimenti la brunetta
ricordò
fugacemente il giorno in cui lui, N, l’aveva fatta salire a
tradimento in
quella ruota panoramica.
Non ricordava molto quei momenti.
Aveva voluto dimenticare
con tutto il cuore quel periodo della sua vita dove il ragazzo era
stato
presente. Sì, perché quel ragazzo, per cui ora
provava un odio smisurato, era
stato il suo fallimento personale e lei non ammetteva
fallimenti.
A suo tempo
aveva sbagliato a fidarsi di lui e ora ne pagava le conseguenze, se lo
meritava.
Touko era sempre stata dura con sé stessa e pensare di
essere caduta così facilmente nel tranello di N la faceva
infuriare; lui
l’aveva abbandonata per sempre e questo fatto non lo aveva
mai accettato.
Il rumore vicino di un battito di ali attirò la sua
attenzione così la brunetta si voltò nella sua
direzione, ma ciò che vide la
lasciò senza fiato: un Charizard stava atterrando
tranquillamente in mezzo alla
città.
Dalla sua schiena scese quello che doveva essere il suo allenatore.
Capelli castani, coperti da un frontino, e due penetranti occhi mattoni
caratterizzavano
la sua strana figura mentre Touko si accorse che non sarebbe stata in
grado di
definire l’età di
quell’individuo.
Quest’ultimo, una volta posato i piedi sulla
terra ferma, le rivolse un’occhiata stanca e con un tono
svogliato le chiese
«Sapresti dirmi dove posso trovare Nardo?».
La brunetta
rimase ammutolita per qualche istante, ancora perplessa
dall’entrata teatrale
del nuovo arrivato, ma poi si riscosse e rispose sbrigativa
«Non è qui».
«E non è che sapresti dirmi
dov’è?» chiese
l’interlocutore che stava già perdendo la pazienza.
«Perché dovrei dirlo a te?» rispose
Touko che voleva
capire il perché quello strano individuo stesse cercando
l’ex campione.
«Perché devo parlare con il campione di
Unima»
«Allora puoi parlare con
me» disse la brunetta in tono
di sfida.
«Ah, e tu vorresti farmi credere che una bambinetta
come te sarebbe riuscita a battere Nardo?».
Se c’era una cosa che Touko detestava era quando le si
dava della bambinetta.
«Sì» rispose laconica.
«Non ci credo»
«Come ti pare» rispose lei voltandosi nuovamente
verso
il parco divertimenti.
Anche quella conversazione era patetica, tant’è
che le
venne il dubbio che “patetica” fosse la parola
chiave della serata.
Tornò a
volgere lo sguardo verso la ruota panoramica, ma la presenza dello
strano
individuo la disturbava così si sbuffò
spazientita e senza guardarlo gli chiese
irritata «Cosa ci fai ancora qui?»
«Te l’ho già detto, a quanto pare siamo
duri di
comprendonio… sto cercando il campione di Unima»
«E io ti ho già detto che ce l’hai di
fronte…»
«Dimostralo» esclamò il ragazzo
«Come posso fare, di grazia?»
Questo si grattò il capo con espressione indecifrabile. Sembrava avesse qualcosa in mente ma la brunetta non ci fece molto caso, non le interessava poi molto.
«Che ne dici di una lotta? Ti sfido».
Touko parve pensarci per qualche istante. Era un po’
che non si cimentava in una bella lotta, escludendo quelle mensili con
Komor, e
forse un po’ di allenamento le avrebbe fatto bene.
«Ci sto. Dove e quando?»
«Domani mattina ti aspetto nel Bosco Smarrimento.
Lì
vedremo se sei veramente il campione» sorrise furbescamente
il ragazzo.
Poi rimontò in groppa al suo
Charizard e spiccò
nuovamente il volo, ma venne fermato a mezz’aria dalla voce
di Touko
«Aspetta! Come ti chiami?» gli urlò la
ragazza dal
basso.
Da quanto tempo qualcuno non gli faceva questa
domanda. Avrebbe voluto dimenticarsi del suo nome, ma purtroppo per
quanto ci
avesse provato non c’era mai riuscito.
Il suo nome, la condanna che faceva sì
che in ogni posto andasse tutti lo riconoscessero.
«Red. Semplicemente Red» urlò di rimando
lui, con una
nota di malinconia nella voce.
Poi il Charizard si alzò e scomparve nel buio del
cielo notturno.
Spazio
indefinito (per ora)
Et
voilà ecco l’apparizione di Red, spero non sembri
troppo banale. La “descrizione” si attiene al Rosso
di “Pokémon: Le Origini”
dato che nel videogioco personalmente non riesco a vedere ne colori di
capelli
ne tantomeno la faccia.
Allora sinceramente questo capitolo non mi convince al
100%, c'è qualcosa che non mi piace. Spero comunque sia stato perlomeno leggibile
(autostima all’attacco) e… non ho altro da dire.
Ringrazio Andy Black, Ashura_exarch
e SM99 per le gentili recensioni e ringrazio anche chi inizia a seguire
questa strampalata
storia.
Un
saluto e al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 4 *** Piani ***
Piani
La
brezza le accarezzava i morbidi capelli raccolti in
una coda mentre Touko volava in groppa al suo Unfezant alla volta del
Bosco
Smarrimento, il luogo prefissato per l’appuntamento che le
era stato dato il
giorno precedente.
Si ricordava benissimo i fatti della sera prima, quando
aveva abbandonato Belle da sola al Musical e se ne era tornata a
“casa” per
conto suo; come ricordava bene il nome dell’allenatore che
l’aveva sfidata per
testare le sua abilità di campionessa: aveva detto di
chiamarsi Red.
Non poteva
però essere quell’Allenatore che Touko pensava,
altrimenti la ragazza avrebbe
potuto fare tranquillamente a meno di lottare, o anche di presentarsi,
tanto
l’esito sarebbe stato già definito. Sì,
perché Red di Biancavilla era uno degli
allenatori più forti al mondo.
Giravano molte leggende a riguardo e si
diceva che fosse un Maestro di Pokémon imbattibile, un
campione assoluto. Si vociferava anche che il ragazzo vivesse in pianta
stabile
sul Monte Argento a Kanto lontano da tutto e da tutti, a contatto solo
con i
suoi Pokémon con i quali ormai aveva una grande
affinità.
Era un po’ la sua
versione speculare, solo che lui era molto meglio, era il migliore tra
tutti.
Allora,
però, se il famigerato Red era un Allenatore così
forte e riservato cosa lo
aveva spinto a venire fin lì da Kanto? Era questa la domanda
che l’aveva tenuto
sveglia per tutta
la notte.
Che ci fosse
qualcosa di cui non era a conoscenza? Eppure lei era la campionessa e
come tale
aveva la responsabilità della
regione
sulle sue spalle, o almeno così le aveva detto Bellocchio.
Ma queste erano
tutte enormi bugie perché in realtà a ben
pensarci lei in quei tre anni non
aveva fatto altro che starsene rinchiusa nella Lega, quindi non era mai
stata
presente alle difficoltà di Unima e sinceramente non sapeva
nemmeno cosa accadesse
in quella regione.
La brunetta non era come Nardo e non lo sarebbe mai stata.
Ad
interrompere i suoi pensieri fu l’atterraggio
brusco del Pokémon orgoglio proprio all’entrata
del Bosco Smarrimento. Touko
richiamò Unfezant nella ball e si inoltrò nel
fitto della foresta.
Solo poco dopo si rese conto che non aveva
modo di
trovare Red, dato che il bosco aveva il suo perché se si
chiamava in quel modo.
Tuttavia continuò a camminare fino a inoltrarsi nella parte
più buia della
selva, dove solo qualche raro raggio di sole riusciva a oltrepassare i
rami
degli alberi, creando così dei visibili sprazzi di luce che
ogni tanto
illuminavano il cammino.
Non c’era il minimo rumore a rovinare la pace e il
silenzio di quel luogo, tanto che Touko pensò che avrebbe
potuto essere un
posto perfetto per vivere, sarebbe potuta diventare
un’eremita a tutti gli
effetti e lì nessuno l’avrebbe mai trovata. I suoi
desiderii erano puramente
egoistici e non appena lo capì si pentì
addirittura di averli formulati.
Che
razza di mostro stava diventando? Forse Belle aveva ragione…
Stanca dei suoi inutili pensieri fece uscire
dalla
Pokéball il suo Leafeon, Pokémon che, tra quelli
che possedeva, aveva più
empatia con la natura e quindi avrebbe potuta aiutarla meglio ad
orientarsi in
quel labirinto.
Purtroppo non gli fu di grande aiuto, ma almeno, pensò, gli
avrebbe tenuto compagnia; quindi provò a ingegnarsi per
poter trovare una
strada che la conducesse da Red, ma senza risultati così
smise di arrovellarsi
e continuò a camminare alla cieca.
D’un tratto però sentì un fruscio alle
sue spalle.
Si girò e vide che non c’era nulla così
riprese la sua
strada, ma al secondo rumore che sembrava quasi più vicino
fece un segno al Leafeon
mettendolo in guardia per potersi difendere in caso di un eventuale
attacco.
Passò così qualche attimo di tensione
finché la siepe da cui provenivano i
fruscii si mosse e da essa uscì fuori un maestoso
Espeon.
L’apparizione lasciò
Touko senza parole, che lì per lì non seppe cosa
fare. Il Pokémon la osservava
pacifico e non sembrava intenzionato a combattere. Inoltre la brunetta
realizzò
che un Espeon non era facile da trovare in quell’area della
regione e quindi
avvistare un’esemplare lì era una cosa strana.
Strana e sospetta. Touko gli si
avvicinò cauta mentre il Pokèmon continuava a
fissarla intensamente.
Anche il
Leafeon seguendo la sua Allenatrice gli si stava avvicinando, poi
quando
entrambi furono abbastanza vicini il Pokémon sole si
girò e si inoltro nel
bosco, invitando la brunetta a seguirlo.
I tre camminarono per un bel po’ fino a quando Touko
vide uno spiraglio di luce più grande di fronte a quel buio
opprimente.
Inconsciamente velocizzò l’andatura per
raggiungere quel punto più in fretta e
senza rendersene conto sbucò in una radura larga qualche
decina di metri. La
brunetta spalancò gli occhi di fronte a quella surreale
apparizione, una specie
di oasi luminosa in quella fitta e buia boscaglia. Solo in un secondo
momento
si accorse della presenza di un allenatore che stava richiamando nella
ball
l’Espeon.
Senza sorprendersi più di tanto la
ragazza vide che si trattava di
Red che evidentemente la stava aspettando da parecchio.
«Ce ne hai messo di tempo… ho dovuto mandare il
mio
Espeon a cercarti» esordì il ragazzo sempre con
quel tono svogliato.
«Ti stavi preoccupando per me?» chiese Touko
maliziosa
«No, figurati, mi stavo preoccupando che tu avessi
dato forfeit» le rispose lui strafottente.
«Da come perdi tempo a sparare cavolate sembra quasi
che sia tu quello che ha paura di sfidarmi…» la
loro sembrava più una gara
verbale più che una lotta Pokémon.
«Bene allora meno chiacchiere e iniziamo» fece Red
stizzito.
«Non aspettavo altro» sussurrò
sorridente Touko.
In quel momento era più sicura che mai, avrebbe vinto
a qualsiasi costo e avrebbe tappato la bocca a quell’odioso.
Belle quel giorno era stanca morta.
La sera prima il
Musical era finito a mezzanotte e per di più era dovuta
tornare a casa da sola
dopo che Touko l’aveva abbandonata. Per giustificare in
qualche modo l’azione
della amica aveva raccontato ad Alan una bugia assurda e il tipo se
l’era anche
bevuta. A ben pensarci forse il biondo non era molto sveglio, ergo non
era la
scelta più azzeccata per Touko, ma nonostante Belle sapesse
di aver sbagliato
si rifiutava categoricamente anche solo di chiamare l’amica.
Aveva anche lei il
suo piccolo orgoglio da difendere.
Così quella mattina si era alzata
presto
pronta per godersi una bella giornata all’aria aperta, ma la
Professoressa
Aralia le aveva subito chiesto di svolgere una commissione al suo posto
andando
sino a Levantopoli al laboratorio della professoressa Zania per
consegnarle
alcuni dati di una ricerca che stavano svolgendo insieme. La bionda
naturalmente aveva accettato e si era recata nella cittadina per
svolgere la
sua mansione.
Uscita dal laboratorio però la stanchezza si fece
sentire terribilmente e così Belle decise di andare a
prendere un caffè alla Palestra
della città che fungeva anche da bar e da ristorante da lei
frequentato spesso.
Appena entrata si sedette al solito tavolino e ordinò
un cappuccino alla cannella. Inconsciamente si soffermò a
pensare che era molto
tempo che non ne prendeva uno, di solito era il preferito di Touko che
ne
andava veramente matta, ma ora erano anni che non si divertivano un
po’ assieme
in modo tranquillo, anche con un caffè tra amiche, e tutto
quello era colpa di
una sola persona…
N.
Proprio in quell’istante il diretto interessato
entrò
nel bar e si sedette al bancone ordinando un semplice bicchiere
d’acqua mentre
Belle lo fissava stralunata. Cosa ci faceva quell’essere a
Unima? Da quel che
sapeva, se ne era andato a “cercare sé
stesso” in altre regioni e la bionda
aveva sperato che non tornasse più, ma le sue preghiere
erano state vane perché
ora Natural Harmonia Gropius era lì di fronte a lei.
Sbuffò contrariata e si
avvicinò al bancone con fare minaccioso. Quando gli fu
vicino si schiarì la
gola per attirare l’attenzione del ragazzo e dirgliene
quattro, ma si spaventò quando
N si voltò verso di lei.
La prima cosa che vide furono le cicatrici sulla pelle
candida del viso il che le fece pensare che il ragazzo avesse vissuto
momenti
migliori. I capelli di quel dubbio colore erano sempre acconciati in
una coda
scompigliata, ma sembravano appena tagliati segno che anche N
frequentava un
parrucchiere ogni tanto. Poi però Belle notò i
suoi occhi di quel colore
indefinito, tra il grigiastro e il verde scuro, e vide che erano
spenti. Nel
suo sguardo, un tempo vivo e deciso, si leggeva una tristezza
sconfinata.
“Evidentemente non è riuscito a trovare
sé stesso” pensò la biondina
leggermente
divertita.
Dal canto suo, il ragazzo non appena la vide sussultò
un po’ sorpreso per poi sorriderle strafottente.
«Ti stai chiedendo cosa ci faccio qui?» disse
diretto
N
«Veramente mi stavo chiedendo quando tu te ne andrai
da qui» sussurrò con odio la bionda.
«Ma sono appena arrivato. Ho la netta sensazione che
tu mi odi più di Touko» disse diretto lui.
«Non provare nemmeno a nominare il suo
nome…»
nonostante Belle fosse arrabbiata con lei, la vista di quel traditore
le fece
venir voglia di proteggerla.
«Non riesco proprio a capire perché tu ce
l’abbia
tanto con me» disse tranquillamente il ragazzo
«Forse perché a causa tua Touko si è
allontanata dal
mondo» la biondina era sempre più furiosa
«Bah, lei ha sempre avuto un carattere difficile non
mi sorprendo che si sia comportata così» disse N
mentre sorseggiava l’acqua.
Quelle parole ebbero l’effetto di far uscire di testa
la povera Belle, come poteva lui dire quelle cose sulla sua amica?
«Per tua informazione Touko è riuscita a diventare
campionessa della Lega con il “carattere difficile”
che ha, quindi…» la ragazza
si zittì subito quando vide un’espressione
illuminata nel volto di N.
«Grazie Belle sapevo di poter contare su di te» le
disse lui semplicemente, correndo fuori dal locale e lasciando la
biondina a
bocca aperta.
L’aveva ingannata!
Le aveva fatto perdere la pazienza
per farsi dire dove era Touko.
La ragazza represse un moto di stizza e imprecò
a bassa voce per non farsi sentire. Ora l’amica non
l’avrebbe mai perdonata…
cosa poteva fare?
«Useremo tre Pokémon
ciascuno, per evitare una lotta
troppo lunga campionessa»
Red
pronunciò l’ultima parola in modo canzonatorio, ma
Touko non si scompose e si
limitò ad annuire.
«Bene per primo scelgo Poliwrath» sorrise il
ragazzo
mentre faceva uscire dalla sua Pokéball un ben allenato
Pokémon girino che si
piazzò subito in mezzo alla radura pronto a lottare.
«Forza Leafeon» disse tranquillamente Touko mentre
il
Pokémon rigoglioso camminava lentamente, apprestandosi a
raggiungere anche lui
il centro della radura.
Il suo Leafeon era un tipo erba in vantaggio su un tipo
acqua come Poliwrath e per lo più la brunetta ultimamente
aveva passato molto
tempo ad allenarlo, quindi assieme ormavano ormai un’ottima
squadra.
«Dinamipugno!» iniziò subito Red per
nulla intimidito
dal fatto che il suo avversario fosse di un tipo avvantaggiato.
«Leafeon schivalo e usa Fogliamagica»
ordinò la
brunetta, mentre il Pokémon rigoglioso schivava
elegantemente l’attacco per poi
piazzarsi alle spalle dell’avversario e attaccare.
«Chi attacca da dietro è
un codardo, non te l’ha mai
detto nessuno?» le chiese Red che continuava a sorridere
nonostante il suo
Poliwrath fosse stato colpito in pieno dall’attacco del
Leafeon.
«Al momento non mi interessa» rispose la ragazza
«Leafeon, usa Attacco Rapido»
«Intercettalo con Ribaltiro» ordinò
prontamente Red.
Il Poliwrath si girò in modo sorprendentemente veloce,
mentre il
Pokémon rigoglioso caricava il
suo Attacco Rapido. Poi non appena gli fu abbastanza vicino lo
afferrò e lo
ribaltò all’indietro facendolo sbattere contro un
tronco che si trovava lì
vicino.
«Leafeon!» esclamò Touko impaurita
vedendo il suo
compagno inerme a terra, ma tirò un sospiro di sollievo
quando quest’ultimo si
alzò e si avvicinò al suo avversario con fare
minaccioso.
Leafeon era forte, ma Poliwrath lo era di più e questo
la brunetta lo sapeva quindi doveva trovare una strategia il prima
possibile.
Distraendosi però non si accorse dell’attacco del
Pokémon girino che lanciò nuovamente
con Ribaltiro il Leafeon, ma stavolta proprio addosso a Touko che si ritrovò con
il suo compagno in braccio e
con il sedere a terra a causa del colpo ricevuto.
Alzò gli occhi in aria,
schiaffeggiandosi mentalmente
per la distrazione quando l’illuminazione la colse in pieno.
In quella radura, seppur poco, si poteva scorgere il
cielo attraverso i rami. Essi erano di sicuro meno numerosi di quelli dentro al bosco, e
quindi la luce
filtrava un po’ di più.
La luce.
Touko collegò i suoi pensieri, ora sapeva cosa fare.
«Già stanca campionessa?»
le chiese canzonatorio Red.
«Io no, ma tu?» rispose la brunetta con un sorriso,
alzandosi
«Vai Leafeon, Meloderba!» esclamò
sicura.
Ora aveva un piano.
L’ennesima goccia di sudore
bagnò la fronte già sudata
di Komor.
Era il quinto chilometro che correva eppure quella mattina era
più
stanco del solito. Gli allenamenti quotidiani invece di renderlo
più forte
sembravano sfiancarlo.
“Persistere, la vittoria sta nel persistere” era
ciò che
gli diceva perennemente il suo maestro e lui era fedele a questo
concetto. Già,
il suo maestro. Forse era il caso di andare a vedere se casomai si
fosse
svegliato. Se arrivava in ritardo di solito si beccava una lunga lavata
di capo
e non era proprio il caso. Corse velocemente fino alla capanna che
aveva
allestito per abitare a contatto con la natura, nel Bosco
Smarrimento.
Pose
l’orecchio vicino alla porta per sentire se lui era in casa,
ma non gli giunse
nessun rumore quindi entrò preoccupato, ma la preoccupazione
aumentò quando si
accorse che la capanna era vuota. Il maestro non era lì e
questo non era un
bene, dal momento che lui non usciva mai.
“Non di sua spontanea volontà”
pensò
con il cuore in gola Komor. Doveva trovarlo, era fondamentale.
Così uscì di casa sbattendo la porta e incurante
della
stanchezza corse a cercarlo. Dove poteva essersi cacciato?
Il Pub di Guna
So che la scelta del nome non è
delle più felici,
quindi se avete qualche suggerimento ve ne sarei grata (io e la mia
grande fantasia
per i nomi).
Bene anche il capitolo quattro è andato e spero
sinceramente sia di vostro gradimento. Chi vincerà la lotta
tra Red e Touko? No,
a creare suspense faccio proprio pena…
Comunque ringrazio sempre SM99 e Andy Black per le
gentili recensioni e… niente ci vediamo al prossimo
capitolo!
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Capitolo 5 *** Ferite ***
Ferite
Una
dolce melodia risuonava nell’aria, una melodia
soporifera che lentamente stava facendo cadere Poliwrath in un sonno
profondo.
Era il Meloderba di Leafeon che stava facendo finalmente effetto.
«Non ci starai forse sottovalutando? Per quanto forte
possa essere il tuo attacco, Poliwrath si sveglierà in
pochissimo tempo» disse
Red, per nulla preoccupato dallo stato del suo Pokémon.
«Forse sei tu che stai sottovalutando la mia
strategia…» rispose fredda Touko.
Sapeva che l’effetto di Meloderba non sarebbe durato a
lungo, ma doveva comunque tentare.
«Forza Leafeon, usa Fendifoglia sui rami degli
alberi!» esclamò la brunetta pregando con tutta se
stessa che il suo piano
funzionasse.
E così fu.
Il Pokémon rigoglioso si arrampicò a balzi sopra
una
gigantesca quercia e una volta arrivato in cima spiccò un
salto e, grazie a
Fendifogllia, tagliò di netto la maggior parte dei rami che
oscuravano la
radura, illuminandola maggiormente.
«Posso chiederti perché non mi hai attaccato, ma
anzi
hai sprecato un’occasione per fare…il
giardiniere?» chiese Red tra lo stupito e
l’ironico.
Era stata una mossa insolita e abbastanza imprevedibile
che sicuramente il ragazzo non si sarebbe mai aspettato.
«Ho osservato il tuo Poliwrath. Ha una difesa molto
forte, quindi anche se ti avessi attaccato non sarebbe cambiato molto,
ma
così…» un grande sorriso era stampato
sul bel volto di Touko.
«Usa di nuovo Attacco Rapido» ordinò al
suo compagno
il quale caricò il colpo.
«Ribaltiro» si limitò a dire Red dal
momento che il
suo Pokémon si era svegliato ed era pronto a combattere
nuovamente.
Il Poliwrath cercò di inquadrare bene il Leafeon, il
quale però si spostava ad una velocità
spaventosa. Poi quando il Pokémon
rigoglioso gli fu vicino lo colpì in pieno senza che
l’altro avesse il tempo di
reagire e contrattaccare.
«Come…» provò a chiedere Red
sbalordito dal
cambiamento di velocità dell’avversario.
«Semplice, l’abilità di Leafeon gli
permette di
raddoppiare la velocità sotto una luce solare intensa quindi
ora siamo in grado
di schivare i
vostri attacchi» le rispose Touko con una punta
d’orgoglio.
Era felice di essere riuscita a mettere per lo meno in
difficoltà Red di Biancavilla.
Dal canto suo il ragazzo era sorpreso.
Doveva
ammettere che aveva sottovalutato la situazione e soprattutto
l’intelligenza
della ragazza, ma comunque aveva anche lui il suo asso nella manica.
Perciò si limitò a sorridere e ordinò
semplicemente al
compagno «Usa Geloraggio a raffica»
Il Poliwrath iniziò a cercare di colpire il Leafeon,
il quale puntualmente si spostava schivando il colpo. In men che non si
dica
però il campo lotta divenne un’enorme pista
ghiacciata sulla quale il Pokémon
rigoglioso faticava a muoversi. Era questo ciò a cui Red
mirava, ora la
velocità acquisita dall’avversario era
pressoché inutile.
«Ora Dinamipugno» disse sempre con quel tono
svogliato, mentre il Pokémon girino caricava il colpo.
«Leafeon continua a schivare» ordinò
Touko, ma sapeva
bene che non poteva più contare su quella tattica difensiva
perché il suo
compagno iniziava a essere affaticato.
“La miglior difesa è
l’attacco” pensò tra sé
così
iniziò a riflettere sul da farsi, senza accorgersi che il
suo Pokémon in
quell’istante veniva colpito da un potente Dinamipugno.
«Mi spiace, penso il tuo Leafeon sia abbastanza
stanco» le sorrise canzonatorio Red.
«O la va, o la spacca» pensò Touko ad
alta voce
«Leafeon, metti tutte le tue forze in questo attacco, usa
Fendifoglia»
«Un attacco frontale… che
banalità» sospirò annoiato
il ragazzo «Intercettalo con Dinamipugno»
Il Leafeon si avvicinò all’avversario a una
velocità
sorprendente mentre
quest’ultimo
attaccava con Dinamipugno. All’ultimo però
scavalcò il Poliwrath e gli si
piazzò alle spalle, quindi attaccò. Il
Pokémon girino, già provato in precedenza,
cadde in ginocchio quasi esausto.
«Non ti facevo così scorretta»
sussurrò Red.
«A mali estremi… Finiamola con un altro
Fendifoglia!»
disse Touko.
Il Leafeon attaccò il Poliwrath apparentemente inerme
che cadde definitivamente a terra esausto.
La brunetta esultò mentalmente per l’ottimo
lavoro, ma
il suo sorriso si smorzò quando vide che Red la guardava con espressione
ambigua.
«Perché mi fissi così?»
chiese curiosa.
«Guarda un po’ il tuo Leafeon» le rispose
lui, sempre
con quel mezzo sorriso.
Touko si voltò come le era stato detto e vide che
anche il suo compagno era a terra, mezzo agonizzante.
Gli si avvicinò e lì si accorse di ciò
che era
successo: era stato avvelenato.
«Com’è possibile?»
esclamò stupita.
«Io la chiamo tattica di emergenza, quando io e Poliwrath
stiamo per perdere lui usa ormai automaticamente il suo ultimo
attacco…»
«Velenospina» concluse lei reprimendo un moto di
stizza.
«Esatto, gliel’ho fatto imparare apposta per casi
come
questi» sorrise Red.
«Ora io non penso tu voglia far combattere quel povero
Pokémon»
«Certo che no!» rispose la ragazza indignata.
Per chi l’aveva presa? Lei non maltrattava certo i
suoi Pokémon.
“Però maltratti gli umani” le disse una
vocina interna nella sua
testa, che Touko zittì immediatamente.
«Se non sbaglio la lotta non è finita, sempre che
tu
non voglia ritirarti» la provocò il ragazzo
Ora la vecchia Touko, quella ingenua e troppo
impulsiva, avrebbe sicuramente aggredito Red e gli avrebbe fato una
scenata
colossale, ma invece la nuova Touko era diversa. Era una persona priva
di
emozioni e come tale doveva rimanere, anche durante una sfida.
Aveva sbagliato
a lasciarsi prendere dall’entusiasmo pensando di aver vinto
la prima lotta
contro Poliwrath perché ora ne pagava le conseguenze.
Erano pari per il momento, perciò doveva giocarsi bene
le sue carte.
«Conto su di te Sigilyph» esclamò dunque
con tono
deciso.
«Bene, Campionessa, che ne dici di una lotta
aerea?»
domandò retoricamente il ragazzo «Charizard, sai
cosa fare»
E detto questo lanciò la Pokéball del
Pokémon fiamma
verso il campo lotta.
Le gambe le tremavano dalla fatica eppure per qualche
strana ragione lei continuava a camminare.
Percorreva in fretta le gallerie di quella
falda che l’avrebbe portata dal suo capo, il sommo
Ghecis.
Solo poche ore prima,
dopo chissà quanto tempo di coma, si era svegliata
nell’infermeria del Team
Plasma con la parte destra del viso che bruciava in modo insopportabile
e con
una continua tosse che non le dava respiro. Eppure aveva chiesto sin da
subito
udienza dal loro capo per comunicargli delle “cose
urgenti” e nessuno aveva
ribattuto.
Ovviamente, dal momento che lei era Adelaide, il primo generale e
Braccio destro di Ghecis.
Il motivo di tutta quella fretta? Semplicemente
quell’insulso ragazzo, N, le era sfuggito dalle mani.
Perché proprio lei era stata incaricata, insieme ad
una semplice recluta, di riportare il principino nel Team, ma aveva
fallito. Il
potente Reshiram si era messo contro di loro provocando un grosso
incendio nel
Bosco Girandola, dal quale Adelaide era uscita viva per un
soffio.
D’altronde
lei se la cavava sempre in ogni situazione ed era questo il motivo per
cui era
diventata così influente nel Team Plasma.
Oltre alla sua abilità nelle lotte.
Questa volta però Adelaide non si sentiva affatto
bene. Oltre all’immenso dolore fisico che sentiva, provava
anche una grande
inquietudine nell’animo. Sapeva che il suo fallimento
difficilmente sarebbe
rimasto impunito.
Per di più notava qualcosa di strano in sé, come
se la
sua visuale del mondo si fosse in qualche modo rimpicciolita.
Sull’onda di questi pensieri entrò dunque nella
grotta
dove il sommo Ghecis era rintanato. Egli sembrava quasi aspettarla.
Lei si inchinò senza proferire parola mentre lui con
un gesto la fece alzare.
«Ho sentito cos’è successo.
C’è scappato anche il
morto, come si suol dire» iniziò l’uomo
con un tono calmo.
Troppo calmo.
«Sì, mio signore» si limitò a
rispondere Adelaide con
voce roca.
Quando parlava la gola le raschiava facendole provare
un dolore terribile, evidentemente era la conseguenza per
l’inalazione di
qualche gas durante l’incendio.
«E immagino N sia scappato» continuò
Ghecis
«Si» sussurrò con odio lei.
Il sommo Ghecis si mise a camminare avanti e indietro
per la grotta, segno della grande rabbia che provava.
«Un infinità di tempo» iniziò
«Adelaide, è un’infinità
di tempo che sono rinchiuso qui dentro per nascondermi. Il mio, il
nostro unico
modo per poter tornare grandi è trovare e portare qui il
ragazzo con il
leggendario e tu hai fallito…» l’uomo
parve prendere fiato.
Fece altri tre passi per la grotta e poi si fermò come
fulminato.
«Io… io sono stanco di vivere
così!» Ghecis sembrava
sull’orlo della pazzia.
D’altronde come potergli dare torto, dal momento che
erano anni che non vedeva nemmeno la luce del sole.
«Ma tu, Adelaide, sei fortunata. Per te ho un altro
incarico, quindi un’altra possibilità»
una smorfia, che somigliava ad un
sorriso, deformò la faccia dell’uomo.
«Significa che non mi
punirete?» chiese Adelaide con
voce quasi supplicante.
La reazione di Ghecis la sorprese.
L’uomo si mise a ridere come un folle e le disse
«Hai
già avuto la tua punizione»
Poi le indico una pozza d’acqua che bagnava il
pavimento della grotta e Adelaide si avvicinò.
Quello che vide riflesso la fece urlare dallo spavento
preso.
L’acqua rifletteva una donna dai capelli biondi
anneriti e bruciati dalle fiamme, la pelle piena di tagli e gli
occhi… o per
meglio dire l’occhio!
Solo l’occhio sinistro era visibile, mentre quello
destro era coperto da un drappo di stoffa, o per meglio dire una benda.
Una orrenda
cicatrice invece le tagliava a metà la faccia: da una parte
la pelle candida mentre
dall’altra quelle ustionata dalle fiamme.
Certo, Adelaide aveva visto le strane
occhiate che le reclute le avevano lanciato, ma mai avrebbe pensato a
tanto.
La sua bellezza era perduta, per sempre. Ne era sempre
andata fiera e ora…
“Ora rimane solo la vendetta” pensò
trattenendo le lacrime.
Non poteva credere a ciò che le era successo e invece
era tutto vero. Ora si ritrovava con metà volto sfigurato e
la sua vita non
sarebbe mai stata come prima, lo sapeva.
Odio, frustrazione e rabbia erano i
sentimenti che si alternavano ora nel suo cuore. Non le importava della
recluta
morta, le importava solamente di ciò che era successo a lei.
«Ditemi che devo fare» disse con un tono carico di
rancore
«Trovami la ragazzina» le ordinò Ghecis
che pareva
essere tornato normale.
Ormai era una cosa quotidiana per lui alternare
momenti di totale follia e momenti di brillante intelligenza.
«Non solo, signore» disse
Adelaide uscendo dalla grotta «Vi
porterò sia lei che il ragazzo, sarete fiero di
me».
Era colpa sua, colpa di N e del suo stupido Reshiram
se ciò era successo e ora lei si trovava con
un’orribile cicatrice in volto.
Era sfigurata e il solo pensiero le provocava una stretta allo stomaco
«Pagherà per tutto» sussurrò
imboccando il tunnel che
saliva in superficie.
«Carizard,
usa Lanciafiamme» ordinò Red, mentre il
Pokémon fiamma attaccava l’avversario sputando
letteralmente fuoco dalla bocca.
Quello era ormai il quinto di fila e il ghiaccio di
cui in precedenza era coperto il suolo si era ormai sciolto di fronte
al calore
delle fiamme.
«Sigilyph intercettalo con Psicoraggio» disse Touko
concentrata.
I pensieri sfrecciavano veloci nella sua mente. Mille
idee, mille strategie, una strada per poter vincere quel logorante
incontro per
il quale non vedeva alcuna via di salvezza.
I due Pokémon erano alla pari, nel
senso che entrambi non avevano punti deboli e i due tipi erano
equilibrati. Ovviamente
la grande potenza distruttrice di Charizard era superiore al Sigilyph,
che
comunque non se la stava cavando male.
«Eterelama!» esclamò la brunetta che
stava cercando
con tutta se stessa di sbloccare la situazione, apparentemente in
stallo.
«Proteggiti con Ondacalda» ribatté il
ragazzo
Un altro attacco a vuoto, la situazione si stava
facendo snervante. Ormai il Sigilyph di Touko iniziava ad affaticarsi
per i
continui attacchi, mentre il ben allenato Charizard di Red sembrava non
mostrare segni di cedimento.
«Se questo è il livello di una
Campionessa…»
«Fammi almeno il favore di stare zitto»
scattò Touko,
che ormai cominciava a perdere la pazienza.
«Siamo nervosetti?» la canzonò allora il
ragazzo.
“Calma” pensò “Calma e pensa
con lucidità”.
Non doveva
assolutamente innervosirsi altrimenti le sue poche chance di vittoria
sarebbero
andate in fumo.
«Posso farti una domanda?»
disse Red interrompendo il suo flusso di
pensieri.
«Tanto me la faresti comunque quindi…»
sospirò
distrattamente Touko.
«Sei la prima persona che incontro che non mi chiede
spiegazioni su chi io sia, è un po’
strano»
«Cosa intendi dire» gli chiese la brunetta.
«Sei una delle poche persone che non mi assilla con le
sue curiosità sulla mia storia e…»
«Scusa tanto Campione, ma mi sembra che il tuo ego vada
un po’ ridimensionato» gli rispose fredda Touko
«Questa è la tua vita, non
dovrei farmi gli affari tuoi»
Red rimase spiazzato da quella risposta. Nessuno gli
aveva mai risposto così, di solito la gente faceva carte
false anche solo per
vederlo e questa proprio non se la sarebbe mai aspettata.
Soprattutto la ragazza aveva sputato quelle parole
come se fossero veleno.
Dal canto suo Touko si accorse di essere stata un po’ troppo
scortese, ma d’altronde ciò che aveva detto era la
pura verità: ognuno ha la
propria vita.
E lei non era certo il tipo che andava a spiare quella
altrui gelosa com’era della sua.
«Perdona il mio tono, solo che detesto le persone che
si impicciano degli affari altrui» provò a
scusarsi la ragazza pensando
inconsciamente a ciò che Belle le aveva fatto la sera prima,
ma stavolta fu lei
a essere spiazzata dalla reazione dell’Allenatore
«Parole saggie, soprattutto se pronunciate da una come
te» rise il ragazzo e Touko pensò che forse
alludeva alla solitudine in cui
spesso lei si rinchiudeva.
«Immagino che se ora ti chiedessi di te tu non mi
risponderesti» disse la brunetta disinteressata.
«Charizard usa Lanciafiamme» fu la più
che esauriente risposta
di Red alla sua affermazione.
Touko non fece in tempo ad accorgersene e sfortunatamente
il suo Sigilyph non riuscì a schivare in tempo
l’attacco e venne colpito di
striscio, perdendo così quota.
Il Pokémon fiamma non si fece scappare
l’occasione e sfruttando l’esitazione
dell’avversario si avvicinò maggiormente
e attaccò con il Rogodenti impartitogli dal suo allenatore.
La ragazza rimase immobile.
Era successo tutto troppo
in fretta e lei non aveva avuto nemmeno il tempo per ragionare o per
difendersi.
Red l’aveva distratta e lei c’era cascata come una
novellina.
Il Sigilyph perse ulteriormente quota e la ragazza
capì che non poteva andare avanti così, doveva
giocarsi il tutto e per tutto
«Sigilyph forza, usa Sincrumore» ordinò
sperando che
l’attacco funzionasse.
Una forte onda psichica investì in pieno il Charizard
che sbandò, ma senza perdere quota e anzi
contrattaccò con un altro
Lanciafiamme. La sua potenza era inarrestabile e il Pokémon
pseuduccello venne
colpito nuovamente.
Niente da fare, se prima la lotta era difficile di
suo, ora era praticamente impossibile dal momento che Charizard poteva
contare
su due possenti ali che lo tenevano in aria, mentre Sigilyph ne aveva
una
ferita.
Touko doveva assolutamente trovare il
modo per far scendere l’avversario, per
intrattenere una lotta a terra.
«Psichico» sussurrò al suo compagno
mentre questi
indirizzava contro l’avversario una potente forza
telecinetica, riuscendo a
controllare il gigantesco corpo del Pokémon fiamma.
«Bene» si permise di sorridere la brunetta
«E ora
trascinalo verso il basso»
Seppur con fatica l’attacco riuscì e
l’immensa mole di
Charizard venne scaraventata al suolo provocando in esso un grosso
cratere.
Red non si fece prendere dallo spavento e
contrattaccò con l’ennesimo Lanciafiamme, mancato
per un soffio dal Sigilyph.
La sua ala però, precedentemente ferita dal Rogodenti, stava
diventando sempre
più un peso per la lotta, perciò Touko
capì che doveva far finire lo scontro il
prima possibile.
«Usa ancora Psichico» disse, ma il
Pokémon non fece
nemmeno in tempo ad attaccare che si ritrovò avvolto in un
turbine di fiamme.
«Non penso il tuo Sigilyph riuscirà a liberarsi
facilmente da Turbofuoco» disse Red con tono disinteressato.
Sembrava quasi che l’esito della lotta non gli
importasse più e questo Touko non lo poteva sopportare.
«Non mi dare già per spacciata» sorrise
quindi e
indicò al ragazzo il Charizard che si stava avvicinando al
vortice di fuoco.
«Che cosa sta succedendo?» chiese stupito Red
«Sigilyph sta usando Psichico…»
«Nonostante sia intrappolato in Turbofuoco?»
domandò
nuovamente il ragazzo vedendo che il suo Pokémon si stava
avvicinando
pericolosamente alle fiamme.
«Sì, il duro lavoro paga» sorrise la
brunetta.
Ciò che aveva detto era vero. Si erano allenati molto
duramente anche per poter compensare alla debolezza in difesa di
Sigilyph, e
dopo molti faticosi allenamenti erano riusciti a far si che potesse
attaccare
anche nelle situazioni più disperate.
«Sono colpito…» sussurrò Red
«Ma non perderò!»
Il pub di Guna
Aspettando l’illuminazione per un
nome migliore, tengo
questo e poi si vedrà…
Allora quinto capitolo andato e avanti un altro!
Questa è la prima vera lotta che descrivo e spero
vivamente sia venuta bene, inizialmente avrei
voluto farla
finire in questo capitolo, ma poi è venuto un papiro
chilometrico e così…
questa è la vita.
Adelaide è un personaggio che ho inventato io (ma no?)
e spero col tempo possa piacervi.
Ringrazio molto SM99 (una scheggia nel recensire),
Levyan, che ha aggiunto la storia (con mia grande gioia) tra le
preferite e
Andy Black che nonostante gli impegni è sempre presente.
Ringrazio molto anche
chi legge questa storia e… niente, oggi ero in vena di
ringraziamenti.
Spero il capitolo vi abbia soddisfatto e un saluto a
tutti!
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Capitolo 6 *** Amarezza ***
Amarezza
Una
vampata di aria calda investì in pieno Touko, ma
lei non ci fece caso.
Charizard aveva appena annullato il Turbofuoco su
Sigilyph, per non danneggiare se stesso e ora stava lanciando
Lanciafiamme
ovunque.
Sembrava come impazzito.
La mole del Pokémon Fiamma era grande e ciò
veniva
sfruttato da Touko a suo vantaggio.
Usando lo Psichico del suo Pokémon Pseuduccello poteva
mettere in seria difficoltà il nemico, che inizialmente le
era sembrato un
ostacolo insormontabile.
La situazione in poco tempo era migliorata per la
Campionessa, ma nonostante l’andamento della lotta Red non
sembrava affatto
turbato e anzi guardava placido la follia del suo compagno senza
muovere
nemmeno un dito.
Sembrava quasi compiaciuto dalla piega che stava
prendendo il combattimento.
Touko non lo conosceva bene, anzi affatto, però sapeva
sicuramente cosa comportava quello sguardo.
L’Allenatore aveva un piano, un asso nella manica e
questo non era un bene, dal momento che le condizioni
dell’ala di Sigilyph
peggioravano di minuto in minuto. Eppure il Pokémon
coraggiosamente continuava
a combattere.
«Usa ancora Psichico» ordinò Touko per
la terza volta.
«Non ti sembra di essere un po’
ripetitiva?» le chiese
svogliatamente Red.
«Finché la tattica funziona…»
mormorò la brunetta
mentre Charizard veniva nuovamente sbattuto a terra dalla potente forza
telecinetica.
«Spero tu ti sia divertita, perché
adesso…» Red si
alzò il frontino dagli occhi «Posso anche
smetterla di giocare»
Detto questo schioccò le dita e a
quel suono il
Pokémon Fiamma smise di muoversi alla cieca e si
assestò vicino al suo
allenatore.
«Charizard, finiamola con Ondacalda»
sussurrò
freddamente.
Ecco il momento che Touko temeva. Sigilyph non aveva
di certo le forze per contrattaccare o per tentare di schivare
l’attacco.
Venne infatti colpito in pieno e si posò al suolo.
La situazione si era nuovamente ribaltata.
«Ancora» ordinò perentorio Red.
Quest’ultimo attacco fu fatale per Sigilyph che,
già
provato in precedenza, si accasciò a terra esausto.
Touko fissò con gli occhi sbarrati la sconfitta del
suo compagno, frustrata per non essere riuscita a organizzare una
quanto meno
dignitosa difesa.
Certamente sapeva che contro Charizard avrebbe avuto
non poche difficoltà e si era già preparata
mentalmente a quel momento, ma
nonostante ciò non poté evitare di andare per
qualche secondo nel panico, visto
che ora le rimaneva un solo Pokémon.
L’ultimo.
Poi sarebbe finita.
Si riscosse subito da quei pensieri controproducenti.
La lucidità non poteva mancarle in quel momento, era
la sua arma principale.
«Allora chi sceglierai ora?» le chiese Red
falsamente
disinteressato.
Già chi poteva scegliere?
Quella lotta era tutta di un
altro livello, il suo avversario era l’immortale
campione… chi sarebbe potuto
andare bene?
Per un momento fu quasi tentata di lottare con Zekrom,
ma sarebbe stato oltremodo scorretto da parte sua utilizzare un
leggendario.
E
vincere in quel modo era l’ultima cosa che avrebbe voluto.
Almeno in quello aveva conservato i suoi sani principi.
Sfogliò mentalmente le Pokéball dei suoi fedeli
alleati, senza però molti risultati. Non che loro fossero
deboli, era Red
troppo forte.
A pensarci meglio però
c’era un Pokémon che andava
bene, uno nel quale Touko aveva completa fiducia.
L’unico che vedeva adatto per
quella speciale occasione.
Il solo che aveva sempre portato con sé.
«Mi affido a te. Sei la mia ultima speranza»
biascicò
impercettibilmente sfilando dalla borsa la sua ultima Ball.
La Ball di Samurott.
Belle
fissava il Pokégear che teneva saldamente in
mano. Aveva chiamato cinque volte di fila Komor
e lui non le aveva mai risposto. Dove si poteva essere
cacciato?
La bionda non riusciva a nascondere la preoccupazione
che provava per il ragazzo, che ultimamente era più strano
del solito e non
poteva far a meno di chiedersi cosa stesse tramando.
Appoggiò sconfitta il Gear sopra il tavolinetto nel
bar di Levantopoli, posto dove si era recata quella mattina.
Subito si perse nei suoi pensieri vagando con lo
sguardo da tavolo a tavolo. C’erano coppiette che
chiacchieravano amabilmente,
mentre nel bancone si trovavano per lo più affaristi con
tanto di giacca e
cravatta che leggevano attentatemene i
loro giornali.
Poi con la mente tornò al suo tavolo. Il caffe ormai si era
raffreddato.
E in più N se ne era andato.
N l’aveva ingannata.
N era andato a cercare Touko.
I suoi pensieri erano sconnessi, ma vertevano tutti
intorno ad un unico fulcro: cosa le avrebbe fatto l’amica non
appena fosse
venuta a conoscenza del suo incontro con N?
Da una parte Belle avrebbe voluto avvisarla, ma
dall’altra pensava a cosa le avrebbe potuto dire?
“Ehi ciao, sono così stupida
che ho svelato alla persona che odi dove ti trovi e ora quella persona
sta
venendo da te”.
No pessima idea.
Touko avrebbe potuto barricare la Lega per sempre
quella volta.
Però c’era una
remota possibilità che l’amica, una volta parlato
con N, potesse cambiare e
ritornare quell’allegra ragazza di un tempo. Magari tutto si
sarebbe sistemato
e sarebbe tornato come prima.
E Touko l’avrebbe perdonata e sarebbe venuta a
lavorare con lei dalla professoressa Aralia… no aveva
decisamente bisogno di un
altro caffè.
Ne chiese un altro ad un cameriere che passava di lì e
poi si mise a far girare il cucchiaino tra le dita con aria stralunata.
La stanchezza le stava giocando brutti scherzi.
Un
maestoso Samurott entrò teatralmente nel campo
lotta e si preparò subito in posizione di attacco.
«Forza Samurott» disse Touko per non perdere
ulteriore
tempo «Usa…»
Il suo ordine fu bruscamente interrotto dal Campione
di Kanto che alzò la mano e fece segno di aspettare.
Il ragazzo estrasse la Pokéball di Charizard dallo
zaino e richiamò il suo compagno.
«Perché lo hai fatto?» chiese la
brunetta incuriosita
dall’azione dell’avversario.
«Finalmente hai deciso di fare sul serio» le
sorrise
Red.
«Cosa pensi stessi facendo prima?» si
indispettì
Touko.
Poteva dirle di tutto, ma non che non si fosse
impegnata. Quello non poteva sopportarlo.
«Tu hai deciso di usare uno dei tuoi Pokémon
più
potenti e ora...» prese una Pokéball dallo zaino
«Io farò lo stesso»
Dalla Ball uscì un imponente Gyarados che si
assestò
vicino al suo allenatore.
Touko rimase senza parole di fronte a quella specie di
mostro.
Charizard in confronto era acqua di rose.
E per di più pure Gyarardos era
un tipo acqua quindi tra gli sfidanti c’era
di nuovo un’apparente parità.
“Fantastico” pensò la ragazza
sarcasticamente “E ora
cosa diamine faccio?”
Era stanca e spossata dalle due lotte in precedenza e
doveva ammetterlo: non era più in forma come una volta.
Difatti non reggeva
bene i ritmi di una sfida abituata com’era a trovarsi a farne
una sola alla
settimana.
Se le andava bene.
Tuttavia quella era forse l’incontro più
importante al
quale avesse mai partecipato, sapeva che si contavano su una mano le
persone
che avevano potuto conoscere il leggendario Red di Biancavilla e lei
non poteva
di certo lasciarsi perdere una simile opportunità.
Alzò gli occhi al cielo.
Il sole si era alzato e Touko azzardò fosse ormai
quasi mezzogiorno. Quella lotta era durata più del previsto.
“E non è finita” pensò
più agguerrita che mai.
«Allora ti decidi ad attaccare o si fa notte?»
chiese
il ragazzo visibilmente annoiato.
«Samurott, partiamo subito con Conchilama»
esclamò la
ragazza con fermezza.
Incredibilmente il primo colpo andò a segno lasciando
Touko sbalordita. Infatti il Gyardados
non aveva nemmeno provato a schivare l’attacco.
«Se credi di avere qualche probabilità di
riuscita,
avanti colpisci con tutti i Conchilama che vuoi» disse il
Campione atono.
Cosa voleva insinuare Red con quella frase?
Intendeva forse dire che Samurott non era all’altezza?
Tutto quello stress accumulato durante la lotta unito
all’indisponenza del carattere del ragazzo fecero collassare
i nervi di Touko.
Non ce la faceva davvero più a continuare.
Ora come ora avrebbe voluto volarsene con Unfezant
alla Lega e rintanarsi in camera.
Voleva abbandonare.
Impallidì a quel pensiero. Lei non aveva mai
abbandonato, era andata avanti sempre e comunque ergo ora non poteva
arrendersi.
La brezza che quella mattina l’aveva accolta
placidamente era aumentata e le spostava davanti agli occhi qualche
ciuffo di
capelli ribelle che non era legato dal fermaglio. Il vento le
solleticava il
viso e Touko volle abbandonarsi a quella sensazione di
libertà che provava in
quel momento.
Stava quasi per dimenticarsi del mondo che la
circondava quando sentì un violento sbattere dietro di lei.
Si voltò di scatto e vide che Samurott era stato
sbattuto contro un albero al limitare della radura. Si girò
allora verso
l’avversario e notò che era in posizione di
attacco.
«Non puoi distrarti in questo modo Campionessa» la
rimproverò Red.
Ancora, si era lasciata distrarre ancora.
Dall’altra parte il Pokémon Dignità si
rialzò e Touko
si decise di svegliarsi completamente dalla trance in cui era caduta.
«Avanti Samurott, Vendetta» esclamò
decisa.
«Schiva» si limitò a rispondere Red, ma
sorprendentemente Gyarados non fu abbastanza svelto e venne colpito,
anche se
di striscio.
«Ira di Drago» ordinò allora il ragazzo.
«Intercettalo con Idrondata» sussurrò la
brunetta, chera
di nuovo presente a sé stessa.
Nello scontro l’attacco del Gyarados risultò
più
efficace e colpì di striscio il Pokémon
Dingnità, ma Touko non demorse, ma anzi
ordinò «Usa ancora Vendetta»
Samurott partì all’attacco, ma stavolta
l’avversario
fu più veloce e dopo aver schivato l’attacco
contrattaccò con Gelodenti.
Il Pokémon Dignità indietreggiò
ferito, mentre
l’avversario prendeva momentaneamente respiro.
Ormai la lotta era agli sgoccioli, entrambi i Pokémon
erano provati. L’esito quindi si ridusse ad un ultimo attacco.
«Gyarados, Iperaggio» ordinò Red
fermamente.
«Rispondi con Idropompa»
A Touko ora non rimaneva che sperare nell’efficacia
del suo ultimo attacco.
Lo scontro generò un rumore assordante cosicché
entrambi gli allenatori si dovettero tappare le orecchie per non
rimanere
storditi.
L’impatto tra i due attacchi fu così violento da
far
alzare una grande quantità di pulviscolo, annebbiando
così la vista del campo
lotta.
Quando la brunetta riaprì gli occhi cercò
disperatamente la figura del suo compagno in mezzo a quella polvere.
Una volta che il campo tornò visibile la ragazza
scorse a qualche metro da lei la figura del suo Samurott.
Era immobile.
Era esausto.
Touko ebbe un mancamento e si inginocchiò vicino al
Pokémon, appoggiando la testa sul suo dorso.
Aveva perso.
Quel pensiero le sembrava lontano anni luce eppure era
la realtà. Le sembrava quasi di essere in un sogno eppure
Red era dall’altra
parte del campo che la guardava con espressione indecifrabile.
Era stata sconfitta.
Aveva dato il massimo ma non erano valsi a nulla i
suoi sforzi. Cercò mentalmente di capire cosa non avesse
funzionato nella sua
strategia, ma invano.
La sua mente formulava continuamente lo stesso
pensiero.
Richiamò Samurott nella Ball, ma non ebbe nemmeno la
forza di alzarsi.
Sentì i passi di Red che la raggiungevano e si
preparò
al peggio, ma il ragazzo la sorprese.
«Hai un’ottima tecnica, ti faccio i miei
complimenti»
le disse e il tono sembrava anche sincero, ma Touko non
riuscì a credergli,
così si limitò a scuotere la testa.
«Nardo mi aveva detto che eri brava»
continuò
tranquillo il ragazzo.
Nardo.
Perché doveva sempre esserci in mezzo lui?
Touko ormai lo detestava e in quel momento il solo
sentir nominare il suo nome le fece ribollire il sangue nelle vene.
«Nardo non sa nulla» rispose fredda.
«Sai devo farti presente un’unica
pecca…»
«No, grazie» lo interruppe la brunetta di
scattò
alzandosi «Non ho bisogno di consigli»
Detto questo fece uscire Unfezant dalla Ball e si
preparò ad andarsene.
Sentiva dentro un'amarezza senza limite e non
voleva fare la figura della debole bisognosa d’aiuto.
«Sicura?» le chiese con una punta di sarcasmo Red.
«Ho fatto a meno dei tuoi consigli
fino a oggi, penso
di poter sopravvivere senza» gli rispose lei spazientita.
Il ragazzo stava per ribattere quando il Gear di Touko
squillò.
La ragazza guardò il display.
Era Belle.
Komor correva a perdifiato verso il luogo da
dove
aveva sentito l’esplosione qualche secondo prima. Il
paesaggio monotono del
Bosco Smarrimento non gli aiutava certo l’orientamento, ma
ormai il ragazzo era
abituato.
Il suo primo pensiero, udita l’esplosione, era andato
al maestro.
E se si fosse cacciato nei guai?
Komor svoltò nuovamente, ma si bloccò di colpo di
fronte alla figura dell’uomo che gli stava venendo in contro.
Di grossa corporatura, teneva i capelli rossicci
legati in una coda disordinata. Indossava la sua solita tunica ocra e
camminava
con aria bonaria.
Era il maestro, Nardo.
«Nardo!» esclamò Komor «Ti ho
cercato ovunque»
«Beh sono qui» rispose l’ex Campione.
«Dove sei stato?» gli chiese il ragazzo ancora con
il
fiatone.
«Ho visto una lotta»
Le risposte per nulla esaurienti di Nardo avevano il
potere di esasperare Komor.
«Posso sapere tra chi?» domandò
nuovamente il ragazzo
cercando di ricavare qualche informazione.
«Touko» sussurrò l’ex Campione
«Non è per nulla
cambiata»
Komor rimase interdetto.
Cosa ci faceva lì Touko?
«Scoppierebbe il finimondo se lei
scoprisse…»
«Che io ti sto allenando per farti diventare il nuovo
Campione» terminò Nardo sorridendo
«Ragazzo qualcuno deve pur farlo»
«Fare cosa?» insistette Komor.
«Portarle via il titolo alla Lega» rispose lui
freddamente.
Il Pub di
Guna
Cavoli sono in ritardo di un giorno sulla tabella di
marcia! Perdonatemi, ma questo capitolo è stato
più difficile del previsto e
spero almeno sia venuto bene *sorride autoconvincendosi*
Tra l’altro descrivendo brevemente Nardo ho notato che
siamo già a due personaggi che portano quella antiestetica
acconciatura… andrà
di moda…
Ok lasciate perdere le mie profonde riflessioni
e niente spero che la storia continui a piacervi!
Ringrazio gli onnipresenti SM99 e Andy Black e in più
la nuova lettrice Zoichi Kuronin per le recensioni, ricevere i vostri
pareri mi
scalda il cuore.
Bien, al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 7 *** Storie e leggende ***
Storie e Leggende
Touko
fissò il display del Pokégear per qualche
secondo.
Perché mai Belle avrebbe dovuto chiamarla?
In tutta franchezza quello non era il momento giusto
per intrattenere una qualsiasi conversazione civile, quindi la ragazza
rifiutò
la chiamata.
«Non rispondi?» le chiese curioso Red.
«Capitan Ovvio all’attacco…»
rispose lei sarcastica.
Ora come ora aveva solo voglia di allontanarsi da
tutto.
«Presumo non ti interessi sapere cosa volevo dirti
ieri sera a Sciroccopoli…» disse disinteressato il
ragazzo.
I ricordi di Touko riaffiorarono subito alla luce. La
sera prima Red aveva detto che doveva comunicare delle cose urgenti al
Campione
e la ragazza, per dimostrargli che fosse lei la Campionessa, era stata
costretta ad accettare la sfida.
Moriva dalla voglia di sapere cosa fossero quelle
informazioni così importanti da aver scomodato
l’allenatore eremita, facendolo
scendere dal Monte Argento, ma sapeva che se avesse dimostrato la sua
curiosità
Red non glielo avrebbe mai detto, perciò si
limitò ad alzare le spalle e disse
«Se proprio devi dirmelo…»
«Non ci casco Campionessa» sorrise divertito il
ragazzo.
La brunetta era una tipa così prevedibile a parere
suo…
«Bene, allora cosa volevi dirmi?» gli
domandò lei
seccata.
«Si tratta di un problema che sta minacciando Unima,
Nardo mi aveva chiesto di svolgere qualche indagine, per capire la
situazione»
Red si bloccò vedendo la faccia di Touko deformata da una
smorfia al solo udire
il nome “Nardo”.
Evidentemente tra i due non correva buon sangue.
La ragazza fece cenno di fermarsi e si sedette ai
piedi della quercia, al margine della radura.
«Se la storia deve andare per le lunghe, lascia almeno
che mi sieda» disse lei una volta seduta.
Era stanca e al contatto con l’erba soffice capì
che
avrebbe potuto addormentarsi facilmente. Tirò un lungo
sospiro e lottò con
tutta se stessa per seguire il discorso di Red, che era ricominciato.
«Stavo dicendo che svolgendo queste indagini ho
scoperto che alla base di tutto c’è un solo
colpevole: il Team Plasma»
«Frena, frena, frena. Di che stai parlando e cosa
centra il Team Plasma?» chiese Touko visibilmente stupita.
«Rapimenti di Pokémon,
incursioni nei musei
alla ricerca di qualche antefatto
appartenente ai Leggiendari… sono piccole somiglianze che ho
notato tra il
vecchio Team e questi nuovi malfattori» spiegò
pazientemente Red.
La sua aria da duro era scomparsa di colpo.
“Rapimenti di Pokémon, incursioni?” la
mente di Touko
era ancora ferma su quei pensieri.
Perché lei non ne sapeva niente?
La sua regione era in pericolo e lei ne veniva a
conoscenza solo ora?
La piega che stava prendendo la conversazione fece
venire fuori il carattere impulsivo della ragazza, che si
alzò e iniziò a
camminare avanti e indietro mentre rifletteva.
Evidentemente alla Lega i Superquattro lo sapevano, e
non le avevano detto nulla… che belle persone leali e
sincere che aveva intorno
a sé!
Batté forte il piede a terra fino a farsi male alla
caviglia e calciò un malcapitato sassolino a parecchi metri
di distanza.
«Calmati Touko» le ordinò Red
fermamente.
Era forse la prima volta che pronunciava il nome della
ragazza «Ora ci serve, anzi a Unima serve, il tuo aiuto. Non
sappiamo cosa
abbia in mente il Team…»
«Fermati Red!» esclamò la brunetta
confusa «Il Team
Plasma è stato sconfitto da me! Io non credo ci sia nulla
che non va, chi mi
dice che tutto questo non sia un invenzione?»
Una altra folata di ventò sferzò l’aria
mentre la
brunetta fissava Red di fronte a sé. Entrambi avevano
un’aria impassibile e
orgogliosa, anche se Touko era sicura che da lì a poco
sarebbe ceduta.
«Non ti fidi di me o non ti fidi di te?» le chiese
ambiguamente il ragazzo.
«Cosa intendi dire?»
«Svegliati campionessa, qui sta succedendo qualcosa di
grosso, peggiore di ciò che è accaduto
l’ultima volta e tu ora vorresti dirmi
che non credi a
ciò che ti dico?» anche
Red si stava spazientendo.
Dopo tutte le ricerche che aveva fatto quella ragazza
non voleva nemmeno credergli.
«Non vedo cosa ci sia di grosso in delle semplici
incursioni ai musei…» provò a
difendersi lei.
«Sono stati rubati dei manufatti, Gechis o chi per lui
ha un piano, ma tu sei troppo orgogliosa per ammetterlo. Togliti i
paraocchi
Touko!» non era da Red arrabbiarsi fino a quel punto, ma gli
sembrava di
parlare con una bambina di cinque anni che non ammette i suoi errori.
Dal canto suo Touko sapeva che Red aveva ragione, ma
il suo orgoglio, il suo dannatissimo orgoglio, non le permetteva di
fare un
passo indietro.
«Ghecis l’ho sconfitto io e credo tu stia
esageratamente gonfiando la situazione. Appena vedrò dei
problemi degni di nota
ti informerò, ma per ora…» si
avvicinò ad Unfezant che la stava aspettando «Non
ho intenzione di crederti» terminò alzando
teatralmente il naso all’insù.
«Te lo domando ancora: non credi a me o non credi in
te?»
«Smettila di fare domande così stupide»
disse lei
irritata salendo sul Pokémon.
Dopodiché quest’ultimo spiegò le ali e
prendendo una
breve rincorsa decollò alla volta del cielo.
La ragazza non si guardò indietro nemmeno per appurare
se Red la stesse seguendo o meno e assieme al suo Pokémon si
innalzò tra le
candide nubi cercando di celare i timori che le si erano annidati nel
cuore
dopo quella sgradevole conversazione, ma nemmeno l’ebrezza di
volare riuscì a
cancellare il pessimo presentimento che sentiva.
«Sì, Touko. Tu hai solo paura di non essere
all’altezza della situazione» sussurrò
Red, rimasto a terra.
Poi con nonchalance prese lo zaino in spalla e si
incamminò verso il fitto della boscaglia.
Cosa lo tratteneva ormai a Unima?
Una
figura in impermeabile nero si muoveva tra la
folla con movimenti fluidi, ma decisi, passando inosservata. Un
cappuccio, nero
anch’esso, le copriva la testa, nascondendole la faccia.
Schivava le persone sgusciando tra loro con piccoli
scatti e teneva saldamente in mano una valigetta di alluminio.
In pochi si accorgevano di quel nuovo ospite che
camminava velocemente tra la ressa di Roteolia.
Il crocevia era spesso frequentato dai soliti fanatici
di oggetti che venivano fin lì solo per accaparrarsi le
migliori rarità
scambiando qualche oggetto in proprio possesso.
La cittadina era come una specie di mercato.
Spilungoni con sorrisi a trentasei denti, felici per
l’affare portato a termine, robivecchi che furbescamente
piazzavano merce
scadente tra i barattatori
e ragazzini
alla ricerca di qualche oggetto speciale.
Quello era il tipo di gente che trovavi a Roteolia.
Quindi la maggior parte degli acquirenti erano persone
ingenue e credulone.
Un posto perfetto se si era abili manipolatori o
venditori senza scrupoli.
Quel giorno era speciale perché come ogni fine
settimana nella piazza si accalcavano i venditori più
“celebri” con nuovi
oggetti rari che a fine serata solitamente erano finiti.
Perciò la calca e tutto quel vociare concitato per
molti era motivo di allegria, mentre per altri significava solamente
lucrosi
affari.
Per quel nuovo ospite però tutto ciò non era
altro che
una banale futilità, altri piani e altri pensieri occupavano
la sua mente.
Così la figura nera continuò a camminare fino a
quando
non raggiunse la casa dove aveva appuntamento.
Senza troppi preamboli spalancò la porta ed entro in
tutta tranquillità.
Ad aspettarla c’era un ragazzo, circa sui
vent’anni,
il tipico “tanto fumo e niente arrosto”.
Si atteggiava come uno che la sapeva lunga quando si
vedeva chiaramente che andava catalogato nella categoria
“facili da fregare”.
«Ehi!» esordì il tipo, che dalle
informazioni ricavate
doveva chiamarsi Felipe.
Per tutta risposta l’ospite chiese rudemente
«Allora
hai quello che ti avevo chiesto?»
Felipe annuì tirando fuori dalla tasca un foglio
sgualcito, mentre l’acquirente lo esaminava con estremo
interesse.
«Sono le leggende più antiche rinvenute ad Unima,
parlano di Pokémon inimmaginabili»
spiegò il ragazzo «Ma tu hai la Statuantica
che ti avevo chiesto in cambio?»
A quella domanda l’ospite si tolse il cappuccio
rivelando il volto di una diciottenne dai capelli biondo grano. Felipe
deglutì
per lo spavento vedendo il viso della giovane sfigurato da parte a
parte,
evidente effetto di una terribile ustione.
Gli occhi blu della ragazza riflettevano un odio
immenso nei confronti del mondo e fissavano quelli castani del ragazzo
con
disprezzo.
La bionda gli si avvicinò con fare minaccioso tanto
che il ragazzo indietreggiò
verso il muro, sempre più spaventato.
«Credi davvero ti avrei portato la
Statuantica?»
domandò retoricamente
lei con voce roca, ma ormai a Felipe era chiara la
situazione.
«Ascolta non voglio aver…» le parole gli
morirono in
gola quando la ragazza lo afferrò per il collo sbattendolo
con forza contro la
parete.
La presa della giovane era di ferro e per quanto il
ragazzo provò a liberarsi ogni suo tentativo fu vano.
Iniziò a vedere tutto intorno sempre più sfocato
e più
provava a prendere aria più si sentiva annaspare.
Stava soffocando.
Ritentò ancora una volta di sfuggire a quella presa
mortale, ma la debolezza iniziava a farsi strada mentre sentiva le
unghie della
sua aguzzina segnargli il collo.
«Troppo tardi» la bionda gli sputò in
volto fissandolo
malevola.
L’ultimo pensiero del ragazzo fu chiedersi quale fatto
atroce avesse spinto quella ragazza ad agire in quel modo, a emanare
così tanto
odio e fece quasi per chiederglielo, ma la domanda gli morì
in gola come anche
il suo ultimo respiro.
«Grazie, sei stato molto utile al Team Plasma»
sorrise
nuovamente la bionda, per poi mollare la presa sull’ormai
inerme ragazzo.
Gli controllò il battito e vide che era assente.
Morto.
Non c’era molto altro da dire.
Guardò distrattamente i segni sul collo del cadavere,
segni che aveva lasciato con le sue mani e non si dispiacque
minimamente.
La vita andava così in quel mondo.
Prese il foglio che era rimasto nella mano del ragazzo
e lo mise all’interno della valigetta come se fosse
l’oggetto più prezioso al
mondo. Poi uscì in tutta tranquillità
socchiudendo la porta.
Sgusciò nuovamente in mezzo a quella gente,
inconsapevole del delitto che era appena stato compiuto, e prese il
primo treno
per abbandonare Roteolia.
Il cadavere sarebbe stato scoperto a ore.
Ma in fondo lei era Adelaide e nessuno poteva
fermarla.
La calma e la tranquillità che si
potevano respirare a
Fortebrezza erano uniche in tutta la regione di Unima.
La gente lì viveva rinchiusa nel passato, tra antiche
leggende e falsi miti.
La struttura della città, ideata come l’interno di
un
castello, era interamente costruita con mattoni color panna dove
camminavano
ogni giorno sempre le stesse identiche persone.
A Fortebrezza nascevi e morivi.
In pochi avevano avuto la fortuna di andarsene da
quella apparente oasi.
Le case, provviste di attico e piscine, erano
sicuramente piene di qualsiasi confort, ma quel posto era falso, solo
apparenza.
Gli abitanti di lì non conoscevano praticamente nulla
del mondo fuori, coccolati da tutti gli agi possibili e imprigionati in
storie sconclusionate
e fantasie irreali.
L’ingenuità e la leziosità erano
sovrane a
Fortebrezza.
Touko, uscita dal centro Pokémon, camminò per
l’intricato
labirinto di strade che caratterizzava la cittadina fino a giungere
nella sua
parte più alta e si appoggiò alla ringhiera del
muretto.
Da lì poteva scorgere tutto il bosco che circondava la
città.
Aveva scelto apposta quella cittadina come meta dopo la
sua bruciante sconfitta. Anche la ragazza era apparenza, proprio come
Fortebrezza,
perciò lì si sentiva in qualche modo compresa.
Buttò l’occhio oltre tutta quella miriade di
alberi e
scorse in lontananza la Fossa Gigante.
Al solo pensiero un sorriso divertito le increspo le
labbra.
C’era una famosa storia raccontata dagli abitanti
della cittadina che ruotava attorno a quella misteriosa fossa.
Molta gente che diceva fosse solo il cratere d’impatto
di un meteorite, ma la vera leggenda tradizionale era
un’altra.
Gliela aveva raccontata una signora del posto tempo
prima, durante il suo primo viaggio per la regione.
La leggenda diceva che in quella fossa ci fosse rinchiuso
un terribile mostro, giunto da
un altro
pianeta, e che questa creatura di notte facesse scendere a Fortebrezza
un
freddo pungente, rapendo la gente che si trovava fuori casa.
Così gli abitanti durante le ore notturne rientravano
spaventati nelle loro abitazioni e dal tramonto all’alba le
strade erano
deserte.
La prima volta che Touko aveva sentito questa
storiella aveva pensato immediatamente ad una stupidaggine del posto e
aveva
aspettato la notte per accertarsi della veridicità delle
parole della signora.
Inutile dire che arrivato il buio nessun terribile
mostro aveva fatto la sua comparsa, anche se una brezza fredda era
scesa col
calar del sole…
A Touko erano sempre piaciute le leggende, la
distraevano e le strappavano spesso un sorriso.
Però quel giorno la brunetta non riusciva a calmarsi
in nessun modo.
Le parole di Red l’avevano scossa nel profondo. Non
tanto per la storia di una eventuale ricomparsa del Team Plasma, ma
più che
altro per la frase “non credi a me o non credi in
te”.
In fondo lei era Touko, eroe di Unima, Campionessa
indiscussa, grande allenatrice eppure… e se ci fosse stato
un fondo di verità
in quelle parole?
La ragazza scosse la testa persa nei suoi pensieri e
tornò a volgere lo sguardo al cielo in direzione della sua
“casa”, la Lega.
Ciò che vide, però, la lasciò
impietrita e per poco
non temette di avere le allucinazioni. Strizzò maggiormente
gli occhi per
mettere meglio a fuoco l’immagine che le si presentava di
fronte agli occhi.
Non poteva crederci.
Era assolutamente impossibile.
Doveva essere impazzita.
Ma no, lo vedeva.
Un enorme drago bianco si stava avvicinando
tranquillamente alla Lega.
Touko montò immediatamente in sella ad Unfezant e lo
spronò a volare il più velocemente possibile.
Il Pub di
Guna
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. Il mio
ritardo
è terribile, ma impegni sportivi mi hanno tenuta lontana dal
computer per
parecchi giorni. Perciò scusate ancora per il ritardo.
Questo capitolo, lo ammetto, mi sono divertita molto a
scriverlo e spero sia venuto bene. So che non succede niente di che
ma… insomma
Felipe viene ucciso!
Chi è Felipe? Bella domanda, ho preso un nome a caso e
BAM l’ho fatto morire.
Divertente no? No, lasciamo perdere.
Beh spero il capitolo vi sia piaciuto e il prossimo
prego di riuscire a pubblicarlo entro settimana prossima.
Passo ai ringraziamenti. Un grazie immenso a SM99,
Andy Black e Barks per aver recensito la storia, le vostre opinioni
sono molto
importanti per me anche per potermi migliorare.
Bien un saluto e al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 8 *** Legami ***
Legami
Unfezant
atterrò all’entrata della Lega mentre Touko
smontò dal dorso agilmente, non lasciando nemmeno il tempo
al Pokémon di
posarsi a terra.
Si avvicinò a grandi falcate al portone principale ed
entrò spingendo con forza la porta.
Il corridoio di fronte a lei era ampio ed
ogni minimo rumore si propagava con un fastidioso rimbombo, mentre la
volta era
talmente alta che risultava faticoso riuscire a vederne il soffitto e
dava un
senso timore a chiunque vi entrasse.
Il marmo del pavimento era rigorosamente
nero con qualche venatura bianca che cercava timida di farsi strada in
quell’oblio di oscurità.
I candelabri appesi alle pareti emanavano una luce
fioca, insufficiente per illuminare adeguatamente tutto il corridoio e
creavano
talvolta sinistri giochi di luci e ombre.
La ragazza attraversò l’androne fino ad arrivare
ad
una porticina d’ebano.
Passata anche quella la brunetta entrò nella sala
centrale, ovvero quella stanza circolare dove si poteva accedere ai
locali dove
alloggiavano i Superquattro. La Campionessa aveva tenuto quella
struttura orbicolare
appartenuta alla vecchia Lega, giudicandola un’idea
intelligente, ma
naturalmente aveva cambiato il colore alle pareti in nero e aveva
coperto con
vetrate scure le finestre, un
tempo
luminose.
E poi il cambiamento maggiore: la stanza della
Campionessa.
La statua al centro della sala, che un tempo si
sarebbe trasformata in ascensore e avrebbe portato lo sfidante in nei
piani
inferiori fino a raggiungere le stanze di Nardo, era stata
distrutta.
Al suo
posto Touko aveva fatto costruire all’apparenza una semplice
colonna marmorea
che però al suo interno rivelava una cavità ed
era provvista di una piattaforma
in cui pochi avevano avuto il privilegio di viaggiare.
Essa infatti portava
definitivamente al locale dove la Campionessa svolgeva le rare lotte a
cui
veniva sottoposta e ancora più in alto si trovavano le
stanze appartenenti a
Touko.
Tutto era sopraelevato cosicché la ragazza, se voleva,
poteva dall’alto dei suoi appartamenti ammirare il fantastico
panorama
sottostante di Unima e in qualche modo vegliare su di essa.
Bugie.
La brunetta non si era mai affacciata alla finestra
tranne che per una volta, molto tempo prima, quando alla sola vista di
quel
paesaggio aveva avuto un mancamento, non dalle vertigini, ma
bensì dettato
dall’ansia che l’aveva colta vedendo quello che
l’avrebbe aspettata.
La protezione della regione non faceva per lei.
Da quel momento si era ripromessa di non avvicinarsi più
alla finestra, evitando così una possibile vista del
territorio, e così era
stato.
Vegliare su Unima era solo una mera illusione,
qualcosa a cui teneva, ma per cui sapeva di non essere portata.
Era meglio non crearsi troppe aspettative.
Un’altra modifica che aveva apportato era
l’allestimento di una sala monitor dove poteva controllare
qualsiasi cosa
accadesse alla Lega, così da essere informata in anticipo su
eventuali
sfidanti.
Aveva anche montato un sistema di comunicazione per
poter dialogare con i Superquattro e tenersi aggiornata senza essere
costretta
a vederli di persona.
Era un luogo molto utile e fu lì che Touko si
precipitò una volta arrivata al suo piano.
Accese il primo monitor, quello nel locale di Catlina
e vide la ragazza tranquillamente seduta nel letto al centro, intenta a
sfogliare una rivista.
«Catlina, mi senti?» chiese la brunetta con la voce
che le tremava.
La bionda si guardò intorno spaesata per poi
ricordarsi del sistema di comunicazione e ricomporsi immediatamente
nella sua
solita aria di superiorità che adottava sempre in presenza
di gente.
«Si, perché?»
«Hai per caso combattuto contro un allenatore
oggi?»
chiese Touko affannata.
«Ma certo, Touko, come ogni giorno» rispose Catlina
reprimendo una risatina che alle orecchie della brunetta
arrivò oltremodo
fastidiosa.
Si impose di respirare profondamente per non urlarle
contro qualcosa e si limitò a domandare «Mi sto
riferendo ad un allenatore con
i capelli verdi, che possiede un drago bianco…»
«Intendi N?» il tono della Superquattro aveva una
punta di malizia
«Sì, Catlina, proprio lui»
«Touko, non dirmi che credi che lui sia ancora qui ad
Unima?»
La brunetta a volte detestava Catlina e il suo modo di
fare, così superbo e perennemente sicuro di sé.
«Hai ragione evidentemente mi sono sbagliata» la
ragazza chiuse velocemente quella sgradevole conversazione e si immerse
nei
suoi pensieri.
Non poteva averlo immaginato, lei aveva visto un drago
bianco simile a Reshiram volare verso la Lega o… stava
iniziando ad avere le
allucinazioni?
Forse lo stress e la stanchezza la stavano mandando
fuori di testa o forse la lotta contro Red l’aveva esaurita a
tal punto da
farle immaginare qualcosa di inesistente, ma comunque stessero le cose
N non
c’era e non ci sarebbe mai stato, di quello poteva esserne
certa.
Lui non sarebbe mai tornato ad Unima.
La camminata da veloce era diventata praticamente una
corsa.
Una corsa disperata, una corsa contro il tempo.
Sì, perché Belle aveva appena ricevuto una
chiamata
dalla Professoressa Aralia la quale le aveva chiesto aiuto. E dal tono
di voce
che la sua superiore aveva usato non sembrava promettere nulla di buono.
Belle si fermò un secondo, esausta dal tragitto che
aveva intrapreso da Quattroventi e prese fiato. Alzò la
testa e vide non troppo
lontana l’entrata della cittadina di Soffiolieve, la sua
città natale.
La calma piatta di quel paesello era per molti ragazzi
un incentivo ad andarsene, a partire per un viaggio.
Belle si immerse per un momento nei ricordi dell’
infanzia vissuta con i suoi due migliori amici: Komor e Touko.
Anche i tre un tempo avevano deciso di dare un taglio
alla monotonia di quella vita ed erano partiti insieme.
Avevano sfidato le difficoltà più grandi per
loro:
Belle era riuscita a diventare indipendente dal padre, Komor aveva
finalmente
trovato la sua strada e Touko? Beh Touko aveva vinto contro il suo
difetto
maggiore ovvero l’insicurezza che sin da bambina
l’aveva sempre caratterizzata.
Insieme erano cresciuti e maturati ed erano arrivati
persino a sconfiggere il Team Plasma, collaborando con i migliori
allenatori di
Unima.
I tre ragazzini timidi e impacciati di Soffiolieve
erano scomparsi lasciando spazio a tre allenatori degni di tutto
rispetto.
Avevano girato Unima in lungo e in largo e forse, a
ben pensarci, Soffiolieve e la sua monotonia ora erano
un’attrattiva più che
valida per staccare dalla vita frenetica di ogni giorno.
Ironicamente quando avevano deciso di partire lo
avevano fatto per ragioni opposte e non si sarebbero mai aspettati
ciò che la
vita avrebbe dato loro in quei tre anni.
Finalmente Belle arrivò alle porte della cittadina e
si fermò nuovamente. Era molto stanca, ma più che
per la corsa erano ben altri
pensieri a rendere il suo passo incerto.
Alla sola vista del centro del paesello, della casa di
suo padre e della piazzetta dove tempo prima era iniziata la sua
avventura a
Belle si formò un nodo in gola.
Si sentì subito sola e per la prima volta ebbe
malinconia dei tempi andati. Guardò la casa di Komor e
quella della ormai
Campionessa e non poté far a meno di versare una lacrima
mentre degli sporadici
ricordi riaffioravano nella sua mente.
Era sola.
I suoi amici di sempre ormai erano lontani da lei,
indifferenti alla sua vita e il numero di volte di quando i tre si
incontravano
calava drasticamente di mese in mese.
Tutto era cambiato radicalmente e ora Belle si
ritrovava con un vuoto dentro che la divorava di giorno in giorno, come
un
nemico silenzioso. Era come “isolata” dalle persone
a cui voleva più bene.
Anche poco prima aveva cercato di chiamare Touko per
potersi sfogare come un tempo, ma lei non le aveva nemmeno risposto.
Non c’era da stupirsi dato che faceva così con
tutti,
nessuno escluso.
Molte volte sua madre l’aveva cercata e Belle stessa
aveva visto la brunetta rifiutare con tranquillità le
numerose chiamate.
La freddezza di cui Touko si avvaleva era per la
bionda motivo di sofferenza e molte volte aveva cercato di parlarle, di
farle
capire la solitudine che provava, ma mai una volta era riuscita a
formulare un
discorso articolato.
I legami affettivi della Campionessa erano stati tutti
troncati dalla sua indifferenza, persino quelli familiari.
Forse Belle poteva andare a trovare la madre
dell’amica e dare così alla signora uno straccio
di notizie della figlia, ma
poi ci ripensò e tornò mentalmente al motivo per
cui si trovava lì.
Si era fatta distrarre dai ricordi troppo facilmente,
ma ricordava bene la chiamata della sua superiore perciò
riprese in fretta a
camminare.
Svoltò l’angolo ed entrò rapidamente
nel laboratorio
della Professoressa Aralia.
La porta era stranamente socchiusa e presentava dei
segni di scasso vicino alla serratura, cosa che non prometteva nulla di
buono.
Con il cuore in gola la aprì lentamente, misurando
ogni gesto e cercando di captare un qualsiasi rumore, ma ciò
che vide la lasciò
senza parole.
Il laboratorio, sempre pulito e ordinato, si trovava
nel caos più totale.
Il pavimento era come tappezzato di fogli disordinati,
molti dei quali strappati, mentre i muri solitamente immacolati erano
pieni di
graffi e in qualche punto l’intonaco presentava dei buchi.
Le apparecchiature erano a terra, distrutte e molti
mobili giacevano capovolti sulle fredde piastrelle.
Si poteva imputare la colpa di quella
distruzione ad
un terremoto senonché nell’aria aleggiava uno
sgradevole odore di bruciato.
La biondina provò a muovere un passo in mezzo a quella
devastazione, ma le parve di avere i piedi di piombo. Era spaventata,
doveva
ammetterlo.
Le lampade sul soffitto erano ridotte in mille pezzi e
rimaneva solo la luce del tardo pomeriggio ad illuminare la stanza.
Presa da una grande paura Belle si affrettò a
raggiungere lo studio personale della Professoressa e
spalancò violentemente la
porta, pronta eventualmente a portare soccorso.
La donna era in piedi, appoggiata alla scrivania che
singhiozzava sommessamente, le braccia strette intorno alle spalle,
come a
difendersi e il capo abbandonato a sé.
Non appena sentì la porta aprirsi alzò lo sguardo
verso la bionda e provò a parlare, ma l’ennesimo
singhiozzo la scosse da capo a
piedi mentre altre numerose lacrime le solcavano le guance.
La biondina si domandò cosa avesse potuto ridurre
così
l’altresì forte e tenace Professoressa. Doveva
essere un fatto molto più grave
rispetto alle sue aspettative.
«Cosa è stato?» provò a
chiedere timorosa Belle,
mentre cercava di avvicinarsi alla donna.
La domanda rimase sospesa nel vuoto per un minuto
buono.
Poi finalmente Aralia alzò nuovamente lo sguardo, ma
stavolta parlò «L-loro sono…»
ogni parola pareva provocare al corpo della donna
un immenso dolore e difatti faticava ad andare avanti
«…sono tornati»
«Loro chi, Professoressa?»
Nel subconscio di Belle un’angoscia sempre più
grande
si stava facendo strada, ma la bionda provò a non darla a
vedere per non urtare
maggiormente Aralia che dalla sua sembrava a pezzi.
I suoi occhi verdognoli erano rossi dalle lacrime
versate e lanciarono a Belle uno sguardo di grande sofferenza mischiato
a…
colpevolezza?
«D-devo p-parlare con Touko» disse tremante la
donna
prima di cadere a terra priva di coscienza.
«Touko,
Touko»
La voce di Marzio arrivò dritta alle orecchie della
brunetta, distraendola dai suoi pensieri.
«Che c’è?» chiese la ragazza
seccata, parlando al
microfono.
«Un allenatore mi ha appena battuto» il
Superquattro
sembrava senza fiato.
«Nessuno è invincibile…»
rispose Touko annoiata.
A volte i discorsi di Marzio erano monotoni e privi di
senso perciò la Campionessa non dava mai molto peso alle sue
parole.
Poi però come un lampo un terribile pensiero la fece
sobbalzare.
«Chi ti ha battuto?» si affrettò a
chiedere.
«N»
La risposta fu lampante.
N.
Allora era vero, allora la brunetta aveva visto
giusto. Quel drago di poco prima era realmente Reshiram!
Per qualche secondo la ragazza fu felice di non aver
iniziato a dare di matto, ma subito dopo la realtà le si
parò davanti.
L’odioso passato di Touko era tornato. E con lui le
più grandi paure della ragazza.
Perché era lì? Perché proprio ora?
Perché proprio a
lei?
Le domande si addensarono nella sua mente, mentre la
brunetta si portò le mani alle tempie per provare a calmare
l’ansia che le
stava crescendo dentro.
Lucidità. Doveva essere razionale.
Prese tre respiri per regolarizzare il battito del suo
cuore che era schizzato a
mille.
Perché mai N le faceva ancora quell’effetto?
Lei lo odiava, lo odiava con tutta
sé stessa e di
motivi ne aveva a centinaia eppure in quel momento la sua mente si
focalizzò
sul ricordo del volto del giovane…
No, stavolta lei non sarebbe caduta. Il
“principino”
questa volta avrebbe dovuto faticare.
Non poteva per ovvie ragioni aspettarsi un trattamento
gentile, non avrebbe creduto di certo che Touko lo avrebbe accolto a
braccia
aperte offrendogli magari tè e biscottini.
La Lega era la sua casa, la sua fortezza e anche la
sua prigione. Ma come lei non poteva uscirci nemmeno lui poteva
entrarci con
facilità.
Lei aveva i Superquattro dalla sua e li avrebbe
utilizzati come si utilizzano le pedine di una scacchiera. E se tutto
fosse
andato per il meglio forse Touko non avrebbe nemmeno dovuto incontrarlo.
«Catlina!» esclamò prendendo
l’altro microfono e
accendendo tutti i monitor delle sale.
«Ancora allucinazioni Campionessa?» fece la bionda
sarcastica.
«Ascolta, Marzio è appena stato battuto da N
perciò
prima o poi dovrà arrivare anche da te…
fermalo» la richiesta di Touko sembrava
più un ordine, ma poco importava.
«Per l’ultima volta: N non
c’è»
«Sì, invec…» la brunetta a
momenti non si strozzò con
la sua stessa saliva.
Nel monitor posizionato nel locale di Antemia aveva
fatto capolino una figura di un ragazzo dai lunghi capelli verdi, che
saliva le
scale con studiata lentezza.
«Beh vediamo che sai fare Natural»
sussurrò Touko.
Antemia era una bravissima Allenatrice e la Campionessa
era certa che si sarebbe battuta benissimo. Il
“principino” avrebbe avuto vita
breve alla Lega.
La brunetta parve rilassarsi per qualche secondo,
crogiolandosi nel pensiero di aver scampato un possibile scontro contro
N
quando vide nel monitor il ragazzo usare come Pokémon
Reshiram.
Per gli scontri lei non usava mai Zekrom, le sembrava
una mossa scorretta dal momento che i leggendari erano di sicuro
superiori a
tutti gli altri Pokémon.
In quella situazione, nonostante Antemia fosse forte e
godesse della fiducia della Campionessa, fu lampante che lo scontro
sarebbe
finito in favore del principe. E così fu.
«Accidenti» imprecò Touko sottovoce,
mentre senza
perdere tempo contattava Mirton.
Nel frattempo infatti N si stava dirigendo nella sala
di Catlina e la brunetta non aveva nessuna voglia di avvertirla
nuovamente.
Odiava essere trattata come una stupida e Catlina era maestra in questo.
«Mirton ci sei?»
«Certo cara dimmi» rispose lui affabile come sempre.
Il Superquattro di tipo buio a discapito del suo
aspetto da menefreghista e “estraneo al mondo” come
lo definivano molti, con
Touko era sempre stato il più gentile lì dentro e
l’unico che non la trattasse
come una pazza con problemi di personalità.
E quello era stato sin da subito un
punto in suo favore.
Mirton si comportava normalmente e la brunetta non
poteva chiedere di meglio perciò lei e il ragazzo erano sin
da subito diventati
amici.
Certo “amici” nel senso inteso da Touko ovvero
“scambiarsi qualche
parola alla settimana” però quello era
già un risultato che pochi avevano
ottenuto.
Erano anime in un certo senso affini, ma era chiaro
che la Campionessa non provasse altri sentimenti al di là
del rispetto verso il
Superquattro.
Ed a entrambi andava bene così.
«N è qui» la voce di Touko non era mai
stata così
carica d’ansia e Mirton se ne accorse immediatamente.
«Non posso aiutarti molto in un possibile scontro con
Reshiram, ma dimmi ciò che devo fare e lo
farò»
«Non posso chiederti di fermarlo perché
ciò è
impossibile, ma ti chiedo di danneggiare Reshiram il più
possibile» ormai quella della brunetta era una supplica.
«E se io non ce la facessi…» anche
Mirton era
palesemente preoccupato dalla comparsa dell’ ex principe del
Team Plasma.
«In tutti questi anni ho allenato voi Superquattro per
questo momento, N è un allenatore forte ma tu non devi
sottovalutarti»
«Farò del mio meglio Campionessa» la
rincuorò lui con
un sorriso.
Touko mentalmente lo ringraziò per le incoraggianti parole,
ma sapeva bene che non poteva permettersi il lusso di perdersi in
chiacchiere
perciò interruppe la comunicazione e tornò a
vedere lo scontro tra N e la
Superquattro di tipo Psico.
Inutile dire che l’ex principe vinse senza alcun
problema sotto gli occhi di una scioccata Catlina e si diresse verso
l’ultima
sala.
La brunetta seguì con il cuore in gola tutto lo
scontro e dovette ammettere che Mirton riuscì a difendersi
bene, ma a nulla
valsero i suoi immensi sforzi contro il leggendario Reshiram.
Era arrivata l’ora.
Touko si diresse verso la sala lotta del Campione e
respirò profondamente.
Sentì l’ascensore arrivare al piano prescritto e
chiuse gli occhi.
Non voleva vederlo.
Il suo più grande incubo si stava materializzando
proprio in quel momento.
E poi la sentì.
La sua voce cristallina e diretta, senza mezzi
termini, una voce che per molto tempo aveva sperato di udire.
Una voce che quel
giorno però le sembrò solamente come la lama di
un coltello che lentamente le
trapassava la testa.
Sì, dovette ammetterlo.
Le fece molto male sentire quella frase pronunciata
con leggerezza, quasi ilarità.
E lo odio maggiormente, solo per quelle poche parole.
«Ti trovo bene Touko»
Il Pub di Guna
Uh Uh, N è arrivato!
E adesso sono cavoli per tutti.
Aralia è in coma farmacologico assistito e Belle
è in depressione.
Touko invece è la solita “adorabile
personcina”
Spero il prospetto vi piaccia perché
io mi sto divertendo un mondo a
muovere questi personaggi come marionette *risata malefica*
La descrizione della Lega è esattamente quella che ho
nella mia mente (ma no?) e spero di averla resa bene. In tutta
franchezza,
faccio schifo a descrivere (e non solo direte voi)
Lo so che il capitolo è un po’ più
lungo del solito,
ma così mi sono fatta perdonare per il ritardo e
per la schifezza dello
scorso capitolo
Sì, oggi sono ottimista e positiva…
Beh niente, spero davvero il capitolo vi sia piaciuto
e ringrazio Ashura_exarch, Andy Black, SM99 e Zoichi Kuronin per le
gentili
recensioni e mi raccomando fatemi sapere se avete dubbi o
perplessità riguardo
l’andamento della storia. Ci tengo molto e vorrei venisse il
meglio possibile!
Un saluto e al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 9 *** Fredda indifferenza? ***
Fredda indifferenza?
Per
qualche terrificante secondo Touko si dimenticò di
far entrare aria nei polmoni.
Cercò di ispirare, ma era come se un grosso
macigno le si fosse appena appoggiato sopra
il torace.
Sentì immediatamente i passi di N che si
avvicinavano perciò non poté
frenare l’istinto di riaprire gli occhi.
Lui se ne stava lì a qualche metro di distanza, in
piedi, impassibile come sempre e teneva gli occhi fissi sulla ragazza.
Il suo
sguardò però era indecifrabile anche se vi si
leggeva dentro una profonda
tristezza.
Touko provò ad articolare una qualche parola di senso
compiuto, ma dalle sue labbra non uscì alcun suono, al che N
si mise inaspettatamente
a ridere.
E quella risata ilare, spontanea e gioviale fece
ribollire il sangue nelle vene della brunetta.
«Cosa trovi tanto divertente?» chiese scocciata,
incrociando le braccia e cercando di assumere una posa di
superiorità.
«Beh almeno mi parli ancora» fu la genuina risposta
di
N.
E la ragazza non ci vide più.
Stava per rispondergli di tornarsene da dove era
venuto, di non farsi più vedere e di sparire dal mondo
intero, condendo il
tutto con qualche insulto, ma la nuova Touko fredda e distaccata prese
il
sopravvento.
«Cosa mai dovrei provare per te? Né odio
né amore,
solo una semplice indifferenza, perciò non vedo
perché non dovrei parlarti»
La freddezza con cui la brunetta pronunciò quelle
poche parole sorprese sia lei che N e un lugubre silenzio scese nella
sala,
interrotto solamente dal tenue scrosciare di una leggera pioggerellina
estiva.
E pensare che fino a pochi istanti prima un bel sole
illuminava Unima…
Più i secondi passavano più l’atmosfera
sembrava farsi
pesante, perciò Touko, stanca di quell’inutile
perdita di tempo, decise di
rompere il silenzio.
«Perché sei qui?»
Una domanda semplice, una risposta complicata.
N parve ponderare bene le parole, temendo quasi di
dare un responso troppo affrettato, cosa che non sfuggì allo
sguardo indagatore
della brunetta.
Lo stava osservando sin da quando era entrato e si era
subito accorta dello strano comportamento da lui assunto, era come se
non si
sentisse a suo agio e fosse pronto a fuggire da un momento
all’altro.
«Avevo voglia di tornare ad Unima…»
buttò lì con
disinteresse il principe.
«Vorrei la verità» sussurrò
Touko visibilmente
irritata.
«Questa è la verità»
La ragazza lo fissò per qualche secondo per poi
scuotere la testa sconsolata. Perché anche N le mentiva?
Cosa avevano tutti da nasconderle?
L’atmosfera divenne ancora più tesa, ma stavolta a
parlare fu N.
«Avrei bisogno di un favore…» persino la
sua voce
tremava, consapevole della richiesta che stava per fare.
Touko, al solo udire quelle parole, alzò afflitta lo
sguardo sorridendo amaramente e girò i tacchi in direzione
della sua stanza.
Non sarebbe stata un secondo di più ad ascoltarlo e la sola
idea che lui le
avesse anche chiesto aiuto le sembrava ridicola.
Era pazzo se pensava che lei lo avrebbe aiutato.
Dopo anni di assenza poteva considerarsi fortunato per
non aver ricevuto un sonoro ceffone e di questo Touko ne andava fiera.
Il suo
distaccamento dalle emozioni, a cui stava lavorando da tempo, iniziava
a dare i
suoi frutti.
Lei non era più una persona impulsiva, e ne era
contenta.
Nonostante questo però il ragazzo la metteva ancora in
difficoltà, le ricordava la vecchia Touko, quella che con
tutta sé stessa aveva
cercato di cancellare, e con lui non riusciva a essere fredda come
voleva.
Perciò
la scelta a suo parere migliore era quella di andarsene e scordarsi del
brutto
incontro.
La brunetta non fece nemmeno in tempo a fare tre passi
che subito N le si avvicinò rapidamente e la prese per il
polso.
Al solo contatto una scossa le attraversò la schiena,
mentre il cuore le si bloccò in gola.
«Che vuoi?» la domanda le uscì quasi
rotta da una
crisi di pianto imminente, ma nonostante ciò
riuscì a trattenersi.
N dalla sua la guardava con un misto di preoccupazione
e tenerezza. Guardandola
riconosceva la
vecchia ragazza di un tempo, ma si rendeva conto dell’errore
fatto in passato e
vedeva in lei le conseguenze delle sue azioni.
«Ho bisogni di aiuto»
«Scordatelo» l’esclamazione le
uscì come un urlo
«Vattene N!»
Il ragazzo se lo aspettava, ma ne rimase ugualmente
colpito.
Fin da subito aveva messo in conto che la sua “impresa
di riappacificazione” sarebbe stata difficile, ma confidava
ancora nel suo
piano.
«Touko ascolta…»
«No!»
«Ti prego»
«Sparisci»
«Io…»
«Non voglio più
vederti» la brunetta si girò e piantò
i suoi occhi cerulei in quelli grigiastri di lui e N si accorse con
rammarico
che vi si leggeva all’interno solo molto odio.
Qualche lacrima iniziò a bagnare il bel viso della ragazza
che però scosse la testa e se le asciugò
velocemente. Non poteva piangere, non
davanti a lui. Lei doveva mostrarsi forte.
«Dammi almeno un secondo» il tono di N era
supplichevole,
ma Touko con uno strattone si liberò il polso e riprese a
camminare ignorando
beatamente l’approccio diplomatico del ragazzo.
Al che il principe perse la pazienza.
«Grazie Touko, veramente grazie!» urlò,
ma fu come
parlare al muro.
Frustrato stava quasi per tornare all’ascensore quando
si ricordò di dove si trovasse. Quella era la Lega e lui
aveva battuto tutti i
Superquattro.
Una piccola luce di speranza si accese nel suo cuore.
Estrasse dalla cintura la Ball di Reshiram e fece
uscire il leggendario proprio al centro della sala lotta.
La brunetta avvertì un potente ruggito alle sue spalle
e si girò alquanto confusa. Rimase a bocca aperta di fronte
all’enorme drago
bianco e rivolse a N uno sguardo riprovevole.
«Sei forse impazzito! Che ti salta in mente?»
«Sono alla Lega come sfidante perciò…
ti sfido»
Ora c’era una nuova determinazione nei suoi occhi e
Touko riconobbe lo stesso tono di sfida che quel ragazzo tre anni prima
le
aveva rivolto, quando ancora era al servizio di Ghecis. Al solo ricordo
una fitta
le trapassò il cuore, e altre lacrime fecero capolino nei
suoi occhi. Respirò a
fondo e cercò di focalizzarsi nuovamente sulla
realtà.
«Neanche per sogno»
Tutta quella situazione le sembrava paradossale.
«Mi spiace, sono le regole Campionessa»
Certamente, messa in questo piano, la brunetta non
poteva fare alcunché. Se si fosse rifiutata avrebbe perso il
posto di Campionessa
e l’ultima cosa che voleva era far si che proprio
l’ex principe del Team Plasma
divenisse Campione.
Non aveva altra via d’uscita che lottare anche se
l’idea non l’allettava molto.
«Bene allora» rispose a denti stretti e N sorrise
nuovamente riconoscendo ancora la vecchia e orgogliosa Touko che non
faceva mai
un passo indietro.
Sorprendentemente pure la brunetta fece uscire dalla Ball,
che aveva preso non appena aveva rimesso piede nella Lega, Zekrom.
Il possente leggendario era l’unico Pokémon nella
sua
squadra che non aveva mai usato in battaglia da quel fatidico giorno di
tre
anni prima, ma lei diligentemente aveva continuato ad allenarlo
aspettando il
momento opportuno per farlo scendere in campo.
Quel momento era arrivato.
«Per alzare un po’ la posta che ne dici di un
patto:
se vinco io allora dovrai ascoltarmi…» propose N
sbilanciandosi.
«E se vinco io tu sparisci dalla mia vita»
finì Touko
con un sorriso sadico stampato in faccia.
Sulle prime N si sentì offeso, ma poi si
focalizzò sul
pensiero della imminente vittoria e una nuova sicurezza gli invase
corpo e
mente.
«E sia!» esclamò convinto.
Per lui quello scontro significava speranza, per Touko
vendetta.
I leggendari iniziarono a combattere mentre fuori
stava ancora piovendo.
«Lasciami passare»
urlò affannata Belle cercando di
convincere un nervoso Marzio che le stava impedendo di entrare alla
Lega.
«Sai bene che nella stanza principale non ci può
arrivare nessuno se prima non ha battuto i Superquattro»
l’uomo era
inflessibile.
«Si ma io… conosco Touko»
«Mi spiace, dovrai aspettare»
La biondina cercava di convincere inutilmente l’uomo da
un quarto d’ora, ma senza grandi risultati.
Nel frattempo Aralia se ne stava in disparte, pallida
come un lenzuolo, e si torceva nervosamente le mani come in preda ad un
attacco
di panico.
Belle l’aveva aiutata a riprendersi dal mancamento, ma
la Professoressa da quel momento non aveva più parlato
perciò la ragazza aveva
optato per una visita da Touko.
Le cose però non stavano andando nel verso giusto.
Finalmente la biondina si arrese e sbuffando si allontanò
dall’entrata prendendo sottobraccio un’inerme
Aralia.
«Non si preoccupi Professoressa, ora trovo il modo per
farla parlare con Touko» disse Belle cercando di tirare su di
morale la donna,
ma questa si limitò ad annuire spaesata.
Ora alla ragazza non rimaneva che giocare la sua
ultima carta.
Si diresse verso il centro Pokémon vicino alla Lega
per poter contattare Mirton, l’unico dei Superquattro che
conosceva
discretamente bene, nonché il solo che avrebbe acconsentito
a farla parlare con
l’amica.
Una volta entrata si sorprese nel vedere che il
ragazzo era già lì, cosa che però le
fece risparmiare il tempo della
telefonata.
«Ehi Mirton!» salutò con il migliore
sorriso del suo
repertorio.
Lui si voltò e non appena la riconobbe le venne
incontro sorridente. Belle era una amica di Touko e perciò
agli occhi del Superquattro acquisiva importanza. Lui aveva molto
rispetto nei confronti della
Campionessa e quindi di conseguenza si fidava cecamente di ogni sua
amica.
Non fece nemmeno in tempo a salutarla che notò il suo
sguardo perplesso così rispose in anticipo «Se ti
stai chiedendo cosa ci faccio
in un Centro Pokémon devi sapere che sono appena stato
battuto»
Impossibile.
Mirton, a detta di Touko, era uno dei migliori
Allenatori della Lega.
«Davvero? E da chi?» domandò interessata
la biondina.
«Da N»
Belle sussultò.
Lui era già arrivato. L’aveva preceduta e la cosa
la
infastidiva parecchio.
Per di più questo era l’ennesimo problema da
aggiungere alla già lunga lista.
«Oh…m-mi dispiace» provò a
balbettare «Senti io devo
urgentemente parlare con Touko»
La via diretta era la migliore.
«Perché?»
La biondina indicò Aralia vicino a sé e Mirton si
accorse della sua presenza per la prima volta.
Quella donna era davvero
silenziosa.
«Certo capisco, allora vi faccio entrare» disse
sbrigativo, fissando ancora incuriosito la Professoressa.
Belle esultò silenziosamente. Sapeva di poter contare
su di lui che neanche stavolta l’aveva delusa.
Forse non era troppo tardi per avvertire l’amica,
forse N era ancora impegnato a battere gli altri Superquattro e magari
per una
volta le cose le sarebbero andate bene.
Non le restava che sperare e affrettarsi a raggiungere
Touko.
Così riprese sottobraccio la catatonica Professoressa
e seguì il ragazzo in direzione della Lega.
«Incrofiamma!»
«Incrotuono!»
I due attacchi si annullarono a vicenda una volta
entrati in contatto.
Non c’era verso, i due leggendari erano alla pari e
questo irritava parecchio Touko che però cercava di non
darlo a vedere. Si era
imposta di mantenere la calma comunque fossero andate le cose e
intendeva
rimanere fedele al suo proposito.
Dalla sua N rimaneva concentrato e studiava ogni singola
mossa possibile anche se doveva ammettere che quella situazione lo
stava
mettendo in seria difficoltà.
La brunetta per lui era sempre stata un’avversaria
ostica.
«Fuocobomba» ordinò perentorio mentre
Reshiram
caricava il colpo.
«Fulmindenti»
La scelta di quella mossa sorprese N, che non si
aspettava un attacco fisico da parte dell’avversario.
La lotta per il momento era stata combattuta solamente
con attacchi indiretti, cosa che aveva contribuito a mantenerne la
sfiancante stabilità
“Poco male” pensò il ragazzo
“Fuocobomba lo colpirà in
pieno”.
Le sue speranze però si infransero non appena il
Pokémon Nero contrattaccò con Fulmindenti la
bomba infuocata, rimanendo
pressoché illeso, mentre da una posizione di
superiorità si preparava a
scagliare Tuono.
Una simile sequenza di attacchi era degna dei migliori
Allenatori, senonché naturale conseguenza di un faticoso
allenamento e di
un’ottima intesa emotiva.
Ed N era colpito alla vista del legame creatosi tra
Touko e Zekrom che sembravano lavorare con una sola mente.
A riportarlo alla realtà fu il ruggito sofferente di
Reshiram
che era stato centrato dalla scarica elettrica in pieno ventre.
Fortunatamente non
parve riportare grossi danni tant’è che si
alzò anche lui in volo e senza un
ordine diretto lanciò un altro Fuocobomba.
Zekrom venne colpito di striscio rimediando una lieve
bruciatura al braccio ed a un solo cenno di Touko partì con
un altro
Fulmindenti paralizzando la gamba dell’avversario.
«Ora basta» sussurrò N a denti stretti
«Reshiram
finiamola con Fuocoblu»
«Zekrom, tu usa Lucesiluro» la voce della brunetta
era
determinata e il ragazzo capì che sicuramente non avrebbe
vinto con tanta
facilità.
Gli attacchi sfoderati erano i migliori di entrambi i
Pokémon e sia lui che Touko alzarono lo sguardo per vedere
lo scontro
titanico, quando
una voce proruppe nella
sala.
«Touko, Touko!»
La brunetta si girò di scatto allarmata e vedendo
Belle con la Professoressa Aralia impallidì. Erano troppo
esposte all’attacco e
si sarebbero potute ferire.
«Fermo Zekrom» urlò con tutta la voce
che aveva, ma il
suo compagno non la sentì.
I due Pokémon erano completamente assorbiti nella
lotta e sembravano estraniati dall’ambiente circostante, ma
era troppo
rischioso farli continuare.
«Reshiram» la voce calma di N si fece strada in
mezzo
ai ruggiti dei leggendari, riuscendo a distoglierli dalla lotta.
Per una volta tanto la sua spiccata capacità di
comunicare con i Pokémon era tornata utile.
Il Pokémon Bianco planò vicino al ragazzo mentre
anche
Zekrom atterrava con maestria vicino alla brunetta che però
guardava inviperita
le nuove arrivate.
Non perse tempo nemmeno per richiamare il compagno
nella Ball che subito si avvicinò infuriata ad una
terrorizzata Belle, la quale
parve arretrare di fronte alla rabbia della Campionessa.
«Ehi, che fai? Ti arrendi?»
provò a chiedere N,
prontamente zittito dallo sguardo inceneritore lanciatogli dalla
ragazza.
«T-Touko» la biondina si poteva dare già
per
spacciata.
«Che ti salta in mente Belle? Entri così come ti
pare
e per poco non rischi di venire colpita!»
«Scusa io…»
La Campionessa le fece cenno di tacere, mentre tentava
di calmarsi e riprendere il controllo di sé.
«Ecco perché non faccio mai entrare nessuno
qui…»
bisbilgiò impercettibilmente.
No era proprio quello il motivo, lo sapeva bene, la
sua era solo una motivazione egoistica però…
«Chi?» sussurrò con astio la brunetta.
«Cosa?» domandò Belle confusa.
«Come e perché» tentò di
ironizzare N, fulminato
nuovamente da Touko.
Non era di certo il momento di ironizzare.
«Chi ti ha fatto entrare?»
«Ecco io… non ricordo»
La biondina non era affatto capace a mentire.
«Belle chi?» la voce della ragazza era sempre
più
alterata.
«Mirton»
“Fantasticò” pensò la
brunetta “l’ennesima delusione
da aggiungere alla lista…quasi quasi ci faccio un
film”.
Sospirò abbattuta e fece per tornare al campo lotta,
ma la voce timida di Belle la fermò.
«Ecco la Professoressa Aralia dovrebbe parlarti
urgentemente»
Touko alzò gli occhi verso la donna e la trovò
intenta
a mangiucchiarsi le unghie con fare preoccupato.
La conosceva sin da piccola e mai una volta l’aveva
vista così tesa.
Solitamente non era da lei accettare visite,
soprattutto nel bel mezzo di una lotta, ma le condizioni in cui versava
Aralia
la mossero a pietà perciò decise di fare uno
strappo alla regola.
«Se è qualcosa di urgente allora
andiamo» disse
cercando di mostrarsi gentile.
«E la lotta?» chiese curioso N.
«C’è bisogno che ti risponda?»
«Sì, grazie»
«Vai a…»
«Che ne dite di una parità!» si
intromise Belle,
sventando un possibile insulto da parte dell’amica.
I due sospirarono contrariati all’unisono ed il
ragazzo alzò le mani in segno di resa.
La brunetta fu quasi tentata di sorridergli
riconoscente, ma poi riprese la sua solita freddezza e fece cenno alla
Professoressa
di seguirla.
La donna per qualche secondo non si mosse, quasi
impaurita, ma dopo si affrettò a seguire la Campionessa,
leggermente
condizionata dallo sguardo impaziente di quest’ultima.
Era l’ora della verità.
«Non mi sembra fosse ciò
che ti avevo chiesto!» tuonò
adirato Ghecis sbattendo un pugno contro il muro di pietra della
caverna dove
alloggiava.
Il silenzio che ne seguì fu interrotto solamente dalle
gocce che cadevano dalle stallatiti sul terreno.
«Mio signore io…»
«Taci»
La recluta chinò, se possibile, maggiormente il capo.
«Questa è l’unica cosa che abbiamo
trovato» provò a
difendersi.
«Bene e cosa me ne faccio?» domando sarcastico
l’uomo.
Se per una volta le cose fossero andate come sperava…
Lui avrebbe davvero potuto cambiare il mondo, lui
poteva farcela con affianco le persone giuste.
Invece doveva trovarsi con degli incapaci tra le mani
che non riuscivano a portare a termine un solo incarico e la cosa lo
frustrava
parecchio.
Se avesse potuto controllarli come faceva con i
Pokémon tutto sarebbe stato migliore e forse il suo piano si
sarebbe anche
potuto realizzare.
Un’idea alquanto strana gli balenò in mente,
mentre
con un sorriso folle si girava verso la recluta ancora inginocchiata a
terra.
«Che succ…» rabbrividì questa
alla sola vista
dell’espressione di Ghecis.
«Forse invece qualcosa la posso fare»
mormorò come
perso tra i suoi pensieri «Chiamami l’equipe di
scienziati, ho un lavoro per
loro».
Locale in ristrutturazione
E sono ancora qui!
Ditelo che non ci speravate più eh?!
Invece mi dovrete sopportare ancora per molto e quindi
in bocca al lupo(?)
Vorrei solo avvertire che gli aggiornamenti non
saranno più settimanali (come se lo fossero mai stati) ma
penso di pubblicare
ogni due a causa di ulteriori impegni (che barba) che mi tolgono tempo
alla
scrittura. E siccome voglio che i capitoli vengano perlomeno leggibili
ho
bisogno di un po’ più di tempo.
Disperati? Ma va che vi vedo sorridere felici per
dovermi sopportare di meno!
Beh spero il capitolo vi sia piaciuto e che qualche
pessima battuta inserita (vedasi il “chi, cosa, come e
perché” di N) non sia
sembrata proprio così terribile *schiva un pomodoro*
Naturalmente pareri e opinioni, critiche o domande,
sono sempre accettatissimi quindi… beh una riga mi fa sempre
piacere!
Ringrazio come sempre SM99 e Andy Black per le recensioni/consigli
e Allys_Ravenshade per la recensione e per aver addirittura messo la
storia tra
le preferite.
Ringrazio chi segue o anche solo legge questa storia e
spero che i prossimi capitoli continuino a piacervi!
Un salutone e alla prossima!
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Capitolo 10 *** Verità che vengono a galla ***
Verità che vengono
a galla
Il
forte scrosciare della pioggia copriva il suono dei
passi nel corridoio.
Aralia seguiva a ruota la sua accompagnatrice più tesa
che mai tant’è che l’avanzare le
sembrava sempre più faticoso.
Mentalmente aveva già immaginato una decina di volte
il discorso che avrebbe intavolato con Touko una volta arrivata, ma le
pareva sempre
o poco convincente o troppo sbrigativo.
Da parte sua la brunetta era impaziente di parlare con
la Professoressa, vista l’urgenza tanto annunciata, e aveva
deciso di farla
accomodare nella sala più nascosta della Lega.
La stanza in questione era una specie di proseguo
degli appartamenti della Campionessa solo che era diversa dallo stile
delle
altre.
Questa infatti era stata completamente arredata da
Touko in persona che l’aveva progettata personalmente.
Lei aveva comprato i mobili e lei li aveva disposti da
sola nella stanza, senza il minimo aiuto. Aveva voluto infatti che quel
luogo
diventasse più speciale degli altri, più suo.
Ci aveva aggiunto delle varianti che prendevano spunto
da cose che aveva visto in giro nei suoi viaggi per le altre regioni e
ironicamente ogni qual volta si trovava in quella camera, o per leggere
o per
studiare, le sembrava di essere a casa.
Quello era forse l’unico posto nella Lega dove si
sentisse a proprio agio pure con sé stessa e in cui trovava
finalmente
l’agognata pace.
Nella sua idea originale quella sarebbe stata la
stanza in cui lei, Belle e Komor si sarebbero ritrovati un giorno a
parlare
della loro vita sorseggiando magari della buona cioccolata calda, ma
questo
sogno non si era mai realizzato e la colpa era solo sua.
Scosse la testa quasi per scacciare quei fantasmi che
la assalivano sempre nei momenti meno opportuni e si accorse a malapena
di
essere arrivata di fronte alla porta.
Aprì con decisione la maniglia e invitò Aralia ad
entrare.
La donna una volta dentro rimase a bocca aperta di
fronte a quell’ambiente così spettacolare.
Il salottino, perché di questo si trattava, non era
molto grande, ma presentava un qualcosa di familiare. Le due poltrone
di pelle
rossa, poste una di fronte all’altra, erano in perfetta
sintonia con il
tavolinetto da tè in ebano.
Nella parte vicino all’unica finestra, sopra il
tappeto, proveniente verosimilmente da Boreduopoli, era adagiato un
vecchio
tavolo da studio in legno dove vi erano poggiati in disordine una
decina di
libri con i rispettivi fogli.
Touko doveva essere molto persa da quelle che
sembravano ricerche senza un filo logico e qualche tentato disegno.
La brunetta la invitò a sedersi nella poltrona e
Aralia sprofondò al solo contatto con la morbida pelle.
Le venne offerta addirittura una tazzina di tè che
sorseggiò senza fretta sotto gli occhi indagatori di Touko.
La Campionessa era oltremodo curiosa.
Una volta svuotata la tazza per la Professoressa fu dunque
il tempo di parlare.
“Su, vedrai che una volta libera da questo peso ti
sentirai meglio” pensò cercando di farsi coraggio.
«Ti avverto che non sono belle notizie quelle che ti
sto per riferire» iniziò titubante ed a un cenno
d’assenso della ragazza
continuò «Si tratta del Team Plasma»
Il cuore di Touko mancò un battito e ringraziò il
cielo che Red non fosse nei paraggi, dal momento che era il primo che
l’aveva
avvisata della minaccia, ricevendo in cambio una sonora risata.
E ora chi rideva?
Nonostante il tremore, che non diede a vedere, la
Campionessa sorseggiò il suo di tè e fece segno
di continuare.
«Stamane delle reclute sono venute in laboratorio e lo
hanno devastato» Aralia si fermò un momento
ricordando con rabbia tutte le
ricerche fatte in quei lunghi anni dissolte in una manciata di minuti,
senza
che lei potesse intervenire in alcun modo.
«Mi spiace»
Il mormorio di Touko conteneva una nota recondita di
speranza e la ragazza in cuor suo pregava che fosse soltanto quella la
brutta
notizia.
«Non è finita qui…»
Mai una volta che le cose andassero come lei sperava.
«Ah si? Beh dimmi allora»
«Sono riusciti a rubare un prototipo a cui stavo
lavorando»
Ecco la parte difficile. Aralia respirò a fondo e
cercò di riprendere un briciolo di controllo per poter tener
testa alla conversazione.
«E di cosa si trattava Professoressa» il tono duro
della ragazza le fece capire che iniziava ad intuire dove sarebbe
andato a
parare il discorso.
«Era il progetto mio e di Zania…»
«Spero tu stia scherzando» la frase della brunetta
non
ammetteva repliche «Non sarà il progetto che mi
venne mostrato da Zania qualche
mese fa?»
Aralia rimase leggermente stupita dal fatto che Touko
fosse a conoscenza dell’argomento, quello però che
nemmeno lei poteva sapere
era di ben altra gravità.
La donna si trovò nuovamente nel panico e
desiderò che
la pelle della poltrona la potesse far sprofondare fino alle viscere
della
terra.
Non aveva nemmeno più il coraggio di alzare la testa
verso la Campionessa e iniziava a nutrire un vivo interesse per il
parquet
scuro sotto i suoi piedi.
Vedendo che Aralia non si decideva a parlare fu Touko
a prendere l’iniziativa e con fare imperturbabile
scandì ogni singola sillaba
«Allora?»
La Professoressa sollevò lo sguardo smarrendo ogni
sicurezza e sentendosi colpevole più che mai.
«Cosa
sai di quel progetto Touko?» tentò di domandare,
mentre la prima lacrima le inumidiva l’occhio.
«Che trattava della costruzione di un prototipo per
poter prendere il controllo delle menti dei Pokémon, era di
un certo…» la
brunetta scavò nella memoria alla ricerca del nome giusto
«Acrimo?»
«Acromio» la corresse la donna.
Già proprio Acromio. Un ragazzo promettente che aveva
lavorato nei mesi passati al fianco di Zania aiutandola nelle sue
ricerche. Di
spiccata intelligenza, i suoi progetti si erano rivelati
però estremamente
subdoli ed era stato allontanato dall’ambiente scientifico
proprio per la sua
volubilità e innata malvagità d’animo.
La sua ultima eredità era stato proprio la teoria per
costruire un prototipo in grado di manipolare le menti dei
Pokémon, poi era
sparito completamente dalla circolazione cancellando ogni sua traccia.
«Professoressa?»
La voce di Touko parve risvegliare la donna dai suoi
pensieri.
«Sì, io e Zania ci stavamo lavorando da un
po’, ma
eravamo in buona fede» si riprese Aralia sperando di sembrare
convincente.
«Come si può essere in buona fede cercando di
manipolare i Pokémon?» ogni traccia di gentilezza
era sparita ed ora il tono
della ragazza era spaventosamente alterato.
Sembrava al limite della rabbia e fissava l’interlocutrice
con sguardo assassino, pronta a saltarle addosso da un momento
all’altro.
Non c’erano altre parole per descrivere lo stato
d’animo di Aralia se non “paura”.
Perché Touko in quel momento pareva quasi spiritata.
«Calmati ti prego» mormorò
supplichevolmente la
Professoressa «Noi volevamo solo favorire la comunicazione
tra Pokémon e umani,
Zania sosteneva che avremmo potuto creare quel prototipo per poi
controllare i
Leggendari facendoli uscire allo scoperto e relazionandoci con
loro»
La ragazza inarcò il sopracciglio di fronte ad una
risposta così incoerente al che Aralia capì di
doversi spiegare meglio.
«Lo so che era un’idea folle, ma Zania ci lavorava
da
tempo e credeva che, grazie a quel modello saremmo riuscite ad entrare
in
contatto con tutti i Pokémon esistenti» due grossi
lacrimoni scendevano ora
nelle guance pallide della donna «Sono rimasta affascinata di
fronte a questa
proposta, pensavo di poter cambiare le relazioni tra Pokémon
e umani»
«Entrare in contatto manipolandoli? Ti sembra una cosa
sensata? »
«Si beh, pensavamo di poterla perfezionare per fare in
modo che nessuno soffrisse …»
A quelle parole Touko ebbe un pessimo presagio.
«Che intendi dire?»
«Che come avrai intuito manipolare la mente è una
cosa
rischiosa e noi speravamo di rendere il processo il meno doloroso
possibile, ma
il progetto di Acromio era parecchio complesso e per quanto lo
sperimentassimo
i soggetti che venivano controllati finivano sempre per
impazzire» la donna
prese respiro «Insomma la nostra idea era un
fallimento»
«Per “soggetti” intendi dire
“cavie”?» chiese la
brunetta inorridita.
«Capimmo troppo tardi che il nostro sogno era
infattibile» continuò la Professoressa ignorando beatamente la domanda di
Touko e facendo
uscire le parole come un fiume in piena «Le onde utilizzate
per il progetto di
Acromio sono altamente dannose e se solo avessimo provato il prototipo
con
qualche leggendario esso ci si sarebbe rivoltato
contro…»
La Campionessa, si alzò di scatto dalla poltrona e
cominciò a camminare su e giù per la sala.
Era ancora incredula di fronte a tutta quella
confusionale spiegazione e tutto ciò che Aralia le aveva
detto le sembrava
oltremodo terribile.
Cercare di manipolare i Pokémon era già di per
sé una
cosa orribile, per di più provocando anche danni ad
essi…
La ragazza era inorridita e per quanto la volontà
iniziale di stabilire un contatto potesse essere accettabile, le
conseguenze
erano insopportabilmente pesanti.
Non si sarebbe mai aspettata una cosa smile da una
donna del calibro di Aralia, ma da una parte capì la sua
situazione: era stata
“stregata” da un’idea così
folgorante perché dopotutto restava un’umana.
«Immagino che ora che il Team Plasma è entrato in
possesso del modello
lo userà
certamente…» pensò Touko a voce alta,
mentre cercava la più semplice soluzione
perché ciò che era successo tre anni prima non si
ripetesse.
«No, non credo che possa servire per manovrare i
Pokémon» si lasciò sfuggire la
Professoressa.
La brunetta sentì un brivido attraversarle la schiena
e incrociò le braccia cercando di cacciar via quella brutta
sensazione di
disagio.
«Perché dici questo?»
La stanza sprofondò per una manciata di interminabili
secondi in un silenzio irreale, carico di tensione e paura.
Touko deglutiva a vuoto in attesa della risposta di
Aralia, mentre quest’ultima si
tormentava
le mani in modo disumano.
Fuori quello che era iniziato come una innocua
pioggerellina estiva si era presto tramutato in un pesante acquazzone
ed enormi
gocce d’acqua bagnavano la finestra della stanza.
Alla fine la Professoressa cedette e in preda allo
sconforto, cercando di placare quel senso di colpa che sentiva fino in
gola, mormorò «T-Touko, i-io non sono stata del
tutto sincera…».
*
* *
Un
tuono in lontananza rimbombò all’interno della
sala
producendo un fragore immenso che fece accapponare la pelle a Belle.
Lei odiava i temporali, soprattutto se d’estate quando
nel cielo avrebbe dovuto regnare il sole.
«Oggi Tornadus non è di buon umore»
sorrise N, stanco
di quel silenzio.
«Non rivolgermi la parola!» esclamò la
biondina
alzando il naso con fare indispettito.
“Però, con le donne ho un successo
fantastico” pensò
il ragazzo divertito.
Tra Touko che era un caso perso e Belle che lo
detestava per qualche arcana ragione la sua popolarità era
scesa allo zero
assoluto.
«Non pensavo avessi paura dei temporali»
buttò lì il
ragazzo con disinteresse.
«Infatti chi dice che io abbia paura?»
«Oltre al fatto che tu stia tremando…»
rispose N prima
di scoppiare in una fragorosa risata.
Belle era tutta un’altra pasta rispetto a Touko ed era
molto più semplice capire cosa pensava o riuscire ad avere
un approccio civile.
Dalla sua la biondina lo fissò perplessa domandandosi
il motivo di tanta ilarità, ma subito dopo si
rabbuiò.
«Perché?» chiese titubante.
«Perché sono tornato? Beh sono ricercato da
quell’amabile
di Ghecis…» anche N divenne serio di colpo
«Evidentemente quella sanguisuga
necessita ancora di me»
«Non intendevo questo»
Il principe corrugò la fronte confuso.
«Perché te ne sei andato»
tentò di spiegare Belle.
Il ragazzo abbassò lo sguardo e scosse la testa
sconsolato per poi scoppiare improvvisamente in una sonora risata
tant’è che la
biondina si chiese che razza di problemi avesse.
«Ho sempre creduto che sarebbe stata Touko a farmi
questa domanda»
«Beh mi sorprende che ti parli ancora» lo
zittì prontamente
la ragazza.
«Già, sorprende anche me»
sussurrò lui con una
sincerità disarmante.
«Allora rispondimi»
N rimase in
silenzio cercando una risposta plausibile a quella complicata domanda.
E la risposta ce l’aveva, eccome se ce l’aveva, ma
aveva paura di rispondere terrorizzato dall’idea che una
volta detta ad alta
voce sarebbe stata più reale.
Eppure per chissà quale motivo si sfogò.
«Avevo bisogno di sentirmi libero, di cambiare
vita»
Belle lo ascoltò interessata «Non volevo
più essere “il principe del Team
Plasma”, odiavo quell’etichetta. Ho voluto essere
me stesso, ma per farlo
dovevo cambiare aria e…»
«Abbandonare chi ti conosceva prima» concluse la
ragazza.
N annuì tristemente ripensando al saluto dato qualche
tempo prima, soffermandosi nel ricordo degli occhi di Touko arrossati
dalle
lacrime, mentre lui le diceva addio.
E invece era tornato.
Ed era assolutamente un egoista.
E l’avrebbe fatta soffrire ancora.
«Ha sofferto molto» bisbigliò la
biondina «Ha pianto
per mesi e ora è diventata completamente un’altra
persona sai?»
Si lo sapeva e avrebbe voluto dire a Belle e al resto
del mondo che gli dispiaceva, che il solo pensiero di ciò
che aveva fatto gli
lacerava il cuore.
Avrebbe voluto rispondere che forse ora era cambiato,
ma un nodo gli bloccava la gola.
«Rimarrai qui?» le chiese ancora lei.
Ed N stavolta non ebbe nemmeno il coraggio di
rispondere.
* *
*
«Perché
mi dici questo?»
Touko era stanca, quella conversazione le aveva
esaurito le ultime forze che le rimanevano ed ora il solo pensiero di
una
minaccia più grave la stava portando molto vicina ad un
attacco isterico.
Per di più avere Aralia dall’altra parte, chiusa
in
religioso silenzio, non favoriva certo le cose.
«Oh insomma si può sapere che diamine mi devi dire
ancora?» urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Forse quella non era la tecnica migliore per far
parlare una persona nel panico, ma la ragazza se ne
invischiò allegramente.
Niente, nessuna reazione da parte della Professoressa.
Frustrata, arrabbiata e al limite di sopportazione la
brunetta calciò con forza il tavolinetto in ebano
rovesciandolo e facendo
cadere il servizio in ceramica appoggiato sopra, che naturalmente
finì
distrutto in mille pezzi.
«T-Touko, c-calmati…» mormorò
Aralia più spaventata
che altro.
«Calmarmi? Come faccio a calmarmi sapendo che il Team
Plasma è di nuovo una minaccia e per di più
possiede un’arma che tu non vuoi
dirmi?»
La ragazza si buttò con poca eleganza nella poltrona,
sfinita da quella pessima giornata e cercò di focalizzarsi
nel classico “prato
in fiori e cielo pieno di arcobaleni” per non dare
completamente di matto.
«Lo abbiamo modificato…» quello della
Professoressa
era poco più di un sussurro quasi impercettibile, ma la
brunetta rizzò immediatamente
la testa.
«Ti prego dimmi cosa avete fatto»
«Per cercare di rendere il prototipo meno dannoso
abbiamo modificato l’area di influenza delle onde
cerebrali…»
«E quindi…» la incoraggiò
Touko
«Il dispositivo non interessa più i
Pokémon» disse tutto
d’un fiato la Professoressa, sentendo che il grosso macigno
che si teneva a
presso da troppo tempo, finalmente spariva.
«C-come scusa?» stavolta fu Touko a balbettare.
«Avendo cercato di modificarlo abbiamo alterato il
funzionamento
e durante uno dei nostri test abbiamo notato dei cambiamenti di
frequenze delle
onde. Secondo i nostri calcoli la specie che ora sarebbe colpita da
quel raggio
è quella…umana» Aralia cercava di
spiegare lentamente ciò che per la
Campionessa era inconcepibile «Alla fine il prototipo
reagisce su soggetti con
una spiccata sfera emotiva e con una maggiore
sensibilità… diciamo con persone
più “malleabili”»
“Beh per te non c’è problema”
le suggerì la vocina
nella sua mente che ormai era diventata una sua fidata compagnia. Forse
avrebbe
potuto quasi darle un nome…
«Ma ciò non è possibile»
mormorò incredula e
speranzosa in una eventuale risposta negativa.
«Invece sì, abbiamo avuto modo di
provarlo»
La brunetta non voleva nemmeno sapere in che modo
erano riuscite a provarlo, ma sapeva che ciò che la donna le
diceva era pura
verità.
Già tempo prima Zania le aveva confidato che il suo
sogno era di essere in grado di interagire prima con la mente dei
Pokémon e poi
con quella umana. All’epoca la cosa le era sembrata
spaventosa, ma ora che il processo
era stato attutato le pareva ancora peggio.
Sapeva che Zania aveva teoricamente le basi per una
“manipolazione umana”, ma non credeva potesse
essere così avanti.
Era evidente che lo sbaglio a cui si riferiva Aralia
in realtà era stato voluto, ma preferì non dirlo
alla donna per non urtarla
ulteriormente.
«E non avete fatto nulla per impedirlo?» si
limitò a
chiedere, suo malgrado conoscendo già la risposta.
«Io ho messo un blocco a questo funzionamento,
così
ora le onde che emette il
prototipo interessano
solo i Pokémon e nemmeno in quantità sufficienti
per manipolarli, ma…»
«Questo blocco potrebbe essere tolto e
allora…»
concluse Touko con gli occhi sbarrati.
Controllo delle menti umane?
Come si poteva essere arrivati a tanto?
E ora anche il Team Plasma faceva la sua comparsa?
No, lei non era decisamente all’altezza di tutti quei
problemi, tutto quello era solo un incubo, doveva esserlo.
Menti umane, onde cerebrali, manipolazione...
Più ci penava e più sentiva la testa scoppiarle.
“Guardatela, ecco la vostra nuova guida”
ciò che aveva
detto Nardo per sbeffeggiarla quando lei lo aveva battuto,
“Non è decisamente
all’altezza” le voci che ormai giravano per Unima,
“Non ti fai sentire, che ho
sbagliato con te?” l’ultimo messaggio vocale
mandato da sua madre.
Mille voci che le bisbigliavano nell’orecchio, che le
entravano nella mente e che la facevano sentire piccola, troppo piccola
per gli
enormi problemi che si delineavano all’orizzonte.
Si tappò le orecchie con le mani, ma ciò
naturalmente
non servì a nulla.
Percepì che Aralia la guardava stranita, vide il suo
castello di carte crollarle di fronte, immaginò
l’armonia di Unima distrutta per sempre, ascoltò
le urla di morte dei suoi amici e si sentì persa.
Persa dietro quella maschera da dura che per troppo
tempo aveva indossato e che ora era irrimediabilmente crepata.
Un’orda di pensieri negativi la travolse e sotto
l’effetto di tutte quelle emozioni corse via piangendo.
Scappò da quello sguardo inquisitore, da quella
maledetta sala e da quella dannata Lega.
La attraversò tutta di corsa e venne investita in
pieno dall’acquazzone una volta fuori. Continuò a
correre come inseguita da
mille ombre, fuggendo da sé stessa.
E solo pochi possono capire che avrebbe dato tutto pur
di scappare anche da quella vita che nel modo più assoluto
non desiderava.
La cioccolateria di Guna
Sì il nome è questo
perché il cioccolato
indicativamente piace a tutti.
Almeno lo spero.
Per voi.
Ok a volte mi faccio pena da sola…
Beh questo capitolo non lo commento nemmeno perché non
saprei che dire. Sappiate solo che, anche se può sembrare,
l’idea del prototipo
di Aralia e Zania non è campata in aria perché
non sapevo che scrivere. anzi è
ben voluta e cruciale ai fini della trama.
Figuratevi voi che so già il finale (nooo, ma giura?).
Anche la storia di Acromio non è buttata lì a
caso. So
che lui comparirebbe dopo, ma ho voluto dargli un passato.
Comunque spero tanto il capitolo vi sia piaciuto e
tutta sta roba continui a piacervi, perché ci tengo davvero
molto (Guna cara
sei ripetitiva).
Come sempre se vi va di spendere due minuti del vostro
tempo per scrivere una recensione, se c’è qualcosa
di poco chiaro (cosa molto
probabile) o per qualsiasi altro motivo, recensite che io ne sarei
molto felice
(sembra tanto un logo pubblicitario).
Sappiate che non mordo, sempre che non siate barrette
di cioccolato viventi.
Ringrazio SM99 e Zoichi Kuronin per le recensioni,
consigli e complimenti che mi scaldano il cuore.
Ho finito di tediarvi e al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 11 *** Recite Mielate ***
Recite
Mielate
La
porta della sala si aprì di scatto facendo
sobbalzare N e Belle dallo spavento.
Il ragazzo si preparò ad accogliere Touko con il
sorriso più dolce del repertorio, ma nella stanza
entrò solo Aralia,
leggermente affannata.
Sia lui che la biondina si scambiarono un’occhiata
preoccupata vista l’assenza della Campionessa e fu Belle la
prima a parlare.
«Professoressa, dov’è Touko?»
«Non è passata di qui?» rispose Aralia
leggermente in
ansia.
«No…»
«Beh, sarà fuori» buttò
lì la donna avviandosi verso
l’uscita, ma N la fermò.
«Perché mai Touko dovrebbe essere uscita con
questo
acquazzone, stranamente dopo aver finito di parlarti?»
«I casi della vita…» tentò di
giustificarsi lei.
«Suvvia Professoressa, non ci prenda in giro»
Aralia sospirò turbata e cercando di mantenere il
più
possibile la calma si girò verso i due ragazzi.
«Vi prometto che dopo vi sarà spiegato tutto ma
ora
dobbiamo assolutamente trovare Touko»
Il tono della donna era divenuto immediatamente serio
ed N corrugò la fronte cercando di pensare a dove poteva
essersi cacciata la
ragazza. Trovarla non sarebbe stato semplice vista anche la variante
“pioggia”,
che di certo non aiutava.
«Bene, Reshiram…» mormorò il
principe facendo uscire
il possente drago bianco «Dobbiamo trovarla»
Non si sapeva spiegare il motivo, ma c’era qualcosa
che lo spronava a partire immediatamente.
«Non darai troppo nell’occhio?»
domandò accigliata la
biondina rimirando il manto candido del leggendario.
N alzò le spalle con disinteresse e si avviò
all’uscita.
Doveva ammettere che era abbastanza preoccupato visto
come stava la situazione. Con il Team Plasma sempre più
forte, una persona come
Touko era indispensabile anche se pure lui iniziava a nutrire seri
dubbi riguardo
alla fragilità mentale della ragazza e continuava a
chiedersi pressantemente se
fosse davvero sua la colpa.
Ripensò alla chiacchierata con Belle e la risposta fu
lampante.
«N, stai attento» lo ammonì Aralia come
intuendo i
suoi timori. Lui si voltò esibendo un sorriso forzato e
aprì il portone che
dava all’esterno.
L’assoluta priorità ora era trovare la Campionessa.
I
capelli erano completamente zuppi e dai ciuffi
castani insistenti e solitarie goccioline cadevano sul pavimento
già bagnato.
Con i gomiti appoggiati sulle gambe e la testa china
Touko stava seduta in una panchina di Quattroventi con la sola pioggia
come
compagna.
Nonostante il fragore che essa provocava e gli
sporadici lampi che illuminavano il cielo, la ragazza non sentiva
nulla. Era come
caduta in uno stato di trance e le sembrava di essere sola al mondo.
Sentiva nella testa solo i velenosi pettegolezzi della
gente che per qualche tempo aveva tentato di ignorare e rifletteva
sulle parole
appena scambiate con Aralia. Unito a ciò che gli aveva detto
Red si poteva
tranquillamente presupporre che il Team Plasma stesse tornando alla
carica come
tre anni prima.
Certo Ghecis aveva un’arma in più, ma contro si
trovava i due eroi di Unima.
Sulla carta sarebbe stato molto svantaggiato però
Touko sapeva bene che quella ragazzina incosciente e testarda, devota
agli
ideali di libertà e volenterosa di vivere al massimo era
scomparsa da tempo,
lasciando spazio ad una Campionessa solo di nome, ad una ragazza che
era
l’ombra di se stessa.
Le insicurezze che fin da bambina l’avevano
accompagnata e che per un po’ erano quasi scomparse ora
ritornavano alla carica
più forti di prima e stavolta la brunetta era certa che non
sarebbe bastato un
nuovo Pokémon e la prospettiva di un emozionante viaggio a
farle andar via.
Cercò di ragionare con più lucidità
possibile sul da
farsi. Per prima cosa avrebbe dovuto assolutamente parlare con Zania,
poi
avrebbe messo al corrente Bellocchio su tutta l’intera
faccenda e Nardo
l’avrebbe aiutata… No, Nardo non c’era
più per lei.
Nel loro ultimo scontro le aveva rivolto parole
cariche di delusione e amarezza, riferendosi a ciò che stava
diventando.
Lei lo aveva deluso e la faccenda terminava lì.
Non a caso lui l’aveva abbandonata per sempre e
ciò a
Touko aveva fatto male, molto male.
Mise distrattamente la mano nella tasca dell’impermeabile
blu, che prima di uscire aveva avuto premura di prendere e dentro vi
trovò un
pezzo di carta.
Una volta tirato fuori esso si rivelò essere una
fotografia risalente all’anno prima. Ritraeva lei, Camilla e
Belle sedute nella
villa della Campionessa di Sinnoh a Spiraria.
Touko ricordò quella piccola vacanza, quando aveva
scoperto che la sua vecchia amica Camilla era ad Unima e aveva deciso,
facendo
rimanere tutti di stucco, di andare a trovarla. Durante la settimana
anche la
biondina l’aveva raggiunta per passare un po’ di
tempo insieme e nel complesso
erano stati dei giorni rilassanti.
Le piaceva la compagnia di Camilla, con lei era in
buoni rapporti nonostante non si sentissero spesso. Quelle volte che si
trovavano però la ragazza riusciva a strapparle dei sorrisi
e la brunetta ormai
la considerava come un’amica.
Di colpo si ricordò che anche Camilla si trovava a
Unima e sarebbe potuta essere travolta dal mare di eventi che stavano
per
verificarsi.
Al pensiero di tutta quella gente innocente messa in
pericolo Touko fu colpita da un capogiro e dovette tenersi saldamente
alla
panchina per non cadere.
No, non ce l’avrebbe mai fatta e così avrebbe
confermato le voci che la ritenevano un’incapace.
Soffocata da tutti i problemi
che uno dopo l’altro le riaffioravano alla mente, quasi a
volerla fare
impazzire, la ragazza congiunse le mani in una tacita preghiera e
rivolse lo
sguardo verso il cielo.
Chiuse gli occhi per ripararli dalle gocce che
cadevano e si beò per qualche istante della sensazione che
l’acqua le dava sul
volto. Desiderò che la pioggia lavasse via tutte le sue
ansie e la ripulisse
dei suoi timori, che riavvolgesse il tempo e la riportasse agli inizi
del suo
viaggio.
Chissà allora se, sapendo a ciò che stava andando
incontro, Touko avrebbe fatto le stesse scelte.
Un rumore di passi la distrasse dai suoi pensieri e la
fece voltare curiosa. La città era deserta, visto
l’acquazzone che si stava
verificando, perciò la brunetta si sorprese nel trovare
un’altra presenza in
mezzo al diluvio.
Sentì una mano poggiarsi nella sua spalla e subito
balzò in piedi, prendendo una delle sue Pokéball
pronta ad attaccare.
«Ehi calma! Sono io» esclamò sorridente
N.
Touko si stupì della velocità con il quale il
ragazzo
l’aveva trovata e soprattutto fu colpita dal fatto che lui
l’avesse cercata
nonostante il temporale.
«Già, sei solo tu» rispose con una nota
di sollievo
nella voce.
«Solo io? Aspettavi per caso qualcun altro?»
La brunetta fu infastidita e al tempo stesso lusingata
per quella domanda, ma resse il gioco.
«L’antica arte di farsi gli affari
propri?»
«Mi preoccupo solo…»
«Beh, puoi farne a meno… non sono una
bambina» sbottò
improvvisamente lei.
«Eppure ti comporti come tale»
Ecco, ora anche N glielo diceva.
“Fatti delle domande e datti delle risposte”
pensò
tristemente mentre tornava a sedersi in quella solitaria panchina.
«Scusa Touko, solo che eravamo preoccupati per te»
«Al momento sono ancora viva, grazie per
l’interessamento»
“Ma proprio non ti riesce di essere gentile?” la
sua
vocina tornò alla carica, tant’è che
per qualche secondo credette davvero
di possedere due personalità distinte.
«Non ti chiederò com’è andata
la chiacchierata con
Aralia visto lo stato in cui versi
però…» N parve prendere fiato
«Vorrei
parlarti anche io»
Le belle notizie in quella lunga giornata non volevano
proprio finire a quanto pareva.
La brunetta si strofinò gli occhi e solo in quel
momento si accorse di essere ancora sotto la pioggia.
«Ti spiace se ne parliamo al coperto?»
domandò
retoricamente vedendo che anche il ragazzo era fradicio.
Fu proprio in quel momento che gli occhi del Principe
incontrarono quelli della Campionessa e per la prima volta lui si rese
conto
del dolore che riflettevano.
C’era un mare di preoccupazioni in quello sguardo che
a momenti si rischiava di annegarcisi dentro. N vide la
fragilità che rifletteva
quella ragazza e capì che era arrivata al limite.
Scosse la testa sospirando e mormorò qualcosa tra
sé
di impercettibile.
«Che hai detto?» chiese lei confusa.
«Sono un egoista, tu non stai passando un bel momento
e io voglio caricarti di ulteriori preoccupazioni, scusa»
Touko non rispose e rimase lì a pensare con che
dolcezza il ragazzo le volesse risparmiare ulteriori pensieri. Mai
nessuno si
era preoccupato per come stava, o si era premurato di non stressarla in
eccesso.
«Avanti, non farti pregare. Di che favore parlavi
prima?»
Nonostante il tono svogliato della brunetta, N si
accorse che il suo era forse il miglior gesto che al momento potesse
fargli e
gliene fu veramente grato.
«Potrei rimanere almeno per un po’ alla Lega, avrei
bisogno di un posto sicuro» mormorò con timidezza.
«Posso chiederti perché?»
Quello di Touko non era ne un assenso né un rifiuto e
questo incoraggiò il ragazzo a proseguire la spiegazione.
«Ghecis mi sta cercando»
La ragazza tremò, ma non per il freddo.
Ghecis.
Quel nome doveva ricomparire sempre.
Aveva sperato di esserselo tolto di mezzo, ma si era
sbagliata. Non aveva assolutamente intenzione di scoprire il
perché l’uomo
stesse cercando N, sapeva che questi erano altri problemi e al momento
non le
servivano.
Perciò si limitò ad annuire e ritornò
con lo sguardo sul
pavimento.
«A-allora?» balbettò lui intimidito.
Touko lo guardò nuovamente.
In piedi di fronte a lei non c’era il Principe che
tempo prima aveva attentato ad Unima, lì era solo un
ragazzo, sotto un
terribile acquazzone, che stava elemosinando il suo aiuto rinnegando il
loro
passato burrascoso. Alla brunetta scappò un sorriso al
pensiero dei cambiamenti
avvenuti in loro durante gli anni trascorsi.
Negli occhi di lui c’era una muta supplica, ma anche
la grossa paura di un rifiuto.
Era sotto scacco eppure...
Ci sono momenti nella vita in cui bisogna lottare per
ciò che si crede, in cui non si può mollare per
nessun motivo, in cui si deve
andare avanti nonostante le insidie.
Poi però ci sono quegli istanti che possono cambiarti
la vita, in cui basterebbe fare un passo indietro e rinunciare
all’orgoglio per
poter riappacificarsi, in cui si può fare un bel gesto e
diventare anche solo
per un secondo una persona migliore.
Quello era uno di quei momenti.
Probabilmente non l’avrebbe mai perdonato, forse
avrebbe fatto fatica a non vederlo come un mostro però lo
avrebbe aiutato,
perché lui sarebbe stato capace di fare lo stesso.
Touko si alzò e gli prese la mano bagnata e ormai
fredda, mentre lui alzava lo sguardo incerto.
«Puoi restare fin quando vuoi, io ti
aiuterò»
E grazie a quelle poche parole il cuore di N si calmò
e preso da un’improvvisa euforia strinse la ragazza con tutta
la forza che
aveva in corpo.
Lei non rispose all’abbraccio ma tuttavia sorrise
fiera del gesto che aveva compiuto e felice di essere stata utile a
qualcuno.
Ma le figure sotto quell’acquazzone estivo a
Quattroventi non erano due ma bensì tre, perché
nascosti tra i cespugli due
tempestosi occhi blu osservavano disgustati la scena, aspettando solo
vendetta.
Touko si gettò l’acqua fredda sul viso nel
tentativo
di svegliarsi del tutto. Buttò uno sguardo allo specchio e
vide una ragazza
dalle occhiaie peste e i capelli completamente spettinati. Erano ormai
tre
giorni che non dormiva bene, svegliata da incubi la cui maggior parte
finivano
con Unima rasa al suolo o sprofondata negli abissi più
profondi.
Aprì le tende della sua camera costatando che un bel
sole brillava limpido nel cielo quel giorno, un tempo perfetto per
andare a
trovare Zania.
Si vestì di fretta e scese rapidamente le scale pronta
ad uscire quando batté contro qualcosa. O meglio qualcuno.
«Buongiorno Campionessa, dormito bene?»
Lei non se ne era ancora abituata, ma N si era
rifugiato alla Lega da tre giorni ormai e ciò a volte la
snervava essendo
abituata alla solitudine più totale.
«No, grazie» rispose frettolosa senza premurarsi di
essere gentile.
«La tua empatia, Touko, a volte fa paura»
Lei in tutta risposta alzò il pollice in segno di
assenso e senza voltarsi minimamente per guardarlo uscì di
corsa.
L’aria umida del mattino le accarezzò la faccia,
mentre senza troppi complimenti fece uscire Zekrom dalla Ball e ci
saltò su,
pronta al decollo.
Non appena sentì il vento sferzarle i capelli
appoggiò
la faccia sul dorso del leggendario mentre gli ordinava la
destinazione:
Levantopoli.
Come città era abbastanza distante perciò decise
di approfittarne
per chiudere un po’ gli occhi e magari recuperare un
po’ il sonno perso. In
cielo non c’era il minimo rumore così Touko
tentò di rilassarsi e riprendere
fiato.
Stava così bene quando ad un tratto urla disumane le
arrivarono all’orecchio. Alzò di scattò
la testa, ma ciò che vide era solamente
il paesaggio tranquillo della regione sotto di lei. “Bene ora
ho anche gli
incubi da sveglia” pensò frustrata, mentre tentava
di posizionarsi più
comodamente sul dorso del Pokémon.
A nulla valsero i tentativi di rilassarsi e a Levantopoli
ci arrivò più stressata che in partenza. Per di
più la chiacchierata con Zania
non si prospettava affatto semplice e Touko non poteva in alcun modo
prevedere
la reazione che avrebbe avuto la scienziata una volta incontrata.
Camminò nervosa per le strade della cittadina fino ad
arrivare al grande edificio al cui interno si trovava il laboratorio.
Prese
l’ascensore per far prima, ma la salita le parve eterna.
Finalmente arrivò al piano richiesto ed entrò
nello
studio che le sembrò ancor più ordinato del
solito. Tutte le apparecchiature di
Zania erano al loro posto, segno che non aveva ricevuto lo stesso
trattamento
di Aralia, e la donna stava in piedi vicino ad un macchinario intenta a
controllarne i dati.
Touko si schiarì la voce per catturare
l’attenzione
della Scienziata la quale si voltò disorientata e per un
breve istante la
brunetta vide nei suoi occhi un’ombra di paura.
«Salve Zania» salutò educatamente
valutando che
l’approccio gentile sarebbe risultato migliore.
«Buongiorno Touko, come mai così
mattiniera?» esclamò
lei sorridente facendola accomodare nello studio.
«Volevo fare un salto qui» sorrise Touko accettando
di
buon grado il vassoio di biscotti che la donna le stava offrendo. Per
la fretta
si era dimenticata di far colazione.
«Ne sono felice»
Quella più che una conversazione pareva una recita tra
due attrici consumate dall’età, condita da sorrisi
mielati e occhiate
sprezzanti.
«A cosa lavori di bello?» si finse interessata la
ragazza notando un tremito nella mano della donna.
«Oh, nulla di che. Sono solo dati di stupide ricerche
che sto conducendo»
«Una scienziata non dovrebbe mai giudicare le sue
ricerche “stupide”» insinuò
Touko sempre con il sorriso sulle labbra.
Zania poteva essere chiamata in molti modi ma di certo
non era una stupida e aveva capito sin da subito il motivo della vista
della
Campionessa.
«Qual è il vero motivo per cui sei qui?»
chiese dunque
freddamente.
«Ho parlato con Aralia di recente…»
La donna si bloccò di colpo portandosi la mano alla
bocca e iniziando a mangiucchiarsi le unghie. Non era possibile che
quella
stolta le avesse raccontato tutto, eppure dall’espressione
della ragazza pareva
proprio il contrario.
«E cosa ti avrebbe detto?» domandò
titubante mentre a
piccoli passi si dirigeva verso l’ascensore.
«Dovresti saperlo» rispose Touko lasciandosi
distrarre
da un plico di fogli poggiati sul tavolo.
Eccolo, era quello il momento. Senza pensarci due
volte Zania schizzò verso l’ascensore premendo
ripetutamente i tasti per far
chiudere le porte.
La brunetta si accorse troppo tardi del tentativo di
fuga della donna, ormai le porte si erano irrimediabilmente chiuse.
Prese di corsa le
scale e scese a rotta di collo
fino alla hall, ma lì notò con dispiacere che
l’ascensore era già arrivato.
Uscì affannata in strada e intravide una camice bianco
farsi largo tra la folla. Partì all’inseguimento
urtando chiunque si trovasse
per sbaglio nel suo cammino, preoccupandosi solo di non perdere di
vista Zania.
La vide dirigersi verso il Cantiere dei sogni e dunque la
seguì all’interno ma
subito si trovò la strada sbarrata da alberi.
«Samurott, usa Taglio» disse prontamente facendo
uscire il suo compagno dalla Pokéball, mentre si chiedeva
come avesse fatto
Zania a passare.
Il Cantiere era una specie di labirinto pieno di
luoghi ideali per nascondersi e la ragazza entrò nel panico
mentre spaesata
cercava la presenza della fuggitiva.
Si concentrò su ogni minimo rumore e ad un tratto
sentì il gracchiare di un Braviary sopra di lei.
Salì in fretta le scale semi cadenti in tempo per
vedere la donna prendere il volo con il suo Pokémon mentre
ordinava a Musharna
di attaccare.
Touko non ebbe nemmeno il tempo di difendersi che
Samurott le si mise davanti per parare il colpo. Il piano su cui
stavano tremò
non poco e la brunetta alzando lo sguardo vide che la Scienziata era
già lontana.
Avrebbe potuto seguirla con Zekrom, ma così facendo avrebbe
scatenato una guerra
nei cieli e l’ultima cosa che voleva era essere additata come
una persona
“violenta”. Zania infatti era stimata da molti al
contrario di lei e non aveva
intenzione di tirarsi dietro ulteriori antipatie da parte della gente
che con
tutta probabilità avrebbe assistito alla battaglia.
Scese a terra, finalmente al riparo da un eventuale
caduta, vista la mancanza di ringhiere nel Cantiere e non appena
giù batté con
stizza il piede sul terreno. Se l’era fatta sfuggire.
Sbuffando prese il Pokégear e contattò Belle, la
quale
rispose immediatamente.
«Belle, dirigiti alla Lega, subito»
«Certo Touko, ma perché?» chiese la
bionda
evidentemente destabilizzata da una simile richiesta.
«Devo parlarti, ci vediamo lì»
spiegò frettolosamente
Touko chiudendo con velocità la chiamata.
Fece nuovamente uscire Zekrom, richiamando a sé
Samurott, e rimontò sul suo dorso, pronta a tornare alla
Lega.
Il viaggio durò meno del previsto, probabilmente
persino il leggendario aveva intuito lo stato d’animo della
Campionessa e si
era velocizzato per lei.
Non appena la brunetta entrò nella sala principale vi
trovò Belle, N e Aralia che l’aspettavano.
La ragazza si toccò le tempie per raccogliere i
pensieri, preparandosi a spiegare tutto ciò che era successo
in quei pochi
giorni ma qualcosa la interruppe.
Era un suono leggero e ripetitivo che man mano si
faceva sempre più forte. Dapprima preoccupata Touko si
accorse che il rumore
proveniva dal portone e perciò gli si avvicinò
titubante. Lo aprì leggermente e
accostò il volto alla fessura per vedere chi mai avesse
bussato e la figura di
un ragazzo dai capelli neri e occhiali gli si parò davanti.
Komor.
Quella era una benedizione perché lui sapeva sempre la
cosa giusta da fare e sicuramente l’avrebbe aiutata anche
quella volta.
Spalancò la porta felice del suo inaspettato arrivo,
ma per poco non cadde dallo spavento vedendo dietro al ragazzo la
figura di
Nardo che la guardava dall’alto. La strana coppia
entrò senza proferire parola,
mentre Touko indietreggiava leggermente spaventata alla vista
dell’ex Campione.
Finalmente dopo qualche istante di silenzio Komor si
decise a parlare.
«Touko, io sono qui per sfidarti»
Più in confusione che mai la ragazza si preparò a
chiedere spiegazioni quando il suo Pokégear
suonò. Nardo sbuffò commentando la
“poca professionalità” della Campionessa
così lei distrattamente rifiutò la
chiamata cercando di concentrarsi sui suoi nuovi ospiti, ma esso
riprese a
suonare.
Infastidita lo tirò fuori dalla tasca e lesse il
numero di Camilla. Senza pensarci due volte rispose domandandosi il
perché di
quella telefonata, ma la voce dall’altro lato della cornetta
la stordì.
«Touko, aiuto! Spiraia è sotto attacco».
La Cioccolateria di
Guna
Salve gente ecco a voi l’undicesimo
capitolo (è
l’undicesimo vero?).
Ammetto che è un po’ di passaggio, ma nel prossimo
ci
sarà più azione, ve l’assicuro.
Suppongo di pubblicare il prossimo come sempre tra due
settimane, ma nel caso in montagna non prendesse internet non
preoccupatevi,
arriverà comunque. Poi boh, forse una one shot di Natale la
scriverò (strane
idee che girano nella mia mente), ma è tutto relativo.
Spero come sempre che il capitolo non vi abbia deluso
e ringrazio Zoichi Kuronin, Andy Black per le recensioni e Rovo (ormai
per me
questo è il suo nick) che si sta leggendo capitolo per
capitolo la storia.
Apprezzo il coraggio!
Beh
un saluto (anche a voi che leggete in silenzio) e al prossimo capitolo!
|
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Capitolo 12 *** Pensieri velenosi ***
Pensieri velenosi
Il
Pokégear le cadde dalle mani ancor prima che la
chiamata venisse interrotta.
Il tempo parve fermarsi di colpo e Touko si sentì
completamente mancare di ogni forza e fu obbligata ad appoggiarsi al
muro più
vicino.
Spiraria era sotto attacco.
Le sue più grandi paure si stavano concretizzando. Non
ci voleva un genio infatti per capire chi fosse il responsabile di
ciò. Il Team
Plasma aveva fatto il primo passo e in cuor suo la brunetta sapeva che
non
sarebbe affatto stato l’ultimo. Il grande piano di Ghecis
stava avendo inizio e
serviva una personalità forte per fermarlo.
E invece eccola lì la grande Campionessa, pallida come
un lenzuolo e tremante come un agnellino vicino ad un lupo. Ora era
obbligata
ad andare a salvare la situazione nonostante non volesse muovere un
passo.
«Touko, tutto bene?» le chiese Belle avvicinandosi.
La ragazza scosse lentamente la testa, mentre teneva
gli occhi fissi su N.
«Il Team Plasma sta attaccando Spiraria» disse
tutto
d’un fiato.
Nella sala calò un silenzio assoluto, carico
d’ansia
per chi come N e Aralia conoscevano la situazione, pregno di
curiosità per
Belle, Komor e Nardo che erano all’oscuro di tutto.
«Mi sembra una buona occasione per far vedere quanto
vali come Campionessa» esordì apatico
l’ex Campione.
«Nardo…»
«Non hai sempre desiderato questo?»
«Smettila, sai bene che non è
così!» sbottò la ragazza
infuriata.
«Calmatevi» cercò di intermediare N, ma
senza
successo.
«E poi sentiamo, perché tu e Komor sareste venuti
qui?»
«Mi sembra non sia il momento adatto per parlarne»
si
intromise il moro.
«Te lo ha già detto lui»
continuò Nardo.
«Basta» urlò Aralia, stanca di quella
discussione «Mi
sembra che ora ci siano cose ben più importanti a cui
pensare»
Era vero, una cittadina pacifica come Spiraria non
aveva certo le difese necessarie per fermare un attacco e Camilla da
sola non
sarebbe bastata.
«Sì, la Professoressa ha ragione, io devo
andare»
«Touko, non puoi farcela da sola»
obiettò N.
«Grazie per la fiducia…»
«N non ha tutti i torti, potresti aver bisogno di un
aiuto»
La brunetta sbuffò contrariata. Non voleva mettere
altre persone in pericolo.
«Una Campionessa dovrebbe riuscire a gestire queste
situazioni senza l’aiuto altrui» mormorò
Nardo e per la prima volta Touko fu
d’accordo con lui.
Meno gente c’era, meglio era e meno doveva
preoccuparsi.
«Niente da fare, io vengo con te»
affermò convinta Belle.
«No, tu rimani qui» la fermò Komor.
«Io voglio aiutare, non ho intenzione di starmene con
le mani in mano»
«Potresti rimanere ferita…»
«Ce la posso fare»
Quelle erano le volte in cui Touko desiderava
ardentemente di poter mollare un sonoro ceffone a Belle. Si comportava
come una
bambina e non riusciva a capire che venendo avrebbe solo creato guai.
«Ok, potrai venire solo se una volta arrivati farai
esattamente ciò che ti dirò io»
s’impose la Campionessa, cercando di tagliare
corto.
«Perfetto» trillò la bionda soddisfatta.
«Vengo anche io» si offrì Komor
volenteroso.
«Bene e tu Nardo…»
«Neanche morto, io non ti aiuterò»
La cattiveria con cui le rivolgeva ogni singola
parola, come se sputasse veleno ogni qual volta la vedeva, faceva
soffrire Touko
in maniera terribile . Che mai aveva fatto di male?
Non riusciva a spiegarsi l’odio di Nardo nei suoi
confronti e non era nemmeno tanto sicura di volerlo capire.
Scosse la testa affranta e si avvicinò nuovamente alla
porta desiderosa di uscire.
«Non starai dimenticando qualcuno?» chiese N
raggiungendola.
«No, tu stai qui»
«Perché? Posso essere utile, io ho
Reshiram»
«Non importa, il Team Plasma ti cerca, perciò
è più
sicuro per te rimanere qui»
«Tu non puoi deciderlo, spetta a me scegliere»
disse
con astio il ragazzo.
«N! Sei impossibile» sospirò contrariata
la brunetta
«Tu rimarrai qui perché l’ho deciso
io»
«Io voglio solo aiutare i
Pokémon…»
«No!» Touko, già nervosa di suo, stava
completamente
perdendo le staffe.
«Sembri Ghecis in questo momento!»
Troppo tardi N si accorse di ciò che aveva detto con
tanta cattiveria. L’aveva paragonata a quel mostro nonostante
lei stesse
cercando di proteggerlo. La vide abbassare lo sguardo, ferita da quelle
parole
ma non riuscì a scusarsi. Era ancora arrabbiato e
ciò gli impediva di fare un
solo passo indietro.
«Probabilmente è così»
sussurrò lei indietreggiando.
Il ragazzo la guardò nuovamente, ma le scuse non gli
venivano. Era talmente sicuro di aver ragione che non gli importava che
lei
stesse soffrendo. Così preso da un impeto d’ira si
girò bruscamente e senza
rivolgerle parola salì verso la stanza a lui adibita.
Touko lo seguì con lo sguardo, speranzosa nel vederlo
tornare indietro per scusarsi, ma ciò non accadde. Quando
lui scomparve dalla
sua vista anche lei si girò verso il portone con i suoi due
amici al seguito.
Fece uscire nuovamente Zekrom pronta a riprendere il volo e
aiutò Belle a
salire sul dorso del leggendario.
Poi con una leggera pacca lo fece decollare, mentre
sentiva da lontano la voce di Nardo che sussurrava
“Complimenti Touko, un
successo su tutta la linea”.
Spiraria
era forse una delle maggiori attrazioni
turistiche ad Unima.
Le sue spiagge candide, le ville sfarzose e il mare
cristallino la rendevano una delle città più
belle della regione, senza contare
che le rovine subacquee richiamavano numerosi studiosi e appassionati
di
archeologia. Insomma quel luogo era sempre stato un paradiso, ben
diverso dalla
cittadina distrutta e fumante che si presentava ora agli occhi di Touko.
«C-che diamine è successo qui?»
domandò intimorita
Belle.
«Non credo sia finita…»
mormorò per tutta risposta
Komor indicando un Garbodor nemico a pochi metri di distanza da loro.
La brunetta non riuscì ad articolare parola, talmente
era occupata a cercare Camilla con lo sguardo. In mezzo a quel
finimondo di
gente che correva tentando di mettersi in salvo, della bionda
Campionessa non
c’era la minima traccia.
Touko iniziò a pensare alle peggiori cose che potessero
essere successe. Forse era arrivata troppo tardi e il Team Plasma le
aveva già
fatto qualcosa…
«Lì!» urlò Komor cercando di
sovrastare il frastuono
che umani e Pokémon causavano.
Il moro stava indicando una figura vicino alla riva
così la ragazza non perse tempo ed iniziò a
correre in quella direzione.
«Camilla» chiamò affannata, mentre
quest’ultima si
girava.
«Touko, grazie al cielo sei qui!»
«Già, benvenuta Campionessa» disse una
voce alle sue
spalle.
La brunetta si voltò e vide avvicinarsi una ragazza
bionda, completamente vestita di nero che con un grande occhio ceruleo
la
squadrava da capo a piedi.
Una terrificante cicatrice le attraversava il volto,
cosa che colpì molto Touko. Era convinta di non averla mai
incontrata prima.
«Tu chi sei?» chiese freddamente, tornando ad
indossare la maschera di impassibilità che tanto la
caratterizzava.
«Adelaide, è un piacere incontrarti»
Il sorriso della ragazza era un qualcosa di
completamente folle.
A seguito un elegante Liepard la seguiva docile,
mentre Touko adocchiò un’altra recluta poco
distante da loro. Non si
prospettava uno scontro alla pari.
La brunetta non perse tempo e con fare deciso prese la
Pokéball di Samurott, facendo uscire il suo compagno.
«Ehi calma, chi ti dice che io voglia lottare?»
chiese
svogliatamente la bionda.
«Il fatto che tu abbia distrutto un’intera
cittadina»
«Magari voglio solo parlarti»
«Parla allora» mormorò Touko a denti
stretti mentre
osservava lo Stoutland e l’Emboar dei suoi amici cercare di
intrattenere altre
reclute.
«Il grande Ghecis ha un piano, lo sai?»
La brunetta annuì.
«Però è qualcosa di così
grande che per funzionare ha
bisogno di qualcosa…»
«Cosa?» sbottò impaziente la Campionessa
sotto lo
sguardo terrificato di Camilla.
«Non te lo dico!» esclamò con
divertimento Adelaide.
Quella ragazza faceva sembrare la conversazione come
uno stupido gioco e Touko arrivò alla conclusione che fosse
con molta
probabilità “toccata mentalmente”.
Respirò a fondo. Tutto quella faccenda le sembrava
oltremodo ridicola.
«Liepard, perché non usi Sbigoattacco?»
La brunetta alzò la testa di scatto, senza riuscire a
contrattaccare e Samurott venne colpito in pieno. Di fronte alla
reazione della
Campionessa, Adelaide rise di gusto.
«Forse una lotta ci sta, che ne dici?» e senza
darle
tempo di rispondere ordinò un altro Sbigoattacco.
Stavolta Samurott riuscì con fortuna ad intercettarlo
con Conchilama, mentre la bionda continuava a ridere.
«Vendetta!» ordinò Touko, indispettita
dalla poca
lealtà dell’avversario.
«Garanzia»
Liepard attaccò ad una velocità sorprendente,
colpendo
il Pokémon Dignità che però
riuscì a contrattaccare.
«Nottesferza» biascicò Adelaide
contrariata, mentre
delle lame d’ombra schizzavano verso Samurott.
Quest’ultimo le evitò per un
soffio provocando maggior irritazione da parte della bionda.
La brunetta era colpita dalla velocità con cui
l’avversaria ordinava le mosse la suo Pokémon,
quasi senza dargli respiro.
Sparava in sequenza attacchi su attacchi mirati ad indebolire Samurott
e dava
poca importanza alla vittoria.
Sembrava che stesse temporeggiando.
«Forza, usa Conchilama» gridò Touko
proteggendosi
dalla sabbia che si era alzata durante lo scontro.
In cuor suo sperava che il colpo andasse a segno
cosicché la difesa dell’avversario calasse. Era
l’unico modo per riuscire a
battere Adelaide.
Liepard però contrattaccò nuovamente con Garanzia
e lo
scontò tra le due mosse finì alla pari.
«Usa ancora Nottesferza»
Questa volta Samurott non fu in grado di evitare
l’attacco che lo colpì in pieno facendolo
vacillare. Era ancora provato dallo
Sbigoattacco di prima che gli aveva confuso i sensi e lo faceva
barcollare.
«Usa Idrondata!»
Il Pokèmon dignità attaccò con tutta
la rabbia che
aveva in corpo ma Liepard balzò agilmente sopra degli scogli
per poi proseguire
il suo percorso verso il mare aperto.
Touko si stupì nel vedere il Pokémon Sanguefreddo
allontanarsi sempre più dalla riva e arrivare
all’ultimo scoglio, distante
circa una decina di metri da loro.
«Che cosa stupida…» mormorò
la brunetta «Samurott,
entra in acqua e raggiungilo»
Diede una fugace occhiata per vedere la situazione dei
suoi amici e notò con sospetto che la recluta che aveva
visto prima era
sparita.
«Camilla, mi aiuteresti con Milotic?» chiese poi
rivolta alla Campionessa di Sinnoh.
«Oh, le abbiamo rubato tutti i Pokémon»
si intromise
Adelaide sempre più divertita.
«Scusa Touko, ho cercato di difendere la cittadina,
ma…» Camilla sembrava imbarazzata.
«Potrai spiegarmi tutto dopo » la
liquidò la ragazza.
Poi si volse in direzione dello scontro e vide che il
suo Pokémon era arrivato ormai in prossimità
dell’avversario. Con un sorriso di
trionfo nelle labbra, ordinò un poderoso Idropompa, certa
dell’aiuto che le
avrebbe dato anche l’ambiente marino.
«Liepard, Protezione»
«Usa ancora Idrpompa Samurott!»
Sorprendentemente l’avversario non provò nemmeno a
schivare il colpo che andò a segno facendolo traballare
pericolosamente.
«Ora!» esclamò Adelaide.
Una poltiglia violacea iniziò ad espandersi a macchia
d’olio nell’acqua cristallina della baia di
Spiraria. Alcuni Pokémon, che incautamente si trovavano
vicino alla riva, vennero a galla e Touko li vide
terribilmente indeboliti.
«Usa ancora Fango» urlò una voce
sconosciuta che emerse
dagli scogli vicini, mentre un Garbodor inquinava l’acqua con
il suo veleno. Touko
notò con rabbia che la recluta che aveva impartito
l’ordine era proprio quella
che aveva notato in precedenza.
Liepard era tranquillo e al sicuro sopra lo scoglio in
cui si trovava ma lo stesso non si poteva dire dei Pokémon
acquatici.
«Samurott…» biascicò allora
la brunetta vedendo il suo
compagno dimenarsi nel tentativo di tornare sulla terra ferma. Era
troppo
indebolito e lontano, non ce l’avrebbe mai fatta.
Fu distratta da l’urlo strozzato di Camilla e si
portò
le mani alla bocca inorridita quando vide una dozzina di Garbodor
circondare i
confini della città.
Alcuni abitanti erano in salvo, ma altri si trovavano
ancora nelle strade, intrappolati dai Pokémon e incapaci di
difendersi.
Anche Komor e Belle erano ormai alle strette, l’Emboar
della bionda era esausto a terra mentre il ragazzo si teneva il braccio
dal
quale Touko riuscì a scorgere una profonda ferita
«Cosa volete fare?» la voce della ragazza
tremò nel
pronunciare queste parole.
Il suo fidato Samurott era ancora in acqua che si
dibatteva e lottava cercando di non cadere avvelenato in uno stato di incoscienza. In quel
caso per lui sarebbe
stata la fine.
«Scegli Touko, o Samurott o Spiraria»
Già, perché di questo si trattava. Se lei avesse
cercato di salvare
il suo compagno, con
tutta probabilità i Garbodor avrebbero attaccato e allora
per Spiraria non ci
sarebbe stato scampo.
Dall’altra parte però Samurott rischiava la morte
e la
ragazza non poteva permetterlo.
“Ormai la città è distrutta, tu non riusciresti a
salvarla” si convinse e guardò
negli occhi Camilla. In quelle iridi azzurre Touko vide il gesto che
stava per
compiere, ma in quel momento non le importò.
Qualcosa scattò nella sua mente, una strana sensazione
che mai aveva provato, una confusione che la destabilizzò di
colpo. Seguendo
questo istinto, come un automa si tuffò in acqua e, nuotando
tra il veleno,
raggiunse Samurott, ormai allo stremo.
Riuscì a sentire solo il fischio di qualche recluta e
vide un attacco simultaneo dei dodici Garbodor. Stavano usando
Autodistruzione.
Un terribile fragore si espanse nell’aria costringendo
la ragazza a immergersi sott’acqua per proteggersi
dall’onda d’urto provocata.
Poi, inconsapevole di ciò che stava facendo, Touko
riemerse e somministrò l’antidoto a Samurott.
Salì così sul suo dorso e lo
spronò a partire al largo.
Il rumore delle esplosioni era sempre più forte, segno
che l’attacco del Team Plasma non era ancora terminato, ma
alla brunetta poco
importò.
Si tappò le orecchie per non sentire le grida della
gente e chiuse gli occhi decisa
non
voltarsi. Non voleva vedere ciò che stava succedendo, tutta
quella faccenda era
troppo irreale.
Si aggrappò saldamente al suo Pokémon.
Perché mai stava scappando?
Touko
si trascinò a riva tremando come una foglia.
Si inginocchio sulla sabbia tiepida e trattenne un
conato di vomito.
Cosa aveva fatto?
Era stata un mostro, aveva abbandonato Spiraria al suo
destino senza riuscire a far nulla. Con tutta probabilità
era morta anche della
gente che ora si poteva trovare sotto le macerie della
città. Persone con una
famiglia, bambini e anche Pokémon.
Al terzo conato la ragazza cedette squassata da
tremiti incontrollabili, sotto gli occhi tristi di Samurott. Sembrava
che anche
il suo compagno fosse a conoscenza della situazione o si sentisse in
qualche modo
colpevole tant’è che le si avvicinò
cauto e le accarezzò la spalla con il muso.
Le lacrime di Touko però non volevano fermarsi e i
suoi occhi erano puntati verso le mani che tremavano febbrilmente.
«Che ho fatto, che ho fatto?» continuava a ripetere
disperata,
mentre abbracciava di slancio Samurott.
Solo in lui riusciva a trovare conforto e a sentirsi
protetta. Abbracciandolo le sembrava quasi di tornare indietro, ai
giorni più
felici e le pareva che tutta quella strage non fosse mai successa.
Ancora non riusciva a spiegarsi il perché delle sue
azioni. Solitamente non era soggetta ad attacchi di panico e un tempo
sicuramente avrebbe dato il tutto e per tutto al solo scopo di fermare
il Team
Plasma. Invece era scappata, aveva abbandonato il campo di battaglia
senza
tentare nemmeno di difendere i superstiti.
La gente aveva ragione, lei non era adatta a quel
ruolo. Al solo pensiero altre calde lacrime tornarono a solcarle le
guance
arrossate dalla tristezza e presa dallo sconforto strinse maggiormente
il collo
di Samurott.
Dopo qualche interminabile minuto si staccò dal suo
compagno cercando di calmare i singhiozzi e si guardò per la
prima volta
attorno.
Il Pokémon Dignità l’aveva portata in
una piccola
striscia di sabbia a ridosso di un precipizio, evidentemente non si
erano
allontanati molto da Spiraria.
Provò ad alzarsi ma le gambe le cedettero e lei
rovinò
sulla sabbia, nuovamente in ginocchio.
Prese il Pokégear e tentò di farlo partire.
Funzionava
a malapena ma cercò comunque di chiamare Belle. Al primo
squillo però ne seguì
una lieve vibrazione e l’apparecchio si spense tutto
d’un colpo, evidentemente
rovinato dall’acqua.
La ragazza guardò nuovamente Samurott che stava vicino
alla riva intento a fissare l’orizzonte e stanca gli si
sedette vicino.
Il sole era alto nel cielo, ma l’adrenalina che aveva
accumulato man mano diminuì, lasciandola esausta ed
impaurita. In fondo erano
giorni che non dormiva così poggiò la testa sopra
il dorso del Pokémon e chiuse
gli occhi, cercando riparo da quella situazione nel mondo dei sogni e
senza
accorgersene si addormentò.
Ad accoglierla nel sonno non trovò i soliti sogni
tormentati, ma bensì un mare di oscurità e il
nulla più assoluto.
Quando aprì gli occhi fu investita in pieno da una
folata di vento. Il cielo si stava tingendo di rosso e l’ora
del tramonto stava
arrivando.
Pian piano tornò alla realtà e si accorse di
trovarsi
ancora in quella spiaggetta abbandonata.
Con una scrollata svegliò anche Samurott che pareva
aver ripreso le forze.
Guardò ancora verso l’orizzonte e vide una lontana
colonna di fumo alzarsi in direzione sud così
spronò il suo Pokémon a partire.
Doveva assolutamente tornare a Spiraria e affrontare
le conseguenze delle sue azioni. Avrebbe spigato tutto e avrebbe pagato
qualsiasi prezzo le sarebbe stato imposto pur di rimediare al suo
scellerato
gesto.
Mentre Samurott cavalcava l’acqua Touko cercò di
pensare a ciò che avrebbero potuto dirle e si
preparò al peggio.
Non si sarebbe mai aspettata invece l’accoglienza di
Belle che una volta averla vista approdare a riva le era corsa in
contro
commossa e l’aveva abbracciata come se non la vedesse da
secoli.
«Credevamo fossi morta» disse la bionda a
metà tra il
disperato e il sollevato.
«Ci sono state tante vittime?» chiese da parte sua
Touko, allarmata.
«La gente che si trovava vicino al mare è salva,
ma
gran parte è ancora seppellita sotto le
macerie…» rispose la voce di Camilla,
che le si era avvicinata silenziosamente «Belle puoi
lasciarci sole?»
La biondina parve delusa, ma obbedì a capo chino
dirigendosi verso un’infermeria di fortuna.
Spiraria era letteralmente rasa al suolo, non un
edificio era stato risparmiato dalla furia dei
Garbodor.
«In molti
ti
credevano morta…» iniziò Camilla, ma la
sua voce era fredda e distaccata.
«Io…»
«Non devi spiegarmi nulla, ti ho vista scappare»
«Bene, mi hai risparmiato molta fatica» disse Touko
con voce spenta.
Al momento non le importava del giudizio altrui, il
peggior giudice era dentro di lei che con un martello le picchiava
continuamente in testa. I sensi di colpa la stavano divorando.
«Perché lo hai fatto?» chiese la bionda
con voce
neutra.
«Non te lo so dire»
Entrambe
rivolsero lo sguardo verso il cielo, ormai rossiccio, e Touko
osservò con
attenzione un Wingull volare sopra le loro teste. Se anche lei avesse
avuto le
ali sarebbe volata via per sempre.
«Io, Touko, davvero non ti capisco» una nota di
amarezza
caratterizzava il tono di Camilla «Come hai potuto?»
«Ti dico che non lo so…»
Era la verità, non lo sapeva.
Non le sembrava neanche vero.
Lei doveva essere l’eroe di Unima, non la ragazza che
avrebbe distrutto la regione. Probabilmente quel giorno Zekrom aveva
sbattuto
la testa per scegliere lei come compagna.
Un sonoro ceffone la risvegliò momentaneamente dallo
stato di trance.
«Sei solo una stupida!» Camilla piangeva ed era
fuori
di sé «Tu li avresti potuti salvare
tutti»
Le parole della bionda aprirono nel cuore di Touko una
voragine. Davvero avrebbe avuto qualche speranza?
No, non voleva rimuginarci sopra ulteriormente,
le avrebbe fatto
peggio.
Ora desiderava soltanto che Bellocchio arrivasse e
l’arrestasse
perché dopotutto lei aveva commesso un crimine, a suo parere
imperdonabile.
Magari l’avrebbero privata anche dei suoi
Pokémon…
Improvvisamente si ricordò della lotta di ore prima
così si girò verso Camilla, fermandola.
«Hai detto che il Team Plasma ti ha rubato i
Pokémon»
La bionda parve non sentirla, essendo ancora furiosa
per l’accaduto, ma decise di rispondere comunque alla ragazza.
«Non so spiegarti come, stavo combattendo e d’un
tratto mi sono trovata per terra»
la
Campionessa di Sinnoh corrugò la fronte cercando di
ricordare «avevo consegnato
la mia squadra ad Adelaide, ma non so dirti come»
Un terribile presentimento fece impallidire Touko che
reggendosi al braccio della ragazza le chiese visibilmente scossa
«Dov’era
diretto il Team Plasma?»
Camilla parve sorpresa da quella domanda, ma fece
spallucce e indicò a Nord.
«Oh no!» esclamò Touko.
«Sai ora che ci penso e come se tutto questo» la
bionda aprì il palmo mostrando la cittadina distrutta
«Sia stato fatto per
farti perdere tempo»
Camilla non era affatto una sciocca, ci aveva visto
giusto.
E il Team Plasma si era diretto in direzione della
Lega.
«Quanto tempo fa sono partiti?»
«Circa due ore ormai»
Touko sussultò. Nonostante la difesa presente alle
porte della Lega, aveva assistito alla forza distruttrice di quei pazzi.
Senza nemmeno ringraziare schizzò verso
l’accampamento
di superstiti e si diresse verso quella che sembrava
un’infermiera.
Attorno a lei voci di stupore e meraviglia le
sussurravano lodi, miste a malelingue che la criticavano. Per una volta
però la
brunetta fu in grado di ignorarli e chiese un Pokégear in
prestito.
Chiamò ripetutamente i Superquattro ma nessuno
rispondeva. Frustrata fece uscire Zekrom e si avviò verso
uno spazio sgombro
per decollare.
Fu lì che Belle la raggiunse ansante.
«Dove vai?»
«Devo tornare alla Lega, scusa Belle» la
liquidò
Touko, ma la bionda non demorse.
«Komor è stato ferito»
«Sono sicura che se la caverà» rispose
lei
distrattamente salendo sul dorso del Leggendario.
«Possibile che non ti importi?» sbottò
allora la
biondina «Che hai Touko, i tuoi amici sono in
difficoltà e tu li abbandoni?»
«Anche altra gente è in pericolo adesso, non
essere
egoista!»
«Ti riferisci a N? Quel ragazzo ti ha abbandonato una volta,
credi non lo rifarà più?»
Sì, Touko lo sapeva. L’avrebbe abbandonata
nuovamente
eppure lei doveva aiutarlo.
«Scusa Belle» si limitò a dire
sorridendo tristemente,
crepando per un attimo la sua maschera di freddezza.
Poi in un secondo Zekrom si alzò in volo, pronto a
dirigersi verso la Lega e la brunetta ebbe l’intera visuale
di Spiararia. Avrebbe vomitato ancora se solo non avesse avuto lo
stomaco così vuoto.
Era fragile, debole e tremendamente stanca.
Eppure quella giornata non era ancora finita, il
peggio doveva ancora venire.
La
Cioccolateria di Guna
Non ve lo aspettavate eh?
So che sono in ritardo, la connessione in montagna non
esisteva e non ho potuto pubblicare, ma avevo promesso il nuovo
capitolo perciò
eccomi!
Tra l’altro sono di fretta per vari impegni perciò
questo spazio sarà molto corto.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno supportato fin
ora, leggendo o recensendo e spero che la storia andando avanti non vi
deluda.
Pian pianino la trama si delineerà sempre di più
perciò ci si vede tra due settimane.
Scappo che sono già in ritardo!
Grazie ancora dell’attenzione(?)
|
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Capitolo 13 *** Rapimento ***
Rapimento
Calma
e tranquillità.
Questa era l’atmosfera che regnava all’interno del
salone principale della Lega di Unima in quel tardo pomeriggio.
Il solo rumore che si udiva era il rintocco dei passi
di Touko che, sempre più affannati, si dirigevano verso la
stanza di N.
Quel silenzio non le piaceva.
Con ansia percorse l’intero tragitto arrivando
dinnanzi alla sua porta e con il cuore in gola bussò tre
volte, senza ricevere risposta
alcuna.
Ci riprovò con più forza.
Nessun rumore.
Agitata si decise ad aprirla lentamente e diede una
sbirciata all’interno.
I suoi muscoli le si paralizzarono mentre con sguardo
stupito passava in rassegna l’ambiente. I Superquattro
giacevano inermi a terra
e le loro Pokéball parevano scomparse dalle cinture. La
brunetta si avvicinò a
Mirton con passi incerti e lo scosse leggermente, ma non vi fu nessuna
reazione.
Controllò il pavimento alla ricerca di qualche macchia
di sangue e li rigirò ad uno ad uno temendo di veder
comparire una ferita da un
momento all’altro, ma nulla.
Erano indenni e sembravano… dormire.
Pacifici e beati stavano semplicemente dormendo un
sonno profondo.
La causa poteva presumibilmente essere un attacco Ipnosi
ma allora dove si trovava N?
Ancora più in ansia di prima Touko
schizzò fuori dalla
stanza dirigendosi verso i suoi alloggi, ma nemmeno lì
c’era l’ombra di un
attacco.
Nessun mobile fuori posto, niente di niente. Solo una
tetra oscurità che paradossalmente si stava allargando
sempre di più pure nel
suo cuore.
Non era possibile che il Team Plasma non avesse
lasciato nemmeno un indizio e la cosa la stava facendo andare su tutte
le
furie.
Scese nuovamente nella stanza centrale, proprio di
fronte alla colonna marmorea e la osservò attentamente. Di
norma la piattaforma
interna avrebbe dovuto azionarsi una volta battuti i Superquattro ma
Touko era
convinta che potesse essere manomessa.
Non era assolutamente possibile che alla Lega non ci
fosse anima viva.
Tastò la superfice di marmo freddo alla ricerca del
bottone di sicurezza, istallato tempo prima per qualsiasi evenienza, e
non
appena lo trovò lo premette sollevata.
La colonna si aprì rivelando la pedana mobile, che
lentamente si stava abbassando. Senza dubbio quindi qualcuno era salito.
Montò sulla piattaforma che lenta iniziò a salire
e in
cuor suo si disse che, se mai sarebbe uscita viva da quella situazione,
avrebbe
costruito un ascensore più veloce.
Il viaggiò fu un’agonia e quando finalmente
arrivò al
piano desiderato si trovò di fronte alla porta della sala
adibita alle lotte
della Campionessa.
Prese un respirò profondo ed
entrò cercando di farsi
coraggio.
Quel che vide le mozzò il fiato, mentre come un automa
iniziava a correre verso il corpo di N, riverso a terra.
Anche lui, come i Superquattro sembrava sotto
l’influenza di Ipnosi ma la ragazza non si
tranquillizzò. Si guardò
nervosamente intorno cercando un qualsiasi particolare fuori posto,
quando da
dietro una delle quattro imponenti colonne comparve Adelaide.
Sembrava ridere ma la sua bocca produceva un suono
roco, per nulla cristallino, come se la sua gola fosse stata in qualche
modo
danneggiata.
«Ti stavamo aspettando» sussurrò la
bionda e Touko
vide una decina di reclute uscire allo scoperto, stupita da come si
fossero
riuscite a nascondere così bene.
«Ghecis mi ha chiesto di portargli solo N, ma
sconfiggere la Campionessa è un piacere di cui non voglio
privarmi»
La brunetta la guardava sconcertata mentre la ragazza
avanzava lentamente verso il campo lotta.
«Tu stai scherzando?» la domanda le uscì
improvvisa.
«No, riuscire a catturare Zekrom oltre a Reshiram
sarebbe un bel colpo» Adelaide si sposto un ciuffo biondo
dalla guancia
«Insomma, due piccioni con una fava!».
Touko non poteva, anzi non doveva abbandonare N per
battersi. Era suo compito proteggerlo a tutti i costi, almeno per la
salvezza
di Unima.
Difatti se il ragazzo era così importante per Ghecis
poteva significare solo che quell’uomo voleva usufruire
nuovamente di lui e
questo lei non poteva permetterlo.
Doveva almeno provare a salvare qualcuno e dopo ciò
che aveva fatto a Spiraria quello le sembrava il minimo.
Adelaide batteva impaziente il piede a terra
provocando un fastidioso e cadenzato ticchettio mentre le paure di
Touko sfrecciavano
veloci nella sua testa.
“Provaci” pensò “Casomai la
terrazza è abbastanza
alta…”.
Con un impeto di sicurezza decise di giocare il tutto
e per tutto.
«Se vinco io N rimarrà qui» propose
speranzosa.
Ci fu un leggero brusio da parte delle reclute, che
sembravano impazienti di assistere allo scontro tra il loro capo e la
Campionessa, seguito poi da un borbottio di Adelaide che rapidamente
valutava
la proposta.
Un ghigno sadico le si disegnò in volto mentre con
tranquillità estraeva una Pokèball dalla cintura.
«Certo, assassina».
Al suono di quella parola Touko impallidì. Era
evidente che la sua avversaria voleva giocarla sul piano psicologico,
cosa che
fece infuriare la ragazza.
Abbandonò il corpo di N lì e si diresse a testa
alta
verso il campo.
Non gliela avrebbe mai data vinta.
Era
incredibile come certi cieli illuminati dal sole
si potessero rannuvolare così in fretta, il clima nella
regione di Unima era
davvero strano ed estremamente mutevole. C’era una linea
sottile tra le nubi e
il sole ed entrambi volevano prevalere l’uno su
l’altro.
Anche se, a ben pensarci, era così anche per le anime
delle persone, prima pure e poi sporcate da una vita di delitti.
Era ironica come similitudine, ma qualsiasi anima può
in qualche modo “rannuvolarsi” di fronte a
situazioni che non riesce a gestire.
Un improvviso tanfo di morte accompagnato da una
leggera brezza arrivò di colpo alle narici del ragazzo che
represse una smorfia
di disgusto. Nella baia di Spiraria galleggiavano, ormai inermi, molte
specie
di Pokémon marini mentre una putrida sostanza lambiva la
spiaggia, sporcandola.
Alzò lo sguardo e vide una cittadina completamente
distrutta, al centro di quelle macerie un accampamento di fortuna,
nell’aria il
vento portava dei pianti disperati.
«Sono stupita che tu sia venuto» la voce di Camilla
lo
sorprese «Sapevo che il grande Red di Biancavilla era
approdato qui, ma
sinceramente non ci credevo».
Il corvino sorrise nostalgico voltandosi in direzione
della ragazza. La Campionessa di Sinnoh era bella, molto bella con quei
capelli
biondi e vaporosi e quei glaciali occhi azzurri.
Peccato che tra loro non fosse mai corso buon sangue,
anche perché la bionda poteva essere una degna rivale.
«Cami».
Lei odiava quel diminutivo e lui lo sapeva.
«Hai visto che massacro?» sviò la bionda.
«Il Team Plasma non si ferma di fronte a nulla».
«A dire la verità centra anche Touko».
Il ragazzo rise di gusto, scompigliandosi pigramente i
capelli mentre il cielo si faceva sempre più scuro.
«No, lei non ne sarebbe capace».
L’aveva conosciuta e per quanto fastidiosa potesse
risultare aveva visto una scintilla in lei, sapeva che non avrebbe mai
permesso
un genocidio simile.
Avanzò tra qualche trave cercando di non inciampare
nei resti di una casa crollata e Camilla lo seguì
indispettita.
«Non mi credi?».
«Naturalmente» la sua loquacità si
faceva sentire.
Il corvino sospirò con disappunto pestando quello che
doveva essere Luvdisc morto, sbalzato probabilmente dalle numerose
esplosioni.
«Beh, purtroppo è andata così, e quel
che è peggio…»
la bionda si bloccò in contemporanea con Red. Il ragazzo
pareva aver visto
qualcosa oltre la sommità di uno scoglio.
Si voltò di scatto e prendendo rudemente Camilla per
le spalle le chiese «Dov’è lei
ora?».
La reazione del ragazzo aveva fatto rimanere di stucco
la Campionessa che per qualche secondo non rispose. Poi, sempre
stranita,
indicò la Lega.
«No!» Red sembrava sconvolto.
«Ma che ti prende?».
Camilla ormai non ci capiva più nulla ed era rimasta
scioccata dalla piega che stava avendo la conversazione.
«Devo andare» il ragazzo sembrava preoccupato
«Prima
che sia troppo tardi».
Ogni
passo le sembrava di piombo.
Touko lentamente e faticosamente si avvicinava al
campo lotta con un terribile groppo in gola. Se avesse fallito N
sarebbe stato
portato via e con lui entrambi i leggendari.
Perdere era un
lusso che non poteva permettersi.
«Unfezant» chiamò cercando di darsi
sicurezza.
Non riusciva a spiegarsi la motivazione per cui aveva
scelto proprio quel Pokémon, ma poco le importava. Se
l’istinto le diceva di
fare così, perché mai non seguirlo?
Forse perché il suo istinto poche ore prima aveva
distrutto un’intera cittadina…
Unfezant si librò in volo, disegnando un cerchio
nell’aria per poi tornare a terra vicino alla sua
Allenatrice, emettendo un
verso di incoraggiamento.
Fu il turno di Adelaide che biascicò qualcosa di
incomprensibile e scagliò la Ball in campo. Da essa ne uscì un
Pokémon a forma di spada con uno
scudo dorato tenuto da due esili braccia.
«Che Pokémon è?»
domandò Touko spaesata.
«Aegislash» rispose la bionda con una punta
d’orgoglio.
La brunetta era spiazzata. Non aveva mai visto in vita
sua un Pokémon del genere e non aveva la minima idea di come
scontrarsi o di
che tipo fosse.
«Un viaggetto a Kalos ed ecco il mio pupillo!»
continuò
a sorridere Adelaide, pregustando già la vittoria.
Touko sapeva che Kalos era una regione lontana e
sicuramente aveva il suo fascino, ma mai aveva pensato di informarsi
sulle
varie specie di Pokémon che abitavano lì.
Nemmeno il Pokédex avrebbe potuto aiutarla, anche se,
ad onor del vero, quello che le era stato consegnato anni prima ora con
tutta
probabilità giaceva nelle profondità di qualche
laghetto appartenente alla
Falda Sotterranea.
I suoi momenti di isterismo in passato avevano
provocato incidenti del genere.
«Allora lottiamo o ammiri per qualche ora la bellezza
del mio Pokémon?» Adelaide sembrava più
che impaziente, mentre il suo compagno
aveva un’aria per nulla bonaria.
«Unfezant, facciamogli vedere chi siamo» la
brunetta
si concentrò, tornando al suo solito distaccamento, tattica
mentale che sarebbe
risultata vincente in quella occasione.
«Metaltestata» la precedette la bionda.
Aegislash partì lievitando ad una velocità
sorprendente e, alzando il pesante scudo, tentò di colpire
Unfezant.
Fortunatamente il Pokémon Orgoglio scartò di lato
appena in tempo, mentre la
sua Allenatrice era ancora imbambolata a fissare l’avversario.
Touko lo ringraziò mentalmente e si impose la
concentrazione, cosa che ormai le mancava nelle lotte.
Quella volta doveva dare il meglio di sé, le
distrazioni non erano ammesse.
«Eterelama» ordinò squadrando ogni
singolo movimento
dell’avversario.
«Danzaspada».
Una decina di spade iniziarono a volteggiare attorno
ad Aegislash proteggendolo dalle lame di Unfezant che non lo sfiorarono
nemmeno.
Touko fece per ordinare un ulteriore attacco quando
vide che la mossa Danzaspada persisteva ancora attorno
all’avversario, incrementandone
anche l’attacco.
Non poteva andare per la sottile.
«Vai con Iper Raggio!».
Unfezant caricò il colpo mentre Aegislash annullò
la
mossa, preparandosi alla difesa.
Il primo colpo andò a vuoto, il Pokémon
Spadareale era
ben allenato e schivava in modo a dir poco perfetto gli attacchi ma
Touko
rimarcò.
«Ancora, stavolta gira su te stesso».
Il Pokémon Orgoglio capì il piano della ragazza e
si
innalzò in volo preparando un altro Iper Raggio.
Iniziò a volteggiare sempre più velocemente e in
quel
momento attaccò, liberando un fascio rosso che
colpì varie parti della stanza e
lasciò numerosi segni al suo passaggio.
L’avversario riuscì ad evitare la maggior parte
dei
colpi ma d’un tratto la brunetta lo vide alzare lo scudo
verso il raggio che
rimbalzò via senza causare danni. La ragazza rimase
sbalordita di fronte alla
resistenza di quel semplice oggetto mentre ordinava al compagno di
fermarsi.
In quella maniera avrebbero provocato solo danni e si
sarebbero affaticati per nulla, visti i risultati.
«Sarebbe questo il meglio che sai fare piccola
assassina?».
Di nuovo quella parola, la fiammella che faceva
esplodere l’autocontrollo di Touko. La ragazza
ispirò a fondo e senza nemmeno
rispondere ordinò un poderoso Aeroattacco.
Unfezant si librò maggiormente in aria e cadde in
picchiata ad una velocità sbalorditiva, impossibile da
raggiungere pure da
Aegislash, ma quest’ultimo rimase fermo come in attesa.
Quando il Pokémon
Orgoglio si trovava ormai a qualche metro di distanza si mise in
posizione di
attacco.
«Spadasolenne!» fu il grido ilare di Adelaide.
Il Pokémon Spadareale puntò la sua lama contro
Unfezant e un attimo prima dell’impatto gli si
conficcò addosso, colpendogli
l’ala.
Touko represse una smorfia cercando di mostrarsi calma
mentre dalla ferita del compagno sgorgava copiosamente del sangue.
«Ancora» la voce della bionda era più
divertita che
mai mentre Aegiglash cercava di infierire maggiormente.
«Schiva a destra» urlò la brunetta
«Indietro ora!».
Quell’attacco era certamente molto forte ma aveva la
debolezza di essere lento e abbastanza schivabile. Ciò
comunque poteva aiutare
ma non di certo risolvere la situazione che versava ai limiti della
tragedia:
l’ala di Unfezant era irrimediabilmente andata, quasi
sicuramente non sarebbe
riuscito ad alzarsi in volo di nuovo. Era praticamente esausto ormai.
Touko gli accarezzò il piumaggio preoccupata mentre
Adelaide se la rideva allegramente con le altre reclute che la
idolatravano ai
limiti dell’assurdo.
La ragazza nel frattempo pensava assorta, sfogliava le
sue esperienze passate alla ricerca di una strategia da utilizzare in
un caso
del genere mentre il Pokémon vicino a lei emetteva versi di
puro dolore che le
stringevano il cuore.
D’un tratto però un’idea assurda le
balenò in mente e
Touko sussurrò qualcosa all’orecchio del compagno.
«Pensi di aver già vinto?»
sbottò allora verso la
bionda che era raggiante.
«Ovvio, non credi…» il dito di Adelaide
puntò l’ala di
Unfezant «Come puoi cavartela?».
«Già, forse hai ragione».
«Davvero?» la bionda era stranita.
«Beh naturalmente tu sei più brava».
A quelle parole Adelaide gonfiò il petto con orgoglio
e mosse la mano in segno di frivolezza, apprezzando però le
lodi.
“Bingo” pensò la brunetta mentre pensava
a come
lavorarsela.
Aveva visto subito nell’avversaria una punta di
orgoglio e vanità che ora le sarebbero servite. Di sicuro la
bionda era molto
intelligente ma era pur vero che rimaneva anche umana perciò
Touko forse
avrebbe potuto prendere tempo.
«Ma mi chiedo che cosa faccia una brava Allenatrice
come te al servizio di un uomo come Ghecis» la
provocò.
«Ehi, Ghecis ci farà diventare i padroni di
Unima».
Male, era devota a quella vipera e questo non
facilitava le cose per la Campionessa.
«Giusto e che piano avrebbe?».
Adelaide rise di gusto e con un cenno ordinò anche
alle reclute lo stesso. Era incredibile come obbedissero ai suoi ordini
senza
problemi.
«Credi di poterti prendere gioco di me zucchero?»
la
voce era mielata, ma pregna di falsità.
«No» ammise Touko guardandola nuovamente.
C’era quella cicatrice che l’aveva impressionata
sin
dal loro primo incontro, sembrava così recente e mal
curata… forse poteva
essere il suo asso nella manica.
«Come ti la sei procurata?» alluse la brunetta.
La bionda si sfiorò leggermente la faccia ed un
espressione contrita si dipinse nel suo volto mentre la ragazza vide
passare
del rammarico nel suo sguardo di ghiaccio.
Aveva sofferto dunque, doveva essere una persona che
cercava vendetta ad ogni costo e sicuramente possedeva un invidiabile
sangue
freddo, Touko ci aveva visto giusto. Quello era un argomento che la
rendeva più
fragile.
Adelaide puntò il dito verso N con disprezzo, sputando
a terra in segno di disgusto.
«Lui è il suo Pokémon hanno incendiato
la foresta e
questa…» si toccò nuovamente la
cicatrice «è stata causata dalle fiamme».
La ragazza le rivolse uno sguardo privo di sentimenti
mentre alzava le spalle con un sospiro.
«Avresti dovuto curarla» l’indifferenza
era l’unica
cosa che in quel momento si sentiva nella voce della brunetta.
«Cosa ti importa?».
«Assolutamente nulla».
«E allora perché così tanto
interesse?».
«Mi serviva».
L’espressione di Touko era indecifrabile, un misto tra
trionfo e apatia che allarmò Adelaide.
«Come?» sbottò quest’ultima.
«Per certe cose ci vuole tempo» Touko prese a
camminare
avvicinandosi sempre di più all’avversaria
«Cose importanti».
«Spiegati!».
«Speravo mi dicessi i piani di Ghecis ma va bene
comunque e anzi ti ringrazio».
«Per cosa?».
La Campionessa guardò con studiata lentezza
l’orologio
al suo polso.
«Per il tempo».
In quell’istante un potente raggio passo sopra la
figura della ragazza arrivando a colpire in pieno Aegislash,
spingendolo contro
la parete che crepò al suo impatto.
«Non è possibile!».
Da dietro Unfezant aveva usato Iper Raggio e si era
alzato di due metri da terra, svolazzando seppur con immensa fatica.
Pareva però
aver ripreso un po’ le forze e i suoi occhi erano infiammati
di una nuova luce.
«Merito di Riposo, fa riguadagnare un minimo di
salute, ma ci vuole del tempo» stavolta era Touko a ridere
mentre l’avversaria
rimaneva allibita di fronte all’errore commesso.
Il Pokémon Orgoglio ritornò al suolo mentre
veniva
raggiunto dalla sua Allenatrice che per un momento aveva sorriso di
fronte alla
riuscita del suo piano. La ferita di Unfezant era ancora un problema ma
la
ragazza sentì un moto di speranza nel petto e si volse verso
l’avversaria più
agguerrita che mai.
«Me la paghi questa!» Adelaide digrignava i denti
come
a volerli frantumare mentre il suo Pokémon si riprendeva.
«Non perdiamo tempo, usa ancora Iper Raggio!».
Aegislash alzò lo scudo, non solo parando il colpo ma
rimandandolo pure indietro al mittente.
Touko scartò di lato rotolando a terra mentre con
molta fortuna Unfezant riusciva a schivare la sua stessa mossa.
«Spadasolenne!» urlò la bionda con astio.
La brunetta vide nei suoi occhi un odio sconfinato e
per la prima volta ne ebbe davvero timore, quella ragazza era pronta a
tutto e
non si sarebbe fermata di fronte a nulla.
Aegislash partì all’attacco emettendo un verso di
scherno che fece accapponare la pelle alla ragazza, la quale si
girò verso il
proprio compagno che barcollava provato.
All’ultimo l’avversario cambiò la
traiettoria della
sua levitazione e Touko si accorse con orrore che l’attacco
non era indirizzato
ad Unfezant, ma bensì a lei stessa che si vide arrivare il
Pokémon Spadareale
proprio di fronte.
Quest’ultimo ebbe un attimo di ripensamento prima di
scagliarsi nuovamente su di lei, momento che la ragazza
utilizzò per rotolare
in avanti cercando di scansare il colpo. Se fosse stata colpita sarebbe
potuta
morire.
Aegislash sferrò l’attacco e Touko per un momento
credette di averla scampata.
Poi un urlo di dolore le partì dritto dalla bocca
dello stomaco mentre automaticamente si prendeva il polpaccio dove era
stata
ferita e sentiva il sangue caldo scenderle su tutta la gamba e
sporcarle le
mani. Ebbe la forza di aprire gli occhi per osservare lo stato della
sua gamba
ma ciò che vide la fece sbiancare: la carne era
irrimediabilmente lacerata e
sulla pelle chiara spiccava la zona dove la spada era stata conficcata.
L’intero arto le pulsava in modo terribile mentre sentiva i
sensi che pian
piano l’abbandonavano.
«Perch…» provò a mormorare ma
il dolore era troppo
forte.
Come aveva potuto colpirla, i Pokémon per legge non
possono scagliarsi contro gli umani eppure ora lei era a terra
agonizzante dal
dolore.
«Ah, bene finiamo questa raga…» Adelaide
non fece in
tempo a finire la frase che Unfezant si scagliò verso
l’avversario con un
poderoso Alacciaio allontanandolo dalla sua Allenatrice.
Poi cadde a terra stravolto dallo sforzo e dal sangue
perso, ma ancora cosciente e rivolse il suo sguardo impietosito verso
Touko.
Aegislash nel frattempo preparò un nuovo Spadasolenne
diretto verso lo stomaco della ragazza che lo guardava inerme con gli
occhi
lucidi che sembravano supplicare pietà.
Dunque è così che sarebbe finita.
Sarebbe morta lì, proprio nel luogo in cui tempo prima
si era consumata la sfida finale. Il suo primo pensiero andò
ai suoi amici,
gente che probabilmente non avrebbe pianto la sua scomparsa vista la
presenza
che aveva avuto negli anni passati.
Pensò ad N e a quanto era stata incapace persino a
salvarlo.
Guardò quello che sarebbe stato il suo esecutore e si
rassegnò, se lo meritava dopo tutto ciò che aveva
fatto.
Decise di tenere gli occhi aperti e di vedere da sola
la sua fine e quando il Pokémon alzò la spada
ebbe tanta paura. Gli sembrò quasi di
sentire la lama che le recideva la
carne quando una voce conosciuta proruppe nella stanza.
«Lanciafiamme!».
Un Charizard volò rapidamente verso Aegislash e lo
colpì con delle calde fiamme, mandandolo praticamente al
tappeto.
Touko non riusciva a muoversi tuttavia alzò la testa
in tempo per vedere Red che ordinava un secondo Lanciafiamme verso le
reclute
che arretravano spaventate .
Poi il ragazzo le si avvicinò di corsa e le posò
delicatamente una mano sulla spalla guardandola con apprensione.
Adelaide urlò istericamente ordinando a due reclute di
prendere N mentre il tetto della stanza veniva mandato in frantumi da
un
elicottero del Team Plasma che entrava per prelevare i suoi adepti.
Tutto stava succedendo troppo in fretta, come
pianificato in precedenza.
«N…» mugolò Touko alzandosi a
fatica.
Come facessero le gambe a reggerle rimaneva un
mistero.
«Stai ferma Campionessa» le ordinò
perentorio Red.
«No, salvalo, te ne prego».
Ormai la ragazza piangeva in un misto di rabbia,
impotenza e dolore.
«Non posso, se colpisco l’elicottero
morirà anche lui».
«Salvalo!» la brunetta mosse un ulteriore passo
mentre
N veniva portato sempre più in alto, sempre più
lontano.
Adelaide la fissava vittoriosa appesa alla scaletta
che penzolava da una portiera del mezzo di aviazione, seguita a ruota
da
Aegislash.
«Non farlo andare via!» l’urlo di Touko
era ai limiti
di un attacco isterico mentre Red la guardava comprensivo ma inerme.
Non poteva farci nulla e questo lo urtava.
«Un regalo, zucchero» sussurrò la bionda
prima di
allontanarsi definitivamente e ordinò al suo
Pokémon un ultimo attacco.
Aegislash si diresse a rotta di collo verso un
Unfezant praticamente esausto e gli si conficcò dritto nel
cuore, colpendolo
con crudeltà immensa. Il Pokémon emise un verso
straziante mentre il sangue
macchiava irrimediabilmente le sue morbide piume e il suo cuore cessava
di
battere. Le gambe di Touko cedettero alla vista
di un tale
scempio mentre la ferita tornava a farsi sentire prepotentemente.
Lo stavano portando via, N era ormai perso. Il suo
amato Unfezant era irrimediabilmente morto e lei…
cos’era lei?
La vista le venne meno e cadde sbattendo la fronte nel
pavimento macchiato dal suo stesso sangue. Poi come un automa chiuse
gli occhi,
stanca di quella crudele realtà e smise di lottare.
L’ultima cosa che sentì fu l’urlo
concitato di Red che
le arrivò come un rimbombo lontano e vide Unfezant volare
libero in un fascio
di luce, cantando allegramente.
Avrebbe desiderato ardentemente poterlo raggiungere.
La cioccolateria di Guna
Ed
ecco Red che ricompare!
So di aver fatto felici metà di
voi con questa
apparizione quindi gioite. Poi siate pure tristi perché
Unfezant è morto, ma in
fondo qualcuno doveva pur morire no?
Sinceramente sono soddisfatta di questo
capitolo, cosa
che non è mai successa e che credo non possa succedere
più. Poi alla fine sarà
uno schifo ma io ne sono contenta.
Ok basta rompere le scatole ai lettori Guna,
passiamo
ai ringraziamenti. A Zoichi Kuronin, Andy Black,
Rovo, Allys_Ravenshade
che hanno recesito lo
scorso capitolo e Akitabiba ed Ink Voice che si stanno sorbendo tutto
l’inizio.
Grazie brave persone!
Bueno, un grande saluto a tutti e al prossimo
capitolo.
|
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Capitolo 14 *** Pezzo dopo pezzo ***
Pezzo
dopo pezzo
«Touko!».
Una voce infantile, una voce di bambina, la voce di
Belle.
«Touko?».
Una voce più matura, una voce altezzosa, la voce di
Komor.
«Muoviti Touko».
Questa volta è stata sua madre a chiamarla ed è
comparsa vicino allo stipite della porta di camera sua, le braccia
incrociate e
un sorriso divertito in volto.
«I tuoi amici di stanno aspettando!».
A Soffiolieve la primavera è sempre un’esplosione
di
colori e la città non viene risparmiata nemmeno stavolta. I
bambini corrono sui
prati, calpestando margherite fresche e profumati tulipani, seguono
aquiloni
nel cielo o giocano a pallone.
Touko esce di casa e vede i suoi amici nel prato,
Belle e Komor la salutano ma lei non li raggiunge subito. Si ferma
prima ad
ascoltare il dolce cinguettio di un Pidove appena nato che a terra
prova ad
alzarsi goffamente. Lei lo prende in mano e questo arruffa le piume
spaventato.
Una risata dolce è quella di Touko che vede quel
piccolo batuffolo grigio, così fragile e così
bello. I Pokémon per lei sono delle
creature affascinanti, ma non può possederne. Dicono che
è troppo piccola, ha
solo cinque anni, e lei non vede l’ora di crescere.
Appoggia delicatamente Pidove a terra e volge gli
occhi verso i suoi amici ma questi paiono scomparsi con un soffio di
vento. Il
cielo primaverile si rannuvola di colpo e quando un tuono squassa il
cielo i
suoi piedi iniziano ad affondare nel terreno. Si guarda intorno
smarrita e prova
ad urlare ma la sua bocca non produce alcun suono, si sente paralizzata
e ha
tanta paura.
Cerca Pidove con lo sguardo ma rimane stupita nel
vederlo trasformarsi in un possente Unfezant che la osserva fiero
dall’alto di
un ramo.
Di colpo iniziano a cadere piccole
rocce dal cielo, appuntite come
frecce e calde come lapilli di lava. Lei prova a proteggersi con le
braccia ma
si ferisce e sente le forze colarle a picco. Poco a poco iniziano a
vedersi
piccoli tagli nella sua bianca pelle e il dolore le mozza il fiato.
Dove sono ora i bambini con le loro urla festose che
prima occupavano i prati verdi?
Non capisce più nulla e sta per chiudere gli occhi
quando Unfezant le si avvicina fiducioso e le fa scudo dalla pioggia di
pietre
con il suo corpo, continuando a cinguettare per calmarla. Le lacrime
iniziano a
bagnarle la faccia della ragazza mentre vede il Pokémon
cedere sotto quello
sforzo immane e accasciarsi a terra, morto.
Touko però è ancora lì, immobile sotto
quella pioggia
di lapilli che gradualmente si trasformano in gocce rosse, è
sangue. Sente un
urlo provenire da casa sua ma non può far nulla,
è completamente inutile.
Volge gli occhi verso il cielo e una forte luce la
investe, tirandola fuori a forza da quella falsa dimensione e
riportandola alla
fredda realtà.
Eppure sta continuando a piangere.
Due figure svoltarono il corridoio della Lega, le
teste chine e i volti scavati dalla stanchezza. La Professoressa Aralia
si
scostò un ciuffo di capelli biondi dal viso rifacendosi
approssimativamente
l’acconciatura mentre Red rimase concentrato sul suo percorso
per non perdersi
in quell’immensa costruzione.
«Secondo te è sveglia?»
domandò la donna con una nota
di speranza.
«Non sono io il dottore» la liquidò il
ragazzo che
ultimamente era più nervoso del solito.
I due entrarono nella stanza e si avvicinarono al
letto della Campionessa, la quale però era
tutt’altro che addormentata. Stava stesa
trai cuscini ma aveva gli occhi spalancati verso il soffitto e
sembravano
fissare un punto inesistente.
«Ben svegliata, era ora!» proruppe Red tradendo una
nota di felicità nella voce.
«Quanto ho dormito?» la voce di Touko era spenta e
completamente stravolta.
«Cinque giorni».
La ragazza sospirò e tentò di alzarsi ma venne
bloccata da Aralia.
«Le tue condizioni non ti permettono di muoverti».
Touko fece mente locale, ripescando dal mare di
informazioni che aveva in testa
i
ricordi relativi alla lotta avvenuta giorni prima e di colpo
capì il perché del
dolore alla gamba. Aegislash e la sua irritante Allenatrice.
Chiese allora uno specchio e si toccò la faccia alla
ricerca di eventuali tagli, ma senza risultati. Il volto
però era più pallido
del solito e gli occhi non le rimandavano la solita luce che si
rispecchiava
ogni qualvolta che guardava quella superficie vetrata.
«Ricordi tutto?» questa volta era stato Red a
parlare.
Lei annuì impercettibilmente.
Non poteva di certo dimenticarsi del rapimento di N,
suo ennesimo fallimento e della morte di Unfezant. Al solo pensiero di
quest’ultimo una lacrima di commozione le rigò la
guancia: lui ce l’aveva messa
tutta e si era sacrificato, morendo da eroe, qualcosa che per lei era
ormai
sconosciuto.
Gli occhi le pizzicarono maggiormente ma la brunetta
era decisa a non rendere i due visitatori partecipi del suo pianto.
«Devo uscire» affermò con voce ferma.
«Ma non puoi!» Aralia era parecchio contrariata ma
Red
le fece segno di tacere con la mano e afferrò due stampelle
appoggiate al muro.
«Usa queste almeno».
Touko si stupì della comprensività del ragazzo ma
non
diede a vedere alcun segno di gratitudine e con immensa fatica
cercò di tirarsi
su dal materasso declinando con un cenno qualsiasi tipo
d’aiuto.
Prese le stampelle che il ragazzo le porgeva e iniziò
ad avviarsi verso l’ascensore in assoluto silenzio, sentendo
gli sguardi pressanti
dei due addosso.
Quando finalmente fu fuori dalla Lega ispirò a fondo
l’aria fresca e, vedendo un bel sole illuminare il cielo
sereno, ebbe l’idea di
chiamare a sé Unfezant per volare come un tempo.
Per qualche secondo si perse a cercare la sua Ball
nello zainetto, che aveva avuto premura di prendere, ma poi si rese
conto di
ciò che stava facendo e si bloccò con un groppo
in gola.
Che stupida che era.
Le sue mani presero a tremare e le sue lacrime per un
momento parvero avere la meglio, quando sentì un muso
poggiarsi delicatamente
sulla sua spalla. Charizard la squadrava curioso agitando la grande
coda e
sbattendo pigramente le ali.
«Se devi andare da qualche parte fa che sia lui a
portarti, Zekrom non è conveniente» la raggiunse
la voce di Red.
«Grazie» biascicò lei tremante e con uno
slancio a dir
poco doloroso si issò sopra il Pokémon pronta al
decollo.
Charizard partì e lei si tenne stretta al suo collo,
stranamente impaurita dall’altezza, mentre il suo
accompagnatore la guardava
aspettando di sentire la destinazione.
Per un secondo la mente di Touko fu focalizzata sulle
improvvise e sconosciute vertigini, probabili conseguenze della sua
debolezza
fisica, poi parve riprendersi e iniziò a vedere di fronte a
sé tutti i luoghi
in cui poteva andare.
«Portami alla Foresta Bianca» si limitò
infine a
chiedere.
Durante il viaggio però non poté far a meno di
chiedersi il motivo dello strano sogno fatto e al solo pensiero
rabbrividì:
aveva di certo passato momenti migliori nella sua vita e forse il suo
inconscio
era stanco.
Persa trai suoi pensieri non si accorse di star
volando sopra gli immensi alberi della Foresta Bianca e rimase
meravigliata
alla vista di quel paesaggio pacifico, ottima cura per il suo cuore in
lotta
continua.
Durante l’intera discesa di Charizard Touko trattenne
il respiro e non appena il Pokémon toccò terra
lei poté ispirare l’aria pulita
di quel luogo immacolato.
Un vento leggero muoveva le foglie degli alti fusti
provocando un piacevole suono mentre il vociare allegro di qualche
bambino
rendeva il posto in un certo senso più vivo.
La ragazza raggiunse una panchina dove prese posto con
Charizard che la vegliava da dietro, poi fece uscire Samurott e
Leafeon dalle
Ball.
I suoi due compagni avevano un’aria triste, come se
già sapessero che un loro amico era venuto a mancare,
perciò si strinsero
attorno a lei cercando conforto, sia da dare che da ricevere. Leafeon
cercò di
racimolare qualche carezza, funzione che però lei non era in
grado di offrire.
Finalmente Touko riuscì piangere tutte le amare
lacrime che si era tenuta fino a quel momento e ripensò
ancora agli ultimi
istanti di vita dell’amico: l’attacco e la sua
ultima caduta.
Poco per volta però la tristezza cedette il posto alla
rabbia e lei vide il volto sprezzante di Adelaide sopra
quell’elicottero mentre
si portava via anche N dalla sua vita.
La brunetta non era mai stata un tipo attaccabrighe o
portatrice di particolare odio verso le persone, lei semplicemente le
schiavava
e provava indifferenza per quelle più antipatiche.
Però, al pensiero di
Aegislash che recideva il petto di Unfezant, una sensazione di disgusto
unita a
qualcosa di mai provato prima si fece largo trai suoi pensieri,
intaccando
anche il cuore.
Odiava quella donna e mai, per nessuna ragione al
mondo, l’avrebbe perdonata o avrebbe chiuso un occhio di
fronte al suo gesto.
Improvvisamente sentì dei passettini affrettati e un
Lillipup le corse incontro saltandole in grembo e iniziando a leccarle
docilmente la mano. La ragazza rimase un attimo stranita, fissandolo
torva, per
poi poggiare titubante l’altra mano sul vaporoso pelo del
Pokémon e iniziare ad
accarezzarlo.
A quanto pare era diventata una specie di calamita per
le coccole.
«Lily!» due bambini stavano correndo verso di lei
con
un’espressione spaventata in volto.
«Lily, scendi di lì» disse il
più grande ma il
Lillipup non si mosse di una virgola.
«Stai disturbando…» il più
piccolo venne fermato dal
sorriso incerto della ragazza che provò a rassicurarlo.
«Tranquilli, non dà alcun fastidio»
disse Touko il più
dolcemente possibile.
Il piccolo Pokémon abbaiò felice mentre la
brunetta lo
accarezzava dietro le orecchie e i due bambini la fissavano ammirati.
«Sei brava con loro!» esclamò il
più piccolo indicando
Lillipup.
«Ovvio che è brava Frank, lei è la
Campionessa » si
accorse il più grande con stupore.
«Giusto Marcus!».
La ragazza tremò un secondo cercando poi di sorridere
nuovamente ma con maggior difficolta. L’avevano riconosciuta
e l’ultima cosa
che voleva era essere al centro dell’attenzione, soprattutto
in un momento del
genere.
«Come ti sei fatta male?» chiese allora Marcus, al
che
la brunetta si bloccò bruscamente ed esitò
dubbiosa.
Non poteva raccontare a quei bambini cosa stava
succedendo.
«Non ti sembra ovvio?» squittì allora
Frank «Lei ci ha
salvati!»
Touko rimase di stucco di fronte a quella affermazione
ma non osò obbiettare nulla e anzi, spronò il
bambino a continuare a parlare.
«Lei è forte e ci salva sempre, è la
nostra
Campionessa!» il piccolo volteggiava su se stesso e
sorrideva, felice come non
mai.
«Non temiamo i pericoli con lei!»
continuò
imperterrito.
Anche il più grande sorrise intenerito dal fratellino,
poi volse lo sguardo verso la ragazza e fece per mormorare qualcosa.
«Frank, Marcus!» un urlo isterico lo interruppe e
lo
fece girare verso il vialetto centrale dove una
donna in veste da lavoro si stava avvicinando infuriata.
«Quante volte vi ho detto di non parlare con gli
estranei!»
«Ma mamma lei è la Campionessa!»
trillò Marcus
gioioso.
A quella costatazione la donna sgranò gli occhi e
spalancò di colpo la bocca, in parte sorpresa e in parte
infastidita. Il suo
atteggiamento comunque non presagiva nulla di buono. Touko ne era
spaventata.
«Non importa chi lei sia, andate a giocare nel prato.
Ora!» ordinò lei perentoria, intimidendo persino
la brunetta che senti il peso
del Pokémon scomparire dal suo ventre, mentre questo correva
verso i suoi padroni.
«Mi scusi signora..» la ragazza tentò
l’approccio
educato, decisa a troncare sul nascere qualsiasi discussione.
«Finalmente incontro la famosa Campionessa di
Unima!»
il tono della donna era derisorio e sarcastico, cosa che
ferì non poco la
ragazza.
«Beh…».
«Sai, il loro Lillipup è nuovo come
Pokémon».
«Bene, è bello» sussurrò
Touko incerta.
«Beh il loro scorso compagno è stato rapito dai
Plasma».
Un lampo attraversò la mente della ragazza che
ripensò
a Red, il quale tempo prima le aveva riferito alcune informazioni.
Pokémon
rapiti, mossa fin troppo riconducibile a Ghecis.
La brunetta alzò lo sguardo ma la donna le si
parò
davanti decisa a continuare la conversazione, cosicché lei
rimase seduta in
religioso silenzio.
«Anche mio marito sai, è stato ferito dai
Plasma» la
donna era al limite dell’isterismo.
“Famiglia fortunata” si disse Touko mentre pensava
ad
un modo per usare la stampella come arma nel caso le cose si fossero
complicate.
«E quindi cosa ha fatto la nostra Campionessa?».
«Beh sta indagando… sto
indagando…» quella donna le
faceva uno strano effetto come se…
«Oh, alla buon ora. Dovresti essere più
responsabile,
in fondo è la tua regione».
…Fosse sua madre.
Ecco chi le ricordava, sia nell’atteggiamento sia
nell’aspetto
esteriore.
«Si fidi…» tentò allora di
difendersi.
«No sono stanca, siamo tutti stanchi signorina!».
La brunetta metabolizzò che quella che aveva di fronte
doveva essere per forza di cose una di quelle estremiste che la
detestavano con
tutto il cuore e lei si trovava contro una di queste, mezza immobile a
causa
della ferita.
La giornata poteva andare peggio?
«Ehi Touko!»
A quanto pareva si.
Era stato Komor a parlare ed ora le si stava
avvicinando salutandola.
«Si concentri Campionessa» la donna non voleva
smetterla.
A quel punto la brunetta si stancò di quella paternale
che, anche se meritata, stava diventando noiosa e ridicola
perciò si alzò di
slancio, nonostante le costasse un immane fatica.
«Come ti permetti ragazzina?».
«Ascolti, mi dispiace molto per la sua famiglia ma non
è l’unica in difficoltà. Ora per favore
mi lasci in pace!» sbottò Touko
infastidita dal termine “ragazzina”.
«Ma…».
«Oh, le conviene controllare i suoi figli prima che
parlino con altri estranei» bisbigliò allora la
brunetta al suo orecchio
prendendo possesso della stampella e incamminandosi verso Komor.
Appena gli arrivò vicino però si pentì
immediatamente
dell’azione fatta. Il ragazzo era una delle ultime persone
con cui lei voleva
parlare, ricordava di come fosse entrato alla Lega accompagnato da
Nardo.
Touko, distratta, si sbilanciò leggermente in avanti
perdendo l’equilibrio e si appoggiò prontamente al
braccio di lui che però
emise un verso di stizza.
Solo lì la ragazza si accorse che l’intero arto
era
coperto da una fasciatura e si ricordò di quando lo aveva
visto fugacemente a
Spiraria, a terra ferito.
Poi, novità delle novità, aveva litigato con
Belle.
«Perdonami non mi ricordavo…»
esordì cercando di darsi
un contegno.
Oltre a essere stravolta fisicamente, la sua psiche
era al limite della sopportazione e gli eventi finora accaduti la
stavano
mandando letteralmente in
crisi.
Non era nemmeno riuscita a sfogarsi in pace…
«Tranquilla, neanche tu sei messa meglio» un caldo
sorriso si fece spazio tra la smorfia di dolore di Komor e Touko non
riuscì a
far altro che guardarlo stranita.
Certamente era un sorriso rivolto a lei ma quanto
poteva valere questo gesto? Sarebbe contato dopo ciò che era
successo?
Le domande affollarono la mente già satura della
ragazza che cercò di scacciarle concentrandosi su come
camminare con la
stampella. Quello si che era realmente un problema.
«Ti va se ti offro un succo di bacche?» di nuovo
quella voce cortese.
«Ok» fu la lapidaria risposta della brunetta.
I due si incamminarono lentamente verso lo stand dei
succhi, attirando numerosi sguardi viste le patetiche condizioni
fisiche in cui
versavano.
«Tieni, allontana lo stress» ironizzò
Komor porgendole
un bicchiere dal liquido rossastro.
Sarebbe stato bello se avesse funzionato per davvero.
«Al momento berrei solo per poter dimenticare»
rispose
lei con falsa ironia.
La sua risposta tuttavia echeggiò nella mente del
ragazzo, dilaniandogli il cuore.Sapeva di essere una delle cause del
malcontento della ragazza e se ne rammaricava di continuo.
«Credo che io e te dovremmo parlare».
«Non mi dire Sherlock…» tutta quella
situazione
portava fuori il suo lato sarcastico.
«Per la storia della sfida».
«Oh parli del tradimento con Nardo».
«Lasciami finire!».
«Tenuto conto che devi ancora iniziare…».
«Non era un tradimento, volevo solo batterti».
«Sì, detto così suona decisamente
meglio!».
La ragazza si era già stancata di quell’inutile
conversazione e fece per posare il bicchiere sopra al bancone, ma venne
fermata
da Komor.
«Te ne prego… io non ci so fare… con le
parole».
Touko alzò gli occhi al cielo e soffiò forte col
naso
in segno di disappunto però rimase lì, gli diede
un’ultima possibilità.
«Hai ragione, volevo diventare Campione. Nardo diceva
che avrei potuto farcela e io gli ho dato ascolto».
«Questo non spiega un bel niente!» stavolta la
brunetta
era decisa ad andarsene.
«Andiamo, sai che pensa la gente…»
Il ragazzo si tappò immediatamente la bocca ma
realizzò che era troppo tardi e l’amica aveva
recepito tutto.
Lei si voltò lentamente ma, al contrario di ciò
che
lui credeva, non sembrava arrabbiata, più che altro stanca.
Una strana luce le
attraversava lo sguardo, un qualcosa di spaventoso e anomalo.
«So che pensa…» iniziò
determinata avanzando sempre di
più «E sono arrivata ad un punto di non
ritorno».
«Ovvero?» Komor stava sudando freddo mentre
l’amica
gli puntava i penetranti occhi in volto e continuava ad avvicinarsi
pericolosamente.
«Ho finalmente realizzato che» le fronti dei
ragazzi
si toccarono provocando un ulteriore brivido da parte del corvino
«Non me ne
può fregar di meno!».
Touko aveva scandito ogni singola sillaba in modo
chiaro e cristallino, finendo poi per soffiare sul naso di Komor.
Il ragazzo dalla sua sentiva il cuore battergli
all’impazzata mentre metabolizzava le parole
dell’amica e il suo strano
atteggiamento. Doveva essere veramente arrivata ad un limite.
«Però è stato Nardo a
chiedermelo».
«Tranquillo caro, puoi pure considerare la nostra
amicizia ormai finita».
Di nuovo quella freddezza disarmante, quella smorfia
stanca, quegli occhi senza un’ombra di speranza.
Komor avrebbe desiderato tirarla su di morale e ne fu
tentato. Aveva sempre avuto un carattere mite e odiava litigare ma le
parole di
Touko lo avevano spiazzato e ora si sentiva vuoto come non mai. A lei
ci teneva
e ricordava le numerose volte che lo aveva aiutato, supportandolo, con
un
sorriso o una parola d’incoraggiamento.
Era vero allora che l’amicizia era come il vetro?
Così
bella e sofisticata, ma al tempo stesso fragile, pronta a frantumarsi
in mille
pezzi.
Non poteva perderla eppure lei sembrava così decisa,
così poco umana.
Come poteva ora ricostruire i pezzi che giacevano a
terra, taglienti e difficili da rimettere insieme?
«Aspetta Touko» iniziò volenteroso
quando il Pokégear
che aveva in tasca squillò.
Il ragazzo fece cenno alla brunetta di aspettare e rispose.
«Komor, Komor!» la voce di Belle lo colpi come una
secchiata d’acqua gelida.
«Dimmi».
«Devi aiutarmi, riesci ad avvisare Touko?»
A sentir pronunciare il suo nome la ragazza rizzò la
testa e si mise sull’attenti.
«Beh, è qui con me» Komor era
imbarazzato.
«Dille di venire a Soffiolieve il più presto
possibile!».
«Perché?».
«Come sarebbe “perché”? La
città, sta bruciando!».
E con quelle ultime parole la chiamata venne
interrotta.
Touko
credeva di averle sentite tutte. Era convinta
che la sua sfortuna avesse già raggiunto apici storici
eppure la sua teoria ora
veniva smentita da quella semplice chiamata.
A Soffiolieve? Era scoppiato un incendio…
Un risolino isterico le uscì dalla bocca mentre faceva
cadere la stampella per terra e si portava le mani al cuore.
Sì, stava ancora
battendo e il che era strano dato che lei non sentiva più
nulla. tremò e porto
la gamba ferita a terra ma non emise nessun lamento, voleva sentire
dolore per
poter capire di essere ancora cosciente.
Questa volta la risata che le uscì fu meno contenuta
della precedente e la ragazza si appoggiò al banco del
chiosco, con le mani che
le tremavano febbrilmente. Aveva un pessimo presagio, come se si stesse
dimenticando di qualcosa, eppure non riusciva a capacitarsene.
«Non fare mosse azzardate».
La voce di Komor la riportò bruscamente alla
realtà ma
non per questo le sue mani smisero di contorcersi.
Cos’è che continuava a sfuggirle, un pensiero
indefinibile che le era impossibile mettere a fuoco.
«Mi senti?».
«Certo…».
«Non preoccuparti per tua madre io…».
Sua madre, ecco cos’era il cattivo presagio di prima.
L’aveva indirettamente messa in pericolo sin dal giorno della
sua investitura a
Campionessa e ora poteva addirittura rischiare la vita.
«Credi sia imputabile al Team Plasma?» il ragazzo
era
parecchio preoccupato.
«Se tu la smettessi di parlare per un secondo e mi
facessi ragionare!» esclamò astiosa Touko
riprendendo la stampella e
incamminandosi verso Charizard.
«Non penserai di andare…».
«Sì» fu la scarna risposta della
ragazza, mentre il
Pokémon l’aiutava a salire.
«Questo è fuori discussione!».
«Mi spiace Komor, non mi mancherai» mai tanto odio
era
stato riversato in una frase, quando finalmente Charizard
decollò prendendo
come direzione la cittadina di Soffiolieve?.
«Ferma Touko, non lo fare!».
«Non ti sai imporre sugli altri» un’altra
risata
nervosa, segno che la ragazza era davvero al limite della follia.
Poi il Pokémon si alzò in volo e lei
tornò con lo
sguardo all’orizzonte lontano, perdendosi tra sue
preoccupazioni e cercando di
dividere in fiocchi di neve la valanga che la stava, suo malgrado,
colpendo.
Tutto era un susseguirsi di eventi dalla portata troppo elevata per una
persona
fragile come lei, un macigno immenso per le sue esili spalle.
Eppure c’era qualcosa che l’aveva sempre spinta
avanti: dopo la messa in atto del primo piano di Ghecis aveva
combattuto, dopo
essere diventata Campionessa aveva lottato, dopo che N
l’aveva abbandonata era
rimasta in piedi.
Cos’era ora che le mancava, cosa avrebbe voluto avere
con sé per fermare tutta quella serie di drammatiche azioni?
No, non poteva
saperlo. Non le rimaneva solo che sperare in un futuro più
roseo e nel
frattanto andare avanti, zoppicando e soffrendo ma continuando ad
avanzare.
Nient’altro era in suo potere, anzi credeva non fosse
in suo potere. Stava attraversando un periodo buio e ormai aveva perso
qualsiasi facoltà di scegliere il suo futuro. Viveva giorno
per giorno e senza
accorgersene cadeva sempre di più in un vortice,
trasformandosi in un guscio
vuoto e fragile.
Dov’era la sostanza, quella Touko che affascinava la
gente con lo sguardo?
Le persone che considerava amici si trasformavano in
gente di contorno, la tradivano con la stessa facilità con
cui le dichiaravano
affetto, le voltavano le spalle con un soffio di vento. Però
la cosa peggiore
era sapere che tutto ciò era colpa sua, che in qualche
maniera se lo meritava.
Il fatto di Komor l’aveva scossa non poco, anche se
aveva cercato di non darlo a vedere si sentiva ferita e ora anche la
sua città
natale era in pericolo proprio com’era successo con Spiraria.
Non poteva però
permettersi lo stesso esito.
Si aggrappò maggiormente a Charizard e inspirò
per
prendere coraggio, le serviva tutto in quel momento.
L’orizzonte era sempre lì,
che l’attendeva bramoso, scrutando con il cielo la vita di
quella giovane
ragazza.
E ogni giorno che la vedevano andare avanti e
osservavano attentamente i suoi gesti, si accorgevano che stava sempre
più
cadendo in tanti piccoli pezzi.
La Cioccolateria di Guna
E visto che sono in tema sto pure mangiando
del
cioccolato. Cavolate random a parte…
Salve gente!
Passo subito a dunque ovvero: so benissimo che questo
capitolo è per lo più riflessivo e molto
introspettivo/nonaccadenientedegnodinota ma vi assicuro che nel prossimo c’è
più azione. Ho dovuto infatti
spaccarlo in due visto che comunque finora è il capitolo
più lungo mai scritto
da me.
Sorpresi? Anche io!
Beh come sempre passo ai ringraziamenti. Mille grazie
a Andy Black, Rovo, Zoichi Kuronin e Allys_Ravenshade per aver
recensito lo
scorso capitolo e Ink Voice che si sta portando avanti ad una
velocità assurda.
Grazie ancora per il vostro continuo supporto e al
prossimo capitolo!
|
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Capitolo 15 *** Ali di cenere ***
Ali di cenere
Nel
cielo azzurro era ben visibile una cortina di fumo
che imponente e spaventosa si innalzava quasi a voler raggiungere il
sole.
Non appena Touko la vide fu tentata di fermarsi e fare
retromarcia, ma poi ricordò l’avvenimento di
Spiraria così spronò Charizard ad
accelerare.
Uno stormo di Pidove volava in direzione contraria
puntando dritto verso di lei cosicché, per schivarli, la
traiettoria del Pokémon
cambiò bruscamente, innalzandosi e dando alla brunetta la
visuale intera della
città.
Con orrore la ragazza vide i tetti bruciare, le case crollare
e la piazza della cittadina divenire un luogo di riparo,
l’unico per l’appunto.
Anche il laboratorio della Professoressa Aralia stava
andando a fuoco e affaccendati Scienziati in camice da lavoro entravano
e
uscivano dall’edificio in fiamme salvando il salvabile. I
bambini urlavano
spaventati mentre l’aria intorno a Soffiolieve si faceva
sempre più
irrespirabile e tossica, pregna di quella caligine che sarebbe
diventata a
lungo termine mortale.
La ragazza osservò attentamente gli alberi attorno
prendere fuoco, incapaci di difendersi e udì lontane
l’eco dei Pokémon che lì
vivevano. Il vento portava lamenti, grida e morte, lei provava le
stesse
sensazioni che aveva sentito lei nel suo incubo.
Touko squadrò la piazza dove tutta la gente convergeva
e si accorse subito del grande errore. L’uscita dalla
città era bloccata dalle
fiamme e tutti i cittadini avrebbero fatto la fine dei topi, sarebbero
morti
soffocati o inghiottiti dalle fiamme che impietose non volevano
fermarsi.
La brunetta incoraggiò Charizard ad atterrare proprio
al centro della cittadina e una volta a terra fu accolta da sguardi
preoccupati
e risentiti. I bambini tenevano salde le mani in quelle dei genitori
mentre si
coprivano le bocche con fazzoletti e mascherine di fortuna.
A fatica Touko smontò dal Pokémon che quieto la
seguì
tra tutta quella gente disperata. La ragazza poteva capire il
perché dei loro
stati d’animo, stavano vedendo la loro città
cadere al cospetto di un irrefrenabile
incendio e stavano perdendo tutto ciò che possedevano. Poi
notò incerta che
nessuno faceva alcunché, si fissavano smarriti ma non
provavano a reagire alla
disgrazia.
Che stava succedendo?
La ragazza raggiunse l’appostamento dove un quartetto
di Ranger prestava soccorso ai casi più gravi. Era dunque
quel misero aiuto che
dava la regione per una cittadina ormai spacciata?
I ragazzi, che erano tutti molto giovani e inesperti,
le fecero un leggero cenno di saluto e uno le indicò un
punto poco più avanti
dove Touko scorse, a metà tra lo stupito e il grato, la
figura di Red, intenta
a dare ordini al suo Poliwrath che colpiva con Pistolacqua le fiamme di
una
abitazione.
Non sapeva il motivo che aveva spinto il ragazzo a
venire fin lì ma gli era comunque molto riconoscente, un
aiuto in più le avrebbe
sicuramente fatto comodo visto lo scarso equipaggiamento dei Ranger.
Non ebbe nemmeno il tempo di avvicinarsi che lui si
voltò nella sua direzione sgranando gli occhi e stringendo i
pungi.
«E tu che ci fai qui?» il suo tono era del tutto
contrariato.
«Sono venuta a dare una mano».
«Con quella gamba sei solo
d’intralcio…».
«Gentile come sempre, ma non desisterò».
«Apprezzo il tuo gesto, ora però
sloggia!».
«Mi scuso mister simpatia, ti ricordo che rimango la
Campionessa!» pronunciare quelle parole gli era di enorme
sforzo.
«E io ti ricordo che ti ho battuto, ora vattene!».
«No!».
La ragazza aveva alzato così tanto la voce che persino
Red si era bloccato stranito e ora la fissava negli occhi, come a
volerle
leggere dentro, cosa che la infastidiva parecchio.
A volte quel tipo la inquietava.
«Come hai detto?» ora il suo tono sembrava
divertito.
«No, non puoi decidere per me!».
«Mi sembra la stessa conversazione che tu hai tenuto
con N…».
«Non cred… Ehi!» la brunetta si
animò maggiormente
«Come fai a saperlo tu?».
«Racconti vari» fece allusivo lui mandandola
ulteriormente in bestia.
«Ascolta non me ne frega nulla di ciò che pensi,
io
ora darò una mano!».
«Testarda come sempre vedo, forse non sei cambiata in
fondo» sorrise il ragazzo passandosi una mano trai capelli.
Oh, Touko glieli avrebbe strappati volentieri, uno ad
uno, quei capelli, la sua presenza la irritava alquanto.
Però ora avrebbe
dovuto collaborare con lui, volente o nolente.
Un colpo di tosse la riportò alla realtà mentre
uno
dei Ranger la guardava allusivo: stavano solo perdendo tempo. La
priorità era
aiutare tutta quella gente, non certo ingaggiare una lotta contro il
fatidico
Red di Biancavilla e di questo entrambi i Campioni ne erano consapevoli.
«Da quanto è scoppiato
l’incendio?» fece seria la
brunetta.
«Circa un’ora» le rispose prontamente uno
dei quattro
Ranger, quello che sembrava il più preparato.
«Come? Non è possibile si sia espanso
così tanto in
poco tempo!».
«Lo so, dobbiamo ancora chiarire molte
cose…».
«Già, come ad esempio il colpevole»
puntualizzò Red
«Non credo affatto sia stato un incidente».
Seppur già prima ne aveva il dubbio, quella
costatazione colpì profondamente Touko che divenne
consapevole del dramma che
si stava manifestando. Non solo il pensiero dell’esistenza di
qualcuno così
sadico da volere tutto ciò, ma anche il netto presentimento
che i Plasma fossero
gli architetti anche quella volta. Quale astruso piano potevano aver in
mente?
«C’è una cosa che non mi è
del tutto chiara» la
brunetta pensò ad alta voce.
«Parla!» la esortò uno dei Ranger.
«Gli abitanti di Soffiolieve, per quanto ne so tutti possiedono un
Pokémon…».
«Ti stai chiedendo perché non provano a spegnere
le
fiamme?» il tono ilare di Red la distasse dalle sue
congiunture mentali.
«Ne sai qualcosa per caso?».
«Beh, mea culpa».
«Spiegati, e in fretta!».
Nonostante il tono della brunetta fosse prepotente e
al ragazzo non piacessero molto gli ordini, egli fu obbligato a
rispondere, in
parte spinto dalla sua coscienza e in parte spronato dalla situazione.
«Ecco, due giorni fa circa in questa cittadina sono
stati sequestrati alcuni Pokémon dal Team Plasma
e…».
«Fammi indovinare: erano tutti tipi Acqua» la voce
piatta di Touko lo soprese.
«Brava, hai passato l’esame!».
«Non ti è passato neanche per
l’anticamera del
cervello di avvisarmi!».
«Beh, non eri nelle tue migliori
condizioni…».
«Se potete smetterla di battibeccare!» fu il
più
giovane dei Ranger ad intromettersi «Oh, io sono
Ben».
«Bene Ben, fatti gli affar…».
«Si, hai ragione» Red riprese la sua solita calma
interrompendo una Touko furiosa.
La ragazza convenne che era il caso di calmarsi, in
quelle condizioni non poteva permettersi di peggiorare ulteriormente la
situazione, già drammatica di suo, così si
portò le mani alle tempie e respirò
a fondo. Avrebbe ripreso chi di dovere dopo, ora doveva solo rimanere
concentrata e tutto sarebbe andato per il meglio
«Quindi rimaniamo solo tu col tuo Poliwrath, io con
Samurott e voi quattro».
Tutti annuirono e lei si sentì perlomeno sollevata,
questa volta non era sola, loro l’avrebbero aiutata e magari
ce l’avrebbero
anche fatta. Ora non restava che portare fuori di lì tutti
gli abitanti, domare
le fiamme e il gioco era fatto. Fortunatamente l’ammontare
delle persone non
era un numero spropositato, Soffiolieve era sempre stata una placida e
disabitata cittadina, cosa che avrebbe reso il loro compito
più semplice.
Touko chiamò fuori dalla Ball Zekrom, il quale
ruggendo si mise al centro della piazza in attesa di ordini.
«Se avessi Unfezant potremmo fare anche prima»
rifletté brunetta mentre anche Samurott usciva pronto a dare
manforte.
«Non pensarci ora» nonostante Red sembrasse severo
la ragazza
aveva captato nella sua frase un moto di gentilezza nei suoi confronti
e se ne
stupì.
Poi si concentrò sulla situazione e a larghe, seppur
dolorose, falcate raggiunse il Leggendario, il quale stava incutendo
non poco
timore alla gente e, dopo avergli posato caldamente una mano nel
ventre, gli
rivolse un sorriso fiduciosa spronandolo a seguirla.
La gente guardava rapita quella singolare coppia mal
assortita avviarsi verso il punto dove erano riuniti i feriti, mentre
la ragazza
notava inoltre che la popolazione che occupava la piazzetta era stata
ben
sfoltita da probabili perdite e immediatamente
il suo stomaco si chiuse al
pensiero dei cadaveri che potevano giacere dentro quelle abitazioni
logorate
dal fuoco.
«Ascoltatemi tutti» esordì cercando di
darsi un tono
«Possiamo aiutarvi se mantenete la calma!».
Al solo udire quella frase la buona gente di
Soffiolieve iniziò a protestare vistosamente, chi in preda
al panico, chi per
un attacco di nervi.
«Come farete?».
«La Campionessa ne sarà in grado?».
«Non prendeteci in giro, moriremo come topi!».
«Vattene illusa!».
Tutte quelle voci si sovrapposero nella mente di Touko
che metabolizzò i loro significati uno ad uno restando senza
parole di fronte
ad una simile reazione. Come avrebbe fatto a domare quella folla
inferocita,
lei che non riusciva ad imporsi neanche a se stessa?
Un colpo di tosse la fece irrigidire mentre si portava
una mano al petto, squassato da qualche spasmo. Avrebbe dovuto usare un
fazzoletto con tutto quel fumo che c’era in città,
ma non ci aveva minimamente fatto
caso e ora c’erano cose più importanti a cui
pensare.
Improvvisamente Red si fece largo tra la folla e
raggiungendola la guardò divertito, beccandosi di rimando
uno sguardo
inceneritore.
«So che la mia… collega non è brava a
farsi ascoltare
ma vi conviene seguire ciò che dice se volete uscire vivi da
questo inferno».
Bastarono queste semplici parole, dette con un irreale
distaccamento e indifferenza a suscitare l’attenzione tra il
pubblico che si
mise in ascolto, ubbidiente. Touko però tossì
ancora così fu il ragazzo a
spiegare le procedure.
«Mentre noi cercheremo di domare le fiamme voi
fuggirete dalla città con Zekrom» disse indicando
il Leggendario «E Aerodactyl»
finì facendo uscire il Pokémon dalla Ball.
«Nel mentre noi cercheremo di fare il possibile,
ricordatevi di mantenere la calma e una volta fuori cercate in tutti i
modi di
avvisare l’agente Bellocchio o Nardo. Questo è
tutto!».
La gente iniziò a mormorare ma diligente si mise in
fila attendendo di essere portata in salvo. Touko ne fu stupita ma
decise di passare
all’azione e si incamminò lentamente, con
l’ausilio della sua fidata stampella,
per raggiungere Samurott.
«Io voglio provare a salvare qualcuno bloccato nelle
abitazioni» urlò a Red mentre zoppicava.
«Non pensarci nemmeno, in quelle condizioni è
già
tanto che ti lasci rimanere qui. E mettiti qualcosa per non respirare
questo
schifo di aria!» la sgridò lui avvicinandosi, il
suo fazzoletto a coprirgli la
bocca.
«Si, come no…» lo liquidò lei
lasciando cadere a terra
quello che lui le stava offrendo.
Non capiva perché facesse così ma aveva bisogno
di
rendersi utile, di sentirsi un’eroina per un giorno, non
l’incapace che
impediva i soccorsi. Lei era così: suscettibile e
tremendamente instabile,
controversa ma con buon cuore. Ergo una persona complessa con cui
relazionarsi.
«Touko!».
Era una voce che conosceva quella che l’aveva chiamata
ma non riusciva a ricordarsi a chi appartenesse. Passò in
rassegna i visi delle
persone con cui aveva avuto contatti lì a Soffiolieve ma la
sua memoria la
tradì.
«Che gioia vederti, anche se in questa situazione
precaria» quando l’uomo la raggiunse la brunetta lo
riconobbe come il padre di
Belle e si schiaffeggiò mentalmente per la mancanza.
«Signore, si sbrighi a raggiungere i Ranger che
l’aiuteranno a salire» lo spronò lei
coscienziosa.
«Ti ringrazio per il pensiero Touko ma tu non dovresti
pensare ad altro?».
Di fronte allo sguardo perso della ragazza l’uomo si
crucciò, seguito a ruota dai quattro Ranger che si
bloccarono di colpo. Egli si
accorse di aver detto troppo e fece per allontanarsi ma la brunetta gli
bloccò
il braccio.
«Cosa devo sapere?».
Un irreale silenzio cadde solo per un secondo seguito
poi dai balbettii di Ben che le si avvicinava cautamente.
«Mi dispiace, ci dispiace».
Ormai la Campionessa aveva le orecchie protese,
desiderosa di sapere cosa dovesse esserle detto con così
tanta difficolta e
segretezza ma tuttavia era impaurita visto il tono lugubre usato dal
Ranger.
Ed infatti egli con voce grave le riferì la notizia
che la ragazza non avrebbe mai creduto di sentire.
«Tua madre Touko, lei è ancora dispersa».
Una nuvoletta di fumo usci dalla
bocca piegata
all’ingiù di Bellocchio che stancamente stava
stravaccato sopra la sua sedia
girevole, tra le labbra una sigaretta ormai consumata. Il suo studio
era pian
piano diventato la sua casa visto che lì passava la maggior
parte del tempo,
anche solo per starsene da solo, ma stavolta aveva una reale
motivazione per rimanere
lì in attesa.
Poco prima aveva contattato Red di Biancavilla e
l’aveva informato dell’incendio a Soffiolieve
mentre il ragazzo gli aveva fatto
prendere appuntamento con Camilla, Campionessa della regione di Sinnoh
per
chiarire i fatti avvenuti a Spiraria. Per i suoi standard quindi quel
giorno
aveva un gran da
fare.
Annoiato ripose la sigaretta nel portacenere e si alzò
dalla sedia per sgranchirsi le gambe indolenzite, chiedendosi quando la
fatiscente bionda sarebbe arrivata. “Poco
professionale” pensò tra sé, mettendo
in riga le tre penne sopra la scrivania.
Poi finalmente qualcuno bussò e Bellocchio si
fiondò
emozionato ad aprire la porta, trovandosi davanti non solo Camilla ma
anche la
Professoressa Aralia, vestita con il solito camice e con due occhiaie
violacee
che le conferivano un aspetto pericoloso.
«Alla buon’ora!» esclamò
fingendosi risentito il
detective.
«Aralia ha insistito per assistere alla
deposizione…»
anche la bionda sembrava oltremodo stanca.
«Bene, allora iniziamo subito. Dovresti raccontarmi
cos’è successo a Spiraria quel fatidico
giorno».
“Perdere tempo non è tra le opzioni”
pensò Camilla prendendo
lentamente posto in una sedia di fronte alla scrivania di Bellocchio,
il quale
si stava sedendo per prendere appunti. Aralia rimase in piedi e
drizzò il capo,
prestando molta attenzione alla conversazione.
«Ero uscita per fare una passeggiata in riva al mare
quando mi sono allontanata un po’ troppo ed ho sentito
un’esplosione. Sono
corsa indietro e ho trovato quei bastardi del Team Plasma che
terrorizzavano la
gente e distruggevano ogni cosa».
Il racconto filava veloce quanto la penna del
detective sul foglio. Odiava le deposizioni ma secondo Red quel giorno
era
successo qualcosa degno di nota perciò lo aveva incaricato
di indagare più a
fondo. Certamente potevano fidarsi del campione di Kanto, lui era una
figura di
tutto rispetto.
«Poi che è successo?» la
incalzò Bellocchio desideroso
di finire al più presto.
«Beh mi sono messa a lottare con la mia squadra
e…» la
voce di Camilla si incrinò «Poi non ricordo
più nulla…»
La penna del detective si fermò d’innanzi ad una
simile affermazione. Come si poteva fare una deposizione se la ragazza
non ricordava ciò che era successo?
«Non ti viene in mente niente?» era stata Aralia
questa volta a prendere la parola con una freddezza che
l’uomo non si sarebbe
mai aspettato.
«No, so solo che un minuto dopo i miei Pokémon
erano
scomparsi».
Più Bellocchio ascoltava e più ci ragionava su,
più ne
capiva sempre meno. Comprendeva la fatica della donna nel ricordarsi un
simile
evento però se dovevano risolvere il caso allora avrebbero
dovuto avere per le
mani maggiori informazioni. Così di certo non si poteva
lavorare.
«Credo che questo possa essere utile…»
mormorò Aralia
dando voce ai suoi pensieri.
«Ti andrebbe di spiegare anche a noi qualcosa?».
«Certo, quando avrò qualcosa da dire»
rispose lei
maliziosa prendendo la valigetta con la quale era arrivata
«Ora vado Camilla,
grazie per la collaborazione».
Con una velocità stupefacente uscì lasciando i
due
appesi tra mille domande senza risposta. Il detective batté
violentemente il
pugno sul tavolo, facendo traballare pericolosamente la tazza di
caffè vicino
al plico di fogli. Poi si alzò con una nuova determinazione
in petto e prese al
volo il suo immancabile impermeabile.
«Dove vai?» lo raggiunse la voce di Camilla.
«A cercare risposte!».
Detto questo uscì lasciando la Campionessa da sola.
«Da
quanto lo sapevate…?» la voce di Touko era poco
più di un sussurro.
«Come?» il Ranger aveva un’aria colpevole.
«Da quanto sapevate che mia madre è ancora
dispersa?».
«Beh noi non ne eravamo sicuri…».
«Rispondimi!» il tono più che alterato
della ragazza
non ammetteva repliche.
«Calmati Campionessa» si insinuò Red
crucciato.
«Ne eri a conoscenza anche tu?».
«Ad essere sincero no ma…» il corvino
non fece in tempo
a finire che la brunetta si stava già allontanando.
Zoppicava tra le varie strade della cittadina tremante
di rabbia e completamente nel panico. Se sua madre fosse morta lei non
se lo
sarebbe mai perdonata, quindi ora non poteva far altro che portarla in
salvo.
Fece mente locale, ripensando a quale via prendere quando
sentì una mano
bloccarle il polso.
«Tu sei impazzita?» questa era
l’inconfondibile voce
di Red.
«Preoccupato?».
«Sì, con quella gamba non andrai
lontano!».
«E a te importa perché…?».
«Perché per Unima sei importante, senza di te il
Team
Plasma prenderebbe il sopravvento…».
«Non morirò lo giuro!»
esclamò lei con la mente ancora
ferma dall’affermazione del ragazzo.
«Sarà meglio per te…».
«Ora posso andare?».
Red parve fermarsi un secondo e Touko lo vide scuotere
la testa rassegnato.
«Stai attenta cocciuta!».
Detto ciò le lasciò il polso e le fece cenno di
andare
mentre la ragazza chiamava a sé Samurott che sicuramente le
avrebbe fatto
comodo.
Camminò più velocemente possibile per gli
standard della
sua gamba ma si bloccò appena arrivò dinnanzi
alla sua vecchia casa. La
villetta era completamente a fuoco e ogni secondo che passava sembrava
venir
sempre più inghiottita dalle fiamme. Se c’era
ancora anima viva lì dentro
sarebbe stata dura trovarla.
Un’altra raffica di tosse la scosse mentre si
apprestava ad ordinare un Idropompa diretto verso la porta che venne
scardinata
in una batter d’occhio.
La ragazza allora entrò a fatica e venne subito
investita da un calore infernale che la fece traballare. Come avrebbe
potuto
farsi strada tra quelle macerie che lentamente stavano bruciando? Tutto
l’intero mobilio era in fiamme, le poltrone ormai erano
ridotte in cenere e i
vecchi quadri non esistevano più.
Diede una veloce occhiata alle scale, anche queste a fuoco,
e ordinò un altro Idropompa più leggero per
riuscire a passarci sopra senza
però farle crollare. Con un mezzo miracolo e la gamba sempre
più paralizzata
arrivò al pianerottolo ed entrò immediatamente
nella stanza di sua madre, certa
di trovarla lì. Sorprendentemente però al suo
interno non c’era nulla
senonché altre
fiamme che
inarrestabili divoravano l’ambiente.
Percorse così il corridoio, portandosi una mano alla bocca
per non perdere i
sensi a causa del fumo e calore, quando arrivò davanti alla
porta della sua
vecchia stanza. Essa pareva l’unica a non essere ancora stata
presa d’assalto
dall’incendio perciò la brunetta prese coraggio e
ci si catapultò dentro.
All’interno, seduta su un letto rifatto di lenzuola
pulite, stava sua madre, la persona per cui ora stava lottando contro
la morte.
Fissava catatonica la grande finestra che dava sulla porta della
città,
anch’essa in fiamme e distrutta mentre tra le mani stringeva
delle foto di
Touko da piccola.
Il suo volto era inespressivo ma più rugoso di quanto
lei ricordasse, i capelli, raccolti in una crocchia disordinata, erano
cosparsi
di fili argentati e il fisico sembrava più fragile che in passato. La brunetta si
pentì di non aver passato
più tempo in sua compagnia, distratta com’era
dalla nuova vita in
cui era piombata.
Richiamò Samurott nella Ball e le si avvicinò
spaventata e titubante ma anche contenta che fosse ancora viva.
«Mamma…» bisbigliò
sfiorandole la spalla ma quella
rimase inespressiva, gli occhi pieni di rassegnazione sempre fissi
sulla
finestra.
«Mamma!» questa volta Touko urlò
scuotendole le spalle
finche la donna parve riprendere coscienza di sé.
«Cosa ci fai tu…».
«Sono venuta a salvarti mamma».
Il tono di entrambe era tremante e spaventato, eppure
in quel momento madre e figlia si ricongiunsero con un abbraccio pieno
di paura
e affetto, volenterose di sostenersi l’un l’altra.
«Andiamo forza!» la spronò la ragazza
con una lacrima
che le rigava la guancia.
La donna però scosse la testa stringendo maggiormente
a sé il plico di foto.
Touko capiva che la donna non volesse allontanarsi da
quel posto, la sua unica e vera casa, residenza di tanti bei ricordi e
momenti
passati assieme. Lasciarla era come abbandonare una fetta di vita,
forse la più
felice, e sua madre non ne era in grado. Troppo tempo aveva trascorso
lì,
aspettando che sua figlia arrivasse per prenderla per riallacciare i
rapporti,
troppi tramonti aveva perso credendo di vederla attraversare quella
famigerata
porta all’entrata della città, troppe lacrime
aveva versato chiedendosi il
motivo della sua mancanza, senza mai ricevere risposta.
Ora tutto quello le appariva come un sogno, sua figlia
non era realmente lì, doveva farsene una ragione.
«Mamma ti prego!» però la voce sembrava
così simile a
quella di Touko.
«Ero solo venuta a prendere queste, non volevo il
fuoco le bruciasse…» il suo tono, i suoi pensieri
erano altrove.
«Si, porteremo in salvo anche le fotografie, te lo
giuro!».
La donna la guardò un’altra volta e si convinse
che
quello che stava vivendo non era un sogno così tremante si
alzò. La ragazza
interpretò quel gesto come un segnale positivo
così prendendo per mano sua
madre si incamminò verso l’uscita preparandosi a
passare per il corridoio
infernale. Arrivata all’altezza della porta però
sentì un forte boato proveniente
dall’esterno mentre una gigantesca ombra oscurava la grande
finestra.
Touko fece in tempo a girarsi nella direzione da dove
proveniva il rumore che una potente vampata irruppe
all’interno, frantumando la finestra e appiccando il fuoco
anche in
quella stanza, che precedentemente pareva essere stata risparmiata.
Le due vennero sbalzate nel corridoio con forza e la
mano della brunetta perse la presa con quella della donna mentre con
violenza
sbatteva la testa nel pavimento, proprio al centro del corridoio. Si
impose di
aprire velocemente gli occhi ma quello che vide fu solo il denso fumo
nero che
sostava in tutto l’ambiente rendendo l’aria
irrespirabile e la vista
inesistente, cosa che avrebbe complicato maggiormente il ritrovamento
di sua
madre e la loro possibile uscita da quell’inferno.
La brunetta si mise a carponi tossendo ripetutamente
mentre faceva il quadro della situazione: se non si fosse data una
mossa non
sarebbero mai riuscite a salvarsi. Si controllò il braccio
da dove proveniva
uno strano fastidio e notò con stupore che era lievemente
ustionato, evidente
conseguenza dell’attacco anonimo di prima. Si fece forza e
gattonò poco più
avanti, in direzione dei lamenti che man mano si facevano sempre
più forti, e
di colpo scorse il corpo di sua madre riverso a terra.
Con orrore vide il pezzo di vetro che, come una lama
maledetta, era conficcato nel fianco della donna, osservò
spaventata il fiume
di sangue che copioso usciva dalla ferita e sentì
nitidamente i singhiozzi che
sua madre emetteva stancamente.
«No, non può essere…. No,
no…» biascicava la ragazza
ormai senza senno.
Non poteva finire così, tutti i suoi sforzi non
sarebbero risultati vani, lei avrebbe portato sua madre fuori di
lì. Per una
volta avrebbe fatto la cosa giusta e sarebbe ritornata
l’eroina che tutti
acclamavano.
«Via…».
«Cos’hai detto mamma?».
«Vai via, salvati bambina mia…».
«No!».
Altre lacrime percorsero veloci le guance sporche di
fuliggine della ragazza mentre sentiva il suo cuore frantumarsi come la
finestra di poco prima.
«Io non ti posso lasciare qui!» cercò di
dare
determinazione alla sua voce mentre con immensa fatica sollevava il
corpo di
sua madre e lentamente, sentendo la ferita della gamba riaprirsi,
zoppicava
verso le scale.
«Ci salveremo…».
Una volta arrivate Samurott avrebbe spento l’incendio
e loro si sarebbero salvate, solo a questo stava pensando Touko.
Fatti pochi passi però un altro rumore attirò la
sua
attenzione mentre i suoi occhi si focalizzavano inermi sulla trave
lignea che,
ardente, crollava portandosi dietro buona parte del soffitto, e, poco
più
avanti, altre due travi cedevano bloccando il passaggio per le scale. A
causa
dell’onda d’urto provocata le gambe della brunetta,
già provate in precedenza,
cedettero anche grazie peso che esercitava il corpo di sua madre, per
nulla
indifferente.
Nella caduta anche la Ball di Samurott le scivolò tra
le mani, rotolando qualche metro più avanti, a ridosso delle
fiamme. Ormai era
finita, era chiaro che né lei né sua madre
sarebbero riuscite ad alzarsi e a
trarsi in salvo. Sarebbero morte lì, come martiri di un
attacco non
identificato e il Team Plasma l’avrebbe avuta vinta. Touko
non riusciva più a
pensare a nulla, decise così di abbandonarsi alla sorte che
impietosa si faceva
avanti da ormai troppo tempo.
Fu solo in quel
momento che la voce di Red la scosse mentre due forti braccia la
tiravano su e,
passando tra le fiamme, la portavano all’aperto, finalmente
in salvo.
Vide il cielo ricoperto da quella caligine maledetta e
si chiese se mai fosse ritornato a splendere come un tempo.
Sentì Red che
ripartiva dopo averla adagiata sul vialetto e stette sveglia
finché non lo
scorse uscire vivo con sua madre da quella casa ormai spacciata.
Sentì le voci dei soccorritori arrivare e pregò
con
tutta se stessa che quella donna, a cui teneva più di se
stessa, riuscisse a
sopravvivere, anche a costo della sua incolumità. Ora era
solo stanca, aveva
bisogno di cure e i suoi occhi lottavano per chiudersi in un sonno
ristoratore.
Ma la sua mente era ancora attenta e, prima di cadere
vittima dei gas soporiferi della mascherina che le veniva messa
all’altezza
delle vie respiratorie, sussurrò ad un Red preoccupato che
le si era
inginocchiato accanto poche semplici parole.
«Il Pokémon che ha attaccato…. Era
Reshiram vero…?».
E fece in tempo ad udire il distinto e secco “si”
del
corvino prima di cadere tra le braccia della morfina.
La Cioccolateria di
Guna
Lo
so, lo so sono in ritardo di una settimana ma ho
una motivazione a mio parere più che valida. Questo capitolo
è il più lungo da
me scritto ed ero pronta a pubblicarlo sabato scorso quando il mio
computer ha
deciso di cancellarmi l’intero file. Non chiedetemi il
perché ma ho perso tutto
e mi ci è voluta una forza immane per riscriverlo in una
settimana.
Davvero, non vi dico gli insulti che sono volati.
Beh spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto e
non vi prometto un aggiornamento regolare per la volta prossima
perché non solo
ho perso questo capitolo ma anche quello seguente e non so se riesco a
riscriverlo in due settimane vista la valanga di verifiche che si
stanno
concentrando in questo periodo. Mi ero portata avanti apposta
ma….
Quindi vi chiedo scusa e vi ringrazio per il continuo supporto,
in particolare Rovo, Zoichi Kuronin, Allys_Ravenshade, Andy Black e SM99 per le
recensioni
fatte.
Un saluto e alla prossima!
|
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Capitolo 16 *** Banderuola ***
Banderuola
Quando
Touko aprì gli
occhi si trovò completamente spaesata e senza la minima idea
della sua
locazione. Sentiva i muscoli dolerle e la vista parecchio appannata la
metteva
ancor più in uno stato confusionale. Fu la voce allegra dell’infermiera Joy
che le dava un “bentornata tra noi” a farle capire
che si trovava stesa nel
letto di un centro Pokémon, evidentemente poco lontano da
Soffiolieve. Si guardò
le braccia e represse
una smorfia
vedendo che erano attaccate a delle fastidiose flebo. Si sentiva debole
come
non mai ma la cosa peggiore era il mal di gola che provava, evidente
conseguenza del fumo inspirato. Aveva tanta sete ma al tempo stesso
sentiva una
nausea terribile e la testa le girava vorticosamente.
Provò a muovere qualche
muscolo ma non aveva il pieno controllo del suo corpo che le sembrava
staccato
dal resto. Al contrario le sue facoltà mentali erano
assolutamente illese,
ricordava alla perfezione ogni singolo istante vissuto e sentiva un
forte
dolore crescerle nel petto, sempre più preponderante. Erano
per lo più sprazzi
di qualcosa che sembrava un incubo più che la
realtà e le passavano di fronte
agli occhi continuamente, radicando così nel suo cuore
un’ancestrale paura che
le mozzava il fiato.
Ad un tratto l’infermiera
Joy proruppe all’interno del suo campo visivo con una garza
tra le mani e,
ignorando completamente i lamenti della paziente, le cambiò una flebo.
Poi con
un sorriso incoraggiante le fece cenno di attenderla un momento e
uscì spedita
dalla stanza lasciando la ragazza ancora più sola con i suoi
pensieri negativi
come compagni. Stanca di quella situazione alzò di poco la
testa per osservare
lo stato in cui versava.
Almeno non aveva
riportato ustioni gravi e tanto meno era morta in quella che sembrava
un’impresa
disperata eppure cos’era quel sentimento che dal profondo del
cuore le lacerava
l’animo? Un solo dettaglio pareva non voler ritornare alla
memoria, come un
pezzo di un puzzle che non vuole essere messo al suo posto. Uno stato
di
confusione la prendeva non appena provava a pensarci e la lasciava
senza fiato,
più spaventata che al risveglio. Poteva sforzarsi
all’infinito ma quel
particolare era irraggiungibile e più tentava più
lo vedeva allontanarsi,
lasciandole un senso di grande amarezza e impotenza. Eppure
c’era una voce
dentro la sua testa che le diceva che era meglio così, che
se fosse venuta a
conoscenza di quel dettaglio probabilmente sarebbe stato peggio,
così la
ragazza assecondò la sua coscienza e si mise in attesa
dell’infermiera. Dopo
qualche minuto ella rientrò con un grosso bicchiere colmo
d’acqua e il suo
solito instancabile sorriso che alla lunga nauseava la più
che irritabile
Touko.
«Come ti senti cara?»
chiese questa con tono mielato.
La ragazza però non
riuscì a rispondere, la gola le doleva troppo e la sua
attenzione era ora
focalizzata sul bicchiere che straripava d’acqua fresca, un
detergente per la
sua sete incommensurabile.
«Fai piano però!» le
sorrise ancora l’infermiera intuendo la
tacita richiesta della brunetta e porgendole gentilmente il bicchiere.
Prima però ebbe cura di
staccare uno dei tubi dal braccio di Touko che finalmente
poté alzarlo e
prendere liberamente il bicchiere. Non appena l’acqua fresca
le raggiunse la
gola la ragazza sentì il bruciore affievolirsi leggermente
ma fece comunque
fatica a deglutire ed anzi iniziò a tossire senza controllo.
«Ti avevo avvertita,
dovevi far piano!».
La brunetta annuì e finì
di trangugiare il bicchiere seppur a fatica. Poi provò ad
articolare parola ma
dalle sue corde vocali uscirono solamente dei borbottii sommessi e
rochi.
«Non sforzarti, hai
ancora la gola debilitata e…» per un secondo il
sorriso dell’infermiera si
incrinò «Devo darti il responso del tuo
esame».
A Touko
quell’affermazione non colpì affatto visto che
nemmeno ricordava di aver fatto
un esame ma incapace di poter far altro stette a sentire.
«Non hai gravi lesioni o
ustioni e questo è un gran bene, sei stata fortunata
però… beh i tuoi polmoni…
sono danneggiati…».
Il volto della brunetta
era inespressivo di fronte ad una simile informazione, non tanto per un
forte
autocontrollo, ma piuttosto perché non sapeva che cosa
comportasse questo
fatto. Probabilmente anche la donna in quel momento lesse nel suo
sguardo la
più completa confusione visto che raddolcì il
sorriso. La brunetta però si
accorse di quel gesto che inspirava pietà perciò
distolse lo sguardo e tentò
nuovamente a parlare.
«E.. con ciò…?» chiese a
fatica.
«Hai respirato troppo
fumo ed è probabile che tu possa portarti dietro una tosse
cronica, un fattore
simile accade spesso ai fumatori incalliti ma nel tuo caso.... I tuoi
polmoni
non sono messi affatto bene insomma!» il tono tradiva una
lieve preoccupazione
e nervosismo.
La ragazza dal canto suo
non pareva minimamente infastidita o spaventata ed anzi,
accennò un sorriso e
congedò l’infermiera che titubante e incredula
uscì. La brunetta aveva solo
bisogno di stare da sola per ragionare a mente lucida sui fatti
avvenuti… ora
che ci pensava non sapeva nemmeno da quanto era là. Potevano
essere passati
giorni, sua madre poteva anche essersi già ristabilita anche
se con la ferita
che le aveva visto inferta ne dubitava fortemente. Magari le avrebbero permesso di alzarsi e lei
avrebbe potuto andarla
a visitare, voleva vedere come stava e poterle parlare con calma dopo
tanto
tempo. Forse sarebbero riuscite pure a ricostruire insieme una nuova
vita.
Così, senza chiedere
nulla a nessuno, si alzò a fatica da quello scomodo lettino
e mise delle ciabatte
di cotone che giacevano ai piedi del letto. Indossava un pigiama color
crema
con il logo del centro Pokémon e sicuramente il suo aspetto
non era certo dei
migliori però per la prima volta dopo tanto si sentiva
positiva e pronta ad affrontare
sua madre. Si erano salvate quasi per miracolo, questo le aveva dato
una nuova
marcia e le aveva giovato allo spirito in modo preponderante. Bastava
non
pensare a quel dettaglio dimenticato e tutto andava bene. Appena uscita
dalla
camera però si ricordò che non aveva la
più pallida idea di dove andare, così
girovagò per qualche stanza fino a trovarsi nella sala dove
di solito
l’infermiera accoglieva i clienti. Questa era vuota e chiusa
al pubblico
evidentemente per la presenza di feriti e superstiti
dell’incendio, quindi la
brunetta se ne curò poco. Le diede molta più
preoccupazione la vista di Red
accasciato su una poltrona, con la testa tra le mani e gli stessi
vestiti
sporchi di fuliggine che aveva indosso a Soffiolieve.
«Ehi!» lo chiamò lei a
gran fatica avvicinandosi.
Per tutta risposta lui le
rivolse uno sguardo vacuo, allarmato e al contempo malinconico. Touko
gli si
sedette accanto indecisa sul da farsi e provò a sorridergli
come aveva fatto
con lei l’infermiera Joy anche se non ottenne lo stesso
risultato.
«Sembri costipata se
sorridi così…».
«Almeno so che non stai
male!».
«Sei così positiva oggi.
Che ti hanno dato come sedativo?».
«Io in realtà mi stavo
preoccupando per te…».
«Tranquilla» il corvino
le fece un sorriso tirato, uno dei più falsi che la ragazza
avesse mai visto.
Non era da lui fare così,
doveva esserci in ballo qualcosa di grave.
«Ora tu mi dici cosa è
successo!» la voce era ancora roca e parlare le faceva male
ma lei era decisa
ad andare a fondo su tutta la faccenda.
«Cosa che probabilmente
non sai è che durante l’incendio a Soffiolieve di
ieri i Plasma hanno attaccato
anche Ponentopoli e Boreduopoli» iniziò Red
stancamente ma venne prontamente
interrotto.
«E lì che danni ci sono
stati?».
«Non ingenti, i Ranger
sanno darsi da fare…».
«Stai forse cercando di
dirmi che Soffiolieve è stata svantaggiata?» il
tono della ragazza tradiva un
certo disappunto.
L’altro fece spallucce.
Non voleva trattare questo argomento visto che anche dalla sua gli
pareva
estremamente ingiusto, ma comunque in mancanza di prove concrete non
poteva
dire nulla e non era nemmeno il tipo che traeva le conclusioni
affrettate. Dalla
sua Touko stava cercando di trattenere la rabbia che sentiva salirle in
petto,
per l’ennesima volta si sentiva tradita da persona che in
realtà avrebbero
dovuto aiutarla e nuovamente si sentiva in colpa per la triste sorte
della
cittadina, non aveva potuto fare poi molto e continuava a
rammaricarsene.
Decise di darsi però una calmata optando per una visita da
sua madre che
sicuramente le avrebbe dato parole di conforto.
«Sai dove posso trovare
mia madre?» chiese quindi sforzandosi di non alterare la voce.
Red tentennò, cosa che
non sfuggì allo sguardo indagatore della ragazza che
corrugò la fronte.
«Lei non si è ancora
svegliata mi spiace, appena ci sono miglioramenti sarai la prima a
saperlo».
Stranamente Touko non fu
scossa da quelle parole, forse perché le erano state dette
con innato candore e
con un sorriso di tranquillità,
forse
perché in fondo doveva aspettarselo, con la ferita rinvenuta
certamente non
avrebbe potuto riprendersi con molta facilità. La prese bene
come notizia e
anzi sorrise comprensiva e si alzò lentamente dalla comoda
poltrona.
«Dove credi di andare
ora?».
«Devo parlare con
Bellocchio riguardo situazione della regione e non provare a dirmi che
devo
riposare perché non ti ascolterò!» lo
disse velocemente come se le costasse
ammettere che era preoccupata per Unima.
Red non proferì parola,
fece un altro sorriso tirato e si riportò le mani alle
tempie tornando ad immergersi
trai suoi pensieri. La brunetta quindi corse verso la stanza dove si
era
svegliata e trovò appoggiati alla sedia dei vestiti un
po’ sgualciti ma
comunque mettibili. Li indossò in fretta e ritirò
dal bancone del centro le sue
Pokéball ammettendo a sé stessa che il loro
contatto le era immensamente
mancato.
Dopo essere uscita e
aver preso una buona boccata d’aria pulita
dedusse che la sua locazione era la calma cittadina di Levantopoli,
d’altronde
era una delle città attrezzate più vicine a
Soffiolieve. Per un momento fu
anche tentata di vedere i resti del suo paese natale ma si
bloccò maturando in
cuor suo la consapevolezza che non avrebbe retto a quella terribile
vista. Era
ancora emotivamente debole e nonostante le fosse ritornato un tenue
sorriso
sulle labbra non voleva rischiare di rovinarlo. Chiamò
Zekrom affinché la
portasse allo studio di Bellocchio, alloggio provvisorio per la sua
permanenza
in quella regione. Egli infatti si era stabilito nella vicina
Zefiropoli e
Touko gli aveva dato potere di poter mobilitare i servizi di Unima in
modo tale
da avere sulle spalle una minore responsabilità, ritendendo
l’uomo una persona
capace e ferrata in materia. Dunque in questa situazione il maggior colpevole era
proprio lui che aveva
speso meno forze per la piccola cittadina di Soffiolieve o lei, che
aveva
delegato delle importanti mansioni a un’altra persona?
Eppure nonostante questi
dubbi e queste perplessità su Touko splendeva una nuova
luce, un chiaro sorriso
le illuminava il volto mentre anche gli occhi sembravano tornare al
loro antico
splendore. C’erano ancora molte difficolta, i Plasma e il
rapimento di N prime
tra tutti, eppure sua madre era lì con lei, si erano
ricongiunte e nulla
avrebbe potuto farla più contenta. Anche volare in quel
cielo, che ora le
sembrava essere ritornato limpido, era per lei motivo di meraviglia,
anche se
preoccupata sorrideva ed era certa in un qualcosa di migliore. Non
sembrava più
lei e se qualcuno l’avesse vista probabilmente non
l’avrebbe riconosciuta.
Aveva tutta l’intenzione di parlare con Bellocchio in modo
pacifico e
tranquillo ascoltando le sue ragioni senza impazzire come era solita a
fare. Voleva
essere una nuova Campionessa.
Non appena Zekrom atterrò
la ragazza non perse tempo e si diresse a gran velocità
verso lo studio
dell’uomo, pronta anche ad una eventuale sgridata.
Ciò che non si sarebbe mai
aspettata però fu la freddezza e la cattiveria con cui lui
la accolse. Lei
sapeva di non avere mai avuto buoni rapporti con il detective ma questo
andava
al di là delle sue peggiori aspettative.
«Bellocchio…» c’era
timidezza nella sua voce, paura di una possibile reazione e tensione
per la situazione
che stava vivendo.
L’uomo posò la sigaretta
nel posacenere e la fissò serio, senza parlare. La brunetta,
che tutto si aspettava
tranne questo, iniziò a sentirsi a disagio e quel sorriso
che prima l’aveva
accompagnata le parve stupido e fuori luogo.
«Bellocchio, dobbiamo
parlare» cercò di dare serietà e
contengo a ciò che diceva per attirare maggiore
attenzione.
«Sentiamo!» l’uomo pareva
derisorio e sprezzante.
«Mi è giunta voce che tu
abbia mandato la maggior parte dei Ranger a Ponentopoli e Buredupoli,
perché?».
«Ponentopoli è stata
devastata dall’esplosione dell’aeroporto di Anemone
mentre a Boreduopoli hanno iniziato
a crollare edifici senza motivi apparenti».
Bellocchio aveva detto
tutto ciò in un minimo tempo, senza pause o respiri e
nonostante la sua
spiegazione paresse plausibile era chiaro che non aveva risposto alla
reale
domanda della ragazza, cosa che l’aveva sustata non poco.
Già il sorriso di
poco prima andava scemando.
«Non ti ho chiesto
questo…» la frase le uscì poco
più di un flebile sussurro e non venne recepita
dall’uomo che ritornò con lo sguardo alle sue
scartoffie.
Touko rimase immobile,
smise quasi di respirare per concentrarsi sulla situazione improbabile
che
stava vivendo. Sapeva di non avere molto potere verso
quell’uomo dal passato
misterioso ma tutto questo la stava facendo perdere la pazienza di cui
suo
malgrado si era munita durante il breve tragitto. Era pur sempre la
Campionessa, doveva ascoltarla e l’avrebbe ascoltata.
«Bellocchio rispondimi!».
In tutta risposta questo
alzò un sopracciglio guardando in modo seccato verso la
ragazza che però non si
lasciò impressionare. Poi calmo si rialzò dalla
poltroncina, divenendo agli
occhi della brunetta sempre più grande e sempre
più sfacciato.
«Ora…» biascicò quasi
impercettibilmente prima di mettersi a sghignazzare come innervosito
«Ora me lo
chiedi. Cos’è, di colpo ti è venuta
voglia di fare la Campionessa e di
prenderti qualche responsabilità? Ora che è
successo ciò che è successo ti
svegli dal tuo sonno incantato e decidi di intervenire? Ora ti senti
tanto potente
da venire qui e dirmi ciò che devo fare?».
Le parole dell’uomo
travolsero Touko come un fiume in piena e la sua mente venne
trasportata celeramene
da quella corrente, affogò in quei sentimenti amari che da
sempre insediavano
le sue ormai vane difese. Lo sapeva. Ovvio, non era stupida, lo sapeva
che
quello era sempre stato il pensiero di Bellocchio e non solo il suo.
Era
consapevole che per quanto d’ora in avanti si fosse sforzata
di divenire una buona
rappresentante per Unima lei non sarebbe mai stata guardata con
rispetto, ma
sarebbe stata sempre additata come un’immatura e
un’incapace..
Quelle parole le erano
state rivolte così tante volte che ora lei stessa dubitava
della loro
veridicità, quella maschera di freddezza era
l’unica debole difesa che le restava
ma nemmeno lei sapeva per quanto avrebbe resistito. Era umana dopotutto.
«Se me ne sono resa conto
ora è solo perché ho iniziato a vedere Unima con
occhi diversi, ho visto
innocenti morire!» nonostante il tremore cercò di
dare un tono determinato e
autoritario alle sue parole mentre smarrita si chiedeva dove fosse il
sorriso
che prima l’aveva accompagnata.
Quella gioia era stata
solo un dono momentaneo destinato ad essere cancellato? Era
così volubile?
Cos’era ora quell’oppressione che sentiva in petto,
quella goccia intrappolata
tra le lunghe ciglia che le dimostrava ancora una volta la sua
debolezza? Ecco
che i fantasmi tornavano senza darle tregua mozzandole quel pensiero di
speranza e leggerezza che l’aveva allietata prima. Il baratro
era nuovamente
troppo vicino, la rete per il suo numero di funambolismo si stava
sciogliendo
mentre lei si sentiva nuovamente piccola e persa in un mondo troppo
grande e inadatto.
«La prossima volta vedi
di essere più presente, altrimenti non venire a lamentarti
delle mie scelte, a
volte è questione di priorità!»
Bellocchio parlava, sbraitava, ma c’era un
fondo di malcelata tristezza che si poteva leggere nei suoi occhi.
«Perché Soffiolieve?
Perché lasciarla così al suo destino? Poteva
essere salvata ma solo quattro
Ranger sono stati mandati…».
«Vuoi veramente saperne
il motivo?».
No, non voleva conoscerlo
perché già lo intuiva.
«Dimmi…».
«Ti ho detto che altre
città, maggiori di Soffiolieve sono state attaccate. La
priorità è stata loro»
chiaro semplice e coinciso.
Per Touko quelle parole
però furono anche dolorose, come si poteva dare
priorità alle vite umane?
Quello che diceva era senza senso, o forse era proprio così
il mondo reale,
luogo dal quale si era protetta rinchiudendosi in una campana di vetro.
Però…
se solo Bellocchio avesse… tutte quelle persone, i
più fortunati avevano perso
la casa, gli altri…
Tutto ciò era
profondamente ingiusto ma chi era lei per parlare di giustizia?
L’unico termine
adatto che le veniva in mente era “codarda”
perché solo ora osava far ricadere
le colpe verso gli altri quando prima di tuto doveva pensare a
sé stessa.
Sapeva anche questo difatti, era conscia di aver sbagliato sin da
principio e
di non poter ricevere trattamento diverso da questo, eppure
c’era quella parte
orgogliosa che non le permetteva di fare un passo indietro, non in quel
preciso
caso, non di fronte a quell’uomo che tanto le era odioso.
«Ti pare giusto!? Questa
ti sembra una buona motivazione?» la conversazione si stava
facendo accesa.
«La Campionessa ha
qualcosa da ridire? Forse è arrivata un po’
tardi…».
«Tu sei un mostro! Sei
responsabile di una strage!».
«E mandare più Ranger al
massacro…?» il volto di Bellocchio era deformato
dalla rabbia «Anche se il
mostro qui non sono io… credevi non fossi a conoscenza dei
fatti di Spiraria?».
Nulla. Il cuore di Touko
cessò di battere per qualche terribile secondo. Si
portò lentamente le mani al
petto per accertare di essere ancora viva e sentì la testa
pulsarle forte. Il
solo ricordo di quella vicenda la metteva in un terribile stato di agitazione,
facendola sentire
colpevole come non mai. La vista del mare le riusciva ora
insopportabile e le
portava a galla momenti orribili.
«Immaginavo» fu l’unica
cosa che riuscì a dire mentre si contorceva nervosamente le
mani.
Forse era meglio uscire
da quello studio all’istante e dimenticarsi di quella
catastrofica
conversazione, d’altronde era così ormai che
andava avanti. Sarebbe tornata al
centro Pokémon e avrebbe assistito alla guarigione di sua
madre, non importa
quanto lunga sarebbe stata, e poi… un pensiero le rimbalzava
in testa da giorni
ormai ma non era sicura lo avrebbe concretizzato. L’aprirsi
della porta alle
sue spalle la ridestò dai suoi pensieri mentre vedeva
l’espressione di
Bellocchio mutare di fronte alla vista del nuovo arrivato.
Anche lei si voltò
curiosa quando un brivido le attraversò la schiena. Ghecis.
L’uomo era in carne e
ossa di fronte ai loro occhi increduli. Indossava il solito mantello
anche se
la corporatura era smagrita e gli occhi verdognoli infossati. Era
sciupato ma
pur sempre pericoloso.
«Vi avverto: una sola
mossa da parte vostra e scatenerò le mie reclute. Sono solo
qui per parlare» la
voce era quella che Touko ricordava, proveniva direttamente dai suoi
incubi.
L’uomo si appoggiò bene
al bastone ligneo mentre attendeva una qualche risposta dai due
interlocutori,
troppo scioccati però per poter anche solo articolare un
pensiero di senso
compiuto. Fu Bellocchio il primo a rinsavire e minaccioso gli si
avvicinò.
«Esci fuori di qui! Vi
abbiamo fatti fuori una volta, ritiratevi e non ti arresterò
qui seduta
stante!».
«Già questa tua proposta
mi fa capire che temi il mio Team…» Ghecis era
sempre stato bravo con le parole
mentre Bellocchio era per lo più un uomo impulsivo.
E Touko? Cosa ci faceva
lei lì in mezzo? Non voleva rivivere l’esperienza
passata, essa le aveva
portato solo guai e dolore. Però quell’uomo era
colpevole di innumerevoli
misfatti, la piccola parte coraggiosa che ancora albergava in lei
cercò di
lottare per venire fuori.
«Vattene» atona e gelida,
non sembrava neanche provenire da lei.
«Avanti cara, non ti
piacerebbe farmi qualche domanda?».
«Preferirei tu
scomparissi dalla faccia della terra…».
«Oh ma così scomparirebbe
anche Natural e noi non vogliamo vero?» quel tono ruffiano la
mandava in bestia
«Non mi hai detto come sta mio figlio…».
«Maledetto!» urlò mentre
con un balzo gli arrivava appresso, portandogli le mani alla gola.
«Maledetto, maledetto!
Dimmi dov’è!» il vecchio non stava
opponendo resistenza mentre l’odio accecava
la brunetta sempre più.
«Touko smettila!» la
redarguì Bellocchio prendendola per i fianchi e
strattonandola per farle
mollare la presa.
Lei obbedì e si staccò
dal vecchio che ormai ansimava con occhi vitrei. Anche lei era
immensamente
stanca, solo quel gesto le era costato mentalmente uno sforzo atroce e
le sue
precarie condizioni fisiche non l’aiutavano. Si
accasciò sconfitta a terra
senza però versare lacrima.
«Allora ti interessa…»
biascicò ansante Ghecis.
Sì, le interessava sapere
dove N fosse finito. La loro ultima conversazione era stata un litigio
e doveva
ancora dirgli tante cose prima di lasciarlo andare. Erano stati lontani
per
anni e ora lui le era scivolato via nuovamente, proprio sotto il suo
naso e la
consapevolezza di non sapere dove fosse o come ritrovarlo la dilaniava.
«Sai anche lui era a
Soffiolieve ma immagino tu te ne sia accorta…».
Cosa aveva appena udito
la povera Touko? Eccolo nuovamente quel fastidioso dettaglio che le
aveva
tenuto occupata la mente al risveglio. Il ricordo di un drago bianco
simile in
tutto e per tutto a Reshiram ora troneggiava nella trai suoi pensieri
togliendole la tanto agognata pace.
«Basta Ghecis!» questa
volta era stato Bellocchio ad intervenire ricevendo come risposta una
fugace
occhiataccia.
«No…» la brunetta
scuoteva la testa mentre riprendeva a tremare.
«Diciamo pure che lui ha
fatto il grosso!».
«Non ti credo!».
«Ah no?» ne seguì una
risata distorta «Allora lo vedrai con i tuoi
occhi… Natural vieni!».
Come nel più surreale dei
sogni le orecchie di Touko smisero di percepire il minimo suono, i suoi
occhi
videro offuscati i colori dello studiolo del detective e la sua mente
si
spense, incapace di connettere tutti quegli stimoli. L’unico
che batteva ora
era il cuore, ma non in modo pacifico quanto impazzito e senza freno,
spaventato e in fuga da un mostro terribile, creatura la quale si
palesò
proprio in un preciso istante nel quale la brunetta
focalizzò la sua attenzione
nella figura che lentamente stava entrando.
Teneva i capelli non più
raccolti nella solita coda, spuntati e con una parvenza
d’ordine. Indossava un cappotto
blu notte a collo alto che
lasciava
liberi solamente i polpacci coperti da pantaloni neri. Occhi vuoti, dai
quali
nessuna emozione pareva trasparire, squadravano l’ambiente
con un misto di
spavalderia e curiosità mentre le labbra screpolate erano
incurvate in un
sorriso beffardo.
«Natural, ti presento la
nostra Campionessa ma credo che tu la conosca
già!» l’eco della voce di Ghecis
la raggiunse in lontananza mentre lei ancora faticava a capacitarsi di
ciò che
stava vedendo.
Tutto ciò era
impossibile. Doveva essere un sogno, anzi un incubo. Probabilmente si
trovava
ancora stesa su un lettino perso in chissà quale centro
Pokémon in attesa di
cure. E quindi, come poteva destarsi da quell’orribile
dimensione onirica? Voleva
svegliarsi, voleva andarsene, perché non poteva fuggire,
perché rimaneva sempre
intrappolata in quella vita che beffarda non le dava un attimo di pace?
«Pensavo fossi felice di
rivedermi..» la voce di N era però troppo reale,
quasi palpabile.
«No…».
Il tremore alle mani non
accennava a smettere, il suo cuore sembrava essersi trasformato in una
mandria
di cavalli al galoppo. Lei avrebbe voluto alzarsi e correre ad
abbracciarlo ma
le sue gambe erano paralizzate e per di più sentiva appresso
uno strano senso
di inadeguatezza, unito ad un terribile presentimento che non si
capacitava a
spiegarsi.
«Sai mi sono divertito a
Soffiolieve, un’esperienza da ripetere» come faceva
a essere sarcastico, Touko
non lo capiva.
«Perché l’hai
fatto…?».
«Sto rivalutando gli
ideali del Team Plasma!».
No quello non era il
Natural che lei conosceva, non poteva essere la stessa persona che era
arrivata
alla Lega implorando il suo aiuto.
«Tu menti…» ora le parole
della brunetta stavano acquisendo determinazione.
«Come?».
«Tu stai mentendo!» urlò
in preda a mille emozioni fiondandosi su di lui senza concrete
intenzioni, ma
venendo immediatamente bloccata dal ragazzo.
«Come sei piccola
Campionessa» le sue parole erano taglienti, la sua stretta
attorno al collo
sempre più forte «Puoi crederti ciò che
vuoi ma entrambi sappiamo che sei una
persona vuota, una banderuola. Non sei in grado di fare
nulla…».
Touko soffocava e assieme
all’ansia le si aggiungeva pure la consapevolezza che
ciò che diceva N era
crudele ma terribilmente vero. Lui forse l’aveva sempre
saputo e poteva essere
stato questo motivo a farlo partire tempo prima. Era sempre colpa sua,
perché non
la smettevano tutti di aspettarsi qualcosa da lei e la lasciavano
stare, ora
anche N se ne era reso conto, le sue più grandi paure si
materializzavano una
ad una. In pochi secondi gli occhi presero a bruciarle mentre le
lacrime le
scendevano lentamente.
«Sai mi sono reso conto
di una cosa… immagino tu sia curiosa»
continuò a sibilare mentre le sottili
dita della brunetta cercavano di allentare la presa del ragazzo.
«Io ti odio Touko, ti ho
sempre odiato! Tu non vali nulla, sei debole!».
Altre lacrime, la ragazza
ormai non ci vedeva più. Era arrivata a desiderare che N la
strozzasse
piuttosto che ascoltare ancora quel velenoso discorso.
«Ma c’è qualcosa che
nessuno ti ha detto…».
«Non dirlo!» Bellocchio
sembrava ancor più agitato.
«Oh chissà come
reagir...».
«Fermo, lasciala!» Red
spalancò la porta con una spallata, teneva in mano una
Pokéball e lo sguardo
era fisso sul Principe. Come fosse arrivato a Touko non importava,
sapeva solo
che avrebbe preferito che lui non potesse assistere a quel pietoso
momento. N
dalla sua grugnì con disapprovazione facendo cadere la ormai
inerme Campionessa
che non tentò nemmeno di coprirsi il volto ed anzi rimase
immobile come in
attesa dell’esecuzione.
«Nessuno cara mia ti ha
detto una conseguenza importante dell’incendio!» il
ragazzo urlava mentre anche
Red era attonito e incapace di agire, forse sorpreso dalla situazione.
«Credi davvero che tua
madre sia ancora viva? Beh, sappi che non è
così!».
L’affermazione rimase
sospesa nel vuoto, il silenzio sembrava aver avvolto l’intero
studio. Nessuno
fiatava mentre la mente di Touko, impreparata al terribile impatto di
quella
informazione, impazziva letteralmente. Sua madre, la persona che anche
se per
poco tempo le aveva acceso una tenue luce di speranza, la donna che
aveva
ritrovato dopo tanto tempo di lontananza ora non esisteva
più. Era stata uccisa
dalla negligenza di sua figlia che ora non poteva far a meno di
sentirsi male
al pensiero della sua colpevolezza. Avrebbe dovuto fare di
più, aveva fallito
anche lì, che le rimaneva ora?
Il suo primo sentimento
fu una tristezza sconfinata, un dolore così grande mai lo
aveva provato in vita
sua. Era come se il suo cuore le dolesse dalla tanta malinconia che
provava, le
sembrava di frammentarsi in piccoli pezzi, di non avere più
una strada da
seguire, di essere completamente persa. Le lacrime ora le inondavano il
volto
mentre lei era incapace di pensare alcunché se non
proiettarsi all’infinito
l’immagine di quella donna che tanto amava nella mente,
cercando di imprimersi
nel cuore quel sentimento, volendo sprofondare nell’amarezza.
Come avrebbe
fatto a non sentire più il suono della sua voce? Era
distrutta, incapace di
reagire né di pensare ad altro. Stava cadendo in quel
baratro ora, lo sentiva,
percepiva un freddo tagliente penetrarle fin dentro le ossa facendole
provare
un dolore indescrivibile. Avrebbe voluto tornare indietro, desiderava
salvarla
o morire al posto suo ma ciò era impossibile. Ora era sola.
Lo era sempre stata
ma sua madre… no anche quello non poteva essere vero. Eppure
le bastò un rapido
sguardo verso Bellocchio per capire che lui lo sapeva, tutti ne erano a
conoscenza.
«Il nostro detective non
vuole dirtelo ma ha dato più importanza ad altro che alla
salvezza di quella
povera donna..» era la voce stridula di Ghecis a parlare o un
rimbombo del suo
subconscio?
Però c’era dell’altro.
Dopo l’infinito dolore
una nuova fonte alimentò il battito del suo cuore: era la
rabbia. L’odio si
impossessò del suo corpo, fondendosi con la sua anima ormai
troppo stravolta
per opporre resistenza. Era proprio una banderuola, N aveva ragione. La
gente
la odiava e lo avrebbe sempre fatto, era stanca anche di questo, se la
vedevano
come un mostro allora la su trasformazione sarebbe divenuta completa.
La
pallida luce che per un momento l’aveva riscaldata era stata
troncata da motivi
che non voleva conoscere e da persone che erroneamente aveva il diritto
di
odiare.
Bellocchio, Belle, Komor,
N… tutti l’avevano delusa, ma forse era lei la
prima colpevole. Sì, era così,
eppure la rabbia non accennava a diminuire. Un solo pensiero le
martellava in
testa. Doveva dire “basta” a tutto questo, lei era
già morta e, anche se questa
condizione durava da tempo, solo ora se ne accorgeva in modo pienamente
consapevole. E poteva decidere quello che da tempo era solo un lontano
eco.
Alzò lo sguardo, ormai
reso pregno di sentimenti contrastanti ed incontrò gli occhi
stanche di Red. E
al poi ragazzo bastò solo quel gesto, la vista di quel
riflesso non umano, per
capire e per temere. Perché lui riconosceva quello che la
brunetta provava e
non poteva che averne paura, era solo la premunizione di una scelta che
avrebbe
cambiato le vite di molti, in primis quella della ragazza. E solo una
frase occupava in
quel momento la mente già satura
di pensieri del corvino.
“Touko, ne sei davvero
sicura?”.
La Cioccolateria
di Guna
Perché
quando si crede nella morte di qualcuno questa
persona ritorna. Quindi… emh… bentornati? No
davvero sono terribilmente
dispiaciuta per il ritardo ma ahimè è venuto
fuori che bisogna studiare ancor più per le verifiche (ma dai) quindi il tempo per scrivere
è diminuito
drasticamente. E poi sono stanca, le interrogazioni mi sfiancano e
mentre prima
scrivevo di sera ora mi si chiudono gli occhi. Ok, forse gli
aggiornamenti
saranno un po’ a rilento ma vi prometto che continueranno,
non mollerei per
nessuna ragione questa storia. Quindi vi ringrazio per
l’infinita pazienza e
spero che il capitolo non vi abbia deluso (non so a me pareva strano,
incrocio
le dita). Ringrazio Allys e Rovo che hanno recensito lo scorso capitolo
e la
mia cara sorellina che non si aspettava questo aggiornamento e
l’ho un po’
presa in contropiede. Cara Ink *linguaccia*
Ok scemate a parte grazie per il supporto e al
prossimo capitolo!
(e si nel caso non ve ne foste accorti questo è lungo,
tanto anche, il più lungo mai scritto. Gioite forza
figlioli).
|
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Capitolo 17 *** Crocevia ***
Crocevia
Un
forte vento gelato
soffiava con costanza facendo inclinare pericolosamente i radicati pini
di
Mogania, cittadina a nord della regione di Johto. I tetti delle case,
altresì
di un color rosso vivo, erano coperti da uno spesso strato di neve che
occupava
anche le strade, rendendo difficile il camminamento. Qua e
là si distingueva il
luccichio di qualche stalattite ghiacciata che di tanto in tanto si
staccava
dall’intaccatura, frantumandosi al suolo, mentre il suono
della fredda corrente
d’aria era ovattato dal pesante manto bianco che ricopriva
l’intera cittadina e
trasportava con sé ancora qualche fiocco che lentamente si
sarebbe posato a
terra, unendosi al resto. L’intera visione faceva trasparire
un’aura di
immobilità, come se in qualche modo il tempo si fosse
fermato e per le strade
non c’era anima viva. D’altronde solo pochi pazzi
uscivano di casa in uno dei
giorni più freddi dell’anno, proprio nel bel mezzo
di Gennaio.
Sorprendentemente proprio
in quel momento, spiccando tra il candore e la staticità del
luogo, una figura
avvolta in un pesante cappotto nero camminava velocemente, affondando
talvolta
con gli stinchi nella neve poco spalata. Tra i capelli rossicci
spiccava
qualche fiocco gelato mentre la pelle pallida del viso si confondeva
con
l’elemento predominate sulla scena. Due grandi occhiali da
sole erano
palesemente fuori posto in una giornata del genere e, quasi a
sottolineare la
cosa, si volsero per qualche secondo in direzione del cielo plumbeo dal
quale
scendeva inesorabilmente la neve, per poi tornare verso terra. La
strana
ragazza si fermò di colpo di fronte ad una casupola la cui
scritta lignea
citava “tavola calda di Mogania” anche se molte
delle lettere erano cadute da
tempo. Era più grande rispetto alle case del paesello ma
costruita sulla loro
falsa riga, con il tetto spiovente rosso
e il muro in pietra.
Dal camino invece uscivano
voluttuose nuvolette grigie che andavano a confondersi col colore del
cielo ma
che con la loro presenza vivacizzavano l’atmosfera e
spronavano l’ignaro
visitatore ad entrare per poter giacere vicino al calore del caminetto.
Ella
entrò senza indugio trovandosi accolta da
un’ambiente molto familiare e da un
dolce tepore. L’invitante profumo di crema la
portò verso il bancone dove
ordinò un caffè e un croissant ad
un’anziana signora, la proprietaria del
rifugio.
«Oggi non vuole smettere
di nevicare!» gracchiò questa porgendole la tazza
fumante «Mi domando come
staranno i Gyarados...».
La ragazza annuì
distrattamente togliendosi i fastidiosi occhiali, rivelando
così due cupi occhi
marroni che fissarono con gentilezza l’anziana aspettando il
suo ordine
completo.
«Ah Gloria, sei sempre di
così poche parole!» la signora le diede anche il
croissant ridacchiando
sommessamente mentre l’interlocutrice fuggì
discretamente verso un tavolinetto
isolato. I discorsi sul tempo la annoiavano non poco.
L’interno del rifugio era
sempre uno spettacolo per gli occhi. Il pavimento era coperto da una
moquette
viola mentre ogni mobile, bancone compreso, era stato costruito in un
legno
chiaro che faceva risplendere l’ambiente dandogli
un’atmosfera di leggerezza e
tranquillità. I tavolinetti da caffè differivano
da quelli da poker ove anche
quel giorno un gruppetto di anziani signori si dilettava con le carte.
Al
passaggio della ragazza denominata Gloria questi mandarono dei candidi
cenni di
saluto per poi tornare al gioco. Ella era davvero una singolare
presenza in un
paesino sperduto e ormai invecchiato come Mogania. Quei vecchi clienti
abituali
si ricordavano il giorno in cui era entrata in quel rifugio e aveva
ordinato il
suo caffè con un pizzico di cannella, aveva preso posto al
solito tavolo, che
col tempo era diventato il suo personale, e si era messa a sfogliare un
giornale in modo disinteressato. Da quel momento non era passato giorno
senza
che Gloria, nome che a fatica l’anziana proprietaria era
riuscita a conoscere,
facesse colazione in quel luogo, spaccando la monotonia
dell’intera giornata. I
signori, vecchi padri di famiglia che frequentavano quel luogo
quotidianamente
e ci rimanevano fino a sera, dapprima non avevano fatto caso ad alcuni
particolari che ora però erano ben visibili.
La ragazza difatti doveva
essere una persona molto abitudinaria visto che indossava sempre lo
stesso
giaccone con occhiali inclusi, prendeva sempre lo stesso ordine e
veniva alla
stessa ora ogni mattina. Non parlava mai o raramente e il suo sguardo
era
indecifrabile a tutti, sembrava quasi finto. Aveva preso alloggio in
una
casupola a Sud della cittadina, proprio vicino alla grande Palestra e
da lì
usciva di rado, a volte per qualche passeggiata, ma sempre in
solitudine.
Sembrava una persona bonaria e non dava fastidio alcuno se non che ogni
qual
volta che si sedeva al suo tavolo cercava il telecomando e spegneva
celermente
la televisione del locale che trasmetteva veloci
aggiornamenti sulla situazione delle varie
regioni. Era un atteggiamento abbastanza singolare ma di certo non
causava
nessun problema.
Anche quel giorno ella si
sedette comodamente sulla sedia ed addentò la brioche,
alzando così una nuvoletta
di zucchero a velo che si adagiò sul tavolo. Poi con
naturalezza volse lo
sguardo verso la televisione che si trovava attaccata al muro a qualche
metro
d’altezza. Proprio in quel frangente veniva mostrato uno
scorcio delle
splendide spiagge delle Isole Vorticose e veniva consigliato agli
spettatori
una vacanza in quella attrazione paradisiaca. Alla vista di sole e mare
sui
volti degli anziani giocatori si dipinsero malinconici sorrisi, quella
vacanza
era un sogno per gente come loro che viveva in un desolato e sempre
freddo
paesino di montagna. Il volto della ragazza però rimase
impassibile ed anzi,
com’era solita fare, si alzò con malcelata
frettolosità e si diresse verso il
telecomando appoggiato qualche tavolo più in là.
Nel frattempo alla televisore stavano
mandando in onda un aggiornamento flash riguardante la regione di
Kanto, nella
quale piogge torrentizie duravano da giorni ormai, e le più
attese sul conto di
Unima, regione scossa da profondi divisioni interne.
Tutti ormai erano a
conoscenza della situazione: dopo la scomparsa della Campionessa i
Plasma
avevano fatto qualche mossa prima di dare scacco matto
all’incerto Komor che
per l’occasione era stato posto come Campione, affiancato da
Nardo. La vecchia
Campionessa Touko era scomparsa da mesi ormai nel più
misterioso dei modi.
C’era chi diceva che si fosse ammazzata, ormai giunta al
limite di
sopportazione, altri credevano che si fosse alleata con Ghecis, ipotesi
smentita praticamente in partenza. Il pensiero delle persone ricadeva
dunque
nella variabile “morte” e d’altronde in
molti erano a conoscenza della sua
debolezza piscologica quindi il fatto poteva non essere poi
così paradossale.
Senza una figura di riferimento però le tensioni nella
regione si facevano
sempre più insopportabili e in molti scommettevano nello
scoppio di una guerra
come quella che era stata sfiorata tre anni prima. Non si trovava
nessuna
persona forte in grado di affrontarla e si temeva il peggio,
soprattutto ora
che alla guida dei Plasma oltre che Ghecis c’era un
più che mai presente
Natural Armonia, Principe e Allenatore di degno rispetto.
L’aggeggio meccanico venne
prontamente spento all’inizio del telegiornale e Gloria,
portandosi timidamente
i capelli rossastri di fronte al volto, tornò a sedersi per
finire di gustare la
sua colazione. I signori ripresero a giocare mentre lei, con una calma
incredibile, sfogliava il giornale posto sul tavolo. Girata
l’ennesima pagina
però la sua faccia si deformò in una smorfia di
stupore e incredulità,
atteggiamento che stonava assai con la sua proverbiale apatia. Prese
così il
giornale sottobraccio e si affrettò a pagare il conto.
Tra gli sguardi stupiti
dei clienti uscì mettendosi al volo il cappotto e venne
catapultata in quella
realtà bianca che era Mogania. Prese così la
direzione nord e l’iniziale
camminata divenne in poco tempo una corsa. Arrivò di fronte
all’entrata per il
Lago d’Ira e senza pensarci la imboccò sempre in
gran fretta. Il paesaggio nel
quale sbucò non si diversificava molto da quello precedente.
Anche qui era la
neve a fare da sovrana anche se era ben visibile l’immensa
distesa d’acqua che
rendeva il luogo come una specie di realtà parallela. Lo
specchio d’acqua
difatti era cristallino, non solo per la sua solita trasparenza, ma
anche per
la spessa lastra di ghiaccio che lo ricopriva da riva a riva. Sembrava
uno
specchio, freddo e fragile, quella visone incuteva un senso di
inadeguatezza
allo spettatore e l’immobilità delle acque era
quasi snervante. Con occhio
attento però si poteva notare il centro del lago in cui
l’acqua si muoveva viva
e non obbediva alle leggi termiche. Quella parte centrale era abitata
nella
stagione invernale dai Gyarados che distruggevano la superfice di
ghiaccio per
poter sopravvivere durante quei freddi mesi. A volte, stando ben
attenti, si poteva
notare qualche testa del Pokémon Atroce sbucare fuori
increspando l’acqua e
osservare il paesaggio cautamente per poi immergersi nuovamente.
Non esisteva nessun
camminatoio che girava attorno al Lago d’Ira e difatti la
parte a nord-ovest
era inaccessibile a causa del fitto bosco anche se Gloria aveva trovato
un
piccolo passaggio che portava direttamente in un luogo appartato e
lontano da
sguardi indiscreti. Lì amava rintanarsi per buona parte
della giornata anche se
nessuno sapeva cosa facesse.
Anche quel giorno imboccò
il sentiero gelato e sbucò dritta in uno spiazzo contornato
dalla bianca
pineta. Là la neve a terra era in quantità minore
rispetto che in città a causa
degli alti alberi che avevano protetto il territorio. Non appena si
accertò di
non essere vista da nessuno, Gloria, con un atteggiamento pur sempre
guardingo,
tirò fuori dalla tasca del cappotto una singolare
Pokéball che davanti ad un
occhio critico poteva trasformarsi in una rara Masterball, sfere di
eccezionale
fattura in grado di catturare qualsiasi Pokémon. La ragazza
se la rigirò tra le
mani come in attesa di qualcosa quando finalmente la lanciò
in aria, facendola
aprire. Dal suo interno ne uscì un possente drago nero la
cui coda mandava
deboli segnali luminescenti. Questo ruggì forte mentre la
sua padrona lo
cercava di calmare sussurrando in modo melodioso.
«Scusami, sai che non è
mia intenzione tenerti rinchiuso per così tanto
tempo!».
Il Pokémon chinò la testa
ringhiando. Sembrava alterato ma ben disposto ad ascoltare la ragazza.
«Il fatto è che sei
riconoscibile e se qualcuno ti vedesse capirebbe…».
«Che la codardia a questo
mondo è il peggiore dei mali…?» fu una
voce fuori campo a completare la frase
iniziata in precedenza da Gloria.
La ragazza si voltò
neanche troppo stupita. Davanti a lei stava un ragazzo
dall’aria annoiata, gli
occhi rossi che mantenevano il guizzo di determinazione ormai andata
erano
fissi verso il basso mentre una mano inguantata si grattava la matassa
di
capelli corvini che col tempo aveva imparato a conoscere.
«Red…» mormorò chinando il
capo.
«Certo che liberare il
Leggendario è proprio un’idea furba, dovresti
almeno controllare di essere
seguita» era un tono derisorio ma al tempo stesso bonario il
suo.
«Questa è una città
fantasma. Non farti problemi che nemmeno ti
riguardano…».
«Beh in teoria riguardano
anche me, marginalmente ma è così».
«Sei noioso quando sei
insistente».
«Dolce come sempre!».
Il silenzio calò sui due
che si fissarono come in attesa di un segno. Era sempre così
durante i loro
incontri. Eppure nonostante il carattere ben poco aperto della ragazza
il ragazzo
mostrava determinazione nel suo cercare di essere sempre gentile e
comprensivo.
Due personalità che sembravano opposte ma che avevano
più punti in comune di quanto
si potesse credere.
«Nessuno ti ha chiesto di
venire qui…» mormorò sommessamente lei
senza aspettare risposta.
«Eppure come ogni fine
mese tu mi aspetti qui, non è
vero…Touko?».
Quello
era un giorno
autunnale come molti altri. Touko varcò la soglia della
“tavola calda di
Mogania” per la prima volta una mattina di settembre. Era
sfinita, aveva
camminato per giorni e gli ultimi chilometri erano stati addirittura in
salita.
Poco prima di entrare nel territorio cittadino aveva indossato la
parrucca
rossiccia con la quale si nascondeva dal mondo mentre la lente marrone
le dava
fastidio all’occhio destro che lacrimava insistentemente.
Nonostante la
stanchezza però mantenne un certo contegno e si
andò a sedere al tavolo più
lontano dal bancone, non aveva intenzione di prendere nulla. Non che le
mancassero
i soldi, se li era portati dietro fortunatamente, ma aveva paura di
parlare con
l’anziana cameriera. Semmai l’avessero riconosciuta
avrebbe dovuto dire addio
al suo piano per una vita più tranquilla, per non parlare
dello scandalo che l’avrebbe
travolta. E quella era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.
Si sentiva persa, spaesata
e confusa. Era successo tutto così in fretta che ancora non
se ne capacitava,
quella fine estate per lei era stata logorante. Dopo la morte di sua
madre e il
discorso di N le si erano manifestati tutti i sentimenti amari che
negli anni
aveva soppresso, evidentemente invano. Dopo gli eventi di quel giorno
se l’era
presa con tutti ma la verità che in cuor suo celava era che
prima di tutto era
arrabbiata con se stessa. Sapeva di essere stata una delusione su tutta
la
linea, era consapevole che Nardo aveva sempre avuto ragione su tutto,
ma che
anche N pensasse quelle cose… era distrutta. Non connetteva
più, i suoi
pensieri vagavano indomabili procurandole un forte mal di testa. Per
non
parlare della depressione e lo sconforto che in certi momenti la
prendeva di
colpo e la faceva diventare un’ombra, una presenza
inesistente. In quegli
attimi il cuore le procurava vere e proprie fitte mentre indicibili
pensieri si
facevano spazio tra le mille lacrime che versava. Il buio
l’avvolgeva e non
c’era scampo, non riusciva a ribellarsi e rimaneva succube
quasi cullandosi in
quel sapore che col tempo stava diventando agrodolce. Se solo avesse
avuto una
persona in quei casi disperati, qualcuno con cui parlare e sfogarsi, la
situazione sarebbe migliorata ma ormai era tardi. Aveva già
perso tutti.
Si era rinchiusa per due
giorni in camera sua con i Superquattro che tentavano di farla
ragionare. Non
aveva ascoltato nessuno, non aveva nemmeno mangiato, bevuto o dormito.
Era
rimasta al buio e aveva pianto tutte le lacrime possibili, sperando che
il suo
cuore si stancasse di battere. Poi improvvisamente si era alzata senza
dire
niente a nessuno ed era partita, fuggita per meglio dire. Sapeva anche
che Red
aveva capito le sue intenzioni, le aveva comprese il giorno fatale, ma
era così
sbandata che non pensava più a nulla. Prendendo il primo
mezzo di trasporto
aveva cambiato identità, voltando le spalle a tutto e tutti.
In fin dei conti
l’aveva fatto anche quella volta a Spiraria, aveva preferito
salvarsi e non
affrontare il problema, nulla quindi gli era stato
d’impedimento ora. Era
recidiva, lo era diventata almeno.
Anche in quel giorno
autunnale Touko era una persona diversa. Era impaurita da tutto e
tremante come
una foglia. Si era come svegliata da un brutto sogno e ora riusciva a
vedere la
realtà senza veli. Non era mai stata la ragazza forte che
aveva creduto, lei
era debole, di quella debolezza che è della peggior specie.
Fuggire era l’atto
di codardia più grande ma era anche quello a cui era avvezza
dalla nascita. Era
anche vero che un tempo era riuscita a fronteggiare il Team Plasma ma,
seduta
in quel tavolino, in un villaggio sperduto a nord della regione,
sentiva che nulla
l’avrebbe potuta far tornare com’era. Ormai non
credeva neanche più di essere
stata lei quell’eroe di anni prima. E peggiore tra tutti era
la consapevolezza,
per una persona orgogliosa come lei, di aver sempre avuto torto. E
soprattutto
che Nardo avesse avuto ragione sul suo conto.
«Mi sembra libero…» una
voce la sorprese facendola sobbalzare.
Un ragazzo dalla folta
capigliatura castana e un paio di grandi occhiali da sole si sedette di
fronte
a lei, facendola sentire estremamente a disagio.
«In realtà…»
biascicò lei.
«Shhh, Touko cara devi
modificare un po’ la voce se non vuoi che la gente sospetti
di te…» si abbassò
gli occhiali rivelando due occhi rossastri «…e di
me».
«Red!» forse l’aveva
urlato troppo forte, ma a ben vedere nessuno ci aveva fatto caso.
«Fai piano…».
«Come hai fatto a…?».
«Ti ho seguita, devo
ammettere che ne hai visitate di città prima di scegliere
questa!».
«Non so di cosa tu stia
parlando» si impuntò Touko sorridendo.
«Andiamo, non credermi
stupido, io e te dobbiamo parlare!» il suo volto era divenuto
improvvisamente
serio.
«Volete qualcosa?»
un’anziana signora sopraggiunse alle spalle del corvino,
interrompendolo.
«Per me un caffè, credo
che anche la signorina lo gradisca… poi… avete
torte?» Red si comportava in
modo assolutamente rilassato mentre dalla sua la brunetta tremava.
Evidentemente l’eremita era abituato a queste situazioni.
«Abbiamo la nostra
specialità!» esclamò con fierezza la
donna, atteggiamento che commosse
internamente Touko. Aveva iniziato ad osservare più
attentamente le persone
durante il suo itinerario senza meta.
«Va benissimo allora»
anche il ragazzo sembrava gentile cosa che la sorprese.
Lo aveva sempre visto come
un Campione intoccabile però standogli vicino anche una
persona chiusa come lei
si era accorta della presenza recondita di un cuore.
Pochi silenziosi minuti
dopo la cameriera arrivò con due tazze colme di
caffè ed un invitante vassoio.
Touko saggiò con la forchetta la superficie morbida di
quella fetta marrone per
poi prenderne un pezzo.
«Cioccolata…» mormorò come
ipnotizzata.
Red sorrise benevolo e le
versò sopra uno strano sciroppo violaceo, doveva essere di
mirtilli. Un denso
profumo inebriò i sensi della brunetta che si
abbandonò ad un pasto decente
dopo gironi di viaggio.
«Bella Mogania, anche se
dicono che Unima sia più salutare…».
«Non so dove tu voglia
arrivare…».
«Fammi parlare!».
«Allora parla…» il sorriso
di entrambi era svanito.
«Posso anche capire lo
sconforto ma addirittura fuggire…»
«Se è ciò che volevi dirmi
puoi anche farne a meno!» Touko si alzò
nervosamente.
Era stanca di tutte quelle
voci, voleva starsene da sola, voleva solo essere lasciata in pace. Non
avrebbe
mai potuto affrontare un problema in quelle condizioni e ne aveva piene
le
tasche di tutte le parole vuote che la gente le sussurrava sempre, di
nascosto
più che apertamente. Se ne era andata per questo, non
sarebbe tornata indietro.
In pochi e rapidi passi fu subito fuori dal rifugio e si
incamminò verso il
lago, cercando di ricacciare ancora indietro l’immensa
amarezza e dolore. Si
stava comportando male, lo sapeva, ma non avrebbe mai fatto dietrofront.
«Touko!» l’urlo di Red la
raggiunse ma lei avanzò ancora più velocemente,
addentrandosi nel boschetto
vicino al lago.
Le lacrime cominciarono a
farsi prepotenti mentre la stretta allo stomaco le riportava alla luce
ferite
ancora fresche. Lei non era stanca, era completamente esausta,
annientata.
«Touko ti prego…» lui
l’aveva raggiunta, i suoi incubi l’avevano seguito.
«Non voglio ascoltarti!».
«Dovrai!» mormorò lui
prendendola per il polso.
«Basta, basta!» urlò
cercando di divincolarsi.
«Ti capisco, so cosa provi
ma fuggire non risolve nulla!».
La ragazza si bloccò come esterrefatta.
Era forse impazzita, ma non stupida.
«Parli tu…» una risata di
sfogo la bloccò «Parli tu, l’eremita del
Monte Argento!»
«Non sono cose che ti…».
«La cosa è reciproca» era
più isterico il suo tono, il nervosismo non stava certamente
aiutando
l’andamento della conversazione.
«Tu non sai cosa ho
passato…!» Red ansimava.
«Tu invece sì, hai detto
che puoi capirmi ma ti sbagli».
«Non fare il mio stesso
errore!» il corvino puntava i penetranti occhi verso la
ragazza in uno sguardo
di supplica.
«E se io volessi? Sì, voglio
sbagliare!».
La brunetta si fermò,
doveva trovare le giuste parole per esprimere un concetto che a suo
parere
sembrava contorto e sconclusionato. Doveva essere chiara ma
l’ansia, la
frustrazione e il suo essere confusa fecero degenerare il discorso.
«Sono esausta, voglio
andarmene, lo capisci? Voglio che la gente si dimentichi il mio nome,
desidero
così tanto cancellare la mia
esistenza…» lo stava dicendo, stava riversando
tutti i suoi segreti «io voglio cadere…»
Un improvviso abbraccio
bloccò il fiume di parole che ella riversava con dolore,
amareggiata. Era uno
strano contatto, qualcosa nel cuore della brunetta fremette. Le braccia
del
corvino la stringevano in un gesto di protezione come per cullarla
eppure lei
poteva sentire bene il suo cuore battere a mille avendo la testa
appoggiata sul
petto. Rimasero così per un tempo che ad entrambi parve
eterno, momenti in cui
Touko si sentiva per la prima volta al sicuro. Non sapeva né
che pensare né che
fare, rimaneva lì tra le braccia di Red come una bambina
bisognosa d’affetto,
in fondo lo era sempre stata. Quando però il corvino le
prese il mento con
dolcezza allora il suo cuore parve smettere di battere. In un attimo le
loro
labbra si trovarono a contatto, ma mentre il ragazzo chiudeva gli occhi
lei li
teneva ben spalancati. Fu proprio in quel frangente che al posto dei
capelli
corvini del Campione vide una matassa verde. Due occhi glaciali che ben
conosceva, il volto di Natural ormai si era sovrapposto
all’altro. Con uno
scatto repentino si allontanò da Red che pian piano
riprendeva le sue
sembianze. Era davvero arrivata a tanto?
Guardò il ragazzo che aveva
di fronte e un ulteriore senso di smarrimento la pervase facendola
traballare.
Smarrimento e colpevolezza.
«Non… non dovevamo…»
sussurrò ancora su di giri.
«Dimentica» il corvino era
tornato distaccato, mani in tasca e sguardo fermo.
«Ascolta, noi…».
«Ho detto dimentica» si
sentiva uno stupido, sarebbe sprofondato se avesse potuto.
No, Touko si era
sbagliata. Il ragazzo era ferito non freddo. Lei avrebbe voluto
confortarlo e
chiarire la faccenda, ma confusa com’era sapeva che non
avrebbe fatto altro che
peggiorare il tutto. Non sapeva cosa provare, non si capacitava della
sua
insensibilità.
«Red, devi capire che…»
per l’ennesima volta venne interrotta.
«Il mio è stato solo un
gesto di sfogo, sono turbato e la solitudine non giova a nessuno.
Perdonami e
dimentica» quella freddezza era spaventosa.
La brunetta lo guardò
imbambolata, aveva paura ma non sapeva nemmeno lei di cosa. I
sentimenti che
provava nei confronti di Red era un pensiero che mai l’aveva
sfiorata, ma a
quanto pare per il ragazzo non era così. Aveva sentito una
nota di dispiacere
nella sua voce e non credeva alle sue parole fino in fondo
però non aveva le
forze per affrontare anche quella faccenda così
annuì.
«Ascolta, posso capirti»
il ragazzo riprese il discorso precedente come se nulla fosse
«Vorrei fermarti
ma non ne ho le facoltà. Permettimi almeno di rimanerti
vicino, voglio
aiutarti».
«Cosa intendi?».
«Posso ospitarti nel posto
in cui vivo, hai bisogno di qualcuno…» nemmeno il
corvino era tanto convinto
delle sue parole.
«No!» esclamò spaventata
Touko «Ho solo bisogno di stare sola, ti prego».
Il tono con cui l’aveva
detto fece aprire gli occhi a Red, ora poteva capire a pieno la
situazione
della ragazza. Fragile non era la parola giusta, lei era già
stata distrutta da
qualcosa che lui poteva solo immaginare. Era crollata definitivamente e
non
sarebbe mai riuscito a riportarla ad Unima né ora
né mai. Era come un uccellino
ferito ma forse per risanare quel grande squarcio una vita intera non
sarebbe
bastata.
«Se posso fare qualcosa…
ti prego fammelo sapere…».
Una strana luce illuminò
gli occhi cerulei della brunetta che sorrise non troppo rincuorata. Poi
fece
tre passi e si rigirò su se stessa, calpestando lo spesso
strato di secco
fogliame. Era pensierosa e crucciata, pareva dover prendere
un’importante
decisione. Se vivere alla giornata era il suo principale progetto
allora
cambiare umore, comportamento e mente doveva essere la sua prerogativa.
Aveva
ragione Red, dimenticare. Sì, ci stava riuscendo, stava
dimenticando e stava
cambiando. Forse il suo era solo il primo sintomo della follia, molto
probabilmente
era già diventata pazza ma se il mondo girava velocemente
allora lei doveva
stragli dietro.
«Red, sei troppo gentile
per questo mondo. Dov’è il ragazzo fastidioso che
conobbi ad Unima?».
«Al momento sono impegnato
a non far sprofondare nel caos quella regione…» il
corvino digrignò i denti
infastidito.
«Gesto nobile, allora non
dovrai dire a nessuno di avermi visto!».
Il ragazzo aveva previsto
quella frase ma ora come ora non poteva far altro che annuire. Se il
suo scopo
era proteggerla, paradossalmente in quella delicata situazione era
l’unica cosa
che potesse fare. E sì lui l’avrebbe protetta al
posto di N, non avrebbe fatto
come il Principe.
«Sia chiaro che lo faccio
anche per me» sospirò ambiguamente «ma
ora che pensi di fare?».
«Mi piace Mogania, ha quel
non so che di antico e abbandonato.
Da
quel che ho visto è semi deserta, mi pare il posto adatto a
me. Sembra quasi
una campana di vetro, una città retrograda per la quale non
passano molti
allenatori e le notizie saranno poco diffuse. Io e mamma sognavamo
questa vita
sin da quando ero piccola» Touko parlava come un fiume in
piena, fregandosene
di essere ascoltata o meno «Quando mi hanno detto che lei era
viva io avevo
intenzione di affittare una piccola casa in qualche posto
così e di passare lì
il resto della mia vita. Le sarebbe piaciuto…».
«Touko non devi…».
«Poi è successo ciò che è
successo e io ora sono da sola. Però non voglio dilungarmi
su quanto questo sia
triste, c’è quindi un unico favore che vorrei
chiederti».
Il ragazzo non rispose
così la brunetta continuò.
«Voglio isolarmi dal mondo
come ben avrai capito, però… se a volte tu
venissi qui dal Monte Argento per…».
Red sorrise pensando che probabilmente
non tutto era perduto.
«Come vuoi Campionessa!».
Lei gli scoccò
un’occhiataccia infastidita per il nome con cui era stata
chiamata, ma subito
dopo scrollò le spalle sbuffando e si incamminò
verso la Palestra.
«Ora dove vuoi andare?».
«Credo che il Capopalestra
di qui possa aiutarmi a prender casa, forse ci vedremo Red, stammi
bene!».
Quel chiaro segno di
saluto fece soffrire internamente il corvino. Non era stato del tutto
sincero e
le aveva detto di dimenticarsi del bacio, ma in cuor suo sapeva la
verità. Non
era del tutto convinto dei sentimenti per Touko però voleva
proteggerla e lei
non gli stava dando modo di farlo. Anche la brunetta si allontanava da
Red con
un groppo in gola. Sapeva di star lasciando indietro l’unica
sua possibile
ancora di salvezza. Stava per compiere un salto senza la rete sotto ad
aspettarla, ma per la prima volte si sentiva soddisfatta, era una sua
personale
scelta e se stava sbagliando lo faceva coscientemente. Si era sentita
così solo
il giorno in cui era partita per il suo viaggio. Decisa a non perdersi
tra i
ricordi entrò all’interno della Palestra pronta a
vivere come un’altra persona.
Nel volto
di Touko era
dipinto un sorriso sbieco, quasi derisorio e leggermente divertito. Le
piacevano le conversazioni non sempre pacifiche con Red, unico a non
averla mai
abbandonata nel corso del tempo. Era contenta che fosse venuto anche
quel mese
e doveva ammettere che il suo tempismo era incredibile.
«C’è una cosa importante
che devo mostrarti» mormorò la brunetta in tono
serio.
«Mhm, parla prima tu
allora…».
La ragazza sfilò dal giaccone
il giornale che aveva preso dalla tavola calda e lo sventolò
a mezz’aria con
un’espressione severa. In prima pagina il ragazzo
notò un titolo a caratteri
cubitali che citava “La caduta
dell’eroe”, mentre la foto di un volto noto lo
incuriosì immediatamente.
«Se smetti di maltrattare
quel giornale e mi dici il problema…».
«La prima pagina, non hai
idea di ciò che ho letto!» detto questo gli
lanciò l’oggetto di così tanto
interesse in attesa che lui leggesse.
L’articolo “la caduta
dell’eroe” parlava chiaramente di Unima e il
corvino non ci mise molto a capire
che Touko doveva esserne citata, così si mise a leggere.
“Il riassunto delle
confessioni dei Superquattro nei confronti dell’ormai
scomparsa Campionessa
Touko ci narrano fatti scioccanti che dipingono un ritratto di un
personaggio
rimasto sempre avvolto nel mistero. Quella che tutti credevano
l’eroe di Unima
si rivela infatti essere sempre stata una ragazza con più
debolezze umane che pregi.
Catlina racconta la dipendenza dell’ex Campionessa
dall’alcol e la sua
logorante depressione che non le permetteva di prendere decisioni
imparziali.
Marzio ci parla di una ragazza viziata, indifferente verso i problemi
della
regione, usando termini pesanti nei suoi confronti. Con il materiale
ricavato
possiamo dunque asserire con fermezza che Touko non sia semplicemente
scomparsa, l’ipotesi accreditata di una sua presunta morte
ormai diventa anche
l’unica da poter scegliere. D’altro canto una
persona fragile come lei non
sarebbe potuta rimanere alla guida ancora per molto. Il resto
dell’articolo a
pagina 4”
Il ragazzo rimase senza
parole. Quello non poteva essere il ritratto di Touko, lei era debole a
volte
ma sicuramente si era preoccupata in passato della sua regione.
«Non so che dire…» mormorò
impaurito dalla reazione dell’altra.
«Tanto per la cronaca sono
astemia» sorrise lei superficialmente cercando di non farsi
vedere troppo
scocciata.
«Non dovrebbero dire certe
cose ma d’altro canto visto lo stato in cui versa la
regione…».
«Non importa, non
m’interessa ciò che pensa l’opinione
pubblica, c’è però
dell’altro…» sussurrò
lei avvicinandosi e girando le pagine fino ad arrivare a quella
cercata.
Una foto presente anche in
copertina, occupava gran parte dello spazio mentre, il corvino
osservò attento,
le labbra di Touko tremavano leggermente. Red si accorse finalmente di
chi
fosse il volto raffigurato. Era Belle, la ragazza bionda che aveva
visto al
fianco della brunetta in svariate situazioni. Vicino alla sua foto vi
era
quella di un uomo sulla quarantina, una barbetta ispida e due occhi
stanchi e
marcati.
«Nardo…» il corvino rimase
spiazzato.
«A quanto pare i Plasma si
stanno dando da fare. Belle e Nardo sono scomparsi l’altro
ieri… rapiti per
meglio dire» Touko parlava con tranquillità ma si
vedeva che il fatto l’aveva
turbata. Red dalla sua doveva ammettere che la brunetta era diventata
nei mesi
una vera e propria maschera di ghiaccio, un sorriso
l’accompagnava sempre durante
i loro incontri ma dal Capopalestra della citta aveva saputo che di
pianti che
a volte si udivano provenire dalla sua abitazione. Doveva soffrire
molto ma se
un tempo l’avrebbe chiamata “apatica” ora
si levava il cappello di fronte ad
un’attrice con i fiocchi.
Nel frattempo Touko
pensava. In tutti quei mesi aveva cercato di rimanere alla larga da
tutto ciò
che riguardasse Unima e spesso negli incontri con Red
l’argomento non veniva
sfiorato per sua volontà. In questo modo non si era mai
trovata a pensare
veramente, a mente lucida e occhi asciutti, alle conseguenze del suo
trasferimento, sapeva che Ghecis ne avrebbe approfittato ma non credeva
fino a
quel punto. Erano state rapite diverse persone nel corso dei mesi ma
mai gente
che in passato le era stata così vicina, chiaro segno che
indicava che il Team
Plasma la voleva far uscire allo scoperto. Eppure in teoria tutti
avrebbero
dovuto credere in una sua presunta morte, lei era sparita da Unima
ormai da
mesi. Per la prima volta da quando era a Mogania ebbe dei dubbi. Valeva
la pena
rimanere lì, invecchiare sola sapendo di aver condannato
persone innocenti?
Quella semplice foto non poteva di certo averle fatto venire simili
ripensamenti, salda com’era nella sua decisione,
però non aveva sempre
desiderato un riscatto personale? In fin dei conti era scappata
perché non si
sentiva all’altezza quindi tornare avrebbe peggiorato la
situazione. Ma
rimanere lì avrebbe sancito la sua sconfitta finale, un
fallimento se possibile
ancora maggiore.
Touko credeva di aver
sperimentato la confusione mentale ma in quel momento non ne fu tanto
sicura.
Era ad un bivio. Era qualche giorno ormai che questi pensieri la
tormentavano,
segno che il suo vero carattere, quello seppellito in fondo al suo
animo, stava
tornando prepotentemente. O forse erano solo sue speranze. Non era
stata lei
forse a desiderare di cadere in quel baratro di monotonia e paura?
Già, il
terrore che provava ogni giorno non era però riconducibile
alla sua situazione,
lei temeva se stessa. C’erano momenti che non accettava le
scelte che aveva
fatto, non si riconosceva, e in quegli attimi una nuova forza
distruggeva il
ghiaccio di cui il suo cuore era contornato. La cosa però
durava sempre poco,
subito dopo una tristezza ancora maggiore s’insinuava nella
sua testa e sempre
più difficilmente l’abbandonava. Poteva essere
quello il momento del riscatto?
«Si aspettano che io
torni, o che risorga…» disse lei con voce spezzata.
«Credevo che ciò fosse
fuori discussione».
Di certo Red non la stava
aiutando, aveva forse bisogno di essere presa a schiaffi per riuscire a
capirsi?
«Lo è infatti…».
La brunetta si avvicinò al
suo fidato Zekrom accarezzandogli leggermente il muso. Quel
Pokémon, il
leggendario che doveva appartenere all’eroe, la sola vista le
dimostrava nuovamente
quanto lei fosse fuori posto. Non riusciva ad affrontare nemmeno il
più piccolo
dei problemi, come poteva mettere le cose a posto ad Unima.
“non puoi” le
mormorò fastidiosa una vocina “provaci”
si sovrappose un’altra. “Ucciditi”
avrebbe pensato Touko se solo quel fatale gesto non fosse costato tanta
volontà; persino per quello non era portata.
«Red, se Ghecis riuscisse
a conquistare Unima si fermerebbe lì o si potrebbe
espandere?».
«Un uomo come lui
potrebbe, perchè?».
Lei non ripose. Chiuse
semplicemente gli occhi e immaginò, nella sua mente si
palesò l’immagine di
Ghecis affiancato da N, entrambi vestivano come dei re e marciavano.
Unima
ormai messa a ferro e fuoco, avrebbero mirato ad altre regioni, ne era
convinta. Il re dei Plasma non si sarebbe mai accontentato e qualcun
altro
avrebbe pagato per la sua negligenza. Altre vite, altri dubbi. Ma lei
era così…
lei. Non aveva le facoltà mentali per tenere testa a quella
valanga, come
sarebbe andata a finire la tragica storia della Campionessa fallita?
Allora si ricordò di un
vecchio insegnamento di Nardo. Egli diceva che nella vita ci sono
momenti in
cui una decisione può essere l’ago nella bilancia,
un qualcosa di veramente
importante per il quale a volte non si riesce a decidere da soli. Tutti
prima o
poi hanno bisogno di una mano e Touko comprese quella verità
solo in quel
momento. E capì finalmente che poteva fare solo una cosa.
«Red, ho bisogno di una
informazione…».
Perché aveva bisogno di
una mano, o per meglio dire uno schiaffo.
La Cioccolateria di Guna
E
ormai non ci speravate
più di risentirmi no? Quasi due mesi di assenza ma stavolta
non ho scuse. Il capitolo
è pronto da circa due settimane e c’è
un motivo ben preciso riguardo al mio
tremendo ritardo. Considero sta roba qui sopra orribile.
Tutt’ora dopo la
pubblicazione nonostante lo abbia rigirato come un calzino non mi
piace. Ho voluto
dare spazio all’introspezione ma a quanto pare con scarsi
risultati.
Linciatemi pure, anche da
morta scriverò il prossimo capitolo perché
l’ispirazione mi ha colto alla
sprovvista… sperando che non venga un bleah con i fiocchi
come questo.
Grazie per la pazienza e
sostegno, grazie a Zoichi, Allys, Ele Ink, Rovo e Morning Musume per
le
splendide recensioni.
Alla prossima e grazie
ancora.
Ah giusto, la parte in
corsivo sarebbe un flashback… non si sa mai.
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Capitolo 18 *** Segnali di svolta ***
Segnali di svolta
La
giornata di Adelaide era stata decisamente stressante. Aveva corso da
una parte
all’altra della città come un’inutile
recluta ed ora la sua unica intenzione
era quella di rifugiarsi sotto un caldo e rilassante getto
d’acqua, cercando un
po’ di calma. Aveva l’assoluto bisogno di lavar via
tutte le preoccupazioni che
le assediavano la mente ed era certa che, riposando un poco a mente
sgombra,
avrebbe riacquisito quella forza che le serviva per attuare gli ormai
prossimi
progetti del sommo Ghecis. Ultimamente infatti al quartier generale del
Team
Plasma il lavoro non scarseggiava affatto, tutti si affannavano per i
corridoi,
preparando tattiche, allenando Pokémon e recapitando le
direttiva del re,
mansioni di vitale utilità per la loro prossima mossa.
Naturalmente Adelaide
non era da meno, come uno dei più importanti comandanti era
suo dovere
controllare che tutto stesse andando per il meglio e che non ci fossero
intoppi
di alcun tipo. Ambiziosa com’era teneva particolarmente a
quel colpo, ormai
programmato da mesi, ed era convinta che le sorti di Unima sarebbero
cambiate
con il loro successo. Già immaginava la vita da vincente che
avrebbe avuto, i riconoscimenti
di cui si sarebbe vantata per generazioni e il fascino del
combattimento che a
breve avrebbero affrontato. Il piano del loro grande re era qualcosa di
sublime, degno della mente di un genio e senza dubbio difficile da
attuare,
eppure lei si impegnava anima e corpo per la sua riuscita.
Tutto
quello però l’aveva oltremodo stancata, aveva
bisogno di una pausa per
riprendere le energie che poi sarebbero state vitali ai fini del
prossimo
scontro. Così in quel tardo pomeriggio i piedi della bionda
svoltavano ad ogni
corridoio, perdendosi tra quei grovigli di scale, passando
più volte nella
stessa stanza, senza riuscire a trovare la giusta direzione. Non si era
ancora
abituata alla struttura degli imponenti grattacieli di Austropoli, la
capitale
di Unima, grande e potente città sviluppata solo ed
esclusivamente in
verticale. Dopo la scomparsa di Touko, Ghecis aveva mirato proprio a
quella
importante località e così, passando per il
deserto di Unima, prendendo le vie
più nascoste e pericolose, aveva colto di sorpresa il
Capopalestra Artemisio
che non aveva potuto far altro che arrendersi di fronte alla potenza
nemica.
Ora il ragazzo veniva tenuto rinchiuso all’interno della
Palestra, così da non
poter creare danni o impedimenti, ma Adelaide avrebbe preferito
alloggiare in
luoghi dove fosse più semplice orientarsi. Più
volte anche in città si era
persa tra mille vie secondarie, vicoli ciechi e zone poco frequentate,
ma quel
vagabondare l’aveva portata a toccare con mano una
realtà che da tempo aveva
voluto dimenticare, forse invano. Proprio tra quelle viuzze infatti si
trovavano con estrema facilità piccoli gruppi di bambini,
completamente
abbandonati a sé che spesso vedevano come unica
possibilità di salvezza il
rubare. Le cose, con l’avvento dei Plasma, erano certamente
peggiorate visto
che la città era il loro covo principale ed era di farabutti
che si stava
parlando. Nessun civile poteva uscire per scampare a quella
povertà che
dilaniava i cuori degli abitanti e rendeva l’inverno ormai
inoltrato più freddo
e lungo. Adelaide vedeva quei visini spaventati, famelici o
semplicemente morti
e cadeva in un vortice di ricordi che più volte aveva
imparato a scansare. Non
poteva, anzi non doveva far nulla nei confronti di quei poveretti, la
sua
posizione e la sua attitudine all’indifferenza, allenata con
tempo e fatica,
non glielo permettevano, eppure poteva capirli meglio di chiunque
altro, poteva
essere partecipe al loro dolore. Sentiva i loro sguardi seguirla,
guardarla con
odio, implorare grazia ed ogni volta scappava, prima lentamente ma il
più delle
volte i suoi passi assumevano l’andamento di una corsa
frenetica e sfrecciava
finchè il fiato non le mancava, perdendosi ancor di
più in quella città che
somigliava ad una raccapricciante ragnatela pronta ad inghiottire le
anime.
Quando
la ragazza svoltò l’ennesimo corridoio
però i suoi piedi si fermarono di colpo.
Una lenta melodia le arrivò all’orecchio,
facendole venire la pelle d’oca. Era
una di quelle canzoni malinconiche che portano alla mente momenti
nostalgici della
propria vita e che riempiono il cuore solo di angosce indistinte e
riflessioni,
facendoti perdere contatto con la realtà. Una musica
così triste da far venire
le lacrime agli occhi, note concatenate per creare un concentrato di
sentimenti
nei cuori straziati degli ascoltatori. Proveniva certamente da un
pianoforte ed
era facilmente intuibile chi fosse il suonatore dal momento che
c’era solo uno
strumento in quel grande palazzone. Adelaide venne cullata da quel
suono che
prometteva un riposo per anime affaticate e così, come
attratta da una forza
invisibile, la seguì ipnotizzata. La porta della stanza da
cui proveniva il
suono era socchiusa, come un invito ad entrare per diventare parte di
quel
sogno, cosa che la bionda non rifiutò. Venne investita da un
forte riflesso, il
sole stava tramontando e un fascio di luce arancione entrava dalla
finestra ed
andava a specchiarsi sul liscio pavimento in marmo bianco.
Effettivamente
l’intera camera era arredata con mobili dalla
tonalità bianca, dal letto
singolo allo scrittoio semivuoto. L’unica eccezione era il
pianoforte a coda
proprio al centro della stanza, di un color blu notte che feriva lo
sguardo
alla vista di un ambiente così immacolato. Seduto sullo
sgabello, intento a
suonare c’era Natural Harmonia Gropius, volto rilassato ed
espressione triste.
La bionda notò con curiosità che i suoi occhi non
fissavano lo spartito sopra
il leggio e le sue mani si muovevano libere, seguendo solo ed
esclusivamente i
sentimenti del ragazzo. Non era una melodia improvvisata, il suo era un
qualcosa dettato dal cuore, un brano da lui tanto conosciuto da essere
suonato
alla perfezione con il solo ausilio della memoria. Adelaide si chiese
quante
volte avesse dovuto suonare quel pezzo per essere così
sicuro ora. L’aveva
composto lui quel motivo tanto dolce quanto malinconico? E soprattutto,
pensando a che cosa poteva essere ispirata una melodia di tale
spessore? La
bionda non aveva dubbi, la risposta era sempre quella.
Questa
nuova consapevolezza la portò ad innervosirsi di colpo, non
poteva permettere
ad un’altra nota di uscire da quello strumento. Si
avvicinò così a gran
velocità verso di esso e iniziò a scrollare la
spalla di N, riscuotendolo dalla
trance con cui stava suonando. Le plumbee iridi del ragazzo parvero
svegliarsi,
rimanendo però cupe e vuote, troppo tempo era passato
dall’ultima volta che
avevano brillato di luce propria. Adelaide aveva apprezzato il nuovo
taglio del
Principe, ora i capelli erano molto più corti ma nonostante
questo lunghi
ciuffi verdi gli andavano a ricoprire la fronte e gli occhi, arrivando
sino
alle guance pallide. Il ragazzo era totalmente cambiato e di questo la
ragazza
si sentiva la fiera artefice ma anche la maggior colpevole.
«Ehi
Ade…» la calda voce di N la distrasse.
«Scusa
non dovevo disturbarti!» si finse dispiaciuta la bionda.
«Non
ti preocc…».
«Il
problema è che quando suoni sembri una persona
così triste, non posso
sopportarlo!» doveva subito prendere le redini del discorso,
non era facile
comportarsi con lui.
N
non sorrise, semplicemente sospirò e tornò a
sistemare gli spartiti. Quello fu
per Adelaide un segnale di via libera. In fondo obbediva solamente agli
ordini.
«Era
quel pezzo vero?».
«Ti
prego Ade, non ricominciare».
«Invece
devo! Io vorrei solo vederti sorridere, sai che posso farti dimenticare
il
passato…» la bionda era brava a fingersi
ciò che non era, una ragazza
preoccupata per la sorte del suo amato Principe, ma la
realtà era diversa. O
quasi.
«Lo
so, ti devo molto. Se sono qui è grazie a te» lui
era sempre così calmo, nella
sua voce non c’era mai la minima traccia di convinzione.
«Allora
smettila di suonare quel brano, smettila di pensare
a…».
«Ti
ho chiesto di non parlarne!» il ragazzo non aveva alzato la
voce, ma il
fastidio si sentiva.
«Scusami,
vorrei solo che ti ricordassi chi c’è sempre per
te…» miagolò lei da brava
gatta morta allacciandogli le braccia al collo «Io ad esempio
ci sono…» gli
sussurrò all’orecchio.
N
si alzò di scatto, lasciando la bionda basita. Le sue mani
tremavano
leggermente e le sue pupille si muovevano a grande velocità,
cercando un
appiglio tra tutto quel bianco che alla lunga doveva esaurire una mente
fragile
come la sua. Il ragazzo traballò incerto su qualche passo e
con una lentezza
straziante si avvicinò al divano, cadendoci letteralmente
sopra senza un minimo
di grazia. Poi volse la testa verso l’alto come per
richiamare qualche oscuro
pensiero ed infine chiuse gli occhi stanco, cercando rifugio in qualche
bel
ricordo passato. Era così che viveva ormai. Combatteva per
Unima, o meglio
contro, e poi a fine giornata, dopo aver recitato il ruolo del Principe
spietato, si accasciava sul pavimento della sua stanza pregando per la
sua
anima o si metteva al pianoforte, unico oggetto che lo facesse rimanere
in
contatto con quella fragile realtà. Ormai non distingueva
più gli incubi dalla
quotidianità, non era più in grado di capire cosa
stesse succedendo intorno a
lui. Il suo tempo oltre che da varie lotte era scandito da incontri con
il
padre per parlare di strategie o nuovi massacri e di altro di cui il
ragazzo
ricordava ben poco. La cosa che però saltava
all’occhio anche a lui era che,
settimana dopo settimana, la sua sanità mentale stava
risentendo di un male sconosciuto
e da un lato spaventoso. Era partito tutto la prima notte che aveva
dormito lì,
i Plasma gli dissero di averlo soccorso fuori dalla Lega e di avergli
curato
numerose ferite, salvandolo da morte certa. I suoi ricordi erano
completamente
offuscati, si sentiva smarrito e non riconosceva nessuno dei volti
presenti, il
luogo gli era sconosciuto e il suo nome inesistente. Solo una parola
era
impressa nella sua mente, Touko, accompagnata dall’immagine
di una ragazza
sorridente di cui però N ricordava ben poco.
L’espressione dei presenti, i suoi
presunti salvatori, non sembrava augurare nulla di buono, le facce
erano
crucciate e preoccupate, tanto da spaventare il ragazzo stesso. Fu in
quel
momento che fece capolino all’entrata della stanza Adelaide,
un sorriso
serafico dipinto in volto, che con una calma impensabile gli aveva
riferito
delle notizie inaspettate. La Touko di cui aveva qualche frammento di
memoria
altri non era che una ragazza che in passato l’aveva
abbandonato con crudeltà,
lasciandolo solo al suo destino, e di cui lui era stato profondamente
innamorato. Gli venne detto che con molta probabilità era
stata proprio lei ad
attentare alla sua vita, ferendolo gravemente, senza pietà
alcuna. La bionda
aveva descritto colei che gli aveva spezzato il cuore come una persona
infida,
manipolatrice e pronta a tutto pur di raggiungere i suoi scopi, mentre
lui
ascoltava rapito tutte quelle parole che lentamente penetravano nella
sua
mente, cambiando l’immagine della solare ragazza in quella di
un mostro. Un
giorno, quello che aveva scoperto essere suo padre, l’aveva
portato con sé in
modo non del tutto inaspettato e lì N aveva avuto modo di
vedere con i suoi occhi
la Touko di cui tanto sentiva parlare e per la quale aveva sviluppato
nel tempo
un odio feroce. Gli aveva rivolto parole cariche di rabbia, alcune
delle quali
suggerite in precedenza dal padre, discorsi che avevano sortito
l’effetto
voluto nella mente fragile della ragazza. Eppure in quella precisa
situazione
il Principe ebbe la capacità di accorgersi che qualcosa non
andava. La
brunetta, esile e pallida che aveva avuto di fronte era completamente
differente da quella dipinta dai racconti che gli venivano inculcati da
tutti
gli alti membri del Team.
Era
ormai sempre più confuso non solo riguardo a Touko ma
soprattutto verso sé
stesso e verso il passato di cui non aveva assoluta memoria. Obbediva
agli
ordini del padre e c’erano momenti in cui amava essere
spietato, si inebriava
del sapore delle lotte, faceva sfoggio e si vantava delle conquiste
fatte,
comportandosi da vero e proprio figlio di un uomo come Ghecis. In
quelle
situazioni sentiva divampare tutto il disgusto che provava per quella
mostruosa
ragazza, era come una continua spinta verso un baratro oscuro, si
sentiva in
dovere di odiarla ed era una sensazione di cui non poteva fare a meno.
A volte
però era la parte opposta a prendere il sopravvento anche se
più raramente e
con meno forza. Erano quelli i momenti in cui preferiva la solitudine e
la pace
della sua stanza, posto nel quale purtroppo si sentiva un prigioniero
sporco,
in netto contrasto contro tutto quel bianco accecante e allora si
dibatteva per
cercare di raccapezzarsi e trovare la luce nel labirinto oscuro della
sua
mente. Eppure c’era un muro, un freno che lo bloccava e non
riusciva a trovare
lucidità, sottostava ad un giogo che solo in quegli attimi
sentiva davvero
reale. Era succube di un qualcosa che non riusciva a riconoscere.
Allora pur di
sfuggire allo stato di terrore in cui versava la sua mente suonava quel
brano
che più fra tutti ricordava, una melodia appartenente alla
vita dimenticata e
pensava che sicuramente sarebbe dovuta essere migliore della presente.
E Touko
gli sembrava solo un angelo, l’unico appiglio per poter
capire, per poter sperare
di vivere, per poter tornare ad essere ciò che non ricordava.
Ma
era così frustrante essere costretti a subire ciò
quando da una parte era
proprio lui a compiacersi della sua cattiveria. Cosa gli stava
succedendo non
lo capiva, era però chiara la sofferenza che provava a
volte, il disgusto verso
sé che si manifestava in raptus di follia durante i quali il
suo corpo tremava
e la sua testa esplodeva, rendendolo impotente e debole. Attimi ai
quali anche
Adelaide a volte assisteva e che anche sulla sua anima, sporca e
corrotta da
tempo, sortivano un effetto che non riusciva a spiegarsi. Non era
certamente
una cosa piacevole vedere N in quelle condizioni, conosceva anche i
rischi che
potevano manifestarsi in quelle occasioni e perciò era
più che necessario un suo
intervento. Si avvicinò dunque con decisione al ragazzo e
gli si sedette
affianco, poggiandogli le mani sul viso, facendo in modo che si
voltasse verso
di lei. Il suo volto aveva ricevuto vari interventi ed ormai era poco
riconoscibile la protesi che aveva al posto della cicatrice che mesi
prima
l’aveva sfigurata.
«Calmati
N, tu meriti di più» gli sussurrò
puntando i suoi occhi azzurri verso quelli
del Principe, dai quali traspariva solo una lacerante agonia.
«Io…io…non…»
balbettò lui incerto.
«Sono
qui, lo sarò sempre…»
mormorò portando la testa del ragazzo sul suo petto,
carezzandogli dolcemente i capelli.
Non
era esattamente la prassi comportarsi in quel modo e questo la bionda
lo sapeva
bene, ma doveva difenderlo in qualche modo, fingendo o meno. Restarono
dunque
così per un tempo che parve eterno, ognuno perso nei
più reconditi antri
dell’anima a fare i conti con i peggiori nemici interiori. E
così mentre N
cercava di calmarsi e ritrovare il controllo, Adelaide sentiva smuovere
nel
petto quella sensazione che ormai da qualche tempo non poteva
più celare. Non
era il dovere che l’aveva mossa per far smettere N di
suonare. Non era il
possibile fallimento del loro piano a portarla a cercare di cancellare
Touko
dalla mente del ragazzo. Non era nemmeno la pietà che la
portava a star male
ogni qual volta il Principe entrava in una delle sue crisi. Mettendo la
sua
situazione su un piano reale probabilmente ciò che provava
non poteva neanche,
o perlomeno non ancora, trattarsi di amore verso qualcuno, troppo
freddo e
ferito era il cuore della bionda. Una sola frase però,
incompiuta e senza
senso, veniva ripetuta come un mantra nella sua mente mentre il giovane
iniziava ad addormentarsi e lei decideva di rimanergli vicino.
“Non lo
permetterò”.
Touko
si rese conto che il mare dall’alto poteva essere davvero
monotono. Erano ore
che lei e Red volavano in quel vecchio aereo dall’aria
traballante, unico
passaporto sicuro che avevano per Unima, e quella grande distesa
d’acqua che
inizialmente l’aveva colpita stava diventando ora un panorama
soffocante. O
forse era altro a soffocarla? Per la brunetta non era stato affatto
facile
scegliere di salire sopra quel trabiccolo e per di più
andando incontro proprio
al suo peggior incubo, ma non aveva avuto scelta: alla domanda che
aveva
rivolto al corvino, ossia un semplice “dove si trova
Camilla?” lui aveva
ovviamente risposto come solo i pensieri più pessimistici
della ragazza
potevano fare. A dire il vero poi una possibilità di scelta
l’aveva avuta,
poteva starsene tranquilla a Mogania facendo passare gli anni, seduta
su una
poltrona di terza mano e con la morte appresso, mentre assisteva alla
lenta e
definitiva vittoria del male. Si odiava per il tentativo che stava
facendo che
rendeva inutili e vuoti i suoi gesti precedenti, per non parlare di
come
l’avrebbero accolta dopo tutto ciò che aveva
deciso e dopo l’imperdonabile atto
di codardia, ma da un lato si sentiva in qualche modo costretta. Forse
se
avesse avvisato Red, che al momento era alla guida del mezzo, avrebbero
potuto
fare marcia indietro e col passare degli anni magari i suoi deboli
rimasugli di
coraggio sarebbero spariti definitivamente. No, era decisamente meglio
non
pensarci visto che lei in teoria non stava facendo nessun grande
ritorno. Aveva
solo un urgente bisogno di parlare con qualcuno e la persona
più indicata le
era parsa proprio la stessa donna che le aveva tirato uno schiaffo a
Spiraria,
l’unica che aveva tentato in passato di svegliarla dal suo
torpore mentale. Al solo
pensiero del nome di quella maledetta cittadina che le portava alla
luce
avvenimenti ben poco felici, una stretta al cuore le fece abbassare lo
sguardo
ormai da troppo tempo fisso sulla monotona distesa azzurra. Perfetto,
se le
bastava quello per buttarla giù tanto valeva si consegnasse
direttamente a
Ghecis con tanto di carta da regalo. Doveva semplicemente smetterla di
fare
pensieri così pessimistici, stava ingigantendo la cosa, era
solo un consiglio,
una consulenza superficiale quella che stava per richiedere, poi
avrebbe
pensato al resto. “Ma tanto non ci sarà nulla da
pensare” sempre quella vocina
fastidiosa, “già probabilmente mi ammazzeranno
appena messo piede fuori da
questo coso… sempre che
non cada di
suo”.
Sbattè
irritata i piedi sul pavimento e si alzò di scatto.
Possibile che le fosse così
complicato prendere una stupida decisione? Conseguenze o meno, farsi
problemi
prima del tempo per una persona come lei era controproducente,
affidarsi al
caso sarebbe stata paradossalmente la via migliore. Tenendosi ad ogni
minimo
appiglio che potesse offrire quel trabiccolo raggiunse Red, stipato
nella
piccola cabina di comando.
«Mi
sembra stupendo che tu sappia pilotare anche gli aerei…
sempre che “aereo” sia
il termine adatto per questo aggeggio!» iniziò
Touko alzando la voce per
sovrastare il rumore del motore.
«Mi
spiace signorina, la prima classe era già
occupata» sorrise ambiguo lui.
«Mhm…
è di Anemone…?» chiese osservando il
piccolo stemma della città di Ponentopoli
dipinto sulla porta scorrevole.
«A
quanto pare quando il temuto Red di Biancavilla si muove può
chiedere qualsiasi
cosa».
La
brunetta non potè far a meno di accorgersi della nota amara
nel tono del
ragazzo. Aveva avuto modo di pensarci di recente, prevalentemente
durante le sue
lunghe passeggiate al lago, e aveva dovuto ammettere a sè
stessa che loro due
si assomigliavano più del previsto. Certamente non riguardo
alla forza, lei
nonostante l’orgoglio era conscia di avere ancora molta
strada da percorrere
per arrivare al livello del corvino, eppure avevano lati simili.
Entrambi non avevano
vissuto felicemente la situazione da Campione anche se il ragazzo
l’aveva
indubbiamente gestita meglio. Poi, come aveva detto lui tempo prima, la
sua
fuga sul Monte Argento non era poi tanto diversa da quella di Touko e
nemmeno
le sue relazioni con vari amici. Sorrise la brunetta, era consapevole
del fatto
che Red fosse il suo aiuto più grande, non solo fisico ma
anche a livello
empatico. C’era sempre stato e nonostante i suoi modi non del
tutto consueti
aveva provato ripetutamente ad aiutarla, forse un giorno sarebbe
arrivata addirittura
a ringraziarlo, probabilmente in un momento di pura follia.
«Gioisci
ragazza, stiamo per atterrare!» esclamò lui
riportandola alla realtà.
«Prendo
la parrucca e lenti… ricorda che per tutti io sono
Gloria…» si affannò a urlare
nonostante sapesse di averlo ripetuto una cinquantina di volte.
Eccolo
il momento che avrebbe voluto evitare. Non poteva dir nulla, era stata
una sua
scelta, ma a dire il vero la prospettiva di un incontro con Camilla ora
la
spaventava più che farla sentire meglio. Sentiva il cuore
gonfio di
trepidazione, batteva forte ma anche impaurito e sembrava pronto a
scoppiarle
in petto, futuro senza dubbio più allettante rispetto a
quello che l’aspettava.
Non nascose il tremore che ebbe non appena l’aereo
toccò il suolo e si preparò
a scendere, rivolgendosi mille domande che sarebbero destinate a
rimanere senza
risposta.
Non
era certamente la prima volta che Touko entrava nella palestra di
Ponentopoli.
La prima era stata durante il suo percorso di Allenatrice, aveva
sfidato
Anemone totalmente impreparata e stava per uscire sconfitta vista la
debolezza
dei suoi Pokémon contro i tipi Volante quando il Leafeon
appena catturato si
era rivelato la sua carta vincente. Poi aveva dovuto ricorrere
all’aiuto della
Capopalestra altre volte in qualità di Campionessa, la
maggior parte per il
noleggio dei suoi preziosissimi aerei, ma per il resto non poteva dire
di
conoscerla. L’interno della Palestra era esattamente come lo
ricordava ossia un
complicato groviglio di passaggi, fattibili solo grazie
all’ausilio di enormi
cannoni, usati da ogni sfidante. Ponentopoli non era stata ancora
raggiunta dei
Plasma quindi Red le aveva detto che non c’era nulla da
temere e che nemmeno
Anemone l’avrebbe riconosciuta. La ragazza ammise fra
sé che aveva avuto
ragione, la Capopalestra infatti si limitò a scortarli in
una stanzetta al
piano terra, dicendo loro di aspettare.
«Questo
deve essere il suo studio, Anemone progetta
aeroplani…» disse Red più per
spezzare il silenzio creatosi che altro.
«Già…»
non era esattamente in vena di parlare.
«Cosa
ti ha fatto di male quel povero elastico per essere maltrattato in modo
così
brutale?».
Alla
domanda sarcastica del corvino, Touko gli rivolse uno sguardo
interrogativo,
poi si volse verso il basso e vide le sue mani che tiravano senza sosta
il
fermaglio che portava al polso. Era davvero così nervosa?
«Non
sono più tanto sicura che incontrare Camilla mi possa far
poi così bene» disse
tutto d’un fiato.
«Non
me lo sarei mai aspettato!».
«Sappi
che ti sto detestando…».
Red
rise, una risata liberatoria. Era davvero contento di aver trascinato
Touko
fuori da Mogania e sperava con tutto il cuore che l’incontro
con la bionda
potesse andare a buon fine. La brunetta, a suo parere, era la sola in
grado di
migliorare le cose e avrebbe dato di tutto pur di vederla tornare
quella di un
tempo.
«Se
non ti dispiace vado a prendere una boccata
d’aria!» esclamò lei supplicandolo
con gli occhi.
«Ma…».
«Venti
secondi e torno, Camilla non si è ancora fatta vedere in
fondo!» continuò
imperterrita già con un piede fuori dalla stanza.
«Fai
in fretta almeno!» cercò di farsi sentire lui ma
la brunetta era già partita.
Red
normalmente non era il tipo da farsi tante domande riguardanti altre
persone.
Seguiva una precisa filosofia di vita che si poteva riassumere in un
semplice
“pensa per te”. Non sprecava forze per cercare di
capire gli altri e aveva sin
da piccolo preferito la solitudine all’amicizia. Eppure non
riusciva a fare a
meno di interrogarsi sul carattere di Touko. Era una specie di
equilibrista
quella ragazza, viveva in modo precario prendendo decisioni talvolta
estreme e
dettate da un carattere impulsivo. Per un tipo riflessivo come lui era
inconcepibile l’idea di una esistenza vissuta in quel modo,
il ragazzo
preferiva programmare ogni sua mossa e gli era sempre importato poco
del
giudizio altrui. La brunetta invece sembrava strettamente vincolata a
questo
aspetto e talvolta gli era sembrata come una dipendenza la sua, un
voler
sentirsi elogiata. I suoi pensieri vennero interrotti quando
all’ingresso fece
la sua comparsa Camilla con addosso una giacca lunga invernale e una
pesante
sciarpa di lana.
«Deduco
faccia freddo fuori…» sorrise sbieco Red.
«E
il premio per l’affermazione più intuitiva di
sempre va al nostro Campione solitario!».
Nonostante
l’ironia espressa il corvino capì che la ragazza
aveva passato periodi migliori
e si appuntò mentalmente un modo per calmarla dopo
l’incontro con… Touko. Fu in
quell’istante che realizzò che la brunetta non era
ancora tornata e questo non
era affatto un bene, erano già passati parecchi minuti in
fondo.
«Beh
vuoi dirmi perché mi hai chiamata o restiamo tutto il giorno
a guardarci negli
occhi?».
Male,
molto male. Tra una Camilla irritata e una Touko scomparsa il Campione
non
aveva la più pallida idea sul da farsi. Ci voleva una scusa
improvvisata, una
di quelle trovate geniali che a volte lo avevano caratterizzato. Poteva
farcela, doveva solo scampare all’ira della bionda accampando
un motivo
qualsiasi e poi avrebbe cercato la fonte dei suoi problemi.
“Inventa, forza
Red” si disse raccogliendo la concentrazione.
«Ti
ho fatta venire qui perché c’era una persona che
doveva parlarti» mormorò tutto
d’un fiato.
“Geniale,
continua così che ti prendono per i servizi
segreti” pensò ironicamente mentre
desiderava sprofondare in qualche abisso di vergogna. Stare da solo per
così
tanto tempo non aveva affatto giovato alle sue abilità
comunicative. La ragazza
sbattè le palpebre per qualche secondo per poi guardarsi
intorno spaventata.
«Sai…
qui non c’è nessuno…».
«Non
parlarmi come se fossi un pazzo!» sbuffò indignato
e imbarazzato dalla
situazione senza senso in cui si era ritrovato.
“Perché
non torna, l’hanno rapita?” urlò una
voce nella sua mente che lui represse
rapidamente. Si stava alterando, Touko gli stava facendo fare una
pessima
figura e la situazione stava degenerando. Aveva detto che sarebbe
tornata
subito ma non c’era da fidarsi di quell’impulsiva
testa calda.
«Credo
si sia persa. Sai non era mai stata qui e io l’ho
lasciata… andare giù in
città…».
«Direi
un’ottima presa in giro Red di Biancavilla!»
tuonò lei con spregio «ora se non
ti dispiace ho cose più importanti da fare, la prossima
volta vedi di essere
più serio!» sbuffò lei. Stupendo, ora
credeva che tutto quello fosse uno
scherzo.
La
bionda alzò gli occhi al cielo disgustata e
guadagnò velocemente l’uscita. Red
di fronte alla Campionessa di Sinnoh stava perdendo vertiginosamente
credibilità e ciò non giovava di certo alla sua
posizione. Non solo non aveva
contribuito alla difesa di Unima, ma ora si metteva pure ad inventarsi
storie.
Forse l’aria del Monte Argento non era delle più
salutari e lei certamente non
voleva aver nulla a che fare con gente così sciocca. Il
corvino dalla sua non
passava una delle migliori situazioni, aspettò qualche altro
minuto il ritorno
di Touko ma finì per spazientirsi. Uscì correndo
senza neanche salutare
l’ospitale Anemone e si diresse verso l’aereo che
aveva guidato fino a poco
tempo prima, magari la brunetta era rientrata. Nulla.
Il
cuore iniziò ad accelerare mentre svoltava
l’angolo del capannone sperando di
vedere l’amica comparire da qualche parte, ma la fortuna non
sembrava essere in
suo favore. Fece per uscire dal piccolo aeroporto quand’ecco
un dettaglio
catturare la sua attenzione: proprio vicino al cancello giaceva a terra
una
Pokéball. All’apparenza non doveva esserci nulla
di strano, qualcuno avrebbe
potuto semplicemente smarrirla ma la prova finale fu la borsa
appartenente a
Touko buttata qualche metro più in là. Per
qualche secondo l’aria gli venne a
mancare. Tutto ciò non era possibile, che stava succedendo?
Nessuno l’avrebbe
potuta riconoscere eppure gli indizi non facevano presagire nulla di
buono. Lo
ammetteva, era spaventato, temeva per la ragazza per la quale provava
ancora
qualcosa e non si sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa.
Era
colpa sua, l’aveva portata lui lì e ora lei era
scomparsa. Svanita.
Alzò
gli occhi al cielo pregando con tutto sé stesso. Nonostante
l’ottimismo e i
pronostici fatti dentro di sé lo sapeva bene, nulla poteva
essere escluso. Nemmeno
l’ipotesi di un rapimento.
La
cioccolateria di Guna
Che
torna dopo un mese e una settimana, meglio della scorsa volta direi no?
Suvvia
che con le vacanze spero di sveltirmi, pregate per me. Nulla da dire,
capitolo
statico, un po’ come lo scorso, scusate davvero ma dovevo.
Dal prossimo vi
prometto azione a palate, spero di saper ancora descrivere una lotta.
Pregate ancora.
La NxAdelaide mi è uscita così, forse chi me la
consigliò se lo ricorda ma ne
dubito. Touko è andata a “chi la visto”
e Red si è dato al cabaret in questo
capitolo. Robe insomma, ma io sto parlando a vanvera quindi la finisco.
Ringrazio
come sempre Allys, Zoichi, Rovo, Momo e “la voce dei calamari
(tié)” per le
bellissime parole e il grande sostegno. Ormai avete tutti dei
diminutivi, cose
importanti insomma. Un grosso “grazie” anche a chi
continua a leggere, spero
che la storia continui a piacervi.
|
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Capitolo 19 *** La via del ritorno ***
La via del ritorno
La
nonna di Camilla era solita dire che l’aria frizzante spesso
aiuta a schiarire
le idee e giova alla mente, così la ragazza, dopo
l’inconcludente incontro con
Red, aveva deciso di passeggiare per la placida cittadina di
Ponentopoli. La
bionda stava detestando l’inverno di Unima così
rigido e secco, la regione era
la sua meta estiva preferita ma riguardo al resto dell’anno
avrebbe preferito
starsene a Sinnoh. Purtroppo ciò non le era possibile,
ritornare era un’opzione
da escludere a priori, le faceva male ammetterlo ma era
così, troppe cose erano
successe e altrettante dovevano accadere, ragione per cui vedeva
profilarsi
all’orizzonte una scia di tragiche catastrofi dalle quali non
era del tutto
sicura di riuscire ad uscirne viva. Sapeva anche di aver avuto una
reazione
esagerata di fronte alle parole del Campione, ma per lei la situazione
era
troppo tesa e non poteva permettersi sciocchi scherzi al fine di farle
perdere
tempo. Team Plasma, un tempo avrebbe riso a questo nome, dalla sua
comoda
poltrona di Campionessa e non avrebbe dato molta importanza alle loro
azioni,
considerandole di poco conto e inutili. Ora però non poteva
più permetterselo,
i “cattivi” della storia stavano vincendo e lei al
posto di ridere si trovava a
brancolare nel buio.
Perfino
Nardo, unico suo punto di riferimento in tutta quella faccenda, era
stato
rapito lasciandola completamente sola e lei si rifiutava
categoricamente di
ascoltare le parole di Komor. Quel ragazzo non aveva la
benché minima stoffa
del Campione, viveva da debole, difeso dalle possenti mura della Lega e
con la
sicurezza che i due Superquattro rimasti, Mirton e Antemia, non lo
avrebbero
mai tradito. Camilla rise amaramente ritrovandosi a pensare che forse
Touko non
era poi così male. Poteva essere lunatica, chiusa, a volte
anche impaurita, ma
sicuramente avrebbe preso le redini di tutto e avrebbe tentato di
sistemare la
faccenda. Forse non era così però c’era
gente che lo credeva e la bionda,
disposta a tutto per non perdere quel barlume di speranza, apparteneva
a quella
frazione.
«Che
sciocchezze…» le teorie sulla morte della brunetta
erano quelle che più
spopolavano. E poi non era stata tutta quella opposizione scontrosa a
averla
resa una persona così fragile?
Si
strinse la sciarpa al collo rabbrividendo, tutte quelle congetture
erano
inutili, non le rimaneva altro che lottare con tutte le sue forza e
sperare in
qualcosa di migliore. Non poteva certo pretendere che la soluzione a
tutti quei
problemi si materializzasse sotto i suoi occhi, doveva pensare da sola
ad una
strategia vincente.
«Fermati
ti ho detto!» un urlo la ridestò dai suoi
pensieri, mentre vedeva una figura
vestita in nero correrle incontro a rotta di collo.
Un
piccolo Blitzle le passò svelto di fianco facendola
barcollare mentre la
ragazza al suo seguito cercava di raggiungerlo. Senza un minimo di
grazia
quest’ultima le passò affianco, spingendola
distrattamente a terra, per poi
continuare la sua corsa senza neanche una parola.
«Ehi
si dice “scusa” in questi casi!»
urlò allora Camilla non ricevendo risposta.
Si
alzò di scatto e iniziò a correre nella stessa
direzione di quella maleducata
ragazza, senza un preciso motivo in mente. Potevano non capitare tutte
a lei? E
poi perché stava facendo un gesto tanto inutile? Non ne
aveva idea, l’istinto
le stava ordinando questo e lei docilmente obbediva. Leggermente
spaesata si accorse
che si stava dirigendo verso la parte nord della città, non
aveva intenzione di
avventurarsi nei Percorsi così accelerò la corsa.
«Su,
vedrai che non è niente…»
sentì sussurrare, così si avvicinò al
limitare della
boscaglia.
La
ragazza di prima stava lì, inginocchiata a terra e con il
volto sorridente,
quasi in un tentativo di dare conforto al Pokémon di fronte
a lei. La
carnagione chiara era in netto contrasto col vestiario mentre i capelli
ramati
ondeggiavano alle lievi folate di vento. La parte finale della manica
del
giaccone era stata tagliata e ora quel lembo scuro era proteso verso la
zampa
del Pokémon. Questo sembrava spaventato e, Camilla ci mise
un po’ a
realizzarlo, perdeva sangue da una ferita vicino allo zoccolo. La
misteriosa
ragazza era intenta a legare la ferita con meticolosa cura quando la
bionda,
che incredula si stava avvicinando, pestò un po’
di secco fogliame. Blitzle si
allarmò di colpo e prese a scalpitare mentre la sua
curatrice di fortuna
tentava di calmarlo in ogni modo possibile.
«Loro
sono andati, nessuno ti farà nulla…»
sussurrava soavemente accarezzando l’irto
pelo del Pokémon.
«Wow…
è inaspettato che un Blitzle si faccia trattare in modo
così amichevole»
proruppe la bionda continuando a fissare la scena.
Solitamente
erano creature ribelli, difficili da catturare ed allenare.
«Oh
s-si suppongo sia così…».
«Tutto
apposto?» si sentiva in qualche modo i dovere di
chiederglielo.
«O-ovvio…
ecco volevo chiederti scusa per prima, non era mia intenzione venirti
addosso
in maniera così sgarbata…» la voce
tremava e la ragazza non accennava ad alzare
il capo.
Camilla
si incuriosì maggiormente e decise di avvicinarsi al duo, ma
Blitzle si dimenò
nuovamente facendo arrestare la sua avanzata. Non che avesse paura, ma
non
voleva certamente aggravare la situazione già in precario
equilibrio.
«Perdonalo,
credo che d’ora in poi farà fatica a ritrovare
fiducia negli umani…»
«Come
mai questa affermazione sibillina?» rise Camilla,
pentendosene un secondo dopo
aver visto l’espressione contrita della sua interlocutrice.
«Tre
ragazzi lo stavano importunando, uno gli ha legato la zampa con del
filo
spinato…» mormorò questa in tono
lugubre.
La
bionda si schiaffeggiò mentalmente per il poco tatto. Erano
cose che non
raramente accadevano, le persone a volte si facevano beffe dei
Pokémon, così
solo per puro divertimento. Era in qualche modo felice che quella
strana
Allenatrice fosse accorsa per salvarne uno, tuttavia quella voce, quel
modo
diretto di dire le cose… noncurante della reazione del
Pokémon tentò di
avanzare nuovamente. Aveva una strana sensazione, quella ragazza le
sembrava
familiare, ma non voleva prendere un granchio perciò prima
indagò.
«Non
hai Pokéball con te, non sei una Allenatrice?».
«Mhm
dipende…» la risposta evasiva incuriosì
maggiormente la Campionessa.
«Eppure
te la cavi benone con i Pokémon!».
«C-credo
di si…».
Perché
non alzava lo sguardo? Quella mancanza di contatto visivo alterava la
già
irritata Camilla che continuò imperterrita ad avvicinarsi,
arrivando a toccare
la spalla della ragazza. Questa sussultò ma rimase immobile
mentre Blitzle
emetteva versi poco incoraggianti verso la nuova arrivata.
«Come
ti chia…».
«Gloria!»
una voce fuori campo diede il tempo alla ragazza per alzarsi e voltare
le
spalle alla bionda.
«Red,
ehi…!» mormorò sempre tremante.
«Che
colpo mi hai fatto prendere, non avevo idea di dove fossi, pensavo al
peggio!».
Il
corvino era sudato nonostante le temperature sottozero e aveva
un’espressione
sconvolta in viso, tuttavia cercava di mantenere un sorriso di
circostanza per
non far cogliere la nota di preoccupazione che lo stava
caratterizzando. Ansava
come dopo una lunga corsa e sembrava davvero sollevato, cosa che
dimostrò con
un forte abbraccio ai danni della ragazza. Sempre che di danni si
potesse
parlare.
«Scusa…»
gli soffiò impercettibilmente lei all’orecchio con
tono di supplica.
Quella
parolina non poteva certo avere un effetto calmante nel cuore affannato
del
ragazzo, ma per il momento se lo fece bastare, sapeva di non dover dare
troppo
nell’occhio vista anche la presenza di Camilla. Erano
però stati davvero dei
minuti difficili, nonostante ogni pronostico la desse come situazione
impossibile lui aveva davvero temuto l’ipotesi del rapimento
e già cercava di raccapezzarsi
per trovare una soluzione. Dentro di sé aveva pensato a
più soluzioni
simultaneamente, tante vie da poter scegliere, compresa quella di
chiedere
aiuto a personalità di spicco quali Bellocchio. Il suo
sangue freddo era stato
battuto da incomprensibili sensi di colpa e terrori profondi che lo
avevano
lasciato in mano al panico e all’agonia. Poi aver udito la
sua voce era stata
la cosa più bella che gli potesse succedere. Si era sentito
sollevato come non
mai e aveva finalmente potuto riprendere a respirare in modo normale,
sorridendo come uno stupido.
«Di
chi sono quelle Pokéball?» Camilla ruppe il
silenzio creatosi indicando una
sacca che Red aveva lasciato qualche metro indietro. Touko aveva
mollato la sua
borsa in fretta vedendo lo scempio che quei ragazzini stavano facendo
alla
povera vittima, ma questo il ragazzo non poteva saperlo.
I
due si sciolsero dall’abbraccio e la ragazza, che ora
più che mai incuriosiva
la Campionessa, alzò timidamente il braccio. Era arrivato il
momento, ora o mai
più.
«Avevo
ragione sei un’Allenatrice!».
«Sì,
probabilmente non lo sai ma io e te ci siamo già
battute» era la prima frase
che diceva senza tremare, alzando il capo.
Era
il momento, non poteva tergiversare ulteriormente. Se avesse perso
anche
quell’ultima possibilità non ce ne sarebbero state
altre, ne era consapevole.
Aveva già fatto un gran passo ad arrivare fin lì
e non doveva tirarsi indietro
proprio in quel momento; doveva dare un taglio a
quell’insensata paura e
compiere quel piccolo gesto. “Stai chiedendo solo un misero
consiglio” ma nonostante
si ripetesse quelle parole all’infinito il terrore che
l’atterriva non
accennava a svanire. Cercò disperatamente il coraggio che
ormai da tempo non
possedeva più, convincendosi a svelarsi alla bionda una
volta per tutte, dopo
sarebbe finita quella pesante tortura.
«Oh
beh io non posso ricordarmi di tutti i miei sfidanti m-»
mormorò la bionda
prima di essere interrotta.
«Touko!»
.
Quel
nome, urlato come se fosse una maledizione, per la ragazza fu
difficilissimo da
pronunciare. Sentì le gambe molli ma non desistette e
mantenne alto lo sguardo,
si stava togliendo un grosso peso, ora le cose forse sarebbero state in
discesa, Camilla le avrebbe detto che andava tutto bene e lei avrebbe
potuto
tornarsene tra i monti. L’occhiata che l’altra le
scoccò però abbatté in un
secondo tutte quelle ridicole speranze. Nel cuore della bionda quella
parola
era stata come un grosso pugno, una pugnalata alla schiena, un boccone
troppo
amaro. All’inizio aveva faticato a capire ma, collegando i
fatti, la cosa
risultava ovvia ed anzi si era data della stupida a non averlo capito
prima. La
presenza di Red, l’affinità con i
Pokémon e quel suo fare evasivo, erano tutti
indizi che potevano riportare ad una sola persona. Quando Touko si
tolse la
parrucca e occhiali rivelandosi per ciò che era, Camilla
trasalì ancor più se
possibile. Erano mesi che non vedeva quel viso, tutto quel tempo a
credere
nella sua morte ed ora eccola qui. Non poteva certamente dirsi
contenta, ma per
qualche frazione di secondo provò a cercare le ragioni che
avessero spinto
quella ragazza a fare un simile gesto, parzialmente ancora misterioso
per lei.
Poi però un senso di disgusto la investì e si
sentì presa in giro come mai
nella vita. La ragazza aveva tradito tutti, se ne era fregata ed era
sparita,
lasciando la regione in mano al niente più assoluto e dando
così via libera ai
Plasma. Un menefreghismo così grande era insopportabile per
la bionda che mai
avrebbe pensato di agire come la sua ex collega, come poteva ora
ripresentarsi
dopo i danni fatti?
Scattò,
mossa da odiosi pensieri, e tirò un poderoso schiaffo nella
guancia della
brunetta che divenne immediatamente rossa. Stranamente ella non parve
affatto
turbata, sembrava anzi che si aspettasse un simile gesto e per una
frazione di
secondo Camilla credette quasi che lo desiderasse. Era un
déjà-vu, se nello
sfondo ci fosse stato il mare al tramonto la scena sarebbe stata
identica a
quella di mesi prima a Spiraria. Niente di più falso, mentre
quella volta la
reazione di Touko era stata un misto tra apatia e noia questa era
totalmente
diversa. La ragazza stava difatti sorridendo, aveva inclinato
leggermente la
testa verso sinistra e infine aveva esclamato un
“grazie” sempre con quel vago
e amaro sorriso.
«Hai
fatto bene…!» continuò lei ma la bionda
non la sentiva, persa tra mille
pensieri.
Cosa
stava succedendo? Chi era quella ragazza davanti a lei? Sfregio,
rabbia,
apatia, o una qualsiasi emozione, questo doveva aspettarsi dalla vera
Touko ma
non quel sorriso scialbo e quel viso falsamente sereno. La
osservò meglio,
sembrava dimagrita di poco e decisamente più pallida,
leggere occhiaie le
marcavano gli occhi socchiusi e acquosi mentre le labbra screpolate
mantenevano
quell’espressione senza significato. Tutto di lei dava
l’impressione di una
stanchezza infinita, associata ad una tristezza che pochi potevano
capire ed il
tutto era maggiormente marcato dalle spalle lievemente ricurve e le
mani
tremanti. Cosa poteva provare una persona come lei, odiata da molti e
probabilmente anche da sé stessa? Quanto doveva aver lottato
per rimettere
piede ad Unima? Ma soprattutto quanto aveva sofferto e continuava a
soffrire,
trattenendo dentro sentimenti troppo amari per poter essere ascoltati?
No,
non si sarebbe mai fatta impietosire, poteva sorriderle quanto voleva
ma la
Touko codarda non era scomparsa, la parte peggiore di lei era
lì e aveva preso
il sopravvento sul resto. Troppe cose aveva fatto, troppi sbagli per
poter
essere perdonata e Camilla, seppur a malincuore, si impose di non
cercare di
capire quello scialbo fantasma che era diventata la brunetta.
«Red,
da te una sorpresa del genere non me
l’aspettavo…» mormorò
chiamando in causa
anche il ragazzo, che era rimasto a fissare la scena impotente.
Seguirono
attimi di straziante silenzio, poi l’ex Campionessa
accennò l’ennesimo sorriso
e, seppur torturandosi le mani, si sedette a terra.
«Immagino
tu sia curiosa e voglia una spiegazione!».
«Credo
che me la dobbiate…» rispose aspramente lei, poi
d’impulso aggiunse; «sappi
che, qualsiasi cosa tu mi dica, non mi farà cambiare
idea…».
«Riguardo
a cosa?».
Camilla
diede un’ulteriore occhiata al volto sfatto sella ragazza,
volò con la mente a
tutte le tragedie avvenute a causa della sua assenza e
respirò a fondo.
«Per
me tu rimani l’essere più disgustosamente
vigliacco che io conosca».
E
dopo questa dura affermazione si sedette a sua volta, mentre quelle
odiose
parole andavano a scontrarsi con l’ormai inerme cuore
ghiacciato di Touko che
simulò un altro sorriso ed iniziò a parlare.
L’Atelier
di Austropoli era il posto più ridicolo in cui Adelaide
avesse mai messo piede.
Le pareti erano tappezzate di foto ritraenti modelle in abiti succinti
e pose
plastiche. Erano tutte identiche, capelli lunghi in acconciature che
sfidavano
le leggi della gravità, fisici asciutti e per la maggior
parte ossei e un trucco
pesante che risaltava sui quei giovani volti come una maschera. Anche i
Pokémon
a loro vicini erano artefatti, pieni di nastri, polvere luccicante e
ridicoli
accessori. La ragazza non si era mai interessata alla moda, come
avrebbe potuto
d’altronde, e questo suo disgusto la rendeva ancor
più insofferente
all’ambiente circostante. D’altro canto lei era
lì per Ghecis e non poteva
dunque permettersi di lamentarsi, era già un miracolo che
l’uomo l’avesse
chiamata visto che era qualche settimana che non lo vedeva di persona.
Il Re
dei Plasma guardava distrattamente quelle immagini, più
attento però alle
reazioni della sua sottoposta.
«Che
ne pensi?» chiese direttamente.
«Non
capisco il motivo del mio essere qui, signore…»
rispose lei cercando di non far
trapelare il fastidio e la noia.
«Ahah,
volevo mostrarti la mia ultima scoperta in realtà».
La
bionda non si spiegava il motivo del tono ilare dell’uomo ma
non fece domande e
lo lasciò continuare.
«Guarda
che esseri superficiali stiamo diventando, una volta questo Atelier
esponeva
manoscritti, leggende e non cose tanto inutili!».
I
due passarono davanti al bancone dove un omino tremante li fece passare
nella
seconda stanza. Sorprendentemente in questa le pareti erano vuote. Solo
in
fondo, nel muro più lontano, stava appeso un qualcosa che
Adelaide non riusciva
ad identificare.
«Ricordi
quel manoscritto che mi portasti da Roteolia?».
La
ragazza annuì, aveva ucciso un tale per ottenerlo, ma ne era
valsa la pena
vista la felicità del suo capo nell’averlo fra le
mani. Non aveva idea del
contenuto ma qualcosa le suggerì che da lì a poco
lo avrebbe scoperto.
«Non
poteva essere sicuro della veridicità del documento, poteva
essere un falso. Ho
mandato i migliori ricercatori per trovarne una copia e alla fine la
mia
pazienza è stata ripagata!» l’uomo
sembrava felice, il suo atteggiamento era
nettamente diverso rispetto al solito.
«Ricordo
che parlava di qualche vecchia leggenda di Unima…».
«Esatto,
tutti conoscono la storia dei leggendari, ma il
“prima”?».
Adelaide
non capiva. Non aveva avuto la fortuna di frequentare una scuola per
Allenatori
né conosceva tanto bene le leggende che circolavano.
«Prima,
mia cara, c’era dell’altro. Agli albori esisteva
due fratelli che crearono
questa regione con l’ausilio di un solo e potente
Pokémon. I due litigarono,
uno voleva un mondo di ideali e l’altro di verità,
così il Pokémon si divise
negli oggi conosciuti Reshiram e Zekrom. Ti è
chiaro?».
L’uomo
aveva snocciolato una leggenda che alla bionda era completamente
ignota. Un
solo Pokémon Drago, la ragazza si immaginò la
grande potenza che questo essere
doveva aver avuto in passato e intuì le intenzioni di Ghecis.
«Conta
di riportare questo antico Pokémon in vita,
signore?».
«Esattamente,
ho il rituale e, grazie alla presenza di N, Reshiram è in
mano nostra. Manca
solo Zekrom e poi, con l’immenso potere ricavato, potremo
dirigersi in altre
regioni!» l’uomo parlava in tono sognante,
«pensa a questo Pokémon, un re
praticamente…».
Adelaide
sorrise fomentata da quelle parole ottimistiche. Ormai Unima sarebbe
caduta
nelle loro mani, la tattica del loro capo non aveva falle e la mancata
presenza
di Touko aveva giocato a loro favore. Restavano pochi passi e poi
sarebbero definitivamente
saliti al potere, una volta presa la Lega non ci sarebbero
più stati grossi
ostacoli.
«Come
riusciremo a prendere Zekrom? La sua Allenatrice sembra
scomparsa…» propose
cautamente la bionda.
«Senza
un eroe il leggendario tornerà sotto forma di Scurolite
nella Torre Dragospira.
Non mi stupirei di trovarlo lì quando ci recheremo per il
rito» per l’uomo era
ormai una cosa già fatta; «per quanto riguarda mio
figlio, ottimo lavoro!».
«C-che
intende dire signore?».
«Il
lavoro di persuasione su di lui ha avuto ottimi risultati e un
po’ di merito va
anche a te. Continua così, ricorda che è
imperativo che non abbia ripensamenti…
per quanto naturalmente mi fidi del macchinario di Zania».
«Senza
scrupoli, signore! Il nostro Principe è un gran
credulone…» esclamò lei.
Quelle
parole tuttavia le provocarono una fitta non trascurabile al petto, in
corrispondenza del cuore. Ma cosa andava a pensare? Non poteva dubitare
di sé
in quel momento, N era solo un mezzo per entrare nuovamente nelle
grazie di
Ghecis e lei doveva andare avanti così, zero ripensamenti.
«Mi
piace il tuo modo di ragionare!» rise soddisfatto
l’uomo; «bene questo è
tutto».
Captato
il congedo Adelaide si inchinò ed imboccò
l’uscita, ancora frastornata. Non era
il tipo da sensi di colpa o pentimenti eppure trattare in quel modo
N… Cos’era
quelle felicità unita ad un terribile rimorso che la
prendeva quando era in sua
compagnia? Scosse violentemente la testa, non voleva pensarci, era
troppo
stanca. Percorse dunque qualche via secondaria per dirigersi
all’appartamento
nel quale alloggiava, ma, non senza sorpresa, si trovò di
fronte ad un vicolo
cieco. Si perdeva spesso, questa era la realtà. Fece per
tornare indietro
quando sentì uno strano rumore provenire da uno dei
cassonetti all’angolo.
Senza tante remore lo aprì, tappandosi il naso per
l’odore. Al suo interno
c’era un bambino, era impossibile dargli
un’età vista la magrezza, ma non
doveva aver superato i dieci anni. Stava rovistando tra i sacchetti
alla
ricerca di qualcosa, evidentemente cibo visto il suo sguardo famelico.
Non ci
mise molto ad accorgersi di essere osservato e girò quel
volto emaciato verso
la nuova arrivata. Questa lo fissava spaventata, come se avesse visto
un
fantasma; sentiva le ginocchia tremare e non riusciva a togliersi dalla
mente
scene appartenenti al suo passato.
«Signorina,
avrebbe qualcosa da darmi…?» la fame a volte
supera la paura, nonostante il
bambino avesse riconosciuto benissimo l’uniforme dei Plasma
si era esposto.
Adelaide
non muoveva un muscolo, quella non era la giornata giusta. Prima i
dubbi su N e
ora questo, era esausta, avrebbe voluto prendere e fuggire da quella
situazione
come spesso faceva. No, lei era il futuro braccio destro di Ghecis,
avrebbe
spazzato via i nemici come formiche, il suo futuro di vittorie
l’aspettava e
lei non poteva permettersi la strada della bontà. Sarebbe
stata la migliore e
non avrebbe perso di vista il suo obbiettivo, non doveva cedere a
partire da
quel bambino, ironica finestra sulla sua triste infanzia.
«La
prego…» la supplicò flebilmente la
creaturina, ma lei non mollò.
«Se
vuoi vivere diventa una recluta, altrimenti c’è la
strada dei perdenti…»
mormorò in tono freddo e, lasciato il piccolo nella
confusione più totale, si
allontanò a grandi falcate, ripetendosi le parole di Ghecis
come un mantra.
«E
questo è tutto…!» Touko aveva mal di
gola a forza di parlare, aveva passato
l’ultima ora a raccontare ogni avvenimento fino a quel giorno.
«Come
pensavo, ciò non mi fa cambiare
opinione…» mormorò Camilla con tono
duro.
Aveva
ascoltato attentamente le parole della brunetta, ma nonostante questo
le sue
idee non erano cambiate. Certo, ammetteva che non doveva essere stato
facile
per la ragazza passare tutti quei brutti momenti, ma era comunque
sbagliato il
modo in cui li aveva affrontati e questo non poteva perdonarlo. Lei era
ancora
lì a combattere, era ovvio che la strada della fuga fosse
più semplice eppure
lei non aveva mai mollato. Touko invece lo aveva fatto con estrema
facilità e
ora non poteva tornare sperando che tutto si fosse sistemato da solo.
«Già…»
sussurrò rispondendo ai suoi pensieri,
«perché sei tornata?».
«Avevo
bisogno di una mano» non c’era emozione nella sua
voce.
«Per
fare cosa?».
«Ecco
io… volevo una tua consulenza. Speravo potessi dirmi cosa
fare…».
La
brunetta non capiva perché, dicendolo ad alta voce le
sembrava una cosa così
stupida. Era venuta per quello no? E in cosa consisteva il
“quello”?
«Ahah,
e tu ti aspetti che io ti dica cosa di preciso…?»
Camilla stava ridendo senza
ritegno, quasi sprezzante.
«Beh
se…» già, cosa si aspettava?
La
bionda capì e se possibile rimase ancor più
stranita. Quella ragazza era
debole, senza spina dorsale, totalmente incompatibile con una come lei
tant’è
che si sorprese di esserle stata amica in passato. Forse un tempo aveva
abilmente coperto questo lato del suo carattere ma ora che veniva fuori
la
Campionessa non poteva far altro che rimanere disgustata. La scintilla
che
tempo addietro aveva intravisto nel suo sguardo era stata solo un
fugace
miraggio.
«Tu
sei venuta qui sperando che io ti dicessi cosa fare!» quella
che voleva essere una
domanda divenne un’affermazione.
Touko
annuì. Sì, era così, aveva sperato
fino all’ultimo che qualcuno la potesse
sorreggere e guidare, ma solo ora si rendeva contò di quando
stupida era stata.
«Ma
sai cos’è la cosa peggiore?» Camilla
stava alterando la voce «tu stai sperando
che io ti dica che va tutto bene e che non devi far nulla!».
Quelle
parole che la ragazza aveva sputato come veleno fecero alla malcapitata
un
effetto disastroso. Perché doveva essere così
dannatamente debole e paurosa?
Cosa credeva di ottenere, nessuno poteva fare quella precisa scelta per
lei,
questo era indubbio. Stava al suo cuore decidere se rimanere e lottare
o
tornare nell’ombra, eppure aveva pregato che le si potesse
dare una mano. No,
quelli erano problemi che doveva risolvere da sola, anche se
palesemente non ne
era in grado. Non poteva pretendere che qualcuno allungasse la mano per
tirarla
fuori da quella voragine, non esisteva nessuno in grado di farlo
perché ormai
lei si era convinta del peggio. Era una strada del non ritorno, si
faceva schifo
da sola. Soppresse le lacrime con un altro sorriso, si sentiva ridicola.
«Se
proprio vuoi… resta» la bionda lo aveva detto in
modo inflessibile, ma qualcosa
nel suo cuore si era mosso. Non era bello vedere una persona provare
una
sofferenza tanto grande.
«N-non
posso!» rispose l’altra pur rimanendo immobile,
«tu hai ragione, io ho sperato
che tu mi dicessi di andarmene, ma…».
Non
ce la faceva, era troppo. Si sentiva così inutile, avrebbe
fatto morire altra
gente per la sua incapacità. Avrebbe dovuto rimanere a
casa…
«Devi
smetterla di crederti quello che non sei e cominciare a vivere. Trova
il tuo
obbiettivo, nessuna azione passata è così
sbagliata da rendere una persona così
debole, devi continuare a rialzarti anche se farà male!
Dovrai soffrire ma nessuno
può permettersi il lusso di smettere di avanzare!»
la bionda era fuori di sé
mentre l’altra la guardava sorpresa, «non so cosa
ti passi per la mente,
probabilmente non comprenderò mai ciò che hai
passato, ma questo non cambia le
cose. Non puoi fari scudo con la tua sofferenza, è da
vigliacchi, questo
sentimento dovrebbe essere per te motivo di riscatto!».
Era
strano, ma ora quei pensieri pessimistici nella testa delle brunetta si
erano
bloccati, c’era nuovamente quel rimasuglio di forza che non
le permetteva di
sprofondare completamente, nonostante avesse voluto non ci sarebbe
riuscita. Le
dava fastidio. Non il giudizio di Camilla, non quello di tutta la
regione né quello
di N. Si dava fastidio, provava orrore nei suoi confronti
perché stava mollando
e solo ora se ne rendeva veramente conto. Quando il pensiero di poter
continuare ad andare avanti le era balenato in mente aveva faticato ad
accettarlo ma ora era il suo nutrimento, la sua ancora. Non sapeva come
né
perché ma era importante conservare quella piccola
fiammella, non sarebbe stata
capace di tornare a Mogania, avrebbe passato il resto della sua
esistenza
ancora peggio che in passato. Doveva smettere di crogiolarsi
nell’auto
commiserazione, era una cosa schifosa, non poteva più
rimanere in quel limbo,
doveva reagire per sé, perché solo
così avrebbe smesso di farsi del male. Non
le importava di morire nel tentativo, la sua morte sarebbe stata
tornare alla
vita passiva, alzando la testa avrebbe finalmente ritrovato la vecchia
Touko e
avrebbe messo fine a tutto quel dolore che non le dava mai pace.
Perché era
l’unica cosa che sapeva fare, combattere, era
l’unica cosa che la rendeva in
qualche modo fiera di sé; sapeva di essere stata una
delusione ma non poteva
nuovamente farsi abbattere da ciò. Se voleva riscattare
ciò che era stata,
quella era l’unica via. Se per il mondo non fosse andato bene
ciò tanto meglio,
d’ora in poi avrebbe preso le decisioni per sé.
«Camilla,
dove sono i tuoi Pokémon?» non poteva perdere
tempo, a momenti la parte codarda
avrebbe ripreso il sopravvento, doveva sfruttare quell’attimo
di coraggio
finché le era possibile.
«Ancora
in mano ai Plasma, è per questo che non sono mai tornata a
Sinnoh…».
«Hai
una vaga idea di dove si trovino?».
La
sua testa era ormai nella confusione più totale ma sentiva
di averne bisogno.
Necessitava di passare all’azione anche solo per un glorioso
minuto, desiderava
poter dire che almeno ci aveva provato e non aveva mollato al primo
ostacolo.
«Beh,
Austropoli è diventata la loro base quindi suppongo
lì. Dalle informazioni
consegnatemi da Bellocchio anche Nardo potrebbe trovarsi
lì».
“Una
volta trovato Nardo potrai scoprire dove tengono Belle e poi avrai
fatto la tua
parte” pensò rincuorata la brunetta.
Effettivamente il suo più grande rimpianto
era quello di aver lasciato l’amica da sola e ora che era
stata rapita la
situazione non faceva altro che peggiorare i suoi sensi di colpa.
«Touko
che hai in mente? Entrare ad Austropoli è praticamente
impossibile! Equivarrebbe
ad un suicidio!» Red, che era stato in silenzio fino a quel
momento, provò a
ribellarsi intuendo le intenzioni della ragazza.
«Sono
convinta che Camilla si sentirebbe meglio a riavere i suoi
Pokémon e la regione
sarebbe pure in buone mani con Nardo a piede libero!»
continuò imperterrita la
brunetta.
Il
corvino le si avvicinò celermente per parlarle
all’orecchio senza farsi
sentire.
«Non
è per questo che siamo venuti qui, se Ghecis ti scopre
scoppierà il putiferio e
lo sai…» non capiva il motivo di tanta
preoccupazione.
Non
era forse stato lui a fare di tutto per convincerla a tornare? Che
persona
incoerente stava diventando, la compagnia di Touko non faceva che
destabilizzarlo.
«Se
Nardo viene liberato io divento inutile e noi potremmo tornare in pace
a
Mogania» aveva davvero utilizzato il
“noi”?
Tutte
le attenzioni di Red non la infastidivano di certo ed anzi era
più che felice
di averlo al suo fianco, le dava sicurezza.
Dalla sua il corvino sorrise
lasciandole un veloce bacio sulla guancia, cercando di non farsi notare
da
Camilla, inutilmente.
«Starò
attenta…» mormorò lei pur non riuscendo
a reagire a quel gesto.
«Potresti
spiegarmi che significa tutto ciò, Touko?»
alzò la voce la bionda per farsi
sentire.
«Red
sta per raggiungere la Lega e trattare un po’ di
ospitalità!» la sua non era
una decisione semplice ma aveva abbozzato un piano e questo le bastava.
«E
tu vorresti infiltrarti nel cuore dei Plasma? Lì non si
hanno possibilità di
fuga…».
«Oh,
usa il plurale, noi ci infiltreremo e so anche come!»
continuò a sorridere la
brunetta non dando troppo peso alla frecciatina.
Stavolta
non avrebbe fallito, si sarebbe impegnata con tutta sé
stessa e i risultati
l’avrebbero liberata da tutti quei pesanti rimorsi. La bionda
dalla sua non era
spaventata ma le sembrava comunque un’azione troppo rischiosa
per solo due
persone. Red non le avrebbe aiutate e ci sono casi, come quello che
stavano per
affrontare, che richiedevano l’aiuto del più
grande Allenatore in circolazione.
L’unico pensiero che la sollevava era la remota
possibilità di poter
riabbracciare la sua squadra e decise di provare a farselo bastare.
Così, mentre
seguiva quella ragazza a cui aveva dato i peggiori insulti, Camilla
pensò che
sua nonna aveva proprio torto. L’aria della mattina
ammattisce le persone.
Quando
c’è qualcosa che puzza solitamente si dice
“odore di fogna” per riferirsi ad
una percezione disgustosa, ma per Camilla le fogne nelle quali stavano
passando
lei e Touko erano qualcosa di così putrescente, maleodorante
e nauseante, che
il detto popolare sembrava al confronto una sciocchezza. Una via
alternativa lo
era certamente, nessuno avrebbe avuto un’idea tanto stupida.
Il pensiero che la
sua accompagnatrice, si asteneva dal chiamarla amica, fosse cambiata
così da un
momento all’altro non la sfiorava minimamente, ma era
comunque ammirata dal tentativo
che stava facendo. Era sì una totale pazzia, ma se poteva
portarle a qualcosa
di concreto allora le andava bene.
«A
momenti saremo arrivate, ti consiglio di tirare fuori la Ball che Red
ti ha
gentilmente prestato…» era una delle poche frasi
che la ragazza aveva detto
durante l’intero tragitto e alla bionda dava fastidio.
«Era
ora, speravo in qualcosa di meno lungo!»
l’esclamazione rimase senza risposta.
Svoltarono
l’ennesimo vicolo di quello schifoso paesaggio, accostavano
il reflusso verdognolo
del canale fognario, anche se il pavimento sopra il quale stavano
camminando
non era nelle migliori condizioni. Col muschio presente non ci avrebbe
messo
molto a cadere, magari in un attimo di disattenzione e non ci teneva
affatto a
farsi un bagno in quella che sembrava più melma radioattiva.
Si riscosse
sentendo un altro colpo di tosse, la brunetta ne aveva fatti molti
durante
l’intero tragitto, evidentemente non stava bene.
«Prova
a tossire più forte così magari riescono a
scoprirci!».
«Sapevo
che l’aria metropolitana non mi avrebbe fatto
bene…» mormorò irritata Touko
tossendo.
«Che
intendi?» la curiosità della bionda era stata
stuzzicata.
«Mettiamola
così: sopravvivere ad un incendio che distrugge
un’intera cittadina a volte
porta anche delle conseguenze».
Durante
il periodo passato a Mogania si era quasi dimenticata dei danni che i
suoi
polmoni avevano subito. L’aria di quella cittadina era pulita
e ciò aveva
giovato alla sua tosse, ma tornare alla civiltà era stato un
duro colpo. Non
amava lamentarsi ma se fosse entrata in una delle sue crisi allora non
ci
sarebbe stato molto da fare.
«Uff…
avrei dovuto ascoltare Red e portarmi qualche
rimedio…» mormorò più a
sé che ad
altri.
«Ah
già. Cosa c’è di preciso tra te e
Red?» Camilla si era tenuta dentro quella
domanda da quando li aveva visti ma ora non poteva più
trattenersi.
«C-cosa?»
l’altra sembrava spiazzata.
«Il
tuo atteggiamento conferma i mie sospetti…».
«Ma
smettila!» troppo tardi Touko si accorse di aver urlato a
voce troppo alta.
Il
suono rimbalzò da una parete all’altra,
diffondendosi con un fastidioso
rimbombo. Questo non andava bene, erano ormai vicine
all’uscita e se ci fossero
state delle guardie, come sarebbe dovuto essere, allora non sarebbero
rimaste
nascoste a lungo.
«Ehi,
là in fondo c’è qualcuno!»
urlò una voce sconosciuta.
Bingo,
le avevano scoperte. Ora non restava che sperare che fossero in pochi,
ma Touko
non ci faceva molto affidamento, era pur sempre una delle poche entrate
libere
della città e sicuramente doveva essere salvaguardata.
«Prepariamoci…»
sussurrò allora, sentendosi una specie di Capitan Ovvio.
Dal
tunnel di fronte a loro, quello che avrebbe dovuto portarle
all’uscita,
sbucarono quattro reclute, le Pokéball in mano pronte per
essere usate.
«Quella
è Camilla, la Campionessa di Sinnoh!»
urlò una e Touko rimarcò nella sua mente
il concetto “Capitan Ovvio” di prima.
«Forza,
se la porteremo a Ghecis potremmo avere una promozione!».
La
brunetta sospirò sollevata, aveva fatto bene a rimettere la
parrucca così
almeno non avrebbero potuto riconoscerla. Di problemi ce
n’erano già, primo fra
tutti la minoranza schiacciante nella quale si trovavano.
«Direi
che siamo in netto svantaggio, non sarà
facile…» biascicò nervosa la brunetta.
«Se
qualcuno non avesse urlato forse non ci avrebbero scoperti!».
Un
violento fascio di luce passò accanto a loro, distruggendo
la parete. L’attacco
Iper Raggio da parte del Watchog nemico le aveva mancate di poco, ma
certamente
non potevano star lì a non far nulla. Le avevano attaccate
velocemente,
volevano eliminarle in fretta, segno che perlomeno nei paraggi non ci
sarebbero
state altre brutte sorprese ad aspettarle.
«Un
altro, forza!».
Questa
volta Touko fu più veloce, scattò di lato
portandosi dietro Camilla che dal suo
canto sembrava più scioccata che altro. Ingaggiare una
battagli senza che gli
avversari avessero i loro Pokémon a disposizione era da vili
imbroglioni.
«Comunque
è colpa tua, dici cose senza senso altrimenti non avrei
urlato» le bisbigliò la
brunetta all’orecchio riscuotendola dai suoi pensieri.
«Allora
c’è davvero qualcosa!» non poteva
trattenersi.
«Iperzanna!»
la seconda recluta attaccò.
«Samurott
intercettalo con Conchilama!».
Con
una velocità impressionante la ragazza aveva estratto la
Ball e ora il Pokémon
stava facendo loro da scudo. La forza dell’attacco fu
impressionante, tanto che
Watchog fu costretto ad arretrare. Le altre due reclute stavano ferme,
non
sembravano ancora intenzionate ad attaccare ma guardavano con interesse
la
lotta, studiando eventuali strategie. La cosa preoccupò
maggiormente Touko,
dovevano sveltirsi o non ne sarebbero uscite vincenti.
«Invece
di dire cavolate perché non mi dai una mano?»
urlò così alla compagna.
Lo
sbattere di ali dietro di lei le fece capire che il possente Charizard
di Red
era pronto allo scontro.
«Lanciafiamme!».
Il
calore dato dalla fiammata si propagò velocemente
all’interno di quello stretto
canale fognario e la brunetta sentì la pelle che iniziava a
scottarle. Fu
Samurott a mettersi accanto a lei ed a esercitare un debole getto
d’acqua per
alleviarle il leggero bruciore. La ragazza sorrise di fronte a quel
gesto così
affettuoso e si apprestò ad attaccare. Non ce ne fu bisogno,
uno dei due Watchog
aveva caricato e si stava avvicinando a balzi, puntando dritto a Touko
con
Iperzanna, evidentemente ferire gli Allenatori era lecito per i Plasma
visto
che anche Adelaide tempo prima aveva attentato alla sua vita. Il
Pokémon
Dignità rispose con un preciso Idrocannone, facendo sbattere
il nemico contro
la parete opposta.
«Turbosabbia!»
esclamarono all’unisono le due reclute in campo.
Troppo
tardi la brunetta si accorse del pericolo che correva. La sabbia, oltre
a
togliere visibilità, rese l’aria irrespirabile per
i deboli polmoni della
ragazza. Sentendosi soffocare iniziò a tossire in preda
all’ansia più totale.
No, doveva rimanere lucida e sbarazzarsi il prima possibile di tutta
quella
polvere.
«Sbatti
le ali il più forte possibile…» Camilla
le era a fianco mentre il Pokémon di
Red la salvava da una situazione non del tutto rosea. La sabbia si
diradò, ma
com’era da aspettarsi la tosse non smise subito.
«Liepard,
Sbigoattacco!» anche la terza recluta aveva iniziato a
combattere mirando
proprio a lei che si era appoggiata ad una parete per rimanere in piedi.
«Intercettalo
con Attacco D’ala».
Charizard
bloccò l’attacco con una facilità
disarmante mentre la bionda le si avvicinava
maggiormente e le dava all’altra qualche pacca sulla schiena.
«Non
posso permettere che il grande amore di Red muoia
così…».
«F-finiscila…!»
rispose Touko tra un colpo di tosse e un altro, pur sorridendo
divertita.
Nonostante
le pessime condizioni in cui versavano la ragazza dovette ammettere che
si
stava divertendo. Quando era Campionessa prendeva ogni sfida come un
dovere
personale, un lavoro al quale non poteva sottrarsi volente o nolente e
questo
le aveva fatto perdere col tempo la voglia di allenarsi. Ad ogni lotta
rimaneva
concentrata e inflessibile, ordinando ai suoi Pokémon mosse
che seguivano
sempre le stesse strategie e non trovando il minimo svago in
ciò che faceva. A
Mogania però, in tutta quella calma in cui era immersa, le
era riuscito
naturale tornarsi ad allenare e aveva fatto ottimi passi avanti, era
sciolta e
più in sintonia con i suoi compagni, aspetto che nei mesi
precedenti era venuto
a mancare. Aveva visto la forza della sua squadra aumentare in modo
impressionante, perciò non era preoccupata riguardo
all’esito dello scontro.
«Liepard,
vieni fuori!» la quarta recluta fece la sua mossa.
«Non
hanno una grande fantasia queste reclute in fatto di
Pokémon…» mormorò Camilla
mantenendo una posizione di difesa.
Gli
avversari le stavano accerchiando, non c’era
possibilità di fuga e la bionda
aveva avuto modo di vedere la violenza dei loro attacchi. Le reclute
sembravano
ridere sornione, avevano già stampato nei volti un sorriso
tra il beffardo e il
vittorioso.
«Ragazza
bionda, se eri venuta fino ad Austropoli per i tuoi
Pokémon…».
«Sappi
che potrebbero già non essere più
vivi…».
«Come
te tra poco!» finì la frase il terzo.
Camilla
tremò. Non era possibile, non poteva aver perso la sua
squadra. Era tutta colpa
sua, avrebbe dovuto muoversi prima anche a costo di agire da sola, ma
la paura
l’aveva bloccata per troppo tempo.
«Nessuno
sa che effetti facciano gli esprimenti condotti dentro i
laboratori!» esclamò
la quarta recluta allegramente.
«Mostri…
mostri vigliacchi!» la bionda fu accecata dalla rabbia e con
uno scatto da
velocista fu addosso alla seconda recluta, unica donna del gruppo,
atterrandola
in un secondo.
Le
sue braccia si muovevano da sole tirando pugni al volto della
malcapitata
vittima. Il suo buonsenso e sangue freddo erano stati cancellati dalle
terribili parole degli avversari. Tuoko riusciva a capirla, dopotutto
l’amica
era sempre stata una persona calma e riflessiva, una notizia
così però avrebbe
potuto sconvolgere qualsiasi persona. Una delle reclute, quella che
sembrava
più ben piazzata, la prese per i fianchi sollevandola di
peso e tenendola a
mezz’aria. La bionda scalciava ma non sembrava avere speranze
di liberarsi.
«Ora…
attacchiamo tutti assieme!» esclamò tronfiamente
la prima recluta.
«Guarda
Campionessa di Sinnoh, osserva bene la tua amica morire!»
gracchiò quella che
era stata colpita dall’ira della ragazza, poi le
passò vicino sputandole in
faccia un misto tra sangue e saliva.
Intanto
i Pokémon avversari stavano stringendo il cerchio attorno a
Touko che a
malapena si reggeva in piedi. Non era spaventata, stava riflettendo sul
da
farsi anche se vedeva poche possibilità di sopravvivere a
quell’attacco combinato.
Con molta probabilità sarebbe stata investita da quattro
Iper Raggio
contemporaneamente anche se non era esattamente l’idea
più allettante per una
morte.
«Forza,
tutti Iper Raggio» urlarono all’unisono le reclute,
in un quadretto che alla
brunetta pareva patetico e ridicolo allo stesso tempo.
«Scontati…
oggi sarà qualcun altro a perire in questo
scontro…».
Se
si fosse potuta vedere non si sarebbe riconosciuta. Chinata a terra,
intenta a
tossire e scuotere la testa, sembrava così debole e vinta.
No, questa non era
l’impressione che aveva dato ad una recluta, quella che tra
tutte sembrava la
più anziana. L’umo infatti indietreggiò
di un passo, sconvolto dal tono lugubre
dell’avversaria e dal suo sguardo fuori
dall’ordinario.
«Questa
è follia…» biascicò
incredulo.
Camilla
percepì questa frase, così incomprensibile in un
momento simile, poi si
disperò. Touko non sarebbe riuscita a salire in groppa a
Charizard in tempo e non
aveva delle difese abbastanza potenti per tener testa ad un attacco di
simile
portata. Se non si fosse allontanata avrebbe potuto aiutarla o
perlomeno morire
con lei, invece ora affrontava tutto da sola, la bionda avrebbe visto
la
sconfitta definitiva della vera Campionessa di Unima. Fece in tempo a
sentire
una lacrima solcarle la guancia quando un grido straziante le
perforò i timpani
e il buio completo l’avvolse.
La
Cioccolateria di Guna
Giorno
strano per pubblicare, che mai starà succedendo? Niente di
che, parto per due
settimane e questo capitolo andava pubblicato. È il
più lungo mai scritto, sono
quasi 7000 parole gente, spero non vi abbia annoiato, ma vi avevo
promesso un
poco di azione ed eccovi serviti! Non sono del tutto soddisfatta anche
perché
l’ultima parte è stata scritta ieri e io
solitamente finisco il capitolo 5
giorni prima della pubblicazione per poterlo sistemare (dalle cretinate
che
scrivo). Spero solo che vi sia piaciuto, davvero.
E
niente, in caso di recensioni e mancate risposte sappiate che vado in
un posto
senza internet e wifi (si praticamente un altro mondo) e non
potrò esserci per
due settimane. Mi rivolgo anche a tutte quelle persone che devo
recensire,
arriverò una volta tornata, perdonatemi ma ve lo prometto.
Bene
dopo avervi annoiato ad oltranza mi prendo un momento per rompervi
maggiormente
le scatole.
100
recensioni. Ok. Allora comincerei con un grande “ahaha
evidentemente ho sbagliato
a leggere e c’è scritto 10” e finirei
con “grazie di cuore”. Davvero non ho
parole, voi tutti siete la ragione della mia felicità nel
pubblicare. Anche voi
lettori silenziosi, mi fate sempre contentissima perché
dovete avere tutti una
resistenza ferrea per non esservi stancati della storia e per non
volermi
linciare. Guna apprezza e dona del cioccolato a tutti voi.
La
finisco qui che vedo già qualcuno con la lametta in mano, ci
vediamo al prossimo
capitolo!
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Capitolo 20 *** Crepe ***
Crepe
Quando
Camilla aprì gli occhi realizzò di essere
diventata cieca. Era come se di
fronte a lei si ergesse una patina nera contro la quale i suoi occhi si
andavano a scontrare senza sosta, tentano inutilmente di scavalcarla. I
primi
momenti furono di puro panico, la sua mente impazzì e
concepì addirittura il pensiero
di una sua presunta morte. Questo però era impossibile,
sentiva uno strano
tepore affianco a lei che le scaldava le membra irrigidite e percepiva
il
crepitio di un fuoco non molto lontano, poteva dunque essere gravemente
malconcia ma la morte avrebbe dovuto aspettare. Tuttavia
riuscì a
tranquillizzarsi per davvero solo quando il nero che vedeva attorno a
se iniziò
a sbiadire, donandole una sufficiente visuale dell’ambiente
nel quale si
trovava. A quanto stava dalle sue prime percezioni visive non si era
mossa di
molto, le pareti putride delle fogne la accolsero risparmiandole il
tanfo che
aveva accompagnato il suo precedente itinerario, mentre con stupore si
accorgeva di essere contornata da ben quattro piccoli falò
appiccati su dei vecchi
cenci. “Forse qualcuno vuole cuocermi per poi
mangiarmi” si ritrovò stupidamente
a pensare la bionda, poggiando le mani sul lurido pavimento e provando
a
tirarsi su. Ogni muscolo, osso e articolazione del suo corpo stridette
e
dolette per quel gesto arrischiato, ma lei se ne curò poco.
La preoccupava di
più l’enorme spossatezza che si era impadronita
della sua persona e il
terribile cerchio alla testa che pareva non darle pace.
Strabuzzò gli occhi
alla vista di Charizard appoggiato alla parete mentre i ricordi
riaffioravano
repentini alla sua mente, confondendola ancor più.
Aveva
assistito di persona all’attacco di quelle reclute, Touko
doveva essere stata
annientata sotto la potenza di ben quattro Iper Raggio e lei
d’altro canto
avrebbe dovuto trovarsi in quel momento al cospetto di Ghecis o almeno
in qualche
prigione dei Plasma. Invece era ancora lì, stanca nonostante
si fosse appena
svegliata e… infreddolita. Si porto lentamente le mani
attorno al busto e si
accorse di indossare un giaccone nero sopra il suo solito, somigliava
in modo
particolare a quello di Touko ma la coincidenza si prospettava
impossibile e
perciò decise di accantonare il problema. Avrebbe voluto
camminare ed andarsene
da lì, capire che giorno fosse e cosa fosse successo ma
sentiva gran parte dei
muscoli rigidi e dolenti quindi, in un misto di delusione e
preoccupazione,
decise di rinunciare. Eppure in tutto quello c’era qualcosa
che stonava. Si
guardò bene intorno, sondando il territorio con innaturale
attenzione, fino a
notare un dettaglio che tra tutti la colpì maggiormente: il
canale fognario,
con quel suo scrosciare che le aveva tenuto compagnia durante la
camminata, era
per gran parte ghiacciato. Acuì la vista constatando che
solo qualche metro più
in là l’acqua riprendeva il suo corso erodendo la
fredda lastra e tornando a
muoversi libera.
«Ehi!
Bentornata tra noi!» per poco il suo cuore non
cessò di battere.
Non
c’erano giustificazioni, quella voce leggermente roca poteva
appartenere soltanto
ad una persona che visti i recenti fatti era considerata morta: Touko.
Camilla
si voltò lentamente, quasi spaventata, e osservò
l’esile figura della brunetta
svoltare da un canale poco più avanti ed avvicinarsi
saltellando. Sembrava
felice e la ragazza non seppe dirsi da quanto non la vedeva
così ed anzi semmai
l’avesse vista. Il suo sorriso, quello vero, non lo aveva mai
scorto tra il
cipiglio malinconico e crucciato che sempre aveva deformato il suo
giovane
viso. Ora invece la Campionessa sembrava letteralmente emanare gioia e
la
bionda si ritrovò a chiedersi quale grande avvenimento
potesse averla resa così
felice.
«Ho
capito, sono morta e come punizione dovrò passare
l’eternità in questo posto
maleodorante…» le sue riflessioni le avevano fatto
affiorare alla bocca queste
insolite parole.
«Le
considerazioni che ti portano a ciò?» chiese per
nulla impressionata la brunetta
inginocchiandosi accanto alla ragazza.
«Tu
stai sorridendo e questo va dritto nella categoria
“miracoli”» mentre Camilla
parlava l’altra scoppiò in un’insolita
quanto fragorosa risata che rimbombò
sulle pareti del canale fino a disperdersi, «scusa, ma credo
di averti visto
morire con i miei occhi…».
«Appunto
credi! Guarda invece cosa ho trovato!» continuò a
sorridere Touko porgendole
due piccole piastrine fredde che per l’altra non avevano
alcun significato.
Poi,
spiazzando la bionda, le mise una mano in fronte con
un’attenzione quasi
materna per poi passare a controllarle il battito. Sembrava in attento
esame ed
un’espressione apprensiva le velava il volto.
«Devo
preoccuparmi…?» mormorò Camilla
titubante.
«A
quanto sembra no! Però quando ti ho portata
qui…».
«Cos’avevo?».
«Mettiamola
così: se ti avessi versato sopra dello sciroppo alla frutta
saresti stata uno
dei più grandi ghiaccioli della regione!»
finì la brunetta come se la
conclusione del suo pensiero potesse suscitare una qualche
ilarità. Cosa che
però non accadde.
«Mi
stupisce “l’uno dei”, qui ad Unima create
spesso ghiaccioli giganti?».
«No,
ma sarebbe una buona idea per sfruttare i tipi Ghiaccio!».
«Ti…
ti rendi conto di cosa stiamo parlando?» alla domanda della
bionda seguì
qualche istante di silenzio.
Poi
entrambe scoppiarono a ridere come bambine e Camilla sentì
per qualche momento
sciogliersi tutte le preoccupazioni che le si erano annidate nel cuore.
Necessitava di spiegazioni ma si concesse quel momento di svago, sicura
che non
ce ne sarebbero stati molti altri da lì a poco. Poteva
ammettere, con
allarmante serenità, che la persona che aveva di fronte non
era male, spensierata,
gioiosa e leale era l’esatto prototipo della perfetta
compagnia in una
situazione tesa come quella. Fu quasi tentata di immortalare quel
momento, il
preciso attimo in cui la risata era esplosa sul viso di Touko facendolo
risplendere di pura luce. L’avrebbe conservata,
quell’istantanea, perché la
dura realtà era ben diversa. Non poteva certo abboccare come
una stupida al
tranello della “nuova Touko” che in
verità si era rivelato come l’ennesima
facciata che la brunetta esibiva al suo pubblico. Fin dalla prima
occhiata
aveva capito che quella che aveva davanti era solo una debole figura di
cartapesta, una maschera ben fatta e sfavillante che però
non poteva ingannare
il suo allenato acume. Lo stesso valeva per il siparietto appena
architettato,
aveva facilmente compreso che la ragazza aveva voluto alleggerirle il
peso
della situazione e in qualche modo distrarla. Ciò, da
qualsiasi prospettiva la
si vedeva, non prometteva nulla di buono. Dopo questo doveva dunque
aspettarsi qualcosa
di sconvolgente ed era meglio preparare la sua mente al peggio,
rimanevano
infatti molti punti oscuri riguardo la vicenda.
«Innanzitutto
ringrazia Charizard, se non fosse stato per lui ora tu saresti
morta…» sospirò
la brunetta rialzandosi «se ti interessa sapere
ciò che è successo seguimi in
fretta. Oh se non ti interessa è lo stesso perché
tanto quella è l’unica via di
uscita da questo “posto maleodorante”!»
finì imitando la sua voce.
Camilla
ignorò la presa in giro e si fece forza, diede un buffetto a
quello che doveva
essere stato il suo salvatore e porse il giaccone nero
all’altra che le prese
dalle mani pure quelle piastrine ghiacciate datele in precedenza.
«Qui
bello, occhio a non bruciarle!» stava esclamando la
Campionessa a Charizard
che, solo con l’ausilio della fiamma sulla coda, sciolse il
ghiaccio che
ricopriva quelle che ora sembravano due tessere.
«Che
piacere conoscerla, Karen Johonson!» continuò
tranquilla Touko porgendole la
tessere che doveva essere appartenuta all’unica recluta
femmina che avevano
incontrato.
«Ammetto
sia una buona idea infiltrarci come reclute ma tu? Ti ricordo che erano
tutti
uomini…» obbiettò la nuova Karen
intuendo il piano dell’altra.
«Già…
Morgan Rothstein… era del ragazzo castano che è
sempre stato in disparte
durante lo scontro. Immagino che dovrò adottare un
travestimento…» sembrava
parlare più a sé stessa che ad altri
«intanto seguimi!».
Camilla
ne fu felice, a quanto detto a momenti sarebbero state fuori e, anche
se l’idea
di essere esposta a potenziali pericoli mortali non era delle
più allettanti,
preferiva di gran lunga quello all’ambiente soffocante nel
quale stava marcendo,
seppur da poco. Più i metri passavano però,
più il pavimento andava
ricoprendosi di un’insolita patina ghiacciata e la
temperatura era in rapida
discesa. Quando svoltarono l’angolo alla bionda si
mozzò il fiato in gola e per
qualche secondo non fu in grado di articolare una qualche parola di
senso
compiuto. Tutto ciò che i suoi occhi potevano vedere era del
lucido e gelido
ghiaccio. Sui muri, ai loro piedi, sulla botola che avrebbero dovuto
attraversare
e, orrore maggiore, sulle reclute che le avevano attaccate. Queste
stavano
impalate come delle belle statuine in pose scomposte e innaturali;
sembrava
ironicamente una fotografia, ma i volti non erano sorridenti,
bensì contratti
in smorfie di dolore miste a stupore che fecero rabbrividire Camilla
più del
freddo.
«Che
hai fatto?» forse il suo tono stava risultando troppo alto,
ma quello
spettacolo le dava il voltastomaco.
Quello
che ottenne fu solo un sorrisetto sbieco da parte della brunetta che
inclinò la
testa a lato incurvando le sopracciglia.
«Rispondimi!».
Il
tono imperativo e lo sguardo della bionda suscitarono non poca
irritazione
nell’altra che scrollò le spalle in modo
infantile, non aveva una gran voglia
di mettersi a discutere ma la ragazza sembrava voler attaccare briga.
«Touko,
cos’è questo orrore?» persino la
Campionessa dall’alto della sua latente
indifferenza poteva percepire il tono inorridito.
«Ho
semplicemente salvato la vita a te e… ah si nel caso non lo
ricordassi io ci
stavo per rimettere la pelle!» decise di controbattere
infastidita.
«Certo,
quindi creare un surrogato de “la regina delle
nevi” ti è sembrata l’idea
migliore?».
«Vista
la situazione… d’altro canto avresti potuto
aiutarmi anche tu se non fossi
stata così fessa da credere alle parole di...»
cercò di ripescare dalla memoria
il nome «Kate!».
«Karen…»
sospirò la bionda mollando stancamente le braccia sui
fianchi, se quella era la
copertura che avevano allora avrebbero fatto prima ad andare per le
strade di
Luminopoli con un grosso cartellone con su scritto
“infiltrate e nemiche dei
Plasma”.
«Sì,
sì è lo stesso… ora ti sei
calmata?».
Calmata?
Come faceva ad essersi calmata? Quel luogo era diventato una mortale
prigione
di ghiaccio per quelle quattro povere anime che in tutta
probabilità non
sarebbero durate fino a sera. Camilla sapeva bene che non si poteva
guadare in
faccia al nemico, ma quello era troppo, era un omicidio volontario,
un’azione
brutale e mostruosa. Se solo per un istante avesse sentito Touko
canticchiare
“le belle statuine d’oro e
d’argento” non avrebbe aspettato un attimo a
fiondarsi verso la strada del ritorno.
«Si
può sapere come hai fatto…»
sospirò non dandosi ancora per vinta.
«Quando
i loro attacchi si sono diretti verso di me ho semplicemente messo a
frutto il
duro lavoro fatto a Mogania. Ho allenato molto Samurott in diversi
potenziamenti di mosse, quello che ha colpito il
quartetto…» spiegò allargando
il braccio per indicare le quattro reclute, «era una
Geloraggio davvero
soddisfacente. Certo, il risultato è stato un po’
azzardato ed era un salto nel
vuoto visto che mai era riuscito in così vasta scala, ma
posso affermare il
successo!».
Alcune
nuvolette di condensa uscivano dalla bocca della brunetta mentre
parlava, affannandosi
a spiegarle tutto nel minor tempo possibile. Era ironico come quella
sembrasse
in qualche modo dolce e ingenua mentre l’ambiente intorno a
lei stonava per crudeltà.
«Spiegati
meglio!» si innervosì l’altra, osava
solo immaginare la forza che avevano
raggiunto i Pokémon di Touko durante quei mesi.
«Beh,
Samurott ha puntato verso il basso ed il ghiaccio ha iniziato a coprire
qualsiasi
superfice ad una velocità sbalorditiva, così
Charizard ti ha letteralmente
strappata dalle grinfie di quell’energumeno che
però ha opposto resistenza. Ha
addirittura ordinato un Palla Ombra al suo Liepard prima di finire
congelato,
ahimè sei stata colpita anche se di striscio ed eri
già svenuta di tuo. Capisci
quindi che trovare un modo per scongelare questi qui era
l’ultimo dei miei
problemi?».
«In
effetti…» biascicò incredula la ragazza.
Doveva
esserle grata in fondo, aveva dato il meglio di sé per
salvarla e forse era
davvero cambiata. Magari si stava sbagliando, Touko non stava fingendo
e si
stava impegnando per diventare la Campionessa che non era mai stata,
probabilmente la regione le stava davvero a cuore. No, non era il
momento
adatto per rimuginarci su, ci avrebbe pensato in seguito se fosse
sopravvissuta, ora le attendeva la parte più difficile e
dovevano sbrigarsi.
«Ci
conviene stare molto attente. D’ora in poi non
sarà facile…» Touko era diventata
improvvisamente seria e la bionda si arrese di fronte alla
complessità di un
simile comportamento.
Questa
era intenta a farsi una strana acconciatura, simile ad una crocchia ed,
una
volta terminato il suo lavoro, prese da terra un cappello da recluta.
L’altra
sorrise, era quello che aveva fatto cadere a Karen durante il suo
disperato
attacco ed era ben contenta di vedere che ora poteva tornare utile alla
causa.
«Non
sembro un ragazzo perfetto?» la brunetta si era ficcata con
poca grazia il
cappello e la pettinatura di prima faceva sembrare i capelli molto
più corti.
Dalla sua aveva anche il giaccone, capo per nulla femminile, che non
mancò di chiudere
fino all’ultimo bottone per ottenere una maggior copertura.
Ora erano visibili
solo naso e occhi e se avessero camminato nelle retrovie, tra la
sicurezza che
davano le tessere e il suo vestirsi in nero, forse non
l’avrebbero
riconosciuta.
«Tu
vai anche bene, ma io? Non mi risulta che Karen fosse
bionda…» obbiettò
Camilla.
«Non
essere troppo fiscale… nel caso prepara qualche buon
manrovescio» sghignazzò
l’altra mentre prendeva uno sciarpone dalla borsa e glielo
legava per coprirle
la faccia.
«Questo
piano fa acqua da tutte le parti!» sbottò questa
rifiutando l’aiuto.
«Potremmo
tagliarti i capelli, Cami…».
«Stai
passando troppo tempo con Red… e no, vanno bene
così!».
Tutto
sommato la bionda era felice di averla al suo fianco, poteva contare
sulla sua
forza e il che non era poco. Forse era meglio ringraziarla per averle
salvato la
vita prima di rischiarla nuovamente, ma poi il suo pensiero si rivolse
a quelle
vite intrappolate nel ghiaccio e decise di fare la sua mossa.
«Touko,
è meglio aiutare queste persone… dopotutto il
nemico principale è Ghecis e…».
«Ehi
ehi, ho capito tranquilla anima buona!» sorrise la
Campionessa con tutta la
gentilezza possibile «non sono ancora diventata un mostro
quindi sappi che
prima ho inviato un segnale con una delle loro ricetrasmittenti e
quindi
verranno soccorsi, noi intanto saremo al sicuro e con la coscienza
pulita».
Aveva
spiegato tutto con innato candore e un’espressione talmente
ingenua e
comprensiva che per Camilla fu impossibile non crederle. Trovare il
lato buono
in qualsiasi persona era la sua inclinazione e tutto ciò che
era successo
finora la portava a fidarsi della compagna, in fondo l’aveva
salvata e se ora
il piano stava procedendo era solo grazie a lei. Con il cuore
più leggero annuì
soddisfatta, prese saldamente la Ball di Charizard e si
preparò mentalmente a
ciò che stavano per affrontare. Eppure se solo ci avesse
pensato qualche
secondo in più avrebbe capito che Touko non avrebbe potuto
usare nessuna ricetrasmittente
visto che il ghiaccio aveva sicuramente mandato in tilt i sistemi. E
poi, se
non fosse stata abbagliata dalla gioia nel essere fuori da quella fogna
si
sarebbe accorta di Samurott che, con un veloce Geloraggio, aveva
nuovamente
bloccato la botola dalla quale erano uscite, rendendo così
ogni tentativo di aprirla
molto più complesso del dovuto. Ci sarebbe dunque dovuto
molto più tempo del
previsto per dare ai corpi lì dentro una degna sepoltura,
sempre che li
avessero trovati.
Era
così piccolo il confine tra un essere umano e un mostro?
Se
un tempo il nome del Campione di Kanto fosse venuto fuori in una
qualche
discussione in molti lo avrebbero definito come un’anima
solitaria, uno spirito
libero, una persona menefreghista e salda sui propri principi. Agli
anziani che
tessevano lodi sulla leggenda di quel personaggio si sarebbe
contrapposto chi
vedeva in lui solo un egoista. A Red tutto ciò non aveva mai
dato un gran
fastidio, le opinioni altrui gli scivolavano via velocemente, non si
faceva mai
problemi riguardo a ciò che altri dicevano, dicerie che il
più delle volte non
lo raggiungevano nemmeno. Il problema era che ora per lui era
assolutamente
impossibile non immaginare la faccia di quei fatidici
“altri” nel vederlo lì
seduto al caffè di Levantopoli, per conto di una ragazza, ad
aspettare per ore
quello che veniva spacciato per il Campione della regione, per cercare
di
contrattare una sottospecie di accordo. Un anno prima questo per lui
sarebbe
stato completamente anomalo e il ragazzo non riusciva a dar torto alla
parte di
sé che rideva di fronte alla sua recente
disponibilità. Atteggiamento che lo
avrebbe portato a parlare anche con una persona che tra tutte avrebbe
voluto
evitare e che anzi sperava non si presentasse all’incontro.
Non che lui avesse
mai sentito grandi obblighi verso Unima, ma era pur vero che scomparire
nel
nulla senza dare spiegazioni non era esattamente il gesto
più elegante che si
potesse fare e da un lato poteva immaginare come quella persona
l’avesse presa.
Anche qualche mese prima lui aveva agito, abbandonando la regione in
balia di
molte difficoltà, dettato da un in reversibile
“qualcosa” che sentiva nei
confronti di quella stessa ragazza che gli aveva chiesto di mettersi in
contatto con la Lega. Red non avrebbe mai pensato di avere un
“tipo”, anche
perché Touko non poteva essere catalogata in simili
sottocategorie, troppo
complessa era la sua natura. Sapeva però di essere nato con
un carattere
difficile, viveva protetto e al contempo separato dal mondo da quella
scorza
che lui stesso aveva creato, era sempre per le sue e sicuramente la
permanenza
sul Monte Argento non lo aveva aiutato. Eppure
da quando aveva conosciuto Touko
un’altra parte di sé, quella che credeva di non
possedere, aveva iniziato a
lottare per emergere. Ai suoi occhi sovente riusciva a far vedere il
ragazzo
determinato ma gentile che era pronto a tutto pur di aiutarla e
proteggerla.
Era a volte frustrante, ma si sentiva quasi in debito con lei per
avergli fatto
vedere che in lui albergava un altro Red. Touko sicuramente, tra tutte
le
ragazze che aveva conosciuto, era quella su cui avrebbe scommesso di
meno. Non
sembrava per nulla adatta a lui, forse troppo simile e con quel
comportamento
inavvicinabile che avrebbe fatto desistere chiunque. La loro partenza
poi non
era stata delle migliori ed anzi aveva rischiato di sfociare in odio e
disprezzo sin dal primo secondo. Lui aveva creduto di aver davanti una
bimbetta
talentuosa ma spocchiosa, debole e inerme e lei probabilmente per un
po’ lo era
stata, non aveva scusanti. Con attenzione e pazienza però,
incuriosito dalla
sua persona, in lei aveva scorto anche un’anima testarda,
orgogliosa e
tremendamente instabile. Nonostante le ci volesse tempo alla fine
trovava il
modo di alzarsi, anche se non ammetteva le cose e faceva la complicata
tenendosele per sé lui riusciva a capire ogni pensiero che
le passava per la
testa. Diceva di fregarsene di Unima però ora era
lì per dare una mano,
sosteneva di volersi isolare da tutto ma gli aveva chiesto di starle
vicino.
Era un continuo controsenso, ma la cosa che più aveva
infastidito il ragazzo
era il suo essere così apparentemente volubile e
superficiale, la vedeva ridere
e parlare con allegria e un momento dopo chiudersi in religioso
silenzio; mesi
prima l’aveva assistita quando aveva abbandonato tutto e ora
era stato presente
ai suoi sensi di colpa.
Doveva
ammettere a malincuore che aveva avuto bisogno di molto tempo prima di
capire
il suo principale tratto e, una volta compreso, la sola presenza della
ragazza
aveva abbattuto tutte le sue barriere: Touko era prima di tutto una
grande
bugiarda. Ed era prerogativa di un’attrice così
capace il non mentire agli
altri, cosa troppo semplice e noiosa, ma bensì a
sé stessa, certamente una
sfida più ardua e interessante. Red l’aveva vista
in ogni minima sfumatura,
aveva analizzato ogni sfaccettatura ed era rimasto inerme di fronte
alla tale
serenità che ostentava quando mentiva. Il ragazzo aveva
potuto così comprendere
quanto tempo e fatica era costato alla ragazza costruirsi tutto quel
personaggio, convincersi di essere debole, sbagliata e di non andar
bene. Essere
quella Touko, quella Campionessa dei disastri, era stato per lei la
più ardua
delle parti da recitare ma anche la più logorante. Come
effetto aveva ottenuto
una autoconvinzione ferrea e un odio spropositato verso la sua persona,
Touko
si era annientata da sola. Per queste eccezionali varianti del suo
carattere il
corvino le si era avvicinato ammaliato, anche se amaramente sapeva bene
di non
poter essere d’aiuto in alcun modo. Lui poteva solo essere
presente,
sorreggerla e spronarla, ma al resto avrebbe dovuto pensarci da sola. E
non
sembrava prospettarsi semplice.
Il
campanello vicino alla porta tintinnò, svegliando Red da
quel vortice di
riflessioni. La cioccolata calda che aveva preso doveva essersi
raffreddata
perciò si preparò a chiederne un’altra
alla cameriera quando si accorse che
l’attenzione di tutti era concentrata altrove. Proprio
all’entrata stava un
ragazzo, gli occhiali appannati dalla condensa e le mani ancorate
incerte al
braccio dell’accompagnatrice, una donna la cui sciarpa
nascondeva il volto. I
due sgusciarono veloci tra gli sguardi sprezzanti degli avventori, fino
ad
arrivare al tavolino di Red.
«Il
ritardo è una delle cose che più mal
sopporto…» mormorò sommessamente, ora
più
che mai il vecchio sé stesso gli avrebbe fatto comodo,
doveva farcela per lei.
«Red,
i convenevoli non sono il tuo forte» sospirò
Aralia prendendo posto.
Non
sembrava arrabbiata né in vena di attaccarlo, dava
più un’impressione stanca e
tremendamente colpevole. Il corvino portò alla memoria
ciò che gli aveva
raccontato Touko riguardo al macchinario rubato dai Plasma e il suo
atteggiamento gli fu più chiaro.
«Soprattutto
in situazioni di emergenza come questa…»
ribatté svogliato il corvino, «siediti
anche tu Campione!» al suono di quella parola ci fu qualche
verso di
disapprovazione da parte dei clienti, mentre il ragazzo prendeva
immediatamente
posto.
«Non
credo sia il posto migliore per parlarci…»
tentò di farsi valere questo.
«Il
nostro eroe è in difficoltà fuori dalla Lega, qui
nel “mondo esterno” la gente può
attaccarlo» lo derise Aralia che rivolgeva il suo sguardo
solamente a Red, come
a voler ignorare Komor.
«Se
tu non avessi litigato con Bellocchio, ora avrei la mia
scorta…!».
«Sono
d’accordo. La prossima volta cercheremo di ricordare a
Bellocchio che rovistare
tra gli appunti di una scienziata è perseguibile
penalmente…».
«Ma
certo, continuate pure a parlare di cose che io non
so…» si sovrappose il
Campione di Biancavilla.
«Quel
dannato ha iniziato ad indagare su di me come se fossi una criminale!
Ha cercato
informazioni su quello schifoso prototipo e, non avendole trovate,
aveva
intenzione di interrogarmi…!» la Professoressa
sembrava inviperita ma ebbe il
tatto di mantenere un tono di voce accettabile.
«Così
i due hanno litigato e ora la polizia non collabora con la Lega, mentre
il Team
Plasma la fa da padrone… siamo divisi in un momento
così delicato…» finì il
ragazzo.
«Così
a volte dici cose intelligenti, sono colpito!».
Gli
occhi di Komor ebbero un tremito mentre abbassava il capo pronto a
sorbirsi un’intera
ramanzina, che sorprendentemente non arrivò.
«Dovrebbe
fare qualcosa di utile ma come vedi il malcontento si propaga a macchia
d’olio…» Aralia continuava ad ignorarlo
beatamente.
«Immagino
sia così, è per questo ch-».
«La
gente preferirebbe addirittura il ritorno di Touko… se solo
no fosse morta…
capisci, mi comparano a quella codarda?!» Red venne
bruscamente interrotto dal
ragazzo che ora si agitava sul posto, «forse se lei avesse
fatto qualcosa in
più ora non saremmo messi così male!».
Il
corvino non era un tipo che credeva nella violenza fisica eppure in
quel
momento nulla al mondo lo avrebbe fatto più contento della
sensazione del suo
pungo sulla guancia di Komor. Una breve occhiata all’ambiente
gli suggerì però
che non appena lui e Aralia se ne fossero andati ci avrebbero pensato
gli
avventori a realizzare il suo desiderio. Il ragazzo a quanto sembrava
aveva
attratto su di sé tanti pareri negativi, la gente aveva
iniziato ad azzardare
che forse il carattere chiuso di Touko compensava con la sua forza e in
fondo
avrebbe potuto affrontare una minaccia come quella dei Plasma.
«Compiangono
il morto di un omicidio che hanno compiuto loro…»
mormorò Red ricordando il
panico negli occhi della brunetta, la costante paura di quei giudizi
sconsiderati che l’avevano dilaniata negli anni.
Il
tocco della fredda mano di Aralia lo mise in allerta. La donna gli
indicò due
uomini che si stavano avvicinando dal bancone dove erano siti mentre
con le
labbra mimava un fugace “meglio andare”. Il ragazzo
pose la sua attenzione alle
due figure che sempre più minacciose avanzavano e scorse
l’inconfondibile segno
dei plasma cucito sopra la stoffa dei giacconi. Forse a Komor spettava
più di
un pungo.
«Via,
veloci» ordinò a voce bassa con il tono
più fermo possibile.
Non
era una bella situazione, il locale era grande ma una lotta
là dentro sarebbe
stata catastrofica. Si voltò mentre raggiungeva
l’uscio e vide che i due
avevano accelerato il passo, nessuno tentava di fermarli.
«Come
hanno fatto?» domandò ad Aralia.
«Levantopoli
è neutrale, i tre Capopalestra a quanto pare non prendono
difese e i Plasma ne
approfittano» rispose prontamente questa, intuendo il fine
della domanda.
«Sembra
sospetto…».
«Chi
quel trio? Non sei il primo a metterlo in dubbio» la donna
glissò sul resto, ma
il ragazzo intuì che giravano storie a riguardo. E quello
non era il momento
adatto per farsi dire vita, morte e miracoli del trio multicolore.
Il
freddo lo investì all’improvviso e si
ringraziò mentalmente per aver avuto l’accortezza
di tirarsi dietro il giubbotto in pelle.
«Immagino
siate entrambi equipaggiati di
Pokéball…».
«Mi
pare ovvio, questa non è esattamente la parte più
pacifica di Unima!» ribatté
stizzito Komor.
Red
non aveva intenzione di ammettere, da buon pivello quale poteva
sembrare, di
aver scelto quella città proprio per la vicinanza con
Luminopoli. Lo faceva
stupidamente stare più tranquillo, ma si sarebbe buttato
giù da un ponte
piuttosto che ammetterlo. “Gli svantaggi di dover badare ad
una persona così
sconsiderata” pensò tra sé, immaginando
che Touko doveva avere le sue buone
rogne vista la situazione in cui si era cacciata. Meglio quindi non far
precipitare le cose. Svelto prese la Ball di Gyarados e fece segno
all’esemplare di Komor-lagna di nascondersi dietro un
edificio.
«Divertiti
Aralia, non capita tutti i giorni di vedere il grande Red
all’opera…».
«Oh,
e il grande Red cosa vuole in cambio di questo onore?».
In
quel preciso istante le due reclute si catapultarono
all’aperto e, con una
spaventosa sincronia, Krookodile e due Amoonguss uscirono dalle
rispettive
sfere, pronti alla lotta. Un folgorante Idropompa colpì
immediatamente il primo
Amoonguss che sbatté violentemente contro un malcapitato
palo lì vicino,
piegandolo inesorabilmente. Il corvino non aveva perso molto tempo,
voleva
finire subito lo scontro per poi tornare alle sue trattative. La
risposta del
Krookodile fu repentina, Fossa lo fece scomparire in un batter
d’occhio, ma la
cosa non scompose minimamente il Campione che ordinò
Rimbalzo al suo compagno.
Il Pokémon Fungo già attaccato in precedenza ebbe
vita breve, colpito fatalmente
non oppose resistenza. Le reclute parlottarono tra di loro a denti
stretti e
Red non ebbe nemmeno il tempo decifrare un qualche loro messaggio, che
un Paralizzante
da dietro intaccò il perfetto stato di Gyarados. Era ben
chiaro che l’altro
Amoonguss avrebbe vendicato il KO del suo simile e, vista
l’insolita agilità
del Pokémon Atroce, anche il Campione dovette ammettere che
era una strategia
ben pensata. “Non abbastanza sufficiente
però” sorrise internamente.
«Viscidi»
mormorò a denti stretti Aralia, facendo un passo avanti e
schierando in campo
Watchong.
Questi
frappose immediatamente la barriera di Protezione tra il
Pokémon alleato e lo
Sgranocchio di Krookodile, per poi stordirlo con Iperzanna. Nella mente
di Red
si figuravano più ingloriose fini da poter propinare a
quelle reclute così
stolte da averlo sfidato e, dopo tanto tempo, si ritrovò a
sorridere freddo di
fronte alla prossima schiacciante vittoria. Non era un problema la
paralisi del
compagno, bastava solo sveltire i tempi e non ci sarebbero state
pesanti
ripercussioni.
«Annientali…»
sibilò mentre Gyarados scaraventava con la coda Ammonguss
lontano
dall’ipotetico campo lotta.
Senza
nemmeno un momento di tregua un secondo Idropompa, che agli occhi delle
reclute
apparve più potente del primo, mise fuori gioco Krookodile.
La Professoressa
fece per impartire un ordine a Watchong quando venne fermata dalla mano
tesa a
mezz’aria del ragazzo. L’espressione che aveva in
volto era indecifrabile
eppure la donna si ritrovò ad averne timore; era lampante
quanto la sua forza
fosse sconvolgente, non temeva rivali in quel campo. Dire che fosse il
numero
uno era un eufemismo. Come per rimarcare i suoi pensieri Ira di Drago
si abbatté
impietosa sull’ultimo avversario rimasto che tentò
di opporre una strenua
resistenza. A nulla valsero gli sforzi, Gyarados gli fu addosso e con
un ultimo
attacco, un banale Gelodenti, lo rispedì nella sua Ball. Le
reclute si
fissarono per qualche fugace momento, indecise sul da farsi, poi
valutarono più
sicuro il darsela a gambe levate e in pochi secondi scomparirono dalla
loro
vista. Red fu tentato di bloccarli, ma poi realizzò che,
seppur piccola, anche
lui aveva una missione da compiere. Quelle reclute non avrebbero poi
causato
grandi problemi e quindi non erano di nessun ostacolo.
«Per
rispondere alla tua domanda: in cambio, Aralia, voglio la promessa che
tu non
possa mai compiere un omicidio…» sorrise
furbescamente il corvino, di fronte ad
una donna allibita.
Aralia
non capì molto ma preferì annuire e stringersi
nel suo cappotto di lana,
cercando di pescare dalla sua memoria l’ultima volta che
aveva assistito ad una
vittoria così fulminante.
«Ah
tu!» continuò il ragazzo rivolto a Komor, che
prudentemente usciva dal suo
“nascondiglio”, «avrai degli illustri
ospiti alla Lega!».
Il
ragazzo si sistemò nervosamente gli occhiali, confuso. Non
aveva idea a cosa si
stesse riferendo Red, ma non aveva intenzione di fare lo zerbino della
situazione perciò si preparò a controbattere
malamente. Si impettì prendendo
fiato, ma venne fermato da un’insolita allegra Aralia che
esplose in una vivace
risata. Ora la situazione le era improvvisamente più chiara
eppure, nonostante
tutto, non poteva fare a meno di sentirsi contenta, piena di una
inaspettata e
alquanto inarrestabile felicità.
«Non
credo rifiuterà un favore a chi gli ha appena salvato la
vita!» esclamò ridendo
senza ritengo, poi con pochi passi si avvicinò al corvino
per non farsi sentire
e mormorò «e suppongo a chi ce la
salverà…» finì strizzando in
modo complice
l’occhio.
Non
c’era nessuna melodia nell’aria, né il
benché minimo suono che potesse fari
intendere la presenza di una qualche vita umana. Solo il sobrio e
cadenzato
ticchettio dell’orologio da parete, appoggiato proprio a
metà corridoio, faceva
da contorno alla sua andatura spedita. Aveva sempre pensato che quel
mobile
avesse una posizione stupida e parecchio azzardata, ma
d’altro canto non aveva
mai reputato i superficiali abitanti di Luminopoli come gente provvista
di
neuroni. Arrivò di fronte alla fatidica porta, da un lato
contenta di non
essersi persa e dall’altro preoccupata per ciò che
la poteva aspettare. Entrò
senza tanti complimenti, sorprendendo non di poco la figura che si
stagliava
dall’altro lato della stanza, proprio di fronte
all’immensa finestra di vetro
infrangibile. La sua mente, in ansia per la piega che poteva prendere
la
situazione, si ritrovò a pensare che se avesse scagliato il
suo micidiale
Pokémon contro di essa anche quella speciale vetrata si
sarebbe rotta senza
tante cerimonie.
Rise,
ma senza gusto. Poi si bloccò non appena scorse una
solitaria bottiglia di vino
appoggiata al tavolo dove erano presenti vassoi di biscotti rimasti
però
intoccati. Il fiasco era ormai vuoto e non era difficile capire che gli
ultimi
rimasugli della bevanda si trovavano proprio dentro il bicchiere che
l’ospite
teneva a mezz’aria. I capelli scompigliati gli conferivano
un’aria stanca,
tutto in lui era completamente sfatto dalle tremende occhiaie alla
camicia
semiaperta che metteva in mostra il torace niveo.
«Adelaide…»
soffiò dalla bocca screpolata il ragazzo mentre lei rimaneva
immobile, a metà
tra lui e la porta.
La
bionda deglutì, tutto questo non andava bene. N aveva avuto
un tracollo, la
stessa notte i Plasma avevano fatto irruzione nella Foresta Bianca
cercando di
fare incetta di più Pokémon possibili. Era un
ordine diretto da Ghecis e questo
poteva significare solamente che il grande passo era ormai prossimo, ma
il
problema non sussisteva in ciò. Durante
l’operazione, a cui aveva partecipato
anche il giovane Principe, c’erano stati degli intoppi. In
breve Adelaide non
immaginava che gli abitanti di un posto così tranquillo
fossero tanto
agguerriti, non era stato facile prendere il controllo del luogo e alla
fine
numeroso vite nemiche erano state letteralmente spezzate. Lo spettacolo
si era
svolto proprio di fronte agli occhi del ragazzo che non
l’aveva presa nel
migliore dei modi, complice anche la “deformazione
artificiale” della sua
personalità. Ed ora eccolo lì, ad annegare
nell’alcol come il più tormentato
degli eroi. Ed ecco anche lei, il Tenente Adelaide, che come al solito
doveva
sistemare la situazione.
«Ehi,
non ti fa bene bere tutto solo!» si armò di
coraggio e iniziò ad avvicinarsi,
ripassando mentalmente le mosse da fare. Doveva solo farlo sentire a
suo agio,
convincerlo che ciò che era successo non era così
terribile ma niente di più.
«Sta
succedendo qualcosa. Lo sento».
La
bionda barcollò di fronte allo sguardo tagliente del
ragazzo. Non sembrava aver
bisogno d’aiuto, d’altronde gli effetti del
dispositivo di Aralia dovevano
aumentare intensità e durata sempre più col
tempo. Rabbrividì al pensiero che N
un giorno sarebbe stato completamente soggiogato dalla
personalità che loro
avevano costruito.
«Non
ti seguo…».
«C’è
qualcuno di particolare».
«Continuo
a non capire…» ormai Adelaide era abbastanza
vicina da sentire l’odore
dell’alcol dell’alito del ragazzo.
«Forse
Touko. Potrebbe essere. C’è qualcosa qui intorno,
capisci?» stava parlando
sommessamente, non c’era convinzione nella sua voce.
«Touko…».
No,
quel nome no. Tutto tranne quello. La bionda fece una smorfia di
disgusto per
poi prendere malamente il bicchiere di cristallo, scolandosi poco
educatamente
il vino all’interno.
«Non
riesci proprio a capire che è morta? Nessuno sa nulla da
mesi, quella ragazza
non esiste più!» finì con astio.
«Sì,
va bene» N tornò a volgere lo sguardo alla
finestra, deciso a non voltarsi più.
«Scusa
solo che… c’è sempre lei in
mezzo!».
«Non
credo possa fregartene molto…».
La
bionda tremò. Che avesse capito il suo ruolo in tutto
questo? Non poteva
sopportare un trattamento tanto rude ed era meglio proporre a Ghecis
una valida
alternativa che tenesse suo figlio ancorato ai Plasma.
«Ora
non rispondi?» il tono andava a poco a poco ad alzarsi.
«Cosa
vuoi che ti dica?» sospirò lei.
Era
sempre così, era tutto già preparato in anticipo
tra loro due. Lei eseguiva gli
ordini mentre lui sembrava recitare un ruolo che però mal
gli si addiceva. Era
tutto finto, lei aveva un compito da svolgere, ne andava fiera
eppure… cos’era
quel sapore amaro? Touko era loro nemica eppure, nonostante tutto
ciò che era
stato immesso nella testa di N, lui continuava a nominarla e lei questo
non
poteva sopportarlo. Aveva iniziato prendendosi gioco dei sentimenti del
ragazzo, che mai però gli erano appartenuti, ed ora si
sentiva presa in giro a
sua volta. Si era fregata da sola, ma non avrebbe ceduto a nulla.
«Farò
venire qualcun altro d’ora in poi…»
mormorò dando forma ai suoi pensieri. Lei
era una combattente, non la balia di quel problematico ragazzo.
«Patetica».
«Cosa
hai detto?».
«Sorda
e patetica. Sei davvero una persona debole…» il
tono di N non era canzonatorio
ma terribilmente tagliente.
«Come
ti permetti!?» non voleva ammetterlo ma quelle parole la
stavano ferendo più
del dovuto e questo era sbagliato.
«Dimostrami
il contrario, Ade…» sussurrò girandosi,
un’espressione terrificante in volto
«…perché tu mi ami no?».
La
bionda decise di andarsene, non poteva accettare tutto ciò.
Le mani di N però
le bloccavano le spalle, tenendola saldamente ed aspettando una qualche
risposta. Se avesse avuto il potere di scomparire non ci avrebbe
pensato due
volte ad usarlo.
«Mollam-».
Adelaide
non poté finire la frase poiché la bocca del
ragazzo la assalì con un impeto
spaventoso, mentre la teneva ancorata a sé in una presa
sempre più dolorosa. E
in tutta quella violenza e disperazione la bionda ci annegò,
si smarrì negli
stessi meandri che N aveva solcato finché non
sentì una scossa partirle dalla
bocca dello stomaco. Fu allora che temette di star andando a fuoco, ma
non ebbe
la voglia e il tempo di controllare. In pochi secondi si
ritrovò con le mani
tra i capelli del ragazzo, in un disperato tentativo di aggrapparsi a
quei pochi
frammenti di realtà che intravedeva, mentre, sentendosi
completamente folle,
dischiuse le labbra abbandonandosi del tutto.
Ghecis,
l’imminente vittoria, il suo ruolo di tenente, in quel
momento scomparvero del
tutto. L’odio per Touko, i dubbi su sé stessa, i
problemi del passato vennero
dissipati in pochi attimi, lasciando spazio ad un solo ed unico
sentimento. Ma
la bionda, troppo presa o troppo persa, non si accorse che dalla tasca
dei suoi
jeans scuri era sparito qualcos’altro.
La
Cioccolateria di Guna
Ora
vi faccio ridere. Esattamente due capitoli fa dicevo
e cito testualmente “Suvvia che con le
vacanze spero di sveltirmi” e poi aggiungevo un
“pregate per me” ma ciò non
conta. Questo capitolo è in iper ritardo e le vacanze sono
finite, figo eh? Non
vi vedo ridere, molto probabilmente troverete più semplice
linciarmi. Bene dopo
l’angolo “Guna spara cacchiate in diretta
perché le piace fare
la figura da deficiente” direi di passare
alle cose un pochino più serie, tipo chiedervi scusa in
ginocchio per il grande
grande grande ritardo.
Potrei
dirvi che in questi ultimi mesi non ho passato dei gran momenti ma non
siamo in
un blog tumblr e a tutti voi giustamente non fregherebbe
granché quindi meglio
glissare. Diciamo che poi le vacanze mi hanno rammollito, ho passato le
ultime
settimane a rotolarmi sul divano mentre guardavo How I Met Your Mother
e mi
chiedevo perché diamine fosse finito in quel modo
così odioso. Si insomma,
l’unica cosa che ho prodotto è stata anidride
carbonica, ma alla fine eccomi
qui!
Come
sempre ringrazio i fedelissimi Allys, Rovo e Inkchedisegnatrans (ehehe)
per le
bellissime parole e anche Vivilove01, adoro i nuovi recensori.
Ho
finito di tediarvi, il prossimo capitolo arriverà spero in
un mese e come
sempre grazie a tutti!
(Nel caso qualcuno si stesse
domandando il perchè di quel titolo beh, oltre ad avere
delle idee pessime ho pensato che Touko mostra delle "crepe" nel suo
ruolo di eroina, pure Levantopoli con il trio dalle capigliature
improponibili è una crepa nella societa. E poi gran parte di
voi dopo l'ultimo paragrafo vorrebbe veder Adelaide crepare.
Quindi crepe. Si faceva schifo e sono più che pessima lo so)
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