City Of Destiny

di TonyHale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Capitolo 1.
 
Il prescelto si manifesterà nella città del destino.
Avrà immensi poteri.
Luce e tenebre in un unico essere, un Nephilim diverso dagli altri.
Nella città del destino, il prescelto si manifesterà.
Decidendo di morire salvando tutti o rimanere a guardare l’Apocalisse.      
Mi alzai di scatto dal letto, con il dorso della mano mi asciugai la fronte,ero completamente sudato. Ormai erano giorni,se non settimane, che avevo lo stesso incubo o sogno. Tutto bianco, e poi c’era questa voce che narrava sempre le stesse frasi.
-Josh alzati,farai tardi a scuola- urlò mia madre -Come tutte le mattine.
Di malavoglia mi alzai dal letto e controllai l’ora, 7:00. Non male, di solito mi alzavo anche più tardi. Avevo solamente mezz’ora per prepararmi. Dopo una doccia veloce,presi un paio di attillati jeans scuri, una t-shirt nera e i miei anfibi. Scesi al piano di sotto e vidi mia madre intenta a preparare l’ennesima colazione che non avrei mangiato.
-Buongiorno tesoro,buon compleanno.
-Grazie.                
-Questo è per te- mi porse un regalo. Impacchettato in quel modo così imbarazzante,proprio come piaceva a lei.
-Mamma sai che odio queste cose- Mi lamentai
Lo scartai rivelando il regalo. Era un ciondolo,un simbolo nero fatto d’argento.
-Era di tuo padre, avrebbe dovuto regalartelo lui è un ciondolo ereditario-vidi il suo volto intristirsi, le mancava mio padre, ed anche a me.
Lo indossai nascondendolo sotto la t-shirt. Mia madre tossì liberandoci dal quel momento imbarazzante.
-Allora vuoi delle uova o del baco…
-Mangerò qualcosa per strada.
Sentii mia madre sbuffare, ormai non protestava più non mangiavo la colazione da anni. Presi il mio zaino,le chiavi e il cellulare e diedi un bacio a mia madre prima di uscire.
 -Josh sta attento- disse
-Ma io sono un ragazzo prudente,lo sai- dissi facendo cogliere la mia nota di sarcasmo.
-Tesoro dico sul serio, non t’intrattenere e vieni subito a casa- si fece più seria.
-D..D’accordo- risposi senza farci poi troppo caso.
Scesi in strada e controllai l’orologio, 7.20.Merda,mal che vada salto la prima ora. Il mio cellulare vibrò avvertendomi di una chiamata,Kaila.
-Pronto?
-Si può sapere dove ti sei andato a cacciare? 
-Sono per strada, questione di minuti e arrivo.
Intanto un gran fracasso copriva la voce di Kaila.
-Kaila che succede? Dove ti trovi? 
-Sono a scuola, Chris sta picchiando il professore di storia
Ecco spiegato il fracasso.
-Se lo merita, mi ha mandato in presidenza per avergli dato del pallone gonfiato.
-Ma è ovvio che l’abbia fatto,non puoi dargli del pallone gonfiato.
-Sono fuori scuola, ci vediamo al solito posto
Non attesi una risposta, sapevo che ci sarebbe andata. Tutti noi ci andavamo. Era dietro la scuola e ci riunivamo lì. Kaila,Chris,Alex, Madison ed io. Arrivai sul retro della scuola ed erano tutti lì.
Kaila intenta a sistemarsi i piercing, Chris e Madison a pomiciare e Alex a fumare.
-Giorno- mi appoggiai al muro, lasciando cadere lo zaino a terra.
-Auguri tesoro- disse Kaila posando il suo cellulare in tasca e abbracciandomi
Così fecero gli altri, ma si sa l’abbraccio più caloroso fu quello di Alex.
Alex mi porse il pacchetto di sigarette, ne presi una. Non era un tipo di molte parole, ma quello era un suo modo per darti il buongiorno.
La campanella suonò.
-Dovremmo tornare in classe-disse Madison
-Proprio sul più bello-fece Chris
-Muoviti, andiamo in classe- lo prese per il colletto della camicia e lo trascinò a scuola.
Risi.
-Quei due non la smetteranno mai.
-Lo credo anch’io- aggiunse Kaila
Mi voltai verso Alex  che stava fissando il vuoto, aveva l’aspetto da cattivaccio, ma era così dolce.
-Ci vediamo dopo-dissi lasciandogli un bacio sulla guancia.
Un sorriso comparve sulle sue labbra, era sempre molto apatico e farlo sorridere mi rendeva orgoglioso. Insieme a Kaila ci dirigemmo in classe. Kaila prese posto tra i primi banchi, ma lo fa solo perché deve colpire i professori e non ha una buona mira. Ignorandola mi sedetti all’ultimo banco, da solo.
La giornata passò velocemente.
Tornai a casa e ascoltai quello che mia madre mi ordinò di fare anche perché non avevo voglia di litigare di nuovo con lei. Ma ricevetti una
-Tesoro puoi farmi un favore?-sembrava stesse correndo
-C..certo, ma che succede ti sento strana…
-Niente, ma promettimi che non tornerai a casa 
-Ma mi avevi detto di tornare in fretta…-ero sempre più preoccupato
-Lo so cosa ho detto ma tu non tornare- adesso ero sicuro che stava correndo
-Va bene, ma che sta succedendo? >>
- Promettimelo
-Ma mamma che succe…
- Ho detto promettimelo- urlò
-D’accordo te lo prometto- dissi seriamente preoccupato
-Va a casa di zia Allison 
Poi la telefonata finì. Non sapevo cosa stava succedendo ma avevo il presentimento che zia Allison sapeva qualcosa. Mi diressia casa sua, non era la mia vera zia ma era un’amica di mia madre e la conoscevo da praticamente tutta la vita. Era come di famiglia e la consideravo davvero una zia.
Una volta fuori casa sua bussai ripetutamente. Ero piuttosto agitato. Aprii quasi subito la porta.
-Sono già qui non è vero? -disse, si guardò intorno e poi mi trascinò nel suo appartamento.
Sul tavolo del salone aveva ogni tipo di arma. Non erano armi normali, erano strane. C’erano pistole con strani proiettili, spade e alcuni pugnali credo.
-Cosa sta succedendo?E perché hai delle armi in casa?-domandai esasperato.
-Non c’è tempo per le spiegazioni-rispose fredda.
Prese una cintura e me la lego intorno ai fianchi. Era nera e al centro portava uno strano simbolo,assomigliava a un rombo con le ali. Zia Allison velocemente prese alcune armi e me le infilò nelle tasche della cintura. Poi mi portò verso il retro dell’appartamentento. Aprii la porta e ci trovammo sulle scale che portavano al retro del palazzo. Accanto ad una busta dell’immondizia c’era una Harley Davidson. Zia Allison mi porse il casco e salì sulla moto.
-Da quando hai una moto?- domandai allibito
-Non è mia, è di tua madre-rispose divertita
Mia madre aveva una Harley Davidson ed io non lo sapevo?
Indossai il casco e neanche il tempo di aggrapparmi bene alla moto che mia zia già sfrecciava per le strade di New York.
Arrivammo fuori qualcosa che doveva essere una chiesa abbandonata. Notai una scritta, Institute. Al centro aveva lo stesso simbolo che c’era sulla mia cintura. Intanto zia Allison stava sussurrando qualcosa che fece aprire la porta. Quello che i miei occhi videro dopo fu qualcosa di surreale. L’interno era un enorme palazzo. Il soffitto sembrava non avesse fine, dal centro della sala partivano due eleganti scalinate che portava a corridoi che sparivano nell’ombra. Appese alle pareti delle scalinate c’erano dei quadri. Zia Allison prese una di quelle scale, sembrava conoscere quel posto.
-Non muoverti da qui -mi disse prima di sparire tra i corridoi.
Quel posto m’incupiva nonostante fosse elegante e trasmetteva un senso di protezione. Non riuscivo a non pensare a mia madre. E cosa stesse succedendo.
-Quale onore, Joshua Blacksilver 
Una figura comparve in cima alle scale. Aveva dei folti capelli biondi e indossava una camicia abbottonata svogliatamente,la prova erano i bottoni nel posto sbagliato. Lentamente scese le scale e si avvicinò a me. Solo quando lo vidi da vicini notai i suoi occhi. Di un azzurro ipnotico.
-Tu come fai a sapere il mio nome? E dove mi trovo?- domandai indietreggiando,quel ragazzo non mi piaceva.
Un sorrisino presuntuoso comparve sul suo viso. Probabilmente il mio atteggiamento da agnellino impaurito lo divertiva.
-Credimi, ti ho visto crescere-disse -Vieni con me ti mostro una cosa
Che io sapessi solo mia madre si era presa cura di me, e di questo ero sicuro. E quel ragazzo non mi piaceva per niente.
-Allora ti sbrighi?
Salii lentamente le scale, fino ad arrivare a uno scalino inferiore al suo. Nel salire notai che quelli non erano quadri,ma foto incorniciate. M’indicò una foto. Rappresentava il posto da cui siamo entrati. Ma della chiesa abbandonata c’era un enorme edificio che ergeva imponente nel cielo. Un angelo sovrastava l’entrata. C’era una donna,mia madre. Era sicuramente alla mia età. Tra le braccia di un ragazzo. Non ne feci molto caso all’inizio ma notai una cosa,i suoi occhi. Avevo visto solo una persona con quella tonalità di azzurro,me.
-Sì, è tuo padre prima che morisse
Quindi quello era mio padre,quando aveva circa la mia età. Le lacrime iniziarono a rigare il mio viso. Perché piangevo? Forse perché non avevo mai visto mio padre o forse perché volevo solo sfogarmi, ma in quel momento mi liberai di tutta la tensione che avevo accumulato. Il ragazzo scese il gradino e mi abbracciò. Non sapevo chi fosse ma in quel momento seguì l’istinto. Gli strinsi le braccia intorno al petto e piansi forte. Sentii il suo torace vibrare, probabilmente aveva riso. Alzai il capo e lo guardai. Aveva un sorriso stampato in faccia, sembrava un angelo.
-Vieni ti accompagno in stanza hai bisogno di riposare
Non riuscii a ribattere, ero troppo stanco. Lo seguii tra tutti quei corridoi che sembravano tutti terribilmente uguali. Poi ci fermammo davanti ad una porta. L’aprii e mi  lasciò entrare. Era una delle stanze più eleganti che io avessi mai visto, se non la più elegante. C’era un letto a baldacchino fatto in legno al centro della stanza. Nel legno erano intagliati alcuni simboli. Sul lato destro della stanza c’era una poltrona sulla finestra. Sul lato sinistro un’elegante scrivania. C’era una porta, il bagno probabilmente. Mi avvicinai al letto sedendomi sulla cassa appoggiata a esso. Con le dita sfiorai i simboli intagliati sul legno.
-Sono rune della protezione 
Il ragazzo se ne stava appoggiato allo stipite della porta, fissandondomi. Sorrideva quasi come un genitore sorride ai primi passi del figlio.
-La mia camera è quella infondo al corridoi se hai bisogno di qualcosa sono lì-disse prima di chiudersi la porta alle spalle
-Aspetta-dissi alzandomi di scatto e aprendo la porta
-Non pensavo avresti fatto così in fretta >> disse sarcastico
-Qual è il tuo nome? >> domandai
-Jace-

Spazio Autore

Ciao a tutti,sono Tony. 
Questa è la mia prima fanfiction. Ci ho messo davvero molto per scriverla e spero vivamente che vi piaccia. Scusatemi se è un po' lungo ma mi farò perdonare nei prossimi capitolo.
Saluti,
Tony xxx

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Capitolo 2.

 
Un forte mal di testa fece in modo che mi svegliassi. Mi guardai intorno e capii che quello non era un sogno, ero davvero successo tutto. Costatai che mi ero addormentato sulla poltrona alla finestra, ecco spiegato il mio forte mal di testa. Alzandomi il dolore s’intensificò bloccandomi sul posto. Dopo vari schiocchi riuscì a placare il dolore. Sul letto c’erano alcuni vestiti con un biglietto. Mi avvicinai e lo lessi “Nel caso volessi farti una doccia” oltre all’intimo c’era un maglioncino nero, dei jeans dello stesso colore e degli anfibi. Slacciai la cintura con le armi e la poggiai sul letto. Sfilai il ciondolo di famiglia dal collo, rivederlo mi provocò una fitta al cuore. Scacciai quei pensieri e mi diressi verso la porta del bagno. Una volta trovato l’interruttore ebbi un sospiro di sollievo, c’era la doccia invece delle solite vasche che tanto odiavo. Mi spogliai ed entrai senza pensarci due volte. Tutto lo stress e ansia che si era accumulata fu placata nel sentire le calde gocce scivolarmi lungo il corpo provocandomi piacevoli brividi. Uscii dalla doccia e scossi la testa quasi come un pitbull. A piedi nudi uscii dalla stanza. Indossai tutto. Il maglioncino era di qualche taglia in più ma non potevo lamentarmi, evidentemente non ricevevano parecchie visite. Trovai un po’ difficile allacciare gli anfibi, che tra l’altro ai lati avevano ancora delle armi. Che cosa ci faceva tutta questa gente con quelle armi e che cos’era questo posto. Avevo mille domande da fare, ero solo un normale adolescente cosa mi stava succedendo, cosa succedeva al mondo. Uscì dalla mia stanza e iniziai a percorrere quel corridoio. Alla fine trovai altri due. Provai a ricordare il percorso al contrario ma non ci riuscii così presi quello a destra. Ormai mi ero perso, ne ero certo. Sarei voluto tornare all’entrata o qualunque cosa essa sia ma ero nell’ennesimo corridoio. Sentii delle voci, mi avvicinai e provenivano da una grande porta. Un’anta era socchiusa
– Che cosa vorrebbe dire che non è morto? Quella era sicuramente la voce di Allison.                                                                                                                           – Non può essere morto, chi altro avrebbe fatto ciò tutto questo è nel suo stile.
Chi non era morto?Che cosa voleva dire? Stufato aprì di scatto l’anta entrando nella stanza. Era un’enorme sala, c’era un alto soffitto e ai lati della sala file librerie che si estendevano fin sopra il soffitto. In fondo alla stanza c’era una statua raffigurante l’angelo che avevo visto nella foto dei miei genitori, doveva essere un qualcosa d’importante. In alcuni punti della sala c’erano alcune armi in teche di vetro. Appoggiato a una di esse, c’era Jace, mia zia Allison era ferma e altri due ragazzi la stavano osservando, dovevano essere fratello e sorella. Avevano gli stessi occhi. Il ragazzo aveva due occhi azzurri e i capelli corvini mentre la ragazza li aveva lunghi e castani tendenti al nero e gli occhi come il ragazzo. Tutti mi guardavano allibiti. Non credetti che avessero capito che li stavo spiando.
– E’ identico. – riuscii a dire mia zia Allison  –Per l’Angelo, dove hai preso quei vestiti?
–Li ho trovati sul mio letto, c’era un biglietto.
Si guardarono tutti ancor più allibiti.
La ragazza si rivolse a Jace –Gli hai dato tu quei vestiti?
–No
I loro sguardi da allibiti si tramutarono in terrore, per quale motivo?
–Si può sapere che succede? Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo urlai esasperato.
Zia Allison mi fece segno di raggiungerla e così feci. La seguii fino a una scrivania che in cima alle scale non avevo notato. Aprii un cassetto e prese una foto per poi porgermela. C’era un uomo e indossava i miei stessi abiti e capì a cosa si riferivano, ero davvero uguale a lui.
–Quei vestiti appartenevano a tuo padre e dopo la sua morte sono stati rubati.
–E chi mai ruberebbe dei vestiti di mio padre?
Allison sembrò esitare sul darmi una risposta.
–Qualcuno che dovrebbe essere morto
Mi appoggia alla scrivania, un attacco di panico. Non mi succedeva da anni. Iniziai a vedere sfocato le mie mani e il mio respiro era accelerato.
–Aiutatemi a farlo sedere, sta avendo un attacco di panico – Jace mi fece appoggiare a lui e mi porsero una sedia. Iniziai a concentrami sul mio respiro, ormai ero allenato a gestire gli attacchi di panico anche dopo anni. Allison mi porse un bicchiere d’acqua, che bevvi in un solo sorso. Poi senza controllarlo le lacrime iniziarono a scendere sulle guancie copiosamente.
Ero stremato, volevo sapere cosa stesse succedendo  –Cosa mi succede?
Allison si sedette accanto a me –Questo è un discorso che avrebbe dovuto farti tua madre, ma sono costretta a farlo io – disse –Sei uno ShadowHunter, un cacciatore di demoni, tuo padre e tua madre erano come te, tra i migliori. La tua famiglia, i Blacksilver sono tra le più rispettate tra gli ShadowHunter. Nelle tue vene scorre sangue di cacciatore. Anche Jace è come te, così come Isabelle e Alec. E anch’io.
Mi prendevano in giro, erano pazzi oppure era finito su uno dei programmi sugli scherzi. Dalle loro facce non sembrava uno scherzo, anzi.
–E perché mia madre me l’avrebbe nascosto?
–Per proteggerti il tuo destino è segnato da una profezia.
–Certo e quando sbuca fuori Harry Potter?
–Ascoltami, hai poteri che neanche immagini. E per questo che sei in pericolo, tutti ti vogliono dalla loro parte.
Non era possibile, non potevo crederci. Chiusi gli occhi e contai fino a tre ma quando li riaprii, non stavo sognando. Ero ancora lì.
Mia madre? Dov’è mia madre?
–La stiamo cercando, ma ci serve il tuo aiuto. Tu fai parte di questo mondo ormai e devi essere preparato.
Annuì semplicemente. Quel mondo non mi apparteneva, io non potevo far parte di quel mondo. Ma se serviva a ritrovare mia madre allora avrei provato ad accettarlo.
 
Nel pomeriggio Allison aveva stabilito un appuntamento nel posto in cui c’eravamo riuniti in quella che in seguito avrei capito, la Biblioteca. Aprii la porta ed erano tutti lì. Merda, ero di nuovo in ritardo.
–Vieni tesoro, ti presento gli altri
Scesi in fretta le scale arrivando davanti ai due ragazzi, Jace non c’era.
–Io sono Alec,piacere.
Il ragazzo mi strinse la mano, cazzo se era fredda.
–Io sono Isabelle, per gli amici Izzy.
La sua di stretta invece era stritolante, credo che mi usci una lacrima.
–Finito con le presentazioni, cominciamo.
Cominciare cosa? Iniziai a preoccuparmi.
–Sta tranquillo, dobbiamo solo vedere quale arma ti si addice di più.
Fece Alec rassicurante. Ma non ci riuscii per niente, io non sapevo usare un’arma.
Allison fece segno di avvicinarmi a una delle teche di vetro. Così feci. Questa era più grande delle altre, aveva ogni tipo di arma. Pistole, balestre, arco, spade di ogni volume- pugnali, martelli e ogni genere di cosa che potesse ferire qualcuno.
–Davvero c’è gente che ha come arma un martello? – chiesi sbalordito
Alec soffocò una risata.
–Buona parte della tua famiglia, adesso scegline una.
La mia famiglia usava dei martelli per difendersi? Forse considerare l’idea che fosse uno scherzo, non era male, pensai.
–Chiudi gli occhi e giuda la mano,aiuta parecchio– mi sussurrò poi.
Con i miei dubbi chiusi gli occhi e percorsi la mano su tutte le armi, credo. Provai a concentrarmi, forse avrei dovuto sentire qualcosa al contatto con l’arma. Sfiorai con le dita un martello, poi fu la volta di una pistola e poi una lama, di una spada presumo. Poi la mia mano afferrò quasi senza che io lo volessi su un’arma ricurva. Aprii gli occhi ed era un arco. Io?Come arma avevo scelto un arco. Al massimo avevo visto Katniss maneggiare un arco.
–Non avevo dubbi che tu abbia scelto l’arco.
–Che vuoi dire? – domandai
–Anche tuo padre usava l’arco, era la sua specialità.
Quindi di mio padre sapevo che era morto, era un cacciatore di demoni e che usava un arco.
–Non finirò mica come Robin Hood vero?
Allison sorrisa divertita, mentre Alec non riusciva a smettere di ridere, Isabelle invece era un po’ più fredda quasi snob.
–Adesso ci serve il tuo aiuto per trovare tua madre. Isabelle, Alec potete andare v’informerò dopo se ci sono novità- i ragazzi annuirono e uscirono dalla biblioteca.
 –Sono una specie di capo– disse strizzando l’occhio.
Annuì semplicemente, quella storia non mi piaceva per niente.
–Mi sono messa in contatto con Jace, èandato a dare un’occhiata al tuo appartamento e non c’era anima viva, tutto distrutto.
Cos’era successo al mio appartamento? Da chi scappava mia madre e ci aveva distrutto il mio appartamento. Ero sconvolto.
–Cosa sai?Ti ha detto qualcosa, hai visto un dettaglio non so…
La sua voce era calma ma si vedeva dal leggero tremolio delle mani che era preoccupata. Quella situazione era troppo per me. Avevo appena scoperto di essere un cacciatore di demoni e che mia madre, scomparsa, me lo avevo tenuto nascosto.
–E sentiamo perché dovrei dirtelo? Non so neanche più chi sei, non so io chi sia e non so, dove è finita mia madre – urlai esasperato.
Quella situazione mi stava uccidendo, io dovevo sapere.
–Calmati, sono sempre io la tua zietta Allison.
La guardai negli occhi e sembrava sincera. Vidi la stessa Allison che tutti i pomeriggi con quella sua area da donna super sexy veniva a farci visita. Vidi la stessa Allison che mi accompagnava a scuola o che mi aiutava a fare i compiti. Vidi la stessa Allison che se la spassava di brutto con mia madre davanti alla loro telenovela che tanto odiavo. Solo in quel momento mi resi conto di quanto veramente fosse preoccupata per mia madre. Quel suo splendido viso traspariva vulnerabilità. Quei suoi bellissimi occhi erano circondati da profonde occhiaie. E i suoi capelli non splendevano come il solito.
–Prima di essere una Shadowhunter sono la migliore amica di tua madre e farò di tutto pur di trovarla.
Non potevo non fidarmi,dopotutto era la zia che non avevo mai avuto.
–D’accordo, cosa vuoi sapere?
Le vidi il volto illuminarsi.
 –Prima di sparire mi ha regalato questo – sfilai dal collo il ciondolo e gli e lo porsi.
Sgranò gli occhi incredula
–Non è possibile…– disse –La cosa è anche più seria di quanto pensassi.
Si diresse di corsa verso la porta, aprii l’anta velocemente.
Alec, Izzy correte– urlò.
Non riuscii a vedere i loro visi ma potevo sentire cosa dicevano nonostante Allison sussurrasse.
–Contatte Jace, deve subito tornare qui potrebbe essere troppo pericoloso anche per lui.
Sentì poi qualcuno correre, una ragazza sicuramente, Isabelle. Allison sparì con lei. Alec invece entrò.
Quel ragazzo si poteva definire parecchio timido. Mi ricordava me, alle medie. Ero così timido e dolce, una persona che in quel momento avrei considerato debole. Mentre io ero debole.
–Allora anche tu usi l’arco
Mise le mani in tasca e iniziò a fissarmi con quei suoi pozzi.
–Quindi non sono l’unico?
Annuì semplicemente. Era ufficiale,quel ragazzo era il più timido del mondo.
–Perché Jace è in pericolo?
Lo vidi sospirare, sembrava che fosse in difficoltà.
–E’ a indagare nel tuo appartamento e visto che abbiamo scoperto quel ciondolo, è parecchio in pericolo.
Sembrava in ansia, evidentemente doveva tenerci a Jace.
–Perché che cos’ha il mio ciondolo?
–Significa che qualcuno ti sta cercando, non in senso buono. Sei in pericolo con quel ciondolo.
Mi si gelò in sangue, quel non in senso buono era piuttosto inquietante.
–Ma com’è possibile, mia madre non mi avrebbe mai dato qualcosa che mi mettesse in pericolo.
Rise per poi ritornare subito serio.
–Quella è una speciale runa, credo significa protezione dalle creature demoniache.
Imitò le virgolette sulla parola “speciale”.
–Perché speciale? – dissi imitando il suo gesto
–Solo la tua famiglia, i Blacksilver possono disegnarla.
Stavo per domandargli altro quando le porte della Biblioteca si spalancarono. Era Jace e non era in forma.
Aveva delle ciocche sporche di sangue, un taglio sullo zigomo e aveva l’aria stravolta.
–Dove sono Izzy e Allison? – domandò
–Pensavo ti fossero venute a cercare
–Che cosa? – urlò –Dobbiamo sbrigarci potrebbero morire.
Sul volto di Alec si dipinse un’aria terrorizzata.
Mentre Jace estraeva per poi riporre nuovamente le armi in varie parti degli indumenti, Alec sembrava terrorizzato. Le sue mani avevano un leggero tremolio, sembrava quasi che non sapesse cosa fare, e per di più stava sudando. Evidentemente non ero stato l’unico ad accorgersene. Jace gli aveva sussurrato qualcosa all’orecchio, qualcosa di simile a Parabonsai o Parabotai. Alec sembrò calmarsi, ma cosa c’entrava una pianta in quel momento? Nessuno sapeva darmi una spiegazione.
Jace si rivolse poi a me –Ascolta, loro non ti riconoscono ancora perciò adesso Alec ti accompagnerà sulla Fifth Avenue, così potrà mischiarti tra la gente.
–Mia madre è sparita,mia zia Allison potrebbe morire e io vado a fare un giro sulla Fifth Avenue? E dopo magari passare per Hyde Park con un bel cupcake.
–Se lo compri, potresti portarmene uno? Scegli tu il gusto – odiavo il suo sarcasmo.
Jace mi trascinò fuori dall’edificio e mi spinse su una moto. Arrivammo quasi subito sulla Fifth Avenue. Lentamente scesi dalla moto e tolsi il casco.
–Hei, non preoccuparti. Fidati di me – l’altezzoso Jace fece spazio al Jace che mi accompagnò in camera l’altra notte con l’aria da angelo.
Non risposi, mi limitai solamente ad annuire. Jace accennò un saluto e poi sfrecciò via, facendosi spazio tra taxi e automobili.
Resta calmo e lucido, continuavo a ripetermi ma non riuscivo a rimanere calmo. Mia madre era sparita ed io ero sulla Fifth Avenue, cose da pazzi.
La mia attenzione fu catturata da una figura, ma non riuscii a distinguere se era un ragazzo o un uomo, aveva capelli biondi ma non riuscivo a intravedere gli occhi data, la distanza tra noi. Fece cenno di seguirmi e quando fu di spalle, notai che aveva delle armi e quelle rune sul braccio. Pensai fosse Jace, così lo seguii. Imbucò il primo incrocio, e così per altre dieci volte fino a giungere in un vicolo ceco. Il vicolo era bloccato da un muro di mattoni non troppo alto, c’erano dei bidoni dell’immondizia in un angolo e una porta. Dall’insegna capii di essere nel retro di un bar. Dalla statura e dalle possenti braccia capì che doveva essere un uomo. Era incappucciato e rimase di spalle.
–Jace– provai a dire, mi uscii dalle labbra quasi come una domanda. Speravo vivamente che quello fosse Jace altrimenti mi ero appena imbucato in un vicolo ceco, con uno sconosciuto armato fino al collo.
Quando si voltò del tutto mi si gelò il sangue nelle vene nel vedere che non era per niente Jace. Poteva avere all’incirca quarant’anni di corporatura abbastanza massiccia. Aveva dei capelli biondi che gli arrivavano quasi alle spalle e una particolarità nel colore degli occhi. Riuscii subito a riconoscerli nonostante il crepuscolo. Erano della mia stessa tonalità, doveva essere quasi ovviamente un mio parente.
–Chi sei? Che cosa vuoi ? – indietreggiai lentamente. Mi girai di lato e notai che c’era il via libera per correre via.
–Inutile pensarci, ti perderesti quasi subito e poi ti troverei comunque.
Indietreggiai nuovamente quando provò ad avvicinarsi. Gli anfibi che avevano non erano semplici da calzare, e prontamente inciampai.
Sta tranquillo non voglio assolutamente farti del male – mi porse la mano per farmi alzare.
Saranno stati gli occhi come i miei o l’aria da persona relativamente buona, mi aggrappai alla sua mano.
Bastò tirarla leggermente per farmi alzare di un metro da terra con un balzo.
–Posso sapere chi sei?
–Sarebbe troppo noioso da spiegare, velocizziamo le cose.
Si sfilò una collana con un ciondolo e con uno scatto sfilò la mia dal maglioncino. Avvicinò i due ciondoli che a mia sorpresa combaciavano perfettamente.
In un balzo tutto si fece nero.
Quel vicolo ceco fece spazio a un salotto. Le pareti erano di allegro giallo, c’era un lungo divano sui toni dell’arancione. C’erano vari quadri appesi alle pareti, alcuni raffiguravano una città, altri diversi paesaggi. Su un elegante davanzale c’erano varie cornici, una raffigurava un bambino che soffiava le candeline, dal numero delle candeline doveva aver compiuto un anno. Un'altra raffigurava una famiglia, due genitori e un bambino in braccio. Mentre altre raffiguravano altre foto dello stesso bambino. Al centro del salotto era steso un lungo tappeto che dal giallo si andava a sfumare verso i toni del rosso. Schiarendosi man mano, comparve un bambino al centro di una lunga pista ferroviaria. Aveva intorno ai tre anni. Insieme a lui comparve anche un uomo con lui, indossava un cappellino da capo treno troppo piccolo e aveva un fischietto tra le mani.
-Lo facciamo partire? Domandò ricevendo un ampio si con la testa ripetutamente.
L’uomo pose il cappello sul capo del bambino e fischiò. Con un pulsante fece partire il treno che iniziò a girare intorno al bambino. Sul viso del bambino comparve un’espressione di meraviglia, mentre l’uomo, sicuramente il padre, sorrideva guardando la reazione del figlio.
–Guarda chi c’è – una donna comparve sulla soglia della porta.
Era mia madre.
Di fianco a lei comparve un uomo. Aveva dei capelli corti e degli occhi azzurri simili a quello del bambino e di suo padre. Era l’uomo del vicolo, nonostante avesse un paio di anni in meno, ero sicuro che fosse lui. Da dietro le sue gambe, un altro bambino di qualche anno più grande corse nella direzione del più piccolo sedendosi goffamente a terra.
–Cody esclamò il più piccolo.
In pochi istanti i due bambini iniziarono a giocare animatamente affascinati da quella ferrovia. L’uomo si avvicinò al bambino.
-Un saluto a zio Edwin?
Il bambino si alzò di scatto lasciando un dolce bacio sulla guancia allo zio, poi riprese di nuovo a giocare.
Dopo un paio di minuti lo zio si avvicinò al più piccolo, sedendosi a terra e portando le gambe al petto.
–Zio Edwin ti ha portato un regalino da Alicante.
Il bambino alzò il viso di scatto e avvicinandosi allo zio che portò le mani verso il bambino. Aveva una freccia tra le mani. Sul volto del bambino si dipinse un’espressione mista di stupore e timore. Si voltò prima verso i genitori che lo incitarono a prenderla e poi verso lo zio che lo guardava divertito. Il bambino lentamente porse le piccole mani verso quell’oggetto a lui sconosciuto, per poi stringerlo tra le mani.
Poi tutto finì. Ritornai in quel vicolo ceco. Guardai l’uomo e sul suo viso si era dipinto un bellissimo sorriso.
Solo dopo capì cosa avevo visto, quel bambino ero io. Quell’uomo era mio padre con mia madre e l’uomo era mio zio con probabilmente suo figlio, tecnicamente mio cugino.
–Esatto, sono tuo zio e so dove si trova tua madre.

Note Autore

Ciao^^
Ed eccoci al secondo capitolo,spero che vi piaccia. Scusate se ci ho messo un po' più tempo del previsto ma con l'inizio della scuola sono stato impegnatissimo e quindi non sono riuscito ad aggiornare nel tempo che mi ero prestabilito. Questo è tutto.


 

 

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