Milk puzzle

di IMmatura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** EPILOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** PROLOGO ***
Capitolo 6: *** RITORNO ALL'EPILOGO ***



Capitolo 1
*** EPILOGO ***


Milk puzzle


EPILOGO

Novembre 2014

Scopro di non aver mai perso la capacità di riconoscerti tra la gente. Infatti il mio sguardo si posa subito su di te, in mezzo alla folla che brulica lungo il marciapiede. Alta, come una modella, fai svettare la tua chioma ondeggiante, di boccoli rossi, al di sopra delle altre teste. In questi anni il tuo fisico si è asciugato, ma non troppo. Le linee del tuo corpo si sono definite, disegnando il profilo di una donna. L’ultima cosa che noto, con un po’ di rammarico, è che hai tolto gli occhiali. Poi ti allontani, troppo in fretta perché io possa capire se così mi piaci di più o di meno.

Chiudo irritato il finestrino, ma poi sospiro ed alzo un po’ la radio, che sembra capire il mio dramma, e raccontarlo con la voce di Pezzali:

 

 

Ti ho incontrata ma... tu non mi hai visto

Eri in macchina... è stato un attimo

Ma il mio cuore si è... come bloccato

O era fermo prima e... ha ripreso a battere

Tante volte io... l'ho immaginato

Rivedere te... che effetto mi farà*

 

Ho immaginato mille volte di incontrarti di nuovo, magari ad una di quelle squallide cene in cui ci si ubriaca per stare allegri, rievocando i “bei vecchi tempi” del liceo. Sentirti dire qualcun’altra di quelle frasi strane, che a distanza di anni sto ancora imparando a capire. Sentirmi un po’ a disagio sotto il tuo severo sguardo smeraldino. L’aria saccente, da futura professoressa, scommetto l’hai ancora.

Invece dovevo vederti adesso, da un finestrino dal riflesso infame, che mi avrà occultato sicuramente alla tua vista. Su una macchina che proprio non posso abbandonare a se stessa nel traffico del centro. Perché non ho più l’età per questo genere di pazzie: bloccare il traffico per rincorrere una persona che, magari, non sei davvero tu. Non ho più la voglia di buttarla a ridere, nel caso mi fossi sbagliato, e magari con la scusa rimorchiare la bella sconosciuta. Non so nemmeno se avrei la voglia di affrontarti, se fossi tu. Perché saresti, come sempre, un problema dannatamente complicato da risolvere nella mia vita, meno spettacolare ma più incasinata di allora.

Mi folgora una delle tue sentenze astruse, uno di quei ricordi che, la radio lo sa, “sembrano lame”, ma in fondo vado a cercare sempre, nei momenti di merda come questo. Ho sempre pensato fossi la mia medicina, ma con gli anni ho scoperto tutti i tuoi effetti collaterali. Sentirsi stupido è solo il primo...

 

 


*(Max Pezzali - L’universo tranne noi)

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Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1

Gennaio 2005

La condivisione degli spazi vitali, anche per poche ore al giorno, fa miracoli. Probabilmente, se il destino non ci avesse incastrato in quel piccolo banco a due, il primo anno, nessuno di noi due avrebbe prestato attenzione all’altro.

Tu eri una figura ancora pingue e poco sviluppata, nascosta in maglioni sgargianti e jeans dal taglio maschile. Forse l’unica cosa che ti distingueva era non far parte della corte adorante delle “belle” della classe. Non rientravi nell’ampia rosa di quelle ragazze non troppo belle, che gravitavano attorno alle più avvenenti, sperando di risaltare un poco, brillando di luce riflessa. Preferivi rimanere nel banco a leggere un libro, arricciando di tanto in tanto il naso, o a disegnare. Alzavi lo sguardo, lanciando un’occhiata severa a qualche ragazza seduta cavalcioni sul banco. A volte sorridevi, senza che nessuno capisse per cosa. Qualcuno iniziò a credere che la tua fosse spocchia, e che ridessi delle altre, squadrandole dall’alto della tua intelligenza e presunta superiorità. L’etichetta sociale era imposta: secchiona antipatica.

Un po’ antipatica lo eri davvero, ma meno di quanto si dicesse. L’ho imparato standoti vicino. Ho iniziato a farti apprezzare il mio sboccato umorismo da sedicenne, durante le ore di matematica. Le uniche che odiassi anche tu. Sempre in quelle ore, osservandoti scarabocchiare agli angoli del quaderno, ho scoperto anche che il naso lo arricciavi non per snobismo, ma semplicemente per tirarti su quegli occhialoni spessi, che scivolavano di continuo, senza interrompere un’attività in cui eri concentrata. Avevi tanti atteggiamenti buffi, quando ti concentravi. Spesso ti mordevi la lingua, oppure socchiudevi gli occhi con finto astio, quando mi scappava da ridere per le tue espressioni bizzarre. Poi però eri costretta a tapparti naso e bocca, per non scoppiare a ridere anche tu.

Dovevo essere davvero buffo anch’io, con il viso tondo da bambino, ancora ben lontano dallo sviluppo che stava trasformando i miei compagni. Ricordo che una volta cercasti di disegnarmi. Un ritratto crudelmente realistico, con i capelli neri appiccicati alla testa e il collo taurino. Troppo piccolo sotto tutti gli aspetti, per capire il tuo imbarazzo quando, cercando di fare decentemente un disegno di geometria, le mie dita tozze incrociavano le tue, pallide ed affusolate, che gentilmente mi tenevano il righello.

Quante volte devi aver pensato che fossi un idiota completo, a non accorgermi di niente...eppure, anche tu dovevi aver visto in me qualcosa di speciale, per rimanermi accanto tutto quel tempo, avere la pazienza di aspettare che io ci arrivassi, a quel che c’era tra di noi.


 “...superficialmente siamo tutti uguali, però poi ognuno è fatto a modo suo.”

 

 


 

Marzo 2006

-Cosa, in nome del cielo, cosa credi possa significare “fece esporre le navi sulle coste dell’Egitto”?- sbraitavi, sventolandomi sotto il naso il peso non indifferente della cultura, sotto forma di vocabolario di latino.

-Calmina, eh...non urlare.-

Sbattesti il tomo sul banco, prendendomi un attimo per la nuca. Un brivido mi percorse la schiena. Sospettai volessi sbattermi il viso tra quelle maledette pagine di vocaboli morti.

-Basta leggere e,ex + ablativo: far sbarcare!-

Non ci mettevo impegno, perché ormai sapevo che alla fine mi avresti passato tu i compiti. Ormai eravamo diventati amici, senza che me ne accorgessi, e avevo imparato che la tua severità era solo una maschera. In realtà eri una ragazzina esattamente come noi, solo con delle passioni un po’ strane. Era anche piacevole starti ad ascoltare, molte volte, mentre con quella voce un po’ stridula, ma tremendamente concitata, esponevi ogni concetto come una questione di vita o di morte. Penso di aver imparato più cose sentendo ripetere te, che ascoltando i professori...anche perché ripetevi continuamente. Tra una lezione e l’altra, nelle ore buca, sottovoce a ricreazione, quando temevi di essere interrogata. Persino mentre correvi ad educazione fisica, una volta, sono abbastanza sicuro di averti sentito bisbigliare i verbi deponenti.

-Ehi, calmina, eh...- difendevo la mia dignità di ragazzo, ora che potevo definirmi tale a tutti gli effetti. Ero cresciuto di parecchi centimetri e un filo di barba cominciava a segnare il mio viso. Approfittavo spudoratamente del mio fascino con le ragazzine del primo anno e, scherzando, a volte ti dicevo che “non potevi dirmi di no, perché ero troppo bello”. Senza sapere di ferirti, forse, o più semplicemente di giocare con un cuore molto fragile.

Però per te, di fronte al latino, non c’era niente di più importante, nemmeno una cotta.

-Ma perché devi essere così superficiale?-

-E tu perché devi essere così pignola?-

Ci fronteggiavamo in quel modo ad ogni stramaledetta esercitazione. Che la Salvini, nostra docente, fosse maledetta anche per quella nuova trovata didattica, oltre che per il suo sadismo in generale.

Proprio lei, di solito, ci interrompeva, sgridandoci per la confusione. Però, quella volta fu diverso...

-A quando le nozze?-

-C-come prego?- balbettasti, mentre io guardavo quello scemo del mio amico Marco con gli occhi marroni sgranati e, probabilmente, la mascella all’altezza dei calcagni. Ormai sapevo abbastanza bene che io ero un ragazzo, e tu una ragazza, e che la nostra amicizia fosse strana non solo per la tua fama di “secchiona intrattabile”...però nessuno era mai arrivato a fraintendere così. O per lo meno, a spiattellarcelo in faccia.

-Ma ti sei rincoglionito?-

-Scusa, mica è colpa mia se tu e Sara sembrate una vecchia coppia sposata...-

-Ma...come...ti viene in mente razza di degenereidiotacretinoperdigiornochenonseialtro!-

Desti di matto, quella volta, con il viso in fiamme e facendo roteare il tomo di grammatica come fosse un’arma impropria. Pensai dovesse averti davvero infastidito quell’allusione. Non mi saltò per la testa neppure per un istante che, invece, Marco potesse avere ragione. Invece ne aveva, perché in effetti noi ci completavamo davvero bene, aiutavamo a vicenda quando serviva e, udite udite, in un certo senso ci volevamo già bene.


“...Due persone, per stare bene insieme, devono incastrarsi nel modo giusto, come le tessere di un milk puzzle...”

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Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2

Ottobre 2007

-Sei un essere senza cuore.- fu la tua sentenza, pronunciata distrattamente, mentre continuavi a sfogliare il libro, poggiato accanto a te. Eravamo seduti in cortile, sul prato. Avevo la testa poggiata sulle tue gambe e non mi avevi chiesto di ritrarla. Anzi di tanto in tanto mi sfioravi pigramente la fronte, quasi potessi sfogliare come pagine anche i miei pensieri. Un po’ di lettura, un po’ di conversazione, perfetto, purchè non ti facessi perdere il segno. Io guardavo dal basso la tua criniera rossa, gonfiata dal vento impazzito. Senza sapere perché cercavo sul tuo viso qualche reazione.

Era l’anno in cui davvero scoprivo i sentimenti e le passioni, cambiando una ragazza a settimana eccitato dall’idea di nuove esperienze. Tu eri l’unica amica con cui consigliarmi per la fase di abbordaggio, e l’unica che continuava a parlarmi nonostante il mio comportamento insensibile. Le altre ragazze si dividevano in quelle interessate e quelle che mi consideravano uno stronzo. Tu eri un caso a parte e, come sempre, la cosa mi incuriosiva.

-Tutto qui? Mi aspettavo più indignazione da una rappresentante del gentil sesso...-

-Sono indignata, ma non vedo a che pro scaldarmi, visto che continuerai a fare come ti pare.-

-Ovvio, altrimenti non sarei io. E poi non credo sia un problema, per me...-

-Davvero?- chiedesti ironica. Sentii un fruscio ed uno scatto. Avevi chiuso il libro.

Scattai seduto, avvicinando il mio viso per esplorare i tuoi occhi verdi. Avrei quasi potuto gridarti in faccia “Ah-ha! Allora vedi che ti importa!” senza ancora capire perché la cosa dovesse essere così fondamentale. Lo era, comunque. Più di quanto immaginassi.

-Io non mi innamorerò mai.- sentenziai, passandomi una mano tra i capelli, con un fintissimo atteggiamento da bello e dannato. Sentii qualcosa colpirmi in testa, ma non troppo forte. Giusto...mi ero dimenticato del libro.

-Ahio.-

-Non dire idiozie...tutti si innamorano. Prima o poi.-

-Non dire tu cazzate. Scusa, nemmeno tu sei mai stata innamorata, no, eppure mi pare che la tua vita non sia orribile o cose del genere...senza amore secondo me si evitano un sacco di problemi.-

-Quindi è così che affronti un problema? Cancellando l’enunciato? Molto maturo.-

Di colpo ero arrabbiato. Odiavo la tua aria da maestrina, in quel momento. Volevo te, ma non volevo il tuo solito tono materno e comprensivo. Volevo qualcos’altro, senza sapere cosa, e dentro di me cresceva una sorta di frustrazione, per il fatto di non riuscire a capire cosa stesse succedendo. Avevo la brutta sensazione che qualcosa tra di noi stesse cambiando, e volevo chiarire prima di perdere l’unica ragazza che fosse ancora un punto di riferimento nella mia vita.

-Mi trovi stupido, vero?-

-Niente affatto, ma come ti viene in mente!- ti accalorasti. -Ti trovo solo impaziente. Non puoi decidere tutto adesso, siamo giovani, non sappiamo ancora quello che vogliamo davvero. Magari adesso non trovi la persona giusta, ma ogni volta che tenti sai un po’ di più che cosa vuoi, e fai un passo in quella direzione.-

Verso di te. Intendevi questo? Adesso ci sono arrivato, ma allora mi limitai a sbuffare con scetticismo.

-Mah, comunque non vedo perché io dovrei arrivarci prima di te...a sentirti io sono tanto avanti, rispetto a te. Eppure tu sei una specie di genio...-

-Appunto, io mi sono già fatta un’idea di cosa voglio.- rispondesti, sorridendo. -E, tanto per chiarire...chi te l’ha detto che non sono innamorata, eh?-

 


 

“..non è certo facile, trovare l’incastro giusto: ci vuole un sacco di tempo, ci vogliono tanti tentativi...”

 


 

Aprile 2008

-Oh, ma cos’hai che non va?- chiesi con tono aggressivo. A diciannove anni i ragazzi hanno fretta in ogni cosa, e poca voglia di chiedersi cosa nascondano un paio di occhi arrossati e meno vispi del solito. A me quella versione di greco serviva, perché la ricreazione era quasi finita e la prof mi aveva puntato. Interrogazione sicura.

-Niente, niente...solo...io e te siamo amici, giusto?-

-Cazzo, si!- esclamai, cingendoti le spalle con un braccio e resistendo alla tentazione di scompigliare la tua morbida massa di boccoli. Avevo di recente scoperto che aggrovigliare i capelli ad una ragazza non era un buon metodo di interazione sociale. Il più delle volte generava strilletti incontrollati del tipo “Ihhhh! La messa in piega!”.

Però i tuoi erano una specie di irresistibile gomitolo, per cui alla fine dovetti per forza toccarne almeno una ciocca. La presi tra due dita e la ricondussi lentamente dietro il tuo orecchio. Un rossore delicato sulla tua guancia umida.

-Ma...stavi piangendo?-

-Sono solo stanca. La maturità mi ucciderà.- rispondesti, forzando una risatina e guardandomi titubante. Mi resi conto in quel momento di iniziare a trovarti carina. Iniziavano a intravedersi dei piccoli seni, nonostante la posizione curva sui libri che avevi la maggior parte del tempo. L’evidenza del naso era, in parte, bilanciata dalla spessa montatura degli occhiali. Quella protuberanza così pronunciata sembrava un ostacolo molto meno insormontabile sulla via per due labbra sottili, ma di un vivido rosso.

-Co-comunque, se non l’hai fatta neanche tu non importa, figurati...tanto a te la stronza della Salvini non ti chiamerà mai. Sta tranquilla!-

-No, no, eccola.-

Mi passasti il quaderno, con un gesto esitante.

-Non l’hai fatta perché...- chiedesti, sapendo già la risposta.

-Dopo la terza riga mi sono trovato un verbo che non esiste, e avevo fretta.-

-Giulia?-

-Già...- risposi, ripensando all’appuntamento della sera prima. Una pizza che, a quell’età, pare un evento da persone adulte. “Ho portato la mia donna a mangiare fuori” avrei detto ai miei amici, prima di proseguire con dettagli completamente inventati.

-Ti piace sul serio, eh?-

-Si. Ho chiuso con le storie a caso: lei è...speciale.-

-Se riesce a farti dire squallide frasi fatte lo è di sicuro.-

-Credevo fossi tu a dire che prima o poi avrei trovato la persona giusta, no? Ti rimangi le tue teorie romantiche, adesso?- provai a punzecchiarti, senza ricevere risposte.

Non ero mai stato bravo a capire quando le tue battute fossero innocenti, e quando no. Sapevo che avevi un tono diverso dal solito, ma lo imputai al nervosismo che mi avevi offerto come scusa. O alla cotta che, in tutti quegli anni, non ti eri degnata di rivelarmi. Mi spiaceva vederti stare male, perché eri la persona più importante per me, dopo Giulia. Una ragazza generosa, che mi aveva aiutato con la scuola nonostante fossi una causa persa. Una ragazza leale, che non mi aveva giudicato solo perché la cricca squittiva che ero uno “stupido sciupafemmine”. Una ragazza bella, in tutti i sensi che mi venissero in mente. Bella con quel sorriso, che mi rivolgesti ancora una volta, dicendomi di essere contenta. La prima ed unica bugia tra di noi.

-Grazie, tu si che mi capisci. Sei la migliore amica del mondo, lo sai?-

 


 

 

“...bisogna stare attenti a non prendere il pezzo giusto guardandolo dal verso sbagliato...”

 

 

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Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO 3

Luglio 2008

Con Giulia finì, appena dopo gli esami. Lei partiva, per frequentare l’università all’estero, e io non avevo mai creduto alle storie a distanza. Semplicemente smettemmo di vederci e sentirci, con una specie di tacito accordo che mi lasciò l’amaro in bocca. un amaro che sfogai senza pietà su di te, quando venisti a condividere con me i tuoi progetti. Solo una volta, nella mia vita, ho meritato davvero l’appellativo di stronzo, e fu in quel momento.

-Vado a Roma, li c’è un’ottima facoltà, così potrò specializzarmi in fretta e dopo il TFA...-

-Spiegami che cazzo devi farci con una laurea in lettere antiche!-

Sgranasti gli occhi, sorpresa. Me ne avevi già parlato, del tuo progetto di diventare un’insegnante. Di solito, per gioco, ti prendevo per le spalle gridando “Salvini, esci da questo corpo!” o cose simili. Tuttavia volevi mostrarti forte. La tua decisione era sentita nel profondo, e l’avresti difesa.

-Forse insegnare lettere antiche? Tu che dici?-

-Non prendermi per cretino. Lo sai che non ci vedremo più? Lo sai?- faceva male. Non capivo nemmeno perchè, ma faceva ancor più male, mentre lo dicevo. Mi sentivo abbandonato due volte, come un bambino che vuole essere libero, ma allo stesso tempo non riesce a rinunciare alla voglia di sentirsi al centro delle attenzioni di qualcuno.

-Ma che dici, ovvio che ci sentiremo, e ci vedremo alle vacanze...- sembravi quasi felice.

Come una scossa. Realizzai tutto così, con una versione dolorosa di un lampo di genio. Io ti piacevo. Non solo come amico. La nostra non era mai stata amicizia. Quindi per questo mi stavi abbandonando anche tu. Fui un vigliacco, egoista e vendicativo. Decisi di far impallidire il tuo volto, arrossato di tenerezza, e far spegnere il tuo sorriso. Volevo piangessi, quella volta. Perdonami, lo volevo davvero.

Ti urlai in faccia che erano tutte balle, che ci saremmo persi di vista come sempre accade in quei casi, che avresti avuto troppo da fare per occuparti di altro che non fosse il tuo stramaledetto latino. Che eri solo una stronza che metteva sempre una stupida lingua morta davanti alle persone. Ti rinfacciai di aver trovato il tempo di infilarmi in testa ogni stramaledetto paradigma, ma non di dirmi che, in realtà, volevi solo essere portata a letto.

Una sberla. Meritatissima, mi sento di aggiungere, con la saggezza di oggi.

Poi, come sempre, parole che mi dimostrarono quanto fossi più matura di me.

-Dovrei rinunciare al mio futuro perché tu hai ancora bisogno della bambinaia? Si, mi piacevi e mi sei sempre piaciuto, ma non ho mai agito con un secondo fine. Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per affetto sincero. Ho capito che mi piaceva insegnare proprio a furia di provare ad infilare cose in quella tua testa vuota! Mi hai aiutato a capire cosa volevo davvero e ho cercato di ricambiare...ma evidentemente mi sbagliavo. Pensavo di volere un rapporto con te, ma al momento non voglio vedere mai più la tua faccia in vita mia!-

Era così. Tu avevi capito tutto dall’inizio, compreso qual era il tuo posto nel puzzle. Io invece giravo ancora come un cane sciolto, mi sentivo in balia dell’incertezza e me la prendevo con te per questo. Ti costrinsi a ripeterlo stringendoti tra me e il muro, e strappandoti a forza un bacio amaro. Ringhiai persino qualcosa, nel farlo, per darmi un tono. Qualcosa tipo “E allora, non mi dai nemmeno un bacetto di addio?”

 

 


 

“...il bello è proprio riuscire a mettere ordine, a far stare bene tutti i pezzi, trovare il loro posto nel puzzle...”

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Capitolo 5
*** PROLOGO ***


PROLOGO

Novembre 2004

-Puzzle?- chiesi alzando lo sguardo dal foglio e osservando il paesaggio ricostruito e incorniciato proprio al di sopra della tua scrivania.

-Si. mi piacciono.- rispondesti semplicemente, alzandoti dal letto con un movimento non molto agile. Anzi...fu proprio una goffa capriola. Facendo anche cadere il libro di storia su cui stavi ripassando. Mi morsi la lingua per non ridere, sapendoti piuttosto permalosa. Tuttavia dovesti accorgerti lo stesso della mia ilarità, perché gonfiasti le guance paffute sbuffando.

-Allora, questa versione?-

-Non capisco perché devi continuare a torturarmi, quando alla fine sai già di volermi troppo bene per non passarmela...- commentai sarcastico, stiracchiandomi e mantenendomi in equilibrio precario sulla sedia. Sarei potuto cadere anch’io, quella volta, ora che ci penso. Forse questo l’avresti trovato buffo anche tu.

-Conosci i patti. Devi almeno provarci, prima...-

-Comunque è roba da sfigati.-

-Il latino? Ne sono consapevole.- rispondesti.

-I puzzle, intendevo...non sono una noia?- chiesi, mettendomi di nuovo seduto composto e voltandomi verso di te. Probabilmente solo per coprire col braccio la mia improbabile traduzione in cui “i fanciulli sedevano sui pini”. Avevo pur sempre un orgoglio, diamine!

-Scherzi? Sono rilassanti. I miei preferiti sono i milk puzzle.-

-Milk puzzle?-

-Puzzle completamente bianchi. Sono il livello estremo di difficoltà di un puzzle.-

Strabuzzai gli occhi. In quel momento considerai seriamente l’ipotesi dei miei amici, secondo cui venivi da un altro pianeta. Il modo tranquillo con cui avevi pronunciato quelle parole, con aria convinta, fugava qualsiasi sospetto di uno scherzo.

-Ma sul serio esiste una roba del genere? La versione inutile dell’inutilità. Almeno i puzzle normali ti danno la soddisfazione di completare un disegno...e poi quanto diavolo di tempo deve volerci per completarne uno?-

-Almeno un mesetto, se ti ci metti due ore al giorno.- rispondesti, con la sicurezza di chi l’aveva fatto. -In ogni caso non sono inutili. La funzione di un puzzle è proprio quella di far passare il tempo, quindi direi che quelli bianchi sono, al contrario, i più adatti allo scopo.-

-Ma spiegami il senso se alla fine non ci vedi niente...- ribattei, adesso sinceramente invogliato dalla discussione, più che dal perdere tempo.

-Il senso è riuscire ad incastrare tutti i pezzi. Quello si che da soddisfazione.- spiegasti, appoggiandoti con la schiena al bordo della scrivania e fissandomi per un istante. Poi la tua testa si voltò verso la parete alle mie spalle, regalando a me la visione del tuo profilo. Il naso femminile più pronunciato che avessi mai visto.

-Secondo me le persone sono come tanti pezzi di un milk puzzle. Non ridere, dico sul serio!-

-Cioè, tutti bianchi? Cosa sei, razzista?-

-Idiota. Non intendevo quello.- sibilasti. -Era un modo per dire che siamo tutti esseri umani, però tutti diversi.-

-Sennò sai che palle!-

Ignorando la mia “profondissima” riflessione andasti avanti, per la tua strada, con un discorso che in qualche modo, adesso ,mi aveva catturato.

-Dicevo...superficialmente siamo tutti uguali, però poi ognuno è fatto a modo suo. Per questo non tutti stanno bene con tutti. Due persone, per stare bene insieme, devono incastrarsi nel modo giusto, come le tessere di un milk puzzle. E non è certo facile, trovare l’incastro giusto: ci vuole un sacco di tempo, ci vogliono tanti tentativi, e bisogna stare attenti anche a non prendere il pezzo giusto guardandolo dal verso sbagliato. Questa è la cosa più difficile di tutte. Però quando trovi l’incastro giusto è bello, cioè...anche senza un disegno. Il bello è proprio riuscire a mettere ordine, a far stare bene tutti i pezzi, trovare il loro posto nel puzzle, ed anche il pezzo a cui farli combaciare. Secondo me, è una soddisfazione a prescindere.-

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Capitolo 6
*** RITORNO ALL'EPILOGO ***


RITORNO ALL’EPILOGO

Novembre 2014

Ci risentimmo, dopo quel litigio. Ti dissi che mi dispiaceva, tu rispondesti con un’altra domanda: “dovevi proprio farmi anche questo?”. Sputasti fuori tutto con quella tua voce un po’ stridula, incrinata dai singhiozzi. Mi dicesti che avevo avuto cinque anni per accorgermi dei tuoi sentimenti, e che avresti preferito litigare e basta, che non sentirti ricambiata proprio quando non potevi farci più niente, perché ci saremmo allontanati giocoforza. Mi chiedesti di non cercarti per un po’, perché eri stanca di stare male. Qualsiasi cosa avessimo fatto, adesso, sarebbe stata solo una tortura inutile. Come al solito dimostrai la mia immaturità attaccandoti il telefono in faccia. Ci ripenso, e mi meraviglio di quanti anni siano passati, prima che realizzassi le tue ragioni. Avevi ragione tu, come al solito. Amici non lo saremmo stati mai più, e una storia a distanza sarebbe naufragata. Avremmo solo rovinato anche i bei ricordi che ci rimanevano, se non li avevo già distrutti io con quella scenata idiota.

Stringo il volante e finalmente, sulla scia delle ultime note e di qualche clacson, riparto lentamente. Senza fretta e senza più alcuna rabbia. Ci vuole pazienza, ci vuole tempo. Saprò aspettare, come mi hai insegnato tu, di trovare il mio posto nel puzzle. La prossima volta che ci vedremo, sento che finalmente troveremo quell’incastro speciale. Vorrei ripromettermi di non lasciarti mai più scappare, ma il cuore mi dice che non ce ne sarà alcun bisogno. Succederà e basta. Il puzzle sarà completo, e non ci sarà bisogno di nessun disegno. Il nostro incastro sarà perfetto e splendido per se stesso, come se tutto avesse un senso in funzione di noi due, di due tessere al centro di un universo che sbiadirà attorno a noi, diventando un enorme puzzle tutto bianco.

Cosa mi aveva scritto Marco su facebook, l’altro giorno? “Ci vorrebbe proprio una rimpatriata”?

 

E saremo quel che tutti cercano

Quell'amore che i cantanti cantano

Tanto forte, potente, immenso che

Sembra esagerato e irrealizzabile

E che il petto fa quasi esplodere

Senza il quale non si può più vivere

Che potrebbe scomparire l'Universo tranne noi *

 

 

 

 

*(Max Pezzali - L’universo tranne noi)

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