Il paradiso può attendere di Maty66 e ChiaraBJ

di Maty66
(/viewuser.php?uid=452340)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sull'orlo del baratro ***
Capitolo 2: *** Ben? ***
Capitolo 3: *** La lista di Ben ***
Capitolo 4: *** La principessa e l'impavido Adam ***
Capitolo 5: *** Canzoni sprecate e pietre preziose ***
Capitolo 6: *** Padri, figli e guai ***
Capitolo 7: *** Fidarsi é Ben non fidarsi é meglio ***
Capitolo 8: *** La vendetta di Ben ***
Capitolo 9: *** Chi Ben comincia è alla metà dell'opera ***
Capitolo 10: *** Strigliate... celestiali ***
Capitolo 11: *** Dove sei Ben? ***
Capitolo 12: *** Ben... tornato! ***
Capitolo 13: *** Ritorno al... passato ***
Capitolo 14: *** Fidati di me!! ***
Capitolo 15: *** Rimpianti e nostalgia ***
Capitolo 16: *** REFERENDUM!!!! ***
Capitolo 17: *** Dirsi addio ***
Capitolo 18: *** Qualunque cosa accada un giorno noi ci incontreremo di nuovo ***
Capitolo 19: *** E ricominceremo esattamente da dove ci siamo lasciati ***



Capitolo 1
*** Sull'orlo del baratro ***





Image and video hosting by TinyPic



CAPITOLO 1
 
Sull'orlo del baratro

  
“E’ mai possibile che non ci sia una volta, una volta sola, che tu sia puntuale la mattina?”  sbottò Semir mentre il suo giovane partner entrava in macchina sbadigliando vistosamente.
“Non ho sentito la sveglia, mi spiace…” si giustificò Ben, con la stessa scusa che usava ogni mattina.
“Inizio seriamente a pensare che tu abbia problemi di udito. Se con una non funziona, mettine due o anche tre di sveglie. Magari corredate da  altoparlanti, oppure procurati  un meccanismo che ribalta il letto” Semir si finse arrabbiato,  ma in realtà gli veniva da sorridere nel guardare il suo giovane amico con i capelli tutti scompigliati  e  gli occhi cisposi. Sembrava un cagnolino appena uscito dalla cuccia.
“Ma come fai ad essere sempre così fresco e pimpante a tutte le ore? Sono solo le sette e mezza…” borbottò Ben continuando a sbadigliare.
“Dieta sana, vado a letto presto, frequento una sola donna, ovvero mia  moglie” rispose sorridendo il socio più anziano.
“Così facendo camperai cento anni, ma saranno cento anni di noia… io invece preferisco sparare  tutte le mie cartucce subito, anche se dovesse durare poco… in fondo si vive e si muore una volta sola”
 
 
Il  suono stridulo della sveglia  riportò di colpo Semir alla realtà.
Aveva sognato.
Come  ogni giorno alla stessa ora, poco prima che suonasse la sveglia, lo aveva sognato.
A tentoni, con gli occhi gonfi per le pochissime ore di sonno che  era riuscito a concedersi, Semir Gerkan spense la sveglia, quella sveglia che il suo migliore amico quasi sempre non sentiva.
Erano ormai passati quasi otto mesi da quando era successo e il dolore, come ogni mattina, era sempre lì.
Freddo, tagliente, implacabile, come il senso di colpa che lo stava divorando come un cancro.
Pensò a quanto fosse falso e stupido il detto secondo cui il tempo lenisce ogni ferita.
La sua ferita era sempre aperta, e gli faceva male sempre di più, come se qualcuno si divertisse a buttarci del sale ogni singolo giorno da quando era successo.
Stancamente buttò le gambe fuori dal letto e scansando i vestiti, le lattine di birra e gli scatoloni della pizza che giacevano sul pavimento, si avviò verso il bagno.
In altri tempi non avrebbe tollerato vivere un solo giorno in quelle condizioni, in quel porcile in cui ormai era ridotta la sua casa.
Ma ora era tutto diverso, lui era diverso.
Metteva in ordine solo quando dovevano venire da lui le bambine.
Per il resto lasciava andare tutto in malora.
Il giardino era ormai una specie di foresta di erbacce, la piccola piscina vuota e sporca, non  comprava vestiario da mesi e mesi, a stento lavava  gli abiti che usava per andare in ufficio, che ormai apparivano logori e stinti.
Nulla non aveva più nulla.
La sospensione dal servizio era stata revocata solo in parte e solo grazie ai buoni auspici della Kruger aveva ripreso il lavoro in ufficio, relegato ad una scrivania a compilare le contravvenzioni e a segnalare i mancati pagamenti o a registrare la decurtazione dei punti dalla patente per gli automobilisti indisciplinati.
Ma almeno così aveva uno stipendio.
Stipendio che versava quasi tutto ad Andrea per gli alimenti delle bambine.
Sua moglie l’aveva lasciato e si era trasferita a casa dei genitori, lui poteva vedere le sue figlie solo due week end al mese.
E Aida iniziava a dare seri problemi.
La sua magnifica bambina, l’intelligente, disciplinata Aida si era trasformata in una specie di teppistella, sempre pronta a fare a botte con i compagni, maschi o femmine che fossero.
Mentiva alla madre, usciva di nascosto e Andrea l’aveva anche sorpresa a fumare.
Quando veniva da lui passava tutto il tempo nella sua stanza con l’iPod nelle orecchie, senza badare minimamente alla sorellina che invece piangeva imperterrita per tutta la giornata chiamando la madre.
Stanco Semir si  guardò nello specchio del bagno.
Ciocche di capelli grigi erano apparse qua e là sui capelli e sulla barba.
Per un attimo sorrise fra sé e sé pensando a quanto lo sfotteva Ben sul punto.
Dopo la rapida doccia entrò in quella che lui si ostinava a definire cucina, ma che in realtà somiglia molto di più ad una discarica.
Con difficoltà cercò una tazza pulita e si preparò il caffè.
Mentre aspettava che fosse pronto diede un’occhiata alla casetta della posta.
Cartacce e bollette. Ed una missiva con l’intestazione dello studio dello psicologo della polizia.
Già immaginandone il contenuto Semir aprì la lettera.
 
Egregio ispettore Gerkan,
Siamo spiacenti di doverle comunicare che in base ai risultati delle visite e dell’ultimo test psicologico cui è stato sottoposto, non è stato ritenuto in grado  di riprendere il servizio di pattuglia armato.
La invitiamo pertanto a continuare la terapia che le è stata prescritta.
La prossima verifica, per aderire alle insistenti richieste del suo superiore, Commissario Kim Kruger, è stata fissata fra due mesi.
Distinti saluti.
F.to Dottor  Klein
 
Semir chiuse  il foglio senza sorpresa.
Se lo aspettava.
Era finito in un vortice da cui non sapeva proprio come uscire.
Il suono del cellulare lo fece sobbalzare.
“Andrea, buongiorno” Semir salutò con finta enfasi la  sua quasi ex moglie.
“Ti ricordi che stamattina abbiamo il colloquio con la preside della scuola di Aida? Rischia la sospensione” disse la donna dall’altro lato della linea, senza rispondere al saluto.
“Sì certo, alle nove”
“Alle otto e mezza, quindi sbrigati… e poi le devi parlare seriamente” intimò Andrea.
“Lo farò sabato quando vengono da me” rispose il marito.
“A questo proposito volevo dirti… questa settimana le bambine non possono venire, andiamo in Austria per il week end”
Semir diventò furibondo.
“Maledizione Andrea è il secondo week end che saltano. Non le vedo da più di un mese. E  poi che significa andiamo? Con chi vai? Con quel Robert?” urlò nel telefono.
“Con chi vado o non vado non sono più affari che ti riguardano, Semir. E poi che vuoi fare? Privare le bambine di un fine settimana di vacanza in Austria per stare con te in quel porcile? Chiuse in casa tutto il giorno? Vuol dire che verranno da te il prossimo week end”
Semir non ebbe il coraggio di replicare.
In fondo Andrea aveva ragione, le sue figlie non avevano piacere a stare con lui.
 
Semir arrivò alla scuola di Aida e parcheggiò la sua BMW nel primo spazio libero.
Era in netto ritardo e si avviò correndo verso lo studio  della preside.
Il percorso negli ultimi mesi era diventato familiare, tante ne aveva combinate la ragazzina.
La segretaria lo fece entrare e subito si beccò lo sguardo di rimprovero di Andrea che era già seduta.
“Si accomodi signor Gerkan” fece la preside, una donna sulla sessantina, dall’aria bonaria.
“Come stavo dicendo a sua moglie, Aida mi preoccupa moltissimo. Quest’ultimo episodio, per quanto grave, è solo uno dei tanti sintomi del malessere della ragazzina”
Aida aveva rotto il naso ad uno dei suoi compagni.
“Mi rendo conto signora preside, ma si è sentita punta nel vivo,  il bambino l’aveva chiamata mezza turca” provò a giustificare il padre.
“E le sembra una ragione sufficiente per rompere il setto nasale ad un compagno? C’è di più sotto il comportamento della bambina, e questo lo sappiamo tutti” rispose con calma la preside.
“Aida ha subito una perdita molto dolorosa per lei, il suo zio preferito, poi la separazione  di noi genitori, il trasloco in una nuova casa…” intervenne Andrea.
“Certo, per questo vi suggerisco un’adeguata terapia psicologica di supporto”
Semir sbottò furioso.
“Mia figlia non ha bisogno di nessuna terapia psicologica. Ha solo bisogno di stabilità familiare” fece guardando ostentatamente sua moglie.
La preside  non disse nulla.
“Signori Gerkan, per il bene delle vostre figlie vi suggerisco di affrontare più serenamente la vostra separazione. Per ora, viste le circostanze, non intendo sospendere Aida. Ma la prossima volta rischia non solo la sospensione, ma l’espulsione dall’istituto. Ora andate da lei, vi sta aspettando fuori”
Andrea e Semir si alzarono e mesti uscirono dall’ufficio.
Poco fuori c’era Aida seduta su di una panca.
“Posso parlare con lei da solo?” chiese con aria ostile Semir.
“Prego fai pure. Aida ci vediamo a casa. Parliamo dopo scuola” rispose Andrea uscendo dalla stanza.
Semir si sedette accanto alla figlia, che lo guardò con i suoi grandi occhi scuri.
“Allora signorina… vuoi dirmi cosa c’è che non va?”
“Nulla” rispose lei laconica.
“Ti pare nulla aver quasi rotto il naso ad un tuo compagno?”
“Mi aveva offesa. Mi aveva chiamata mezza turca. Ed io non sono turca” rispose la bambina acida.
“A parte il fatto che lo sei, almeno per un quarto, ma devi imparare a non reagire alle provocazioni. Devi restare calma”
La ragazzina non rispose, limitandosi a rimestare nervosa nella tasca.
Semir ebbe subito un sospetto.
“Aida mi fai vedere cosa hai in tasca?”
La bambina lo guardò torva.
“Aida fammi vedere subito cosa hai nella tasca” intimò il padre.
E così la bambina tirò fuori il pacchetto.
“Sigarette!! Di nuovo!! Chi te le ha date? Adam???”
Adam era il nuovo amico di Aida, un ragazzino che subito aveva attirato le antipatie  di Semir, convinto che fosse lui l’istigatore all’origine di tutti i guai della  figlia.
Aida non rispose, ma continuò a guardare il padre con aria di sfida.
“Non voglio che lo frequenti più, ci siamo capiti? E’ un ragazzino pericoloso, un mezzo furfante…” urlò il padre mentre tutte le segretarie si voltavano.
“Io frequento chi mi pare. Tu non ci sei mai, non puoi dire quali amici devo avere!!” sbottò la bambina.
“Tu hai solo undici anni, non puoi avere delle sigarette e farai quello che ti dicono i tuoi genitori” urlò di nuovo Semir.
“Te lo scordi” ribatté saccente la ragazzina.
Semir vide rosso. Non voleva farlo, ma prima di rendersene conto aveva già mollato uno schiaffo alla figlia.
Aida lo guardò con le lacrime agli occhi.
“Se almeno ci fosse zio Ben… lui sì che mi capirebbe” urlò disperata.
“Mi dispiace non c’è, non c’è più” balbettò Semir, accasciandosi sulla panca.
“Sì, ed è tutta colpa tua” urlò la figlia, precipitandosi fuori dalla stanza.
La frase colpì Semir come una coltellata.
Rimase intontito ed ansimante sulla panca, cercando di non scoppiare a piangere davanti a tutte quelle persone.
 
 
Semir arrivò al Distretto e parcheggiò nel nuovo posto che gli era stato assegnato.
Non essendo più in servizio attivo di pattuglia teoricamente non gli sarebbe spettata neppure l’auto di servizio, ma la Kruger aveva chiuso un occhio sul punto.
In effetti il  Commissario si era dimostrato, insieme a Max e agli altri colleghi, una dei pochi alleati  in quei mesi.
Entrò in ufficio e si sedette triste ad una delle piccole scrivanie nell’ampio ufficio che condivideva con altri sei colleghi, tutti pivellini addetti al servizio interno.
Si sentiva come un ripetente in una classe scolastica.
Susanne lo salutò con simpatia sorridendo mentre si avvicinava.
Probabilmente sia lei che tutti gli altri sapevano del risultato del test psicologico.
“Semir è appena passato l’ufficiale giudiziario per notificarti questa” disse porgendogli una busta.
Semir la prese con aria stanca. Probabilmente era la fissazione della udienza di separazione, come gli aveva anticipato Andrea.
Ormai  lei frequentava un altro, un tipo spocchioso e benestante, un tale Robert. L’unica fortuna era che almeno a quanto riferivano era gentile con le bambine.
Ma appena aperta Semir ebbe un colpo al cuore.
Non era la preannunciata richiesta di separazione, era la richiesta della banca di rientrare dal mutuo concesso per l’acquisto della casa.
Cinquantamila euro da trovare entro tre mesi.
L’ultima vendetta di Konrad Jager che aveva anticipato la somma alla banca.
 
Come in trance Semir rientrò a casa alla fine del turno.
Era talmente intontito da non riuscire neppure a pensare.
Prese la bottiglia del whiskey dalla credenza e se ne versò una dose generosa.
Non c’era una sola ragione di felicità ormai nella sua vita.
Non aveva più nulla, nulla; non aveva più una moglie, aveva perso l’affetto di una figlia e l’altra stava diventando un’estranea, presto non avrebbe avuto più neppure una casa.
E non sarebbe mai più riuscito a riavere il lavoro che gli piaceva, o meglio con tutta probabilità non sarebbe mai più stato in grado di farlo.
E non aveva nessuno a cui confidare le sue pene, non aveva più il suo migliore amico.
Con la mano tremante, mentre beveva il liquido giallastro ormai compagno abituale delle sue notti solitarie, prese la lettera dal taschino.
La portava sempre con sé.
Con la mano tremante e la vista offuscata ne lesse e rilesse alcuni passi.
Caro Semir…
Ripensando ai mesi passati non so neppure spiegarmi bene cosa sia successo.
Perché abbiamo ceduto a Kalvus? Perché  gli abbiamo consentito di portarci via una cosa importante?
MI spiace sai… non dovevo mentirti, ma per una volta, una volta sola, volevo essere io a proteggere te.
Anche a costo di non capire che così facendo potevo mettere in pericolo la nostra amicizia…
In fondo siamo come marito e moglie: amici nella buona e nella cattiva sorte…
Perché in fondo al mio cuore una cosa mi è chiara: anche se non dovessi sentirtelo dire mai più, io so che tu mi vuoi bene, esattamente come io ne voglio a te. 
Potremo litigare, picchiarci, farci delle ripicche come in questi mesi, ma questo non cambierà mai.
Alla fine ci spero davvero: io non chiederò scusa a te e tu non ne chiederai a me, mai. Perché noi siamo veri amici e quindi, come diceva mia nonna, siamo capaci di riprendere esattamente da dove  ci siamo lasciati.
Tuo Ben
 
Quanto avrebbe voluto  che quelle cose che  Ben aveva scritto nella lettera si fossero avverate davvero.
Ma non ci sarebbero state mai più.
Non avrebbe mai più rivisto il ragazzo.
Sua moglie aveva un altro. Le sue figlie lo odiavano. Faceva un lavoro che odiava.
Ed era solo colpa sua.
Perché, caro Semir, si disse, sei tu che l’hai ucciso, che hai ucciso il tuo migliore amico e hai dato inizio a tutto questo.
Bevve un altro sorso  di whiskey direttamente dalla bottiglia e mezzo offuscato dall’alcool  non la poggiò bene  sul tavolo.  Il liquido ambrato si sparse tutto sul foglio.
“No no no” fece Semir, troppo  brillo per reagire prontamente.
Non gli restò che stare a guardare  le  righe che lentamente sbiadivano diventando incomprensibili.
Aveva perso anche l’ultimo ricordo.
 
Senza pensare, con i piedi che lo trascinavano avanti, senza che li comandasse realmente, Semir si ritrovò a camminane lungo il ponte sul Reno.
Camminò e camminò lungo il passaggio pedonale e poi si fermò sul punto più alto.
Si sporse a guardare l’acqua del fiume che scorreva impetuosa sotto i pilastri.
Era così invitante.
Un attimo e tutto poteva finire.
Tutto il dolore, l‘angoscia, il senso di colpa, tutto finito.
Forse poteva addirittura rivedere Ben, se l’Essere Supremo avesse avuto pietà di un suicida.
Lentamente, salì sulla balaustra e si sedette, guardando sempre il fiume sotto di lui.
Un attimo, bastava sporgersi un po’, un attimo e tutto sarebbe finito.
L’acqua di sotto sembrava chiamarlo invitante.
E Semir si sporse, si sporse sempre più.
 
“Ecco questa sarebbe veramente una cosa da vigliacchi”  disse una voce familiare  alle sue spalle.
 
 
Note delle autrici:
Iniziato per gioco nelle recensioni, alla fine di ogni capitolo proporremo l’Angolino musicale, a cura esclusiva di Chiara, ovvero una canzone il cui testo possa in qualche modo richiamare il capitolo e possa essere ascoltata anche come sottofondo; detto ciò la canzone che abbiamo scelto per questo primo capitolo è triste e tragica: Metallica - Fade To Black (Sfumare Nel Nero)
Per ascoltarla 
http://www.facebook.com/l.php?u=http%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DWEQnzs8wl6E&h=mAQGaaJq0

Sembra che la vita si sfumi andando alla deriva ogni giorno di più perdendosi dentro di me e non importa nulla a nessun'altro, ho perso la voglia di vivere semplicemente, non ho più niente da dare non c'è più niente per me, ho bisogno della fine per liberarmi, le cose non sono più come prima, manca qualcosa dentro di me terribilmente perso, non può essere vero, non riesco a sopportare il male che sento, il vuoto mi riempie fino all'angoscia cresce il buio che porta l'alba ero io, ma ora me ne sono andato, nessuno può salvarmi tranne me stesso, ma è troppo tardi ora non riesco neanche a pensare, pensare perché avrei dovuto almeno tentare sembra che il passato non sia nemmeno esistito la Morte mi saluta calorosamente ed ora non mi resta altro che dire addio
 
P.S.  Sì, avevamo promesso una storia non triste. E lo sarà dal prossimo capitolo. E ci sarà anche azione. Dopotutto è una storia "Cobra 11"
P.P.S. Titolo e copertina, anche se modificati, sono stati rubacchiati dall'omonimo film.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ben? ***


Image and video hosting by TinyPic"
 
 
CAPITOLO 2
 BEN?
 
“Ecco questa sarebbe veramente una cosa da vigliacchi”
Semir riconobbe immediatamente la voce alle sue spalle e pensò  che quella, in fondo, era la sua punizione finale.
Risentire negli ultimi istanti la sua voce.
Istintivamente si girò, ma non vide nessuno ad eccezione dei pochi passanti che a quell’ora percorrevano il ponte. E che iniziavano a guardarlo in modo strano.
Allucinazione, aveva avuto un’allucinazione.
Doveva decidersi prima che qualcuno, colto da qualche impulso altruista, si decidesse a fermarlo.
Semir riprese a guardare in basso verso il fiume.
“Forza ci vuole solo un attimo…” pensò sporgendosi sempre più.
“Certo che l’acqua deve essere freddissima… e poi è zozza. Una volta ho visto passare una mucca intera a gambe all’aria” fece di nuovo la voce, questa volta di fianco a lui.
Stavolta Semir non poté trattenere un urlo.
Non poteva essere, non era possibile.
“E ci sono pure un sacco di topi…nuotano bene con quelle loro zampettine piccole, ti becchi di sicuro la leptospirosi perché ti morderanno con quei loro dentini piccoli ed aguzzi. E tu hai paura dei topi…” continuò la voce, con il tono scanzonato che Semir conosceva bene.
Semir chiuse gli occhi mentre si girava.
“E’ un’allucinazione, solo un’allucinazione…” pensò mentre si girava verso il lato da cui proveniva la voce.
Aprì gli occhi e lui era lì.
Semir sentì di non riuscire a respirare.
Chiuse e riaprì gli occhi e lui era ancora lì.
Era proprio lì, seduto accanto a lui,  vestito come al solito, con il giaccone di pelle ed i jeans, i capelli castani scompigliati e quello sguardo dolce e scanzonato al tempo stesso. Aveva perfino la chitarra a tracolla e la pistola nella fondina.
Era lui, indubitabilmente lui.
Stavolta Semir lanciò un urlo di terrore.
“Tu… tu… non puoi essere qui… tu sei … tu sei…” balbettò.
“Sì, lo so anche io cosa sono, non c’è bisogno che me lo ricordi, grazie” disse Ben con aria spazientita.
 
Semir provò più volte a chiudere ed riaprire gli occhi, ma l’immagine davanti a lui non spariva.
“Pazzo, sono diventato pazzo” pensò mentre scendeva dalla balaustra e prendeva ad agitarsi come punto da una tarantola.
“Se non la smetti ti prenderanno per pazzo” fece Ben comparendogli come per magia a fianco.
Semir lanciò un altro urlo di terrore.
Fermò un’anziana signora che  gli veniva incontro, camminando lenta poggiandosi sul suo bastone.
“Signora… signora mi scusi… lo vede anche lei vero?” chiese con voce isterica.
“Chi dovrei vedere giovanotto?” chiese la donna guardandolo stupita.
“Il giovane che è accanto a me, alto,  con i capelli castani… con una chitarra a tracolla…” balbettò Semir.
“Giovanotto lei ha bevuto troppo. Puzza come una fogna. Si vergogni!!! Torni  a casa e si vergogni!!! L’alcool sarà la rovina della nostra gioventù!!!” fece stizzita la signora allontanandosi.
“Hihihi, gioventù… certo che riferito a te. Però è vero che puzzi. Ma quanto hai bevuto?” ridacchiòBen.
Semir non lo stette a sentire e fermò un altro passante, un uomo sulla cinquantina.
“Lo vede? Lo vede vero?” chiese ancora.
“Amico, certo che devi aver avuto una brutta giornata… devi usare roba migliore, se vuoi ti do il numero del mio fornitore…” fece quello ridacchiando.
“Semir… non so se te ne sei reso conto… ma puoi vedermi e sentirmi solo tu” bisbigliò Ben con aria complice.
“Non è possibile, tu non puoi essere qui… sei un’allucinazione… ed io sono diventato pazzo!!!” urlò Semir.
Poi ansimando come un mantice allungò il braccio verso la figura davanti a lui per cercare di toccarlo, ma la mano la trapassò come se fosse aria.
“Semir…  ma allora sei proprio tonto. Non puoi toccarmi, sono diciamo una specie di fantasma. Anche  se forse le definizione non è proprio esatta” fece Ben sorridendo.
Il piccolo turco sentì le gambe che iniziavano a cedere e la testa girare vorticosamente.
Pazzo, era diventato pazzo.
Terrorizzato si voltò e si mise a correre più veloce che poteva.
“Semir, ma dove vai? Aspetta!!!” fece la voce alle sue spalle.
 
Semir guidò a velocità folle verso casa, incurante di tutti i semafori e le precedenze. Per fortuna era quasi notte fonda, altrimenti avrebbe provocato chissà quanti incidenti.
Pazzo, era diventato pazzo. Eppure lo psichiatra  da cui era andato in tutti quei mesi non si era accorto di nulla. Incompetente.
Arrivato alla piccola villetta Semir scese di corsa dall’auto ed entrando in casa chiuse la porta a doppia mandata.
“Calma, è stata  solo un’allucinazione ed ora è passata…” si disse guardandosi intorno senza vedere nulla di strano.
“Calmati, calmati, è stata solo un’allucinazione…” si ripeté come un mantra mentre si sedeva sul divano.
Cercò di calmare il respiro.
“Ehhh, ma che è sto’ porcile?” fece di nuovo la voce.
Semir cacciò un altro urlo mentre si girava e vedeva Ben che si aggirava nel soggiorno con aria disgustata.
“E pensare che dicevi che io ero disordinato” continuò  il giovane.
Ormai il piccolo turco era incapace di qualsiasi reazione. Stava lì immobile a guardare a bocca aperta.
“Dovresti pulire… e poi c’è una puzza tremenda, apri le finestre… Semir, ma mi stai a sentire?” continuò Ben come se nulla fosse, con la massima naturalezza.
Semir ansimava come un mantice ed era tutto sudato.
“E’ un’allucinazione, ora sparisce, se la ignori sparisce” pensò.
Fulmineo si alzò dal divano ed andò a chiudersi in bagno.
“Schizofrenia” si disse mentre si bagnava il viso con l’acqua gelida.
“Forse ho solo bevuto troppo” pensò ancora, giusto  per concedersi una piccola speranza di non aver perso completamente la ragione.
“Una doccia ecco cosa ci vuole”  disse fra sé e sé mentre si spogliava ed apriva la tenda della doccia.
“Ma la smetti di correre di qua e di là? Credi che sia venuto qui per giocare a rimpiattino?” disse il giovane, poggiato con le braccia conserte contro il muro della doccia.
Per lo spavento Semir indietreggiò, scivolò e finì a gambe all’aria.
“Fatto male? No? La doccia è una buona idea… ti aspetto fuori. Ma prima copriti che così non sei un bello spettacolo, almeno per me” disse Ben  sorridendo, subito prima di sparire.
Semir rimase a bocca aperta a fissare il muro dove fino a poco prima era poggiato il giovane.
 
Semir aprì la porta piano piano, sbirciando fuori.
Aveva fatto una lunghissima doccia, cercando di convincersi che l’allucinazione era sparita con i postumi della sbronza.
Guardò a destra e sinistra prima di sgattaiolare fuori dal bagno ed entrare nella stanza da letto per vestirsi.
“Erano solo i postumi dell’alcool,  è finita non c’è nessuno qui. E tu non sei pazzo”  si disse.
In casa  regnava il silenzio assoluto e Semir iniziò a sentire i morsi della fame.
Furtivo, come per non farsi vedere da nessuno scese le scale ed entrò nella cucina.
“Ehi, ma questo frigorifero è un deserto!” disse Ben   mentre sbirciava all’interno.
Semir stavolta non urlò.
Ormai non  aveva più dubbi.
Era diventato pazzo.
 
“Guarda che anche se mi ignori, io non sparisco. Almeno potresti dirmi qualcosa… così giusto per essere gentile. Dopotutto non ci vediamo da un sacco di tempo”
Ben continuava a parlare e parlare, seduto sulla poltrona accanto al letto, anche se Semir fingeva di ignorarlo.
Lo aveva seguito dappertutto, anche nella stanza da letto dove Semir si era steso nel vano tentativo di prendere sonno e far finire  quell’incubo.
“E non credere che a me faccia tanto piacere stare qui. Dopo tutti quei mesi di addestramento, mi avevano promesso un altro ufficio ed invece mi sono ritrovato nel dipartimento “ agenti di polizia e dipendenti dello stato”. E sotto il comando di Otto poi…”
Semir  non poté fare a meno di sobbalzare.
Ecco ora il fantasma si metteva anche a parlare di altri amici morti… Otto.
“Semirrrr mi parli per favore?” fece con voce lamentosa Ben.
“E va bene… vuol dire che riprenderemo il discorso domani mattina”
Semir si voltò e lui era sparito.
 

Si svegliò che erano le dieci passate. Per fortuna era sabato ed era libero dal servizio.
Per la prima volta da quasi un anno aveva dormito profondamente, anche se aveva fatto quel sogno terribile.
Semir  buttò le gambe fuori dal letto e si stiracchiò.
Con l’animo pesante pensò agli avvenimenti del giorno prima.
Era tutto avvolto nella nebbia… davvero era stato su quel ponte? Davvero aveva pensato di buttarsi giù?
Pensò a tutto il dolore provato in quei momenti, la paura, il terrore di dover affrontare il futuro .
E poi lui…
Certo che era stato un sogno bizzarro.
“E’ solo il tuo subconscio, il senso di colpa che come al solito viene a galla” si disse Semir.
Ancora frastornato si alzò pensando che qualsiasi cosa fosse successa, qualsiasi sogno potesse aver fatto tutti i suoi problemi erano ancora lì.
Trascinando i piedi scese le scale ed entrò in cucina.
Con difficoltà recuperò  il barattolo del caffè e poi caricò la macchina.
Mentre si versava il liquido fumante nell’unica tazza pulita che era riuscito a trovare sobbalzò di nuovo.
“Ecco quello che mi manca di più… il caffè… cosa darei per poterne bere un po’” disse la voce alla sue spalle.
 
“No, no, non di nuovo” balbettò Semir mentre la tazza cadeva in terra andando in frantumi.
“Ehi! Ma che combini… tutto quel buon caffè sprecato…” disse Ben guardando quasi triste la macchia scura che si allargava sul pavimento.
“B… basta… ti prego v…vai via…” balbettò Semir quasi con le lacrime agli occhi.
“Bene, facciamo progressi, almeno mi rivolgi la parola” rispose lui.
“Che c... cosa vuoi…” chiese Semir con gli occhi sbarrati. Stava parlando ad un fantasma.
“Io da te nulla. Me lo devi dire tu cosa vuoi da me…” rispose con aria sicura Ben.
Semir lo guardò e cercò di concentrarsi.
Pareva così reale.
Era esattamente come se lo ricordava, lo stesso sguardo, le stesse movenze.
Il cuore gli si strinse nella morsa della nostalgia. Quanto gli mancava, ma quello davanti a lui non era Ben, non poteva esserlo.
“Tu non esisti, non sei reale,  sei solo un’allucinazione. Ed io ho bisogno d’aiuto” disse mentre saliva le scale.
 
“Allora ispettore Gerkan… cosa c’è di così urgente  che non poteva aspettare lunedì?” chiese il dottor Klein, lo psichiatra della polizia da cui Semir andava almeno una volta a settimana da quasi un anno ormai.
Semir cercava di non fare caso a Ben che si aggirava per lo studio medico, toccando tutto come un bambino curioso ed indisciplinato.
Ovviamente il dottor Klein si comportava normalmente segno che quindi non lo vedeva.
“Dottore… è possibile che… una grave malattia… sorga così… senza preavviso…” balbettò imbarazzato il piccolo turco.
“Intende una malattia psichiatrica? No di solito no, ci sono sempre delle avvisaglie… c’è qualcosa che non va ispettore?” chiese il medico con sguardo indagatore.
“Se gli dici che mi vedi mi sa che finisci dritto dritto in manicomio” disse Ben mentre toccava una statuetta sulla scrivania del medico e la faceva cadere.
“Figo eh? Ci ho messo più di un mese ad imparare a spostare le cose…” disse soddisfatto.
Il dotto Klein sobbalzò quando la statuetta cadde.
“Ma che…” bisbigliò mentre la rimetteva in piedi.
“Allora signor Gerkan… dicevamo… c’è qualcosa che la turba?” chiese il medico mentre si grattava dietro l’orecchio.
Ben ridacchiava, mentre  faceva al medico il sollecito soffiandogli dietro il collo.
“No, è che….”  cercò di rispondere Semir, ma la sua attenzione era catturata dalla figura del giovane che continuava a soffiare, dispettoso, sul collo del medico, e da questi che continuava a grattarsi infastidito.
“La vuoi smettere?” fece Semir all’improvviso quasi d’impulso.
Il dottor Klein lo guardò perplesso.
“Cosa?” disse.
“No nulla scusi…  volevo solo sapere se era possibile che qualcuno sviluppi una malattia così, senza nessun preavviso…” Semir riprese il discorso cercando di concentrarsi.
“Questo qui è più scemo del dottor Markwart, anche lui dice che devi fare ‘fluommmmmm’?”   fece imperterrito Ben .
“Vuoi stare un po’ zitto?” sbottò di nuovo Semir, sempre d’impulso.
Era incredibile si stava rivolgendo ad un fantasma.
Il dottor Klein guardò Semir con preoccupazione.
“Ispettore Gerkan, come le ho detto già in altre occasioni lei ha una situazione psicologica molto delicata in questo momento. Se  ha qualche problema dovremmo parlarne, in tutta sincerità”
“Sì, e così finisci in manicomio. Le camicie di forza non sono il massimo della comodità, sai. E dai Semir, tu non sei pazzo, se mi stai a sentire un momento…” fece Ben mentre girava come una trottola sul seggiolino girevole accanto al tavolo medico.
Il dottor Klein guardò perplesso il seggiolino che si  muoveva da solo, ma non disse nulla.
“No, in effetti non c’è nulla che non vada. Ci vediamo la settimana prossima” fece Semir alzandosi di botto.
Effettivamente non ci avrebbe guadagnato nulla se finiva in manicomio.
 
“Ti decidi a dirmi qualcosa?” fece Ben con voce sempre più spazientita.
Semir guardava ostinatamente  la strada avanti a sé cercando di non fare caso  a Ben che parlava  in continuazione seduto a fianco a lui in auto.
Cercando di distrarsi Semir accese la radio e cercò  una musica che lo rilassasse.
“Che schifo… ma sei ancora fissato con Michael Bublè?” fece Ben  mentre le note di ‘Home’ si diffondevano dolci nell’auto.
Dopo tre minuti Ben era sempre più agitato.
“Basta non ce la faccio più” disse mentre cambiava stazione.
Le note di ‘Rockstar’ dei Nickelback invasero l’abitacolo mentre Ben iniziava ad agitarsi sul sedile a tempo di musica.
A Semir si strinse il cuore… gli era così familiare quella scena, ma non era vera. Non poteva essere vera.
 
“Ragiona Semir, se fossi solo una tua allucinazione riuscirei a fare questo?” fece Ben cambiando di nuovo la stazione radio dopo che Semir aveva rimesso su Michael Bublè mentre erano fermi ad un semaforo.
“Oppure questo…” fece ancora mentre gli dava uno schiaffetto neppure tanto gentile dietro la nuca, facendolo quasi sbattere con la testa contro il volante.
“Basta, stai fermo!!!” urlò Semir; ancora una volta gli aveva parlato d’istinto.
Girando lo sguardo vide il bambino nell’auto affiancata alla BMW che lo guardava strano.
“Papà quel tizio parla da solo… “ lo sentì dire rivolto al padre che era alla guida.
“Stai buono Joseph, non lo guardare, può essere un pazzo ed i pazzi sono pericolosi…” rispose l’uomo.
 
Arrivati a casa senza che Ben l’avesse mollato un attimo o avesse per un attimo smesso di parlare Semir si arrese.
“E va bene… non sei un’allucinazione. Sei qui. Ma quello che è certo è che non dovresti essere qui. Perché sei… sei… beh, devi stare in un altro posto, questo è sicuro. Non devi stare qui. Quindi te ne devi andare” disse guardando verso di lui.
“Ohhh finalmente mi parli. Mi dispiace deluderti, anche io vorrei andarmene, ma non posso. Non posso perché ho una missione e se non la completo Otto non mi fa andare via”  rispose Ben.
“Se non vuoi andartene cercherò qualcuno che ti costringa” fece risoluto Semir mentre  consultava il suo tablet.

 
“Esci da questa casa… esci spirito inquieto. Torna da dove sei venuto…”
L’ometto era vestito in modo a dir poco bizzarro, con un grosso cappello luccicante di strass sulla testa, e si aggirava per la casa agitando un incensiere da cui usciva un fumo intenso.
Ben  se ne stava seduto sul divano del soggiorno e guardava il tizio buffo con aria disgustata.
“Esci da questa casa… torna nel tuo mondo…” continuava imperterrito l’ometto spargendo l’incenso.
Ben  iniziò a tossire in modo plateale, agitando le braccia per far finta di pulire l’aria.
“Che puzza. Già puzzava sto’ posto,  ci voleva pure l’esorcista… lo vuoi capire o no che non me ne posso andare?” fece con aria spazientita.
Semir stava lì a guardare l’esorcista che si dimenava come un pazzo inutilmente. Ora aveva preso un grosso pennacchio e lo agitava in  tutte le direzioni urlando “Vai via… via”
“Ma no… dove va… è lì sul divano” lo richiamò, mentre l’uomo si dirigeva verso la cucina.
“Questo al limite è buono a scacciare  le mosche” fece Ben mentre l’esorcista gli agitava il pennacchio davanti alla faccia.
“Via, vai via…” continuò l’ometto recitando una serie incomprensibile di frasi e numeri.
“Ecco il rito è terminato.  La sua casa ora non è più infestata. Sono cento euro, grazie” disse l’ometto mentre Ben si sbellicava dalle risate,  ancora seduto tranquillamente sul divano.
 
Tutta la domenica passò nel vano tentativo di Semir di far sloggiare il ‘fantasma’ da casa sua.
Prima arrivò il prete cattolico e poi fu il turno dell’iman musulmano. Tutto senza risultato.
“Mancano solo il rabbino e l’Hare Krishna. Sappi che il prete mi ha anche macchiato il giubbotto con l’acqua santa. E questi vestiti io me li devo tenere per l’eternità, mica mi posso cambiare. Tu piuttosto, perché non lavi un po’ la roba che hai addosso?” disse ironico Ben mentre si aggira tranquillo per l’appartamento.
“Ancora non l’hai capito?  Non me ne posso andareeee” continuò.
Semir accese la televisione nell’inutile tentativo di distrarsi dal chiacchiericcio continuo.
“Ok, guardiamoci un po’ di tv…” disse Ben sedendosi accanto a Semir sul divano.
Il piccolo turco fece un balzo indietro.
“Sinceramente Semir  mi sembri un po’ troppo nervoso” disse Ben.
Ma l’attenzione dell’uomo era tutta attratta da uno spot pubblicitario.
“La Maga Ofelia è un’eccezionale sensitiva. Se senti delle presenze inquietanti, se assisti a fenomeni di cui non sai spiegarti l’origine, rivolgiti con fiducia alla Maga Ofelia…” diceva una voce in sottofondo mentre sullo schermo passavano le immagini di una donna di mezza età, con l’aria mite della casalinga.
Semir balzò vicino alla scrivania per prendere un foglio e segnare il numero.
“Ecco ci mancava la maga casalinga” fece Ben  sospirando.
“Sento… sento… che c’è qualcuno, qualcuno  che le vuole molto bene… ma è un’anima tormentata.  Deve fare qualcosa… ma non sa cosa…”
Ben rimase per un attimo interdetto, forse questa tizia ci aveva azzeccato.
Ma poi la Maga Ofelia, una bella signora dall’aria tranquilla iniziò a guardare nel vuoto.
“Eccolo lo vedo è lì…” disse la donna guardando verso la finestra, mentre Ben le stava invece proprio dietro.
Semir sbuffò sconsolato. L’ennesimo buco nell’acqua.
“No, signora mi spiace… non ci siamo… quanto le devo per il disturbo?” chiese.
“Nulla caro, nulla, non si deve preoccupare. Mi spiace non poterla aiutare” fece la mite signora.
“Bene, l’accompagno alla porta”
Mentre Semir si avviava fuori Ofelia si bloccò e guardò  Ben  che stava poggiato allo stipite della porta diritto negli occhi.
“Ehi tu… sbrigati a fare ciò che devi fare, altrimenti il tuo amico va fuori di testa completamente” bisbigliò sottovoce, proprio come se lo vedesse.
Ben rimase di stucco. Stava per dire qualcosa, ma Ofelia era già uscita e stava salendo in taxi.
“Magari sapessi cosa devo fare…” disse piano a se stesso.
 

Angolo musicale: Visto che il nostro piccolo ispettore è “conteso” tra allucinazioni e sensi di colpa la scelta è:
Duran Duran “Ordinary World” (mondo ordinario) 

http://www.youtube.com/watch?v=dDLiVwpv89s
Sono rientrato da un giovedì piovoso  Sulla strada  Ho pensato di averti sentito parlare delicatamente Ho acceso le luci la televisione e la radio  Eppure non riesco a fuggire dal tuo fantasma  Cos’è successo a tutto? Incredibile, direbbero alcuni  Dov’è la vita che conosco? Se n’è andata  Ma non piangerò per ciò che è stato ieri  E mentre cerco di trovare la strada  Verso il mondo mediocre Imparerò a sopravvivere 
“L’orgoglio ci lacererà entrambi” Bene, ora l’orgoglio è uscito dalla finestra 
Mi ha lasciato nel vuoto del mio cuore Cosa mi sta succedendo? Incredibile, direbbero alcuni  Dov’è il mio amico quando ho più bisogno di te? 
Se n’è andato 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La lista di Ben ***


Image and video hosting by TinyPic

 
CAPITOLO 3
LA LISTA DI  ‘BEN’

 
 
“Sì, lo so anche io che le cose non procedono secondo quanto avevi previsto. Ma che ci posso  fare se non vuole neppure parlarmi? Mi spieghi come faccio a sapere cosa devo fare se non mi parla? La fai facile tu…”
Semir guardava come inebetito la scena surreale che aveva davanti. Lui stava parlando ad un cellulare. Un fantasma che parla al cellulare.
“Ti prego Otto… sì, ma come faccio… lo so che è il mio migliore amico, ma non mi vuole parlare lo stesso… No!!! Ti prego… Justin Bieber no!!! Questa è una minaccia  bella e buona…”
Lui  stava parlando  con Otto, che era morto tre anni prima. Un fantasma che parlava ad un altro fantasma; e con un cellulare.
“Certo che ho delle allucinazioni molto, molto fantasiose” si ritrovò a pensare Semir.
 Ben chiuse la telefonata con gesto stizzito.
“Senti ora la smetti di giocare a ‘ghostbusters’, ti siedi e mi parli, perché io a fare l’angelo di quel bamboccio di Bieber non ci voglio finire… ci siamo capiti?” gli disse puntandogli il dito addosso.
Semir si sedette spaventato.
Forse se assecondava le sue stesse manie, se dava soddisfazione al suo subconscio, l’allucinazione poteva sparire.
“Ok…” fece sedendosi.
“Bene… allora che devo fare? In cosa vuoi essere aiutato? Spara!” disse Ben saltellando da un piede all’altro come un bambino impaziente.
“Come sarebbe che devi fare? Non lo so che devi fare…” balbettò il piccolo turco.
“Come non lo sai? Sei tu che hai chiesto aiuto” La voce di Ben era leggermente isterica.
“Aiuto… in cosa mi devi aiutare… a vivere mi devi aiutare…” fece amaro Semir.
 
 
“Allora ho compilato una lista delle cose da fare. Bisogna essere sistematici in queste cose. L’organizzazione è metà del lavoro, come dice Otto”
Ben continuava ad agitarsi e a parlare e parlare incessantemente.
Semir non si trattenne.
“Senti… mi spieghi perché parli sempre di Otto? Non sarà mica…”
“Certo proprio lui e ne parlo perché è il mio caposettore. Può sembrarti impossibile, ma  è il mio capo, ha fatto carriera. E ti posso assicurare che è peggio della Kruger” ripose lui.
“E tu ora parli con Otto… con un cellulare…”
“Certo, la tecnologia è arrivata dappertutto, che credi”
Semir si limitò a guardarlo sbalordito.
“Ehi… ma mi senti? Non sembri molto reattivo sai? Comunque dicevo ho fatto una lista delle cose da fare. Primo: pulire questo schifo che c’è qua. Sinceramente Semir questo sembra un porcile, non una casa. Secondo: dobbiamo fare qualcosa per il tuo lavoro, mica vorrai restare sempre a fare l’impiegato che compila i verbali. Terzo: dobbiamo decisamente mettere le cose a posto con Andrea e le bambine…”
Semir lo interruppe.
“Come fai a sapere di Andrea e delle bambine? E del lavoro?”
 Ben lo guardò con aria spazientita.
“Andiamo bene… non so se hai capito da dove vengo…” fece puntando il dito verso l’alto.
“Sappiamo tutto, insomma quasi tutto, cioè in realtà sappiamo le cose per grandi linee… più o meno” continuò.
“Comunque non è importante come le so le cose, le so e basta. Da dove iniziamo? Dalla casa direi. Coraggio inizia a pulire…” disse sorridendo.
“Ma non sei qui per aiutare?” fece Semir mentre, senza neppure sapere bene la ragione, prendeva i sacchetti della spazzatura.
“Ho detto aiutare mica sfacchinare” fece il fantasma sorridendo di nuovo.
 
 
Mentre puliva la cucina Semir si ritrovò a pensare che stava eseguendo gli ordini di un’allucinazione.
Ma del resto la cosa non gli procurava fastidio, anzi, era talmente bello rivedere il ragazzo.
“Anche se è solo frutto della tua immaginazione goditi il momento” si disse, mentre metteva l’ultimo piatto nella lavastoviglie e avviava il programma.
“Bene! Abbiamo quasi finito” disse Ben  comparendo alle sue spalle come al solito senza preavviso.
“Devi per forza fare così?” ansimò Semir.
“Così come?”
“Comparire alle spalle all’improvviso”
“Ma se è la cosa più divertente…”
“Comunque, cara la mia allucinazione, non so proprio perché mi sono dato tanto da fare per pulire, tanto in questa casa non viene più nessuno. Non ci vogliono venire neppure più le bambine, neppure le rare volte che Andrea me le lascia…” disse Semir amaro, mentre andava nel salotto a rimettere a posto i cuscini del divano.
Ben si fece improvvisamente serio.
“Da quanto non le vedi?” chiese.
“Da più di un mese. Ad eccezione di Aida che ho visto… beh lasciamo perdere…” sospirò Semir.
“Da quando Andrea si è messa con quel Robert, la loro vita è tutto un divertimento. E’ ricco sfondato e come posso competere io con  questo tizio che le porta in Austria per i weekend? Ovvio che non vogliono venire qui...” continuò.
“Ma non è giusto, tu sei il padre…” sussurrò Ben.
“Già, ma ora devo aspettare il prossimo weekend, se non succede nulla. E stai sicuro che succederà qualcosa. E poi… quando vengono qui Aida si chiude in camera sua per tutto il tempo e Lily non fa altro che piangere…”
Ben rimase pensieroso.
“Forse ho un’idea. Tu trova un supermercato aperto e fai la spesa. Ci vediamo domani mattina” fece Ben sparendo.
Semir si sedette sul divano.
La casa ora aveva un aspetto decisamente migliore.
Ma lui aveva passato tutto il pomeriggio e la serata a parlare con un’allucinazione e ad eseguire i suoi ordini. E soprattutto a confidarle le sue pene.
 
 
Semir si svegliò con la luce che filtrava dalle persiane.
Aveva dormito sorprendentemente bene.
Si guardò intorno e di lui non c’era traccia.
Forse se n’era andato. L’allucinazione era sparita.
Al pensiero Semir provò un pizzico di dispiacere.
Dopo la doccia Semir entrò nella cucina e quasi non la riconobbe ora che era in perfetto ordine.
“Giorno” fece la solita voce alle spalle.
Semir sobbalzò e versò il caffè sul bancone.
“Se tu sapessi cosa significa non poterne bere più non lo sprecheresti così” fece triste Ben.
“Telefono…” disse poi.
“Cosa?”
“Sta per squillare il telefono…”
 Semir lo guardò perplesso, ma subito dopo il suo cellulare iniziò a vibrare sul tavolo.
“Andrea buongiorno…” fece meravigliato rispondendo alla chiamata.
 
 
“Certo che posso tenere le bambine per stanotte. Mi dispiace che abbiate trovato la casa allagata… già, ma le tubature fanno brutti scherzi a volte… va bene passo a prenderle oggi pomeriggio a fine scuola. Va bene. Ci sentiamo”
Semir guardò la figura davanti a lui.
Ben si lustrava ostentatamente le unghie sulla giacca fischiettando.
“Sono o non sono un genio?” disse con aria sorniona.
“Vuoi farmi credere di essere stato tu?”
“Certo, e chi sennò? E’ stato un gioco da ragazzi…”
Semir sospirò.
La sua allucinazione non sapeva che serata tragica si prospettava.
 
 
“Devi per forza seguirmi ovunque?” chiese Semir spazientito a Ben che si agitava come un pazzo sul sedile del passeggero, ballando al ritmo dei Coldplay.
“Temo di sì. Fai attenzione quando mi parli. Non so se te ne sei accorto, ma per gli altri stai parlando al nulla”  rispose lui indicando la vecchia signora che a bordo della sua utilitaria, affiancata alla BMW di Semir aspettava che il semaforo diventasse verde.
Guardava Semir con gli occhi sbarrati.
Semir le sorrise e le fece un cenno di saluto, ma la vecchia signora riprese a guardare davanti con aria terrorizzata , poi partì quasi sgommando appena la luce del semaforo divenne verde.
“Mi prenderanno per pazzo. Del resto è quello che sono… pazzo. Parlo con una mia fantasia e faccio anche quello che mi dice di fare” disse fra sé e sé.
“Non è  molto carino definirmi ‘fantasia” o ‘allucinazione’. Dopo tutto quello che cerco di fare per te!” fece Ben con aria imbronciata.
 
“Gerkan, può venire un attimo nel mio ufficio?” chiese la Kruger a metà mattinata.
Semir aveva cercato ostinatamente  di ignorare Ben che si aggirava per l’ufficio facendo dispettucci di vario genere  a tutti.
“Puoi stare cinque minuti fermo e buono?”  gli aveva bisbigliato chiudendosi in bagno.
“Ma mi annoioooo. Come fai a fare questo lavoro?” chiese Ben.
“Ci sono costretto, certo non mi fa piacere, ma almeno mi dà da vivere” aveva risposto Semir indispettito.
Ora l’aveva  seguito nell’ufficio della Kruger e si aggirava curiosando qua e là.
“Si segga Semir… volevo sapere… come vanno le cose?” chiese Kim comprensiva.
Era evidente che aveva saputo dei risultati del test psicologico.
E l’indomani Semir aveva la prova di tiro.
Il piccolo turco sospirò.
“Commissario io… io sto cercando di farmi forza…” rispose sospirando.
“Sono passati molti mesi ormai, lei deve cercare di andare avanti” disse Kim.
“Sì certo…” rispose Semir, guardando però ad occhi sbarrati Ben che stava giusto dietro la sedia della Kruger.
“No, non farlo…” balbettò mentre lo vedeva sorridere  e sbottonare il primo bottone della camicetta del Commissario.
“Fare cosa?” chiese stranita Kim.
“Nulla… Oddio… no,  stai fermo!!” fece d’impulso quando Ben passò ridacchiando a sbottonare il secondo bottone.
“Semir è sicuro di stare bene?” chiese la donna preoccupata.
“Sì, no.. cioè” balbettò ancora Semir mentre Ben continuava imperterrito nella sua opera.
“Ma che…” fece la Kruger accorgendosi di essere rimasta praticamente in reggiseno.
“Vada… parliamo dopo” continuò, rossa in volto per la vergogna, cercando di abbottonare  di nuovo la camicetta.
 
“Ma sei tutto scemo?” sbottò Semir dopo essere uscito precipitosamente dall’ufficio del Commissario.
“Ehi, hai visto che bel ‘balcone’? L’ho sempre saputo che è una gran bella donna…” Ben continuava a ridacchiare.
“Essere quello che sei non ti ha maturato vedo. Moccioso eri e moccioso sei rimasto…” disse spazientito Semir. E si accorse che gli stava parlando esattamente  come parlava al suo partner. Solo che lui non poteva essere il suo partner.
“Che voleva dire la Kruger con quel discorsetto?” chiese Ben.
“Nulla… è solo preoccupata per me…” chiuse la conversazione il piccolo turco.
 
“Ciao tesoro” disse Semir mentre Aida gli veniva incontro, sbuffando vistosamente, e saliva in macchina.
La ragazzina non rispose neppure al saluto del padre e si sedette accanto alla sorella sul sedile posteriore, sbattendo la portiera.
Lily già piagnucolava e chiedeva della madre.
“Aida…” disse Ben, seduto sul sedile anteriore, guardandola con tenerezza.
“E’ incredibile come sono cresciute; sono grandi e sono… sono…” fece  ancora sospirando “Terribilmente arrabbiate…” concluse.
“Avanti cosa hai fatto? Perché stanno così?” lo accusò mentre Semir saliva al posto di guida.
“Zitto…” bisbigliò Semir cercando di non farsi vedere dalle figlie, anche se si accorse che Aida guardava solo il suo iPod.
 
“Aida aspetta cosa vuoi mangia…” Semir non riuscì neppure a concludere la frase perché la figlia appena l’auto si era fermata era scesa ed entrata di corsa in casa.
“Ehi, ma che ha?” chiese ancora Ben.
“Lascia stare” bisbigliò Semir mentre faceva scendere la figlia minore che ormai era in preda ad una vera e propria crisi di pianto.
“Voglio la mammaaaa” urlò ancora la bambina appena entrata in casa, mentre i lacrimoni le scendevano sul visino.
“Lily, tesoro, c’è papà qui. Non vuoi stare con papà? Guarda giochiamo dai…” fece sempre più disperato Semir afferrando uno dei peluche che aveva preparato sul divano.
“Voglio la mia mammaaaaa” urlò ancora più disperata Lily.
“Lo sapevo, fa sempre così… qualsiasi cosa dica o faccia lei piange. Aida, ti prego potresti scendere ad aiutarmi con tua sorella?” urlò verso le scale, sperando di essere ascoltato dalla figlia maggiore.
Ma dal piano di sopra non arrivò alcuna risposta, mentre il pianto di Lily si faceva sempre più acuto.
“Canta” fece Ben comparso come al solito all’improvviso.
“Cosa?” rispose Semir sempre più intontito.
“Devi cantare , con lei funziona sempre…”
“Cantare? Dici? Ehm e che canto?”
“Una cosa qualsiasi, ma canta…” fece Ben tappandosi le orecchie per le urla sempre più acute della bambina.
“Sì… Lily tesoro ora papà canta una canzoncina per te… che ne dici? Dunque… ci son due cani ed un orangotango…”
“Cani? Quali cani? Ma che stai dicendo…”
“Zitto, mi confondi” fece Semir sudando come nelle migliori azioni armate.
“Ci son due asinelli ed un orangotango…” fece ancora, stonando come una campana.
“Asinelli? Sì, e uno sei tu visto che stai ragliando non cantando. E poi sono coccodrilli, ci son due coccodrilli…”
  Lily aveva smesso di piangere e guardava il padre a metà fra il disperato ed il perplesso.
“Ci son due coccodrilli ed un orangotango…”
“ Due piccoli serpenti…” suggerì Ben subito seguito da Semir che però stonava in modo straziante.
“Davvero Semir, sembra il lamento di un gatto in calore caduto in una pentola d’acqua bollente” fece Ben.
 Ma evidentemente l’amore filiale era più potente di ogni nota stonata.
Lily iniziò a sorridere e a tirare su col naso prima di scoppiare in una risata travolgente.
 
“Aida tesoro, la cena è pronta. Scendi per favore?”
Semir chiamò più volte la figlia maggiore che da quando era arrivata si era chiusa in camera sua e poi nel bagno.
“Aida…” chiamò ancora il padre mentre metteva i bastoncini di pesce nei piatti pronti sulla tavola della cucina.
 
Ma Aida stava in bagno e stava fumando.
O meglio tentava di fumare.
Perché in realtà non le piaceva affatto e le rare volte che aveva aspirato il fumo poi aveva vomitato.
Ma lei lo faceva solo perché i grandi non volevano che lei lo facesse.
E questa era una ragione sufficiente per farlo.
Ben stava a guardare la ragazzina poggiato al muro accanto alla doccia.
“Oh piccola…” sospirò.
 
“Aida ti decidi a rispondermi o devo venire su?” Semir era sempre più spazientito.
“Sta fumando…” fece Ben comparendo all’improvviso.
“Cosa?” bisbigliò il padre.
“Sta fumando chiusa in bagno” continuò Ben.
“Maledizione, di nuovo… se prendo quel Adam, giuro che…” la voce di Semir era furiosa.
“Adam? E chi sarebbe ora Adam?” chiese Ben mentre Semir saliva le scale.
“Ma non sapete tutto voi?”
“Ho detto che sappiamo tutto a grandi linee… Semir aspetta però non la rimproverare dai…”
Ma Semir stava già battendo furiosamente alla porta del bagno.
“Aida apri immediatamente questa porta” urlò.
Solo dopo molti minuti la porta si aprì.
“Cosa credi che io sia scemo? Stavi fumando… la puzza si sente chiaramente. Dammi subito il pacchetto”
Aida lo guardò con aria di sfida e non si mosse di un millimetro.
“Chi te le ha date? Adam? Confessa!!!”
“E se anche fosse? Cosa ti importa? Cosa ti importa di me?? Tu non ci sei mai per noi… stai sempre qui chiuso in questa casa… e poi bevi. Credi che non me ne sono accorta? Bevi e perciò la mamma ti ha lasciato e si è messa con Robert!!!”
La voce della bambina era rotta dall’emozione si vedeva che tratteneva a stento le lacrime.
“Non parlarmi così. Io sono tuo padre!” urlò ancora Semir in preda anche lui all’emozione.
“Tu non sei mio padre, non lo sei più. Da quando zio Ben non c’è più a te non importa più nulla né di me né di Lily” fece la ragazzina scoppiando a piangere.
Poi gettò con furia il pacchetto di sigarette contro il padre e corse a chiedersi in camera sua.
Semir rimase immobile, aveva quasi le lacrime agli occhi.
“Dai Semir non te la prendere… le ragazzine sono fatte così…” provò a consolarlo Ben.
“No… ha ragione… la mia vita è uno schifo” fece l’amico scendendo le scale per tornare dalla figlia minore.
 
Aida stava seduta sul letto e si asciugava le lacrime che le scendevano sulle guance.
Era dispiaciuta di aver detto quelle cose a suo padre, ma era più dispiaciuta di non averlo più un padre.
Prese la foto che aveva sul cassettone. Era una foto bellissima, la sua preferita. Lei e zio Ben a cavallo. L’avevano scattata il  giorno del suo settimo compleanno.
La ragazzina rimase a lungo a guardarla.
“Beh zio Ben, qui senza di te è tutto un gran casino” bisbigliò accarezzando la figura sulla foto.
Ben che le era di spalle la guardò triste.
“Oh piccina… andrà meglio vedrai, passerà tutto” sospirò, resistendo alla tentazione di carezzarle i capelli.
 
All’improvviso Aida si voltò.
Per un lungo istante la ragazzina ebbe netta l’impressione di sentirlo.
“Zio Ben?”  balbettò.
Ma lì non c’era nessuno.
Zio  Ben se n’era andato per sempre.
Triste, asciugandosi le lacrime la ragazzina si stese sul letto e si addormentò.
 
Angolo musicale: Il “nostro” Ben lo abbiamo “creato” fan dei Nickelback e visto che in questo capitolo dispensa consigli e cose da fare la scelta è: Nickelback “If today was your last day” (se oggi fosse il tuo ultimo giorno)
http://www.youtube.com/watch?v=lrXIQQ8PeRs
Il mio migliore amico mi ha dato i consigli migliori, ha detto: ogni giorno è un regalo e non spetta di diritto, lasciati dietro le tue paure e prova a prendere la strada meno percorsa, questo primo passo che fai è il passo più lungo. Se oggi fosse il tuo ultimo giorno e domani fosse stato troppo tardi potresti dire addio al tuo ieri? Vorresti vivere ogni momento come il tuo ultimo? Lascia le vecchie foto al passato, vale sempre la pena di lottare, ogni istante conta perché non c’è una seconda opportunità perciò vivi come se non dovessi mai vivere una seconda volta, non prenderti un giro gratis nella tua vita. Se oggi fosse il tuo ultimo giorno perdoneresti i tuoi nemici? Vorresti trovare ciò che sogni? Indipendentemente da chi sei quindi fai tutto ciò di cui c’è bisogno. Perché non puoi rivivere alcun momento in questa vita. Non lasciare che nulla sia sulla tua strada. Perché le mani del tempo non sono mai dalla tua parte.
 
Angolo delle autrici: dispettose come siamo abbiamo deciso di inaugurare, se vi va, un piccolo giochino.
Ogni tanto  Chiara e Maty vi porranno un indovinello, cui, se volete, potete rispondere con le recensioni. Chi indovina vince una domanda, ovvero potrete chiederci qualcosa sulla trama. La risposta vi arriverà in privato.
Ovviamente l’unica domanda NON CONSENTITA è qualsiasi cosa riguardi lo stato di salute di Ben.
Bene, primo indovinello.

Indovina indovinello perché Ben è scritto sempre in corsivello?


PS è una cosa scema lo sappiamo… ma noi siamo pazzarelle. Non siete obbligate a rispondere ovviamente.Coglimo l'occasione per ringraziarvi tanto. Lettrici e recensori. Siete eccezionali, davvero.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La principessa e l'impavido Adam ***


Image and video hosting by TinyPic">http://  
CAPITOLO 4
La principessa e l’impavido Adam
 
“Allora mi raccomando subito in classe” disse severo Semir mentre Aida scendeva dall’auto.
Aveva appena lasciato Lily alla primaria e con suo sommo stupore la bambina lo aveva salutato con un gran bacio sulla guancia.
Ma la primogenita non gli aveva rivolto la parola dalla sera precedente e scendendo dall’auto non si prese la briga di salutare il padre, correndo verso l’ingresso senza mai voltarsi.
 
“Ma che è successo alla bambina?” chiese Ben apparendo come per magia a fianco di Semir.
“Nulla lascia perdere…” rispose Semir. Stavolta non aveva avuto  il solito sobbalzo alla comparsa dell’ “allucinazione”. Ci stava facendo l’abitudine e non sapeva se spaventarsi o essere felice della cosa.
“Non lascio perdere… cosa è successo alla mia principessa?” la voce dell’ “allucinazione” era tesa.
“La tua principessa, come hai visto, fuma, marina la scuola e fa continuamente a botte con i compagni. L’ultima volta ha rotto il setto nasale ad un altro bambino”
“Cosa? Ma che le è successo?”
“C’è lo zampino di quell’Adam. E’ un ragazzino di poco più grande di lei. Da quando lo frequenta Aida ne combina di tutti i colori. L’ho visto, ha la faccia del teppistello arrogante…”
“Ok. Dove trovo questo stronzetto?” fece Ben con aria truce.
Semir sospirò.
“Lascia stare. Forse ne è innamorata. E sai come sono le cotte fra ragazzini. Le passerà”
“Dalla  faccia che fai non ci credi nemmeno tu”
“Soffre. Ecco cosa le è successo in realtà. E non la posso aiutare perché io soffro come lei”
Per la prima volta Ben rimase senza parole.
 

“Perché non stiamo andando al distretto?” chiese Ben vedendo la strada che percorreva la BMW.
“Perché ho la prova di tiro. A proposito non ti azzardare a seguirmi. Se non passo neppure questa mi tolgono il porto d’armi”
Ben lo guardò perplesso.
“Ma non hai ancora cinquantacinque anni, perché devi fare la verifica?”
“Non so se l’hai notato, anche se dici di sapere tutto. Ma non sono più in servizio di pattuglia armato. E quindi se voglio conservare il porto d’armi e una seppur minima speranza di tornare in servizio attivo devo superare questa prova”
La voce  di Semir era emozionata.
“Bene. Ti aiuto io. Tengo fermo il bersaglio così lo  puoi colpire bene” sorrise Ben.
“No!!! Assolutamente no! Tu resti qui… o te ne vai lassù… insomma fai quello che vuoi, ma non venire dentro. Ci siamo capiti?”
Ben lo guardò sorridendo.
“Ora mi giuri che non mi seguirai. Giuralo!” urlò Semir mentre tutti lo guardavano dalle altre auto.
“Ok te lo giuro” rispose l’allucinazione prima di sparire.

 
“Quando è pronto mi dà il via ispettore” fece la graziosa poliziotta chiusa nel gabbiotto alle  sue spalle.
Semir indossò gli occhiali e le cuffie di protezione e prima di impugnare la pistola davanti a lui tirò un sospiro cercando di calmarsi il più possibile.
Ma aveva il cuore a mille e le mani gli tremavano.
Tirò un altro sospiro profondo e poi  diede il via.
“Oh noooooo” balbettò appena lo vide.
 
“Stop!” urlò immediatamente  ed i bersagli si fermarono subito.
La ragazza dietro il vetro lo guardò perplessa.
“Solo un attimo…” le disse Semir.
“Avevi giurato!!!” sibilò furibondo, mettendosi di spalle per non essere visto.
“Infatti avevo giurato di non seguirti. E non ti ho seguito. Sono venuto qui, comparendo come al solito, molto dopo di te!” protestò Ben.
“Bene come sei comparso, ora vedi di scomparire” sibilò furioso Semir.
“Ma io voglio solo aiutarti”
“Pussa via, sparisci subito!”
Semir tornò sorridendo nervosamente alla giovane poliziotta che lo guardava dal  vetro del gabbiotto con aria perplessa.
Ma quando si girò rimettendosi le cuffie la sua allucinazione era ancora lì.
“Merda” imprecò fra sé e sé, ma non poteva fermare di nuovo la prova.
Così prese la pistola ed iniziò  sparare.
 
Ben  pareva divertirsi un mondo mentre teneva il primo bersaglio che infatti Semir colpì facilmente.
“Sparisci! Vai via ” sibilò di nuovo Semir, ma Ben si stiracchiò in attesa del secondo bersaglio, proprio mentre nel box accanto a Semir prendeva posto una giovane collega bionda.
“Ehi socio, guarda un po’  chi hai vicino” fece Ben sorridendo a trentadue denti.
“Guarda che bocce che ha!” continuò l’allucinazione di Semir.
“Ma sei un maniaco!!!” disse piano Semir mentre partiva il secondo bersaglio.
Ben afferrò il cartello per rallentarlo, ma la ragazza nel box a fianco si chinò per prendere la pistola, mettendo così in bella mostra per lui la splendida scollatura.
“Fiuuuu” fischiò Ben appoggiandosi al cartello e bloccandone quindi lo scorrimento.
Semir che si aspettava di vederlo passare si ritrovò a sparare al nulla.
“Ispettore Gerkan, ma non si è accorto che il bersaglio non è a tiro?” disse la ragazza dall’interno del gabbiotto, con voce preoccupata.
Semir iniziò a sudare un po’ per l’ansia un po’ per la rabbia.
“Mi scusi… può darmi solo un attimo?” chiese cercando di non far percepire nulla nella voce.
“Ora sparisci di qui… maniaco che non sei altro” sibilò verso Ben che neppure si era accorto di quello che era successo e continuava a guardare imbambolato la ragazza che a sua volta continuava a prepararsi per il tiro.
“Oddio… scusa, mi sono un po’ distratto…”
“Distratto? Ho fallito il tiro. Ne posso fallire solo tre… sparisci, me la cavo da solo” Ora Semir era davvero incazzato.
Imbronciato Ben sparì.

 
“Cerchi di concentrarsi ispettore, questo è l’ultimo tiro. Mi raccomando non sbagli, altrimenti devo considerare la prova fallita”
Nella voce della ragazza c’era una punta di commiserazione.
Semir tirò un respiro profondo e cercò di calmarsi.
Sentiva la mano tremare ed il pensiero che se falliva quella prova le sue possibilità di tornare in servizio di pattuglia  diventavano praticamente nulle la faceva tremare ancor di più.
“Calmo… respira… ti ricordi come mi insegnavi? Respira, cerca di sentire il tuo cuore battere. Prendi la mira…”
La voce alle spalle di Semir era calma e familiare.
Semir fece come gli diceva… erano le stesse parole con cui aveva insegnato al ragazzo, che poi era diventato uno dei migliori tiratori del distretto.
“Prendi un respiro… aspetta con calma… e vai” disse ancora Ben.
Semir sparò e la pallottola si conficcò nel centro del bersaglio.
“Molto bene ispettore. Gran colpo” fece la ragazza da dietro al vetro, quasi sorpresa.
“Visto? Un gioco da ragazzi!” disse Ben  sorridendo.
Semir rimase per un attimo  a guardare la figura davanti a lui.
“No… non ti ci abituare. E’  solo una tua fantasia, e tu stai iniziando a considerarlo reale. Ma non è reale. Non è lui. Non può essere lui” cercò di convincersi.
Ma non poteva fare a meno di iniziare di nuovo a sentire quella calda familiarità che aveva provato nei cinque anni trascorsi con il suo migliore amico.
 
 
“Ciao principessa” fece il ragazzino venendo incontro ad Aida.
Principessa.
Adam la chiamava principessa, proprio come zio Ben.
Anche per questo Aida lo frequentava.
Adam era decisamente il più bel ragazzino  della scuola.
Molto alto per la sua età, bruno e con due grandi occhi verdi era l’oggetto del desiderio di tutte le ragazzine dell’istituto, ma lui aveva occhi solo per Aida.
E ad Aida stava simpatico, anzi qualcosa di più che simpatico.
Le piaceva la sua sfrontatezza, l’allegria, quel suo modo di affrontare tutto con animo leggero.
E quando stava con lui Aida sentiva una bellissima sensazione allo stomaco, come farfalle leggere che svolazzavano.
Poco le importava che a scuola avesse la fama di bulletto. Con lei era il ragazzo più gentile  del mondo.
“Allora hai  parlato ai tuoi?” chiese Adam sorridendo.
“No non ancora, ma stai sicuro che mi diranno di no…” rispose Aida.
“Ma Tom Beck è il tuo cantante preferito… chissà quando torna …  poi ha la tournée all’estero” fece seccato lui.
“Sì, ma non se ne fregheranno nulla. Mia madre di certo non mi accompagna e quanto a mio padre… bah lasciamo perdere”
“Ma non ti devono accompagnare, andiamo insieme, io e te. In treno magari” sorrise ancora Adam.
“Ancora peggio… lasciamo perdere dai e poi non abbiamo neppure i biglietti. Sui siti dicono che sono già esauriti”
“A questo ci ho pensato io” Adam tirò fuori dalla tasca due biglietti colorati.
Aida sgranò gli occhi per la sorpresa.
“Come ci sei riuscito?” chiese stupefatta.
“Per la mia principessa questo ed altro…” fece Adam.
“Cavolo, abbiamo due biglietti e non possiamo  andarci” sussurrò Aida delusa.
“Tu prova a chiedere ai tuoi genitori. Altrimenti facciamo in un altro modo. Ma tu a quel concerto ci andrai”  concluse Adam.
 
 
“Tu sei un incosciente, un dannato incosciente, maniaco sessuale tra l’altro” borbottò Semir sventolando il foglio  con la proroga del porto d’armi.
 “E dai, è andata bene comunque no? E poi non sono un maniaco sessuale. Mi sono solo distratto a guardare qualcosa di bello”
“Maniaco, questo sei. Anche ora che sei… beh quel che sei… appena vedi una gonnella perdi la ragione. E poi scusa voi non avete raggiunto la pace dei sensi?” sbottò Semir indispettito.
“Parla per te!!! Pace dei sensi… no purtroppo no… e questa è un’altra delle cose che non si possono più fare, quindi vedi di godertela fin che puoi” fece di rimando Ben ancor più indispettito.
“A proposito… ma tu… da quando ti sei lasciato con Andrea… beh… lo 'stallone turco' ha avuto modo di colpire ancora?” ammiccò poi, recuperando come al solito in un minuto il buon umore.
“Questi non sono fatti che ti riguardano!!!” si inalberò subito il piccolo turco.
“Capisco… no giusto?” rise Ben.
 “Non sono fatti che ti riguardano, ti ho detto” Semir iniziava davvero ad arrabbiarsi. La sua vita sociale era  stata praticamente nulla dalla separazione, ma si vergognava un po’ a doverlo ammettere.
“Ehi, ma possiamo rimediare, non ti preoccupare. Organizzo io, vedrai…”
“No, tu non organizzi proprio nulla. Ci manca solo che mi faccio organizzare incontri galanti da una mia allucinazione. E  poi se non voglio altre donne  è perché…” Semir non riuscì a completare la frase.
“Perché ami ancora Andrea? Bene allora fai qualcosa per tornare insieme a lei!”
“Fosse facile! Tu non sai cosa è successo da quando… da quando… lasciamo stare va!” disse Semir salendo furioso in auto.

 
“Sì Andrea, certo. Lo so che sono un po’ in ritardo con l’assegno. Va bene te lo mando quanto prima. No Aida non mi ha parlato di questo concerto a Berlino. Io? No, non posso accompagnarla, e poi sai quanto detesto questo cantante con cui si è fissata…”
Semir parlava concitato al telefono, mentre Ben bighellonava per la casa, come al solito toccando e rimestando tutto quello che gli capitava  a tiro.
“Dove  vuole essere accompagnata Aida?” chiese quando Semir chiuse la telefonata.
“Ad un concerto. Ora si è fissata con  questo Tom Beck”
“Davvero? Dicevano tutti che mi somigliava…”
“Non mi pare. A me non sta simpatico e Aida è troppo piccola per questo tipo di cose”
“Non si è mai troppo piccoli per essere educati alla buona musica. Sennò le tue figlie vengono su come te, che ami Michael Bublè”
“E’ un gran cantante Michael Bublè. E poi non ho proprio la possibilità di accompagnarla al concerto in ogni caso”
“Dovresti fare tutto il possibile invece. Sarebbe bello, tu e lei…”
Semir  lo guardò.
“Non basterebbe questo credimi a recuperare il rapporto. La cosa ha origini molto più profonde” concluse triste.
“Anche questo è colpa mia? Come per Andrea?” chiese   ancor più triste Ben.
Semir rimase un attimo senza fiato, non se lo aspettava.
“No… non volevo dire questo… non c’entra nulla quello che ti è successo… o meglio sì, ma non…”
“Cosa mi è successo? Forza Semir dillo… inizia ad accettare la cosa” fece Ben.
“Ti ho detto che non c’entri tu. O meglio io credo che sia….”
“Oh Semir… sai qual è l’origine di tutti i tuoi problemi? E’ che tu ancora  adesso non riesci a superare il tuo senso di colpa”
“Non mi psicanalizzare! E’ assurdo un fantasma che fa lo psichiatra”
Quando si voltò la sua allucinazione era sparita.
E Semir provò una fitta di solitudine  ed una strana paura al pensiero di non rivederlo più.
 
 “Nascondiamoli qui…” disse Adam indicando un grosso masso nel giardino della scuola.
Subito Aida si tolse lo zaino e lo ficcò dietro alla grossa pietra, con quello di Adam.
“Sei sicura che la tua amica ti copre anche per la notte?” chiese ancora il ragazzino.
“Martha? Sì certo, le ho promesso di farle i compiti di matematica per i prossimi due mesi, quindi stiamo sicuri. Se telefona mia madre dirà che sono in bagno e poi mi manda un sms, così io la posso richiamare”
Aida ci aveva messo un bel po’ a convincere la madre a lasciarla dormire da Martha, questa era la scusa ufficiale, ma alla fine ci era riuscita.
“Bene, allora andiamo” fece Adam avviandosi verso la strada, lontano dalla scuola.
Aida ebbe un attimo di esitazione, ma poi seguì Adam che intanto aveva già alzato il pollice per fare l’autostop.
“Ne vuoi una?” chiese il ragazzino porgendole il pacchetto di sigarette .
“No… sinceramente Adam a me non piace fumare. Fa puzzare l’alito e dopo un po’ a volte vomito”  
 Adam la guardò  con i suoi grandi occhi verdi, sorridendo.
“Ok allora non fumo neppure io” concluse buttando la sigaretta che si era appena acceso.
 
 
 
Angolo musicale: la canzone che accompagna questo capitolo è “Wonderwall” degli Oasis. La traduzione letterale del titolo è "Muro delle meraviglie", ma potrebbe essere meglio tradotto con "ancora di salvezza" per il senso e il contesto della canzone. E nel nostro caso Adam è un po’ l’ancora di salvezza di Aida e l’allucinazione  lo è per Semir …

http://www.youtube.com/watch?v=6hzrDeceEKc
Oggi sarà il giorno in cui ti verrà data di nuovo un'opportunità  Ad oggi avresti dovuto in qualche modo realizzare ciò che devi fare Non credo che nessuno senta quello che provo io per te adesso II battito è tornato, era di dominio pubblico che quel calore nel tuo cuore si è spento Sono sicuro che hai già sentito tutto ciò prima Ma non avevi mai avuto davvero dei dubbi E tutte le strade che dobbiamo percorrere sono tortuose E tutte le luci che ci guidano sono accecanti Ci sono tante cose che mi piacerebbe dirti Ma non so come Forse perché Sarai colei (colui) che mi salverà E dopotutto Tu sei il mio muro delle meraviglie  (tu sei la mia ancora di salvezza)

Angolo delle autrici: ma come siete brave... la risposta è

Ben è scritto in corsivello perchè è un vero fantasmello

Di comune accordo Chiara ed io abbiamo deciso che siete tutte vincitrici, almeno  le fedeli lettrici che hanno risposto. Potete farci tutte le domande che volete, ovviamente se volete. Tranne una! 
Vi abbiamo già detto che siete fantastiche? Se sì ve lo ripetiamo.
Grazie grazie grazie
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Canzoni sprecate e pietre preziose ***


Image and video hosting by TinyPic"
 
CAPITOLO 5
Canzoni  sprecate e pietre preziose (e 10 piani di mordidezza)

“Buongiorno Semir… come stai?” fece Hartmut appena vide il piccolo turco entrare nel KTU.
Semir gli rivolse un sorriso. Hartmut era uno di quelli che aveva cercato di stargli più vicino in quei mesi e spesso lui l’aveva respinto in malo modo.
“Ti vedo bene sai?” fece il tecnico guardandolo di nuovo.
In effetti Semir iniziava sentirsi meglio e quella mattina, guardandosi allo specchio, per la prima volta si era reso conto che non aveva più le profonde occhiaie che avevano segnato il suo volto per mesi.
E soprattutto si era reso conto che non toccava un goccio d'alcool da quando era comparso lui.
“Non ti ci abituare, non è reale” continuava a ripetersi.
Ma si rendeva conto che per quanto si sforzasse di restare attaccato alla realtà, la presenza di quella “fantasia” cui parlare, confidare le sue pene, gli stava diventando indispensabile.
“Sto meglio infatti, grazie. La Kruger ti manda questi rapporti, dice che dovresti compilarli e ridarmeli subito. Non si fida…” sorrise Semir.
Cercò di non pensare al fatto che ormai era adattato anche al ruolo di postino. Tutto era meglio che stare alla scrivania a scrivere scartoffie.
“Ok…vado di là… ma dovrai aspettare un po’…” fece Hartmut mentre si allontanava per andare nell’altra parte del suo ufficio.
Semir prese a bighellonare nell’ampio laboratorio.
Ormai non ci metteva quasi più piede da quando…
“Ehi… ma guarda che combina il nostro Einstein…” fece Ben comparendo all’improvviso, questa volta seduto sulla sedia di Hartmut alla scrivana con il pc.
Semir lo guardò e nonostante cercasse di reprimersi provò un senso di sollievo.
Non si faceva vedere dal giorno prima.
Vinse a stento l’impulso di chiedere la ragione.
“Guarda qui… ma dopo tutto questo tempo quei due ancora non hanno concluso nulla?” chiese ridacchiando.
Semir si avvicinò e non poté fare a meno di sorridere anche lui.
Il salvaschermo di Hartmut era una foto di Jenny, contornata da cuoricini, con sotto la scritta “sogno impossibile”.
“Poverino ci prova in tutti i modi, ma è tendenzialmente imbranato” sospirò Semir, ricordando tutti i tentativi del tecnico di avvicinare la bella agente, falliti miseramente.
“Ok vediamo se possiamo dargli una mano…” rispose lui prendendo a digitare sul pc.
“Che stai facendo?” la voce di Semir era quasi terrorizzata al pensiero di quello che poteva combinare.
“Niente… diamo un tocco di romanticismo alla situazione”
Avvicinandosi allo schermo Semir notò che stava navigando sul sito di un fioraio.
“No… fermo che fai… non puoi mandare fiori a Jenny ad insaputa di Hartmut” disse terrorizzato al solo pensiero che, non essendoci nessun altro di “reale” nella stanza, sicuramente gli avrebbero dato la colpa.
Ma poi... un’allucinazione poteva ordinare fiori su internet?
“Aiutami con il biglietto… rose per una rosa… no scontato. Nessun fiore è più bello di te… scontato anche questo, ma da Hartmut non ci si può aspettare di meglio. Ci vediamo stasera al Cafè Rossini alle sette” recitò alla fine soddisfatto mentre concludeva l’ordine e scriveva il biglietto.
“Ma sei impazzito??? Se ti scoprono tutti penseranno che sono stato io” fece infuriato Semir.
“Embè? Che c’è di male? Vuoi solo aiutare due amici…”

“Semir, ma con chi stai parlando?”
La voce di Hartmut fece sobbalzare Semir.
“Io? Ma con nessuno, borbottavo fra me e me…” Semir cercò di non dare a vedere di essere avvampato.
“Eccoti i rapporti…” disse Hartmut guardandolo però con aria strana.
Semir afferrò i fogli e si precipitò fuori dal laboratorio.


“E dai…potremmo almeno andare vedere come se la cavano” fece Ben con la solita vocina da bambino deluso.
Era almeno mezz’ora che cercava di convincere Semir ad andare a dare un’occhiata al Cafè Rossini.
Nel pomeriggio erano arrivati i fiori per Jenny, che era apparsa a metà fra lo stupefatto e il lusingato.
Ben aveva approfittato della temporanea assenza della ragazza per mandare dal suo pc una mail di conferma ad Hartmut, e poi si era messo a gironzolare per tutto l‘ufficio, curiosando qua e là.
E soprattutto aveva iniziato a dare il tormento per andare a vedere come se la cavavano i due piccioncini.
“Non se ne parla neppure. Domani ho il colloquio con lo psicologo. Devo fare un altro di quegli stupidi test, e ne ho già falliti abbastanza” rispose Semir mentre guidava verso casa.
Ben lo guardò imbronciato e Semir sorrise suo malgrado, pensando con nostalgia ai tempi passati.
“Ti stai aggrappando ad un’illusione, gli parli come se fosse reale, non puoi continuare così” pensò.
“Ma ti aiuto io, dai… solo un minuto per vedere come procedono. Hai visto come era felice Jenny…”
“Sì e ti faccio vedere come sarà felice Hartmut quando dovrà pagare il conto dei fiori e del ristorante”
“Cosa è il vile denaro a confronto dell’amore…” fece Ben con voce finta ispirata.
All’improvviso l’attenzione del giovane fu tutta attratta dalla musica che rimandava la radio.
“Ma… ma questa è la tua canzone…” fece sorridendo a trentadue denti e alzando il volume.
Semir avvampò all’istante.
“La carta igienica Lock è morbida, resistente e conveniente. La trovate in tutti i maggiori supermercati al prezzo di…” fece una voce suadente, mentre la musica andava in sottofondo.
Ben rimase per un attimo a bocca aperta, fissando il vuoto.
Poi si voltò furioso verso Semir che nel frattempo era diventato rosso violaceo.
“Tu… tu… hai ceduto la canzone… la TUA canzone … quella che ho scritto per te… per una… una pubblicità di ca… carta igienica?” balbettò.
“Io… io… non lo sapevo. Cioè… c’era questo tizio amico di Jenny che ha sentito la canzone e lavora nel campo. L’ha sentita e ha… ha detto che gli piaceva, che l’avrebbe resa famosa, che sarebbe entrata in ogni casa…” provò a giustificarsi, mortificato e sempre più rosso.
“Nel bagno di ogni casa semmai . Con la carta igienica così è entrata. Che fine di m… nel senso letterale della parola. La tua canzone, io l’avevo scritta per te…”
“Lo so, mi spiace tanto, davvero, ma non me lo ha detto. Io non lo sapevo…”
Ben tirò un sospiro cercando di calmarsi.
“Ok… ok… almeno… quanto ci ha fatto?” chiese.
Semir diventò ancora più rosso, ormai era sull’orlo di un attacco d’ ipertensione.
“Io… io non volevo sfruttarla, non sapevo neppure che potevo avere dei soldi…”
“Cosa??? L’hai ceduta gratis??? Per una pubblicità di carta igienica?” urlò Ben.
“No… cioè sì… scusa io non sapevo, ho anche cercato di riprendermela quando l’ho scoperto, ma….”
“Non ci posso credere!” fece lui subito prima di sparire.
“Ben, aspetta, per favore io non volevo…”
Semir si ritrovò a parlare al vuoto.
Aveva appena chiamato ‘Ben’ la sua fantasia e gli aveva chiesto scusa.
Ed era dispiaciuto di averlo di nuovo deluso.
E soprattutto era spaventato all’idea che non ricomparisse più.


Era stato un concerto bellissimo.
Aida si avviò verso l’uscita dello stadio ancora emozionata.
Aveva urlato e cantato sulle note dei suoi brani preferiti e Adam le aveva tenuto la mano e ballato e cantato con lei.
“Ragazzi posso portarvi solo sino all’autogrill sulla A/4… poi dovrete cavarvela da soli perché io mi fermo all’uscita subito dopo” disse la giovane che aveva dato loro un passaggio.
“Adam… è così tardi… come facciamo a tornare a casa?” chiese leggermente impaurita la ragazzina.
Ma Adam la guardò con aria calma e sicura.
“Principessa, ce la caviamo. Vedrai che troviamo qualcuno che ci porta a Colonia. Tranquilla ci penso io” disse mentre la prendeva di nuovo per mano.
Il cuore di Aida ebbe un balzo di gioia.

“Adam, è già mezzanotte passata. Come facciamo a tornare a Colonia? Qui nessuno sembra disposto a darci un passaggio, ho paura”
Aida si guardò ancora una volta intorno spaventata.
L’autogrill in cui erano stati scaricati appariva sempre più deserto e nessuno faceva caso ai due ragazzini che sollevavano in continuazione il pollice.
“Calma principessa, ti ho detto che ti riportavo a casa in tempo e lo farò. Domani andrai a scuola in orario, non ti preoccupare” rispose l’amico con aria sicura.
Il ragazzo si guardò ancora una volta intorno e cercò di fermare insistentemente le auto che partivano dal parcheggio.
“Vieni andiamo più vicino al parcheggio, parliamo con i guidatori prima che salgano in auto” fece avvicinandosi alle auto parcheggiate.
Aida lo seguì obbediente.
“Scusi signore, nostro padre ci ha dimenticati qui… è partito senza di noi e non abbiamo il cellulare per chiamare, se è diretto a Colonia ci potrebbe dare un passaggio?” chiese ad uno dei due uomini, eleganti e seri, che scendevano da una Lamborghini nera.
I due non degnarono il ragazzo di uno sguardo.
“Ehi, potreste almeno rispondere…” fece adirato Adam mentre gli uomini si avviavano all’interno del bar.
Il più alto e muscoloso dei due si girò di scatto. Fulmineo afferrò Adam per il bavero della giacca e quasi lo sollevò da terra.
“Senti lurido moccioso, vedi di sparire…” sibilò con voce roca.
Aida sbiancò dalla paura, mentre Adam continuava invece a guardare l’uomo con aria di sfida.
“Signore… la prego, lasci stare mio… fratello… non voleva mancarle di rispetto” balbettò terrorizzata.
L’uomo si girò a guardala.
“Sparite!” disse mentre lasciava andare Adam.
Aida tirò un sospiro di sollievo mentre i due si allontanavano.


“Ben…” sussurrò Semir entrando in casa, ma lui non c’era.
Si sedette sul divano nel salotto, silenzioso.
“Non puoi dipendere da questa fantasia. La stai rendendo reale… e non è reale” pensò.
Ma il senso doloroso della perdita e del distacco tornò prepotente.
A stento resistette alla tentazione di prendere la bottiglia di whiskey dalla credenza.
Triste e dispiaciuto si addormentò sul divano ancora vestito.

 
“Non puoi farlo!”
Aida era sull’orlo delle lacrime mentre guardava Adam che forzava la serratura della Lamborghini.
“Principessa, non ti devi preoccupare. La prendiamo solo in prestito. Dopo averti accompagnato a casa di Martha la lascio al parcheggio della stazione. Quegli idioti la ritroveranno subito, non ci saranno problemi”
Adam ci aveva messo meno di tre minuti a forzare la serratura e a staccare l’allarme.
Ora stava armeggiando con il quadro elettrico per mettere in moto.
“Adam, smettila, scendi subito. Se ci trovano sono guai” Aida ormai singhiozzava.
Ma Adam la guardò soddisfatto mentre faceva rombare il motore.
“Allora principessa, sali?” chiese sporgendosi per aprire la portiera del lato passeggero.
“Ma tu sai guidare?” chiese perplessa Aida, guardandosi impaurita intorno.
“Certo… allora sali? Prima che i due energumeni tornino…”
Aida si guardò ancora una volta intorno indecisa.
Non poteva rimanere lì da sola, soprattutto con il rischio che quei due accortisi che l’auto era sparita potevano prendersela con lei.
A malincuore salì sull’auto.
“Visto? E’ andato tutto bene… ti preoccupi sempre troppo” Adam sorrise mentre fermava l’auto davanti alla casa di Martha, l’amica di Aida.
“Adam… mi prometti di lasciare subito l’auto al parcheggio?” chiese la ragazzina.
“Certo principessa, non sono un ladro. Tu piuttosto come fai ad entrare in casa a quest’ora?”
“I genitori di Martha sono fuori città, in casa ci sono solo lei ed il fratello”
“Bene… allora ci vediamo domani principessa…” disse Adam guardandola con i suoi stupendi occhi verdi.
Ancora una volta il cuore di Aida ebbe un balzo.
“Ciao…” balbettò scendendo di corsa dall’auto.
Adam aspettò che Aida entrasse in casa e poi veloce si avvitò verso il parcheggio della stazione.
Fortunatamente non era distante da casa sua.
Parcheggiò la Lamborghini in un posto defilato e prima di scendere si fermò a guardare i lussuosi interni dell’auto, carezzando il volante in pelle.
Chissà quanto costava.
Probabilmente molto di più di quanto avrebbe guadagnato suo padre nei prossimi vent’anni.
Suo padre non l’aveva mai neppure vista in foto un’auto del genere.
Adam amava suo padre, ne apprezzava gli sforzi per portare avanti la famiglia, per far studiare tutti i suoi sei figli.
Ma la vita povera e misera che conduceva, la mancanza di prospettive per il futuro inducevano Adam a cercare di fare meglio. Non voleva essere come lui. Voleva essere diverso.
Sospirando scese dall’auto, ma prima di richiuderla, l’occhio gli cadde sulla valigetta nera che era incastrata ai piedi dei sedili posteriori.
Incuriosito, risalì in macchina e la prese.
Era chiusa, ma per lui fu uno scherzo forzare la serratura.
Quando l’aprì e guardò il contenuto sentì il respiro mozzato dall’emozione.
Diamanti.



Note delle “scabinate” autrici:
Chiara & Maty durante la stesura di questo capitolo hanno ridacchiato parecchio, soprattutto per la fine ingloriosa di “this time” (speriamo di non aver offeso nessuno, Tom Beck ci riderebbe sopra e l'interessato cogliendo l'ironia da persona intelligente qual'è non se la prenderebbe più di tanto, di questo ne siamo convinte)… i titoli per l’angolo musicale si son sprecati …da “mi scappa la pupù papà” a quella di Benigni a quella di Mina…ma siamo persone serie ogni tanto (ogni tanto, infatti siamo anche noi in cura dallo psichiatra di Semir…alla fine sarà il medico ad aver bisogno di uno psichiatra…).
Dunque, dunque dicevamo un po’ di serietà…

Angolo musicale…capitolo ricco di sorprese…più o meno gradite…
Senza contare quanto permaloso sia il nostro Ben, ma come dargli torto e Semir che se lo vede “partire” un’altra volta… Quindi la scelta è caduta su “Mamma mia” degli ABBA.
Per ascoltare:
http://www.youtube.com/watch?v=unfzfe8f9NI
Mamma mia, mi capita ancora. Mio caro, come posso resisterti? Mamma mia, si vede ancora? Mio caro, quanto mi manchi. Si, sono stato con il cuore spezzato,
triste dal giorno in cui ci siamo divisi. Perché, perché mai ti ho lasciato andare? Mamma mia, ora lo so davvero. Mio caro, non dovevo lasciarti andare.
Sono stato arrabbiato e triste per le cose che hai fatto non posso contare le volte che ti ho detto che è finita tra noi e quando vai, quando sbatti la porta penso tu sai che non resterai lontano per molto, tu sai che non sono cosi forte solo uno sguardo e potrò sentire una campana suonare. Un altro sguardo e dimentico tutto, o-o-oh mamma mia, è un gioco che stiamo giocando. Bye bye non vuol dire per sempre...
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Padri, figli e guai ***


Image and video hosting by TinyPic
CAPITOLO 6
Padri, figli e guai
 

“Maledizione!!” imprecò per l’ennesima volta Rolf Junker.
Sudava freddo al solo pensiero di dover chiamare il capo e riferire quello che era successo.
“Niente, nessuno ha visto niente” fece  Hans Weber, la guardia del corpo che era con lui.
Rolf si maledisse di nuovo per aver lasciato incustodita  l’auto.
“Eppure siamo stati via sì e no dieci minuti…”  fece scuro in volto Hans.
“Non c’è scelta dobbiamo avvisare il capo” rispose Rolf prendendo il cellulare.
 
Arnold Toht si stava godendo l’ultimo sigaro prima di andare  a letto.
Seduto sulla comoda poltrona sorseggiava il  suo brandy soddisfatto.
Finalmente le sue preoccupazioni stavano per avere fine.
Dopo tanti mesi in cui il suo unico pensiero era stato quello di tenere a bada quella stupida procuratrice ora tutto poteva risolversi.
Certo non era stato facile procurarsi tutte le pietre e   aveva impegnato gran parte della sua liquidità di denaro per farlo.
Ma,  libero di agire, non ci avrebbe messo molto a rifarsi delle perdite.
Quasi con fastidio rispose alla chiamata sul suo cellulare.
“Sì Rolf, cosa c’è?”
Mentre il suo uomo  gli riferiva quello che era successo sentì un’enorme rabbia montare in lui.
“Questa me la pagate, statene certi. No, non fate niente e non avvisate la polizia, me ne occupo io” disse irato chiudendo la chiamata.
Cercò di calmarsi e ragionare, senza farsi prendere dall’emozione.
Doveva scoprire chi aveva rubato l’auto.
E c’era solo una persona che poteva aiutarlo.
Scelse il numero sulla rubrica del cellulare e poi chiamò.
“Ciao Commissario Bohm. Scusa per l’ora. Ho bisogno del tuo aiuto…” disse cordialmente alla risposta.
 
Semir si svegliò  dolorante per la strana posizione che aveva assunto durante la notte.
Si massaggiò il collo e per l’ennesima volta pensò che era diventato troppo vecchio per dormire tutta la notte senza un letto.
Con lo sguardo lo cercò, ma rimase deluso nel vedere che la stanza era vuota.
Lui non c’era.
La delusione e la paura tornarono a tormentarlo.
Semir si alzò ed andò in cucina a preparare il caffè.
Mentre lo faceva cercò in tutti i modi di spargere l’aroma per la casa.
Di solito in quei giorni lui compariva appena  iniziava a sentirsi l’odore. Sembrava quasi una droga.
Ma stavolta la casa restò muta e vuota.
Nessuno comparve all’improvviso, nessuno iniziò a sniffare rumorosamente.
“Smettila, stai cercando di evocare un fantasma con l’odore del caffè. E soprattutto non puoi più fare a meno di lui” si disse triste avviandosi verso il bagno.
 
“Ecco, ho dovuto smuovere mari e monti per averle subito, non è stato facile sai” fece Bohm  tirando fuori dalla tasca della giacca le foto.
“Lo sapevo che potevamo rivolgerci a te. Dopotutto sei uno importante nella polizia” rise Toht, seduto alla sua scrivania, con accanto Rolf Junker.
“Sì, ma sono alla disciplinare. Tecnicamente il reato è stato commesso sull’autostrada, quindi la competenza è della CID. Ti ripeto, non è stato facile avere subito le registrazioni delle telecamere dell’autogrill”
Bohm mise le foto sul tavolo.
“Come vedi sono stati due ragazzini. Il maschio è stato anche identificato, era già schedato per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Si chiama Adam Nitch. La ragazzina invece è stata una vera sorpresa”
Rolf Junker prese le foto e le guardò attento.
“Me li ricordo, ci hanno fermato chiedendoci un passaggio… hanno detto che erano fratelli” disse irato.
“Rolf ed io ti siamo grati. Rolf tiene molto alla sua auto, sai… come tutti noi maschi del resto. Mi dicevi che conosci anche la ragazzina?” chiese interessato.
“Sì personalmente. Non ci crederai, ma è la figlia di un ispettore dell’autostradale. Ma la cosa non mi meraviglia più di tanto in fondo,  conoscendo anche il padre” rispose Bohm sorridendo soddisfatto.
“Bene, come procediamo ora?” chiese Junker restituendo le foto a Bohm.
“Ho dovuto necessariamente passare il caso all’autostradale. Ma i due furfantelli verranno portati al più presto al Distretto. Sono ragazzini. Vedrete che cederanno subito” disse Bohm, accennando ad andare via.
Proprio in quel  momento il suo cellulare squillò.
Dopo la conversazione Bohm tornò indietro con aria sorniona.
“Bene signor Junker. Buone notizie. Hanno trovato la sua auto al parcheggio della stazione di Colonia. In ottime condizioni tra l’altro”
I due dietro la scrivania si guardarono intensamente.
“Sai se hanno trovato qualcosa in auto?  Rolf aveva una valigetta con documenti dell’azienda, molto importanti” chiese Toht.
“Non lo so… ma dopo tutto cosa se ne facevano due ragazzini di una valigetta con documenti all’interno? Vedrete che sarà ancora lì” sorrise Bohm.
 
 
“Gerkan, può venire un attimo nel mio ufficio?”
La Kruger accolse Semir proprio all’entrata del Distretto con aria severa, appena il piccolo turco arrivò per il turno pomeridiano.
Immediatamente Semir si allarmò.
La Kruger non lo avrebbe mai aspettato sulla soglia del Distretto se non si fosse trattato di una cosa grave.
Non ebbe neppure il tempo di  avviarsi all’interno che vide l’auto di Andrea che parcheggiava  nel settore riservato al pubblico.
Immediatamente si bloccò alla vista della moglie e di Aida che scendevano e si avviavano anche loro verso l’entrata.
“Andrea… Aida… che ci fate qui?” chiese con gli occhi sbarrati.
“Chiedilo a tua figlia” rispose Andrea con voce stridula.
La bambina aveva lo sguardo fisso a terra ed era rossa in volto.
“Aida cosa…” balbettò Semir, ma non ci fu tempo di continuare la conversazione.
“Signori, venite dentro, siamo attesi dalla procuratrice” disse la Kruger.
“La procuratrice? Ma che è successo???” Semir  sentiva le gambe cedergli.
A stento riuscì a raggiungere l’entrata.
L’apprensione del piccolo turco aumentò a dismisura quando vide Adam seduto su di una panca davanti all’ufficio della Kruger, con accanto un uomo di mezza età, evidentemente il padre.
“Cosa avete combinato?” chiese  alla figlia subito prima di entrare, ma la ragazzina ormai singhiozzava disperata.
“Mi scusi Semir, ho cercato di avvertirla prima. Ma Bohm mi ha avvisato all’ultimo minuto” sussurrò la Kruger sulla porta dell’ufficio.
“Bohm? Cosa c’entra ora Bohm?” Semir era sempre più sconcertato.
Ma la Kruger era già entrata nell’ufficio dove la stava aspettando la procuratrice distrettuale.
“Procuratrice  Wailer, è una sorpresa, pensavo che venisse un rappresentante della Procura minorile” disse stringendo la mano alla bella donna bruna che le veniva incontro.
“E’ un periodo molto intenso, l’ufficio è scoperto,  dobbiamo fare i turni anche  per la Procura dei minori” rispose la donna.
“Procuratrice le presento l’ispettore Semir Gerkan, del nostro Distretto. E’ il padre di Aida”
“Ruth Wailer” si presentò la donna.
Semir le strinse la mano  come in trance.
“Io io… non so neppure cosa sia successo…” balbettò il piccolo turco sempre più terrorizzato.
“Semir… Aida ed il suo amico Adam ieri notte hanno rubato una Lamborghini   nell’area di servizio  sulla A/4” disse Kim.
Semir si sentì  mancare il terreno sotto i piedi.
La testa iniziò a girargli furiosamente.
 
“Calmati, non può essere vero” disse la voce familiare dietro le sue spalle.
Con sollievo, quasi con le lacrime agli occhi, si girò e lo vide.
Ben era lì.
 
“Noi… noi non volevamo fare nulla di male… era tardi e nessuno ci dava un passaggio. Così… Adam ha detto che avrebbe lasciato l’auto al parcheggio della stazione. Io… io sapevo che era una cosa sbagliata, ma avevo paura, non volevo restare sola nel parcheggio. E  avevo paura…”
Aida a stento riusciva a parlare fra i singhiozzi, mentre la Procuratrice la ascoltava in silenzio.
“Sì è vero, Adam ha lasciato l’auto al parcheggio, ma vi rendete conto che avete comunque fatto una cosa molto, molto grave…” rispose seria la Wailer.
“Sì lo so e ne sono molto pentita…” rispose la ragazzina.
“Senza contare il fatto che mi hai mentito, hai detto che andavi a studiare a casa di Martha ed invece sei andata, facendo l‘autostop, sino Berlino” Andrea quasi urlava.
Aida non rispose, continuando a fissare a terra, scossa dai singhiozzi.
Semir stava seduto in un angolo, incapace di dire o fare qualsiasi cosa.
Anche Ben aveva perso la parola e stava lì muto ed incredulo.
 
“A quanto leggo nel tuo fascicolo scolastico hai un bel caratterino…” fece ancora la procuratrice sfogliando la cartellina davanti a sé.
Finalmente Semir  vinse lo choc.
“E’ un periodo difficile per la bambina” disse piano.
“Sì ho letto la relazione dello psicologo della scuola” sorrise la Wailer.
A Semir quella donna ispirava fiducia. Sembrava dolce e materna e stava facendo di tutto per non impaurire Aida.
“Va bene, Aida, puoi aspettare un po’ di là con tua madre?”  la Procuratrice sorrise rassicurante mentre la bambina e Andrea uscivano.
Subito dopo fu il turno di Adam, che si sedette con il padre davanti alla Procuratrice fissandola negli occhi.
“Tutta colpa di questo piccolo delinquente, è solo colpa sua…” sibilò Semir, mentre Ben fissava il ragazzo torvo.
“Dunque… hai qualcosa da dire? A quanto leggo non sei nuovo a questo tipo di cose” disse la Wailer guardando fisso Adam, che però non abbassò lo sguardo.
“No…  non ho da dire niente, del resto avete le foto, sapete cosa è successo, cosa me lo chiedete a fare. L’unica cosa che voglio dire  è che Aida non c’entra nulla, ho fatto tutto io, l’ho praticamente costretta a salire sull’auto”
Il padre di Adam, un mite signore dall’aria stanca, avvampò dalla vergogna.
“Figliolo non ti rivolgere così alla dottoressa, abbi più rispetto” fece adirato.
Ma la Wailer non sembrava tipo da farsi intimidire da un ragazzino.
“Ti rendi conto che questo è già il tuo terzo reato..” disse scandendo le parole.
Adam stavolta rimase in silenzio.
“Ma tu guarda questo stronzetto… da dove è uscito questo cretino…” fece Ben mentre gli mollava un ceffone dietro la nuca.
Adam sobbalzò guardandosi intorno, ma non vedendo nessuno alle sue spalle rimase  ancora in silenzio.
“Signor Nitch, il ragazzo deve  essere più sorvegliato a quanto pare” disse ancora la Wailer rivolgendosi al padre di Adam.
“Me ne rendo conto signora Procuratrice, ma io sono rimasto vedovo tre anni fa. Devo portare avanti la famiglia, sei figli… Adam è il maggiore… mi spiace, mi spiace davvero tanto” La voce dell’uomo era incrinata dal pianto.
 
La conversazione fu improvvisamente interrotta da colpi prepotenti alla porta.
Subito dopo fecero irruzione nell’ufficio Bohm , seguito a ruota da Rolf Junker.
“Buon pomeriggio signori” fece Bohm, guardando soddisfatto Semir.
“Ecco ci mancava solo quest’altro deficiente” disse Ben avvicinandosi.
“Bohm cosa ci fa qui, il caso è della CID. Mi pareva di essere stata chiara al telefono” intervenne subito Kim.
La donna si era immaginata  la soddisfazione del Commissario della disciplinare quando aveva scoperto che nella vicenda era coinvolta Aida Gerkan.
“Sì certo, ma il signor Junker mi ha appena informato che nell’auto aveva una valigetta con importanti documenti, che è sparita” rispose con soddisfazione Bohm guardando fisso Semir.
“Ne è sicuro?” chiese la Wailer a Junker che annuì.
“Sì certo, era sui sedili posteriori ed è sparita”
“Adam… hai preso la valigetta?” chiese la Procuratrice guardando fisso il ragazzino.
“No, non l’ho vista, era  buio quando ho parcheggiato e non ho proprio guardato su sedili posteriori”
La voce  del ragazzino era dura e sicura di sé.
“Brutto bugiardo… l’avete presa voi, tu e quella delinquentella che c’è qui fuori. Del resto tale padre tale figlia” intervenne Bohm con un ghigno sul volto.
 
Semir esplose. Si alzò e fronteggiò Bohm.
“Bohm non si permetta mai più di chiamare mia figlia delinquente…”
Ben  si aggirava come una tigre nella stanza.
“Che c’è Gerkan? Non ho detto niente, del resto anche lei è stato in riformatorio da giovane, mi pare. Si vede che la delinquenza giovanile è una tendenza di famiglia” Bohm gli rise in faccia.
Semir stava per saltargli al collo, se non fosse stato per Ben che lo bloccava.
“Stai calmo, non ci guadagni nulla a fare così, poi ci penso io a questo stronzo” sibilò.
“Per sua figlia, Gerkan, c’è già un posto in riformatorio. La stessa  stanza che aveva lei, così si sentirà a casa” continuò beffardo il Commissario della disciplinare.
“Commissario Bohm, posso sapere a che titolo lei è qui?” chiese la Procuratrice, con voce durissima.
“Io… ho ricevuto  per primo la denuncia del signor Junker” Bohm si rese conto che aveva passato i limiti.
“E le sembra una buona ragione per interrompere  un interrogatorio? Per un caso che non è di sua competenza?” chiese ancora la Wailer. La sua voce incuteva timore.
“No, è che volevo informarla degli sviluppi”  Bohm aveva perso la sua tracotanza.
  “Bene, ora ci ha informati. Si accomodi fuori, non ha più nulla da fare qui” continuò la donna.
“Ma io…”
“Se non è fuori di qui entro dieci secondi, le assicuro che sarà mia cura chiamare il capo della Polizia per informarlo del fatto che si è intromesso in una indagine che non è di sua competenza. E questo se non sbaglio si chiama abuso d’ufficio, Bohm…”
 Il Commissario uscì mogio.
“Tosta la tizia…” sorrise Ben, mentre Semir tirava un sospiro di sollievo.
 
“Dunque signor Junker in questa valigetta c’erano solo documenti, giusto?” chiese la Wailer quando Bohm fu uscito.
“Sì…”  rispose imbarazzato l’uomo, ma Semir percepì immediatamente che qualcosa non andava.
“Beh mi sembra un po’ improbabile che dei ragazzini siano interessati a dei documenti. E del resto l’auto è rimasta incustodita nel parcheggio per molto tempo” 
“Sono stati loro, vi dico che sono stati loro!” sbottò Junker.
“Io e Aida non ne sappiamo nulla” intervenne Adam.
“Ragazzino, tu parli solo se interrogato chiaro?”
Gli occhi della Wailer lanciavano lampi mentre si rivolgeva ad Adam.
“Comunque allo stato non sappiamo nulla di certo. E’ probabile che chi l’ha presa vedendo il contenuto la lasci  in qualche posto… di solito capita sempre così con le cose che non possono essere riutilizzate” concluse la Procuratrice.
 
 
Semir stava aspettando seduto accanto ad Aida ed Andrea che la Procuratrice Wailer si consultasse con i suoi capi per decidere il destino dei due ragazzi.
Sentiva come se tutto il mondo si fosse capovolto in un istante.
La sua bambina, la sua piccola tenera piccina rischiava davvero di finire in riformatorio.
Ben era rimasto dentro e si aggirava in tondo, ascoltando attento la telefonata.
“Meno male che c’è…” si disse Semir. Solo la sua presenza, il fatto che lo guardasse e gli parlasse con calma gli aveva evitato il crollo emotivo.
Ruth Wailer chiuse la chiamata e Ben rivolse a Semir, attraverso la vetrata, un gran sorriso, alzando il pollice.
Il piccolo turco sentì come se un masso gli fosse caduto dal cuore, mentre entravano  tutti di nuovo nell’ufficio della Kruger.
“Dunque… per quanto riguarda te, Aida, poiché  è la prima volta che commetti un reato, vista la tua giovane età abbiamo deciso di soprassedere. Dovrai frequentare però dei corsi pomeridiani sulla legalità e andare dallo psicologo una volta a settimana. Spero che tu ti sia resa conto della gravità di quello che hai fatto…”
La bambina guardò la Wailer con le lacrime che le scendevano sulle guance.
“Certo… signora, non lo farò mai più giuro, sono molto dispiaciuta davvero” sussurrò.
“Ne sono certa Aida. Del resto tuo padre è un poliziotto, devi prendere esempio da lui” sorrise materna la donna.
Andrea, ancora pallida in viso, prese per mano la figlia e si avviò all’uscita.
“Ti aspettiamo fuori” disse al marito.
“Per quanto riguarda te Adam, invece, la situazione è un po’ più complicata. E’ il tuo terzo reato, e poi hai anche guidato senza patente, su di un’autostrada… coinvolgendo la tua amica tra l’altro”
Il padre del ragazzino aveva un’aria smarrita e fece molta pena  a Semir.
 “Comunque… voglio darti ancora fiducia. Sei molto giovane e spero che tu abbia capito la gravità di quello che hai combinato. Ma è l’ultima volta. La prossima finisci in riformatorio. Ci siamo capiti?”
Adam annuì.
“Comunque dovrai fare cento ore di servizi sociali, il sabato e la domenica, e rientrare a casa sempre subito dopo scuola per sei mesi. Se ti beccano in mezzo alla strada,  ti spedisco in istituto in meno di un attimo. Intesi?”
Ancora una volta Adam annuì.
“Voglio però dirvi che la storia della valigetta non è finita qui, se scopro che l’hai presa tu o la tua amica le conseguenze saranno gravi.Bene è tutto” disse la Procuratrice raccogliendo i fascicoli.
“Come sarebbe a dire è tutto?” urlò Bohm entrando di nuovo in ufficio.
Ruth Wailer lo guardò come si guarda un insetto.
“Commissario… credevo di essere stata chiara. Vuole per caso mettere in discussione le mie decisioni?”
Bohm la guardò inviperito, ma fu costretto a rispondere “No no  di certo”
 
Semir si trattenne nella stanza dopo che tutti erano usciti.
“Dottoressa… le sarò  grato in eterno. Le assicuro che Aida è una brava bambina, ma ha passato un periodo difficilissimo. Le starò più dietro, sperando che mia moglie me lo permetta, ma la cosa non si ripeterà più… grazie per quello che ha fatto ”
Ruth Wailer lo guardò sorridendo.
“Ho solo applicato le norme. E poi ispettore sono anche io madre, sono separata e ho un figlio di tredici anni, so quanto può essere difficile avere a che fare con gli adolescenti”
Era davvero una bella donna. Bella e coraggiosa.
Semir aveva letto di lei sui giornali. Si stava occupando di un grosso caso di corruzione.
“Ancora grazie” disse Semir stringendole la mano.
“Ehhhh vaiii il nostro stallone turco ha colpito ancora…” ridacchiò Ben alle sue spalle.
“Ma che dici…” sibilò il piccolo turco, cercando di non farsi sentire.
“Hai visto come ti guardava? Ispettore… ho solo applicato le norme… sono madre anche io… secondo me le piaci” continuò Ben.
“Ma i “cupido” non sono un diverso tipo di angelo?” rise Semir, finalmente un po’ più rilassato.
“In effetti è un altro settore. Ma all’occorrenza possiamo sostituirci a vicenda”  risposeBen.
“Ora vai da Aida e Andrea. Io mi devo occupare di una cosa” disse poi sparendo silenzioso.
 
Uscito nel parcheggio Semir ebbe la sgradevole sorpresa  di trovare Robert che discuteva animatamente con Andrea.
Sospirando e cercando di restare calmo il piccolo turco si avvicinò.
Il nuovo amore di Andrea era alto e muscoloso, con l’aria spocchiosa di chi è vissuto nella ricchezza da sempre.
“Aida, abbraccia papà” disse l’ispettore avvicinandosi alla figlia che aspettava poco distante.
La bambina esitò un attimo, ma poi si rifugiò nelle braccia del padre e scoppiò di nuovo in singhiozzi.
“Non lo faccio più, giuro, non mentirò mai più… perdonami” sussurrò.
“Certo che non lo farai più. Perché tu sei una bambina intelligente e hai capito di aver sbagliato, giusto?” disse Semir accarezzando la schiena della bambina.
Aida annuì tirando su con il naso.
“Aida, io te lo devo chiedere… davvero non sai nulla di quella valigetta?” chiese il padre prendendo il fazzoletto dalla tasca e asciugando il viso della bambina.
“No papà… te lo giuro…” balbettò la bambina.
“Ma non sai se l’ha presa Adam… lui ti ha lasciato prima a casa di Martha, giusto?”
“Sì, ma io conosco Adam… sono sicura che non l’ha presa lui…”
“Aida… abbiamo già parlato di Adam, non mi piace il fatto che tu lo frequenti” disse Semir.
Ma il discorso non poté continuare perché Andrea e Robert si stavano avvicinando.
 
“Andrea è giunto il momento di parlare seriamente delle nostre figlie” disse Semir con tono serio.
La moglie lo guardò con occhi ancora impauriti per quello che era successo.
“Forse più che discutere dovresti fare di più il padre” intervenne Robert.
 Semir lo guardò irato, ma cercò di mantenere la calma davanti alla figlia.
“Forse dovresti farti i cavoli tuoi” rispose acido.
“Sono fatti miei perché sono figlie di Andrea. E certo non voglio che si trasformino in piccole delinquenti”
Semir divenne rosso di rabbia.
“Chi credi di essere eh? Come ti permetti?” sbottò a muso duro.
“Semir smettila, per favore…” implorò Andrea.
Ma il piccolo turco era furibondo anche con lei.
“Io la devo smettere? Io? Questo qui chiama delinquenti le nostre figlie e tu dici a  me di smetterla?”
“Robert non voleva offendere è solo preoccupato…”
“Lui non è il padre di Aida e Lily. Io sono il padre. Spetta a me l’educazione delle bambine.  Me e a te. A nessun altro” Semir scandì le parole guardando con odio l’uomo di fronte a lui.
“E se tu mi permettessi di stare un po’ più con loro…” continuò.
“Fino ad ora non mi sei sembrato molto in grado di occuparti delle tue figlie” rispose acida Andrea.
“Papà… mamma vi prego… non litigate per me…” balbettò Aida sempre più disperata.
Semir si bloccò di fronte alla disperazione della bambina.
“Non litighiamo per te, non ti preoccupare. Facciamo così, ora vai a casa. Ci vediamo venerdì pomeriggio, ok?” disse poi abbracciando la piccola.
“Venerdì le prendo da scuola. E non voglio sentire scuse” disse duro alla moglie prima di entrare di nuovo nel Distretto.
 
Ben  stava a guardare Bohm che si lavava le mani nel bagno del  Distretto.
Era indeciso su cosa voleva fare a quello stupido pallone gonfiato.
La vendetta doveva essere meditata bene e soprattutto doveva essere tale da non suscitare le reazioni irate dei suoi superiori celesti.
Stette a guardare con disgusto Bohm che si rimirava allo specchio vanitoso, aggiustandosi i capelli e facendo le smorfie per controllare le rughe del viso.
 Mentre lo guardava ebbe la prima illuminazione.
Piano piano aprì la fontana del lavandino e diresse il flusso sui pantaloni di Bohm, senza che lui se ne accorgesse.
“Iniziamo da questo” rise, mentre  il Commissario usciva dal bagno con una grossa macchia  proprio sul cavallo dei pantaloni.
Semir lo incrociò all’uscita e gli venne immediatamente da ridere, vedendo Ben che gli indicava i pantaloni dell’uomo.
“Beh, Bohm mi pare un po’ presto  per i problemi d’ incontinenza…” sorrise malefico.
Bohm all’inizio lo guardò perplesso prima di diventare violaceo mentre lo sguardo gli cadeva sui pantaloni.
“Stronzo” imprecò mentre correva di nuovo in bagno.
 “E questo è niente…” fece Ben con sguardo truce.
 
Adam era stato praticamente chiuso dal padre in camera sua, con l’ordine tassativo di non uscire sino al mattino dopo.
Era dispiaciuto per il suo vecchio. In auto non aveva fatto altro che piangere silenziosamente.
Ma  Adam era sicuro che  ora tutto poteva cambiare. La loro vita poteva cambiare.
Niente più povertà, niente più vestiti comprati al mercato di seconda mano, niente più cibo comprato al discount.
Con le mani tremanti alzò il materasso e prese il sacchettino che aveva nascosto sotto.
Diede  un’occhiata al contenuto e poi prese una delle piccole pietre in mano.
Luccicava alla luce della lampada e, anche se non se ne intendeva, Adam capiva che valeva molto.
E capiva anche che se quel tizio aveva detto che nella valigetta c’erano solo documenti voleva dire che c’era qualcosa di losco sotto.
Ma questa era una fortuna per lui.
Sì, decisamente la loro vita stava per cambiare.



 
Angolino musicale: Semir è in preda alla disperazione, si sente di nuovo “sprofondare”, ma quando tutto sembra perduto …“puff” (come amiamo dire noi socie- autrici) ecco che riappare il nostro “beniamino”.
Detto ciò la canzone scelta per questo capitolo è dei Beatles… “Help!” (aiuto!) per ascoltarla:

https://www.youtube.com/watch?v=bHaIdwbkfkI
Aiuto! Ho bisogno di qualcuno .Aiuto! Non di uno qualsiasi. Aiuto! Sai ho bisogno di qualcuno. Aiuto! Quando ero più giovane Molto più giovane di oggi Non avevo bisogno dell'aiuto di nessuno In niente Ma ora quei giorni sono passati E non sono così sicuro di me Ora scopro che ho cambiato le mie opinioni Ho aperto le porte Aiutami se puoi, mi sento triste E apprezzo molto che tu sia qui in giro Aiutami a tornare con i piedi per terra Non vuoi per favore, per favore aiutarmi? Ed ora la mia vita è cambiata In così tanti modi La mia indipendenza sembra svanire nella nebbia Ma ogni tanto Mi sento così insicuro Io so che ho bisogno di te Come non era mai successo prima Aiutami se puoi, mi sento giù E apprezzo molto che tu sia qui Aiutami a tornare con i piedi per terra Non vuoi per favore per favore aiuto

Angolo delle autrici: 
Riprendiamo il nostro giochino… come al solito chi indovina potrà farci  una domanda sul prosieguo della storia; è ammessa qualsiasi tipo di domanda, tranne quelle sulla salute del nostro fantasmino.

Dunque…

Indovina indovinello
Perché la Procuratrice, pur all’apparenza così indifesa, non molla mai la presa?

Non ci stancheremo mai di ringraziarvi, carissime lettrici… siete il nostro orgoglio ragazze fantastiche.
Maty e Chiara

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Fidarsi é Ben non fidarsi é meglio ***


Image and video hosting by TinyPic
 
 
Fidarsi è  Ben non fidarsi è meglio!
 
“Grazie per essermi stato vicino” sussurrò Semir, anche se si rendeva conto di stare parlando ad una fantasia. Ma non gli importava, aveva passato uno dei giorni più brutti della sua vita e ringraziava Dio di aver avuto quell’aiuto, reale o meno che fosse.
“Non credere che abbia scordato la storia della carta igienica… ti devi far perdonare!” fece lui con la solita aria di quando si fingeva arrabbiato.
“E cosa posso fare per farmi perdonare?” chiese  l’amico contrito.
 In realtà era veramente mortificato per quello che era successo.
“Te lo farò sapere appena sono pronto” rispose  il giovane, con aria quasi malefica.
E a Semir passò un piccolo brivido lungo la schiena al pensiero di cosa poteva combinare lui, reale o meno che fosse.
 
“Sparita??? Quindi la valigetta non era in macchina?” urlò Toht.
Rolf Junker sentì un brivido corrergli lungo la  schiena. Il suo capo non era tipo da perdonare errori così grossi.
 “No capo, e i ragazzini dicono di non averla vista. Non è colpa mia se quella stupida della Wailer non ha insistito più di tanto nello scoprire la verità. Del resto mica potevo dire cosa c’era in realtà dentro la valigetta…”
“E neppure  Bohm ci è riuscito?” chiese sempre più arrabbiato Toht.
“No capo, a quanto ho capito fra  lui e questa procuratrice non ci sono buoni rapporti, l’ha praticamente cacciato dall’ufficio…” giustificò ancora Junker.
Toht tirò un paio di respiri profondi nel tentativo di calmarsi; doveva restare lucido. Quella maledetta della Wailer, ancora lei…
“Va bene, torna  qui. Dobbiamo decidere il da farsi”
 Attaccò la chiamata con un gesto rabbioso.
Era così vicino alla soluzione di tutti i suoi problemi ed ora tutto era stato vanificato da due ragazzini e dall’ incompetenza dei suoi uomini. Ed il tempo stringeva.
 
 
“Sì dottore, scusi, ma oggi ho avuto una giornata spaventosa, non si potrebbe rimandare?”
La voce al telefono di Semir, mentre rispondeva allo psicologo, era nervosa. Quella sera avrebbe dovuto fare uno dei tanti test che gli propinavano da molti mesi senza alcun risultato visibile e la cosa non gli andava proprio. Aveva fatto il diavolo a  quattro per ottenere la serata libera dalla Kruger e ora doveva passarla dallo strizzacervelli?
“Ok va bene, sarò lì fra venti minuti” rispose alla fine arrabbiato.
Doveva andarci per forza, ma Semir si ritrovò a pensare all’ inutilità di tutte le terapie seguite in quei mesi. In fondo l’aveva aiutato molto di più la sua “fantasia” in pochi giorni che tutti i colloqui avuti con psicologi, psichiatri o terapeuti vari.
  “Dove devi andare fra venti minuti?” chiese Ben.
 “Per favore, te lo chiedo per favore,  non mi aiutare… resta fermo e buono…” implorò Semir anche se la parte emotiva del suo cervello era infinitamente felice che lui fosse ancora lì.
 
 
“Allora ispettore. Questo è il test delle macchie di Rorschach. Sullo schermo le compariranno delle immagini e lei dovrà  scrivere cosa vede. Il test è stato un po’ modificato, e lei può rispondere  con le riposte preimpostate oppure descrivendo a parole sue quello che vede. Il sistema  registrerà le sue risposte. Faccia con calma” disse l’infermiera facendo sedere Semir davanti ad uno schermo di  un PC in una stanza separata dallo studio del medico da una grossa vetrata.
Dai vetri Semir vedeva Ben che si aggirava nello studio dell’analista, sbirciando fra le varie carte che c’erano sulla scrivania.
“Stai fermo… per favore stai buono” implorò a se stesso più che altro.
Poi sullo schermo apparve la prima figura.
Semir la studiò per un attimo: cosa ci vedeva? Nulla, gli sembrava solo una macchia d’olio.
Controllò sulle riposte prefissate, ma non trovò nulla che lo ispirasse.
Mentre girava la testa per cercare di cambiare prospettiva Ben gli arrivò di spalle.
“Non ti preoccupare ho le risposte esatte!” disse trionfante.
“Non è mica un quiz…” sibilò Semir cercando di non farsi vedere o sentire dall’infermiera nella stanza accanto.
“No, ma ho le riposte di questo tizio che ha preso come punteggio finale dieci, il massimo. Deve essere uno perfettamente a posto con la testa per prendere dieci” borbottò lui.
“Ecco, figura numero 1. Devi rispondere: Cavallo squartato ed eviscerato dal macellaio!”  
“Eh??? Ma non c’è nelle riposte precompilate… e poi che razza di riposta è?” Semir praticamente fece un salto dalla sedia.
“L’infermiera ha detto che puoi anche scrivere una riposta diversa. E che ne so… forse vogliono vedere se sai resistere alla vista di cose truculente” continuò Ben con aria sicura.
“Ma a me sembra più una farfalla…” obiettò Semir guardando con attenzione la figura.
“Ecco questa invece sarebbe una risposta infantile… non è una farfalla… è un cavallo squartato ed eviscerato dal macellaio!!!”
 “Ma sei sicuro?” chiese Semir indeciso.
“Sicurissimo!!!”
Semir scrisse la risposta con aria interdetta.
Poi comparve la seconda figura.
“Ecco, secondo me questo sembra un bel paesaggio di campagna. Con  il sole che sorge  all’orizzonte” disse Semir scrutando lo schermo.
“Eh sì…  ma non fai il test per diventare contadino. La risposta che dà maggior punteggio è ‘sedia elettrica con un condannato sopra’”
 Semir sobbalzò di nuovo.
“Ma che stai dicendo???” disse con un tono di voce talmente alto che l’infermiera alzò lo sguardo dai fogli che stava leggendo.
“Beh ci può stare dai… quelle cose lì in alto sono i fili della sedia elettrica. E poi scusa sei un poliziotto? Sedia elettrica, condanna, pena, polizia… logica come risposta” continuò Ben anche se ora aveva anche lui un’aria un po’ perplessa.
Semir ancora una volta obbedì a malincuore.
“Ecco figura numero 3…mano mozzata che galleggia in un mare di rifiuti” disse Ben mentre la voce diventava sempre più roca.
“Questo proprio non lo scrivo!!!” si inalberò il piccolo turco.
“Ispettore, ma  con chi parla? Lo sa che l’uso del cellulare non è consentito durante il test” disse l’infermiera entrando nella stanza.
“Sì mi scusi infermiera, era una cosa urgente” fece Semir fingendo di rimettere il cellulare in tasca.
“Avanti scrivi, non ho tutta la serata, devo andare a rapporto da Otto dopo” disse Ben fingendosi spazientito.
“Ma sei sicuro?” chiese ancora una volta l’amico.
“Sicurissimo!!!”
 
 
“Sai cosa significa? Se abbiamo perso i diamanti siamo tutti fregati. Non ho le liquidità necessarie per ricomprarli e il processo inizia fra due settimane”
Toht urlava tutta la sua rabbia in faccia a Junker.
“Sì lo so capo, ma quella Wailer non mi ha fatto parlare. Ha cacciato Bohm dall’ufficio e non mi è stata a sentire, ha lasciato andare i ragazzini senza neppure fare tante domande” balbettò l’uomo.
“Ruth Wailer… sempre lei. Se non riusciamo a corrompere il giudice quella donna mi farà nero al processo. Rischio vent’anni di galera, te ne rendi conto? Ma non credere… se io vado a fondo vai a fondo anche tu!!!”
Junker abbassò lo sguardo.
“Credi che non lo sappia? Ma si può ancora rimediare… per me sono stati i ragazzini. O meglio il maschio. L’ho visto aveva l’aria da vero teppistello arrogante. Mi ha guardato tutto il tempo con aria di sfida. L’ha presa lui di sicuro…” si giustificò terrorizzato.
“Spera che sia così. Perché se non sono stati loro non avremo nessuna possibilità di recuperare  i diamanti prima del processo. Cosa hai intenzione di fare?” chiese Weber che aveva recuperato un po’ di freddezza.
“E’ un ragazzino… basterà prenderlo e strapazzarlo un po’. Se sa qualcosa lo dirà di certo…” fece beffardo Junker.
“Sì, ma poi? Certo non lo possiamo lasciare andare così”
Junker sorrise sempre più malefico.
“Succedono tante cose brutte, soprattutto ai ragazzini che hanno cattive frequentazioni…”
 
Semir stava seduto nello studio dello psichiatra in attesa dei risultati del test.
“Ma quanto ci mette?” chiese impaziente Ben.
“Ma scusa voi non avete tutta l’eternità per fare le cose?” Semir parlava sottovoce.
Già un paio di volte aveva rischiato di essere scoperto a parlare  all’aria e la cosa non era proprio il massimo fatta davanti ad un analista.
“Non con Otto. E’ già la terza volta che chiama. E’ incazzatissimo per la storia di Jenny e Hartmut”
“Te lo avevo detto io di non fare il lavoro dei colleghi cupido” sorrise Semir.
“Già, ma intanto domani escono di nuovo insieme” disse lui sardonico.
Il dottor Klein entrò finalmente nella stanza.
Con aria preoccupata si sedette alla scrivania e guardò Semir.
“Ispettore, purtroppo dobbiamo rifare il test. Credo che ci sia stato un errore del sistema…”
Semir lo guardò perplesso, ma una strana sensazione si fece strada in lui.
Iniziò a guardare con aria truce Ben che si fingeva indifferente.
“Vede… il sistema ha registrato le sue risposte, ma sono assolutamente identiche a quelle di un test che la settimana scorsa abbiamo fatto su di un serial killer richiuso in un carcere di massima sicurezza. Sono le stesse risposte, con lo stesso punteggio… dieci, ma qui si tratta di un serial killer. E’ il punteggio che si dà a chi ha disturbi mentali gravissimi…”
“Dieci eh… e si dà a chi ha turbe mentali  gravissime…” ripeté Semir mentre guardava inferocito Ben.
“Ops…” fece lui con aria colpevole.
“Vede sono le stesse risposte, sanguinarie e assurde…” disse  ancora il medico mostrando a Semir dei fogli.
“Non c’è altra spiegazione, il sistema è andato in tilt… se si vuole accomodare di nuovo ci metteremo due minuti a rifare il test” concluse il medico invitando Semir a tornare nella stanza accanto.
“Ok… forse è meglio che io vada, si è fatto tardi…” disse Ben sparendo  prima che Semir potesse lanciargli un altro sguardo furibondo e assassino.
 
Adam gettò il sacco dei rifiuti nel cassonetto e si avviò verso casa.
Da molte ore stava pensando a come piazzare quei diamanti.
Non era facile, non poteva rivolgersi a nessuno e si rendeva conto che ben pochi si sarebbero fidati di un ragazzino che cercava di vendere delle pietre preziose. In realtà non aveva neppure idea di quanto valessero, anche se si era fatto l’idea che era meglio vendere i diamanti un po’ per volta.
Perso nei suoi pensieri non si accorse della berlina nera che gli si affiancava se non quando non si sentì strattonare e tirare all’interno dell’abitacolo.
Non ebbe il tempo di urlare. Si ritrovò sul fondo della berlina  con una pistola puntata in mezzo agli occhi.
“Allora  moccioso, ora facciamo due chiacchiere…” gli disse Junker sorridendo cattivo.
 
 
 
Angolo musicale: A Semir bisognerebbe dire che: fidarsi è Ben, ma qualche volta non fidarsi è meglio. Ben sta diventando un po’l’anima e la guida del piccolo ispettore …”nella buona e nella cattiva sorte” , quindi la scelta è:
“Let Your Soul Be Your Pilot”   (Lascia che la tua anima sia la tua guida) di Sting
Per ascoltarla:
https://www.youtube.com/watch?v=WGdV_niLcVk
Quando tu sei giù e gli altri contano Quando tutti i tuoi segreti sono svelati Quando le tue preoccupazioni sono in salita Quando il progetto che hai ti porta a dubitare Quando non ci sono informazioni E la bussola indica nessun luogo che conosci bene Lascia che la tua anima sia la tua guida Lascia che la tua anima ti guidi, ti guiderà bene
Quando i medici non sono sufficienti a guarirti Quando nessuna medicina può farti stare bene Quando nessun consiglio ti porta conforto Quando non ci sono più bugie che possano dirti Non altre informazioni inutili E la bussola ruota tra il paradiso e l'inferno Lascia che la tua anima ti guidi, ti guiderà bene
La distanza sembra così strana per te ora Lascia che le tue pene siano i miei dispiaceri Lascia che le tue lacrime siano anche le mie Lascia che il tuo coraggio sia il mio modello
Lascia che la tua anima sia la tua guida
Lascia che la tua anima ti guidi sulla tua strada
 
Angolo delle autrici
 And the winner is… AFRIKA. Complimenti.
La Procuratrice non molla mai la presa perchè è RUTH WAILER (provate a leggere nome e cognome di seguito).
Maty precisa che il tutto è ovviamente stato partorito dalla mente un po’ contorta di Chiara che ama alla follia questi giochi di parole ( vi ricordate Luis Sifer?)
Due domande per Afrika quindi.
Grazie sempre di seguire le nostre storie… ragazze fantastiche.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La vendetta di Ben ***


 
“Allora sei sano di mente?” chiese Ben poggiato sull’auto, vedendo Semir che usciva dalla clinica medica.
“Zitto tu… hai rischiato di farmi passare per un serial killer…” sibilò Semir.
In realtà il suo animo era abbastanza euforico, nonostante l’ennesimo pasticcio dell’allucinazione.
Il risultato del nuovo test era stato ottimo ed anche nel successivo colloquio lo psicologo gli aveva confermato che la situazione  pareva nettamente migliorata.
“E dai… cosa sarà mai… e poi è niente a confronto di quello che hai fatto tu…”  rispose lui con il solito sguardo da bambino imbronciato.
 “Prima o poi questa fantasia finirà… cosa farai?” pensò Semir.
Ma ormai non poteva fare a meno di rivolgersi e considerare lui come reale.
“A proposito, so come devi farti perdonare” gli disse Ben indicandogli un manifesto attaccato al muro.
Era la pubblicità di un pub nelle vicinanze: “Serata cantanti dilettanti” recitava a lettere cubitali dorate.
“E che cosa dovrei fare?” chiese Semir stupito.
“Cantare una mia canzone, che altro…” rispose malizioso Ben.
 

“Ragazzino, te lo chiedo per l’ultima volta, dove hai messo la  valigetta” urlò Junker in faccia ad Adam.
Il ragazzo era stato  trascinato in un lurido sottoscala e legato mani e  piedi ad una sedia.
“Non so di cosa stia parlando, signore, io non ho visto nessuna valigetta… lo giuro”
La voce di Adam era ancora sfrontata e ribelle, ma il ceffone che gli arrivò in pieno viso gli fece sanguinare il labbro e perdere l’aria di sfida che aveva negli occhi.
Le cose si stavano mettendo male.
“Ragazzino, chi credi di prendere in giro eh? Se  non mi dici subito la verità giuro che ti rompo le ossa una ad una…”
Weber lo scagnozzo  che accompagnava Junker dappertutto si avvicinò facendo schioccare le nocche delle dita.
Quel rumore provocò in Adam una fitta di terrore, ma continuò a rimanere in silenzio.
Di certo non l’avrebbero lasciato andare anche se diceva la verità.
Un altro ceffone gli arrivò in viso senza alcun preavviso, lasciandolo stordito.
“Allora… ti decidi?” chiese di nuovo Junker.
Adam continuò a rimanere in silenzio, questa volta a testa bassa.
“Il moccioso è un tipo tosto, a quanto vedo… non ha paura. Ma vedremo come reagisce quando porteremo qui il padre e lo faremo a fettine davanti ai suoi occhi. Oppure possiamo prendere una delle sue sorelle… sono molto carine… la prima ha dodici anni giusto?” sibilò Junker in faccia ad Adam.
“Bastardo… lascia stare la mia famiglia… non li toccare!!!” urlò il ragazzino dimenandosi sulla sedia.
 
 
“Non se ne parla, non lo posso fare!!! Tu stesso dici che a cantare sono un vero strazio!!!”
Semir quasi urlava disperato mentre si guardava allo specchio e vedeva l’abbigliamento  che lui l’aveva costretto ad indossare.
Jeans e camicia con le maniche arrotolate, Semir si sentiva fuori posto.
“Serata dilettanti, si chiama così, nessuno sa cantare effettivamente in questi posti.  Il necessario è che tu faccia conoscere  un po’ la mia canzone. Senza che sia associata a funzioni corporee non tanto profumate…” disse Ben, guardando compiaciuto la sua opera.
“Ti prego Ben, tutto ma non questo…” supplicò.
“Hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa per farti perdonare…” lo  beccò la sua fantasia.
Semir sospirò rassegnato, un po’ perché ancora mortificato, un po’ per paura che sparisse di nuovo.
“E cosa devo cantare? Spero qualcosa che almeno conosco…”
“Certo, l’ho cantata tante volte, è la preferita di Andrea…”
“The Longing? Ma dai,  è una canzone d’amore…  devi essere ispirato per cantare questo tipo di canzoni…”
Ben  sorrise compiaciuto.
“Non ti preoccupare… la troverai l’ispirazione…”

 
“Allora??? Ho perso la pazienza moccioso…”  disse Weber tirando l’ennesimo schiaffo ad Adam, il cui viso era ormai pieno di lividi.
“Va bene… vai a prendere la sorellina, così ci divertiamo un po’ davanti a lui...”
“Bastardi… no!” Adam urlò disperato, capendo che non era una finta minaccia. Quelli erano capaci di tutto.
“Va bene, parlo… l’ho presa io la valigetta, ma non ce l’ho più. L’ho data al padre di Aida, al poliziotto!!!” disse tutto di un fiato.
 
“Ma siamo sicuri? Secondo me sta mentendo”
Weber bisbigliava per non farsi sentire dal ragazzo.
“Non lo so… può darsi che dica la verità… dopotutto un ragazzino mica poteva pensare di tenersi le pietre e venderle da solo…” borbottò Junker mentre prendeva il cellulare per chiamare il capo.
Dopo una lunga conversazione l’uomo raggiunse il compare.
“Il capo dice che questo Gerkan ha grossi problemi economici, quindi effettivamente potrebbe averceli lui i diamanti. Dopo tutto dovrà avere molti contatti cui rivolgersi nella malavita turca…”
“E cosa facciamo?” chiese Weber.
“Per ora il capo dice di cercare in casa del poliziotto… forse ancora non  li ha smerciati”
I due si avvicinarono ad Adam.
“Casa facciamo con lui?”
“Per ora nulla…  lo lasciamo  qui… ma se ci ha mentito…” sghignazzò Junker, mentre prendeva un grosso pezzo di nastro adesivo e  tappava la bocca del ragazzino.
 

Il locale era affollato e pieno di gente di tutti i tipi. C’erano molti tavolini cui stavano prendendo posto gli spettatori.
“Ti devi iscrivere lì e consegnare la base  musicale” disse  Ben indicando un banchetto vicino al piccolo palco. Mentre lo spingeva quasi a forza verso il banchetto Ben si guardava continuamente intorno come alla ricerca di qualcuno.
“Cosa stai combinando?” chiese preoccupato.
“Nulla, non ti preoccupare” mentì spudoratamente lui.
 
“Allora come ti vuoi presentare?” chiese il donnone che era al banchetto e prendeva la quota d’iscrizione.
“Con il mio nome come mi devo presentare?” chiese stupito Semir.
“Vuoi essere presentato come Smur Gekkin?”
“Semir Gerkan… Gerkan… perché cosa ha di sbagliato il mio nome?” chiese irritato il piccolo turco.
“No nulla, contento tu…” rispose il donnone con  voce maschile.
“Ma no… tu sei lo ‘stallone turco’… il tuo nome d’arte è ‘stallone turco’ ” intervenne Ben.
“No assolutamente no!!!” urlò Semir girandosi dietro ed incrociando gli occhi di un tizio completamente tatuato, con una chitarra a tracolla.
“No cosa, amico?” chiese quello guardandolo come  se fosse pazzo.
Semir sorrise indifferente, ma ormai era già completamente sudato al pensiero di quello che lo aspettava.
 
Il locale era stracolmo e le quinte dietro il piccolo palco affollatissime.
Ora  una graziosa ragazza stava presentando un tizio tutto vestito di pelle che doveva cantare una canzone country strappalacrime.
“E ricordate,  nei cestini a fianco dei vostri tavoli ci sono dei pomodori, da lanciare se il cantante proprio non vi piace, ma siate clementi. Sono solo dilettanti…” fece la ragazza, mentre dal pubblico si levavano fischi e risate.
“Cosa? Pomodori? Ma sai che fine faccio? Mi massacrano…” disse terrorizzato Semir.
“Allora tu attacca tranquillo, io sarò dietro di te e ti aiuto… non ti preoccupare…  e poi tu guarda verso destra, mi raccomando…” fece Ben.
“Che significa guarda verso destra? Che stai combinando?” bisbigliò il piccolo turco preoccupato più che mai.
Si avvicinò  al palco per dare un occhiata al pubblico e quello che vide lo lasciò di stucco.
Andrea e Robert sedevano chiacchierando allegri ad uno dei tavolini sulla destra.
 
“No no, io non esco…” balbettava Semir agitatissimo.
“E dai… è solo il panico prima di entrare, poi quando sei sul palco passa…”  rispose Ben.
 “Signore e signori… ecco a voi  una canzone inedita… dal titolo… ‘The Longing’… canta un nostro amico straniero: Smur Gekkin”  presentò la graziosa ragazza bionda.
Dal pubblico si levarono immediatamente risate e fischi.
“Smur… e che siamo nel Signore degli Anelli?” urlò un ciccione in prima fila.
Semir era completamente bloccato, non  riusciva ad andare né avanti né indietro.
“Coraggio vieni fuori Smigol…” urlò di nuovo il ciccione mentre tutti ridevano e fischiavano.
Ben diede un grosso spintone a Semir che si ritrovò senza neppure sapere come al centro del palco.
Con la coda dell’occhio vide Andrea che lo guardava con occhi sbarrati.
“Ma quello non è…” fece Robert guardandolo a sua volta.
Semir stava fermo al centro del palco senza riuscire neppure a muoversi.
Il pubblico urlava divertito.
La base musicale partì senza che lui emettesse un fiato e dopo alcuni secondi si fermò.
“Coraggio Gollum… canta…”  urlò il ciccione in prima fila.
“E muoviti… canta dai che la sai…” fece Ben dietro, spingendo il piccolo turco mentre la base musicale riprendeva.
è  la luce che vedi sotto la porta
e l'ombra dei passi sul pavimento
le chiamate rifiutate che non puoi ignorare
è il viso che attraversa la stanza
che fa accelerare il battito del tuo cuore
e il riflesso della stanza sul fondo di un bicchiere rotto
proprio come la notte precedente

Ma le qualità canore di Semir non erano migliorate da un giorno all’altro.
E preso dall’emozione stonava ancor di più.
Il pomodoro lo prese di striscio sulla giacca; voltandosi Semir era sicuro che fosse stato il ciccione a lanciarlo, ma subito si accorse che invece era stato Robert, che si stava già chinando per prenderne un altro dalla piccola cesta a fianco del tavolo.
“Ma che fai? Smettila subito” lo rimproverò severa Andrea.
“E’ una schifezza di canzone… e questi sono qui proprio per essere lanciati…” rispose beffardo Robert.
“Non ti permettere!!! Sta cantando una canzone di Ben…” Andrea era rossa in volto dalla rabbia, ma Robert non se ne curò: prese un altro pomodoro e lo lanciò con mira perfetta sul volto di Semir.
Ormai il locale era diventato una bolgia.
Il pomodoro colse Semir in pieno viso fra le risate generali del pubblico.
“Ma tu guarda questo stronzo…” disse Ben prendendo i resti del primo pomodoro e rilanciandoli verso Robert.
“Ehi ma che fai… non puoi lanciare di nuovo i pomodori al pubblico” disse terrorizzata la ragazza guardando Semir.
Robert guardò furioso la macchia rossa che si era creata sulla sua giacca chiara e con l’odio negli occhi prese un altro pomodoro e lo lanciò.
Solo che stavolta non colse Semir, ma il ciccione in prima fila.
L’uomo si girò verso Robert con sguardo assassino e  si avventò contro di lui travolgendo tutti tavolini e quello che c’era sopra.
Dopo di che nel locale si scatenò l’inferno.
 

“Sei sicuro che non ci sia nessuno in casa?” chiese Rolf guardando la piccola villetta completamente al buio.
“Sì ci abita solo lui da quando è separato ed i nostri uomini l’hanno visto uscire un’ora fa” rispose Hans uscendo dall’auto e dirigendosi verso l’entrata.
I due ci misero poco a forzare la serratura ed entrare.
L’interno era buio e silenzioso e alla luce delle torce iniziarono le loro ricerche.  

 
Dieter Bonrath aveva tutta l’intenzione di tornarsene a casa tranquillo dopo la fine del turno di lavoro.
Era stata una giornata del tutto normale, ma ormai sentiva l’età che avanzava e anche una semplice giornata di lavoro passata alla scrivania gli pesava. Soprattutto se davanti a lui c’era Jenny che non la finiva di chiacchierare e parlare della stupenda serata che aveva passato con Hartmut. Anche se tutta la storia era alquanto misteriosa, visto che non si riusciva a capire chi avesse organizzato il tutto.
Dieter sperò vivamente che quella fosse la volta buona.
Li vedeva bene insieme, Hartmut era innamorato pazzo e Dieter era sicuro che, anche se non voleva ammetterlo, anche a Jenny il tecnico non dispiaceva affatto.
Ci fosse stato Ben  i due si sarebbero messi insieme da tempo; il giovane era capace di capire l’animo delle persone come pochi altri  e sapeva creare sempre le occasioni giuste.
Dieter scacciò la malinconia dalla mente, mentre rispondeva alla chiamata di Susanne.
“Susanne, ho finito il turno…” disse al microfono senza neppure salutare.
“No, in realtà manca ancora mezz’ora. La polizia municipale ci ha chiesto una mano. Dovresti andare a dare un’occhiata ad un pub vicino alla tua posizione. E’ scoppiata una rissa” disse Susanne con voce irritata.
“Ma…”
“Niente ma, la Kruger ha ordinato di rispondere alle richieste d’aiuto degli altri dipartimenti. Ti do l’indirizzo”
Borbottando Dieter mise in moto e si diresse verso il pub.
 
“Ehi tu…  brutto nano” fece il ciccione pulendosi con la manica della camicia il succo di pomodoro che aveva sul viso.
“Non sono stato io…” provò a balbettare Semir mentre l’omone, tre volte più alto e grosso di lui lo fronteggiava minaccioso.
Ben continuava a sghignazzare alle spalle di Semir tutto soddisfatto lanciando pomodori a destra e a manca.
Intorno c’era il delirio, infuriava la battaglia dei pomodori, tutti contro tutti, mentre i poveri camerieri cercavano invano di sedare la rissa.
 
“Andiamo fuori…” fece Robert trascinando via Andrea dal locale.
La donna continuava a guardarlo furiosa.
“Sinceramente non capisco come hai fatto a sposare quell’uomo. Dopo tutto quello che è successo venire qui a cantare ad un karaoke… una stupida canzone tra l‘altro”
“Ti ho già detto che è una canzone bellissima, l’aveva scritta Ben… tu non sai cosa significava quel ragazzo per Semir…cosa significava per tutti noi!”
“Già, ma intanto guarda cosa ha scatenato il tuo ex…”
I due fecero appena in tempo ad uscire dal locale che videro le  auto della polizia frenare davanti all’entrata e gli agenti precipitarsi dentro.
 
“Semir, ma che combini???” fece Dieter entrando nel locale dove ancora infuriava la battaglia, nonostante i fischietti degli altri agenti e le loro urla.
“Dieter…” fece Semir avvampando per la vergogna, mentre cercava di tenere a bada il ciccione  che lo spintonava.
“Ora basta… siete tutti in arresto!” fece il capo pattuglia urlando per cercare di sovrastare il pandemonio.
“Magnifico…” imprecò Semir.
 
“Semir, ma si può sapere cosa ti è preso? Venire qui in questo locale  per dilettanti e poi… una rissa, è vero quel che dice il proprietario? Sei stato tu ad iniziare?” chiese Dieter mentre chiudeva la porta della cella della Polizia Municipale.
“Ma no… cioè  c’erano Robert e Andrea e lui ha iniziato…”
Semir era in evidente imbarazzo e cercava di non fare caso a Ben che si aggirava per la piccola cella, guardando con attenzione e leggendo ad alta voce tutte le scritte sconce che c’erano sui muri.
“Vado ad avvisare la Kruger e a cercare qualcuno che ti tiri fuori di qui…”  disse il poliziotto avviandosi verso gli uffici.
“Ti rendi conto di quello che hai combinato???”  Semir sibilò furioso verso Ben appena Dieter fu uscito.
“Beh… certo non si può dire che hanno apprezzato il tuo raglio…” fece lui ridendo.
“Io ti avevo avvisato, non so cantare, non so suonare… come ti è venuto in mente…”
“Beh…  non puoi negare  che abbiamo combinato un po’ di casini…” rise Ben indicando la cella accanto dove il ciccione della prima fila era impegnato in una conversazione dalle sbarre con la madre venuta a pagare la cauzione.
“Lo giuro mammina, non sono stato io… non ho iniziato io… e poi non ti ho mentito, stavo tornando a casa, mi sono fermato solo a bere una coca cola” diceva con vocina infantile mentre la madre, alta e grossa quanto lui lo guardava severa.
“Con te facciamo i conti a casa…” disse la donna mentre l’agente apriva la cella.
Mentre vedevano i due che si allontanavano nel corridoio Ben e Semir scoppiarono a ridere in modo irrefrenabile.
“Chissà che fine ha fatto Robert… sarà corso a casa a pulire quella brutta macchiaccia sul suo bel vestitino…” rise ancora Ben.
“Ma come hai fatto a sapere che sarebbero venuti anche loro?”
“Segreto professionale” rispose malizioso Ben.
Semir continuò a ridere a crepapelle.
“Oddio, non ridevo così da quando… da quando…”
Il piccolo turco non riuscì a finire la frase, diventando all’improvviso serio.
“Ancora non riesci a dirlo? Avanti… eppure non è difficile… da quando?” lo esortò  Ben anche lui serio.
 Ma Semir rimase muto. Tutta l’allegria era sparita dal suo volto.
“Semir se tu non accetti quello che è successo non possiamo andare avanti…” fece lui.
Semir lo guardò sempre più agitato.
“No non ci riesco, non ci riuscirò mai… non voglio accettarlo…”
“Se tu non superi il senso di colpa non caverai mai un ragno dal buco. E’ la tua vita Semir, per quanto ancora vuoi buttarla alle ortiche?”
“Come fai a parlare così? Come fai??? Spiegamelo… Se io fossi venuto da te quella sera, se avessi letto la tua lettera ora tu…” ormai Semir urlava e gli altri detenuti lo stavano a guardare con aria stranita.
“Se… se… se… non si ragiona con i ‘se’. L’unica cosa veramente bella della mia condizione è che si capiscono tante cose. Per ogni avvenimento della nostra vita c’è un perché, una ragione. Se è andata così vuol dire che doveva andare così” rimbottò Ben.
“L’unica cosa che capisco è che è colpa mia! Colpa mia se tu non sei più qui con me, colpa mia se mia moglie mi ha lasciato, colpa mia se mia figlia si è messa a frequentare un teppistello, se non ho più un lavoro decente…”
“Basta! Mi sono stancato di stare qui a vedere come ti autocommiseri!” sbottò Ben subito prima di sparire.
Semir restò  guardare l’angolo vuoto di fronte a lui ansimando per  il dolore ed il rimorso.
“Gerkan, forza vieni fuori, hanno pagato la cauzione per te” disse la guardia aprendo la cella, ma Semir  quasi non lo sentì.
 

“Niente… qui non c’è nulla!!!” disse furioso Junker mentre si aggirava per  il soggiorno, ridotto ad un caos pazzesco.
“Forse li ha nascosti da qualche altra parte…” disse Weber finendo di rovesciare uno dei cassetti della credenza.
“E’ probabile, non è certo così stupido da tenerli a portata di mano”
“Sì, ma ora come facciamo a trovarli?”
“Beh dovremo convincere il turco a parlare, in  un modo o  nell’altro” concluse Junker avviandosi verso l’uscita, mentre Ben appoggiato allo stipite li scrutava attento.
 

Angolino musicale: come vedete siamo state un po’ più clementi con “The Longing”, anche se “ragliata” da Semir…povero Tom Beck, ma siamo sicure che ci perdonerà anche stavolta…in fondo la sua canzone è servita come “serenata” per Andrea…Detto ciò il sottofondo musicale sarà l’intera canzone:
Ladies & Gentlemen (pensiamo pochi, ma “se sa mai”)
“The Longing” (il desiderio) del “vivo e vegeto” Tom Beck:
(P.S. eccezionalmente la traduzione integrale…un po’ per farci perdonare e per farvi capire che senza Tom Beck e il suo alter ego Ben Jager la nostra cobrissima amicizia e collaborazione non sarebbe mai nata)
 
Per ascoltarla: 
http://www.youtube.com/watch?v=t1cNMVzFxJY
 
è la luce che vedi sotto la porta e l'ombra dei passi sul pavimento le chiamate rifiutate che non puoi ignorare è il viso che attraversa la stanza che fa accelerare il battito del tuo cuore e il riflesso della stanza sul fondo di un bicchiere rotto proprio come la notte precedente, l'orologio fastidioso di fianco al tuo letto anche con il cuscino avvolto attorno alla tua testa la voce interiore che non vuole stare zitta la ferita nel petto che non sparirà
è difficile perdere l'amore che avevamo non sopporto il desiderio non dimenticheremo, potremmo perdonare non scamperemo al desiderio
è il tempo che hai aspettato arrabbiato qui perché non puoi andare a casa dove devi affrontare la vita stupida che hai vissuto e gli altri non hanno avuto la pena di vivere accendi la luce, ma è ancora buio pesto e le scritte sul muro sono un punto interrogativo non sai dove e non sai quando, ma se mai dovessi riavere quella strana luce di nuovo
è difficile perdere l'amore che avevamo non sopporto il desiderio non dimenticheremo, potremmo perdonare non scamperemo al desiderio
la voglia
il bisogno
la sensazione di raggiungerci per il resto della tua vita
 

 
 
 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Chi Ben comincia è alla metà dell'opera ***


 
Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO 9
Chi Ben comincia è alla metà dell'opera
 
“Max!!!” fece stupito Semir mentre vedeva la figura del medico che parlava all’ingresso con uno degli agenti della Polizia Municipale.
“Che ci fai qui?” chiese ancora avvicinandosi.
“Kim era impegnata… e così mi ha chiesto di venire a recuperarti…” rispose il medico sorridendo.
“Collega… il Commissario Kruger ci ha parlato di te e abbiamo deciso di chiudere un occhio per questa volta… ma non è bello per un poliziotto farsi trovare in un pub ubriaco e coinvolto in una rissa” disse il poliziotto che era vicino a Max restituendogli gli effetti personali.
“Sì certo, scusa… non succederà più” assicurò Semir il cui unico scopo era quello di uscire al più presto da quel posto.
Mentre lui e Max si avviavano all’auto del medico Semir guardò il suo amico.
In tutti quei mesi lo aveva tenuto a distanza, nonostante Max avesse fatto di tutto per tenere i contatti e sostenerlo.
Ma la sua presenza  gli ricordava troppo quello che era successo a Ben, così man mano Semir  lo aveva praticamente allontanato.
“Semir… forse dovremmo parlare un po’. Ubriacarsi in un locale non mi pare la soluzione migliore. Kim mi ha raccontato cosa è successo con Aida” iniziò il medico salendo in auto.
Semir lo guardò, sedendosi sul lato passeggero.
“Credimi Max, non ero ubriaco. Per la prima volta dopo mesi ti posso assicurare che non tocco una goccia d’alcool da giorni ormai”   rispose il piccolo turco, guardandolo negli occhi.
Anche Max lo fissò e per la prima volta vi lesse serenità nello sguardo.
“Beh, mica è tanto normale essere coinvolti in una rissa in un pub con il karaoke”
Semir sorrise ricordando le scene di poco prima.
“Diciamo che era un debito che dovevo pagare…”
“Che vuoi dire? Che ti succede?” chiese il medico con sguardo indagatore.
“Nulla non mi succede nulla” mentì Semir, ma era difficile nascondere le cose a Max, era sempre stato un ottimo conoscitore dell’animo umano.
“Che ne dici di prenderci un bel caffè? Poi ti riaccompagno a riprendere l’auto” propose Max.
 
La caffetteria era poco affollata a quell’ora della notte e Max e Semir si sedettero in un tavolo di fronte  alla vetrata.
La cattedrale di Colonia illuminava lo sfondo con i suoi profili gotici.
“Beh… che c’è?” chiese a bruciapelo Max, appena seduto.
“Nulla, sto bene…” rispose Semir.
“Questo lo vedo… stai meglio, nonostante quello che è successo stasera…”
I vestiti  di Semir erano ancora tutti macchiati dal succo dei pomodori lanciati nella battaglia del pub.
 “Sì, sto meglio...” rispose laconico l’ispettore, ma il suo animo bruciava dal desiderio di confessarsi con qualcuno.
“Beh? Ti devo levare le parole dalla bocca con le tenaglie?” chiese Max. Era felice che Semir mostrasse segni di recupero, ma  era anche consapevole che  la  cosa non poteva succedere da un momento all’altro.
“No nulla, sto solo meglio…” provò a svicolare Semir, anche se le parole gli bruciavano sulla lingua. Aveva  un disperato bisogno di confidarsi. E dopo tutto Max oltre che un amico era anche un medico.
“Semir… noi siamo amici, sai che puoi dirmi tutto…”
“Niente…”
“Vuoi dire che stai meglio così tutto all’improvviso? Che dopo mesi in cui tutti abbiamo inutilmente cercato di tirarti fuori dal buco nero in cui ti eri andato a cacciare, ora è tutto passato all’improvviso?”
Lo sguardo di Max era sempre più indagatore.
“Forse ho avuto un piccolo  aiuto…” iniziò ad ammettere Semir, sforzandosi di non rivelare tutto di botto all’amico.
“Aiuto? Hai cambiato terapista?” chiese Max stupito.
“No guarda,  la terapia non c’entra proprio nulla…”
“Un nuovo amore?” sorrise Max.
“No, neppure quello, diciamo un vecchio amico…”
Max lo guardò sempre più curioso, mentre Semir iniziava ad arrossire.
Ma il piccolo turco sentiva di dover parlare con qualcuno, altrimenti  sarebbe impazzito davvero.
“Max… ma sarebbe tanto strano… o meglio dovrei considerarmi davvero pazzo se…” fece bloccandosi a metà frase.
“Se?”
“Vedessi… una persona che in realtà io so che non può essere qui con me… ma se io la vedessi comunque…”
Max rimase in silenzio, iniziando a capire dove andava il discorso.
“Se insomma, questa persona che io so che non può essere qui con me… ma la sua immagine mi aiutasse, mi sorreggesse…  mi stesse aiutando a venire fuori dal baratro… sarebbe una malattia mentale grave?”
Max rimase in silenzio per un po’.
“Vuoi dire che vedi Ben?” chiese poi a bruciapelo.
Semir arrossì all’istante.
“Non mi fraintendere Max. Sono perfettamente consapevole che la cosa che vedo e con cui parlo non può essere reale, che probabilmente è il frutto di una fantasia, di un’allucinazione, una vera malattia mentale, ma ti posso assicurare che da quando c’è lui io…”
Semir non riuscì a completare la frase.
Max rimase di nuovo in silenzio per un po’ e stavolta Semir iniziò seriamente a temere che chiamasse la neuro per farlo ricoverare di forza.
“Ti sta aiutando a recuperare la tua vita?” chiese il medico e Semir annuì.
“Ti ho mai detto che io e mia sorella abbiamo perso i nostri genitori quando avevo otto anni? Siamo rimasti soli ed abbiamo girato vari istituti sino a che non siamo stati adottati…”
Semir lo guardò sorpreso: non sapeva nulla di quella storia.
“Quando ero piccolo la persona a cui ero più affezionato al mondo, anche più che ai miei genitori forse, era mia nonna, ma lei era morta poco meno di un anno prima rispetto ai miei. Fu  un  colpo durissimo per me…”
Semir continuava a rimanere in silenzio senza capire cosa volesse dire l’amico.
“Beh… nel periodo in cui siamo stati in istituto io ero veramente disperato; eravamo ben accuditi, ma non avevo più i miei genitori, mia nonna, nessuno… ero veramente disperato. Sino a che una sera… beh una sera mia nonna venne a trovarmi”
Semir lo guardò stupito.
“All’inizio pensai di aver sognato o di aver avuto un’allucinazione, anche perché dopo avermi parlato lei era sparita. Ma poi mia nonna tornò la sera dopo e quella dopo ancora”
“Ma… ti parlava? Interagiva con te? Nel senso che ti sembrava che fosse reale…”
“Certo e mi aiutava molto, mi stava vicino e mi consolava. Insomma se non fosse stato per lei io non credo che ce l’avrei fatta a superare quel periodo…”
“Ma…” provò a dire Semir, ma le parole non gli uscivano dalla bocca.
“Certo mi rendevo conto che non poteva essere reale, che era morta, ma la sua presenza mi aiutava… e quindi dopo un po’ smisi di farmi domande ed accettai semplicemente la cosa”
“Hai continuato a vederla per molto?” chiese Semir.
“Solo fino a quando non siamo stati adottati dai genitori più fantastici e affettuosi del mondo… il giorno che lasciammo l’istituto per andare nella nostra nuova casa lei mi disse che la sua missione era finita e sparì. Non l’ho mai più vista, ma anche adesso dopo tanti anni, quando sono triste o ho paura a volte ho la sensazione che lei mi sia vicina…”
“Quindi non sono completamente pazzo…”
“Il fatto di vederlo ti fa stare meglio? Forse dovresti accettarlo. Ma devi avere bene in mente che lui non è reale. Cosa sia davvero quello che vedi non te lo so dire, ma non è reale, questo lo capisci vero?”
Semir annuì.
Se ne rendeva conto. Ben, quel Ben, non era reale. Era una fantasia, un’allucinazione o forse un miracolo, ma non era reale.
“Bene finiamo il caffè ed andiamo a riprendere la tua auto” disse Max sorridendo.
 
Ormai albeggiava.
Semir salì sulla sua BMW e si diresse verso casa ripensando alle parole di Max e a quelle che poco prima gli aveva detto Ben  prima di sparire.
Lui continuava a dirgli che quello che era successo non era colpa sua… e vedendolo lì davanti, allegro, vivace e pasticcione come al solito, Semir iniziava a credergli. Ma appena pensava al fatto che lui non era reale, che Ben, quello vero non c’era più, tutti i sensi di colpa e l’angoscia tornavano prepotenti a tormentarlo.
“Prima che arrivi a casa forse è meglio che tu sappia qualcosa” fece Ben comparendo come al solito per magia.
 
“Che disastro!!!” fece Semir entrando nel proprio salotto ridotto ad un vero e proprio campo di battaglia.
“Devo controllare se manca qualcosa…” borbottò cercando di non calpestare nulla.
“Non manca niente, quelli lì cercavano una cosa ben precisa e non l’hanno trovata” fece Ben serio.
“Ma sei sicuro che fosse questo Junker? Proprio quello della Lamborghini  che hanno preso Aida e Adam?” chiese Semir.
“Certo che sono sicuro. E conosco anche lo scagnozzo che era con lui. L’ho arrestato un paio di volte quando ero all’LKA. Si chiama Weber se non sbaglio… Hans Weber”
“Ma cosa potevano volere a casa mia?” si chiese Semir.
“Secondo me ci sono pochi dubbi, stanno cercando quella valigetta…”
Semir annuì pensieroso.
Già nell’ufficio della Kruger si era accorto che Junker mentiva quando aveva detto che nella valigetta c’erano solo documenti, e se non aveva voluto rivelare il vero contenuto, la cosa ovviamente lasciava mal presagire.
“Chiama Hartmut per i rilievi, ma tanto avevano i guanti… poi andiamo a fare due chiacchiere con questo Junker” suggerì Ben.
“Sì e cosa dico alla Kruger? Che un fantasma, mentre io ero in cella, ha visto chi è entrato in casa mia?” fece Semir prendendo il telefono per chiamare Hartmut.
 
 “Secondo me è stato lo stronzetto…” disse Ben mentre guardava Hartmut e gli altri della scientifica che si aggiravano per la villetta di Semir.
“Chi Adam? Sì, il sospetto l’ho anche io. E da come si stanno comportando ci doveva essere qualcosa di importante in  quella valigetta” bisbigliò Semir cercando di non farsi sentire.
“Bene andiamo a vedere che dice…”
Semir annuì e dopo aver preso accordi con i colleghi salì sulla sua BMW.
 
 
Appena bussato alla porta del piccolo appartamento Semir si ritrovò davanti il padre di Adam con un’aria completamente sconvolta.
Quando l’insegnate gli aveva detto che Adam quella mattina non era andato a scuola Semir aveva avuto subito una brutta sensazione e ora  l’espressione del padre confermava i suoi peggiori sospetti.
“Ispettore…non credevo che arrivaste voi dell’autostradale…” balbettò l’uomo con gli occhi rossi di pianto.
“Buongiorno signor Nitch … cosa intende?” chiese stupito il piccolo ispettore turco.
“Ho chiamato la polizia per via di Adam… è sparito da ieri sera… non  è qui per questo?” rispose l’uomo  con voce sempre più disperata.
 
 Adam aveva fame e freddo in quella cantina e non sapeva neppure se era ancora notte.
L’avevano lasciato lì senza dargli un goccio d’acqua, completamente legato e ormai iniziava a non sentire più le dita dei piedi, completamene intorpidite.
Più volte in quelle lunghe ore aveva pensato di aver commesso un tremendo errore nel dire che i diamanti li aveva il padre di Aida, ma si era ritrovato senza via di uscita: non voleva coinvolgere la sua famiglia, ma non voleva neppure rinunciare all’unica speranza di dare loro una vita migliore.
Dopo tutto il padre di Aida era un poliziotto avrebbe saputo difendersi.
Per fortuna aveva nascosto bene i diamanti in un posto sicuro della casa, dove nessuno neppure suo padre li avrebbe mai trovati.
Chissà cosa era successo, chissà se il padre di Aida li aveva fermati, se suo padre aveva scoperto la sua assenza e lo stava cercando, se quei due energumeni sarebbero tornati presto…
Tormentato dai dubbi e dalla paura provò per l’ennesima volta  muoversi e a scardinare la sedia su cui era legato, che  però era bullonata al pavimento. Ma per quanto tirasse e tirasse la sedia rimaneva immobile.
 Allo stremo delle forze, con il respiro pesante per via del bavaglio iniziò a pensare che probabilmente sarebbe morto lì, senza che nessuno lo trovasse.
 
“Quindi non lo vedete da ieri sera?” chiese Semir al padre e alla sorella di Adam che nel frattempo li aveva raggiunti sul divano di casa.
“Sì da quando è sceso a buttare il sacco dell’immondizia. Non ci ho fatto caso che non era rientrato se non stamattina… credevo si fosse chiuso in camera sua come aveva detto papà… mi spiace” fece la ragazzina piangendo.
“Non ti preoccupare Margot, non è colpa tua, mia piuttosto che devo stare tutta la notte fuori…ma ho il turno di notte questa settimana…” balbettò  l’uomo.
“Ha chiamato i suoi amici? Forse è andato da uno di loro…”
“Sì ho chiamato, ma nulla… ho chiamato anche sua figlia, ma sua moglie mi ha detto che la bambina è andata a scuola ed è certa che non ha né visto né sentito Adam…”
“Secondo me lo stronzetto è scappato con quello che c’era nella valigetta” disse Ben rimasto per tutto il tempo in silenzio, appoggiato ad un muro.
“Signor Nitch posso dare un’occhiata alla stanza di Adam?” chiese Semir alzandosi dal divano.
L’uomo annuì avviandosi  verso il piccolo corridoio.
La stanza era minuscola e come tutte le stanze degli adolescenti in un disordine caotico.
Semir diede una rapida occhiata, ma non vi trovò nulla di strano.
“Ha portato con sé dei vestiti, qualcosa?” chiese alla sorella che l’aveva seguito.
La ragazzina scosse la testa.
No, Semir non era per nulla convinto che Adam fosse scappato con il contenuto della valigetta: c’era qualcosa di tremendamente sbagliato e pericoloso in quella faccenda.
 
“Ma tu non è che puoi… con i tuoi mezzi diciamo… ‘celestiali’ avere qualche informazione, vedere qualcosa, sapere qualcosa?” chiese Semir dopo essere uscito dalla casa di Adam dove era nel frattempo arrivata la polizia urbana.
“No mi spiace. Sei tu la mia missione e quindi ho accesso a informazioni e posso interagire solo con le cose e le persone direttamente legate a te… in realtà non potrei neppure interferire…” fece Ben.
“Beh come al solito vedo che rispetti sempre le regole” sorrise Semir, pensando a quello che aveva combinato con Jenny ed Hartmut.
 “Sì, ma certe cose non riesco proprio a farle, anche se mi sforzo. Non so dove è Adam non riesco a vederlo…”
“Peccato… questa storia non mi piace proprio. Sta diventando pericolosa… e non credo che Adam sia scappato. Secondo me invece si è cacciato nei guai”
Ben  annuì.
“Sai, se ricordo bene, questo Weber lavorava per Toht,  quello dell’industria delle armi. Lo incastrammo per  un traffico illecito di  mitragliette destinate all’esercito, ma se la cavò con poco… e soprattutto non siamo mai riusciti a coinvolgere Toht” ricordò.
“Toht? Ma è quel grosso magnate coinvolto nella corruzione dei funzionari del Ministero della Difesa… il processo inizia fra qualche giorno se non sbaglio. La notizia è su tutti i giornali. E sai chi è la procuratrice distrettuale? Ruth Wailer…”
La voce di  Semir era eccitata.
Ben sorrise sornione.
“Ah ah… la nostra bella procuratrice… scommetto che ora corri a farle visita…”
 “Non è una cattiva idea… e sei pregato di non seguirmi…” fece Semir girandosi, ma lui era già sparito.
 
Semir era andato in ufficio, ma vi era rimasto per poco, dato che aveva un appuntamento con la Wailer.
Era stato sorprendentemente facile ottenerlo e la cosa aveva sorpreso il  piccolo ispettore turco.
Ora stava aspettando di essere ricevuto e la cosa che sperava di più era che lui, non si facesse vedere o  almeno stesse in silenzio.
“Ispettore Gerkan? La procuratrice la sta aspettando” gli disse la giovane segretaria facendolo quasi sobbalzare.
L’ufficio era sorprendentemente piccolo per una procuratrice distrettuale, la metà quasi di quello di ‘gonna di ferro’, almeno per come lo ricordava Semir.
Ruth Wailer lo stava aspettando seduta  alla sua scrivania; vedendolo entrare gli andò incontro e ancora una volta Semir pensò che era davvero un bella donna. Bruna, occhi  scuri, un bel corpo…
“Ispettore Gerkan? E’ un piacere rivederla… non ci sono mica problemi con Aida?” si preoccupò subito la donna.
Semir le sorrise.
“Salve procuratrice. No, dottoressa, con Aida per fortuna va tutto bene… solo che Adam Nitch è sparito…” la informò subito lui.
 
“Quindi lei pensa che l’intrusione a casa sua e la sparizione di quella valigetta siano collegate” ragionò la donna al termine del discorso di Semir.
“Penso proprio di sì e quello che è certo  è che quella valigetta conteneva tutto tranne che documenti…”
“Ispettore, mi scusi se glielo chiedo… ma siamo certi che Aida non sappia nulla?” chiese ancora la donna.
“Guardi dottoressa…  ne sono più che certo. Io credo però che Adam sappia molto su questa storia…”
Ruth Wailer annuì mentre si alzava per andare alla sua scrivania.
“Mi ha detto che probabilmente uno degli uomini che è entrato in casa sua è Hans Weber… giusto?”
Semir annuì a sua volta sperando vivamente che la donna non gli chiedesse come faceva a saperlo.
“Sì, ma dottoressa tenga conto che non ho prove al riguardo. In casa non sono state trovate impronte…” disse alla fine il piccolo  turco.
“E Weber lavora per  Toht” ragionò la procuratrice.
Semir si limitò ad annuire, conosceva  dai giornali il processo che sarebbe iniziato da lì a poco. Uno dei più grossi casi di corruzione dalla riunificazione della Germania.
“Anche Junker è legato a Toht, è l’amministratore delegato di una delle società facenti capo al gruppo societario di Toht…”
“Crede che questa storia sia legata al processo per corruzione  delle prossime settimane?” chiese Semir.
“E’ più che probabile…” rispose alla fine la Wailer.
“L’importante è rintracciare Adam… se l’hanno preso loro è nei guai fino al collo” concluse poi la donna.
 
Semir e la procuratrice erano rimasti a chiacchierare per un altro po’, soprattutto della reazione di Aida.
Il piccolo turco si trovava straordinariamente a proprio agio con quella donna bella ed intelligente.
“Bene, allora la aggiorno non appena abbiamo qualche novità su Adam, dobbiamo trovarlo al più presto” concluse alzandosi per andare via.
“Chiederò al suo commissario di destinarla a quest’incarico” disse la donna sorridendo.
“Allora a presto procuratrice Wailer” Semir si alzò porgendo la mano deferente.
La reazione della donna lo sorprese.
“Penso che possiamo chiamarci per nome… che ne dice?” chiese guardandolo negli occhi.
Semir si sentì un po’ in imbarazzo, ma la cosa gli faceva piacere.
“Certo, se lei permette…”
“Ma certo che permetto, l’ho proposto io Semir. Comunque le volevo dire che stasera tengo una piccola conferenza alla scuola di mio figlio. Parlo dei problemi adolescenziali e della ribellione all’autorità da parte dei giovani. Forse le farebbe piacere venire, dopotutto condividiamo i  tipici problemi dei genitori soli…”
Semir arrossì come un adolescente.
“Certo mi fa molto piacere. Verrò sicuramente… Ruth”  rispose.
Mentre la procuratrice gli consegnava l’invito si guardò intorno e fu immensamente contento che lui non fosse lì a metterlo in imbarazzo.
 
Il sollievo durò poco.
Appena uscito dall’ufficio della Wailer Semir si ritrovò Ben sghignazzante davanti.
“L’avevo detto io… lo stallone turco è ancora vivo e vegeto!”
“Smettila, sparisci” bisbigliò rosso in viso Semir.
“Allora vi vedete stasera… ho sentito tutto sai…”
“Non ‘ci vediamo’ stasera… vado solo ad una sua conferenza, una cosa per genitori di figli adolescenti…”
“Sì come no… “
“Ho detto sparisci… e soprattutto non sognarti neppure di venire anche tu alla conferenza. Stai buono, vai a dormire su di una nuvoletta o rifatti le piume alle ali… fai quello che vuoi, ma lasciami in pace. Me lo devi, dopo quello che hai combinato ieri” disse Semir fingendosi arrabbiato.
“Mica voglio fare da terzo incomodo” lo rassicurò la sua magnifica allucinazione.
 
“Io non mangerei tutti quei peperoni… stasera hai un appuntamento galante” disse Ben mentre guardava Semir che mangiava il suo panino  seduto al tavolo della mensa del Distretto.
“Sai che si dice dei peperoni… sono poco digeribili e non favoriscono….” Continuò guardandolo con aria vogliosa.
“Non c’è nulla da favorire. E poi potresti smettere di guardarmi con quell’aria? Mi metti in agitazione…”
“Deve essere buonissimo… è buono vero?” chiese lui quasi con le lacrime agli occhi.
“Sì è buono… e dici tanto che devo superare i miei sensi di colpa… mi spieghi come faccio se continui a guardarmi con quell’aria da cane bastonato?”
“Cavolo l’unica cosa che non riesco ad accettare è non poter mangiare più… ma del resto non ho neppure fame… è solo che mi ricordo…”
Semir si arrese.
Rimise il panino mangiato a metà nel piatto e si alzò per gettare i rifiuti.
“No no… che fai, lo butti… peccato” lo inseguì Ben.
“Comunque è meglio così… i peperoni sono pesanti da digerire e tu mi sa che sei pure fuori allenamento…”
“Non c’è nulla per cui mi dovrei prima allenare. E te lo ripeto stasera stai lontano…”
“Certo, certo” rise Ben prima di sparire.
 

“Allora che facciamo? Il turco non ce li darà mai spontaneamente quei diamanti” ragionò Junker mentre andava avanti ed indietro nello studio di Toht.
“Ognuno ha il suo punto debole…” rispose Toht ridendo soddisfatto.
 



Capitolo un po' di transizione, ma con il ritorno di un vecchio amico... e cosa combinerà il nostro Semir?
Chiara e Maty ringraziano tanto le loro lettrici... i vostri compliemtni ci lusingano davvero... grazie grazie...

 
Angolo musicale: devo essere sincera, non ho saputo trovare una canzone che mi sembrasse adatta al contesto del capitolo …o forse si…giudicate voi, cari lettori. Comunque ogni tanto la gelida nordica sa essere romantica (contagiata dalla più calorosa e solare socia).Detto ciò visto che associano il nostro “Fantasmino” ad una specie di “angelo custode” del nostro Semir la scelta è “caduta” su “Angel” di Robbie Williams.
Per ascoltarla:
http://www.youtube.com/watch?v=luwAMFcc2f8
Io mi siedo e aspetto che un angelo guardi il mio destino loro conoscono i posti dove andremo quando saremo vecchi e coi capelli grigi perché mi hanno detto che la salvezza fa aprire le loro ali così quando io sono disteso nel mio letto i pensieri scorrono nella mia testa; io sento che l’amore è morto, ed invece mi sto innamorando di un angelo. 
E attraverso tutto ciò, lei (lui) mi offre protezione, tanto amore e affetto che io stia bene o male, e sotto la cascata in qualunque luogo sia lei (lui) mi prenderà io so che questa vita non mi spezzerà 
Quando inizierò a gridare, lei (lui) non mi abbandonerà, invece io mi sto innamorando di un angelo.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Strigliate... celestiali ***


Image and video hosting by TinyPic
 
CAPITOLO 10

Strigliate …celestiali

 

“E’ stata davvero una conferenza interessante… si vede che parla per esperienza personale” Semir si complimentò con Ruth Wailer appena la vide venirgli incontro nella sala affollata.

“Grazie… peccato che non esista il manuale del perfetto genitore” rispose la donna sorridendogli.

Il pubblico stava defluendo,  e Semir si trovò a stretto contatto nel corridoio con la procuratrice.

Aveva un bel profumo ed era davvero seducente, così calma sicura di sé e al tempo stesso dolce.

Semir sentì nascere in sé sensazioni che credeva dimenticate.

“Ruth…  mi giudicherebbe troppo sfacciato se.. la invitassi a bere qualcosa?” chiese il piccolo turco imbarazzato.

“No… anzi accetto volentieri” rispose la donna.

Semir si sentì sollevato ed emozionato, ma al tempo stesso terrorizzato all’idea di veder comparire lui all’improvviso.

 

Ed invece il resto della serata passò veloce e senza intoppi.

Ruth e Semir parlarono di tutto, dei figli e dei rispettivi matrimoni naufragati, delle difficoltà di essere soli, del lavoro e delle loro aspirazioni. A Semir sembrava di conoscere quella donna da sempre.

“Bene, penso che a questo punto possiamo darci del tu tranquillamente… almeno quando non siamo in pubblico” sorrise la donna mentre Semir l’accompagnava alla sua auto.

“Certo…”

Il piccolo turco neppure capì bene come aveva fatto a trovarsi così vicino al viso della donna, ma non poté resistere all’impulso di baciarla.

Era una sensazione nuova, quasi sconosciuta, quella di baciare una donna che non fosse Andrea dopo tanti anni, ma anche emozionate e bellissima.

Il cuore iniziò ad andargli a mille, mentre il bacio si faceva sempre più profondo.

“Senti Semir… io abito proprio qui vicino… perché non vieni un po’ a casa mia? Facciamo ancora due chiacchiere” sorrise Ruth. Era veramente seducente con quei bellissimi occhi scuri.

“Va bene…” Semir quasi balbettava nel rispondere.

“Seguimi con la tua auto” disse la donna mentre saliva sulla sua Mercedes.

 

“Ma tu non sei ancora innamorato di Andrea???” chiese Ben , con aria quasi offesa, mentre compariva seduto di fianco a Semir nella BMW.

“Ecco lo sapevo, era troppo bello. Ti avevo detto di non farti vedere stasera” rispose il piccolo turco.

“No, veramente hai detto che non dovevo venire alla conferenza ed infatti non ci sono venuto. E ripeto la domanda… tu non sei innamorato di Andrea? Non hai detto che vuoi tornare con lei?” chiese di nuovo lui.

“Ti faccio notare che ora Andrea sta con Robert. E che  a  lei non importa più niente di me, come hai potuto vedere anche tu…” la voce di Semir era stizzita, ma si sentiva come un bambino colto con le mani nella marmellata.

“E poi non hai detto tu stesso che ‘lo stallone turco’ doveva tornare in azione?” chiese inviperito.

“Sì… ma non avevo capito che quella donna ti piace… si vede distante un miglio che ti piace… se continui con lei, tu e Andrea rischiate…”

“Mettitelo in testa… fra me ed Andrea è finita. E se la tua missione è quella di farci tornare insieme , beh, preparati a fallire”

“Non è vero, basta solo che tu e Andrea vi parliate, voi vi amate…” fece imperterrito Ben.

“Magari fosse così semplice. Tu non puoi capire cosa è successo fra noi. Ora sparisci… ci siamo capiti???” Semir quasi urlò mentre parcheggiava l’auto e scendeva.

“Con chi parlavi?” chiese Ruth.

“Borbottavo fra me e me” mentì Semir.


 

“Dunque la moglie separata del poliziotto turco vive  in una dépendance della piccola villetta dei genitori con le due figlie. Attualmente ha una relazione con un dirigente… un tale Robert…”

Toht prese in mano la cartellina che gli porgeva Junker ed iniziò a studiarla attentamente.

“I genitori della moglie sono in Polonia attualmente, in visita ad una parente” continuò ad informarlo.

“Va bene, proviamo a cercare a casa della moglie. Può darsi che il moccioso abbia dato i diamanti alla ragazzina o che il turco li abbia fatti nascondere alla ex moglie” disse Toht.

“E se non li troviamo?”

“Beh… se non li troviamo faremo in modo che il turco ce li porti di sua spontanea volontà…” rise Toht.

 

Adam era ormai rassegnato.

Sarebbe morto lì. Nessuno lo avrebbe trovato e sarebbe morto di fame e sete…

Pensò alla delusione che ancora una volta avrebbe provato suo padre, ai suoi fratelli e sorelle, a quello che gli diceva la mamma… comportati bene, sii una persona onesta… non era mai riuscito a far felice la mamma. E ora sarebbe morto lì per mano di malviventi, solo perché aveva cercato di tirare fuori la sua famiglia dalla miseria.

Chissà che aveva combinato il poliziotto, chissà dove era Aida e se aveva saputo della sua scomparsa…

Adam sobbalzò quando sentì la porta aprirsi.

Weber comparve sull’uscio con un ghigno soddisfatto.

“Bene moccioso, sei ancora vivo” gli disse ridendo piano.

Con uno strappo che lo fece mugolare dal dolore Weber tolse il bavaglio ad Adam.

Poi lo slegò e gli mise davanti una bottiglia d’acqua ed un piatto con del pane e salame.

“Ritieniti fortunato ad essere ancora vivo. Ma se scopro che ci hai mentito sui diamanti…” lo minacciò mentre praticamente lo sollevava di peso dalla sedia.

Adam lo guardò terrorizzato: non poteva confessare ora, non poteva dire loro che i diamanti erano nascosti in casa sua, non poteva esporre la sua famiglia ad un pericolo del genere.

“Non vi ho mentito, li ho dati al poliziotto turco…” balbettò.

“Spera che recuperiamo quelle pietre, altrimenti  non vedrai mai più il sole, ragazzino” sibilò Weber mentre usciva e chiudeva la pesante porta di ferro a doppia mandata.


 

“Cosa vuoi da bere? Una birra, whiskey…” chiese Ruth  entrando in casa.

“Preferirei qualcosa di non alcolico, grazie”

Semir intendeva tenersi lontano dall’alcool quanto più poteva, dopo i mesi passati  a scolarsi, notte dopo notte, bottiglie su bottiglie.

“Una coca allora…” propose Ruth andando in cucina.

“Perfetto… tuo figlio?” chiese poi, un po’ spaventato dall’idea di trovarsi davanti un adolescente geloso della mamma.

“A dormire da un amico” rispose Ruth uscendo dalla cucina con due lattine di coca cola.

Si era tolta la giacca che indossava e ora era solo in camicia di seta, leggermente trasparente.

Semir sentì rinascere in sé desideri ormai sopiti da tempo.

I due si sedettero e ripresero a chiacchierare.

Il tempo con quella donna passava veloce e piacevole e ancora una volta senza accorgersene Semir si ritrovò vicinissimo a lei sul grande divano.

La baciò di nuovo con passione.

“Avevo sempre creduto che tu ed Andrea foste la coppia perfetta. Come Romeo e Giulietta, Antonio e Cleopatra…”

Semir sobbalzò sentendo la voce di Ben accanto a lui.

Con la coda dell’occhio lo vide seduto sul grande divano.

“Minnie e Topolino, Tarzan e Jane…” continuò lui elencando tutte le coppie perfette a suo parere.

“Diabolik ed Eva Kant” sospirò ancora.

“Vai via!” sibilò d’impulso Semir.

Ruth si staccò guardandolo allibita.

“No, no scusa…  è che…non volevo, scusami…”

“Posso andare un attimo in bagno?” chiese alla fine rosso di vergogna.

 

“Sparisci mi hai capito? Mi avevi promesso che non  mi avresti seguito…” balbettò Semir appena si chiuse in bagno, dove naturalmente Ben lo aveva seguito.

“Come ti ho già detto, ti ho promesso che non sarei venuto alla conferenza, ed infatti non ci sono venuto”

“Sparisci, lasciami in pace… ci siamo capiti?” intimò il piccolo turco uscendo furibondo dal bagno.

“Ok ok, ma non ti arrabbiare…” fece lui con aria imbronciata.

 

“Dove eravamo rimasti…” disse Semir avvicinandosi con aria noncurante a Ruth che ancora lo stava aspettando seduta sul divano.

“Sei sicuro di sentirti bene?” chiese la donna preoccupata.

“Certo benissimo” rispose Semir riprendendo a baciarla.

 

“Siamo sicuri che non ci sia nessuno in casa?” chiese Weber guardando la piccola dépendance in cui si era trasferita Andrea.

La piccola costruzione, così come la villa più grande dove abitavano i genitori erano completamente al buio.

“Sono andati tutti al cinema, lei, le due bambine e il compagno di lei” rispose Junker.

“Bene, allora entriamo in azione. Cercate soprattutto nella stanza dalla figlia. Forse il  moccioso li ha dati a lei”

Poi i due uomini ed i tre scagnozzi che li accompagnavano scesero dall’auto e si diressero verso la villetta.

 

La musica soffusa aleggiava nella stanza dove l’atmosfera diventava sempre più bollente.

Semir si sentiva ormai lanciato e cercava di non pensare, di cedere solo alle sensazioni che provava in quel momento,  ed erano belle sensazioni.

I baci si fecero sempre più appassionati e le carezze più frenetiche.

A Semir girava un po’ la testa… non stava con una donna diversa da Andrea da tanto, tanto tempo, ma il suo corpo gli diceva di non pensare a nulla…

“Ma almeno  hai il preservativo?” disse la solita voce mentre lui compariva proprio di fronte al divano.

Semir lanciò un urlo… proprio non se lo aspettava…

Ruth si rialzò guardandolo di nuovo stupita.

“Semir, ma che…”

“Nulla, scusa… è che io…” provò a giustificarsi Semir, rosso di vergogna.

“Ok me ne vado, non ti arrabbiare…” fece Ben sparendo.

Ma ormai era troppo tardi.

Semir si scusò più volte con Ruth, poi prese la giacca ed uscì furibondo in strada.

 

“Ma tu sei proprio… proprio…” dalla rabbia Semir non riusciva a finire la frase.

“E dai… che sarà mai… volevo solo darti in consiglio…” si giustificò Ben con la solita aria da cucciolo smarrito.

“Ti avevo detto di stare lontano, mi hai fatto fare una figura di  me…”

“Ah no eh… se hai fatto cilecca la colpa è dei peperoni non mia…”

“Sì dei peperoni… e tu dovresti aiutarmi??? Ma se stai combinando tanti di quei casini…”

“Shhh! Che  ti sente Otto, è incazzatissimo con me… mi ha minacciato più di una volta”

Semir salì in macchina e sospirò.

Era mortificato per quello che era successo, ma a mente fredda capiva che forse era stato un bene.

Ben gli comparve a fianco.

“Scusa… credevo che  tu volessi davvero tornare con Andrea” disse mogio.

“Non sai cosa darei per tornare con mia moglie, non sai quanto la amo” rispose il piccolo turco.

“E allora? Perché ti sei arreso così, senza lottare? Tu vali molto più di quel damerino con cui sta ora…”

“Tu non capisci… non sai il solco profondo che ora ci divide…”

“Colpa mia?  Per quello che mi è successo?”

Ben lo guardò con aria tristissima.

 “No, o meglio non solo. Tu non sai come mi sono trasformato, cosa sono stato capace di fare dopo… sono… sono diventato un assassino a sangue freddo, volevo vendetta, era il mio unico scopo. Credevo che vendicandoti sarei  riuscito a superare il dolore infinito che provavo. E per avere quella vendetta sono passato su tutto, ho ignorato tutto e tutti, ivi comprese Andrea e le bambine”

Semir parlò di getto, come se volesse liberarsi di un peso enorme che lo opprimeva.

“Guarda che se ti riferisci a Tanja lo so che ti sei solo difeso…”

“Non è solo quello. Evidentemente voi lassù non avete tutte le informazioni… ho sparato ad  una donna per avere informazioni, ho puntato una pistola contro mia moglie alla presenza di mia figlia, ho tentato deliberatamente di uccidere Klones… “

“Ma non lo hai fatto…”

“Andrea mi aveva avvisato… ma  non sono stato a sentire… e l’ho persa…”

“Lei ti ama ancora… fidati. Io so molte più cose di te…” sorrise lui.

“Devi solo dimostrare ad Andrea che l’ami ancora…  ti aiuto io vedrai che…”

Lui non poté finire il discorso: una strana suoneria  si diffuse nell’abitacolo.

“Sì ok, ho capito. Sì lo so che mi aspettavi tre ore fa… non ho fatto nulla… ok arrivo” balbettò Ben  rispondendo al cellulare.

“Devo andare” disse sparendo all’improvviso.

Semir rimase per un attimo a fissare il vuoto.

“Tu sei pazzo Semir… la tua allucinazione ha un cellulare con la suoneria dei Police… e parla con un altro amico morto tre anni fa”

E quella splendida illusione gli era diventata necessaria per andare avanti.

 

Robert scese dall’auto quasi furibondo.

“Te l’avevo detto di non farle mangiare tutte le fragole… che le avrebbero fatto male”

“Le ha sempre mangiate, le piacciono molto. Forse ha l’influenza…” rispose Andrea scendendo dall’auto con in braccio Lily.

“Sì, ma intanto mi ha rovinato i sedili della macchina vomitando…”

“Cosa vuoi che sia, basta portarla all’autolavaggio” intervenne stizzita Aida mentre si avviava verso casa.

 “Ehi tu ragazzina non ti permettere di parlarmi in questo modo” le urlò dietro Robert.

Ma Aida stava già entrando in casa.

“Ferma non ti muovere” sibilò una voce nel buio afferrandola e  trascinandola dentro.

 

 

 

Angolino delle autrici: rieccoci, scusate il ritardo nell'aggiornamento, ma sia Maty che Chiara sono un po' occupate in questo periodo. Sperando di esservi mancate, almeno un po', vi mandiamo un grosso, enorme GRAZIE per le recensioni e le molte letture. 

Angolino musicale: non c’è che dire solo un poliziotto poteva avere la suoneria… dei “Police” ( genialata di Maty!!! Ci stiamo…influenzando a vicenda vero?) e quindi…”Police” sia. Una delle canzoni più belle, secondo mio personalissimo parere che sia mai stata scritta, sarà la colonna sonora di questo capitolo. La canzone è romantica, dolcissima…si presta alle “disavventure” dello “stallone turco” e alle commuoventi parole che si scambiano Semir e il nostro “Ben”.

Detto ciò: Police “Every Breath you take” (ogni respiro che fai)

https://www.youtube.com/watch?v=OMOGaugKpzs

Ogni respiro che fai Ogni movimento che fai Ogni legame che rompi Ogni passo che fai Io ti guardo Ogni giorno Ogni parola che dici Ogni gioco che giochi Ogni notte che passi con me Io ti guardo Non lo capisci? Tu appartieni a me Quanto duole il mio povero cuore ad ogni passo che fai Dal momento che te ne sei andata (andato) mi sono sentito perso, ho smarrito la strada Io sogno la notte Posso solo vedere il tuo viso Mi guardo intorno e capisco che non riesco a rimpiazzarti Mi sento infreddolito e desidero il tuo abbraccio Continuo a piangere, per favore…
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Dove sei Ben? ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO 11
Dove sei Ben?
 
Adam si sentiva meglio.
Weber l’aveva lasciato slegato e ora che aveva mangiato e dormito un po’ si sentiva di nuovo pieno di energie.
Doveva assolutamente uscire di lì.
Si girò più volte intorno in cerca di una via di fuga.
La porta era di ferro, pensatissima,  inutile anche solo pensare di uscire di lì.
Piuttosto la piccola finestra su in alto.
Adam si guardò intorno in cerca di qualcosa su cui salire per raggiungerla e subito scorse delle vecchie cassette in legno.
Le accatastò e ci salì sopra con cautela, le sentiva scricchiolare sotto il suo peso.
La finestra era protetta da una grata in metallo.
Adam tirò e tirò cercando di scardinarla, senza risultato.
Poi vide i bulloni ai quattro lati e sorrise fra sé e sé.
Eccitato scese e si tolse le scarpe.
Quei malviventi oltre che vecchi erano anche molto stupidi, non avevano minimamente pensato di perquisirlo.
Con cautela Adam tirò fuori dalla suola di una scarpa un piccolo coltellino e benedisse  la sua abilità a barare.
Quelle scarpe con il doppiofondo le aveva vinte, barando ovviamente, a Helmut, il suo compagno di classe, un paio di mesi prima a poker.
Il ragazzo soddisfatto risalì sulla pila di casse e prese con pazienza a svitare i bulloni che  tenevano la grata.
 
 
“Zitta… non fare un  fiato, altrimenti puoi dire addio a tua madre e a tua sorella” sussurrò una voce roca nel buio.
Aida si paralizzò all’istante mentre una mano la spingeva violentemente dentro casa.
Sentiva la mamma discutere con Robert fuori l’uscio e le loro voci si avvicinavano sempre più.
Ma non sapeva cosa fare per avvisarli.
Qualcuno le aveva messo una mano sulla bocca e la teneva ferma in una morsa ferrea.
“Aida… ma perché entrando non hai acceso la luce…” disse Andrea affacciandosi dalla porta di casa con ancora Lily in braccio.
 “Entra in casa e non fiatare” le disse una voce nel buio.
Anche nella penombra Andrea riuscì a vedere gli occhi terrorizzati di Aida che la guardavano mentre qualcuno le teneva una mano sulla bocca.
La donna non mosse un muscolo, pensando freneticamente a cosa fare.
“Entra dentro ti ho detto…” le disse ancora la voce nel buio.
Andrea si aspettava di vedere subito dietro di sé Robert… forse con lui potevano tentare qualcosa… ma l’uomo non arrivava…
“Non fartelo ripetere, entra dentro”
Andrea si mosse lentamente verso l’interno e venne brutalmente spinta, riuscendo a stento a non cadere con Lily in braccio che ormai si era svegliata e si guardava intorno con aria terrorizzata.
“Attento quello lì fuori, sta scappando” fece una nuova voce.
Andrea riuscì con difficoltà a scorgere due figure nere che uscivano di corsa.
Pochi secondi dopo Robert fu scaraventato a terra sul pavimento dell’ingresso.
“Bene, ora ci sediamo tutti sul divano in perfetto silenzio” disse Junker accendendo la luce e chiudendo l’ingresso a chiave.
 
Adam era quasi alla fine della sua opera. L’ultimo bullone era stato il più difficile da scardinare, era quasi completamente ossidato.
Ma alla fine ce la fece.
Con un ultimo sforzo la grata si staccò dal muro.
Certo che la finestrella era proprio stretta.
Per un lungo momento mentre si infilava e scivolava Adam temette di restare incastrato, ma poi svicolando ed ancheggiando riuscì a portare fuori tutto il corpo.
Sì ritrovò in un ampio cortile. Tutto intorno una grande casa diroccata ed abbandonata.
Più silenzioso che poteva attraversò il cortile ed uscì di corsa sulla strada.
Doveva cercare un passaggio ed allontanarsi da lì.
E poi avrebbe pensato a cosa fare.
Percorse di corsa quasi un chilometro prima di fermarsi e alzare il pollice, nella speranza che qualcuno, a quell’ora avesse pietà di un ragazzino e lo prendesse a bordo.
 
Semir entrò nel suo appartamento, dove ancora c’era il caos spaventoso provocato dall’irruzione degli uomini di Toht e pensò a cosa poteva fare ora.
Non si era comportato bene con Ruth; a nessuna donna piaceva essere piantata in asso, soprattutto nel modo in cui l’aveva fatto lui. Doveva averlo preso per pazzo, ed in fondo Semir doveva ammettere che in quel momento era quello: un pazzo.
Un pazzo che parlava con il ‘fantasma’ del suo migliore amico, e lo trattava come se fosse reale, ne stava a sentire i consigli e praticamente faceva tutto quello che lui gli diceva di fare.
Ma su di una cosa lui aveva ragione;  Ruth gli piaceva, gli piaceva davvero tanto, ma Semir amava ancora Andrea. L’amava come il primo giorno in cui aveva scoperto di esserne innamorato, come il giorno in cui l’aveva sposata, come i giorni in cui erano nate le loro figlie. L’amava e l’avrebbe amata sempre.
Preso da uno strano impulso  tirò fuori dalla tasca il cellulare e la chiamò.
Ma il telefono dopo tanti squilli gli rimandò il segnale di mancata risposta.
Rimettendosi il cellulare in tasca Semir provò una strana sensazione d’angoscia e paura.
 
“Dove sono? Avanti diteci dove sono e nessuno si farà male!!!” ordinò Junker avvicinandosi minaccioso al gruppetto che si era seduto terrorizzato sul divano di casa.
Lily aveva iniziato a piangere disperata.
“Falla stare zitta!!!” intimò Junker e subito Andrea la prese in braccio cercando di consolarla.
Aveva riconosciuto immediatamente il proprietario della Lamborghini che Adam aveva rubato nel parcheggio dell’autogrill, ma si chiese cosa poteva spingere un tizio così distinto e all’apparenza ricco a fare intrusione nella sua casa, con altri quattro uomini armati sino ai denti.
 “Allora vi decidete?” sbottò di nuovo Junker.
“Non so proprio di cosa state parlando… noi non abbiamo niente  di vostro qui…” fece Andrea con un filo di voce.
“Mi prendi per stupido? Se tu non lo sai forse lo sa questa lurida mocciosa…” rispose Junker avvicinandosi ad Aida e alzandola per il bavero.
La bambina emise un grido terrorizzando cercando di svincolarsi dalla morsa.
“Maledetto schifoso, lascia stare mia figlia…” urlò impazzita Andrea spinta dall’istinto di protezione.
La donna balzò in piedi e quasi si avventò contro Junker, contando sull’aiuto di Robert che tuttavia rimase fermo e tremante, con il terrore dipinto sul volto.
“Oh… ma guarda la mammina…” disse Junker avvicinandosi ad Andrea e tirandole la testa indietro per il capelli, mentre le poggiava la pistola alla tempia.
Andrea gemette dal  dolore e dalla paura, e guardò in cerca di aiuto Robert che continuava a rimanere immobile e tremante, senza avere neppure il coraggio di guardarla.
“Signore, la prego lasci stare mia madre… noi non abbiamo nulla… glielo giuro” balbettò Aida avvicinandosi a Junker e tirandogli la giacca.
 Junker mollò Andrea e rivolse la sua attenzione alla bambina.
“Dimmi dove  sono i diamanti che il tuo amichetto ha consegnato a tuo padre…” scandì le parole con odio.
“Diamanti? Quali diamanti… noi non sappiamo nulla…” balbettò la bambina.
“Il tuo amichetto Adam ha detto che li ha dati a tuo padre…”
“Ma non è vero noi non abbiamo preso nulla…” si giustificò Aida mentre le lacrime le scorrevano sulle guance.
Junker si avvicinò ancora di più e colpì Aida con una schiaffo fortissimo che la fece barcollare.
“Bastardo maledetto!!!” reagì Andrea avventandosi sull’uomo, ma ottenne solo di essere a sua volta schiaffeggiata e buttata a terra.
Robert continuava ad assistere immobile e impaurito alla scena senza muovere un muscolo.
“Se non sono qui vuol dire che li ha ancora tuo padre. E noi ce li faremo portare” disse alla fine Junker sollevando Aida di peso e scaraventandola sul divano.
 
Semir era sempre più preoccupato.
Aveva chiamato e richiamato senza risposta il numero di Andrea e ora sentiva lo stomaco chiuso in una morsa di ghiaccio.
Non se ne spiegava la ragione, ma aveva una sensazione orrenda.
Per l’ennesima volta si guardò intorno alla ricerca disperata di lui , ma non ce n’era traccia.
Aveva anche provato a chiamarlo ad alta voce, senza risultato.
“Maledizione, quando servi non ci sei mai” si disse pensando a quanto gli avrebbe fatto piacere averlo lì in quel momento.
Inquieto andò in cucina e si fece un caffè, ma neppure l’odore della bevanda riuscì a far comparire la sua allucinazione.
Sobbalzò quando il cellulare iniziò a squillare, ma appena vide il nome sullo schermo sorrise.
“Andrea… è tutta la serata che ti chiamo…”  esordì rispondendo.
Ma la voce dall’altro lato della linea non era quella di Andrea.
“Ispettore Gerkan…    probabilmente lei ha qualcosa di mia proprietà . Ed io ho qualcuno che le sta molto a cuore qui con me. Potremmo fare uno scambio” rispose una voce ferma e glaciale.
 
Adam alla fine era riuscito a convincere qualcuno a prenderlo a bordo.
Era bastato poco, il solito trucco di mettersi a piangere a comando, funzionava sempre.
Il camionista lo lasciò al centro di Colonia.
“Mi raccomando vai subito a casa” lo esortò l’uomo mentre Adam scendeva dal camion.
Ma Adam non aveva intenzione di andare a  casa. Non  subito almeno.
Doveva prima parlare con Aida. Doveva decidere con lei il da farsi.
Lesto si avviò alla fermata del bus per raggiungere la villetta dei nonni della sua amica.
 
“Diamanti? Quali diamanti? Io non ho idea di cosa stia parlando…” Semir aveva il cuore a mille mentre parlava al cellulare. Non riusciva ad essere lucido. L’unica cosa che  riusciva a pensare era che  sua moglie e le sue bambine erano in pericolo.
“Io credo invece che lei sappia benissimo di cosa stiamo parlando. E se non è qui fra un’ora con quei diamanti parteciperà al funerale della sua famiglia. E se avvisa qualcuno le faccio trovare le  figlie un pezzo per volta” disse la voce dall’altro lato della linea subito prima di staccare.
Semir rimase per un lungo momento immobile, come congelato, con il telefono ancora in mano.
Poi lo rimise in tasca e tirò dei respiri lunghi, cercando di calmarsi.
“Ben… dove sei…” supplicò, ma di lui non c’era traccia.
 
Adam aveva raggiunto la villetta alla periferia di Colonia e si stava avviando all’entrata, sperando che la madre di Aida, nonostante l’ora, lo facesse entrare e parlare.
Cercò di prepararsi il discorso per dirle che aveva coinvolto il padre in una storia in cui non c'entrava nulla. E per dirle che in fondo era un ladro. Un ladro che non voleva rinunciare alla sua refurtiva.
Il piano terra della piccola dépendance era tutto illuminato e Adam se ne meravigliò vista l’ora.
Adam vide diverse figure aggirarsi dietro le tende.
Guardingo, colto da uno strano presentimento, si nascose dietro un albero del piccolo giardino e poi chinandosi si acquattò sotto una delle finestre.
Quello che vide dalla tenda appena scostata gli fece mancare il respiro: quei due erano lì, i due che l’avevano rapito. E tenevano Aida e la sua famiglia sotto il tiro delle loro pistole.
 
Angolino musicale: ragazzi (anche se forse sarebbe meglio dire ragazze) questo giro mi sono un po’…scatenata! Mi spiego: il “capitolo” avrebbe richiesto qualcosa di più…soft,  ma…la canzone che farà da sottofondo sarà una specie di dichiarazione d’amore di Semir per la sua amata Andrea. Alla faccia di quella mezza cartuccia di Robert! ( sì lo so sto diventando ‘sdolcinata’ , ma preferirei essere apostrofata come ‘romantica’ ultimamente ho qualche influenza…partenopea e …irlandese…). Bene la canzone è: I'm  a believer degli Smash Mouth, ( e spero che gli Smash Mouth  mi perdoneranno, ma sotto ho postato la versione di Tom Beck …noi autrici dobbiamo farci perdonare dal teutonico spilungone…anzi c’è lo stiamo ruffianando, in futuro ci servirà e parecchio vero Maty?)
 
http://www.youtube.com/watch?v=3heoskmicio

Pensavo che l'amore fosse vero solo nelle favole, destinato a qualcun altro, ma non a me, l'amore stava cercando di prendermi o così sembrava, la delusione infestava tutti i miei sogni, poi ho visto il suo viso, ora ci credo, non c'è traccia di dubbio tra i miei pensieri sono innamorato e ci credo non potrei lasciarla nemmeno se ci provassi, pensavo che l’amore fosse più o meno una cosa da dare, ma più davo e meno ricevevo, già…A cosa serve provare? Tutto ciò che ottieni è dolore, quando volevo il sole, ricevevo la pioggia…poi ho visto il suo viso, ora ci credo…
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Ben... tornato! ***


Image and video hosting by TinyPic
IL PARADISO PUO' ATTENDERE di Maty66 e Chiara BJ

CAPITOLO 12
Ben... tornato!

 

 

Semir non sapeva cosa fare.

Gli era abbastanza evidente che la storia dei diamanti era collegata alla valigetta sparita dall’auto di Junker, ma come erano arrivati a pensare che poteva averli presi lui non gli era chiaro.

Forse era stato Adam… forse il ragazzo si era inventato qualche storia quando l’avevano preso.

Ma ora  Semir non aveva idea di come e dove trovare quei diamanti. E non poteva avvertire nessuno, quei tizi erano pericolosi, appena  avrebbero visto qualcuno della polizia potevano fare una strage.

E non da ultimo temeva di mettere anche nei guai Aida con questa storia, in fondo sull’auto con quel piccolo furfante di Adam c’era anche lei.

Sempre guardandosi introno alla ricerca della sua illusione, che invece sembrava del tutto  sparita, Semir prese le chiavi della sua BMW e salito a bordo partì a razzo verso la casa dei genitori di  Andrea.

 

Adam si nascose dietro ai cespugli. Il cuore gli batteva furioso nel petto. Cosa poteva fare ora? Non aveva neppure idea di come contattare il padre di Aida e quei malviventi tenevano la sua amica e la famiglia sotto il tiro delle loro  armi.

Era tutta colpa sua.

Adam fu preso da un forte senso di colpa.

Era colpa sua se Aida e la famiglia erano finiti nei guai, aveva pensato solo a se stesso, a tenersi quei diamanti, senza capire che accusando il padre  di Aida di averli presi l’avrebbe esposta ad un pericolo mortale.

Ma ora cosa poteva fare? Anche se recuperava i diamanti e si presentava alla porta della piccola villetta per consegnarli, quei tizi di certo non li avrebbero mai lasciati vivi.

Preso dai suoi pensieri e terrorizzato corse  lontano  appena udì il motore di una automobile che si avvicinava a fari spenti.

  

“Ben… ci sei?” chiamò a bassa voce ancora una volta Semir, mentre si avvicinava a fari spenti alla villetta dei genitori di Andrea.

Parcheggiò lontano, per non farsi vedere, e guardingo scese dall’autovettura per raggiungere la dépendance. Già da lontano vedeva il piano terra illuminato e le ombre di diverse persone dietro le tende chiuse.

“Maledizione Ben… ho bisogno di te” sussurrò più che altro a se stesso, sperando che la figura si materializzasse come al solito all’improvviso; ma anche stavolta gli rispose solo il silenzio della notte.

Silenzioso più che poteva il  piccolo poliziotto turco  si avvicinò alla costruzione e si nascose sotto le  finestre. Da lì poteva vedere ben poco, sentiva solo le voci all’interno. Aida stava parlando con uno dei malviventi e cercava di convincerlo a lascarli andare.

La sua Aida… la bambina più coraggiosa che avesse mai visto. In molti momenti gli ricordava Ben, con  il suo coraggio sfrontato,  al limite dell’incoscienza.

Ben… dove cavolo era finito? Possibile che la sua splendida allucinazione l’avesse mollato proprio nel momento del maggior bisogno?

“Hai scelto un brutto momento per diventare di nuovo sano di mente” si disse Semir mentre faceva il giro della piccola costruzione in cerca di un passaggio.

“Ispettore Gerkan...” una voce, poco più di un sussurro, lo fece sobbalzare dalla paura.

“Adam!!!” fece sorpreso il piccolo turco vedendosi il ragazzino davanti.

“Stai giù” gli intimò, trascinandolo a terra, dietro gli alberi.

Il ragazzino era sporco e spettinato, si vedeva che era fuori casa da un bel po’ di tempo.

“Io… io non volevo ispettore, non credevo che sarebbero venuti qui…” balbettò Adam appena furono al sicuro

“Ora mi dici quello che hai combinato e subito!!!”

 “Io non volevo  mettere in pericolo lei o Aida. Ho solo tentato di tirare fuori la mia famiglia dalla miseria… mio padre è malato, ma continua a spaccarsi la schiena con i turni di notte per mantenerci, volevo solo aiutarlo…” disse alla fine del racconto Adam. Ormai piangeva sommessamente mentre parlava.

Semir non ebbe il cuore di rimproverarlo ancora; in fondo  si vedeva che era pentito e soprattutto terrorizzato per Aida.

“Va bene… possiamo ancora rimediare… basta che mi dici dove sono i diamanti e li recuperiamo” fece Semir con aria paterna.

“Certo, sono a casa mia, nel mio nascondiglio. Sotto una mattonella nella mia stanza”

Semir guardò l’orologio. Mancava poco alla scadenza dell’ultimatum, doveva sbrigarsi.

“Ok, andiamo” disse mentre con Adam si avviava verso l’auto.

“Ben… dove sei… ti prego ho bisogno del tuo aiuto” si ritrovò a pensare ancora una volta inutilmente.

 
 

“La prego signore, ci lasci andare, mio padre non sa nulla di questa storia e neppure noi”

Aida stava per l‘ennesima volta tentando di convincere Junker.

“Ragazzina… ora basta mi hai stancato con queste continue chiacchiere. Vai a sederti con i tuoi o ti tappo la bocca a suon di schiaffi” le rispose rabbioso l’uomo mentre la spingeva in malo modo verso il divano.

Andrea abbracciò la figlia che si sedette accanto a lei.

“Dobbiamo ringraziare il tuo ex per questo…  lui ruba dei diamanti ed io rischio di essere ammazzato da questi malviventi”  sibilò rosso in volto Robert.

“Qualunque cosa possa essere Semir di certo non è un ladro!” rispose furibonda Andrea.

“Certo, ma intanto chi è sotto il tiro di una pistola è il sottoscritto”  rispose ancor più velenoso Robert, beccandosi uno sguardo  di rimprovero di Andrea.

La donna si guardò in giro.

“Robert… forse se riusciamo a creare un diversivo potremmo far scappare almeno le bambine…” gli bisbigliò.

“Non ci pensare neppure!!! Non voglio morire ammazzato. Staremo qui ad aspettare e a sperare che il tuo ex porti quei diamanti. Ci siamo intesi???”

Andrea guardò con disgusto  l’uomo che le sedeva accanto.

 

 

“Forse è meglio che aspetti qui, ispettore. Se la vede mio padre inizierà a fare un mucchio di domande. Ci metto cinque minuti” disse Adam scendendo dalla BMW e senza neppure dare a Semir il tempo di replicare si avviò di corsa  nell’atrio del grande condominio popolare.

“Ma lasci andare lo stronzetto così??? E se ci frega di nuovo?” disse all’improvviso una voce familiare accanto a lui.

“Ben!!!”

Semir quasi urlò per il sollievo.

“Ma dove eri finito?”

“Lasciamo stare… a rapporto dal supervisore. Ho avuto una lavata di testa che neppure la Kruger… a proposito il supervisore ti saluta”

“Chi?” chiese stupito Semir.

“Il supervisore del reparto. Il grande capo divino, come lo chiamiamo”

“Vuoi dire che mi saluta…” Semir sbarrò gli occhi indicando il cielo.

“Ma no che hai capito. Non  ti esaltare tanto. Tom… Tom Kranich” sorrise Ben.

Semir rimase per un attimo a bocca aperta.

“Non ho capito… Tom…”

“E’ uno dei supervisori. Un pezzo grosso. Anzi grossissimo. E mi ha fatto una ramanzina fenomenale sul fatto che sto interferendo troppo. Che noi dobbiamo limitarci a proteggere ed assistere, senza intervenire direttamente,  bla bla bla”

Semir rimase per diversi secondi a bocca aperta senza fiatare.

Ma ora era troppo preoccupato per la sua famiglia per pensare alle cose assurde che gli stava dicendo la sua allucinazione.

Adam uscì di corsa dall’entrata con in mano un piccolo sacchetto.

“Eccoli. Cosa facciamo ora?” chiese il ragazzino porgendo il sacchetto a Semir.

“Tu proprio nulla. Resti qui a casa buono con tuo padre e aspetti” rispose il poliziotto con aria dura.

“Ma io… voglio aiutare!!!” protestò quasi urlando Adam.

“Aiuterai stando qui buono  buono!  Ci siamo intesi? Ti chiamo appena ci sono novità” disse Semir salendo in auto e partendo a razzo.



 

“Il tempo è quasi scaduto” disse Junker avvicinando la pistola alla fronte di Andrea.

 Lily iniziò a piangere di nuovo.

“Signore la prego… lasci stare la mamma” balbettò di nuovo Aida.

Andrea era come paralizzata, non riusciva a fare o dire niente, se  non pregare che Semir arrivasse presto. Perché di una cosa era sicura. Il padre delle sue bambine non avrebbe mai permesso che quei malviventi facessero loro del male senza tentare il tutto per tutto.

 “Sperate che quel piccolo turco sia qui presto, altrimenti farete una brutta fine…” disse Weber con un ghigno satanico.

A quel punto Robert esplose.

“Io… non c'entro nulla. Non so nulla. Se mi lasciate andare posso darvi del denaro, molto denaro. Lasciatemi andare e nel giro di un’ora…” urlò terrorizzato.

“Vedo che abbiamo un cuor di leone qui… zitto, altrimenti il primo che faccio fuori sei proprio tu” rise beffardo Junker.

 
 

“Come ci organizziamo?” chiese Ben.

“Non ho proprio idea.  Saranno in almeno cinque o sei a quanto mi ha riferito Adam. Ed io non sono nemmeno armato.” Rispose Semir scuro in volto.

“Non sarebbe meglio chiamare la Kruger?” chiese lui.

“Vorrei… ma oramai è tardi. E poi hai visto anche tu che aiuti ha Toht nel dipartimento. Bohm è suo amico e stai certo che in un modo o nell’altro avvertirebbe Junker… no, posso mettere in pericolo Andrea e le bambine”

“Sì, ma se anche gli consegni i diamanti, credi che  quelli li siano disposti a lasciarle andare?”

Semir sospirò terrorizzato.

“Ci vorrebbe un diversivo… distrarli, mentre io stendo uno o un paio di loro e  li  disarmo” disse Semir mentre parcheggiava l’auto e scendeva nascondendosi fra gli alberi del piccolo giardino.

“L’aiuto io ispettore!” disse una vocina dietro di lui.

 

“Adam… ti avevo detto di restare a casa… come sei arrivato qui?” sbottò Semir vedendo il ragazzino che lo guardava con aria risoluta ed impertinente.

“Mi sono attaccato con lo skate al suo parafango” sorrise lui.

“Ecco ci mancava questo stronzetto” sbottò Ben .

Ma Semir iniziò a ragionare febbrilmente.

Non voleva mettere in nessun modo in pericolo il ragazzino, m non vedeva altra via d’uscita. Il tempo stava per scadere.

Si allontanò dal ragazzo per parlare con lui.

“E se fosse lui il diversivo? Lo mandiamo alla porta per consegnare i diamanti… mentre  io e te siamo già dentro. Ci vorrebbe un attimo. Sarebbero tutti distratti nel salone” disse Ben.

“Già e se  gli fanno qualcosa? E’ un ragazzino non possiamo rischiare. E poi come facciamo ad entrare?” obiettò Semir.

“Fino a che non avranno  visto i diamanti e accertato che sono quelli veri non gli faranno nulla, te lo assicuro. E poi basta essere veloci. A farti entrare ci penso io. Dalla porta della cantina nel seminterrato. Vado dentro e  ti apro”

“Ma non ti  hanno appena detto che non puoi interferire?” chiese  Semir.

“E quando mai io rispetto le regole? Non le rispettavo prima, figuriamoci ora. Al limite mi rassegnerò a fare da baby-sitter a Justin Bieber” sorrise Ben.

 

“Ispettore,  ma con chi stava parlando?” chiese Adam appena Semir gli tornò accanto.

“Niente, parlavo con me stesso. Lo faccio sempre quando devo organizzare un piano. Ascolta Adam… sei davvero disposto ad aiutarmi?”

Il ragazzino annuì entusiasta.

“Bene, ma devi fare esattamente come ti dico. E quando ti dico di scappare, o di buttarti a terra e stare fermo, lo devi fare… ci siamo capiti?”

 

“Bene il tempo è scaduto. Ora chiamo tuo  marito e gli faccio sentire in diretta la tua morte” urlò Junker puntando la pistola alla fronte di Andrea.

Aida e Lily scoppiarono in grida isteriche.

“La prego signore, la prego…” supplicò disperata Aida, mentre Robert continuava a guardare la scena muto.

Ma all’improvviso tutti si congelarono al suono del campanello della porta.

Weber guardò dalla finestra per vedere chi era.

“Ma tu guarda questo piccolo bastardo” imprecò mentre apriva la porta.

 

Weber prese per  il maglione Adam e lo trascinò all’interno.

“Come sei arrivato qui??? Come sei scappato?”  urlò mentre Junker lo guardava furibondo.

“Non importa, quello che importa è che ho quello che volete” disse il ragazzino mostrando il sacchetto con i diamanti.

 

 

Angolino musicale: Paura eh?...coraggio ammettetelo…avete letto il capitolo alla velocità della luce e in apnea, tirando un sospiro di sollievo quando avete letto del ritorno di Ben. Doverosa premessa per annunciare la colonna sonora per il capitolo...

Bon Jovi  ‘Welcome To Wherever You Are’ (Benvenuto Ovunque Tu Sia)

Per ascoltare http://www.youtube.com/watch?v=w3zcypsjO8o

Forse siamo tutti diversi, ma siamo ancora gli stessi abbiamo tutti il sangue dell'Eden che scorre nelle nostre vene so che a volte è difficile capire e sei incastrato tra quello che sei e quello che vuoi essere se ti senti solo e perso, e hai bisogno di un amico ricorda che ogni nuovo inizio è la fine di qualche inizio, benvenuto ovunque tu sia 

questa è la tua vita, ti ci sei allontanato benvenuto, tu devi credere che proprio qui adesso tu sei esattamente dove dovresti essere, benvenuto ovunque tu sia 
quando tutti sono dentro e tu sei rimasto fuori e ti senti affogare in un'ombra dell'alba tutti sono un miracolo, ognuno a suo modo allora ascolta te stesso, e non quello che gli altri dicono quando sembra che ti sei perso, sei solo e ti senti giù, ricorda che tutti siamo diversi dà solo uno sguardo in giro, quando vuoi arrenderti e il tuo cuore sta per spezzarsi ricorda che tu sei perfetto, Dio non fa degli errori 

 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Ritorno al... passato ***


Image and video hosting by TinyPic

 

CAPITOLO 13

Ritorno al …passato

 

“Come hai fatto ad uscire dal seminterrato?” chiese Weber infuriato, strappando il sacchetto di mano ad Adam.
Il ragazzino rise sfrontato.
“Ci ho messo meno di mezz’ora… siete degli incompetenti”
Il sorriso gli sparì dal  volto quando un ceffone lo raggiunse in pieno viso.
“Maledetto moccioso… ora ti faccio vedere io!” fece Weber infuriato,  prendendo Adam per il maglione.
Aida vedendo l’amico in difficoltà iniziò ad urlare.
“Per favore signore, non gli faccia male… lui non voleva… non sapevamo della valigetta né di quello che c’era dentro”
  “Stai zitta… altrimenti dopo mi occupo anche di te” urlò furibondo l’uomo mentre praticamente sollevava Adam da terra.
“Weber stai calmo… dopotutto non è colpa del ragazzino se ti sei fatto fregare come un dilettante” rise Junker, prendendo il sacchetto e rovesciandone il contenuto sul tavolo.
“Non è certo finita qui” fece Weber mollando Adam che finì a gambe all’aria sul pavimento.
 


Semir aspettava tremando che la porta della cantina si aprisse.
Mille pensieri gli agitavano la mente, ma cercava di tenerli a bada. Era importante restare calmi.
Doveva salvare le sue figlie e la donna che amava. E anche Robert, non poteva mica lasciarlo lì, anche se d’istinto ne sarebbe stato lieto.
Era sempre più nervoso e impaziente, Adam era dentro e lui non sapeva quello che stava succedendo.
“E muoviti…” implorò mentalmente.
Finalmente con uno scatto la porta si aprì.
“Ma quanto ci hai messo…” disse entrando nella cantina buia.
”Sono di sopra… e stanno strapazzando Adam, dobbiamo sbrigarci”  rispose Ben.
“Quanti sono?”
“Junker, Weber ed altri due”
“Ottimo… ed io sono solo e disarmato” ragionò Semir.
“Non sei solo!” protestò quasi offeso Ben.
“Ah sì, scusa… ho l’aiuto di un fantasma che solo io riesco a vedere…”
 


Aida si era precipitata da Adam, mentre Junker e Weber, eccitati, controllavano  i diamanti.
“Ma sei impazzito? Venire qui da solo… cosa credi di fare…” bisbigliò all’amico.
“Non sono solo…” ammiccò il ragazzo.
“Vuoi dire che… papà?” fece ancora più a bassa voce Aida sbarrando gli occhi.
Adam annuì.
“Stiamo pronti…” sussurrò.
“Ora mi dici come sei arrivato qui e se qualcun altro sa di questa storia” sibilò Weber avvicinandosi di nuovo ad Adam.
 


Semir salì le scale  in legno della cantina sobbalzando ad ogni scricchiolio.
Con cautela aprì la porta che dava sulla cucina della dépendance, spiando dallo spiraglio.
Uno degli uomini era sulla porta di comunicazione con il salotto, dove c’erano tutti gli altri.
Semir sentiva le voci concitate di Adam e Junker e si stava chiedendo come fare quando vide Ben che gli faceva i soliti segni in codice che si scambiavano prima di entrare in azione.
Tre… due… uno…
Ben aprì l’acqua nel lavello.
Stupito l’uomo di avvicinò dando le spalle alla porta: ci volle meno di un minuto perché Semir lo tramortisse.
Subito dopo lo trascinò all’interno e gli prese la pistola.
 
“Mamma… Adam dice di stare pronti…” sussurrò Aida sedendosi accanto alla madre.
Junker stava rimettendo i diamanti nel sacchetto.
Andrea guardò la figlia stupita, ma subito dopo lo sguardo le cadde sulla porta della cucina.
Semir la guardò facendole segno di tacere con il dito sulle labbra. Poi le indicò l’uomo che le era vicino.
Avevano passato molto tempo a lavorare insieme in polizia, e Andrea sapeva bene cosa voleva  che facesse.
Improvvisamente  balzò in piedi per distrarre l’attenzione di tutti.
“Devo andare in bagno” annunciò quasi urlando.
“Brutta cretina… rimettiti subito a sede…” fece l’uomo che le era accanto.
Ma non ebbe il tempo di finire la frase.
Semir lo colpì con il calcio della pistola, facendolo stramazzare al suolo.
“Fermi tutti e armi a terra!!!” urlò mentre puntava la pistola verso Junker, ancora occupato a mettere nel sacchetto gli ultimi diamanti, e Weber.
 
“Maledizione…” imprecò Junker.
Sia lui che Weber guardarono Semir stupefatti.
Lentamente  entrambi  poggiarono le loro armi a terra.

“Ma non avevi controllato che tutte le porte fossero chiuse?” imprecò  Junker.
“Certo ho controllato anche quella della cucina…” rispose allibito Weber.
“Bene ispettore… vediamo di metterci d’accordo… qui c’è denaro per tutti… lei può diventare molto ricco se è ragionevole” disse sorridendo Junker.
“Lei stia zitto se non vuole aggiungere il tentativo di corruzione alla lunga sfilza di reati che ha già commesso” rispose duro Semir.
“Andate tutti in cucina” disse poi rivolto ai quattro che sedevano sul divano.
Robert era più bianco di un lenzuolo e tremava come una foglia. Rimase seduto mentre Andrea e le bambine si alzavano.
“Robert… facciamo come ha detto Semir…” fece Andrea alzandolo quasi di peso per un braccio.

Ma mentre si alzavano Weber con un gesto felino afferrò Aida che gli era più vicina e le strinse le mani al collo.
“Getta la pistola o le spezzo il collo in meno di un secondo”
 
Semir si congelò all’istante.
Certo poteva sparare, ma quell’uomo era grosso, con la mano prendeva tutto il collo di Aida e se non lo colpiva subito le avrebbe fatto del male.
La bambina lo guardava con i suoi grandi occhi scuri  e Semir vi leggeva paura, ma anche determinazione.
“Butta la pistola” urlò di nuovo Weber mentre stingeva il collo di Aida.
La piccola iniziò ad ansimare.
Semir si guardò introno alla disperata ricerca di lui.
“Ti prego, ti prego aiutami” pensò mentalmente.
“Buttala!!!” urlò di nuovo Weber stringendo più forte.
Era inutile non poteva mirare alla testa, troppo pericoloso.
Ora anche Junker si era avvicinato a Weber.
E poi all’improvviso comparve Adam dietro i due.
Tutti si erano praticamente scordati di lui.
Aveva un grosso vaso in mano.
“Non ce la può fare, non ci riuscirà a colpirlo in testa… ma se lo distrae…” pensò freneticamente Semir.
A distrarlo ci pensò lui.
Con una mossa rapida, mentre Adam si avvicinava, Ben fece barcollare Weber, che per tenere l’equilibrio si abbassò leggermente.
Giusto quanto bastava ad Adam per rompergli con tutta la forza che aveva il vaso sul capo.
Weber stramazzò al suolo esamine.
 
 

“Aida tesoro, stai bene?”  chiese Semir preoccupato avvicinandosi alla figlia che tossiva leggermente.
“Sì sto bene, papà” lo rassicurò subito lei abbracciandolo.
“E tu?” chiese Semir ad Adam.
“Bene signore grazie” rispose il ragazzino guardando con soddisfazione Weber a terra.
Andrea si era avvicinata al gruppetto e abbracciò Aida con le lacrime agli occhi.
“E’ finita, è tutto finito” fece Semir raccogliendo la pistola di Weber e passandola alla ex moglie.
“Sì grazie a te… e ad Adam” rispose con occhi scintillanti la donna.
“Non vorrei interrompere questo quadro familiare idilliaco, ma quello sta scappando” disse Ben.

Semir  si voltò giusto in tempo per vedere Junker salire a bordo della sua auto e sgommare.
“Chiama subito il distretto. E tienili sotto tiro” urlò Semir alla moglie mentre si precipitava fuori all’inseguimento.
 
“Adam per favore in cucina ci devono essere dei lacci delle tende, prendiamoli e leghiamo questi bastardi” fece Andrea puntando la pistola contro Weber che si stava riprendendo.
“Sì signora” rispose il ragazzino.
”Aida tu chiama il numero del Commissario Kruger e raccontale quello che è successo” continuò Andrea.
Poco dopo Adam tornò con i lacci ed i due si misero a legare gli scagnozzi e Weber mentre Lily  girava in tondo chiedendo allegra “Anche io voglio legare i cattivi!!!”
Solo quando ebbero finito Andrea si accorse di una cosa.
“Aida… ma dov’è Robert?” chiese con una leggera preoccupazione, mentre all’esterno si sentivano le sirene delle auto della polizia che si avvicinavano.
Tutti si girarono intorno sino a che Adam non lo scovò.
“E’ qui signora” esclamò indicando dietro al divano.
Robert era accovacciato a terra in posizione fetale, tremante come una foglia.
“Non mi uccidete… io non ho fatto nulla… è tutta colpa loro… io non ho fatto nulla” borbottava tenendosi le mani sulle orecchie.
Andrea sospirò di disgusto.
“Avanti… ti puoi alzare è finita” disse quasi sorridendo.
 


“Attento… vai a destra… ma non così non vedi che quello davanti è una lumaca… superalo!!!” Ben continuava a dare ordini, mentre Semir era all’inseguimento di Junker, cercando di non provocare incidenti e di non farsi seminare.
“Vuoi stare un po’ zitto?”
Gli sembrava proprio di essere tornato ai vecchi tempi.
La situazione era però veramente difficile, l’auto di Junker si stava dirigendo verso il centro di Colonia e anche se era  quasi notte fonda il rischio di investire qualcuno era altissimo.
“E chiama la centrale, fatti mandare aiuto!” disse Ben concitato.
“Che stupido” pensò Semir la situazione gli era sembrata così reale che non aveva pensato a farlo lui, di solito quando erano insieme a chiamare i rinforzi ci pensava chi non era alla guida.
“Cobr…” Semir si bloccò quella non era più la sua sigla operativa da quando non era in servizio attivo.
“Centrale qui l’ispettore Gerkan… sono all’inseguimento di una berlina nera in direzione…”
Semir diede le indicazioni di routine cercando di non perdere di vista Junker.
“Porca miseria” imprecò quando vide l’auto infilarsi  in un garage.
“La torre delle televisione accidenti, è piena di turisti anche a quest’ora di sera” imprecò Ben.
 



Angolino musicale: Evviva, la coppia d’oro è tornata in azione…inseguimenti, adrenalina…insomma ‘Cobra 11’…non vedevate l’ora vero? Beh pure noi autrici…Comunque colonna sonora…ancora Bon JoviLost Highway’ (Superstrada Sperduta)
Per ascoltarla
Nel mio specchietto retrovisore La mia vita sta diventando più chiara Il tramonto sospira e lentamente scompare La vita cambia come cambia il tempo
Tu cresci, invecchi, o te ne vai nei dintorni Così guido, osservando passare le linee bianche Ehi ehi! Ho finalmente trovato la mia strada ho detto addio al passato Spingo sull’acceleratore, non ci sono freni su questa superstrada sperduta Si, sono libero, sto lasciando andare tutto Fuori nella strada aperta È il giorno dell’indipendenza su questa superstrada sperduta
Non so dove sto andando Ma so dove sono stato ho paura di tornare di nuovo indietro
Così guido, anni e miglia mi stanno volando accanto
Oh santo patrono delle anime sole Dì a questo ragazzo che strada prendere
Guida l’auto, hai le chiavi Addio alla mediocrità

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Fidati di me!! ***


Image and video hosting by TinyPic


IL PARADISO PUO' ATTENDERE DI MATY66 e CHIARABJ


CAPITOLO 14
Fidati di me!!

 

 

Junker scese dall’auto senza curarsi né di chiudere gli sportelli né di spegnere il motore.

Si precipitò verso gli ascensori che lo portavano al grande atrio.

Se era fortunato poteva confondersi con i turisti che a quell’ora sciamavano fuori dopo le visite notturne per ammirare il panorama.

Forse, se riusciva a portare il sacchetto con i diamanti a Toht, non tutto era perduto.

Nessuno poteva collegare quello che era successo a lui, e se riusciva a corrompere il giudice Toht aveva i mezzi ed il modo per farlo sparire.

Ma se non ci riusciva… Toht non era il tipo da perdonare errori.

Con il cuore in gola aspettò che la cabina arrivasse al piano e che le porte si richiudessero, subito prima che la BMW del poliziotto entrasse, sgommando nel garage.

 



“Eccola…l’auto è lì” disse Ben indicando la berlina nera davanti a loro, con gli sportelli aperti.

“Porca… ha preso l’ascensore.  Se arriva all’atrio non lo becchiamo più, si confonderà con i turisti”

Ma Semir non riuscì a finire la frase.

Lui era già sparito.

Più veloce che poteva Semir fermò la BMW e si avviò di corsa per le scale.

 

L’atrio della torre della televisione era stracolmo.

Ogni giovedì organizzavano una visita guidata agli studi e sulla cima della torre per ammirare il panorama  notturno e l’evento richiamava  molti turisti e gli stessi abitanti di Colonia.

Appena entrato, ansimando, Semir si guardò intorno, ma vide solo una muraglia umana… uomini donne e bambini che vociando allegri cercavano di guadagnarsi l’uscita.

In quelle condizioni era praticamente impossibile trovarlo.

“Ehi… è lì dietro a quella colonna” sussurrò Ben dietro di lui.

Semir guardò nella direzione indicata e scorse Junker che cercava di nascondersi.

Pensò a cosa fare.

Non poteva estrarre la pistola, né tanto meno sparare con tutta quella gente. Il panico avrebbe provocato un mucchio di feriti e gli avrebbe consentito una rapida via di fuga.

L’unica era avvicinarsi e tentare di bloccarlo.

Ma aveva fatto male i conti con la folla che bloccava ogni suo passo.

Junker lo vide e lesto si precipitò verso gli ascensori.

Appena  le porte si aprono ne prese uno in salita.

 

“Sta salendo!” fece Ben sparendo come d’incanto per l’ennesima volta.

Semir si ritrovò a pigiare più e più volte il pulsante di chiamata, cercando di tenere d’occhio l’altro ascensore per capire dove si fermava.

“Signore, a quest’ora non si può salire” disse l’ascensorista mentre Semir si precipitava dentro.

“Polizia… appena arrivo ridiscenda e dica ai colleghi quando arrivano dove sono!” ordinò Semir mostrando il tesserino.

“Ultimo piano, non so cosa voglia fare, ma sta andando all’ultimo piano” disse Ben comparendogli alle spalle.

 



Il vento freddo quasi travolse Semir appena uscì sullo stretto corridoio dell’ultimo piano della torre.

Tutto intorno un paesaggio mozzafiato, pieno di luci di mille colori, con  sullo sfondo la bellissima Cattedrale ed il grande ponte sul Reno.

Semir tirò fuori la pistola.

“Junker… è finita, venga fuori… “ urlò guardandosi intorno.

“Dall’altro lato” bisbigliò lui.

Guardingo iniziò a camminare sulla passarella in ferro, mentre il vento si faceva sempre più forte.

Con la coda dell’occhio vide un lembo della giacca di Junker che si agitava al vento dietro l’angolo.

Più silenzioso che poteva si appiattì contro la vetrata, poi contando mentalmente, si sporse dall’angolo puntando la pistola.

Niente.

Con il cuore a mille il piccolo turco si avviò  di nuovo sulla passerella quando un rumore metallico lo distrasse.

E la distrazione fu fatale.

Sentì una forte spinta alle sue spalle e la pistola gli cadde di mano, finendo nel vuoto.

 

Junker iniziò a colpire Semir in modo selvaggio.

Sembrava animato dalla forza della disperazione e dotato di una forza incredibile.

E Semir era fuori forma, dopo tanti mesi relegato ad una scrivania.

“Stupido che sei, potevi almeno continuare ad andare in palestra” si disse mentre arrancava sotto i colpi di Junker.

La lotta furibonda andò avanti per alcuni minuti sino a che Semir non riuscì ad assestare un colpo proprio sotto il mento: Junker cadde a terra tramortito.

“Ma dove sei quando servi…” si chiese ansimando.

Non ebbe il tempo di chiedersi altro.

Sentì solo un “Semir attento!!!” dietro le sue spalle, ma  troppo tardi per reagire prontamente.

Junker lo spinse alle spalle e Semir si ritrovò oltre la balaustra, appeso per una sola mano ad una piccola sporgenza.

Una sola mano che lo teneva in bilico sul vuoto.

 



Junker lo guardò soddisfatto mentre cercava a terra il sacchettino dei diamanti, cadutogli durante la lotta.

Ma era buio ed il sacchettino di panno scuro non era facilmente visibile.

Arrancando a tentoni Junker non si avvide che ce l’aveva  vicino ai piedi.

Inavvertitamente  lo spinse con la punta della scarpa e il sacchettino  finì giù, bloccandosi sulla piccola sporgenza, la stessa che teneva in vita Semir.

 


Mille pensieri passavano per la testa di Semir.

Avrebbe voluto chiamare a gran voce Ben, ma  era  solo una sua illusione e non poteva toccarlo. Le poche volte che ci aveva provato l’aveva attraversato come aria.

Con la coda dell’occhio cercando disperatamente un appiglio con l’altra mano, vide il sacchettino volare giù e finire proprio vicino a lui a meno di mezzo metro.

Ma gli interessava poco.

Voleva salvare la sua vita.

Voleva vivere per Andrea, per Aida e Lily.

Aveva ancora un mucchio di cose da fare, voleva vedere le sue figlie crescere, realizzarsi nel lavoro, sposarsi.

Voleva diventare nonno  e soprattutto voleva riconquistare Andrea e diventare vecchio insieme a lei.

Voleva tutte queste cose, ma la sua mano scivolava sempre più.

“Ben…” implorò, anche se sapeva che era inutile.

 


Junker si sporse cercando di arrivare al sacchetto, ma era inutile, non ci riusciva.

Ma doveva recuperarlo, altrimenti la sua vita era finita.

Si sporse cercando di tenersi con una mano alla ringhiera, ma non ce la faceva.

Sporse sempre più il busto… ecco ora le sue dita sfioravano il sacchetto… ancora un po’…

Non si accorse che il peso del suo corpo lo stava trascinando giù.

Quando capì cosa stava succedendo stava già precipitando nel vuoto.

 



Semir vide il corpo di Junker cadere nel vuoto come una bambola di pezza.

Non urlava… sembrava un manichino gettato nel vuoto.

Chiuse istintivamente gli occhi per l’orrore.

Presto avrebbe fatto la stessa fine.

Le dita erano ormai insensibili e rattrappite ed il vento gli sferzava i pantaloni.

“No!!!Non voglio morire” pensò.

“Semir… metti la mano qui…”

Semir guardò la sua illusione.

Era appollaiata sulla sporgenza.

“Aiutami… ti prego” supplicò.

“Ti aiuto, ma  ti devi fidare… l’altra mano mettila qui” disse indicando un punto della piccola sporgenza.

“Ma non ce la faccio… aiutami tu…” urlò disperato il piccolo turco.

“Lo devi fare da solo Semir, io non posso… fidati di me…” lo esortò Ben.

Sempre più disperato Semir fece come gli aveva detto.

“Ora metti il piede a destra… con calma…”

“Ma non c’è nulla” urlò di rimando.

“Semir devi stare calmo… tu non puoi afferrarmi lo sai… fai come ti dico io…fidati”

La voce di Ben era calma.

Semir fece come gli aveva detto ed effettivamente trovò un appoggio per il piede.

Lentamente si issò e liberò una mano per raggiungere la ringhiera.

“Calma stai calmo ce l’ha quasi fatta… bene ora l’altra mano…”

Lentamente Semir raggiunse la ringhiera e riuscì ad issarsi e poi a lasciarsi cadere sulla passarella.

Ansimava e tremava come una foglia.

“Bene… ce l’hai fatta… visto?” disse Ben comparendogli a fianco.

Semir rimase disteso con gli occhi chiusi per un po’.

“Stavolta ho davvero pensato che era finita…”

“E?” chiese lui.

“E ho pensato che volevo vivere, che non volevo morire” continuò Semir.

“Bene, così sono sicuro che non rifarai  la cazzata del ponte sul Reno” rise Ben subito prima di sparire.



Poco dopo la Kruger e Dieter fecero irruzione sul ponte panoramico.

 

“Sicuro di stare bene?” chiese la Kruger mentre si avviavano verso l’uscita.

Semir distolse lo sguardo dal corpo disteso sull’asfalto coperto da un lenzuolo insanguinato.

“Sto bene, commissario non si preoccupi” rispose Semir.

“Piuttosto la mia famiglia?” chiese poi.

“Tutto bene, Jenny è rimasta con Andrea e le bambine e la Wailer sta già interrogando Weber”

Semir annuì.

Era ancora scosso, ma ora tutto gli sembrava più chiaro.

Dopo tutti quei mesi aveva finalmente capito quanto fosse importante la sua vita. E che doveva riprenderla in mano definitivamente.

“Commissario per quanto riguarda il ragazzo…  se non fosse stato per Adam…”

“Gerkan… non voglio chiedermi come mai ha deciso di servirsi di un ragazzino di quattordici anni, non voglio chiedermi perché non ci ha avvisato tentando di fare tutto da solo… quindi… lasciamo cadere il discorso. Comunque la Wailer ha detto di riaccompagnare  Adam a casa, che se ne parlerà con calma di quello che il ragazzino ha fatto”

Semir sorrise.

Conosceva la Kruger, avrebbe fatto di tutto per tenere Adam lontano dai guai.

“Ok… posso farlo io, così parlo anche con il padre…” disse Semir salendo in auto.

 



“Dopo tutto quello che ho passato… come osi? Come ti permetti? Io non sono un vigliacco…”

Semir udì solo l’ultima parte del discorso di Robert che usciva furibondo dalla villetta.

Ormai albeggiava.

Semir  si avviò all’interno mentre Robert lo guardava con odio e saliva di corsa sulla sua auto.

Nella piccola dépendance regnava ancora il caos assoluto.

Lily dormiva sul divano, mentre Aida e Adam erano seduti a terra chiacchierando fitto.

“Andrea…” chiamò.

“Papà!” esclamò Aida nel vederlo, subito prima di piombargli  addosso in un abbraccio tempestoso.

“Semir…” anche Andrea si avvicinò.

L’abbraccio della moglie rincuorò Semir  più di ogni altra cosa.

“State tutti bene?” chiese.

“Sì bene” sorrise Andrea.

Semir omise volontariamente di chiedere qualsiasi cosa su Robert.

“Che ne dite di una bella colazione?” propose Andrea sorridendo.

“Certo… coraggio Adam che dopo colazione ti accompagno a casa”

Nel vedere la moglie che apparecchiava la tavola Semir ebbe un moto di gioia infinita.

Quella era la sua famiglia e forse ora poteva riprendersela.

 

 




Angolino delle autrici: SORPRESA!!! un altro capitolo per voi come vedete, a distanza di un solo giorno. In settimana non abbiamo tempo di aggiornare  e soprattutto... non vediamo l'ora di consultarvi per una piccola questione su cui stiamo dibattendo.

Care lettrici (e lettori se ce ne sono) preparatevi quindi... e preparate i fazzoletti, maxi possibilmente.

 



Angolino musicale: La mia passione sconfinata per i chitarristi…poteva mancare Bryan Adams? Mi ha ispirato una frase della canzone che troverete ‘sotto’… ‘C'è un momento nella vita di ogni uomo Quando si deve decidere ciò che è sbagliato e ciò che è giusto’ e io aggiungerei cosa è bene e cosa è male…morire o vivere …  già vivere quello che sceglie Semir sotto lo sguardo compiaciuto di Ben (con frecciatina finale).

Quindi: Bryan Adams ‘Into the fire’(nel fuoco)

https://www.youtube.com/watch?v=BN31D-y5BW4


Vita, sottile come un filo A volte si è fortunati A volte è meglio essere morti, vivi ogni giorno come fosse l'ultimo Beh, io so quello che il tuo cuore desidera Ma non si può portarlo con te Nel fuoco Ora che hai fatto tutto il possibile La tua vita è al bivio guarda come scivola tra le mani. Ora, stai in piedi sulla montagna e gridi invano al cielo Ma nessuno ti ascolta - le parole sono eco dentro di te Oh proteggi la fiamma - può spegnersi Risorgi dalle ceneri Nel fuoco
Basta tenere la tua vita sul filo di lana C'è un momento nella vita di ogni uomo Quando si deve decidere ciò che è sbagliato e ciò che è giusto Si potrebbe aspettare che i tuoi sogni diventino realtà
Ma il tempo non ha pietà Beh, io so quello che il tuo cuore desidera Strisciando fuori dalle macerie
Nel fuoco

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Rimpianti e nostalgia ***




Image and video hosting by TinyPic
IL PARADISO PUO' ATTENDERE


CAPITOLO 15
Rimpianti e nostalgia

 

“Ti rendi conto vero, che hai comunque fatto una cosa grave? Cercare di  tenerti quei diamanti… in ogni caso era un furto”

Semir rimproverava con voce calma il ragazzo seduto al suo fianco, mentre lo riaccompagnava a casa.

Adam continuava a guardare a terra, senza profferire parola e a Semir sembrò di vedere una lacrima scendergli sulla guancia.

“Lo so signore… ma io volevo aiutare la mia famiglia. Mio padre è malato, ma è costretto a fare i turni di notte per mantenerci. Prima faceva l’ingegnere, ma da quando ha perso il lavoro è costretto a fare l’operaio. I miei fratelli e sorelle  si vestono con quello che ci passa l’assistenza pubblica…”

La voce del ragazzino era scossa e a Semir fece  un po’ di pietà.

“Capisco, ma certo non puoi aiutare la tua famiglia rubando. E poi pensa a che pericolo hai fatto correre ad Aida…”

“Questo l’ho capito. E mi creda io farei qualsiasi cosa per Aida… mi dispiace di averla coinvolta e di aver coinvolto lei ispettore” si giustificò Adam.

“Cosa mi succederà ora?” chiese poi il ragazzino con una nota di paura nella voce.

Semir sorrise.

“Vedrai che la procuratrice Wailer sarà clemente. Ed io metterò una buona parola… in fondo mi hai aiutato molto…”

Adam lo guardò sorridendo.

“E potrò frequentare Aida?” chiese con gli occhi scintillanti.

A Semir venne da ridere. Le cotte dei ragazzini potevano essere molto, molto profonde.

“Beh vedremo, se ti comporti bene, vai bene a scuola e non combini più guai…”

“Cosa????” urlò la solita voce mentre lui  compariva sul sedile posteriore.

“Non puoi dargli il permesso di frequentare Aida. E’ un teppistello, un mezzo delinquente… uno stronzetto”

Semir non rispose, ovviamente, limitandosi a guardare la sua allucinazione dallo specchietto retrovisore.

“La porterà ai rave, chissà cosa combinerà con lei… come puoi permettere che la frequenti? La mia principessa…”


La litania continuò incessante, con la descrizione di ogni possibile guaio  in cui Adam avrebbe trascinato Aida, sino a che Semir non parcheggiò davanti al palazzo dove abitava Adam.

Mentre il ragazzino si avviava dentro Semir ne approfittò per bloccare lui.

“Smettila, in fondo non è un cattivo ragazzo, lo hai visto anche tu…” sussurrò.

“Sì molto in fondo… non mi piace, la mia principessa merita di meglio…” rispose Ben.

“Guarda che quello geloso dovrei essere io; e poi non esagerare, mica si devono sposare, sono solo amici”

“Sì iniziano così e poi… ti ritrovi nonno senza che neppure te ne accorgi”

Il pensiero improvvisamente colpì Semir, ma non ebbe il tempo di ribattere ulteriormente: il padre di Adam gli venne incontro.

“Ispettore, venga in casa… che sollievo… non so cosa dire… il ragazzo mi fa disperare…” fece scortando Semir nel piccolo appartamento.

“Prego si accomodi ispettore” disse l’uomo facendolo entrare nel piccolo salotto.

“Questa è mia madre ispettore” fece poi presentando l’anziana signora seduta sul divano.

Semir rimase di stucco.

“Ispettore Gerkan… che bello rivederla” sorrise la maga Ofelia.

“E ciao anche a te, bel ragazzo” disse sempre sorridendo guardando verso Ben.

“Vi conoscete?” chiese sorpreso il padre di Adam a Semir.

“Diciamo di sì…” balbettò imbarazzato Semir, mentre la  maga Ofelia iniziava una serrata conversazione con Ben.

“Dimmi, è da molto che hai questo incarico?” chiese la signora sorridendo amabilmente al vuoto.

“Ah… è il tuo primo incarico… bene bravo...” continuava Ofelia.

“La scusi… mia madre è un po’ bislacca, crede di essere una sensitiva e di vedere  gli angeli custodi. Forse ha visto anche quell’assurda pubblicità che l’associazione di cui fa parte manda sulle tv locali”  si scusò il figlio.

 

 

“Cosa succederà ora?” chiese il padre di Adam preoccupato.

“Non posso esserne certo, ma l’aiuto che mi ha dato suo figlio sarà considerato. Vedrà che la procuratrice Wailer sarà clemente, dopo tutto il ragazzo ha restituito tutto…”

“E’ anche colpa mia sa… sono io che non riesco più a mantenere degnamente la mia famiglia e lui si sente responsabilizzato”

Semir lo guardò con simpatia.

“Vedrà che la situazione migliorerà… le faccio sapere appena la Wailer mi  dice qualcosa su Adam” promise Semir alzandosi dal divano.

Ben era ancora impegnato in amabile conversazione con Ofelia.

“No signora… non ho mai incontrato il vero capo…” fece Ben.

“Ora devo andare… a presto” la salutò poi vedendo che Semir si avviava all’uscita.


 

“Ma come faceva a vederti e sentirti? Avevi detto che solo io potevo” chiese curioso Semir quando furono in macchina.

“Beh, non è che sono molto esperto in materia. Ma Otto dice che qualcuno ci riesce” rispose lui.

Semir si limitò ad annuire.

Si sentiva molto stanco, ma prima di andare a casa a dormire doveva fare una cosa.

“Dove stiamo andando?” chiese interessato Ben.

“Da Ruth Wailer. Le devo comunque una spiegazione”


 

“Prego ispettore Gerkan… entri” gli disse formalmente Ruth vedendolo sulla porta dell’ufficio.

La donna congedò la segretaria e poi si sedette alla scrivania.

Vedendo l’imbarazzo di Semir iniziò lei la conversazione.

“Weber ha confessato.  Sia lui che Junker lavoravano per Toht. I diamanti servivano per corrompere il giudice del processo che inizia la settimana prossima. Ho appena emesso i mandati d’arresto” disse mostrando i fogli davanti a lei.

“Le coincidenze sono incredibili a volte. E cosa intende fare per Adam Nitch? Il ragazzo è stato fondamentale, ha avuto molto coraggio” fece Semir conservando il tono formale.

“Beh, questo è vero… resta il fatto però che ha rubato quei diamanti e ha cercato di tenerseli…”

“Sì, ma appena ha capito che Aida era in pericolo non ha esitato un attimo a consegnarli” ribatté Semir.

“Il ragazzo le sta a cuore, vero? Mi sa che le ricorda qualcuno…” sorrise Ruth Wailer.

“Sì in effetti anche io ho fatto i miei errori da giovane”

Ruth lo guardò intensamente.

“E va bene, mi voglio fidare… proverò a fargli avere un affidamento in prova. Ma sarà l’ultima volta” sospirò Ruth.

I due rimasero in silenzio per un po’, con evidente imbarazzo.

“Senti…” si trovarono a dire in contemporanea.

“Prima tu” lo invitò Ruth.

“Mi dispiace davvero Ruth per quello che è successo. Sono stato un vero stupido, non avrei dovuto… Tu sei una donna bellissima ed intelligente, meriti di più. Non meriti qualcuno che ha la testa da qualche altra parte. Capisco se ce l’hai con me…sono imperdonabile” disse il piccolo turco tutto d’un fiato.

“No la stupida sono io. Avrei dovuto capire subito che sei ancora innamorato di tua moglie, ti si legge in faccia. Ma mi sentivo sola…”

“Tu meriti il meglio, davvero. Sei una donna eccezionale, davvero” Semir era sempre più in imbarazzo e soprattutto dispiaciuto.

Ma Ruth lo tolse dall’imbarazzo con un sorriso luminoso.

“Bene, possiamo restare amici però, giusto?” chiese.

“Ma certo, ne sarei onorato” disse Semir alzandosi e porgendole la mano.

“Ah Semir… ho appena parlato con il  capo della Polizia. Gli ho detto che sei un elemento prezioso e che i tuoi problemi sembrano definitivamente superati. Dal mese prossimo se superi la visita medica torni in servizio attivo” disse stringendogli la mano.

Semir rimase di stucco; quella donna era davvero eccezionale, dopo quello che era successo, dopo che l’aveva trattata malissimo lei gli aveva fatto recuperare il suo lavoro.

“Ruth… io non so cosa dire…” riuscì a balbettare.

“Non devi dire nulla. E’ giusto così. Tu sei un bravo poliziotto e il tuo posto è in servizio attivo, non dietro una scrivania. Sei più utile lì” disse la procuratrice.

“Grazie. Ti sarò grato per sempre” mormorò Semir  abbracciandola affettuosamente.

 

 

“Certo che è proprio una donna eccezionale. Io ti avrei mandato a quel paese” fece Ben seduto accanto a Semir.

“Guarda che la maggiore responsabilità è tua. Se non ti fossi impicciato come al solito…”

“Se non mi fossi ‘impicciato’ ci saresti finito a letto. E ora sarebbe più difficile recuperare con Andrea”

Semir dovette ammettere che in fondo aveva ragione.

“A proposito… il damerino Robert è scappato a gambe filate” rise Ben.

Semir sorrise anche lui.

“Aida mi ha raccontato che piagnucolava come un bambino e che Andrea lo ha chiamato vigliacco” disse con soddisfazione.

“Bene, ora  non devi fare altro che ricominciare con lei. Poco alla volta, senza fretta. Sarà anche più bello”

Semir annuì.

“Mi ha invitato a cena per domani…” disse soddisfatto.

“Bene, e poi puoi organizzare anche tu. Vedrai che presto tornerete ad abitare tutti insieme nella nuova casa” fece soddisfatto lui.

Semir dapprima annuì, ma poi si rabbuiò.

“Peccato che anche se facciamo pace non abiteremo più nella nuova casa” disse piano

Ben lo guardò con aria interrogativa.

“Vuoi dire che mio padre…”

“Sì, ha chiesto la restituzione immediata del prestito. Ma non te ne devi preoccupare. Troveremo una soluzione. Magari venderemo la casa e ne compreremo una più piccola con quello che ci resta dopo la restituzione del prestito”

“Ma non può farlo. Avete scelto quella casa con cura. Abbiamo girato per mesi per trovarla, con il giardino e  la piscina per le bambine. Non è giusto!” protestò arrabbiato lui.

“Tuo padre aveva tutto il diritto di richiedere la restituzione del prestito. Dopo tutto ha ragione.  Se fossi in lui mi comporterei allo stesso modo” rispose Semir diventando all’improvviso triste e pensieroso.

“E basta con questi sensi di colpa!!! Vai a casa a dormire ci vediamo dopo” disse sparendo.

 “Aspetta dove vai…”  ma la frase morì sulle labbra di Semir.

Il piccolo turco  parcheggiò l’auto di fronte alla villetta che aveva acquistato con Andrea sperando che diventasse la loro vera casa, quella dove crescere le loro figlie e magari il maschietto che poteva arrivare.

Sospirò pensando a tutto quello che era successo da quando l’avevano comprata, pieni di speranza per il futuro.

Gli tornarono in mente le immagini di Ben che portava dentro gli scatoloni durante il trasloco, aiutato da Aida e con Lily praticamente attaccata alla gamba. Le urla e le risate tornarono vivide nel suo ricordo.

Le cose potevano tornare a posto, la sua vita poteva rientrare nei normali binari, ma quelle scene non sarebbero mai più tornate.

 

Konrad Jager  aveva appena compiuto sessantacinque anni, ma ormai si sentiva centenario.

Viveva ogni giorno come in eterna attesa di qualcosa che potesse liberarlo da quel dolore sempre presente, opprimente e crudele. Ma nulla poteva liberarlo, nulla poteva alleviare quella sofferenza.

Questa era la sua punizione, la punizione per essere stato  un pessimo padre.

E Konrad cercava di accettarla, ma spesso , soprattutto al calare della sera, la sofferenza si faceva talmente forte che non riusciva neppure a respirare. E il suo unico alleato diventava l’alcol ed il ricordo dei tempi passati.

Quella sera era una di quelle sere.

Come al solito aveva appena assaggiato  la cena preparata da Helga, poi si era chiuso nel suo studio ed aveva aperto il mobile bar, scegliendo con cura la bottiglia.

Poi,  come sempre, si era seduto sul divano e aveva iniziato a guardare l’album delle foto di famiglia, bevendo direttamente dalla bottiglia e sperando che l’alcol facesse presto effetto e lo trascinasse nell’incoscienza.

Sentì un timido tocco alla porta.

 Helga cercava di recuperarlo, quella donna poteva essere tremendamente impicciona.

“Signor Jager… le serve qualcosa?” chiese sommessamente la governane.

“No, può andare” rispose duro Konrad.

Ma stavolta Helga non si mosse.

“Signor Jager… lei dovrebbe farsi forza, abbattersi così non serve a nulla. Ben non vorrebbe vederla…”

“Quel che Ben vorrebbe o non vorrebbe non lo possiamo sapere più. Perché lui non c’è più… ora vada grazie” rispose sgarbato Konrad.

Helga  sospirò triste ed uscì dallo studio, chiudendo la porta.

Andando verso la cucina si fermò a guardare le foto che erano sul mobile all’ingresso.

Prese la foto del ragazzino, con gli occhi grandi e scuri che sorrideva sbarazzino alla fotocamera e l’accarezzò.

“ Bambino mio…non è giusto…” sussurrò mentre una lacrima le scendeva sulla guancia.

 

Ben si fermò a guardare la figura dell’anziano imprenditore che dormiva sul divano.

La bottiglia vuota rovesciata sul tappeto era finita accanto all’album delle foto.

Volti sorridenti facevano capolino dalle pagine piegate.

Una giovane donna dai capelli scuri che abbracciava due bambini sorridenti; la stessa donna che spingeva l’altalena con il ragazzino più grande; due bambini che addobbavano un albero di natale.

Scene di vita familiare serena che non c’era, non c’era più da tempo.

“Ben… perché…” borbottò Konrad  agitandosi sul divano.

Lui  si accovacciò davanti al divano.

“Papà…” sussurrò triste, sapendo che non poteva sentirlo.

Ed invece del tutto inaspettatamente Konrad aprì gli occhi confusi, sbattendoli per metterli a fuoco.

“Ben… sei venuto… sei venuto finalmente…” sussurrò mentre un timido sorriso gli si disegnava sul volto.

Lui sussultò dalla sorpresa, ma poi sorrise a sua volta, annuendo.

“Non ti devi preoccupare sai… io sto bene. Va tutto bene” provò a consolarlo.

“Mi manchi… sapessi quanto mi manchi… io non ce la faccio più ad andare avanti…” balbettò l’anziano imprenditore.

“Anche tu mi manchi. Ma dove sono ora, sto bene e sono felice. Non devi preoccuparti per me. Devi cercare di andare avanti”

“Non ce la faccio… quello che è successo è colpa mia… se ti fossi stato più vicino…”

“Quello che è successo non è colpa di nessuno. Non è colpa tua e non è colpa di Semir. Le cose succedono e basta” rispose lui, vincendo la tentazione di accarezzarlo.

“Mi spiace tanto se non sono stato per te un bravo padre… mi spiace tanto… perdonami” balbettò Konrad chiudendo  di nuovo gli occhi, vinto dall’alcol.

“Non è vero che non sei stato un bravo padre. Ed io ti voglio bene” sussurrò Ben all’orecchio del padre.

Subito dopo la porta dello studio si aprì.

Helga entrò piano.

“Signor Jager parlava con qualcuno?” chiese piano, prima di accorgersi che Konrad dormiva profondamente sul divano.

Si avvicinò e raccolse la bottiglia vuota e l’album delle foto.

Poi prese una coperta dal mobile dello studio e coprì l’anziano imprenditore.

“Quando finirà tutto questo dolore?”  bisbigliò piano mentre usciva dalla stanza, asciugandosi le lacrime con il grembiule.

All’improvviso si girò di scatto e Ben ebbe netta l’impressione che lo stesse guardando.

Ma la donna si girò di nuovo, chiudendosi la porta alle spalle.

 
 

Semir si svegliò alle prime luci dell’alba. Aveva dormito tutto il pomeriggio e la notte senza neppure svegliarsi per mangiare.

E ora aveva fame.

Scansando il disordine che ancora regnava in casa scese in cucina e si preparò due uova prima di mettere su il caffè.

Aspettando che come al solito comparisse lui, attratto irresistibilmente dall’aroma, ne approfittò per dare un’occhiata alla sua casella di posta elettronica.

Pubblicità, la comunicazione della visita medica per il definitivo rientro in servizio e… una mail di Konrad Jager.

Rimase alcuni secondi interdetto prima di aprirla.

“Gentile ispettore Gerkan,

Volevo comunicarle  personalmente che oggi darò ordine alla banca di dilazionare il suo prestito. Potrà pagare con  i tempi che  le sono più comodi, non c’è fretta. Mi scuso con lei per quello che è successo, per quello che le ho detto in questi mesi.

Ho pensato  molto a quello che è successo, ma solo questa notte ho capito che non è stata colpa sua. E ho anche capito che tutte le mie azioni in  questi mesi sono state generate dalla gelosia, gelosia dettata dal fatto che non riuscivo a tollerare che mio figlio l’amasse come un padre, lei e non me.

Ma ora che è tutto perduto,  ora che sia io che lei abbiamo perso Ben, mi rendo conto  che non ha importanza, non più almeno. Sono felice che mio figlio abbia potuto contare su di lei in tutti questi anni.

Konrad Jager”


“Sei stato tu?” chiese Semir a Ben, appena comparso davanti alla scrivania.

Lui annuì triste.

“Ci sono stato ieri sera. Non credevo che riuscisse a sentirmi. Ma mi ha visto e sentito, forse perché era ubriaco. E’ così triste, Semir, triste e disperato” disse piano.

Semir del tutto inconsapevolmente sentì la rabbia montargli dentro.

“E cosa ti aspettavi eh? E’ tuo padre, come credi che stia? Come credi che stiamo tutti noi senza di te???” il piccolo turco quasi urlò.

“Ma ora andrà tutto bene, abbiamo rimesso tutto a posto, la famiglia, il lavoro, la casa…” lui era del tutto spiazzato dalla reazione.

“E credi che basti rimettere queste cose in ordine? Possibile che non capisci che nulla tornerà davvero a posto senza di te?”

Semir parlava con una rabbia che non sapeva di avere dentro.

“Sì, ma…” provò ad obiettare.

“Come fai a non capire che nessuno di noi sarà più davvero felice senza di te? Come fai a non capire che  l’unica cosa che vorrei davvero è la mia vecchia vita? Quella dove c’eri anche tu?”

“Stai per riaverla la tua vecchia vita. Avevo una missione da compiere e l’ho compiuta. Ma mi dispiace socio dovrai cavartela senza di me” rispose triste Ben subito prima di sparire.

Semir rimase a guardare il vuoto, mentre una strana sensazione di paura si impadroniva di lui.

Aveva completato la sua missione.

E quindi se ne sarebbe andato per sempre.

 


 

Angolino musicale: che sia il “puff” definitivo? Comunque la canzone scelta è struggente e bellissima: Eric Clapton ‘tears in Heaven’ (lacrime in Paradiso)

Per ascoltarla:

https://www.youtube.com/watch?v=jxpj3gayyz0

Ricorderesti il mio nome se ti vedessi in Paradiso? Sarebbe lo stesso se ti vedessi in Paradiso? Devo essere forte ed andare avanti Perché lo so, io non appartengo qui, al Paradiso Mi terresti la mano se ti vedessi in Paradiso? Mi aiuteresti a stare in piedi se ti vedessi in Paradiso? Troverò la mia via attraverso la notte e il giorno Perché lo so, io non posso restare qui, in Paradiso Il tempo può buttarti giù; il tempo può piegarti le ginocchia Il tempo può spezzarti il cuore, farti implorare pietà, implorare pietà Oltre la porta c'è pace ne sono sicuro E lo so non ci saranno più lacrime in Paradiso

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** REFERENDUM!!!! ***


REFERENDUM
Maty
No, care lettrici (e lettori se  ce ne sono) non vogliamo fare un capitolo con  Ben e Semir presidenti di  seggio (anche se pensate che bello se a consegnarvi la scheda e la matita fosse uno come Ben/Tom- Ben ovviamente senza corsivo).
E’ che abbiamo bisogno del vostro aiuto.
Prima che la coppia scoppi e prima che, come dicono a Napoli  finisca tutto a “strascino” ( ndr strascino- in napoletano litigio particolarmente violento fra due donne,   che si conclude la maggior parte delle volte con “tirate di capelli” e dove quella più forte riesce a trascinare l’altra per la suddetta capigliatura… come gli uomini delle caverne insomma)
Chiara
Tanto non ci riusciresti anche se sei più alta. Ci dividono 700 km e ho i capelli corti… e poi faccio nuoto, mi tengo in forma mica come te…
Maty
 Ci riesco, ci riesco, non ti preoccupare a costo di venire lì e metterti le extension.
Comunque dicevo prima che la coppia scoppi, visto che ormai sono insorti insanabili contrasti sul prosieguo della FF volevamo consultarvi.
La parola agli elettori… ehm lettori recensori. Come volete che prosegua la storia? Versione…
Chiara
Sei sleale, molto sleale, lo fai perché sai che sono tutte dalla tua parte.
Maty
Zitta! Dicevo care lettrici… versione Maty del Sud… romantica e buonista o versione Chiara del Nord razionale e un po’ sadica?
Chiara
Di nuovo con la storia Nord-Sud? Non è questione territoriale è che tu sei troppo… passionale emotiva, tutto  a “tarallucci e vino”, tutto a “sceneggiata” . Bisogna essere cedibili, razionali, nordici insomma.
 Maty
E meno male che non era una questione territoriale. Comunque rimettiti al giudizio dei recensori.
La storia, care amiche, diventa un po’ interattiva.
Diteci come vorreste che proseguisse.
E per aggiungere un po’ di pepe… chi risponde per prima vince… un posto nella prossima FF di Maty e Chiara!!!!
Chiara
Maty…tu credi  di aver già vinto, giusto?? Ed invece ti farò vedere che le nostre lettrici sapranno stupirci…


Carissime rispondete presto!!
Un bacio da Maty e Chiara

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Dirsi addio ***


Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO 17

Dirsi addio

 

Semir si avvicinò alla balaustra del grande ponte sul Reno a passi lenti.

Sapeva che l’avrebbe  trovato lì, dove tutto era iniziato.

Era quasi una settimana che non si faceva vedere e Semir aveva cercato di farlo ricomparire in tutti modi, dall’aroma del caffè, ai panini con la salsiccia, dal chiamarlo a gran voce, a provare ad intenerirlo con la scusa di parlare di Aida e Lily.

Quando si era ormai rassegnato all’idea che se ne fosse già andato, senza neppure salutare, all’improvviso gli era venuta un’idea.

Il ponte sul Reno.

Ed infatti lui era seduto  lì sul parapetto con le gambe a penzoloni, facendole dondolare avanti ed indietro come i bambini sull’altalena.

Semir sorrise fa sé e sé per quella posa buffa ed infantile, ma subito dopo una morsa gelida gli calò sul cuore.

Sapeva che quello era l’addio definitivo.

 

“Ehi socio…” lo salutò Ben vedendolo arrivare.

Semir si sedette accanto alla sua illusione.

“Tutto a posto ora, giusto?” chiese lui sorridendogli con la solita aria scanzonata.

Semir annuì.

“Sì tutto a posto…” bisbigliò.

Ed in effetti tutto sembrava  girare  nel modo giusto ora. Lui ed Andrea il giorno prima avevano portato le bambine al cinema, e poi avevano cenato insieme, come una vera famiglia. E Andrea gli aveva parlato con dolcezza, quasi con affetto, facendo progetti per una vacanza tutti insieme.

Entro un mese avrebbe ripreso il servizio attivo, di nuovo sulla strada.

Ma non era tutto a posto in realtà.

 

Semir restò per un bel po’ in silenzio, prima di porre la domanda fatale.

“E ora?” disse sentendo che le lacrime gli salivano agli occhi.

Ben lo guardò, sorridendo di nuovo.

“Beh,  ora te la puoi cavare da solo… giusto?” rispose.

Ecco, questa erano le parole che Semir si aspettava e che temeva più di ogni altra cosa.

Ricacciò il groppo che gli si era formato in gola, cercando di parlare senza mostrare troppa emozione.

“Non ne sono proprio sicuro… anzi penso di no…” bisbigliò.

“Invece sì e questo lo sai anche tu… ora andrà tutto bene, te lo assicuro” Ben continuava a sorridergli.

Semir guardò quella che sapeva essere solo una fantasia.

Ma era così reale, era lui,  e solo la sua presenza aveva impedito che la sua vita finisse lì, sotto quel ponte, quella sera di alcune settimane prima.

“No! Non andrà tutto bene. Senza di te no, io non posso farcela…”

Semir si accorse di aver improvvisamente alzato la voce, e alcuni passanti si erano girati a guardarlo.

Cercò di ricomporsi, ma non era facile non cedere al panico e alla paura del distacco.

Ben lo guardò ancora una volta sorridendo.

“Sai cosa mi ha detto Tom quando lui ed Otto mi hanno affidato questo incarico? Che la cosa che più gli era dispiaciuta, all’inizio nel lasciarti, era di non poterti più proteggere. Ma poi aveva capito che poteva continuare a farlo. E’ la stessa cosa. Io sarò sempre qui… anche se non mi vedrai io ci sarò sempre”

“Sì, ma se non ci fossi stato, se non fossi comparso… io … io non sarei qui… e ho paura…” balbettò Semir.

“Non devi… tu sei forte, lo sei sempre stato. Ero io quello che aveva bisogno di  te, ricordi? E poi che te ne fai di un pasticcione come me?”

Ben aveva un’innata capacità di sdrammatizzare.

“Beh... a dire la verità hai combinato un mare di casini, anche se alla fine poi tutto è andato per il verso giusto” Semir sorrise a ripensare a tutti i guai combinati in quelle settimane.

Ben sorrise ammiccando.

“Il fine giustifica i mezzi” rise.

“Aspetta un attimo… vuoi dire che hai fatto tutto di proposito?” Semir lo guardò sorpreso.

“Diciamo che ognuno ha i suoi metodi di lavoro”

“Brutto furfante… se penso che mi hai costretto a cantare davanti a tutta quella gente e a farmi prendere a pomodori in faccia…”

“Beh… cantare non è proprio la definizione esatta”

I due risero di gusto, ma poi Semir ridivenne serio.

“Ti prego, non te ne andare…” bisbigliò guardando il fiume che scorreva sotto il ponte.

“Il mio lavoro è finito… ora andrà tutto a posto…” Ben lo guardò anche lui serio.

“Non sarà mai tutto a posto senza di te… e poi come fai ad essere sicuro che sia proprio finito il tuo lavoro?”

Ben lo guardò perplesso.

“Che vuoi dire?” chiese curioso.

“Ci sto pensando da giorni… sei proprio sicuro che aiutarmi fosse la tua unica missione?”

Semir stava tentando l’ultima carta, ormai era proprio disperato.

“Forse non sei qui solo per aiutare me, ma anche te stesso…”

Ben rimase in silenzio. Ora si era fatto serio e triste.

“Forse sei qui anche per capire che non puoi lasciarmi, non ci puoi lasciare. Tu appartieni a noi…”continuò il piccolo turco con la voce che gli si rompeva per l’emozione.

“Semir ti prego… non fare così” obiettò lui.

Disperato Semir prese il cellulare dalla tasca e cercò le foto di Aida e Lily.

“Guardale… guarda le bambine… non vuoi vederle crescere? Non vuoi vedere Aida che si laurea? Non vuoi vederle sposate?”

“Certo che vorrei, ma…”

“Non pensi  a me? Non pensi ai tuoi? A tuo padre? Hai visto anche tu quanto  è disperato”

“Semir ora sei sleale però…  vuoi farmi sentire in colpa, sai bene che mi mancate, ma…”

“Voglio essere sleale, non m’importa. Io so che tu puoi farcela, puoi tornare da me, da noi…”

Ben non rispose.                  

“Mi spiace Semir…” fece scuotendo la testa.

Il piccolo turco sentì le lacrime che salivano prepotenti.

Era arrivata l’ora di dirsi addio.

“Ora devo andare socio… mi raccomando abbi cura di te e delle mie principesse. E ricordati, anche se non mi vedi io ci sarò…”

“Farai grandi cose lassù, ne sono sicuro… e mi raccomando…” balbettò Semir.

“Sì certo mi asciugo i capelli dopo la doccia” completò la frase Ben.

Era la solita frase che si dicevano ogni sera, quando Semir lo lasciava a casa a fine turno.

“E visto il tuo nuovo lavoro,  dovresti farti la barba, hai mai visto nei quadri un angelo con la barba?”

Semir cercò di stemperare il clima, ma aveva il cuore chiuso in una morsa di dolore.

Ben sorrise, con quel sorriso da bambino indisponente e allegro che  faceva sempre quando voleva rassicurarlo.

“Promettimi di essere felice… promettimi che non piangerai, che non ti sentirai mai più in colpa e che sarai felice… promettimelo!”

Semir annuì.

“Semir… qualunque cosa accada, un giorno noi ci incontreremo di nuovo…” disse Ben.

“E ricominceremo esattamente da dove  abbiamo lasciato”  rispose il piccolo turco stringendo gli occhi per vincere l’emozione.

Nel girare lo sguardo  si accorse che però  lui non c’era più.

Se ne era andato.

 

 

Restò seduto sulla balaustra per molto tempo, forse ore.

Quando si decise a scendere ormai  era notte fonda.

Era finita.

Era sparita. La sua splendida illusione, quella che l’avevo sorretto ed aiutato a vivere in tutte quelle settimane non c’era più.

E lui sapeva che non sarebbe tornata mai più.

Ma aveva un’ultima piccola speranza.

Guardò l’orologio e fece un rapido calcolo mentale.

Poi cercò sulla rubrica un numero che non componeva da tanto tempo.

Con le mani tremanti pigiò il tasto di chiamata ed attese per un po’ il collegamento internazionale con Dallas.

“Julia… ciao… sono io Semir…” balbettò alla risposta.

 

“Semir… ciao… hai saputo?” rispose la voce sottile della sorella di Ben dall’altro lato della linea.

Il piccolo turco sentì come se il cuore gli si fermasse.

“No… volevo solo sapere… come sta…” la voce era quasi un sussurro.

In tutti quei mesi aveva fatto solo qualche telefonata, a volte senza neppure riuscire a parlare con Julia visto che Konrad gli aveva brutalmente attaccato il telefono.

Julia sospirò più volte prima di rispondere.

“Non bene, Semir…  il medico dice che non manca molto ormai” disse con voce triste, ma rassegnata.

 

Semir rimase come congelato.

Il dolore lo riprese come quella sera, quando gli aveva detto addio all’Ospedale di Colonia.

“Io speravo che…” riuscì solo a dire.

“No, Semir… del resto lo sapevamo tutti che quella di papà era solo una speranza vana. Si sta consumando Semir…e ormai non ce la fa più… è questione di  giorni se non di ore… e credimi è meglio così”

Il piccolo turco non riuscì a dire altro. Bisbigliò un saluto e chiuse la chiamata.

Si appoggiò ad un muro ansimando.

Finita, era finita, non era riuscito a convincerlo.

Se n’era andato per sempre.

E ora se ne sarebbe andato per sempre anche il suo corpo.


 

Lui  entrò nel grande ufficio bianco.

La luce era accecante, ma piacevole.

“Oh… eccoti finalmente!” disse l’uomo dai grandi occhi verdi, seduto alla scrivania.

“Buongiorno”  rispose Ben timido.

Quell’uomo, nonostante la sua aria tranquilla e serena lo metteva sempre un po’ in soggezione.

“Ciao ragazzo mio. Hai fatto proprio un buon lavoro” lo salutò Otto, in piedi davanti alla scrivaniasorridendogli al di sopra degli occhiali.

“Sì è vero, nonostante tutto, hai fatto un buon lavoro” concordò Tom.

Ben si tranquillizzò un po’.

“Bene… ora? Mi date un altro caso? Preferirei un musicista se possibile. Meglio se donna… in effetti Shakira sarebbe perfetta, ma mi va bene anche Jennifer Lopez…” cercò di scherzare.

“Non essere  precipitoso come al solito…” lo rimproverò Otto.

“No, Justin Bieber no, vi prego… quel moccioso è insopportabile…”

“Ben smettila di scherzare… questa è una cosa seria” lo rimproverò Otto.

“Tu sei sicuro che il tuo incarico sia davvero finito?” chiese Tom.

Ben lo guardò perplesso e anche triste.

“Quindi aveva ragione…” bisbigliò.

“Chi?”

“Semir. Aveva ragione quando ha detto che non ero giù solo per lui…”

“Beh, Semir è sempre stata una persona molto intuitiva” rispose Tom sorridendo.

 

“Siediti un attimo ragazzo” lo invitò Otto, sedendosi anche lui su una delle poltrone di fronte alla scrivania.

Ben obbedì, guardando i due serio.

“Credevo che fosse una cosa definitiva… così mi avevate detto…” protestò.

“Sai bene che c’è ancora una possibilità. Ma la scelta spetta a te  ragazzo. Noi non possiamo influenzare la tua decisione” rispose l’amico barbuto.

“Che vuoi dire?”

“Che la scelta spetta a te. Sei libero di restare, se è questo quello che vuoi. Oppure puoi tornare… devi decidere tu.  Ti abbiamo mandato giù anche per questo, per aiutarti a decidere. Ma se scegli di tornare… beh noi non possiamo assicurarti che alla fine le cose andranno come tu vorresti. Anzi… probabilmente sei destinato a soffrire molto. Quello che possiamo assicurarti è che le persone che ti vogliono bene non ti abbandoneranno mai” disse con calma Otto.

“Sappi che se  decidi di restare  qui sarai il benvenuto nella squadra. Hai dimostrato di saper fare bene questo lavoro. Ma giù ci sono persone che ti amano molto e stanno soffrendo moltissimo per la tua assenza. Come ha detto Otto la scelta spetta solo a te…” continuò Tom.

Ben si guardò intorno smarrito.

Tutto lì era così bello, tranquillo, in pace.

Anche il senso di tristezza che provava ora aveva un senso, perché tutto in quel posto aveva un senso.

Voleva restare lì, essere in pace.

Ma poi gli vennero in mente l’immagine di Semir, i suoi occhi tristi mentre gli diceva addio sul ponte sul Reno, la disperazione di suo padre, ubriaco su quel divano, le lacrime di Aida e quelle di Helga.

“Non so decidere, non so cosa fare…” bisbigliò alla fine.

“Di là  c’è qualcuno che forse può aiutarti” rispose Otto indicando con lo sguardo la porta di comunicazione con l’altro ufficio.

Ben si alzò ed si avvicinò all’altra stanza.

C’era una donna dai lunghi capelli neri, di spalle.

Ben l’avrebbe riconosciuta fra milioni di persone.

“Mamma!” disse felice andandole incontro.

 

 

 

Pioveva a dirotto, ma a Semir non  importava di bagnarsi.

Stava immobile, nascosto dietro un albero aspettando che finisse, che tutti si allontanassero.

Guardò il gruppo di ombrelli neri che si affollava nei pressi della piccola cappella.

Anche da lontano  sentiva il prete che borbottava le sue preghiere tristi e vedeva la snella figura di Andrea che stringeva a sé Aida, così piccola ed indifesa nel suo cappottino  nero.

Ogni tanto la bambina si girava rivolgendogli muti sguardi in cerca d’aiuto.

Ma Semir non ce la faceva ad avvicinarsi, a partecipare a quel rito triste ed inutile.

Non poteva dirgli addio così, in mezzo a tutte quelle persone.

Aspettò con pazienza che la cerimonia finisse e che tutte quelle persone si allontanassero.

Probabilmente Ben ne conosceva meno della metà.

Sospirò guardando l’incedere triste dei colleghi del Distretto mentre in processione salutavano Konrad e Julia.

Jenny e Hartmut che si tenevano per mano, cercando di farsi coraggio, Dieter che continuava a toccarsi il nodo della cravatta e cercava di sostenere Susanne, in lacrime, la Kruger che furtivamente si asciugava il viso cercando di non far vedere che piangeva. Era venuta persino la procuratrice Schrankmann.

Dopo aver stretto la mano a Konrad e abbracciato Julia, Andrea gli rivolse uno sguardo interrogativo, ma Semir le fece un cenno negativo con il capo.

No, non se la sentiva neppure di salutare il padre e la sorella.

Doveva essere solo. Voleva stare solo.

 

Alla fine tutti andarono via e il cimitero ricadde nel solito silenzio, rotto solo dal ticchettio della pioggia sulle lapidi.

A passi lenti, con l’umidità che ormai gli era penetrata sino al midollo, Semir si avvicinò ed entrò nella cappella.

Non si era accorto che era rimasta una  persona, che guardava piangendo silenziosa la lapide di fronte a lei.

“Helga…” chiamò.

La vecchia governante si voltò  verso di lui, con il volto rigato dalle lacrime.

“Ispettore, sapevo che non poteva mancare…”

Semir si limitò ad annuire.

I due rimasero in silenzio per un po’.

Poi Helga si voltò per andarsene.

“Ispettore… le volevo dire… grazie” la voce di Helga era poco più di un sussurro.

Semir la guardò perplesso.

“Grazie per essere stato vicino a Ben in questi anni. E’ stata una delle persone più importanti nella vita del mio ragazzo. Il migliore degli amici. Di questo le sono davvero grata”

Semir non ebbe la forza di rispondere.  Temeva che se apriva bocca si sarebbe messo ad urlare per la frustrazione ed il dolore.

Stette a guardare Helga che si allontanava, ingobbita ed invecchiata, senza emettere un fiato.

 

L’odore pungente delle corone di fiori, che occupavano ogni centimetro libero del piccolo ambiente gli penetrava nella narici fino a provocargli la nausea.

Lo sguardo gli cadde su quella quasi in prima fila.

Ti vogliamo bene Semir, Andrea, Aida e Lily” recitava la scritta sul nastro. L’aveva ordinata Andrea. Lui non l’avrebbe fatto, non c‘era bisogno di una scritta o di una corona di fiori per dire che gli voleva bene, che gliene avrebbe voluto per sempre.

Con difficoltà guardò la lapide e si chiese come poteva tutta quella vitalità, quella gioia di vivere, quell’allegria prorompente che emanava Ben, stare chiusa lì dentro in quel piccolo spazio.

“Ben Thomas Jager. Amato figlio e fratello. Il tuo ricordo la nostra forza”

Semir passò il dito sulla scritta dorata sulla lapide.

Figlio e fratello.

Questo era stato per lui. Figlio e fratello.

Eppure non era riuscito a proteggerlo, come avrebbe dovuto fare un padre ed un fratello maggiore.

Gli aveva promesso di non sentirsi in colpa e di non piangere, e cercò di mantenere la promessa.

Ma era difficile, tremendamente difficile.

Aveva perso un altro compagno.

Il pensiero improvvisamente volò a Tom, a quello reale.

 Era tanto che non ci pensava, anche se il calore di quell'amicizia era ormai entrato a far parte del suo animo.

"Beh Tom... se è vero che stai lassù con lui, dacci un'occhiata mi raccomando. E' un gran bravo ragazzo, ma riesce ad essere tremendamente impulsivo,  e se c'è un guaio nel giro di cinque miglia stai sicuro che ci si va a ficcare" pregò mentalmente, anche se razionalmente capiva che era assurdo.

Rimase per tanto a guardare quella lapide senza riuscire a pensare a nulla in realtà.

Doveva dirgli addio,  ma non ci riusciva. Non ci sarebbe riuscito mai.

“Mi spiace Ben… mi spiace così tanto…” balbettò alla fine.

Passò di nuovo la mano sul marmo freddo.

“Ciao socio” disse alla fine  semplicemente uscendo sotto la pioggia battente.


 

Angolo delle autrici Bene, care amiche per quattro a tre ed una scheda bianca ha vinto Chiara; anche se, secondo Maty, le nostre amiche non si erano rese conto di quanto potesse essere perfida Chiara.

Angolo musicale Vi ricordate cosa scrisse Maty nel Backstage di ‘Nella buona e nella cattiva sorte’?…comunque ci sono ancora alcune cose in sospeso e come vedete la scritta ‘completa’ non è apparsa, ma torniamo alla storia, un requiem mi sembrava un po’ esagerato, quindi ho pensato a qualcosa di più…profano, ma non meno triste . La canzone mi è stata ispirata da alcune frasi ricorrenti in questa F.F. “qualunque cosa accada, un giorno noi ci incontreremo di nuovo. E ricominceremo esattamente da dove  abbiamo lasciato” La canzone (ho voluto postare il testo integrale, poi capirete perché) è di Alex Band ‘Last Goodbye’ (ultimo addio).

Per ascoltarla: https://www.youtube.com/watch?v=FI-QueQiPR0

(Ben Jager-Last Goodbye)

Volto pagina La mia storia finisce Dico addio a tutti i miei amici So che sta diventando tardi Ora la luce è sul mio volto Ho girato gli orologi di nuovo indietro E chiesto perdono per i miei peccati Perché’ non so dove andrò Bene, questo è tutto quello che so veramente Io continuerò ad andare avanti Continuerò a cantare la mia canzone Che mi farà attraversare tutto questo Ho le cicatrici che lo provano Bene so che la strada è lunga Ma sarò forte Non piangere Perché’ questo non è il mio ultimo addio Sto scoprendo il modo più difficile di fare le cose S’impara prima di perdere la grazia di Dio Possiamo crescere nelle ombre Noi siamo i semi che seminiamo Attraverso ogni singola ora che si spegne Dalla sabbia alla pietra, dalla roccia all’argilla Questa sinfonia è dolce e amara Godi del dono che hanno donato a te e a me Io continuerò ad andare avanti Continuerò a cantare la mia canzone Che mi farà attraversare questo Ho le cicatrici che lo provano Bene so’ che la strada è lunga Ma sarò forte Non piangere Perché’ questo non è il mio ultimo addio 

La pioggia rossa sta scendendo giù E ora i miei piedi Non toccano il suolo Sono smarrito tra le stelle e le lune Ti rivedrò presto Volto pagina La mia storia finisce Dico addio a tutti i miei amici So che sta venendo tardi Ora la luce è sul mio volto 
Ho cambiato gli orologi di nuovo indietro E chiesto perdono per i miei peccati Perché non so dove andrò Bene questo è tutto quello che so veramente 
Io continuerò ad andare avanti Continuerò a cantare la mia canzone Che mi farà attraversare tutto questo Ho le cicatrici che lo provano Bene, so’ che la strada è lunga Ma sarò forte Non piangere Perché’ questo non è il mio ultimo addio 
Permettimi di suonare per te Permetti a questo cuore di risonare realmente

Ancora una volta

Ancora una sola volta!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Qualunque cosa accada un giorno noi ci incontreremo di nuovo ***



Image and video hosting by TinyPic

IL PARADISO PUO' ATTENDERE di Maty66 e Chiara BJ

CAPITOLO 18
Qualunque cosa accada un giorno noi ci incontreremo di nuovo

 

“NOOOOOOO” urlò Semir balzando a sedere sul letto, con il cuore in gola, sudato fradicio.

“Calmati è stato un sogno, solo un sogno”  si disse cercando di regolarizzare il respiro.

Con il cuore ancora in tumulto guardò l’orologio sul comodino.

Le quattro e quarantacinque.

Ormai era inutile  cercare di rimettersi a dormire; era troppo sconvolto e comunque dopo un’ora doveva svegliarsi per andare al lavoro.

Buttò le gambe giù dal letto e cercò di scacciare le immagini dell’incubo dalla sua mente.

Certo era stato solo un brutto sogno, ma sapeva bene che poteva diventare realtà da un momento all’altro.

 

Erano passati due mesi da quando la sua illusione era sparita e la sua vita sembrava rientrata in un piano di relativa normalità.

I rapporti con Andrea erano diventati affettuosi e Semir si preparava a fare la mossa finale, chiederle di tornare  con lui, o almeno provarci.

Le bambine era tornate le sue adorate piccoline, Aida era di nuovo la figlia e scolara modello che era sempre stata, anche se passava qualche pomeriggio a studiare con Adam, il quale anche lui si era notevolmente calmato. Ora appariva un ragazzino serio ed assennato, anche se quando lo guardava negli occhi Semir aveva sempre la sensazione del fuoco che cova sotto la cenere. 

L’ispettore Gerkan era anche tornato in servizio attivo,  rifiutandosi però ostinatamente e ferocemente di trovarsi un nuovo partner.

Non voleva, non l’avrebbe mai voluto, e alla fine, dopo interminabili discussioni, anche la Kruger se ne era fatta una ragione, almeno per ora.

Solo una cosa non era tornata a posto.

Ben non c’era.

E Semir si aspettava ogni giorno che  l’incubo di quella notte diventasse realtà.

Provava una sensazione mista fra terrore e rassegnazione: da un lato ogni volta che ci pensava lo prendeva il panico assoluto al pensiero del distacco definitivo, e dall’altro non tollerava che l’unica cosa che restasse del suo migliore amico fosse quel corpo, quel guscio vuoto che si stava inesorabilmente spegnendo a migliaia e migliaia di chilometri di distanza.

Dopo la doccia Semir scese in cucina.  

Per l’ennesima volta preparando il caffè e sentendone l’aroma sorrise al pensiero dei giorni che aveva passato con la sua allucinazione.

Con il passare dei giorni  il ricordo di quei giorni aveva assunto sempre più i toni del sogno; in fondo se ci pensava bene non c’era nessuna traccia vera del suo passaggio. Forse si era immaginato tutto, ma -come si diceva sempre- era grato all’Essere Supremo di avergli mandato quella magnifica illusione.

“Coraggio, metti un po’ in ordine che oggi vengono le bambine” si disse mentre incominciava a mettere i piatti nella lavastoviglie.

Lo squillò del telefono lo fece sobbalzare.

Con il respiro mozzato, colto dalla paura, prese il ricevitore e guardò il numero.

La tazza che aveva in mano finì a terra riducendosi in mille pezzi.

“No… no… perché…” pensò.

Il momento tanto temuto, ma certo non inaspettato era arrivato, dando all’incubo di poco prima il significato della premonizione.

 

“Julia…” disse al telefono con la voce che era poco di un sussurro.

“Semir… scusa l’ora… ma… non potevo più aspettare.  Semir… c’è una persona che non vede l’ora di parlarti”

 

 

Andrea percorse le strade, deserte a quell’ora del mattino, ad una velocità quasi folle.

Parcheggiò davanti alla piccola villa e scese di corsa. Quando suonò al campanello dovette trattenersi dal farlo più volte per non svegliare tutto il vicinato.

“Allora è proprio vero?” chiese non appena Semir le aprì la porta.

Il piccolo ispettore turco si limitò ad annuire. Appariva completamente sconvolto, con il viso e gli occhi rossi.

“Ma questo è un… miracolo…” balbettò Andrea subito di prima di abbracciarlo.

“Io… non riesco a ragionare bene…” disse Semir, quando finalmente l’abbraccio si sciolse.

“Siediti un attimo…” propose la moglie.

“No, non c’è tempo, devo fare la valigia, organizzare tutto, l’aereo parte fra cinque ore. Ben mi sta aspettando” rispose sempre agitato e sconvolto il marito.

“Ti aiuto io. Ma siediti solo un minuto, sei troppo emozionato”

I due si sedettero sul divano del salotto. Semir tremava come una foglia.

“Semir, calmati dai… è una cosa meravigliosa. Cosa ti ha detto Julia? Hai parlato anche con lui?”

“Julia ha detto che ha iniziato a svegliarsi ieri…  e che stanotte l’ha riconosciuta e ha iniziato a parlarle. Anche lei era molto emozionata e confusa”

“Ma hai sentito anche lui? E’ riuscito a parlare al telefono?”

“Una parola o due non di più… ma l’ho sentito, capisci? E’ vivo, Andrea, e si è svegliato” Semir aveva le lacrime agli occhi.

Andrea gli sorrise dolce.

“E’ la cosa più bella che mi sia capitata da tanto… tanto tempo” sorrise abbracciando ancora il marito.

“Ma i medici cosa dicono?” chiese ancora.

“Non ho capito molto, solo che anche loro lo considerano un miracolo. Ho appena finito di parlare con Max. Mi raggiunge appena ha sistemato le cose nel suo ospedale”

Semir si alzò.

“Devo fare la valigia… non so neppure cosa portare e quanto tempo resterò. Fortuna che Konrad Jager ha già acquistato il biglietto aereo. Lo troverò direttamente in aeroporto. E poi devo chiudere casa, avvisare la Kruger…”

Lo spirito organizzativo di Andrea si fece subito avanti.

“Tu chiama la Kruger. A fare la valigia ci penso io, tanto l’ho sempre fatta io per te. Quanto alla casa, beh… mi è venuta in mente un’idea…”

Semir la guardò  con aria interrogativa.

“Beh… ho pensato che è inutile chiuderla, tanto dovrei comunque venire qui a vedere cosa succede ogni tanto… quindi   ho pensato che io e le bambine potremmo tornare a vivere qui… almeno fino a che non torni”

Semir la guardò con occhi felici.

“Questa è casa tua Andrea, tua e delle bambine. Non sai quanto mi faccia felice questa cosa, il vostro posto è qui”

“Bene allora è deciso” fece risoluta Andrea mentre saliva al piano di sopra per preparare la valigia.

 

L’aeroporto era stracolmo e a stento Semir individuò la segretaria di Konrad Jager che l’aspettava ai varchi con il biglietto aereo.

“Ecco ispettore. Una macchina l’aspetta all’aeroporto di Dallas al suo arrivo per portarla in ospedale. Non sa quanto siamo felici noi dipendenti della Jager Costruzioni, ci saluti tanto il signor Konrad e la signora Julia” disse la bella donna bruna porgendogli il biglietto.

Semir si sistemò e consegnò i bagagli al banco accettazione.

“Andrea… volevo dirti… io non so quanto tempo starò fuori. La Kruger non mi ha fatto problemi, ma ovviamente avrò delle decurtazioni sullo stipendio. Per quanto riguarda l’assegno per le bambine…”

“Semir… non ci pensare. Ce la caveremo bene, ho il mio lavoro, non ti preoccupare” sorrise la donna.

 

“Semir… fortuna che sono arrivato in tempo” lo richiamò Max, arrivando di corsa.

“Max … sei venuto. Bene”

Il medico lo guardò sorridente, ma anche preoccupato.

“Semir… posso parlarti un minuto solo?” chiese.

“Io arrivo fra qualche settimana per organizzare il rientro. Ho appena parlato con il medico curante di Ben, mi spedirà tutta la documentazione. Semir… volevo dirti… lo sai che è un miracolo il fatto che si sia svegliato giusto?”

Semir annuì.

“E sai che comunque non sarà una passeggiata…”

“Che vuoi dire?” chiese il piccolo turco preoccupato.

“Non ti aspettare l’impossibile Semir. Per Ben sarà una cosa lunga e difficile…”

Semir sospirò.

“Sì questo lo immagino. Ma non mi importa, qualsiasi cosa succeda io posso aiutarlo e lo farò” disse sicuro.

La voce suadente della speaker annunciò il volo.

“Allora  ti chiamo appena arrivo” disse Semir ad Andrea avviandosi all’uscita dopo averla abbracciata brevemente.

“Semir…” lo richiamò la donna.

Poi avvicinandosi lo tirò in un bacio passionale.

Semir si sentì al tempo stesso euforico e imbarazzato,  essere baciato così, lì davanti a tutti.

“Tu riporta a casa il ragazzo. Quando tornerai io e le bambine saremo qui ad aspettarti” sorrise alla fine Andrea.

 

 

Il volo era stato incredibilmente lungo per  Semir e anche se per la prima volta in vita sua aveva viaggiato, grazie a Konrad Jager, in prima classe aveva le gambe e le spalle doloranti  quando scese dall’aereo.

All’ingresso del modernissimo e quasi fantascientifico edificio dell’ospedale di Dallas trovò un’impaziente Julia ad aspettarlo.

Appena scese dall’auto Semir e la ragazza si trovarono stretti in un abbraccio fortissimo.

“Io… non riesco a crederci… è troppo bello…” Semir era emozionato come un bambino il giorno di Natale.

“Grazie per essere venuto subito…” ripose la ragazza con le lacrime agli occhi.

“Mi dovevi legare per farmi restare fermo a Colonia. Cosa dicono i medici?” chiese il piccolo turco eccitato.

“Non molto. Sono allibiti anche loro, non sanno che pensare, lo definiscono un miracolo”

“Ma lui… come…” Semir non aveva il coraggio di chiedere le reali condizioni.

“Beh… ieri gli hanno tolto il tubo per la respirazione, parla ancora con difficoltà, ma ci riconosce, è lucido… e soprattutto chiede in continuazione di te”   sorrise Julia.

“Per i movimenti i medici dicono che ci vorrà parecchio, anche vista la lunga immobilità, ma… Semir ti rendi conto…è sveglio…”  continuò la donna; la voce di Julia era ancora incredula.

“Andrà tutto bene, ne sono certo. Presto tornerà il solito Ben” la incoraggiò Semir.

Mentre si avviavano al piano, percorrendo il corridoio, però, una strana paura iniziò ad impadronirsi del suo animo.

Non parlava realmente con Ben da tanto, troppo tempo.

Aveva parlato con la sua allucinazione, ma con Ben aveva parlato per l’ultima volta quella maledetta e drammatica sera.

E Semir non era stato in realtà capace di dire niente.

Neppure chiedere scusa per quello che era successo nei mesi precedenti, per averlo lasciato solo nel momento del bisogno.

Il cuore iniziò a battergli furioso nel petto mentre si avvicinava alla stanza.

“Semir… grazie di essere qui” Konrad Jager gli venne incontro nel corridoio.

“Grazie a lei  per il biglietto aereo. Niente e nessuno mi poteva impedire di venire, mi creda” ripose il piccolo turco.

I due uomini si strinsero la mano sinceramente, senza ostilità, finalmente alleati.

“Forza vada, la sta aspettando” sorrise Konrad indicando la stanza sulla destra.

 

 

Semir aveva le mani che gli tremavano mentre apriva la porta.

Era rimasto per alcuni minuti a guardarlo dalla grande finestra e subito gli erano venute le lacrime agli occhi.

Era tremendamente smagrito, il volto scavato e pallido, ancora pieno di fili e tubi che spuntavano da tutte le parti, parlava debolmente con l’infermiera che stava facendo alcuni controlli.

Le immagini di quella sera terribile, dell’agonia del suo migliore amico fra le sue braccia tornarono a tormentare la mente del piccolo turco.

“Smettila, è finita, ora andrà tutto bene” si incitò mentre apriva piano la porta.

L’infermiera incrociò il suo sguardo uscendo e gli sorrise.

Semir aveva il cuore a mille.

Si avvicinò al letto a passo lento.

“Ehi…” riuscì solo a dire.

Ben lo guardò per un lungo istante.

“Salve… la conosco? Chi è lei?” chiese  poi con sguardo smarrito.

 


Angolino delle autrici ( in questo caso di Maty): Aspettate a gioire care  lettrici ( almeno quelle che avevano votato per il finale allegro). Il finale reale è quello scelto da Chiara e sapete bene che lei è perfida... come la strega di Biancaneve, anzi di più.

Angolino musicale: La coppia d’oro che si riunisce, finalmente!!! Semir e Ben nella stessa stanza…d’ospedale !!! Dove altrimenti, suvvia ormai ci conoscete no? Certo abbiamo Ben in versione ‘smemorato di Colonia’…a Dallas… ( la perfida in questo periodo è…diabolica! ).

Colonna sonora del capitolo…Beh il titolo dice tutto e quindi:

U2 “The miracle  (of Joey Ramone)” (Il miracolo)

Per ascoltarla

https://www.youtube.com/watch?v=JN2RuUcaUkk

 Stavo inseguendo i giorni della paura Stavo rincorrendo un sogno prima che sparisse Soffrivo perché volevo stare da qualche parte lì vicino La tua voce era tutto ciò che sentivo Ero scosso da una tempesta interiore Perseguitato dai fantasmi che dovevamo vedere Si, volevo essere la melodia Oltre il rumore, oltre il dolore Mi svegliai nel momento in cui avvenne il miracolo Sentii una canzone che dava un qualche significato al mondo Tutto quello che avevo perso, ora mi veniva restituito Nel più bel sound che avessi mai sentito Mi svegliai nel momento in cui avvenne il miracolo Ho così tante cose che non mi merito Tutte le voci rubate un giorno saranno restituite Il più bel sound che abbia mai sentito

 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** E ricominceremo esattamente da dove ci siamo lasciati ***



Image and video hosting by TinyPic

CAPITOLO 19
E ricominceremo esattamente da dove ci siamo lasciati

 
Semir rimase congelato sul posto.
Tutto si era aspettato, ma non questo.
“C… come chi sono… sono Semir” balbettò ad occhi sbarrati.
Ben lo guardò confuso.
“Semir… no, non puoi essere Semir…lui non è così vecchio, non ha tutti questi capelli grigi. Ha i capelli rossi” disse il giovane uomo con un filo di voce roca.
“I capelli rossi? Ma quello è Hartmut…”
Mille scenari apocalittici iniziarono a delinearsi nella mente del piccolo turco… danni celebrali, perdita di memoria…
Terrorizzato si avvicinò al letto.
“Ben guardami sono io, Semir” fece ancora una volta.
“No… non può essere…” Ben lo scrutò attento.
Ormai Semir era sull’orlo della disperazione.
“Vado a chiamare il medico” disse avviandosi verso la porta.
 
“Aspetta Semir… dove vai…” la voce di Ben che ridacchiava piano arrivò alla spalle di Semir che già stava precipitandosi nel corridoio.
“Me la stavo preparando da quando ho saputo che stavi per arrivare” ridacchiò ancora il giovane.
Semir si voltò.
Non sapeva se essere felice o adirato.
“Tu!!! Tu sei un… cretino, ecco cosa sei. Mi vuoi far morire di paura. Sono vecchio ormai, non puoi  farmi questi scherzi stupidi, mi fai venire un infarto” disse avvicinandosi al letto.
Non era sicuro di riuscire a trattenere le lacrime.
“E sì, si vede che ormai sei un vecchietto. Che sono tutti questi capelli grigi?” chiese sempre sorridendo.
“Indovina un po’ perché mi sono venuti. E poi sarò vecchio, ma non sono io quello che passa tutto il tempo a dormire”
Semir stette allo scherzo, anche perché temeva che altrimenti sarebbe scoppiato in lacrime.
“E che vuoi… non è suonata la sveglia. E poi perché non hai chiamato come al solito sul cellulare per buttarmi giù dal letto?” Ben lo guardava con affetto.
“Sempre la solita scusa, non regge più, trovane un’altra” balbettò.
 
Ben  rimase in silenzio per alcuni secondi.
“Ciao socio” disse poi semplicemente.
Per Semir fu troppo.
Si girò di scatto per non farsi vedere piangere.
 
“Semir… stai piangendo per caso?” chiese Ben.
“No, macché, per nulla” sussurrò tirando su con il naso.
“Bugiardo…”
“No, non sto piangendo, mi sono preso il raffreddore… il clima”
“Siamo a Dallas Semir, fanno trenta gradi”
Semir sospirò cercando di calmarsi.
Non era più il tempo delle lacrime.
“Ok… non piango vedi” disse girandosi.
 
“Siediti…” lo esortò Ben.
Il piccolo turco si sedette accanto  al suo migliore amico e prese la mano nella sua. Aveva paura anche a toccarlo.
“Ora andrà tutto bene, tutto tornerà come prima…” gli disse sorridendo.
Ben lo guardò sospirando.
“Speriamo… non riesco a muovere neppure un muscolo…” disse piano.
“Sempre il solito precipitoso. Ci vuole solo un po’ di tempo… ti aiuterò io”
Ben sorrise. Il sorriso era rimasto quello di sempre.
Ma Semir aveva un macigno sul cuore, non poteva fare a meno di liberarsene.
 
“Ben io volevo dirti… io… mi spiace…” sussurrò incapace di trovare le parole adatte.
“Non lo fare” lo zittì subito l’amico.
“Cosa?”
“Non lo fare ti prego. Non chiedere scusa, non sentirti in colpa… ti prego non lo fare”
“Ma io…” provò ad obiettare il piccolo turco.
“Non lo fare! Come non  lo farò io. E’ l’unico modo per ricominciare davvero”
Semir annuì, consapevole, ricordando le parole della lettera.
“Io non chiederò scusa a te e tu non ne chiederai a me, mai. Perché noi siamo veri amici”
Rimasero per un po’  a chiacchierare tranquilli, mentre Semir gli faceva vedere le foto della bambine.
Gli occhi di Ben iniziarono a chiudersi per la stanchezza.
“Sei stanco?” chiese  Semir.
“Un po’… ti spiace se ora dormo un pochino?” chiese Ben con voce impastata dal sonno.
“Ancora? Ok, basta che poi ti svegli però” cercò di scherzare l’amico, ma si accorse subito che il giovane era già tra le braccia di Morfeo.
Silenzioso  più che poteva si alzò per uscire.
“Semir…” lo richiamò una voce debole.
“Sì… sono qui”
“Non te ne andare”
“Non me ne vado” rispose lui riprendendo il suo posto accanto al letto.
 

Due mesi dopo.
 
Semir attraversò a passo di carica il lungo corridoio, guardandosi intorno.
Aveva messo in atto tutte le tecniche di copertura che conosceva, quelle apprese in tanti anni di servizio in polizia.
Ma con lei era tutto inutile.
“Aspetta un po’ nanerottolo, dove stai andando?”  fece un vocione alla sue spalle.
Semir si bloccò all’instante, con il sangue che gli si gelava nelle vene.
“Io? Da nessuna parte… da Ben…”
Henrietta, l’infermiera che si occupava di Ben, era alta almeno un metro e novante ed era la tipica yankee cresciuta ad hamburger ormonizzati, corpulenta ed imponente.
E Semir ne era  letteralmente terrorizzato.
“Girati!!!” intimò con il suo vocione.
E Semir obbedì come se avesse una pistola puntata alla schiena.
“Cosa hai sotto  il giubbotto?” chiese la donna in perfetto tedesco, grazie ai nonni originari di Bonn.
Era alta almeno il doppio di Semir.
“Io? Nulla…” cercò di mentire il piccolo ispettore.
Ma non aveva neppure finito di parlare che la donna gli aveva sottratto il pacchetto che nascondeva sotto  la giacca.
L’infermiera guardò il contenuto con disgusto.
“Pizza!!!” disse scandendo le lettere.
“E dai… Hetty… mica gli fa male… è solo un po’ di pizza…” cercò di rabbonirla.
“Il mio nome è Henrietta. E se ti scopro di nuovo a portare schifezze al ragazzo ti riduco ancora di più le dimensioni. Così  l’unica cosa che potrai guidare  sarà la macchinina della Playmobil. E’ l’ultimo avvertimento!!! Ci siamo capiti, brutto nano tedesco?” disse lei furibonda.
“Sissignora, non succederà più signora!!!” rispose Semir in finto tono militaresco, mettendosi sull’attenti.
Henrietta gli lanciò uno sguardo di fuoco mentre buttava il sacchetto nella spazzatura ed entrava nella stanza di Ben, compiendo la solita trasformazione.
Da  Mister Hyde a Dottor Jekyll.
Perché appena entrava nella stanza di Ben o quando aveva a che fare con lui Henrietta si trasformava nella più dolce e delicata delle infermiere, con voce dolce e melodiosa.
Una gigantesca campanellino.
 
I quei due mesi  Ben aveva fatto progressi che i medici definivano miracolosi. Aveva ripreso quasi tutte le funzionalità, solo non camminava.
Del resto non ci si poteva aspettare di meglio in soli due mesi, dopo un anno di coma, continuavano a ripetere i medici.
Ma Semir desiderava solo rivederlo in piedi e buttarsi tutto alle spalle.
 L’indomani finalmente sarebbero rientrati in  Germania e Max era arrivato appositamente per organizzare il tutto.
 
“Ok… Max ti prego… mi raccomando…”
Semir colse solo l’ultimo brandello di conversazione fra Ben e Max entrando nella stanza.
Ma uno strano presentimento lo colse subito.
“Qualcosa non va?” chiese  preoccupato.
“No, tutto bene, mi accompagni un po’ fuori?” sorrise Ben.
Semir spinse la sedia a rotelle lungo il corridoio, diretto verso l’ascensore.
“Heil Hitler!!!” bisbigliò il piccolo turco passando accanto ad Henrietta.
“Ti ho sentito!!!” fece di rimando l’infermiera.
“La smettete di beccarvi voi due? Non capisco perché non ti sta simpatica. E’ la persona più dolce che conosca” chiese Ben una volta in ascensore.
“Perché non l’hai vista quando non è con te. E’ una specie di valchiria americana. Somiglia a Sergenten  di Sturmtruppen.  Mi ha sequestrato la tua pizza. Ma non ha trovato questi” sorrise Semir tirando fuori dalla tasca della giacca un piccolo pacchetto.
 “Marshmallow!!!” disse Ben eccitato guardando il contenuto.
I due si sistemarono nel bel giardino antistante l’edificio dell’ospedale.
“Pronto a tornare a casa?”  chiese Semir mentre Ben tuffava le dita nel sacchetto dei dolci come un bambino piccolo.
“Certo, e tu?” rispose lui a bocca piena.
Semir era eccitato all’idea di rivedere Andrea e le bambine. Era la cosa che più gli era mancata in quei due mesi.
“A proposito… ho un nuovo video delle bambine e di Andrea” disse tirando fuori dalla tasca lo smartphone.
 
“Ciao zio Ben… ti aspettiamo tutti. Torna presto…”
Il video mostrava Andrea e le bambine nel salotto di casa Gerkan, con le bambine che si agitavano salutando.
“Sì ciao signor zio Ben torna presto!” fece  il ragazzino seduto sul divano accanto ad Aida.
 
“Chi è quello?” chiese stupito Ben alzando gli occhi dal piccolo schermo.
“Quello? E’ Adam, l’amico di Aida, te ne ho parlato ricordi?” rispose Semir.
“Amico? Che significa ‘amico’? E tu permetti che Aida abbia per amico questo qui? Non mi piace, mi sembra un vero stronzetto” fece di rimando Ben.
Semir restò per un minuto senza parole.
‘Stronzetto’,  anche l’allucinazione chiamava così Adam.
Le immagini dei mesi passati, che Semir aveva accantonato preso da altri pensieri, gli tornarono subito in mente.
“Ben… ma tu dei mesi passati… non hai proprio alcun ricordo?” chiese timido.
“No… niente, solo qualche sensazione, niente di più…” ragionò Ben.
“Che ti aspettavi stupido… è stata solo una tua fantasia, niente altro che una fantasia” si disse Semir.
“E tu? Non mi hai detto molto dei mesi scorsi” chiese Ben.
Semir rimase in silenzio per un po’.
“Non sono stati mesi facili…” trovò solo il coraggio di dire.
“Ma ora stai bene giusto? Sei una persona forte…”
Semir lo guardò.
“ Non sono stato per niente forte… se ti dicessi che ho anche tentato di farla finita?”
Ben sgranò gli occhi dalla sorpresa.
“Ma… ma...”
“Non ti preoccupare. E’ passata. Ho avuto un aiuto insperato”
Ben lo guardò interrogativo.
“Il migliore degli amici…” continuò Semir.
“Ehi… sono geloso!”
“Non devi, credimi, proprio non devi” sorrise il piccolo turco.
 
“Ora andiamo, dobbiamo prepararci per domani. Guarda che barbona che hai. Sapone e rasoio ti aspettano” disse Semir alzandosi dalla panchina su cui era seduto.
 Ben si toccò le guance ispide.
“E sì… devo proprio. Hai mai visto nei quadri un angelo con la barba?” disse di getto Ben restando anche lui di stucco.
“Perché ho detto questa cosa? Da dove mi è uscita questa stupidaggine?” si chiese ad alta voce, stupito.
Semir rimase come  di sale.
No, non poteva essere.
“Meglio non farsi domande, non lo voglio sapere” si disse il picolo turco, mentre spingeva la sedia a rotelle.
 

L’eccitazione regnava sovrana nella stanza d’ospedale.
Julia continuava ad agitarsi nel cercare di mettere tutto in ordine e fare entrare disperatamente tutto nelle valigie già stracolme.
“Tutto a posto… Andrea ci aspetta domani. La stanza è già pronta, quella al piano terra, così stai più comodo” annunciò Semir trionfante attaccando il cellulare.
Max lanciò un’occhiata a Ben, che invece abbassò lo sguardo.
“Veramente con Ben avevamo pensato che era meglio una clinica per la riabilitazione” intervenne il medico.
“Cosa??? Non se ne parla proprio!!! Starà con noi, cosa è questa novità?” s’inalberò subito  Semir.
La questione di dove avrebbe abitato Ben durante la convalescenza era già stata fonte di più di un litigio fra Semir e Konrad, il quale alla fine però aveva ceduto alle richieste del figlio.
“Semir… sarebbe meglio…” intervenne ancora Max.
“Max… ne parliamo poi, ti prego. Per un po’ va bene, starò a casa di Semir se lui vuole così. Poi decidiamo con calma” Ben troncò la conversazione, lanciando un muto sguardo di rimprovero al medico, che si zittì.
Ma la cosa non era sfuggita a Semir.
 Il piccolo ispettore aspettò che tutti uscissero dalla stanza e poi prese Max per un braccio.
“Coraggio, cosa mi state nascondendo?” chiese guardandolo negli occhi.
“Niente…” provò a svicolare il medico.
“Max… dimmi cosa c’è che non va, tanto lo scopro lo stesso” Semir iniziava a provare un vago senso di paura.
“Ne dovresti parlare con Ben…” provò ancora ad obiettare l’amico.
“Non  tirare fuori la storia del segreto professionale.  Non con me… dimmi cosa c’è che non va…” Semir era sempre più impaurito.
“Semir… forse dovresti lasciare che Ben vada in quella clinica, senza opporti…” rispose alla fine imbarazzato il  medico.
“Perché? Cosa ha?  Qui hanno sempre detto che si sta riprendendo bene…” la voce di Semir era ormai un sussurro.
“Infatti si sta riprendendo bene. Ma un anno di coma è un trauma che il fisico stenta a recuperare. E… ci sono problemi con gli arti inferiori…”
Semir sbiancò all’istante. Sentì la testa che gli girava vorticosamente, tanto da doversi appoggiare ad un mobile.
“Co... cosa… ma…”
“Niente di certo Semir, solo che potrebbe esserci la possibilità che… non recuperi totalmente…” ammise ad occhi bassi Max.
“Lui… lui lo sa?” chiese Semir con un filo di voce.
“Certo, ma mi ha chiesto di non dire niente per ora. Dice che vuole godersi il ritorno a casa. Quindi per favore… non dirgli che lo sai, almeno per ora…”
Semir annuì.
Gli sembrava che il mondo gli fosse crollato addosso in un attimo. Dalla felicità alla disperazione in un minuto.
Poi si rialzò con aria decisa.
Ne avevano passate tante, e non si sarebbe fatto abbattere da quest’ulteriore intoppo.
“Sai cosa ti dico? Non succederà, io non permetterò che succeda. Di questo puoi essere sicuro. Non succederà. Lui tornerà a camminare come prima, come è vero che mi chiamo Semir Gerkan” disse risoluto uscendo dalla stanza.
Poi si stampò un bel sorriso sulla faccia e raggiunse il gruppetto che si avviava agli ascensori.

 
“Non vedo l’ora di tornare a casa… mi manca tutto, persino il clima schifoso e quelle stupide pubblicità che danno alla radio” disse Ben mentre Semir spingeva la sedia a rotelle verso l’aereo privato che li avrebbe riportati in Germania.
“Pubblicità…” la parola provocò un sussulto in Semir.
“Ben… ascolta … dovrei dirti una cosa prima che arriviamo in Germania… ti ricordi la canzone? Quella che hai scritto per me…”
“Sì certo… la tua canzone…” sorrise Ben.
“Beh… c’è una notizia buona ed una cattiva… quale vuoi per prima?”
“Quella buona, dai…” rispose sorpreso il giovane.
“E’ famosissima in Germania la danno su tutte le radio…”
“Davvero? Ma come è successo…” chiese Ben entusiasta.
“Ecco, questa forse è la notizia cattiva”
I due erano già saliti sull’aereo quando un grido risuonò altissimo.
“Carta igienica??? Ma.. Ma… Che fine di m….”
“Beh… volevi che diventasse famosa? E famosa è diventata!!!”
Le voci dei due litiganti vennero coperte dal portellone che si chiudeva e dai motori che iniziavano a rollare.
 
L’uomo barbuto stava sul tetto della torre di controllo, appollaiato sulla ringhiera, e guardava l’aereo privato decollare.
Sorrise soddisfatto e poi prese il cellulare.
“Tom… si sono appena partiti. Certo che se la caveranno. Quei due insieme sono capaci di tutto, dovresti saperlo. Missione compiuta. Sì… penso che il Grande Capo sarà contento di noi. Ok, torno subito” disse mentre si avviava lungo il cornicione.
“Una nuova missione? La Kruger??? Questa sì che è una missione impossibile. No, è la donna meno propensa a farsi una famiglia che conosca… Il Grande Capo ha un progetto diverso? E questo sì che è un problema…”
La voce dell’uomo barbuto si perse nel vento, mentre la sua figura svaniva di colpo nel crepuscolo della sera.
 
                                                                                                                                                                    FINE
 
 

Angolino delle autrici
Maty: Carissime lettrici, siam giunti alla fine di questa lunga storia…
Chiara: Sì… tanto non ci crede nessuno che lo lasciamo così… che non si sa se torna a correre selvaggio per i campi, lungo la spiaggia battuta dalle onde…
Maty: E’ Bennuccio non il cavallo della Vidal ( per le più giovani cercate su youtube se non conoscete la famosa pubblicità). Comunque sei tu (e le lettrici che hanno votato per te) ad aver voluto questo finale. Perfida e cattiva Grimilde, dopo tutto quello che ha passato…bloccato su  una sedia a rotelle… forse. Io invece lo volevo splendido, splendente.
Chiara:  ma se nell’originaria storia n. 2 lo avevi accoppato definitivamente… se non fosse stato per me…
Maty: Sì, ma ora mica lo possiamo lasciare così…
Chiara: ed infatti ci vuole la storia n. 4!!
 
Maty e Chiara: dirvi grazie è poco, cari lettori e recensori. Grazie a voi ci siamo divertite un mondo a scrivere e condividere questa storiella. Un grazie enorme a chi ha  recensito (Furia, Afrika, Sophie,  Claddaghring, Marcellina, Marti, Djaly, Benni, Tinta, Chlo) a chi legge, a chi ha indicato la storia fra le preferite o seguite. Grazie davvero. Fra qualche tempo, ci conoscete ormai, ci sarà la storia n. 4. E faremo la conoscenza con una ragazza molto, molto particolare…
Bacio enorme a tutte.

Ben fantasmino: come sarebbe a dire che la storia è finita? Nessuno mi ha avvertito…che significa non servo più perché Ben non corsivo si è svegliato? Ingrate!! Tintaaaaa dove sei… vengo da te, queste due mi hanno scaricato.
 
Angolino poetico e Angolino Musicale: Visto che siamo arrivate alla fine (per modo di dire…) questa volta esageriamo…se Chiara ha la musica nel sangue, Maty ha la poesia nel cuore…quindi bando alle ciance e un  minimo di serietà…Ladies & Gentlemen:
 
 
Da ‘Il Profeta’ di Kahlil Gibran struggente e stupenda poesia sull’amicizia:
 
Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
È il vostro campo che seminate con amore e mietete con riconoscenza.
 Ed è la vostra mensa e il vostro focolare. Perché andate da lui con la vostra fame, e da lui rivolgete il vostro bisogno di pace.
Quando il vostro amico si confida con voi, non abbiate timore a dirgli "no", e non esitate a dirgli "si".
E quando è silenzioso il vostro cuore non cessi di ascoltare il suo; perché, senza bisogno di parole, nell'amicizia tutti i pensieri, tutti i desideri, tutte le speranze nascono e sono condivise, con inesprimibile gioia.
Quando vi separate dal vostro amico, non rattristatevi; perché ciò che più amate in lui può diventare più chiaro in sua assenza, come per lo scalatore la montagna è più nitida se vista dalla pianura.
E non ci sia altro scopo nell'amicizia se non l'approfondimento dello spirito.
Perché l'amore che cerca altro dallo schiudersi del proprio mistero non è amore, ma una rete lanciata in avanti che cattura solo ciò che è vano.
E date il meglio di voi stessi per l'amico.
Se deve conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche la piena.
Poiché che amico è il vostro, per cercarlo solo nelle ore di morte?
Cercatelo sempre nelle ore di vita.
Perché lui può colmare il vostro bisogno, ma non il vostro vuoto.
E che nella dolcezza dell'amicizia ci siano sempre risate, e piaceri condivisi.
Perché nella rugiada delle piccole cose il cuore trova il suo mattino, e si ristora.
 
 
Peter Gabriel & Kate Bush Don’t Give Up (non arrenderti)
 
…Perché qualunque cosa succeda…come dice Otto a Tom “Certo che se la caveranno. Quei due insieme sono capaci di tutto, dovresti saperlo…”
 
Per ascoltarla

https://www.youtube.com/watch?v=uiCRZLr9oRw
in questa terra fiera siamo cresciuti forti lo siamo stati tutti insieme, mi è stato insegnato a combattere insegnato, a vincere, non avrei mai pensato che avrei potuto fallire, nessuna lotta lasciata o almeno così sembra sono un uomo i cui sogni l’hanno abbandonato ho cambiato la mia faccia, ho cambiato nome, ma nessuno ti vuole quando perdi non arrenderti perché hai amici non arrenderti non ti hanno ancora battuto non arrenderti so che sai farlo bene non arrenderti hai ancora noi non arrenderti perché da qualche parte c’è un posto a cui apparteniamo
riposa la tua testa ti preoccupi troppo andrà tutto bene quando i tempi si fanno difficili  tu puoi contare su di noi per favore non arrenderti non arrenderti perché hai amici non arrenderti non sei l’unico non arrenderti non c’è nessuna ragione di vergognarsi non arrenderti tu hai ancora noi non arrenderti adesso
siamo orgogliosi di quello che sei non arrenderti sai che non è mai stato facile non arrenderti perché credo ci sia un posto, c’è un posto a cui apparteniamo 

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2838051