This is your heart: can you feel it?

di Little Redbird
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Walking out into the dark ***
Capitolo 2: *** It matters all the heart ***
Capitolo 3: *** The night was all you had ***
Capitolo 4: *** You ran into the night; you can't be found ***



Capitolo 1
*** Walking out into the dark ***


[I] Walking out into the dark



Qualcuno correva come un fulmine fuori dalla sua tenda e Bellamy uscì all’istante, preoccupato che ci fosse qualcosa che non andava. La piccola figura di Clarke si allontanava verso la barriera, ignorando tutti quelli che le bloccavano la strada.
“Che succede?” domandò ai presenti.
A rispondergli fu Octavia, che gli si avvicinò con sguardo triste e gli sussurrò all’orecchio: “Raven è incinta. È di Finn.”
Bellamy la guardò con i suoi occhi scuri, così simili a quelli di lei, e cercò di non dare di matto. Raven era incinta di Finn?
“Devo andare a riprenderla” rispose a sua sorella.
“Ha chiesto di restare sola.”
“È pericoloso lì fuori, Octavia” le ricordò. “Vado a riprenderla.”
Octavia sorrise per la determinazione che leggeva nello sguardo di suo fratello. Lo abbracciò forte, sperando che la trovasse presto. “È tutta tua” mormorò col sorriso sulle labbra.
Bellamy non capì ma non si lasciò distrarre. Iniziò a correre in direzione di Clarke, sfrecciava tra gli alberi come se ne valesse della propria vita. Sentiva il cuore accelerare ad ogni suo passo, il sangue che pompava nelle sue vene, lungo le braccia forti, ed il suo rimbombo nelle orecchie, coperto dai suoni delle foglie che calpestava e degli animali notturni. Era buio pesto, tutto ciò che poteva vedere erano gli alberi a pochi centimetri da sé e le poche cose che la luna, coi suoi raggi tenui, riusciva ad illuminare attraverso le fitte chiome della foresta. Accelerò la corsa, ansioso di trovare al più presto Clarke, probabilmente disarmata e scossa dalla scoperta.
Ma se c’era una cosa che la principessa gli aveva insegnato, era avere speranza. Ed eccola lì, a pochi metri da lui, coi capelli biondi che luccicavano alla luce delle stesse.
Finalmente, col fiato corto e le cosce doloranti, poté rallentare il passo, non voleva spaventarla.
Si avvicinò silenzioso a lei, ma prima che potesse avvicinarsi abbastanza da chiamarla, vide il giubbotto a terra, poco distante da lui. Erano a pochi gradi sopra lo zero e lei si spogliava nel bel mezzo della foresta?
Clarke si tuffò nella pozza buia sotto di sé - probabilmente il fiumiciattolo che sfociava nel mare, poco distante da loro.
“Ma che fai, Clarke?”
Clarke riemerse dall’acqua scura e lo fissò infastidita.
“Che ci fai qui?” chiese stringendo le braccia tremanti al petto.
Già. Che cosa ci faceva lì? Perché l’aveva seguita? Cosa diamine poteva mai dirle lui per convincerla a tornare al campo?
La fissò senza dire nulla, imbarazzato dal suo stesso silenzio. Scollò le spalle.
Clarke scosse la testa. “Vattene, Bellamy.”
“Va bene” acconsentì allargando le braccia in segno di resa. “Ti accendo un fuoco e vado via.”
Si chinò per raccattare qualche ramo, ma la sua voce lo distrasse.
“Posso farlo da sola.”
“Congelerai mentre ci provi” le rispose, poi tornò al suo proposito.
Quando ebbe raccolto sufficiente legna per scaldarla, Bellamy strofinò forte i rami con cui l’avrebbe accesa, e solo allora capì. Riuscì finalmente a capire perché era lì: per lo stesso motivo di Clarke. Quel bambino avrebbe potuto sconvolgere la sua vita, avrebbe potuto essere suo.
Bellamy soffiò furioso sulla scintilla, che diede finalmente fuoco alla legna.
“Che c’è?”
La voce di Clarke era vicina, proprio dietro di lui.
“Niente.”
“Come vuoi.”
Si voltò a guardarla. Addosso aveva solo la biancheria ed una canotta. Si sfregava le mani davanti al piccolo fuoco che li divideva. Aveva un’espressione stranamente serena, considerando che aveva appena rischiato di morire congelata. Il bagno aveva dovuto farle bene.
“Credevo tu fossi un po’ fuori di testa, ma è evidente che mi sbagliavo: sei completamente pazza.”
Clarke scosse la testa, alzando gli occhi al cielo, nella sua tipica espressione che voleva dire “Sto parlando con Bellamy, ovvio che senta stupidaggini”. Espressione che riservava soltanto a lui - e non era sicuro se doverne essere fiero.
“Come ti viene in mente di fare il bagno nuda con queste temperature? E, soprattutto, c’è una legge, al campo, che dice che devo essere invitato a tutti i bagni nudi.”
Clarke, suo malgrado, sorrise. “I vestiti si sarebbero bagnati e sarei congelata fuori dall’acqua. E no, non sei invitato neanche al prossimo bagno.”
“Ce ne sarà un altro?” chiese con divertito stupore. “Devo tenerti d’occhio un po’ di più, Principessa.”
Clarke sbuffò, raccogliendo i vestiti ed infilandoli in tutta fretta.
“Odio quando mi chiamate così.”
“Lo so. È per questo che è divertente.” Le fece l’occhiolino.
Si stava infilando le scarpe e fece finta di non sentirlo. Si alzò, pronta a tornare indietro e fare finta che nulla fosse successo.
“Ehi.” Bellamy le afferrò un braccio e la tirò di nuovo giù, vicino a lui. “Senti, non starci troppo male, ok?”
“E questo cosa dovrebbe significare?”
“Per la storia del bambino” rispose scrollando le spalle.
Clarke deglutì nervosa. “È complicato.”
“No, Clarke” disse accentuando il suo nome. “Non lo è. Non lo è affatto.”
“Tu non capisci.”
La fissò intensamente, com’era solito fare quando voleva comunicarle quello che succedeva nella sua testa ma che non era in grado di dire. Clarke lo guardò ferita. In qualche modo, lo sguardo di Bellamy riusciva sempre a ferirla.
“Raven aspetta un bambino. Un bambino che sta per nascere in un mondo in guerra, Clarke. Un bambino che ha bisogno di un padre senza casini nella testa. Se Raven dice che è di Finn devi metterci una pietra sopra, non sei costretta ad aiutarla a crescerlo.”
Clarke sospirò e abbassò lo sguardo. Com’era finita a stringere la mano a Bellamy? Chiuse gli occhi e la strinse forte.
“Non è il bambino” disse.
Bellamy stava guardando le loro mani.
“Non posso odiare il bambino. È il primo umano proveniente dall’Arca che nasce sulla Terra, sarà una speranza per tutti. Non posso odiarlo, e mi lascerò coinvolgere. Non voglio complicare le cose tra Raven e Finn. Non voglio che mi spezzi il cuore ancora una volta.”
Bellamy ammutolì di fronte a quella confessione sussurrata. Si portò al petto le loro mani ancora intrecciate e rifletté un attimo prima di parlare ancora.
Prese l’altra mano di Clarke e la poggiò delicatamente tra i suoi seni, provocandole dei brividi lungo il polso e l’avambraccio.
“Lo senti, Clarke?” domandò in un sussurro soffocato dalle fiamme. “Potrà essersi spezzato, ma è ancora lì. Il tuo cuore è lì che batte; lo senti, principessa?”
Clarke annuì lentamente. Sentiva il cuore che batteva lento contro la sua gabbia toracica e rimbombava contro le loro mani. Ma sentiva anche il cuore di Bellamy, contro l’altra sua mano, e le sembrava che seguisse il ritmo del suo. Sollevò lo sguardo e incontrò quello di lui, nero ed intenso come una notte senza stelle. Stava davvero ricevendo consigli sui ragazzi da Bellamy Blake?
In una notte fredda ed assurda come quella, con il crepitare del fuoco in sottofondo ed i battiti sincronizzati sotto i palmi delle sue mani, Clarke credette che il primo miracolo di quel bambino fosse già avvenuto.
Sorrise a Bellamy, di quel sorriso che lui sapeva interpretare e ricambiare, ma Bellamy non sorrise, la stava guardando intensamente, ed iniziava a spaventarla.
“Mi dispiace” le disse, prima che lei potesse chiedere cosa non andava.
“Cosa?” domandò confusa.
Bellamy le accarezzò una spalla, spezzando il ritmo dei loro battiti.
Era riuscito a far ragionare Clarke, l’aveva forse convinta a tornare a testa alta, ma ora toccava a lui evitare il suo sguardo e vergognarsi di quello che avrebbe pensato di lui. C’era la possibilità, seppur vaga, che il bambino fosse suo, e quando Clarke l’avrebbe saputo tutto quello che avevano costruito in quei mesi si sarebbe sgretolato in un secondo.
Non glielo avrebbe detto, decise. Raven non avrebbe rischiato di perdere Finn confessando di essere stata con lui.
Scosse la testa, sorridendo malizioso. “Mi dispiace che tu ti perda lo spettacolo di me nudo che faccio il bagno.”
Clarke sorrise di nuovo. “Tu sei più fuori di me, Bellamy.”
Bellamy sorrise a sua volta, di un sorriso sincero stavolta. “Mi piace come lo dici.”
“Cosa?” domandò.
“Il mio nome” rispose. “Lo pronunci proprio da principessa.”
Clarke si alzò sospirando, subito seguita da Bellamy.
“Ed io ho mentito” disse, mentre l’altro spegneva il fuoco.
“Riguardo cosa?”
“Mi piace il modo in cui mi chiami principessa. Gli altri lo fanno sembrare molto più malizioso ed antipatico. Tu lo pronunci con dolcezza, mi piace.”
Bellamy le sorrise ancora. “Come ti pare, principessa.”
“Non approfittarne, Bellamy.”
Lasciò che la prendesse per un polso - prenderla per mano era troppo mainstream per il re del campo - e tornarono indietro, con tutta la calma del mondo, entrambi a testa alta.
 




 



Hello, people!
Che v’avevo detto? Mi odierete, troverete una fic al giorno. Vi sommergerò di Bellarke. Dio, quanto li shippo!
Il titolo viene da Laura Palmer, dei Bastille, che ha fatto da sottofondo alla stesura di questo delirio. Se non la conoscete avete vissuto sull’Arca fino ad ora.
Insomma, se Raven fosse incinta ci sarebbe davvero una possibilità che sia di Bellamy, no? Preservativi non ne ho visti in quell’episodio. Anyway, se mi va, domani mi metto all’opera per scrivere un altro piccolo capitolo, tanto per non lasciarla così.
Grazie alle dolcissime due recenstrici(?) che hanno, appunto, recensito la mia prima OS su questi due patati. È tutta colpa vostra se sono tornata.
 
A presto,
Red.

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Capitolo 2
*** It matters all the heart ***


[II] It matters all the heart



“Ho ancora qualche difficoltà a guardarla negli occhi” confessò Clarke in un sussurro.
Bellamy la guardò di sottecchi, indeciso su cosa dirle.
“Tua madre ha fatto degli errori. Come tutti. Come me” mormorò di rimando. “Se sei riuscita a perdonare me, puoi perdonare più della metà dei sopravvissuti.”
Clarke lo guardò con quel sorriso sulle labbra che lo mandava fuori di testa.
“Con te è diverso” disse. “Ti sei guadagnato il rispetto e la fiducia che ora provo per te.”
Bellamy le lanciò uno sguardo imbarazzato, incapace di accettare il fatto che lei lo rispettasse davvero, che davvero si fidasse di lui.
“Allora dalle il tempo di redimersi. Può darsi che le ci voglia un po’, come a me.”
Clarke gli prese la mano. L’aveva fatto sempre più spesso negli ultimi giorni e ormai non c’era più imbarazzo in quel gesto. Ad entrambi veniva naturale cercare la mano dell’altro quando ne avevano bisogno e, la cosa più bella di tutto ciò, era che quella mano era sempre lì, pronta ad essere afferrata e stretta forte.
“Grazie, Bellamy.”
Lui le sorrise, fiero di sentire dalla sua voce che aveva davvero bisogno di lui. 
“Devo andare, ora” le disse, lasciando di mala voglia il tepore della sua mano morbida.
“Ci vediamo più tardi” promise lei.
Quella promessa, per quanto vaga e semplice, gli permise di uscire dalla tenda con il sorriso sul viso e la testa più leggera.
Camminò nel campo a testa alta, sorridendo ai suoi compagni e perfino agli adulti, che probabilmente credevano  fosse impazzito.
Quella che all’inizio gli era sembrata una missione suicida, si stava rivelando la miglior svolta che potesse prendere la sua vita.
Tutti gli errori, le scelte sbagliate, le cose che gli erano accadute… cominciava a credere che tutto portasse a Clarke. A lei ed a tutto ciò che era disposto a fare per lei.
Abby Griffin lo squadrò dalla testa ai piedi, scannerizzando ogni minimo particolare del suo aspetto e del suo portamento, non lasciando alcun dubbio su ciò che pensava di lui.
“Bellamy?” lo chiamò con aria amichevole.
Il ragazzo si voltò a guardarla meravigliato. Per lo più, gli adulti si tenevano lontano da lui da quando avevano saputo quello che aveva fatto a Jaha.
“Vieni, Bellamy. Devo parlarti di una cosa.”
Bellamy si avvicinò cauto alla sua tenda, lanciando un’occhiata intorno a sé in cerca di Clarke.
Abby lo condusse all’interno. Il fatto che non ci fosse nessuno non gli sembrò un buon segno, ma Bellamy la seguì senza esitazione.
“Di cosa voleva parlarmi, dottoressa Griffin?”
La madre di Clarke si sedette, assumendo un’aria autoritaria.
“Tu sei un bravo ragazzo, Bellamy.”
Le cose si mettevano male, lo sentiva.
“Conoscevo tua madre e, nonostante gli sbagli che ha fatto nella sua vita, so che ti ha cresciuto con dei valori e, a testimoniare ciò, ci sono i ragazzi lì fuori. Molti di loro ti devono la vita, compresa mia figlia.”
Bellamy non rispose, non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso, ma era certo che la cosa non gli sarebbe piaciuta.
Abby sospirò, venendo finalmente al punto della questione.
“Ti sono grata di esserle stato vicino nei momenti più difficili, ma ora ci sono io: devi stare lontano da Clarke, Bellamy.”
Quella frase lo gelò sul posto. Bellamy si scoprì incapace di respirare, di muoversi o anche solo di pensare.
“Non posso.” Fu tutto ciò che riuscì a rispondere.
“Devi farlo, se vuoi che le cose vadano bene.”
Finalmente Bellamy si riprese. Strinse i pugni lungo i fianchi.
“È una minaccia?”
Abby lo guardò seria. “No” rispose. “Non ancora.”
Bellamy le si avvicinò, la mascella chiusa con forza. Poggiò i pugni sul tavolo. “Non può togliermi nulla qui. Non siamo più sull’Arca.”
“Farai tutto da solo, prima o poi. La verità verrà a galla, Bellamy.”
“Mi spiace deluderla, dottoressa, ma Clarke sa tutto. Di me, mia sorella, del perché ho sparato a Jaha. Non ha nulla con cui minacciarmi.”
“Sei un ragazzo intelligente, Bellamy. Mai io sono una cara amica di Raven. Sei sicuro di essere stato totalmente sincero con mia figlia?”
Bellamy la fissò impotente. Aveva il fiato corto e le gambe gli tremavano. Proprio come aveva previsto qualche giorno prima, mentre osservava Clarke fare il bagno nel bel mezzo della notte, quel bambino avrebbe potuto rovinare tutto.
Si voltò, pronto a lasciare il laboratorio arrangiato della dottoressa, ma si fermò davanti all’uscita. Aveva ancora una domanda.
“Perché?” chiese. “Perché non vuole che le stia vicino?”
Abby lo guardò con uno sguardo ancora più duro.
“Mia figlia non può frequentare un assassino.”
“Jaha è ancora vivo” si difese ancora.
Abby si alzò, chiudendo la conversazione con un’ultima risposta.
“Non per merito tuo.”
Bellamy uscì. Tutto il buon umore che aveva provato fino a pochi minuti prima era svanito. Al suo posto c’erano delusione e vergogna.
Forse doveva solo spiegare tutto a Clarke, lei avrebbe capito. Oppure doveva seguire il consiglio di Abby e starle alla larga, almeno fino a quando non fosse stato certo che il bambino non avesse nulla a che vedere con lui.
In fondo, quante possibilità c’erano? Raven e Finn erano stati insieme certamente più di una volta. Ma non riusciva a non preoccuparsi, non riusciva a non pensare alla reazione di Clarke quando avrebbe scoperto che era stato a letto con Raven.
Raven che le aveva già portato via Finn.
Finn che non aspettava altro se non una scusa per lasciarla.
No, decise. Non avrebbe detto nulla a Clarke. 




 

Ok, questa cosa mi sta sfuggendo dalle mani. Avrebbe dovuto avere solo due capitoli ma, come vedete, non siamo ancora arrivati al punto. 
Spero di non annoiarvi e di fermarmi al massimo entro il quinto capitolo.
Che lo sclero continui, miei cari Bellarke shippers.

Red.

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Capitolo 3
*** The night was all you had ***


[III] The night was all you had



“Octavia!”
Clarke si fece spazio tra la massa di ragazzi che affollavano il campo, riuniti intorno al falò. Ricevette qualche insulto per aver calpestato i piedi di qualcuno, ma continuò ad avanzare.
Octavia era poco distante, chiacchierava con Jasper, che la guardava adorante.
Quando finalmente la raggiunse, le sorrise felice.
“Hai visto Bellamy?”
Octavia si morse un labbro, indecisa.
“C’è qualcosa che non va?” le chiese subito Clarke.
La ragazza scosse la testa. “È andato via poco fa.”
“Via?” chiese preoccupata. “Dov’è andato?”
Octavia scosse le spalle.
Clarke li salutò e si guardò in giro. Erano giorni che Bellamy non si faceva vedere, iniziava a chiedersi se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Le era sembrato che si fossero avvicinati molto da quella sera nel bosco, o forse era proprio per quello? Gli si era avvicinata troppo? L’aveva fatto sentire troppo necessario?
Voleva compagnia, ma non voleva restare tra la folla. Voleva la sua compagnia.
Sospirò sconfortata, allontanandosi dall’alta pira di fiamme. L’avrebbe aspettato all’entrata, così da non farselo sfuggire.
In lontananza, scorse Finn e Raven. Lei gli accarezzava i capelli e lui le sorrideva beato.
Non faceva più così male osservarli. Iniziava ad essere davvero contenta per loro e per il bambino che aspettavano. E tutto grazie a Bellamy.
Bellamy, che ora sembrava non volerle più parlare.
“Clarke?”
La voce di sua madre la distrasse dai propri pensieri.
“Che cosa fai qui da sola, tesoro?”
Clarke ancora non riusciva a sopportare che sua madre usasse quel tono affettuoso con lei, ma almeno adesso riusciva a parlarle. Ancora una volta, grazie a Bellamy.
“Sto aspettando un amico.”
Sua madre annuì. “Bellamy?” chiese con la voce rotta.
“Sì” ammise. “Perché?”
Abby scosse le spalle, sedendosi al suo fianco. “Ultimamente passate tanto tempo insieme” constatò.
Clarke la guardò stranita. “Mi piace la sua compagnia.”
“Non credi sia meglio frequentare qualcuno di più tranquillo?”
La freddezza con cui le stava suggerendo di dare buca a Bellamy la infastidì non poco.
“No, non credo” rispose. “Bellamy è forse il più tranquillo tra i delinquenti che avete mandato a morire.”
“Mi riesce difficile credere ad una cosa del genere.”
Clarke si alzò, infuriata.
“Tu non c’eri, mamma” mormorò stringendo i pugni. “Non c’eri quando lui mi ha salvata, nessuna delle volte. Lui c’era quando ti credevo morta; c’era quando dovevo prendere una decisione difficile.”
“Clarke, bimba mia. So che è un bravo ragazzo, ma non lo è abbastanza per te.”
“Non so se tu te ne sia accorta, mamma, ma i ragazzi scarseggiano. E anche se ce ne fosse un altro miliardo, nessuno sarebbe come Bellamy” lo difese. “E tu non…” si interruppe. Finalmente aveva capito. “Hai parlato con lui?”
“Sì” rispose subito.
Non si aspettava che lo ammettesse così apertamente.
“Che cosa gli hai detto? È colpa tua se mi evita?”
Sua madre non rispose.
“Non ci posso credere.” La guardò delusa. “Ti va bene se mi lanciano sulla terra a morire con cento sconosciuti, ma hai da ridire sul ragazzo che mi ha salvato la vita. Sul ragazzo che mi ha convinta a darti una seconda possibilità.”
Abby si alzò. “Voglio solo che ti trovi un bravo ragazzo, uno come Finn.”
Clarke ormai aveva il fiato corto. Quella conversazione la stava stremando, ma aveva un’ultima cosa da dire.
“Bellamy non è il mio ragazzo, mamma. Se tu fossi stata qui, forse sapresti che con Finn ci ho provato. Sapresti che ha fatto sesso con me, quando non sapevo nemmeno dell’esistenza di Raven.”
Sua madre la guardò scioccata.
Clarke non resistette un minuto in più. Girò sui tacchi ed uscì dal campo. Se Bellamy le correva dietro ogni volta, poteva farlo anche lei.
Si incamminò tra gli alberi, sicura di trovarlo al laghetto. Ed infatti, poco distante, poteva vedere la luce del piccolo fuoco che aveva acceso per scaldarsi. Avanzò fino a raggiungere il fuoco; atterra, al caldo, giacevano i suoi vestiti, ma di lui nessuna traccia.
“Bellamy!” chiamò inquieta.
Poco dopo, la testa scura del ragazzo riemerse dall’acqua, luccicante sotto la luce della luna nascente.
Clarke gli sorrise. “Bagno notturno, eh?”
Bellamy si passò la mano tra i ricci scuri, togliendo l’acqua gelata in eccesso. Le sorrise, con quel sorriso beffardo che le fermava il cuore.
“Non ti divertivi alla festa?” le chiese strofinandosi le braccia.
Clarke evitò la sua domanda.
“Sono invitata a questo bagno?”
Le sopracciglia di Bellamy schizzarono verso l’attaccatura dei suoi capelli. Deglutì.
“Se non ti spaventa il fatto che sia nudo, accomodati” le disse mostrandole la superficie del laghetto.
Clarke si liberò in fretta dei vestiti e, tremante di freddo, lo raggiunse in acqua. L’impatto con la temperatura gelida le fece battere i denti e Bellamy le si avvicinò, pronto a scaldarla con le proprie braccia, ma si trattenne e si limitò a sorriderle ancora.
“La principessa coraggiosa” mormorò, più a se stesso che a lei.
“Mi dispiace” gli disse lei.
“E per cosa?”
“Per qualunque cosa ti abbia detto mia madre.”
Bellamy distolse lo sguardo. “Nulla di grave” minimizzò.
“Allora smetterai di evitarmi?”
“Non voglio fare incazzare tua madre.”
Clarke prese un respiro profondo e gli si avvicinò, fin quasi a toccarlo.
“Mia madre può incazzarsi quanto vuole” gli disse. “Non decide lei chi siano i bravi ragazzi.”
Bellamy rise. “Credi che sia un bravo ragazzo?” domandò. “Hai conosciuto pochi ragazzi in vita tua, eh, principessa?”
“Ti ho mai detto che sei un idiota?”
“Continuamente.”
Le schizzò l’acqua gelida sul viso e Clarke lanciò un urlo, più stupita che infastidita.
Stava per schizzarlo a sua volta, ma Bellamy le afferrò la mano. Poteva sentire i suoi brividi di freddo, la pelle d’oca lungo il dorso della sua mano.
Clarke gli posò una mano sul petto nudo: il cuore gli batteva furioso nella gabbia toracica, per il freddo o forse per quello che stava per accadere. Si aspettava che lo baciasse? Lo sperava?
Clarke gli si avvicinò ancora, fino a far sfiorare le loro cosce quasi atrofizzate dal gelo.
“Clarke…”
Bellamy non riuscì ad aggiungere altro. Gli bastò allungare la testa verso di lei per trovare le sue labbra e sfiorarle con le proprie. Da quella distanza, poteva vedere che erano pallide, a causa della loro permanenza in acqua. Le sfiorò il viso con la mano gelata e Clarke tremò, ma non era sicuro che fosse a causa del freddo.
Clarke spostò la sua mano dal petto alla spalla, e poi al collo, pronta ad avvicinarlo e baciarlo ancora, ma Bellamy coprì la sua mano con la propria, fermandola.
“No, Clarke” mormorò. Poggiò la fronte contro la sua, scuotendo la testa.
“Mi dispiace” mormorò lei con la voce spezzata.
“No, no” la confortò subito lui abbracciandola.
Clarke si strinse a lui, tremante.
Bellamy alzò gli occhi al cielo. “Odio dover fare il bravo ragazzo, con te.”
Clarke rise contro il suo petto.
“Usciamo da qui” le disse. “Devo dirti una cosa che ti farà pentire di quello che è appena successo.”
Clarke si ritrasse, guardandolo seria.
“Dimmi che non hai una fidanzata nello spazio, ti prego.”
“Bellamy sorrise. “Nessuna fidanzata, tranquilla.”
Uscirono dall’acqua gelida e si accostarono il più possibile al fuoco.
Clarke osservò il corpo nudo e tonico di Bellamy che si allungava verso i vestiti, i capelli che gocciolavano, lasciando scie trasparenti lungo il suo collo e le spalle. Distolse lo sguardo, aveva lo stomaco attorcigliato.
“Tieni.”
Le passò una coperta per asciugarsi e scaldarsi, e Clarke la accettò di buon grado.
Da parte sua, Bellamy non le aveva ceduto la coperta perché era un gentiluomo, ma perché gli faceva un male fisico guardare il corpo di Clarke tremante ed imperlato d’acqua.
Si passò le mani tra i capelli per eliminare tutta l’acqua che poteva e si infilò i pantaloni.
“Sei ancora fradicio” gli fece notare Clarke.
Bellamy si guardò le braccia e l’addome, ancora completamente bagnati.
Clarke gli si avvicinò lenta. “Posso?” chiese mostrando la coperta.
Bellamy acconsentì.
Con tutta la dolcezza che aveva, asciugò le perle d’acqua dalle sue spalle e poi dalla schiena, passando lentamente al petto.
“Clarke” la chiamò in preda all’euforia. “Per l’amor del cielo, sto cercando di fare il bravo ragazzo.”
Clarke divenne del colore delle fiamme e si infilò in tutta fretta i vestiti.
Più sicuro dopo aver indossato una maglietta, Bellamy poté finalmente sedersi vicino a lei senza correre il rischio di saltarle addosso.
“Senti” le disse evitando il suo sguardo. “Non volevo dirtelo perché non volevo rovinare questa strana cosa che abbiamo” mormorò impacciato.
Clarke, presa dall’ansia, aspettò che continuasse.
Bellamy non era il tipo d’uomo che gira intorno alle cose, così arrivò dritto al punto e glielo disse.
“Sono stato a letto con Raven.”
“Oh” fu tutto ciò che Clarke rispose.
Ma Bellamy poté vedere la delusione nei suoi occhi, nonostante si fosse voltata in fretta verso le fiamme.
“Una sola volta” precisò, non seppe neanche perché.
Clarke non si mosse.
“Ho paura che il bambino sia mio.”
Clarke si voltò di scatto, le lacrime agli occhi.
“Cosa?”
“È altamente improbabile” disse, cercando di arginare la situazione. “Finn ci è andato a letto molto più di me…” aggiunse lasciando morire la frase.
Clarke guardò il cielo e Bellamy vide le lacrime scorrere lungo le sue tempie ed asciugarsi nei suoi capelli.
“È per questo che ti evitavo: tua madre lo sa.”
“Lo sanno tutti?”
“No, solamente noi.”
“Raven cosa ha detto?”
Bellamy la guardò perplesso.
“Non ci ho parlato. L’ho evitata come la peste.”
Clarke lo guardò spazientita.
“Che cosa farai?”
“Per il momento mi limito a pregare” confessò. “E cerco di non deluderti.”
Allungò una mano per toccarla e, quando Clarke non si ritrasse, le afferrò un braccio e la abbracciò.
Lei sospirò contro il suo petto.
“Cosa succede se è tuo?”
“Sono fottuto” gli scappò.
Clarke rise debolmente e lasciò che le accarezzasse i capelli.
“Immagino che dovrò prendermene cura” disse, più serio. “Ma non giocherò alla famiglia felice con Raven.”
Restarono in silenzio per un po’, ognuno immerso nei propri pensieri. Poi Clarke gli strinse forte la mano.
“Perché con lei ci sei stato subito?” chiese, intimidita dalle possibili risposte.
“Perché avevamo entrambi bisogno di qualcuno che ci leccasse le ferite.”
“E non vuoi che io lecchi le tue ferite?” domandò voltandosi tra le sue braccia per guardarlo in viso.
Bellamy la guardò intensamente e, con la sua voce roca e profonda, le sussurrò: “Voglio che tu le guarisca.”
Clarke gli sorrise e accettò di buon grado il bacio che le stampò sulla fronte.
“Possiamo restare ancora un po’?” chiese stringendosi il più possibile a lui.
“Tutto il tempo che vuoi” le rispose stringendola.
 
 
 
 

 


 
Ok, questa cosa mi è decisamente sfuggita di mano.
Ma, come direbbe Bellamy: I got this.
Credo di terminarla entro i 4/5 capitoli. Spero continuiate a seguirla, perché mi sto divertendo tantissimo a scriverla *-*

 

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Capitolo 4
*** You ran into the night; you can't be found ***


[IV] You ran into the night; you can't be found



Bellamy le accarezzò i capelli con gentilezza e Clarke lo guardò col cuore in gola. Quei tocchi improvvisi le mettevano ansia. Ansia che tutto potesse finire. Gli sorrise, sfiorandogli un braccio.
Bellamy si voltò dall’altra parte, custodendo quel tocco delicato sotto gli strati di pelle, nel sangue, nelle ossa. Portava con sé tutte le volte in cui si sfioravano e vi si aggrappava quando il mondo diventava pesante.
“Oh, per l’amor del cielo, prendetevi una tenda!”
Bellamy lanciò un’occhiata scherzosamente infastidita a sua sorella. Non poteva darle completamente torto: lei stava parlando e loro si distraevano toccandosi a vicenda. Ma in fondo sapeva che Octavia era felice di vederlo stare finalmente bene.
“Sta’ zitta” le rispose mentre Clarke si voltava dall’altra parte, il viso in fiamme.
Octavia rise e li lasciò soli.
“Forse ha ragione” disse a Clarke. “Dovremmo prenderci una tenda, non ti pare?” fece ammiccando.
Ma Clarke non stava ascoltando, guardava dall’altra parte del campo, dove Raven si massaggiava la schiena dolorante.
“Clarke?”
“Devo chiederglielo” sussurrò senza voltarsi.
Bellamy annuì e fece per seguirla, ma Clarke lo fermò.
“No” disse. “Voglio parlarle da sola.”
Si allontanò per raggiungere Raven e non la rivide fino a sera.
 

Nella tenda che le era stata assegnata con Finn, Raven aveva tutto quello che poteva servirle. Portare in grembo il primo bambino che sarebbe nato sulla Terra sembrava averla privilegiata un po’.
Finn non era lì, come al solito. L’aveva visto raramente negli ultimi tempi, ma non le importava. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Giusto?
“Come va?” chiese a Raven.
La ragazza la stava guardando con uno sguardo risentito che fece accapponare la pelle sulle braccia di Clarke.
“Annoiata” rispose, continuando a squadrarla.
Clarke si guardò la maglietta sporca di terra. Era da poco tornata dalla caccia con Bellamy ed altri ragazzi, non pensava che a Raven importasse così tanto come si presentasse. Spazzò via con la mano un po’ di polvere dai pantaloni, ma servì a poco o nulla.
“Ti invidio” le disse l’altra.
Clarke non capì.
“Sono diventata una sforna bambini” chiarì Raven. “Non mi fanno fare niente, per paura che mi ammali, mi stanchi o chissà quali altre sciocchezze. Come se fossi l’unica con un utero, qui in giro.”
Espirò, palesemente innervosita, per prendersi una pausa.
“Invidio la tua libertà di andartene in giro.”
Clarke le sorrise debolmente, cercando un modo carino di rispondere.
“Tornerai presto libera anche tu.”
Raven scosse la testa e fece un sorriso amaro. “Già” rispose soltanto.
Restarono in silenzio per qualche minuto, senza mai incrociare i loro sguardi.
“Te ne vai in giro con Bellamy ora, eh?”
Clarke non si aspettava quella frecciatina, ma le fu grata per aver introdotto l’argomento. Non voleva semplicemente chiederle “dimmi se quello che porti in grembo è il figlio di Bellamy”, voleva che fosse sincera, e attaccarla non avrebbe aiutato.
“È da quando siamo atterrati qui che vado in giro con lui” rispose.
Raven si voltò dall’altra parte con un sorrisetto divertito sulle labbra.
“Già. La differenza è che ora vi piace andarvene in giro da soli.”
Clarke non ribatté. La guardò seria, lasciandole intendere che non avrebbe discusso della sua vita sentimentale con lei.
“In realtà sono qui proprio per questo” disse.
Raven alzò le sopracciglia. Sorpresa, ma non troppo.
“Raven” disse, sedendosi finalmente su una rozza panca di legno. “Devo sapere la verità. Il bambino è di Bellamy?”
Raven la guardò, non lasciando intendere nessuna emozione.
“Lui aveva troppa paura della risposta per venire?” chiese, eludendo la domanda.
“No” rispose Clarke. “Sono stata io a chiedergli di venire da sola. Avevo troppa paura della mia reazione alla tua risposta.”
Quell’eccesso di sincerità spiazzò per un attimo la futura mamma.
“No” disse. “Non è suo. Sono sicura.”
La sua voce era fredda e incolore.
Clarke annuì, ingoiando il groppo che aveva in gola.
“Grazie” disse alzandosi.
Doveva uscire da lì il più in fretta possibile e non si voltò nemmeno a salutare.
Uscì dalla tenda e poi dal campo. Allontanandosi il più possibile, ma restando dove Bellamy poteva trovarla in caso di emergenza. Si ritrovò così sotto un altissimo albero dalla chioma quasi spoglia. Si portò le ginocchia al petto, concentrandosi sui suoni che la circondavano e sull’aria che lentamente entrava ed usciva dai suoi polmoni, sul ritmo del suo cuore e sulla scomodità della terra sotto il sedere.
Aveva bisogno di assimilare bene la notizia, di riflettere su quello che stava provando e cercare di seppellirlo.
Il tono della sua voce, le poche parole che aveva usato, il modo in cui aveva portato le mani sulla pancia, a proteggere il bambino: tutto in Raven suggeriva che stava mentendo. Raven aveva mentito. Nemmeno lei sapeva di chi fosse la vita che le cresceva dentro, ma aveva fatto una scelta, e se fosse giusta o meno non stava a Clarke deciderlo. Finn sarebbe stato il padre di quella creatura.
Solo due persone sapevano la verità: Raven e Clarke. E nessuna delle due aveva intenzione di perdere l’uomo che amavano.
Clarke poggiò la testa contro la dura corteccia dell’albero, lasciando che i capelli si impigliassero senza badarci. Si lasciò andare ad un pianto silenzioso, che diventò molto più doloroso poco tempo dopo.
Sfogati, si disse. Butta tutto fuori e non pensare mai più a quel bambino.
Le lacrime le bagnarono le guance, il collo, le ginocchia, ma nessuno l’avrebbe notato: anche il cielo piangeva.
Lasciò che la pioggia lavasse via le scie salate dalla sua pelle e si alzò, con le gambe tremanti e l’anima a pezzi.
Non le restava nient’altro, solo Bellamy, con le sue braccia forti e le mani grandi, che avrebbero rimesso a posto il suo cuore, pezzo per pezzo.
 
 
Nella tenda, l’unica luce proveniva dai fuochi notturni al centro del campo.
Clarke aspettò che Bellamy entrasse e si stendesse sul letto al suo fianco. L’abbracciò, facendo aderire i loro corpi, quasi ermeticamente. Aveva bisogno di sentirlo vicino, solido e protettivo. Sentiva di volerlo baciare, per essere sicura che non avesse solo sognato la pressione impaziente delle sue labbra contro le proprie. Voleva che la abbracciasse, voleva sentire la stretta delle sue mani sui fianchi, addome contro addome, il petto contro i suoi seni.
Era vero. Il corpo, il peso, la presenza di Bellamy, premevano prepotenti contro di lei, e Clarke pensò che non ci fosse sensazione più bella al mondo.
Gli lasciò un bacio dietro l’orecchio, dove sapeva che l’avrebbe fatto impazzire.
Lui aspettava che gli dicesse qualcosa, che si arrabbiasse e lo lasciasse.
Ma Clarke si limitò a dire: “Complimenti. Non diventerai papà”.
Bellamy la strinse, sospirando sollevato.
“Stavo per fare voto di castità.”
Clarke rise. “Proprio ora che ho deciso di passare qui la notte?”
Stavo per, principessa. Sono ancora un libertino” mormorò baciandola.
Clarke lo lasciò fare. Voleva sentire il suo sapore, il peso del suo corpo sul proprio, le sue mani ruvide sulla pelle. Voleva saperlo suo. Suo e di nessun altro.
Nessuna ragazza e nessun bambino le avrebbe portato via Bellamy, decise. E quella notte suggellò quella promessa nell’unico modo in cui poteva: amando Bellamy fino allo sfinimento del corpo e dell’anima. Quell’anima che, come previsto, guariva un po’ di più ad ogni suo bacio.
 
 
 



 

So, here we are. The end.
Finalmente, direte voi. E c’avete ragione. Finalmente è finita questa fic un po’ rozza, scritta più per dar sfogo ai feels che per creare un capolavoro.
Spero vi sia piaciuta lo stesso, anche se un po’ “arronzata”.
 
A presto,
Red.

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