Le Mille Linee delle Lunghezze d'Onda

di BlackBlueSoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
 
Capitolo 1
 
 
 
Maka Albarn guidò la falce con determinazione, focalizzando sull'obiettivo da colpire e ignorando rabbiosamente i muscoli che protestavano per colpa dell'ennesimo, ripetuto sforzo.
Nell'aria si propagò il suono stranamente poco secco di un pezzo di legno, affettato in due come se fosse burro. Quando i due ciocchi caddero a terra la ragazza sospirò di sollievo.
Alle sue spalle, l'anziana signora per la quale Maka aveva appena finito di tagliare quasi tre quintali di legna da ardere si profuse in inchini. «Grazie mille, Makachan! Senza il tuo aiuto, non so come avrei fatto ad affrontare l'inverno. Come posso sdebitarmi?».
«Non ce n'è bisogno», le sorrise, un po' affaticata, la ragazza, mentre puntellava la falce nel terreno e la lasciava libera di ritrasformarsi. «L'ho fatto con piacere, e ne ho approfittato per tenermi allenata».
Le mani della Meister tornarono pallide, segnate di calli, specialmente nell'incavo tra pollice e indice, dove più spesso aveva imparato a far ruotare l'arma con cui combatteva.
«Makasan, Makasan, posso avere un dango?!».
Maka abbassò lo sguardo, e lo abbassò di parecchio.
Una bambina magrolina, di nove anni, con i capelli scurissimi raccolti in due codini stretti stretti e gli occhi azzurro ghiaccio la osservava supplice, le mani giunte.
«Chiedi a Milo, Zoey...», le rispose, sbuffando con finta seccatura, regalandole poi una carezza sulla testa. «Sei andata alla grande, te lo meriti».
La piccola fece un sorrisone, poi si precipitò da un ragazzo dai suoi stessi lineamenti, che era rimasto in disparte ad osservare la scena.
Meglio non disturbare Maka mentre manipolava sua sorella, soprattutto quando non aveva buone notizie da darle.
«Fratellone, posso avere un dango?», Zoey ripeté la domanda facendo un sorriso ammiccante, o almeno credendo di farlo, a Milo.
Lui le sorrise in risposta, e dopo aver ravanato nella borsa che si portava sulle spalle, sganciò il tanto reclamato cibo. «E adesso sparisci, nanerottola!», la apostrofò, facendole segno di allontanarsi un po'. «Devo parlare con Makasan».
«E che gli devi dire?», domandò Zoey, quasi strozzandosi con un boccone troppo grosso che aveva addentato.
«Cose da grandi».
«Sono sempre cose da grandi!», replicò la bambina, mettendo il muso.
L'effetto era un po' tragicomico, visto e considerato che la salsa dei dango si era sparsa tutta intorno alla sua bocca, e aveva le guance rigonfie di cibo.
Milo non le rispose, incupendosi.
Zoey intuì rapidamente che la conversazione non sarebbe proseguita oltre e si fece distrarre dalle occhiate perforanti di alcuni bambini che la stavano fissando, per metà meravigliati e per metà terrorizzati, da dietro un muretto di pietre traballanti. Mentre li raggiungeva e attaccava bottone con loro, Maka rifiutava con gentile decisione i soldi che le venivano offerti dalla signora.
«Tutta la fortuna che possa capitarti ti sia favorevole!», si inchinò per un'ultima volta l'anziana donna, prima di salutarla e incamminarsi lentamente verso casa.
«Ti servirà», commentò Milo, affiancando la Tech.
Maka spiegò di lato il capo, chiedendo spiegazioni.
«Mentre eri occupata, hanno chiamato quelli della base», la informò Milo senza guardarla, impegnato a controllare cosa stesse combinando quella mina vagante di sua sorella.
«Che vogliono stavolta?», sbuffò la ragazza, rassegnata.
«Dicono che devi trovare uno specchio e scriverci sopra il suo numero. Ti vuole parlare».
«Ah».
Milo le lanciò uno sguardo.
Era diventata pallida, tanto per cambiare. Ogni volta che lo Shinigami la chiamava Maka sbiancava, quasi come avesse paura di venire rimproverata o condannata a chissà quale tortura. Non riusciva ad immaginare cosa lei potesse temere di aver fatto di male in quei tre anni di quasi totale abnegazione, sacrificio e dedizione al bene altrui... «Ed è una cosa urgente, perciò diamoci una mossa, l'ultima volta che non lo hai richiamato prima dei famigerati otto minuti...».
«Non c'è bisogno che me lo ricordi», lo interruppe lei alzando gli occhi al cielo. «Ho ancora gli incubi la notte».
«A chi lo dici...», borbottò Milo. Le allungò uno specchietto da donna. «È l'unico che sono riuscito a trovare in questo villaggio», disse, come se volesse scusarsi.
«Andrà bene lo stesso...», mormorò Maka, più a sè stessa che a lui.
Con la punta del dito indice, la Meister scrisse il numero dello Shinigami.
Shini, shini, gorokushi...
Appoggiò un angolo dello specchio quadrato vicino all'orecchio, l'angolo opposto vicino alla bocca, a simulare auricolare e microfono di un telefono qualunque.
Sentì quattro squilli, poi lo Shinigami rispose.
«In linea».
La voce di Death the Kidd ronzava parecchio, forse per colpa delle interferenze che correvano tra un mondo e l'altro.
«Shinigamisama, Maka Albarn a rapporto».
«Sette minuti... Cominciavo a credere che non avresti più richiamato», le fece notare il suo superiore.
«Chiedo scusa per l'attesa. Ero nel bel mezzo di un lavoro, signore», disse la ragazza, sistemandosi lo specchio tra testa e spalla.
Iniziò ad aprire e chiudere ripetutamente le mani per cercare di scioglierle dalla rigidità che la colpiva sempre dopo l'utilizzato prolungato della falce. Quel fastidio era cominciato quando aveva ricominciato a sincronizzarsi, ma era sicura che non dipendesse da Zoey.
«Scuse accettate. Ho un nuovo incarico per te».
E si doveva trattare di qualcosa di grosso, pensò la Meister,  visto che i dettagli le venivano forniti dallo Shinigami in persona. «Sono a sua totale disposizione».
«Stavolta non si tratta di una delle solite ricognizioni...».
A Maka iniziarono a squillare in testa decine di campane, tutte in estremo allarme. Il tono cauto di Kidd, così insolito rispetto a quello pratico con cui era solito parlare, le stava trasmettendo una brutta sensazione.
Sperava di sbagliarsi...
«Ti devo parlare a quattr'occhi».
«Posso trovare uno specchio più grande, se è questo il...».
«No, Makasan. Il punto è che ho bisogno che torni qui per poterne discutere».
... Ho bisogno che torni qui.
Maka sentì quelle parole riecheggiarle in testa per un numero indefinito ma decisamente elevato di volte, prima che acquistassero senso.
«Sul serio?», sillabò alla fine, fissando nel vuoto.
«Sì. Ti rivoglio a Death City. Vorrei che facessi rapporto già domani mattina, se possibile».
«Io... V-va bene», balbettò lei.
«Ti chiedo soltanto una prudenza: Soul Eater Evans ne deve rimanere all'oscuro».
«Cosa? Perché?!».
«Te lo spiegherò quando arriverai qui. A presto, Makasan».
La linea venne interrotta bruscamente.
La Technician continuò a fissare il vuoto per una mezza eternità, prima di azzardare le parole: «Ritorno a casa».
«Ma se siamo appena partiti..?», la rimbeccò Milo.
«No, non hai capito», scosse la testa lei, che senza rendersene conto si era stampata un sorriso a trentadue denti in faccia. «Torno a Death City».
Fu il turno di Milo, prendere il colpo. «Cosa?!».
Maka gli rivolse la sua attenzione, registrando in fretta il cambiamento di espressione del ragazzo.
«Ma... ma... e mia sorella?», sbottò infatti.
L'entusiasmo della Technician si sgonfiò come un palloncino bucato. «Milo...».
«Zoey rimarrà senza Meister!».
Si fissarono per qualche secondo.
«Non sappiamo cosa mi chiederà», sospirò alla fine Maka. Il cuore le batteva rapido, ma non era nulla in confronto alle pulsazioni esagitate della sua anima. «Potrebbe essere questione di un paio di giorni. Magari meno...».
«E se fosse di più? Se decidesse di riassegnarti? Chi mi dice che non voglia riaccoppiarti con quella Death Scyte, ah?!».
A Maka toccò deglutire, e distolse lo sguardo, in preda a ricordi dal gusto amaro. Non riuscì a dirgli la verità, e cioè che era semplicemente impossibile che Kidd permettesse a lei e a Soul di sincronizzarsi di nuovo, ma il ragazzo che aveva di fronte fraintese il suo silenzio per senso di colpa, e proprio lì cercò di fare leva.
«Mia sorella ne ha passate troppe per essere abbandonata di nuovo», Maka.
«Non scaricare su di me responsabilità che non mi spettano», sibilò immediatamente lei, intuendo la sottile accusa che lui le stava rivolgendo. «Sapevate entrambi, meglio di me, che la mia presenza qui era temporanea... E inoltre, non posso rifiutare un ordine diretto».
«Promettimi che tornerai qui», le disse.
Déjà vu.
Maka fu la prima a cedere la lotta di sguardi, ma stavolta la sua risposta fu diversa rispetto a quella data in passato. «Lo sai che non posso».
«Allora lo spiegherai tu a Zoey», la assalì. «Glielo dirai tu che te ne vai e le terrai tu la mano finché non avrà smesso di piangere!».
Ma non ottenne l'effetto sperato. Nonostante fino a quel momento Milo avesse sovrastato Maka con la sua stazza nel tentativo di metterla in soggezione, lei non si era mossa di un millimetro, né fisicamente né psicologicamente.
Il ragazzo fece un passo indietro. «... Io sono stanco di distruggerle ogni sicurezza».
«Non c'è bisogno che tu lo faccia. Venite con me», replicò Maka. «In questo modo, non dovremo separarci».
«Non ci provare», la ammonì lui, improvvisamente furioso. «Non ti permettere di illuderla».
«Milo, finiscila», sbottò Maka. Aveva perso la pazienza. «Non sto cercando di illuderla, sto cercando di fare la cosa migliore per tutti. Se, come credo, Kidd vuole solo parlarmi allora non ha senso che ci separiamo...».
«E se lo Shinigamisama avesse altri piani? Perché dovremmo venire con te?».
«Perché alla Shibusen Zoey ha molte più probabilità di trovare un technician che non qui», replicò, pratica.
Milo non se lo aspettava. «Io...».
Lei sospirò: «Senti, se sono i soldi il problema, pagherò io».
«Nemmeno tu navighi nell'oro a quanto mi risulta».
Maka lo trafisse con lo sguardo, ed anticipando possibili proteste chiamò Zoey a voce alta.
La bambina, nonostante le proteste dei ragazzi che incuriositi l'avevano finalmente avvicinata, salutò tutti e trotterellò allegra verso suo fratello e la sua Meister.
«Quello che ti risulta e quello che è realtà potrebbero essere due cose molto diverse», sussurrò la ragazza, fissando Zoey avvicinarsi. «Stampatelo bene in testa, Milo».

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
 
Capitolo 2
 
 
 
Soul Eater Evans parcheggiò con calma figaggine la sua moto arancio, scassatissima ma di grande valore affettivo, in una rientranza della piazza della Shibusen.
A differenza del solito riuscì a non attirare troppe attenzioni; gli studenti si stavano godendo i raggi solari di quella giornata stranamente calda per fare troppo caso all'arrivo dei professori. I più piccoli stavano giocando a nascondino, si rincorrevano o si infilavano per scherzo tra le gambe degli adulti; gli altri sollevavano un chiacchiericcio ritmato davvero piacevole all'udito.
La Weapon inforcò gli occhiali da sole e si avviò pigramente verso l'entrata della scuola.
Sentiva qualcosa volteggiare nell'aria, a parte le ultime foglie caduche e l'entusiasmo degli studenti, ma non fece in tempo ad associare quella sensazione ad alcun ricordo preciso che venne distratto dalla presenza dell'anima di qualcuno di poco gradito. «Sasha?!».
Che diamine ci faceva lì la Tech con cui aveva avevo la brillante idea di allenarsi per poco più di due giorni, prima di andare a rifugiarsi disperato da Stein?! Non sarebbe dovuta essere impegnata in una missione... dall'altra parte del mondo, tanto per dirne una?
«Soul!», replicò la bruna in questione, facendo rimbalzare le tette per cui lui aveva immediatamente perso la testa, mentre si avvicinava. Sembrava un tantino offesa. «Non mi hai più richiamata!».
«Ho... avuto da fare», si giustificò lui sfoderando il suo miglior sorrisetto strafottente, provocazione bastarda che aveva scoperto essere invincibile per disfarsi di una ragazza.
Per la prima volta fece cilecca.
Sasha fece un sorrisone. «Mi fa piacere vederti. Mi sei mancato davvero un sacco...».
E a quanto pareva non era l'unica: fin troppo rapidamente, un esercito semiurlante tutto al femminile iniziò a radunarglisi intorno.
La Weapon aveva totalmente dimenticato quanto odiasse non riuscire più a passare inosservato. Prima la conquista del titolo di Death Scyte, poi la partenza di Maka, infine la sua formale assunzione come esercitatore delle classi della Shibusen gli avevano fatto conquistare una fama che faceva quasi invidia a quella di Black*Star. Le ragazze più intraprendenti non mancavano un'occasione per assediarli, e Soul quella mattina era stato così sovrappensiero da dimenticarsi di evitarle. Certo, non che alle volte il bagno di folla non gli piacesse, ma per un lunghissimo attimo si chiese se non esistesse un modo indolore e temporaneo di cedere la sua faccia a qualcun altro pur di essere lasciato in pace per un po'.
Nel marasma generale di anime sovraeccitate Soul venne sfiorato da una nota, una sola, e suonata una sola volta. Il suo orecchio esperto si voltò immediatamente nella direzione da cui era provenuto il suono, ma i suoi occhi non furono abbastanza rapidi da individuare la testa biondo cenere prima che quest'ultima scomparisse oltre l'ingresso principale della Shibusen.
«Scusate, ma devo andare a fare lezione!», fece buon viso a cattivo gioco, iniziando a farsi strada nell'ammucchiata di corpi che minacciava di stritolarlo.
Riuscì a sgattaiolare via soltanto quando Black*Star, con Tsubachi al seguito, fece la sua apparizione all'orizzonte, ossia poco meno di un minuto prima che la campanella suonasse; ed anche se avesse voluto provare a recuperare il suono che gli aveva teso l'anima Soul non avrebbe avuto successo: una valanga di mostriciattoli dai cinque ai dieci anni lo sommersero non appena mise piede nel campo di addestramento all'aperto.
Era mercoledì, il che significava che avrebbe avuto le classi più piccole di tutta la scuola a tirarlo matto, sfuggendogli in un lampo da sotto il naso o distraendosi con una facilità disarmante. Da un punto di vista psicologico erano i più pesanti da sopportare, visto e considerato che attentavano ripetutamente alla sua filosofia di vita calma e cool, ma quando riuscivano a ottenere i risultati che Soul sperava erano anche gli studenti che gli davano maggior soddisfazione.
«Eater-sensei, Eater-sensei! Cosa facciamo oggi?», esclamò il bambino dal sorriso facile di cui non ricordava il nome, ma che lo aveva sempre colpito per la insanabile curiosità.
Aveva dieci anni ma non aveva mai superato la fase dei "perché?" sparati a ripetizione.
Certe volte una parte particolarmente snervata di Soul avrebbe voluto strangolarlo, ma alla fine...
«Se mi lasciate andare, inizio a spiegarvelo», fece presente, un po' seccato.
La tabella che aveva mentalmente stilato prevedeva che quel giorno i piccoli iniziassero a prendere confidenza con i rispettivi partner attraverso semplici esercizi di equilibrio che, oltre a divertire i bambini, avevano uno scopo più sottile: testavare la stabilità delle coppie e la loro fiducia reciproca.
Gli ci vollero dieci minuti buoni per recuperare il controllo della classe e un po' di dignità, ma alla fine riuscì nei suoi propositi.
«Cominciamo!», esclamò dopo aver spiegato loro quello che dovevano fare.
Per la prima volta da sempre un gruppo aveva seguito le sue spiegazioni da capo a fondo, perciò si sentiva particolarmente fiducioso.
I bambini si distribuirono in modo omogeneo nel campo, senza allontanarsi troppo da lui. Si appoggiò al tronco di uno dei tanti alberi che delimitavano quella palestra all'aperto e, mentre li osservava iniziare, Soul pensò che se tutto fosse filato liscio magari avrebbe potuto rollarsi una sigaretta.
«Eater-sensei?».
Come non detto. «Sì?».
Si trattava del ragazzino con cui aveva avuto quello scambio di battute a inizio lezione; aveva lo sguardo puntato a terra, ed era evidente che non era a suo agio. Di riflesso, anche Soul si sentì sulle spine.
«Ecco... Io... Non ho ancora un'arma...», mormorò il bambino. «E Mitchell oggi è ammalato...».
La Weapon diede una rapida occhiata agli altri; erano tutti già a coppie. Alcuni del gruppo avevano notato la scena e stavano ridacchiando.
La sua mente tornò indietro nel tempo.
Era finito in un gruppo di ragazzini della sua età, tutti già con un partner. Lui era rimasto solo, in disparte, come al solito. Non si era aspettato che andasse diversamente: aveva passato la vita in secondo piano, di certo non sarebbe cambiato tutto solo perché si era rivelato una sorta di demonio affilato...
«Posso giocare anch'io?», domandò una voce femminile dal timbro molto giovane, riportandolo bruscamente alla realtà.
I due maschi si voltarono di scatto e scandagliarono la nuova arrivata da capo a piedi.
Era una bambina, ma sembrava più una ninfa appena scappata dal bosco, rossa com'era in viso; gli occhi blu le brillavano di stupore e i capelli neri dondolavano al vento.
«E tu da dove sbuchi?», le chiese quindi Soul, sorpreso. «Non sei una studentessa della Shibusen».
Forse non era ancora riuscito a imparare tutti i nomi dei suoi studenti, ma grazie alla tecnica dell'associazione perlomeno si ricordava le loro facce: faceva affidamento a un indumento, a un nomignolo o a un particolare atteggiamento per riconoscerli. Così come sapeva chi fosse il bambino dalla spiccata curiosità di fronte a lui, così era certo che quella era la seconda bambina con dei codini che aveva mai visto.
«No», confermò la piccola, inclinando la testa di lato e sorridendo. «Sono appena arrivata».
«Ho capito, ma...».
«Zoey! Zoey, dove sei?! Dannata nanerottola, non appena ti ritrovo ti appendo a testa in giù!».
La bambina si irrigidì, eppure qualcosa gli disse che non era veramente spaventata.
«Oh, no! Mio fratello è già qui!», si lamentò.
«Zoey!».
«Ti prego, ti prego nascondimi!», lo supplicò colei che evidentemente rispondeva al nome di Zoey. «Non mi farà giocare con voi se mi trova!».
«Non ci penso proprio!», sbottò la Death Scyte. «Anzi...».
Tentò di agguantarla per un braccio, ma la piccola intuì immediatamente le sue intenzioni e si trasformò in falce, sfuggendogli per un soffio.
Anche lei...?!
Zoey ritornò in forma umana un paio di metri più indietro con un'agilità fuori dal normale per una Weapon della sua età, e dopo aver lanciato ai presenti uno sguardo presuntuoso di sfida iniziò a correre.
«È una Weapon!», esclamò il ragazzino, come stregato, e iniziò a rincorrerla. «Aspetta, fermati!».
«Tu! Ehi! Dannazione!».
In quel momento Soul capì a che diamine servisse sapere il nome dei propri studenti.
Neanche un attimo dopo che i due erano spariti, al campo sopraggiunse un ragazzo con gli stessi capelli neri della bambina che aveva appena finito di portare scompiglio.
«Arrivi tardi», la Weapon si indirizzò al nuovo arrivato. «È scappata in quella direzione».
Gli fece un sorriso di scuse. «Grazie!».
«Non è che saresti così gentile da riportarmi lo studente che si è messo a correrle dietro?».
«Eh?».
Cos'era, imbecille per caso?
«Non posso abbandonare la banda a sé stessa», Soul indicò con un cenno il gruppo alle sue spalle, nascondendo a malapena l'irritazione.
«Mh... Ok».
Il ragazzo sparì dietro le tracce della sorella, e Soul sospirò. Ovviamente gli imprevisti aveva fatto dilagare il caos tra i piccoli studenti, che avevano preso al volo l'occasione e avevano iniziato ad arrampicarsi sugli alberi.
Fu costretto a minacciare che se non avessero immediatamente ricominciato con gli esercizi li avrebbe portati vestiti in modo asimmetrico davanti a Kidd.
Stava finendo di riacciuffare i fuggiaschi quando qualcuno lo chiamò, dandogli del professore: era il tizio di prima, di ritorno con la sorella che aveva preso in groppa e con il suo studente; gli ultimi due stavano ridendo.
«Eccoci qui...», disse il ragazzo, prima di rivolgersi al bambino: «Ti lascio nelle mani del tuo insegnante, Aaron».
«Ma che ti è preso, eh?», lo sgridò immediatamente Soul. «Non puoi semplicemente prendere e andartene quando ti pare e piace!».
«Scusi, Eater-sensei...», rispose l'altro a testa bassa.
Avrebbe potuto affettarli quando facevano le vittime. Sembravano così indifesi, ma lui sapeva benissimo quanto rapidamente si potessero trasformare in piccole pesti... Beh. Almeno aveva scoperto come si chiamava il bambino.
Soul sbuffò. «Forza... Vieni, ti faccio io da partner per un oggi».
Aaron alzò la testa. «Davvero?!».
«Sì. In via del tutto straordinaria, oggi farai pratica con me».
E al diavolo le regole della Shibusen. Era troppo innervosito per farci caso.
«La ringrazio, signore», rispose Aaron, ma senza entusiasmo ora: il suo sorriso si era spento mentre la Death Scyte parlava. «Però...».
«Però cosa?».
«Non è che magari posso esercitarmi con lei?», Aaron indicò Zoey.
Li squadrò. Lo fissavano speranzosi.
... Maledetti marmocchi.
Non poteva non ammettere che essere stato scalzato da una novellina come quella, soprattutto perché anche lei falce, lo aveva lasciato basito, ma alla fine gli fece comodo che ci fosse: se poteva, evitava di mantenersi troppo sulle lunghezze d'onda degli studenti, onde evitare spiacevoli incidenti come quelli che erano accaduti a lui e a Maka  quando avevano imparato a sincronizzarsi.
«Beh... Immagino che se è solo per questa volta si possa fare...», Soul si grattò la testa.
Sperò solo di non avere una lavata di capo per aver lasciato che uno studente della Shibusen facesse troppa amicizia con una bambina appena arrivata alla scuola.
«Grazie!», esclamarono i due.
«Datevi una mossa, siete già indietro rispetto agli altri».
Mentre Zoey e Aaron si fiondavano a fare coppia in mezzo agli altri piccoletti, la Death Scyte lanciò uno sguardo eloquente verso il ragazzo che non si era ancora presentato, in attesa di spiegazioni.
«Mi chiamo Milo», disse semplicemente l'altro, «e quella è mia sorella Zoey. Siamo appena arrivati dal Giappone... Scusa l'intrusione, non volevamo creare problemi».
Per tutta risposta ricevette un cenno vago. «Non importa».
Milo fece un sorrisetto. «Sai, è la prima volta che la vedo tanto entusiasta di essere la nuova arma di qualcuno...».
Soul accese la sigaretta appena rollata.
«... Ehi, tu, scusa! È vero che sei una falce?».
Quando aveva alzato gli occhi aveva trovato uno sguardo incuriosito e un paio di codini biondi a fissarlo. Stranamente non si era sentito sotto esame, e così non aveva avuto bisogno di mettersi sulla difensiva rispondendo seccatamente.
Disse solo: «Sì, è vero».
La ragazzina aveva spalancato gli occhi, poi all'improvviso era arrossita violentamente.
«Non è che vuoi essere la mia Weapon? Io sono una Meister».
L'aveva studiata per qualche secondo, e anche lui era arrossito un po'. Fare coppia con una femmina non sarebbe stata la scelta che avrebbe preso, ma qualcosa nel modo in cui lo stava guardando gli piaceva... Era una femmina, sì, ma non aveva l'aria da femmina.
Per vedere se aveva ragione, Soul si alzò in piedi e le tirò entrambi i codini.
«Ehi!», urlò lei, infuriata.
Dal nulla, l'altra recuperò un libro molto grosso e glielo tirò in testa.
No, pensò Soul massaggiandosi il bernoccolo, decisamente non era una femmina.
«Perché l'hai fatto?!», gridò lei. «Io ti ho solo chiesto una cosa!».
«Volevo solo vedere se eri abbastanza cool per essere la mia compagna...».
L'altra aggrottò le sopracciglia. «Che vuol dire essere cool?».
«Vuol dire essere fico».
«Ah», replicò. «E io sono cool?».
Soul fece un'espressione seriosa. «Sì, direi di sì».
«Davvero?!», lei gli aveva fatto un sorriso grandissimo. «Allora siamo una squadra!».
Soul sorrise di rimando, tirando una boccata.
«... Il solito miracolo della Shibusen».
 
 
 
 
 
 
 
_____________________
Salve a tutti. ^.^
Ammettetelo, non vi aspettavate che aggiornassi così presto!
Il segreto è che ho steso già qualche capitolo, quindi, almeno per qualche settimana, dovrei riuscire a essere abbastanza regolare. Sempre che non mi venga un attacco di fa-tutto-schifo! acuto, e che non decida di riscriverla (tranquilli, non succederà).
 
Suppongo che una piccola introduzione - a fine secondo capitolo, ovviamente, se no che introduzione mai sarebbe?! - sia utile: si tratta di una fanfiction a cui dedicherò i buchi di tempo tra un esame universitario e l'altro, perciò potrebbe succedere che passi dal più alto tasso di demenzialità mai visto al più tetro e disperato dei momenti... A seconda dei miei voti, mi par chiaro u.u
 
Tocca fare anche le prime precisazioni/spoiler. Invito coloro che hanno visto soltanto l'anime di Soul Eater di non leggere le prossime frasi nel caso in cui volessero leggere il manga; in caso contrario, è bene che sappiate alcune cosucce o non vi ritroverete con la trama. Per chi ha letto solo il manga o, come la sottoscritta, è talmente malato da aver speso un sacco di tempo facendo entrambe le cose, lo spoiler non è più uno spoiler, ma sono informazioni che magari vanno rinfrescate :D
 
Primo spoiler: lo Shinigami è morto. Sì, lo so, lo so che è un duro colpo. Mi dispiace. *pat, pat*. Anche io ho pianto. Il suo posto è stato preso da Kidd, cosa decisamente molto sensata, visto e considerato che è un po' dura avere due dei della morte che si contendono le vittime, non vi pare? Comunque, lo Shinigami resterà sempre nei nostri cuori u.u
Prima precisazione (sì, voglio essere ordinata anche nelle precisazioni): Maka non è una Weapon. Tenetelo ben presente.
 
Mi piacerebbe sentire un po' dei vostri pareri: che ne pensate, se è troppo lungo o troppo corto, se i personaggi vi sembrano OOC, se scrivo da cani o sono il nuovo Dante (ne dubito fortemente), se ci sono incongruenze che a me sono sfuggite. Mi sbilancio: basta anche una parola, ad esempio "bello" o "brutto", seguita da una virgola, seguita dal motivo per cui avete scelto il suddetto aggettivo. Così riesco almeno a capire se vi possa interessare, e se mi fate delle critiche (possibilmente non distruttive) posso raddrizzare il tiro :D
 
Grazie mille a tutti coloro che hanno letto e a chi vorrà spendere un minuto a recensire.
Al prossimo aggiornamento!
 
 
 
BBS

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salve a todos!
Allora, sfortunatamente ho mancato l’aggiornamento di lunedì scorso causa esami – due in tre giorni, capitemi – quindi aggiorno solo ora. Chiedo perdono >.<
Questa volta mi tocca fare le precisazioni in anticipo, o vi perdereste dei piccoli particolari disseminati nel testo u.u come al solito, se avete visto l’anime ma non avete letto il manga, oltre a consigliarvi di spendere del tempo per leggerlo, vi invito a leggere quanto segue :D
 
Precisazione 2: Il Kishin non è morto! Eh, già. Nel manga, dopo essere scappato dalla Shibusen grazie a Medusa, Elka Frogg e Free, va a nascondersi sulla Luna. Sorvolando su tutto quello che c’è di mezzo – tanto per dirne una, l’intervento delle streghe a favore dei nostri eroi – sappiate che il Kishin viene infine fermato da Chrona, il quale tentando di inglobarlo e possederlo viene prima sopraffatto impazzendo del tutto (personalmente considero Chrona un maschio) e poi con l’aiuto di Maka e Soul riesce a “trattenerlo” in una gigantesca corazza sferica di sangue nero (cosa che viene ripresa nell’anime in modo pessimo). E nella suddetta corazza c’è la Luna, quindi niente più Luna inquietante su Death City, ma solo una gigantesca palla nera D:
 
Prossimamente ci saranno altre precisazioni. Inizialmente avevo pensato di stilare un listone di precisazioni e somministrarvele in una volta sola, poi ho pensato che sareste andati in pallone per la quantità immane di informazioni, quindi facciamo poco per volta. Spero solo di non combinare un casino confondendo le cose XD
Ringrazio chi mi segue e chi legge silenzioso...
Aspetto recensioni!
 
Buona lettura :D
 
 
 
 












 
 
 
 
 
 
 
 
Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
 
Capitolo 3
 
 
 
Maka si osservò intorno senza timidezza, concentrando l'attenzione più sul paesaggio che sul turbinio delle anime sovraeccitate.
Mentre si incamminava per le stradine che l’avrebbero condotta alla sua vecchia Scuola le aveva fatto strano pensare che erano passati già tre anni da quando aveva lasciato alle sue spalle Death City, eppure non trovò assolutamente nulla, di strano, nella costruzione imponente ma accogliente che si stagliava contro il cielo azzurrissimo e terso. Per chi aveva imparato a conoscere il lato irriverente della Morte, l'ergersi maestoso della Shibusen non faceva altro che acutizzare la nostalgia di casa...
«MAKA!».
Sorrise, riconoscendo l'esplosione d’entusiasmo di quell'effervescente anima da egocentrico Dio mancato, e prima ancora che Black*Star emergesse dalla folla con un salto, alla ragazza passarono davanti le mille battaglie combattute fianco a fianco.
Il ragazzo dai capelli azzurri aveva una nuova cicatrice, curata da poco dato il colore ancora rosato, sotto l’occhio destro. Chissà in quale strambo modo se l’era procurata… Sicuramente doveva essere stato un effetto collaterale di attacco sferrato senza aver prima riflettuto troppo sulla tattica da seguire. Come al solito.
Il sorriso le si allargò involontariamente. Anche quel cretino, suo malgrado, le era mancato.
«Sei tornata!», urlò intanto Black*Star, evidentemente sconvolto, squadrandola da capo a piedi per ben due volte. «E TI SONO CRESCIUTE LE TETTE..!».
La diretta interessata scoppiò a ridere, scaricando l'imbarazzo, e subito dopo gli piantò un MakaChop in mezzo agli occhi. Fece un po' fatica a raggiungerlo: Black*Star era diventato di una spanna più alto di lei e superava, finalmente, la sua Weapon.
«Grazie per aver reso il mondo partecipe dell'avvenimento, Black*Star!», commentò Maka.
Tsubaki evitò che il suo Tech rovinasse a terra posandogli le mani sulle spalle, contrastandone la caduta. «Ciao, Makachan! Mi fa piacere rivederti così presto».
L’espressione calorosa di Tsubaki le scaldò il cuore: non aveva mai mancato di accoglierla così, neanche se erano passate poche ore dall’ultima volta che si erano viste.
«CHE?!», esclamò Black*Star, rivolgendosi prima a Maka e poi alla sua Weapon. «Rivederti così presto?! Che significa?!».
Tsubaki si strinse nelle spalle. «Ci siamo viste ieri sera per un tea al Death Café...».
«E PERCHÈ NON ME L'HAI..?!».
«Perché gliel'ho chiesto io».
Black*Star buttò fuori il resto dell'aria che gli sarebbe servita per concludere la frase, interrotto dalla freddezza lapidaria di quella di Maka.
L’atmosfera accogliente, all’improvviso, era un po’ meno calda.
«E perché?», la fissò l'assassino, seriamente per una volta.
«Perché non mi andava di fare scalpore», rispose la bionda, alzando gli occhi al cielo. «Ma alla fine, ci hai pensato tu a far diventare scenica la mia entrata...».
«... Soul sa che sei qui?».
«No». Maka non si sottrasse all’indagine visiva di Black*Star. «E non deve saperlo, ancora per un po’. Ordine di Kidd».
«Ti ha chiamata lui?!».
Quel ragazzo era così facile da distrarre... Ora capiva come mai lui e Tsubaki ci avessero tanto a conquistarsi la loro prima anima. «Sì. Sembra che ci sia una tempesta in arrivo».
Se anche Maka aveva pensato che si stesse sbagliando o che stesse percependo cose che effettivamente non c'erano, essere stata convocata con tanta urgenza aveva spazzato via tutti i suoi dubbi. Sentiva qualcosa pulsare intorno a lei, e un colpo impercettibile alla volta stava diventando inevitabilmente più forte.
«Noi abbiamo una sessione di allenamento con il Dottor Stein per le prossime due ore», disse Tsubaki, distraendola dai suoi pensieri. «Ma ci farebbe piacere averti con noi a pranzo».
«Vengo volentieri!», accettò. «Appena ho finito con Kidd, vi raggiungo».
Una volta scambiate le informazioni necessarie a incontrarsi si salutarono, prendendo direzioni opposte e aprendo una valle in mezzo alla popolazione studentesca.
Maka si sforzò di contenere la propria anima, evitando di farla risuonare per andare alla ricerca delle frequenze conosciute, cosa che le stava costando parecchio in termini di concentrazione visto che non era mai stata in grado di sopprimere del tutto l'istinto di sincronizzarsi con la sua prima Weapon.
Si disse che l'avrebbe raggiunto non appena Kidd glielo avrebbe permesso, e che non avrebbe indugiato troppo sull'orda di anime femminili squagliate dalla sua accecante chioma bianca. L'avrebbe soltanto definito in assenza, come aveva fatto per tutto quel tempo, soffocando il desiderio di sentire nuovamente le loro anime vibrare sulle note della melodia bellissima che lui era stato in grado di far riecheggiare per ore nella piazza della Shibusen, quando Kidd era stato ufficialmente proclamato nuovo Shinigami.
Per quanto si potesse castigare, comunque, la percezione dell'anima lavorava a suo sfavore, facendole intuire quanto, nel tempo, anche l'anima di Soul si fosse raffinata. 
Chiuse gli occhi.
Forse era solo lei, che dopo l'incidente lo aveva dipinto diversamente; forse era solo lui, che almeno inconsciamente doveva averla avvertita aggirarsi nei paraggi e sondava intorno a sé con la sottile speranza di trovarla davvero; ma i brividi le corsero comunque lungo la schiena. Gli era talmente vicina che poteva quasi ascoltare la sua anima, che era così... così piena di tutto. Le influenze che avevano l'uno sull'altra avevano tratteggiato lunghezze d'onda stabili come pilastri millenari in mezzo al mare, e anche se alla fine erano stati costretti a sopprimerle, quelle erano rimaste lì, sensibili, indelebili, ansiose di riallacciarsi.
La ragazza si sforzò di allontanarsi da quel magnetismo, ignorando il dolore sordo che era rimasto spietatamente costante dopo che si era ritrovata costretta a staccarsi da lui.
Il chiacchiericcio si acquietò una volta che le porte della vecchia Scuola di Maka si furono richiuse dietro di lei, lasciando in sospeso soltanto un eco lontano.
Anche se le sensazioni la stavano mettendo a dura prova, evitò che il suo passo mostrasse esitazione, procedendo spedita anche una volta davanti alla porta che la separava dal suo capo e dalle sue armi: la spalancò e, contemporaneamente, fece rapporto.
«Sono arrivata, Shinigamisama».
Kidd era in piedi sul patio, vestito con un mantello nero ma senza maschera. Anche lui era diventato alto, e dato che non sembrava essere ingrassato di un grammo, risultava allampanato.
Il dio della morte piegò la testa di lato, studiando l'ultima arrivata e mettendo involontariamente in risalto le tre linee bianche dei suoi capelli. «Ce ne hai messo di tempo, Makasan».
«Solo il necessario», ribatté prontamente, accennando un inchino di riverenza per smorzare la frase un po’ troppo brusca.
«Ciao Maka! Bentornata!», la salutarono allora in coro Liz e Patty.
Loro due non erano cambiate molto, ed erano come sempre vestite da cowgirls. Per l'ennesima volta Maka si chiese come facessero quelle due a gironzolare in quello stato quando iniziava a fare freddo: qualcuno di sua conoscenza, nonostante fosse una Weapon come quelle due, iniziava a ricoprirsi di felpe già da fine agosto, per evitarsi raffreddori.
«Ciao ragazze. Mi fa piacere rivedervi», si limitò a sorridere.
Accolse quindi l'invito dello Shinigami e si sedette sul divanetto di tessuto rosso al centro esatto della stanza, mentre lui iniziava a macinare kilometri a forma di grandi otto sul pavimento.
«Quindi. Da quanto lo percepisci?».
Maka non fu sorpresa da quel pragmatismo privo di convenevoli, ma non poté evitare di sospirare. «Consciamente da tre settimane, ma se mi avesse convocata quando aveva iniziato a subodorare qualcosa avrei potuto decifrare le lunghezze d'onda anomale molto prima...», gli lanciò un'occhiataccia contenuta, visto e considerato che ora non era più un suo pari.
La Tech non osava né dargli del tu né chiamarlo con il suo nome di battesimo, anche se nella sua testa Death the Kidd sarebbe rimasto sempre Kidd.
«Qual è la tua opinione a riguardo?», le domandò.
Maka lo fissò negli occhi. «Il Kishin si sta risvegliando».
Le Weapon di Kidd presero un colpo. Lui si limitò ad annuire gravemente, registrando la risposta con assoluta calma.
«... Riesci a percepire Chrona?», domandò dopo un po', sedendosi sull'altro divanetto.
Lei sospirò. «Sì e no. La pazzia del Kishin mi impedisce di vedere chiaramente... Senza l'aiuto di Soul, le mie percezioni sono limitate».
«Capisco», commentò Kidd, annuendo più a a sè stesso che a lei. «Makasan... Gli esami del sangue come sono andati?».
«Al solito. Nessun miglioramento».
«E tu e Soul non...?».
«No».
Nemmeno una telefonata. Neanche una lettera, o una email. Niente di niente.
Kidd fece un grosso sospiro.
Maka distolse lo sguardo, trovando improvvisamente interessante il tessuto del tappeto su cui poggiavano i suoi scarponi neri, e poi dalla sua bocca uscirono involontariamente le parole: «Se non ricordo male, era quello a cui puntavamo».
«Lo so bene...», commentò lo Shinigami, e lei sentì di essere sotto il suo sguardo attento. «Ve l'ho ordinato io di desincronizzare le vostre anime».
Nella sala scese un silenzio tombale.
Le occhiate incredule di Liz e Patty, entrambe a bocca aperta, traforavano il cranio della Technician, che insieme ai soli Kidd e Soul era a conoscenza del vero motivo per cui se n'era andata. Per tutti quanti, infatti, lo Shinigami l'aveva spedita in Giappone a presidiare un distaccamento della Shibusen, sotto il pretesto che Soul, diventato Death Scyte, non aveva più bisogno di lei. E anche se nei corridoi si era sentito bisbigliare che la Weapon l'aveva presa malissimo e da allora i rapporti tra loro tre si erano congelati, nessuno aveva avuto il coraggio di approfondire la questione.
Maka cambiò discorso. «Che cosa pensa di fare con il Kishin?».
«Ci sto riflettendo», rispose lo Shinigami, fissando il vuoto per qualche attimo prima di chiederle: «Poi giudicare entro quanto riuscirà a liberarsi?».
«Non più di cinque mesi... Le mie previsioni iniziali erano molto più ottimiste, ma parecchio distorte dalla lontananza».
Passò qualche minuto. Liz tolse la mano dalla bocca di Patty, che le aveva premuto in faccia per impedirle di interrompere il botta e risposta serrato degli altri due.
«Perdona se le mie domande sono risultate una sorta di fastidioso interrogatorio, ma il tempo gioca a nostro sfavore, e se avessimo parlato della questione attraverso gli specchi avremmo corso il rischio di divulgare per sbaglio informazioni riservate», disse Kidd, rilassando appena la postura rigida che aveva mantenuto saldamente fino a quel momento. «Inoltre, avevo bisogno di parere affidabile. Dopotutto anche io sono soggetto alla pazzia».
Un angolo della bocca di Maka si piegò all'insù. «Non ha bisogno di scusarsi, Shinigamisama. Capisco la sua preoccupazione, e credo che abbia agito nel modo più responsabile possibile».
«Non sei cambiata molto, vedo...», commentò Kidd, un filino divertito dalle rassicurazioni della ragazza. «A parte le tette».
Liz e Patty lanciarono un urlo, e Kidd, molto meno elegante e composto di prima, sbuffò aria di lato, togliendosi una ciocca di capelli dalla faccia. Puntava addosso a Maka un'espressione vagamente incredula: la lunghezza d’onda con la Tech cui aveva espresso la sua stizza era stata di una potenza estremamente elevata, insospettabile se si considerava che la sua anima non sembrava essere cambiata… «Manipoli il Soul Protect?».
«… Ho avuto modo di affinarlo in questi tre anni», sbuffò la Technician, alzandosi insieme allo Shinigami e trattenendosi dallo stiracchiarsi. Aveva bisogno di una doccia calda. Magari anche di un massaggiatore. «Posso andare?».
«Certamente... Solo un paio di cose. Per quanto riguarda la prima... Liz, Patty», le chiamò lo Shinigami. «Accompagnatela in infermeria. Makasan ha degli esami da fare».
«Certo». «Oook!».
Data l'espressione seriosa di Kidd, Maka iniziò a sospettare il peggio. «E la seconda...?».
«Preferirei che tu e Soul non vi incrociaste fino a domani mattina».
... Per l'appunto.
«Anzi, a voler essere più precisi voglio che il primo contatto avvenga qui, in questa sala, alle otto».
Maka fece per ribattere, ma ingoiò la reazione in un boccone che andò di traverso quando capì che Kidd non avrebbe cambiato idea nemmeno se l'avesse implorato in modo perfettamente simmetrico.
Si rassegnò all'idea di prolungare a tempo indeterminato la prenotazione nell'albergo in cui si era parcheggiata la notte precedente insieme a Milo e a Zoey, e fu inutile nascondere a sé stessa la delusione: sperava davvero di potersi riaccaparrare già quel pomeriggio la camera più illuminata dell'appartamento in cui aveva convissuto con Soul.
«Come vuole», annuì.
«A domani, allora».
«Arrivederci», lo salutò con un inchino, e le due Weapon la trascinarono via.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Buondì! Anche se è pomeriggio u.u
 
Come da prassi vi invito a leggere lo spoiler se avete visto soltanto l'anime di Soul Eater e non avete intenzione di intraprendere la lettura del manga; in caso contrario, saltate le prossime righe ^.^
 
(Precisazione/Spoiler: Stein e Marie stanno insieme e hanno un figlio. Zan zan zan! Nel manga viene accennato che i due avevano una relazione quando andavano a scuola insieme, e dopo aver passato del tempo sotto lo stesso tetto evidentemente hanno ritrovato la vecchia... sincronia, oserei dire. I personaggi si rendono conto della gravidanza di Marje in un modo davvero scemo... quella parte mi ha fatta sbellicare XD)
 
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
 
Capitolo 4
 
 
 
«E con questo prelievo abbiamo finito. I risultati arriveranno tra un paio d'ore».
Maka riabbassò la manica della maglia, stando attenta a non staccare per sbaglio il batuffolo di cotone idrofilo imbevuto di disinfettante che le era stato fissato sull'incavo del gomito con della garza medica. «Così presto?».
«Shinigamisama ha detto che queste analisi hanno la priorità assoluta, quindi...».
Lo sguardo di Nyngus, l'infermiera zombie, aveva un che di colpevole.
«Maka, tutto bene?», chiese Liz, vedendo la Tech esitare prima di scendere dal lettino.
«Tutto bene», la rassicurò la ragazza, combattendo silenziosamente contro il leggero giramento di testa che stava giocando con il suo senso dell'equilibrio. «Niente che non sia abituata ad affrontare, comunque».
«Se vuoi ti accompagniamo da Tsubaki e Black*Star», fece Patty.
Solo la serietà della Weapon più piccola fece notare a Maka che le sorelle Thompson erano particolarmente pallide.
Non sapeva che erano alle prese con i ricordi: l'ultima volta che si erano costrette a entrare in infermeria era stato per assistere Kidd nella guarigione dalla lotta contro il Kishin, quattro anni prima: il loro Tech si era quasi fatto ammazzare, diventando Shinigami. Non era stato divertente. Anche se era stato simmetrico.
«Tranquille», rispose Maka, azzardando un sorriso. «Posso fare da sola. E poi, voi dovete tornare da Kidd...».
«Siamo gli unici che lo chiamano ancora così», notò Patty, lanciando per un attimo uno sguardo consolante alla sorella.
«Già», annuì Liz, che si stava torcendo le mani e che smise con uno scatto nervoso. «Odia che qualcuno lo chiami ancora così... Però lo fa sentire ancora accettato dal gruppo degli Spartoi, perciò alla fine credo che non gli dispiaccia poi così tanto».
Sorrisero.
«Cerca di non affaticarti, oggi», fece presente Nyngus a Maka, rispuntando da dietro una tendina bianca un attimo prima che le tre ragazze uscissero dall'infermeria. «Con i prelievi di sangue non si sa mai».
«Ok», annuì al Tech. «Ci proverò».
«Allora...», la interpellò quindi Liz, attaccando bottone in corridoio. «Come è stato starsene in Giappone, in distaccamento?».
Maka istintivamente soppesò la risposta. «Istruttivo».
«Kidd ha saputo che sei venuta con due altre persone...», aggiunse quasi subito Patty, che tentava di dissimulare l'interesse guardando il soffitto.
Fin da quando si erano conosciute, Maka aveva avuto l'impressione che Patty avesse molto più sale in zucca di quanto lasciasse intendere. L'aveva vista spesso nascondersi dietro atteggiamenti infantili quando era presente Liz, ma le poche volte che si erano incrociate da sole avuto sentore di un grande acume e senso di responsabilità dalle parole della Weapon... Cosa che le era appena stata confermata dal suo commento. Quella era la seconda parte dell'interrogatorio che Kidd non aveva potuto farle in modo formale, e se erano le sue Weapon ad indagare significava che lo Shinigami la stava tenendo d'occhio da molto vicino.
«Sono una Weapon e suo fratello», ammise tranquillamente. Non aveva nulla da nascondere, in fondo. «La loro famiglia è stata spazzata via dal Kishin. Diciamo... che mi sto sdebitando».
La Technician e le Weapon giunsero alla fine del corridoio. Da lì in poi si sarebbero dovute separare in due direzioni diverse, ma le sorelle rallentarono fino a fermarsi.
Probabilmente non avevano ancora finito.
Fu Liz a esporsi. «... Sanno cosa c'è in ballo?».
A Maka si stirarono le labbra. «No. Ma non potevo lasciarli in Giappone. Avevano bisogno di protezione, soprattutto la Weapon. È ancora troppo piccola per essere impiegata in una battaglia, e prenderla con me mi ha permesso di tenerla lontana da situazioni pericolose».
Patty tossicchiò. «Ma non era quello che Kidd ti aveva chiesto».
«Ho lasciato un po' da parte la ricerca di streghe ribelli, lo so benissimo», replicò la Technician, sulla difensiva. «Ma non potevo fare finta di nulla. Zoey è stata impugnata fin da quando aveva cinque anni, con la scusa che la pazzia stava dilagando. È viva per miracolo, e già sapete grazie a cosa è riuscita a sopravvivere».
Liz e Patty distolsero lo sguardo, un po' a disagio. Non che a Maka piacesse particolarmente affrontare l'argomento, ma quando lo faceva non poteva fare a meno di domandarsi se le coincidenze non fossero tutte progettate da un essere superiore: quante probabilità c'erano che in esilio in Giappone le piombasse davanti un'altra falce infettata dal sangue nero?
«Riferiremo», fu alla fine la replica di Liz. «In ogni caso, ci vediamo domani».
«Va bene», sospirò Maka. «A domani».
Attese che le sorelle sparissero, battibeccando, dietro un angolo, prima cogliere al balzo l'occasione e dirigersi rapidamente ai sotterranei della scuola.
Non ci mise molto ad arrivare alla sua destinazione, sicura com'era della strada da percorrere: nel periodo di lontananza forzata l'aveva ripassata mentalmente migliaia di volte, ripromettendosi di confermare o confutare la sua ipotesi non appena fosse riuscita ad avvicinarsi di nuovo alla Shibusen senza destare domande scomode.
Maka spalancò quasi con rabbia la porta di quella che era stata la stanza di Chrona, ritrovandola esattamente come l'aveva vista l'ultima volta: grigia, spoglia e vuota.
Entrò e si chiuse dentro. Analizzò rapidamente il piccolo ambiente intorno a sé, come per assicurarsi che letto, comodino e scrivania non si trasformassero in mostri pronti ad attaccarla, poi lasciò a poco a poco che le sue abilità percettive le dicessero qualcosa sul luogo dove Chrona si era diretto quando aveva deciso di scomparire.
Le tracce si erano quasi tutte dissolte.
«Dannazione», sbuffò frustrata, sottovoce.
La Tech strinse i denti, seccata di dover ricorrere così presto al piano di riserva.
Rilasciò il Soul Protect per massimizzare i suoi sensi, e raccolse i residui delle onde d'anima che per ultime erano state presenti in quella stanza. A parte quelle dell'amico, Maka percepì quelle di Marje, la Death Scyte che aveva affiancato Stein dopo suo padre e, con sua immensa soddisfazione, quelle debolissime della strega Elga Frogg; con un po' più di impegno le arrivarono persino quelle di Medusa, ma a quel punto Maka si rese conto che aveva ampliato troppo il raggio di analisi.
Era stata fortunata, non c'era dubbio. Dopotutto era difficile che Medusa fosse stata tanto distratta da dimenticare particolari importanti, e lo dimostrava il fatto che aveva cancellato con un incantesimo quasi tutte le sue tracce magiche, ma dall'alto del suo orgoglio personale aveva dimenticato che Elka Frogg non era al suo stesso livello, e non aveva preso precauzioni anche per lei. I quattro anni che erano passati non erano bastati a estinguere i segni del passaggio della strega più giovane.
Per confermare definitivamente la sua ipotesi non le restava che andare al laboratorio di Stein. Chissà come avrebbe reagito il professore a vederla attendere sulla soglia.
Ebbe modo di scoprirlo una quindicina di minuti dopo. Ci avrebbe messo di meno se fosse passata per la piazza principale e non per le viuzze arzigogolate della città, ma voleva in tutti i modi evitare di incrociare Soul, soprattutto mentre dava forma alle sue speranze. Quello che era riuscita a fare con sé stessa era già stato un miracolo, ma con lui ci sarebbero volute conoscenze che Maka si rendeva conto di non possedere, conoscenze che, se voleva cambiare le cose, doveva assolutamente recuperare prima di rincontrarlo.
«Professor Stein?», lo chiamò, bussando un paio di volte sulla porta d'acciaio dell'edificio che conteneva sia la casa che il laboratorio. «Sono Maka Albarn! Posso...».
La porta si aprì di scatto davanti a lei.
«Maka!», esclamò una voce inaspettata.
... O quasi. Non si aspettava di trovarsi di fronte Marje, anche se con il senno di poi avrebbe dovuto tener conto del fatto che c'era il cinquanta per cento di probabilità che fosse lei ad accoglierla. Le fece comunque piacere vederla.
«Professoressa Marje», la salutò con un inchino.
«Oh, non sono più professoressa! Ma entra, non stare lì!», le disse la Weapon, che la agguantò e la trascinò all'interno. «Stein! Guarda chi c'è!».
«Marje, stavo lavoran- oh», Stein sbucò dalla porta in fondo alla stanza a bordo della sua sedia da ufficio, per una volta senza ribaltarsi. «Maka Albarn».
«Salve», ricambiò il saluto poco ortodosso.
«Qual buon vento?».
«Dovevo parlarle». Maka lanciò uno sguardo a Marje. «... In privato».
«Oh». Era evidente che la Weapon c'era rimasta male, ma si riprese in fretta. «Ok. Allora passo io a prendere Jack. Sono già in ritardo...».
«Jack?», bisbigliò Maka, confusa, avvicinandosi a Stein.
«Nostro figlio», le rispose lui.
Ah. Giusto.
«... A dopo amore!».
«A dopo».
Marje si eclissò in un lampo, lasciando Maka un filino turbata: non assisteva a una scenetta di vita famigliare del genere da quando aveva sette anni.
«Seguimi pure», si limitò poi a dire Stein, avviandosi verso il cuore della casa.
Il laboratorio era stranamente in ordine. Si vedeva il tocco femminile di Marje: la strumentazione era rinchiusa in un armadio che occupava l'intera parete alla sua sinistra, non c'era straccia di cristalleria sporca e un po' di verde punteggiava la stanza. L'unico elemento di disturbo erano le montagne di fogli scribacchiati sparsi sui tavoli. Attraversando la stanza, Maka notò che alcuni era stati sbarrati con grossi croci rosse. Era come se Stein avesse separato i suoi studi in due sezioni: i vivamente perseguibili e i tranquillamente vivisezionabili.
«Immaginavo che saresti passata», iniziò lui, ruotando di scatto sulla sedia. «Ti offrirei del the, ma Marje non ne ha preparato neanche un po'».
«Non si preoccupi. Sinceramente, non ero venuta per bere il the», scosse la testa lei.
«Ovviamente. Mi stupisce che tu non abbia cercato di cavarmi qualcosa fuori dalla bocca non appena mi hai visto», Stein la squadrò dall'alto in basso, senza dare nell'occhio.
La figlia della sua vecchia Weapon era cresciuta parecchio, diventando una giovane donna bionda con lo sguardo determinato.
«Sa già cosa cerco?», chiese Maka, che non era troppo sorpresa dai modi spicci del prof.
Era evidente che Kidd lo aveva avvisato.
«Certo che lo so. Immagino si tratti della stessa cosa che mi ha chiesto lo Shinigami tre anni fa», sorrise lui. «... Stai cercando il diario degli esperimenti di Medusa».
Si misurarono con lo sguardo più a lungo del necessario.
«E?», lo incalzò Maka.
«"E" nulla. Non so nemmeno se esita più. So per certo che nella Shibusen non c'è, l'ho setacciata da capo a fondo senza trovarlo».
«Che mi dice della vecchia casa della strega?».
Il professor Stein avvitò la vite piantata in testa fino a farla scattare, prima di rispondere: «Non sono mai andato a controllare, ma visto e considerato il crollo e il successivo incendio che Medusa ha appiccato intenzionalmente, dubito che troveremmo qualcosa di utile».
«Non mi riferisco all'alloggio che utilizzava mentre si fingeva medico qui», si corresse Maka, lentamente. Non osava sperare. «C'è stata un'altra casa in cui ha abitato per un po'... Dopo essere ritornata in vita nel corpo di quella bambina. Dev'essere da lì che controllava i progressi di Chrona con il sangue nero... E probabilmente quella deve anche essere stata la sua tomba, se Chrona l'ha uccisa lì».
Il professore Stein sollevò le sopracciglia. «Stai davvero prendendo in considerazione l'idea che io non ci abbia pensato?», la fulminò con lo sguardo, allargando le braccia a indicare il caos di fogli che regnava sovrano. «Ho passato gli ultimi anni a setacciare mezzo mondo per trovare quella dannata casa, senza successo».
«Forse perché ha cercato nella metà sbagliata», suggerì decisa la ragazza.
Stein si alzò dalla sedia e misurò la stanza con qualche passo, iniziando poi a scartabellare i fogli. «... Stai ipotizzando la possibilità che Medusa abbia deciso di rimanere nel mondo delle streghe mentre manipolava Chrona e la convinceva ad avvicinarsi sempre di più alla pazzia?».
«Spiegherebbe il motivo per cui Chrona è sempre stata in compagnia di Elka Frogg... Aveva bisogno di una strega per ritornare nel mondo delle streghe», concluse Maka, annuendo senza quasi accorgersene.
«Mh. In effetti, sarebbe stato molto furbo da parte di Medusa nascondersi nell'unico luogo in cui non avremmo potuto controllare... Soprattutto perché le streghe non avrebbero mai pensato di cercarla in casa propria», ragionò il prof, prima di fermarsi all'improvviso. «È certamente una teoria interessante. Lo sai che sarò costretto a parlarne con Shinigamisama, vero?».
«Certo. Ma so anche che mentre lei glielo dirà, io starò già recuperando il diario», replicò lei convinta. Ora che aveva avuto le conferme che cercava, sapeva quale erano i prossimi passi da seguire, e non vedeva l'ora di intraprenderli. Poi aggiunse, con un po' meno di slancio: «Quindi, magari, non è che ci sia proprio tutta questa fretta di metterlo al corrente degli ultimi sviluppi, visto che in ogni caso io ci arriverò prima. No?».
Stein sorrise. Si era sbagliato sul conto di quella Tech. Era davvero figlia di suo padre, sotto la buccia da ragazzina diligente. Molto sotto, ma comunque... «Magari».
Maka sbuffò, sapendo dove stessa cercando di arrivare. «Glielo porterò non appena l'avrò recuperato».
«Non pensare di corrompermi con così poco, Makachan», la rimbeccò tranquillo lui. «Io sono dalla parte dello Shinigami».
«Perché...», gli sorrise in modo sofferto Maka. «... Io no?».
«... Salutami tuo padre, quando ti capita di vederlo», le disse infine, voltandole le spalle e decretando la fine della conversazione.
Oh, già. Suo padre. Sarebbe stato il caso di avvertirlo, così avrebbe potuto controllare la sua reazione ed evitare che si spargesse la voce del suo improvviso ritorno. Magari lo avrebbe chiamato nel pomeriggio...
«Ma certo. Arrivederci. Mi saluti Marje... e Jack».
Stein la osservò andarsene con la coda dell'occhio, e una volta assicuratosi di essere solo prese il bidone della spazzatura e ci riversò dentro tutti i fogli su cui aveva lavorato assiduamente per tre anni. Era un po' seccato dall'essere stato surclassato, ma anche sicuro che la Technician avrebbe trovato il diario entro la mattina successiva, a patto che le streghe non facessero ostruzionismo e le impedissero di portarlo nel loro mondo.
Terminato il ripulisti, si avvicinò alla piccola libreria voluta da Marje e ne estrasse un tomo, che sbatté sul tavolo più vicino e davanti al quale si sedette con tutta la calma del mondo.
Il titolo argentato "Magia Oscura: Come Vincerla" brillò sotto la luce al neon.
«... A quanto pare è giunto il momento di affrontarci di nuovo, Medusa».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
__________________
 
Per chi se lo stesse chiedendo: sì. Il nome del figlio di Stein e Marje è Jack. Come Jack lo Squartatore. Mi sembrava... adeguato. XD tra l'altro non è nemmeno un'idea mia, si tratta di una sorta di citazione a un'altra fanfiction che mi è capitato di leggere su questo sito. L'autrice era aki_penn ^.^ è davvero brava, andate a fare un giro tra le sue storie!
 
Mi ero ripromessa che avrei alternato i pov a ogni capitolo, ma purtroppo la trama questa volta me l'ha impedito. Il prossimo sarà sicuramente un Soul-Pov, promesso.
In ogni caso sono abbastanza contenta perché sono finalmente riuscita a spiegarvi qualche  precedente. Me happy ^.^ e anche molto logorroica, ne sono consapevole =.= per arrivare al punto ci metto sempre un'eternità.
 
 
Grazie a chi segue, legge in silenzio e a chi vorrà lasciare una recensione ^.^
Al prossimo aggiornamento!
 
BBS

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Precisazione/Spoiler: Justin Law durante il manga passa dalla parte dei cattivi, e viene ucciso da un’altra Death Scyte. Perciò, è stato sostituito. Nell’anime, con i cambiamenti nella trama che hanno fatto, non è che si capisca molto il suo intervento, in effetti… Vabbé. Non penso che sentirete la sua mancanza in un modo tanto atroce quanto quella del vecchio Shinigamisama XD
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
 
Capitolo 5
 
 
 
Soul Eater Evans si stravaccò esausto sul divano di casa sua, diventato ormai troppo piccolo per la sua stazza.
Odiava occuparsi delle faccende di casa, lo irritavano e non facevano altro che aumentare la sua noia, ma quel pomeriggio aveva davvero dovuto trascinarsi fino alla drogheria dall'altra parte della strada per comprare un po' di cibo decente: frigo e freezer erano pietosamente vuoti. Da giorni. Avrebbe continuato a far finta di nulla se non avesse trovato un po' squallido il fatto che i take away della zona gli facevano trovare il suo piatto preferito già pronto non appena metteva piede in negozio.
Il suo slancio massaio si era esaurito una volta risalite le scale fino al pianerottolo del suo appartamento, però. Aveva abbandonato la spesa a terra, richiuso la porta con un calcio secco e si era buttato sulla superficie morbida più vicina, sbuffando dall’insoddisfazione.
Ovviamente, nessuno gli aveva preparato alcunché da mangiare.
Notò distrattamente che una mela aveva trovato la sua strada fuori da uno dei sacchetti e si era fermata vicino al tappeto del salotto, così sporse un mano oltre il bracciolo, afferrò il frutto e poco ci mancò che lo ingoiasse intero, pratica che riservava esclusivamente alle anime delle uova di Kishin. Era terribilmente affamato, non aveva messo nulla sotto i denti dopo la colazione di quella mattina, occupato com'era stato a gestire le quattro classi di artigiani e armi che si erano susseguite senza tregua. Non che non provasse un certo sadico divertimento nell'inventarsi nuovi e massacranti esercizi, ma quei maledetti continuavano a saltellare su e giù come grilli in piena estate, e lui non riusciva a tenerli occupati abbastanza da prendersi una sacrosanta pausa sigaretta. Persino le ragazze, solitamente svogliate quando si trattava di addestramento fisico, non si tiravano indietro, anzi: eseguivano i suoi ordini con uno zelo che lo inquietava parecchio.
L'unica nota particolare dalla giornata era stata l'intromissione di quei due fratelli, ma era durata poco: non appena la classe in cui la bambina si era infiltrata aveva terminato la lezione, tutto era tornato alla rumorosa normalità.
«Soulkun! Nyaaa!».
Un secondo prima che Blair gli balzasse addosso a sorpresa e gli spalmasse in faccia il balcone che si ritrovava al posto del seno, Soul incorporò abbastanza fiato da trattenere il respiro per un quarto d'ora o due. Ci aveva fatto la mano, o meglio, i polmoni, ormai.
«Ciao, Blair...», borbottò annoiato quando lei si staccò.
«Giochiamo?», gli domandò, maliziosa.
«Che fai qui?».
«Volevo giocare con te», riformulò lei, con il solito tono da bambina innocente.
Perché diamine le aveva fatto quella domanda? Conosceva i metodi di abbordaggio della gatta, sapeva benissimo cosa voleva.
Soul lasciò che la sua testa si appoggiasse sul bordo del divano, chiudendo gli occhi. Era accaduto esattamente ciò che temeva, purtroppo: aveva perso interesse. Perdeva interesse per i videogiochi, per i suoi allievi, e ora anche con le ragazze. La cosa cominciava a diventare preoccupante, ma non era colpa sua se tutto quello che gli accadeva intorno non era abbastanza interessante da costringerlo a uscire del circolo vizioso della pigrizia.
Persino Blair era diventata monotona. Capitava sempre nei soliti giorni, lo faceva finire lungo disteso su una qualunque superficie piana, e gli si metteva cavalcioni sullo stomaco. Il tutto, puntualmente già mezza svestita.  
Però, quasi quasi... Era da un pezzo che non lo facevano, e lui si era stancato di arrangiarsi.
Le allungò la mano sul fianco, e quando Blair recepì il suo apatico assenso miagolò contenta, iniziando a togliergli la maglietta.
Anche se erano passati più di cinque anni da quando se l'era procurata, la cicatrice di Soul era rimasta identica. Il taglio netto che partiva dalla spalla sinistra e attraversava petto e stomaco fino al fianco destro si contraddistingueva ancora dal resto della pelle per il colore leggermente più rosato, cosa a cui Blair cercò di non fare troppo caso: l'ultima cosa che voleva fare era metterlo a disagio. Aveva notato che Soulkun mal sopportava che qualcuno vi si soffermasse con gli occhi, e poco importava che si trattasse del professor Stein per un controllo o del suo amico Black*Star mentre si cambiavano negli spogliatoi prima di iniziare a giocare a basket: tentava sempre di lasciarla il meno esposta possibile.
All'inizio non era stato così, ma da quando Makachan era partita...
Soul si era quasi dimenticato di essere annoiato quando Blair scoppiò a ridere.
«Che c'è?», domandò, sorpreso.
«Ti vibra la coscia, Soulkun! Mi fa il solletico!».
«Uhm? Ah... È il cellulare...», Soul alzò gli occhi al cielo, estraendo dalla tasca l'aggeggio che i suoi genitori gli avevano fatto recapitare per il suo sedicesimo compleanno.
L'utilità di un telefonino in un mondo in cui ci si poteva vedere attraverso gli specchi era rimasta dubbia fino a quando Soul, cacciatosi nei guai in un edificio senza superfici riflettenti, aveva dovuto chiamare i rinforzi.
Inizialmente, da Death Scyte, era riuscito a combinare ben poco; un po’ perché Kidd aveva spostato Spirit in Europa e assegnato a lui il posto rimasto vacante a Death City, lasciandolo a secco di missioni per più di due mesi, un po’ perché senza Maka a sventolarlo come una bandierina aveva scoperto di non avere la più pallida idea di come muoversi: dopotutto era una falce, non una falce con le gambe. Una volta ritornato sul campo aveva capito in fretta che doveva rinunciare a trasformarsi del tutto, e prima che imparasse a controllare decentemente quale parte del corpo affilare aveva speso, tra una missione e l'altra, sei mesi del primo anno da solo nell'infermeria della Shibusen, con Nyngus che lo accoglieva scuotendo la testa, rassegnata a rattopparlo per l'ennesima volta.
Alla fine, però, gli sforzi avevano dato i loro frutti: lavorando con Stein, allenandosi con lo Shinigami e le sue Weapon e portando a termine sempre più missioni aveva abbondantemente superato il livello raggiunto dalla Death Scyte più giovane che l'aveva preceduto, Justin Law.
Blair gli rubò per gioco il cellulare, ma Soul fece in tempo a leggere di sfuggita il numero di chi lo stava cercando.
«Blair, sgancia, è Kidd! Quello è capace di sparare una cannonata dalla Shibusen e centrarmi qui se non mi faccio vivo entro otto minuti!».
«Appunto!», sussurrò la gatta, leccandogli una guancia. «Abbiamo tempo, no?».
La Weapon la fissò con gli occhi che gli ardevano... di indignazione. «Io non duro così poco».
Si sollevò bruscamente e si staccò dalla gatta.
Gli era passata la voglia, fantastico!
«Soulkun!», miagolò Blair, sprofondando nel divano. «Non volevo offenderti, sul serio, nyaaa!».
La ignorò, si rinfilò la maglietta e afferrò il cellulare prima di barricarsi in cucina.
«Death Scyte Soul Eater a rapporto, Shinigamisama», rispose. Il telefono aveva continuato a squillare per tutto quel tempo.
«Sette squilli...», fece notare il suo capo. «Tu e Makasan volete farmi morire...».
«Maka?», sbottò Soul, preso in contropiede. «Cosa c'entra Maka?!».
Un tonfo rimbombò nell'auricolare, facendo eco a quello che Soul aveva sentito nello stomaco.
«... Perché mi fanno questo... Ho cercato di essere un buon Shinigami... Perché non possono richiamare dopo otto minuti esatti e rispondere all'ottavo squillo..?», sentì Kidd piagnucolare in sottofondo.
... Che diamine stava succedendo nella stanza dello Shinigami?
«... Sarebbe tutto così simmetrico se rispettassero una regola semplice come quella dell'otto...».
Soul si riprese dallo shock. «Cosa c'entra Maka?! L'avete chiamata? Sapete dov'è?!».
«Oh, no..! Non di nuovo!».
«Ahahahahahah! Che scemo!».
«Qualcuno mi risponda!», urlò Soul, con i nervi a fior di pelle.
Prima Blair, ora Kidd: ma che aveva il mondo oggi contro di lui?!
«Patty, dammi una mano a rimetterlo in piedi!».
«Ahahahahahah! Ok, sorellona!».
«Kidd! Liz! Patty! Cazzo!».
«Soul, dacci un taglio!», fu un'acidissima Liz ad accogliere il suo appello. «Kidd è svenuto. Hai risposto esattamente al settimo squillo, e non sarebbe stato un problema se non fosse che ieri Maka ha richiamato dopo sette minuti esatti. La coincidenza l'ha steso».
La Death Scyte si spalmò una mano sulla faccia. Solo tra loro potevano succedere cose tanto paradossali. Non sapeva se ridere o piangere, così non fece nulla, attendendo pazientemente che lo Shinigami si riprendesse.
«Ok...», mugugnò. «Aspetto in linea...».
Così avrebbe avuto il tempo di digerire le informazioni che gli erano arrivate per sbaglio.
Maka aveva richiamato Kidd il giorno prima. Come mai? Cosa dovevano dirsi? ...
«Otto...».
«Patty, i sali! Rapida!».
... Stava andando tutto bene in Giappone? Lei stava bene? ...
«Sì, sorellona!».
... Perché non ti sei fatta viva neanche una volta in questi tre anni, Maka?
«D-dicevamo?», Kidd singhiozzò.
Probabilmente non si era ancora ripreso del tutto, ma a Soul non fregava un accidente.
«Ha detto qualcosa a proposito di Maka», riprese immediatamente il filo del discorso, ansioso di avere informazioni su di lei. «Sta bene? Va tutto bene?».
«Oh, sì», borbottò lo Shinigami. «Makasan sta tornando qui».
Soul rimase in silenzio. Il suo cervello si rifiutava di collaborare.
«... Come?».
«Arriverà domani», lo informò l'altro.
«E... E me lo dice così?!».
«E come dovrei di dirtelo, asimmetrica Death Scyte che non sei altro?!», sbottò Kidd.
«Io... ». Dannazione.
«Comunque, ti vieto di vederla o di tentare in qualunque modo di parlare con lei prima di domani».
«Perché?», fu il suo turno di sbottare.
«Voglio che vi rincontriate qui», rispose lo Shinigami. «Non prima, non per sbaglio o per caso fortuito, ma domani, qui alla Shibusen e davanti a me. Sono stato abbastanza chiaro o vuoi che te lo ripeta otto volte?».
Soul chiuse gli occhi. Evitò di opporsi, sapeva che non avrebbe avuto successo, ma questo non significava certo che la cosa non lo facesse incazzare. «A che ora?».
«Vi aspetto in mattinata, per le otto. Puntuali».
Per una volta non pensò che si trattasse di una levataccia. «Non ritarderò».
«Lo spero bene. A domani, Soulsan».
«Arrivederci, Shinigamisama».
Riagganciò, appoggiò il telefono sul ripiano della cucina, poi appoggiò se stesso allo sportello del frigorifero.
Gli tremavano le mani. I suoi erano distorti, e le orecchie gli fischiavano. Gli sembrò di vedere un sorriso psicopatico ricambiare il suo sguardo sul muro bianco della cucina.
Cazzo.
Era bastato soltanto sentir parlare di lei, perché la pazzia tornasse a torturarlo?
Era bastato così poco, perché rimorsi e sensi di colpa gli ricordassero che razza di mostro era stato?
Era stato uno sbaglio. Dopo aver sconfitto il Kishin, avevano creduto di essere diventati invincibili ed avevano abbassato lo guardia...
«... Soulkun?».
Senza che se ne fosse accordo, Blair si era furtivamente introdotta in cucina mentre lui parlava al telefono.
... Erano a caccia di streghe ribelli all'autorità della strega Regina Maaba. Avevano avuto l'ordine di scovarle e forzarle ad accettare la tregua stabilita, anche a costo di usare la forza, e quella era stata una di quelle volte disperate in cui non potevano fare nient'altro che abbattere la loro opponente. Ma era un'avversaria forte, la prima che dopo parecchio tempo era stata in grado di metterli in difficoltà. Al culmine di un attacco che stavano preparando con la sincronizzazione - il Cacciatore di Streghe - in gesto disperato la strega aveva colpito Maka, trapassandole un polmone con un colpo magico.
Lei non aveva potuto fare nulla per evitarlo. Lui non era potuto intervenire.
Non aveva visto più nulla, tranne l'anima di Maka che si affievoliva.
Doveva proteggerla.
Il terrore di perderla misto al senso di impotenza gli avevano spalancato una porta che non avrebbe mai dovuto varcare.
«Tutto ok, Soulkun?», domandò di nuovo la gatta.
... Non sapeva grazie a quale miracolo Maka aveva reagito, mollando la presa su di lui, staccandosi a forza dalla sua anima un attimo prima che Soul facesse qualcosa per cui si sarebbe pentito per il resto della sua vita...
«Maka...».
... Aveva tentato di mangiarle l'anima.
Blair ora era spaventata. «Che è successo a Makachan? Si è fatta male?!».
Soul scosse la testa, aveva la bocca secca.
«Soulkun, mi sto preoccupando! Vuoi dirmi che succede?!», lei lo strapazzò un paio di volte, scuotendolo forte.
«Sta ritornando».
Lei si fermò, e piegò la testa di lato: non aveva capito nulla del borbottio del ragazzo.
«Maka sta tornando», ripeté più chiaramente quest'ultimo, focalizzando sulla gatta.
«Oh! È questo!», Blair tirò un sospiro di sollievo.
Ovviamente lei lo sapeva già. Nel pomeriggio, prima di andare sa Soulkun, era stata al Chupa Cabras a divertirsi con due signorine e il papà di Makachan, che era appena ritornato dall'Europa e voleva festeggiare con le sue ragazze preferite. All'improvviso aveva ricevuto una telefonata. Si era illuminato tutto, i suoi occhi avevano preso la forma di due cuoricini davvero carini. Non appena aveva riattaccato Blair gli aveva chiesto le ultime novità, e lui aveva semplicemente continuato a ripetere le stesse parole di Soulkun.
«Soulkun», replicò lei, facendogli un sorriso tenero. «Sei felice, non è vero?».
«Maka sta tornando...», lui non sembrava in grado di dire altro.
Uomini!, pensò la gatta con un sospiro, mentre calmava la Weapon con delle pacche rassicuranti sulla schiena. Reagiscono tutti allo stesso modo, quando una donna torna da loro!
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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... No, non c'è nulla da fare, io mi diverto un mondo a scrivere il pov di Soul. E la cosa bella è che è proprio il suo personaggio a permettermi di sfotterlo: con il fatto che se la tira così tanto posso fargliene capitare di cotte e di crude, ironizzando un po' sul suo mantra di "coolaggine"...

Questo, per quanto riguarda la prima parte del capitolo, ovviamente. Sulla seconda non credo ci siamo molto da dire... Se non che finalmente sono riuscita a dirvi cosa è successo per separarli! Goal achieved U.U
 
Ci ho messo un bel po', in effetti. Punto primo ho saltato una settimana, e mi scuso, ero alle prese con un altro esame – l’ultimo, grazie al cielo – mentre ieri ho ricominciato i corsi, quindi sono rimasta in università tutto il giorno. Inoltre, non so esattamente quando posterò di nuovo, anche perché vorrei avere il tempo di riprendermi psicologicamente dalle lezioni prima di postare stronzate. Sfortunatamente anche i tempi si allungheranno, spero di poter pubblicare un capitolo ogni due settimane.
 
Tra le altre cose ho anche raggiunto una decisione - si spera definitiva - riguardo a font e grandezza carattere. Immagino che alcuni di voi l'abbiano notato, in queste settimane ci ho dato dentro con le modifiche XD fatemi sapere se vi trovate comodi, e soprattutto se è leggibile.
 
 
Ultimo ma non ultimo grazie a chi legge e segue… Commenti, insulti, critiche sono come sempre più che graditi ^.^
Al prossimo capitolo!
 
 
BBS

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Precisazione/Spoiler: Kim, un personaggio secondario nell'anime, nel manga si rivela essere una strega che è stata accolta nella Shibusen, malgrado la sua natura.
 
Ci si rilegge alla fine del capitolo u.u
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
 
Capitolo  6
 
 
 
Maka fece saltare distrattamente sulla punta dello scarpone un sasso eroso dal vento.
Il silenzio del suolo desertico era sfiorato soltanto da una brezza gelida, e il nulla intorno a lei sembrava ingigantire la solitudine del luogo. Lei, però, non era sola.
Si trovava a qualche kilometro da Death City, in compagnia di Kim, la strega Technician con la quale si era incontrata a mezzanotte in punto davanti al Death Café neanche una mezz'ora prima. Fino all'ultimo non era stata sicura che si sarebbe presentata, ma fortunatamente la ragazza dai capelli rosa non aveva mancato all'appuntamento.
L'unica luce su cui potevano fare affidamento, visto che la luna era ancora completamente inglobata dal sangue nero di Chrona, erano le due torce che Maka si era procurata nel pomeriggio.
Fu proprio uno dei due fasci luminosi che la compì a tradimento, in piena faccia.
«Sei sicura di volerlo fare?», le domandò per l'ennesima volta Kim, fissandola con il suo tipico sguardo un po' distante.
La sua preoccupazione, nonostante il tentativo di dissimularla, si poteva intuire facilmente. Non che Maka pensasse che fosse preoccupata per lei. Non erano state grandi amiche, né erano mai andate veramente d'accordo: si erano più o meno sopportate vicendevolmente durante le classi alla Shibusen e si erano ignorate una volta risolta la questione Kishin. No, Kim era preoccupata perché non riusciva a concepire come mai fosse assolutamente vitale, per Maka, entrare nel mondo delle streghe.
«Non posso prevedere come la prenderanno, potrebbero persino attaccare senza darti il tempo di spiegarti», insistette infatti la strega Technician.
«Non sarà un problema», si limitò, calciando via il sasso che aveva tenuto in equilibrio mentre aspettava che l'altra aprisse il passaggio.
Quando le aveva detto quello che aveva in mente non le era sembrata tanto restia a darle una mano, ma ora pareva avere molti più dubbi di quanti Maka potesse concederle, e la cosa cominciava a darle fastidio. Non poteva permettersi di perdere tempo, visto e considerato ciò che la attendeva il mattino dopo.
«Se lo Shinigamisama ti scopre...», Kim tentò ancora di farla ragionare.
«Probabilmente lo sa già», la anticipò, e decise di porre la parola fine alla discussione, prima che arrivassero altre esitazioni. «Senti... Non mi posso permettere di aspettare la fine del secolo. Se hai cambiato idea puoi dirmelo tranquillamente. Non porterò rancore. Ma indipendentemente dalla tua risposta sappi che io entrerò nel mondo delle streghe, e lo farò stanotte».
«Tu non stai pensando alle conseguenze!», la rimbeccò subito Kim, irrigidendosi. «I rapporti tra i due mondi sono ancora tesi. E portare una Meister nel mondo delle streghe non è la esattamente l'idea che mi ero fatta quando ho deciso che avrei fatto di tutto per prevenire nuove diffidenze!».
Nient'altro che la conferma dei sospetti di Maka: trovandosi nel bel mezzo del fuoco incrociato, Kim aveva paura di rimanere nuovamente senza un posto sicuro dove andare se non si fosse mantenuta la tregua tra lo Shinigami e le streghe.
«Non creerò scusanti per un nuovo conflitto», rassicurò quindi. «Puoi starne certa».
La ragazza la studiò per qualche minuto, a metà tra il preoccupata e il disperata, prima di arrendersi all'evidenza di quella fermezza d'intenti.
«E va bene, ti apro il passaggio. Ma con Maaba te la caverai da sola».
«Ti ringrazio», Maka le sorrise, grata sul serio.
Ignorò il modo assurdo in cui le streghe erano costrette a realizzare la magia per aprire la porta del loro mondo1 e attese che Kim le facesse strada.
Passare da un mondo all'altro non fu traumatico come si sarebbe aspettata, e anche il paesaggio che le si profilò davanti fu motivo di sorpresa: l'unico dettaglio che rivelava la presenza della stregoneria erano dei palloncini rotondi di luci galleggianti, che illuminavano di giallo la strada battuta. Se non fosse stato per quello, Maka avrebbe giurato di essere semplicemente finita in uno quartiere poco allegro di Death City. Il nero infatti regnava incontrastato, mentre le case si accatastavano l’una sull’altra ai lati della strada, allargandosi soltanto a ridosso di quella che sembrava una strada principale. L’effetto finale era quasi soffocante, e le innumerevoli streghe che inaspettatamente si aggiravano a quell'ora contribuivano a rendere claustrofobica l'atmosfera.
Non appena si furono addentrate di qualche metro, raggiungendo il selciato battuto, furono intercettate da due guardie che bloccarono loro la strada.
«Identificatevi».
«Kim, la Strega Technician».
«E...?».
«Un'accompagnatrice», disse Maka, secca.
«Vogliamo il nome!».
«Maka Albarn».
Kim non fece in tempo a mettersi in mezzo che vennero immediatamente circondate da un manipolo armato e schierato contro di loro. Era bastato il nome della bionda, per evocare, come per magia, altre guardie.
Maka non ebbe il tempo di riprendersi dallo stupore - la rapidità con cui erano state accerchiate l'aveva lasciata di stucco - perché ancor più velocemente furono trasportate nel terrapieno di una sorta di arena.
Era certamente un luogo particolare. Un anfiteatro, se la memoria non la ingannava. Non poteva dire con sicurezza se si trattasse di arte greca o latina, ma ricordava di aver letto di costruzioni di quel genere su uno dei libri di architettura che aveva preso in prestito dalla biblioteca della Shibusen, anni addietro, prima di partire per la missione a Firenze.
Non un buon presentimento, comunque.
In pochi minuti le gradinate si riempirono di streghe rumorose, e dal brusìo astioso era chiaro che fossero molto poco entusiaste di vederla lì. Sapeva di aver infranto una quantità innumerevole di regole non scritte, ma, d'altronde, non aveva potuto fare altrimenti: il bene di tutti, prima di tutto. Se c'era da combattere di nuovo contro il Kishin, dovevano sfruttare ogni possibile risorsa, compreso ciò che le era stato iniettato nel sangue.
L’ingresso della Strega Regina fu accolto con un boato sgraziato che riportò l'attenzione di Maka al centro dell'arena.
«Nyamu?».
Maaba era molto meno... austera di quanto si aspettasse. A parte l'altezza, o meglio la sua mancanza, la strega che deteneva la più alta autorità di quel regno non le incuteva particolare timore: la benda che portava sull'occhio contribuiva quasi a farla sembrare fragile. Probabilmente, il punto focale su cui concentrarsi era l'apparenza con cui Maaba si presentava... Meglio non abbassare la guardia.
«Chiede che ci fa qui la combattente che è riuscita a penetrare l'anima del Kishin», le fu tradotto da Kim in un rapido bisbiglio, mentre venivano costrette a inchinarsi in segno di rispetto.
«Vengo per svolgere una ricerca», spiegò la Techinician, dopo che le guardie si erano posizionate alle sue spalle, con il chiaro intento di intimidirla. «Vorrei poter entrare nella casa di Medusa».
«Nyamu».
«Dice che Medusa non ha più abitato qui da quando si è introdotta alla Shibusen».
«Ho motivo di credere che abbia nascosto nel vostro mondo il libro sul quale appuntava i progressi sugli esperimenti del sangue nero».
Maka sentì la schiena venire puntata dalle lance delle guardie, mentre le streghe che stavano seguendo lo scambio iniziavano a mormorare sempre più ad alta voce.
«... NYAMU!».
«Che-?!», balbettò Maka, traendosi di scatto in avanti per mettere un po' di spazio tra la sua spina dorsale e le punte acuminate.
«Sei impazzita?», sbottò Kim, con lo sguardo contratto, nella sua stessa situazione. «Parlare del sangue nero è proibito!».
«Sarà anche proibito ma io ho bisogno di quel libro!», replicò con un sibilo. «E lo prenderò, dovessi affrontare la Strega Regina a mani nude».
«Come hai detto, prego?».
Kim sbiancò, sconcertata, e Maka capì che doveva essere stata Maaba a parlare.
Sapeva per sentito dire che la Strega Regina non si dilungava in parole e comunicava con le altre soltanto con la telepatia, perciò si preparò a uno scontro verbale da cui dipendeva la riuscita della sua incursione.
«Ho detto», ripeté lentamente Maka, voltandosi verso la strega che la fissava dalla tribuna rialzata sugli spalti, «che la affronterò di persona, se dovesse mettermi i bastoni tra le ruote».
«E credi di potermi battere?», chiese la Strega Regina, fissandola con l'occhio destro semichiuso dalla concentrazione.
«Assolutamente no», replicò, sforzandosi di mantenere alto lo sguardo. «Ma questo non mi impedirà di provarci».
Il brusìo delle streghe ricominciò ad assordarla.
«Usi il Soul Protect?», Kim parlò all'improvviso, forse ritrasmettendo la domanda che la Strega Regina le aveva fatto telepaticamente.
Maka fu colta di sorpresa, ma non si tirò indietro dal rispondere. «Sì».
«Da quanto?».
«Un anno, quattro mesi e diciassette giorni».
«Impressionante».
La Tech fece un sorrisetto. «Grazie».
«Chi ti ha insegnato a farlo?».
«Non mi è stato insegnato. L'ho appreso, se così si può dire... Mentre combattevo contro una strega ribelle».
«Nyamu», mormorò Mabaa, piegando di lato il capo.
Si misurarono con lo sguardo per un altro po'.
Kim si chiese se per caso la Regina non stesse analizzando l'anima di Maka, e soprattutto che cosa vedesse: lei quasi non riusciva a percepire l'anima della Technician.
Un attimo prima che Mabaa alzasse il braccio destro e indicasse con la punta di un dito in direzione sud-ovest, Maka poté giurare di averla vista sorridere.
«... La casa in cui devi guardare è quella di Elka Frog», mormorò Kim, piuttosto incredula. «Dice che ti deve avvisare... Prima che si accorgessero di quello che era successo a Medusa e che prendessero precauzioni contro gli intrusi, una strega vi si è introdotta. Dubita che troverai qualcosa che la strega non abbia già trafugato».
Maka annuì, per niente scalfita dalla notizia.
«La ringrazio», si piegò poi in un profondo inchino. «Le devo molto».
«Spero saprai ricambiare il favore, allora».
Maka rialzò la testa di scatto, guardando prima la Strega Regina e poi Kim. Dallo sguardo interrogativo di quest'ultima, ebbe la conferma che per l'ultima battuta Maaba si era indirizzata telepaticamente soltanto a lei.
La conversazione si chiuse senza ulteriori convenevoli. Maaba lasciò lo stadio accompagnata da un ristretto seguito di guardie, e loro vennero fatte alzare con molto più garbo di quanto non gli fosse stato riservato in precedenza.
Furono scortate prima fuori dall'arena, poi per tutto il tragitto fino al luogo indicato da Maaba, sfilando silenziosamente tra le altre streghe.
Il radar interno di Maka era stato in estremo allarme da quando era arrivata, ma sembrò andare totalmente in tilt quando si fermarono davanti a una casa verdastra, diroccata, che sarebbe risultata isolata dal resto del quartiere se non fosse stato per il consistente presidio di guardie che era lì di stanza.
Percepiva l'aura di Medusa, sentiva i suoi serpenti strisciare ovunque. Eppure doveva essere morta...
«La magia della Gorgone Medusa è imprigionata nella stanza in cui è stata assassinata. Pianterreno, terza porta a sinistra. Immagino sia superfluo chiedervi di non rompere il sigillo», disse una guardia, che dopo aver aperto la porta si appostò a lato.
Maka non fece in tempo a fare domande, perché Kim la prese sottobraccio e la trascinò all'interno.
Che le prendeva? Prima non le voleva aprire il passaggio, poi le faceva strada...
«Facciamo in fretta», le intimò Kim sottovoce. «Le altre streghe non approvano la decisione di Maaba, e non ci metteranno molto a liberarsi delle guardie se decidono di attaccarci».
Maka fece una smorfia. «Credevo che almeno qui l'autorità della Strega Regina Maaba fosse rispettata».
«Infatti. Ma la maggior parte delle streghe non crede che Maaba abbia fatto un buon affare venendo a patti con lo Shinigami. Ora tutte le sue decisioni vengono messe in discussione, e ogni volta che vi aiuta perde un po' del loro rispetto».
«E allora perché nessuno la rovescia?».
«È troppo potente. Nessuno si azzarderebbe ad affrontarla direttamente».
«Ma la tradirebbero volentieri», concluse Maka, guardandosi intorno. «La situazione non è affatto tranquilla come ci fate credere…».
Kim la trafisse con lo sguardo. «Io ti avevo avvertita».
La bionda sospirò, preferendo lasciar cadere il discorso.
L'ambiente era molto diverso da quello che si aspettava. Probabilmente influiva il fatto che si fosse sempre immaginata la casa di Medusa, e non quella di Elka Frog; o che gli unici interni della casa di una strega che avesse mai visto in vita sua era stata quella di Blair, la quale poi si era rivelata non essere nemmeno una strega. Forse non avrebbe dovuto ritrovarsi tanto stranita nel vedere un normale salotto con divano di stoffa e libreria in legno massiccio.
«Cosa intendeva la guardia?», domandò sovrappensiero, mentre iniziava a scorrere i titoli dei libri.
Kim incrociò le braccia. «La forza di una strega si misura in quanti anni ha vissuto e in quanta conoscenza ha acquisito. Quando una di noi muore, solitamente la sua magia ritorna alla Strega Regina. In questo modo le conoscenze non si perdono ma vengono ridistribuite, e tutte noi diventiamo più forti. Il punto è che la Regina si è rifiutata di inglobare le conoscenze di Medusa per evitare che venissero disperse, o peggio ancora ricostruite e portate avanti...».
«Ma non c'è più nessuno che sta sperimentando sul sangue nero, no?».
«Non è quello che si vocifera in giro», rivelò a denti stretti la strega Technician. «È questo quello che intendeva dirti Maaba quando ti ha detto che la casa era stata trafugata. Anche se non sembrerebbe dato l'ordine, qualcuno è già entrato qui, ed ha già rovistato alla ricerca di... Che cos'è che stiamo cercando esattamente?».
«A rigor di logica il diario dovrebbe avere la forma di un libro», rispose Maka, accarezzando involontariamente le coste dei libri. «Ma potrebbe essere protetto da un incantesimo e non essere visibile, oppure essere camuffato da qualunque altra cosa... In ogni caso, io comincerei da qui. Da qualche parte dovremo pur iniziare...».
Si divisero la libreria e analizzarono con attenzione ogni libro, ma non trovarono nulla.
«... Controlliamo le altre stanze», decretò quindi la Tech. «Scantinato e soffitta compresi».
Ribaltarono letteralmente la casa come un calzino, aprendo ogni cassetto, spiando in ogni anfratto o testando ogni possibile pannello scorrevole, ma non trovarono assolutamente nulla. Nemmeno un indizio su cosa o dove guardare, nemmeno un passaggio segreto: la ricerca sembrava sul buon punto di naufragare.
«Lo ha nascosto bene», commentò dopo qualche ora la bionda, sedendosi sul pavimento con uno sbuffo e guardandosi intorno.
Era quasi l’alba ormai, ed era stravolta. Soltanto ora cominciava a sentire gli effetti del passaggio da un mondo all’altro.
Kim aveva l'aria afflitta. «Oppure ti hanno preceduta».
«Medusa non avrebbe mai permesso che una strega qualunque potesse mettere le mani su quel libro», ragionò Maka. «Se fossi stata al suo posto, avrei fatto in modo che almeno finisse nelle mani di qualcuno che sapesse di cosa stiamo parlando. Che potesse interpretare correttamente gli esperimenti che aveva fatto fino a quel momento e che sapesse come usare i risultati per portare avanti la ricerca».
«Non stai ragionando con la testa di Medusa», le fece notare Kim. «Medusa non avrebbe lasciato a nessun altro la possibilità di prendere il suo posto nella conquista del mondo. E poi, chi altro poteva sapere del sangue nero?».
«Elka Frog...».
«È in prigione. Così come Free, e le sorelle Mizune...».
«Ragioniamo», si impose Maka, cercando di non finire in un circolo vizioso. «Chrona ha ucciso Medusa. Non credo che sia riuscito a farlo in uno scontro leale, Medusa non avrebbe esitato un secondo a eliminarlo se avesse intuito che le si era rivoltato contro. Quindi, sarebbe logico pensare che Chrona l'abbia colta di sorpresa. Se è così, anche se non era quello che avrebbe voluto, Medusa non avrebbe avuto il tempo di nascondere, proteggere o distruggere il libro...». Sospirò. «Deve essere qui», concluse, come tutte le altre volte che aveva perso le notti pensandoci sopra.
«E se..?».
«Deve essere qui», Maka stroncò immediatamente la pallida ribattuta di Kim.
«Quindi, cosa intendi fare?!», sbottò la ragazza con i capelli rosa. «Abbia controllato ovunque!».
«Non ovunque».
Kim spalancò gli occhi, scuotendo la testa. «Io non romperò il sigillo di Maaba».
La Tech si alzò. «Non te l'ho chiesto, infatti».
«Maka!».
Era già davanti alla porta in questione, quando Kim la afferrò per un braccio.
«Tu... ti stai facendo trasportare troppo dalla cosa! Se rompi il sigillo, la magia di Medusa ritornerà a Maaba, e...».
«Richiudilo, allora - e non lasciare che la magia esca dalla stanza».
«Con te dentro?!».
«Sì».
«Cosa?! Ma sei impazzita?».
«Kim, ci siamo già passate in questo discorso. O lo fai tu o lo chiedo a qualcun altro».
«Stavolta è diverso», sbottò la strega.
«No, non è diverso», mormorò, fissandola. «Io continuo a non avere altra scelta».
L'altra perse lo scontro di sguardi e strinse i denti. «... Stupida umana».
Maka sfilò un piccolo coltello dall'interno dello scarpone. Ovviamente non sarebbe riuscita ad aprire la porta con un calcio, quindi doveva usare l'unico mezzo che si avvicinasse alla magia: il sangue nero. Per fortuna ne era piena.
«Pronta?», domandò la Tech, incidendo la polpastrello del pollice con la punta del coltello.
«No. Ma ovviamente farai di testa tua, perciò vediamo di finirla rapidamente».
Maka appoggiò il dito sulla maniglia della porta, che iniziò a emanare scariche nere.
Quando la sentì cedere fece un passo e attraversò il legno.
La stanza era completamente ripiena di serpenti di quegli assurdi serpenti dal corpo fatto di punti e righe. Strisciavano su qualunque superficie e galleggiando in aria, sfidando ogni gravità; si erano immediatamente accorti della sua presenza, ma non l'avevano attaccata.
Dietro di sé intanto  la porta aveva ripreso consistenza: Kim aveva posto un altro sigillo.
Era imprigionata. Non riuscì a sopprimere un brivido. Odiava i déjà vu.
Restò immobile quando il più grosso dei rettili si staccò dalla massa e prese a circondarla, avvolgendola in spirali sempre più strette.
Per un attimo ebbe l'istinto di chiamare Soul, e la mano si contrasse automaticamente intorno a un manico assente. Le capitava ancora, di tanto in tanto, dopo tre anni. E capitava sempre quando il suo istinto di sopravvivenza iniziava a urlare a squarciagola. Iniziò a progettare la strategia migliore per spazzare via i suoi viscidi opponenti, ma non ce ne fu bisogno: quando il serpente entrò in contatto con il suo sangue infetto, i movimenti ondulatori della massa nera rallentarono, e i serpenti, calmandosi, si sparpagliarono ai lati della stanza, aprendole un passaggio.
Subito dopo, il serpente l’aveva lasciata andare.
Il cadavere di Medusa, squartato da ripetute stilettate, non aveva un bell'aspetto. E nemmeno un buon odore, ma lo sentiva solo ora. Probabilmente la compattezza dei serpenti doveva aver impedito che l'olezzo si disperdesse, facendo da tomba alla strega.
Con prudenza, la Meister passò in mezzo alla stanza, calpestando il pavimento ricoperto di sangue secco, impregnato nelle assi di legno, e nel frattempo si preparò a combattere, sicura che non appena avesse trovato il libro i serpenti l'avrebbero accerchiata e azzannata.
Le unghie della sua mano sinistra divennero nere, allungandosi all'inverosimile, assumendo la forma di artigli ricurvi, mentre il braccio le tremava dallo sforzo di mantenere stabili e sotto controllo le onde del sangue nero.
Senza l’aiuto di Zoey, era ogni volta più difficile...
Continuò l'analisi del corpo, prestando attenzione ad ogni sibilìo più alto, e delicatamente iniziò a tastare i vestiti della strega, alla ricerca di una consistenza familiare.
Il libro.
La sua intuizione era stata corretta, allora. Medusa aveva sempre avuto con sé il libro. Incise con gli artigli il suo cadavere, o quello che ne era rimasto, e scostò di lato i lembi del vestito.
No, non era possibile... Il libro si era fuso con la carne. Era praticamente sprofondato quasi del tutto nello stomaco di Medusa, tranne per la copertina nerastra, che era sigillata dalla pelle, annerita, forse, dall'inchiostro.
Reprimendo un conato di vomito, con la punta delle dita della mano libera Maka sfiorò il libro. Tutto quello che percepì fu una scossa che la attraversò da capo a piedi, deformando gli artigli per un lunghissimo istante.
I serpenti non reagirono, intenti a fissarla.
Si sentì debole, ebbe un capogiro. Non le ci volle molto per capire che il libro stava succhiando sangue nero dal taglio ancora aperto sul pollice, e che più sangue infetto finiva sul libro più questo riemergeva. Senza aver pagato pegno con del sangue nero, sarebbe stato impossibile aprire o recuperare il libro.
A quanto pareva, un meccanismo per difendere il libro c'era sul serio... Magari Medusa l'aveva fatto inconsciamente: alla fine, gli unici che era stati infettati dal sangue nero erano Chrona, Soul, lei e Zoey, tutti - anche se per vie traverse - suoi nemici.
Attese che il libro venisse rigettato del tutto dal corpo di Medusa, poi agì d'istinto, afferrando il libro con uno scatto secco.
Trasalì al sentire l'urlo di Kim.
«Maka! Va tutto bene?!».
«Sì», disse, riassorbendo gli artigli e pulendosi le mani in un tovagliolo abbandonato sul tavolo della stanza da pranzo. Quelli nei due piatti apparecchiati sembravano i resti fossilizzati di pasta. «L'ho trovato».
«Sul serio?!».
«Sì», confermò, avvicinandosi alla porta e dando un'ultima occhiata ai serpenti prima di tornare alla porta. Non le staccavano le pupille di dosso. «Riapri».
Vide una mano di Kim sbucare dal legno, la afferrò e un battito di ciglia dopo era di nuovo nel lato sicuro della casa.
«È questo? No, aspetta!», gridò Kim, sfilando immediatamente il libro nero dalle mani di Maka.
«Che c'è?», domandò, sbigottita.
«È protetto da un incantesimo», spiegò la strega. «Puoi aprilo solo... Con il sangue. Immagino sangue nero. Se non lo fai, si sbriciolerà».
«Medusa era davvero un po' troppo fissata con il sangue», Maka alzò gli occhi al cielo.
«Forse credeva fosse il modo più sicuro per proteggere il libro», Kim liquidò la questione. «Possiamo tornare a casa ora? Sono le sei del mattino».
Maka annuì controvoglia. Entro un paio d’ore si sarebbe dovuta presentare dallo Shinigami.
Si avviarono fuori, e un attimo prima di uscire Maka esitò. C'era qualcosa...
... È troppo semplice.
Nessuna trappola, nessuna fregatura, nessun inconveniente. Forse Medusa non aveva avuto modo di preparare la sua morte, ma...
«Maka!».
Sospirò, rassegnata. Non aveva né il tempo, né le conoscenze, né le capacità per verificare i suoi sospetti. «Arrivo».
«Quindi?», le domandò una guardia non appena furono uscite.
«Nulla che non mi aspettassi», rispose, criptica di proposito.
Con quello che le aveva detto Kim, meno si fidava, meglio era.
Al ritorno le guardie erano molto più nervose. Maka aveva nascosto il libro in una tasca interna del solito soprabito nero, ma era sicura del fatto che le altre streghe percepivano quello che stava trasportando.
«Gradiremmo che non tornasse, Technician Maka Albarn», le fece sapere la stessa guardia che le aveva accompagnate alla casa di Elka Frog.
Kim nel frattempo aveva riaperto il portale.
«Cercherò di rispettare la vostra volontà», replicò, quasi indifferente. Aveva davvero dato via troppo sangue, quel giorno, si sentiva la testa leggerissima. «Porgete i miei saluti alla Strega Regina, per favore».
I cenni affermativi che le vennero rivolti furono l'ultimo saluto che si scambiarono.
Maka riprese lentamente fiato soltanto quando rimise piede sul suolo sabbioso.
Ci era riuscita, per fortuna. Anche se i sospetti non le davano la totale certezza, aveva fra le mani il diario degli esperimenti di Medusa.
«Cosa farai ora?», le domandò Kim, indicando il libro.
«Per ora, nulla. Devo occuparmi di un'altra cosa, prima di avventurarmi con Stein nella lettura di questi... esperimenti».
«Davvero?».
«Davvero». Maka lanciò un sorrisetto verso Death City. L'attesa era quasi finita. Quasi non riusciva a crederci. «C'è una Weapon che ha oziato fin troppo a cui devo tirare un paio di Maka-chop per pareggiare i conti».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
1Spoiler (beh, non proprio): ossia, facendo un'imbarazzantissima sculettata.
 
 
 
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Bene, gente.
Prima di tutto, le scuse. Immense, ripetute fino allo sfinimento e, ve lo giuro, sincere.
Avevo detto che avrei postato ogni due settimane, ma come al solito io e le mie previsioni possiamo andare a farci friggere, visto che ne capitano di cotte e di crude ogni volta che ho un minuto libero. Tra le cotte, i compleanni di mezzo mondo, tra le crude, il mio primo Cartoomics, i compiti, mio fratello che mi chiede di iniziare un gioco online... Per farmi perdonare, sappiate che ci siamo, se capite cosa intendo. Il punto è che non so quando pubblicherò. La mia università si diverte a trollarmi quando meno me lo aspetto, piazzando esami di sabato mattina. Alle 8:30.
Sì, lo so che è inconcepibile, lo è anche per me ~.~
Ma comunque...
Questo capitolo è uscito molto più di getto rispetto agli altri, e ho dovuto lavorarci sopra parecchio (e in ogni buco di tempo libero) per potergli dare continuità. Poi ho dovuto masticarlo di notte, perché non mi piaceva. Ma proprio per niente. Le descrizioni non sono il mio forte - non so se l'avete mai notato, ma i dialoghi mi vengono decisamente molto meglio - perciò, volendo dare un po' più di atmosfera ho provato a migliorarlo. Il punto è che non sono affatto sicura del risultato ~.~ avete la mia benedizione a distruggere le schifezze che vi capiterà di incontrare tra una virgola e l'altra.
 
Grazie a chi segue (siete in dodici ommioddio avete tutta la mia stima, sopportare la mia lentezza non deve essere facile), a chi legge in silenzioso (sì, come i cellulari), e a chiunque voglia lasciare una recensione, anche piccina picciò :D
 
Al prossimo capitolo!
 
BBS

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda

 

Capitolo 7

 


 


Era arrivato in anticipo.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Soul Eater Evans era arrivato in anticipo.
E Maka era in ritardo.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Maka Albarn era in ritardo.
Qualcosa non quadrava.
Anche Patty sembrava nervosa, il che faceva capire alla Death Scyte quanto la situazione fosse grave.
... E se Maka avesse deciso di non venire? Se non avesse più voluto vederlo? Dopotutto, in tre anni, non gli aveva mai risposto nemmeno una volta. Chi gli assicurava che non avesse trovato qualcuno di più cool di lui?
Slam.
«Shinigamisama!».
Maka.
La ragazza era sulla soglia della stanza dello Shinigami, ansante, e non aveva più i codini. Fu la primissima, scioccante cosa che registrò.
«Mi scusi. Chiedo umilmente scusa!», esclamò nel frattempo lei, riprendendo fiato. «Ho avuto un contrattempo!».
Era più bassa di come se la ricordava. I capelli - lunghissimi - erano raccolti in una coda e le dondolavano dietro la schiena, mentre si avvicinava a loro, metà correndo e metà camminando. La frangetta le copriva ancora del tutto la fronte, cadendole irregolare sul viso un pelino più femminile, nonostante lo sguardo segnato da ombre scure urlassero una notte insonne e la poca importanza che Maka continuava a dare al trucco.
E quelle..? No... Aveva un paio di tette! Non esageratamente grosse, ma comunque indubbiamente tette, e se l'occhio non lo ingannava, sotto l'immancabile mantello nero - non allacciato, una volta tanto - Soul poteva intuire un accenno di curve nei posti giusti. Strano, veramente strano, era assolutamente convinto che Maka potesse controllare anche i proprio ormoni, bacchettona com'era, ma forse quell'atteggiamento tanto ostentato in passato aveva ora lasciato spazio a uno stile di vita meno rigido. Aveva anche abbandonato l'abbigliamento da secchiona: niente più gonna scozzese e maglioncino, ma un paio di jeans e una semplice maglia bianca, sicuramente più comodi in battaglia.
Comunque, non c'era dubbio: era lei.
Eppure... Eppure, non erano più loro.
Il silenzio di quei tre anni non solo aveva scavato grosse incertezze in lui, ma aveva anche creato un muro tra di loro, muro che si era inspessito ad ogni secondo passato separati... Muro che improvvisamente scricchiolò, quando Maka gli puntò gli occhi dritti nei suoi. 
«Ciao, idiota», gli sorrise, lasciandogli intravedere un luccichio verde da sotto i ciuffi arruffati.
Sorriso che lui ricambiò a trentadue denti. «Ciao, secchiona».
La vide trattenersi, come se volesse evitare di abbracciarlo o pestarlo di botte. Probabilmente non voleva lasciarsi andare a smancerie davanti a Kidd, che ora, da loro superiore, risultava una presenza ingombrante. E poi, a parte pochissimi momenti, l'orgoglio aveva sempre avuto la meglio sulle loro dimostrazioni d'affetto. Non era da loro, insomma.
«Come vi sentite?», domandò lo Shinigami, distraendolo.
«A posto», rispose lui, affondando nelle tasche le mani che gli prudevano dalla voglia di toccare Maka e assicurarsi che lei non fosse un'illusione.
Non era mai stato bravo a percepire e classificare le anime, ma su quella della Tech non aveva alcun dubbio: era troppo flebile, sembrava quasi che si fosse indebolita, il che, conoscendola, era impossibile.
... Giusto?
«Tutto ok», annuì intanto Maka, raggiungendo il suo fianco.
Era rimasta un po' a distanza, e la sua espressione era diventata indecifrabile.
Aveva ragione. Nonostante l'inizio promettente, qualcosa non andava.
«Allora, credo che potremmo iniziare...», fece Kidd, facendo un cenno ai due di avvicinarsi mentre saliva sul patio.
«Non ci dai nemmeno il tempo di fare due chiacchiere?», borbottò con poca convinzione Soul, più per stemperare l'atmosfera pensante che per vera seccatura.
«Da quando ti interessa sapere cosa ho fatto in questi tre anni?», Maka lo gelò.
A quanto pareva la Technician non aveva registrato la sua ironia, e bastò quel piccolo fraintendimento a far esplodere tutti i brutti presentimenti che Soul aveva soppresso fino a quel momento.
Era allibito. Accusava lui, lo accusava di essere sparito. Ma come si permetteva?! Aveva calpestato il suo mantra centinaia di volte, inviandole lettere su lettere e ignorando cocciutamente il fatto che a ogni risposta mancata avrebbe perso interi pezzi della sua dignità!
«Mi è sempre importato», si difese, involontariamente ringhiandole contro. «È a qualcun altro che non è mai fregato un accidente di farsi viva!».
«Ma che stai dicendo?!», sibilò Maka, voltandosi verso di lui per affrontarlo a muso duro. «Non sono io quella che non ha risposto alle e-mail e alle lettere con cui ti ho intasato la posta!».
«Io non ho ricevuto proprio un bel niente da te!».
«Beh, nemmeno io da te!».
«Se avete finito di urlare...», si intromise stancamente Kidd, sedendosi con eleganza su un divanetto, «... Potrei iniziare a spiegarvi come mai ho intercettato tutti i vostri tentativi di mantenere i contatti, impedendo che arrivassero a destinazione».
Soul e Maka girarono di scatto la testa verso lo Shinigami, smettendo di abbaiare l'uno contro l'altra.
«Tu... Cosa hai fatto?!», domandò la Death Scyte, incapace di decidere se essere più incredulo o più incazzato.
La Meister, altrettanto spiazzata, aveva la bocca aperta.
«Dovevo verificare una cosa».
«E si può sapere che cosa?!», sbottò Soul, esponendo con rabbia i pensieri che correvano veloci nelle teste dei due umani della stanza. «Quanto in depressione una Weapon e la sua Tech possono cadere se l'altro improvvisamente scompare dalla faccia della Terra?!».
Depressione?
Questa era una sorpresa. Maka sapeva perfettamente che Soul era introverso e molto riflessivo, ma proprio su questo aveva contato: visto che era abituato a stare per gli affari suoi a rimuginare per ore sui propri pensieri, almeno lui sarebbe dovuto riuscire a non lasciarsi andare al disfacimento psicologico. Anche perché, se ne ricordava bene, quando in passato le era capitato di iniziare a rimuginare su Chrona Soul le aveva ripetuto fino allo sfinimento che la depressione era una cosa veramente poco cool.
«Nemmeno io riesco a capire», concordò la bionda alla fine, arrendendosi all'evidenza e decidendo che avrebbe affrontato con Soul quell'argomento più tardi, in privato. «Perché l'ha fatto?».
«Dovevo verificare se ci fosse una remota possibilità di purificarvi completamente dal sangue nero», iniziò Kidd, facendo scivolare lo sguardo dall'uno all'altra, «... Ho pensato che dividendovi avreste smesso di reinfettarvi a vicenda».
«E ovviamente non ha funzionato», sospirò Maka, scuotendo la testa.
«Già», lo Shinigami fece una smorfia. «Sono passati tre anni, e l'infezione non si è estinta in nessuno dei due. Sospetto che il sangue nero sia semplicemente sopito, ma se vi sincronizzaste ora, verrebbe fuori immediatamente».
Tech e Weapon si scambiarono uno sguardo.
«Shinigamisama», lo chiamò dopo qualche attimo Maka. «... Perdoni se sono diretta e poco rispettosa, ma lei è stato un completo idiota se pensava davvero che io o Soul saremmo guariti».
«Mi aggrego», annuì Soul, rilassando appena la mascella. «Avresti dovuto parlarne con noi, Kidd».
Lo Shinigami guardò male la Death Scyte per un secondo; non gli piaceva che lo chiamassero con il suo vecchio nome, ma poteva capire che fosse più la rabbia che la coscienza a far parlare la Weapon, quindi evitò di farne un problema di stato. «Dovevo esserne sicuro».
«Un corno!», esplose allora Soul, facendo un passo verso Kidd, come se volesse aggredirlo fisicamente oltre che verbalmente. «Abbiamo buttato tre anni nel cesso, grazie a te!».
«Alzando la voce non risolviamo nulla, Soul», lo rimbeccò Maka, alzando gli occhi al cielo. «Sono sicura che lo Shinigamisama non ci hai fatto venire qui solo per comunicarci che siamo un pericolo ambulante se combinati insieme».
A Kidd scappò un sorrisetto compiaciuto. Vedere confermato l'equilibrio tra la mente e il braccio di quella coppia lo rassicurò non poco. «Precisamente di questo si tratta, Makasan. Da quello che sappiamo il Kishin si sta risvegliando, perciò mi vedo costretto a chiedervi di recidere definitivamente il legame».
«CHE COSA?».
«L'hai detto anche tu», fece notare lo Shinigami alla prima. «Siete un pericolo. Siete instabili, e perciò anche i più soggetti ad impazzire. Non voglio che rischiate di diventare il prossimo obiettivo della Shibusen, perciò...».
«Ma, ma io...», balbettò Maka, facendo scattare gli occhi da Soul a Kidd. Questo non se lo sarebbe mai aspettato. «No, non...».
«Non puoi», completò Soul in un sussurro, spostandosi appena di lato per coprire parzialmente Maka dalla linea d'azione diretta dello Shinigami, particolare che non sfuggì al destinatario di quelle parole smozzicate.
Desincronizzarsi non era stato un problema, perché entrambi contavano sull'ultimo legame residuo rimasto tra di loro. Era la loro sicurezza, il punto fermo di metà della loro vita. Desincronizzarsi non significava perdersi, ma slegarsi voleva dire porre un ostacolo insormontabile tra loro: due altri - e definitivi - partner.
«... Non ci puoi costringere», dichiarò la Weapon.
Dannazione, questo era molto peggio che affrontare il Kishin.
«Ah, davvero?».
«Davvero, Kidd», sibilò Maka, alle spalle della Death Scyte. «Dovrai passare sul mio cadavere per riuscire a strappare ciò che resta del mio legame con Soul!».
I fronti si fissarono.
Maka e Soul erano in posizione d'attacco, compatti, decisi, e Kidd non si stupì del fatto che avessero rinsaldato così rapidamente i ranghi una volta caduto l'unico apparente ostacolo che li aveva tenuti lontani. Era logico che lo facessero. Il punto, oltre che la cosa che lo preoccupava, era un altro...
«Tre anni fa», iniziò, compassato, «... siete venuti qui, con l'aria più terrorizzata che io abbia avuto il dispiacere di vedere sui vostri volti, dicendomi che Soul aveva tentato di mangiare l'anima di Maka». Fece passare lo sguardo dall'una all'altro, senza dimostrarsi supplice ma sperando che almeno capissero la sua posizione. «Quando siete usciti da quella porta, non eravate più una coppia».
«Eravamo spaventati. Non sapevamo cosa fare», spiegò Maka, senza tentennare. «Ma adesso...».
«Adesso, cosa?», berciò lo Shinigami. «Fino a due minuti fa stavate litigando, ora vi siete coalizzati contro di me. Come faccio a non pensare che questi non siano i primi segni della pazzia?».
«Abbiamo sempre litigato per qualunque cosa! Sarebbe stato anormale se non ci fossimo scannati a prima vista, invece!», polemizzò Soul. «Kidd, non c'è bisogno che ci spezzi. Basta che non ci sincronizziamo. Come abbiamo fatto finora».
«No», si intromise Maka.
«Come, no?», Soul si voltò, colto alla sprovvista.
«Noi ci dobbiamo risincronizzare». Maka alzò gli occhi da Soul a Kidd. «Perché, nonostante tutto, siamo stati noi a sconfiggere il Kishin l'ultima volta. Avete bisogno del nostro aiuto, Shinigamisama. Avete bisogno di me e Soul, insieme».
Kidd scosse la testa, sconsolato. «Non posso credere alla tua cocciutaggine, Makasan».
«E io non posso credere che lei abbia pensato che mi sarei arresa», sibilò tra i denti la Technician.
«È fede mal riposta», Kidd tagliò corto.
«Ho trovato il diario degli esperimenti di Medusa».
«Come..?», balbettò l'altro.
Se il discorso tra la Tech e lo Shinigami era una partita a tennis, Maka aveva appena segnato un poderoso, inaspettato ice.
«Era nel mondo delle streghe», spiegò la Meister. «Prima di venire qui l'ho dato al Professor Stein. È l'unico che possa manovrarlo con una certa sicurezza».
«... Quel libro è stato scritto dalla strega che voleva far impazzire la sua stessa progenie», disse Kidd a denti stretti, «Come puoi pensare che contenga un qualche tipo di soluzione?».
«Ci aiuterà a capire come funziona esattamente il sangue nero».
«Makasan, hai visto con i tuoi stessi occhi cosa è successo a Chrona. Non vi permetterò di usare le conoscenze di quel libro, sono troppo pericolose».
«Shinigamisama, la prego. So quello che sto facendo», rispose lentamente Maka. «Ho imparato a controllare il mio sangue nero con l'aiuto di un'altra Weapon infetta».
Soul soppesò con attenzione l’idea di essersi appena slogato la mascella.
Il diario di Medusa? Controllare il sangue nero? Un'altra Weapon infetta? Che diamine aveva combinato Maka in quei tre anni, accidenti a lei?!
Per quanto altrettanto sorpreso, lo Shinigami non perse la lucidità, né l'irritazione, per domandare: «... Ponendo che tu ora riesca a "controllare il sangue nero", mi spieghi come elimineresti il problema di Soul?».
«Non lo eliminerei, lo aggirerei», rispose determinata la ragazza. «Se Soul non riesce a controllare il suo sangue nero, lo farò io».
Soul aprì la bocca, pronto a supportare a spada tratta Maka, ma il ricordo di una sfilza di suoni fracassati gliela fece richiudere quasi subito. Se aveva intuito bene ciò di cui stava parlando, lei voleva entrare nella Dark Room, dove c'era il pianoforte. Dannazione... Come avrebbe fatto a spiegarle quello che era successo lì dentro?
«Mi staresti dicendo che vuoi sincronizzarti con il suo sangue nero, oltre che con la sua anima...?», chiese Kidd, piegando leggermente la testa.
«Sì. È una cosa che facevo anche in passato in realtà, solo che non ne ero pienamente consapevole. Mi dia un po' di tempo. Posso entrare dentro Soul, usare le onde anti-magia e tenere a bada la pazzia di entrambi, sfruttando al massimo la potenza del sangue nero. Ci darebbe un vantaggio non indifferente... soprattutto ora che il Kishin sa come potremmo operare per fermarlo di nuovo».
Kidd rimase in silenzio, incuriosito dalla piega che aveva assunto la conversazione. Chissà che si poteva essere inventata, quella Technician... a volte lo Shinigami si chiedeva quante volte Spirit avesse passato sotto banco a sua figlia i libri della sezione proibita della Shibusen, visto e considerato la quantità di cose di cui Maka si era sempre dimostrata a conoscenza.
«... Potrebbe rivelarsi un suicidio», commentò infine.
«Non ho intenzione di lasciar perdere senza almeno provarci», insistette Maka, senza sentir ragioni. Era da tre anni che lavorava per ritornare con Soul, e non l'avrebbe fermata neanche un divieto diretto dello Shinigami. «E finora ha sempre funzionato, perciò non si tratta di un vero e proprio salto nel buio».
«Hai un piano di riserva? Se ti sincronizzi e anche solo per un attimo perdi il controllo, impazzirete tutti e due, e a quel punto saremmo costretti ad abbattervi», la provocò lo Shinigami. «Davvero vuoi rischiare la vita di entrambi?».
«Non posso decidere della vita di Soul», Maka lo guardò con la faccia tirata. «... Ma la mia sono più che disposta a metterla in gioco».
E Soul che aveva avuto il coraggio di pensare che lei non volesse più avere niente a che fare con lui... Adesso si scopriva che Maka era disposta a tentare il tutto per di riportare le cose a come erano in passato.
«... Prometti che non smetterai di fidarti di me».
Erano state le ultime parole che gli aveva rivolto, prima di andarsene. Non se le era dimenticate, questo no, però era anche vero non aveva potuto impedire che il tarlo del dubbio si insinuasse dentro i suoi pensieri. Ma adesso Maka era lì.
«... Te lo giuro».
Glielo doveva. Con tutto quello che le aveva fatto, Soul glielo doveva, e per quanto preoccupato dalle conseguenze alla fine dichiarò: «Ci sto».
Il viso di Maka si aprì in un altro sorriso, non commosso come si era aspettato, ma sollevato. Forse anche lei aveva avuto un tarlo da tenere a bada..?
Kidd piegò la bocca in un ringhio, e pressò le tempie tra due dita. La sua frustrazione era evidente. «... Non so chi di voi due sia più pazzo, sinceramente!», sbottò sdegnato.
«Shinigamisama», si appellò allora la Technician. «L'ho già testato sia su Soul, sia sull'altra Weapon. Funziona. Mi deve credere. Ci dia una possibilità. Una sola. Per favore».
Kidd li fulminò con lo sguardo. Lo fissavano come se avessero intenzione di fare di testa loro, qualunque fosse la sua decisione.
Si alzò dal divanetto, innervosito, lisciò il mantello e intraprese il solito percorso a otto. Per minuti, interminabili.
Soul si ritrovò la mano di Maka a stritolargli la sua. La scossa che ricevette non fu la famigliare sensazione dell'incontro di anime, ma una scarica che gli fece venire la pelle d'oca.
Cazzo, sono passati davvero tre anni.
Si voltò istintivamente verso Maka, e non si sorprese di vederla speranzosa fino alla disperazione.
«... Immagino che tentare non ci costi poi così tanto».
Guardò lo Shinigami. Non era sicuro di aver sentito bene. In compenso, le unghie di Maka che gli stavano quasi per trapassare il palmo le sentiva benissimo.
«E va bene», cedette Kidd. «Proviamoci».
Aveva detto di sì.
Era paralizzato dalla testa in giù.
Kidd aveva detto di sì.
«Grazie», la voce di Maka si incrinò, stavolta fu lei a parlare per entrambi. «Grazie mille».
«Si tratta di una prova», soggiunse Kidd. «Non è detto che sia possibile tornare a fare coppia, per voi due. Se l'esperimento va male, spezzerò di persona il vostro legame».
«Abbiamo capito», la Tech annuì seria, ma con un sorriso. «Gliene siamo grati».
La sua Technician gli tirò una leggera gomitata al braccio.
«G-grazie», balbettò Soul di riflesso.
«Comincerete oggi pomeriggio», decretò dopo aver fatto un sospiro lo Shinigami. «Vi aspetterò nel campo di allenamento degli studenti alle 4 in punto. Fino ad allora, cercate di non ammazzarvi... Il cammino che avete intenzione di intraprendere non è esattamente una passeggiata».
«Sì, signore», rispose Maka. «Grazie».
Soul non l'aveva mia vista fare un inchino più profondo di quello, e anche se la sua cultura propendeva più per la stretta di mano, la imitò.

Senza aggiungere nient'altro, si congedarono e uscirono fuori dalla sua sala.
«... Pensi che ce la faranno, Kidd?», domandò Liz, che insieme a Patty aveva assistito in totale silenzio la conversazione tra i tre.
«Se non fosse che siamo in una situazione di emergenza non avrei mai permesso che si riavvicinassero... Ma non potevo non tenere conto del fatto che sono stati loro a bloccare il Kishin». Kidd sospirò, tetro. «Spero tanto di non averli sopravvalutati».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 





 
 
 
 
 
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EVVAI! *Me che fa un balletto imbarazzante con dei pon pon improvvisati*.
Dopo sei sofferti capitoli ce l'abbiamo fatta! Puhuhahahah :D non sapete che soddisfazione farli incontrare, anche perché nemmeno io ne potevo più di tenerli lontani U.U
 
Cosa più importante ancora, però, è che sono finalmente riuscita a pubblicare. Ormai mi sono rassegnata, non riesco più a dare una parvenza di regolarità agli aggiornamenti, e vi assicuro che snerva me almeno quanto frusta voi – anche io prima di essere una “scrittrice” sono una lettrice, e rosico tantissimo quando gli aggiornamenti non si fanno vedere all’orizzonte. Farò del mio meglio, ma purtroppo non posso assicurarvi nulla: tra poco inizia una sessione infinita di parziali ed esami (sappiate, per chi non lo sapesse, che il secondo anno di università in una triennale è la MORTE), e fino a fine luglio potrei sparire. Cercherò di pubblicare un capitolo a metà giugno, tra un appello e l’altro, sempre che riesca a finire di scrivere e betare... Pregate per me XD
Nel frattempo mi piacerebbe un sacco sapere cosa pensate possa succedere ora: ho messo parecchia carne al fuoco fino a questo momento, e sono curiosa: che idea vi siete fatti sulla trama, e sui prossimi possibili sviluppi? ;D
 
Grazie mille, come sempre, a chi segue, chi ricorda e a chi preferisce, sappiate che avete sempre e comunque tutta la mia stima e il mio rispetto per la temerarietà con cui leggete *^*
 
Al prossimo capitolo!
 
BBS

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda

 

Capitolo 8

 

 

 

«Sei diventato altissimo».

Soul spalancò gli occhi, stupito, e Maka tentò un sorriso per evitare una figuraccia.

Di tutte le cose che avrebbe potuto dire, proprio quella era andata a scegliere? Doveva essere rincretinita. Certo, nessuno metteva in dubbio che lui fosse diventato alto come un gigante, in barba al fatto che fino a tre anni prima era lei quella più alta della coppia, ma perché non era stata in grado di pensare a qualcosa di più... consono?

«E a te sono cresciute le tette», replicò la Weapon, ridacchiando.

La Technician dimenticò seduta stante tutte le sue preoccupazioni. «Perché cavolo è la prima cosa che notate tutti?!», sbraitò, abbracciandosi il busto e cercando di nascondere le ultime arrivate nel suo sviluppo adolescenziale.

«Perché fanno scalpore», disse Soul, scoppiando poi a ridere.

«Beh, allora a te è venuta la voce cavernosa. Ed è orribile!».

No, non era più la sua voce, il timbro era notevolmente cambiato rispetto a come se lo ricordava, ma il modo in cui strascicava pigramente le parole era sempre lo stesso.

«Vogliamo parlare della tua, di voce? Sembra una rincorsa di unghie sulla lavagna!».

«Brutto stronzo idiota deficiente!».

E proprio la voce di cui lui stava notando i nuovi acuti, ora, le tremava.

Sono passati tre anni. E ogni singolo giorno, da allora, era sembrato non finire mai.

«Come, siamo già passati agli insulti?!», Soul era visibilmente divertito, sorrideva.

«Puoi ben dirlo! Sei un cretino! Non mi hai nemmeno chiesto come sto!».

Lui scoppiò a ridere. «Nemmeno tu, se è per questo...», stava dicendo, ma si zittì di scatto non appena riaprì gli occhi strizzati dalle risate.

Accidenti. Accidenti a me e ai pensieri che mi hanno ridotta così.

«Cretino», singhiozzò Maka. «Sei sempre il solito cretino...».

Le si avvicinò di un passo, non sorrideva più. Esitando quell’attimo che fu necessario a farle cedere il cuore per un battito, la abbracciò.

Maka era talmente sconvolta dal gesto che non riuscì a ricambiarlo, anche perché le sue braccia erano rimaste intrappolate in quelle di lui. Chiuse gli occhi e si limitò ad appoggiare la fronte sulla spalla di Soul, in silenzio.

Casa. Era a casa. Finalmente era a casa.

«E tu sei sempre quella che non sa godersela per più di tre secondi», sussurrò il ragazzo, affondando la faccia nell'incavo della spalla di lei e stringendola ancora di più.

E accidenti anche a te, Soul, che mi stai stritolando così.

La Weapon si prese un minuto, prima di chinarsi leggermente in avanti e caricarsi la Technician sulla spalla.

«Cosa cavolo stai facendo?!». Suonò isterica anche a sé stessa.

Non poteva vederlo, ma capì dal tono che Soul stava sorridendo. «Ci sto spostando in un'aula vuota. Non mi sembra il caso di dare spettacolo davanti alla porta dello Shinigami».

Lei borbottò sottovoce, «… Come se non l’avessimo già fatto», ma si lasciò trasportare, asciugandosi in continuazione le lacrime nella sua maglietta e tirando su con il naso. Non protestò nemmeno quando lui, dopo aver aperto una porta e averla attraversata, iniziò a salire le gradinate dell'aula. La mise seduta su una panca, delicatamente.

Ora che ci faceva caso, non era mai stato troppo da Soul strapazzarla qua e là; lui usava molto di più le parole per colpirla, e lei riequilibrava la bilancia picchiandolo finché la fronte della Weapon non si trasformava in un incastro perfetto per la costa dei suoi libri preferiti.

«Perché qui?», domandò la bionda, una volta ripreso un po' di contegno, guardandosi intorno a riappropriandosi di ogni dettaglio della sua vecchia classe. «Pensavo che ne avessi avuto abbastanza già dopo la prima settimana di scuola...».

Soul si era spostato nella fila sotto di lei. Ghignò: «A me snerva stare chiuso qui dentro, ma a te serve, questo posto ti calma. È il tuo ambiente ideale, secchiona».

Maka strinse gli occhi in due fessure. Il contrasto tra le iridi verdi e le pupille arrossate le faceva gli occhi più brillanti. «Avresti dovuto portarmi in biblioteca, o in libreria, allora».

Non l’avrebbe lasciato vincere. Non così facilmente, almeno.

«Non sei esattamente un peso piuma... Già portarti qui è stata una faticaccia...».

Non aveva libri sottomano, così Maka optò per un pugno in testa. Poco ci mancò che la Death Scyte andasse a sbattere il mento contro il banco.

«Baka!», lo insultò intanto, distogliendo lo sguardo, offesa.

«Sì, prego e vaffanculo, ok?!», sbottò lui, massaggiandosi la testa.

Passò qualche minuto, mentre l'imbarazzo e un paio di sospiri rancorosi si facevano strada tra di loro.

Avevano appena scoperto che picchiarsi non aveva lo stesso sapore di un tempo. La complicità non era la stessa, non erano più sicuri che si trattasse solamente di uno scherzo: se avessero continuato, c'era il serio rischio che iniziassero a picchiarsi per farsi male. Meglio le parole, magari?

«... Quindi», sussurrò Maka, schiarendosi la voce che era diventata roca e facendo immediatamente cambiare l'atmosfera dell'aula. «Che cosa hai fatto in questi tre anni?».

Soul aprì un occhio, studiandola dalla sua posizione sofferente.

Maka sperò che afferrasse al volo il salvagente che aveva lanciato a entrambi, riaprendo la discussione con lo stesso argomento che gli aveva imputato davanti allo Shinigami. Era in fondo un modo velato - e contorto - di scusarsi: esattamente come lei, Soul non aveva mai smesso di spedire la sua corrispondenza.

«Principalmente missioni», rispose alla fine, rilassando la postura e facendo immediatamente fare lo stesso a lei. «Ma da quest'anno Kidd mi ha chiesto di restare alla Shibusen e fare da esercitatore. Sai, aiutare le coppie a diventare più affiatate e fare un po' di pratica sul campo...».

«Scherzi?!».

Lui scosse la testa. Si vedeva lontano un miglio che stava gongolando dall'orgoglio.

«Poveri bambini», la Tech lo prese in giro con un sorrisetto.

«Dovresti vedere come mi corrono dietro, invece».

«Per picchiarti?».

Scoppiarono a ridere.

Qualcosa si riaccese. Era piccolo, ma lo percepirono entrambi.

«Maka...», commentò lui, con l'ombra di un sorriso residuo sulle labbra. «Questa cosa non è affatto cool».

Lei annuì. Capiva benissimo dove stesse andando a parare. «No, non lo è. Non lo è mai stato, senza di te».

Il suo sorriso si fece tirato, e per un altro attimo rimasero entrambi in silenzio.

«Anche tu hai continuato con le missioni?», le domandò quindi, con l'aria di chi voleva evitare a tutti i costi discorsi complicati, appoggiando i gomiti sul banco e avvicinandosi un po'.

«Intendi dire dopo che mi sono spedita da sola in Giappone?», domandò retorica, sospirando. «Mi sono tenuta occupata con delle ricerche... di cui ti stavo tenendo aggiornato, nelle lettere che ti mandavo. Speravo di sapere cosa ne pensassi, e avevo interpretato il tuo silenzio...».

«... Come se non approvassi». Soul si passò la mano nei capelli. «Se ti può consolare, nemmeno io sapevo più che pesci pigliare. Alla fine, sono andato avanti facendo di testa mia».

«Cioè, come sempre...». Accidenti, era tutto così strano. Provare a pensarlo indipendente, lui che non si ricordava nemmeno di fare la spesa o di impostare il riscaldamento, a Maka risultava assurdo, eppure sembrava essere sopravvissuto alla grande. Beh, forse la camicia aveva visto stirate migliori, ma almeno era stirata. «Sai, alla fine è soprattutto merito tuo se sono riuscita a trovare il libro di Medusa. Se non mi avessi ripetuto fino all'esaurimento che non sarei dovuta cadere in depressione, non avrei mai visto la faccenda con occhio critico, e non mi sarebbe mai venuto in mente di mettermi nei panni di quella strega».

«Non ti dev'essere stato difficile...».

Maka ignorò la battutaccia. «Insomma, Medusa era una scienziata, proprio come Stein... Da qualche parte doveva pur registrare i suoi progressi. Così, mi è venuto in mente che dovesse tenere un diario degli esperimenti».

«Non hai un po’ tirato a indovinare?».

Gli si poteva leggere in faccia cosa stava pensando: “agire senza strategie non è da Maka Albarn”. Beh, anche lei si era riscoperta molto meno sé stessa di quanto si aspettasse; almeno adesso condividevano la novità.

«Ero senza nessun indizio. Ho dovuto cominciare da qualche parte. Ho cercato una conferma nei libri, ma ovviamente non ho trovato nulla di utile... non che ci sperassi. Nemmeno le sezioni proibite delle biblioteche della Shibusen sparse per il mondo mi hanno saputo dare una mano, così sono tornata in Giappone, a rimuginare. Lì ho incontrato una delle sorelle Mizune che era inizialmente riuscita a sfuggire alla cattura».

«Mi prendi per il culo? Che probabilità c'era che succedesse?».

«Nessuna. Sono rimasta persino più sorpresa quando mi si è avvicinata con una bandierina bianca. Mi ha detto che anche lei e le sue sorelle erano state raggirate da Medusa, e che voleva spiegarmi come erano andate le cose… in che modo Medusa ha sottomesso Elka, costringendola a coinvolgere le sorelle, come si erano spartiti i ruoli e altre cose di cui non ci eravamo resi conto mentre correvano a sistemare i casini che combinavano. Insomma, grazie a lei ho finalmente avuto un quadro completo della situazione. Alla fine mi ha confermato l'esistenza del libro, aggiungendo però che non sapeva dove avrei potuto recuperarlo».

«Come sapevi che non stava mentendo?».

«Le ho spiato l'anima», rispose Maka. «Quando una persona mente, l'anima trema».

«Wow».

«Già». Il sorriso di Maka si spense. «In ogni caso non le ho creduto del tutto. Non mi fido più delle coincidenze, e in Giappone ho avuto l’impressione che cadesse dal cielo tutto ciò che stavo cercando... Weapon compresa».

La Death Scyte si incupì.

Forse non era stata una buona idea accennare tanto presto a quella questione. «Non mi sono mai sincronizzata con nessun altro, dopo di te», gli rivelò allora, stringendosi nelle spalle. «Non ci riuscivo. Ricordi quel periodo in cui mi scottavo le mani?».

Soul annuì, attento.

«Beh, ogni volta che qualche Weapon mi chiedeva di valutare il loro livello, finiva che mi ritrovavo con ustioni di secondo grado».

«Come mai?».

Maka si sentì rimpicciolire.

Le era capitato più volte di avere paura. Paura di non passare un test, paura di non concludere una missione, paura di perdere Soul; ma era stata soltanto una, la volta in cui aveva avuto paura di morire; la volta in cui, tra le altre cose, il mondo le era crollato addosso per la seconda volta nella vita. Quando suo padre le aveva detto che sua madre se n'era andata per i continui tradimenti, Maka si era sentita morire; quando la strega era riuscita a colpirla e Soul aveva perso il controllo, Maka aveva avuto la prontezza di respingere l'attacco. Non riusciva veramente a mettere i due eventi sullo stesso piano, ma in quel preciso istante non aveva potuto farne a meno, e doveva ringraziare di aver già percepito quella sensazione in precedenza – la sensazione di una catastrofe inevitabile in arrivo su di lei, dentro di lei – perché era solo grazie a ciò che le aveva fatto passare suo padre che era stata in grado di evitare il peggio con Soul.

All’inizio pensava che sarebbe stato meglio non farglielo capire, ma mentire alla Death Scyte avrebbe solamente complicato le cose: se davvero voleva far tornare il loro rapporto di Technician e Weapon alla fiducia di un tempo, avrebbe dovuto reimparare a stare con lui, parlandogli di quello che la attanagliava... Fin da subito.

«Avevo paura», bisbigliò quindi. Ma non riuscì a controllare il panico di essere di nuovo vulnerabile e richiuse lo spiraglio appena aperto aggiungendo immediatamente: «Poi ho trovato Zoey».

«Zoey..?».

Maka alzò lo sguardo su Soul. Era esterrefatto.

«Sì, posso immaginare che sia uno shock scoprire che sei stato rimpiazzato da...».

«Una bambina!».

Ora era Maka, ad avere gli occhi spalancati. «E-e tu come lo sai?!».

«Quella peste ha scatenato il putiferio in una mia classe, ieri mattina!».

«Ieri..?». Dopo un attimo di confusione, lo sguardo di Maka si illuminò. «Ecco perché Milo era così imbronciato quando sono tornata…».

Soul face due più due. «Sei arrivata ieri?!».

Si fissarono.

«L'altro ieri sera, in realtà... Ma Kidd mi ha proibito di avvertirti».

«Quel brutto stronzo mi ha raccontato una palla! Adesso sì che vado a spaccargli la faccia!».

Maka lo afferrò per un braccio, «No, aspetta, Soul! Non puoi..! Dannazione, vuoi davvero dargli una buona ragione per separarci?!».

«No, ovviamente», ringhiò.

«Allora datti una calmata. Ho ancora delle cose da spiegarti, ad esempio come mai sono finita per fare coppia con una bambina di nove anni».

Soul espirò con forza dal naso, facendole segno di continuare a raccontare.

Maka si rimise comoda contro lo schienale della panca, lasciando andare il braccio di Soul soltanto dopo essersi assicurata che lui sarebbe rimasto. «È successo poco più di un anno fa. Ero arrivata ad un altro punto morto, così, nella speranza di trovare un’illuminazione, ho deciso di fare un giro nel distaccamento giapponese della Shibusen. Controllavo alcuni spostamenti sospetti di streghe, quando all’improvviso si è sentito un gran trambusto provenire dal corridoio. Un attimo dopo, avevo Zoey tra le braccia. Non sapevo ancora chi fosse, così le ho controllato l’anima… e ho scoperto che non eri l'unica Weapon infetta oltre a Chrona».

«Non so se essere ridere o piangere», commentò la Death Scyte, quasi atona.

«Piangere», rispose lei, a sorpresa. «La loro famiglia è stata falciata in uno dei primi esperimenti di Medusa. L'infezione di Zoey è stato un effetto collaterale... Credo che Medusa non avesse preventivato che qualcuno potesse sopravvivere».

«Piuttosto avventato, per una fredda calcolatrice come lei».

«Ho visto il loro villaggio...». Maka chiuse gli occhi. Non era mai riuscita a liberarsi del tutto della desolazione di quel luogo e ogni volta che ci ripensava, rabbrividiva. «Lo ha fatto radere al suolo. Non è rimasta in piedi nemmeno una pietra. È un miracolo che loro due siano sopravvissuti».

Soul si astenne dal ribattere, attendendo pazientemente che Maka ricominciasse a parlare.

«Insomma, abbiamo iniziato a parlare, e mi hanno raccontato come avevano fatto ad arrivare fin lì, dopo aver incontrato lo Shinigamisama».

«Aspetta, si sono incontrati prima che Kidd prendesse il posto di suo padre?».

«Già. Ma a quanto pare non ne hanno mai parlato. Kidd non ne sapeva nulla, quando gli ho detto di Zoey...».

«Ok, Maka, i risvolti sono sempre innegabilmente interessanti, ma vuoi arrivare al punto?». Soul aveva perso la pazienza, ma come sempre lo dimostrava in modo annoiato piuttosto che con rabbia vera e propria. «Non capisco. Come sei finita con la marmocchia?».

Lo fulminò non con lo sguardo, irritata dall'appellativo che aveva appioppato alla bambina. «Ho avuto modo di farle qualche domanda, e lei mi ha parlato dei suoi partner passati. Non ci è voluto molto per capire che il sangue nero rendeva altamente instabile la sincronizzazione, e che i Technician con cui ha avuto a che fare, spaventati, l'hanno abbandonata non appena se ne presentava l'occasione».

«Così hai pensato bene di prenderla sotto la tua ala...», continuò Soul al suo posto. «E visto che non potevi più fare pratica con me, avresti potuto allenarti con lei».

«Mentirei se ti dicessi che non era esattamente quello che avevo pensato, ma il punto è che nemmeno io riuscivo a far funzionare la sincronizzazione», ammise Maka, tamburellando le dita sul banco. «È stato in quel momento che la tanto ricercata illuminazione è arrivata».

Soul sbuffò sonoramente: aveva capito. «Invece di sincronizzarti con la sua anima, con cui avresti avuto problemi dato il legame con me, ti sei sincronizzata con il suo sangue nero», borbottò, scuotendo la testa. «Nessun dubbio che i tuoi esami non siano migliorati».

«Da quello che so nemmeno i tuoi esami sono migliorati», replicò piccata la ragazza.

Lui alzò un sopracciglio, sorridendo con arroganza. Aveva ancora i denti aguzzi. «Chi ti dice che non mi sia allenato con un Meister infetto?».

«Impossibile», dichiarò lei, deglutendo. Ritrovare particolari di Soul dimenticati la stava mettendo a disagio. «Non esiste, un altro Meister infetto».

«Non nel senso che intendi tu, forse...», le sorrise. «Che mi dici di Stein?».

«Ti sei allenato con Stein?!», sbottò Maka. «Stai scherzando?!».

L’altro alzò le spalle. «Kidd non ha mai voluto rimpiazzare Liz e Patty. Sono rimasto disoccupato, perciò, per evitare di restare con le mani in mano, ho chiesto a Stein di insegnarmi qualcosa tra una missione e l'altra».

La Technician si sforzò di chiudere la bocca. «Sono esterrefatta».

«Lo vedo».

«E io che pensavo fossi andato a sostituire Justin Law...», Maka alzò gli occhi al cielo.

«Kidd non ha voluto. Ci ha spedito tuo padre, in Europa. Non ne poteva più di sentirlo lamentarsi».

«Allora perché mio padre è qui? Ieri l’ho chiamato, e dalla musica di sottofondo avrei giurato che si trovasse al Chupa Cabras».

«Forse è ritornato perché Kidd gli aveva detto che presto saresti stata qui anche tu».

«Non penso... L'ho chiamato ieri pomeriggio, ed era sorpreso quando gli ho detto che ero rientrata a Death City», commentò Maka. «Kidd deve essere più preoccupato di quando non vuole farci credere, se ha fatto tornare mio padre».

«Avrà avuto i suoi motivi». Soul alzò le spalle, disinteressato dalla faccenda. «In ogni caso, ora mi piacerebbe sapere cosa hai in mente di fare tu. Quello che hai accennato prima, sincronizzarsi con il mio sangue nero prima che con la mia anima… Non abbiamo mai tentato nulla del genere, prima».

«Non consapevolmente».

Soul affilò lo sguardo.

Maka non era stata tanto stupida da non ammettere, almeno a sé stessa, che il sangue nero poteva rivelarsi una risorsa, ma si era sempre rifiutata di scavare più a fondo in quella direzione perché aveva intuito quanto facesse male, a lui, anche solo parlarne. E lo sguardo con il quale la stava interrogando ora era lo stesso che incrociava subito dopo le missioni in cui Soul era stato costretto a suonare il pianoforte della stanza nera.

Aveva paura di chiedergli troppo, e aveva paura che lui si sentisse in dovere di accettare per quello che era successo tre anni prima. Come fare ad arrivare a un compromesso in cui entrambi mettevano qualcosa sul piatto?

«Pensi che ci riusciremo?», la distrasse, richiamando il suo sguardo dal vuoto che Maka stava fissando da un po’.

«… Non credo che Kidd ci chiederà subito di sincronizzarci», considerò lei lentamente, guardando i suoi scarponi dondolare. «Ci farà ricominciare da zero».

«La percezione dell'anima», sospirò lui. «E a proposito... Che è successo alla tua anima? Sembra più piccola, e a volte sparisce».

«Te ne sei accorto», sussurrò la Technician, rivolgendogli un sorriso. Era già qualcosa. «So usare il Soul Protect».

«Sul serio?!», esclamò lui. «Come l'hai imparato?».

Il metallo caldo della sua Weapon sotto le dita, malleabile come non mai. Il dolore lancinante al petto. Il panico di aver fatto qualcosa di sbagliato, il realizzare l'imprevisto, l'umiliazione per non averci pensato. La sensazione strisciante di qualcosa che le risaliva lungo la schiena, le sue onde antimagia che erano impazzite, il respiro che le si spezzava, le ginocchia che non la reggevano più, il sangue ovunque...

«Maka..?».

Soul che tentava di avvolgerla fino a farla quasi soffocare del tutto.

La ragazza trasalì.

«Con la strega Mirona», ammise di getto.

Non lo stava guardando in faccia e non avrebbe potuto vedere la sua reazione, ma non ce fu bisogno: il colpo al cuore di Soul lo aveva sentito perfettamente anche lei.

Forse parlarne non era stata una buona idea.

Il silenzio che Maka aveva allontanato tornò, prepotente e persistente, separandoli soltanto come i chilometri avevano potuto fare durante quegli anni.

«... Poi è stata mia madre a insegnarmi a gestirlo», continuò, riuscendo a malapena a sentirsi.

«... Capisco».

Lui non la stava più guardando; persino l'espressione le diceva che la sua mente era altrove.

«Soul...».

«Maka, per favore, lasciamo stare», biascicò lui, stringendo gli occhi e poi coprendoseli con una mano. «Non tiriamo fuori l'argomento. Lasciamolo da parte... Per un po'».

«Ok...», annuì lei, stringendosi le spalle tanto da farsi mancare il fiato. «Ok».

Era troppo presto, Soul aveva ragione. Nella stanza dello Shinigami non avevano quasi nemmeno fatto in tempo a salutarsi che si erano riversati addosso le presunte colpe, senza risparmiarsi. Almeno una tregua era necessaria, se volevano risolvere qualcosa.

«Quindi... hai incontrato tua madre?».

«In Giappone».

«Cool».

Quanto era squallido quello che stava succedendo. Si sentiva talmente a disagio che le tremavano le ginocchia anche se era seduta. Se avessero smesso di riempire l'aria con il suono delle loro voci, avrebbero sentito tutta la pressione delle parole non dette rimbombare nell'aula.

Disse la prima cosa che le venne in mente. «... Come sta Blair?».

Riuscì ad attirare l'attenzione di Soul. Anzi, più il suo sconcerto. «Perché mi chiedi proprio di Blair?!».

«Non lo so», tirò su le spalle. «Vive ancora da noi?».

Un angolo della bocca di Soul si sollevò. Era sarcasmo, quello, ne era sicura: gli aveva visto fare quella smorfia milioni e milioni di volte.

«No. Ha preso un appartamento poco lontano da dove abitava tuo padre».

«Chissà come mai», Maka alzò gli occhi al cielo.

«Lavora in pianta stabile al Chupa Cabras, ora», Soul le raccontò le ultime, forse nella speranza di alleggerire l'atmosfera. «Però continua a farsi offrire i pesci gratis dal pescivendolo».

La Meister ridacchiò. «Ci avrei scommesso».

«E tu, invece?», le domandò.

«Io, cosa?».

«Non puoi dire "da noi" senza farmi pensare che tu voglia tornare».

Maka sorrise. «Non mi dispiacerebbe venire subito a verificare quanto in basso sia caduto lo stato dell'appartamento, visto e considerato il tuo amore per le pulizie... Ma prima ci sono un paio di cose che dovrei sistemare».

«Tipo? I libri?».

«Anche. In realtà pensavo più a chi mi ha accompagnato fin qui».

Sarebbe stato un disastro, spiegare a Zoey e a Milo cosa sarebbe successo. Soprattutto a Milo. Avrebbe messo in piedi un processo per impiccagione... passando direttamente all'impiccagione.

«Dovrai dirgli addio?».

Maka intercettò lo sguardo di Soul. Pareva preoccupato, anche se cercava di nasconderlo.

«Non necessariamente. Ma Zoey...».

«Se ti può interessare, la marmocchia ieri ha fatto comunella con uno dei miei studenti. Sembravano affiatati».

Maka inarcò un sopracciglio. «Ah... E Milo ha notato la cosa?».

«Non ne ho la più pallida idea. Non ci ho fatto caso», Soul sollevò le spalle. «Cosa facciamo fino alle 4?».

Il brusco cambio di discorso accese in Maka la certezza che a Soul sentirla parlare di Milo e Zoey desse parecchio fastidio. Ma lasciò correre. Se avesse iniziato a impuntarsi su ogni sua parola o atteggiamento non avrebbero fatto altro che litigare, senza arrivare a risolvere nulla. «... Non hai degli studenti di cui occuparti?».

«Oggi no, è il mio giorno libero».

«Allora mi piacerebbe sapere che ne è stato dei nostri vecchi compagni... Ah, e vorrei anche rivedere Stein, ho un paio di cose da chiedergli».

Soul fece una smorfia. Era molto probabile che avesse capito cosa intendesse sapere dallo scienziato, ma Maka non poteva fare altrimenti: se avesse chiesto a Soul non avrebbe avuto che una risposta vaga, e mai come in quel momento aveva bisogno di certezze.

«Va bene, andiamo». La Death Scyte si avviò verso la porta, e la tenne aperta finché Maka non lo superò.

Dalla faccia inespressiva di Soul, c'erano altre cattive notizie in arrivo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_________________________________

 

Allora. Partiamo dal presupposto che adoro infilare i personaggi in situazioni drammatiche, e che loro mi odiano per questo, giustamente... Ma. Questo. Capitolo. Non voleva. Finire. Più. T.T

Veramente, è stato un parto. Non sapevo cosa potessero fare, e nemmeno loro sapevano che diamine fare. Insomma, si rincontrano dopo tre anni di totale silenzio, provate a mettervi nei loro panni, come vi comportereste?

L'inizio sembrava promettente. A fine seconda pagina credevo sarebbero stati in grado di arrangiarsi senza che dessi loro troppi incentivi - perché sono convinta che un autore che adotta dei personaggi a cui non cambierà la personalità (o almeno questo è l'intento) debba soltanto scegliere un contesto e lasciare che agiscano per affaracci loro - eppure... Ho osservato questi due fissarsi per tutto il tempo, con troppe cose da dire e troppe toppe da ricucire. Ho provato a inserirli in un contesto famigliare, ma la tattica ha fatto cilecca. Pietosamente cilecca. C'è un bel po' di lavoro da fare con questi due, sempre che si decidano ad essere collaborativi. Tutt'ora non sono contenta di come si è concluso il capitolo, mi hanno lasciato l'amaro in bocca. Maledetti. Va beh, vedremo come andrà da Stein =.=

 

Avviso che ci sarà una pausa, da questo sabato inizio la sessione estiva e non credo avrò abbastanza testa da mettere nella fanfiction… scusatemi ma non voglio rifilarvi schifezze t.t

 

Nel frattempo ringrazio tutti coloro che stanno leggendo: non mi aspettavo che ciò che scrivo potesse essere letto da così tante persone. Siete mitici *^*

Ringrazio anche chi segue e chi preferisce, è soprattutto per voi che non mollo la storia, soprattutto quando diventa veramente difficile non farsi prendere dall'incazzatura e cancellare tutto!

 

Come sempre vi invito a farmi sapere cosa ne pensate in un recensione :)

Al prossimo aggiornamento (se sarete ancora lì ad aspettarmi t.t)!

 

- BBS

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda

 

Capitolo 9

 

 

 

Il tragitto dalla Shibusen alla casa di Stein e Marie era stato molto, molto silenzioso.

Avevano evitato di tirare fuori altri argomenti, viste la difficoltà incontrate quando avevano ricominciato a parlare, e in quel preciso momento si limitavano a camminare fianco a fianco; lei con il solito passo da bersagliere; lui trascinando i piedi e tenendosi la nuca con le mani.

Soul non sapeva cosa dire. Non sapeva se doveva dire qualcosa o se fosse meglio aspettare che la famigliarità tornasse a insinuarsi tra di loro per intraprendere un qualunque discorso che, possibilmente, non riportasse a galla brutti ricordi. Nel dubbio era rimasto zitto, permettendosi solo di studiarla di tanto in tanto con la coda dell'occhio.

Maka aveva un'espressione scura da quando erano usciti all'aperto, e lui era sicuro che non fosse dovuto alla dimostrazione di quanto alla Shibusen lo apprezzassero come insegnante. Aveva messo piede nella piazza e le studentesse lo avevano circondato, ma era bastato il leggero tossicchiare scocciato di Maka - come a far presente che lei non voleva essere travolta dalla folla urlante - per farle volatilizzare: chi sbattendo lentamente le ciglia, chi incredula, chi con il broncio, ma tutte inevitabilmente consapevoli che anche lavorando sodo per chissà quanti anni non avrebbero mai potuto essere all'altezza della Meister che aveva sconfitto il Kishin.

Le lanciò un'altra occhiata, pensieroso, e stavolta lei lo colse in fallo.

«Devi dirmi qualcosa?», lo provocò, alzando un sopracciglio.

Per tutta risposta alzò le spalle, fingendo indifferenza e distogliendo lo sguardo.

Chissà se si si era resa conto che si erano disposti come quando facevano coppia. Maka era destrimane, perciò con il tempo lui aveva imparato a stare alla sua destra per renderle immediata la presa quando assumeva la forma di falce, e lasciava che lo precedesse di un passo, perché coordinasse più liberamente i movimenti di entrambi. Un modo come un altro per essere una Weapon attenta, senza perdersi in sdolcinerie appiccicose.

«Siamo arrivati», gli fece presente, stranamente senza insistere come faceva di solito per cavargli una risposta di bocca.

Soul spostò gli occhi verso sull'edificio, a poche decine di metri da loro. Ci era stato praticamente ogni settimana negli ultimi tre anni, così non capì come mai i ricordi lo stessero investendo proprio - e solo - in quel momento.

La prima volta che si erano presentati da Stein, lui e Maka vivevano insieme da poco più di un anno. Camminando tra i corridoi della Shibusen con le scarpe da studente, aveva spesso sentito bisbigliare che loro due fossero la coppia più giovane ad accumulare tanto rapidamente anime, e che se avessero continuato a quella velocità avrebbero battuto il leggendario record della madre di Maka: aveva reso Spirit una Death Scyte in un anno e mezzo. Sicuramente doveva essere stato l’obiettivo primario della sua Technician, e quando Soul aveva mangiato una delle anime di Blair e si erano resi conto di essere stati raggirati, lei aveva seriamente rischiato di rimanerci secca. Al mondo aveva mostrato soltanto la parte più tragica e spettacolare della sua frustazione, ma era stato nel silenzio persistente e nella mancanza di Maka-Chop che Soul aveva imparato a leggere la vera disperazione di Maka: fallire, per lei, era la peggiore delle umiliazioni.

Erano state soltanto le inaspettate conseguenze di quella fregatura a riconsegnarle la ragazzina determinata che aveva sempre avuto modo di conoscere; a causa della relativa assenza di anime nel loro curricula, erano stati spediti a fare gavetta insieme ai Meister e alle Weapon con i quali avrebbero costituito, in un futuro non troppo lontano, il gruppo dei più abili cacciatori di anime dopo la vecchia guardia dello Shinigamisama.

La risonanza con Maka allora era piuttosto salda ma decisamente instabile – non riuscivano a performare decentemente nemmeno il Cacciatore di Streghe – e adesso erano di nuovo davanti alla porta di quel laboratorio, con più esperienza ma con lo stesso problema: la sincronizzazione.

«Chissà se Marie ha fatto i biscotti», si chiese ad alta voce.

Maka bussò, alzando gli occhi al cielo.

Si videro aprire proprio da Marie, e la spiazzarono visibilmente.

La donna aveva cambiato la benda che portava di solito sull’occhio; in quel momento ne indossava una blu con uno stemma bianco della Shibusen disegnato sopra.

«Oh! Ragazzi!», esclamò, facendoli entrare solo dopo qualche attimo di sbigottimento. «Mi fa piacere che siate qui. Non mi aspettavo di rivederti così presto, Makasan!».

Già. Lì Maka ci era stata poco prima, e lui non l'aveva ancora mandata giù, nonostante le spiegazioni più che comprensibili che la sua Tech gli aveva dato, perché in mezzo a quella logica perfettamente inanellata Soul aveva letto solo una cosa: Maka non era andata da lui. Kidd o non Kidd, Stein o non Stein… Ricollegò quello che aveva sentito la mattina prima alle informazioni di cui ora era in possesso, ed ebbe la conferma che Maka – una nota, una sola, e suonata una sola volta – non gli si era avvicinata, anche se ne aveva avuto l’occasione.

La ragazza intanto sorrideva, un po' in imbarazzo. «Mi spiace disturbare ancora...».

«Ma no, che dici! Accomodatevi pure, faccio un po' di the!».

«Veramente...».

«Non provare a declinare!», Marie rise, tentando di distendere l'atmosfera tesa che i due avevano portato con loro. «Su, su! Ho appena sfornato i biscotti. Soul, ti spiacerebbe tenere d'occhio Jack mentre vado a chiamare Frank?».

Fu la distrazione che gli serviva, per non cadere in un baratro. «Nessun problema».

Non gli ci volle molto per trovarlo: come sempre, quando costretto a stare rinchiuso in casa, il mocciosetto se stava seduto sul tappeto puzzle che da piccolo aveva allegramente provveduto a impiastricciare con i pennarelli.

Jack era intento a far schiantare un numero indicibile di macchinine – regali dello staff della Shibusen – e a contare il numero dei morti e dei feriti, quando venne distratto dalla mano che gli scompigliò i capelli. Alzò lo sguardo e spalancò gli occhioni neri prima di allungare le manine verso l’alto e urlare entusiasta: «SOOOH!».

Ovviamente non riusciva a pronunciare bene alcune consonanti, quindi storpiava il nome di Soul in una semplice sillaba espirata.

Con la coda dell’occhio l’ultimo arrivato tra le Death Scyte vide Maka assistere allo scambio, e le sembrò presa in contropiede dalla sicurezza con cui lui aveva preso in braccio il bambino.

Si intrattenne un po' con il piccolo, facendogli qualche domanda e profetizzando quanto Jack sarebbe diventato cool grazie ai suoi insegnamenti, quindi Soul si sedette sul tappeto e iniziò a giocare con lui. Avrebbe lasciato che gli adulti discutessero in santa pace, tenendo occupato il moccioso, ascoltando in silenzio. Lui, la versione di Stein, la conosceva già; non aveva particolarmente voglia di stare a sentire ancora l’idea che il professore si era fatto sulle conseguenze dell’incidente.

«Buongiorno... Di nuovo», salutò intanto il professor Stein, spuntato mentre non guardava, e indirizzandosi quasi immediatamente verso Maka. «Spero che tu non ti stia già aspettando dei risultati dal diario di Medusa... È scritto in una lingua che non sono ancora riuscito a decifrare».

«No, no», convenne lei. «In realtà mi aspettavo di sapere come mai non ha detto che ha allenato Soul mentre io ero... assente».

Maka aveva preso posto sul divano mentre Marie iniziava a servire il the, ma non appena aveva concluso la frase, la teiera che la Death Scyte stava tenendo in mano si fermò a mezz'aria, sopra le tazze.

«Ah, sì... Mi era passato di mente», «Come, scusa?», furono le risposte date quasi all’unisono.

Il professor Stein non si smentiva mai. Non ne aveva ancora parlato con Marie.

Sentendosi terribilmente a disagio nonostante non fosse fisicamente lui quello in mezzo al fuoco incrociato, Soul si impegnò nel cercare di staccarsi Jack dalla schiena, senza riuscire, comunque, a non osservare la scena di sottecchi.

Maka era decisa ad ignorare ciò che le stava accadendo intorno; prese la tazza rimasta vuota e la riempì con il liquido ambrato che Marie si era premurata di preparare, mentre la bionda Death Scyte lanciava suppellettili più o meno improbabili contro il marito scienziato.

«Lo Shinigamisama ti ha proibito di allenarti con altre Weapon!», stava urlando.

«Stavo solamente aiutando un mio ex studente a non perdere lo smalto».

«Allenandoti con lui!».

«Non si trattava di vero e proprio allenamento, tesoro».

«Ma certo, giocavate solamente a chi impazzisce per primo!».

Soul deglutì, colpito in pieno dall'involontaria stoccata di Marie. Si stava sicuramente riferendo a Stein e non a lui, però...

«Non c'è mai stato questo rischio», replicò placido ma fermo il professore. Nei suoi occhiali si specchiò un riflesso della luce. «Non ho mai avuto nemmeno l'occasione di avvicinarmi al sangue nero di Soul Eater. Non mi sono sincronizzato con lui».

Poco, ma sicuro. Lo aveva tagliato fuori.

«E allora – Marie era furiosa – mi spieghi a cosa sarebbe servito?!».

«Serviva a me, Marie», Soul si risolse a intervenire, scandendo quasi involontariamente le parole, in modo da evitare ogni genere di fraintendimenti.

Ma non riuscì a guardare nessuno in faccia. Continuò a fissarsi le mani, sollevate entrambe in aria e rivolte con i dorsi verso la sua faccia, per mostrarsi occupato a nascondere una macchinina, mentre Jack penzolava come una sacco di patate dalla sua spalla. Il bambino cercava, ridendo, di capire dietro quale mano fosse finito il suo giocattolo, e gli stava tirando un sacco di ginocchiate nella schiena, ma non fece una piega per non strapparlo alla sua allegria.

«Senza Maka non sapevo da che parte girarmi, così ho chiesto un paio di dritte ad un altro Meister», concluse, dando una risposta alle domande che sicuramente stavano rimbalzando in testa alla Tech.

Almeno qualche spiegazione gliela doveva; lei gli aveva raccontato più o meno nei dettagli ciò che aveva fatto in quei tre anni, mentre lui aveva semplicemente fatto un gran riassunto, molto più interessato alle novità di Maka che non a raccontare le sue ultime disavventure.

«Oh!», esclamò Marie, abbandonando lo slancio con il quale stava caricando il braccio per scagliare l'ennesima tazza da the. 

L'amosfera era diventata davvero troppo pesante, a quel punto.

«Jack, che ne dici se usciamo a giocare a basket?», se ne uscì.

Il bambino annuì con entasiasmo, prese per mano Soul e si diressero fuori.

«Penso andrò anch'io...», sentì Marie borbottare. «Ma tu non pensare di scamparla, Frank».

Volutamente, non incrociò gli occhi della sua Meister mentre uscivano.

Sapeva cosa stava per succedere: Maka avrebbe approfittato del campo libero per fare il resto delle domande a Stein; lui le avrebbe detto le sue teorie – corrette, come al solito – e lei, facendo lavorare quel cervellino fin troppo brillante, avrebbe scoperto cosa aveva combinato con il sangue nero. Riusciva persino a immaginarsi la conversazione. Maka gli avrebbe chiesto cosa aveva visto quando gli aveva analizzato l'anima e Stein le avrebbe risposto che non aveva visto nulla: niente sangue nero, nelle spire che circondavano la carne di Soul; niente di visibile, agli occhi dell'unico altro Meister in grado di vedere le anime.

Osservò Jack andare a recuperare il pallone da basket, che nelle sue manine era praticamente gigantesco, da un cesto seminascosto della veranda, e subito dopo tentare di tirarlo verso di lui.

«Hai segregato il suo sangue nero in un qualche luogo profondo e inaccessibile della tua anima... Mi sbaglio, Soul Eater?».

Dannazione. Aveva sperato di poter posticipare, almeno ancora di un altro po', ma era evidente che la circostanze giocavano a loro sfavore, con il Kishin vicino al risveglio.

La palla rimbalzò un paio di volte sul cemento, prima che Soul gli tirasse uno schiaffo e trasmettesse l'energia necessaria per un pelleggio più alto.

Come avrebbe fatto a spiegarle? Era troppo presto. Lui stesso non aveva avuto tempo di processare un bel niente, aveva lasciato che l’accaduto si sedimentasse e venisse ricoperto da strati e strati di voci avvenimenti informazioni, e ora Maka era lì, e anche se da come si stava comportando sembrava volesse lasciargli ancora un po’ di spazio, non sapeva fino a quando la Tech avrebbe rimandato le domande dirette.

Lanciò un'occhiata verso una delle finestre della casa, pescandola nel momento in cui lei aveva deciso di sprofondare nello schienale del divano in un modo grottescamente simile a quello di Blair.

Delusioni, nient'altro che delusioni.

Strinse il pallone e i denti, concentrò la rabbia nei muscoli e tirò a canestro. Lo mancò.

La palla andò verso Jack, e lui dovette dargli una mano per evitare che il bambino, inserendosi nella traiettoria per acchiappare la sfera, finisse colpito e lungo disteso.

A parole, era stato semplice dirle che era nuovamente al suo fianco e che si sarebbe sottoposto a quell’esperimento già compiuto e mai davvero concluso con il sangue nero, ma a qualche ora dal suo patibolo personale, iniziava a sentire il peso di quelle parole, delle promesse che si era fatto, di ciò che lei si aspettava da lui. E non era piacevole, non era piacevole per niente, la sensazione di essere in bilico sul bordo di una voragine.

Fece qualche passaggio dolce con il bambino, ripetendogli le regole del gioco che avevano fatto da collante nei suoi pensieri tra una missione e l’altra, e quando Jack perse l’equilibrio inciampando nei propri piedi anticipò Marie, prendendolo di nuovo in spalla. Si assicurò che in mano avesse ancora il pallone, poi lo allungò verso il tabellone e gli fece fare canestro.

Riuscì a farsi coinvolgere abbastanza dalle risate, impedendosi così di arrivare all’ultimo tratto di pensiero di quel gomitolo nero che, lungi dal districarsi da solo, si era ingarbugliato ancora di più mentre il tempo passava.

«Vediamo se anche la mamma è brava come il suo rospetto!», esclamò Marie, preparandosi a lanciare il pallone.

Jack gli si strinse al collo mentre osservava rapito la madre, e trattenne un sospiro simile a un singhiozzo quando la Death Scyte colpì l'anello. Un attimo dopo, il pallone le rimbalzò in testa.

Soul temette che il bambino scoppiasse a piangere, ma si dovette ricredere quando sentì altre risate risuonare nell’aria.

Sorrise anche lui, un po’ per la comicità dalla faccia di Marie, un po’ per nascondere la malinconia di innumerevoli rimpianti e incomprensioni che lo avevano separato dalla sua famiglia; cose che avevano contribuito a ingigantirla, quella voragine.

«Bene! Credo sia giunto il momento di rientrare», dichiarò la donna.

Soul guardò di nuovo attraverso la finestra. A quando poteva vedere Maka e Stein si stavano salutando, perciò lui fece altrettanto con Marie e Jack. Non aveva molta voglia di farsi passare ai raggi X dallo sguardo di Stein; quello di Maka gli sarebbe bastato.

Era rimasto solo; era di nuovo tutto calmo.

Rollò e accese una sigaretta mentre aspettava che lei uscisse, pensando che nell'ultimo periodo la sua vita pareva non fare altro che alternarsi tra la presenza e l'assenza di suono.

«Spero che tu non abbia mai fumato in casa, o dovrai quantomeno ridipingere prima che io rimetta piede lì dentro».

Sorrise, contento forse l'ennesima volta di essere stato distratto dai suoi pensieri, e le fece una linguaccia, praticamente un riflesso condizionato al tono di voce petulante. «Non ho mai fumato in casa».

Anche perché lei molto probabilmente era il genere di persona che sentiva l’odore del fumo a chilometri di distanza, e lui ci teneva al suo cranio.

«Sarà meglio», sorrise anche lei, ma era minacciosa.

Soul sbuffò. Il fumo azzurrognolo si disperse nel vento.

«Comunque non è una sigaretta normale».

«Ah, no?».

Ed eccolo lì, lo sguardo penetrante e scettico che si aspettava. Quanto ci avrebbe messo a capire?

«No. È un tipo di tabacco particolare, me l’ha dato Nyngus. Ha detto che avrebbe rallentato l’azione del sangue nero».

«Oh… Capisco».

Certo, che capiva. Lei aveva sempre capito quanto era stata profonda la voragine che si portava dentro, e fin dall’inizio l’aveva accettata come parte integrante di lui, come vuoto integrante di lui, vuoto che quando lei era andata via lui aveva coperto con un telone nella speranza di farlo scomparire.

A Soul passò improvvisamente la voglia di finirla, quella sigaretta. La spese schiacciandone la punta sul cemento, e gli occhi gli finirono sul pallone da basket.

«Che vuoi fare?», gli domandò Maka, con una nota di disappunto nella voce. «Dobbiamo andare».

«Solo un ultimo tiro…».

Era solo un capriccio, uno come un altro, ma inaspettatamente fece ritornare a galla l’angoscia che aveva soppresso fino a quel momento, sottolineando il punto focale attorno a cui ruotavano le sue paure.

Seguì la traiettoria della palla, finché non centrò il canestro.

Quando avrebbe guardato dentro la voragine, sarebbe riuscito a vederne il fondo?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_______________________

Dunque.

Questo capitolo è un po’… boh. Mi spiego: avevo iniziato un pov Soul che si è convertito da solo in un pov Maka e poi era tornato pov Soul. Indecisa, l’ho lasciato un po’ a sedimentare, e rileggendolo qualche tempo dopo mi sono accorta che non mi piaceva, così via!, a riscrivere tutto con un unico pov – che poi sarebbe l’unica regola rimasta dalle tre o quattro che mi ero data per questa fanfiction.

Ed è uscito questo. Non mi aspettavo che Soul avesse macinato così tanto, mentre io non guardavo >.>

Ovviamente non sono riuscita a tenerli nella stessa stanza – perché ormai l’hanno capito anche loro che è troppo presto – ma tutto sommato sono abbastanza soddisfatta di avervi descritto questo scorcio della testa di Soul. Mi sa che si tratta della loro natura, fondamentalmente: Maka è quella pratica, che agisce e porta avanti la trama (e per questo la ringraziamo); Soul è il pigro che procrastina il più possibile (e quindi mi fa involontariamente creare capitoli di passaggio, perdendosi nelle spiegazioni). Farò comunque in modo di non mantenere questa stasi, dovessi idealmente prendere a ceffoni Soul; e per quanto riguarda Maka ho la brutta sensazione che dovrò giocare sporco e farle qualche sgambetto per fermarla.

Insomma, farò patire a entrambi le pene dell'inferno, come sempre u.u

 

Ma a parte questo! Sono riuscita a pubblicare a metà sessione! Temevo che non ce l’avrei fatta, ma questo weekend è tornata un po’ di ispirazione e sono riuscita persino a tirarmi un po’ avanti :D perciò il prossimo capitolo uscirà, “regolare”, tra due settimane. Ormai i tempi si sono inevitabilmente allungati e resteranno questi, spero mi perdonerete D:

 

Un’ultima cosuccia che ci tengo a condividere con voi riguarda l’ultima frase di Soul, che chiude il capitolo. Si tratta di una rielaborazione/adattamento/devastazione di una citazione di Nietzsche che mi è capitato di sentire in una puntata di Criminal Minds: “Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te”. Non chiedetemi perché, l’ho sempre trovata di una lucidità sconcertante, e non potevo non inserirla.

 

Un ringraziamento a chi legge, segue, preferisce e recensisce. No, non mi stancherò mai di ringraziarvi, sono della più ferma convinzione che senza qualcuno che legge uno scrittore sarebbe una persona infinitamente triste (leggi: io, prima di aver trovato il coraggio di pubblicare qualcosa).

 

Al prossimo aggiornamento!

 

 

~ BBS

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda

 

Capitolo 10

 

 

 

I pensieri di Maka correvano veloci, tutti inevitabilmente in direzione della sua Death Scyte, altrimenti noto come lo stupido idiota.

Soul avrebbe potuto accennare alla questione mentre erano in aula o mentre camminavano; avrebbe potuto fermarla, per una volta, mostrandogli il suo punto di vista e costringendola a ragionare. E invece, no. Non ne aveva fatto parola, preferendo tirarsi fuori non appena ne aveva avuto la possibilità, scappando persino da Stein, il suo secondo Meister.

Indizi silenziosi, questi, che le urlavano chiaramente come lui non avesse affatto superato l'incidente: ci si era aggrappato con tutte le sue forze, finendo di nuovo a colpevolizzarsi per qualcosa di cui lei era stata la causa.

Stupido. Idiota.

Stein le aveva detto che la reticenza di Soul non era un risultato improbabile visto l'incidente che avevano avuto: la Death Scyte versava in uno stato delicato, in bilico tra sanità e pazzia; ed era altamente rischioso per lui sottoporsi a ciò che Maka aveva in mente di fare per recuperare i fili della sincronizzazione. Doveva stare particolarmente attenta, soprattutto visto che lui era abbastanza stupido e idiota da volerci provare comunque.

E per quanto tutto questo influisse sullo stato d’animo di Maka, portandola a un passo dal comprare un dizionario di latino e inaugurarlo sulla fronte della sua Death Scyte, ciò che in definitiva la mandava in bestia era che non aveva percepito nulla di strano in Soul. Non c'era nulla di mancante nell’anima che credeva di conoscere meglio di chiunque altro, o almeno, questo era quello che credeva. Ma si era sbagliata, e al danno si era aggiunta la beffa: lui era riuscito a percepire il suo Soul Protect, mentre lei, lei che si supponeva essere quella in grado di leggere le anime, non aveva sentito proprio nulla. Era come se tutta l'istintiva comprensione verso suo compagno fosse scomparsa, forse consumata dai pensieri, forse perduta con la lontananza. Tre anni prima le bastava soltanto guardarlo in faccia, e ora non lo capiva più nemmeno se si spremeva la meningi. E infine, non capiva come avesse potuto dirle che voleva imbarcarsi comunque nella risincronizzazione. Orgoglio? Senso di colpa? Stupida idiozia? Tutte e tre?

«Maka».

Scattò involontariamente. «Che vuoi?!».

Lo vide parare il colpo irrigidendo le spalle. «… Nulla».

No, non poteva, non doveva, non gliel’avrebbe permesso. «Non ci provare!».

«A fare cosa?».

«A fare finita che non sia successo nulla», ringhiò.

Soul la inchiodò con gli occhi. Lui riusciva ancora a capirla al volo. «... Non voglio litigare con te».

«Neanche io, ma...».

«E non voglio nemmeno parlarne», la interruppe, brusco.

«Non possiamo rimandare all’infinito!».

Si erano involontariamente fermati in mezzo alla strada, deserta.

Era più o meno mezzogiorno - il tempo dal loro scontro con Kidd era scorso in un lampo - e la gente era occupata a preparare da mangiare mentre loro affilavano i coltelli l’uno sulla pelle dell’altro.

«Maka, sinceramente, c'è davvero qualcosa che valga la pena dire?», sussurrò Soul allora, e per la prima volta da che lo conosceva Maka vide il gelo espandersi nei suoi occhi rossi. «Ho tentato di mangiarti l’anima, e l’ho fatto perché ho perso la testa. Non sono stato abbastanza forte da proteggerti da quella strega, ho perso la testa, sono impazzito e volevo finirti. Cos’altro c’è, da dire?».

Maka trattenne il respiro. Era spaventata. Non di lui, o non del tutto, almeno. Era spaventata dal vuoto dentro di lui, specchiato nel ghiaccio rosso e pungente che la stava sfidando a ribattere.

Quel vuoto era stato qualcosa che non aveva mai potuto ignorare e che aveva immediatamente imparato a rispettare, ma per un lunghissimo istante si domandò se l’avesse mai davvero capito, cos’era che bucava Soul da parte a parte. Se ci avesse mai provato, a capirlo davvero.

«Soul...».

«Maka», la sovrastò ancora.

«Non pensare di zittirmi usando il mio nome come se fosse una minaccia», la Technician ritrovò la risposta pronta, agganciandosi alla rabbia che lui aveva impresso in quelle due sillabe pronunciate a denti stretti. Rabbia che aveva anche lei, perché voleva capire, ma non ci riusciva, e l’unico che potesse spiegarle era anche l’unico che ci stava mettendo tutto sé stesso per impedirglielo.

Lui non rispose, ma non distolse lo sguardo.

«Fammi capire...», mormorò, del tutto intenzionata a non lasciar perdere. «Esattamente, come pensavi di risolvere la cosa?».

«Di sicuro non litigando».

«Non stiamo litigando».

«Strano», lui assottigliò gli occhi, c'era ancora il gelo. «Avrei giurato il contrario».

«MAKA!».

La bionda si voltò di riflesso, accorgendosi solo troppo tardi che non avrebbe dovuto cedere alla lotta di sguardi.

«Zoey?», riconobbe la bambina. Stava venendo loro incontro correndo come una forsennata. «Che ci fai qui? Credevo fossi a casa con Milo. Ti avevo detto...».

«Avevi detto che c'era la possibilità che trovassi un Meister qui alla Shibusen! In questi giorni ho provato a farci un giro. E mi sono fatta un sacco di nuovi amici! Ce n'è uno che è super simpatico, si chiama Aar...».

«Zoey».

L'entusiasmo della bambina evaporò all'istante.

«Ti avevo detto di non allontanarti da Milo per nessun motivo».

«Lo so, però...».

«Niente scuse!», Maka la stroncò, imponendosi con la voce. «Devi smetterla di fare sempre di testa tua, e devi smetterla di ignorare quello che io e Milo ti diciamo!».

«... Tu e Milo?», sottolineò Soul, sarcastico.

Maka strinse le labbra, una pallida reazione alla pugnalata che lui le aveva idealmente piantato nella schiena. Non era stato tanto il tono, quanto il contenuto e i sottintesi conseguenti che l’aveva colpita su un nervo scoperto, perché Soul aveva ragione, su lei e Milo.

«Beh», fece lui, tirando fuori un altro sorrisetto sarcastico. «Spero solo che sappia prenderla in modo sportivo».

E di nuovo, lui aveva capito, e lei no.

Maka perse le staffe. «Ma che diamine stai dicendo?».

«Allora andiamo in mensa?».

Quel cambio di discorso la spiazzò definitivamente.

«In mensa?», si intromise Zoey. «Ma avevi detto che pranzavi con noi, Makasan...».

«Infatti è così», lo fulminò alla fine. «Ci andremo tutti insieme».

Soul fece schioccare la lingua contro il palato, facendola innervosire ancora di più. «Bene…», commentò poi, avviandosi.

Maka riesumò in un millesimo di secondo almeno mille motivi per sfracellargli il cranio con un Maka-Chop, ma si rese conto che picchiandolo non avrebbe ottenuto nulla se non di doverlo trascinare per i capelli fino alla Shibusen.

«Dov’è Milo?», si risolse a chiedere alla bambina, dopo aver sputato un sospiro frustrato.

«Probabilmente ci sta venendo incontro, prima mi stava inseguendo», rispose Zoey, tranquilla. «Va tutto bene, Maka?».

«Va benissimo», sibilò. «Davvero benissimo».

 

 

 

~

 

 

 

... Che cosa diamine le era venuto in mente?

Soul le era seduto accanto, Zoey era di fronte a lei, Milo era opposto a Soul, e nessuno sembrava in gran vena di fare conversazione, a parte Zoey.

Le occhiate neanche troppo furtive degli studenti non aiutavano certo nessuno di loro a rilassarsi, infilzandoli come pezzi di carne su un macabro spiedo di parole sussurrate, cenni, risatine.

Davvero, cosa diamine le era venuto in mente?!

Come aveva potuto riunire la sua Death Scyte, la falce che si era portata dietro dal Giappone e suo fratello impropriamente geloso allo stesso tavolo della mensa della Shibusen?

Persino Zoey aveva immediatamente subodorato la tensione che correva tra Soul e Milo, e cercava di tenere occupato con un fiume di parole l'altrimenti silenzioso tavolo, mentre Maka era occupata a girare e rigirare le informazioni che le aveva passato Soul.

Aveva perso la testa. Era impazzito. Voleva finirla.

Ma non era così che l'aveva percepito lei. Aveva analizzato spesso quello che era successo, e la conclusione era stata che la paura era derivata dalla sensazione soffocante, non dal suo attacco. Era stato come se volesse avvolgerla, chiuderla in un bozzolo, imprigionarla dentro di lui. Come se non volesse che la sua anima si distaccasse da lui...

«... qui. Potrebbe andare bene secondo te, Maka?».

«C-come?», sentir pronunciare il suo nome la riscosse dal tumulto di pensieri che la stava investendo, costringendola a sollevare gli occhi dal piatto.

«Aaron mi ha chiesto di diventare la sua Arma», riassunse la bambina, paziente. «E a me piacerebbe dirgli di sì, ma finché non mi iscrivo alla Scuola non posso iniziare a fare gli allenamenti con lui!».

Non era sicura che fosse una buona idea. Zoey era infettata con il sangue nero, esattamente come Soul. Quanto era serio il rischio del contagio?

«Come facciamo a sapere se questo Aaron sia affidabile?», borbottò intanto Milo.

A volte era fin troppo protettivo nei confronti della sorella. Non che lo facesse di proposito o con cattiveria, ma il più delle volte finiva per mettere alla sorella i bastoni tra le ruote, o peggio, minare la sua autostima.

«Perché è uno dei miei allievi migliori», rispose piatto Soul. «E perché ieri mattina hanno lavorato bene insieme».

Milo fece ruotare gli occhi, praticamente snervato. «Anche lei e Maka lavorano bene insieme. Cosa c'entra?».

«C'entra – Maka si intromise immediatamente, prima che Soul si trasmutasse in falce e tagliasse la testa a Milo – per il fatto che sono riusciti molto bene in esercizi che testano la fiducia innata tra Weapon e Technician. E visto che non si conoscevano, il loro successo non fa che sottolineare l'appropriatezza della coppia. Non dico che siano fatti per stare insieme, ma sono sulla buona strada», spiegò, poi si rivolse a Zoey. «A proposito, lui dov'è?».

Zoey guardò verso destra, poi puntò con l'indice: «Laggiù, al penultimo tavolo».

Lo individuò. Anche Aaron non era molto grande, probabilmente si aggirava sugli undici anni; aveva i capelli mori e sembrava non sapersi togliere il sorriso dalle labbra. Si concentrò, e ne vide l'anima. Era di un bel colore, blu pacifico e intenso, l'opposto di quella arancio neon di Zoey. Lo sguardo poi le scivolò sull'anima di Milo – bianca, come tutte quelle degli esseri umani – e infine su quella di Soul.

Deglutì e il boccone le andò di traverso.

Era diventata grigia.

Il colore dell'anima di Soul era sempre stato indefinito, di un azzurro impalpabile e trasparente, ma qualcosa era cambiato. Sembrava malato. Come era stato possibile? Che l'aver seppellito la pazzia lo avesse in qualche modo reso meno sé stesso? Eppure la sentiva, la sua pazzia! La sentiva anche in quel preciso istante, debole sì, ma radicata e insita in lui...

«Visto qualcosa di interessante?».

Incrociò gli occhi della sua Buki. Odiava quando faceva l'indisponente.

«Nulla che tu non sappia già», ribatté, fremendo.

Soul fece un sorrisetto strafottente. «E allora perché hai quel muso lungo?».

Io te l'avevo detto, che non c'era nient'altro da dire, stava ripetendo, tra le righe.

Maka mantenne il contatto visivo, le parole le uscirono prima che potesse ragionarci sopra un attimo di più. «Io non ti riconosco più».

E il sorrisetto cadde come una ghigliottina sul tavolo, insieme a un silenzio tombale.

«Ho finito», annunciò quindi. Adesso, anche lei si sentiva vuota. Un abisso ambulante. «Scusatemi, ma devo andare in biblioteca».

Afferrò il vassoio ancora mezzo pieno e prima che qualcuno potesse fermarla se ne andò.

Si rese conto soltanto quando le venne il fiatone che aveva iniziato a correre. Anzi, a scappare. A scappare lontano dall'idea che il Soul che aveva ritrovato non era il Soul che aveva lasciato, e che la spaventosa possibilità di non poterlo mai più riavere indietro esisteva davvero.

La biblioteca era sempre l'unico luogo in cui aveva potuto stordirsi abbastanza da ignorare i pensieri. I libri l’aiutavano a vedere la realtà in cui si era ritrovata invischiata fino al collo da un altro punto di vista, uno esterno, asettico, obiettivo.

Se voleva togliersi dalla testa quegli angoscianti sussurri che decantavano la sua impotenza doveva affondare il naso in un libro. Subito.

Schizzò verso la scaletta a chiocciola più nascosta, salì fino in cima, svoltò a sinistra, corse fino in fondo al corridoio, si infilò tra le scaffalature alte e strette, ricolme di libri. Era dalla parte opposta dell’entrata, nell’angolo dimenticato dalle stesse bibliotecarie.

Il profumo delle pagine compì l'effetto sperato, calmandola, uniformando i battiti.

Prese un tomo caso dalla scaffalature color noce e si lasciò cadere nel pouf che serviva come postazione di lettura ma, malgrado le sue intenzioni, riportò alla mente uno stralcio di conversazione avvenuto neanche mezz'ora prima.

«... Che cosa devo fare, professore?», aveva domandato, seduta sul divano morbido della casa di Stein e quasi sovrappensiero.

«Non credo di essere il Technician a cui dovresti domandarlo», le aveva risposto, tranquillo.

Lei aveva fatto risuonare un tsk insoddisfatto. «Io non ho la più pallida idea di cosa fare per far ritornare tutto come prima».

«Non ci riuscirai, Makasan», l'aveva contraddetta. «Non riuscirete a tornare come prima. Ma questo non significa che non possiate far funzionare comunque la sincronizzazione. La vostra risonanza non è mai stata del tutto perfetta, lo sai meglio di me, eppure, funzionava».

«Già, funzionava... E non ho mai capito perché».

Stein aveva ragione. Non sarebbe riuscita a far tornare le cose come prima, perché loro non erano più quelli di prima. Ancora prima di pensare a Soul, lei stessa non era più soltanto una Meister. Finché lui non avesse saputo che era cambiata, finché non avesse capito con cosa aveva a che fare, non sarebberi riusciti a ripartire, e forse, visto che lei non sembrava in grado di capire lui, per quella volta poteva essere lui a fare un passo verso di lei.

«... Sapevo che ti avrei trovata qui».

Il sussurro di Soul le fece alzare la testa, lentamente. Maka aveva sentito la sua anima avvicinarsi, prima agitato, poi arrabbiato, poi di nuovo agitato.

«Non so cosa mi sia preso», mormorò lui, affondandosi la mano nei capelli della nuca e guardando a terra. «Mi dispiace. Sul serio».

«Soul». Attese che lui alzasse lo sguardo, per continuare. «Vuoi essere davvero la mia Buki?».

La Death Scyte spalancò gli occhi. «M-ma certo che voglio essere la tua Buki! Che domande dal cavolo fai?».

Maka si alzò, e si strinse nelle spalle.

Era un salto nel buio. Aveva il cinquanta percento di possibilità che Soul reagisse positivamente e il cinquanta percento che la rifiutasse, inorridendo.

Lo guardò negli occhi, fissa, scrutando. Non vedeva il fondo di quell'abisso, non sapeva nemmeno se il fondo ci fosse davvero, ma si buttò comunque.

Dopotutto, non era lei, quella disposta a mettere in gioco anche la propria vita?

«... C'è una cosa che devi vedere».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

________

Zan zan zaaaaan!

No, non guardatemi così per favore, ho dovuto fermarlo sul più bello. Apprezzerete di più quello che sta per succedere se viene narrato dal punto di vista di Soul u.u

 

L'angoscia ha ripreso la sua parte di protagonista in questo capitolo, per l'orrore di tutti (io per prima) ma purtroppo nemmeno Maka - o meglio, questa Maka, che per come la vedo io nasconde molto più di quanto non voglia ammettere anche a sé stessa - ne è immune. Finirà di certo, ma non saprei dirvi esattamente quando. So che è pesante vederli così, ma ho pronte in riserva un paio di one-shot che alleggeriranno la tensione. Non appena saremo a un punto della trama che mi permetterà di pubblicarle, mi assicurerò che vi facciate due risate :D

 

Altra cosa che vorrei commentare è che ho cambiato un po' il mio stile di scrittura, e dalle recensioni dello scorso capitolo direi che traspare xD voglio rassicurarvi, non credo che continuerò in questa direzione: per quanto mi piaccia la narrazione cadenzata e ripetitiva, so che è pesante da leggere. Quindi la tattica sarà la seguente: prima scrivo usando tutta la mia più estrema melodrammaticità, poi alleggerisco il più possibile, mantenendo le parti migliori. In questo capitolo ho fatto così, e il risultato non mi pare malaccio. Spero comunque di non essere risultata troppo pesante... ma questo dovete dirmelo voi! XD cosa si respira in questo capitolo?

 

Voglio infine dedicare un ringraziamento speciale a tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo per le bellissime parole che mi avete rivolto e per l'apprezzamento che avete dimostrato, mi avete davvero riempito il cuore di felicità ç.ç

Un grazie di cuore anche a chi legge, segue e preferisce! Fa piacere sapere che la mia fic intrippa così tanto, mi fate sentire che sto di portando avanti qualcosa di bello *^* grazie grazie grazie!

 

High five, buone vacanze e al prossimo aggiornamento! :D

 

 

 

~ BBS

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Le Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
 
Capitolo 11
 
 
 
 
 
«... C'è una cosa che devi vedere», aveva sussurrato Maka.
Soul rimase immobile, esattamente in mezzo al piccolo corridoio creato dagli scaffali della biblioteca, preso da una leggera claustrofobia.
La Technician aveva la faccia di una che aveva commesso un omicidio e lui aveva l’impressione che stavolta non si trattasse di una semplice scenata. Questa volta non avrebbe affrontato la sua depressione per un test andato "male" - avrebbe voluto ammazzarla quando si era lamentata di quel 99/100 - o la sua rabbia per le volte in cui aveva trovato la costa dei suoi libri di brossura spaccati in più punti… proprio da lui.
«Ho detto che riesco a controllare il mio sangue nero», continuò lei, deglutendo, e lui perse il filo dei suoi pensieri, catturato dall'espressione tesa della Tech.
Maka stese il braccio destro, chiuse gli occhi.
Iniziò dalla punta dai polpastrelli: il nero si stese come un guanto di colore lungo le dita, inghiottendo la mano, ricoprendo il polso, vestendo una parte del braccio sottile.
Soul pensava fosse tutto, poi, dopo una smorfia di dolore, le unghie di Maka si allungarono in artigli che si fusero con le dita e che crebbero leggermente ricurvi, arrivando a sfiorare il pavimento.
Non… non era possibile che la sua infezione si fosse estesa così tanto. Nemmeno lui era in grado di fare qualcosa del genere, e lui era stato infettato in modo diretto, una cicatrice che gli tagliava in diagonale il torace glielo ricordava ogni santo giorno!
A cosa era servito sacrificarsi, se non aveva potuto limitare i danni?!
«... Secondo Stein potrebbe essere iniziato tutto durante una battaglia. Dovevamo essere stati feriti entrambi e il nostro sangue deve essere entrato in contatto. La sincronizzazione ha fatto il resto. Da quella volta, ogni volta che sincronizzavamo le anime, il sangue nero nel mio corpo reagiva, e più tu lo usavi a nostro vantaggio più io diventavo sensibile».
Maka non lo aveva guardato negli occhi per tutta la spiegazione, lasciando trasparire soltanto una traccia di dolore dal modo in cui si stava tenendo stretta lo stomaco con il braccio sano, come avesse paura di andare in pezzi da un momento all'altro.
La ragazza ebbe un brivido che partì dalle dita nere.
«... La situazione è peggiorata quando ho iniziato a stare con Zoey, lei non riesce a controllare il sangue nero. L'infezione non è mai realmente aumentata, ma sospetto di aver risentito così tanto della vicinanza che anche se la mia infezione era minima ha finito per diventare di un genere molto più potente».
Soul non riuscì più a staccare gli occhi da quegli artigli. Qualcosa, e sapeva benissimo cosa, era attirato da quelle lame affilate. Lui, invece, ne era ripugnato. Era colpa sua. Era tutta colpa sua.
«Avrei dovuto dirtelo subito, non appena ti ho visto», singhiozzò lei, passandosi il braccio sano sulla faccia, nascondendogli per un secondo gli occhi. «Ma se Kidd lo scopre, non ci permetterà mai di tornare insieme».
«Maka…», la chiamò, senza sapere nemmeno perché, facendo un passo nella sua direzione.
«Fermo!», esclamò lei, salvo poi tapparsi subito la bocca con la mano.
Soul si bloccò.
Restarono in silenzio, in attesa. Erano in una biblioteca, in fin dei conti, anche se talmente arroccati e nascosti che ci avrebbero messo un po’ a trovarli e a riprendere il loro comportamento inappropriato. Non che a lui fregasse un accidente. Fosse stato per lui, in quel preciso momento avrebbe sfasciato ogni cosa fosse a portata di falce.
«Fermo», ripeté lei, sottovoce. «Questo sangue nero genera onde di pazzia altamente instabili. Non posso sapere che effetto potrebbero avere su di te».
«Beh, meglio scoprirlo adesso che davanti a Kidd», le fece presente con una lucidità con cui sorprese anche sé stesso, e più deciso che mai si avvicinò.
«Soul…». Lo stava davvero mettendo in allerta?
Le si fermò a un palmo dal naso. Il braccio con gli artigli le tremava.
«Come fai a fermarlo?», respirò il ragazzo.
Aveva i polmoni stretti in una morsa, la voragine che si allargava ogni secondo di più e una nenia insopportabile in testa: il suono della loro sincronizzazione.
«Di solito mi ci vuole parecchia concentrazione. Con la forza di volontà posso far regredire la pazzia», spiegò lei, con un volume di voce talmente basso che lui dovette piegare la testa in avanti per sentirla. «Oppure basta che Zoey mi tocchi. Le mie onde anti-magia si attivano di riflesso, e fermano anche il mio…».
Soul le afferrò il polso, di scatto, prima che lei potesse ritrarsi e scappare ancora. Sentì esplodere qualcosa dentro le vene, di ghiacciato e poi bollente, la pazzia vecchia nemica che infuriava all'improvviso e le onde anti-magia di Maka che combattevano per mantenerlo lì con lei.
Si fissarono.
Avrebbe ringraziato tutti i numi dell’universo quando fosse stato solo, poco ma sicuro.
«… Visto?», le disse, sorridendo a fatica. «Stesso effetto. Probabilmente anche più rapido, visto che io e te siamo stati sincronizzati completamente».
Maka era sconcertata. Pallidissima. «Funzionerà...», mormorò. Un attimo dopo, con un sorriso un po’ folle, ripeté: «Funzionerà».
«Certo che funzionerà», concordò Soul, senza lasciarle il polso. Doveva toglierle quell’espressione dalla faccia. Non le si addiceva neanche un po’. «Siamo io e te, come potrebbe non funzionare?».
Gli occhi della Tech diventarono lucidi. Il tono che gli era uscito era molto più dolce e molto meno strafottente di quanto non avesse voluto.
Il brontolio del suo stomaco riuscì dove lui aveva fallito, riportando entrambi a una realtà molto più pratica e meno preoccupante.
«Ritorniamo in mensa», Maka rispose con un cenno di assenso alla domanda che non le aveva posto, ora con un sorriso molto più umano a rasserenarle il viso.
Le lasciò il polso per permetterle di asciugarsi la faccia.
Da quel momento in poi, Soul non le staccò gli occhi di dosso. Temeva che lasciando Maka un altro minuto da sola avrebbe iniziato a pensare, a ragionare e poi a rimuginare, finendo in chissà quale circolo vizioso di logica masochista la cui conclusione postulava l'assoluta necessità di far rimanere lui all'oscuro di tutto quello che le stava capitando.
Quindi, nello stesso modo in cui non riuscì a non lanciarle continue occhiate di sottecchi mentre ripercorrevano i corridoi per tornare in mensa, così tenne le antenne ben ritte mentre Maka conversava come niente fosse con Zoey e con il fratello imbecille. Che imbecille Milo doveva esserlo davvero, visto che era arrivato a chiedere alla Tecnichian se stava bene, quando si vedeva lontano chilometri che lei stava cercando di evitare a tutti i costi ogni genere di riferimento a ciò che era appena accaduto. Non gli aveva ancora tagliato la testa perché sapeva che Maka se la sarebbe presa a morte, senza contare il danno che avrebbe arrecato alla falce mocciosa, la quale in fondo non gli stava nemmeno troppo antipatica. Gli ricordava Maka da piccola.
Non riuscì a restare calmo nemmeno per le due ore successive, mentre gironzolavano per la scuola, in esplorazione con Zoey, ormai decisa più che mai a iscriversi alla Shibusen, e seguiti a ruota da Milo, sempre più frantuma-palle.
La mattina le era parsa determinata a tentare la sincronizzazione, ma cosa avrebbe fatto nel momento in cui si fosse resa conto di quanto potesse essere forte la pazzia? Quante probabilità c'erano che Maka finisse per arrendersi?
Non le avrebbe permesso di arrivare a quel punto, e non le avrebbe permesso di affrontare il sangue nero da sola. Nessuno meglio di lui poteva sapere quali effetti avesse, e anche se l'infezione di Maka era stata colpa sua, il minimo che potesse fare era darle i mezzi per proteggersi dalla pazzia, da dovunque provenisse.
Con quei pensieri era riuscito a trovare la determinazione di agire che gli mancava da un po', e senza la quale probabilmente non si sarebbe mai davvero presentato al campo di allenamento con lei.
Kidd arrivò in uno svolazzo di mantello allo scoccare delle quattro, esattamente all'ultimo rintocco della campana della Shibusen che segnava la fine delle lezioni.
«Finalmente siete puntuali!», commentò, leggero, lo Shinigami, seguito dalle sue Weapon. «È andato tutto bene?».
Soul lanciò uno sguardo a Maka, e ne trovò gli occhi; si era voltata anche lei a guardarlo. La sua espressione era insondabile.
«Sì, tutto bene», si assunse lui la responsabilità di rispondere, con un tono volutamente distratto.
Se proprio dovevano mentire, tanto valeva che lo facesse lui, sicuramente più abituato di lei a mascherare la verità.
«Maka?», la interpellò Kidd.
Quella richiesta di conferma diede particolarmente fastidio a Soul.
«C'è scappata una litigata... Ma nulla di preoccupante», rispose lei, simulando una stizza facilmente riconducibile alle loro discussioni stupide, di quelle che costruivano solo per non farla spuntare all'altro.
Maka doveva aspettarsi la domanda, probabilmente: se Kidd l'avesse davvero colta di sorpresa, come minimo sarebbe arrossita. E invece era stata talmente convincente da stupire persino Soul.
«Bene», lo Shinigami si rilassò, ignaro dei fatti. «Manca solo il dottor Stein, e poi potete cominciare».
«Come mai stiamo aspettando il professore?», chiese Maka.
«Voglio avere un quadro più chiaro possibile delle vostre anime, mentre vi riavvicinate...».
A Soul stavolta scappò una smorfia: non era riuscito a dissimulare per una seconda volta il fastidio. Non gli piaceva venire controllato mentre faceva qualcosa di tanto delicato e incerto come sincronizzarsi con la sua Tech. Era una cosa tra di loro. Tra loro due.
«Scusate il ritardo... Jack stava facendo un po' di capricci». Stein, apparso come sempre dal nulla, stava fumando una sigaretta. Dalle piccole rughe d'espressione sulla sua fronte, non era molto tranquillo. «Direi che possiamo cominciare?».
Un cenno di assenso dello Shinigami e Stein assunse il comando. «Maka, gentilmente, liberati dal Soul Protect. Non penso sia necessario mantenerlo ancora...».
«Certo», annuì lei, senza esprimere emozioni né dal tono di voce, né con il viso.
Soul si concentrò sulla percezione della sua anima.
Da che si erano ritrovati, aveva captato l'anima di Maka a flutti deboli silenziosi, ma a poco a poco si trovò investito da un gigantesco tsunami.
Era diventata più forte. Molto più forte, e intensa, e devastante.
L'anima di Maka aveva sempre avuto un afflusso particolare su di lui, un richiamo irresistibile, quasi come se lui fosse una falena e lei un faro in una notte di buio pesto. Averla vicina non solo aiutava Soul a rilassarsi, ma lo costringeva a tirar fuori il meglio di lui, soprattutto quando lui non era nelle condizioni per perseguirlo, quel meglio.
In quel preciso momento era lo stesso. Forse erano cambiati, forse non erano più loro e lui continuava a non vedere la sua anima, ma la sentiva, e proprio come aveva fatto in biblioteca si avvicinò a lei. Stavolta, senza muovere un passo, senza spostarsi di un centimetro, perché l'anima di Soul si allungò istintivamente verso di lei, agganciandola. Il flusso aumentò di intensità, attivando lo scambio di informazioni che avrebbe processato soltanto dopo giorni, settimane, mesi. Forse mai. C'erano stati atteggiamenti di Maka che non capiva, ragioni profonde e idee a cui non riusciva ad accedere, ma di una cosa era sicuro: lei era lei. E nessuna, mai, avrebbe potuto prendere il suo posto.
Strizzò gli occhi, dolorante.
Perché gli pareva che ogni osso si fosse tramutato in gelatina?
«Soul..?».
Obbedì al richiamo della sua Meister, sollevando le palpebre.
Il viso di Maka era sopra di lui, preoccupato. Oltre di lei, pareva esserci solo nero.
Il faro nel buio.
«Stai bene?», gli domandò.
Lui abbozzò un mugugno di assenso, sollevando la schiena e mettendosi seduto. «Dove siamo?».
«Non lo so», rispose lei, guardandosi intorno. «Non sembra la Dark Room».
Al solo accennare quel luogo, l'ambiente intorno a loro iniziò a tremare.
Si tirarono in piedi in un solo, rapido movimento, aiutandosi a vicenda, e si coprirono le spalle, mettendosi al contempo in posizione di attacco.
Soul aveva già sfoderato la lama della falce quando iniziò a capire di che cosa si trattava.
Le linee fino a poco prima fumose presero definizione e consistenza. Erano in una grandissima stanza nera dal pavimento lucido e altrettanto livido, con un numero infinito di porte laccate di rosso.
«Queste sono tutte porte per entrare nella Dark Room?», le riconobbe anche lei. «Perché ce ne sono così tante?».
«Non lo so».
Non sapeva esattamente cosa fosse successo quando il sangue nero aveva dilagato indisturbato, così come non sapeva se il diavoletto che abitava la Dark Room fosse ancora effettivamente lì. Negli anni, le poche volte che si era permesso il lusso di rifletterci sopra, aveva pensato che se ne fosse andato -  dopo la partenza di Maka non lo aveva più sentito parlare - ma ora che lei era tornata Soul aveva ricominciato a sentire i tipici brividi che accompagnavano il momento in cui si lasciava sfuggire la situazione di mano, accogliendo la pazzia.
Cosa che, a costo di morire, non avrebbe mai più permesso.
«Dobbiamo provare ad aprirne una», dichiarò Maka.
Si mossero verso destra, in direzione della parete più vicina, scegliendo una porta senza bisogno di mettersi d'accordo.
La vibrazione che scuoteva l'aria non prometteva nulla di buono, e aumentava man mano che raggiungevano la porta. Il ronzio divenne così alto nei pressi della porta, che Soul divenne paranoico. Bloccò Maka quando lei fece segno di volersi mettere in prima linea.
«La apro io», dichiarò, duro. «Stai dietro di me».
Attese che lei si facesse da parte, ignorando la fulminata che gli aveva lanciato.
Maka poteva essere tutto, tranne che stupida. Sapevano entrambi che quello doveva essere un territorio dell'anima di Soul, e che sarebbe stato più sicuro che fosse lui a parare i primi colpi, se ne fossero arrivati.
La Tech chiuse gli occhi, evocò gli artigli neri e accennò affermativamente.
La Weapon afferrò bruscamente la maniglia, tenendo sollevata la lama della falce per mantenere una difesa alta.
«Pronta?», sibilò.
«Quando vuoi», replicò lei. Lo sentiva dal tono che aveva la mascella serrata dalla concentrazione.
«Al tre aprirò del tutto la porta», annunciò, perché si preparasse al meglio.
«Va bene».
«Uno...».
«Due».
«... Tre».
Ma fu lui, a rimanere interdetto, mentre un muro di mattoni rossi ricambiava innocente il suo sguardo.
Poi, solo il suono schioccante di un elastico, le ossa che erano tornate gelatina, e prima che potessero reagire, furono sbalzati via.
Riaprì gli occhi un attimo dopo.
Erano ritornati alla Shibusen.
«Cosa è successo?!», esplose Maka, dando voce anche ai suoi pensieri.
«... Vi siete sincronizzati... e dieci secondi dopo, vi siete respinti a vicenda», rispose Stein, con gli occhi socchiusi nello sforzo di studiarli, probabilmente.
«Cosa?!», sbottò Maka, perdendo del tutto ogni minima traccia del contegno che aveva mostrato prima di iniziare la sincronizzazione. «Ma non è successo niente! Non stava succedendo niente! Era tutto tranquillo!».
«... Forse stiamo correndo troppo», considerò Kidd, dopo aver analizzato i loro volti. «Non riuscite a controllare le vostre anime quando siete l'uno nei pressi dell'altra».
«Ma Shinigamisama..!».
«Maka, ha ragione». Soul abbassò la punta della falce e la ritrasmutò in braccio. Lo schiocco che aveva sentito era stato identico a quello con il quale si era desincronizzata da lui, con la strega Mirona. «Lasciamo perdere, per...».
Non conclusa la frase perché finì a terra, con un dolore inaspettato che si diffondeva rapidamente dalla parte sinistra del volto al resto della faccia. Si sentì il sangue in bocca.
Che diamine..?!
Gli aveva tirato un cazzotto di una furia inaudita!
«Finiscila di fare la vittima!», Maka gli urlò contro non appena rialzò lo sguardo, sbalordito e dolorante. «Sei una Weapon, l'ultima Death Scyte dello Shinigami, e se ci sono riuscita io a tenere a bada la pazzia, puoi riuscirci benissimo anche tu!».
Colpito e affondato. Letteralmente.
«Makasan...», tentò di intervenire Stein, ma la Technician era già partita in quarta, in direzione del bosco, evidentemente troppo infuriata per fare caso ad alcunché.
«Non ha perso nemmeno la vena violenta, vedo...», sospirò Kidd, scuotendo la testa affranto.
«Ne avevate qualche dubbio, Shinigamisama?», fece Stein, neanche tanto sottilmente ironico.
«Vado a recuperarla», borbottò Soul, facendo perno su una mano per rimettersi in piedi. «Datemi solo qualche minuto».
 
 
 
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Dunque. Ok. Cioè, no, ok un corno! Le scuse, prima di tutto.
Non voglio guardare quanto tempo è passato dall'ultimo aggiornamento perché fondamentalmente so che ne è passato veramente troppo; ovviamente io e le mie promesse di essere puntuale e mantenere gli aggiornamenti regolari sono andati a farsi f… friggere.
L'unica cosa che posso dirvi è che mi spiace da morire; questa estate è stata abbastanza frenetica e esami, novità nella mia finora inesistete vita sentimentale e novità in casa hanno scombussolato me e la mia ispirazione. Spero possiate essere comprensivi, chiedo perdono in ginocchio in tutte le lingue che conosco (ne conosco cinque, vale qualcosa?), e cerco di rincuorarvi con l'idea che, succeda quel che succeda, andrò avanti è.é
 
Vi farà piacere sapere che è arrivato il momento di recuperare un giro che ho perso all'inizio della fic, tra il capitolo 3 e 4: il prossimo capitolo è un altro Soul-POV! Non avrete davvero pensato che mi sarei limitata a guardare questi due disgraziati perdere il controllo della prima sincronizazzazione senza spendermi in dettagli molto più specifici... ;D
Grazie mille a tutti quanti per leggere, seguire, preferire, commentare... man mano andiamo avanti diventate di più e io vi adoro tutti, sappiatelo ^-^
 
Un abbraccio!
 
 
- BBS
 
 
 
PS: che ne pensate di questo capitolo? Almeno un po’ vi è piaciuto? Fatemi sapere!

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