Le Mille Linee delle Lunghezze d'Onda di BlackBlueSoul (/viewuser.php?uid=144484)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Le
Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo 1
Maka
Albarn guidò la falce con determinazione,
focalizzando sull'obiettivo da colpire e ignorando rabbiosamente i
muscoli che
protestavano per colpa dell'ennesimo, ripetuto sforzo.
Nell'aria
si propagò il suono stranamente poco
secco di un pezzo di legno, affettato in due come se fosse burro.
Quando i due
ciocchi caddero a terra la ragazza sospirò di sollievo.
Alle
sue spalle, l'anziana signora per la quale
Maka aveva appena finito di tagliare quasi tre quintali di legna da
ardere si
profuse in inchini. «Grazie mille, Makachan! Senza il tuo
aiuto, non so come
avrei fatto ad affrontare l'inverno. Come posso sdebitarmi?».
«Non
ce n'è bisogno», le sorrise, un po'
affaticata, la ragazza, mentre puntellava la falce nel terreno e la
lasciava
libera di ritrasformarsi. «L'ho fatto con piacere, e ne ho
approfittato per
tenermi allenata».
Le
mani della Meister tornarono pallide, segnate
di calli, specialmente nell'incavo tra pollice e indice, dove
più spesso aveva imparato
a far ruotare l'arma con cui combatteva.
«Makasan,
Makasan, posso avere un dango?!».
Maka
abbassò lo sguardo, e lo abbassò di
parecchio.
Una
bambina magrolina, di nove anni, con i
capelli scurissimi raccolti in due codini stretti stretti e gli occhi
azzurro
ghiaccio la osservava supplice, le mani giunte.
«Chiedi
a Milo, Zoey...», le rispose, sbuffando
con finta seccatura, regalandole poi una carezza sulla testa.
«Sei andata alla
grande, te lo meriti».
La
piccola fece un sorrisone, poi si precipitò da
un ragazzo dai suoi stessi lineamenti, che era rimasto in disparte ad
osservare
la scena.
Meglio
non disturbare Maka mentre manipolava sua
sorella, soprattutto quando non aveva buone notizie da darle.
«Fratellone,
posso avere un dango?», Zoey ripeté
la domanda facendo un sorriso ammiccante, o almeno credendo di farlo, a
Milo.
Lui
le sorrise in risposta, e dopo aver ravanato
nella borsa che si portava sulle spalle, sganciò il tanto
reclamato cibo. «E
adesso sparisci, nanerottola!», la apostrofò,
facendole segno di allontanarsi
un po'. «Devo parlare con Makasan».
«E
che gli devi dire?», domandò Zoey, quasi
strozzandosi con un boccone troppo grosso che aveva addentato.
«Cose
da grandi».
«Sono
sempre cose da grandi!», replicò la bambina,
mettendo il muso.
L'effetto
era un po' tragicomico, visto e
considerato che la salsa dei dango si era sparsa tutta intorno alla sua
bocca,
e aveva le guance rigonfie di cibo.
Milo
non le rispose, incupendosi.
Zoey
intuì rapidamente che la conversazione non
sarebbe proseguita oltre e si fece distrarre dalle occhiate perforanti
di
alcuni bambini che la stavano fissando, per metà
meravigliati e per metà
terrorizzati, da dietro un muretto di pietre traballanti. Mentre li
raggiungeva
e attaccava bottone con loro, Maka rifiutava con gentile decisione i
soldi che
le venivano offerti dalla signora.
«Tutta
la fortuna che possa capitarti ti sia
favorevole!», si inchinò per un'ultima volta
l'anziana donna, prima di
salutarla e incamminarsi lentamente verso casa.
«Ti
servirà», commentò Milo, affiancando la
Tech.
Maka
spiegò di lato il capo, chiedendo
spiegazioni.
«Mentre
eri occupata, hanno chiamato quelli
della base», la informò Milo senza guardarla,
impegnato a controllare cosa
stesse combinando quella mina vagante di sua sorella.
«Che
vogliono stavolta?», sbuffò la ragazza,
rassegnata.
«Dicono
che devi trovare uno specchio e
scriverci sopra il suo numero. Ti
vuole parlare».
«Ah».
Milo
le lanciò uno sguardo.
Era
diventata pallida, tanto per cambiare. Ogni
volta che lo Shinigami la chiamava Maka sbiancava, quasi come avesse
paura di
venire rimproverata o condannata a chissà quale tortura. Non
riusciva ad
immaginare cosa lei potesse temere di aver fatto di male in quei tre
anni di
quasi totale abnegazione, sacrificio e dedizione al bene altrui...
«Ed è una
cosa urgente, perciò diamoci una mossa, l'ultima volta che
non lo hai
richiamato prima dei famigerati otto minuti...».
«Non
c'è bisogno che me lo ricordi», lo
interruppe lei alzando gli occhi al cielo. «Ho ancora gli
incubi la notte».
«A
chi lo dici...», borbottò Milo. Le
allungò
uno specchietto da donna. «È l'unico che sono
riuscito a trovare in questo
villaggio», disse, come se volesse scusarsi.
«Andrà
bene lo stesso...», mormorò Maka, più a
sè stessa che a lui.
Con
la punta del dito indice, la Meister scrisse
il numero dello Shinigami.
Shini,
shini, gorokushi...
Appoggiò
un angolo dello specchio quadrato
vicino all'orecchio, l'angolo opposto vicino alla bocca, a simulare
auricolare
e microfono di un telefono qualunque.
Sentì
quattro squilli, poi lo Shinigami rispose.
«In
linea».
La
voce di Death the Kidd ronzava parecchio,
forse per colpa delle interferenze che correvano tra un mondo e l'altro.
«Shinigamisama,
Maka Albarn a rapporto».
«Sette
minuti... Cominciavo a credere che non
avresti più richiamato», le fece notare il suo
superiore.
«Chiedo
scusa per l'attesa. Ero nel bel mezzo di
un lavoro, signore», disse la ragazza, sistemandosi lo
specchio tra testa e
spalla.
Iniziò
ad aprire e chiudere ripetutamente le
mani per cercare di scioglierle dalla rigidità che la
colpiva sempre dopo
l'utilizzato prolungato della falce. Quel fastidio era cominciato
quando aveva
ricominciato a sincronizzarsi, ma era sicura che non dipendesse da Zoey.
«Scuse
accettate. Ho un nuovo incarico per te».
E si
doveva trattare di qualcosa di grosso,
pensò la Meister, visto
che i dettagli le venivano forniti
dallo Shinigami in persona. «Sono a sua totale
disposizione».
«Stavolta
non si tratta di una delle solite
ricognizioni...».
A
Maka iniziarono a squillare in testa decine di
campane, tutte in estremo allarme. Il tono cauto di Kidd,
così insolito
rispetto a quello pratico con cui era solito parlare, le stava
trasmettendo una
brutta sensazione.
Sperava
di sbagliarsi...
«Ti
devo parlare a quattr'occhi».
«Posso
trovare uno specchio più grande, se è
questo il...».
«No,
Makasan. Il punto è che ho bisogno che
torni qui per poterne discutere».
... Ho
bisogno che torni qui.
Maka
sentì quelle parole riecheggiarle in testa
per un numero indefinito ma decisamente elevato di volte, prima che
acquistassero senso.
«Sul
serio?», sillabò alla fine, fissando nel
vuoto.
«Sì.
Ti rivoglio a Death City. Vorrei che
facessi rapporto già domani mattina, se possibile».
«Io...
V-va bene», balbettò lei.
«Ti
chiedo soltanto una prudenza: Soul Eater
Evans ne deve rimanere all'oscuro».
«Cosa?
Perché?!».
«Te
lo spiegherò quando arriverai qui. A presto,
Makasan».
La
linea venne interrotta bruscamente.
La
Technician continuò a fissare il vuoto per
una mezza eternità, prima di azzardare le parole:
«Ritorno a casa».
«Ma
se siamo appena partiti..?», la rimbeccò
Milo.
«No,
non hai capito», scosse la testa lei, che
senza rendersene conto si era stampata un sorriso a trentadue denti in
faccia. «Torno
a Death City».
Fu
il turno di Milo, prendere il colpo. «Cosa?!».
Maka
gli rivolse la sua attenzione, registrando
in fretta il cambiamento di espressione del ragazzo.
«Ma...
ma... e mia sorella?», sbottò infatti.
L'entusiasmo
della Technician si sgonfiò come un
palloncino bucato. «Milo...».
«Zoey
rimarrà senza Meister!».
Si
fissarono per qualche secondo.
«Non
sappiamo cosa mi chiederà», sospirò
alla
fine Maka. Il cuore le batteva rapido, ma non era nulla in confronto
alle
pulsazioni esagitate della sua anima. «Potrebbe essere
questione di un paio di
giorni. Magari meno...».
«E
se fosse di più? Se decidesse di
riassegnarti? Chi mi dice che non voglia riaccoppiarti con quella Death
Scyte,
ah?!».
A
Maka toccò deglutire, e distolse lo sguardo,
in preda a ricordi dal gusto amaro. Non riuscì a dirgli la
verità, e cioè che
era semplicemente impossibile che Kidd permettesse a lei e a Soul di
sincronizzarsi di nuovo, ma il ragazzo che aveva di fronte fraintese il
suo
silenzio per senso di colpa, e proprio lì cercò
di fare leva.
«Mia
sorella ne ha passate troppe per essere
abbandonata di nuovo», Maka.
«Non
scaricare su di me responsabilità che non
mi spettano», sibilò immediatamente lei, intuendo
la sottile accusa che lui le
stava rivolgendo. «Sapevate entrambi, meglio di me, che la
mia presenza qui era
temporanea... E inoltre, non posso rifiutare un ordine
diretto».
«Promettimi
che tornerai qui», le disse.
Déjà
vu.
Maka
fu la prima a cedere la lotta di sguardi,
ma stavolta la sua risposta fu diversa rispetto a quella data in
passato. «Lo
sai che non posso».
«Allora
lo spiegherai tu a Zoey», la assalì.
«Glielo
dirai tu che te ne vai e le terrai
tu la mano finché non
avrà smesso di
piangere!».
Ma
non ottenne l'effetto sperato. Nonostante
fino a quel momento Milo avesse sovrastato Maka con la sua stazza nel
tentativo
di metterla in soggezione, lei non si era mossa di un millimetro,
né
fisicamente né psicologicamente.
Il
ragazzo fece un passo indietro. «... Io sono
stanco di distruggerle ogni sicurezza».
«Non
c'è bisogno che tu lo faccia. Venite con me»,
replicò Maka. «In questo modo, non dovremo
separarci».
«Non
ci provare», la ammonì lui, improvvisamente
furioso. «Non ti permettere di illuderla».
«Milo,
finiscila», sbottò Maka. Aveva perso la
pazienza. «Non sto cercando di illuderla, sto cercando di
fare la cosa migliore
per tutti. Se, come credo, Kidd vuole solo parlarmi allora non ha senso
che ci
separiamo...».
«E
se lo Shinigamisama avesse altri piani?
Perché dovremmo venire con te?».
«Perché
alla Shibusen Zoey ha molte più
probabilità di trovare un technician che non qui»,
replicò, pratica.
Milo
non se lo aspettava. «Io...».
Lei
sospirò: «Senti, se sono i soldi il problema,
pagherò io».
«Nemmeno
tu navighi nell'oro a quanto mi risulta».
Maka
lo trafisse con lo sguardo, ed anticipando
possibili proteste chiamò Zoey a voce alta.
La
bambina, nonostante le proteste dei ragazzi
che incuriositi l'avevano finalmente avvicinata, salutò
tutti e trotterellò
allegra verso suo fratello e la sua Meister.
«Quello che ti
risulta e quello che è realtà
potrebbero essere due cose molto diverse»,
sussurrò la ragazza, fissando Zoey
avvicinarsi. «Stampatelo bene in testa, Milo».
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Le
Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo 2
Soul
Eater Evans parcheggiò con
calma figaggine la sua moto arancio, scassatissima ma di grande valore
affettivo, in una rientranza della piazza della Shibusen.
A
differenza del solito riuscì
a non attirare troppe attenzioni; gli studenti si stavano godendo i
raggi
solari di quella giornata stranamente calda per fare troppo caso
all'arrivo dei
professori. I più piccoli stavano giocando a nascondino, si
rincorrevano o si
infilavano per scherzo tra le gambe degli adulti; gli altri sollevavano
un
chiacchiericcio ritmato davvero piacevole all'udito.
La
Weapon inforcò gli occhiali
da sole e si avviò pigramente verso l'entrata della scuola.
Sentiva
qualcosa volteggiare
nell'aria, a parte le ultime foglie caduche e l'entusiasmo degli
studenti, ma
non fece in tempo ad associare quella sensazione ad alcun ricordo
preciso che
venne distratto dalla presenza dell'anima di qualcuno di poco gradito.
«Sasha?!».
Che
diamine ci faceva lì la
Tech con cui aveva avevo la brillante idea di allenarsi per poco
più di due
giorni, prima di andare a rifugiarsi disperato da Stein?! Non sarebbe
dovuta
essere impegnata in una missione... dall'altra parte del mondo, tanto
per dirne
una?
«Soul!»,
replicò la bruna in
questione, facendo rimbalzare le tette per cui lui aveva immediatamente
perso
la testa, mentre si avvicinava. Sembrava un tantino offesa.
«Non mi hai più
richiamata!».
«Ho...
avuto da fare», si
giustificò lui sfoderando il suo miglior sorrisetto
strafottente, provocazione
bastarda che aveva scoperto essere invincibile per disfarsi di una
ragazza.
Per
la prima volta fece
cilecca.
Sasha
fece un sorrisone. «Mi fa
piacere vederti. Mi sei mancato davvero un sacco...».
E
a quanto pareva non era
l'unica: fin troppo rapidamente, un esercito semiurlante tutto al
femminile
iniziò a radunarglisi intorno.
La
Weapon aveva totalmente
dimenticato quanto odiasse non riuscire più a passare
inosservato. Prima la
conquista del titolo di Death Scyte, poi la partenza di Maka, infine la
sua
formale assunzione come esercitatore delle classi della Shibusen gli
avevano
fatto conquistare una fama che faceva quasi invidia a quella di
Black*Star. Le
ragazze più intraprendenti non mancavano un'occasione per
assediarli, e Soul
quella mattina era stato così sovrappensiero da dimenticarsi
di evitarle.
Certo, non che alle volte il bagno di folla non gli piacesse, ma per un
lunghissimo attimo si chiese se non esistesse un modo indolore e
temporaneo di
cedere la sua faccia a qualcun altro pur di essere lasciato in pace per
un po'.
Nel
marasma generale di anime
sovraeccitate Soul venne sfiorato da una nota, una sola, e suonata una
sola
volta. Il suo orecchio esperto si voltò immediatamente nella
direzione da cui
era provenuto il suono, ma i suoi occhi non furono abbastanza rapidi da
individuare la testa biondo cenere prima che quest'ultima scomparisse
oltre
l'ingresso principale della Shibusen.
«Scusate,
ma devo andare a fare
lezione!», fece buon viso a cattivo gioco, iniziando a farsi
strada
nell'ammucchiata di corpi che minacciava di stritolarlo.
Riuscì
a sgattaiolare via
soltanto quando Black*Star, con Tsubachi al seguito, fece la sua
apparizione
all'orizzonte, ossia poco meno di un minuto prima che la campanella
suonasse;
ed anche se avesse voluto provare a recuperare il suono che gli aveva
teso
l'anima Soul non avrebbe avuto successo: una valanga di mostriciattoli
dai
cinque ai dieci anni lo sommersero non appena mise piede nel campo di
addestramento all'aperto.
Era
mercoledì, il che
significava che avrebbe avuto le classi più piccole di tutta
la scuola a
tirarlo matto, sfuggendogli in un lampo da sotto il naso o distraendosi
con una
facilità disarmante. Da un punto di vista psicologico erano
i più pesanti da
sopportare, visto e considerato che attentavano ripetutamente alla sua
filosofia di vita calma e cool, ma quando riuscivano a ottenere i
risultati che
Soul sperava erano anche gli studenti che gli davano maggior
soddisfazione.
«Eater-sensei,
Eater-sensei!
Cosa facciamo oggi?», esclamò il bambino dal
sorriso facile di cui non
ricordava il nome, ma che lo aveva sempre colpito per la insanabile
curiosità.
Aveva
dieci anni ma non aveva
mai superato la fase dei "perché?" sparati a ripetizione.
Certe
volte una parte
particolarmente snervata di Soul avrebbe voluto strangolarlo, ma alla
fine...
«Se
mi lasciate andare, inizio
a spiegarvelo», fece presente, un po' seccato.
La
tabella che aveva
mentalmente stilato prevedeva che quel giorno i piccoli iniziassero a
prendere
confidenza con i rispettivi partner attraverso semplici esercizi di
equilibrio
che, oltre a divertire i bambini, avevano uno scopo più
sottile: testavare la
stabilità delle coppie e la loro fiducia reciproca.
Gli
ci vollero dieci minuti
buoni per recuperare il controllo della classe e un po' di
dignità, ma alla
fine riuscì nei suoi propositi.
«Cominciamo!»,
esclamò dopo
aver spiegato loro quello che dovevano fare.
Per
la prima volta da sempre un
gruppo aveva seguito le sue spiegazioni da capo a fondo,
perciò si sentiva
particolarmente fiducioso.
I
bambini si distribuirono in
modo omogeneo nel campo, senza allontanarsi troppo da lui. Si
appoggiò al
tronco di uno dei tanti alberi che delimitavano quella palestra
all'aperto e,
mentre li osservava iniziare, Soul pensò che se tutto fosse
filato liscio
magari avrebbe potuto rollarsi una sigaretta.
«Eater-sensei?».
Come
non detto. «Sì?».
Si
trattava del ragazzino con
cui aveva avuto quello scambio di battute a inizio lezione; aveva lo
sguardo puntato
a terra, ed era evidente che non era a suo agio. Di riflesso, anche
Soul si
sentì sulle spine.
«Ecco...
Io... Non ho ancora
un'arma...», mormorò il bambino. «E
Mitchell oggi è ammalato...».
La
Weapon diede una rapida
occhiata agli altri; erano tutti già a coppie. Alcuni del
gruppo avevano notato
la scena e stavano ridacchiando.
La
sua mente tornò indietro nel
tempo.
Era finito in un
gruppo di ragazzini della sua età, tutti
già con un partner. Lui era rimasto solo, in disparte, come
al solito. Non si
era aspettato che andasse diversamente: aveva passato la vita in
secondo piano,
di certo non sarebbe cambiato tutto solo perché si era
rivelato una sorta di
demonio affilato...
«Posso
giocare anch'io?»,
domandò una voce femminile dal timbro molto giovane,
riportandolo bruscamente
alla realtà.
I
due maschi si voltarono di
scatto e scandagliarono la nuova arrivata da capo a piedi.
Era
una bambina, ma sembrava
più una ninfa appena scappata dal bosco, rossa com'era in
viso; gli occhi blu
le brillavano di stupore e i capelli neri dondolavano al vento.
«E
tu da dove sbuchi?», le
chiese quindi Soul, sorpreso. «Non sei una studentessa della
Shibusen».
Forse
non era ancora riuscito a
imparare tutti i nomi dei suoi studenti, ma grazie alla tecnica
dell'associazione perlomeno si ricordava le loro facce: faceva
affidamento a un
indumento, a un nomignolo o a un particolare atteggiamento per
riconoscerli. Così
come sapeva chi fosse il bambino dalla spiccata curiosità di
fronte a lui, così
era certo che quella era la seconda
bambina con dei codini che aveva mai visto.
«No»,
confermò la piccola,
inclinando la testa di lato e sorridendo. «Sono appena
arrivata».
«Ho
capito, ma...».
«Zoey!
Zoey, dove sei?! Dannata
nanerottola, non appena ti ritrovo ti appendo a testa in
giù!».
La
bambina si irrigidì, eppure
qualcosa gli disse che non era veramente spaventata.
«Oh,
no! Mio fratello è già
qui!», si lamentò.
«Zoey!».
«Ti
prego, ti prego nascondimi!»,
lo supplicò colei che evidentemente rispondeva al nome di
Zoey. «Non mi farà
giocare con voi se mi trova!».
«Non
ci penso proprio!», sbottò
la Death Scyte. «Anzi...».
Tentò
di agguantarla per un
braccio, ma la piccola intuì immediatamente le sue
intenzioni e si trasformò in
falce, sfuggendogli per un soffio.
Anche lei...?!
Zoey
ritornò in forma umana un
paio di metri più indietro con un'agilità fuori
dal normale per una Weapon
della sua età, e dopo aver lanciato ai presenti uno sguardo
presuntuoso di
sfida iniziò a correre.
«È
una Weapon!», esclamò il
ragazzino, come stregato, e iniziò a rincorrerla.
«Aspetta, fermati!».
«Tu! Ehi! Dannazione!».
In
quel momento Soul capì a che
diamine servisse sapere il nome dei propri studenti.
Neanche
un attimo dopo che i
due erano spariti, al campo sopraggiunse un ragazzo con gli stessi
capelli neri
della bambina che aveva appena finito di portare scompiglio.
«Arrivi
tardi», la Weapon si
indirizzò al nuovo arrivato. «È
scappata in quella direzione».
Gli
fece un sorriso di scuse. «Grazie!».
«Non
è che saresti così gentile
da riportarmi lo studente che si è messo a correrle
dietro?».
«Eh?».
Cos'era,
imbecille per caso?
«Non
posso abbandonare la banda
a sé stessa», Soul indicò con un cenno
il gruppo alle sue spalle, nascondendo a
malapena l'irritazione.
«Mh...
Ok».
Il
ragazzo sparì dietro le
tracce della sorella, e Soul sospirò. Ovviamente gli
imprevisti aveva fatto
dilagare il caos tra i piccoli studenti, che avevano preso al volo
l'occasione
e avevano iniziato ad arrampicarsi sugli alberi.
Fu
costretto a minacciare che
se non avessero immediatamente ricominciato con gli esercizi li avrebbe
portati
vestiti in modo asimmetrico davanti a Kidd.
Stava
finendo di riacciuffare i
fuggiaschi quando qualcuno lo chiamò, dandogli del
professore: era il tizio di
prima, di ritorno con la sorella che aveva preso in groppa e con il suo
studente; gli ultimi due stavano ridendo.
«Eccoci
qui...», disse il
ragazzo, prima di rivolgersi al bambino: «Ti lascio nelle
mani del tuo
insegnante, Aaron».
«Ma
che ti è preso, eh?», lo
sgridò immediatamente Soul. «Non puoi
semplicemente prendere e andartene quando
ti pare e piace!».
«Scusi,
Eater-sensei...»,
rispose l'altro a testa bassa.
Avrebbe
potuto affettarli
quando facevano le vittime. Sembravano così indifesi, ma lui
sapeva benissimo
quanto rapidamente si potessero trasformare in piccole pesti... Beh.
Almeno
aveva scoperto come si chiamava il bambino.
Soul
sbuffò. «Forza... Vieni,
ti faccio io da partner per un oggi».
Aaron
alzò la testa. «Davvero?!».
«Sì.
In via del tutto
straordinaria, oggi farai pratica con me».
E
al diavolo le regole della
Shibusen. Era troppo innervosito per farci caso.
«La
ringrazio, signore»,
rispose Aaron, ma senza entusiasmo ora: il suo sorriso si era spento
mentre la
Death Scyte parlava. «Però...».
«Però
cosa?».
«Non
è che magari posso
esercitarmi con lei?», Aaron indicò Zoey.
Li
squadrò. Lo fissavano
speranzosi.
...
Maledetti marmocchi.
Non
poteva non ammettere che
essere stato scalzato da una novellina come quella, soprattutto
perché anche
lei falce, lo aveva lasciato basito, ma alla fine gli fece comodo che
ci fosse:
se poteva, evitava di mantenersi troppo sulle lunghezze d'onda degli
studenti,
onde evitare spiacevoli incidenti come quelli che erano accaduti a lui
e a
Maka quando avevano
imparato a
sincronizzarsi.
«Beh...
Immagino che se è solo
per questa volta si possa fare...», Soul si grattò
la testa.
Sperò
solo di non avere una
lavata di capo per aver lasciato che uno studente della Shibusen
facesse troppa
amicizia con una bambina appena arrivata alla scuola.
«Grazie!»,
esclamarono i due.
«Datevi
una mossa, siete già
indietro rispetto agli altri».
Mentre
Zoey e Aaron si
fiondavano a fare coppia in mezzo agli altri piccoletti, la Death Scyte
lanciò
uno sguardo eloquente verso il ragazzo che non si era ancora
presentato, in
attesa di spiegazioni.
«Mi
chiamo Milo», disse
semplicemente l'altro, «e quella è mia sorella
Zoey. Siamo appena arrivati dal
Giappone... Scusa l'intrusione, non volevamo creare problemi».
Per
tutta risposta ricevette un
cenno vago. «Non importa».
Milo
fece un sorrisetto. «Sai,
è la prima volta che la vedo tanto entusiasta di essere la
nuova arma di
qualcuno...».
Soul
accese la sigaretta appena
rollata.
«...
Ehi, tu, scusa! È vero che sei una falce?».
Quando aveva
alzato gli occhi aveva trovato uno sguardo
incuriosito e un paio di codini biondi a fissarlo. Stranamente non si
era
sentito sotto esame, e così non aveva avuto bisogno di
mettersi sulla difensiva
rispondendo seccatamente.
Disse solo:
«Sì, è vero».
La ragazzina
aveva spalancato gli occhi, poi all'improvviso
era arrossita violentamente.
«Non
è che vuoi essere la mia Weapon? Io sono una
Meister».
L'aveva studiata
per qualche secondo, e anche lui era
arrossito un po'. Fare coppia con una femmina non sarebbe stata la
scelta che
avrebbe preso, ma qualcosa nel modo in cui lo stava guardando gli
piaceva...
Era una femmina, sì, ma non aveva l'aria da femmina.
Per vedere se
aveva ragione, Soul si alzò in piedi e le tirò
entrambi i codini.
«Ehi!»,
urlò lei, infuriata.
Dal nulla,
l'altra recuperò un libro molto grosso e glielo
tirò in testa.
No,
pensò Soul massaggiandosi il bernoccolo, decisamente non
era una femmina.
«Perché
l'hai fatto?!», gridò lei. «Io ti ho
solo chiesto
una cosa!».
«Volevo
solo vedere se eri abbastanza cool per essere la mia
compagna...».
L'altra
aggrottò le sopracciglia. «Che vuol dire essere
cool?».
«Vuol
dire essere fico».
«Ah»,
replicò. «E io sono cool?».
Soul fece
un'espressione seriosa. «Sì, direi di
sì».
«Davvero?!»,
lei gli aveva fatto un sorriso grandissimo. «Allora
siamo una squadra!».
Soul
sorrise di rimando,
tirando una boccata.
«...
Il solito miracolo della
Shibusen».
_____________________
Salve a
tutti. ^.^
Ammettetelo,
non vi aspettavate che aggiornassi così presto!
Il segreto
è
che ho steso già qualche capitolo, quindi, almeno per
qualche settimana, dovrei
riuscire a essere abbastanza regolare. Sempre che non mi venga un
attacco di fa-tutto-schifo! acuto,
e che non decida
di riscriverla (tranquilli, non
succederà).
Suppongo che
una piccola introduzione - a fine secondo capitolo, ovviamente, se no
che
introduzione mai sarebbe?! - sia utile: si tratta di una fanfiction a
cui
dedicherò i buchi di tempo tra un esame universitario e
l'altro, perciò potrebbe
succedere che passi dal più alto tasso di
demenzialità mai visto al più tetro e
disperato dei momenti... A seconda dei miei voti, mi par chiaro u.u
Tocca fare anche
le prime precisazioni/spoiler. Invito coloro che hanno visto soltanto
l'anime
di Soul Eater di non leggere le prossime frasi nel caso in cui
volessero
leggere il manga; in caso contrario, è bene che sappiate
alcune cosucce o non
vi ritroverete con la trama. Per chi ha letto solo il manga o, come la
sottoscritta, è talmente malato da aver speso un sacco di
tempo facendo
entrambe le cose, lo spoiler non è più uno
spoiler, ma sono informazioni che
magari vanno rinfrescate :D
Primo spoiler: lo Shinigami è
morto. Sì, lo so, lo so
che è un duro colpo. Mi dispiace. *pat, pat*. Anche io ho
pianto. Il suo posto
è stato preso da Kidd, cosa decisamente molto sensata, visto
e considerato che
è un po' dura avere due dei della morte che si contendono le
vittime, non vi
pare? Comunque, lo Shinigami resterà sempre nei nostri cuori
u.u
Prima precisazione (sì, voglio essere
ordinata anche nelle
precisazioni): Maka non è
una Weapon.
Tenetelo ben presente.
Mi
piacerebbe sentire un po' dei vostri pareri: che ne pensate, se
è troppo lungo
o troppo corto, se i personaggi vi sembrano OOC, se scrivo da cani o
sono il
nuovo Dante (ne dubito fortemente), se ci sono incongruenze che a me
sono
sfuggite. Mi sbilancio: basta anche una parola, ad esempio "bello" o
"brutto", seguita da una virgola, seguita dal motivo per cui avete
scelto il suddetto aggettivo. Così riesco almeno a capire se
vi possa
interessare, e se mi fate delle critiche (possibilmente non
distruttive) posso
raddrizzare il tiro :D
Grazie mille
a tutti coloro che hanno letto e a chi vorrà spendere un
minuto a recensire.
Al prossimo
aggiornamento!
BBS
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Salve
a todos!
Allora,
sfortunatamente ho mancato
l’aggiornamento di lunedì scorso causa esami
– due in tre giorni, capitemi –
quindi aggiorno solo ora. Chiedo perdono >.<
Questa
volta mi tocca fare le precisazioni in
anticipo, o vi perdereste dei piccoli particolari disseminati nel testo
u.u
come al solito, se avete visto l’anime ma non avete letto il
manga, oltre a
consigliarvi di spendere del tempo per leggerlo, vi invito a leggere
quanto
segue :D
Precisazione 2:
Il Kishin non è morto!
Eh, già. Nel
manga, dopo essere scappato dalla Shibusen grazie a Medusa, Elka Frogg
e Free,
va a nascondersi sulla Luna. Sorvolando su tutto quello che
c’è di mezzo – tanto
per dirne una, l’intervento delle streghe a favore dei nostri
eroi – sappiate che
il Kishin viene infine fermato da Chrona, il quale tentando di
inglobarlo e
possederlo viene prima sopraffatto impazzendo del tutto (personalmente
considero Chrona un maschio) e poi con l’aiuto di Maka e Soul
riesce a
“trattenerlo” in una gigantesca corazza sferica di
sangue nero (cosa che viene
ripresa nell’anime in modo pessimo).
E nella suddetta corazza c’è la Luna, quindi
niente più Luna inquietante su
Death City, ma solo una gigantesca palla nera D:
Prossimamente
ci saranno altre precisazioni.
Inizialmente avevo pensato di stilare un listone di precisazioni e
somministrarvele in una volta sola, poi ho pensato che sareste andati
in
pallone per la quantità immane di informazioni, quindi
facciamo poco per volta.
Spero solo di non combinare un casino confondendo le cose XD
Ringrazio
chi mi segue e chi legge silenzioso...
Aspetto
recensioni!
Buona
lettura :D
Le
Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo 3
Maka
si osservò intorno senza timidezza,
concentrando l'attenzione più sul paesaggio che sul turbinio
delle anime
sovraeccitate.
Mentre
si incamminava per le stradine che
l’avrebbero condotta alla sua vecchia Scuola le aveva fatto
strano pensare che
erano passati già tre anni da quando aveva lasciato alle sue
spalle Death City,
eppure non trovò assolutamente nulla, di strano, nella
costruzione imponente ma
accogliente che si stagliava contro il cielo azzurrissimo e terso. Per
chi
aveva imparato a conoscere il lato irriverente della Morte, l'ergersi
maestoso
della Shibusen non faceva altro che acutizzare la nostalgia di casa...
«MAKA!».
Sorrise,
riconoscendo l'esplosione d’entusiasmo
di quell'effervescente anima da egocentrico Dio mancato, e prima ancora
che
Black*Star emergesse dalla folla con un salto, alla ragazza passarono
davanti
le mille battaglie combattute fianco a fianco.
Il
ragazzo dai capelli azzurri aveva una nuova
cicatrice, curata da poco dato il colore ancora rosato, sotto
l’occhio destro.
Chissà in quale strambo modo se l’era
procurata… Sicuramente doveva essere
stato un effetto collaterale di attacco sferrato senza aver prima
riflettuto
troppo sulla tattica da seguire. Come al solito.
Il
sorriso le si allargò involontariamente. Anche
quel cretino, suo malgrado, le era mancato.
«Sei
tornata!», urlò intanto Black*Star, evidentemente
sconvolto, squadrandola da capo a piedi per ben due volte. «E
TI SONO CRESCIUTE
LE TETTE..!».
La
diretta interessata scoppiò a ridere,
scaricando l'imbarazzo, e subito dopo gli piantò un MakaChop
in mezzo agli
occhi. Fece un po' fatica a raggiungerlo: Black*Star era diventato di
una
spanna più alto di lei e superava, finalmente, la sua Weapon.
«Grazie
per aver reso il mondo partecipe
dell'avvenimento, Black*Star!», commentò Maka.
Tsubaki
evitò che il suo Tech rovinasse a terra
posandogli le mani sulle spalle, contrastandone la caduta.
«Ciao, Makachan! Mi
fa piacere rivederti così presto».
L’espressione
calorosa di Tsubaki le scaldò il
cuore: non aveva mai mancato di accoglierla così, neanche se
erano passate
poche ore dall’ultima volta che si erano viste.
«CHE?!»,
esclamò Black*Star, rivolgendosi prima
a Maka e poi alla sua Weapon. «Rivederti
così presto?! Che significa?!».
Tsubaki
si strinse nelle spalle. «Ci siamo viste
ieri sera per un tea al Death Café...».
«E
PERCHÈ NON ME L'HAI..?!».
«Perché
gliel'ho chiesto io».
Black*Star
buttò fuori il resto dell'aria che
gli sarebbe servita per concludere la frase, interrotto dalla freddezza
lapidaria di quella di Maka.
L’atmosfera
accogliente, all’improvviso, era un
po’ meno calda.
«E
perché?», la fissò l'assassino,
seriamente
per una volta.
«Perché
non mi andava di fare scalpore», rispose
la bionda, alzando gli occhi al cielo. «Ma alla fine, ci hai
pensato tu a far
diventare scenica la mia entrata...».
«...
Soul sa che sei qui?».
«No».
Maka non si sottrasse all’indagine visiva
di Black*Star. «E non deve saperlo, ancora per un
po’. Ordine di Kidd».
«Ti
ha chiamata lui?!».
Quel
ragazzo era così facile da distrarre... Ora
capiva come mai lui e Tsubaki ci avessero tanto a conquistarsi la loro
prima
anima. «Sì. Sembra che ci sia una tempesta in
arrivo».
Se
anche Maka aveva pensato che si stesse
sbagliando o che stesse percependo cose che effettivamente non c'erano,
essere
stata convocata con tanta urgenza aveva spazzato via tutti i suoi
dubbi.
Sentiva qualcosa pulsare intorno a lei, e un colpo impercettibile alla
volta
stava diventando inevitabilmente più forte.
«Noi
abbiamo una sessione di allenamento con il
Dottor Stein per le prossime due ore», disse Tsubaki,
distraendola dai suoi
pensieri. «Ma ci farebbe piacere averti con noi a
pranzo».
«Vengo
volentieri!», accettò. «Appena ho finito
con Kidd, vi raggiungo».
Una
volta scambiate le informazioni necessarie a
incontrarsi si salutarono, prendendo direzioni opposte e aprendo una
valle in
mezzo alla popolazione studentesca.
Maka
si sforzò di contenere la propria anima,
evitando di farla risuonare per andare alla ricerca delle frequenze
conosciute,
cosa che le stava costando parecchio in termini di concentrazione visto
che non
era mai stata in grado di sopprimere del tutto l'istinto di
sincronizzarsi con
la sua prima Weapon.
Si
disse che l'avrebbe raggiunto non appena Kidd
glielo avrebbe permesso, e che non avrebbe indugiato troppo sull'orda
di anime
femminili squagliate dalla sua accecante chioma bianca. L'avrebbe
soltanto
definito in assenza, come aveva
fatto
per tutto quel tempo, soffocando il desiderio di sentire nuovamente le
loro
anime vibrare sulle note della melodia bellissima che lui era stato in
grado di
far riecheggiare per ore nella piazza della Shibusen, quando Kidd era
stato
ufficialmente proclamato nuovo Shinigami.
Per
quanto si potesse castigare, comunque, la
percezione dell'anima lavorava a suo sfavore, facendole intuire quanto,
nel
tempo, anche l'anima di Soul si fosse raffinata.
Chiuse
gli occhi.
Forse
era solo lei, che dopo l'incidente lo
aveva dipinto diversamente; forse era solo lui, che almeno
inconsciamente
doveva averla avvertita aggirarsi nei paraggi e sondava intorno a
sé con la
sottile speranza di trovarla davvero; ma i brividi le corsero comunque
lungo la
schiena. Gli era talmente vicina che poteva quasi ascoltare la sua
anima, che
era così... così piena di tutto.
Le
influenze che avevano l'uno sull'altra avevano tratteggiato lunghezze
d'onda
stabili come pilastri millenari in mezzo al mare, e anche se alla fine
erano
stati costretti a sopprimerle, quelle erano rimaste lì,
sensibili, indelebili,
ansiose di riallacciarsi.
La
ragazza si sforzò di allontanarsi da quel
magnetismo, ignorando il dolore sordo che era rimasto spietatamente
costante
dopo che si era ritrovata costretta a staccarsi da lui.
Il
chiacchiericcio si acquietò una volta che le
porte della vecchia Scuola di Maka si furono richiuse dietro di lei,
lasciando
in sospeso soltanto un eco lontano.
Anche
se le sensazioni la stavano mettendo a
dura prova, evitò che il suo passo mostrasse esitazione,
procedendo spedita anche
una volta davanti alla porta che la separava dal suo capo e dalle sue
armi: la
spalancò e, contemporaneamente, fece rapporto.
«Sono
arrivata, Shinigamisama».
Kidd
era in piedi sul patio, vestito con un
mantello nero ma senza maschera. Anche lui era diventato alto, e dato
che non
sembrava essere ingrassato di un grammo, risultava allampanato.
Il
dio della morte piegò la testa di lato,
studiando l'ultima arrivata e mettendo involontariamente in risalto le
tre
linee bianche dei suoi capelli. «Ce ne hai messo di tempo,
Makasan».
«Solo
il necessario», ribatté prontamente,
accennando un inchino di riverenza per smorzare la frase un
po’ troppo brusca.
«Ciao
Maka! Bentornata!», la salutarono allora
in coro Liz e Patty.
Loro
due non erano cambiate molto, ed erano come
sempre vestite da cowgirls. Per l'ennesima volta Maka si chiese come
facessero
quelle due a gironzolare in quello stato quando iniziava a fare freddo:
qualcuno di sua conoscenza, nonostante fosse una Weapon come quelle
due,
iniziava a ricoprirsi di felpe già da fine agosto, per
evitarsi raffreddori.
«Ciao
ragazze. Mi fa piacere rivedervi», si
limitò a sorridere.
Accolse
quindi l'invito dello Shinigami e si
sedette sul divanetto di tessuto rosso al centro esatto della stanza,
mentre
lui iniziava a macinare kilometri a forma di grandi otto sul pavimento.
«Quindi.
Da quanto lo percepisci?».
Maka
non fu sorpresa da quel pragmatismo privo
di convenevoli, ma non poté evitare di sospirare.
«Consciamente da tre
settimane, ma se mi avesse convocata quando aveva iniziato a subodorare
qualcosa avrei potuto decifrare le lunghezze d'onda anomale molto
prima...»,
gli lanciò un'occhiataccia contenuta, visto e considerato
che ora non era più
un suo pari.
La
Tech non osava né dargli del tu né chiamarlo
con il suo nome di battesimo, anche se nella sua testa Death the Kidd
sarebbe
rimasto sempre Kidd.
«Qual
è la tua opinione a riguardo?», le
domandò.
Maka
lo fissò negli occhi. «Il Kishin si sta
risvegliando».
Le
Weapon di Kidd presero un colpo. Lui si
limitò ad annuire gravemente, registrando la risposta con
assoluta calma.
«...
Riesci a percepire Chrona?», domandò dopo
un po', sedendosi sull'altro divanetto.
Lei
sospirò. «Sì e no. La pazzia del Kishin
mi
impedisce di vedere chiaramente... Senza l'aiuto di Soul, le mie
percezioni
sono limitate».
«Capisco»,
commentò Kidd, annuendo più a a sè
stesso che a lei. «Makasan... Gli esami del sangue come sono
andati?».
«Al
solito. Nessun miglioramento».
«E
tu e Soul non...?».
«No».
Nemmeno
una telefonata. Neanche una lettera, o
una email. Niente di niente.
Kidd
fece un grosso sospiro.
Maka
distolse lo sguardo, trovando
improvvisamente interessante il tessuto del tappeto su cui poggiavano i
suoi
scarponi neri, e poi dalla sua bocca uscirono involontariamente le
parole: «Se
non ricordo male, era quello a cui puntavamo».
«Lo
so bene...», commentò lo Shinigami, e lei
sentì di essere sotto il suo sguardo attento. «Ve
l'ho ordinato io di
desincronizzare le vostre anime».
Nella
sala scese un silenzio tombale.
Le
occhiate incredule di Liz e Patty, entrambe a
bocca aperta, traforavano il cranio della Technician, che insieme ai
soli Kidd
e Soul era a conoscenza del vero motivo per cui se n'era andata. Per
tutti quanti,
infatti, lo Shinigami l'aveva spedita in Giappone a presidiare un
distaccamento
della Shibusen, sotto il pretesto che Soul, diventato Death Scyte, non
aveva
più bisogno di lei. E anche se nei corridoi si era sentito
bisbigliare che la
Weapon l'aveva presa malissimo e da allora i rapporti tra loro tre si
erano
congelati, nessuno aveva avuto il coraggio di approfondire la
questione.
Maka
cambiò discorso. «Che cosa pensa di fare
con il Kishin?».
«Ci
sto riflettendo», rispose lo Shinigami,
fissando il vuoto per qualche attimo prima di chiederle: «Poi
giudicare entro
quanto riuscirà a liberarsi?».
«Non
più di cinque mesi... Le mie previsioni
iniziali erano molto più ottimiste, ma parecchio distorte
dalla lontananza».
Passò
qualche minuto. Liz tolse la mano dalla
bocca di Patty, che le aveva premuto in faccia per impedirle di
interrompere il
botta e risposta serrato degli altri due.
«Perdona
se le mie domande sono risultate una
sorta di fastidioso interrogatorio, ma il tempo gioca a nostro sfavore,
e se
avessimo parlato della questione attraverso gli specchi avremmo corso
il
rischio di divulgare per sbaglio informazioni riservate»,
disse Kidd, rilassando
appena la postura rigida che aveva mantenuto saldamente fino a quel
momento. «Inoltre,
avevo bisogno di parere affidabile. Dopotutto anche io sono soggetto
alla
pazzia».
Un
angolo della bocca di Maka si piegò all'insù.
«Non ha bisogno di scusarsi, Shinigamisama. Capisco la sua
preoccupazione, e
credo che abbia agito nel modo più responsabile
possibile».
«Non
sei cambiata molto, vedo...», commentò
Kidd, un filino divertito dalle rassicurazioni della ragazza.
«A parte le tette».
Liz
e Patty lanciarono un urlo, e Kidd, molto
meno elegante e composto di prima, sbuffò aria di lato,
togliendosi una ciocca
di capelli dalla faccia. Puntava addosso a Maka un'espressione
vagamente
incredula: la lunghezza d’onda con la Tech cui aveva espresso
la sua stizza era
stata di una potenza estremamente elevata, insospettabile se si
considerava che
la sua anima non sembrava essere cambiata…
«Manipoli il Soul Protect?».
«…
Ho avuto modo di affinarlo in questi tre anni»,
sbuffò la Technician, alzandosi insieme allo Shinigami e
trattenendosi dallo
stiracchiarsi. Aveva bisogno di una doccia calda. Magari anche di un
massaggiatore. «Posso andare?».
«Certamente...
Solo un paio di cose. Per quanto
riguarda la prima... Liz, Patty», le chiamò lo
Shinigami. «Accompagnatela in
infermeria. Makasan ha degli esami da fare».
«Certo».
«Oook!».
Data
l'espressione seriosa di Kidd, Maka iniziò
a sospettare il peggio. «E la seconda...?».
«Preferirei
che tu e Soul non vi incrociaste
fino a domani mattina».
...
Per
l'appunto.
«Anzi,
a voler essere più precisi voglio che il
primo contatto avvenga qui, in questa sala, alle otto».
Maka
fece per ribattere, ma ingoiò la reazione
in un boccone che andò di traverso quando capì
che Kidd non avrebbe cambiato
idea nemmeno se l'avesse implorato in modo perfettamente simmetrico.
Si
rassegnò all'idea di prolungare a tempo
indeterminato la prenotazione nell'albergo in cui si era parcheggiata
la notte
precedente insieme a Milo e a Zoey, e fu inutile nascondere a
sé stessa la
delusione: sperava davvero di potersi riaccaparrare già quel
pomeriggio la
camera più illuminata dell'appartamento in cui aveva
convissuto con Soul.
«Come
vuole», annuì.
«A
domani, allora».
«Arrivederci»,
lo salutò con un inchino, e le
due Weapon la trascinarono via.
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Buondì!
Anche se è pomeriggio u.u
Come
da prassi vi invito a leggere lo spoiler se avete visto soltanto
l'anime di
Soul Eater e non avete intenzione di intraprendere la lettura del
manga; in
caso contrario, saltate le prossime righe ^.^
(Precisazione/Spoiler:
Stein e Marie stanno insieme e hanno un figlio. Zan zan zan! Nel manga
viene
accennato che i due avevano una relazione quando andavano a scuola
insieme, e
dopo aver passato del tempo sotto lo stesso tetto evidentemente hanno
ritrovato
la vecchia... sincronia, oserei dire. I personaggi si rendono conto
della
gravidanza di Marje in un modo davvero scemo... quella parte mi ha
fatta
sbellicare XD)
Buona
lettura!
Le Mille Linee
Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo 4
«E
con
questo prelievo abbiamo finito. I risultati arriveranno tra un paio
d'ore».
Maka
riabbassò la manica della maglia, stando attenta a non
staccare per sbaglio il
batuffolo di cotone idrofilo imbevuto di disinfettante che le era stato
fissato
sull'incavo del gomito con della garza medica.
«Così presto?».
«Shinigamisama
ha detto che queste analisi hanno la priorità assoluta,
quindi...».
Lo
sguardo di Nyngus, l'infermiera zombie, aveva un che di colpevole.
«Maka,
tutto
bene?», chiese Liz, vedendo la Tech esitare prima di scendere
dal lettino.
«Tutto
bene», la rassicurò la ragazza, combattendo
silenziosamente contro il leggero
giramento di testa che stava giocando con il suo senso dell'equilibrio.
«Niente
che non sia abituata ad affrontare, comunque».
«Se
vuoi
ti accompagniamo da Tsubaki e Black*Star», fece Patty.
Solo
la
serietà della Weapon più piccola fece notare a
Maka che le sorelle Thompson erano
particolarmente pallide.
Non
sapeva che erano alle prese con i ricordi: l'ultima volta che si erano
costrette
a entrare in infermeria era stato per assistere Kidd nella guarigione
dalla
lotta contro il Kishin, quattro anni prima: il loro Tech si era quasi
fatto
ammazzare, diventando Shinigami. Non era stato divertente. Anche se era
stato
simmetrico.
«Tranquille»,
rispose Maka, azzardando un sorriso. «Posso fare da sola. E
poi, voi dovete
tornare da Kidd...».
«Siamo
gli unici che lo chiamano ancora così»,
notò Patty, lanciando per un attimo uno
sguardo consolante alla sorella.
«Già»,
annuì Liz, che si stava torcendo le mani e che smise con uno
scatto nervoso. «Odia
che qualcuno lo chiami ancora così... Però lo fa
sentire ancora accettato dal
gruppo degli Spartoi, perciò alla fine credo che non gli
dispiaccia poi così
tanto».
Sorrisero.
«Cerca
di non affaticarti, oggi», fece presente Nyngus a Maka,
rispuntando da dietro
una tendina bianca un attimo prima che le tre ragazze uscissero
dall'infermeria.
«Con i prelievi di sangue non si sa mai».
«Ok»,
annuì al Tech. «Ci proverò».
«Allora...»,
la interpellò quindi Liz, attaccando bottone in corridoio.
«Come è stato
starsene in Giappone, in distaccamento?».
Maka
istintivamente soppesò la risposta.
«Istruttivo».
«Kidd
ha saputo che sei venuta con due altre persone...», aggiunse
quasi subito Patty,
che tentava di dissimulare l'interesse guardando il soffitto.
Fin
da
quando si erano conosciute, Maka aveva avuto l'impressione che Patty
avesse
molto più sale in zucca di quanto lasciasse intendere.
L'aveva vista spesso
nascondersi dietro atteggiamenti infantili quando era presente Liz, ma
le poche
volte che si erano incrociate da sole avuto sentore di un grande acume
e senso
di responsabilità dalle parole della Weapon... Cosa che le
era appena stata
confermata dal suo commento. Quella era la seconda parte
dell'interrogatorio
che Kidd non aveva potuto farle in modo formale, e se erano le sue
Weapon ad indagare
significava che lo Shinigami la stava tenendo d'occhio da molto vicino.
«Sono
una Weapon e suo fratello», ammise tranquillamente. Non aveva
nulla da nascondere,
in fondo. «La loro famiglia è stata spazzata via
dal Kishin. Diciamo... che mi sto
sdebitando».
La
Technician e le Weapon giunsero alla fine del corridoio. Da
lì in poi si
sarebbero dovute separare in due direzioni diverse, ma le sorelle
rallentarono
fino a fermarsi.
Probabilmente
non avevano ancora finito.
Fu
Liz
a esporsi. «... Sanno cosa c'è in
ballo?».
A
Maka
si stirarono le labbra. «No. Ma non potevo lasciarli in
Giappone. Avevano
bisogno di protezione, soprattutto la Weapon. È ancora
troppo piccola per
essere impiegata in una battaglia, e prenderla con me mi ha permesso di
tenerla
lontana da situazioni pericolose».
Patty
tossicchiò. «Ma non era quello che Kidd ti aveva
chiesto».
«Ho
lasciato un po' da parte la ricerca di streghe ribelli, lo so
benissimo»,
replicò la Technician, sulla difensiva. «Ma non
potevo fare finta di nulla.
Zoey è stata impugnata fin da quando aveva cinque anni, con
la scusa che la
pazzia stava dilagando. È viva per miracolo, e
già sapete grazie a cosa è
riuscita a sopravvivere».
Liz
e
Patty distolsero lo sguardo, un po' a disagio. Non che a Maka piacesse
particolarmente affrontare l'argomento, ma quando lo faceva non poteva
fare a
meno di domandarsi se le coincidenze non fossero tutte progettate da un
essere
superiore: quante probabilità c'erano che in esilio in
Giappone le piombasse
davanti un'altra falce infettata dal sangue nero?
«Riferiremo»,
fu alla fine la replica di Liz. «In ogni caso, ci vediamo
domani».
«Va
bene», sospirò Maka. «A
domani».
Attese
che le sorelle sparissero, battibeccando, dietro un angolo, prima
cogliere al
balzo l'occasione e dirigersi rapidamente ai sotterranei della scuola.
Non
ci
mise molto ad arrivare alla sua destinazione, sicura com'era della
strada da
percorrere: nel periodo di lontananza forzata l'aveva ripassata
mentalmente
migliaia di volte, ripromettendosi di confermare o confutare la sua
ipotesi non
appena fosse riuscita ad avvicinarsi di nuovo alla Shibusen senza
destare
domande scomode.
Maka
spalancò
quasi con rabbia la porta di quella che era stata la stanza di Chrona,
ritrovandola esattamente come l'aveva vista l'ultima volta: grigia,
spoglia e
vuota.
Entrò
e
si chiuse dentro. Analizzò rapidamente il piccolo ambiente
intorno a sé, come
per assicurarsi che letto, comodino e scrivania non si trasformassero
in mostri
pronti ad attaccarla, poi lasciò a poco a poco che le sue
abilità percettive le
dicessero qualcosa sul luogo dove Chrona si era diretto quando aveva
deciso di
scomparire.
Le
tracce si erano quasi tutte dissolte.
«Dannazione»,
sbuffò frustrata, sottovoce.
La
Tech
strinse i denti, seccata di dover ricorrere così presto al
piano di riserva.
Rilasciò
il Soul Protect per massimizzare i suoi sensi, e raccolse i residui
delle onde
d'anima che per ultime erano state presenti in quella stanza. A parte
quelle
dell'amico, Maka percepì quelle di Marje, la Death Scyte che
aveva affiancato
Stein dopo suo padre e, con sua immensa soddisfazione, quelle
debolissime della
strega Elga Frogg; con un po' più di impegno le arrivarono
persino quelle di
Medusa, ma a quel punto Maka si rese conto che aveva ampliato troppo il
raggio
di analisi.
Era
stata fortunata, non c'era dubbio. Dopotutto era difficile che Medusa
fosse
stata tanto distratta da dimenticare particolari importanti, e lo
dimostrava il
fatto che aveva cancellato con un incantesimo quasi tutte le sue tracce
magiche, ma dall'alto del suo orgoglio personale aveva dimenticato che
Elka
Frogg non era al suo stesso livello, e non aveva preso precauzioni
anche per
lei. I quattro anni che erano passati non erano bastati a estinguere i
segni
del passaggio della strega più giovane.
Per
confermare definitivamente la sua ipotesi non le restava che andare al
laboratorio di Stein. Chissà come avrebbe reagito il
professore a vederla
attendere sulla soglia.
Ebbe
modo di scoprirlo una quindicina di minuti dopo. Ci avrebbe messo di
meno se
fosse passata per la piazza principale e non per le viuzze arzigogolate
della
città, ma voleva in tutti i modi evitare di incrociare Soul,
soprattutto mentre
dava forma alle sue speranze. Quello che era riuscita a fare con
sé stessa era
già stato un miracolo, ma con lui ci sarebbero volute
conoscenze che Maka si
rendeva conto di non possedere, conoscenze che, se voleva cambiare le
cose,
doveva assolutamente recuperare prima di rincontrarlo.
«Professor
Stein?», lo chiamò, bussando un paio di volte
sulla porta d'acciaio
dell'edificio che conteneva sia la casa che il laboratorio.
«Sono Maka Albarn!
Posso...».
La
porta si aprì di scatto davanti a lei.
«Maka!»,
esclamò una voce inaspettata.
...
O
quasi. Non si aspettava di trovarsi di fronte Marje, anche se con il
senno di
poi avrebbe dovuto tener conto del fatto che c'era il cinquanta per
cento di
probabilità che fosse lei ad accoglierla. Le fece comunque
piacere vederla.
«Professoressa
Marje», la salutò con un inchino.
«Oh,
non sono più professoressa! Ma entra, non stare
lì!», le disse la Weapon, che
la agguantò e la trascinò all'interno.
«Stein! Guarda chi c'è!».
«Marje,
stavo lavoran- oh», Stein sbucò dalla porta in
fondo alla stanza a bordo della
sua sedia da ufficio, per una volta senza ribaltarsi. «Maka
Albarn».
«Salve»,
ricambiò il saluto poco ortodosso.
«Qual
buon vento?».
«Dovevo
parlarle». Maka lanciò uno sguardo a Marje.
«... In privato».
«Oh».
Era evidente che la Weapon c'era rimasta male, ma si riprese in fretta.
«Ok.
Allora passo io a prendere Jack. Sono già in
ritardo...».
«Jack?»,
bisbigliò Maka, confusa, avvicinandosi a Stein.
«Nostro
figlio», le rispose lui.
Ah.
Giusto.
«...
A
dopo amore!».
«A
dopo».
Marje
si eclissò in un lampo, lasciando Maka un filino turbata:
non assisteva a una
scenetta di vita famigliare del genere da quando aveva sette anni.
«Seguimi
pure», si limitò poi a dire Stein, avviandosi
verso il cuore della casa.
Il
laboratorio era stranamente in ordine. Si vedeva il tocco femminile di
Marje:
la strumentazione era rinchiusa in un armadio che occupava l'intera
parete alla
sua sinistra, non c'era straccia di cristalleria sporca e un po' di
verde
punteggiava la stanza. L'unico elemento di disturbo erano le montagne
di fogli
scribacchiati sparsi sui tavoli. Attraversando la stanza, Maka
notò che alcuni
era stati sbarrati con grossi croci rosse. Era come se Stein avesse
separato i
suoi studi in due sezioni: i vivamente perseguibili e i tranquillamente
vivisezionabili.
«Immaginavo
che saresti passata», iniziò lui, ruotando di
scatto sulla sedia. «Ti offrirei del
the, ma Marje non ne ha preparato neanche un po'».
«Non
si
preoccupi. Sinceramente, non ero venuta per bere il the»,
scosse la testa lei.
«Ovviamente.
Mi stupisce che tu non abbia cercato di cavarmi qualcosa fuori dalla
bocca non
appena mi hai visto», Stein la squadrò dall'alto
in basso, senza dare
nell'occhio.
La
figlia della sua vecchia Weapon era cresciuta parecchio, diventando una
giovane
donna bionda con lo sguardo determinato.
«Sa
già
cosa cerco?», chiese Maka, che non era troppo sorpresa dai
modi spicci del
prof.
Era
evidente che Kidd lo aveva avvisato.
«Certo
che lo so. Immagino si tratti della stessa cosa che mi ha chiesto lo
Shinigami
tre anni fa», sorrise lui. «... Stai cercando il
diario degli esperimenti di
Medusa».
Si
misurarono con lo sguardo più a lungo del necessario.
«E?»,
lo incalzò Maka.
«"E"
nulla. Non so nemmeno se esita più. So per certo che nella
Shibusen non c'è,
l'ho setacciata da capo a fondo senza trovarlo».
«Che
mi
dice della vecchia casa della strega?».
Il
professor Stein avvitò la vite piantata in testa fino a
farla scattare, prima
di rispondere: «Non sono mai andato a controllare, ma visto e
considerato il
crollo e il successivo incendio che Medusa ha appiccato
intenzionalmente,
dubito che troveremmo qualcosa di utile».
«Non
mi
riferisco all'alloggio che utilizzava mentre si fingeva medico
qui», si
corresse Maka, lentamente. Non osava sperare. «C'è
stata un'altra casa in cui
ha abitato per un po'... Dopo essere ritornata in vita nel corpo di
quella
bambina. Dev'essere da lì che controllava i progressi di
Chrona con il sangue
nero... E probabilmente quella deve anche essere stata la sua tomba, se
Chrona
l'ha uccisa lì».
Il
professore Stein sollevò le sopracciglia. «Stai
davvero prendendo in
considerazione l'idea che io non ci abbia pensato?», la
fulminò con lo sguardo,
allargando le braccia a indicare il caos di fogli che regnava sovrano.
«Ho
passato gli ultimi anni a setacciare mezzo mondo per trovare quella
dannata
casa, senza successo».
«Forse
perché ha cercato nella metà
sbagliata», suggerì decisa la ragazza.
Stein
si alzò dalla sedia e misurò la stanza con
qualche passo, iniziando poi a
scartabellare i fogli. «... Stai ipotizzando la
possibilità che Medusa abbia
deciso di rimanere nel mondo delle streghe mentre manipolava Chrona e
la
convinceva ad avvicinarsi sempre di più alla
pazzia?».
«Spiegherebbe
il motivo per cui Chrona è sempre stata in compagnia di Elka
Frogg... Aveva
bisogno di una strega per ritornare nel mondo delle streghe»,
concluse Maka,
annuendo senza quasi accorgersene.
«Mh.
In
effetti, sarebbe stato molto furbo da parte di Medusa nascondersi
nell'unico
luogo in cui non avremmo potuto controllare... Soprattutto
perché le streghe
non avrebbero mai pensato di cercarla in casa propria»,
ragionò il prof, prima
di fermarsi all'improvviso. «È certamente una
teoria interessante. Lo sai che
sarò costretto a parlarne con Shinigamisama,
vero?».
«Certo.
Ma so anche che mentre lei glielo dirà, io starò
già recuperando il diario»,
replicò lei convinta. Ora che aveva avuto le conferme che
cercava, sapeva quale
erano i prossimi passi da seguire, e non vedeva l'ora di
intraprenderli. Poi
aggiunse, con un po' meno di slancio: «Quindi, magari, non
è che ci sia proprio
tutta questa fretta di metterlo al corrente degli ultimi sviluppi,
visto che in
ogni caso io ci arriverò prima. No?».
Stein
sorrise. Si era sbagliato sul conto di quella Tech. Era davvero figlia
di suo
padre, sotto la buccia da ragazzina diligente. Molto sotto, ma
comunque... «Magari».
Maka
sbuffò, sapendo dove stessa cercando di arrivare.
«Glielo porterò non appena
l'avrò recuperato».
«Non
pensare di corrompermi con così poco, Makachan»,
la rimbeccò tranquillo lui. «Io
sono dalla parte dello Shinigami».
«Perché...»,
gli sorrise in modo sofferto Maka. «... Io no?».
«...
Salutami
tuo padre, quando ti capita di vederlo», le disse infine,
voltandole le spalle
e decretando la fine della conversazione.
Oh,
già. Suo padre. Sarebbe stato il caso di avvertirlo,
così avrebbe potuto
controllare la sua reazione ed evitare che si spargesse la voce del suo
improvviso ritorno. Magari lo avrebbe chiamato nel pomeriggio...
«Ma
certo. Arrivederci. Mi saluti Marje... e Jack».
Stein
la osservò andarsene con la coda dell'occhio, e una volta
assicuratosi di
essere solo prese il bidone della spazzatura e ci riversò
dentro tutti i fogli
su cui aveva lavorato assiduamente per tre anni. Era un po' seccato
dall'essere
stato surclassato, ma anche sicuro che la Technician avrebbe trovato il
diario
entro la mattina successiva, a patto che le streghe non facessero
ostruzionismo
e le impedissero di portarlo nel loro mondo.
Terminato
il ripulisti, si avvicinò alla piccola libreria voluta da
Marje e ne estrasse
un tomo, che sbatté sul tavolo più vicino e
davanti al quale si sedette con
tutta la calma del mondo.
Il
titolo argentato "Magia Oscura: Come Vincerla" brillò sotto
la luce
al neon.
«...
A
quanto pare è giunto il momento di affrontarci di nuovo,
Medusa».
__________________
Per
chi se lo stesse chiedendo: sì. Il nome del figlio di Stein
e Marje è Jack.
Come Jack lo Squartatore. Mi sembrava... adeguato. XD tra l'altro non è nemmeno un'idea mia, si tratta di una sorta di citazione a un'altra fanfiction che mi è capitato di leggere su questo sito. L'autrice era aki_penn ^.^ è davvero brava, andate a fare un giro tra le sue storie!
Mi
ero ripromessa che avrei alternato i pov a ogni capitolo, ma purtroppo
la trama
questa volta me l'ha impedito. Il prossimo sarà sicuramente
un Soul-Pov,
promesso.
In
ogni caso sono abbastanza contenta perché sono finalmente
riuscita a spiegarvi
qualche precedente.
Me happy ^.^ e anche
molto logorroica, ne sono consapevole =.= per arrivare al punto ci
metto sempre
un'eternità.
Grazie
a chi segue, legge in silenzio e a chi vorrà lasciare una
recensione ^.^
Al
prossimo aggiornamento!
BBS
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Precisazione/Spoiler: Justin Law durante il manga
passa dalla
parte dei cattivi, e viene ucciso da un’altra Death Scyte.
Perciò, è stato
sostituito. Nell’anime, con i cambiamenti nella trama che
hanno fatto, non è
che si capisca molto il suo intervento, in effetti…
Vabbé. Non penso che
sentirete la sua mancanza in un modo tanto atroce quanto quella del
vecchio
Shinigamisama XD
Le Mille Linee
Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo
5
Soul
Eater Evans si
stravaccò esausto sul divano di casa sua, diventato ormai
troppo piccolo per la
sua stazza.
Odiava
occuparsi delle
faccende di casa, lo irritavano e non facevano altro che aumentare la
sua noia,
ma quel pomeriggio aveva davvero dovuto trascinarsi fino alla drogheria
dall'altra parte della strada per comprare un po' di cibo decente:
frigo e freezer
erano pietosamente vuoti. Da giorni.
Avrebbe continuato a far finta di nulla se non avesse trovato un po'
squallido
il fatto che i take away della zona gli facevano trovare il suo piatto
preferito
già pronto non appena metteva piede in negozio.
Il
suo slancio massaio
si era esaurito una volta risalite le scale fino al pianerottolo del
suo
appartamento, però. Aveva abbandonato la spesa a terra,
richiuso la porta con
un calcio secco e si era buttato sulla superficie morbida
più vicina, sbuffando
dall’insoddisfazione.
Ovviamente,
nessuno gli
aveva preparato alcunché da mangiare.
Notò
distrattamente che una
mela aveva trovato la sua strada fuori da uno dei sacchetti e si era
fermata vicino
al tappeto del salotto, così sporse un mano oltre il
bracciolo, afferrò il
frutto e poco ci mancò che lo ingoiasse intero, pratica che
riservava
esclusivamente alle anime delle uova di Kishin. Era terribilmente
affamato, non
aveva messo nulla sotto i denti dopo la colazione di quella mattina,
occupato
com'era stato a gestire le quattro classi di artigiani e armi che si
erano
susseguite senza tregua. Non che non provasse un certo sadico
divertimento
nell'inventarsi nuovi e massacranti esercizi, ma quei maledetti
continuavano a
saltellare su e giù come grilli in piena estate, e lui non
riusciva a tenerli occupati
abbastanza da prendersi una sacrosanta pausa sigaretta. Persino le
ragazze,
solitamente svogliate quando si trattava di addestramento fisico, non
si
tiravano indietro, anzi: eseguivano i suoi ordini con uno zelo che lo
inquietava parecchio.
L'unica
nota particolare
dalla giornata era stata l'intromissione di quei due fratelli, ma era
durata
poco: non appena la classe in cui la bambina si era infiltrata aveva
terminato
la lezione, tutto era tornato alla rumorosa normalità.
«Soulkun!
Nyaaa!».
Un
secondo prima che
Blair gli balzasse addosso a sorpresa e gli spalmasse in faccia il
balcone che
si ritrovava al posto del seno, Soul incorporò abbastanza
fiato da trattenere
il respiro per un quarto d'ora o due. Ci aveva fatto la mano, o meglio,
i
polmoni, ormai.
«Ciao,
Blair...»,
borbottò annoiato quando lei si staccò.
«Giochiamo?»,
gli
domandò, maliziosa.
«Che
fai qui?».
«Volevo
giocare con te»,
riformulò lei, con il solito tono da bambina innocente.
Perché
diamine le aveva
fatto quella domanda? Conosceva i metodi di abbordaggio della gatta,
sapeva benissimo cosa voleva.
Soul
lasciò che la sua
testa si appoggiasse sul bordo del divano, chiudendo gli occhi. Era
accaduto
esattamente ciò che temeva, purtroppo: aveva perso
interesse. Perdeva interesse
per i videogiochi, per i suoi allievi, e ora anche con le ragazze. La
cosa
cominciava a diventare preoccupante, ma non era colpa sua se tutto
quello che
gli accadeva intorno non era abbastanza interessante da costringerlo a
uscire
del circolo vizioso della pigrizia.
Persino
Blair era
diventata monotona. Capitava sempre nei soliti giorni, lo faceva finire
lungo
disteso su una qualunque superficie piana, e gli si metteva cavalcioni
sullo
stomaco. Il tutto, puntualmente già mezza svestita.
Però,
quasi quasi... Era
da un pezzo che non lo facevano, e lui si era stancato di arrangiarsi.
Le
allungò la mano sul
fianco, e quando Blair recepì il suo apatico assenso
miagolò contenta,
iniziando a togliergli la maglietta.
Anche
se erano passati
più di cinque anni da quando se l'era procurata, la
cicatrice di Soul era
rimasta identica. Il taglio netto che partiva dalla spalla sinistra e
attraversava petto e stomaco fino al fianco destro si
contraddistingueva ancora
dal resto della pelle per il colore leggermente più rosato,
cosa a cui Blair
cercò di non fare troppo caso: l'ultima cosa che voleva fare
era metterlo a
disagio. Aveva notato che Soulkun mal sopportava che qualcuno vi si
soffermasse
con gli occhi, e poco importava che si trattasse del professor Stein
per un
controllo o del suo amico Black*Star mentre si cambiavano negli
spogliatoi
prima di iniziare a giocare a basket: tentava sempre di lasciarla il
meno
esposta possibile.
All'inizio
non era stato
così, ma da quando Makachan era partita...
Soul
si era quasi
dimenticato di essere annoiato quando Blair scoppiò a ridere.
«Che
c'è?», domandò,
sorpreso.
«Ti
vibra la coscia, Soulkun!
Mi fa il solletico!».
«Uhm?
Ah... È il
cellulare...», Soul alzò gli occhi al cielo,
estraendo dalla tasca l'aggeggio
che i suoi genitori gli avevano fatto recapitare per il suo sedicesimo
compleanno.
L'utilità
di un
telefonino in un mondo in cui ci si poteva vedere attraverso gli
specchi era
rimasta dubbia fino a quando Soul, cacciatosi nei guai in un edificio
senza
superfici riflettenti, aveva dovuto chiamare i rinforzi.
Inizialmente,
da Death
Scyte, era riuscito a combinare ben poco; un po’
perché Kidd aveva spostato
Spirit in Europa e assegnato a lui il posto rimasto vacante a Death
City,
lasciandolo a secco di missioni per più di due mesi, un
po’ perché senza Maka a
sventolarlo come una bandierina aveva scoperto di non avere la
più pallida idea
di come muoversi: dopotutto era una falce, non una falce con
le gambe. Una volta ritornato sul campo aveva capito in
fretta
che doveva rinunciare a trasformarsi del tutto, e prima che imparasse a
controllare decentemente quale parte del corpo affilare aveva speso,
tra una
missione e l'altra, sei mesi del primo anno da solo nell'infermeria
della
Shibusen, con Nyngus che lo accoglieva scuotendo la testa, rassegnata a
rattopparlo per l'ennesima volta.
Alla
fine, però, gli
sforzi avevano dato i loro frutti: lavorando con Stein, allenandosi con
lo
Shinigami e le sue Weapon e portando a termine sempre più
missioni aveva
abbondantemente superato il livello raggiunto dalla Death Scyte
più giovane che
l'aveva preceduto, Justin Law.
Blair
gli rubò per gioco
il cellulare, ma Soul fece in tempo a leggere di sfuggita il numero di
chi lo
stava cercando.
«Blair,
sgancia, è Kidd!
Quello è capace di sparare una cannonata dalla Shibusen e
centrarmi qui se non
mi faccio vivo entro otto minuti!».
«Appunto!»,
sussurrò la
gatta, leccandogli una guancia. «Abbiamo tempo,
no?».
La
Weapon la fissò con
gli occhi che gli ardevano... di indignazione. «Io
non duro così poco».
Si
sollevò bruscamente e
si staccò dalla gatta.
Gli
era passata la
voglia, fantastico!
«Soulkun!»,
miagolò
Blair, sprofondando nel divano. «Non volevo offenderti, sul
serio, nyaaa!».
La
ignorò, si rinfilò la
maglietta e afferrò il cellulare prima di barricarsi in
cucina.
«Death
Scyte Soul Eater
a rapporto, Shinigamisama», rispose. Il telefono aveva
continuato a squillare
per tutto quel tempo.
«Sette
squilli...», fece
notare il suo capo. «Tu e Makasan volete farmi
morire...».
«Maka?»,
sbottò Soul,
preso in contropiede. «Cosa c'entra Maka?!».
Un
tonfo rimbombò
nell'auricolare, facendo eco a quello che Soul aveva sentito nello
stomaco.
«...
Perché mi fanno
questo... Ho cercato di essere un buon Shinigami... Perché
non possono
richiamare dopo otto minuti esatti e rispondere all'ottavo
squillo..?», sentì
Kidd piagnucolare in sottofondo.
...
Che diamine stava succedendo
nella stanza dello Shinigami?
«...
Sarebbe tutto così
simmetrico se rispettassero una regola semplice come quella
dell'otto...».
Soul
si riprese dallo
shock. «Cosa c'entra Maka?! L'avete chiamata? Sapete
dov'è?!».
«Oh,
no..! Non di
nuovo!».
«Ahahahahahah!
Che
scemo!».
«Qualcuno
mi risponda!»,
urlò Soul, con i nervi a fior di pelle.
Prima
Blair, ora Kidd:
ma che aveva il mondo oggi contro di lui?!
«Patty,
dammi una mano a
rimetterlo in piedi!».
«Ahahahahahah! Ok,
sorellona!».
«Kidd!
Liz! Patty! Cazzo!».
«Soul,
dacci un
taglio!», fu un'acidissima Liz ad accogliere il suo appello.
«Kidd è svenuto.
Hai risposto esattamente al settimo squillo, e non sarebbe stato un
problema se
non fosse che ieri Maka ha richiamato dopo sette minuti esatti. La
coincidenza
l'ha steso».
La
Death Scyte si spalmò
una mano sulla faccia. Solo tra loro potevano succedere cose tanto
paradossali.
Non sapeva se ridere o piangere, così non fece nulla,
attendendo pazientemente
che lo Shinigami si riprendesse.
«Ok...»,
mugugnò. «Aspetto
in linea...».
Così
avrebbe avuto il
tempo di digerire le informazioni che gli erano arrivate per sbaglio.
Maka
aveva richiamato
Kidd il giorno prima. Come mai? Cosa dovevano dirsi? ...
«Otto...».
«Patty,
i sali!
Rapida!».
...
Stava andando tutto
bene in Giappone? Lei stava bene? ...
«Sì,
sorellona!».
... Perché non ti sei
fatta viva neanche una volta in questi
tre anni, Maka?
«D-dicevamo?»,
Kidd
singhiozzò.
Probabilmente
non si era
ancora ripreso del tutto, ma a Soul non fregava un accidente.
«Ha
detto qualcosa a
proposito di Maka», riprese immediatamente il filo del
discorso, ansioso di
avere informazioni su di lei. «Sta bene? Va tutto
bene?».
«Oh,
sì», borbottò lo
Shinigami. «Makasan sta tornando qui».
Soul
rimase in silenzio.
Il suo cervello si rifiutava di collaborare.
«...
Come?».
«Arriverà
domani», lo
informò l'altro.
«E...
E me lo dice
così?!».
«E
come dovrei di
dirtelo, asimmetrica Death Scyte che non sei altro?!»,
sbottò Kidd.
«Io...
». Dannazione.
«Comunque,
ti vieto di
vederla o di tentare in qualunque modo di parlare con lei prima di
domani».
«Perché?»,
fu il suo
turno di sbottare.
«Voglio
che vi
rincontriate qui», rispose lo Shinigami. «Non
prima, non per sbaglio o per caso
fortuito, ma domani, qui
alla Shibusen e davanti a me. Sono
stato abbastanza chiaro o vuoi che te lo ripeta
otto volte?».
Soul
chiuse gli occhi.
Evitò di opporsi, sapeva che non avrebbe avuto successo, ma
questo non
significava certo che la cosa non lo facesse incazzare. «A
che ora?».
«Vi
aspetto in
mattinata, per le otto.
Puntuali».
Per
una volta non pensò
che si trattasse di una levataccia. «Non
ritarderò».
«Lo
spero bene. A
domani, Soulsan».
«Arrivederci,
Shinigamisama».
Riagganciò,
appoggiò il
telefono sul ripiano della cucina, poi appoggiò se stesso
allo sportello del
frigorifero.
Gli
tremavano le mani. I
suoi erano distorti, e le orecchie gli fischiavano. Gli
sembrò di vedere un
sorriso psicopatico ricambiare il suo sguardo sul muro bianco della
cucina.
Cazzo.
Era
bastato soltanto
sentir parlare di lei, perché la pazzia tornasse a
torturarlo?
Era
bastato così poco,
perché rimorsi e sensi di colpa gli ricordassero che razza
di mostro era stato?
Era stato uno sbaglio. Dopo aver
sconfitto il Kishin,
avevano creduto di essere diventati invincibili ed avevano abbassato lo
guardia...
«...
Soulkun?».
Senza
che se ne fosse
accordo, Blair si era furtivamente introdotta in cucina mentre lui
parlava al
telefono.
... Erano a caccia di streghe
ribelli all'autorità della
strega Regina Maaba. Avevano avuto l'ordine di scovarle e forzarle ad
accettare
la tregua stabilita, anche a costo di usare la forza, e quella era
stata una di
quelle volte disperate in cui non potevano fare nient'altro che
abbattere la
loro opponente. Ma era un'avversaria forte, la prima che dopo parecchio
tempo
era stata in grado di metterli in difficoltà. Al culmine di
un attacco che
stavano preparando con la sincronizzazione - il Cacciatore di Streghe -
in
gesto disperato la strega aveva colpito Maka, trapassandole un polmone
con un
colpo magico.
Lei non aveva potuto fare nulla
per evitarlo. Lui non era
potuto intervenire.
Non aveva visto più
nulla, tranne l'anima di Maka che si
affievoliva.
Doveva
proteggerla.
Il terrore di perderla misto al
senso di impotenza gli
avevano spalancato una porta che non avrebbe mai dovuto varcare.
«Tutto
ok, Soulkun?»,
domandò di nuovo la gatta.
... Non sapeva grazie a quale
miracolo Maka aveva reagito,
mollando la presa su di lui, staccandosi a forza dalla sua anima un
attimo prima
che Soul facesse qualcosa per cui si sarebbe pentito per il resto della
sua
vita...
«Maka...».
... Aveva tentato di mangiarle
l'anima.
Blair
ora era
spaventata. «Che è successo a Makachan? Si
è fatta male?!».
Soul
scosse la testa,
aveva la bocca secca.
«Soulkun,
mi sto
preoccupando! Vuoi dirmi che succede?!», lei lo
strapazzò un paio di volte,
scuotendolo forte.
«Sta
ritornando».
Lei
si fermò, e piegò la
testa di lato: non aveva capito nulla del borbottio del ragazzo.
«Maka
sta tornando»,
ripeté più chiaramente quest'ultimo, focalizzando
sulla gatta.
«Oh!
È questo!», Blair tirò un
sospiro di sollievo.
Ovviamente
lei lo sapeva
già. Nel pomeriggio, prima di andare sa Soulkun, era stata
al Chupa Cabras a
divertirsi con due signorine e il papà di Makachan, che era
appena ritornato
dall'Europa e voleva festeggiare con le sue ragazze preferite.
All'improvviso
aveva ricevuto una telefonata. Si era illuminato tutto, i suoi occhi
avevano
preso la forma di due cuoricini davvero carini. Non appena aveva
riattaccato
Blair gli aveva chiesto le ultime novità, e lui aveva
semplicemente continuato
a ripetere le stesse parole di Soulkun.
«Soulkun»,
replicò lei,
facendogli un sorriso tenero. «Sei felice, non è
vero?».
«Maka
sta tornando...»,
lui non sembrava in grado di dire altro.
Uomini!,
pensò la gatta con un
sospiro, mentre calmava la Weapon con delle pacche rassicuranti sulla
schiena. Reagiscono tutti allo stesso modo,
quando
una donna torna da loro!
______________________
...
No, non c'è nulla da fare, io mi diverto un mondo a scrivere
il pov di Soul. E
la cosa bella è che è proprio il suo personaggio
a permettermi di sfotterlo:
con il fatto che se la tira così tanto posso fargliene
capitare di cotte e di
crude, ironizzando un po' sul suo mantra di "coolaggine"...
Questo,
per quanto riguarda la prima parte del capitolo, ovviamente. Sulla
seconda non
credo ci siamo molto da dire... Se non che finalmente sono riuscita a
dirvi
cosa è successo per separarli! Goal
achieved U.U
Ci
ho
messo un bel po', in effetti. Punto primo ho saltato una settimana, e
mi scuso,
ero alle prese con un altro esame – l’ultimo,
grazie al cielo – mentre ieri ho
ricominciato i corsi, quindi sono rimasta in università
tutto il giorno.
Inoltre, non so esattamente quando posterò di nuovo, anche
perché vorrei avere
il tempo di riprendermi psicologicamente dalle lezioni prima di postare
stronzate. Sfortunatamente anche i tempi si allungheranno, spero di
poter
pubblicare un capitolo ogni due settimane.
Tra
le altre cose ho anche raggiunto una decisione - si spera definitiva -
riguardo
a font e grandezza carattere. Immagino che alcuni di voi l'abbiano
notato, in queste
settimane ci ho dato dentro con le modifiche XD fatemi sapere se vi
trovate
comodi, e soprattutto se è leggibile.
Ultimo
ma non ultimo grazie a chi legge e segue… Commenti, insulti,
critiche sono come
sempre più che graditi ^.^
Al
prossimo capitolo!
BBS
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Precisazione/Spoiler: Kim, un personaggio
secondario
nell'anime, nel manga si rivela essere una strega che è
stata accolta nella
Shibusen, malgrado la sua natura.
Ci si rilegge alla
fine del
capitolo u.u
Le
Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo
6
Maka
fece saltare distrattamente sulla punta
dello scarpone un sasso eroso dal vento.
Il
silenzio del suolo desertico era sfiorato
soltanto da una brezza gelida, e il nulla intorno a lei sembrava
ingigantire la
solitudine del luogo. Lei, però, non era sola.
Si
trovava a qualche kilometro da Death City, in
compagnia di Kim, la strega Technician con la quale si era incontrata a
mezzanotte in punto davanti al Death Café neanche una
mezz'ora prima. Fino
all'ultimo non era stata sicura che si sarebbe presentata, ma
fortunatamente la
ragazza dai capelli rosa non aveva mancato all'appuntamento.
L'unica
luce su cui potevano fare affidamento,
visto che la luna era ancora completamente inglobata dal sangue nero di
Chrona,
erano le due torce che Maka si era procurata nel pomeriggio.
Fu
proprio uno dei due fasci luminosi che la
compì a tradimento, in piena faccia.
«Sei
sicura di volerlo fare?», le domandò per
l'ennesima volta Kim, fissandola con il suo tipico sguardo un po'
distante.
La
sua preoccupazione, nonostante il tentativo
di dissimularla, si poteva intuire facilmente. Non che Maka pensasse
che fosse
preoccupata per lei. Non erano state grandi amiche, né erano
mai andate
veramente d'accordo: si erano più o meno sopportate
vicendevolmente durante le
classi alla Shibusen e si erano ignorate una volta risolta la questione
Kishin.
No, Kim era preoccupata perché non riusciva a concepire come
mai fosse
assolutamente vitale, per Maka, entrare nel mondo delle streghe.
«Non
posso prevedere come la prenderanno,
potrebbero persino attaccare senza darti il tempo di
spiegarti», insistette
infatti la strega Technician.
«Non
sarà un problema», si limitò, calciando
via
il sasso che aveva tenuto in equilibrio mentre aspettava che l'altra
aprisse il
passaggio.
Quando
le aveva detto quello che aveva in mente
non le era sembrata tanto restia a darle una mano, ma ora pareva avere
molti
più dubbi di quanti Maka potesse concederle, e la cosa
cominciava a darle
fastidio. Non poteva permettersi di perdere tempo, visto e considerato
ciò che
la attendeva il mattino dopo.
«Se
lo Shinigamisama ti scopre...», Kim tentò
ancora di farla ragionare.
«Probabilmente
lo sa già», la anticipò, e decise
di porre la parola fine alla
discussione, prima che arrivassero altre esitazioni.
«Senti... Non mi posso
permettere di aspettare la fine del secolo. Se hai cambiato idea puoi
dirmelo
tranquillamente. Non porterò rancore. Ma indipendentemente
dalla tua risposta
sappi che io entrerò nel mondo delle streghe, e lo
farò stanotte».
«Tu
non stai pensando alle conseguenze!», la
rimbeccò subito Kim, irrigidendosi. «I rapporti
tra i due mondi sono ancora
tesi. E portare una Meister nel mondo delle streghe non è la
esattamente l'idea
che mi ero fatta quando ho deciso che avrei fatto di tutto per
prevenire nuove
diffidenze!».
Nient'altro
che la conferma dei sospetti di
Maka: trovandosi nel bel mezzo del fuoco incrociato, Kim aveva paura di
rimanere nuovamente senza un posto sicuro dove andare se non si fosse
mantenuta
la tregua tra lo Shinigami e le streghe.
«Non
creerò scusanti per un nuovo conflitto»,
rassicurò quindi. «Puoi starne certa».
La
ragazza la studiò per qualche minuto, a metà
tra il preoccupata e il disperata, prima di arrendersi all'evidenza di
quella
fermezza d'intenti.
«E
va bene, ti apro il passaggio. Ma con Maaba
te la caverai da sola».
«Ti
ringrazio», Maka le sorrise, grata sul
serio.
Ignorò
il modo assurdo in cui le streghe erano
costrette a realizzare la magia per aprire la porta del loro mondo1
e attese che Kim le facesse strada.
Passare
da un mondo all'altro non fu traumatico
come si sarebbe aspettata, e anche il paesaggio che le si
profilò davanti fu
motivo di sorpresa: l'unico dettaglio che rivelava la presenza della
stregoneria
erano dei palloncini rotondi di luci galleggianti, che illuminavano di
giallo
la strada battuta. Se non fosse stato per quello, Maka avrebbe giurato
di
essere semplicemente finita in uno quartiere poco allegro di Death
City. Il
nero infatti regnava incontrastato, mentre le case si accatastavano
l’una
sull’altra ai lati della strada, allargandosi soltanto a
ridosso di quella che
sembrava una strada principale. L’effetto finale era quasi
soffocante, e le
innumerevoli streghe che inaspettatamente si aggiravano a quell'ora
contribuivano a rendere claustrofobica l'atmosfera.
Non
appena si furono addentrate di qualche
metro, raggiungendo il selciato battuto, furono intercettate da due
guardie che
bloccarono loro la strada.
«Identificatevi».
«Kim,
la Strega Technician».
«E...?».
«Un'accompagnatrice»,
disse Maka, secca.
«Vogliamo
il nome!».
«Maka
Albarn».
Kim
non fece in tempo a mettersi in mezzo che
vennero immediatamente circondate da un manipolo armato e schierato
contro di
loro. Era bastato il nome della bionda, per evocare, come per magia,
altre
guardie.
Maka
non ebbe il tempo di riprendersi dallo
stupore - la rapidità con cui erano state accerchiate
l'aveva lasciata di
stucco - perché ancor più velocemente furono
trasportate nel terrapieno di una
sorta di arena.
Era
certamente un luogo particolare. Un
anfiteatro, se la memoria non la ingannava. Non poteva dire con
sicurezza se si
trattasse di arte greca o latina, ma ricordava di aver letto di
costruzioni di
quel genere su uno dei libri di architettura che aveva preso in
prestito dalla
biblioteca della Shibusen, anni addietro, prima di partire per la
missione a
Firenze.
Non
un buon presentimento, comunque.
In
pochi minuti le gradinate si riempirono di
streghe rumorose, e dal brusìo astioso era chiaro che
fossero molto poco
entusiaste di vederla lì. Sapeva di aver infranto una
quantità innumerevole di
regole non scritte, ma, d'altronde, non aveva potuto fare altrimenti:
il bene
di tutti, prima di tutto. Se c'era da combattere di nuovo contro il
Kishin,
dovevano sfruttare ogni possibile risorsa, compreso ciò che
le era stato
iniettato nel sangue.
L’ingresso
della Strega Regina fu accolto con un
boato sgraziato che riportò l'attenzione di Maka al centro
dell'arena.
«Nyamu?».
Maaba
era molto meno... austera di quanto
si aspettasse. A parte l'altezza, o meglio la sua
mancanza, la strega che deteneva la più alta
autorità di quel regno non le
incuteva particolare timore: la benda che portava sull'occhio
contribuiva quasi
a farla sembrare fragile. Probabilmente, il punto focale su cui
concentrarsi
era l'apparenza con cui Maaba si presentava... Meglio non abbassare la
guardia.
«Chiede
che ci fa qui la combattente che è
riuscita a penetrare l'anima del Kishin», le fu tradotto da
Kim in un rapido
bisbiglio, mentre venivano costrette a inchinarsi in segno di rispetto.
«Vengo
per svolgere una ricerca», spiegò la
Techinician, dopo che le guardie si erano posizionate alle sue spalle,
con il
chiaro intento di intimidirla. «Vorrei poter entrare nella
casa di Medusa».
«Nyamu».
«Dice
che Medusa non ha più abitato qui da
quando si è introdotta alla Shibusen».
«Ho
motivo di credere che abbia nascosto nel
vostro mondo il libro sul quale appuntava i progressi sugli esperimenti
del
sangue nero».
Maka
sentì la schiena venire puntata dalle lance
delle guardie, mentre le streghe che stavano seguendo lo scambio
iniziavano a
mormorare sempre più ad alta voce.
«...
NYAMU!».
«Che-?!»,
balbettò Maka, traendosi di scatto in
avanti per mettere un po' di spazio tra la sua spina dorsale e le punte
acuminate.
«Sei
impazzita?», sbottò Kim, con lo sguardo
contratto, nella sua stessa situazione. «Parlare del sangue
nero è proibito!».
«Sarà
anche proibito ma io ho bisogno di quel
libro!», replicò con un sibilo. «E lo
prenderò, dovessi affrontare la Strega
Regina a mani nude».
«Come hai
detto, prego?».
Kim
sbiancò, sconcertata, e Maka capì che doveva
essere stata Maaba a parlare.
Sapeva
per sentito dire che la Strega Regina non
si dilungava in parole e comunicava con le altre soltanto con la
telepatia,
perciò si preparò a uno scontro verbale da cui
dipendeva la riuscita della sua
incursione.
«Ho
detto», ripeté lentamente Maka, voltandosi
verso la strega che la fissava dalla tribuna rialzata sugli spalti,
«che la
affronterò di persona, se dovesse mettermi i bastoni tra le
ruote».
«E credi
di potermi battere?», chiese la Strega Regina,
fissandola con l'occhio
destro semichiuso dalla concentrazione.
«Assolutamente
no», replicò, sforzandosi di
mantenere alto lo sguardo. «Ma questo non mi
impedirà di provarci».
Il
brusìo delle streghe ricominciò ad
assordarla.
«Usi
il Soul Protect?», Kim parlò
all'improvviso, forse ritrasmettendo la domanda che la Strega Regina le
aveva
fatto telepaticamente.
Maka
fu colta di sorpresa, ma non si tirò
indietro dal rispondere. «Sì».
«Da
quanto?».
«Un
anno, quattro mesi e diciassette giorni».
«Impressionante».
La
Tech fece un sorrisetto. «Grazie».
«Chi
ti ha insegnato a farlo?».
«Non
mi è stato insegnato. L'ho appreso, se così
si può dire... Mentre combattevo contro una strega
ribelle».
«Nyamu»,
mormorò Mabaa, piegando di lato il
capo.
Si
misurarono con lo sguardo per un altro po'.
Kim
si chiese se per caso la Regina non stesse
analizzando l'anima di Maka, e soprattutto che cosa vedesse: lei quasi
non
riusciva a percepire l'anima della Technician.
Un
attimo prima che Mabaa alzasse il braccio
destro e indicasse con la punta di un dito in direzione sud-ovest, Maka
poté
giurare di averla vista sorridere.
«...
La casa in cui devi guardare è quella di Elka
Frog», mormorò Kim, piuttosto incredula.
«Dice che ti deve avvisare... Prima
che si accorgessero di quello che era successo a Medusa e che
prendessero
precauzioni contro gli intrusi, una strega vi si è
introdotta. Dubita che
troverai qualcosa che la strega non abbia già
trafugato».
Maka
annuì, per niente scalfita dalla notizia.
«La
ringrazio», si piegò poi in un profondo
inchino. «Le devo molto».
«Spero
saprai ricambiare il favore, allora».
Maka
rialzò la testa di scatto, guardando prima
la Strega Regina e poi Kim. Dallo sguardo interrogativo di
quest'ultima, ebbe
la conferma che per l'ultima battuta Maaba si era indirizzata
telepaticamente
soltanto a lei.
La
conversazione si chiuse senza ulteriori
convenevoli. Maaba lasciò lo stadio accompagnata da un
ristretto seguito di
guardie, e loro vennero fatte alzare con molto più garbo di
quanto non gli
fosse stato riservato in precedenza.
Furono
scortate prima fuori dall'arena, poi per
tutto il tragitto fino al luogo indicato da Maaba, sfilando
silenziosamente tra
le altre streghe.
Il
radar interno di Maka era stato in estremo
allarme da quando era arrivata, ma sembrò andare totalmente
in tilt quando si
fermarono davanti a una casa verdastra, diroccata, che sarebbe
risultata
isolata dal resto del quartiere se non fosse stato per il consistente
presidio
di guardie che era lì di stanza.
Percepiva
l'aura di Medusa, sentiva i suoi
serpenti strisciare ovunque. Eppure doveva essere morta...
«La
magia della Gorgone Medusa è imprigionata
nella stanza in cui è stata assassinata. Pianterreno, terza
porta a sinistra.
Immagino sia superfluo chiedervi di non rompere il sigillo»,
disse una guardia,
che dopo aver aperto la porta si appostò a lato.
Maka
non fece in tempo a fare domande, perché
Kim la prese sottobraccio e la trascinò all'interno.
Che
le prendeva? Prima non le voleva aprire il
passaggio, poi le faceva strada...
«Facciamo
in fretta», le intimò Kim sottovoce.
«Le altre streghe non approvano la decisione di Maaba, e non
ci metteranno
molto a liberarsi delle guardie se decidono di attaccarci».
Maka
fece una smorfia. «Credevo che almeno qui
l'autorità della Strega Regina Maaba fosse
rispettata».
«Infatti.
Ma la maggior parte delle streghe non
crede che Maaba abbia fatto un buon affare venendo a patti con lo
Shinigami.
Ora tutte le sue decisioni vengono messe in discussione, e ogni volta
che vi
aiuta perde un po' del loro rispetto».
«E
allora perché nessuno la rovescia?».
«È
troppo potente. Nessuno si azzarderebbe ad
affrontarla direttamente».
«Ma
la tradirebbero volentieri», concluse Maka,
guardandosi intorno. «La situazione non è affatto
tranquilla come ci fate
credere…».
Kim
la trafisse con lo sguardo. «Io ti avevo
avvertita».
La
bionda sospirò, preferendo lasciar cadere il
discorso.
L'ambiente
era molto diverso da quello che si
aspettava. Probabilmente influiva il fatto che si fosse sempre
immaginata la
casa di Medusa, e non quella di Elka Frog; o che gli unici interni
della casa
di una strega che avesse mai visto in vita sua era stata quella di
Blair, la
quale poi si era rivelata non essere nemmeno una strega. Forse non
avrebbe
dovuto ritrovarsi tanto stranita nel vedere un normale salotto con
divano di
stoffa e libreria in legno massiccio.
«Cosa
intendeva la guardia?», domandò
sovrappensiero, mentre iniziava a scorrere i titoli dei libri.
Kim
incrociò le braccia. «La forza di una strega
si misura in quanti anni ha vissuto e in quanta conoscenza ha
acquisito. Quando
una di noi muore, solitamente la sua magia ritorna alla Strega Regina.
In
questo modo le conoscenze non si perdono ma vengono ridistribuite, e
tutte noi
diventiamo più forti. Il punto è che la Regina si
è rifiutata di inglobare le
conoscenze di Medusa per evitare che venissero disperse, o peggio
ancora
ricostruite e portate avanti...».
«Ma
non c'è più nessuno che sta sperimentando
sul sangue nero, no?».
«Non
è quello che si vocifera in giro»,
rivelò a
denti stretti la strega Technician. «È questo
quello che intendeva dirti Maaba
quando ti ha detto che la casa era stata trafugata. Anche se non
sembrerebbe
dato l'ordine, qualcuno è già entrato qui, ed ha
già rovistato alla ricerca
di... Che cos'è che stiamo cercando esattamente?».
«A
rigor di logica il diario dovrebbe avere la
forma di un libro», rispose Maka, accarezzando
involontariamente le coste dei
libri. «Ma potrebbe essere protetto da un incantesimo e non
essere visibile,
oppure essere camuffato da qualunque altra cosa... In ogni caso, io
comincerei
da qui. Da qualche parte dovremo pur iniziare...».
Si
divisero la libreria e analizzarono con
attenzione ogni libro, ma non trovarono nulla.
«...
Controlliamo le altre stanze», decretò
quindi la Tech. «Scantinato e soffitta compresi».
Ribaltarono
letteralmente la casa come un
calzino, aprendo ogni cassetto, spiando in ogni anfratto o testando
ogni
possibile pannello scorrevole, ma non trovarono assolutamente nulla.
Nemmeno un
indizio su cosa o dove guardare, nemmeno un passaggio segreto: la
ricerca
sembrava sul buon punto di naufragare.
«Lo
ha nascosto bene», commentò dopo qualche ora
la bionda, sedendosi sul pavimento con uno sbuffo e guardandosi
intorno.
Era
quasi l’alba ormai, ed era stravolta.
Soltanto ora cominciava a sentire gli effetti del passaggio da un mondo
all’altro.
Kim
aveva l'aria afflitta. «Oppure ti hanno
preceduta».
«Medusa
non avrebbe mai permesso che una strega
qualunque potesse mettere le mani su quel libro»,
ragionò Maka. «Se fossi stata
al suo posto, avrei fatto in modo che almeno finisse nelle mani di
qualcuno che
sapesse di cosa stiamo parlando. Che potesse interpretare correttamente
gli
esperimenti che aveva fatto fino a quel momento e che sapesse come
usare i
risultati per portare avanti la ricerca».
«Non
stai ragionando con la testa di Medusa», le
fece notare Kim. «Medusa non avrebbe lasciato a nessun altro
la possibilità di
prendere il suo posto nella conquista del mondo. E poi, chi altro
poteva sapere
del sangue nero?».
«Elka
Frog...».
«È
in prigione. Così come Free, e le sorelle
Mizune...».
«Ragioniamo»,
si impose Maka, cercando di non
finire in un circolo vizioso. «Chrona ha ucciso Medusa. Non
credo che sia
riuscito a farlo in uno scontro leale, Medusa non avrebbe esitato un
secondo a
eliminarlo se avesse intuito che le si era rivoltato contro. Quindi,
sarebbe
logico pensare che Chrona l'abbia colta di sorpresa. Se è
così, anche se non
era quello che avrebbe voluto, Medusa non avrebbe avuto il tempo di
nascondere,
proteggere o distruggere il libro...». Sospirò.
«Deve essere qui», concluse, come
tutte le altre volte che aveva perso le notti pensandoci sopra.
«E
se..?».
«Deve
essere qui», Maka stroncò immediatamente la
pallida ribattuta di Kim.
«Quindi,
cosa intendi fare?!», sbottò la ragazza
con i capelli rosa. «Abbia controllato ovunque!».
«Non
ovunque».
Kim
spalancò gli occhi, scuotendo la testa. «Io
non romperò il sigillo di Maaba».
La
Tech si alzò. «Non te l'ho chiesto,
infatti».
«Maka!».
Era
già davanti alla porta in questione, quando
Kim la afferrò per un braccio.
«Tu...
ti stai facendo trasportare troppo dalla
cosa! Se rompi il sigillo, la magia di Medusa ritornerà a
Maaba, e...».
«Richiudilo,
allora - e non lasciare che la
magia esca dalla stanza».
«Con
te dentro?!».
«Sì».
«Cosa?!
Ma sei impazzita?».
«Kim,
ci siamo già passate in questo discorso. O
lo fai tu o lo chiedo a qualcun altro».
«Stavolta
è diverso», sbottò la strega.
«No,
non è diverso», mormorò, fissandola.
«Io
continuo a non avere altra scelta».
L'altra
perse lo scontro di sguardi e strinse i
denti. «... Stupida umana».
Maka
sfilò un piccolo coltello dall'interno
dello scarpone. Ovviamente non sarebbe riuscita ad aprire la porta con
un
calcio, quindi doveva usare l'unico mezzo che si avvicinasse alla
magia: il
sangue nero. Per fortuna ne era piena.
«Pronta?»,
domandò la Tech, incidendo la
polpastrello del pollice con la punta del coltello.
«No.
Ma ovviamente farai di testa tua, perciò
vediamo di finirla rapidamente».
Maka
appoggiò il dito sulla maniglia della
porta, che iniziò a emanare scariche nere.
Quando
la sentì cedere fece un passo e
attraversò il legno.
La
stanza era completamente ripiena di serpenti
di quegli assurdi serpenti dal corpo fatto di punti e righe.
Strisciavano su
qualunque superficie e galleggiando in aria, sfidando ogni
gravità; si erano
immediatamente accorti della sua presenza, ma non l'avevano attaccata.
Dietro
di sé intanto la
porta aveva ripreso consistenza: Kim aveva
posto un altro sigillo.
Era
imprigionata. Non riuscì a sopprimere un
brivido. Odiava i déjà vu.
Restò
immobile quando il più grosso dei rettili
si staccò dalla massa e prese a circondarla, avvolgendola in
spirali sempre più
strette.
Per
un attimo ebbe l'istinto di chiamare Soul, e
la mano si contrasse automaticamente intorno a un manico assente. Le
capitava
ancora, di tanto in tanto, dopo tre anni. E capitava sempre quando il
suo
istinto di sopravvivenza iniziava a urlare a squarciagola.
Iniziò a progettare
la strategia migliore per spazzare via i suoi viscidi opponenti, ma non
ce ne
fu bisogno: quando il serpente entrò in contatto con il suo
sangue infetto, i
movimenti ondulatori della massa nera rallentarono, e i serpenti,
calmandosi,
si sparpagliarono ai lati della stanza, aprendole un passaggio.
Subito
dopo, il serpente l’aveva lasciata
andare.
Il
cadavere di Medusa, squartato da ripetute
stilettate, non aveva un bell'aspetto. E nemmeno un buon odore, ma lo
sentiva
solo ora. Probabilmente la compattezza dei serpenti doveva aver
impedito che
l'olezzo si disperdesse, facendo da tomba alla strega.
Con
prudenza, la Meister passò in mezzo alla
stanza, calpestando il pavimento ricoperto di sangue secco, impregnato
nelle
assi di legno, e nel frattempo si preparò a combattere,
sicura che non appena
avesse trovato il libro i serpenti l'avrebbero accerchiata e azzannata.
Le
unghie della sua mano sinistra divennero
nere, allungandosi all'inverosimile, assumendo la forma di artigli
ricurvi,
mentre il braccio le tremava dallo sforzo di mantenere stabili e sotto
controllo le onde del sangue nero.
Senza
l’aiuto di Zoey, era ogni volta più
difficile...
Continuò
l'analisi del corpo, prestando
attenzione ad ogni sibilìo più alto, e
delicatamente iniziò a tastare i vestiti
della strega, alla ricerca di una consistenza familiare.
Il
libro.
La
sua intuizione era stata corretta, allora.
Medusa aveva sempre avuto con sé il libro. Incise con gli
artigli il suo
cadavere, o quello che ne era rimasto, e scostò di lato i
lembi del vestito.
No,
non era possibile... Il libro si era fuso
con la carne. Era praticamente
sprofondato quasi del tutto nello stomaco di Medusa, tranne per la
copertina
nerastra, che era sigillata dalla pelle, annerita, forse,
dall'inchiostro.
Reprimendo
un conato di vomito, con la punta
delle dita della mano libera Maka sfiorò il libro. Tutto
quello che percepì fu
una scossa che la attraversò da capo a piedi, deformando gli
artigli per un
lunghissimo istante.
I
serpenti non reagirono, intenti a fissarla.
Si
sentì debole, ebbe un capogiro. Non le ci
volle molto per capire che il libro stava succhiando sangue nero dal
taglio
ancora aperto sul pollice, e che più sangue infetto finiva
sul libro più questo
riemergeva. Senza aver pagato pegno con del sangue nero, sarebbe stato
impossibile aprire o recuperare il libro.
A
quanto pareva, un meccanismo per difendere il
libro c'era sul serio... Magari Medusa l'aveva fatto inconsciamente:
alla fine,
gli unici che era stati infettati dal sangue nero erano Chrona, Soul,
lei e
Zoey, tutti - anche se per vie traverse - suoi nemici.
Attese
che il libro venisse rigettato del tutto
dal corpo di Medusa, poi agì d'istinto, afferrando il libro
con uno scatto
secco.
Trasalì
al sentire l'urlo di Kim.
«Maka!
Va tutto bene?!».
«Sì»,
disse, riassorbendo gli artigli e
pulendosi le mani in un tovagliolo abbandonato sul tavolo della stanza
da
pranzo. Quelli nei due piatti apparecchiati sembravano i resti
fossilizzati di
pasta. «L'ho trovato».
«Sul
serio?!».
«Sì»,
confermò, avvicinandosi alla porta e dando
un'ultima occhiata ai serpenti prima di tornare alla porta. Non le
staccavano
le pupille di dosso. «Riapri».
Vide
una mano di Kim sbucare dal legno, la
afferrò e un battito di ciglia dopo era di nuovo nel lato
sicuro della casa.
«È
questo? No, aspetta!», gridò Kim, sfilando
immediatamente il libro nero dalle mani di Maka.
«Che
c'è?», domandò, sbigottita.
«È
protetto da un incantesimo», spiegò la
strega. «Puoi aprilo solo... Con il sangue. Immagino sangue
nero. Se non lo
fai, si sbriciolerà».
«Medusa
era davvero un po' troppo fissata con il
sangue», Maka alzò gli occhi al cielo.
«Forse
credeva fosse il modo più sicuro per
proteggere il libro», Kim liquidò la questione.
«Possiamo tornare a casa ora?
Sono le sei del mattino».
Maka
annuì controvoglia. Entro un paio d’ore si
sarebbe dovuta presentare dallo Shinigami.
Si
avviarono fuori, e un attimo prima di uscire
Maka esitò. C'era qualcosa...
...
È
troppo semplice.
Nessuna
trappola, nessuna fregatura, nessun
inconveniente. Forse Medusa non aveva avuto modo di preparare la sua
morte,
ma...
«Maka!».
Sospirò,
rassegnata. Non aveva né il tempo, né
le conoscenze, né le capacità per verificare i
suoi sospetti. «Arrivo».
«Quindi?»,
le domandò una guardia non appena
furono uscite.
«Nulla
che non mi aspettassi», rispose, criptica
di proposito.
Con
quello che le aveva detto Kim, meno si
fidava, meglio era.
Al
ritorno le guardie erano molto più nervose.
Maka aveva nascosto il libro in una tasca interna del solito soprabito
nero, ma
era sicura del fatto che le altre streghe percepivano quello che stava
trasportando.
«Gradiremmo
che non tornasse, Technician Maka
Albarn», le fece sapere la stessa guardia che le aveva
accompagnate alla casa
di Elka Frog.
Kim
nel frattempo aveva riaperto il portale.
«Cercherò
di rispettare la vostra volontà»,
replicò, quasi indifferente. Aveva davvero dato via troppo
sangue, quel giorno,
si sentiva la testa leggerissima. «Porgete i miei saluti alla
Strega Regina,
per favore».
I
cenni affermativi che le vennero rivolti
furono l'ultimo saluto che si scambiarono.
Maka
riprese lentamente fiato soltanto quando
rimise piede sul suolo sabbioso.
Ci
era riuscita, per fortuna. Anche se i
sospetti non le davano la totale certezza, aveva fra le mani il diario
degli
esperimenti di Medusa.
«Cosa
farai ora?», le domandò Kim, indicando il
libro.
«Per
ora, nulla. Devo occuparmi di un'altra
cosa, prima di avventurarmi con Stein nella lettura di questi...
esperimenti».
«Davvero?».
«Davvero».
Maka lanciò un sorrisetto verso Death
City. L'attesa era quasi finita. Quasi non riusciva a crederci.
«C'è una Weapon
che ha oziato fin troppo a cui devo tirare un paio di Maka-chop per
pareggiare
i conti».
1Spoiler
(beh, non
proprio):
ossia, facendo un'imbarazzantissima sculettata.
__________
Bene, gente.
Prima di tutto, le
scuse. Immense,
ripetute fino allo sfinimento e, ve lo giuro, sincere.
Avevo detto che avrei
postato
ogni due settimane, ma come al solito io e le mie previsioni possiamo
andare a
farci friggere, visto che ne capitano di cotte e di crude ogni volta
che ho un
minuto libero. Tra le cotte, i compleanni di mezzo mondo, tra le crude,
il mio
primo Cartoomics, i compiti, mio fratello che mi chiede di iniziare un
gioco
online... Per farmi perdonare, sappiate
che ci siamo, se capite cosa intendo. Il punto è
che non so quando
pubblicherò. La mia università si diverte a
trollarmi quando meno me lo
aspetto, piazzando esami di sabato mattina. Alle 8:30.
Sì, lo so
che è
inconcepibile, lo è anche per me ~.~
Ma comunque...
Questo capitolo
è uscito
molto più di getto rispetto agli altri, e ho dovuto
lavorarci sopra parecchio (e
in ogni buco di tempo libero) per potergli dare continuità.
Poi ho dovuto masticarlo
di notte, perché non mi piaceva. Ma proprio per niente. Le
descrizioni non sono
il mio forte - non so se l'avete mai notato, ma i dialoghi mi vengono
decisamente molto meglio - perciò, volendo dare un po'
più di atmosfera ho
provato a migliorarlo. Il punto è che non sono affatto
sicura del risultato ~.~
avete la mia benedizione a distruggere le schifezze che vi
capiterà di
incontrare tra una virgola e l'altra.
Grazie a chi segue
(siete in dodici ommioddio avete
tutta la mia
stima, sopportare la mia lentezza non deve essere facile), a chi legge
in
silenzioso (sì, come i cellulari), e a chiunque voglia
lasciare una recensione,
anche piccina picciò :D
Al prossimo capitolo!
BBS
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Le
Mille Linee
Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo
7
Era arrivato in anticipo.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Soul Eater Evans era
arrivato in
anticipo.
E Maka era in ritardo.
Per la prima volta in tutta la sua vita, Maka Albarn era in
ritardo.
Qualcosa non quadrava.
Anche Patty sembrava nervosa, il che faceva capire alla Death Scyte
quanto la
situazione fosse grave.
... E se Maka avesse deciso di non venire? Se non avesse più
voluto vederlo?
Dopotutto, in tre anni, non gli aveva mai risposto nemmeno una volta.
Chi gli
assicurava che non avesse trovato qualcuno di più cool di
lui?
Slam.
«Shinigamisama!».
Maka.
La ragazza era sulla soglia della stanza dello Shinigami, ansante, e non
aveva più i codini. Fu la primissima, scioccante
cosa che registrò.
«Mi scusi. Chiedo umilmente scusa!»,
esclamò nel frattempo lei, riprendendo
fiato. «Ho avuto un contrattempo!».
Era più bassa di come se la ricordava. I capelli -
lunghissimi - erano raccolti
in una coda e le dondolavano dietro la schiena, mentre si avvicinava a
loro,
metà correndo e metà camminando. La frangetta le
copriva ancora del tutto la
fronte, cadendole irregolare sul viso un pelino più
femminile, nonostante lo
sguardo segnato da ombre scure urlassero una notte insonne e la poca
importanza
che Maka continuava a dare al trucco.
E quelle..? No... Aveva un paio di tette! Non
esageratamente grosse, ma
comunque indubbiamente tette, e se l'occhio non lo
ingannava, sotto
l'immancabile mantello nero - non allacciato, una volta tanto - Soul
poteva
intuire un accenno di curve nei posti giusti. Strano, veramente strano,
era
assolutamente convinto che Maka potesse controllare anche i proprio
ormoni,
bacchettona com'era, ma forse quell'atteggiamento tanto ostentato in
passato
aveva ora lasciato spazio a uno stile di vita meno rigido. Aveva anche
abbandonato l'abbigliamento da secchiona: niente più gonna
scozzese e
maglioncino, ma un paio di jeans e una semplice maglia bianca,
sicuramente più
comodi in battaglia.
Comunque, non c'era dubbio: era lei.
Eppure... Eppure, non erano più loro.
Il silenzio di quei tre anni non solo aveva scavato grosse incertezze
in lui,
ma aveva anche creato un muro tra di loro, muro che si era inspessito
ad ogni
secondo passato separati... Muro che improvvisamente
scricchiolò, quando Maka
gli puntò gli occhi dritti nei suoi.
«Ciao, idiota», gli sorrise, lasciandogli
intravedere un luccichio verde da
sotto i ciuffi arruffati.
Sorriso che lui ricambiò a trentadue denti. «Ciao,
secchiona».
La vide trattenersi, come se volesse evitare di abbracciarlo o pestarlo
di
botte. Probabilmente non voleva lasciarsi andare a smancerie davanti a
Kidd,
che ora, da loro superiore, risultava una presenza ingombrante. E poi,
a parte
pochissimi momenti, l'orgoglio aveva sempre avuto la meglio sulle loro
dimostrazioni d'affetto. Non era da loro, insomma.
«Come vi sentite?», domandò lo
Shinigami, distraendolo.
«A posto», rispose lui, affondando nelle tasche le
mani che gli prudevano dalla
voglia di toccare Maka e assicurarsi che lei non
fosse un'illusione.
Non era mai stato bravo a percepire e classificare le anime, ma su
quella della
Tech non aveva alcun dubbio: era troppo flebile, sembrava quasi che si
fosse
indebolita, il che, conoscendola, era impossibile.
... Giusto?
«Tutto ok», annuì intanto Maka,
raggiungendo il suo fianco.
Era rimasta un po' a distanza, e la sua espressione era diventata
indecifrabile.
Aveva ragione. Nonostante l'inizio promettente, qualcosa non andava.
«Allora, credo che potremmo iniziare...», fece
Kidd, facendo un cenno ai due di
avvicinarsi mentre saliva sul patio.
«Non ci dai nemmeno il tempo di fare due
chiacchiere?», borbottò con poca
convinzione Soul, più per stemperare l'atmosfera pensante
che per vera
seccatura.
«Da quando ti interessa sapere cosa ho fatto in questi tre
anni?», Maka lo
gelò.
A quanto pareva la Technician non aveva registrato la sua ironia, e
bastò quel
piccolo fraintendimento a far esplodere tutti i brutti presentimenti
che Soul
aveva soppresso fino a quel momento.
Era allibito. Accusava lui, lo accusava di essere sparito.
Ma come si
permetteva?! Aveva calpestato il suo mantra centinaia di volte,
inviandole
lettere su lettere e ignorando cocciutamente il fatto che a ogni
risposta
mancata avrebbe perso interi pezzi della sua dignità!
«Mi è sempre importato», si difese,
involontariamente ringhiandole contro. «È a
qualcun altro che non è mai fregato un accidente di farsi
viva!».
«Ma che stai dicendo?!», sibilò Maka,
voltandosi verso di lui per affrontarlo a
muso duro. «Non sono io quella che non ha risposto alle
e-mail e alle lettere
con cui ti ho intasato la posta!».
«Io non ho ricevuto proprio un bel niente da te!».
«Beh, nemmeno io da te!».
«Se avete finito di urlare...», si intromise
stancamente Kidd, sedendosi con
eleganza su un divanetto, «... Potrei iniziare a spiegarvi
come mai ho
intercettato tutti i vostri tentativi di mantenere i contatti,
impedendo che
arrivassero a destinazione».
Soul e Maka girarono di scatto la testa verso lo Shinigami, smettendo
di
abbaiare l'uno contro l'altra.
«Tu... Cosa hai fatto?!», domandò la
Death Scyte, incapace di decidere se
essere più incredulo o più incazzato.
La Meister, altrettanto spiazzata, aveva la bocca aperta.
«Dovevo verificare una cosa».
«E si può sapere che cosa?!»,
sbottò Soul, esponendo con rabbia i pensieri che
correvano veloci nelle teste dei due umani della stanza.
«Quanto in depressione
una Weapon e la sua Tech possono cadere se l'altro improvvisamente
scompare
dalla faccia della Terra?!».
… Depressione?
Questa era una sorpresa. Maka sapeva perfettamente che Soul era
introverso e
molto riflessivo, ma proprio su questo aveva contato: visto che era
abituato a
stare per gli affari suoi a rimuginare per ore sui propri pensieri,
almeno lui
sarebbe dovuto riuscire a non lasciarsi andare al disfacimento
psicologico.
Anche perché, se ne ricordava bene, quando in passato le era
capitato di
iniziare a rimuginare su Chrona Soul le aveva ripetuto fino allo
sfinimento che
la depressione era una cosa veramente poco cool.
«Nemmeno io riesco a capire», concordò
la bionda alla fine, arrendendosi
all'evidenza e decidendo che avrebbe affrontato con Soul
quell'argomento più
tardi, in privato. «Perché l'ha fatto?».
«Dovevo verificare se ci fosse una remota
possibilità di purificarvi completamente
dal sangue nero», iniziò Kidd, facendo scivolare
lo sguardo dall'uno all'altra,
«... Ho pensato che dividendovi avreste smesso di
reinfettarvi a vicenda».
«E ovviamente non ha funzionato»,
sospirò Maka, scuotendo la testa.
«Già», lo Shinigami fece una smorfia.
«Sono passati tre anni, e l'infezione non
si è estinta in nessuno dei due. Sospetto che il sangue nero
sia semplicemente
sopito, ma se vi sincronizzaste ora, verrebbe fuori
immediatamente».
Tech e Weapon si scambiarono uno sguardo.
«Shinigamisama», lo chiamò dopo qualche
attimo Maka. «... Perdoni se sono
diretta e poco rispettosa, ma lei è stato un completo idiota
se pensava davvero
che io o Soul saremmo guariti».
«Mi aggrego», annuì Soul, rilassando
appena la mascella. «Avresti dovuto parlarne
con noi, Kidd».
Lo Shinigami guardò male la Death Scyte per un secondo; non
gli piaceva che lo
chiamassero con il suo vecchio nome, ma poteva capire che fosse
più la rabbia
che la coscienza a far parlare la Weapon, quindi evitò di
farne un problema di
stato. «Dovevo esserne sicuro».
«Un corno!», esplose allora Soul, facendo un passo
verso Kidd, come se volesse
aggredirlo fisicamente oltre che verbalmente. «Abbiamo
buttato tre anni nel
cesso, grazie a te!».
«Alzando la voce non risolviamo nulla, Soul», lo
rimbeccò Maka, alzando gli
occhi al cielo. «Sono sicura che lo Shinigamisama non ci hai
fatto venire qui
solo per comunicarci che siamo un pericolo ambulante se combinati
insieme».
A Kidd scappò un sorrisetto compiaciuto. Vedere confermato
l'equilibrio tra la
mente e il braccio di quella coppia lo rassicurò non poco.
«Precisamente di
questo si tratta, Makasan. Da quello che sappiamo il Kishin si sta
risvegliando, perciò mi vedo costretto a chiedervi di
recidere definitivamente
il legame».
«CHE COSA?».
«L'hai detto anche tu», fece notare lo Shinigami
alla prima. «Siete un
pericolo. Siete instabili, e perciò anche i più
soggetti ad impazzire. Non
voglio che rischiate di diventare il prossimo obiettivo della Shibusen,
perciò...».
«Ma, ma io...», balbettò Maka, facendo
scattare gli occhi da Soul a Kidd.
Questo non se lo sarebbe mai aspettato. «No,
non...».
«Non puoi», completò Soul in un
sussurro, spostandosi appena di lato per
coprire parzialmente Maka dalla linea d'azione diretta dello Shinigami,
particolare
che non sfuggì al destinatario di quelle parole smozzicate.
Desincronizzarsi non era stato un problema, perché entrambi
contavano
sull'ultimo legame residuo rimasto tra di loro. Era la loro sicurezza,
il punto
fermo di metà della loro vita. Desincronizzarsi non
significava perdersi, ma
slegarsi voleva dire porre un ostacolo insormontabile tra loro: due
altri - e
definitivi - partner.
«... Non ci puoi costringere», dichiarò
la Weapon.
Dannazione, questo era molto peggio che affrontare il Kishin.
«Ah, davvero?».
«Davvero, Kidd»,
sibilò Maka, alle spalle della Death Scyte.
«Dovrai
passare sul mio cadavere per riuscire a strappare ciò che
resta del mio legame
con Soul!».
I fronti si fissarono.
Maka e Soul erano in posizione d'attacco, compatti, decisi, e Kidd non
si stupì
del fatto che avessero rinsaldato così rapidamente i ranghi
una volta caduto
l'unico apparente ostacolo che li aveva tenuti lontani. Era logico che
lo
facessero. Il punto, oltre che la cosa che lo preoccupava, era un
altro...
«Tre anni fa», iniziò, compassato,
«... siete venuti qui, con l'aria più
terrorizzata che io abbia avuto il dispiacere di vedere sui vostri
volti,
dicendomi che Soul aveva tentato di mangiare l'anima di
Maka». Fece passare lo
sguardo dall'una all'altro, senza dimostrarsi supplice ma sperando che
almeno
capissero la sua posizione. «Quando siete usciti da quella
porta, non eravate
più una coppia».
«Eravamo spaventati. Non sapevamo cosa fare»,
spiegò Maka, senza tentennare.
«Ma adesso...».
«Adesso, cosa?»,
berciò lo Shinigami. «Fino a due minuti fa stavate
litigando, ora vi siete coalizzati contro di me. Come faccio a non
pensare che
questi non siano i primi segni della pazzia?».
«Abbiamo sempre litigato per qualunque cosa! Sarebbe stato
anormale se non ci fossimo
scannati a prima vista, invece!», polemizzò Soul.
«Kidd, non c'è bisogno che ci
spezzi. Basta che non ci sincronizziamo. Come abbiamo fatto
finora».
«No», si intromise Maka.
«Come, no?», Soul si
voltò, colto alla sprovvista.
«Noi ci dobbiamo
risincronizzare». Maka alzò gli occhi da Soul a
Kidd.
«Perché, nonostante tutto, siamo stati noi a
sconfiggere il Kishin l'ultima
volta. Avete bisogno del nostro aiuto, Shinigamisama. Avete bisogno di
me e
Soul, insieme».
Kidd scosse la testa, sconsolato. «Non posso credere alla tua
cocciutaggine,
Makasan».
«E io non posso credere che lei abbia pensato che mi sarei
arresa», sibilò tra
i denti la Technician.
«È fede mal riposta», Kidd
tagliò corto.
«Ho trovato il diario degli esperimenti di Medusa».
«Come..?», balbettò l'altro.
Se il discorso tra la Tech e lo Shinigami era una partita a tennis,
Maka aveva
appena segnato un poderoso, inaspettato ice.
«Era nel mondo delle streghe», spiegò la
Meister. «Prima di venire qui l'ho
dato al Professor Stein. È l'unico che possa manovrarlo con
una certa
sicurezza».
«... Quel libro è stato scritto dalla strega che
voleva far impazzire la sua
stessa progenie», disse Kidd a denti
stretti, «Come puoi pensare che
contenga un qualche tipo di soluzione?».
«Ci aiuterà a capire come funziona esattamente il
sangue nero».
«Makasan, hai visto con i tuoi stessi occhi cosa è
successo a Chrona. Non vi
permetterò di usare le conoscenze di quel libro, sono troppo
pericolose».
«Shinigamisama, la prego. So quello che sto
facendo», rispose lentamente Maka.
«Ho imparato a controllare il mio sangue nero con l'aiuto di
un'altra Weapon
infetta».
Soul soppesò con attenzione l’idea di essersi
appena slogato la mascella.
Il diario di Medusa? Controllare il sangue nero? Un'altra Weapon
infetta? Che
diamine aveva combinato Maka in quei tre anni, accidenti a lei?!
Per quanto altrettanto sorpreso, lo Shinigami non perse la
lucidità, né
l'irritazione, per domandare: «... Ponendo che tu ora riesca
a
"controllare il sangue nero", mi spieghi come elimineresti il
problema di Soul?».
«Non lo eliminerei, lo aggirerei»,
rispose determinata la ragazza. «Se
Soul non riesce a controllare il suo sangue nero, lo farò
io».
Soul aprì la bocca, pronto a supportare a spada tratta Maka,
ma il ricordo di
una sfilza di suoni fracassati gliela fece richiudere quasi subito. Se
aveva
intuito bene ciò di cui stava parlando, lei voleva entrare
nella Dark Room,
dove c'era il pianoforte. Dannazione... Come avrebbe fatto a spiegarle
quello
che era successo lì dentro?
«Mi staresti dicendo che vuoi sincronizzarti con il suo
sangue nero, oltre che
con la sua anima...?», chiese Kidd, piegando leggermente la
testa.
«Sì. È una cosa che facevo anche in
passato in realtà, solo che non ne ero
pienamente consapevole. Mi dia un po' di tempo. Posso entrare dentro
Soul,
usare le onde anti-magia e tenere a bada la pazzia di entrambi,
sfruttando al
massimo la potenza del sangue nero. Ci darebbe un vantaggio non
indifferente...
soprattutto ora che il Kishin sa come potremmo operare per fermarlo di
nuovo».
Kidd rimase in silenzio, incuriosito dalla piega che aveva assunto la
conversazione. Chissà che si poteva essere inventata, quella
Technician... a
volte lo Shinigami si chiedeva quante volte Spirit avesse passato sotto
banco a
sua figlia i libri della sezione proibita della Shibusen, visto e
considerato
la quantità di cose di cui Maka si era sempre dimostrata a
conoscenza.
«... Potrebbe rivelarsi un suicidio»,
commentò infine.
«Non ho intenzione di lasciar perdere senza almeno
provarci», insistette Maka,
senza sentir ragioni. Era da tre anni che lavorava per ritornare con
Soul, e
non l'avrebbe fermata neanche un divieto diretto dello Shinigami.
«E finora ha
sempre funzionato, perciò non si tratta di un vero e proprio
salto nel buio».
«Hai un piano di riserva? Se ti sincronizzi e anche solo per
un attimo perdi il
controllo, impazzirete tutti e due, e a quel punto saremmo costretti ad
abbattervi», la provocò lo Shinigami.
«Davvero vuoi rischiare la vita di
entrambi?».
«Non posso decidere della vita di Soul», Maka lo
guardò con la faccia tirata.
«... Ma la mia sono più che disposta a metterla in
gioco».
E Soul che aveva avuto il coraggio di pensare che lei non volesse
più avere
niente a che fare con lui... Adesso si scopriva che Maka era disposta a
tentare
il tutto per di riportare le cose a come erano in passato.
«... Prometti che non smetterai di fidarti di me».
Erano state le ultime parole che gli aveva rivolto, prima di andarsene.
Non se
le era dimenticate, questo no, però era anche vero non aveva
potuto impedire
che il tarlo del dubbio si insinuasse dentro i suoi pensieri. Ma adesso
Maka
era lì.
«... Te lo giuro».
Glielo doveva. Con tutto quello che le aveva fatto, Soul glielo doveva,
e per
quanto preoccupato dalle conseguenze alla fine dichiarò:
«Ci sto».
Il viso di Maka si aprì in un altro sorriso, non commosso
come si era
aspettato, ma sollevato. Forse anche lei aveva avuto un tarlo da tenere
a
bada..?
Kidd piegò la bocca in un ringhio, e pressò le
tempie tra due dita. La sua frustrazione
era evidente. «... Non so chi di voi due sia più
pazzo, sinceramente!», sbottò
sdegnato.
«Shinigamisama», si appellò allora la
Technician. «L'ho già testato sia su
Soul, sia sull'altra Weapon. Funziona. Mi deve credere. Ci dia una
possibilità.
Una sola. Per favore».
Kidd li fulminò con lo sguardo. Lo fissavano come se
avessero intenzione di
fare di testa loro, qualunque fosse la sua decisione.
Si alzò dal divanetto, innervosito, lisciò il
mantello e intraprese il solito
percorso a otto. Per minuti, interminabili.
Soul si ritrovò la mano di Maka a stritolargli la sua. La
scossa che ricevette
non fu la famigliare sensazione dell'incontro di anime, ma una scarica
che gli
fece venire la pelle d'oca.
Cazzo, sono passati davvero tre anni.
Si voltò istintivamente verso Maka, e non si sorprese di
vederla speranzosa
fino alla disperazione.
«... Immagino che tentare non ci costi poi così
tanto».
Guardò lo Shinigami. Non era sicuro di aver sentito bene. In
compenso, le
unghie di Maka che gli stavano quasi per trapassare il palmo le sentiva
benissimo.
«E va bene», cedette Kidd.
«Proviamoci».
Aveva detto di sì.
Era paralizzato dalla testa in giù.
Kidd aveva detto di sì.
«Grazie», la voce di Maka si
incrinò, stavolta fu lei a parlare per
entrambi. «Grazie mille».
«Si tratta di una prova», soggiunse Kidd.
«Non è detto che sia possibile
tornare a fare coppia, per voi due. Se l'esperimento va male,
spezzerò di
persona il vostro legame».
«Abbiamo capito», la Tech annuì seria,
ma con un sorriso. «Gliene siamo grati».
La sua Technician gli tirò una leggera gomitata al braccio.
«G-grazie», balbettò Soul di riflesso.
«Comincerete oggi pomeriggio», decretò
dopo aver fatto un sospiro lo Shinigami.
«Vi aspetterò nel campo di allenamento degli
studenti alle 4 in punto. Fino ad
allora, cercate di non ammazzarvi... Il cammino che avete intenzione di
intraprendere non è esattamente una passeggiata».
«Sì, signore», rispose Maka. «Grazie».
Soul non l'aveva mia vista fare un inchino più profondo di
quello, e anche se
la sua cultura propendeva più per la stretta di mano, la
imitò.
Senza aggiungere nient'altro, si congedarono e uscirono fuori dalla sua
sala.
«... Pensi che ce la faranno, Kidd?»,
domandò Liz, che insieme a Patty aveva
assistito in totale silenzio la conversazione tra i tre.
«Se non fosse che siamo in una situazione di emergenza non
avrei mai permesso
che si riavvicinassero... Ma non potevo non tenere conto del fatto che
sono
stati loro a bloccare il Kishin». Kidd sospirò,
tetro. «Spero tanto di non
averli sopravvalutati».
______________
EVVAI!
*Me che fa un balletto
imbarazzante con dei pon pon improvvisati*.
Dopo sei sofferti capitoli ce l'abbiamo fatta! Puhuhahahah :D non
sapete che
soddisfazione farli incontrare, anche perché nemmeno io ne
potevo più di
tenerli lontani U.U
Cosa più importante ancora, però, è
che sono finalmente riuscita a pubblicare.
Ormai mi sono rassegnata, non riesco più a dare una parvenza
di regolarità agli
aggiornamenti, e vi assicuro che snerva me almeno quanto frusta voi
– anche io
prima di essere una “scrittrice” sono una lettrice,
e rosico tantissimo quando
gli aggiornamenti non si fanno vedere all’orizzonte.
Farò del mio meglio, ma
purtroppo non posso assicurarvi nulla: tra poco inizia una sessione
infinita di
parziali ed esami (sappiate, per chi non lo sapesse, che il secondo
anno di
università in una triennale è la MORTE), e fino a
fine luglio potrei sparire.
Cercherò di pubblicare un capitolo a metà giugno,
tra un appello e l’altro,
sempre che riesca a finire di scrivere e betare... Pregate per me XD
Nel frattempo mi piacerebbe un sacco sapere cosa pensate possa
succedere ora:
ho messo parecchia carne al fuoco fino a questo momento, e sono
curiosa: che
idea vi siete fatti sulla trama, e sui prossimi possibili sviluppi? ;D
Grazie mille, come sempre, a chi segue, chi ricorda e a chi preferisce,
sappiate che avete sempre e comunque tutta la mia stima e il mio
rispetto per
la temerarietà con cui leggete *^*
Al prossimo capitolo!
BBS
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Le
Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo
8
«Sei
diventato altissimo».
Soul
spalancò gli occhi, stupito, e Maka tentò un
sorriso
per evitare una figuraccia.
Di
tutte le cose che avrebbe potuto dire, proprio quella era
andata a scegliere? Doveva essere rincretinita. Certo, nessuno metteva
in
dubbio che lui fosse diventato alto come un gigante, in barba al fatto
che fino
a tre anni prima era lei quella
più
alta della coppia, ma perché non era stata in grado di
pensare a qualcosa di
più... consono?
«E
a te sono cresciute le tette», replicò la Weapon,
ridacchiando.
La
Technician dimenticò seduta stante tutte le sue
preoccupazioni. «Perché cavolo è la
prima cosa che notate tutti?!», sbraitò,
abbracciandosi il busto e cercando di nascondere le ultime arrivate nel
suo
sviluppo adolescenziale.
«Perché
fanno scalpore», disse Soul, scoppiando poi a
ridere.
«Beh,
allora a te è venuta la voce cavernosa. Ed è
orribile!».
No,
non era più la sua voce, il timbro era notevolmente
cambiato rispetto a come se lo ricordava, ma il modo in cui strascicava
pigramente le parole era sempre lo stesso.
«Vogliamo
parlare della tua, di voce? Sembra una rincorsa di
unghie sulla lavagna!».
«Brutto
stronzo idiota deficiente!».
E
proprio la voce di cui lui stava notando i nuovi acuti,
ora, le tremava.
Sono
passati tre anni.
E ogni singolo
giorno, da allora, era sembrato non finire mai.
«Come,
siamo già passati agli insulti?!», Soul era
visibilmente
divertito, sorrideva.
«Puoi
ben dirlo! Sei un cretino! Non mi hai nemmeno chiesto
come sto!».
Lui
scoppiò a ridere. «Nemmeno tu, se è per
questo...»,
stava dicendo, ma si zittì di scatto non appena
riaprì gli occhi strizzati
dalle risate.
Accidenti.
Accidenti a
me e ai pensieri che mi hanno ridotta così.
«Cretino»,
singhiozzò Maka. «Sei sempre il solito
cretino...».
Le
si avvicinò di un passo, non sorrideva più.
Esitando
quell’attimo che fu necessario a farle cedere il cuore per un
battito, la
abbracciò.
Maka
era talmente sconvolta dal gesto che non riuscì a
ricambiarlo, anche perché le sue braccia erano rimaste
intrappolate in quelle
di lui. Chiuse gli occhi e si limitò ad appoggiare la fronte
sulla spalla di
Soul, in silenzio.
Casa.
Era a casa.
Finalmente era a casa.
«E
tu sei sempre quella che non sa godersela per più di tre
secondi», sussurrò il ragazzo, affondando la
faccia nell'incavo della spalla di
lei e stringendola ancora di più.
E
accidenti anche a te,
Soul, che mi stai stritolando così.
La
Weapon si prese un minuto, prima di chinarsi leggermente
in avanti e caricarsi la Technician sulla spalla.
«Cosa
cavolo stai facendo?!». Suonò isterica anche a
sé
stessa.
Non
poteva vederlo, ma capì dal tono che Soul stava sorridendo.
«Ci sto spostando in un'aula vuota. Non mi sembra il caso di
dare spettacolo
davanti alla porta dello Shinigami».
Lei
borbottò sottovoce, «… Come se non
l’avessimo già
fatto», ma si lasciò trasportare, asciugandosi in
continuazione le lacrime
nella sua maglietta e tirando su con il naso. Non protestò
nemmeno quando lui,
dopo aver aperto una porta e averla attraversata, iniziò a
salire le gradinate
dell'aula. La mise seduta su una panca, delicatamente.
Ora
che ci faceva caso, non era mai stato troppo da Soul
strapazzarla qua e là; lui usava molto di più le
parole per colpirla, e lei
riequilibrava la bilancia picchiandolo finché la fronte
della Weapon non si
trasformava in un incastro perfetto per la costa dei suoi libri
preferiti.
«Perché
qui?», domandò la bionda, una volta ripreso un po'
di contegno, guardandosi intorno a riappropriandosi di ogni dettaglio
della sua
vecchia classe. «Pensavo che ne avessi avuto abbastanza
già dopo la prima
settimana di scuola...».
Soul
si era spostato nella fila sotto di lei. Ghignò:
«A me
snerva stare chiuso qui dentro, ma a te serve, questo posto ti calma.
È il tuo
ambiente ideale, secchiona».
Maka
strinse gli occhi in due fessure. Il contrasto tra le
iridi verdi e le pupille arrossate le faceva gli occhi più
brillanti. «Avresti
dovuto portarmi in biblioteca, o in libreria, allora».
Non
l’avrebbe lasciato vincere. Non così facilmente,
almeno.
«Non
sei esattamente un peso piuma... Già portarti qui
è
stata una faticaccia...».
Non
aveva libri sottomano, così Maka optò per un
pugno in
testa. Poco ci mancò che la Death Scyte andasse a sbattere
il mento contro il
banco.
«Baka!», lo
insultò intanto, distogliendo lo sguardo, offesa.
«Sì,
prego e vaffanculo, ok?!», sbottò lui,
massaggiandosi
la testa.
Passò
qualche minuto, mentre l'imbarazzo e un paio di
sospiri rancorosi si facevano strada tra di loro.
Avevano
appena scoperto che picchiarsi non aveva lo stesso
sapore di un tempo. La complicità non era la stessa, non
erano più sicuri che
si trattasse solamente di uno scherzo: se avessero continuato, c'era il
serio
rischio che iniziassero a picchiarsi per farsi male.
Meglio le parole, magari?
«...
Quindi», sussurrò Maka, schiarendosi la voce che
era
diventata roca e facendo immediatamente cambiare l'atmosfera dell'aula.
«Che
cosa hai fatto in questi tre anni?».
Soul
aprì un occhio, studiandola dalla sua posizione
sofferente.
Maka
sperò che afferrasse al volo il salvagente che aveva
lanciato a entrambi, riaprendo la discussione con lo stesso argomento
che gli
aveva imputato davanti allo Shinigami. Era in fondo un modo velato - e
contorto
- di scusarsi: esattamente come lei, Soul non aveva mai smesso di
spedire la
sua corrispondenza.
«Principalmente
missioni», rispose alla fine, rilassando la
postura e facendo immediatamente fare lo stesso a lei. «Ma da
quest'anno Kidd
mi ha chiesto di restare alla Shibusen e fare da esercitatore. Sai,
aiutare le
coppie a diventare più affiatate e fare un po' di pratica
sul campo...».
«Scherzi?!».
Lui
scosse la testa. Si vedeva lontano un miglio che stava
gongolando dall'orgoglio.
«Poveri
bambini», la Tech lo prese in giro con un
sorrisetto.
«Dovresti
vedere come mi corrono dietro, invece».
«Per
picchiarti?».
Scoppiarono
a ridere.
Qualcosa
si riaccese. Era piccolo, ma lo percepirono
entrambi.
«Maka...»,
commentò lui, con l'ombra di un sorriso residuo
sulle labbra. «Questa cosa non è affatto
cool».
Lei
annuì. Capiva benissimo dove stesse andando a parare.
«No, non lo è. Non lo è mai stato,
senza di te».
Il
suo sorriso si fece tirato, e per un altro attimo rimasero
entrambi in silenzio.
«Anche
tu hai continuato con le missioni?», le domandò
quindi, con l'aria di chi voleva evitare a tutti i costi discorsi
complicati,
appoggiando i gomiti sul banco e avvicinandosi un po'.
«Intendi
dire dopo che mi sono spedita da sola in
Giappone?», domandò retorica, sospirando.
«Mi sono tenuta occupata con delle
ricerche... di cui ti stavo tenendo aggiornato, nelle lettere che ti
mandavo.
Speravo di sapere cosa ne pensassi, e avevo interpretato il tuo
silenzio...».
«...
Come se non approvassi». Soul si passò la mano nei
capelli. «Se ti può consolare, nemmeno io sapevo
più che pesci pigliare. Alla
fine, sono andato avanti facendo di testa mia».
«Cioè,
come sempre...». Accidenti, era tutto così strano.
Provare a pensarlo indipendente, lui che non si ricordava nemmeno di
fare la
spesa o di impostare il riscaldamento, a Maka risultava assurdo, eppure
sembrava essere sopravvissuto alla grande. Beh, forse la camicia aveva
visto
stirate migliori, ma almeno era stirata. «Sai, alla fine
è soprattutto merito
tuo se sono riuscita a trovare il libro di Medusa. Se non mi avessi
ripetuto
fino all'esaurimento che non sarei dovuta cadere in depressione, non
avrei mai
visto la faccenda con occhio critico, e non mi sarebbe mai venuto in
mente di mettermi
nei panni di quella strega».
«Non
ti dev'essere stato difficile...».
Maka
ignorò la battutaccia. «Insomma, Medusa era una
scienziata, proprio come Stein... Da qualche parte doveva pur
registrare i suoi
progressi. Così, mi è venuto in mente che dovesse
tenere un diario degli
esperimenti».
«Non
hai un po’ tirato a indovinare?».
Gli
si poteva leggere in faccia cosa stava pensando: “agire senza strategie non è da Maka
Albarn”.
Beh, anche lei si era riscoperta molto meno sé stessa di
quanto si aspettasse;
almeno adesso condividevano la novità.
«Ero
senza nessun indizio. Ho dovuto cominciare da qualche
parte. Ho cercato una conferma nei libri, ma ovviamente non ho trovato
nulla di
utile... non che ci sperassi. Nemmeno le sezioni proibite delle
biblioteche
della Shibusen sparse per il mondo mi hanno saputo dare una mano,
così sono
tornata in Giappone, a rimuginare. Lì ho incontrato una
delle sorelle Mizune
che era inizialmente riuscita a sfuggire alla cattura».
«Mi
prendi per il culo? Che probabilità c'era che
succedesse?».
«Nessuna.
Sono rimasta persino più sorpresa quando mi si è
avvicinata con una bandierina bianca. Mi ha detto che anche lei e le
sue
sorelle erano state raggirate da Medusa, e che voleva spiegarmi come
erano
andate le cose… in che modo Medusa ha sottomesso Elka,
costringendola a
coinvolgere le sorelle, come si erano spartiti i ruoli e altre cose di
cui non
ci eravamo resi conto mentre correvano a sistemare i casini che
combinavano.
Insomma, grazie a lei ho finalmente avuto un quadro completo della
situazione.
Alla fine mi ha confermato l'esistenza del libro, aggiungendo
però che non
sapeva dove avrei potuto recuperarlo».
«Come
sapevi che non stava mentendo?».
«Le
ho spiato l'anima», rispose Maka. «Quando una
persona
mente, l'anima trema».
«Wow».
«Già».
Il sorriso di Maka si spense. «In ogni caso non le ho
creduto del tutto. Non mi fido più delle coincidenze, e in
Giappone ho avuto
l’impressione che cadesse dal cielo tutto ciò che
stavo cercando... Weapon
compresa».
La
Death Scyte si incupì.
Forse
non era stata una buona idea accennare tanto presto a
quella questione. «Non mi sono mai sincronizzata con nessun
altro, dopo di te»,
gli rivelò allora, stringendosi nelle spalle. «Non
ci riuscivo. Ricordi quel
periodo in cui mi scottavo le mani?».
Soul
annuì, attento.
«Beh,
ogni volta che qualche Weapon mi chiedeva di valutare
il loro livello, finiva che mi ritrovavo con ustioni di secondo
grado».
«Come
mai?».
Maka
si sentì rimpicciolire.
Le
era capitato più volte di avere paura. Paura di non
passare un test, paura di non concludere una missione, paura di perdere
Soul;
ma era stata soltanto una, la volta in cui aveva avuto paura di morire;
la
volta in cui, tra le altre cose, il mondo le era crollato addosso per
la
seconda volta nella vita. Quando suo padre le aveva detto che sua madre
se
n'era andata per i continui tradimenti, Maka si era sentita morire;
quando la
strega era riuscita a colpirla e Soul aveva perso il controllo, Maka
aveva avuto
la prontezza di respingere l'attacco. Non riusciva veramente a mettere
i due
eventi sullo stesso piano, ma in quel preciso istante non aveva potuto
farne a
meno, e doveva ringraziare di aver già percepito quella
sensazione in
precedenza – la sensazione di una catastrofe inevitabile in
arrivo su di lei, dentro di lei
– perché era solo grazie a
ciò che le aveva fatto passare suo padre che era stata in
grado di evitare il
peggio con Soul.
All’inizio
pensava che sarebbe stato meglio non farglielo
capire, ma mentire alla Death Scyte avrebbe solamente complicato le
cose: se
davvero voleva far tornare il loro rapporto di Technician e Weapon alla
fiducia
di un tempo, avrebbe dovuto reimparare a stare con lui, parlandogli di
quello
che la attanagliava... Fin da subito.
«Avevo
paura», bisbigliò quindi. Ma non riuscì
a controllare
il panico di essere di nuovo vulnerabile e richiuse lo spiraglio appena
aperto
aggiungendo immediatamente: «Poi ho trovato Zoey».
«Zoey..?».
Maka
alzò lo sguardo su Soul. Era esterrefatto.
«Sì,
posso immaginare che sia uno shock scoprire che sei
stato rimpiazzato da...».
«Una
bambina!».
Ora
era Maka, ad avere gli occhi spalancati. «E-e tu come lo
sai?!».
«Quella
peste ha scatenato il putiferio in una mia classe,
ieri mattina!».
«Ieri..?».
Dopo un attimo di confusione, lo sguardo di Maka
si illuminò. «Ecco perché Milo era
così imbronciato quando sono tornata…».
Soul
face due più due. «Sei arrivata ieri?!».
Si
fissarono.
«L'altro
ieri sera, in realtà... Ma Kidd mi ha proibito di
avvertirti».
«Quel
brutto stronzo mi ha raccontato una palla! Adesso sì
che vado a spaccargli la faccia!».
Maka
lo afferrò per un braccio, «No, aspetta, Soul! Non
puoi..! Dannazione, vuoi davvero dargli una buona ragione per
separarci?!».
«No,
ovviamente», ringhiò.
«Allora
datti una calmata. Ho ancora delle cose da
spiegarti, ad esempio come mai sono finita per fare coppia con una
bambina di
nove anni».
Soul
espirò con forza dal naso, facendole segno di
continuare a raccontare.
Maka
si rimise comoda contro lo schienale della panca,
lasciando andare il braccio di Soul soltanto dopo essersi assicurata
che lui
sarebbe rimasto. «È successo poco più
di un anno fa. Ero arrivata ad un altro
punto morto, così, nella speranza di trovare
un’illuminazione, ho deciso di
fare un giro nel distaccamento giapponese della Shibusen. Controllavo
alcuni
spostamenti sospetti di streghe, quando all’improvviso si
è sentito un gran
trambusto provenire dal corridoio. Un attimo dopo, avevo Zoey tra le
braccia.
Non sapevo ancora chi fosse, così le ho controllato
l’anima… e ho scoperto che
non eri l'unica Weapon infetta oltre a Chrona».
«Non
so se essere ridere o piangere», commentò la Death
Scyte, quasi atona.
«Piangere»,
rispose lei, a sorpresa. «La loro famiglia è
stata falciata in uno dei primi esperimenti di Medusa. L'infezione di
Zoey è
stato un effetto collaterale... Credo che Medusa non avesse
preventivato che
qualcuno potesse sopravvivere».
«Piuttosto
avventato, per una fredda calcolatrice come lei».
«Ho
visto il loro villaggio...». Maka chiuse gli occhi. Non
era mai riuscita a liberarsi del tutto della desolazione di quel luogo
e ogni
volta che ci ripensava, rabbrividiva. «Lo ha fatto radere al
suolo. Non è
rimasta in piedi nemmeno una pietra. È un miracolo che loro
due siano
sopravvissuti».
Soul
si astenne dal ribattere, attendendo pazientemente che
Maka ricominciasse a parlare.
«Insomma,
abbiamo iniziato a parlare, e mi hanno raccontato
come avevano fatto ad arrivare fin lì, dopo aver incontrato
lo Shinigamisama».
«Aspetta,
si sono incontrati prima che Kidd
prendesse il posto di suo padre?».
«Già.
Ma a quanto pare non ne hanno mai parlato. Kidd non ne
sapeva nulla, quando gli ho detto di Zoey...».
«Ok,
Maka, i risvolti sono sempre innegabilmente interessanti,
ma vuoi arrivare al punto?». Soul aveva perso la pazienza, ma
come sempre lo
dimostrava in modo annoiato piuttosto che con rabbia vera e propria.
«Non
capisco. Come sei finita con la marmocchia?».
Lo
fulminò non con lo sguardo, irritata dall'appellativo che
aveva appioppato alla bambina. «Ho avuto modo di farle
qualche domanda, e lei
mi ha parlato dei suoi partner passati. Non ci è voluto
molto per capire che il
sangue nero rendeva altamente instabile la sincronizzazione, e che i
Technician
con cui ha avuto a che fare, spaventati, l'hanno abbandonata non appena
se ne
presentava l'occasione».
«Così
hai pensato bene di prenderla sotto la tua ala...»,
continuò Soul al suo posto. «E visto che non
potevi più fare pratica con me,
avresti potuto allenarti con lei».
«Mentirei
se ti dicessi che non era esattamente quello che
avevo pensato, ma il punto è che nemmeno io riuscivo a far
funzionare la
sincronizzazione», ammise Maka, tamburellando le dita sul
banco. «È stato in
quel momento che la tanto ricercata illuminazione è
arrivata».
Soul
sbuffò sonoramente: aveva capito. «Invece di
sincronizzarti con la sua anima, con cui avresti avuto problemi dato il
legame
con me, ti sei sincronizzata con il suo sangue nero»,
borbottò, scuotendo la
testa. «Nessun dubbio che i tuoi esami non siano
migliorati».
«Da
quello che so nemmeno i tuoi esami
sono migliorati», replicò piccata la ragazza.
Lui
alzò un sopracciglio, sorridendo con arroganza. Aveva
ancora i denti aguzzi. «Chi ti dice che non mi sia allenato
con un Meister
infetto?».
«Impossibile»,
dichiarò lei, deglutendo. Ritrovare
particolari di Soul dimenticati la stava mettendo a disagio.
«Non esiste, un
altro Meister infetto».
«Non
nel senso che intendi tu, forse...», le sorrise.
«Che
mi dici di Stein?».
«Ti
sei allenato con Stein?!»,
sbottò Maka. «Stai scherzando?!».
L’altro
alzò le spalle. «Kidd non ha mai voluto
rimpiazzare
Liz e Patty. Sono rimasto disoccupato, perciò, per evitare
di restare con le
mani in mano, ho chiesto a Stein di insegnarmi qualcosa tra una
missione e
l'altra».
La
Technician si sforzò di chiudere la bocca. «Sono
esterrefatta».
«Lo
vedo».
«E
io che pensavo fossi andato a sostituire Justin Law...»,
Maka alzò gli occhi al cielo.
«Kidd
non ha voluto. Ci ha spedito tuo padre, in Europa. Non
ne poteva più di sentirlo lamentarsi».
«Allora
perché mio padre è qui? Ieri l’ho
chiamato, e dalla
musica di sottofondo avrei giurato che si trovasse al Chupa
Cabras».
«Forse
è ritornato perché Kidd gli aveva detto che
presto
saresti stata qui anche tu».
«Non
penso... L'ho chiamato ieri pomeriggio, ed era sorpreso
quando gli ho detto che ero rientrata a Death City»,
commentò Maka. «Kidd deve
essere più preoccupato di quando non vuole farci credere, se
ha fatto tornare
mio padre».
«Avrà
avuto i suoi motivi». Soul alzò le spalle,
disinteressato dalla faccenda. «In ogni caso, ora mi
piacerebbe sapere cosa hai
in mente di fare tu. Quello che hai accennato prima, sincronizzarsi con
il mio
sangue nero prima che con la mia anima… Non abbiamo mai
tentato nulla del genere,
prima».
«Non
consapevolmente».
Soul
affilò lo sguardo.
Maka
non era stata tanto stupida da non ammettere, almeno a
sé stessa, che il sangue nero poteva rivelarsi una risorsa,
ma si era sempre
rifiutata di scavare più a fondo in quella direzione
perché aveva intuito
quanto facesse male, a lui, anche solo parlarne. E lo sguardo con il
quale la
stava interrogando ora era lo stesso che incrociava subito dopo le
missioni in
cui Soul era stato costretto a suonare il pianoforte della stanza nera.
Aveva
paura di chiedergli troppo, e aveva paura che lui si
sentisse in dovere di accettare per quello che era successo tre anni
prima.
Come fare ad arrivare a un compromesso in cui entrambi mettevano
qualcosa sul
piatto?
«Pensi
che ci riusciremo?», la distrasse, richiamando il suo
sguardo dal vuoto che Maka stava fissando da un po’.
«…
Non credo che Kidd ci chiederà subito di
sincronizzarci»,
considerò lei lentamente, guardando i suoi scarponi
dondolare. «Ci farà
ricominciare da zero».
«La
percezione dell'anima», sospirò lui. «E
a proposito...
Che è successo alla tua anima? Sembra più
piccola, e a volte sparisce».
«Te
ne sei accorto», sussurrò la Technician,
rivolgendogli
un sorriso. Era già qualcosa. «So usare il Soul
Protect».
«Sul
serio?!», esclamò lui. «Come l'hai
imparato?».
Il
metallo caldo della
sua Weapon sotto le dita, malleabile come non mai. Il dolore lancinante
al
petto. Il panico di aver fatto qualcosa di sbagliato, il realizzare
l'imprevisto, l'umiliazione per non averci pensato. La sensazione
strisciante
di qualcosa che le risaliva lungo la schiena, le sue onde antimagia che
erano
impazzite, il respiro che le si spezzava, le ginocchia che non la
reggevano
più, il sangue ovunque...
«Maka..?».
Soul
che tentava di
avvolgerla fino a farla quasi soffocare del tutto.
La
ragazza trasalì.
«Con
la strega Mirona», ammise di getto.
Non
lo stava guardando in faccia e non avrebbe potuto vedere
la sua reazione, ma non ce fu bisogno: il colpo al cuore di Soul lo
aveva
sentito perfettamente anche lei.
Forse
parlarne non era stata una buona idea.
Il
silenzio che Maka aveva allontanato tornò, prepotente e
persistente, separandoli soltanto come i chilometri avevano potuto fare
durante
quegli anni.
«...
Poi è stata mia madre a insegnarmi a gestirlo»,
continuò, riuscendo a malapena a sentirsi.
«...
Capisco».
Lui
non la stava più guardando; persino l'espressione le
diceva che la sua mente era altrove.
«Soul...».
«Maka,
per favore, lasciamo stare», biascicò lui,
stringendo
gli occhi e poi coprendoseli con una mano. «Non tiriamo fuori
l'argomento.
Lasciamolo da parte... Per un po'».
«Ok...»,
annuì lei, stringendosi le spalle tanto da farsi
mancare il fiato. «Ok».
Era
troppo presto, Soul aveva ragione. Nella stanza dello
Shinigami non avevano quasi nemmeno fatto in tempo a salutarsi che si
erano
riversati addosso le presunte colpe, senza risparmiarsi. Almeno una
tregua era
necessaria, se volevano risolvere qualcosa.
«Quindi...
hai incontrato tua madre?».
«In
Giappone».
«Cool».
Quanto
era squallido quello che stava succedendo. Si sentiva
talmente a disagio che le tremavano le ginocchia anche se era seduta.
Se
avessero smesso di riempire l'aria con il suono delle loro voci,
avrebbero
sentito tutta la pressione delle parole non dette rimbombare nell'aula.
Disse
la prima cosa che le venne in mente. «... Come sta
Blair?».
Riuscì
ad attirare l'attenzione di Soul. Anzi, più il suo
sconcerto. «Perché mi chiedi proprio di
Blair?!».
«Non
lo so», tirò su le spalle. «Vive ancora
da noi?».
Un
angolo della bocca di Soul si sollevò. Era sarcasmo,
quello, ne era sicura: gli aveva visto fare quella smorfia milioni e
milioni di
volte.
«No.
Ha preso un appartamento poco lontano da dove abitava
tuo padre».
«Chissà
come mai», Maka alzò gli occhi al cielo.
«Lavora
in pianta stabile al Chupa Cabras, ora», Soul le
raccontò le ultime, forse nella speranza di alleggerire
l'atmosfera. «Però
continua a farsi offrire i pesci gratis dal pescivendolo».
La
Meister ridacchiò. «Ci avrei scommesso».
«E
tu, invece?», le domandò.
«Io,
cosa?».
«Non
puoi dire "da noi" senza farmi pensare che tu
voglia tornare».
Maka
sorrise. «Non mi dispiacerebbe venire subito a
verificare quanto in basso sia caduto lo stato dell'appartamento, visto
e
considerato il tuo amore per le pulizie... Ma prima ci sono un paio di
cose che
dovrei sistemare».
«Tipo?
I libri?».
«Anche.
In realtà pensavo più a chi mi ha accompagnato
fin
qui».
Sarebbe
stato un disastro, spiegare a Zoey e a Milo cosa
sarebbe successo. Soprattutto a Milo. Avrebbe messo in piedi un
processo per
impiccagione... passando direttamente all'impiccagione.
«Dovrai
dirgli addio?».
Maka
intercettò lo sguardo di Soul. Pareva preoccupato,
anche se cercava di nasconderlo.
«Non
necessariamente. Ma Zoey...».
«Se
ti può interessare, la marmocchia ieri ha fatto
comunella con uno dei miei studenti. Sembravano affiatati».
Maka
inarcò un sopracciglio. «Ah... E Milo ha notato la
cosa?».
«Non
ne ho la più pallida idea. Non ci ho fatto caso»,
Soul
sollevò le spalle. «Cosa facciamo fino alle
4?».
Il
brusco cambio di discorso accese in Maka la certezza che
a Soul sentirla parlare di Milo e Zoey desse parecchio fastidio. Ma
lasciò
correre. Se avesse iniziato a impuntarsi su ogni sua parola o
atteggiamento non
avrebbero fatto altro che litigare, senza arrivare a risolvere nulla.
«... Non
hai degli studenti di cui occuparti?».
«Oggi
no, è il mio giorno libero».
«Allora
mi piacerebbe sapere che ne è stato dei nostri
vecchi compagni... Ah, e vorrei anche rivedere Stein, ho un paio di
cose da
chiedergli».
Soul
fece una smorfia. Era molto probabile che avesse capito
cosa intendesse sapere dallo scienziato, ma Maka non poteva fare
altrimenti: se
avesse chiesto a Soul non avrebbe avuto che una risposta vaga, e mai
come in
quel momento aveva bisogno di certezze.
«Va
bene, andiamo». La Death Scyte si avviò verso la
porta,
e la tenne aperta finché Maka non lo superò.
Dalla
faccia inespressiva di Soul, c'erano altre cattive
notizie in arrivo.
_________________________________
Allora. Partiamo dal
presupposto che
adoro infilare i personaggi in situazioni drammatiche, e che loro mi
odiano per
questo, giustamente... Ma. Questo. Capitolo. Non voleva. Finire. Più. T.T
Veramente,
è stato un parto. Non sapevo
cosa potessero fare, e nemmeno loro sapevano che diamine fare. Insomma,
si
rincontrano dopo tre anni di totale silenzio, provate a mettervi nei
loro
panni, come vi comportereste?
L'inizio sembrava
promettente. A fine
seconda pagina credevo sarebbero stati in grado di arrangiarsi senza
che dessi
loro troppi incentivi - perché sono convinta che un autore
che adotta dei
personaggi a cui non cambierà la personalità (o
almeno questo è l'intento)
debba soltanto scegliere un contesto e lasciare che agiscano per
affaracci loro
- eppure... Ho osservato questi due fissarsi per tutto il tempo, con
troppe
cose da dire e troppe toppe da ricucire. Ho provato a inserirli in un
contesto
famigliare, ma la tattica ha fatto cilecca. Pietosamente
cilecca. C'è un bel po' di lavoro da fare con
questi due, sempre che si
decidano ad essere collaborativi.
Tutt'ora
non sono contenta di come si è concluso il capitolo, mi
hanno lasciato l'amaro
in bocca. Maledetti. Va beh, vedremo come andrà da Stein =.=
Avviso che ci
sarà una pausa, da questo
sabato inizio la sessione estiva e non credo avrò abbastanza
testa da mettere
nella fanfiction… scusatemi ma non voglio rifilarvi
schifezze t.t
Nel frattempo
ringrazio tutti coloro che
stanno leggendo: non mi aspettavo che ciò che scrivo potesse
essere letto da
così tante persone. Siete mitici *^*
Ringrazio anche chi
segue e chi
preferisce, è soprattutto per voi che non mollo la storia,
soprattutto quando
diventa veramente difficile non farsi prendere dall'incazzatura e
cancellare
tutto!
Come sempre vi
invito a farmi sapere cosa
ne pensate in un recensione :)
Al prossimo
aggiornamento (se sarete
ancora lì ad aspettarmi t.t)!
- BBS
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Le
Mille Linee Delle Lunghezze
d'Onda
Capitolo
9
Il
tragitto dalla Shibusen alla casa di Stein e Marie era stato molto,
molto
silenzioso.
Avevano
evitato di tirare fuori altri argomenti, viste la difficoltà
incontrate quando
avevano ricominciato a parlare, e in quel preciso momento si limitavano
a
camminare fianco a fianco; lei con il solito passo da bersagliere; lui
trascinando i piedi e tenendosi la nuca con le mani.
Soul
non sapeva cosa dire. Non sapeva se doveva
dire qualcosa o se fosse meglio aspettare che la
famigliarità tornasse a
insinuarsi tra di loro per intraprendere un qualunque discorso che,
possibilmente, non riportasse a galla brutti ricordi. Nel dubbio era
rimasto
zitto, permettendosi solo di studiarla di tanto in tanto con la coda
dell'occhio.
Maka
aveva un'espressione scura da quando erano usciti all'aperto, e lui era
sicuro
che non fosse dovuto alla dimostrazione di quanto alla Shibusen lo
apprezzassero come insegnante. Aveva messo piede nella piazza e le
studentesse
lo avevano circondato, ma era bastato il leggero tossicchiare scocciato
di Maka
- come a far presente che lei non voleva essere travolta dalla folla
urlante -
per farle volatilizzare: chi sbattendo lentamente le ciglia, chi
incredula, chi
con il broncio, ma tutte inevitabilmente consapevoli che anche
lavorando sodo
per chissà quanti anni non avrebbero mai potuto essere
all'altezza della
Meister che aveva sconfitto il Kishin.
Le
lanciò un'altra occhiata, pensieroso, e stavolta lei lo
colse in fallo.
«Devi
dirmi qualcosa?», lo provocò, alzando un
sopracciglio.
Per
tutta risposta alzò le spalle, fingendo indifferenza e
distogliendo lo sguardo.
Chissà
se si si era resa conto che si erano disposti come quando facevano
coppia. Maka
era destrimane, perciò con il tempo lui aveva imparato a
stare alla sua destra
per renderle immediata la presa quando assumeva la forma di falce, e
lasciava
che lo precedesse di un passo, perché coordinasse
più liberamente i movimenti
di entrambi. Un modo come un altro per essere una Weapon attenta, senza
perdersi in sdolcinerie appiccicose.
«Siamo
arrivati», gli fece presente, stranamente senza insistere
come faceva di solito
per cavargli una risposta di bocca.
Soul
spostò gli occhi verso sull'edificio, a poche decine di
metri da loro. Ci era
stato praticamente ogni settimana negli ultimi tre anni,
così non capì come mai
i ricordi lo stessero investendo proprio - e solo - in quel momento.
La
prima
volta che si erano presentati da Stein, lui e Maka vivevano insieme da
poco più
di un anno. Camminando tra i corridoi della Shibusen con le scarpe da
studente,
aveva spesso sentito bisbigliare che loro due fossero la coppia
più giovane ad
accumulare tanto rapidamente anime, e che se avessero continuato a
quella
velocità avrebbero battuto il leggendario record della madre
di Maka: aveva
reso Spirit una Death Scyte in un anno e mezzo. Sicuramente doveva
essere stato
l’obiettivo primario della sua Technician, e quando Soul
aveva mangiato una
delle anime di Blair e si erano resi conto di essere stati raggirati,
lei aveva
seriamente rischiato di rimanerci secca. Al mondo aveva mostrato
soltanto la
parte più tragica e spettacolare della sua frustazione, ma
era stato nel
silenzio persistente e nella mancanza di Maka-Chop che Soul aveva
imparato a
leggere la vera disperazione di Maka: fallire, per lei, era la peggiore
delle
umiliazioni.
Erano
state soltanto le inaspettate conseguenze di quella fregatura a
riconsegnarle
la ragazzina determinata che aveva sempre avuto modo di conoscere; a
causa
della relativa assenza di anime nel loro curricula, erano stati spediti
a fare
gavetta insieme ai Meister e alle Weapon con i quali avrebbero
costituito, in
un futuro non troppo lontano, il gruppo dei più abili
cacciatori di anime dopo
la vecchia guardia dello Shinigamisama.
La
risonanza con Maka allora era piuttosto salda ma decisamente instabile
– non
riuscivano a performare decentemente nemmeno il Cacciatore di Streghe
– e
adesso erano di nuovo davanti alla porta di quel laboratorio, con
più
esperienza ma con lo stesso problema: la sincronizzazione.
«Chissà
se Marie ha fatto i biscotti», si chiese ad alta voce.
Maka
bussò, alzando gli occhi al cielo.
Si
videro aprire proprio da Marie, e la spiazzarono visibilmente.
La
donna aveva cambiato la benda che portava di solito
sull’occhio; in quel
momento ne indossava una blu con uno stemma bianco della Shibusen
disegnato
sopra.
«Oh!
Ragazzi!», esclamò, facendoli entrare solo dopo
qualche attimo di
sbigottimento. «Mi fa piacere che siate qui. Non mi aspettavo
di rivederti così
presto, Makasan!».
Già.
Lì
Maka ci era stata poco prima, e lui non l'aveva ancora mandata
giù, nonostante
le spiegazioni più che comprensibili che la sua Tech gli
aveva dato, perché in mezzo
a quella logica perfettamente inanellata Soul aveva letto solo una
cosa: Maka
non era andata da lui. Kidd o non
Kidd, Stein o non Stein… Ricollegò quello che
aveva sentito la mattina prima
alle informazioni di cui ora era in possesso, ed ebbe la conferma che
Maka – una nota, una sola, e
suonata una sola volta
– non gli si era avvicinata, anche se ne aveva avuto
l’occasione.
La
ragazza intanto sorrideva, un po' in imbarazzo. «Mi spiace
disturbare
ancora...».
«Ma
no, che dici! Accomodatevi pure, faccio un po' di the!».
«Veramente...».
«Non
provare a declinare!», Marie rise, tentando di distendere
l'atmosfera tesa che
i due avevano portato con loro. «Su, su! Ho appena sfornato i
biscotti. Soul,
ti spiacerebbe tenere d'occhio Jack mentre vado a chiamare
Frank?».
Fu
la
distrazione che gli serviva, per non cadere in un baratro.
«Nessun problema».
Non
gli ci volle molto per trovarlo: come sempre, quando costretto a stare
rinchiuso in casa, il mocciosetto se stava seduto sul tappeto puzzle
che da
piccolo aveva allegramente provveduto a impiastricciare con i
pennarelli.
Jack
era intento a far schiantare un numero indicibile di macchinine
– regali dello
staff della Shibusen – e a contare il numero dei morti e dei
feriti, quando venne
distratto dalla mano che gli scompigliò i capelli.
Alzò lo sguardo e spalancò
gli occhioni neri prima di allungare le manine verso l’alto e
urlare
entusiasta: «SOOOH!».
Ovviamente
non riusciva a pronunciare bene alcune consonanti, quindi storpiava il
nome di
Soul in una semplice sillaba espirata.
Con
la coda dell’occhio l’ultimo arrivato tra le Death
Scyte vide Maka assistere
allo scambio, e le sembrò presa in contropiede dalla
sicurezza con cui lui
aveva preso in braccio il bambino.
Si
intrattenne un po' con il piccolo, facendogli qualche domanda e
profetizzando
quanto Jack sarebbe diventato cool
grazie ai suoi insegnamenti, quindi Soul si sedette sul tappeto e
iniziò a
giocare con lui. Avrebbe lasciato che gli adulti discutessero in santa
pace,
tenendo occupato il moccioso, ascoltando in silenzio. Lui, la versione
di
Stein, la conosceva già; non aveva particolarmente voglia di
stare a sentire ancora
l’idea che il professore si era fatto sulle conseguenze
dell’incidente.
«Buongiorno...
Di nuovo», salutò intanto il professor Stein,
spuntato mentre non guardava, e
indirizzandosi quasi immediatamente verso Maka. «Spero che tu
non ti stia già
aspettando dei risultati dal diario di Medusa... È scritto
in una lingua che
non sono ancora riuscito a decifrare».
«No,
no», convenne lei. «In realtà mi
aspettavo di sapere come mai non ha detto che
ha allenato Soul mentre io ero... assente».
Maka
aveva preso posto sul divano mentre Marie iniziava a servire il the, ma
non
appena aveva concluso la frase, la teiera che la Death Scyte stava
tenendo in
mano si fermò a mezz'aria, sopra le tazze.
«Ah,
sì... Mi era passato di mente», «Come, scusa?»,
furono le risposte date quasi all’unisono.
Il
professor Stein non si smentiva mai. Non ne aveva ancora parlato con
Marie.
Sentendosi
terribilmente a disagio nonostante non fosse fisicamente lui quello in
mezzo al
fuoco incrociato, Soul si impegnò nel cercare di staccarsi
Jack dalla schiena,
senza riuscire, comunque, a non osservare la scena di sottecchi.
Maka
era
decisa ad ignorare ciò che le stava accadendo intorno; prese
la tazza rimasta
vuota e la riempì con il liquido ambrato che Marie si era
premurata di
preparare, mentre la bionda Death Scyte lanciava suppellettili
più o meno
improbabili contro il marito scienziato.
«Lo
Shinigamisama ti ha proibito di allenarti con altre Weapon!»,
stava urlando.
«Stavo
solamente aiutando un mio ex studente a non perdere lo
smalto».
«Allenandoti
con lui!».
«Non
si trattava di vero e proprio allenamento, tesoro».
«Ma
certo, giocavate solamente a chi impazzisce per primo!».
Soul
deglutì, colpito in pieno dall'involontaria stoccata di
Marie. Si stava
sicuramente riferendo a Stein e non a lui, però...
«Non
c'è mai stato questo rischio», replicò
placido ma fermo il professore. Nei suoi
occhiali si specchiò un riflesso della luce. «Non
ho mai avuto nemmeno
l'occasione di avvicinarmi al sangue nero di Soul Eater. Non mi sono
sincronizzato con lui».
Poco,
ma sicuro. Lo aveva tagliato fuori.
«E
allora – Marie era furiosa – mi spieghi a cosa
sarebbe servito?!».
«Serviva
a me, Marie», Soul si risolse a intervenire, scandendo quasi
involontariamente
le parole, in modo da evitare ogni genere di fraintendimenti.
Ma
non riuscì a guardare nessuno in faccia. Continuò
a fissarsi le mani, sollevate
entrambe in aria e rivolte con i dorsi verso la sua faccia, per
mostrarsi
occupato a nascondere una macchinina, mentre Jack penzolava come una
sacco di
patate dalla sua spalla. Il bambino cercava, ridendo, di capire dietro
quale
mano fosse finito il suo giocattolo, e gli stava tirando un sacco di
ginocchiate nella schiena, ma non fece una piega per non strapparlo
alla sua
allegria.
«Senza
Maka non sapevo da che parte girarmi, così ho chiesto un
paio di dritte ad un
altro Meister», concluse, dando una risposta alle domande che
sicuramente
stavano rimbalzando in testa alla Tech.
Almeno
qualche spiegazione gliela doveva; lei gli aveva raccontato
più o meno nei
dettagli ciò che aveva fatto in quei tre anni, mentre lui
aveva semplicemente
fatto un gran riassunto, molto più interessato alle
novità di Maka che non a
raccontare le sue ultime disavventure.
«Oh!»,
esclamò Marie, abbandonando lo slancio con il quale stava
caricando il braccio
per scagliare l'ennesima tazza da the.
L'amosfera
era diventata davvero troppo pesante, a quel punto.
«Jack,
che ne dici se usciamo a giocare a basket?», se ne
uscì.
Il
bambino annuì con entasiasmo, prese per mano Soul e si
diressero fuori.
«Penso
andrò anch'io...», sentì Marie
borbottare. «Ma tu non pensare di scamparla,
Frank».
Volutamente,
non incrociò gli occhi della sua Meister mentre uscivano.
Sapeva
cosa stava per succedere: Maka avrebbe approfittato del campo libero
per fare
il resto delle domande a Stein; lui le avrebbe detto le sue teorie
– corrette, come
al solito – e lei, facendo lavorare quel cervellino fin
troppo brillante,
avrebbe scoperto cosa aveva combinato con il sangue nero. Riusciva
persino a
immaginarsi la conversazione. Maka gli avrebbe chiesto cosa aveva visto
quando
gli aveva analizzato l'anima e Stein le avrebbe risposto che non aveva
visto
nulla: niente sangue nero, nelle spire che circondavano la carne di
Soul;
niente di visibile, agli occhi
dell'unico altro Meister in grado di vedere le anime.
Osservò
Jack andare a recuperare il pallone da basket, che nelle sue manine era
praticamente gigantesco, da un cesto seminascosto della veranda, e
subito dopo
tentare di tirarlo verso di lui.
«Hai segregato il suo sangue nero in un
qualche luogo profondo e inaccessibile della tua anima... Mi sbaglio,
Soul Eater?».
Dannazione.
Aveva sperato di poter posticipare, almeno ancora di un altro po', ma
era
evidente che la circostanze giocavano a loro sfavore, con il Kishin
vicino al
risveglio.
La
palla rimbalzò un paio di volte sul cemento, prima che Soul
gli tirasse uno
schiaffo e trasmettesse l'energia necessaria per un pelleggio
più alto.
Come
avrebbe fatto a spiegarle? Era troppo presto. Lui stesso non aveva
avuto tempo
di processare un bel niente, aveva lasciato che l’accaduto si
sedimentasse e
venisse ricoperto da strati e strati di voci avvenimenti informazioni,
e ora
Maka era lì, e anche se da come si stava comportando
sembrava volesse lasciargli
ancora un po’ di spazio, non sapeva fino a quando la Tech
avrebbe rimandato le
domande dirette.
Lanciò
un'occhiata verso una delle finestre della casa, pescandola nel momento
in cui lei
aveva deciso di sprofondare nello schienale del divano in un modo
grottescamente
simile a quello di Blair.
Delusioni,
nient'altro che delusioni.
Strinse
il pallone e i denti, concentrò la rabbia nei muscoli e
tirò a canestro. Lo
mancò.
La
palla andò verso Jack, e lui dovette dargli una mano per
evitare che il
bambino, inserendosi nella traiettoria per acchiappare la sfera,
finisse colpito
e lungo disteso.
A
parole, era stato semplice dirle che era nuovamente al suo fianco e che
si
sarebbe sottoposto a quell’esperimento già
compiuto e mai davvero concluso con
il sangue nero, ma a qualche ora dal suo patibolo personale, iniziava a
sentire
il peso di quelle parole, delle promesse che si era fatto, di
ciò che lei si
aspettava da lui. E non era piacevole, non era piacevole per niente, la
sensazione di essere in bilico sul bordo di una voragine.
Fece
qualche passaggio dolce con il bambino, ripetendogli le regole del
gioco che
avevano fatto da collante nei suoi pensieri tra una missione e
l’altra, e
quando Jack perse l’equilibrio inciampando nei propri piedi
anticipò Marie,
prendendolo di nuovo in spalla. Si assicurò che in mano
avesse ancora il
pallone, poi lo allungò verso il tabellone e gli fece fare
canestro.
Riuscì
a farsi coinvolgere abbastanza dalle risate, impedendosi
così di arrivare
all’ultimo tratto di pensiero di quel gomitolo nero che,
lungi dal districarsi
da solo, si era ingarbugliato ancora di più mentre il tempo
passava.
«Vediamo
se anche la mamma è brava come il suo rospetto!»,
esclamò Marie, preparandosi a
lanciare il pallone.
Jack
gli si strinse al collo mentre osservava rapito la madre, e trattenne
un
sospiro simile a un singhiozzo quando la Death Scyte colpì
l'anello. Un attimo
dopo, il pallone le rimbalzò in testa.
Soul
temette che il bambino scoppiasse a piangere, ma si dovette ricredere
quando
sentì altre risate risuonare nell’aria.
Sorrise
anche lui, un po’ per la comicità dalla faccia di
Marie, un po’ per nascondere
la malinconia di innumerevoli rimpianti e incomprensioni che lo avevano
separato dalla sua famiglia; cose che avevano contribuito a
ingigantirla,
quella voragine.
«Bene!
Credo sia giunto il momento di rientrare»,
dichiarò la donna.
Soul
guardò di nuovo attraverso la finestra. A quando poteva
vedere Maka e Stein si
stavano salutando, perciò lui fece altrettanto con Marie e
Jack. Non aveva
molta voglia di farsi passare ai raggi X dallo sguardo di Stein; quello
di Maka
gli sarebbe bastato.
Era
rimasto solo; era di nuovo tutto calmo.
Rollò
e accese una sigaretta mentre aspettava che lei uscisse, pensando che
nell'ultimo periodo la sua vita pareva non fare altro che alternarsi
tra la
presenza e l'assenza di suono.
«Spero
che tu non abbia mai fumato in casa, o dovrai quantomeno ridipingere
prima che
io rimetta piede lì dentro».
Sorrise,
contento forse l'ennesima volta di essere stato distratto dai suoi
pensieri, e
le fece una linguaccia, praticamente un riflesso condizionato al tono
di voce
petulante. «Non ho mai fumato in casa».
Anche
perché lei molto probabilmente era il genere di persona che
sentiva l’odore del
fumo a chilometri di distanza, e lui ci teneva al suo cranio.
«Sarà
meglio», sorrise anche lei, ma era minacciosa.
Soul
sbuffò. Il fumo azzurrognolo si disperse nel vento.
«Comunque
non è una sigaretta normale».
«Ah,
no?».
Ed
eccolo lì, lo sguardo penetrante e scettico che si
aspettava. Quanto ci avrebbe
messo a capire?
«No.
È un tipo di tabacco particolare, me l’ha dato
Nyngus. Ha detto che avrebbe
rallentato l’azione del sangue nero».
«Oh…
Capisco».
Certo,
che capiva.
Lei aveva sempre capito quanto era stata profonda la
voragine che si portava dentro, e fin dall’inizio
l’aveva accettata come parte
integrante di lui, come vuoto
integrante di lui, vuoto che quando lei era andata via lui aveva
coperto con un
telone nella speranza di farlo scomparire.
A
Soul passò improvvisamente la voglia di finirla, quella
sigaretta. La spese
schiacciandone la punta sul cemento, e gli occhi gli finirono sul
pallone da
basket.
«Che
vuoi fare?», gli domandò Maka, con una nota di
disappunto nella voce. «Dobbiamo
andare».
«Solo
un ultimo tiro…».
Era
solo un capriccio, uno come un altro, ma inaspettatamente fece
ritornare a
galla l’angoscia che aveva soppresso fino a quel momento,
sottolineando il
punto focale attorno a cui ruotavano le sue paure.
Seguì
la traiettoria della palla, finché non centrò il
canestro.
…
Quando avrebbe guardato dentro la voragine,
sarebbe riuscito a vederne il fondo?
_______________________
Dunque.
Questo
capitolo è un po’… boh.
Mi spiego:
avevo iniziato un pov Soul che si è convertito da solo in un
pov Maka e poi era
tornato pov Soul. Indecisa, l’ho lasciato un po’ a
sedimentare, e rileggendolo
qualche tempo dopo mi sono accorta che non mi piaceva, così via!, a riscrivere tutto con un unico
pov – che poi sarebbe l’unica regola rimasta dalle
tre o quattro che mi ero
data per questa fanfiction.
Ed
è
uscito questo. Non mi aspettavo che
Soul avesse macinato così tanto, mentre io non guardavo
>.>
Ovviamente
non sono riuscita a tenerli nella stessa stanza –
perché ormai l’hanno capito
anche loro che è troppo presto
– ma
tutto sommato sono abbastanza soddisfatta di avervi descritto questo
scorcio
della testa di Soul. Mi sa che si tratta della loro natura,
fondamentalmente:
Maka è quella pratica, che agisce e porta avanti la trama (e
per questo la
ringraziamo); Soul è il pigro che procrastina il
più possibile (e quindi mi fa
involontariamente creare capitoli di passaggio, perdendosi nelle
spiegazioni).
Farò comunque in modo di non mantenere questa stasi, dovessi
idealmente
prendere a ceffoni Soul; e per quanto riguarda Maka ho la brutta
sensazione che
dovrò giocare sporco e farle qualche sgambetto per fermarla.
Insomma,
farò patire a entrambi le pene dell'inferno, come sempre u.u
Ma
a
parte questo! Sono riuscita a pubblicare a metà sessione!
Temevo che non ce l’avrei
fatta, ma questo weekend è tornata un po’ di
ispirazione e sono riuscita
persino a tirarmi un po’ avanti :D perciò il
prossimo capitolo uscirà, “regolare”,
tra due settimane. Ormai i tempi si sono inevitabilmente allungati e
resteranno
questi, spero mi perdonerete D:
Un’ultima
cosuccia che ci tengo a condividere con voi riguarda l’ultima
frase di Soul,
che chiude il capitolo. Si tratta di una
rielaborazione/adattamento/devastazione
di una citazione di Nietzsche che mi è
capitato di sentire in una
puntata di Criminal Minds:
“Chi
lotta con i
mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro.
E se tu scruterai a lungo in
un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te”.
Non chiedetemi perché, l’ho sempre trovata di una
lucidità
sconcertante, e non potevo non inserirla.
Un
ringraziamento a chi legge, segue, preferisce e recensisce. No, non mi
stancherò mai di ringraziarvi, sono della più
ferma convinzione che senza
qualcuno che legge uno scrittore sarebbe una persona infinitamente
triste
(leggi: io, prima di aver trovato il coraggio di pubblicare qualcosa).
Al
prossimo aggiornamento!
~
BBS
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Le
Mille Linee Delle Lunghezze d'Onda
Capitolo
10
I
pensieri di Maka correvano veloci, tutti inevitabilmente in direzione
della sua
Death Scyte, altrimenti noto come lo stupido idiota.
Soul
avrebbe potuto accennare alla questione mentre erano in aula o mentre
camminavano; avrebbe potuto fermarla, per una volta, mostrandogli il
suo punto
di vista e costringendola a ragionare. E invece, no. Non ne aveva fatto
parola,
preferendo tirarsi fuori non appena ne aveva avuto la
possibilità, scappando
persino da Stein, il suo secondo Meister.
Indizi
silenziosi, questi, che le urlavano chiaramente come lui non avesse
affatto
superato l'incidente: ci si era aggrappato con tutte le sue forze,
finendo di
nuovo a colpevolizzarsi per qualcosa di cui lei
era stata la causa.
Stupido.
Idiota.
Stein
le aveva detto che la reticenza di Soul non era un risultato
improbabile visto
l'incidente che avevano avuto: la Death Scyte versava in uno stato
delicato, in
bilico tra sanità e pazzia; ed era altamente rischioso per
lui sottoporsi a ciò
che Maka aveva in mente di fare per recuperare i fili della
sincronizzazione.
Doveva stare particolarmente attenta, soprattutto visto che lui era
abbastanza stupido e idiota da
volerci provare
comunque.
E
per
quanto tutto questo influisse sullo stato d’animo di Maka,
portandola a un
passo dal comprare un dizionario di latino e inaugurarlo sulla fronte
della sua
Death Scyte, ciò che in definitiva la mandava in bestia era
che non aveva
percepito nulla di strano in Soul. Non c'era nulla di mancante
nell’anima che
credeva di conoscere meglio di chiunque altro, o almeno, questo era
quello che
credeva. Ma si era sbagliata, e al danno si era aggiunta la beffa: lui
era
riuscito a percepire il suo Soul Protect, mentre lei, lei che si
supponeva
essere quella in grado di leggere le anime, non aveva sentito proprio nulla. Era come se tutta l'istintiva
comprensione verso suo compagno fosse scomparsa, forse consumata dai
pensieri,
forse perduta con la lontananza. Tre anni prima le bastava soltanto
guardarlo
in faccia, e ora non lo capiva più nemmeno se si spremeva la
meningi. E infine,
non capiva come avesse potuto dirle che voleva imbarcarsi comunque
nella
risincronizzazione. Orgoglio? Senso di colpa? Stupida idiozia? Tutte e tre?
«Maka».
Scattò
involontariamente. «Che vuoi?!».
Lo
vide parare il colpo irrigidendo le spalle. «…
Nulla».
No,
non poteva, non doveva, non gliel’avrebbe permesso.
«Non ci provare!».
«A
fare cosa?».
«A
fare finita che non sia successo nulla»,
ringhiò.
Soul
la inchiodò con gli occhi. Lui riusciva ancora a capirla al
volo. «... Non
voglio litigare con te».
«Neanche
io, ma...».
«E
non voglio nemmeno parlarne», la interruppe, brusco.
«Non
possiamo rimandare all’infinito!».
Si
erano involontariamente fermati in mezzo alla strada, deserta.
Era
più o meno mezzogiorno - il tempo dal loro scontro con Kidd
era scorso in un
lampo - e la gente era occupata a preparare da mangiare mentre loro
affilavano
i coltelli l’uno sulla pelle dell’altro.
«Maka,
sinceramente, c'è davvero qualcosa che valga la pena
dire?», sussurrò Soul
allora, e per la prima volta da che lo conosceva Maka vide il gelo
espandersi
nei suoi occhi rossi. «Ho tentato di mangiarti
l’anima, e l’ho fatto perché ho
perso la testa. Non sono stato abbastanza forte da proteggerti da
quella strega,
ho perso la testa, sono impazzito e volevo finirti. Cos’altro
c’è, da dire?».
Maka
trattenne il respiro. Era spaventata. Non di lui, o non del tutto,
almeno. Era
spaventata dal vuoto dentro di lui,
specchiato nel ghiaccio rosso e pungente che la stava sfidando a
ribattere.
Quel
vuoto era stato qualcosa che non aveva mai potuto ignorare e che aveva
immediatamente imparato a rispettare, ma per un lunghissimo istante si
domandò
se l’avesse mai davvero capito, cos’era che bucava
Soul da parte a parte. Se ci
avesse mai provato, a capirlo
davvero.
«Soul...».
«Maka», la sovrastò
ancora.
«Non
pensare di zittirmi usando il mio nome come se fosse una
minaccia», la
Technician ritrovò la risposta pronta, agganciandosi alla
rabbia che lui aveva
impresso in quelle due sillabe pronunciate a denti stretti. Rabbia che
aveva
anche lei, perché voleva capire, ma non ci riusciva, e
l’unico che potesse
spiegarle era anche l’unico che ci stava mettendo tutto
sé stesso per
impedirglielo.
Lui
non rispose, ma non distolse lo sguardo.
«Fammi
capire...», mormorò, del tutto intenzionata a non
lasciar perdere.
«Esattamente, come pensavi di risolvere la cosa?».
«Di
sicuro non litigando».
«Non
stiamo litigando».
«Strano»,
lui assottigliò gli occhi, c'era ancora il gelo.
«Avrei giurato il contrario».
«MAKA!».
La
bionda si voltò di riflesso, accorgendosi solo troppo tardi
che non avrebbe
dovuto cedere alla lotta di sguardi.
«Zoey?»,
riconobbe la bambina. Stava venendo loro incontro correndo come una
forsennata.
«Che ci fai qui? Credevo fossi a casa con Milo. Ti avevo
detto...».
«Avevi
detto che c'era la possibilità che trovassi un Meister qui
alla Shibusen! In
questi giorni ho provato a farci un giro. E mi sono fatta un sacco di
nuovi
amici! Ce n'è uno che è super simpatico, si
chiama Aar...».
«Zoey».
L'entusiasmo
della bambina evaporò all'istante.
«Ti
avevo detto di non allontanarti da Milo per nessun
motivo».
«Lo
so, però...».
«Niente
scuse!», Maka la stroncò, imponendosi con la voce.
«Devi smetterla di fare
sempre di testa tua, e devi smetterla di ignorare quello che io e Milo
ti
diciamo!».
«...
Tu e Milo?»,
sottolineò Soul,
sarcastico.
Maka
strinse le labbra, una pallida reazione alla pugnalata che lui le aveva
idealmente piantato nella schiena. Non era stato tanto il tono, quanto
il
contenuto e i sottintesi conseguenti che l’aveva colpita su
un nervo scoperto,
perché Soul aveva ragione, su lei
e Milo.
«Beh»,
fece lui, tirando fuori un altro sorrisetto sarcastico.
«Spero solo che sappia
prenderla in modo sportivo».
E
di
nuovo, lui aveva capito, e lei no.
Maka
perse le staffe. «Ma che diamine stai dicendo?».
«Allora
andiamo in mensa?».
Quel
cambio di discorso la spiazzò definitivamente.
«In
mensa?», si intromise Zoey. «Ma avevi detto che
pranzavi con noi, Makasan...».
«Infatti
è così», lo fulminò alla
fine. «Ci andremo tutti insieme».
Soul
fece schioccare la lingua contro il palato, facendola innervosire
ancora di
più. «Bene…»,
commentò poi, avviandosi.
Maka
riesumò in un millesimo di secondo almeno mille motivi per
sfracellargli il
cranio con un Maka-Chop, ma si rese conto che picchiandolo non avrebbe
ottenuto
nulla se non di doverlo trascinare per i capelli fino alla Shibusen.
«Dov’è
Milo?», si risolse a chiedere alla bambina, dopo aver sputato
un sospiro
frustrato.
«Probabilmente
ci sta venendo incontro, prima mi stava inseguendo», rispose
Zoey, tranquilla.
«Va tutto bene, Maka?».
«Va
benissimo», sibilò. «Davvero
benissimo».
~
...
Che cosa diamine le era venuto in mente?
Soul
le era seduto accanto, Zoey era di fronte a lei, Milo era opposto a
Soul, e
nessuno sembrava in gran vena di fare conversazione, a parte Zoey.
Le
occhiate neanche troppo furtive degli studenti non aiutavano certo
nessuno di
loro a rilassarsi, infilzandoli come pezzi di carne su un macabro
spiedo di
parole sussurrate, cenni, risatine.
Davvero,
cosa diamine le era venuto in
mente?!
Come
aveva potuto riunire la sua Death Scyte, la falce che si era portata
dietro dal
Giappone e suo fratello impropriamente geloso allo stesso tavolo della
mensa
della Shibusen?
Persino
Zoey aveva immediatamente subodorato la tensione che correva tra Soul e
Milo, e
cercava di tenere occupato con un fiume di parole l'altrimenti
silenzioso
tavolo, mentre Maka era occupata a girare e rigirare le informazioni
che le
aveva passato Soul.
Aveva
perso la testa.
Era impazzito. Voleva
finirla.
Ma
non era così che l'aveva percepito lei. Aveva analizzato
spesso quello che era
successo, e la conclusione era stata che la paura era derivata dalla
sensazione
soffocante, non dal suo attacco. Era stato come se volesse avvolgerla,
chiuderla in un bozzolo, imprigionarla dentro di lui. Come se non
volesse che
la sua anima si distaccasse da lui...
«...
qui. Potrebbe andare bene secondo te, Maka?».
«C-come?»,
sentir pronunciare il suo nome la riscosse dal tumulto di pensieri che
la stava
investendo, costringendola a sollevare gli occhi dal piatto.
«Aaron
mi ha chiesto di diventare la sua Arma», riassunse la
bambina, paziente. «E a
me piacerebbe dirgli di sì, ma finché non mi
iscrivo alla Scuola non posso
iniziare a fare gli allenamenti con lui!».
Non
era sicura che fosse una buona idea. Zoey era infettata con il sangue
nero,
esattamente come Soul. Quanto era serio il rischio del contagio?
«Come
facciamo a sapere se questo Aaron sia affidabile?»,
borbottò intanto Milo.
A
volte era fin troppo protettivo nei confronti della sorella. Non che lo
facesse
di proposito o con cattiveria, ma il più delle volte finiva
per mettere alla
sorella i bastoni tra le ruote, o peggio, minare la sua autostima.
«Perché
è uno dei miei allievi migliori», rispose piatto
Soul. «E perché ieri mattina
hanno lavorato bene insieme».
Milo
fece ruotare gli occhi, praticamente snervato. «Anche lei e
Maka lavorano bene
insieme. Cosa c'entra?».
«C'entra – Maka si intromise
immediatamente, prima che Soul si trasmutasse in falce e tagliasse la
testa a
Milo – per il fatto che sono riusciti molto bene in esercizi
che testano la
fiducia innata tra Weapon e Technician. E visto che non si conoscevano,
il loro
successo non fa che sottolineare l'appropriatezza della coppia. Non
dico che
siano fatti per stare insieme, ma sono sulla buona strada»,
spiegò, poi si
rivolse a Zoey. «A proposito, lui
dov'è?».
Zoey
guardò verso destra, poi puntò con l'indice:
«Laggiù, al penultimo tavolo».
Lo
individuò. Anche Aaron non era molto grande, probabilmente
si aggirava sugli
undici anni; aveva i capelli mori e sembrava non sapersi togliere il
sorriso
dalle labbra. Si concentrò, e ne vide l'anima. Era di un bel
colore, blu pacifico
e intenso, l'opposto di quella arancio neon di Zoey. Lo sguardo poi le
scivolò
sull'anima di Milo – bianca, come tutte quelle degli esseri
umani – e infine su
quella di Soul.
Deglutì
e il boccone le andò di traverso.
Era
diventata grigia.
Il
colore dell'anima di Soul era sempre stato indefinito, di un azzurro
impalpabile e trasparente, ma qualcosa era cambiato. Sembrava malato.
Come era
stato possibile? Che l'aver seppellito la pazzia lo avesse in qualche
modo reso
meno sé stesso? Eppure la sentiva, la sua pazzia! La sentiva
anche in quel
preciso istante, debole sì, ma radicata e insita in lui...
«Visto
qualcosa di interessante?».
Incrociò
gli occhi della sua Buki. Odiava quando faceva l'indisponente.
«Nulla
che tu non sappia già», ribatté,
fremendo.
Soul
fece
un sorrisetto strafottente. «E allora perché hai
quel muso lungo?».
Io
te l'avevo detto, che non c'era
nient'altro da dire, stava
ripetendo, tra le
righe.
Maka
mantenne il contatto visivo, le parole le uscirono prima che potesse
ragionarci
sopra un attimo di più. «Io non ti riconosco
più».
E
il
sorrisetto cadde come una ghigliottina sul tavolo, insieme a un
silenzio
tombale.
«Ho
finito», annunciò quindi. Adesso, anche lei si
sentiva vuota. Un abisso
ambulante. «Scusatemi, ma devo andare in
biblioteca».
Afferrò
il vassoio ancora mezzo pieno e prima che qualcuno potesse fermarla se
ne andò.
Si
rese conto soltanto quando le venne il fiatone che aveva iniziato a
correre.
Anzi, a scappare. A scappare
lontano
dall'idea che il Soul che aveva ritrovato non era il Soul che aveva
lasciato, e
che la spaventosa possibilità di non poterlo mai
più riavere indietro esisteva
davvero.
La
biblioteca era sempre l'unico luogo in cui aveva potuto stordirsi
abbastanza da
ignorare i pensieri. I libri l’aiutavano a vedere la
realtà in cui si era
ritrovata invischiata fino al collo da un altro punto di vista, uno
esterno,
asettico, obiettivo.
Se
voleva togliersi dalla testa quegli angoscianti sussurri che
decantavano la sua
impotenza doveva affondare il naso in un libro. Subito.
Schizzò
verso la scaletta a chiocciola più nascosta, salì
fino in cima, svoltò a
sinistra, corse fino in fondo al corridoio, si infilò tra le
scaffalature alte
e strette, ricolme di libri. Era dalla parte opposta
dell’entrata, nell’angolo
dimenticato dalle stesse bibliotecarie.
Il
profumo delle pagine compì l'effetto sperato, calmandola,
uniformando i
battiti.
Prese
un tomo caso dalla scaffalature color noce e si lasciò
cadere nel pouf che
serviva come postazione di lettura ma, malgrado le sue intenzioni,
riportò alla
mente uno stralcio di conversazione avvenuto neanche mezz'ora prima.
«...
Che cosa devo fare, professore?»,
aveva domandato, seduta sul divano morbido della casa di Stein e quasi
sovrappensiero.
«Non
credo di essere il Technician a cui
dovresti domandarlo», le aveva risposto, tranquillo.
Lei
aveva fatto risuonare un tsk
insoddisfatto. «Io
non ho la più pallida idea di cosa fare per far ritornare
tutto come prima».
«Non
ci riuscirai, Makasan», l'aveva
contraddetta. «Non riuscirete a tornare come prima. Ma questo
non significa che
non possiate far funzionare comunque la sincronizzazione. La vostra
risonanza
non è mai stata del tutto perfetta, lo sai meglio di me,
eppure, funzionava».
«Già,
funzionava... E non ho mai capito
perché».
Stein
aveva ragione. Non sarebbe riuscita a far tornare le cose come prima,
perché
loro non erano più quelli di prima. Ancora prima di pensare
a Soul, lei stessa
non era più soltanto una Meister. Finché lui non
avesse saputo che era
cambiata, finché non avesse capito con cosa aveva a che
fare, non sarebberi
riusciti a ripartire, e forse, visto che lei non sembrava in grado di
capire
lui, per quella volta poteva essere lui a fare un passo verso di lei.
«...
Sapevo che ti avrei trovata qui».
Il
sussurro di Soul le fece alzare la testa, lentamente. Maka aveva
sentito la sua
anima avvicinarsi, prima agitato, poi arrabbiato, poi di nuovo agitato.
«Non
so cosa mi sia preso», mormorò lui, affondandosi
la mano nei capelli della nuca
e guardando a terra. «Mi dispiace. Sul serio».
«Soul».
Attese che lui alzasse lo sguardo, per continuare. «Vuoi
essere davvero la mia
Buki?».
La
Death Scyte spalancò gli occhi. «M-ma certo che
voglio essere la tua Buki! Che
domande dal cavolo fai?».
Maka
si alzò, e si strinse nelle spalle.
Era
un salto nel buio. Aveva il cinquanta percento di
possibilità che Soul reagisse
positivamente e il cinquanta percento che la rifiutasse, inorridendo.
Lo
guardò negli occhi, fissa, scrutando. Non vedeva il fondo di
quell'abisso, non
sapeva nemmeno se il fondo ci fosse davvero, ma si buttò
comunque.
Dopotutto,
non era lei, quella disposta a mettere in gioco anche la propria vita?
«...
C'è una cosa che devi vedere».
________
Zan
zan zaaaaan!
No,
non guardatemi così per
favore, ho dovuto fermarlo sul
più
bello. Apprezzerete di più quello che sta per succedere se
viene narrato dal
punto di vista di Soul u.u
L'angoscia
ha ripreso la sua
parte di protagonista in questo capitolo, per l'orrore di tutti (io per
prima)
ma purtroppo nemmeno Maka - o meglio, questa Maka, che per come la vedo
io
nasconde molto più di quanto non voglia ammettere anche a
sé stessa - ne è
immune. Finirà di certo, ma non saprei dirvi esattamente quando. So che è pesante
vederli così, ma ho pronte in riserva un
paio di one-shot che alleggeriranno la tensione. Non appena saremo a un
punto
della trama che mi permetterà di pubblicarle, mi
assicurerò che vi facciate due
risate :D
Altra
cosa che vorrei
commentare è che ho cambiato un po' il mio stile di
scrittura, e dalle recensioni
dello scorso capitolo direi che traspare xD voglio rassicurarvi, non
credo che
continuerò in questa direzione: per quanto mi piaccia la
narrazione cadenzata e
ripetitiva, so che è pesante da leggere. Quindi la tattica
sarà la seguente:
prima scrivo usando tutta la mia più estrema
melodrammaticità, poi alleggerisco
il più possibile, mantenendo le parti migliori. In questo
capitolo ho fatto
così, e il risultato non mi pare malaccio. Spero comunque di
non essere
risultata troppo pesante... ma
questo
dovete dirmelo voi! XD cosa si respira in questo capitolo?
Voglio
infine dedicare un ringraziamento
speciale a tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo per le
bellissime parole che mi avete rivolto e per l'apprezzamento che avete
dimostrato, mi avete davvero riempito il cuore di felicità
ç.ç
Un
grazie di cuore anche a chi legge, segue e
preferisce! Fa piacere sapere che la mia fic intrippa così
tanto, mi fate
sentire che sto di portando avanti qualcosa di bello *^* grazie grazie
grazie!
High
five, buone vacanze e al prossimo
aggiornamento! :D
~
BBS
|
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Le
Mille Linee Delle
Lunghezze d'Onda
Capitolo
11
«...
C'è una cosa che devi
vedere», aveva sussurrato Maka.
Soul
rimase immobile,
esattamente in mezzo al piccolo corridoio creato dagli scaffali della
biblioteca, preso da una leggera claustrofobia.
La
Technician aveva la faccia
di una che aveva commesso un omicidio e lui aveva
l’impressione che stavolta
non si trattasse di una semplice scenata. Questa volta non avrebbe
affrontato
la sua depressione per un test andato "male" - avrebbe voluto
ammazzarla quando si era lamentata di quel 99/100 - o la sua rabbia per
le
volte in cui aveva trovato la costa dei suoi libri di brossura spaccati
in più
punti… proprio da lui.
«Ho
detto che riesco a
controllare il mio sangue nero», continuò lei,
deglutendo, e lui perse il filo
dei suoi pensieri, catturato dall'espressione tesa della Tech.
Maka
stese il braccio destro,
chiuse gli occhi.
Iniziò
dalla punta dai
polpastrelli: il nero si stese come un guanto di colore lungo le dita,
inghiottendo la mano, ricoprendo il polso, vestendo una parte del
braccio
sottile.
Soul
pensava fosse tutto, poi,
dopo una smorfia di dolore, le unghie di Maka si allungarono in artigli
che si
fusero con le dita e che crebbero leggermente ricurvi, arrivando a
sfiorare il
pavimento.
Non…
non era possibile che la sua
infezione si fosse
estesa così tanto. Nemmeno lui era in grado di fare qualcosa
del genere, e lui
era stato infettato in modo diretto, una cicatrice che gli tagliava in
diagonale il torace glielo ricordava ogni santo giorno!
A
cosa era servito sacrificarsi, se non aveva potuto
limitare i danni?!
«...
Secondo Stein potrebbe
essere iniziato tutto durante una battaglia. Dovevamo essere stati
feriti
entrambi e il nostro sangue deve essere entrato in contatto. La
sincronizzazione ha fatto il resto. Da quella volta, ogni volta che
sincronizzavamo le anime, il sangue nero nel mio corpo reagiva, e
più tu lo
usavi a nostro vantaggio più io diventavo
sensibile».
Maka
non lo aveva guardato
negli occhi per tutta la spiegazione, lasciando trasparire soltanto una
traccia
di dolore dal modo in cui si stava tenendo stretta lo stomaco con il
braccio
sano, come avesse paura di andare in pezzi da un momento all'altro.
La
ragazza ebbe un brivido che
partì dalle dita nere.
«...
La situazione è peggiorata
quando ho iniziato a stare con Zoey, lei non riesce a controllare il
sangue
nero. L'infezione non è mai realmente aumentata, ma sospetto
di aver risentito
così tanto della vicinanza che anche se la mia infezione era
minima ha finito
per diventare di un genere molto più potente».
Soul
non riuscì più a staccare
gli occhi da quegli artigli. Qualcosa, e sapeva benissimo cosa, era attirato da quelle lame
affilate. Lui, invece, ne era
ripugnato. Era colpa sua. Era tutta colpa
sua.
«Avrei
dovuto dirtelo subito,
non appena ti ho visto», singhiozzò lei,
passandosi il braccio sano sulla
faccia, nascondendogli per un secondo gli occhi. «Ma se Kidd
lo scopre, non ci
permetterà mai di tornare insieme».
«Maka…»,
la chiamò, senza
sapere nemmeno perché, facendo un passo nella sua direzione.
«Fermo!»,
esclamò lei, salvo
poi tapparsi subito la bocca con la mano.
Soul
si bloccò.
Restarono
in silenzio, in
attesa. Erano in una biblioteca, in fin dei conti, anche se talmente
arroccati
e nascosti che ci avrebbero messo un po’ a trovarli e a
riprendere il loro
comportamento inappropriato. Non che a lui fregasse un accidente. Fosse
stato
per lui, in quel preciso momento avrebbe sfasciato ogni cosa fosse a
portata di
falce.
«Fermo»,
ripeté lei, sottovoce.
«Questo sangue nero genera onde di pazzia altamente
instabili. Non posso sapere
che effetto potrebbero avere su di te».
«Beh,
meglio scoprirlo adesso
che davanti a Kidd», le fece presente con una
lucidità con cui sorprese anche
sé stesso, e più deciso che mai si
avvicinò.
«Soul…».
Lo stava davvero
mettendo in allerta?
Le
si fermò a un palmo dal
naso. Il braccio con gli artigli le tremava.
«Come
fai a fermarlo?», respirò
il ragazzo.
Aveva
i polmoni stretti in una
morsa, la voragine che si allargava ogni secondo di più e
una nenia insopportabile
in testa: il suono della loro sincronizzazione.
«Di
solito mi ci vuole
parecchia concentrazione. Con la forza di volontà posso far
regredire la
pazzia», spiegò lei, con un volume di voce
talmente basso che lui dovette
piegare la testa in avanti per sentirla. «Oppure basta che
Zoey mi tocchi. Le
mie onde anti-magia si attivano di riflesso, e fermano anche il
mio…».
Soul
le afferrò il polso, di
scatto, prima che lei potesse ritrarsi e scappare ancora.
Sentì esplodere
qualcosa dentro le vene, di ghiacciato e poi bollente, la pazzia
vecchia nemica
che infuriava all'improvviso e le onde anti-magia di Maka che
combattevano per
mantenerlo lì con lei.
Si
fissarono.
Avrebbe
ringraziato tutti i
numi dell’universo quando fosse stato solo, poco ma sicuro.
«…
Visto?», le disse,
sorridendo a fatica. «Stesso effetto. Probabilmente anche
più rapido, visto che
io e te siamo stati sincronizzati completamente».
Maka
era sconcertata.
Pallidissima. «Funzionerà...»,
mormorò. Un attimo dopo, con un sorriso un po’
folle, ripeté: «Funzionerà».
«Certo
che funzionerà»,
concordò Soul, senza lasciarle il polso. Doveva toglierle
quell’espressione
dalla faccia. Non le si addiceva neanche un po’.
«Siamo io e te, come potrebbe
non funzionare?».
Gli
occhi della Tech
diventarono lucidi. Il tono che gli era uscito era molto più
dolce e molto meno
strafottente di quanto non avesse voluto.
Il
brontolio del suo stomaco
riuscì dove lui aveva fallito, riportando entrambi a una
realtà molto più
pratica e meno preoccupante.
«Ritorniamo
in mensa», Maka
rispose con un cenno di assenso alla domanda che non le aveva posto,
ora con un
sorriso molto più umano a rasserenarle il viso.
Le
lasciò il polso per
permetterle di asciugarsi la faccia.
Da
quel momento in poi, Soul
non le staccò gli occhi di dosso. Temeva che lasciando Maka
un altro minuto da
sola avrebbe iniziato a pensare, a ragionare e poi a rimuginare,
finendo in
chissà quale circolo vizioso di logica masochista la cui
conclusione postulava
l'assoluta necessità di far rimanere lui all'oscuro di tutto
quello che le
stava capitando.
Quindi,
nello stesso modo in
cui non riuscì a non lanciarle continue occhiate di
sottecchi mentre
ripercorrevano i corridoi per tornare in mensa, così tenne
le antenne ben ritte
mentre Maka conversava come niente fosse con Zoey e con il fratello
imbecille.
Che imbecille Milo doveva esserlo davvero, visto che era arrivato a
chiedere
alla Tecnichian se stava bene, quando si vedeva lontano chilometri che
lei
stava cercando di evitare a tutti i costi ogni genere di riferimento a
ciò che
era appena accaduto. Non gli aveva ancora tagliato la testa
perché sapeva che
Maka se la sarebbe presa a morte, senza contare il danno che avrebbe
arrecato
alla falce mocciosa, la quale in fondo non gli stava nemmeno troppo
antipatica.
Gli ricordava Maka da piccola.
Non
riuscì a restare calmo
nemmeno per le due ore successive, mentre gironzolavano per la scuola,
in
esplorazione con Zoey, ormai decisa più che mai a iscriversi
alla Shibusen, e
seguiti a ruota da Milo, sempre più frantuma-palle.
La
mattina le era parsa
determinata a tentare la sincronizzazione, ma cosa avrebbe fatto nel
momento in
cui si fosse resa conto di quanto potesse essere forte la pazzia?
Quante
probabilità c'erano che Maka finisse per arrendersi?
Non
le avrebbe permesso di
arrivare a quel punto, e non le avrebbe permesso di affrontare il
sangue nero
da sola. Nessuno meglio di lui poteva sapere quali effetti avesse, e
anche se
l'infezione di Maka era stata colpa sua, il minimo che potesse fare era
darle i
mezzi per proteggersi dalla pazzia, da dovunque provenisse.
Con
quei pensieri era riuscito
a trovare la determinazione di agire che gli mancava da un po', e senza
la
quale probabilmente non si sarebbe mai davvero presentato al campo di
allenamento con lei.
Kidd
arrivò in uno svolazzo di
mantello allo scoccare delle quattro, esattamente all'ultimo rintocco
della
campana della Shibusen che segnava la fine delle lezioni.
«Finalmente
siete puntuali!»,
commentò, leggero, lo Shinigami, seguito dalle sue Weapon.
«È andato tutto
bene?».
Soul
lanciò uno sguardo a Maka,
e ne trovò gli occhi; si era voltata anche lei a guardarlo.
La sua espressione
era insondabile.
«Sì,
tutto bene», si assunse
lui la responsabilità di rispondere, con un tono volutamente
distratto.
Se
proprio dovevano mentire,
tanto valeva che lo facesse lui, sicuramente più abituato di
lei a mascherare
la verità.
«Maka?»,
la interpellò Kidd.
Quella
richiesta di conferma
diede particolarmente fastidio a Soul.
«C'è
scappata una litigata...
Ma nulla di preoccupante», rispose lei, simulando una stizza
facilmente
riconducibile alle loro discussioni stupide, di quelle che costruivano
solo per
non farla spuntare all'altro.
Maka
doveva aspettarsi la
domanda, probabilmente: se Kidd l'avesse davvero colta di sorpresa,
come minimo
sarebbe arrossita. E invece era stata talmente convincente da stupire
persino
Soul.
«Bene»,
lo Shinigami si
rilassò, ignaro dei fatti. «Manca solo il dottor
Stein, e poi potete
cominciare».
«Come
mai stiamo aspettando il
professore?», chiese Maka.
«Voglio
avere un quadro più
chiaro possibile delle vostre anime, mentre vi
riavvicinate...».
A
Soul stavolta scappò una
smorfia: non era riuscito a dissimulare per una seconda volta il
fastidio. Non
gli piaceva venire controllato mentre faceva qualcosa di tanto delicato
e
incerto come sincronizzarsi con la sua Tech. Era una cosa tra di loro.
Tra loro
due.
«Scusate
il ritardo... Jack
stava facendo un po' di capricci». Stein, apparso come sempre
dal nulla, stava
fumando una sigaretta. Dalle piccole rughe d'espressione sulla sua
fronte, non
era molto tranquillo. «Direi che possiamo
cominciare?».
Un
cenno di assenso dello
Shinigami e Stein assunse il comando. «Maka, gentilmente,
liberati dal Soul
Protect. Non penso sia necessario mantenerlo ancora...».
«Certo»,
annuì lei, senza
esprimere emozioni né dal tono di voce, né con il
viso.
Soul
si concentrò sulla
percezione della sua anima.
Da
che si erano ritrovati,
aveva captato l'anima di Maka a flutti deboli silenziosi, ma a poco a
poco si
trovò investito da un gigantesco tsunami.
Era
diventata più forte. Molto
più forte, e intensa, e devastante.
L'anima
di Maka aveva sempre
avuto un afflusso particolare su di lui, un richiamo irresistibile,
quasi come
se lui fosse una falena e lei un faro in una notte di buio pesto.
Averla vicina
non solo aiutava Soul a rilassarsi, ma lo costringeva a tirar fuori il
meglio
di lui, soprattutto quando lui non era nelle condizioni per
perseguirlo, quel meglio.
In
quel preciso momento era lo
stesso. Forse erano cambiati, forse non erano più loro e lui
continuava a non
vedere la sua anima, ma la sentiva,
e
proprio come aveva fatto in biblioteca si avvicinò a lei.
Stavolta, senza
muovere un passo, senza spostarsi di un centimetro, perché
l'anima di Soul si
allungò istintivamente verso di lei, agganciandola. Il
flusso aumentò di
intensità, attivando lo scambio di informazioni che avrebbe
processato soltanto
dopo giorni, settimane, mesi. Forse mai. C'erano stati atteggiamenti di
Maka
che non capiva, ragioni profonde e idee a cui non riusciva ad accedere,
ma di
una cosa era sicuro: lei era lei. E
nessuna, mai, avrebbe potuto prendere il suo posto.
Strizzò
gli occhi, dolorante.
Perché
gli pareva che ogni osso
si fosse tramutato in gelatina?
«Soul..?».
Obbedì
al richiamo della sua
Meister, sollevando le palpebre.
Il
viso di Maka era sopra di
lui, preoccupato. Oltre di lei, pareva esserci solo nero.
Il
faro nel buio.
«Stai
bene?», gli domandò.
Lui
abbozzò un mugugno di
assenso, sollevando la schiena e mettendosi seduto. «Dove
siamo?».
«Non
lo so», rispose lei,
guardandosi intorno. «Non sembra la Dark Room».
Al
solo accennare quel luogo,
l'ambiente intorno a loro iniziò a tremare.
Si
tirarono in piedi in un
solo, rapido movimento, aiutandosi a vicenda, e si coprirono le spalle,
mettendosi al contempo in posizione di attacco.
Soul
aveva già sfoderato la
lama della falce quando iniziò a capire di che cosa si
trattava.
Le
linee fino a poco prima
fumose presero definizione e consistenza. Erano in una grandissima
stanza nera
dal pavimento lucido e altrettanto livido, con un numero infinito di
porte
laccate di rosso.
«Queste
sono tutte porte per
entrare nella Dark Room?», le riconobbe anche lei.
«Perché ce ne sono così
tante?».
«Non
lo so».
Non
sapeva esattamente cosa
fosse successo quando il sangue nero aveva dilagato indisturbato,
così come non
sapeva se il diavoletto che abitava la Dark Room fosse ancora
effettivamente
lì. Negli anni, le poche volte che si era permesso il lusso
di rifletterci
sopra, aveva pensato che se ne fosse andato -
dopo la partenza di Maka non lo aveva più
sentito parlare - ma ora che
lei era tornata Soul aveva ricominciato a sentire i tipici brividi che
accompagnavano il momento in cui si lasciava sfuggire la situazione di
mano,
accogliendo la pazzia.
Cosa
che,
a costo di morire, non
avrebbe mai più permesso.
«Dobbiamo
provare ad aprirne
una», dichiarò Maka.
Si
mossero verso destra, in
direzione della parete più vicina, scegliendo una porta
senza bisogno di
mettersi d'accordo.
La
vibrazione che scuoteva
l'aria non prometteva nulla di buono, e aumentava man mano che
raggiungevano la
porta. Il ronzio divenne così alto nei pressi della porta,
che Soul divenne
paranoico. Bloccò Maka quando lei fece segno di volersi
mettere in prima linea.
«La
apro io», dichiarò, duro.
«Stai dietro di me».
Attese
che lei si facesse da
parte, ignorando la fulminata che gli aveva lanciato.
Maka
poteva essere tutto,
tranne che stupida. Sapevano entrambi che quello doveva essere un
territorio
dell'anima di Soul, e che sarebbe stato più sicuro che fosse
lui a parare i
primi colpi, se ne fossero arrivati.
La
Tech chiuse gli occhi, evocò
gli artigli neri e accennò affermativamente.
La
Weapon afferrò bruscamente
la maniglia, tenendo sollevata la lama della falce per mantenere una
difesa
alta.
«Pronta?»,
sibilò.
«Quando
vuoi», replicò lei. Lo
sentiva dal tono che aveva la mascella serrata dalla concentrazione.
«Al
tre aprirò del tutto la
porta», annunciò, perché si preparasse
al meglio.
«Va
bene».
«Uno...».
«Due».
«...
Tre».
Ma
fu lui, a rimanere
interdetto, mentre un muro di mattoni rossi ricambiava innocente il suo
sguardo.
Poi,
solo il suono schioccante
di un elastico, le ossa che erano tornate gelatina, e prima che
potessero
reagire, furono sbalzati via.
Riaprì
gli occhi un attimo
dopo.
Erano
ritornati alla Shibusen.
«Cosa
è successo?!», esplose
Maka, dando voce anche ai suoi pensieri.
«...
Vi siete sincronizzati...
e dieci secondi dopo, vi siete respinti a vicenda», rispose
Stein, con gli
occhi socchiusi nello sforzo di studiarli, probabilmente.
«Cosa?!»,
sbottò Maka, perdendo
del tutto ogni minima traccia del contegno che aveva mostrato prima di
iniziare
la sincronizzazione. «Ma non è successo niente!
Non stava succedendo niente!
Era tutto tranquillo!».
«...
Forse stiamo correndo
troppo», considerò Kidd, dopo aver analizzato i
loro volti. «Non riuscite a
controllare le vostre anime quando siete l'uno nei pressi
dell'altra».
«Ma
Shinigamisama..!».
«Maka,
ha ragione». Soul
abbassò la punta della falce e la ritrasmutò in
braccio. Lo schiocco che aveva
sentito era stato identico a quello con il quale si era desincronizzata
da lui,
con la strega Mirona. «Lasciamo perdere, per...».
Non
conclusa la frase perché
finì a terra, con un dolore inaspettato che si diffondeva
rapidamente dalla
parte sinistra del volto al resto della faccia. Si sentì il
sangue in bocca.
Che
diamine..?!
Gli
aveva tirato un cazzotto di
una furia inaudita!
«Finiscila
di fare la
vittima!», Maka gli urlò contro non appena
rialzò lo sguardo, sbalordito e
dolorante. «Sei una Weapon, l'ultima Death Scyte dello
Shinigami, e se ci sono
riuscita io a tenere a bada la
pazzia, puoi riuscirci benissimo anche tu!».
Colpito
e affondato.
Letteralmente.
«Makasan...»,
tentò di
intervenire Stein, ma la Technician era già partita in
quarta, in direzione del
bosco, evidentemente troppo infuriata per fare caso ad
alcunché.
«Non
ha perso nemmeno la vena
violenta, vedo...», sospirò Kidd, scuotendo la
testa affranto.
«Ne
avevate qualche dubbio,
Shinigamisama?», fece Stein, neanche tanto sottilmente
ironico.
«Vado
a recuperarla», borbottò
Soul, facendo perno su una mano per rimettersi in piedi.
«Datemi solo qualche
minuto».
Dunque. Ok.
Cioè, no, ok un corno! Le scuse, prima di tutto.
Non voglio
guardare quanto tempo è passato dall'ultimo aggiornamento
perché
fondamentalmente so che ne è passato veramente troppo;
ovviamente io e le mie
promesse di essere puntuale e mantenere gli aggiornamenti regolari sono
andati
a farsi f… friggere.
L'unica cosa
che posso dirvi è che mi spiace da morire; questa estate
è stata abbastanza
frenetica e esami, novità nella mia finora inesistete vita
sentimentale e
novità in casa hanno scombussolato me e la mia ispirazione.
Spero possiate
essere comprensivi, chiedo perdono in ginocchio in tutte le lingue che
conosco
(ne conosco cinque, vale qualcosa?), e cerco di rincuorarvi con l'idea
che,
succeda quel che succeda, andrò avanti
è.é
Vi
farà
piacere sapere che è arrivato il momento di recuperare un
giro che ho perso
all'inizio della fic, tra il capitolo 3 e 4: il prossimo capitolo
è un altro
Soul-POV! Non avrete davvero pensato che mi sarei limitata a guardare
questi
due disgraziati perdere il controllo della prima sincronizazzazione
senza
spendermi in dettagli molto più specifici... ;D
Grazie
mille a tutti quanti per leggere, seguire, preferire, commentare... man
mano
andiamo avanti diventate di più e io vi adoro tutti,
sappiatelo ^-^
Un
abbraccio!
- BBS
PS: che ne
pensate di questo capitolo? Almeno un po’ vi è
piaciuto? Fatemi sapere!
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