Narcisismo al cioccolato

di Yutsu Tsuki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cambiamenti ***
Capitolo 2: *** Imprevisto ***
Capitolo 3: *** Rivincita ***
Capitolo 4: *** Ego ***
Capitolo 5: *** Invidia ***
Capitolo 6: *** Gossip ***
Capitolo 7: *** Derisione ***
Capitolo 8: *** Ripresa ***
Capitolo 9: *** Matrimonio ***
Capitolo 10: *** Psicologa ***
Capitolo 11: *** Fiesta ***
Capitolo 12: *** Confusione ***
Capitolo 13: *** Verità ***
Capitolo 14: *** Reputazione ***
Capitolo 15: *** Prova ***
Capitolo 16: *** Antidolorifici ***
Capitolo 17: *** Brucia! ***
Capitolo 18: *** Simile ***
Capitolo 19: *** Sonno ***
Capitolo 20: *** Scambio ***
Capitolo 21: *** Pinguino ***
Capitolo 22: *** Vertigini ***
Capitolo 23: *** Mano ***
Capitolo 24: *** Strappo ***
Capitolo 25: *** Buio ***
Capitolo 26: *** Rispetto ***
Capitolo 27: *** Notte ***



Capitolo 1
*** Cambiamenti ***







Capitolo 1


Cambiamenti







Avrebbe di gran lunga preferito la pioggia. Quando la città è coperta dalla nebbia sembra di essere isolati dal resto del mondo, inghiottiti nel nulla, e il pensiero di non poter vedere oltre la finestra della sua camera lo inquietava parecchio.
Questi erano i pensieri che tormentavano Kentin, un ragazzo di sedici anni intento a scrutare il cielo grigio dalla stanza all'ottavo piano di casa sua.
— Almeno quando piove c'è un suono — affermò con un sospiro. Si alzò dalla poltrona e si distese sul letto. L'indomani sarebbe stato il suo secondo primo giorno al liceo Dolce Amoris, dal momento che l'aveva abbandonato una volta.
Ripercorse con la mente tutta la storia della sua vita, anche se alcuni ricordi lo turbavano. Cercò di pensare ad altro, ma era più forte di lui.
Fin dalla prima elementare aveva sempre avuto una tremenda cotta per Candy, una sua compagna di classe. Passarono insieme ben dieci anni, ma lei lo aveva sempre respinto, nonostante tutte le sue attenzioni, i suoi regali e aiuti. Ma all'epoca Kentin non se ne rendeva conto: non capiva di non essere il ragazzo che tutte desideravano, di venir visto come uno sfigato dal resto della scuola. Si limitava a vivere la sua vita con felicità, senza preoccuparsi del suo aspetto fisico, ma offrendo tutto l'amore possibile per Candy.
Al terzo anno di liceo le loro strade si divisero, lei dovette trasferirsi in un'altra città e quindi in una scuola diversa. Lui era talmente innamorato che convinse addirittura i suoi genitori a traslocare per seguire Candy. Seppe che avrebbe frequentato il Dolce Amoris, quindi non ci pensò due volte prima di iscriversi lì. Ma dal primo istante in cui mise piede nella nuova scuola i compagni cominciarono a trattarlo male e ad approfittarne di lui. Non gli importava, finché aveva al suo fianco Candy.
La ragazza arrivò qualche giorno dopo di lui. La vide mentre usciva dalla Sala Delegati ed esplose dalla gioia. — Ancora qui!! Quando ti deciderai a mollarmi!? — urlò lei. — Hai visto? Mi sono trasferito anch'io, così siamo ancora nella stessa classe!
Istintivamente si slanciò in avanti per abbracciarla e proprio in quel momento sbucarono fuori alcuni ragazzi della scuola, che alla vista di quella scena cominciarono a ridacchiare. Fra di loro c'era una ragazza dai biondi capelli ondulati che esclamò: — I due sfigati della scuola insieme: è la coppia perfetta!
Candy era tremendamente in imbarazzo, perciò allontanò con uno strattone Kentin e corse via. Lui la osservò fuggire e gli venne da seguirla, ma un suo compagno lo fermò dicendogli: — No, Ken, lasciala stare.
Era un po' offeso da quello che era successo, ma attribuì la fuga del suo amore agli scherni degli altri ragazzi, e soprattutto di quella biondina pestifera. Chiunque ad una frase del genere avrebbe voluto scappare. Non era colpa di Candy, dopotutto.
Questa convinzione gli diede la forza di amarla ulteriormente, così non perse le speranze, ma si mostrò più affettuoso nei suoi confronti.
Purtroppo i rapporti con gli altri membri della scuola peggioravano sempre di più.
Castiel, un ragazzo più alto di lui, dallo sguardo minaccioso e dai capelli rosso sangue continuava a punzecchiarlo, a minacciarlo e, spesso, a picchiarlo. Kentin faceva fatica a sopprimere tutta la sua infelicità, ma voleva riuscirci, altrimenti non avrebbe più potuto prendersi cura della sua Candy. Sapeva che lei non provava le stesse cose per lui, ma questo non gli faceva perdere le speranze.
A volte, però, quando erano insieme da soli e le offriva uno dei suoi biscotti al cioccolato, di cui era ghiotto, Candy sembrava contenta, anche se solo per un attimo. Lui sorrideva, vedendola arrossire ed accettare timidamente il cibo. Questo infondeva in Kentin una gioia immensa, la più grande che potesse provare. Renderla felice era un premio che nemmeno le botte di Castiel avrebbero potuto cancellare.
Ma questi momenti di allegria erano davvero molto rari. Quando durante gli intervalli provava ad avvicinarsi a Candy, mentre era con le sue compagne, era chiaro che la ragazza cercava in tutti i modi di evitarlo. Capiva che non voleva farsi vedere insieme a lui dagli altri.
Le giornate scorrevano uguali, finché un giorno, mentre Kentin era con Candy in corridoio, la ragazza bionda, che si chiamava Ambra ed era nella loro stessa classe, seguita a ruota da due scagnozze, decise di derubarlo di tutto quello che aveva nel portafoglio, per poter mangiare fuori anziché alla mensa della scuola.
— Dammi tutto, idiota. — E gli strappò i soldi dalle mani.
— No, ridammeli! Candy, aiutami! Candy? — Ma Candy non mosse un dito: non voleva certo mettersi contro quella malvagia di Ambra.
— Scusa Ken, io devo andare… — e si dileguò.
Anche le risa isteriche di Ambra e delle sue amiche si attenuarono, per poi scomparire del tutto. Kentin era rimasto solo, in mezzo al corridoio con le lacrime agli occhi. Che cosa aveva fatto di male? Non si era mai comportato da bullo, né aveva parlato mai male di Ambra. Perché tutti ce l'avevano con lui? Perché pure Candy?
Tornando a casa si sforzò di nascondere i segni del pianto, ma fu inutile: i suoi genitori se ne accorsero e gli chiesero spiegazioni. Confessò tutto, cosicché il giorno dopo suo padre gli comunicò: — Non tollero più che mio figlio venga trattato in questo modo. Domani verrai con me nella mia, di scuola, in cui finalmente verrai rispettato da tutti. — A quelle parole Kentin rabbrividì. Suo padre era il capo di una scuola militare a pochi passi dalla loro vecchia città, e da sempre insisteva perché il figlio venisse istruito lì. Egli però si era sempre ribellato, convinto che quella vita non facesse per lui.
Poi però rifletté sul senso delle parole del padre: la causa di tutti i suoi problemi era da sempre stato il mancato rispetto dei compagni nei suoi confronti. Forse, se avesse cambiato aria, imparato a reagire alle provocazioni o anche ad evitare di venire pestato, tutti avrebbero cambiato idea sul suo conto, lo avrebbero rispettato, o addirittura temuto. Ma non era quello che voleva ottenere Kentin. Non voleva diventare un bullo come Castiel o Ambra. Semplicemente non voleva più apparire come un debole di cui prendersi gioco liberamente.
Così accettò la richiesta del padre, ma ad una condizione: — Quando avrò imparato a farmi rispettare, mi farai tornare al Dolce Amoris, così la gente la smetterà di approfittarne di me.
Il padre, anziché arrabbiato, sembrò fiero di suo figlio. Gli fece preparare le valigie ed il giorno successivo partì insieme a lui.
Kentin si convinse che avrebbe affrontato a testa alta la sua nuova vita al campo militare.
Le cose non erano però facili. Fu costretto a cambiamenti drastici, non solo psicologici, ma anche fisici.
Gli fecero un restyling completo sia del guardaroba, che dell'acconciatura; quei simpatici capelli a scodella vennero sostituiti da un look più moderno, mentre gli spessi occhiali rotondi furono rimpiazzati da delle comode lenti a contatto.
Imparò a combattere, a difendersi dalle aggressioni e a proteggere i suoi vicini. Il pensiero di trovarsi lontano da Candy non lo preoccupava, dopo il modo con cui si era comportata con lui. Tuttavia i sentimenti che provava verso di lei non erano scomparsi del tutto.
Passarono all'incirca quattro mesi, finché finalmente gli venne comunicato che era pronto, che l'addestramento lo aveva trasformato in un ragazzo più forte, più determinato e sicuro di se stesso. Quando sarebbe tornato al vecchio liceo, nessuno avrebbe osato maltrattarlo.
— Ed ecco che arriviamo ad ora — disse fissando il soffitto.
— Domani si vedranno i frutti di questi quattro mesi. — Si alzò dal letto e si diresse verso lo specchio. 
In un lampo rivide quel ragazzino basso, magrolino, con i capelli castani a scodella. Si rese conto di odiare il suo vecchio aspetto, si chiese come avesse fatto per tutti quegli anni, a mostrarsi alla gente con quella faccia.
Sebbene fosse contento della sua trasformazione, sapeva che non tutto del vecchio Ken era cambiato: il carattere era lo stesso, quello di un ragazzo dolce e premuroso, che avrebbe dato la sua vita per difendere la persona amata. E poi aveva mantenuto la vecchia passione per i biscotti.
Osservando il suo volto, si accorse di una cosa. Tutti quegli anni passati dietro a due spesse lenti rotonde gli avevano fatto dimenticare di quanto belli fossero i suoi occhi. Erano di un verdeacqua chiaro, ma intenso, quasi luminoso. Si avvicinò ancora allo specchio e allungò la mano, come per poter afferrare quel colore che era un misto fra il cielo azzurro senza una nuvola ed un prato fresco d'estate.
Voleva toccarli, sfiorare quella luce e immergersi in essa, ma venne bruscamente interrotto dalle urla di sua sorella: — Keeeen! Vieni a cena, è prontooo!
Si allontanò in fretta dalla sua immagine riflessa. Per un attimo restò senza parole. Era rimasto affascinato dal suo stesso volto. Poi scoppiò a ridere, rendendosi conto dell'assurdità della cosa.
Aprì la porta della stanza gridando: — Mi chiamo Kentin!! — e corse in cucina.







✤✤✤




Ebbene sì. Mi sono finalmente decisa ad iscrivermi su Efp :D Ci ho messo un po' perché ho voluto preparare tutto per bene ed avere almeno due storie da pubblicare, siccome una sola mi sembrava alquanto squallido. E, dato che sono negata a scrivere one-shot e un'altra fan fic sarebbe stata troppo lunga, è durato più del previsto x°
Per quanto riguarda questa fic, è la mia primissima in assoluto, e pure la prima cosa che abbia mai scritto, che non fosse il diario o i temi per scuola... Perciò non aspettatevi qualcosa di stratosferico :)
I primi capitoli sono abbastanza corti: è dal sesto che cominciano ad essere un po' più corposi; inoltre ho in progetto di realizzare dei disegni per alcuni capitoli. Ci metterò sicuramente molti mesi per finirli tutti, ma per ora accontentatevi dei primi due :°D
Che altro dire? Che non mi aspetto che qualcuno la legga xD ma se dovesse accadere, sarei ben felice di ricevere recensioni :)

Grazie per la considerazione e a presto!


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Capitolo 2
*** Imprevisto ***




Capitolo 2


Imprevisto







La sveglia suonò alle 6:45. Kentin la spense con un gesto netto, si tirò su dal letto e cercò di aprire gli occhi. Era stanchissimo. Un immenso desiderio di sprofondarsi di nuovo nelle coperte lo travolse; stava già per distendersi, quando si ricordò che quel giorno era uno dei più importanti della sua vita. Aveva passato quattro mesi di fatica e sacrifici per prepararsi ad esso, e non poteva certo sprecarli solo perché aveva ancora sonno.
Spalancò gli occhi verdi e si alzò. Fece in fretta colazione, si lavò ed indossò una comoda canottiera nera ed un paio di scintillanti pantaloni mimetici. Dal comodino prese la collana con le piastrine da militare che usava quando era al campo e se la sistemò al collo. Prima di uscire dalla camera da letto si infilò una camicia bianca, allacciando con cura i bottoni. Quello sarebbe stato il suo nuovo look per la scuola, scelto appositamente in modo che chiunque si ricordasse da dove proveniva: un campo di addestramento serio e rigoroso.
Si diresse verso la porta della stanza, accennando un sorrisetto dopo essere passato davanti allo specchio.
Stava per uscire di casa, quando sua madre e sua sorella lo fermarono: — Kentin, aspetta. Prendi questi. — Sua mamma gli porse un paio di guanti neri senza dita. — È un regalo da parte di tuo padre. Ti piacciono?
— Sono bellissimi, grazie! — E li indossò con entusiasmo.
Subito dopo sua sorella strillò: — Ma cosa fai conciato così!? — E gli sbottonò tutta la camicia. — Ecco, adesso sei perfetto.
Dopo aver salutato le due donne, si diresse verso la scuola. Mantenne un passo veloce, anche se non era in ritardo. Si sentiva orgoglioso, quasi euforico e molto eccitato: di lì a poco avrebbe potuto mostrare, o meglio, sbattere in faccia, la sua trasformazione a tutti i suoi vecchi compagni.
Arrivato al liceo, fece un respiro profondo ed aprì la porta lentamente. Lo invase il brusio degli altri studenti; avanzò di tre passi ed esaminò la gente attorno a lui. Tutte facce già viste. Erano gli stessi bulletti che lo maltrattavano mesi prima, solo che quando lo videro non gli si avvicinarono con fare minaccioso, bensì si limitarono ad osservarlo o ad ignorarlo, come si fa con i nuovi arrivati.
Non fu così per le ragazze: mentre Kentin si avviava verso la stanza della preside per ritirare la chiave del suo armadietto, molte facce stupite lo fissavano a bocca aperta, alcune sorridevano affascinate, altre arrossivano di imbarazzo. Lui non le guardava, ma intuiva chiaramente quello che provavano per lui.
Un’espressione compiaciuta si disegnò nella sua faccia. Un tempo nessuna ragazza lo avrebbe mai notato, ma ora erano tutte lì che lo desideravano.
Ottenute le chiavi, richiuse la porta dietro di lui e gli venne in mente il suo obiettivo principale: far vedere a Candy l’uomo che era diventato. Le sarebbe piaciuto? Sicuramente. Avrebbe voluto mettersi con lui? Molto probabilmente. Lui avrebbe accettato? Forse no. Non gli piaceva che la gente lo giudicasse dal suo aspetto fisico. Il carattere era lo stesso, e apprezzare qualcuno solo perché era più bello, atletico o alto, era un’idea che lo faceva imbestialire.
Mentre stava per mettersi a cercare Candy, vide il primo volto noto: era Violet, una fanciulla dai capelli corti e viola, cinti da due semplici trecce. Corse verso di lei, destando l’agitazione da parte delle altre ragazze.
— Ehi Violet, ciao! Senti, hai visto Candy, per caso? — Lei si voltò con aria annoiata, ma quando vide il volto di Kentin sgranò gli occhi e diventò rossa dalla testa ai piedi. Indietreggiò velocemente e fuggì via tra la folla di studenti. — Ma cosa ho fatto? — Chiese Kentin, offeso. Questa volta non lo potevano evitare perché era brutto, basso o magrolino. Lui stesso era ben cosciente di quanto fosse migliorato, quindi non riusciva a capire il motivo della reazione di Violet.
— Come sei ingenuo — Sussurrò una vocina dentro la sua testa. Sì, forse anche lei si era comportata come le altre ragazze, alla vista del nuovo Kentin.
Girò per altri dieci minuti per i corridoi della scuola, destando stupore nelle facce dei presenti, maschi o femmine che fossero. Alla fine si arrese e tornò nella sua aula, prima che la campanella suonasse. Poi si rese conto che probabilmente Candy si trovava lì. Dopotutto erano compagni di classe.
Entrò con cautela. Vide tutti i suoi compagni che chiacchieravano concitatamente. Candy era proprio in mezzo a loro, e parlava con la sua amica Iris. Decise di avvicinarsi a lei, ma fu bloccato dall’arrivo del professore.
— Seduti. — disse. Era un uomo alquanto svampito, sulla sessantina. Tuttavia era conosciuto in tutta la scuola per la sua memoria di ferro. — Avanti, Kentin, siediti al tuo posto.
Dava come per scontato che Kentin fosse sempre appartenuto a quella classe, per questo non aveva avvisato i compagni del suo ritorno.
Meglio così, pensò il ragazzo. Si mise a sedere nel primo posto vuoto che trovò, ed ascoltò la lezione.
Non era passata neanche mezz’ora, che d’improvviso Candy chiese il permesso di andare in bagno. Il professore acconsentì e la ragazza uscì. Lui non la vide in faccia, ma Kentin era riuscito a cogliere l’espressione forzatamente composta di lei, tipica di chi cerca di nascondere una menzogna.
Sicuramente era un altro il motivo per cui Candy aveva domandato di uscire. La curiosità era troppo forte, così Kentin decise di aspettare una manciata di secondi, per poi chiedere la stessa cosa al professore.
— Bah, ognuno trova ispirazione dove vuole… — borbottò, prima di lasciar uscire il ragazzo. Lui di ricambio sorrise per la battuta ed aprì la porta dell’aula.
Il corridoio era completamente vuoto. Forse Candy doveva davvero andare in bagno. Ma poi sentì delle voci provenire da dietro un angolo, si avviò dunque verso la loro direzione con passo felpato. Mentre si avvicinava udì un urlo, allora ingranò la marcia e corse per scoprire cosa fosse accaduto.
La visione lo fece rimanere senza fiato: c’era il ragazzo delegato della scuola, Nathaniel, disteso a terra e sopra di lui Candy, i due volti vicinissimi e visibilmente imbarazzati.
Quando si accorsero di non essere soli, si tirarono su in fretta e furia, le facce rosse per la vergogna.
Kentin non sapeva cosa dire, così indietreggiò per lo stupore, e andò a sbattere contro qualcosa di duro. Si girò lentamente ed emise un grido di terrore: aveva appena urtato Castiel.
Istintivamente portò le braccia davanti alla testa, in segno di difesa. Ma non venne né colpito, né malmenato, come si era aspettato. Lentamente spostò gli arti, in modo da formare un piccolo buco attraverso cui vedere il volto del ragazzo dai capelli di sangue. Non aveva intenzione di togliere le braccia, non avrebbe rischiato di rovinare quel suo bel faccino di cui la sera prima si stava per invaghire.
L’espressione di Castiel era identica alla sua: bocca aperta, occhi semi-sgranati, confusione totale. Kentin capì allora che il piccolo “imprevisto” fra Nathaniel e Candy aveva sortito lo stesso effetto sia su di lui che sul bulletto. Si chiese se fosse successo altro in sua assenza. Magari la ragazza che aveva sempre amato si era dimenticata di lui. Aveva instaurato un legame con Castiel, e poi con Nathaniel, così si sarebbe spiegata la reazione del rosso.
Kentin decise di abbassare le braccia: l’aspetto sconvolto del ragazzo di fronte a lui gli fece credere che non lo avrebbe pestato. Ma subito se ne pentì: gli occhi fulminei di Castiel si posarono sulle sue iridi verdeacqua, con un’espressione severa.
— Ti prego, non picchiarmi, non ti ho fatto niente! — si sentì piagnucolare Kentin, e coprì il volto con le mani.
— Perché mai dovrei picchiarti? Chi ti conosce! — pronunciò il suo avversario, dopodiché girò sui tacchi e si allontanò.
Sono salvo, realizzò sorridendo ampiamente. Poi si ricordò di quello che era appena successo e si voltò. Aveva appena ruotato la testa, che Candy lo oltrepassò urtandolo con violenza, per poi svoltare l’angolo e tornare in classe. Nathaniel non c’era più.
Ma come, non dice niente del mio nuovo aspetto? Forse è troppo incredula per ammettere la mia bellezza, pensò.
Aspettò un minuto, prima di rientrare in aula, poi aprì la porta e cercò lo sguardo di Candy. Non lo stava minimamente calcolando, così come il resto della classe. Andò a sedersi e aspettò la fine della lezione.
Dopo le prime due ore il professore disse: — Va bene, abbiamo finito per oggi. Potete andare. — Tutti si stupirono, dal momento che mancavano ancora cinque minuti all’intervallo. A Kentin venne istintivo il gesto di alzare la mano e avvertire quel povero svampito, ma si trattenne, pensando che così facendo avrebbe solo attirato l’antipatia dei compagni. Probabilmente il vecchio Ken l’avrebbe fatto ugualmente.
Fu il primo ad uscire. Si diresse velocemente verso il suo armadietto per posare i libri. All’improvviso si aprì la porta del bagno delle femmine. Ne uscì una ragazza bionda, piuttosto alterata. Era Ambra. Kentin sentì che sulla propria faccia si stava formando un sorrisetto malvagio, mentre nella testa le rotelle giravano rapidamente, elaborando un piano malefico. Chiuse rumorosamente la porta dell’armadietto per far sì che lei si accorgesse della sua presenza. Ambra, che in quelle due ore in classe non aveva ancora visto il “nuovo Ken”, quando se lo ritrovò davanti abbassò la mandibola di parecchi centimetri e si tappò il naso con entrambe le mani. Perfetto, è mia.
Dopo essersi assicurato che i suoi compagni, compresa Candy, fossero usciti, camminò verso Ambra, con gli occhi fissi sui suoi, le spostò le mani sui suoi fianchi e la baciò.
Sentì il fremito d’emozione nella ragazza, poi spostò lo sguardo in direzione di Candy, che era rimasta a bocca aperta, impallidita.





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Capitolo 3
*** Rivincita ***




Capitolo 3


Rivincita







Soddisfatto della sua azione, si staccò da Ambra ed osservò compiaciuto la faccia stralunata di Candy. Alcuni dei presenti lo guardavano con espressione interrogativa, altri tornavano ad occuparsi dei propri interessi. Strizzò l’occhio alla ragazza che un tempo amava, poi tirò fuori dalle tasche un sacchettino di biscotti, ne mise uno in bocca e si girò per andarsene. Era sicuro che avrebbe fatto salire la gelosia in lei, ma in quel momento non c’era nient’altro da dirle o farle vedere, quindi uscì in cortile per respirare un po’ d’aria fresca.
Si sedette su una panchina, le braccia aperte e appoggiate sullo schienale. Respirò a pieni polmoni. Era davvero soddisfatto di se stesso. Non lo era mai stato prima. Chiuse gli occhi per godersi i raggi del sole.
Dopo neanche un minuto un'ombra gli negò la luce. Aprì gli occhi, turbato, e vide un'Ambra raggiante.
— C-ciao. Sei nuovo? — si era completamente dimenticato di averla mollata in corridoio.
— Ehm... no. Cioè, sì! — decise di mentire. Anche se non era del tutto una bugia. Certo, era nuovo, ma tutti lo conoscevano. O almeno, avrebbero dovuto.
— Senti... ecco, per quel bacio di prima... — Ambra si interruppe, aspettandosi delle spiegazioni da Kentin, che però non arrivarono — ...Lo sapevo che eravamo fatti l'uno per l'altra! — esclamò d'un fiato la ragazza, euforica come non mai.
A Kentin veniva da ridere: Ambra era totalmente ceduta al suo fascino. Se pensava che il motivo del suo ritiro dal Dolce Amoris, ed il conseguente miglioramento di se stesso era stato proprio lei, non sapeva se deriderla per il suo errore o se ringraziarla. In entrambi i casi, scelse di continuare a prendersi gioco della biondina ancora per un po', almeno fino a quando avesse scoperto chi era lui veramente.
— Ahah, si hai ragione! — esclamò, beffardo.
— Allora stiamo insieme?
— Sì, d'accordo.
Non era affatto preoccupato delle conseguenze che il suo gesto avrebbe potuto provocare, soprattutto perché di certo non aveva nulla da perdere.
Lasciò che Ambra si sedesse accanto a lui, appoggiandosi sotto il suo braccio, e aspettò la fine dell'intervallo.
Mentre stavano per tornare in classe lei gli chiese: — Ah, come ti chiami?
— Kentin — disse lui tranquillamente.
— É un bellissimo nome! Io sono Ambra. — E aspettò una sua risposta. Ma Kentin si limitò ad annuire, perché si ricordava benissimo che un tempo tutti, compresa Ambra, lo prendevano in giro per il suo nome.
Forse quella di accettare di essere il ragazzo di Ambra non era stata una buona idea, ma quando in classe incrociò lo sguardo imbarazzato di Candy, si ricordò della sua reazione al bacio con la bella bionda. Pensò che il suo obiettivo principale era sempre quello di dare una lezione a lei, e quindi si sedette con calma sulla sua sedia, non prima di averle sorriso lentamente.
La faccia di Candy si faceva sempre più preoccupata ad ogni minuto che passava.
Si sta pentendo di non essersi mai interessata a me. Ora sa che é troppo tardi! Non solo non é riuscita a mettersi con me, ma é pure stata battuta da una cretina come Ambra! Questi pensieri scorrevano svelti nella mente di Kentin, e gli infondevano una gioia immensa.
Ma era giusto quello che stava facendo? Non era stato un po' troppo crudele verso le due ragazze? Certo, di Ambra non gli importava, ma Candy era pur sempre il suo grande amore d'infanzia, la ragazza a cui avrebbe dato tutto, a costo di renderla felice.
Si pentì un pochino del suo piano malefico. Dopotutto Candy era un essere umano: se non aveva amato fisicamente il vecchio Ken, non gliene poteva fare una colpa. E poi anche lui disprezzava il suo aspetto precedente.
Al termine delle cinque ore di lezione Kentin prese la decisione di scusarsi con Candy per il suo comportamento. Aspettò che la classe si svuotasse un po', poi fece per avvicinarsi a lei, ma venne fermato da Ambra: — Ascolta, tesoro, in casa mia non c'é nessuno oggi. Ti va di venire da me? — A quella richiesta il volto di Candy si alterò, e la ragazza raccolse velocemente i libri, per poi uscire dall'aula.
— Insomma, davvero non hai ancora capito chi sono io? — Sbottò Kentin.
Ambra ci pensò un attimo e poi chiese: — Il mio amoruccio?
— No, sono Ken, quell'idiota occhialuto che sfruttavi a tuo piacimento e di cui adesso hai perso follemente la testa! — A quelle parole la confusione si formò sul volto di Ambra. Alcuni degli ultimi compagni che non erano ancora usciti rimasero a bocca aperta, altri ridacchiarono per la figuraccia della giovane.
— M...ma come? N-no, non é possibile — disse lei. Il suo tono di voce da acuto e smielato divenne serio e più basso, come quello di uno che viene preso in giro. Non volendo credere alle parole di Kentin, si mise a scrutare ogni suo minimo dettaglio, dagli occhi verdi alle gambe forti e robuste, dai capelli non a scodella ai pettorali scolpiti.
— Sì invece. Quindi se non ti dispiace non rivolgermi più la parola. — Ho ben altro da fare. E la scaricò sotto gli occhi increduli di lei e dei pochi presenti.
Uscito dall'aula, rincorse Candy, deciso una volta per tutte a sistemare quella storia.
La raggiunse fuori dall'edificio, in cortile.
— Candy aspetta! Anf anf... Volevo...chiederti scusa se ho fatto il cascamorto con Ambra, ma era solo per vendicarmi di lei! — Candy però non capiva. Arrossì per l'arrivo improvviso di Kentin, ma non sapendo come mai si stesse scusando, si limitò a domandare: — Pe...perché ti stai scusando con me?
— Beh, ecco, io pensavo che ci fossi rimasta male...
— Ma se non ti conosco nemmeno? — In realtà le era davvero dispiaciuto, ma non volendo ammettere i suoi sentimenti, si era messa sulla difensiva. Ora però era Kentin a non capire, ma lo sguardo altrettanto confuso della ragazza gli disse che era sincera.
— Non ti ricordi più di me? — chiese, offeso. Candy scosse la testa.
— Ma come? Ci conosciamo da una vita. — Vide lo sforzo nella mente della sua amica, che davvero ignorava la sua vera identità.
Ci fu un silenzio prolungato, poi improvvisamente Kentin si ricordò di una cosa.
Estrasse dalle tasche la bustina di biscotti al cioccolato e ne porse uno a Candy. Lei in un primo momento pensò fosse uno scherzo, poi lentamente la verità cominciò a farsi largo nella sua testa.
Sbarrò gli occhi posandoli su quelli del ragazzo, e disse con un filo di voce: — Ken?
— Kentin — corresse subito lui.
— Wow ma... Come é possibile? Sei irriconoscibile!
— Ho seguito un duro allenamento militare, per questo sono cambiato.
— Non é possibile, ora sei davvero... — Ma si fermò appena in tempo.
Figo, volevi dire? Pensò lui. Sicuramente non era più quel ragazzino ingenuo di un tempo. Oltre che a combattere, aveva imparato a capire i sentimenti altrui.
— ...Davvero diverso — completò Candy. Lui sorrise.
Decise di accompagnarla a casa. Ogni tanto sbirciava il suo volto e quando lei se ne accorgeva arrossiva piano. Questo faceva tremendamente impazzire Kentin, che era davvero soddisfatto dei frutti delle fatiche passate al campo.
Arrivati sotto casa di Candy, non seppe resistere alla tentazione e le diede un bacetto sulla guancia, che per poco non la faceva svenire. Lei lo salutò, emozionata, e salì le scale.
Quella giornata era stata davvero motivante. Quasi tutte le femmine della scuola sbavavano per lui, Ambra era stata rimessa al suo posto, Candy lo aveva finalmente visto come qualcuno di cui essere gelosi. C’era solo un dettaglio che lo preoccupava: la caduta “accidentale” di Nathaniel e Candy. E se lui non fosse l’unico pretendente? Oltretutto anche Castiel era rimasto scosso da quell’episodio.
I pensieri turbinavano nel cervello di Kentin, che era arrivato a casa. Entrato in camera, posò lo zaino e scorse di nuovo la sua immagine riflessa. Ma che me ne importa degli altri, quando ho me? pensò, e si sorrise con ardore.


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Capitolo 4
*** Ego ***




Capitolo 4


Ego







Era ormai notte inoltrata, ma Kentin non riusciva a dormire. La verità era che non poteva fare a meno di pensare a se stesso.
Dopo la sua trasformazione aveva cominciato a vedere il suo corpo sotto un’altra luce. Prima non si crucciava affatto se fosse brutto, basso, striminzito o mollaccione. La sua regola di vita era la spensieratezza. Adesso invece, si piaceva un sacco, talmente tanto da non potersi più staccare dallo specchio.
Contemplava quegli occhi colpiti dal chiarore lunare, quelle labbra sottili e morbide. Si gloriava del suo fisico muscoloso e della folta chioma color cioccolato, finché non udì dei passi provenienti dall’esterno della sua camera. Non fece in tempo a mettersi in piedi, che la porta si spalancò e ne entrò la sorellina, con lo sguardo di chi ha appena visto un fantasma.
— Ken ma che ci fai per terra? — sussurrò stupita di non averlo trovato a letto.
— Ehm, il letto… è troppo molle — pronunciò la bocca di Kentin. Aveva fatto tutto da sola, perché, dato l’inaspettato arrivo della sorella, il cervello non aveva avuto il tempo di comunicarle cosa rispondere. Così trovò una scusa casuale, per giustificare il suo padrone del fatto che si trovasse davanti ad uno specchio, nel pieno della notte.
— Ah, okay. — Fortunatamente la bambina non sembrava preoccupata dell’anomalo comportamento del fratello, così si sedette accanto a lui e fissò il suolo, in attesa di una richiesta di spiegazioni.
Kentin lo capì al volo e l’assecondò: — Come mai sei qui, Annette? — La piccola rispose: — Ho fatto un brutto sogno! Ho sognato che Viktoria mi tagliava i capelli e io ce lo andavo a dire alla maestra e lei non mi credeva! — Le lacrime sgorgarono da quel faccino innocente, che Kentin si premurò subito di asciugare, con le sue dita delicate e fraterne. — Allora tu domani tagliaglieli a lei! — E la bimba scoppiò a ridere, dimenticando in fretta l’incubo che l’aveva turbata.
Si avvicinò al fratello e lo strinse in un tenero abbraccio, che lui prontamente ricambiò. Gli sembrava di rivedere se stesso, quattro mesi prima, quando veniva picchiato dai bulli della scuola. Solo che all’epoca non lo consolava nessuno.
Rimasero un momento in quella posizione, poi Annette si spostò per vedere meglio il volto del fratello. — Che belle labbra che hai. — gli disse allungando la manina per toccargliele. Ma Kentin si rese conto di quel suo gesto, ed in modo automatico scostò bruscamente il suo braccio, prima che potesse raggiungerlo.
La sorella restò stupita, e non sapeva se rimettersi a piangere o scappare dai genitori. Non aveva fatto nulla di male, era solo un complimento il suo. Ma prima che potesse reagire, Kentin esclamò: — Scusa scusa scusa! non avevo intenzione di farlo, Annette, perdonami! — Come mai si era comportato in quel modo? Era davvero talmente geloso del suo corpo, che nemmeno sua sorella, con cui condivideva il sangue, aveva il diritto di sfiorarlo? Eppure solo alcune ore prima aveva permesso ad Ambra di toccare quelle stesse labbra. Le meritava più lei di Annette!?
— Scusami, è stato un movimento involontario…sai, sono ancora abituato a quando gli altri mi picchiavano… — Aggiunse cercando di apparire il più triste possibile. La bambina si era tanto dispiaciuta per lui, che tornò a piagnucolare fra le braccia del fratello. Era riuscito a cavarsela sfruttando una scusa che calzava a pennello. Perché oltre che bello era anche più intelligente. Questo, però, al costo di un pezzo della sua reputazione verso la sorella: non era molto onorevole far tornare a galla certi ricordi.
— Eddai, non fare così: adesso sono diventato forte. Se qualcuno ti fa del male, il tuo fratellone gli darà una bella lezione! Ora torna a letto, dai. — Voglio stare con te — farfugliò con voce rotta.
— Mmm, d’accordo, però devi promettermi che ti addormenterai subito. Ok? — Annette annuì, così i due si imbacuccarono nel letto di Kentin e, confortati dalla reciproca presenza, presero sonno.
La notte passava con lentezza e la mente di Kentin era percorsa da sogni silenziosi.
Si trovava nel corridoio della scuola, attorniato da belle ragazze. In lontananza c’era Candy in compagnia di Iris, con uno sguardo triste. Poi la sua espressione mutò: lo fissava con profonda crudeltà. Dopo qualche secondo le passò accanto Nathaniel, e lei lo spinse brutalmente contro il muro, baciandolo sotto gli occhi stizziti di Kentin. Per ripicca lui afferrò il polso di una ragazza a caso e fece lo stesso con lei. Sbirciò in direzione di Candy, e questa volta al posto di Nathaniel c’era Castiel. Infuriato più che mai, allontanò la persona che stava baciando e ne cercò un’altra fra le ragazze che stavano intorno a lui. Ma tutte le loro teste si erano trasformate in quelle di Ambra. Decine di Ambra arrabbiate lo spingevano e cercavano di soffocarlo, senza che lui potesse fare niente per liberarsi: — Come hai osato prenderti gioco di me? — La morsa asfissiante non lo lasciava andare, finché con un respiro improvviso rinvenne dal sogno e si destò di soprassalto.
Evidentemente quella era la notte degli incubi. Si girò per controllare se avesse svegliato sua sorella, ma la vide beatamente addormentata. Guardò l'ora: erano già le 6:41. Siccome si sarebbe dovuto alzare pochi minuti dopo, fece lo sforzo di tirarsi su dal letto e prepararsi per la nuova giornata. In realtà era ancora scosso per quello che aveva visto, anche se si trattava solo di un sogno. Dopo aver mangiato ed essersi preparato, indossò la camicia bianca, salutò sua madre ed uscì di casa.
Si decise che entro quella mattina avrebbe dovuto scoprire i veri sentimenti di Candy verso Nathaniel e Castiel.
Arrivato a scuola, si diresse verso lo spogliatoio maschile per l'ora di ginnastica. Attraversata la palestra, stava per spingere la porta, quando questa si aprì e ne uscì Candy.
— Candy! Ma che ci facevi lì dentro?
— Niente! Ho sbagliato porta...
Kentin sapeva che non era la vera ragione, ma proprio mentre si preparava a ribattere, la porta si aprì di nuovo, e ne emerse un Nathaniel con la camicia sbottonata messa alla bell'e meglio. — Nathaniel? Mi spiegate cosa sta succedendo?
— Niente niente! Candy aveva solo bisogno di un'informazione — spiegò il biondino, visibilmente agitato.
— E quale tipo di informazione cercavi? — chiese Kentin.
L'imbarazzo di Candy non le permise di aprir bocca, così Kentin, per evitare di metterla in ulteriore difficoltà, entrò con freddezza nello spogliatoio, lasciandosi gli altri due ragazzi alle spalle.
I numerosi specchi all'interno della stanza gli fecero presto dimenticare dell'accaduto; si avvicinò ad uno di essi e restò a contemplare il verde dei suoi occhi, con un sorriso un po' ebete stampato in faccia.
Dopo pochissimi secondi entrò improvvisamente Nathaniel, che, vedendolo osservarsi con grande intensità, assunse un'aria un po' confusa. Kentin si accorse del suo arrivo troppo tardi, e si girò di scatto.
— Ken, ti assicuro che non è successo niente fra me e Candy. È entrata proprio mentre mi stavo cambiando, tutto qui. — si affrettò a dire Nathaniel.
— Mi chiamo Kentin.
— Si, scusa. Comunque devi fidarti.
Anche se non lo dava a vedere, Kentin era profondamente dispiaciuto per ciò che era successo, ma decise di non dire niente e si girò verso lo specchio per cambiarsi.
Proprio mentre si stava togliendo la maglietta, entrò qualcuno nello spogliatoio. Ciuffi di capelli rossi si scorsero nel riflesso davanti a lui, facendolo rabbrividire.
Castiel era entrato insieme ad alcuni compagni di classe e si stava avvicinando a Kentin.
Sono morto. Pensò automaticamente. Ha scoperto chi sono realmente ed è venuto per vendicarsi! Si, ma vendicarsi di cosa?
Non c’era più tempo per pensare, Castiel era a due passi da lui, il volto serio e allo stesso tempo fiero. Di come sono diventato, è ovvio! Oh no…mi pesterà, è sicuro. Come faceva all’inizio dell’anno… Che cosa faccio? Kentin sentì il terrore invadergli le ossa. Ormai la faccia era andata, ma almeno il resto del corpo poteva ricevere lividi meno profondi, se avesse avuto addosso un indumento. In fretta e furia raccattò la maglietta e cercò di infilarsela. L’ansia e il terrore crescenti resero vano ogni tentativo di riuscire ad indossarla. Per evitare figure imbarazzanti, gettò per terra la maglietta e si decise ad affrontare a testa alta il suo destino. Le botte sì, ma lo scherno non poteva più accettarlo.
Lentamente ruotò il corpo, fino a trovarsi faccia a faccia con Castiel, che era ormai davanti a lui. Aveva un lievissimo sorriso, lo stesso di chi si prepara a fare qualcosa che gli piace. Kentin deglutì. Dietro al rosso vi erano altri quattro o cinque ragazzi più grandi di lui, che in un primo momento si soffermarono sui suoi muscoli nudi, poi alzarono lo sguardo fino a fissarlo negli occhi. Anche se li affrontassi, non potrei batterli. Sono troppi per me. Non poté pensare ad altro, perché Castiel prese la parola.



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Capitolo 5
*** Invidia ***




Capitolo 5


Invidia







— Tu sei Ken, vero?
— S...sì. — In altri contesti l’avrebbe corretto dicendogli il suo vero nome, ma questa volta non osò contraddire Castiel.
— Beh, ho saputo quello che hai fatto ad Ambra. Uno che riesce ad umiliarla in quel modo non può che meritare la mia stima!
Seguirono cenni di assenso da parte dei seguaci, poi il silenzio. Kentin non poteva credere a quello che le sue orecchie gli avevano fatto udire, né che il suo naso fosse ancora integro. Non sapeva cosa rispondere o se rispondere. Era solo incredulo che il bullo che aveva sempre temuto, ora si stesse complimentando con lui.
Siccome stava passando troppo tempo in silenzio, buttò fuori le prime parole spontanee: — Era ora che qualcuno la mettesse in riga. — Ancora cenni di assenso. Li aveva conquistati. Si rese conto che quello che un tempo era solo un bimbetto piagnucolante, ora era una persona stimabile, qualcuno con del fegato e in grado di fare qualcosa che pure Castiel non avrebbe mai fatto. Evitando accuratamente di far notare questo particolare agli altri, Kentin continuò per qualche minuto a conversare con i ragazzi più grandi, finché non decisero che fosse abbastanza, e se ne andarono dallo spogliatoio soddisfatti.
Ora un sorrisone aleggiava sul volto di Kentin, ma fu presto interrotto da una testa spuntata dalla sua destra: Nathaniel era rimasto lì per tutto il tempo, ed aveva ascoltato l’intera conversazione fra lui e Castiel.
— Che cosa avresti fatto ad Ambra? — Quasi si era dimenticato che loro due erano fratelli.
— Nulla di grave, non preoccuparti — disse con tono autorevole. Non aveva intenzione di farsi mettere sotto da qualcuno che per ben due volte aveva beccato insieme a Candy in atteggiamenti non poco compromettenti.
— Che cosa le hai fatto? Dimmelo adesso. — Gli occhi di Nathaniel avevano assunto un taglio omicida, così Kentin scelse di raccontare la verità: — Ascolta, non devi dare la colpa a me. Tua sorella è un’arpia! Mi ha sempre trattato male, a me e a tutti gli altri ragazzini indifesi. È a causa sua se me ne sono andato da questa scuola...— Col riaffiorare di questi tristi ricordi, Kentin sentì i propri occhi inumidirsi, ma bastò questo particolare per far svanire dal viso di Nathaniel l’espressione minacciosa, al posto della quale se ne fece largo una di compassione sincera.
— Io...ti capisco, hai ragione. Ma non è con la vendetta che si risolvono queste situazioni — disse il biondo sommessamente.
— Lo so, infatti non è stato niente di tremendo. Volevo solo farla smettere di prendersela con gli innocenti. Tutto qui.
Chiarito il problema, Kentin indossò in silenzio la tuta e, senza dare al suo interlocutore la possibilità di rispondere, uscì dallo spogliatoio per la lezione di ginnastica.
La palestra era quasi deserta. C’era solo un gruppetto di ragazze che dopo averlo visto emisero acuti gridolini e parlottarono fra di loro. Ma l’obiettivo di Kentin era solo Candy, che probabilmente in quel momento si stava cambiando.
L’ora di ginnastica passò in fretta. Kentin era stato scelto insieme ad un compagno per formare due squadre per la partita di basket. Quando era toccato a lui scegliere il primo componente del suo team, aveva subito esclamato: — Candy! — anche se sapeva benissimo che era negata in quello sport. Questo però la rese contenta, e fece scattare la gelosia nelle altre compagne.
Alla fine Kentin aveva vinto la partita segnando il maggior numero di canestri, ma al termine della prima ora era distrutto dalla fatica.
Decise che, prima di parlare con Candy, sarebbe andato in bagno a rinfrescarsi un po’. Purtroppo anche quello era tappezzato di specchi.
Sforzandosi di non guardarli, si posizionò davanti ad un lavandino. Doveva stare attento: per poco prima non si faceva beccare da Nathaniel; ora non poteva permettere che qualcun altro lo sorprendesse ad ammirarsi. Però il bagno era vuoto. Che male poteva fare una piccola sbirciatina?
Alzò un occhio. Gli sembrava di avere davanti un estraneo, ma questo non importava. L’unica cosa che contava era che davanti a lui c’era l’essere più affascinante del mondo, e lui aveva la possibilità di vederlo dal vivo. Si avvicinò a lui. Lo sguardo verde era ipnotico, i lineamenti perfetti. I palmi delle loro quattro mani andarono a combaciarsi, i due volti si stavano lentamente avvicinando, quando due ragazzini entrarono di soppiatto in bagno.
— Ma che cosa...? — fece uno di loro. Lo avevano visto. In pieno.
— Che stai facendo? — Kentin tolse subito le mani dallo specchio e li guardò pietrificato. — Nulla — disse con calma, poi entrò in un gabinetto e chiuse a chiave.
Sapeva benissimo che in quel momento si stavano scambiando sguardi di assenso, dato che non potevano parlare a voce alta. Probabilmente pensavano a quanto strano e inquietante fosse stato il suo comportamento, al fatto che forse sarebbe stato meglio parlarne con qualcuno, farlo sapere in giro.
Al solo pensiero Kentin rabbrividì. Proprio ora che era riuscito a togliersi di dosso l’etichetta dell’insignificante bambino capriccioso, le sole parole di quei due ragazzi avrebbero compromesso definitivamente la sua reputazione.
Aspettò che se ne fossero andati. Poi uscì dal gabinetto e si bagnò un po’ i capelli con l’acqua. Ora quell’essere perfetto davanti a lui lo guardava con sguardo triste, e non sembrava più tanto bello.
Cercò di scostare dalla mente quello che era successo. Cosa può fregargliene a quei due? Figurati se vanno a spifferarlo in giro. Non gliene importerebbe niente a nessuno. Si ripeté più volte. Adesso devo andare da Candy, punto e basta. Ed uscì dal bagno.
E se lo sapesse già tutta la scuola? Dovrò andarmene di nuovo? ...No! Candy e basta. Camminò verso la propria aula, evitando lo sguardo di tutti quelli che incrociava, che però non sembravano considerarlo molto.
Arrivato in classe, cercò Candy, ma non la vide da nessuna parte. Stava indietreggiando per uscire, quando andò a sbattere contro qualcuno. Si girò e trovò proprio la persona che stava cercando.
— Candy, ciao! — disse imbarazzato. Lei lo era quanto lui.
— Ah ciao! Senti...a ginnastica non ho avuto modo di dirtelo, ma volevo assicurarti che prima avevo incontrato Nathaniel per pura casualità, io non lo stavo cercando, davvero! — Era l’incarnazione della sincerità. Kentin la guardò con compassione, poi disse: — Va bene, ti credo...però è già la seconda volta che vi vedo in circostanze...diciamo un po’ ambigue.
Candy ci mise un po’ a capire che la prima volta era stata quella in cui Kentin e Castiel li avevano sorpresi a terra una sull’altro, ma quando le venne in mente, rispose: — Intendi ieri? No, davvero! Non l’ho fatto apposta, sono solo scivolata e c’era lui davanti, devi credermi! — Schiettezza pura. Kentin sorrise, sicuro che l’unica spiegazione plausibile fosse che Candy si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato. Dopotutto, in quella situazione, se avessero voluto fare qualcosa di...proibito, di certo non lo avrebbero fatto in un luogo così esposto come il corridoio della scuola.
Così disse: — Va bene, va bene, ti credo. — E le diede una pacca sulla spalla. Poi aggiunse: — Invece Castiel ti piace?
Il colorito delle guance di Candy assunse una tonalità rossiccia, quasi come quella dei capelli della persona chiamata in causa.
Ci fu un momento di silenzio. Lo sguardo della ragazza passò in fretta da Kentin al pavimento, rivelandone un leggero disagio. Poi, come se niente fosse, Candy fece un’espressione seria e neutrale.
— No, assolutamente no. E poi perché dovrebbe piacermi uno che ti ha sempre trattato male? — domandò con fermezza.
— Non lo so. E da quando è che ti preoccupi per me? — Chiese maliziosamente Kentin. Anche Candy sorrise, ed alzò lo sguardo fino a raggiungere i suoi occhi verdi. Non li aveva mai osservati così da vicino, ma si rese conto di quanto fossero particolari e belli. E questo Kentin lo notò.
Già, penso stia dicendo la verità. Forse è un po’ imbarazzata perché le sto facendo tutte queste domande. E comunque non ci può trovare nulla di interessante in un tipo arrogante come Castiel. La conosco troppo bene, non è una ragazza stupida.
Osservò anche lui gli occhi di lei. Era la prima volta in tutta la sua vita che poteva contemplarli senza venire allontanato o respinto. Erano di un marrone scurissimo, tendente al grigio. In perfetto accostamento con i capelli castani e chiari di Candy.
Si rese conto di quanto fosse attratto da lei. Non era né la tipica ragazza coperta di trucco pesante, né una acqua e sapone. Era ironica, divertente e solare al punto giusto. Il suo sguardo fiero, la sua determinazione e la spontaneità erano le doti che più lo avevano colpito, da quando l’aveva conosciuta. A scuola, poi, era molto popolare. Non stava mai da sola: era sempre in compagnia di qualcuno.
In effetti, ora che ci pensava, dal punto di vista relazionale, erano l’esatto opposto. Se fosse stata Candy a dover lasciare la scuola, di certo al suo ritorno avrebbe ritrovato tutti i suoi amici pronti ad accoglierla. Kentin invece non era stato salutato da nessuno, da quando era arrivato. O almeno, da quando era stata chiarita la sua identità. Anche le persone con cui un tempo parlava, sembravano non essere più interessate a lui. Questa idea fece affievolire il sorriso di Kentin. Dal suo profondo sentì nascere qualcosa nei confronti di Candy. Era forse una punta d’invidia?
Stava rimuginando mentalmente su questi pensieri, quando improvvisamente scattò il segnale assordante dell’altoparlante della scuola, e la voce acuta della direttrice rimbombò brusca nelle loro orecchie, come una lama appena affilata: — A tutti gli studenti del terzo e del quarto anno: recatevi immediatamente nell’aula B per un annuncio urgente. Ora!
— Non c’è bisogno di urlare! — esclamò Candy.
— Devi capirla: essendo vecchia, i suoi timpani non funzionano bene, quindi per ripicca se la prende con i nostri sani e funzionanti — intervenne Kentin.
— Sì, ma così non ci funzionano più!
— È proprio questo il suo scopo!
I due risero di gusto, e, dopo un’occhiata d’intesa, si rassegnarono al volere della preside, incamminandosi verso la classe da lei indicata.



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Capitolo 6
*** Gossip ***




Capitolo 6


Gossip







La stanza era piuttosto piccola, e i due fecero fatica ad entrare senza venire spintonati dagli altri studenti. Tutte le sedie erano già occupate; molti erano rimasti in piedi per il poco spazio, mentre altri si erano seduti senza troppe lamentele per terra.
Dopo essersi sistemati, Kentin e Candy aspettarono l’arrivo della preside per l’annuncio. Entrò nella classe quasi subito, seguita da due professori.
— Bene, ci siamo tutti. Silenzio là in fondo! Perfetto, possiamo cominciare. — si schiarì rumorosamente la voce — Allora, vi ho riuniti qui per comunicarvi una notizia riguardo le iniziative offerte dalla scuola. Come ben sapete, il nostro liceo possiede molte altre sedi in giro per il mondo. Dopo un’attenta discussione col corpo insegnanti, abbiamo deciso, insieme… — fece una pausa per generare più curiosità nei presenti, che avevano già allungato il collo trepidanti — …di organizzare una gita a Londra! — In un attimo urla e schiamazzi si levarono all’unisono, libri e diari volarono in aria e tutti gli studenti gridarono, saltando di gioia per la notizia. Era da anni che la scuola non organizzava un viaggio d’istruzione all’estero.
La classe si riempì di confusione, perciò la preside, come se già si aspettasse quella reazione, prese fra le mani un robusto registro rettangolare e lo sbatté tre volte contro la cattedra, producendo una tale quantità di decibel, che tutti ammutolirono all’istante.
— Ora vi distribuirò i fogli col programma e l’autorizzazione da portare firmata dai genitori entro due settimane. Simons e Duran, silenzio! — Due alunni la smisero di parlare — Insieme a voi verranno tre professori: il professor Stikonski, il professor Faraize e la professoressa Moreau. La direttrice si voltò verso i due insegnanti che erano entrati con lei. L’uomo sembrava alquanto a disagio, davanti al numero elevato di studenti; al contrario l’altra professoressa cercava in tutti i modi di mantenere un’espressione severa.
— Ci risiamo, come al solito Stikonski manca all’appello. — sospirò la preside, e qualche alunno ridacchiò.
— Dovrebbe arrivare a momenti — disse la professoressa, sbirciando fuori dall’aula.
— Beh, intanto vi consegno i moduli. Nathaniel, per piacere, distribuiscili tu. — Il biondino si alzò, zelante, dalla sedia, e distribuì i fogli agli altri.
Kentin e Candy si misero a discutere della gita che li aspettava, entusiasti. — Che bello, ho sempre sognato di andare a Londra! Tu ci sei mai stato, Ken?
— Sì, una volta con i miei, ma ero molto piccolo…Ehm, Candy, non è che potresti chiamarmi “Kentin”?
— Certo, ma perché? Ken è un bel nome.
— È che mi ricorda troppo come ero prima… — Candy annuì.
Dal corridoio entrò il professore svampito, che esclamò: — Scusate il ritardo! — ed andò a sistemarsi accanto al Prof. Faraize.
— Professor Stikonski, finalmente! — gli disse la direttrice, sorridendo impaziente.
Ricevuti i fogli del programma della gita e dell’iscrizione, tutti gli studenti uscirono dall’aula in una calca urlante. Kentin e Candy erano proprio sull’uscio, quando due ragazzi corsero verso di loro: uno, dal look molto stravagante, era al settimo cielo, mentre l’altro aveva un’espressione parecchio preoccupata.
— Candy, hai sentito? Andiamo a Londra! — fece il primo.
— Sì, che bello! Sono davvero felice! — rispose la ragazza.
— Come fate ad essere così contenti? Dovremo stare tutto il tempo all’aperto. Uffa! — esclamò l’altro ragazzo, indignato.
— Non sei obbligato a venire — gli rispose Kentin, che ignorava totalmente sia il motivo delle sue lamentele, sia chi fossero quei due. Essi si voltarono verso di lui, accorgendosi solo allora della sua presenza. Candy prese la parola, titubante: — Ah, ehm, Ken…cioè, Kentin, loro sono Armin e Alexy, sono arrivati quando tu non c’eri. E lui è Kentin.
Altri due…andiamo bene. — Beh, piacere — disse Kentin, con tono indifferente.
Quello con l’abbigliamento stravagante allungò la mano verso di lui, ed in un sorriso ampio disse d’un fiato: — Piacere mio! Alexy. Lui è Armin, siamo fratelli.
Kentin non sapeva se stringerla o meno, dato che per un attimo gli occhi di Alexy gli erano sembrati quelli di un maniaco, ma alla fine la prese, con una certa diffidenza.
Armin, invece, lo guardava un po’ storto, dopo il suo commento, però gli passò in fretta, e, mentre tutti e quattro cominciavano ad avviarsi verso le rispettive classi, disse a Candy: — Però non ha tutti i torti il tuo amico. Dopotutto non è obbligatorio andarci.
— Stai scherzando? Non ti lascio a casa da solo a rimbambirti davanti alla tv. E poi si chiama Ken. — intervenne Alexy.
— Non mi rimbambisco! Io imparo più dai videogiochi, che dalla scuola.
— Sì, come no.
— Vuoi vedere? Aventi, Ben, facci una domanda. Scommetto che rispondo io.
— Mi chiamo Kentin!
— Ma è uguale!
— La volete smettere di bisticciare? — Li interruppe Candy.
— È lui che comincia… Vabbè, siamo arrivati in classe. Ciao Candy, ciao Quentin. — disse Armin entrando nell’aula. Poi Alexy lo seguì, non prima di aver alzato gli occhi al cielo.
— Strani quei due, non trovi? — Fece Kentin a Candy. Lei rispose: — Sono molto vivaci, ma se li conosci bene, vedrai che sono simpatici.
Stavano tornando in classe, quando Kentin si fermò di colpo: davanti a lui, lungo il corridoio, c’erano i due ragazzi incontrati poco prima in bagno, che parlavano con Ambra. Oh no.
— Kentin, perché ti sei fermato? — Candy si girò a guardarlo, siccome era rimasto indietro.
— Niente. Andiamo in classe. — Probabilmente, se anche Candy li avesse visti e avesse capito che erano proprio loro la causa del turbamento di Kentin, avrebbe voluto a tutti i costi scoprire cosa lo preoccupava, e questo lui non poteva permetterlo.
C’era molta confusione nel corridoio. Anche volendolo, Kentin non avrebbe mai potuto sentire le parole dei due ragazzi. Perciò, mentre camminava per tornare nell’aula, cercò fino all’ultimo di carpire quante più informazioni possibili dalle espressioni facciali di Ambra. Era concentrata e seria. Subito dopo le apparve un guizzo di stupore, per poi tornare attenta verso le frasi dei due. Sicuramente si sta facendo raccontare quello che hanno visto in bagno. E se lo scoprisse tutta la scuola? Ma…dopotutto non ci sono prove. E poi, anche se Ambra lo dicesse in giro, potrebbe sembrare solo un modo per vendicarsi della figura che le ho fatto fare. Sarebbe plausibile.
Cercò di scacciare questi cattivi pensieri, ed entrò in aula insieme a Candy. Dopo un po’ arrivò anche Ambra, che, voltandosi in direzione di Kentin, gli rivolse un sorriso malvagio, per poi andarsi a sedere nel suo banco. Un senso di vuoto riempì la pancia del ragazzo e gli fece domandare se non dovesse davvero preoccuparsi. No, non devo temere nulla. Non mi fai paura. Se lo dirai a tutti, saprò come difendermi.
La prossima lezione sarebbe stata quella di biologia, ma il professore non era ancora arrivato. Nel tentativo di dimenticare ciò che era appena successo, Kentin decise di dare un’occhiata al programma della gita che aveva ancora in mano.
“Primo giorno: ritrovo a scuola alle ore 7:00. Arrivo in aeroporto alle 8:00 e partenza alle 10:00. Arrivo a Londra alle 13:00 e blablabla.”
“Secondo giorno: colazione…si raggiunge Buckingham Palace…arrivo a Trafalgar…ore 12:00, Gallery…lungo il Tower… pranzo all’Hard Rock Cafe? Uhm, questo è interessante!”

Prima che potesse leggere il resto, arrivò il professore di biologia, così Kentin prese il programma e il foglio d’iscrizione e li infilò con cura nello zaino. Gettò uno sguardo a Candy, ma lei stava guardando da tutt’altra parte, così si decise ad ascoltare la lezione, che si prospettava tremendamente noiosa. Tuttavia passò piuttosto in fretta, dato che l’annuncio improvviso della direttrice aveva rubato parecchi minuti alla seconda ora. Per tutto il tempo in classe, però, Kentin non aveva fatto a meno di notare una cosa. Ambra non aveva smesso un secondo di parlottare con tutti i compagni a lei adiacenti, evitando con cura di essere scoperta dal professore.
L’agitazione cominciò ad insinuarsi in lui e una profonda oppressione gli si abbatté contro.
Al termine della lezione, Kentin uscì in fretta dall’aula, come se per tutto il tempo fosse stato rinchiuso in una gabbia. Aveva bisogno di aria.
Fece per dirigersi verso il cortile, quando una mano lo fermò. Si girò. Era Candy, seguita da alcune sue amiche.
— Ti va di passare l’intervallo con noi? — chiese gentilmente.
Kentin guardò alle sue spalle: c’erano Violet, una ragazza con una maglia viola e dei pantaloncini corti, una dall’abbigliamento un po’ stravagante dai capelli bianchi, ed un’altra dagli occhi verdi come lo smeraldo.
Non gli andava di stare con loro, doveva uscire per poter respirare di nuovo. Quindi disse: — Scusa, ma ho un’impegno ora. — E corse verso il cortile.
Avvertì il gelo che c’era nella sua voce, ma in quel momento aveva un problema più grave di cui preoccuparsi. Avrebbe spiegato tutto dopo a Candy. Beh, non proprio tutto.
Uscì finalmente in cortile. L’area era gremita. Chissà quanta gente aveva già scoperto il suo segreto. Le notizie circolavano in fretta in quella scuola, e lui ne era ben consapevole.
Cercò un posto isolato, per poter riflettere sul da farsi. Si appostò all’ombra di un grosso acero ed osservò gli altri, per capire se lo stessero già guardando male. Tuttavia nessuno sembrava crucciarsi di lui.
Pensò a quanto incosciente fosse stato a lasciarsi andare proprio a scuola. Idiota! Si può sapere che mi prende? Mi…mi faccio schifo da solo.
— Guardate un po’ chi ha appena rubato il nostro posto.
Due piedi erano apparsi sotto il naso di Kentin. Sollevò la testa di scatto, ma la luce accecante del Sole non gli permise di capire chi aveva davanti. In un nanosecondo, però, riconobbe la voce. Era quella di Castiel.
— Non ti facevo così amante della natura — rispose tranquillamente. Ormai non aveva nulla da temere: aveva ottenuto la stima di Castiel e, volendo, sarebbe potuto addirittura diventare suo amico.
— Ahah! Beh, non mi conosci bene — ribatté lui.
Era insieme ad altri ragazzi, gli stessi che lo avevano accompagnato nello spogliatoio per incontrare Kentin. Tutti e sei misero le mani in tasca e tirarono fuori dei pacchetti di sigarette. Ne estrassero una ciascuno e si misero a fumare.
— Vuoi? — chiese Castiel a Kentin, allungandone una.
— No grazie, non fumo — rispose osservando la sigaretta.
— Lascia perdere, Cassy, non vorrai che il suo bel corpicino si inquini — disse uno, facendo scoppiare a ridere tutti gli altri.
— NON CHIAMARMI IN QUEL MODO — Urlò Castiel.
— Aspetta, che cosa intendi dire? — lo interruppe Kentin. Ma nessuno rispose. Si limitavano a sorridere, davanti all’espressione preoccupata di Kentin.
— Dai, non prendertela. Non c’è niente di male nel piacersi un po’ — gli confidò il ragazzo dai capelli rossi, in un tono leggermente canzonatorio.
— Ma…ma io non mi piaccio! — esclamò Kentin, scioccato.
Un sorriso a metà strada fra la compassione e la derisione si fece largo nelle facce dei presenti, lasciandolo senza argomenti con cui ribattere. Ah… Non avrei dovuto reagire così d’impulso: mettendomi sulla difensiva, è stato chiaro che stessi mentendo… Ma una cosa è certa: Ambra ha spifferato tutto e la notizia si è diffusa.
In quel momento Kentin avrebbe desiderato sotterrarsi ai piedi dell’acero. Tuttavia, in un istante gli venne un’idea. Sì…potrebbe funzionare. E comunque non ho niente da perdere.
Si fece coraggio e disse con noncuranza: — Ah, ho capito. Ve l’ha detto Ambra, non è vero? Guardate che in realtà è solo una bugia che si è inventata per vendicarsi di me, non dovete crederle.
Gli altri smisero di ridere per scrutarlo attentamente. Poco dopo, però, sulle loro facce tornò il sorriso.
— No, non ce l’ha detto Ambra… Ma comunque, non farti tanti problemi: quella là va in giro a screditare chiunque che non sia lei… — rispose tranquillamente Castiel.
Probabilmente non avevano dato molto peso alle sue parole; in compenso, però, non sembravano il genere di ragazzi che si interessa ai pettegolezzi. Questo diede un po’ di conforto a Kentin, che annuì in silenzio. Poi, come se niente fosse, Castiel gli mise un braccio sulla spalla e, allontanandolo leggermente dal resto del gruppo, avvicinò il volto al suo, sussurrandogli: — A proposito, mi dovresti fare un favore, amico. — Era così vicino, che l’aria piena di fumo che aveva espirato invase i polmoni di Kentin, che fece di tutto per non tossirgli in faccia. — C’è una ragazza nella tua classe, la Lauren…Mica sai se è single?
Kentin trasalì. Lauren era il cognome di…Candy!
— Ehm, eh… — non sapeva proprio cosa dire.
— Non lo sai? Uhm, non è che potresti scoprirlo per me? Se non sbaglio, le stavi sempre addosso all’inizio dell’anno… — rise — Non ti sarà difficile chiederglielo, no? Dai, ti affido questa missione. Ci conto, amico! — E se ne andò senza aggiungere altro, seguito a ruota dagli altri compagni.
Se prima Kentin voleva seppellirsi, ora desiderava spararsi. Proprio lei? Di tutte le ragazze carine nella scuola, perché Castiel doveva proprio scegliere la sua Candy? Era stato così concentrato a scoprire i sentimenti di Candy, che non aveva minimamente considerato l’ipotesi che potesse piacere lei a qualcun altro.
In un ultimo disperato tentativo urlò: — Credo sia già fidanzata! — Ma ormai Castiel era troppo lontano per sentirlo.


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Capitolo 7
*** Derisione ***




Capitolo 7


Derisione







— Dove sono quei maledetti occhiali!?
La camera di Kentin era completamente sottosopra. Tutti i cassetti erano stati svuotati del loro contenuto e sul pavimento c'era uno strato di almeno cinque centimetri di vestiti, cartacce e calzini. Quella che un tempo era una stanza ordinata e perfetta, ora era più simile ad un campo minato.
Non ottenendo risposta, Kentin aprì violentemente la porta ed andò in salotto. Sua madre era seduta sul divano a leggere un libro.
— Mamma, dove sono gli occhiali?
— Quali occhiali?
— Quelli che avevo prima!
— Perché li vuoi?
— Mi servono e basta!
— Ma non lo so, ce li aveva tua sorella.
— Anneeeette!!! — e corse verso la camera della sorellina.
Abbassò la maniglia, ma la porta era chiusa. — Annette, apri!
— Che c’è?
— Ho bisogno di una cosa.
Si udì un suono meccanico, poi la porta si aprì.
— Di che cosa hai bi… — ma non fece in tempo a finire la frase, che Kentin era già dentro la camera ad esaminare ogni cosa presente in essa.
— Dove sono i miei occhiali? — chiese lui.
— Tu non porti occhiali — rispose Annette.
— Massì, quelli che avevo prima.
— …Aah! Sono qui. — Si diresse verso il suo armadio, e cominciò a rovistare dentro.
In un lampo Kentin ricordò perché si trovassero nella camera della sorella.
Era il primo giorno delle vacanze di Natale. Era appena tornato dalla scuola militare del padre: la madre a la sorella erano rimaste a bocca aperta per la sua trasformazione. In un primo momento Annette non ci voleva credere: le piaceva moltissimo l'aspetto del suo vecchio fratellone, esuberante e un po' sbadato, ma alla fine si abituò al nuovo Kentin, più serio e responsabile.
Insieme a cinque centimetri d'altezza, aveva portato a casa anche uno zainetto logoro, che conteneva gli ultimi ricordi della sua vita precedente - i vestiti e gli occhiali - che aveva l'impellente intenzione di gettare via o di dare alle fiamme. Ma sua sorella aveva così insistito per tenerli, sostenendo che in futuro sarebbero tornati di moda, che glieli aveva lasciati.
— Per fortuna li hai tenuti te — le disse, vedendola tornare con lo stesso zainetto.
— Hai visto che ho fatto bene? Ma non mi hai detto a cosa ti servono.
— Niente, devo fare una cosa — restò sul vago. Salutò la sorella e tornò in camera sua.
L'idea di dover riordinare quel caos era insopportabile, ma si sentiva sollevato per aver ritrovato i suoi vecchi occhiali.
Con una certa riluttanza se li infilò e, facendosi largo nel mare di indumenti, andò a guardarsi allo specchio.
— … — Un mezzo sorriso gli si formò i faccia. Sì! È perfetto!! Però manca ancora qualcosa.
Afferrò il vecchio zainetto ed estrasse i vestiti: una maglietta grigia, un maglione verde ed un paio di jeans. Scartò la maglietta e posò i jeans sul letto. Sollevò in aria il maglione per vederlo meglio. Sembrava quello di suo nonno.
Se lo infilò, sofferente, e tornò a controllarsi allo specchio. Questa volta non sapeva se piangere per la ridicolezza del suo aspetto, o se gioire per quanto bravo fosse stato a riuscirci.
Fece dietrofront e in un unico balzo evitò gli ostacoli a terra, andando a raggiungere il letto. Guardò dubbioso i jeans. Mmm, tanto vale provarci. Si slacciò la cintura e si tolse i pantaloni mimetici. Prese i jeans e li indossò. Gli arrivavano alle caviglie.
— Okey no, forse così è troppo! — disse ridendo.
Quella giornata non era andata esattamente come aveva previsto. Per uno stupido errore si era fatto beccare a contemplarsi da due studenti del liceo, i quali avevano pensato bene di spifferare tutto ad Ambra, che, non potendo desiderare di meglio, si era adoperata per far trapelare la notizia. Bastò solo l’intervallo, perché già tutta la scuola ne fosse al corrente.
Il ritorno in classe era stato terribile. Dopo lo spiacevole incontro con Castiel, chiunque si accorgesse di lui, cominciava a ridacchiare e ad additarlo, guardandolo male. Ormai tutti lo avevano inquadrato come il ragazzo vanitoso e narcisista, quello a cui piace solo se stesso e che, se gli si dice qualcosa, diventa aggressivo.
Probabilmente anche Candy lo aveva saputo, infatti non aveva più degnato Kentin di uno sguardo per tutto l’arco della giornata. Ma poco gli importava. Prima di pensare di farsi piacere da lei, doveva impedire che si avvicinasse a Castiel. Per far ciò, però, era necessario che gli altri smettessero di crederlo un egocentrico. L’idea che fosse stata tutta un’invenzione di Ambra per gettarlo in cattiva luce poteva funzionare, ma solo se si fosse mostrato meno “appariscente”. Aveva quindi pensato che un buon metodo fosse quello di reintrodurre il suo vecchio abbigliamento, compresi gli occhiali, elemento fondamentale, indispensabili per celare i due prati freschi d’estate che avrebbero fatto invidia a chiunque.
Prese la canottiera nera, la camicia bianca e i pantaloni che aveva messo i primi due giorni di scuola, e li mise via in armadio. Trovò un paio di semplici jeans blu e li sostituì a quelli troppo corti che aveva provato.
Ora era tornato quello di prima. Solo un po’ più alto e con capelli meno inguardabili. Non si piaceva, certo, ma la cosa importante era che da quel momento in poi non venisse più beffeggiato dagli altri.
Guardò con un sospiro la camera a soqquadro.
— Diamoci da fare — e cominciò a riordinarla.


Erano le 7:45 e Kentin si stava preparando per andare a scuola. Non si trovava a proprio agio nei suoi vecchi vestiti, inoltre la gente che passava per strada sembrava guardarlo male. Erano sicuramente quegli occhiali grossi e rotondi che attiravano l’attenzione, e questo proprio non lo poteva sopportare. Ma da quanto è che dava così peso ai giudizi altrui?
Sforzandosi di ignorare i passanti, accelerò il passo, e in dieci minuti arrivò a scuola.
Senza guardare nessuno attraversò il corridoio, fiondandosi in classe. C’erano già alcune persone, sedute sui banchi in fondo a chiacchierare. Non cercò di capire chi fossero, scorse solo una lunga chioma bianca e svolazzante.
Si sedette e cominciò a fissare la lavagna ancora pulita.
— Ah, guardate chi è arrivato, ragazze! — una voce femminile da dietro lo scosse di colpo.
— Dai Rosa, lascia stare — intervenne un’altra. Lui non aveva intenzione di voltarsi.
— Volevo solo dare un saluto a Narcisentin! — disse con aria beffarda, avvicinandosi a Kentin, che cercava in tutti i modi di ignorarla. “Narcisentin”!? Quegli infami gli avevano pure appioppato un soprannome. A questo punto era meglio Ken, pensò tra sé e sé. Appena la ragazza lo raggiunse, si girò per guardarlo in faccia, ed ebbe un sobbalzo improvviso alla vista degli enormi occhiali che gli nascondevano metà volto. — Oddio, ma che hai fatto!? — esclamò. Nessuno disse niente. Passarono parecchi secondi, prima che lei scoppiasse a ridere senza preavviso, appoggiandosi al banco di Kentin per evitare di cadere a terra a rotolarsi dalle risa.
— No, Candy, questa la devi vedere! Avanti, vieni! — gridò in direzione degli ultimi banchi. Kentin impallidì. C’era Candy dietro di lui. Come poteva affrontarla? Cosa le avrebbe detto? L’avrebbe messa in guardia dalle intenzioni di Castiel? Le avrebbe spiegato che ciò che si diceva di lui a scuola erano solo scemenze? Non fece neanche in tempo a pensare, che la voce di Candy si udì forte e chiara dal fondo della classe: — Sinceramente non mi importa niente di lui.
Argh. Una fitta al cuore.
— Avanti, fa morire dal ridere, vieni a guardare! — Ma Candy si alzò, avanzò verso i primi banchi, passò davanti a Kentin ed uscì dall’aula senza proferire parola.
Questo non doveva succedere. Tutto, di quello che stava accadendo, era sbagliato.
— Candy, aspetta — Kentin si alzò di colpo dalla sedia spostando in avanti il banco e facendo così finire stesa a terra la ragazza che era appoggiata, quella con i capelli lunghi e bianchi.
Le girò attorno e, senza pensarci due volte, corse fuori dalla classe, in direzione della sua amica.
— Fermati, Candy! — le urlò. Fortunatamente il corridoio era vuoto.
Lei però non aveva intenzione di arrestarsi. Kentin accelerò la corsa fino a raggiungerla, dopodiché la afferrò da dietro per un braccio.
— Lasciami! — Gridò lei.
— Candy, devi ascoltarmi. Non devi credere a quello che si dice in giro di me!
— Di te! Sempre di te bisogna parlare! Non esistono gli altri, ci sei solo tu! Hanno proprio ragione, a dire che sei un vanitoso egocentrico. E adesso mollami il braccio!
— Sono solo bugie! Credimi, per favore! — disse Kentin senza mollare la presa.
— Perché mai dovr… — Candy si interruppe di colpo — ma perché sei conciato così? — Chiese confusa. Si era accorta solo allora del diverso abbigliamento di Kentin. A quel punto Kentin le lasciò il braccio e la fissò con aria triste. Se non potevano le parole, forse il suo aspetto sarebbe servito a convincerla della sua innocenza.
Dopo averlo osservato un attimo, Candy prese la parola. — Credi che così la gente la smetta di prenderti in giro? — Il tono era stranamente severo.
— N…no, ma almeno capiranno… che non sono quello che credono. — Rispose ancora più sommessamente. Certo, che fosse egocentrico, se ne rendeva conto pure lui, ma questo non voleva dire che fosse anche un egoista.
Alzò lo sguardo su di lei, sperando che il fascino di quegli occhi verdi tanto contemplati si rendesse finalmente utile a placare la rabbia che ora la tormentava. L’espressione di Candy era però seria.
Fu solo dopo qualche secondo di silenzio, che Kentin si ricordò di avere ancora indosso gli occhiali. Pensò che fosse meglio toglierli, ma venne preceduto dalle sottili mani di Candy, che con delicatezza li sfilarono dal suo viso.
Il cuore di Kentin prese a battere a mille. — Aspetta, dammi qua… — borbottò soffocando a forza l’imbarazzo e prendendo lentamente gli occhiali dalle mani della ragazza. — Non mi sono mai piaciuti, sai? — disse lei, sorridendo.
Kentin si stupì di quell’affermazione, ma poi rispose: — Neanche a me.
— Non è tanto per lo spessore delle lenti, sai? Sono quelle spirali che non mi convincono — esclamò Candy, divertita.
La tensione si stava allentando. Kentin decise di stare al gioco: — Ma no, non ci sono realmente, sono solo dei riflessi, vedi? — ruotò gli occhiali per farglieli guardare meglio.
— Oddio, è vero. Quand’eravamo piccoli io mi immaginavo sempre che le avessi disegnate tu! Ahah! — Le parole di Candy fecero meravigliare Kentin. Anche se per un motivo stupido, volevano dire che lei pensava a lui in passato. Certo, non ne era particolarmente interessata, ma almeno lo considerava. Una punta di gioia si fece largo nell’animo di Kentin.
Dopo un altro momento di silenzio, Candy tornò a guardare per terra, seria. Kentin decise di intervenire. — Candy, che c’è che non va?
Lei sollevò lo sguardo e disse decisa: — Beh, ad esempio ieri ti abbiamo chiesto di stare con noi all’intervallo, e tu te ne sei andato come se fossimo spazzatura. — Kentin si era totalmente dimenticato di quell’episodio.
— No… Ah, scusa, davvero… Non era mia intenzione… — cercò di dire, dispiaciuto. Ricostruendo la scena nella sua mente, si ricordò anche di quello che era successo dopo, del dialogo con Castiel e della sua sgradevole richiesta. Forse era meglio avvisare Candy.
Stava per aprir bocca, quando dalle sue spalle qualcuno lo toccò di colpo, facendolo sobbalzare. — Ma chi è!? — proruppe.
— Dormito bene, Candy? — Questa voce…
— Sì, tutto bene, Alexy. — rispose Candy.
— E tu, mon amour? — chiese Alexy, rivolgendosi a Kentin e lasciandolo alquanto spiazzato.
— Ns… Sì… — mormorò, cercando lo sguardo di Candy, che sorrideva, divertita.
— Ma… hey! Che cos’hai addosso? — urlò il gemello. Kentin si guardò, confuso.
— Mmm… No no no. Questo maglione non va affatto bene. Ma lo sai che il verde non è più di moda quest’anno?
— Ma io…
— Niente “ma”. Tu non ci sai proprio fare con i vestiti, tesoro. — Esclamò incrociando le braccia. Come mai usava quei termini!?
— In genere non mi vesto così! — fece Kentin, offeso.
— Può darsi. Ma comunque anche gli stracci che avevi prima non è che fossero il massimo.
— Ma come osi!
— Haha! Te l’hanno mai detto che sei adorabile quando ti arrabbi?
Kentin era rimasto a bocca aperta. Cos’era tutta quella confidenza? La richiuse subito, perché non aveva idea di come ribattere. Sopraffatto dalla sfacciataggine di Alexy, si girò verso Candy per cercare un po’ di appoggio. Alla sua sinistra, però, non c’era più nessuno.


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Capitolo 8
*** Ripresa ***




Capitolo 8


Ripresa







— Ma mi stai ascoltando? — La voce squillante di Alexy riportò Kentin alla realtà.
— Sì, scusa. Dicevi? — Chiese con indifferenza. Un attimo prima Candy era lì con loro, e un istante dopo se ne era andata.
— Ho detto che ti aiuto io ad aggiornare il tuo guardaroba. Questo pomeriggio, dopo la scuola. 13:05 in cortile. Ci mangiamo un panino in un bar e poi shopping. — disse Alexy in tono sbrigativo.
— No no, aspetta...
— Stai tranquillo e lascia fare a me. Tu non devi fare altro che provare i vestiti che ti do. Sono certo che su di te staranno tutti benissimo...— e lo scrutò dalla testa ai piedi. Kentin cercò di fare mente locale: un ragazzo gli aveva appena chiesto un appuntamento.
Prima che Alexy potesse riprendere a parlare, disse: — Guarda, oggi... Dopodomani abbiamo una verifica, quindi...
— Avrai tutto il tempo per studiare, te lo assicuro — lo interruppe il suo interlocutore. Poi, sorridendo, indietreggiò, portò una mano sulla bocca, gli soffiò un bacio e se ne tornò in classe.
Kentin si guardò intorno, sperando che nessuno avesse visto la scena. Quell’Alexy era un tipo davvero strano, nessuno si era mai comportato così con lui. In realtà di veri amici non ne aveva mai avuti. Tutto il tempo passato a correre dietro a Candy gli aveva impedito di stringere amicizie con altri ragazzi. Ma sembrava che più che ad un’amicizia, Alexy puntasse ad altro...
Dopotutto si è offerto di aiutarmi... Non dev’essere così cattivo, dai. Pensò Kentin tra sé e sé. E poi non mi prende nemmeno in giro per la storia dello specchio. Uno in più sul quale contare non fa mai male.
Rimasto solo in corridoio, si diresse verso la propria classe, con un sorriso di sollievo stampato in faccia.
Entrando nell’aula il suo sguardo si incrociò con quello di Candy, che si trovava di nuovo nei banchi in fondo. Non volle andare a parlarle, perché la classe era già quasi piena. Si sistemò sulla sua sedia in terza fila ed attese l’arrivo dell’insegnante. Aveva ancora in mano gli occhiali con le spirali. Dopo averli guardati con disprezzo, li ripose nella loro custodia e li chiuse nello zaino. Tutta quella confusione per cercarli, e alla fine si erano rivelati inutili. Anche il ritorno al suo originario abbigliamento non era servito a niente. Era ora che la smettesse di preoccuparsi così tanto di come lo giudicava la gente. L’importante in quel momento era impegnarsi con lo studio e recuperare quei quattro mesi di lezioni perse durante il suo trasferimento alla scuola del padre. Aveva già ricevuto tutti gli appunti dagli insegnanti, ma la mole era davvero tanta. Le prime verifiche erano state già fissate, e molte vertevano sugli argomenti del primo quadrimestre.
Deciso a non compromettere il suo rendimento scolastico a causa delle calunnie dei compagni, si promise di darsi da fare e ad andare bene in tutti i compiti in classe.
Prima di cominciare, però, c’era ancora “l’appuntamento” con Alexy da portare a termine. Quel pomeriggio si trovarono fuori dalla scuola e si avviarono verso il centro della città. Kentin non era esattamente sicuro che fosse stata una buona idea accettare l’invito, anche se in realtà non l’aveva mai fatto. Chiamò al telefono sua madre per avvisarla che sarebbe stato fuori qualche ora.
Mentre camminava, cercava di capire che tipo fosse Alexy; all’apparenza poteva sembrare il classico ragazzo brioso e amico di tutti, ma Kentin sapeva che doveva esserci qualcosa di più.
Dopo essersi fermati in un bar a pranzare, si avviarono verso la fermata dei tram, per raggiungere i negozi.
Anche se era inverno, la città era molto animata. Le strade erano piene di persone di ogni età, sedute a chiacchierare davanti alle fontane o in cammino per una passeggiata con tutta la famiglia.
Prima di traslocare con i genitori a Nizza, Kentin abitava come Candy ad Antibes, in Costa Azzurra. Dato che la scuola del padre si trovava a metà strada fra le due città, non fu per loro un grande problema trasferirsi nella capitale. In realtà il motivo per cui i suoi avevano accettato di cambiare casa era ben altro: a Nizza vivevano i nonni materni di Kentin, quindi andare ad abitare più vicino a loro era solo un bene per sua madre.
In quegli ultimi mesi, però, non aveva avuto molte occasioni di visitare la città. Farlo, per la prima volta, con un suo coetaneo era una cosa allo stesso tempo normale e strana. Normale, perché è comune uscire con gli amici; strano, perché si trattava di Alexy.
Quando il tram arrivò, salirono insieme, diretti verso i negozi. Nel primo Alexy fece provare a Kentin una giubbotto di pelle marrone, sostenendo che stesse benissimo col colore dei suoi capelli. Ma prima di comprarlo, Kentin preferì vederne altri in negozi diversi, per poter scegliere il migliore.
Entrarono poi in un grande centro commerciale, dove Alexy fece piazzare il suo amico davanti ai camerini, dicendogli di aspettare. Circa un quarto d’ora dopo, tornò con una pila di indumenti che posò su un divano lì vicino.
— Perfetto, cominciamo col primo — disse a Kentin estraendo una camicia azzurra a righe e un paio di pantaloni attillati.
— S-stai dicendo che li devo provare tutti? — chiese.
— Beh ovvio, li ho scelti appositamente per te. Tieni questo. Mettitelo ed esci. Io ti dico come ti sta. — esclamò indicando i camerini di prova.
Kentin prese i vestiti ed entrò scettico nello spogliatoio. L’idea di doversi cambiare con Alexy a due metri di distanza non lo faceva impazzire. Prima di richiudere la tendina, si girò e gli disse serio: — Okay lo faccio. Ma tu non aprire.
— Hahaha ma certo, per chi mi hai preso? — rispose ridendo.
Per evitare che rimanessero buchi aperti, stese con due mani la stoffa, fino e oltre le estremità della cabina. Anche se era sincero, Alexy non lo convinceva ancora del tutto.
Kentin osservò gli abiti che gli aveva dato: conoscendo il suo stile, si sarebbe aspettato di peggio, invece erano semplici e sobri. Si girò per posarli sulla sedia, e solo allora si accorse di quello che aveva appena fatto. Era entrato in un camerino con uno specchio enorme attaccato alla parete. Rimase paralizzato nel vedere la sua immagine riflessa. Quanto gli erano mancati quegli occhi e quello sguardo così penetrante...
Ma si scosse subito. Non poteva fare certe scemenze in un luogo pubblico, e per di più con la minaccia che Alexy lo stesse spiando.
Si levò velocemente maglietta, maglione e jeans, augurandosi che nessuno aprisse quella tenda e impedendo al proprio sguardo di cadere sulle sue parti scoperte. Indossò la camicia a righe ed i pantaloni, dopodiché, senza guardare come stava, uscì dal camerino.
Alexy prese a girare intorno a Kentin per controllare ogni singolo dettaglio; sembrava soddisfatto della sua scelta, ma dopo aver detto: — Sì, può andare — si diresse verso la pila di vestiti e ne scelse altri.
Kentin dovette fare avanti e indietro dallo spogliatoio per provare, far vedere e togliere ogni completo che Alexy gli offriva. Dopo aver terminato le prove, quest’ultimo gli chiese: — Allora, quale scegli?
Lui rispose: — Penso che questi pantaloni bianchi possano andare. Insieme con la camicia a quadri.
— Anche io adoro quelli bianchi! Visto che non è così terribile fare shopping?
— Sì, avevi ragione. — In effetti quell’uscita stava diventando piacevole. Ed Alexy non si era neanche dimostrato così appiccicoso come si aspettava. Anzi, si rivelò molto simpatico e disponibile. Dopo aver acquistato i due abiti, uscirono dal centro commerciale, diretti verso altri negozi. Girarono per quasi un’ora alla ricerca di un giubbotto che soddisfasse i gusti di Kentin, ma senza esito positivo. Alla fine tornarono nel negozio visitato all’inizio e lui comprò quello che aveva provato precedentemente.
— Bene, direi che con questo abbiamo finito per oggi. Sai, è molto più divertente fare shopping con te che con mio fratello. — disse Alexy.
— Grazie... Ti devo anche ringraziare per avermi aiutato con i vestiti...
— Ma ti pare? È stato un piacere! — rispose con un sorriso.
Dopo essersi salutati, tornarono nelle rispettive case.
— Mamma, sono tornato. — urlò Kentin, quando fu dentro. Poco dopo la madre arrivò.
— Ciao, dove sei stato tutto il giorno? — chiese gentilmente.
— Ho...fatto un giro in città con uno della mia scuola.
Lei sorrise e disse: — Ti stai facendo più amici? Non è stato difficile tornare dopo quattro mesi di assenza?
— No, va tutto bene — e le restituì il sorriso. Non se la sentiva di farla preoccupare, dicendogli la verità.
— Sono contenta, tesoro mio — rispose sua mamma, stringendolo forte in un abbraccio. Kentin si sentiva più sicuro, sapendo di avere qualcuno al suo fianco che gli volesse bene. Potevano beffeggiarlo quanto volevano, ma almeno aveva ancora la sua famiglia.
Entrato in camera sua, trascorse il resto del pomeriggio a fare i compiti.
Passarono così due settimane, tra lo studio e le invettive degli altri alunni. Ma Kentin continuava imperterrito a concentrarsi sull’obiettivo.
Candy ormai non gli rivolgeva più la parola, anche se non sembrava ancora odiarlo. In compenso, stava diventando sempre più amico di Alexy. Castiel cercava di evitarlo il più possibile, dato che non aveva avuto la minima intenzione di svolgere la “missione” affidatagli.
Un lunedì mattina, quand’era in classe e stava ascoltando la lezione di inglese, qualcosa di piccolo lo colpì in testa. Davvero i suoi compagni erano così infantili da punzecchiarlo anche durante le lezioni!? Si girò lentamente, pronto a rispondere, ma qualcosa per terra attirò la sua attenzione. C’era un pezzo di carta appallottolato, sul quale si intravedevano delle scritte. Lo tirò su e lo aprì. Aveva tutta l’aria di essere un biglietto.
Senza farsi vedere dalla professoressa lo stese sul banco per leggerlo.

"All’intervallo troviamoci nell’aula vuota al secondo piano. Non farti vedere mentre sali.

Rosa"


Kentin sgranò gli occhi. Perché Rosalya, la sua compagna dai capelli lunghi e bianchi, voleva che si incontrassero in privato? Forse si era arrabbiata per quello che era successo l’ultima volta che si erano incontrati. Oppure voleva semplicemente parlare. Che fosse interessata a lui? Magari il biglietto era indirizzato a qualcun altro. Ma in fondo non erano così distanti: anche un cieco non avrebbe potuto sbagliare mira.
Cercò di ripensare a tutte le occasioni in cui loro due avessero comunicato in passato. Oltre alla volta in cui l’aveva fatta cadere a terra, non si erano mai nemmeno scambiati un saluto.
Che cosa vorrà da me? Vendicarsi, probabilmente. Però non potrò mai saperlo se non ci vado...
— Kentin stai prendendo appunti? — La voce della professoressa si levò nell’aula.
— Sì, scusi. — rispose subito. Strappò il biglietto e tornò ad ascoltare la lezione.
Appena iniziò la ricreazione, Kentin uscì dalla classe per andare al punto d’incontro scelto da Rosalya. Per raggiungere il secondo piano c’erano delle scale in fondo al corridoio, ma siccome durante gli intervalli erano sempre affollate e lei gli aveva chiesto di non farsi vedere da nessuno, decise di percorrere un’altra strada. Uscì in cortile e camminò verso l’entrata secondaria della scuola. Mentre avanzava, parecchie facce intorno gli rivolgevano occhiate di derisione. Di certo ci sarebbe voluto molto tempo prima che la gente si fosse dimenticata dei pettegolezzi su di lui.
— È arrivato Narcisentin — fece una voce. Kentin però non si fermò, e continuò a procedere con indifferenza.
— Narcisentin in compagnia del suo amico specchio! — completò un’altra.
— Specchio specchio delle mie brame, chi è il più vanitoso del reame?
— Hahahaha!!!
La rabbia e la vergogna lo fecero avvampare, ma si sforzò di non girarsi indietro.
Dopo neanche dieci metri, sentì un urlo proveniente dalla sua sinistra. Ruotò appena la testa: era Castiel che lo salutava scuotendo in aria un braccio, con un sorrisone raggelante in volto.
Kentin rispose facendo cenno con la mano. Non aveva tempo per farsi prendere in giro pure da lui.
Raggiunto l’ingresso posteriore del liceo, aprì la porta ed entrò nell’edificio. Attraversò l’atrio e salì delle scale di marmo.
Arrivato al secondo piano, si chiese dove fosse l’aula vuota di cui parlava Rosalya. Camminò avanti con passo incerto. E se fosse stato tutto uno scherzo? C’era da aspettarselo, dopotutto.
Al quarto passo gli sembrò di udire delle voci familiari. Si diresse verso la fonte sonora, che si trovava dentro ad una classe a destra. Qualcuno stava parlando a bassa voce, ed era senza dubbio quella di Rosalya. Kentin si appoggiò alla porta per ascoltare meglio: — Si sarà sicuramente perso.
— Ma no, vedrai che adesso arriva.
— Senti, vai a controllare. Non possiamo stare qui tutto il giorno.
— D’accordo...
Kentin non fece in tempo ad allontanarsi, che la porta si aprì di scatto e la sua testa andò rovinosamente a sbattere contro il naso di Alexy, che stava uscendo.
— Aaaah!!! — gridò comprimendosi le mani sul volto.
— Oddio scusa! Stavo entrando e... — cominciò Kentin.
— Che è successo? — dentro l’aula c’erano Rosalya, Candy e altre due ragazze. Ma quindi l’invito non era rivolto solo a lui?
— Niente, niente, sto bene. Vieni — disse Alexy prendendo Kentin per un braccio e portandolo in corridoio sotto lo sguardo confuso delle studentesse.
— Scusami, giuro che non l’ho fatto apposta — fece Kentin, una volta fuori.
— Non preoccuparti, è ovvio che non è colpa tua. Andiamo in bagno, temo che... — Alexy tolse la mano dal naso. Era rossa dal sangue.
— Cavolo, mi dispiace...
— Ti ho detto che non devi sentirti in colpa. — disse rivolgendogli un sorriso sincero.
I due si diressero verso il bagno del secondo piano.
Mentre lo aiutava a fermare l’emorragia, Kentin prese la parola: — Ma che ci facevate lì dentro?
— Ti stavamo aspettando! Rosa non ti ha avvisato che ci trovavamo per una riunione?
— Riunione? Mi ha solo detto di andare in quell'aula al secondo piano, senza farmi vedere da nessuno.
— Ahah, lei fa sempre la misteriosa in questi casi. Si diverte a prendere tutto come se fosse una missione top secret! In pratica una volta al mese ci ritroviamo in un posto isolato per discutere della situazione qua a scuola, parlare di quello che si dice in giro e aiutarci a vicenda. Lei è una vera leader sotto questo aspetto. Se hai bisogno di architettare un piano, chiedi a lei e vai sul sicuro.
— Grazie, me lo ricorderò — rispose Kentin.
Forse era il momento giusto per capire che persona era davvero Alexy.
— Posso chiederti una cosa? — gli disse.
— Quello che vuoi.
— Come mai non mi prendi in giro come fanno tutti gli altri?
La risposta di Alexy non si fece attendere: — Perché sarebbe stupido — sospirò — Quelli ti prendono in giro perché dicono che sei vanitoso, no? Beh, lo fanno perché sono invidiosi e loro non se lo possono permettere. Così ti insultano, cercando di farti sentire solo. Ma in realtà non lo sei... Anche se sono pochi, hai degli amici qui, ad esempio Rosa, me, mio fratello e Candy. A proposito, è davvero una brava ragazza Candy: gentile, responsabile...
— Ti piace, eh? — si fece sfuggire Kentin.
— A me!? Ahah, no, tu non hai capito. Diciamo che ho gusti diversi, io... — rispose vago, Alexy.
— In che senso? — chiese ingenuamente Kentin, che in realtà temeva di aver capito benissimo.
Alexy lo guardò negli occhi, come se intendesse comunicarglielo telepaticamente. Dopo un attimo di silenzio l’amico rispose: — Aaaah sì... Adesso mi è chiaro...
— Non preoccuparti, se avessi voluto mettermi con te, l’avrei fatto già da tempo — disse tutto d’un fiato. Kentin rimase interdetto. Beh, almeno non si fa problemi a dire quello che pensa, rifletté.
— Dai, adesso andiamo. Non vorrei che Rosalya si incavoli perché ci mettiamo troppo tempo — fece Alexy.
Kentin annuì e insieme tornarono nell’aula dove li attendevano le ragazze.
Fortunatamente i suoi sospetti si erano rivelati falsi.


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Capitolo 9
*** Matrimonio ***




Capitolo 9


Matrimonio







Non appena entrarono, Rosalya esclamò: — Ah, finalmente!
— Sì, scusate il ritardo — rispose Alexy. Oltre a lei e a Candy, nell’aula c’erano altre due compagne di classe di Kentin, che però lui conosceva solo di vista.
— Ma Armin? — disse quella di nome Melody.
— Non può venire, ieri il prof. gli ha confiscato la Psp e ora deve andare a riprendersela — rispose il fratello.
— Anche Violet e Kim avevano altro da fare... — disse l’altra ragazza, che era Iris.
— Le racconteremo dopo quello che abbiamo deciso. Ora possiamo cominciare? Iris, ci elenchi gli argomenti di oggi? — chiese Rosalya in tono solenne, rivolgendosi alla ragazza dai pantaloncini corti, che estrasse dalla sua borsa un foglio e cominciò a leggere.
— Dunque, in questo incontro parleremo: della mega-verifica di matematica fissata fra due settimane, del caso-Brutto Anatroccolo e dell’Operazione-Cupido2. Purtroppo ci sarebbero altri problemi, ma abbiamo solo 10 minuti a disposizione.
— Okay okay, cominciamo. Dunque, la verifica. Siamo tutti d'accordo sul fatto che è inammissibile darci così poco tempo per studiare per un compito nel quale almeno mezza classe prenderà un'insufficienza, vero? — riprese Rosalya.
— Decisamente, e poi è già impossibile di suo la matematica!
— Beh, non esagerare Iris — fece Melody.
— Io sono d'accordo con lei — intervenne Alexy. Kentin non disse niente, siccome non aveva mai avuto problemi con quella materia.
— Bene, allora qualcuno deve andarlo a dire al professore, perché altrimenti la situazione non si risolve se ce ne stiamo con le mani in mano — decretò Rosalya.
Candy, che fino ad allora non aveva aperto bocca, disse: — Tecnicamente sarebbe compito del rappresentante di classe farlo, no?
— Esatto, ci capiamo al volo noi — le disse Rosalya, e si sorrisero a vicenda.
— E casualmente non sei più tu la rappresentante, quest'anno… Eh, Rosalya? — chiese Iris con malizia.
— Senti, non è colpa mia se quell'anatra di Ambra ha corrotto metà classe pur di farsi eleggere. Quindi, siccome spetta a lei, ce lo andrà a dire al prof. oggi dopo le lezioni. Va bene per tutti?
Gli altri diedero il loro consenso. Subito dopo Rosalya riprese: — Passiamo al secondo argomento di oggi.
— Sì, il caso del Brutto Anatroccolo — Completò Iris. A poco a poco tutti e cinque alzarono lo sguardo su Kentin, non senza trattenere un leggero imbarazzo. Ma che hanno da guardare?
A rompere il ghiaccio fu proprio lui: — C’è qualche problema per caso?
— Ascolta, Kentin, noi ti vorremmo aiutare — disse Rosalya con una gentilezza quasi forzata.
— Perché? Io non ho bisogno di aiuto — rispose lui velocemente.
Gli altri si guardarono l’un l’altro, come se avessero già previsto una reazione del genere.
— È per quello che sta succedendo a scuola, per le voci che circolano su di te… — intervenne Iris.
— Sono tutte bugie! Possibile che non lo capiate?
— Ma infatti noi lo capiamo e vogliamo aiutarti!
Quella proposta era del tutto inaspettata. Come mai si preoccupano per me? Che cosa ho fatto a loro per meritarlo? Perché ora si interessano a me!? Non l’hanno mai fatto in passato!
— Kentin, non sono tutti cattivi come Ambra — disse Rosalya a voce alta e forte.
Non sono tutti come Ambra? Ma… io non credo che siano tutti cattivi.
— Hey, noi ci teniamo a te. Abbiamo visto come ti ha trattato la gente in queste settimane e non possiamo non fare qualcosa — esclamò Alexy dalla sua destra. Ma fare cosa? E soprattutto, come mai? Perché ci tenevano ad aiutarlo? A parte Alexy e Candy, con gli altri aveva a malapena scambiato due parole. Per lui erano come dei perfetti estranei. E poi non aveva intenzione di fare la parte della vittima bisognosa di affetto. Poteva cavarsela benissimo da solo. Che cosa faceva credere loro che non ne fosse in grado? Sembrava un debole? Appariva fragile ai loro occhi? No, questo non lo poteva accettare.
— Perché? — urlò a tutti alzandosi in piedi.
— Perché siamo tuoi amici! — gridò Rosalya balzando anche lei dalla sedia.
Amici. Quella parola lo scosse, anche se non voleva ammetterlo. Lo consideravano un amico? Uno di loro? Avrebbe voluto chiederlo, sapere di più, ma… non si sentiva ancora di appartenere a quel gruppo. Non poteva fidarsi…
In un attimo si accorse che tutti lo stavano fissando, così si risedette lentamente sulla sedia. Forse aveva esagerato. Dopotutto non erano lì solo per lui. C’erano altre questioni di cui parlare durante il breve intervallo e non gli piaceva stare troppo al centro dell’attenzione.
— Vedrai che con il nostro aiuto la gente la smetterà di prenderti in giro — gli sussurrò gentilmente Alexy all’orecchio. Kentin accennò un lieve sorriso. Da un lato quell’offerta lo faceva sentire un bambino indifeso, uno di cui doversi prendere cura, e ciò minava al suo orgoglio, ma dall’altro lato non poteva negare che gli faceva piacere che gli altri si preoccupassero di lui al punto da adoperarsi per il suo bene.
— Va bene, allora è deciso — disse Rosalya, tornando al suo solito tono solenne. — Per finire, Iris?
— Per finire… Sì, l’Operazione-Cupido2! — rispose lei.
— Ah già!! — Rosa si girò di scatto in direzione di Candy, sorridendo profondamente, poi riprese: — Allora, ragazzi. Come ben sapete, noi non ci occupiamo solo di problematiche scolastiche. Abbiamo anche obiettivi più… interessanti da raggiungere. — Tutti si fecero attenti all’ascolto — Inoltre qualcuno — disse evidenziando questa parola — avrebbe proprio bisogno del nostro aiuto data la situazione in cui si trova. — E tornò ad guardare Candy, che cercava in tutti i modi di nascondere i sorrisetti.
— La nostra Candy, dovete sapere, è da un po’ di tempo che si è presa una bella cotta per un certo ragazzo della scuola…! — diceva allontanando le mani di Candy dalla propria bocca. — Ed è nostro dovere contribuire per far sì che possano vivere felici e contenti per il resto dei propri giornmf… — Ora il suo volto era completamente nascosto dagli arti di una Candy rossa dalla testa ai piedi.
Gli altri risero per la comicità della scena, mentre Rosalya si districava dalle braccia dell’amica e dichiarava: — Quindi è con grande onore che dichiaro aperta la Missione Cupido2!
— E speriamo che questa volta non fallisca — disse Melody.
— Dai, non essere così negativa — rispose Iris.
— Beh, non è colpa mia se la prima è stata un fiasco totale!
— Ragazze, ragazze. Questa volta non fallirà. Ora siamo pronte e preparate! La prima volta ci è stata di aiuto per capire quali errori abbiamo fatto, quindi ora non li commetteremo di nuovo. E poi, Melody, non lamentarti se l’Operazione non è andata a buon fine. Che tu e Nathaniel foste incompatibili era un dato di fatto. — Fece Rosalya per zittire Melody, che chiuse la bocca e incrociò le braccia.
Mentre quelle parlavano, Kentin cercò di capire che cosa caspita stessero dicendo. Candy aveva una cotta per un ragazzo della scuola? Andando ad esclusione, non poteva che essere lui. Ma come mai aveva bisogno di tutta quella messa in scena per dichiararglielo? Forse perché era troppo timida?
— D’accordo, e chi è il fortunato? — riprese Melody, con un’espressione preoccupata.
Rosalya diede un’occhiata a Candy, che era visibilmente nervosa, poi si girò a guardare tutti gli altri e felice esclamò: — È Castiel!
Coooosa?
— Ah, ottima scelta, tesoro!
— Sì, ma speriamo che vada tutto bene.
— Melody, ho detto che funzionerà.
— Lo spero.
— Candy, io e mio fratello faremo di tutto per farvi mettere insieme!
— Certo, poi avvisiamo anche Violet e Kim, ok?
— Sì Iris. Ci pensiamo dopo le lezioni.
Le parole, ogni frase e sillaba pronunciata in quel frangente si conficcarono confuse nel cervello di Kentin, che dovette tenersi la testa per timore che scoppiasse.
Cosa voleva dire: “È Castiel”!? Come poteva, lei, volersi mettere con Castiel, dopo che gli aveva detto chiaro e tondo che non era interessata a lui? E perché mai Kentin era stato trascinato lì, se avrebbe dovuto ascoltare che alla persona che da sempre amava piaceva un altro? Dopotutto chiunque sapeva che lui era innamorato di Candy. Era così fin dal primo giorno della prima elementare, e lì al liceo non potevano non averlo notato. Come potevano essere tanto crudeli?
Mentre questi pensieri andavano ad aggiungersi alla sua mente già affollata, la campanella suonò e Rosalya, Candy e gli altri si alzarono per uscire e tornare in classe, continuando a chiacchierare concitatamente.
Nel trambusto generale Kentin afferrò un braccio di Alexy. — Mi spieghi cosa è stato deciso? — gli chiese mantenendo la calma.
— Ah sì, scusa. Tu non c’eri quando abbiamo fatto l’Operazione-Cupido. In pratica, siccome a Melody piaceva Nathaniel, avevamo cercato di farli mettere insieme. Organizzammo di tutto: scontri “casuali” in corridoio, rotture di serrature di porte della sala delegati con conseguente incontro ravvicinato fra i due, cene improvvisate a lume di candela… Insomma tutto ciò che servisse a farli avvicinare. (Beh, però come darle torto? L’hai visto che gran figo che è lui!?) — disse Alexy d’un fiato. Kentin lo ascoltò attentamente, tralasciando quest’ultimo commento.
— Solo che poi è andata male…diciamo che Rosalya ha sbagliato qualche calcolo, e alla fine non ci siamo riusciti. Però è stata anche Melody: è negata in queste cose e si innervosisce sempre quando è il momento di farsi avanti. — Continuò Alexy — Adesso però si tratta di Candy! Lei è molto più sicura di se stessa e noi siamo più esperti. Così riusciremo a farla mettere insieme a Castiel e porteremo a termine con successo la Missione Cupido2! Non sei contento?
Kentin, dal canto suo, non aveva parole per esprimere tutta la sua disapprovazione.
Non poteva permettere una cosa del genere.
Dall’altro lato, però, aveva bisogno di tutto l’appoggio possibile da parte dei suoi nuovi amici, perciò non poteva mostrarsi contrario alla Missione.
— S…sì. Aiuterò anch’io, stanne certo — si inventò, tentando di affogare la sua riluttanza.
— Allora stai pronto, che in questi giorni Rosalya ci darà il primo incarico — lo congedò Alexy, prima di arrivare alla fine delle scale e svoltare l’angolo in direzione della sua classe. Ma quale incarico? E di che genere? Kentin non poté domandarlo, perché il ragazzo era già lontano.
Si incamminò verso la propria aula e passò il resto della giornata a ripensare alle parole di Rosalya. “Inoltre qualcuno avrebbe proprio bisogno del nostro aiuto data la situazione in cui si trova.” In che situazione è Candy? È davvero invaghita di quella testa di peperone!?
Anche mentre tornava a casa, la sua mente non poteva che essere rivolta verso i sentimenti di Candy per Castiel. E per giunta, dovrei pure aiutarli a farli mettere insieme? Questo è assurdo!
— Kenny, tesoro, hai intenzione di rimanere lì? — Sua madre gli aveva aperto la porta di casa, ed aspettava che lui entrasse.
— No, arrivo — le disse. — Vado a farmi un bagno, non entrare — aggiunse dirigendosi direttamente verso la vasca.
Dopo una giornata così estenuante, gli ci voleva proprio un bel bagno caldo per rilassarsi. Riempita di acqua la vasca e aggiunto del bagnoschiuma, si svestì e vi si immerse dentro.
Mentre le prime bollicine stavano per formarsi, chiuse gli occhi e cercò di scacciare quei pensieri negativi. Ma come faceva? Dopo tanti mesi di lavoro, dopo tanta fatica, ogni suo sforzo rischiava di essere reso vano a causa di Castiel. Oltretutto pure lui si era mostrato interessato a Candy, quindi non sarebbe stato difficile farli avvicinare. E, grazie all’aiuto di Rosalya e delle altre, non ci sarebbe voluto molto prima che loro due si fossero messi insieme.
La situazione stava precipitando. E pensare che era tornato così sicuro al liceo, così pronto a raggiungere il suo scopo. Adesso, invece, si sentiva così stanco, così spossato…
A poco a poco tutto sembrò sfumare. La visuale si fece sempre più chiara, fino a diventare del tutto bianca. Davanti a Kentin si formarono delle immagini: fiori, scale, candele. Un solido rettangolare decorato con un mosaico e, sopra, una tovaglia di pizzo.
L’ambiente circostante divenne gradualmente più definito, fino a prendere le fattezze dell’interno di una chiesa. Si guardò: indossava uno smoking. Era ad un matrimonio? Dietro di lui c’erano un centinaio di persone che lo fissavano. Improvvisamente partì la musica della marcia nuziale e tutti i presenti si voltarono in direzione dell’entrata. Si girò anche lui e vide due figure in lontananza; quella a destra aveva un lungo vestito bianco ed era a braccetto con quello che sembrava essere un uomo in giacca e cravatta. Essi camminarono lentamente verso Kentin e più si avvicinavano, più in lui iniziava a crescere una certa ansia. Erano ormai a pochi metri, quando si accorse che la persona vestita di bianco era Candy, mentre l’uomo alla sua destra era suo padre. Non l’aveva mai vista così bella. Indossava un abito da sposa con drappeggi così ampi e setosi, che la facevano sembrare una nuvola. Il velo sottile, abbassato sul volto, lasciava comunque trasparire tutto il suo splendore, e il bouquet che teneva in mano impregnava l’aria di un dolce profumo di gigli…
Non c’era dubbio: quello era il loro matrimonio e presto avrebbero potuto passare il resto della vita insieme.
Dopo aver salutato il padre, Candy, sorridendo dolcemente, porse la sua mano verso lo sposo e Kentin, felice, allungò la sua. Ma appena le loro mani si avvicinarono, quella di Kentin trapassò il braccio di Candy, senza poterla toccare.
Ci provò di nuovo.
Niente da fare.
Era come se la ragazza non avesse consistenza, come se fosse un fantasma… Oppure il fantasma era lui?
La risposta arrivò subito, perché, di punto in bianco, sentì qualcosa da dietro penetrare nella sua schiena. Avvertì un brivido prolungato ed abbassò lo sguardo, per vedere, con orrore, che un’altra mano usciva dalla sua pancia. Una mano robusta come la sua. Giovane come la sua.
Questa, al contrario, riuscì a fare presa su quella delicata di Candy, e la condusse davanti all’altare.
Anche se aveva paura, Kentin trovò la forza per girare lo sguardo verso il vero sposo, per scoprire con immenso dolore che si trattava di Castiel.
Cominciò a sentirsi male. La testa prese a girare ininterrottamente, mentre i due festeggiati si guardavano e si accarezzavano. Un senso di vertigine lo fece crollare a terra, prima che un vuoto sotto e dentro di lui lo inghiottisse nel nulla. E l’odore soffocante dei gigli gli impediva di respirare…
Rimasto solo nel freddo e nel buio, una voce femminile iniziò a riecheggiare nell’aria, chiamandolo per nome: — Kentin?
Si alzò per ascoltarla meglio. Non era quella di Candy, ma gli sembrava familiare. Dove sei?
— Kentin, rispondimi.
— Chi sei? — urlò più forte che poteva.
— Kentin!
— Dimmi dove sei! — Ma la voce continuava a chiamarlo, ignorando le sue parole.
— Kentin, guarda che apro la porta — disse ancora.
Quale porta? Non ci sono porte, è…tutto buio qui…
— Non mi dai altra scelta. — Si udì il suono di una serratura, poi da destra apparve una piccola luce, che andò ad illuminare l’ambiente circostante.
In un attimo Kentin si sentì scuotere e spalancò di scatto gli occhi.
— Ehi, stai bene?
— Ma che…? Che è successo? — disse senza fiato. Era di nuovo dentro la vasca, in bagno. Davanti a lui c’era sua mamma, visibilmente preoccupata.
— Ma…mamma, ti avevo detto di non entrare! — esclamò cercando di portare tutta la schiuma attorno a sé.
— Ma tu non rispondevi! Mi ero solo dimenticata di dirti che questo weekend viene tuo padre. — Detto ciò, la madre di Kentin uscì dalla stanza e richiuse la porta.
Per fortuna era stato un sogno. Dopo essersi ripreso, Kentin terminò di lavarsi ed uscì dalla vasca.
Indossato l’accappatoio, si diresse verso camera sua. Durante il tragitto ripensò all’aiuto che Alexy e gli altri si erano proposti di offrirgli. Solo allora si rese conto del nome che avevano dato all’Operazione: “caso-Brutto Anatroccolo”. Senza dubbio era riferito a lui. Lo paragonavano al brutto anatroccolo. All’uccellino acquatico che, da goffo e grigio che era, diventò un cigno bianco e magnifico.
Quindi ora lui era un cigno. Un cigno capace di rialzarsi dalla sconfitta. Un cigno fiero e sicuro di sé.
Il cigno più bello del liceo.
E ora quel cigno era pronto a spiccare il volo.


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Capitolo 10
*** Psicologa ***




Capitolo 10


Psicologa







Nei giorni che seguirono, la rabbia scaturita nel cuore di Kentin a causa degli avvenimenti dell’ultim’ora, si tramutò in determinazione, finendo così per fargli scaricare tutta la tensione fino ad allora accumulata, nello studio, oltre che procurargli la forza necessaria per ignorare le provocazioni di chi continuava a prenderlo in giro dandogli del vanitoso egoista.
Giovedì ci fu la prima verifica, quella di letteratura francese. Mentre lui non aveva riscontrato grandi difficoltà, sentiva i suoi compagni di classe lamentarsi per il poco tempo a disposizione, per la complessità delle domande e per altri problemi che a lui sembravano soltanto scuse.
Alla fine della giornata lui e gli altri componenti dell’Operazione Brutto Anatroccolo ricevettero l’invito da parte di Rosalya di ritrovarsi a casa di Candy il venerdì seguente, per procedere con quella che lei definì la prima “seduta” di Kentin. Sebbene il termine non promettesse nulla di buono, lui accettò la proposta, e quel giorno andò insieme agli altri - Iris, Melody, Violet, Kim, Armin, Alexy, Candy e Rosalya - dalla sua amica.
Ora che ci pensava, dopo il trasferimento a Nizza, non era mai stato nella sua nuova casa, e nemmeno aveva mai salutato i suoi genitori. Chissà se lo avrebbero riconosciuto?
Lungo il tragitto si mise a chiacchierare con i gemelli.
— Allora, sei agitato? — gli chiese Alexy.
— Pe-perché dovrei esserlo? — fece Kentin.
Intervenne Armin: — Beh, sai com’è fatta Rosalya. Le sue sedute sono estenuanti. Quella di Melody è durata 3 ore... Tu spera solo che riesca a capire subito il tuo problema, e non dovrai preoccuparti. Ma fai attenzione a non farla incavolare: rispondi a tutto quello che ti chiede, e non fare domande. Ah, e se... — Ma venne interrotto da Alexy: — Mio fratello esagera — disse rivolgendogli un’occhiataccia. — Devi stare calmo, è una cosa fattibilissima, te lo assicuro.
Ma Kentin, che in realtà non aveva proprio afferrato cosa avrebbe dovuto fare, chiese: — Aspetta, mi spieghi che cos’è ‘sta seduta? Io non ho capito niente...
— Per farla breve, Rosa ti farà delle semplici domande, e tu dovrai risponderle con estrema precisione. Poi discuterà con qualcuno di noi, e dopo ti darà il responso — rispose Alexy con tono indifferente. Kentin fu più confuso di prima.
— Responso? Di cosa!?
— Del tuo problema! — esclamò Alexy. Non tentò di replicare: avrebbe solo reso le cose più difficili. Prima si toglieva questo peso di dosso, prima sarebbe finita l’Operazione Brutto Anatroccolo, e prima sarebbero stati tutti più contenti.
— Però mio fratello in una cosa ha ragione: non farla arrabbiare — aggiunse Alexy. — Se non sai cosa rispondere, inventati qualcosa, piuttosto che non dire niente — sussurrò, assicurandosi di non essere sentito dalla diretta interessata.
— Fidati, è in grado di trasformarsi in un Super Sayan, lei… — fece eco Armin. Kentin non era del tutto sicuro che inventarsi le risposte fosse una soluzione sensata, ma annuì lo stesso.
— Va bene. Un’ultima cosa: perché proprio a casa di Candy dovevamo andare? — domandò poi.
— Perché, la cosa ti disturba? — sorrise Alexy.
— No, assolutamente — gli rispose cercando di mantenere un tono serio. Poi gli venne in mente di dire: — È solo che, siccome è stata Rosalya ad organizzare tutto, potevamo farlo da lei.
— Sì, è vero, ma Candy è l’unica ad avere in casa un lettino come quelli degli psicologi — rispose Alexy, prima di accelerare il passo e raggiungere le ragazze. Kentin rimase un po’ disorientato, ma, come prima, non ribatté.
Arrivati a casa di Candy, vennero accolti tutti e nove da sua madre, che, come era presumibile, non riconobbe subito Kentin.
— Candy, perché non mi presenti il tuo nuovo compagno? — le disse, guardandolo con interesse.
Lei, che stava per entrare in salotto con gli altri ospiti, tornò dalla madre sbuffando. Esitò un attimo, ma poi disse: — È Kentin, mamma...
— Cosa? Tu sei Ken? Ma quanto sei cambiato, caro! — esclamò andandolo ad abbracciare. Lui si sentì un po’ in imbarazzo, ma non quanto Candy, che, dopo averlo guardato ed essere arrossita, si diresse velocemente dagli altri compagni.
— Allora, come stanno i tuoi genitori? Dovremmo organizzare qualcosa, un giorno: è da tanto che non ci vediamo — fece la donna, staccandosi da lui.
— Stanno bene! Anche a loro farebbe piacere incontrarvi. — rispose prontamente. In passato i suoi genitori e quelli di Candy erano sempre andati d’accordo. Si vedevano spesso tutti e quattro, assieme ai figli, per cene o nelle riunioni di classe, ma dopo il trasloco, entrambe le famiglie erano state troppo impegnate a sistemare le rispettive case, per potersi ritrovare. Kentin osservò la mamma di Candy: era chiaro da chi l’amica avesse ereditato tutta la sua bellezza. Ma oltre che di bell’aspetto, sua madre era rimasta la stessa donna cordiale ed affettuosa di un tempo. Proprio come quella di Kentin. Quando erano alle elementari, Candy invitava di frequente i compagni di classe a casa sua, dopo la scuola, ma, al contrario degli altri, lui finiva quasi sempre per venire escluso e passare il pomeriggio a chiacchierare con la madre della ragazza.
Anche se era sempre stata gentile verso di lui, ora non rimpiangeva affatto quei tempi.
— Dai, non voglio tenerti qui: vai pure in sala con gli altri. E dì a Candy che fra dieci minuti è pronto in tavola — disse la donna, dandogli una delicata pacca sulla spalla.
— Certo, grazie — rispose lui.
Si diresse in salotto, dove i suoi compagni stavano in piedi a chiacchierare. La stanza era ampia e ben illuminata, con numerosi divani e poltrone, piante e quadri. Appoggiati alle pareti vi erano antichi mobili di valore, ed altri dallo stile più moderno. Fra tutti gli arredamenti, Kentin riconobbe quelli che si trovavano nella vecchia casa. Di fianco a lui, alla sua destra, c’era un tavolo alto con parecchie fotografie di Candy da piccola. Sorrise nel vedere l’espressione serena e senza preoccupazioni della persona che aveva sempre amato. Poco dopo, il suo sguardo si posò su una vecchia foto ingiallita dal tempo che ritraeva una giovanissima Candy mentre abbracciava un bambino con grandi occhiali e capelli a scodella.
Il suo cuore perse un colpo. Possibile che, tra tutti gli amici che lei aveva, l’unico a meritare un posto fra le foto esposte in salone, era proprio lui?
Rimase per un po’ a fissare quell’immagine, in preda ad una leggera commozione.
Quando si rese conto che gli altri erano proprio dietro di lui, lasciò perdere la foto e si girò. Anche se stavano tutti parlando concitatamente, si fece largo fra di loro per andare da Candy a riferirle il messaggio: — Candy, tua mamma mi ha detto di dirti che fra dieci minuti è pronto da mangiare.
— Ah, okay. Ehm, senti… — disse lei. Kentin la ascoltò, teso. — ...no, niente, scusa — finì. Si girò, evitando il suo sguardo, e camminò verso le sue amiche.
Per quanto si fosse interessato a lei, per quanto conoscesse tutto del suo modo di fare e del suo carattere, per quanto avesse dedicato l’intera sua vita a rincorrerla, in quel momento Kentin non era proprio in grado di decifrare il comportamento di Candy. Che fosse dispiaciuta per avergli detto una bugia? Come mai non gli spiegava tutto? Di che cosa aveva paura? Non poteva limitarsi a dire: “Sì, ti ho mentito: in realtà mi piace Castiel”? Sarebbe andato bene anche questo. Certo, sarebbe stata una pugnalata in pieno ventricolo destro, ma almeno lui avrebbe potuto mettersi il cuore in pace e non pensarci più. Eppure lei sembrava quasi dispiaciuta. Ogni tanto, sia durante quei dieci minuti, sia mentre mangiavano, a Candy capitava di rivolgere a Kentin sguardi furtivi, nei quali si poteva chiaramente leggere il senso si colpa che la attanagliava.
Alla fine del pranzo Rosalya fece sloggiare tutti dal salotto, per rimanere sola con Kentin e procedere con la famigerata seduta.
Dopo aver preso dalla sua borsa un blocco per gli appunti ed essersi infilata un paio di occhiali finti, — Bene, accomodati — gli disse, indicando un divanetto nero. Ah, dev’essere questo il lettino di cui parlava Alexy.
— Ma non sei mica una psicologa — fece Kentin.
Rosalya lo fulminò con lo sguardo senza fiatare.
— Va bene, va bene, mi siedo... — e si sedette con un certo nervosismo.
La ragazza lo fissò di nuovo con aria severa ed incrociò le braccia.
— Che c’è ora? — esclamò Kentin.
— Devi sdraiarti!
— Perché!?
— Perché si fa così, è ovvio!
— Ma sembriamo degli idioti!
— Sdraiati.
— No.
Detto fatto, Rosalya gli si avvicinò e lo spinse con forza sul divano per farlo stendere.
— Ehi mollami! — disse Kentin.
— Ti ho detto che devi stare sdraiato — continuò, tenendogli le braccia ferme con le mani.
— E okay, mi sdraio, ma tu non mi toccare così! — ribatté lui, allontanandola e smettendo di dimenarsi.
Rosalya lo lasciò andare, e in un sospiro disse: — Sei molto più preoccupante del previsto...
— Facciamo in fretta, per favore — fece Kentin, sdraiandosi sul lettino e cercando una posizione comoda.
— Ci impiegheremo il tempo necessario per arrivare ad un utile esito — rispose lei, andando a sedersi su una poltrona vicina. Poi si sistemò gli occhiali e lesse qualcosa sui fogli che aveva in mano. — Bene, possiamo cominciare — riprese. — Senti, raccontami un po’ di te. Della tua famiglia, della tua infanzia…
L’idea di dover raccontare i suoi fatti personali ad una persona con cui non era molto in confidenza non fece impazzire Kentin, ma capì che era meglio non opporsi. Decise di partire dall’argomento meno imbarazzante.
— Ho una sorella minore che va alle elementari. Mio padre lo vedo poco, siccome deve rimanere tutto il tempo nella sua scuola. Viene solo qualche weekend.
— Ah. E pensi di ricevere abbastanza affetto dai tuoi genitori? — Chiese Rosalya.
— Ma certo che sì! — rispose lui prontamente.
Dopo aver scribacchiato qualcosa sul suo block notes, la ragazza ricominciò: — Tua mamma com’è?
— È molto simile a quella di Candy... È premurosa, e si preoccupa sempre per me… — rispose sinteticamente. Mentre parlava, Rosalya continuava a scrivere — E, dimmi: sei mai stato geloso nei confronti di tua sorella? — domandò.
— Credo di no. I nostri genitori ci hanno sempre trattato allo stesso modo — disse Kentin.
— D’accordo. Raccontami di te da piccolo.
Ecco che tornava la domanda scomoda. Intuì che non c’era modo di evitarla, quindi si limitò a dire: — Ero un tipo normalissimo.
— Normale come adesso...? — chiese Rosalya abbassando gli occhiali e scrutandolo attentamente.
Evidentemente aveva capito che le voci sul conto di Kentin erano vere. E ormai anche lui ammetteva di essere diventato un po’ egocentrico, era inutile negarlo. Perciò disse: — No... Prima no.
— E secondo te da quando, di preciso, è sorto questo...problema?
Kentin sapeva bene la risposta.
— Da quando sono tornato al liceo. Da quando sono...cambiato fisicamente — disse con fermezza.
Rosalya prese appunti. — Tu credi che…ti piaceresti lo stesso, se tornassi quello di prima? — domandò subito.
— No. Sicuramente no — ribatté lui con altrettanta velocità. Ci aveva pure provato, ed il risultato era stato pessimo, se non disastroso.
— Capisco — fece lei rimettendosi a scrivere. Dopo una breve pausa, riprese: — Hai una ragazza?
— Cosa!? — Esclamò Kentin.
— Ti ho fatto una domanda.
— ...No — rispose lui, sbuffando.
— Ne hai avute in passato? — Chiese Rosalya.
Kentin la guardò male, chiedendosi che cosa potesse c’entrare quello, con l’argomento di cui stavano parlando. Alla fine cedette e disse: — No...
— E ti piace qualcuna?
Ci fu un momento di silenzio. Che cosa poteva rispondere? Di certo non che era innamorato di Candy.
— ...Attualmente no. Anche se un tempo c’era una ragazza che...amavo — disse guardando con aria triste il soffitto. — Era...la persona più dolce che abbia mai conosciuto. Quando stavo con lei, mi sentivo in grado di compiere qualsiasi impresa; anche le mie più grandi paure diventavano insignificanti, perché sapevo che al suo fianco avrei potuto superarle... Lei era il mio punto di riferimento, la soluzione alle mie insicurezze. Non era semplicemente come un’anima gemella. Non era un semplice essere fatti l’uno per l’altra. Era come se nessun’altra coppia al mondo potesse essere più unita di noi, più perfetta... — Finito di parlare, girò lentamente lo sguardo su Rosalya, che era rimasta ad ascoltarlo a bocca aperta. Non poteva credere di essersi aperto in quel modo con lei. — Poi, però, il destino ci ha fatti allontanare — tagliò corto.
Dopo una lunga pausa, Rosalya prese la parola: — Va bene. Non ho altre domande. — Ed uscì dal salotto, per dirigersi verso la camera di Candy, dove si trovavano tutti gli altri.
Beh, alla fine non è durato tanto, pensò Kentin. Quel pazzoide aveva ragione. Si alzò dal lettino e si chiese che cosa avrebbe dovuto fare dopo. Passato qualche minuto, arrivò Iris, che sorridendo gli disse: — Ciao. Gli altri stanno discutendo; appena avranno finito, Rosa tornerà con il responso.
— Ah, sì. Me ne aveva parlato Alexy — rispose Kentin. Si sentiva un po’ fuori luogo: con queste “sedute”, “discussioni” e “responsi”, sembravano tutti prendere la cosa molto seriamente, forse anche troppo.
— Mi sembra che voi due andiate d’accordo — riprese Iris.
— Ehm, sì, abbastanza — fece Kentin. Non sapeva che altro dire: non era abituato a tenere conversazioni con delle ragazze.
Iris annuì. Probabilmente nemmeno per lei dialogare era il suo forte.
Per venti minuti nessuno proferì parola, finché la porta della camera di Candy si aprì e ne uscirono gli altri ragazzi.
Dopo che tutti si furono seduti in silenzio sui divani, Rosalya disse: — Okay, Kentin. Abbiamo analizzato la tua situazione, ed ecco che cosa ne abbiamo dedotto. Come hai detto tu, questo problema è sorto da quando sei tornato al liceo, e più precisamente, da quando hai subito una drastica trasformazione fisica. Questo tuo miglioramento - perché, diciamocelo, il cambiamento è stato in positivo - ti ha fatto sentire molto più sicuro di te stesso, ti ha fatto apprezzare di più il tuo nuovo aspetto e ha finito col farti odiare quello precedente. Noi crediamo che ciò ti abbia fatto sviluppare una sorta di doppia personalità. In altre parole, la tua mente si è trovata in conflitto, poiché fuori eri diventato molto diverso dal solito, ma dentro eri rimasto lo stesso di sempre. Di conseguenza, ti sei ritrovato a considerare il tuo aspetto esteriore come appartenente ad una persona estranea, ed hai cominciato a nutrire per esso una forma di desiderio.
Rosalya si fermò per controllare la reazione di Kentin. La sua faccia era un misto fra stupore e imbarazzo.
— Ma non devi preoccuparti! Abbiamo studiato la soluzione più adatta a te — continuò. — Dopo un’attenta riflessione, siamo giunti alla conclusione che, per fare in modo che tu distolga la tua attenzione da te stesso, il metodo più semplice (e piacevole) è che tu ti metta con una ragazza.





✤✤✤




Salve a tutti :) Siamo già al decimo capitolo, la storia comincia a delinearsi meglio, i capitoli si fanno sempre più corposi e la situazione si è fatta un po' più complicata. Volevo ringraziare chiunque sia arrivato fin qui a leggere questa FanFic e in particolar modo quelli che hanno recensito: fa davvero molto piacere sapere che piace a qualcuno **
Le cose si faranno sempre più interessanti in futuro, quindi spero che possiate continuare ad apprezzarla e che vi resti qualcosa, dopo averla letta.
Ancora grazie infinite a chi è capitato qui, anche solo per caso :)
Al prossimo capitolo!

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Capitolo 11
*** Fiesta ***




Capitolo 11


Fiesta







Kentin non aveva fatto in tempo ad accettare l’idea della doppia personalità, che subito gli si parò di fronte una ancor più assurda prospettiva. Per tutta risposta strabuzzò gli occhi e per un attimo non seppe se scoppiare a ridere per la sfacciataggine di quell’idea. Certo, lui avrebbe voluto mettersi con una ragazza, ma purtroppo quella non ricambiava i suoi sentimenti.
— Secondo me non è una cattiva idea — affermò Alexy.
— Effettivamente, in questo modo la gente smetterebbe di prenderti in giro — intervenne Kim.
— Già, perché offriresti il tuo amore ad un’altra persona, e non a te — suggerì Violet.
— Allora è deciso. Bisogna trovare una fidanzata per Kentin — decretò Rosalya. Poi, rivolgendosi alle ragazze, disse: — Qualche volontaria?
Tutte si guardarono con disagio, chiaramente impreparate davanti a quella proposta.
Kentin si domandò se stesse scherzando, ma poi considerò che fra di loro c’era anche Candy.
— Mi spiace, ma io sono già occupata — riferì Kim.
— Pure io — disse Rosalya, — e anche Candy ha già qualcun altro a cui pensare — aggiunse dandole due leggere gomitate sul fianco. A quella frase, Kentin si sentì fremere. Ancora una volta, era stato troppo ingenuo.
— Quindi le restanti sono Melody, Violet ed Iris — disse Armin, studiandole con interesse.
— Aspettate, a me piace Nathaniel, ve lo siete dimenticato? — lo frenò Melody.
— A-anche a me piace già qualcun altro… — sussurrò Violet.
— Cosa!? A Violet piace un ragazzo? Ma perché non ce lo hai detto prima? — esclamò Rosalya, euforica.
— Avanti, sputa il rospo! — urlò Kim.
In un attimo l’attenzione si spostò da Kentin a Violet, che venne accerchiata da tutte le ragazze, intenzionate a strapparle più informazioni. Tutte tranne Candy, che si limitò a rivolgerle un sorriso piuttosto malinconico.
Quando finirono di parlare, tornarono a concentrarsi su Kentin.
— Facciamo così: quando saremo a scuola troveremo una persona adatta a te — disse Rosalya in tono sbrigativo. Naturalmente Kentin non avrebbe mai accettato. Avrebbe preferito venire insultato a vita dai compagni, piuttosto che perdere Candy per sempre. — Bene, direi che per oggi abbiamo concluso. Ora faremmo meglio a tornare a casa a studiare per biologia, dato che lunedì abbiamo la verifica... — aggiunse.
— È vero, la verifica! Me n’ero dimenticata... — fece Iris.
— Ahah, sei un caso perso! — esclamò Alexy, spettinandole i capelli. Si udì un forte colpo di tosse provenire da Violet.
— D’accordo, allora buon fine settimana, ragazzi. E grazie per il pranzo, Candy — disse Kim, salutando tutti gli altri.
— Grazie, Candy, a lunedì!
— Grazie a voi per essere venuti.
— Ciao ragazzi, ci vediamo!
Dopo essersi congedati, ciascuno si avviò verso la propria abitazione.
Arrivato a casa, Kentin passò il resto del pomeriggio immerso nei compiti. Anche se cercava di non pensarci, non poteva fare a meno di chiedersi cosa ne sarebbe stato di lui e Candy. Tuttavia alcuni elementi - come la foto di loro due esposta in sala - gli facevano credere che non tutto era perduto. Avrebbe continuato a lottare per dimostrarle tutto il suo amore, per farle capire che era qualcosa di più di un semplice ragazzino pieno di sé, che solo lui sarebbe stato in grado di renderla veramente felice.


— Lo compro.
— Ma non ha senso comprare Vicolo Corto, Annette!
— Se c’è, vuol dire che si può comprare, quindi io lo prendo!
— Fai come ti pare, ma poi non ti lamentare se perdi.
— Non perderò. Vuoi fare una scommessa?
Era Sabato mattina e Kentin ed Annette stavano giocando a Monopoli. Lui prese in mano i dadi e disse: — D’accordo.
— Allora, se vinco io mi dovrai fare tutti i compiti per un mese — fece lei.
— Un mese? — esclamò Kentin di rimando — va bene... Ma se vinco io... — si fermò a pensare ad un possibile vantaggioso premio. Purtroppo, però, non c’era niente che la sorella avrebbe potuto fare per la sua situazione. La guardò, e dopo un po’ rispose: — Se vinco io, dovrai tagliarti TUTTI i capelli.
In un primo momento Annette sbiancò, ma dopo aver osservato per qualche secondo con intensità il tabellone di gioco, allungò la mano davanti a Kentin dicendo: — Affare fatto. — Lui la strinse e subito dopo scoppiarono a ridere.
Poco più tardi arrivò la mamma.
— Ragazzi, venite che è arrivato il papà — li informò.
— Papà! — esultò Annette, e corse fuori dalla camera.
Kentin lasciò per terra i dadi e si diresse anche lui in sala. Suo padre era seduto sulla poltrona e stava tenendo in braccio la figlia. Quando si accorse di lui, salutò Annette e si alzò in piedi.
— Ciao Kentin — disse sorridendo.
— Papà — fece lui, e corse ad abbracciarlo. Ormai erano passate più di tre settimane dall’ultima volta che si erano visti.
— Allora, va tutto bene a scuola? — gli chiese, diventando ad un tratto serio.
Che doveva rispondergli? La gente continuava a prenderlo in giro e lui non reagiva. Ma non poteva far preoccupare, o meglio, arrabbiare il padre, quindi disse: — Sì, l’allenamento è servito — e si sforzò di sorridere.
— Quell’Ambra ti sfrutta ancora?
— Ehm…no, assolutamente no. — Non aggiunse altri dettagli. Chissà cosa avrebbe detto suo papà, se avesse saputo che per vendicarsi di lei, aveva dovuto baciarla.
— Bene, allora hai visto che è servito? Te l’ho sempre detto che dovevi venire nella mia scuola — replicò contento, ma con una punta di rimprovero. Kentin annuì. Aveva sempre rifiutato la richiesta del padre, non tanto perché non voleva frequentare il suo liceo, quanto perché preferiva stare nello stesso di Candy.

Il weekend passò in fretta. Era lunedì 2 Febbraio, quando cominciò una nuova settimana di scuola. La verifica di biologia fu per Kentin una passeggiata, ma, come c’era da aspettarsi, molti altri compagni di classe non la pensavano allo stesso modo. All’intervallo dovette sorbirsi le lamentele di Kim ed Iris, che si chiedevano come avesse fatto lui a trovarla facile. Rosalya, Melody e Violet non avevano riscontrato grandi difficoltà, mentre Candy non si esprimeva. Nonostante tutto, però, Kentin era felice di stare in compagnia dei suoi nuovi amici, e si rese conto che, ridendo e chiacchierando con loro, la gente sembrava meno propensa a canzonarlo per la storia del suo egocentrismo.
— Non te l’ho mai detto, ma questa camicia a quadri ti dona molto — gli disse Rosalya.
— Ah, grazie — rispose lui. Non aveva mai ricevuto un complimento sul suo abbigliamento da una ragazza.
— Quindi ci sai fare con i vestiti! — esclamò di nuovo.
— Beh, in realtà è stato Alexy a consigliarmela.
— Allora mi rimangio ciò che ho detto! — scherzò Rosalya.
— Hahaha ma io l’ho scelta fra altre ottocento camicie! — ribatté.
Lei rispose: — Ah beh, allora okay! — e risero tutti. Tutti tranne Candy, che sembrava quasi infastidita da quella conversazione. Un’altra volta, Kentin non riusciva a decifrare il suo atteggiamento.
Decisero di uscire fuori in cortile, ma proprio mentre stavano per varcare il portone d’ingresso, una figura trafelata li raggiunse di corsa, urlando: — Rosalya! Rosalya, ti devo dire una cosa importantissima!
Si girarono tutti, per capire chi fosse stato a chiamarla, e Rosalya disse: — Ah, ciao Peggy. Dimmi, che cosa è successo?
— Notizia bomba: la scuola organizza una festa la prossima settimana! — rispose Peggy.
— COSA? Quando, dove, come e perché?
— Non ho scoperto molti dettagli, ma probabilmente si terrà sul terrazzo del terzo piano, di fianco all’aula computer.
— Ma il giorno preciso?
— Sabato, non questo, ma il prossimo.
— Quindi è il giorno dopo la verifica di matematica — intervenne Melody.
— E se la verifica è il 13, allora la festa è... — fece Iris.
— ...il 14, il giorno di San Valentino! — Completò Alexy.
— Ragazzi, ci pensate? — esclamò Rosalya — Peggy, ne sei assolutamente sicura? — le chiese prendendola per le spalle.
— Se non ne fossi sicura, non avrei attraversato di corsa tutto il corridoio per avvisarti — rispose in un sorrisetto.
Kentin, che non voleva restare fuori dalla discussione, prese la parola: — Ma come le hai avute queste informazioni?
Peggy lo guardò molto severamente e disse: — Mi spiace, ma ovviamente non posso rivelare a nessuno le mie fonti!
— Ahahah, non ci provare, amico — gli disse poi Alexy — Noi abbiamo passato due mesi a cercare di capirlo, ma senza risultati.
— Non hai scoperto nient’altro? — continuò Rosalya.
— Sì. Siccome la festa è il 14, il tema sarà San Valentino. Ognuno potrà venire in coppia, anche con una persona esterna al liceo, e alla fine della serata, pare che la preside, insieme ai professori, voterà la coppia migliore! — rispose tutto d’un fiato Peggy.
— M-i-t-i-c-o!
— E se uno non è in coppia? — domandarono contemporaneamente Iris e Melody.
— Non è obbligatorio, semplicemente non partecipa alla gara. — ribatté Peggy.
— Ma aspetta, in base a che cosa viene scelta la coppia migliore? — chiese Armin.
— È proprio questo il punto — cominciò Peggy — ora, non è certo al 100%, ma...sembra che sarà una festa in maschera!
— CHE COSA!? — sbraitò Rosalya — E ME LO DICI COSÌ!?!?
Improvvisamente prese a saltellare e a gioire insieme alle altre per tutto il corridoio, mentre Kentin ed i gemelli restavano con Peggy a chiederle più informazioni.
— Io continuo a non capire quale sia il criterio di giudizio dei prof. — intervenne Armin.
— Probabilmente voteranno gli abiti migliori — rispose Alexy. — Dunque, io di maschere ne ho, però vorrei comprarmi un costume nuovo… Mi sa che questo weekend andrò a farmi un giro per i negozi. E, dato che neanche tu hai un vestito adatto per l’occasione, fratellino, dovrai per forza venire con moi.
— No no no, questo proprio no — esclamò Armin.
— Avanti, non è così terribile fare shopping con Alexy — gli disse sorridendo Kentin.
— Visto? Kentin sì che è intelligente — fece Alexy. Poi, rivolgendosi a lui, chiese: — A proposito, tu ce l’hai un costume e una maschera?
Ci pensò un attimo, ma dubitava di averne mai avuti: — Credo proprio di no.
— Allora verrai anche tu con noi! E dopo andiamo dritti a casa nostra per sceglierti una maschera. Non ti preoccupare, te ne presto una delle mie, ne ho una marea — affermò Alexy, dandogli una pacca sulla schiena.
— Ma cos... — Kentin fu preso alla sprovvista, ma venne interrotto da Peggy, che disse: — Ehi ragazzi, aspettate un attimo; io ho detto che FORSE sarà una festa in maschera, non è niente di sicuro!
— Non ti preoccupare, Peggy. Un costume in più per noi non fa mai male. Potrebbe tornarci utile in futuro — constatò Alexy, che sembrava al settimo cielo.
Poco dopo tornarono le ragazze, che ringraziarono la loro informatrice per la notizia della festa ed uscirono tutti in cortile.

Le giornate trascorsero liete. Più il tempo passava, e più diminuiva il numero di persone che ancora prendeva in giro Kentin. Forse perché si erano stancate di parlare sempre di lui, ma molto più probabilmente perché lo vedevano scherzare insieme ai suoi amici. Finché era solo, era facile prenderlo di mira, ma ora che trascorreva gli intervalli con i suoi compagni, quasi nessuno osava punzecchiarlo. Le poche volte che qualcuno gli si parava davanti per deriderlo, Alexy, Rosalya e gli altri non esitavano un secondo, prima di difenderlo e scacciare via chi lo importunava. Lui sosteneva sempre di potersela cavare da solo, ma gli altri si mostravano ben contenti di aiutarlo.
L’idea di farlo accoppiare con una ragazza era già sfumata, perché ormai non ce n’era più bisogno. Anche il suo rapporto con Candy intravedeva un leggero miglioramento; qualche volta capitava loro di tenere brevi dialoghi, anche se lei restava comunque un po’ distaccata.
Il giovedì successivo i professori annunciarono ufficialmente la festa di San Valentino, che, come aveva intuito Peggy, si confermò essere una festa in maschera. I costumi però, non erano necessari: ragazzi e ragazze sarebbero venuti in abito elegante e avrebbero dovuto indossare una maschera. Solo chi si iscriveva in coppia alla gara, sarebbe potuto essere incoronato re o regina del ballo.
Quel Sabato Kentin venne invitato a casa dei gemelli, per scegliere la maschera che avrebbero indossato la settimana seguente.
— Entra pure — gli disse Alexy, facendogli strada — la mia stanza è da questa parte, fa’ come se fossi a casa tua!
Attraversato l’atrio, i tre ragazzi entrarono nella camera da letto di Alexy. Era molto ampia e colorata. Le pareti erano piene di poster di cantanti e attori famosi e vicino alla finestra si trovavano non uno, non due, ma ben tre armadi guardaroba, oltre che un grosso baule fuxia. Alexy lo aprì e ne estrasse decine e decine di maschere, che posò sul letto per farle osservare ad Armin e Kentin.
— Fratello, per te andrebbe bene questa — disse poi, porgendogliene una piccola e bianca. — Così assomigli a quel tizio di Sailor Moon.
Armin si avvicinò interessato, e si provò la mascherina che gli aveva proposto Alexy.
— Te, invece, ti ci vedo bene con qualcosa del genere — fece, rivolgendosi a Kentin.
Gli mise in mano una grande maschera blu e verde, piena di piume e dall’aspetto imponente. In mezzo ai due buchi per gli occhi c’era una grossa gemma verdeacqua, da cui si stagliavano tre penne di pavone cosparse di brillantini dai colori cangianti.
Kentin la guardò perplesso. Non si poteva certo dire che non fosse bella, anzi. Ma forse lo era fin troppo, e in un certo senso, eccessivamente vistosa per i suoi gusti; avrebbe preferito qualcosa di più semplice... Proprio mentre ci pensava, scorse, mischiata fra le altre, una curiosa maschera bianca. La prese automaticamente e lasciò cadere nel baule quella che gli aveva dato Alexy.
Era sobria ed essenziale, dalle curve sinuose ma armoniche; sopra al naso aveva disegnato una specie di becco arancione, collegato a due macchie nere che circondavano gli occhi, mentre le due estremità superiori terminavano a punta. Aveva tutta l’aria di rappresentare un cigno.
Se la provò. Calzava a pennello. Sì, aveva trovato la maschera che lo rappresentava appieno.
Senza pensarci due volte, chiese ad Alexy il permesso di utilizzare quella per la festa, e l’amico annuì sorridendo.
Qualche giorno dopo, Rosalya convocò tutti per una nuova riunione top-secret.
— ...ed è con grande onore che dichiaro conclusa l’Operazione Brutto Anatroccolo — disse in tono solenne.
Tutti i presenti applaudirono, complimentandosi con se stessi e con Kentin, per la riuscita della missione. Come aveva immaginato, prima o poi la gente avrebbe smesso di parlar male di lui. Ma non poteva non essere riconoscente ai suoi amici, per essersi interessati al suo bene.
— Mi auguro che questo sia il primo, dei numerosi successi che otterremo in futuro. A tal proposito — riprese Rosalya, — è già pronto il piano per la Missione Cupido2.
A quel nome, Kentin trasalì.
— Ho deciso che questa volta faremo un unico e decisivo tentativo. Sfrutteremo la festa che la scuola ha organizzato il giorno di San Valentino e faremo in modo che Candy si ritrovi sola con Castiel. Dopodiché sarà un gioco farli mettere assieme! — pronunciò in un sorrisetto.
Gli altri esultavano, soddisfatti, ma Kentin era solo più turbato. Si sentiva in un certo senso tradito, anche se non capiva per cosa. Avvertì una forte gelosia crescere dentro di sé. Se non avesse fatto qualcosa il prima possibile, il giorno della festa sarebbe significato una sola cosa: la fine definitiva di ogni possibilità con Candy.
Ormai la soluzione era una sola.
Il giorno di San Valentino le avrebbe confessato tutti i suoi sentimenti.


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Capitolo 12
*** Confusione ***




Capitolo 12


Confusione







Durante la festa le dirò quello che provo per lei.
Giovedì 12 Febbraio. In vista della verifica di matematica, Kentin si stava esercitando con alcune disequazioni di secondo grado. O almeno ci provava...
Tre x alla seconda meno dodici, minore di zero. Sì, ma lei lo sa benissimo che mi piace...però...non posso permettermi di perderla. X alla seconda uguale a quattro. E se mi respinge come ha sempre fatto? X compreso fra meno due e due. No. Glielo dico e basta.
Posò la penna e guardò l’orologio sulla scrivania: erano già le undici passate. Avrebbe fatto meglio ad andare a dormire.
Attraversando la stanza, scorse velocemente la sua immagine riflessa nello specchio. Si fermò per un attimo a guardarla, ma ogni tentazione era ormai svanita. Quel ragazzino di cui un tempo poteva invaghirsi era cresciuto. Era diventato un uomo.
Poi si rese conto: quella non era un’altra persona. Era lui. E lo era sempre stato.
Si sentì improvvisamente forte. Una soddisfazione mai provata prima che lo riempì di gioia. Era contento di quello che era diventato, ed era certo che nessuno lo avrebbe fermato. Non gli importava se a Candy piaceva Castiel. Le avrebbe dimostrato di essere migliore di lui.
La mattina seguente arrivò a scuola in anticipo: la verifica sarebbe stata alla prima ora. C’erano già alcuni alunni in classe, ma nessuna traccia di Candy. All’arrivo del professore, tornarono tutti ai propri banchi, ed il test ebbe inizio.
C’erano otto equazioni, più due problemi di geometria. Kentin non ebbe grandi difficoltà, ma sentiva molti compagni attorno a lui sbuffare e sospirare in continuazione. Al termine dell’ora, consegnò il suo compito ed andò in bagno: non aveva voglia di stare ad ascoltare le lamentele degli altri su quanto impossibile fosse stata la verifica.
Passò il resto della giornata a pensare alla festa. Al momento in cui avrebbe confidato tutto a Candy e a quale sarebbe stata la sua reazione.
L’indomani era Sabato 14.
A scuola sarebbe dovuto arrivare per le 20:00, ma era così impaziente, che, appena sveglio, andò a provarsi l’abito che avrebbe indossato. Una camicia bianca ed un completo nero con giacca e cravatta che gli aveva regalato suo padre quando ancora frequentava la sua scuola militare. Fortunatamente gli stava a pennello.
In quel momento entrò in camera Annette.
— Fratellooo stai benissimo così! — urlò appena lo vide.
— Dici? Non sarà un po’ troppo elegante?
— Ma va’, sei perfetto. Vedrai che tutte cadranno ai tuoi piedi — gli disse sistemandogli la giacca.
Kentin sorrise e le diede un buffetto sulla guancia.
— Ma non dovevi avere una maschera? — chiese poi la sorella.
— Me la porta un mio compagno di scuola stasera — rispose.
Dopo un po’ arrivò anche sua madre, che vedendolo così vestito, si avvicinò a lui raggiante e disse: — Guardati, tuo padre sarebbe davvero fiero. Oggi, prima che tu vada, voglio farti una foto, così poi gliela invierò.
Kentin sorrise. — Okay, mamma.
Il momento tanto atteso finalmente arrivò. Dopo aver salutato la madre e la sorella, Kentin si diresse con passo deciso a scuola. Erano ancora le 19:30, ma non voleva rischiare di arrivare tardi. Dieci minuti dopo, era già al liceo.
Il portone era aperto, ma non c’era nessuno. Dato che fuori faceva un po’ freddo, decise di entrare. Non era mai stato al Dolce Amoris di sera. L’atmosfera era del tutto diversa da quella che si respirava durante l’orario scolastico. Le aule ed i corridoi sembravano avvolti da una strana aura, misteriosa e al tempo stesso emozionante. Kentin sentì all’improvviso crescere l’ansia.
Cominciò a salire le scale che portavano al terzo piano, dove si sarebbe tenuto il rinfresco. Non trovando un’anima viva, temette di essere arrivato troppo presto, ma le sue preoccupazioni sparirono quando intravide un’ombra nel corridoio del primo piano.
Avvicinatosi di più, scoprì che si trattava di Alexy.
— Hey ciao! Fatti vedere... Stai be-ni-ssi-mo. Vedi, che se ti impegni, riesci a vestirti come dio comanda? — lo accolse l’amico.
— Non si può dire lo stesso di te — scherzò Kentin, ammirando il completo rosso scarlatto di Alexy.
— Ehh, devi fare ancora molta strada, caro mio! — esclamò lui — A proposito, ecco la tua maschera — disse iniziando a ravanare in una grossa borsa che aveva portato. — Sai, oggi è il giorno decisivo per la Missione Cupido2. Quando arriva Rosa, ci dirà per bene che cosa dovremo fare.
Kentin non disse niente. Sapeva già che cosa avrebbe fatto lui.
— Speriamo solo che Castiel ricambi i sentimenti di Candy — continuò, tirando fuori la maschera del cigno e porgendola a Kentin.
— Ah, per questo non c’è problema... — fece lui.
— Che intendi dire? — disse Alexy, ritirando la maschera.
Kentin lo guardò sorridendo: — Niente, niente.
— Eh no, ormai hai parlato. Su, sputa il rospo.
— Beh, più di un mese fa Castiel mi aveva chiesto una cosa, riguardo a Candy...
— COSA?
— ...Se sapevo se fosse single...
— Eh!? Quindi... anche lui è interessato a lei! Ma non è magnifico!? — esclamò estasiato.
— Direi proprio di no. — Se lo lasciò sfuggire, forse apposta. Ormai non c’era nulla da nascondere: di lì a poco, tutti avrebbero saputo quello che provava per lei.
Alexy lo guardò sgranando leggermente gli occhi. Subito dopo, però, diventò molto serio e gli chiese: — Perché non me l’hai detto prima, che ti piace Candy?
Non sembra, ma a volte è davvero furbo...
— In realtà mi piace dal primo giorno di prima elementare — decise di rispondere Kentin.
— E allora come mai non hai detto niente per tutto questo tempo? Come hai fatto a sopportare che a lei piacesse Castiel?
— Mi scocciava, d’accordo. Però io voglio solo il bene di Candy, e se a lei piaceva un altro, non potevo impedirglielo... E non potevo tantomeno oppormi alla Missione Cupido2...
— Sì, in effetti non oso pensare a come avrebbe reagito Rosalya...
— Neanch’io oserei pensarci. — Una voce inaspettata si levò dalle loro spalle. Si voltarono di scatto: chi aveva parlato era proprio la persona chiamata in causa, e di fianco a lei c’erano Candy ed un ragazzo alto, dai capelli neri.
Quando Kentin si rese conto di quello che era appena successo, era troppo tardi.
— A-avete sentito tutto!? — esclamò scioccato.
— Sì, ed è stato parecchio deludente da parte tua. Soprattutto dopo l’aiuto che ti abbiamo dato — affermò severamente Rosalya. — Come hai potuto non dirci che Castiel era interessato a Candy?
Candy.
Aveva ascoltato l’intera conversazione fra lui e Alexy.
Aveva sentito chiaro e tondo la parte del “mi piace dal primo giorno di prima elementare”. E ora era lì che lo fissava attonita, quasi come se al posto di una dichiarazione d’amore, fosse stata una di morte.
— Non sarebbe cambiato niente — fece Kentin, sforzandosi di mantenere un tono neutrale.
— Sarebbe cambiato tutto, invece! — urlò Rosalya.
— Ehm, io tolgo il disturbo — borbottò piano il ragazzo dai capelli neri, e levò le tende.
— Ma poco importa — continuò Rosalya. Poi, rivolgendosi a Candy: — Ora che sappiamo che tu piaci a Castiel, farvi incontrare sarà ancora più facile. E so già come fare. — Prese ad agghindarla e a sistemarle i capelli. — Starai ad aspettare nell’aula di inglese, al secondo piano. Poi faremo in modo che anche lui entri lì, e a quel punto rimarrete da soli!
— Ma l’aula non è chiusa? — domandò Candy, visibilmente agitata.
— Peggy mi ha procurato le chiavi — Rosalya estrasse dalla borsetta un mazzo di chiavi e lo sventolò davanti al naso della sua interlocutrice.
— Ma come farà Castiel ad entrare proprio nella stessa aula?
Rosalya si girò di scatto verso Kentin. — Tu ci penserai.
— Eh? Perché io?
— Perché è a te che ha chiesto di Candy.
— E se mi rifiutassi?
La ragazza lo fissò con sguardo gelido. — Forse non hai ancora capito, carino, con chi hai a che fare — disse con voce progressivamente più alta, avvicinandosi a Kentin. — Non mi ci vorrebbe niente, a me, per far sì che tutti tornino a parlar male di te.
Davvero lo avrebbe fatto tornare in cattiva luce? Il pensiero di dover subire nuovamente gli scherni dei compagni era proprio insopportabile. Ma cosa importava di più? Quello che la gente avrebbe detto di lui, o la sua possibilità di essere felice con Candy?
— E adesso andiamo, Candy — proseguì Rosalya. Poi, rivolgendosi a Kentin, aggiunse: — Aula di inglese, secondo piano. E ricorda: come ti ho tolto dai guai, posso benissimo rimettertici.
Deglutì.
Le due ragazze sparirono oltre le scale. Dopodiché calò il silenzio.
Che doveva fare? Non poteva darla vinta a Castiel. Però era quello che Candy voleva... E lui l’aveva detto: ciò che desiderava di più era il suo bene.
Si voltò, ricordandosi che Alexy era ancora presente. Lo guardò con immensa tristezza e lui ricambiò con un’espressione colma di pena.
— Kentin...
Che devo fare, Alexy?
Dopo qualche secondo di silenzio, Alexy si avvicinò e lo strinse in un abbraccio.
Di primo impatto gli sembrò imbarazzante. Ma ormai conosceva l’amico: il suo modo per esprimere affetto era questo.
Lentamente alzò le braccia e lo strinse pure lui. In quel momento era l’unico che capiva il suo dolore. Lasciò che quel dolce calore lo calmasse un po’. Non gli importava se stava abbracciando un altro maschio: la tenerezza di Alexy lo rassicurava.
Quando poi si staccarono, quest’ultimo gli sussurrò: — Fai la cosa giusta per te. — Dopodiché gli diede la maschera che ancora aveva in mano. Sì, lo capiva meglio di chiunque altro.
D’accordo: andrò da Castiel.
Senza aggiungere altro, prese il volto di cigno, si girò e scese le scale. Sarebbe andato da lui e gli avrebbe detto che Candy lo attendeva nell’aula di inglese...
Arrivato al piano terra, cominciò ad attraversare il corridoio, chiedendosi se Castiel fosse già arrivato a scuola. A metà strada intravide qualcuno dietro al portone. Era proprio lui. Circondato da ragazze, con una bottiglia di birra in mano.
Era davvero questo che voleva? Lasciare Candy in mano a quel tipo?
No, non poteva permetterlo.
Senza pensarci due volte, tornò sui suoi passi ed imboccò di nuovo le scale. Le risalì due gradini alla volta, giunse al primo piano, rivide Alexy, si scambiarono un velocissimo sorriso. Salì fino al secondo piano.
Era lì. A pochi passi dall’aula di inglese. Ormai era troppo tardi per tirarsi indietro.
Raccolse le forze ed indossò la sua maschera. Non era sicuro di cosa fare, ma era certo che ce l’avrebbe fatta.
Lentamente abbassò la maniglia della porta...e la aprì.
Entrò. La stanza era praticamente al buio, se non per la debole luce che filtrava dalla finestra.
Candy era seduta davanti a lui. Il lungo abito rosso e fiammeggiante. Le curve del corpo ed i lineamenti del volto accarezzati dal chiarore lunare. Lo sguardo intenso e spento. I capelli dorati e vibranti. Più bella di quella che aveva visto in sogno. Più bella di qualsiasi altra creatura al mondo.
Senza staccarle gli occhi di dosso, Kentin richiuse la porta dietro di sé.
Appena si accorse di lui, lei scattò in piedi e disse: — Castiel?
Come, Castiel? Ah, probabilmente non mi ha riconosciuto per via della maschera e della luce così soffusa. Ma proprio mentre stava aprendo bocca per ribattere, Candy intervenne: — Prima che tu possa dire qualcosa, scusa se ti ho fatto venire fin qui. Non so cosa ti abbia detto Kentin, ma puoi pure tornare alla festa. Ed è inutile che ti illudi: tu non mi piaci.
...
Confusione.
Stupore.
Incredulità.
Confusione.
Perché?
Kentin non riuscì ad emettere alcun suono. Quello che aveva appena sentito non poteva essere vero.
Non cercò neppure di trovare un senso in quelle parole, da quanto erano del tutto incomprensibili.
Passarono dei secondi, prima che Candy sospirasse ed incrociasse le braccia.
— Ehi?
Ma Kentin non reagiva. Tutte quelle settimane passate ad affliggersi per la notizia dell’innamoramento di Candy per Castiel...si erano rivelate prive di logica?
La ragazza lo fissò improvvisamente con sguardo allarmato.
Fece un passo verso di lui, poi un altro. Che stesse cominciando a sospettare?
Quando gli fu davanti, Kentin indietreggiò velocemente, ma lei gli si avvicinò sempre di più, fino a metterlo con le spalle al muro. Senza muovere un muscolo, lasciò che gli sfilasse la maschera dal viso.
Poco a poco, gli occhi e la bocca di Candy si sbarrarono. Kentin poté solo leggere il proprio nome formato sulle labbra della ragazza, prima che lei si fiondasse sulla porta.
— Aspetta! — le urlò, ma era già uscita dall’aula.
La seguì di corsa. Doveva capire che diavolo stava succedendo. Ora Candy doveva spiegargli per filo e per segno a che razza di gioco stesse giocando.
Lei aveva già sceso le scale del secondo piano, ma Kentin non era intenzionato a lasciarla scappare.
— Candy, per favore, fermati un attimo.
Ma non ottenne risposta.
Quello che successe dopo, accadde in un millisecondo.
Candy che svolta l’angolo; Kentin che la segue.
Una forte spinta sulla sua schiena, da dietro, che lo fa finire addosso a Candy.
Lei che ruzzola giù per le scale; lui che riesce a non scivolare, aggrappandosi alla ringhiera.
Candy distesa a terra ai piedi delle scale, immobile.





✤✤✤




...siente ancora vivi? xD Probabilmente non vedete l'ora di scoprire cosa accadrà dopo, ma non disperate: il capitolo arriva, come sempre, domani u_u
Ora che la storia ha preso una piega più tragica, diventerà sicuramente più interessante *-* e non vedo l'ora di arrivare ai capitoli 13-14, che saranno i più intensi, per ora :Q_

Al prossimo capitolo ^u^

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Capitolo 13
*** Verità ***




Capitolo 13


Verità







Era una giornata limpida. La donna stava attraversando la strada insieme al figlio per dirigersi verso il parco, mano nella mano. Il cinguettio degli uccellini ed il dolce tepore dell’estate creavano un’atmosfera di gioia, di armonia. All’improvviso la quiete fu rotta da un rumore in lontananza. Il bambino si allarmò, mentre il suono cresceva, si faceva sempre più forte e assordante. Perse il contatto con la mano della madre. Corse per strada, piangendo. Il frastuono era sempre più vicino e copriva le urla della donna. L’ultima cosa che ricordò fu il paraurti dell’automobile a pochi centimetri dal suo naso.
Un brusco sobbalzo fece rinvenire Kentin. Di fianco a lui medici ed infermieri si mobilitavano attorno ad una lettiga, passandosi bende ed altri oggetti di primo soccorso. Capì di essere svenuto sul sedile dell’autovettura. Gli balenò nella mente quello che aveva appena sognato: la volta in cui lui da piccolo rischiò di venire investito da un’auto, a causa della sirena di un’ambulanza. Aveva sempre avuto paura di quel rumore. Ma ora quel timore era stato sostituito da uno ben peggiore. Guardò verso la barella: Candy giaceva ancora priva di sensi. Cercò di ricostruire quello che era successo. Stava scendendo le scale, quando improvvisamente qualcuno da dietro lo aveva spinto con violenza su di lei. Il suo primo istinto era stato quello di girarsi indietro e vedere chi fosse stato, ma l’unica cosa che scorse fu l’immagine veloce ed immediata di una lunga chioma bionda...
Ambra!
Era stata senza dubbio lei, chi altro? Purtroppo, però, non c’erano le prove. Avrebbe potuto accusarla a priori, dato quello che gli aveva fatto in passato. Inoltre, caso vuole che, proprio qualche istante dopo la caduta di Candy, su per le scale stessero salendo la Preside ed alcuni professori, i quali avevano visto la ragazza a terra e Kentin ancora in cima, quasi come se l’avesse spinta lui.
Nei dieci minuti seguenti ricordò solo che fu preso dalla più completa disperazione. Aveva pianto così tanto sul corpo di Candy, che non gli erano rimaste neanche più lacrime. Anche quando arrivò l’ambulanza, dovettero schiodarlo a forza dall’amica, per permettere agli infermieri di caricarla sul veicolo. Nonostante il divieto, aveva così tanto insistito per salire, che si era pure finto ferito, pur di stare accanto a lei.
Ora era lì. Ad aspettare con ansia l’arrivo in ospedale. Aveva ancora in mano la maschera di Alexy, ma desiderava solo disfarsene. Se non se la fosse messa, Candy non l’avrebbe confuso con Castiel, non sarebbe corsa fuori dall’aula e non sarebbe caduta dalle scale. In altre parole, tutto era successo per colpa sua.
Volle sparire. Anziché proteggerla, era riuscito solo a farle del male. Che cosa avrebbero detto i genitori, i compagni? Altro che presa in giro per la storia dello specchio: sarebbe stato isolato a vita dal resto dell’umanità.
Mentre si affliggeva con questi pensieri, finalmente l’ambulanza si fermò. In quattro e quattr’otto Candy venne trasportata in sala di rianimazione e Kentin dovette rinunciare a starle accanto.
Decise che avrebbe passato la notte in ospedale assieme ai genitori della ragazza, arrivati poco dopo di lui. Non passarono due minuti, però, che dalla sala uscì il medico, che andò a parlare con loro delle condizioni della figlia. Da quello che Kentin riuscì ad udire, Candy si era ripresa, ma aveva subito un trauma alla gamba destra: avrebbe quindi dovuto fare una radiografia per stabilire se si fosse trattato di una frattura o di una lesione meno grave.
Alla notizia del suo risveglio, tirò un lungo sospiro di sollievo e camminò verso i suoi genitori. Dopo che gli ebbero riferito le stesse cose che aveva sentito poco prima, la madre di Candy gli disse: — Ken, non è meglio che avvisi i tuoi che sei qui?
— Ah, è vero, me ne sono dimenticato! — esclamò lui.
Li chiamò per raccontargli cos’era successo e per chiedergli il permesso di restare lì per la notte.
— Non se ne parla — fece sua mamma.
— Ma mamma, sono insieme ai genitori di Candy.
— Appunto, ci sono già loro a tenerle compagnia. Ora dimmi in che ospedale sei, che ti veniamo a prendere.
Kentin rinunciò ad opporsi al suo volere, e, dopo averle detto dov’era, aspettò il loro arrivo di malumore. Di tornare alla festa non se ne parlava proprio. Non aveva voglia di vedere nessuno e tantomeno di divertirsi. La maschera l’avrebbe restituita ad Alexy in un secondo momento.
Una volta a casa, andò direttamente a letto senza mangiare, pervaso da un’angoscia incontenibile.
La mattina dopo, era già in ospedale per vedere come stesse Candy.
— Siamo appena usciti dalla stanza. Sta bene. Noi ora dobbiamo andare via per un impegno, ma se vuoi puoi entrare a farle compagnia — gli disse la mamma di Candy, poggiandogli una mano sulla spalla. Dopo averlo salutato, i genitori dell’amica si incamminarono verso l’uscita dell’edificio.
Finalmente avrebbe potuto incontrarla: prese coraggio ed entrò con cautela nella camera. Candy era a letto, che guardava fuori dalla finestra. Era triste, il suo sguardo sembrava perso nel vuoto; quando si accorse di lui, evitò di incrociare i suoi occhi.
— Come ti senti? — le domandò Kentin, avvicinandosi lentamente.
Sforzandosi di non guardarlo, rispose debolmente: — Il dottore ha detto che ho avuto una commozione cerebrale e che dovrò stare in ospedale ancora qualche giorno, però... il vero problema è che ho subìto una lieve frattura al femore...e dovrò tenere il gesso per almeno quindici giorni.
Kentin ringraziò che non fosse capitato qualcosa di più grave, poi andò a sedersi su una sedia accanto a Candy.
— Ma… che cosa è successo esattamente? I miei mi hanno detto che sono caduta, però...io non ricordo niente. So solo che eravamo alla festa... — disse poi, voltandosi verso di lui.
— È stata Ambra. Stavi scendendo le scale, quando mi ha colpito e…
— E…?
— Io…Ti sono andato addosso, facendoti cadere... È tutta colpa mia.
Candy tacque. Dopo una pausa di riflessione, riprese: — Sì, adesso mi ricordo: stavo fuggendo via... Però, se dici che Ambra ti ha spinto, non è stata colpa tua. — Detto ciò, tornò a fissare la finestra.
Kentin la guardò pieno di pietà. Non avrebbe potuto esprimere quanto fosse dispiaciuto per lei, eppure... C’era ancora una questione aperta: ciò che gli aveva detto per errore nell’aula di inglese. Avrebbe voluto a tutti i costi sapere la verità, ma quello non era certo il momento adatto. Nelle condizioni in cui Candy era, con una domanda simile l’avrebbe messa solo più in difficoltà.
Pensò a qualcosa di più gradevole di cui parlare. Poi gli venne in mente.
— Sai, quand’ero venuto a casa tua, avevo visto su un tavolo una foto di noi due da piccoli... — le confidò.
Lei divenne improvvisamente rossa, e farfugliò: — Sì, avevo detto a mia mamma di toglierla, ma…
— A me ha fatto piacere vederla — intervenne Kentin. Candy ammutolì. Poi lui esclamò sorridendo: — Beh, devo ammettere che da piccolo ero troppo appiccicoso. Chissà come facevi a sopportarmi!
— In realtà non desideravo altro — rispose inaspettatamente la ragazza, fissando la fine del letto.
— Come? — Kentin non capì. Di che stava parlando, Candy?
— Ecco...se devo essere sincera, tu sei l’unico che si sia mai preoccupato sul serio di me. A parte, forse, i miei genitori. E magari i miei nonni — disse diventando tutto a un tratto triste. — Ma basta. A parte i miei parenti e te, a nessun altro importavo veramente.
— Non dire così. Hai sempre avuto un sacco di persone che ti volevano bene — fece lui.
— Non è vero! Erano tutti pronti a dirsi miei amici, ma quando ne avevo davvero bisogno, diventavano degli opportunisti. Tutti. Tu invece mi apprezzavi per quello che ero, e...io non me ne sono mai resa conto... Eri sempre accanto a me per aiutarmi, e...e io ti respingevo solo per non fare brutta figura davanti agli altri... — Pesanti lacrime cominciarono a scendere dagli occhi di Candy, che si portò le mani sul viso e cominciò a singhiozzare. A Kentin venne istintivo allungarsi per abbracciarla. Lei rimase un attimo bloccata, poi lentamente si avvicinò di più a lui e infine lasciò affondare il volto fra il suo collo e la sua spalla.
Questo era del tutto inaspettato. Come poteva una ragazza tanto dolce come Candy avere così poche persone su cui contare?
A poco a poco si staccò da Kentin e, guardandolo, riprese a parlare.
— Non...te l’ho mai detto perché...cosa avrebbero pensato tutti? — la voce era debole e rotta. — Se non fosse stato per tutte le tue attenzioni verso di me...io non sarei mai stata nessuno. Gli altri parlavano con me, solo perché eri tu a rendermi importante…altrimenti non mi avrebbero mai considerata. E a me faceva comodo questo! — Scoppiò di nuovo a piangere, ributtandosi fra le braccia di Kentin. Lui la circondò accarezzandogli la testa, e pensò alle parole giuste per farla calmare. Ma non sapeva cosa dire. La verità su ciò che aveva sempre provato per lui...non c’aveva mai pensato: lei lo respingeva solo a causa degli altri. In realtà era grata per il suo comportamento...e Kentin non lo aveva mai saputo. Abbassò gli occhi su di lei. Era come un piccolo animale appena nato, indifeso: ogni minimo pericolo poteva esserle fatale. Lui era l’unico che poteva proteggerla.
Solo allora si rese conto che non erano mai stati così vicini. Candy era lì tra le sue braccia, stringeva con le mani la sua maglietta e riempiva di calde lacrime il suo petto. Era così agitata che avrebbe potuto farle qualsiasi cosa, senza che lei potesse avere la forza per opporsi. Stai calmo...Non è questo il momento giusto, pensò, cercando di trattenersi. Anche un semplice bacio poteva rischiare di farla seriamente collassare dall’emozione. E sebbene fossero così uniti, quello che ora sentiva per lei era molto di più di normale attrazione fisica. Era l’affetto doloroso e struggente che si prova per chi è fragile e disperato. E lei aveva solo bisogno del suo corpo, su cui aggrapparsi e sfogarsi.
Kentin la strinse ancor più forte. Tutto quello che aveva sperato, da quando aveva sei anni, si stava realizzando. Ma non era felice. La sofferenza che ora tormentava Candy lo faceva stare ancora più male. Quell’acqua che scendeva dai suoi occhi non stava semplicemente inumidendo il suo torace. Stava penetrando fin dentro la sua pelle ed inondando di tristezza il suo cuore. Non aveva mai conosciuto quel lato malinconico di Candy, e scoprirlo così all’improvviso gli fece provare un’amarezza implacabile e spietata.
— Sono una stupida — disse debolmente lei.
— Non dire così, tutti commettiamo degli errori — reagì prontamente Kentin.
Candy alzò la testa per guardarlo, con gli occhi pieni di lacrime: — Sì, ma il mio errore è andato avanti per dieci anni, e quello che ne ha sofferto sei tu!
— Meglio dieci anni spesi a rincorrerti, che dieci anni senza di te! — Quasi lo gridò. Delle lacrime gli rigarono improvvisamente il viso, senza che lui potesse fermarle. Non gli importava di come lo avesse trattato per tutto quel tempo, non gli importava se ogni volta che era in difficoltà, lei non avesse fatto niente per difenderlo. Non gli importava se ora lo stava vedendo in quelle condizioni, senza alcun contegno. Guardarla soffrire in quel modo, era un dolore troppo immenso da contenere.
Scoppiò completamente a piangere. Lasciò che l’emozione prendesse il sopravvento, e abbandonò la testa sulla spalla di Candy. Ora era lui ad aver bisogno di qualcuno su cui aggrapparsi.
Sentendo la disperazione invadere pure lui, lei gemette ancora di più e lo strinse nell’abbraccio più intenso di sempre. Nessuno di loro ebbe la forza di smettere. Kentin avvertì le braccia delicate ma al contempo salde di Candy circondarlo con fervore; sentì il profumo della sua pelle e dei suoi capelli pervadergli i sensi e di colpo una passione travolgente si impossessò di lui. Si sentì avvampare di un calore mai provato prima. La amava sul serio. Non avrebbe permesso a niente e a nessuno di separarli.





✤✤✤




Ed ecco il capitolo 13 *-* Sicuramente uno dei miei preferiti.
Inizio col dire che spero si capisca tutto... Alcune parti sono state veramente ostiche da scrivere. Ho impiegato anche un’ora per sole cinque righe! Ma alla fine il risultato mi soddisfa. Forse, rileggendolo, avrei aggiunto più dettagli, più particolari, ma non volevo rischiare di appesantire la narrazione.
Ditemi che ne pensate, perché sono davvero curiosa! :D

Grazie a chiunque sia passato di qui. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 14
*** Reputazione ***




Capitolo 14


Reputazione







Tutto quello che ho sempre creduto era una bugia. In verità le facevano piacere le mie attenzioni...
Non appena si fu staccato da lei, Kentin rimase seduto al suo fianco, sul letto. Non avrebbe potuto dire chi dei due fosse più imbarazzato.
Passarono diversi minuti, prima che uno di loro prendesse la parola.
— Comunque, non me l’aspettavo, davvero. Ho sempre pensato che mi odiassi... — fece a Candy, asciugandosi le lacrime. Non riusciva ancora a capacitarsi di quella rivelazione.
— Odiarti... — rispose lei, scuotendo la testa. — Beh, quando sei tornato a Gennaio, devo ammettere che all’inizio ero un po’ arrabbiata per quello che avevi fatto con Ambra... Inoltre, quando gli altri hanno cominciato a trattarti male, vedevo come tu riuscivi lo stesso ad ignorarli, ad essere superiore alle loro provocazioni. In un certo senso ce l’avevo con te, perché...ti invidiavo.
Kentin si stupì. — Tu invidiavi...me? — Si ricordò di quella volta in cui fu lui a provare invidia per lei, quando si rese conto che aveva molti più amici di lui.
— Sì... E poi, anche quando te ne sei andato, per frequentare la scuola militare... sei riuscito ad ottenere quello che volevi. Sei stato capace di cambiare per merito della tua forza di volontà. Io non ne sarei mai stata in grado, tu invece ce l’hai fatta! Per questo ti invidiavo. Perché rispetto a te, io mi credevo una debole. — Kentin la ascoltava in silenzio. — Sicuramente non lo sai, ma...quelli sono stati i mesi peggiori della mia vita. Con te lontano era come se mi mancasse l’aria...o un organo vitale. Io...non potevo immaginare come avrei fatto senza di te. — E riprese a singhiozzare. Ma, prima che scoppiasse di nuovo a piangere, aggiunse: — Anche dopo l’operazione Brutto Anatroccolo, hai allontanato le derisioni della gente solo grazie a te stesso. Non hai neanche avuto bisogno del piano di Rosalya! Non puoi capire come mi sia sentita quando ti ha proposto di metterti con una ragazza. In quel momento, fui sicura che ti avrei perso per sempre. E ho sentito il mondo crollarmi addosso.
A quelle parole Kentin sentì dentro di sé un triste ma piacevole senso di compiacimento: quindi in fondo anche Candy era interessata a lui.
— È per questo che ho fatto finta di volermi mettere con Castiel. Solo per farti ingelosire.
Ecco spiegato tutto. Finalmente tutti i pezzi del puzzle combaciavano.
— Ma non ne avevi bisogno. Io sono sempre stato innamorato di te. — Se lo lasciò scappare.
Candy tacque. Dalla sua espressione, sembrava che non se lo aspettasse.
Dopo qualche secondo, rispose: — Non me ne rendevo conto. Da quando sei tornato, mi sono messa in testa che non ti interessavo più. Forse, anche perché eri diventato molto amico di Alexy...e, siccome lui è sempre pronto ad aiutarmi in questo genere di cose, ho finito col credere che per te fosse lo stesso. Che volessi restare solo un amico. Ma la verità è che...mi sentivo in colpa ad interessarmi a te solo perché eri diventato più bello...
Dunque per questo, negli ultimi mesi era stata così strana verso Kentin. Per puro senso di colpa, nient’altro.
— Beh, ma... Adesso è tutto finito. Nel senso, ora possiamo... — cominciò lui.
— No, direi proprio di no. — Candy sorrise.
— Cosa?
— Te l’ho detto, mi sentirei in colpa.
— Ma...non devi! Cioè... Non ci sarebbe motivo.
— Sarei solo un’opportunista! E non lo potrei sopportare.
— Ma Candy!
Scosse la testa — Io non ti merito, Kentin! Non so cosa ci trovi di tanto speciale in me. Mi sono sempre comportata in modo orribile nei tuoi confronti. Ma questa volta non commetterò un altro errore. Non approfitterò del tuo cambiamento — affermò, tirandosi su la coperta. — Sarei vista come un’ipocrita dal resto della scuola.
Kentin non ci poteva credere. Ora che sembrava tutto risolto, Candy non accettava di stare insieme a lui, solo per un futile motivo. E per di più, a causa degli altri.
— Quindi...non vorresti metterti con me, solo perché gli altri penserebbero male di te?
— ...Esatto — sussurrò.
— Ti importa del giudizio altrui!? Preferiresti...salvaguardare la tua reputazione, a costo di ferire i miei sentimenti? — chiese, offeso.
— Te l’ho detto, Kentin: sono una persona orribile. — Lo disse con un sorriso. Un sorriso amaro.
Una delusione indescrivibile lo invase. Dopo tutto quello che aveva fatto, dopo tutto quello che aveva dovuto sopportare, era così che Candy gli rispondeva?
No, era troppo. Non poteva tollerare una cosa simile.
Senza aggiungere altro, Kentin si alzò dal letto e si incamminò verso la porta.
— Dove stai andando — emise Candy, con tono allarmato.
— Sai cosa? Hai ragione: tu non mi meriti proprio. — Si voltò a guardarla con profondo disprezzo. Forse si era semplicemente sbagliato ad innamorarsi di lei.
— Kentin, aspetta. — Ma lui aveva già aperto la porta, e si accingeva ad uscire, quando in un millisecondo sentì prima un rumore indefinito, poi le braccia di Candy stringerlo da dietro.
— Kentin! — Candy lo teneva stretto e non lo lasciava andare.
Ma ormai era inutile. Era meglio finirla lì per tutti e due.
A poco a poco però, l’abbraccio di Candy si fece sempre più debole. Vide le sue braccia scendere in basso e la sentì gemere sempre di più.
Kentin si girò lentamente: era scivolata a terra, sotto di lui, e piangeva.
Non l’aveva mai vista in uno stato tanto miserabile: probabilmente non aveva mai avuto un simile crollo emotivo. Ma non poteva lasciarla lì così.
Sospirando, sì chinò su di lei e cercò di tirarla su. Ora poteva chiaramente vedere la gamba ingessata; chissà che doloroso sforzo aveva dovuto fare per correre dal letto, verso di lui...
— Ti prego, non mi lasciare... — disse Candy con un filo di voce, non appena fu eretta.
Guardandolo con immensa disperazione e rimanendo aggrappata alle sue braccia forti, lentamente avvicinò la sua testa a quella di Kentin.
Il cuore di quest’ultimo prese a battere a mille. Non poteva accadere lì, ora.
Candy chiuse gli occhi pieni di lacrime... Ormai non c’era più tempo per impedirlo: Kentin si abbassò quel tanto che bastava, perché le loro labbra si sfiorassero...prima che qualcuno bussasse rumorosamente alla porta aperta dietro di loro.
— !!!
— Siamo qui! — Una voce squillante li fece immediatamente ritrarre.
Si voltarono di scatto: Rosalya e Alexy entrarono nella camera. In un primo momento la ragazza li guardò confusa; erano uno accanto all’altra, entrambi rossi dalla testa ai piedi, Candy ancora con la faccia bagnata dal pianto. Accorgendosi di quel particolare, insorse con tutta la sua furia contro Kentin: — CHE COSA LE HAI FATTO!? — urlò, avventandosi su di lui e afferrandolo per gli abiti. — NON TI È BASTATO MANDARLA ALL’OSPEDALE? BRUTTO IDIOTA!
Rosalya lo stava già spingendo fuori dalla stanza, quando Candy gridò — No, ferma! — e, allontanandola, si slanciò su Kentin, facendogli perdere l’equilibrio e cadendo a terra addosso a lui.
Erano nel corridoio dell’ospedale, uno sopra l’altro, i loro volti a pochi centimetri di distanza, i loro occhi allineati, le loro labbra sempre più vicine...
— CANDY, CHE COSA FAI! — In un lampo Kentin sentì il peso di Candy staccarsi bruscamente dal suo corpo.
Aprì gli occhi: Rosalya l’aveva sollevata, ricacciata a forza nella camera, e aveva chiuso la porta sbattendola.
Prima che Kentin potesse realizzare quello che era successo, o meglio, che poteva succedere, la porta si riaprì e Alexy venne buttato fuori.
— Uoh! Ma che ho fatto io? — esclamò, dopodiché si richiuse. Rimasero solo loro due in corridoio.
— Stai bene? — fece il gemello, aiutando Kentin a rimettersi in piedi.
— S...sì... — In realtà non ne era sicuro. Erano successe troppe cose e troppe emozioni tutte in una volta.
— Mi spieghi che stavate facendo, tu e Candy? Perché piangeva!? E poi: che diamine è successo ieri sera?
E troppe domande.
Kentin andò a sedersi su una sedia vicina, per cercare di riprendersi. Il suo cervello stava andando in tilt, l’unica cosa certa era che sentiva ogni centimetro quadrato del suo corpo pulsare.
Alexy si sedette accanto a lui. — Comunque, abbiamo solo saputo che Candy è caduta dalle scale e che c’eri anche tu mentre è successo. Rosalya crede che sia stato tu a spingerla...ma io so che non è così, ovviamente. Però come biasimarla? insomma, hai mandato a monte il suo piano! Dovevi vedere la sua faccia quando le ho detto che anziché mandare Castiel da Candy, ci sei andato tu! È stata una mossa geniale, davvero!
Sebbene le parole di Alexy non sfacevano altro che aumentargli il mal di testa, Kentin decise di raccontargli quello che era successo, della scena nell’aula di inglese, dell’attacco di Ambra, della corsa in ospedale.
— ...Quindi sono tornato da lei, oggi, per vedere come stava.
— E che vi siete detti? — chiese Alexy.
Esitò un attimo, prima di dire: — Il suo interesse per Castiel...era solo una scusa per farmi ingelosire.
— C-cosa!? Wow! E...non sei contento?
— Beh... In un certo senso sì.
— Vuol dire che anche tu le piaci!
— Forse. Però... Lei non vuole stare con me.
— Perché!?
— Dice che si sente in colpa.
— Kentin... Le ragazze fanno così, solo per farsi desiderare di più — disse. Ma Candy non era il tipo da comportarsi in quel modo.
— Beh, io non l’ho desiderata di più, quando me lo ha detto.
— E cosa hai fatto?
— Me ne sono andato.
— COSA!?
— Però lei mi ha fermato...
— E poi...?
— È scoppiata a piangere per terra...e io l’ho sollevata.
— E...!?
— CI SAREMMO BACIATI SE NON FOSTE ARRIVATI VOI.
Alexy scoppiò in una fragorosa risata.
— Non ridere! È stato imbarazzante!
— Scusa...è che...è troppo esilarante! — disse sforzandosi di rimanere serio.
— Che ci trovi di tanto divertente!?
— Avanti, guardati! Cerchi di fare il duro, ma sotto sotto sei un tenerone!
Kentin arrossì di vergogna. Era così che appariva agli occhi degli altri?
— Però, se devo essere sincero, sospettavo da tempo che ti piacesse — riprese il gemello. — Per il modo in cui la guardavi...e diventavi tutto rosso quando si parlava di lei. — Di certo Alexy era più intelligente di quello che sembrava.
— Sì, ma ormai è inutile.
— Non dire così. Secondo me è solo un po’ provata per quello che le è successo. Vedrai che quando starà meglio, le cose tra di voi si sistemeranno.
— Lo spero...
— Comunque, faresti meglio a dire subito alla preside che non sei stato tu a spingerla. Sabato, durante la festa, era furiosa. Stava quasi per mandare a casa tutti, se i genitori di Candy non l’avessero chiamata per dirle che si era ripresa. Io e Rosa volevamo venire in ospedale, quando abbiamo saputo dell’incidente...però ci hanno detto che era meglio lasciarla tranquilla. E che c’eri già tu.
— Capisco... A proposito, com’è finita la festa?
— Beh... è finita che ha vinto Ambra...
— Ah, perfetto...
— Aspetta un attimo. Ora che ci penso, credi che vi abbia spinto per le scale per vincere la gara!?
— Che intendi dire?
— Probabilmente era sicura che avreste vinto voi, così ha cercato di eliminarvi.
— Ma noi non eravamo in coppia.
— Avrà pensato che lo foste.
In effetti non si era mai posto questa domanda. Come mai Ambra lo aveva colpito? Magari solo per vendicarsi. Oppure... Che l’abbia fatto perché sapeva che sarei finito addosso a Candy!?
Si alzò di scatto.
— Che fai!? — esclamò Alexy.
— Vado a fargliela pagare.
— Fermo. Fermo. — Alexy lo frenò prendendolo per le spalle. — Non pensi che così finiresti tu dalla parte del torto?
— Che cosa dovrei fare? Lasciare che quella la passi liscia!?
— Ci penserà la preside a darle quello che si merita!
— Ma non posso aspettare!
— Ascoltami! Domani a scuola le spiegherai quello che è successo, e lei troverà una giusta punizione per Ambra! Adesso torna a casa a riposarti. Ci penso io a spiegare tutto a Rosalya, va bene?
Kentin accettò. Sia perché si fidava di Alexy, sia perché non avrebbe saputo come comportarsi con Candy.
Candy...
Lungo la strada di ritorno ripensò all’attimo in cui le loro labbra si erano sfiorate... Di certo non si era mai sentito così in imbarazzo in tutta la sua vita, però, sebbene tutto ciò che aveva sognato fin da quando era piccolo poteva realizzarsi...perché non era felice? Eppure era stata lei a farsi avanti per prima, lei a fermarlo, lei ad aprirsi così tanto da rivelargli la verità. Ma il fatto che desse più peso alla sua reputazione che al cuore di Kentin, non gli andava giù. Poi però, quando lui si era alzato per andarsene, lei lo aveva subito fermato... Che cosa girava nella sua mente? Era forse un sì? Aveva scelto di ignorare il giudizio degli altri e di stare con lui? Ancora non la riusciva a capire... Forse si era solo illuso di conoscerla bene.
— Ma come posso piacerle? — rifletté ad un tratto. — Non può essere interessata a me. L’ha detto lei stessa: le facevo comodo e basta. Si è dispiaciuta quando me ne sono andato, perché non ero più lì ad adularla. E poi, se fosse vero, staremmo già insieme da tempo. Non avrebbe avuto bisogno di inventare tutta la storia di Castiel. Sì, dev’essere così... — cercò di convincersi. Anche se in cuor suo sapeva benissimo di desiderare il contrario.


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Capitolo 15
*** Prova ***




Capitolo 15


Prova







Il lunedì successivo Kentin arrivò a scuola intenzionato a spiegare per filo e per segno alla preside quello che era successo la sera della festa. Quando entrò in classe, si accorse, però, che qualcosa non andava. I compagni sembravano guardarlo male: che lo ritenessero davvero colpevole dell’incidente di Candy?
Ignorando le loro occhiate, si sedette al suo banco. Andrò a parlare con lei durante l’intervallo. Ma non era passato neanche un quarto d’ora dall’inizio della lezione, che qualcuno bussò alla porta.
— Avanti — disse la professoressa di inglese.
In classe entrò Nathaniel, il quale annunciò che la preside attendeva Kentin nel suo ufficio. Ancora meglio, pensò.
Senza dire nulla, uscì dall’aula e si fece accompagnare da lei, dal delegato. Chissà se sapeva che la colpevole era sua sorella...
Durante il tragitto Nathaniel gli rivolse la parola, ma senza guardarlo.
— L’abbiamo combinata grossa, eh? — chiese, con lo stesso tono di chi rimprovera un bambino. Kentin si alterò per quella frase. Chi si credeva di essere? Certo, era più grande di lui di un anno, ma questo non gli dava il diritto di trattarlo come un novellino.
— Non so di cosa tu stia parlando — si limitò a dire.
— Non fare il finto tonto. Lo sanno tutti quello che è successo il giorno della festa — rispose il biondo con aria stufata.
— Peccato che io non c’entri niente.
— Peccato che sia stato colto con le mani nel sacco dai professori.
— Non sono stato io a far cadere Candy!
— Oh, certo. Chi allora? — Dopo essere arrivato davanti allo studio della direttrice ed aver bussato alla porta, Nathaniel si girò verso di lui, fissandolo severamente. Kentin sostenne il suo sguardo e, prontamente, ribatté: — Chiedilo alla tua sorellina — dopodiché entrò nell’ufficio, lasciando il delegato con la bocca semiaperta e in lieve stato confusionale.
La preside, seduta sulla sua sedia dietro alla scrivania, gli fece cenno di avvicinarsi a lei. Non era mai stato nel suo studio, eppure l’aveva sempre immaginato un po’ simile a quello della professoressa Umbridge, di Harry Potter. Ora che era dentro, invece, dovette proprio ricredersi: non vi erano pareti rosa con appesi piatti e gattini, né vasi di fiori essiccati o tovagliette di pizzo. L’arredamento era modesto, semplice ed essenziale, forse fin troppo serio. Si respirava un’aria di... professionalità. La prima cosa su cui si posò la sua attenzione fu l’enorme vetrina di coppe, medaglie e trofei vinti dalla scuola, appoggiata alla parete centrale. Immaginò che la preside ne andasse tremendamente fiera.
— Presumo tu abbia una valida spiegazione per quello che è successo Sabato sera. — Parlò in tono tranquillo e freddo. Però non sembrava arrabbiata; aveva più che altro un’espressione preoccupata. Kentin, dal canto suo, non era affatto teso. Sapeva di non avere torto, quindi nulla sarebbe andato storto.
Fece un respiro, poi disse calmo: — Le assicuro che non sono stato io a spingerla. — La donna alzò un sopracciglio.
— Vorresti farmi credere che è scivolata da sola? — lo squadrò.
— No, no, ovviamente no... È... è stata Ambra a colpirmi. E io inevitabilmente mi sono scontrato con Candy, che è caduta — le disse fissandola negli occhi. Attese la sua reazione.
— Ambra, dici? — chiese aggrottando la fronte.
— Sì... L’ho vista prima che fuggisse via.
— Fammi capire: lei ti ha spinto, e tu sei finito addosso alla Lauren?
— Esattamente.
— E sei assolutamente sicuro che sia stata lei?
— Beh... In quel momento era girata, ma l’ho riconosciuta dai capelli.
La preside inclinò la testa e strinse le labbra. Che non fosse convinta delle parole di Kentin era poco ma sicuro.
— Io non potrei mai fare una cosa del genere a Candy, deve credermi! — esclamò lui, alzando la voce.
— Lo so. È per questo che in un primo momento mi è risultato difficile immaginare che fossi stato tu. Però devi capire che eri l’unico insieme alla Lauren, quando è successo... E non puoi essere certo al 100% che si trattasse di Ambra, se l’hai vista appena — fece alzandosi e cominciando a camminare verso la porta.
Kentin non trovava le parole per controbattere. Effettivamente non c’erano testimoni che potessero confermare la sua innocenza, né tantomeno accusare Ambra.
Vedendo l’espressione affranta del ragazzo, la donna intervenne per l’ultima volta. — Una prova — disse poggiando la mano sulla maniglia. — Dammi una prova che non sei stato tu, e sarai sollevato da ogni colpa. — Dopodiché aprì la porta e lo congedò.

— Una prova! Mi ha chiesto di provargli che non sono stato io. — Intervallo. Kentin stava raccontando ad Alexy, in cortile, cos’era accaduto con la direttrice quella mattina. Non si sarebbe aspettato un tale esito, né che il loro dialogo sarebbe durato meno di un minuto.
— Ci dev’essere un modo per dimostrarglielo... — disse il gemello. In quell’istante videro arrivare di corsa Rosalya, seguita a ruota da Melody ed Iris.
— Dov’è Ambra? — esclamò fulminandoli con lo sguardo, una volta davanti a loro.
— Non l’abbiamo vista. Che hai intenzione di fare, Rosalya? — chiese Alexy.
— Farla parlare. E minacciarla con la tortura, se necessario.
— Allora io non voglio essere coinvolto — rispose, alzando le mani, in segno di arresa.
— Guardate, è lì! — esclamò Iris, puntando l’indice in direzione del grosso acero. Ambra era proprio laggiù, in compagnia di altri studenti.
Le tre ragazze si fiondarono automaticamente da lei, lasciando da parte Kentin ed Alexy.
I due si guardarono preoccupati.
— Forse dovremmo andare anche noi — constatò Alexy.
— Sì, è meglio... — rispose Kentin.
Si avvicinarono quindi alle loro compagne, che stavano già parlando con la biondina.
— Hai dei problemi, per caso? — la sentirono dire.
— No, ce li avrai tu i problemi, se non confessi quello che hai fatto a Candy! — Rosalya scattò contro di lei, ma venne bloccata da Melody ed Iris, che la trattennero per le braccia.
— Io? Ma se non l’ho nemmeno sfiorata.
— No, certo. Per questo, hai spinto Kentin. Buttandolo addosso a lei, non ti saresti sporcata le mani!
— Hai una grande fantasia. Potresti sfruttarla per realizzare abiti un po’ meno pacchiani. — Ambra ed il resto della gente con cui era scoppiarono a ridere.
— Fai schifo, Ambra! Volevi sbarazzarti di lei, solo per vincere la gara di San Valentino!
— Ahahahahah! Povera illusa, l’avrei vinta comunque, la gara!
— Io non credo proprio. Candy aveva mille più probabilità di te di vincere e tu lo sapevi bene. Sei una persona orribile: ricorrere all’inganno, pur di ottenere ciò che vuoi! E non è la prima volta che succede... — Il tono di voce di Rosalya si incupì.
Ambra stette un attimo a pensare, poi, dal nulla, esclamò: — Aaah ho capito! Sei invidiosa di non essere stata eletta rappresentante di classe, al contrario di me!
A quelle parole, Rosalya si morse le labbra.
— Ahahah, sei proprio patetica! Tu e tutto il tuo gruppetto di sfigati. Sai? sono proprio contenta che quella stupida sia finita all’ospedale. In questa scuola non c’è posto per mentecatti come lei.
Le gambe di Kentin si mossero da sole, facendolo scagliare contro la ragazza; ma venne prontamente afferrato da Alexy, il quale, però, non riuscì a fermarlo. Ci volle l’intervento di Iris e di Melody, per bloccarlo del tutto.
— E tu che credi di fare? Sei solo un bimbetto schizzinoso e piagnucoloso. Stai al tuo posto! — lo insultò Ambra.
Kentin non riuscì a dire nemmeno una parola, tanto era forte l’ira che provava. Quanto a lui, che venisse pure insultato all’infinito; ma Candy non potevano toccargliela.
— Dovresti ringraziarci, Ambra — intervenne Alexy, continuando a tenerlo fermo. — Se non lo stessimo trattenendo...probabilmente a quest’ora...non riconosceresti più la tua faccia.
— Allora non ti è bastata la lezione? Pensavo che informando qualcheduno di tutte le cose interessanti che combini in bagno, avresti chiuso quella tua boccaccia — riprese lei. Subito dopo, a Kentin venne in mente il disgustoso momento in cui le loro labbra si erano unite.
— Quindi l’hai fatto per lui? per vendicarti un’altra volta? — chiese ancora, Alexy.
— Anche se fosse, non ti riguarderebbe, sottospecie di...
— Adesso basta, Ambra. — Ambra venne improvvisamente interrotta da una delle ragazze che era con lei.
— Nessuno ti ha interpellata, Charlotte — disse, cercando di zittirla.
— Se non sarai tu a confessare, allora lo farò io.
— Piantala.
— No. Non ne posso più delle tue bravate! La devi smettere di sfruttarci per far del male alla gente...io...mi rifiuto di sottostare ancora a te! — Poi, rivolgendosi a Rosalya e alle altre, aggiunse: — È stata Ambra ad architettare il piano. Ha avuto lei l’idea di far cadere Kentin addosso a Candy. E... noi siamo state sue complici, non è vero, Li? — chiese poi, girandosi verso un’altra ragazza che, un po’ titubante, annuì.
Lo sguardo di tutti si spostò da Charlotte ad Ambra, la cui espressione si fece improvvisamente seria. Seguì il silenzio e nessuno disse nulla.
Poi, come se niente fosse, dalla sua bocca uscì progressivamente una risata insana e quasi isterica.
— Sai cosa ti dico? — disse dopo aver smesso di ridere, — che hai ragione. Avanti, mettetevi pure dalla loro parte, ma tanto non potete negarlo: eravate presenti pure voi, ed è stato un piano perfetto! — sbraitò additando Charlotte e Li — La gara? No, non c’entra proprio niente la gara! E tantomeno quell’idiota — continuò lanciando un’occhiataccia a Kentin. — Il mio obiettivo era sempre stato Candy. Da quando è saltato fuori che a quella sciacquetta piaceva Castiel, non potevo certo stare con le mani in mano. Così ho escogitato un metodo formidabile. Ho fatto in modo di metterla fuori combattimento senza venire punita. E non solo: ho preso due piccioni con una fava, facendo credere che fosse stato lui! Hahahahaha! Ma sapete qual è la cosa ancor più divertente? Che non c’è uno straccio di prova contro di me!
— Invece c’è. — Dalle spalle di Ambra emerse come un’ombra una ragazza minuta e dall’aria severa. Tutti si girarono a guardarla. Era molto composta, portava una giacca blu sopra un abitino rosa e un cerchietto dello stesso colore tra i capelli castani in perfetto ordine. Quando la vide, Ambra sembrò pietrificarsi.
— A quanto pare credevi di farla franca anche questa volta, eh, Ambra? — disse incrociando le braccia.
— Arrivederci, Karla — rispose tornando a guardare in direzione di Kentin e degli altri.
— È ancora troppo presto per i saluti. Perché non mi lasci raccontare agli altri che cosa mi hai fatto fare di bello, il giorno della festa?
— Non oserai...
— Oh sì, invece. — A quelle parole, Ambra si avventò pericolosamente su di lei, ma fu trattenuta a sua volta da Charlotte e Li.
— Prima del falso incidente mi hai chiesto di far salire al secondo piano la preside e i professori. Il tuo scopo era fare in modo che assistessero alla scena, subito dopo che tu te n’eri andata.
— Sono tutte bug... — Ambra cominciò a protestare, ma Charlotte le tappò la bocca con la mano.
— Così hanno creduto che fosse stato Kentin a spingere Candy. Sì, devo ammettere che è stato un piano ingegnoso. Avrebbe pure funzionato, se ti fossi scelta le tue complici con più attenzione.
Tutto ad un tratto Kentin capì che era proprio quella la prova che stava cercando. Se avesse portato Karla dalla preside e le avesse fatto spiegare quello che le aveva detto di fare Ambra, finalmente gli avrebbe creduto.
Dopo uno sguardo d’intesa, lui e i suoi compagni andarono a chiedere la collaborazione della ragazza, che accettò senza battere ciglio.
Mentre stavano camminando verso la scuola, Ambra si divincolò fino a liberarsi dalla mano di Charlotte premuta sulle sue labbra: — Andate pure!
Tanto...il mio scopo l’ho raggiunto e sono contenta! Vedrete... ora non ne avete idea, ma poi vi accorgerete di quello che ho fatto! Ahahahahah!





✤✤✤




Salve a tutti! Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Devo dire che ci sono stata su molto tempo. La scena con Ambra è stata parecchio lunga da scrivere; non che non avessi le idee chiare, ma, più scrivevo, e più mi venivano in mente cose nuove da aggiungere, e dovevo trovare il modo per unirle bene insieme.
Ma non voglio annoiarvi ulteriormente. Ci vediamo come sempre domani, col capitolo 16 :D Ciau!

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Capitolo 16
*** Antidolorifici ***




Capitolo 16


Antidolorifici







Ignorando le urla spasmodiche di Ambra, Kentin e gli altri portarono Karla dalla preside. Non appena poté riceverli, le spiegarono per filo e per segno quello che era successo realmente la sera della festa e il motivo per cui lei ed i professori si erano trovati nel posto giusto, al momento giusto. La ragazza raccontò di come Ambra le avesse ordinato di condurli sulla scena del delitto, senza che lei ne sapesse niente. Questa testimonianza offerta da Karla si rivelò determinante per provare l’innocenza di Kentin; la preside, dopo averci pensato a lungo, decise di lasciarlo andare e di chiamare i genitori di Ambra.
— Chiederò loro un colloquio il prima possibile. È inammissibile che nella mia scuola accadano episodi del genere! — esclamò con veemenza, prima di far uscire i ragazzi dal suo ufficio.
Quando furono fuori, Kentin poté tirare un sospiro di sollievo.
— Te l’avevo detto che sarebbe andato tutto bene, no? — gli disse Alexy, sorridendo gentilmente.
— Sì, ma dobbiamo ringraziare Karla. È merito suo se non andrò nei casini — rispose voltandosi verso di lei. Accorgendosi di essere osservata, la ragazza arrossì e disse velocemente: — Non...non c’è di che. Questa volta Ambra ha proprio esagerato.
— Già. Mi chiedo che cosa dirà la preside ai suoi genitori — intervenne Rosalya. — Sarebbe bello poter assistere alla sua sfuriata! — Poi divenne di colpo seria, spalancò gli occhi ed esclamò: — Ragazzi, ho un’idea! — e senza aggiungere altro corse via verso l’uscita della scuola.
Gli altri si guardarono con aria interrogativa, ma non poterono domandarsi che cosa avesse in mente l’amica, poiché sentirono suonare la campanella che segnava la fine dell’intervallo.
Al termine delle cinque ore di lezione, Kentin salutò i suoi compagni, prima di tornare a casa. Benché sapesse di non valere niente per lei, non poteva smettere di pensare a Candy: anche se solo per un giorno, la sua assenza a scuola gli era davvero pesata. Dopo aver mangiato, si chiuse in camera e si mise a studiare.

Erano ormai le 7 di sera, quando udì il suono del suo cellulare che lo avvisava di un nuovo messaggio. Lasciò da parte gli esercizi di inglese che stava ultimando ed andò a prendere il telefono dalla tasca dello zaino. Sentì come un groppo formarglisi in gola, non appena lesse il nome di Candy. L’SMS che gli aveva mandato recitava così:

“Ciao. Ti chiedo scusa per quello che è successo ieri... Vorrei parlarti, non è che puoi venire in ospedale?
Mi manchi...”


Restò per un minuto a fissare quelle ultime due parole. In un primo momento si sentì felice, ma poi si rese conto che forse quella era solo un’ulteriore prova di quanto Candy fosse in realtà un’opportunista. Ora che era in difficoltà, aveva bisogno di lui, mentre prima lo ignorava bellamente. Anzi, aveva cercato di farlo ingelosire, per giunta.
Riflettendo, però, c’era anche la possibilità che avesse deciso di accettare di stare con lui. Ma questo non l’avrebbe certo scoperto restando a casa.
Si mise in fretta il giubbotto di pelle che aveva comprato insieme ad Alexy e sgattaiolò furtivo verso l’anticamera. Se sua madre l’avesse visto, probabilmente gli avrebbe impedito di uscire a quell’ora. Cercando di non far rumore, chiuse piano la porta di casa e camminò in direzione dell’ospedale, che fortunatamente era a pochi minuti sia da casa sua che dalla scuola.
Una volta arrivato, raggiunse il reparto in cui alloggiava Candy ed entrò nella sua stanza; la trovò seduta davanti ad un tavolo a leggere un libro di scuola. — Ciao — la salutò. Quando lei lo vide, le brillarono gli occhi. Le sue condizioni sembravano migliorate; l’espressione stanca e sciupata del giorno prima era stata rimpiazzata da un’aria un po’ più vigorosa.
— Ciao. Grazie per essere venuto — disse flebilmente. — Vieni, siediti pure qui — e gli indicò una sedia vicina.
Kentin si sedette accanto a lei, aspettando la sua prossima mossa. Aveva ancora vivo in mente il ricordo di quando, il giorno prima, proprio lì, si erano quasi baciati. Dopo un po’, Candy prese la parola.
— Volevo chiederti scusa per ieri. Non so dove avevo la testa! ero davvero stordita. Dev’essere stato l’effetto degli antidolorifici. Per favore, dimentica tutto quello che è successo, okay?
Kentin la guardò un attimo, per capire che cosa intendesse di preciso con “tutto”.
— Quindi le cose che mi hai detto non erano vere? — chiese, allarmato.
— Ehm, non proprio... Quando ho detto che in passato eri l’unico che ci teneva a me, era vero. E anche che ho finto di interessarmi a Castiel, solo per farti ingelosire...
— Allora mi stai dicendo che accetti di stare con me? — chiese, senza troppi giri di parole.
Candy alzò lo sguardo su di lui, lasciando trasparire una certa infelicità.
— Io vorrei... che rimanessimo amici — abbozzò un sorriso.
Amici. Forse una pugnalata al petto sarebbe stata meno dolorosa. Perché quella parola, così semplice e positiva, era in realtà maledettamente ingiusta.
Non poteva, arrivato a questo punto, chiedergli una cosa simile. Dopo tutto ciò che aveva dovuto passare per cercare di conquistarla, ora gli proponeva di rimanerle soltanto amico.
Ma quello era il momento di scegliere. Fra lui o lei. Avrebbe preferito continuare a combattere per raggiungere il proprio obiettivo, o rendere felice Candy, esaudendo il suo desiderio? La risposta fu ovvia.
— E va bene — ripose sommessamente. Lei allungò una mano, come a voler stipulare un patto. Kentin la strinse, sforzandosi di sembrare convinto. La scelta era stata fatta. Ora era impossibile tornare indietro.
— Tieni, avevo preso una cosa per te — esclamò Candy, di nuovo sorridente, estraendo dal cassetto del comodino una confezione di biscotti Prince — al cioccolato, i tuoi preferiti!
Kentin la prese con gioia. Anche in quella situazione Candy era in grado di scaldargli il cuore.
Dopo averla ringraziata, guardò l’ora: erano già le 7:30.
— Ora dovrei andare, è un po’ tardi — le spiegò, sperando che sua madre non si fosse accorta della sua assenza. — Tu sai già quando uscirai?
— Dovrei tornare a casa mercoledì — ribatté.
— Ma dovrai tenere le stampelle?
— Purtroppo sì...
— Capisco. Allora... a presto.
— A presto!
Kentin uscì dalla stanza e percorse in silenzio il corridoio dell’ospedale.
Rimanere amici. Avrebbe potuto sopportarlo?

La mattina seguente incontrò Armin ed Alexy appostati vicino al portone della scuola.
— Ciao. Tutto bene? — chiese Kentin.
— Sshh! Stanno per arrivare i genitori di Ambra — disse Alexy a bassa voce.
— Di già?
Un istante dopo due figure serie e composte si avvicinarono con passo svelto all’entrata. La donna indossava un abitino attillato color prugna, abbinato ad un coprispalle rosa chiaro. Poco sopra il décolleté era appeso un ciondolo dorato apparentemente di grande valore. In poche parole, una versione adulta di Ambra. Il volto, incorniciato da dei lunghi capelli biondi e lisci, era molto severo, ma non quanto quello dell’uomo che le era accanto, che non appena passò davanti ai tre ragazzi per entrare a scuola, rivolse un’occhiataccia ai vestiti di Alexy.
— Ma che ha da guardare, quel bifolco? — proruppe lui, infastidito.
— Abbassa la voce, potrebbero sentirti! — lo avvertì il fratello. Era la prima volta che Kentin vedeva Alexy arrabbiato.
— Ma che mi senta! E che venga qui, così facciamo un bel discorsetto. Da uomo a uomo. — Gli altri due si trattennero dallo scoppiare a ridere, ma poi intervennero per calmarlo.
— Dai, lasciali perdere. Vedrai che non faranno più tanto gli altezzosi, quando la loro figlia verrà punita.
Entrarono anche loro tre nell’edificio, scorgendo da lontano i genitori di Ambra che si dirigevano nell’ufficio della preside. Poi la loro attenzione fu catturata da delle strane ombre provenienti dalla fine del corridoio, proprio dietro l’angolo che dava sulle scale.
Incuriositi, si avviarono per vedere cosa stesse accadendo.
Oltrepassato il muro, sorpresero i loro compagni di scuola intenti a trafficare con uno strambo marchingegno posato sul suolo.
— Ma che diamine combinate!? — Esclamò Alexy.
— Fa’ silenzio! Cerchiamo di ascoltare la conversazione fra la preside e i genitori di Ambra! — sussurrò Rosalya mentre aiutava Peggy a far funzionare l’aggeggio.
— E se vi beccano?
— Non ci beccano. C’é Violet che sta facendo da palo — indicò l’altro lato del corridoio, dove la ragazza era appiccicata alla parete e si guardava continuamente attorno.
— Ma cosa credete di scoprire di tanto interessante? — intervenne Armin.
— Sicuramente c’è qualcosa di importante in ballo. La preside era agitatissima stamattina — rispose Rosalya.
— Dai, venite, c’è spazio anche per voi — disse Iris, facendo posto fra Melody e Kim. I tre ragazzi si aggiunsero al gruppo, sedendosi a terra e ascoltando con attenzione i primi suoni emessi dal registratore di Peggy.
La macchina era collegata tramite un filo ad un microfono posizionato accanto alla porta dell’ufficio della direttrice. Esso si trovava sul lato dei cardini, così che, se anche qualcuno avesse aperto la porta, non lo avrebbe potuto notare.
— Adesso inverto il segnale, così il rumore arriverà solo qui da noi — ragionò Peggy, pigiando su alcuni bottoni e regolando il pulsante del volume.
Le frasi iniziali erano un po’ disturbate, ma dopo un po’ le parole si fecero sempre più distinte.
— Spero non ci siano problemi con i voti dei nostri figli — fece una voce maschile, probabilmente quella del padre di Ambra.
— Non si preoccupi, non si tratta di questo — rispose quella della preside.
In quell’istante Violet cominciò a gesticolare, indicando che qualcuno si stava avvicinando ai ragazzi. Senza che nessuno avesse il tempo di muovere un dito, Nathaniel sbucò da dietro l’angolo.
— Che state facendo qui per terra!? E che cos’è quell’affare? — esclamò sdegnato. Peggy e Rosalya, che erano le più vicine al registratore, gli fecero segno di stare zitto e lo trascinarono sul pavimento di fianco a loro.
Stava per insorgere, ma la voce di sua madre catturò la sua attenzione.
— Come!? Nostro figlio ci ha detto che il colpevole era un altro ragazzo!
— Si è trattato di un equivoco. La sua cara figliola ha escogitato un piano per non farsi scoprire, ma grazie alla prova che ho ottenuto, la sua colpa è inequivocabile.
— E quale sarebbe questa prova? — la voce maschile si udì tuonare fuori dall’ufficio, anche senza bisogno del microfono.
— Aveva chiesto ad un’altra studentessa di condurmi sul luogo dell’incidente, proprio nel momento in cui esso avvenne. E se è stata proprio lei a confessarmelo, lei che è una grande amica di Ambra, allora non può che essere vero.
Altre proteste uscirono dalla bocca dell’uomo, ma vennero rese tutte vane dalle parole insindacabili della preside.
Intanto il colorito delle orecchie di Nathaniel si fece di un rosso cremisi. Gli altri si guardarono, immaginando lo stato di ansia in cui doveva trovarsi il delegato.
— E quindi cosa intende fare, ora? — domandò con più calma suo padre.
— Non c’è altra soluzione. Vostra figlia è espulsa dal liceo Dolce Amoris.
La preside parlò con impassibilità e chiarezza. Nessuno fiatò. Neppure i genitori di Nathaniel ed Ambra, in base a quanto rivelava il registratore.
Lui era rimasto con la bocca aperta, fermo come una statua di ghiaccio. Quelle degli altri, invece, si erano incurvate per formare degli stupefatti sorrisi.
Con un balzo immediato, il biondino si precipitò sulla porta dell’ufficio, ma Peggy e Rosalya scattarono appena in tempo per fermarlo.
— Non farlo, Nathaniel! Chi pensi che ci rimetterà, se ci fai beccare?
— Infatti! La preside si incavolerà anche con te, se scopre che stavi origliando! — gli bisbigliarono nell’orecchio, trattenendolo per le braccia.
Il ragazzo si calmò improvvisamente, si rimise a posto la camicia strattonata e tornò dietro l’angolo insieme agli altri.
Melody si accucciò accanto a lui, pensando a qualcosa da dire per consolarlo.
Intanto, il dialogo fra i suoi genitori e la direttrice continuava.
— Quindi non potrà andare alla gita a Londra?
— No, mi spiace.
— E i soldi del volo e dell’albergo? — chiese, alterata, la madre di Ambra.
— Oh, non si preoccupi, verrete rimborsati al più presto.
Il botta e risposta andò avanti per altri due minuti, finché la porta si aprì e Rosalya, Peggy e gli altri raccattarono in fretta e furia microfono e registratore, per poi andarsi a nascondere dietro alle scale.
Quando i tre adulti furono usciti dall’ufficio della preside, i ragazzi poterono finalmente gioire per l’incredibile notizia. Ma si frenarono, perché Nathaniel era lì ancora presente.
Se non fosse stato per la sua grande capacità di autocontrollarsi, sarebbe già esploso per lo shock. Cosa avrebbero pensato tutti, ora che era diventato il fratello di una persona non sospesa, non bocciata, ma addirittura espulsa dalla scuola?
Nessuno sapeva bene cosa dire, fino a quando Kim propose: — Beh, ragazzi, ora sarà meglio che torniamo nelle nostre classi. Sono già le 8:10.
Senza aggiungere altro, si diressero tutti nelle rispettive aule. Lontano dal delegato, Kentin poté finalmente esultare di soddisfazione. Ambra, il suo più grande nemico, se ne sarebbe andata per sempre dalla sua vita. Era questo quello che le spettava, dopo aver ferito a tal punto Candy. Però era come se ci fosse qualcosa che non andava. Era sicuro che gli fosse sfuggito un particolare.
Fu non appena varcò la soglia della sua classe, che se ne rese conto.
Ambra non era l’unica ad aver perso l’opportunità di andare in gita. Anche Candy non avrebbe potuto farlo, con una gamba rotta.





✤✤✤




Questo capitolo è stato un parto xD Ho avuto un blocco durato più di due settimane, a partire dalla scena in cui Kentin vedeva Candy in ospedale. Poi, chissà come, sono ripartita :°D
Il titolo mi piace un sacco, anche se sarebbe stato perfetto pure "Friendzone" ahahah XD Però era troppo spoileroso :/
Bene, ringrazio chiunque l'abbia letto :)
A presto!

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Capitolo 17
*** Brucia! ***




Capitolo 17


Brucia!







La pioggia cominciò a picchiettare veloce sul vetro della finestra, rompendo il silenzio che fino a pochi minuti prima aleggiava nella camera all’ottavo piano. Kentin era disteso sul letto a contemplare il soffitto, assorto nei mille pensieri che ormai da tempo lo tormentavano. Se la memoria non lo ingannava, Candy gli aveva detto che avrebbe dovuto tenere le stampelle per due settimane, quindi, se tutto sarebbe andato bene, l’1 Marzo avrebbe potuto toglierle. La gita si sarebbe svolta dal 3 al 7, perciò l’unica cosa che lui poteva fare era pregare che nulla andasse storto e che i suoi conti fossero esatti.
Dopo essersi alzato con fatica dal letto, Kentin si avvicinò alla scrivania, sulla quale il giorno precedente aveva posto il regalo di Candy. La confezione era ancora chiusa; quando l’ebbe scartata con attenzione, ne estrasse un biscotto e lo scrutò. Era proprio come quelli che aveva sempre preferito: due basi solide e croccanti collegate da uno spesso strato di cioccolato al latte. Il sapore dolce e zuccherino si diffuse in un attimo in tutta la sua bocca. Si rese conto che quel biscotto non era poi così diverso dalla sua Candy: fuori poteva anche essere duro e forse un po’ secco, ma all’interno racchiudeva una dolcezza tenera e irresistibile.
Ma a quanto pare era finita. Ora che il patto di amicizia era stato concordato, Kentin era destinato a non provare per lei nulla di più di semplice affetto. Tutte le illusioni, le convinzioni, gli stratagemmi, le sopportazioni che fino ad allora avevano dimorato in lui, si erano dunque rivelate inutili. La sconfitta subita ad inizio anno era stata l’occasione per maturare sia fisicamente che caratterialmente, tanto che, alla fine, era riuscito a sconfiggere a sua volta la sua aguzzina, sopraffatta dal prodotto stesso della sua prepotenza. Ma a cosa serviva l’espulsione di Ambra, se non era riuscito a raggiungere il suo vero scopo?
Poi c’era il discorso sul narcisismo. Inizialmente non aveva dato molto peso alle supposizioni di Rosalya riguardanti la sua doppia personalità, anzi, gli era sembrata solo una sfacciata; ma ragionandoci un po’ su, intuì che quella ragazza non aveva avuto tutti i torti. Ricordava bene le sue parole: aveva detto che in seguito al suo cambiamento, Kentin era arrivato ad amare il suo nuovo aspetto ed odiare quello precedente. Un’osservazione senza dubbio arguta, ma non del tutto esatta. Il fatto è che Rosalya ignorava un dettaglio. Dopo il miglioramento fisico, Kentin aveva sì capito di odiare il suo aspetto precedente, ma non perché quel ragazzetto frivolo e svampito coi capelli a scodella non piaceva a lui; bensì perché non piaceva a Candy. In poche parole, questo suo problema, la necessità di cambiare, seguita da quel forte sentimento per se stesso, in un certo senso erano stati causati dal suo amore per Candy. O almeno, questo era quello che credeva, prima della rivelazione-shock di quest'ultima in ospedale. Riportò alla mente quell'episodio, concentrandosi sull’immagine ancora viva del loro tenero abbraccio e delle loro calde lacrime, tentando di bloccare il ricordo a quell’attimo e di trascurare tutto quello che era successo dopo.
Anche quel gesto, però, non era significato niente per lei. Certo, non si poteva considerare un segno d’amore, tuttavia per Kentin era sembrato qualcosa di più: in quel momento non erano uniti col cuore, ma con lo spirito. Ed era certo che anche lei l’avesse intuito. La sua testardaggine però, insieme al suo incrollabile orgoglio, prevalsero sui suoi sentimenti (ammesso che anche lei lo amasse. Su questo Kentin non era ancora del tutto sicuro).
Ed eccolo, quindi, sconfitto come all’inizio, assaporare in silenzio l’unico regalo della persona da lui amata, dolce come il suo cuore e duro come il suo orgoglio. Ma dopotutto era sempre stato abituato, fin da piccolo, ad ingerire i colpi.

Il giorno seguente era mercoledì 18 Febbraio. Quando Candy arrivò a scuola, non ebbe nemmeno il tempo di mettere piede in classe, che già tutti i suoi compagni erano fuori a salutarla e ad abbracciarla, come se non la vedessero da secoli. Portava, come aveva detto, le stampelle, ma la sua salute era senza dubbio migliorata; era tornata la ragazza allegra e vivace di sempre. Kentin la osservava dal suo banco con un velo di malinconia, ma nonostante tutto era felice di rivederla in forma.
All’intervallo la vide dirigersi in Sala Delegati con alcuni fogli in mano assieme a Rosalya, probabilmente per giustificare la sua assenza nei due giorni precedenti. Uscito in cortile, individuò Armin ed Alexy che chiacchieravano in disparte. Fece per avvicinarsi a loro, ma la sua attenzione fu catturata da una figura alta e femminile che sembrava chiedere con disinvoltura informazioni ad un gruppetto di ragazzi poco distanti da lui. Probabilmente non era un’alunna del liceo, anche perché il giubbottino sopra l’ombelico ed i pantaloncini quasi inguinali - abbigliamento decisamente troppo leggero per il clima invernale - sarebbero stati senza dubbio disapprovati, o quantomeno considerati eccessivamente trasgressivi, da parte della direttrice.
Dopo qualche secondo la ragazza salutò la schiera di studenti e si diresse verso il portone della scuola. Quando Kentin la vide in faccia, si voltò immediatamente dall’altra parte. La conosceva. Erano vecchi compagni di scuola. Premurandosi di non farsi vedere, raggiunse quasi di corsa i due gemelli, che a quanto pare l’avevano già adocchiata.
— Secondo me è straniera — disse Alexy al fratello.
— Ma no, non sentivi come parlava bene il francese? — replicò Armin.
— Non è straniera, è di Antibes — intervenne pronto, Kentin.
— E come fai a saperlo?
— È una mia ex compagna di classe. Eravamo nella stessa scuola sia alle elementari che alle medie — rispose secco, fissando l’entrata del liceo.
— Wow, presentacela allora! — esclamò Armin.
— Non ho intenzione di salutarla! E poi dubito che vi piacerebbe.
— Perché mai? Sembra simpatica. E poi brutta non è — fece Alexy. Gli altri due lo guardarono straniti. Lui riprese: — Che c’è? Un maschio e una femmina non possono essere semplici amici?
— Fidati: non è tipo da accontentarsi di una semplice amicizia — ribatté Kentin.
— Che intendi dire? — Ma la risposta non poté arrivare, perché in quel momento la ragazza uscì dal portone, in compagnia di Candy, Nathaniel e Rosalya.
— Guarda, se non sarai tu a presentarcela, allora lo farà Candy — propose Alexy, mettendosi ad agitare in aria le braccia, per farsi vedere dalla diretta interessata.
— No! Cosa fai! — Kentin cercò di fermarlo, ricorrendo più che altro ad un placcaggio, ma fu del tutto inutile. Bastò un attimo, che i quattro si accorgessero di loro e gli venissero incontro.
Erano proprio di fianco a lui, ma Kentin non era intenzionato a girarsi. Continuando a guardare dall’altra parte, lasciò che Candy presentasse Armin ed Alexy alla nuova ragazza, che si chiamava Leti. Subito questa prese a stringere calorosamente le loro mani, ripetendo quanto gentili e disponibili fossero i ragazzi del Dolce Amoris.
— Mi è bastato incontrarne due o tre, che me ne ero già innamorata! della scuola, intendo. Ahah! Sono venuta a trovare Candy appena ho saputo del suo incidente. Povera, non se lo meritava: è la compagna di banco più cara che si possa desiderare - e qui la cinse in un breve abbraccio - però ho saputo che la ragazza che ha causato la sua caduta è stata espulsa. Se lo meritava, ben le sta! — fece una pausa. Tutti si accorsero che alla sua sinistra Nathaniel era diventato paonazzo, però non dissero niente. — E lui!? non me lo presenti? — urlò improvvisamente a Candy, accorgendosi di Kentin.
Lei rimase senza niente da dire, probabilmente perché non aveva molto senso presentare due persone che si conoscevano già da dieci anni. Accorgendosi, però, di non avere tanta altra scelta, rispose titubante: — Ehm, lui è Kentin...
— Piacere! — A Leti le si illuminarono gli occhi, nell’afferrare e scuotere con due mani la mano dell’ex compagno di classe evidentemente non riconosciuto. Kentin, che avrebbe preferito volentieri evitarlo, fu costretto a voltarsi verso di lei e a lasciare che una delle sue braccia venisse arpionata dagli arti possessivi della ragazza.
— Allora, Kentin: sono tutti carini come te in questa scuola? Ahah! — A questa domanda di Leti tutti sorrisero, eccetto Candy. E Kentin ovviamente. In realtà anche Nathaniel. E pure Rosalya non è che fosse deliziata dal comportamento della nuova arrivata. Soltanto i gemelli sembravano divertiti dal suo carattere alquanto frivolo.
Notando, però, il grande interesse con cui Leti ammirava estasiata il volto e il corpo di Kentin, gli altri pensarono che fosse meglio lasciarli da soli e, con un’occhiata comune, si allontanarono quatti quatti dalla felice coppietta. Ma non era dello stesso parere Candy, che, sebbene tirata più e più volte per il polso da Rosalya, alla fine se ne stette di fronte a loro, continuando a guardare Leti piuttosto di traverso.
Kentin, invece, si trovava abbastanza in imbarazzo, soprattutto dopo che gli altri erano stati così adorabili da lasciarlo in balia di quella gattamorta. Sapeva che lei faceva così un po’ con tutti i ragazzi, e forse era proprio questo che gli dava fastidio, ma più che altro non aveva mai potuto reggere la sua vocetta acuta e sgraziata. Compresi quei suoi “ahah!” per lui al limite della sopportazione. Certo, non si poteva dire che fosse sgradevole di aspetto, anzi, forse era bella quanto Candy, però non aveva dimenticato che alle elementari ed alle medie lei era una di quelle che non si facevano problemi a prenderlo costantemente in giro.
In un lampo, però, ebbe un’intuizione. Alla domanda che gli aveva posto poco prima rispose: — Beh, certo che no — e sfoggiò un sorriso a trentadue denti. In quel momento, infatti, lui non era più lo stesso delle elementari; quindi non c’era niente di male nell’approfittare un po’ dell’ignoranza (intesa in tutti i sensi) di Leti. E poi: perché Candy era ancora lì?
La ragazza rispose con un altro dei suoi striduli “ahah!” e si strinse ancora di più al braccio di Kentin.
Candy cominciò ad agitarsi, ma molto maggiormente dopo che Leti senza un minimo di pudore chiese al suo interlocutore se fosse single. Lui rispose tranquillamente di sì e lei concluse: — Ah, perfetto, anche io! — dopodiché si sorrisero entrambi.
A quel punto Candy non poté non intervenire.
— Dai, smettila con queste domande, Leti — cercò di mantenersi educata.
— Perché? Non c’è niente di male nell’essere un po’ curiosi — fu la risposta di Leti, che non la smetteva un secondo di guardare i due prati freschi d’estate.
— Sì, ma forse tu lo sei un po’ troppo — Candy la prese per un braccio, per farla staccare da quello ormai atrofizzato di Kentin.
— Eddai! A Kentin non do fastidio, no? — insistette lei, senza permetterle di venire divisa dal ragazzo. Lui intanto non parlava; non per l’imbarazzo o perché non sapesse cosa dire, ma per non far uscire le risate che con gran difficoltà stava riuscendo a soffocare.
— Leti, lascialo andare — la voce di Candy si era alzata di almeno quaranta decibel.
— No. Mica sei la sua ragazza! — e ormai pure quella di Leti.
— Che ne sai tu!? — urlò istericamente Candy.
— Ha appena detto di essere single!
Kentin non ce la faceva più. Vedere due ragazze litigare per lui era uno spettacolo che capitava una volta nella vita. Inoltre, da come stavano procedendo le cose, la prospettiva di un’azzuffata tra femmine il cui oggetto di contesa era nient’altro che lui, non poteva che esaltarlo, al solo pensiero. Invece quello che accadde subito dopo non se lo sarebbe aspettato nessuno; nemmeno la stessa Leti.
Candy volse lo sguardo su di lui, e con un’assoluta nonchalance gli si avvicinò con la massima velocità che le permettevano le stampelle, le lasciò cadere a terra e gli stampò un bacione sulla bocca.
La scena spassosa di qualche secondo prima si volatilizzò dalla mente di Kentin. Tutto il divertimento contenuto a fatica dentro di lui mutò in confusione più che totale. Non vedeva altro che gli occhi chiusi e vicinissimi di Candy, davanti a lui. Sopra e ai lati era tutto buio.
Giurò di essere svenuto. E quello doveva essere un altro dei suoi soliti sogni illusori, nati dal desiderio di un happy ending con Candy.
Sì, era sicuramente svenuto. Magari per la pressione troppo forte esercitata da Leti sulle arterie del suo braccio. Ma chi era, Leti? No. L’unica ad esistere in quel momento era solo Candy. E quello che stava accadendo era reale, non un sogno. Niente di troppo strano, a dire il vero: un semplice bacio a stampo senza nulla di passionale o approfondito. Abbastanza freddo, a dire il vero. Forse, senza nemmeno un valore. Forse, con l’unico scopo di dimostrare qualcosa a qualcuno. Eppure, anche se non aveva un significato, quel gesto era bastato per fargli letteralmente uscire il cuore dal petto, lasciandolo con un vuoto tuttavia immediatamente colmato da un calore bruciante, simile a quello che aveva provato con lei in ospedale la domenica prima. L’aria gelida di Febbraio a contatto con la sua pelle fu in un attimo riscaldata, perché ogni fibra del suo corpo era in ebollizione. Soprattutto le guance e il collo su cui erano premute le mani di Candy. Mani che sperò non prendessero fuoco, per la temperatura troppo elevata della parte che stavano toccando. E, ovviamente, le labbra, che non sentiva nemmeno più. Probabilmente erano evaporate. Ma se il suo cuore se ne era già andato e la pelle era ormai carbonizzata, ora anche il cervello poteva tranquillamente scoppiare da un momento all’altro, impegnato a gestire troppe e contrastanti emozioni. Per non parlare dei polmoni e di tutte le vie respiratorie: in quel breve frangente Kentin ringraziò il cielo di non essere nato asmatico, altrimenti era sicuro: sarebbe stato spacciato; ma comunque, la condizione in cui si sentì ridotto non era migliore. Forse quando si muore, non si prova qualcosa di tanto diverso.
Dopo due secondi esatti - che però a Kentin erano sembrati davvero un’infinità - Candy si staccò da lui e, molto rossa in volto, si girò di nuovo verso Leti, dicendole: — Questo ti basta? — poi, come se niente fosse, raccolse le sue stampelle, fece cenno a Kentin di seguirla, e si allontanò verso il lato ovest del liceo.
Certo, doveva avere una concezione abbastanza strana dell’essere amici.


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Capitolo 18
*** Simile ***




Capitolo 18


Simile







Probabilmente c’era sotto un inghippo.
Quella era stata senza dubbio l’azione più inaspettata, piacevole e folle che potesse capitare, ma proprio per questo doveva celare un tranello. Oltretutto, la volontà di Candy non poteva essere cambiata così velocemente, da un giorno con l’altro.
Dopo che lei lo aveva lasciato andare, Kentin aveva avuto l’impressione di risvegliarsi da un sonno durato cent’anni, o meglio, da un’esperienza di premorte (strano che un semplice bacio potesse a tal punto sfinirlo!). L’immagine sfocata del volto della sua presunta amica si era fatta sempre più nitida, ma era durata ben poco, perché lei aveva quasi subito levato le tende. Lui, quindi, la aveva seguita zitto, come richiesto, senza preoccuparsi di lasciare Leti da sola e con la mandibola a terra. Ma nonostante si sentisse ancora frastornato, era abbastanza lucido da capire che tutto ciò era troppo bello per essere vero. Mentre le era dietro, però, non poté fare a meno di sorridere per i movimenti un po’ goffi causati dall’intralcio delle sue stampelle, che parevano più che altro dei trampoli.
Candy si fermò sotto al gazebo della scuola, che si trovava sul fronte sinistro dell’edificio, lontano dal cortile e da orecchie indiscrete. A proposito: chissà se qualcuno aveva visto la scena, a parte Leti.
Una volta raggiunta, Kentin rimase a fissare l’edera sempreverde che si arrampicava sulle sbarre gelide sopra di lui: — Da quando in qua “amica” è sinonimo di “fidanzata”? — domandò tranquillamente, infilando le mani in tasca.
Candy sorrise, ma con altrettanta calma rispose: — L’ho fatto solo per salvarti da Leti!
Sì, lo immaginava. Questa volta non poteva dire di esserci cascato; anche se aveva perso il conto di tutte le volte che si era illuso di piacerle. Ma un po’ gli dispiaceva, ad essere sincero.
— Spero non ti sia arrabbiato — continuò la ragazza. Arrabbiato? Semmai è l’opposto! — Sai com’è fatta Leti: bisogna essere diretti con lei, altrimenti, una volta che ha avvistato la sua preda, non la molla più.
— Già, hai ragione, è sempre stato difficile schiodarla da qualcuno. Però sembra che ti abbia dato fastidio il modo in cui mi parlava — e mi guardava, e mi toccava, replicò prontamente, tornando a sorridere.
Candy rise e arrossì, ma disse ancora: — Stai fraintendendo: io l’ho fatto per aiutare te!
— E chi ti dice che non mi andasse bene?
— Vuoi dire che ti piace Leti?
— E anche se fosse? — Il dialogo stava prendendo una piega scherzosa, quindi Kentin decise di stare al gioco. Ma Candy diventò improvvisamente seria, rifletté per qualche istante e poi si schiarì la voce. — Non ci trovo niente di particolarmente speciale in lei — affermò con aria indifferente, incrociando le braccia.
— Vediamo... è alta... magra... e carina — la stuzzicò.
— Anche io sono carina.
— E aggiungerei modesta!
— Ha parlato quello con l’ego smisurato! — I due scoppiarono a ridere, sinceramente divertiti dalle loro battute. Ecco cosa voleva dire essere amici: poter scherzare in libertà, senza prendersi troppo sul serio e senza paura di rovinare il rapporto creato. In quell’istante Kentin era felice. Avrebbe voluto che ogni momento passato con Candy fosse così; ma quanto sarebbe stato meglio poter vivere quegli attimi da coppia!

I giorni che seguirono furono, nel complesso, tutti uguali. Per Kentin ora, parlare con Candy era molto più facile e rilassante: non la guardava più con malinconia e desiderio ogni volta che le rivolgeva la parola, non aveva più quella sensazione di angoscia data dalla paura di non essere ricambiato, e il peso che lo opprimeva durante i loro dialoghi era sparito del tutto, lasciandolo leggero e con una nuova energia. Pensò che la ragione risiedesse nell’amicizia da loro stipulata e che forse non era stata una cattiva idea; si sentiva libero, più tranquillo e più sollevato di prima. Inoltre, lei sembrava voler passare più tempo con lui, che con gli altri compagni di scuola; non solo: pareva quasi inquieta quando non erano insieme, e Kentin non poté non assecondarla in questa sua volontà.
Lo stesso giorno in cui era arrivata Leti - che in seguito scoprì essere stata l’unica ad aver assistito al loro bacio, e con la quale alla fine si riappacificarono prima che se ne fosse andata - aveva chiesto a Candy informazioni riguardanti la sua possibilità di venire in gita. Lei gli aveva risposto che avrebbe tolto il gesso in tempo per il giorno della partenza, ma che non sapeva se la sua gamba sarebbe stata pronta per il viaggio. Poi le aveva fatto sapere che se non ci fosse andata lei, allora nemmeno lui sarebbe partito: a questa frase Candy rise, ma egli era ben consapevole di non stare scherzando.
Durante quelle due brevi settimane che lo separavano dall’avventura a Londra, notò anche che si era aggiunto un nuovo elemento al solito gruppetto con cui passava l’intervallo. Nathaniel, infatti, dopo l’allontanamento di Ambra, soleva trascorrere il tempo con lui, Candy, Rosalya, i gemelli e le altre, in misura maggiore di prima. Altresì, la presenza sempre più abituale del delegato sembrava avere un curioso effetto disinibitore su Alexy e Melody: intervenivano, commentavano e facevano gli spiritosi più di quanto non erano soliti farlo in precedenza.
Kentin pensò che forse Alexy ne sapeva qualcosa, a proposito dell’improvvisa e insolita compagnia offerta dal biondo, perciò gli chiese se avesse potuto fornirgli un ragguaglio. Il gemello gli spiegò che i compagni di classe di Nathaniel, dopo l’espulsione della sorella, avevano cominciato ad isolarlo e a discriminarlo, e per questo si sentiva depresso. — Quindi se ne sta con noi. Ma meglio, no!? — gli aveva detto infine.
Pochi giorni dopo fu lo stesso delegato a rivolgergli la parola di sua spontanea volontà, facendolo accomodare in Sala Delegati e invitandolo a sedersi. Si scusò con lui per averlo accusato ingiustamente della colpa commessa da Ambra e per averlo trattato come un bambino.
— Non ti preoccupare, è acqua passata — gli rispose con sincerità.
— E lei ha avuto quello che si meritava — affermò Nathaniel, sedendosi su una sedia accanto a lui. Poi aggiunse: — Una volta mi dicesti che era stato a causa sua, se te ne eri andato da questa scuola — e chiese che gli spiegasse meglio quello che era accaduto, perché lui lo ignorava.
Kentin gli raccontò tutta la faccenda, cercando involontariamente di non far pesare troppo la cattiveria commessa da Ambra nei suoi confronti.
— Perché non avete detto niente? Non dico ai nostri genitori, ma quantomeno alla preside — esclamò Nathaniel, voltandosi verso di lui.
— Mio padre non è quasi mai a casa e mia madre ed io non ce la sentivamo di lamentarci per un fatto risalente a quattro mesi prima.
— Ma dovevate dirlo. Doveva essere punita!
— Hey, dai, è tua sorella.
— Ma non merita il mio perdono. Se ora sono in questa condizione, lo devo a lei. Se adesso i miei compagni mi disprezzano e mi considerano un fallito, lo devo alla sua cocciutaggine e alla sua propensione nel combinare guai — disse tutto d’un fiato. Kentin non si aspettava una tale presa di posizione da parte sua nei confronti della sorella, né che desse così peso al giudizio esterno.
— Non pensavo ti importasse tanto degli altri — disse infatti.
— All’apparenza no. Ma sotto la maschera, l’idea di non piacere a qualcuno mi è insopportabile — rispose distogliendo lo sguardo dal suo interlocutore. Kentin si rese conto che anche lui segretamente la pensava così. A quanto pare erano più simili di quanto sembrasse.
— E ora tutti mi odiano. Non sono più il bravo e affidabile studente modello, ma solamente un inutile e capriccioso damerino — I suoi occhi erano scesi fino al pavimento. Kentin poté leggere in essi il terrore e la sofferenza più grande che avesse mai incontrato. — Probabilmente non sai cosa si prova ad essere esclusi da tutti, ad entrare in classe col costante timore che tutti ce l’abbiano con te. Per uno stupido legame di parentela, mi riservano questo trattamento, e per la seconda volta. — Su questo sicuramente si sbagliava. Seppe subito cosa rispondere, anche se non riusciva a cogliere il significato dell’ultimo complemento.
— Fidati, so benissimo cosa si prova ad essere denigrato dagli altri — fu la sua immediata replica. Dopo una pausa, continuò, guardando un punto indefinito dritto davanti a sé: — In un primo momento li ignori, cerchi di essere superiore; ma più va avanti, e più finisci con l’ascoltarli e col credere che abbiano ragione. Finché non rimani completamente solo; anche quelli che si dicevano tuoi amici ti voltano le spalle, e perdi tutte le speranze. — Si fermò. Non si pentì di essersi lasciato trasportare; ripensò brevemente al suo passato, poi, voltandosi a guardare Nathaniel negli occhi, disse: — Ma tu non devi ancora abbatterti. Noi, io, Candy, Rosalya, Alexy, Melody, Armin, Iris, Violet e Kim, siamo tutti disposti ad aiutarti.
— Come puoi esserne sicuro?
— L’hanno fatto con me. Chi più chi meno, ma comunque mi hanno aiutato a rialzarmi. Faranno, anzi, faremo lo stesso con te.
Lui sorrise. — Ti devo ringraziare — fece. — Non mi aspettavo che ti saresti rivelato così gentile con me. — E in quel momento un guizzo di speranza scaturì da quegli occhi tristi e benevoli.
— Come mai? — chiese Kentin.
— Insomma, pensavo ce l’avessi con me, dopo tutte le volte che mi avevi visto in situazioni così ambigue con Candy!
— Che c’entra Candy? — chiese un po’ ingenuamente.
— Perdonami se sbaglio, ma sembrate molto uniti voi due. Mi era parso di intuire che provassi qualcosa per lei.
Kentin arrossì leggermente, ma alla fine rispose in un sorriso: — Sì, è vero. Però per lei sono solo un amico.
Nathaniel abbassò il capo, con evidente dispiacere. — Puoi sempre dimostrarle di essere il migliore amico — ragionò tra sé e sé.
— Hai ragione, — ma prima che potesse continuare, suonò la campanella che poneva fine all’intervallo. Così, dopo essersi alzato ed averlo salutato, si incamminò verso l’uscita della Sala. Prima di uscire, però, si arrestò sulla porta e, girandosi, rivolse queste ultime parole al delegato: — Nathaniel, non sei un fallito. Sei una persona saggia e intelligente. — E dopo che si furono scambiati un reciproco sorriso, se ne andò.





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Capitolo 19
*** Sonno ***




Capitolo 19


Sonno







Kentin sospettò che lo scopo di Ambra fosse sempre stato quello di impedire a Candy di andare in gita. Ne ebbe la conferma una mattina a scuola, quando Nathaniel gli spiegò che la sorella aveva confessato tutto ai loro genitori. — Ha detto che non poteva permettere a Candy d’interporsi tra lei e Castiel. Era sicura che in gita sarebbe successo qualcosa fra di loro, e perciò ha tentato di toglierla di mezzo. Valle a capire, le donne.
— Ma quindi ora che fine ha fatto? — gli domandò Kentin.
— Mio padre l’ha mandata in un istituto femminile fuori città. Stiamo cercando di farle mettere la testa a posto, ma non so a quanto possa servire...
Intanto il giorno della partenza si avvicinava. L’ultimo venerdì in cui Kentin poté vedere Candy prima della gita, le chiese di chiamarlo appena avesse saputo se fosse venuta o meno, mentre il giorno seguente venne a casa suo padre per salutarlo in vista del viaggio. Il lunedì del 2 Marzo Candy non venne a scuola, perché doveva togliere il gesso. Quel giorno fu molto difficile far lezione, poiché tutti gli studenti erano in fibrillazione per la gita che avrebbe avuto inizio il giorno successivo. Tutti tranne Kentin, il quale temeva per quello che le avrebbe detto l’amica. Una volta a casa si limitò a controllare che tutti i bagagli fossero pronti e ad attendere la sua telefonata. Aspettò per ore, ma, arrivata la mezzanotte, capì che non sarebbe mai arrivata. “Spero si sia solo dimenticata...”. Pensò di chiamarla lui, ma ormai era troppo tardi e sicuramente Candy era già a letto. Decise allora di rassegnarsi: avrebbe saputo la verità direttamente a scuola il giorno dopo.
Quella notte ci mise molto per addormentarsi. L’indomani si sarebbe dovuto svegliare presto, ma non aveva per niente sonno. Siccome la sua vita non era mai stata rose e fiori, era facile per lui temere il peggio; che cosa avrebbe fatto, se Candy non fosse venuta? Non avrebbe avuto senso andare in gita senza di lei: anche se con gli altri andava ormai d’accordo, sarebbe stato noioso. Però sua madre non gli avrebbe permesso di restare a casa; a quanto pare, non c’era una soluzione. È inutile struggersi con questi pensieri: tanto lo so che finisce male. Mi è sempre andata così. Stanco di doversi sempre deprimere, cercò qualcos’altro su cui meditare, così da distogliere la sua mente da Candy.
Pensò a chi sarebbe venuto a Londra. Le classi erano in totale tre: due di terza e una di quarta; di quest’ultima conosceva solo Nathaniel e Castiel, mentre nell’altra terza c’erano i gemelli, Karla e Peggy; complessivamente erano una quarantina di studenti. L’appuntamento era stato fissato per le 7:00 in cortile e ovviamente non erano ammessi ritardi.
Continuò per una buona mezz’oretta a fantasticare sul volo in aereo, l’atterraggio in Inghilterra e i luoghi da visitare, finché, abbandonato all’abbraccio di Morfeo, si addormentò.
Il gran giorno cominciò alle sei in punto. Dopo essere stato schiodato a forza dal letto dalla madre, con grande fatica si vestì e raccolse tutti i bagagli, dopodiché si diresse verso la scuola insieme a lei e ad Annette, che aveva insistito per venire a salutare il fratello prima della partenza.
La stanchezza dovuta alle poche ore di sonno si fece sentire, tanto che quando uscì di casa mancavano solo dieci minuti alle sette. Presero a camminare tutti e tre velocemente, ma questo lo fece diventare solo più nervoso. Inoltre, di lì a poco, avrebbe potuto constatare con amarezza che Candy non sarebbe stata al suo fianco in gita. L’ansia crescente gli fece desiderare di scappare. Sì, ecco la soluzione che cercava: poteva fuggire. Ma no, che razza di idea. Ormai il liceo era dietro l’angolo, il punto di ritrovo già gremito di studenti, il cancello a pochi passi... Si fece coraggio ed entrò in cortile.
In un primo momento il gran vociare della folla lo mise in agitazione, ma poi partì a scandagliare tutti i presenti. Molti ragazzi che conosceva solo di vista, qualche professore, sulla destra Violet insieme a suo padre, altri studenti, i gemelli, Nathaniel e sua madre, poco più distante Castiel che veniva abbracciato contro la sua volontà da una donna coi capelli rossi, Iris e Melody, altri insegnanti che parlavano con la preside, Rosalya che chiacchierava con Kim.
Controllò una seconda volta, poi una terza, ma come c’era da aspettarsi, nessuna traccia di Candy. Guardò l’orologio: erano già le sette. Se Candy fosse venuta, di certo non sarebbe arrivata in ritardo.
Quindi ciò che aveva temuto si era realizzato.
Quindi alla fine Ambra aveva vinto.
Sentì il sangue ribollire di rabbia. Possibile che dopo così tanta fatica, quella strega l’avesse davvero spuntata? Ormai non ne poteva più di tutta quella storia. La delusione era talmente grande, che non trovò nemmeno la forza di protestare.
Con le gambe che sembravano di cemento, si girò verso sua madre per salutarla. — Mi raccomando, portati sempre dietro il k-way quando sei fuori: sai bene che in Inghilterra può mettersi a piovere anche quando è bel tempo — lo avvisò la donna, sistemandogli il colletto della camicia.
— Sì, mamma...
— E ricordati di lavare i denti almeno la sera.
— Mamma!
Terminate le esortazioni della madre, fu il turno di Annette, la quale, appendendosi al collo del fratello, lo pregò di pensare a lei ogni giorno.
— Va bene Annette, ma adesso mollami.
— Non voglio che te ne vada!
— Annette, per favore. — Non era in vena di scherzi.
Alcuni studenti che erano attorno si girarono per assistere alla scena, ridacchiando divertiti. Kentin fece di tutto per scollarsela di dosso, ma non ci fu verso di smuoverla.
— Beh, intanto io vado a salutare i genitori dei tuoi compagni — riferì la madre, prima di allontanarsi verso la folla.
— Ti prego, non te ne andare! — gridò la sorellina, stringendolo ancora più forte.
— Annette, lo capisci che devi lasciarmi? — insistette lui, cercando di dividere le due piccole mani, unite saldamente sotto la sua nuca.
— Hai bisogno di aiuto? — Una voce alle sue spalle lo distrasse dalla presa ferrea della bambina. L’avrebbe riconosciuta in mezzo ad altre cento.
Kentin, che fino a quel momento era stato costretto a rimanere chino e agganciato alla sorella, in un attimo si raddrizzò, facendola rimanere appesa a lui, con i piedi a mezz’aria.
Si voltò velocemente: c’era Candy proprio lì davanti, in carne ed ossa. Non riuscì a parlare, tanto era stupito e allo stesso tempo contento di vederla.
— Aspetta, ci penso io — disse lei. Dopodiché si avvicinò e cominciò a fare il solletico sotto le ascelle di Annette, la quale immediatamente mollò la presa e saltò giù, ridendo.
— Alla fine ce l’hai fatta — riuscì a dire Kentin, senza staccarle gli occhi di dosso.
— Già.
— Ma la tua gamba è guarita?
— Sì, riesco a muoverla benissimo — rispose Candy, mostrando che poteva piegarla senza problemi.
— Sono davvero felice! — esclamò Kentin, rivolgendole un grande sorriso. — Allora, sei pronta per il viaggio?
Prima che la ragazza fosse in grado di rispondere, Annette si fece avanti e prese la parola.
— Tu sei Candy, vero? — domandò, guardandola dall’alto in basso. Lei annuì, quindi riprese: — Sai, il mio fratellone parla sempre di te: dice che sei b... — ma Kentin si precipitò prontamente a tappare la bocca della sorellina, che emise solo un mugolio indistinto, provocando le risa di Candy.
Colto dall’imbarazzo, cercò di allontanarla, prima che avesse potuto rivelare tutto quello che sapeva. — Annette, va’ dalla mamma — le intimò, pronunciando l’ordine a denti stretti e spingendola in un’altra direzione.
Dopo che la bambina se ne fu finalmente andata, Kentin fece per aprir bocca, ma alcune persone alle sue spalle cominciarono ad urlare il nome di Candy, impedendogli di parlarle per l’ennesima volta. Poco più tardi arrivarono Rosalya, i gemelli e tutti gli altri compagni di classe, che circondarono la ragazza, chiedendole come stesse ed esprimendole tutta la loro gioia nel vederla.
La conversazione non durò però molto, perché tutti gli studenti furono chiamati dai professori Faraize, Moreau e Stikonski per l’appello; dopo aver raccolto tutte le presenze, li fecero salire sull’autobus che li avrebbe condotti in aeroporto. Salutata per l’ultima volta la sua famiglia, Kentin andò a caricare la propria valigia sul veicolo e vi salì insieme ai suoi compagni.
Cercò con lo sguardo Candy, con l’intenzione di proporle di sedersi vicini, ma la vide quasi subito in coppia con Melody, perciò cercò altri due sedili liberi e si posizionò vicino al finestrino.
Ancora non riusciva a credere che Candy sarebbe venuta in gita. Nell’istante in cui aveva sentito la sua voce si era sentito letteralmente rinascere, quasi come un viandante che trova l’acqua nel deserto.
Mentre stava vaneggiando con questi pensieri, avvertì una presenza alla sua sinistra. Prima che potesse girarsi per vedere chi fosse, qualcuno gli chiese: — Ciao, è libero questo posto? — Di fianco a lui c’era Karla che gli sorrideva gentilmente.
— Certo, siediti pure — le rispose. La ragazza prese posto sul sedile accanto e appoggiò per terra davanti ai suoi piedi lo zainetto.
Kentin non la conosceva ancora bene, però sembrava simpatica. Aveva sempre un atteggiamento composto ed educato, ma quegli occhi verdi come i suoi celavano un’aria furba e sveglia.
— Allora, sei emozionato per il viaggio? — domandò voltandosi verso di lui.
— Sì, molto, però sono distrutto perché ho dormito pochissimo — ribatté Kentin, stropicciandosi gli occhi con le dita della mano.
— Puoi sempre dormire in aereo — osservò Karla.
Non gli era venuto in mente, ma gli sembrò un’ottima idea. — Caspita, — le disse — sei un genio a risolvere i problemi! — e ripensò a quando lo aveva aiutato ad incastrare Ambra.
La ragazza sorrise e arrossì piano.


Verso le otto il pullman arrivò all’aeroporto di Nizza. Professori e alunni si diressero al check-in con le valige in mano e, dopo che tutti ebbero ricevuto la propria carta d’imbarco, si avviarono verso il loro gate, attraversando i vari controlli di polizia.
Il metal detector suonò per alcuni studenti, tra cui Nathaniel, che dovette venire perquisito da un’agente. Kentin e Candy si divertirono nel vedere le occhiate gelose di Melody e Alexy, mentre la signora passava le sue mani sul corpo imbarazzato del delegato.
Dopo aver superato tutti i controlli, raggiunsero velocemente l’area d’imbarco. Mentre la maggior parte dei ragazzi era in giro per i negozi dell’aeroporto, Kentin decise di approfittare dell’attesa per schiacciare un pisolino, perciò scelse una sedia e vi si rannicchiò sopra.
Stava già assopendosi, quando venne svegliato dall’arrivo di Candy.
— Ciao! Che posto hai? — gli chiese, tirando fuori la propria carta d’imbarco.
Kentin estrasse la sua dalla valigia e controllò il numero. — Il 23D — rispose.
— Ti va di sederti vicino a me? Sono capitata di fianco a Peggy e non credo che potrei sopportare la sua parlantina per tutto il viaggio. Se le chiedo di cambiare posto, sicuramente accetterà.
Lui rimase un attimo a pensare. Sorrise all’idea che la prima scelta di Candy fosse ricaduta su di lui.
— D’accordo — disse.
— Va bene, vado a dirlo a Peggy — esclamò sorridendo. Dopodiché tornò da dove era venuta.
Dopo un’ora e mezza circa, la porta del loro gate venne aperta. Il gruppo entrò nel panico, quando, dovendo mostrare per l'ultima volta i loro documenti agli addetti, il professor Stikonski annunciò di aver smarrito la sua carta d'identità. Pochi minuti dopo, però, arrivò Faraize, il quale gli ricordò di averla affidata a lui nell'ora precedente.
Sistemato ogni inconveniente, alunni e professori poterono finalmente salire sull’aereo. Una volta dentro, Kentin e Candy si sedettero sui loro posti ed attesero il decollo.
Il viaggio fu piuttosto tranquillo, a parte un paio di turbolenze, durante le quali alla mano sinistra di Candy capitò involontariamente di stringere quella destra di Kentin.
Quando le ultime casette francesi cominciavano a scomparire sotto le nuvole, lei gli chiese con una certa indifferenza: — Come è andato il viaggio in pullman?
— Bene — fece Kentin. — Perché?
— Ho visto che Karla si è seduta accanto a te. Spero non ti abbia dato fastidio.
— No, affatto! È una bravissima persona.
A quelle parole le guance di Candy assunsero varie tonalità di rosso. — Perché dici così? — insistette Kentin.
— No, niente. È che era pur sempre un’amica di Ambra — rispose. — Di cosa avete parlato? — chiese poi, sorridendo quasi forzatamente. Kentin aspettò a rispondere, per cercare di capire dove Candy volesse andare a parare. — Di niente, mi sono addormentato quasi subito — affermò, rendendosi conto che la stanchezza non l’aveva ancora abbandonato.
— Hai dormito poco stanotte?
— Sì, stavo aspettando la tua telefonata — disse sbadigliando profondamente.
— Hai ragione, scusa. Ho passato tutto il weekend a persuadere i miei a farmi venire in gita, perché loro non volevano. Fino a ieri sera pensavo che non sarei potuta partire, ma proprio stamattina, senza che io gli dicessi niente, hanno cambiato idea e mi hanno permesso di venire! Per questo sono arrivata un po’ in ritardo a scuola.
Kentin guardava Candy teneramente, soffermandosi più sui suoi lineamenti e sulla sua dolce voce, che sul significato delle sue parole. Poté solo rispondere: — Sono contento che ci sia anche tu — prima di chiudere lentamente gli occhi e sprofondare nel sonno.
L’ultima cosa che ricordò, prima di addormentarsi, fu il delicato volto di Candy sorridergli amabilmente.





✤✤✤




Buonasera a tutti :)
Se devo essere sincera, questo capitolo l'ho odiato. A metà strada ho avuto un ennesimo blocco, che ha compromesso tutta la scena dell'aeroporto. Ma non solo per il contenuto: penso che ci siano più ripetizioni, che non ho avuto la forza di evitare. Ho cercato in tutti i modi di sistemarlo...spero che almeno a voi sia piaciuto xD
Volevo ringraziare ancora una volta tutti coloro che hanno recensito: Grazie!
Dal prossimo capitolo vi assicuro che la storia sarà più interessante.
Ciao a tutti!

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Capitolo 20
*** Scambio ***




Capitolo 20


Scambio







Luci soffuse apparivano ad intermittenza attraverso le palpebre chiuse di Kentin, mentre un moto irregolare e incalzante lo cullava, anziché disturbarlo. Dormiva beatamente, senza preoccupazioni o ansie che alterassero la sua quiete. Ogni tanto aveva sentito qualche suono, dei rumori poco chiari provenienti da sopra la sua testa, ma nemmeno quelli erano riusciti a svegliarlo. Per un arco di tempo non definito aveva avvertito qualcosa di spettinato e delicato appoggiarsi sulla sua spalla destra, che dopo un po’ era scomparso. Tutto era calmissimo e avrebbe desiderato fosse rimasto così per sempre.
Ad un certo punto, però, si sentì spostare il braccio ripetutamente. Qualcuno voleva svegliarlo e non sembrava intenzionato a fermarsi. Senza poter opporre troppa resistenza, aprì gli occhi e venne di colpo catapultato nella realtà.
— Kentin, svegliati: siamo arrivati — esclamò Candy dalla sua destra.
Delle ombre a sinistra attirarono la sua attenzione: i passeggeri erano tutti in piedi e si apprestavano ad uscire con i bagagli in mano.
Non si era ancora completamente destato, ma riuscì a tirarsi su dal sedile e, dopo che gli altri furono passati, si spostò verso il corridoio dell’aereo. Ancora frastornato dal brusco risveglio e con gli occhi semichiusi, aprì lo scompartimento in alto per estrarre la sua valigia e poi quella di Candy. — Grazie per avermi svegliato e scusa se ho dormito per tutto il tempo — le sussurrò.
— Non ti preoccupare — gli rispose. Poi aggiunse: — sei carino quando dormi — e corse verso l’uscita.
Ora era del tutto sveglio.

Fuori dall’aeroporto c’era un parcheggio pieno di autobus. Dopo che i professori ebbero fatto la conta degli studenti, si prepararono tutti per l’ultima tappa: il viaggio in pullman che li avrebbe portati al Dolce Amoris londinese.
Non appena individuarono il loro bus, i ragazzi vi salirono e presero posto. Fortunatamente Kentin aveva recuperato in aereo tutto il sonno perduto la sera prima, perciò poté ammirare in completa calma gli edifici inglesi che si ergevano fuori dal finestrino. Come aveva spiegato la preside al momento dell’annuncio della gita, il luogo in cui avrebbero alloggiato non era un hotel, bensì la sede inglese della loro scuola. Sebbene fosse solo una filiale, essa era molto più grande del principale liceo francese, poiché era pensata per ospitare studenti stranieri durante viaggi d’istruzione o vacanze studio. Questo voleva dire che oltre a lui e ai suoi compagni, sarebbero stati presenti anche i regolari alunni della scuola.
Il tragitto dall’aeroporto alla scuola durò una mezz’oretta. Appena scesero dall’autobus si ritrovarono davanti ad un imponente cancello nero. Dopo essere entrati, percorsero una lunga strada lastricata a mosaico che divideva in due parti un vastissimo prato verde. Arrivati all’ingresso, un enorme palazzo in mattone rosso si stagliò davanti a loro. L’entrata, inquadrata da due alte colonne dal fusto liscio, era sormontata dalla grande scritta “Sweet Amoris High School”. L’edificio principale, che non superava i sei piani, faceva parte di un ampio complesso architettonico composto da altre tre strutture.
Una volta entrati, insegnanti e alunni vennero accolti dal preside, un uomo alto e anziano, che, dopo aver rivolto loro parole di benvenuto, si mise a parlare con i tre professori. Nonostante fosse una scuola, il piano terra assomigliava a quello di un hotel: sulla sinistra c’era la reception, più in fondo parecchi divanetti e tavolini, al centro due grandi ascensori e a destra le scale. L’area era molto ampia e spaziosa, tanto che i nuovi ospiti non ebbero problemi ad entrare tutti e quaranta contemporaneamente.
Finito di parlare col preside, Faraize e Stikonski distribuirono le chiavi delle camere agli studenti, mentre la professoressa Moreau richiamò l’attenzione per un annuncio.
— Avete mezz’ora di tempo per fare un giro della scuola e sistemare i bagagli nelle vostre stanze. Alle due in punto dovete essere tutti nella hall pronti per partire. — Poi, alzando la voce, aggiunse — non si accettano ritardi, capito, Castiel? — in direzione di lui e della sua solita banda, che se la ridevano sotto i baffi.
Prima che potesse congedare gli studenti, però, il preside dello Sweet Amoris le si avvicinò e le sussurrò qualcosa nell’orecchio. Subito dopo, la Moreau disse: — C’è una novità: saranno i vostri colleghi inglesi a farvi fare il tour della scuola e, una volta terminato, ci sarà un piccolo buffet per voi. Vi do dieci minuti per posare le vostre valigie, poi venite qui nella hall; è chiaro?
I ragazzi annuirono, dopodiché si avviarono rumorosamente verso le rispettive camere. Alexy raggiunse di corsa Kentin.
— Qui c’è scritto che la nostra camera è all’ultimo piano. Ci conviene prendere l’ascensore — disse l’amico.
Kentin acconsentì, e in breve tempo la raggiunsero.
Dopo aver aperto la porta con una delle due chiavi elettroniche dategli dai prof., portarono dentro le loro valigie ed osservarono la stanza. Aveva un arredamento molto moderno, tipico dei dormitori dei college inglesi. Erano presenti due armadi ed un semplice tavolo poco distanti dal letto matrimoniale, mentre sulla sinistra si trovava la porta per accedere al bagno.
Alle 13:35 Alexy e Kentin uscirono per raggiungere il piano terra.
— Tu comincia a scendere, io prima volevo andare da mio fratello — riferì il gemello, camminando verso le scale.
— D’accordo, a dopo.
Kentin si chiese in che stanza fosse Candy, così decise di andarla a cercare. Mentre stava attraversando il corridoio, sentì delle voci giungere da una camera, tra le quali riconobbe quella di Iris. Forse lei sa a che piano è, pensò, e bussò alla porta.
Ad aprirla fu Violet.
— Ciao Violet, sai per caso dove… — Violet, vieni a guardare che vista! — lo interruppero le grida di Iris provenienti dall’interno della stanza. Subito dopo venne raggiunta da Kentin e Violet, i quali rimasero a bocca aperta nel vedere il bellissimo paesaggio che si presentava fuori dalla finestra. Alloggiare all’ultimo piano aveva i suoi pregi: da quell’altezza, che sovrastava tutte le circostanti casette londinesi, era possibile assistere ad un panorama fantastico. Sulla destra i palazzi piuttosto bassi e dai colori variopinti permettevano di scorgere buona parte del Big Ben, mentre a sinistra si ergeva, in tutto il suo splendore, il London Eye. Le due strutture erano separate dal corso grigiastro del Tamigi, così che il risultato era in tutto e per tutto una vera vista da cartolina.
Dopo aver ammirato per qualche minuto la stupenda visuale, Kentin chiese alle ragazze in che stanza fosse Candy. Loro risposero di sapere solo che era in coppia con Melody, ma non dove si trovassero; perciò lui le salutò e se ne andò. Poi decise di andare in camera sua per controllare se anche in quella ci fosse la stessa vista di cui potevano godere Violet ed Iris. Una volta entrato, oltrepassò gli armadi e il letto e spostò a sinistra la lunga tenda verde scuro: con suo grande sollievo entrambi i simboli di Londra erano ben visibili dalla finestra.
Soddisfatto per l’ottima posizione che gli era toccata, tornò sui suoi passi, scavalcando la sua valigia e avvicinandosi alla porta. Ma poi si arrestò di colpo.
Si girò a guardare. Come mai c’era solo una valigia? Dov’era finita quella di Alexy? Eppure si ricordava benissimo che tutti e due, solo qualche minuto prima, le avevano portate in camera. Possibile che fosse stata rubata?
Stava già cominciando ad agitarsi, quando qualcuno suonò il campanello della porta. Si precipitò subito ad aprirla.
— Ciao — lo salutò Candy entrando dentro e portando con sé la sua valigia.
Kentin indietreggiò per lasciarla passare, ma divenne un po’ confuso e rimase zitto.
Accorgendosi di non aver ricevuto risposta, Candy si voltò e lo guardò.
— Alexy non ti ha detto niente? — chiese poi.
Lui si limitò a scuotere la testa e a continuare ad osservarla.
— Abbiamo fatto cambio di stanza. Ci ho capito poco, ma… mi ha detto che dovrò stare con te.
Gli occhi di Kentin si sgranarono. Cambio di stanza con Alexy? In altre parole Candy sarebbe stata con lui a dormire?! Era uno scherzo, per caso?
Vedendo che il ragazzo non reagiva, lei aggiunse: — Pensavo te ne avesse già parlato.
Kentin rimase come paralizzato. Da un lato non credeva sarebbe stato possibile, ma dall’altro gli veniva quasi da sorridere, al pensiero di condividere la stanza proprio con Candy.
Dopo qualche secondo di silenzio, la sentì dire: — Vado a dirgli che è stata una pessima idea — e fece per uscire, ma Kentin la fermò subito. — No no, non preoccuparti: resta pure — esclamò, — posa qui la valigia. Gli chiederemo spiegazioni più tardi.
— Sei sicuro che non sia un problema?
— Certo, è tutto a posto.
Kentin ci pensò per un po’, ma alla fine decise di accettare la cosa, anche se quella scelta lo metteva un po’ in agitazione. Non che Candy fosse il tipo da approfittarsi di lui durante il sonno, ma piuttosto lo preoccupava la possibilità di venire scoperti da un professore o, peggio, da altri studenti. Tuttavia non poteva fare a meno di domandarsi come mai Alexy non lo avesse avvisato. Che fosse stata una sua idea per fargli una sorpresa (o meglio, un regalo)? In quel caso era stato un gesto davvero gentile, ma… se li avessero beccati?
— Sono già le 13:40; faremmo meglio a scendere — intervenne all’improvviso Candy.
— Hai ragione, andiamo — ribatté Kentin.
Arrivati al punto di ritrovo stabilito dalla Moreau, avvistarono Rosalya, Melody e gli altri, così si diressero verso di loro facendosi spazio tra la folla già presente. Mentre si stavano avvicinando, sbucò da lontano la faccia di Alexy, che, vedendoli, rivolse loro un sorriso più grande dell’intera hall.
— Si può sapere che ti è saltato in mente? — esordì Kentin, dopo averlo preso in disparte.
— Non sei contento di stare con Candy? — domandò innocentemente Alexy.
— Ma è rischioso! I prof. ci uccideranno, se lo verranno a scoprire. E lo stesso vale per te: sarai in camera con Melody!
— Lo so, ma non c’è da preoccuparsi: ci sarà anche Nathaniel.
— Come? Che c’entra Nathaniel?
— Per farla breve, si è ritrovato senza una stanza in cui dormire e l’unico letto disponibile era nella camera di Melody e di Candy, che è da tre posti. Ma dato che Candy non voleva stare con lui, le ho proposto di fare cambio con me, così non ci sono problemi. Tu hai la tua Candy, e io ho il mio Nathaniel. Ora dillo: sono un genio.
— Ah, quindi non l’hai fatto per me? — chiese Kentin un po’ ingenuamente.
Alexy scoppiò a ridere. — Ah ah no! Però sapevo che saresti stato al settimo cielo — disse pizzicandogli una guancia. Kentin non ribatté, perché era diventato rosso dalla testa ai piedi.
— Ma basta parlare, adesso andiamo. Sono curioso di vedere com’è questo “Sweet Amoris”! — concluse Alexy; dopodiché tornarono insieme dai loro compagni.


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Capitolo 21
*** Pinguino ***




Capitolo 21


Pinguino







Tour e buffet furono alquanto piacevoli. I ragazzi inglesi si dimostrarono davvero gentili ed educati nel mostrare agli ospiti tutti i luoghi e le aule della loro scuola. Al termine del giro gli alunni e gli insegnanti del Dolce Amoris cominciarono la loro visita di Londra.
La prima tappa fu Buckingham Palace, dopodiché attraversarono il St James’ Park, per poi arrivare a Trafalgar Square. Verso le cinque del pomeriggio si recarono alla National Gallery, nella quale, accompagnati dalle accurate spiegazioni di una guida, poterono ammirare le opere dei maggiori maestri dell’arte rinascimentale ed impressionista. Sebbene fosse per lui un’enorme emozione avere l’occasione di vedere dal vivo gli stessi dipinti che trovava stampati sul suo libro di scuola, Kentin fu per quasi tutto il pomeriggio con la testa altrove.
L’idea che Alexy aveva avuto lo metteva in gran difficoltà. Come si sarebbe comportato a stare in camera con Candy? Uno strano presentimento gli diceva che non sarebbe filato tutto liscio e più ci pensava, più l’ansia e la convinzione che qualcosa sarebbe andato storto si facevano largo in lui. Certo, era stato suo compagno di classe per molti anni, aveva conosciuto tutto di Candy - il suo carattere, il suo modo di fare, i suoi gusti, le sue qualità, pure i suoi difetti - ma mai aveva avuto con lei un contatto così stretto. E se fosse successo qualcosa di imbarazzante? Già la situazione fra loro non era delle migliori e se in più ci si aggiungevano tutti gli incidenti che sarebbero potuti capitare a due compagni di stanza, non osava immaginare come sarebbe andata a finire.
Ma forse si preoccupava troppo. Forse bastava che rimanesse se stesso come aveva sempre fatto.
Arrovellarsi ulteriormente su questa faccenda avrebbe solo peggiorato le cose; fu per questo motivo che, dopo essere tornato al liceo Sweet Amoris ed aver cenato nella mensa, raggiunse la propria camera insieme a Candy senza nessun pensiero pessimista in testa.
Una volta entrati, Candy prese la parola: — Senti, Alexy e gli altri pensavano di andare a fare un giro fuori. Ti va di venire?
Kentin ragionò un attimo, prima di rispondere.
Uscire e vagare senza meta nel freddo di Londra col rischio di prendersi una bronchite? No, grazie. Non gli era mai piaciuto andar fuori la sera durante le gite; e poi, per una volta che poteva restare da solo con Candy!
— Ehm, a dire il vero non molto — rispose pacatamente. — È che sono molto stanco… Oggi è stata una lunga giornata — aggiunse nel tentativo di non passare eccessivamente per un asociale.
— Capisco. Allora ci vediamo dopo — concluse Candy, rivolgendogli uno dei suoi soliti sorrisi.
Kentin non disse niente. Anche se non poteva vedersi, era certo che dalla sua faccia non trasparisse altro che delusione. Continuò ad osservare la ragazza, mentre si avvicinava alla porta e poggiava la propria mano sulla maniglia. Candy, però, non l’abbassò, ma restò per alcuni secondi ad osservarla. Poi, lentamente, la lasciò andare e si girò verso di Kentin.
— Non importa, resto qui — affermò tornando sui propri passi.
— Ma non sei obbligata, se vuoi uscire con gli altri vai pure — esclamò subito lui, reprimendo l’entusiasmo che gli stava esplodendo dentro.
— Non ti lascio qua da solo — dichiarò Candy con tono deciso. Kentin ammutolì.
Rendendosi conto di aver detto troppo, aggiunse velocemente: — Voglio dire, mi dispiace che tu resti qui in camera, mentre noialtri siamo fuori a divertirci, ecco.
— Sei sicura? — insisté un’ultima volta.
— Certo — confermò lei — e poi devo ancora disfare la valigia. Almeno lo posso fare ora e non ci devo pensare domani.
— Ok — finì Kentin.
Dopodiché calò il silenzio.
Notando che stavano giungendo i primi segni di imbarazzo fra i due, Kentin si guardò intorno per cercare un diversivo. Influenzati dalle parole di Candy, i suoi occhi si posarono sulla propria valigia.
— Vado in bagno a mettermi il pigiama — si affrettò a dire, estraendolo rapidamente dalla borsa e avviandosi verso la stanza.
Una volta chiusa la porta, tirò un lungo sospiro di sollievo. Il primo passo era fatto. Ora non doveva far altro che cambiarsi per la notte e tornare in camera con un buon argomento di conversazione.
Non appena vide ciò che aveva in mano, però, si sentì mancare.
Quello che aveva avuto la sfortuna di portarsi da casa non era un pigiama normale. Non era a tinta unita o, al limite, a righe o a quadri, no. Era di un color grigio tendente al rosa, con stampato al centro della maglia un ridicolissimo pinguino blu. Se qualcuno lo avesse visto, avrebbe pensato fosse appartenuto ad un bambino di sette, o al limite otto anni.
Com’era potuto accadere? Eppure l’aveva detto chiaro e tondo a sua madre di non mettergli quello in valigia! Adesso come avrebbe fatto a mostrarsi a Candy conciato così?
Pensò rapidamente ad una soluzione. La prima idea che gli venne in mente fu quella di tornare in camera e pescare dalla borsa un’altra maglietta, ma in quel caso avrebbe solo fatto la figura dell’idiota. L’alternativa era infilarsi quello stupido pigiama e cercare di nasconderlo almeno finché non avesse raggiunto le coperte del letto. La scelta più sensata era la seconda. Doveva solo sperare che Candy non lo vedesse: in quel caso la sua reputazione sarebbe andata definitivamente a farsi benedire.
Dopo essersi cambiato ed aver sommariamente piegato i vestiti che indossava, aprì la porta del bagno e sbirciò fuori. Candy era girata dall’altra parte, intenta a riporre le sue cose nell’armadio. Che fortuna!
Cercando di non destare troppa attenzione, Kentin uscì in punta di piedi e si spostò verso il centro della stanza: un solo passo falso e l’umiliazione sarebbe stata totale. Gettò velocemente nella valigia gli abiti che aveva in mano e aggirò a grandi balzi il letto, fino ad arrivare al lato che dava sulla finestra. Rimanendo girato verso la parte opposta a Candy, tirò su le coperte e si imbacuccò dentro. Proprio in quel momento si ricordò di non aver lavato i denti, ma constatò che non era proprio il caso di tornare in bagno.
Quando Candy si accorse di lui, aggrottò le sopracciglia e chiese: — Dormi di già?
— No, no, è che… ho freddo — rispose Kentin, cercando di apparire il più rilassato possibile. Perfetto, cominciamo bene!
— D’accordo — disse, incerta, la ragazza.
Mentre lei continuava a disfare la valigia, Kentin se ne restava zitto e immobile a letto, pregando che non fossero successi altri danni e lanciandole delle occhiate di tanto in tanto. Dopo che ebbe finito, andò pure lei in bagno, per poi tornare in camera con indosso il suo pigiama. Con la coda dell’occhio Kentin constatò che anche con quello Candy era veramente carina. Distolto lo sguardo da lei, la sentì scivolare sotto le coperte di fianco a lui, perciò si assicurò che il pinguino fosse ben celato.
Poi piombò di nuovo il silenzio.
La prima a rompere il ghiaccio fu Candy. — Metto io la sveglia? — domandò afferrando il suo cellulare dal comodino.
— Ah, sì. Grazie.
— Alle sette va bene?
— Direi di sì, dato che dobbiamo essere in mensa alle otto.
Dopo averla impostata, ripose il telefono dove stava precedentemente e chiese: — Com’è andata oggi?
— Molto bene, Londra è fantastica. A te, invece? — fece Kentin di rimando.
— Benissimo, la National Gallery mi è piaciuta un sacco!
La conversazione andò avanti per una buona mezz’ora, finché, entrambi stanchi per la lunga giornata, si diedero la buonanotte ed andarono a dormire.
Non appena si spensero le luci, nella camera calò il buio, e con esso il silenzio.
Girato verso la finestra, Kentin sprofondò lentamente nel suo cuscino. Anche se il viaggio era stato molto faticoso e ogni suo muscolo reclamava un po’ di sano riposo, non riusciva affatto ad addormentarsi. Non con la sua Candy distesa così vicina accanto a lui.
A cosa pensava quando l’aveva accettata come compagna di stanza? Che credeva, che avrebbe potuto dormire con lei come se nulla fosse? Che non si sarebbe impadronita di lui l’ansia o che l’agitazione non lo avrebbe pervaso? Invece erano lì tutte e due, a pochi passi dal letto. Le sentiva che stavano arrivando e che aspettavano solo il momento giusto per attaccare. Più ci pensava, più si rendeva conto della persona che aveva di fianco e più quelle si avvicinavano. Ora erano completamente su di lui e nulla avrebbe potuto respingerle.
Improvvisamente si sentì invadere da strani brividi lungo braccia e gambe. Che aveva combinato? Com’era potuto essere così stolto da acconsentire lo scambio con Alexy? A quest’ora doveva esserci lui lì, non Candy. Non si era immaginato l’effetto che gli avrebbe fatto?
Anche se non la vedeva perché era alle sue spalle, la poteva sentire. Sentiva i flebili respiri della sua compagna di stanza ripetersi ad intervalli regolari, mentre lui faceva di tutto per trattenere i suoi, affannosi e concitati, sotto le coperte.
Ma non era l’unica cosa da nascondere. Il pulsare che gli martellava nel petto come un tamburo crebbe sempre di più, tanto che sperò non si propagasse nel letto, divenuto cassa di risonanza, fino a Candy. Chissà se lei stava provando la stessa cosa.
Cercando di non fare altro rumore, si mise a pancia in su e con nonchalance sbirciò alla sua destra. Un fioco raggio di luna sfuggito al tessuto della tenda illuminava la schiena e le spalle della ragazza. Mai quanto allora la tentazione di avvicinarsi e stringerla a sé fu tanto forte.
Ma dovette trattenersi.
Sia in rispetto del patto di amicizia stipulato, sia per i danni che quel gesto avrebbe potuto comportare.
E poi gli bastava la sua presenza a confortarlo. Per lui era sufficiente osservarla mentre dormiva beata, perché il tumulto dentro lo stomaco si placasse e la mente ritrovasse la serenità.
Rimase, dunque, a contemplare ciò che di più caro aveva al mondo, ringraziando di essergli così vicino e ripromettendosi che non lo avrebbe mai abbandonato.

Non sapeva quanto tempo fosse passato dall’istante in cui si era addormentato, quando si sentì scuotere più volte la spalla. Non appena aprì gli occhi, l’angelico volto di Candy era sopra di lui e lo invitava a svegliarsi. Si tirò su sbadigliando e si girò verso di lei.
— Dormito bene? — gli chiese con gentilezza la ragazza. Kentin fece di sì con la testa, arrossendo lievemente.
Lo sguardo di Candy passò poi dalla sua faccia alla sua maglietta, e un piccolo sorriso le curvò le labbra. — Bel pigiamino — constatò, divertita.
Allo stesso modo la vista di Kentin si spostò meccanicamente da ciò che aveva davanti, a ciò che stava sotto al suo naso. Il rossore sparì all’istante e si sentì impallidire. Non voleva credere a quello che era successo: Candy aveva visto in pieno quella roba imbarazzante che stava indossando.
Senza pensarci nemmeno, si liberò velocemente della maglietta e la gettò ai piedi del letto, come a voler negare ogni legame con essa. Tornato a guardare Candy, la ritrovò con il viso bordeaux e gli occhi fissi sul punto in cui prima c’era il pinguino, che a quanto pare si era magicamente trasformato in una bella tartaruga…
Dopo essersi reso conto dell’enorme errore che aveva commesso, Kentin emise un grido mozzato e agguantò in fretta le lenzuola, per andare a coprire ogni millimetro nudo del suo corpo. Sentì la propria faccia divenire incandescente per la vergogna, mentre Candy, contro ogni aspettativa, scoppiava platealmente a ridere.
— Ti assicuro che non c’entro niente, è stato un errore! — esclamò lui nel tentativo di scagionarsi.
— Oh, Kentin! — lo interruppe Candy alzandosi dal letto — Sei troppo tenero, lo sai? — e sparì, sorridendo, in bagno.
Il ragazzo respirò a fondo… Anche nella sfortuna, gli era andata bene.

Non appena i due arrivarono in mensa, presero le cose da mangiare dai tavoli allestiti per la colazione, dopodiché cercarono dei posti liberi nella grande sala.
I primi compagni che videro furono Alexy e Melody: erano seduti uno davanti all’altro e si guardavano in cagnesco. Kentin e Candy pensarono che qualcosa fra i due fosse andato storto durante la prima notte come compagni di stanza, così decisero di andare a sedersi vicino a loro.
— Allora? Com’è andata con Nathaniel? — domandò Kentin ad Alexy.
— Lascia stare. Ha voluto dormire in bagno! — rispose l’amico, sbuffando.
— Eh?!
— È inutile che ti lamenti, è stata colpa tua! — esclamò Melody, indignata.
— Mia? — fece Alexy, alzandosi dalla sedia.
— Ragazzi, calmatevi: sapete com’è fatto Nathaniel, dovevate prevedere che avrebbe reagito così — intervenne Candy per placarli.
— Sì, forse hai ragione — borbottò il gemello. — A voi invece com’è andata? Eh? — riprese piantando tre gomitate nei fianchi di Kentin.
I due chiamati in causa si rivolsero un’occhiata veloce, per poi rispondere all’unisono: — Bene, bene — e, senza aggiungere altro, iniziarono a far colazione.
Meno male che Candy non è andata a dormire in bagno, pensò Kentin gustandosi la sua brioche.






✤✤✤




Guardate un po' chi si rifà viva dopo più di DUE MESI di silenzio?
Non so se potrete mai perdonarmi per l'enorme ritardo che c'è stato nel pubblicare il nuovo capitolo...ma sapete com'è: se non ho l'ispirazione, preferisco non scrivere niente, che scrivere male.
Comunque, dopo un casino di tempo, ce l'ho fatta a finire questo capitolo. E devo dire che, rileggendolo, non l'ho trovato così male! Le scenette comiche mi sono venute in mente per caso, mentre, scrivendo, volevo andare avanti velocemente con la storia. E sinceramente non potevo scartarle, una volta che mi si erano formate bene in testa xD
Ora vorrei fare una cosa che avevo intenzione di compiere tempo fa, ovvero ringraziare ad una ad una tutte le persone che hanno recensito questa storia. Sembra poco, ma la trovo davvero una grande soddisfazione svegliarmi la mattina e vedere che la fic ha ricevuto anche solo un commento! Quindi grazie di cuore a Shinichi_chan, ad Arte Prime, a LiaLoveCat, ad AriadnesLinon, a Kikiloca, a KerimaGirl e ad AleKH95. È anche grazie a voi se ho trovato la forza di continuarla pure nei momenti difficili u.u
E un'altro grazie va, ovviamente, a tutti coloro che l'hanno aggiunta fra le preferite: GRAZIE!
Spero che questa fanfic possa ancora piacervi :)
A presto col nuovo capitolo<3

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Capitolo 22
*** Vertigini ***




Capitolo 22


Vertigini







Un’ampia strada alberata separava il Tamigi dai Jubilee Gardens. Su questa strada si esibivano in più ore del giorno molti artisti di strada: c’era chi si travestiva da animale e si divertiva a fermare i passanti, chi eseguiva acrobazie straordinarie attirando la maggior parte del pubblico e chi si limitava a rimanere immobile con indosso fantasiosi costumi dai materiali più disparati. Al termine del viale vi era l’accesso per il London Eye, la più alta ruota panoramica d’Europa e uno dei simboli principali di Londra.
I tre professori del Dolce Amoris si apprestarono a fare la conta degli studenti e a distribuire loro i biglietti per salire sulla struttura. Dopo che tutti l’ebbero ricevuto, si misero in coda ed aspettarono per una decina di minuti il loro turno.
Nel frattempo Kentin e Candy erano intenti ad osservare un uomo vestito e truccato da dalmata che ballava al ritmo di una canzone. — Che buffo! — esclamò la ragazza.
— È vero! — approvò Kentin. Ad un certo punto, però, udì che si stava sovrapponendo un’altra musica alla sua. Si guardò attorno per capire da dove provenisse, quando si accorse che a pochi metri di distanza un vecchietto canuto e ricurvo stava suonando sotto l’ombra di un albero frondoso una piccola armonica, senza curarsi degli sguardi della gente. — Ehi, guarda — aggiunse indicandolo a Candy. I due lasciarono perdere l’uomo-dalmata e si avvicinarono al signore anziano. La musica che suonava sembrava allegra, ma più andava avanti e più rivelava un andamento malinconico, che finì col mettere un po’ di tristezza a tutti quelli che la ascoltavano.
— È bellissima — commentò Candy. Kentin stava per rispondere che anche lui la trovava molto orecchiabile, quando venne improvvisamente coperta da due urli provenienti dalla loro destra: — Kentin, Candy!
Nell’udire i loro nomi, i due si voltarono di scatto, ma non capirono subito chi li avesse chiamati. Ad un tratto, però, lo sguardo di Kentin si posò sui piedi del London Eye e constatò con terrore che una cabina con all’interno tutti i suoi compagni ed i professori stava per essere chiusa e lasciata partire senza di loro.
In un gesto fulmineo afferrò la mano di Candy e cominciò a correre. Cercarono di farsi largo tra la folla per quei pochi metri che li separavano dall’ingresso della ruota panoramica, ma proprio quando furono a qualche passo dal resto della classe, la strada venne loro sbarrata dagli addetti del personale, intenzionati, giustamente, a vedere i loro biglietti.
— E ora che facciamo? — chiese Kentin osservando i volti furenti fissi su di lui della professoressa Moreau e del professor Faraize che salivano ormai in cielo.
— Saliamo sulla prossima cabina — rispose Candy preoccupata, ma con decisione.
Dopo aver mostrato i loro biglietti all’incaricato, i due aspettarono in silenzio l’arrivo della capsula successiva e vi entrarono. Lo spazio era molto più ampio di quello che si erano aspettati, i numerosi vetri curvi permettevano di vedere l’esterno a trecentosessanta gradi, mentre al centro si trovava una panchina ovale che riprendeva la forma della cabina. Oltre a loro non dovette salire nessun altro, perciò, non appena si chiusero le porte, rimasero da soli.
— Quando scenderemo, i professori ci ammazzeranno — affermò Kentin.
— Già. Pensavo ci avessero dato del tempo per fare un giro prima di salire — rispose Candy, avvicinandosi alle finestre. Lui fece lo stesso ed insieme osservarono l’esterno che si muoveva lentamente insieme a loro.
— Chissà se quando saremo più in alto si vedrà la scuola — domandò Kentin.
— Secondo me sì, però dovremo aspettare almeno dieci minuti, dato che il giro dura mezz’ora — disse lei.
Dopo aver atteso il tempo sufficiente perché si avesse una panoramica più ampia della città, Kentin intravide oltre il Tamigi il Big Ben, quindi guardò se più a destra fosse visibile lo Sweet Amoris. Con sua grande sorpresa riconobbe subito i quattro edifici rossi del liceo, quindi chiamò Candy perché anche lei andasse a vedere. Non ottenendo risposta, si girò a guardarla. La ragazza aveva ignorato completamente le sue parole poiché stava fissando muta e impietrita il vuoto sotto di lei, con gli occhi spalancati e le mani aggrappate alla ringhiera adiacente alle finestre.
— Tutto bene? — chiese Kentin avvicinandosi a lei. Prima che fu arrivato, però, la vide poggiarsi una mano sulla testa e subito dopo cadere lentamente per terra. Con uno slancio istintivo la afferrò appena in tempo per le spalle e cercò di farla rialzare. — Candy? Che succede, Candy? — urlò mentre lei si aggrappava a lui barcollando e respirando velocemente.
— Non è niente, ho solo un po’ di vertigini — disse tremando e strizzando gli occhi per impedir loro di scorgere i metri che la separavano da terra.
— Vieni, appoggiati qui — insisté Kentin preoccupato, portandola fino alla panchina e aiutandola a mantenere l’equilibrio mentre si sedeva; ma dato che la ragazza non sembrava avere intenzione di lasciarlo andare, dovette per forza mettersi accanto a lei. Continuando a sussultare e a tenere gli occhi chiusi, Candy annullò la poca distanza che li separava e si abbandonò su di lui stringendolo con energia. Un’incontrollabile vampata di calore percorse tutto il collo e il volto di Kentin.
Sentendola ancora tremare, ricambiò timidamente l’abbraccio portando le braccia sulla sua schiena.
— Scusami, è che mi gira la testa — pronunciò con un filo di voce Candy.
— Stai tranquilla, sai che puoi contare su di me — rispose Kentin con voce bassa e rassicurante. Rimasero così per diversi minuti, finché, grazie alla protezione che Kentin gli aveva offerto, il corpo di Candy smise di tremare.
Era la seconda volta che si abbracciavano; la prima era stata in quella lontana domenica all’ospedale. Sembrava passata un’eternità da allora... eppure ben poco era cambiato e dopo tutto quel tempo Kentin non si era mai arreso. Ormai non ricordava nemmeno più tutte le traversie che aveva dovuto affrontare nel rincorrere Candy, o forse, più semplicemente, si sforzava di non ricordarle. Sapendo che ben presto sarebbe svanito, la strinse ancora più forte, per attirare dentro di sé quel calore che gli era tanto mancato, quando ad un certo punto avvertì con la coda dell’occhio dei movimenti provenire dalla sua sinistra. Voltandosi a guardare, vide alcuni dei suoi compagni di classe, tra cui Alexy e Armin che, dalla cabina di fronte a lui, gli gesticolavano ridendo e agitando le braccia in segno di approvazione.
Colto dall’imbarazzo, si staccò subito da Candy. Lei, allo stesso modo, si ricompose e tornò a guardare senza più paura il panorama esterno.
— Devi scusarmi — ripeté. — In confronto a te sono così debole... — disse poi, sorridendo con rassegnazione.
— Non è vero, non è colpa tua se soffri di vertigini — ribatté Kentin. Ed aggiunse con amarezza: — E poi anche io un tempo ero molto più fragile.
— Eri solo sensibile.
— Ero un idiota buono a nulla.
— Tu eri bello dentro come lo sei fuori ora — dichiarò Candy con un tono deciso ma allo stesso tempo naturale, che lasciò Kentin visibilmente stupito. Accorgendosi di aver dato voce ai propri pensieri, distolse velocemente lo sguardo da lui e arrossì.
— Voglio dire che non devi odiarti per com’eri prima — rettificò — Non devi vergognarti di niente. Hai sempre agito nel modo più giusto per te e per quelli a cui vuoi bene.
— Se essere narcisista lo consideri agire bene... — borbottò Kentin.
— Non vuol dire nulla! L’importante è che sei riuscito a superare sia quello, che le cattiverie degli altri. Te l’ho già detto, ma ti ammiro molto per avercela fatta — esclamò Candy mentre tornava a guardarlo con occhi malinconici.
Il mondo fuori da quella scatola ovale continuava lentamente a girare. Erano ormai sul punto più alto della ruota, sovrastavano ogni edificio, ogni albero, ogni barca che da lassù eran sempre più piccoli.
— Comunque è stata una debolezza che ho scelto di mia volontà. Tu non sei una debole perché soffri di vertigini — continuò Kentin, deciso ad andare fino in fondo.
— Ma la causa sta nel comportamento della gente! Se non ti avessero maltrattato ad inizio anno, tu non avresti reagito così, una volta tornato a scuola. — Candy abbassò lo sguardo, ricordando che in realtà anche lei non si era comportata in modo del tutto corretto con lui. Kentin non seppe cosa rispondere.
— È assurdo quanto l’aspetto fisico sia importante per la gente — continuò lei in un sospiro. — Ormai si giudica uno da come si veste e se è bello o brutto. Decidono già chi sei, senza nemmeno conoscerti. Danno retta a chi ti getta fango addosso, senza preoccuparsi di verificare l’autenticità delle loro accuse. Non devi rimproverarti per quello che è successo: per me non hai commesso nessun errore — concluse rivolgendo a Kentin uno dei suoi sorrisi più belli.
Lui rimase senza parole. Effettivamente era girato tutto attorno a quello. Se le persone non fossero così crudeli e superficiali, probabilmente non avrebbe dovuto sopportare quel calvario, e a quest’ora sarebbe ancora come il vecchio Ken.
— Forse hai ragione — concluse ricambiandole dolcemente il sorriso. Apprezzava quel lato riflessivo di Candy: era anche per quello che si era innamorato di lei. E poi sull’ipocrisia della gente la pensavano allo stesso modo.
La ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla ed insieme rimasero ad ammirare il paesaggio davanti a loro, che tornava a salire lentamente, e le barche e gli alberi, che si facevano sempre più grandi, e gli edifici, che li riportavano duramente alla realtà.

Al termine del giro furono, come era ovvio, rimproverati dai professori, ma fortunatamente non ricevettero nessun castigo. Lungo la strada di ritorno, Kentin venne avvicinato dai gemelli, i quali vollero sapere tutti i dettagli su quel che era successo sulla ruota panoramica.
— Allora, sciupafemmine, che ci dici di te e Candy? — esordì Alexy, buttandogli un braccio sulle spalle.
— Siamo solo arrivati troppo tardi e abbiamo dovuto prendere la cabina dopo — chiarì lui, cercando di non arrossire.
— Sì, come no, l’abbiamo notato come ve la spassavate alla grande! — esclamò Armin con un sorriso sornione.
— Guarda, non è come credete. È che Candy si è sentita male per le vertigini — rispose. I gemelli tacquero. Poi, di punto in bianco, esplosero contemporaneamente in una risata che fece girare diversi passanti.
— Perché ridete?! — fece Kentin mentre, imbarazzato, gesticolava loro di abbassare il tono.
Armin ed Alexy si rivolsero uno sguardo d’intesa e subito dopo risposero all’unisono: — Candy non soffre affatto di vertigini!






✤✤✤




Non so. Rileggendolo, noto che questo capitolo è veramente corto! xD Eppure ho fatto una fatica assurda a scriverlo...
Se devo dire la verità, non avevo la più pallida idea di cosa fargli accadere sul London Eye xD Volevo però che fosse qualcosa di serio, così ho deciso di tirare in ballo certi argomenti che mi stanno a cuore... Magari glieli ho fatti dire con troppa leggerezza, non lo so...
Comunque, una cosa che volevo dire, è che ogni cosa riguardo a Londra che ho scritto in questo capitolo è vera. Vicino ai Jubilee Gardens ci sono davvero degli artisti di strada e quando 5 o 6 anni fa ero andata lì in vacanza studio, c’erano sto tizio vestito da dalmata e sto vecchietto tenerissimo che suonava l’armonica T___T Non potevo non inserirli nella fanfic!
Ma la cosa veramente epica è che, andando a cercare immagini su Google Maps sul London Eye, i giardini, eccetera (perché io prima di scrivere un capitolo sto giorni interi a documentarmi, sì xD), ho trovato con lo Street View LO STESSO VECCHIETTO CHE AVEVO VISTO IO! È stato incredibile, non potete immaginare il mio stupore quando me lo sono vista anche su Google Maps xD Ecco il link che vi porta direttamente alla scena: click
Quello lì al centro è proprio il signore che c’era quando con la scuola stavamo per salire sulla ruota! (e tra l’altro ci avevo pure fatto un video, che volendo posso anche farvi vedere u_u)
Quindi niente, questo per dirvi che non è tutta una scemata sta storia xD qualcosa di sensato ce l’ha u.U

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Capitolo 23
*** Mano ***




Capitolo 23


Mano







— Io vi dico che è cotto di lei — farfugliò Alexy, dopo aver addentato una coscia di pollo.
— Ma non può essere: è una sua collega! — esclamò Violet.
— E quindi? Nulla gli vieta di provare qualcosa — ribatté Iris.
Mentre gli studenti francesi consumavano la propria cena nella grande mensa dello Sweet Amoris, al tavolo dei professori si stava tenendo una vivace conversazione fra gli insegnanti del Dolce Amoris ed altri docenti stranieri. Certi sguardi ed espressioni emersi dalla faccia del professor Faraize ed indirizzati alla professoressa Moreau avevano fatto credere ad alcuni alunni che il loro insegnante di storia fosse davvero infatuato della bella collega.
— Avanti, guardatelo! Si sta mangiando più lei con gli occhi che il cibo che ha nel piatto! — insisté Alexy. Poi, rivolgendosi a Kentin, chiese: — Tu che ne pensi?
Lui, che era totalmente immerso nei suoi pensieri, si limitò a scuotere la testa con aria di dubbio. Da quando era tornato a scuola, non aveva smesso per un attimo di pensare a ciò che gli avevano detto i gemelli riguardo alle presunte vertigini di Candy. Continuava a domandarsi a che scopo l’amica gli avesse mentito fingendo di sentirsi male, ma l’unica possibile conclusione a cui era arrivato fu che Candy avesse semplicemente bisogno di un po’ di affetto o di parlare e sfogarsi con qualcuno. Per questo motivo, e per evitare ulteriori casini, decise di archiviare la faccenda e di non farne parola con lei.
— Dai, Alexy ha ragione: è chiaramente imbarazzato e sta facendo di tutto per farle una buona impressione!
— Quoto con Iris.
— E poi anche lei sembra lusingata dalle sue attenzioni!
— Secondo me vi state facendo troppi viaggi mentali.
— Fidati, Violet, quei due sono fatti l’uno per l’altra!

Dopo aver cenato, dovettero rinunciare ad uscire perché aveva cominciato a piovere, così si raccolsero tutti nella stanza di Alexy, Melody e Nathaniel per chiacchierare in compagnia.
Appena entrarono, ciascuno prese posto un po’ dove capitava. Alexy saltò sulla propria parte di letto matrimoniale, seguito da Candy, che si posizionò di fianco a lui. Notando che Kentin era rimasto in piedi, gli fecero segno di sedersi accanto a loro, e così lui fece.
Il primo argomento di cui parlarono fu scelto da Rosalya, che domandava quale fosse, secondo i presenti, il ragazzo più bello del Dolce Amoris. La maggior parte dei voti ricadde su Nathaniel, che, imbarazzato, sprofondò nel divano su cui era seduto. Dal lato opposto della camera Melody zampettò verso di lui e gli si accucciò accanto. — Poverino, l’avete messo a disagio! — esclamò prendendolo a braccetto.
— Guarda che anche tu hai votato per lui — rispose alterato Alexy, saltando giù dal letto ed andando a farsi spazio fra i due, per sottrarre Nathaniel dalle grinfie di Melody.
Intanto Kentin e Candy guardavano divertiti la scena, scommettendo su chi dei due contendenti si sarebbe aggiudicato la mano del delegato. — Alexy. Non si arrenderà mai, è sicuro — dichiarava Kentin.
— Sì, lo penso anch’io. Non potrebbe mai darla vinta a Melody!
Quella serata stava procedendo davvero molto bene. Chiacchierare sul letto con Candy con la presenza di tutti gli altri compagni di classe era per Kentin anche più facile e piacevole di quanto fosse stato con loro due da soli. Non aveva pensieri negativi per la testa e nessuna inibizione che lo frenasse dal parlare tranquillamente con lei: insomma, era contento di essere lì.
Verso le undici di sera vide che Candy stava cominciando a sbadigliare, così le propose di tornare nella loro camera per dormire. Proprio mentre si stavano alzando, però, qualcuno bussò alla porta. Kim, che era la più vicina, andò ad aprirla. — Prof., qual buon vento!
— Ciao ragazzi, sono venuta per controllare che sia tutto a posto — disse la professoressa Moreau, sbirciando qua e là dentro la stanza.
— Sì, non si preoccupi! Entri, si sieda con noi! — la invitò Armin.
— Mi farebbe tanto piacere, ma sono già le undici e dovete andare tutti a nanna!
— Prof. per favore, ancora dieci minuti!
— E va bene, ma non di più! Ah, volevo dirvi il programma di domani. Avrete tutta la mattina libera da passare qui al liceo per poter socializzare con gli altri studenti stranieri, per pranzo andremo a mangiare all’Hard Rock Cafe, dopodiché visiteremo Piccadilly Circus.
I ragazzi esultarono approvando unanimi la decisione che era stata fatta. In seguito la Moreau diede loro la buonanotte, ma prima che potesse uscire dalla stanza, Alexy la fermò per farle una domanda. — Prof., ci dica, che ne pensa del professor Faraize?
— In che senso? — domandò lei, presa alla sprovvista.
— Eeeeeh, abbiamo visto come la guardava a cena! Ce lo confessi: c’è del tenero fra di voi!
— Cosa stai dicendo, Iris!? Siamo solo colleghi di lavoro! — esclamò la Moreau, arrossendo di colpo.
— Eeeeeh…
— Buona notte a tutti; fra dieci minuti dovete essere a letto a dormire! — cercò di tagliare corto.
Quando se ne fu andata, i ragazzi ripresero a discutere sul rapporto fra i due insegnanti, dopodiché Candy e Kentin salutarono gli altri e se ne tornarono nella loro camera.
— Che ne pensi di quei due? — chiese Candy mentre percorrevano il corridoio.
— Non lo so, secondo me non c’è niente fra di loro, ma ammetto che starebbero bene insieme.
— Però immagina: sarebbe strano avere due insegnanti sposati!
— Già, non avrebbero vita facile con tutto il gossip che gira nella nostra scuola!
Arrivati davanti alla stanza, si assicurarono di non essere visti da nessuno ed entrarono. Richiusa la porta, si prepararono per la seconda notte. Kentin, memore della pessima figura fatta la sera prima, scelse con attenzione un’altra maglietta da usare come pigiama, ed andò a cambiarsi in bagno.
Tornato in camera, trovò Candy seduta davanti al tavolo, che si stava sciogliendo i capelli. Per un attimo rimase spiazzato nel vedere la lunga chioma che possedeva la ragazza. Era sempre stato abituato, fin dalla prima elementare, alla sua coda e non aveva mai pensato che i capelli di Candy le coprissero tutta la schiena; anzi, aveva sempre creduto fossero corti. Sebbene fosse solo una sciocchezza, restò quasi affascinato da quella rivelazione, tanto da accorgersi che, pettinata così, Candy sembrava un’altra persona.
Senza rendersene conto si avvicinò a lei. — Stai bene con i capelli sciolti — confidò. — Dovresti tenerli così più spesso.
Candy lo guardò. — Dici? — rispose mentre arrossiva e prendeva la spazzola che c’era sul tavolo.
— Aspetta, faccio io — la interruppe Kentin. Gliela sfilò delicatamente dalla mano e si mise dietro di lei. Fece tutto in completa calma e naturalezza e lei non oppose resistenza.
Sapeva cosa avrebbe comportato, ma prese lo stesso in mano la prima ciocca. Non appena la sfiorò, gli sembrò di toccare ciò che di più morbido c’era al mondo. Supplicò al suo corpo di non scomporsi, ma dopo neanche un secondo il cuore gli disobbedì cominciando a martellargli dentro. Riuscì però a far stare fermo il braccio che, con estrema lentezza, comandava i movimenti della spazzola dalla testa fino alla schiena di Candy. Mentre la pettinava facendo attenzione a non tirarle nessun capello, si lasciava inebriare dal delicato profumo che essi emanavano.
Terminata l’operazione, Kentin posò la spazzola sul tavolo e prese l’elastico che c’era lì di fianco. Raccolse con le mani quel fiume di morbidezza e lo divise in tre parti uguali. Si ricordava quando da piccolo si divertiva ad intrecciare i capelli della sorellina prima di andare a dormire, così, allo stesso modo, incrociò quelli di Candy, fino a formare una lunga treccia che lasciò ricadere sulla sua schiena.
Dopo un momento di silenzio, la ragazza si alzò dalla sedia, si voltò verso di lui e lo ringraziò.
Lui le sorrise e, accorgendosi che le era rimasto un ciuffo davanti agli occhi, avvicinò la mano destra al suo viso. Quando l’ebbe spostato dietro l’orecchio, anziché allontanare le dita, le lasciò indugiare sulla sua guancia, che sentì divenire incandescente in un istante. Conscio del fatto che anche le sue stavano per prendere fuoco, l’accarezzò lentamente per qualche secondo.
Non sapeva cosa stava accadendo, né perché avesse iniziato a farlo, ma quando poi il suo sguardo si incrociò con quello paralizzato di Candy, si accorse che la stava toccando e ritrasse velocemente il braccio. Contemporaneamente anche lei si spostò in un altro punto della stanza ed entrambi, imbarazzati, non dissero più niente.
Come se non fosse successo nulla, spensero le luci ed andarono a letto.
Nel buio della notte Kentin pensò che non era sua intenzione fare qualcosa a Candy. Lui voleva semplicemente guardarla, notare come stava bene con un’acconciatura diversa; è che non era riuscito a controllare il suo braccio e, anche se sentiva di non aver fatto nulla di sbagliato, per un attimo gli venne il terrore di aver rovinato tutto.
Prima che potesse cominciare a disperarsi, udì una voce alle sue spalle.
— Kentin?
Si girò verso di lei e la trovò voltata nella sua direzione. — Grazie per essere qui — gli disse semplicemente. La ragazza fece emergere una mano dalle coperte e l’avvicinò a lui, come per invitarlo a prenderla. Sorpreso e sollevato, appoggiò la propria su quella di Candy e la strinse dolcemente.
Sorridendosi a vicenda, chiusero entrambi gli occhi e si addormentarono insieme.
Il mattino dopo, le loro mani erano ancora unite.

Come aveva detto la professoressa Moreau, agli ospiti del liceo fu lasciata la prima parte della giornata libera per conoscersi meglio e poter stringere amicizia con altri studenti stranieri.
Dopo aver fatto colazione, Kentin e Candy si ritrovarono con i loro compagni di classe nella grande hall, nella quale si erano raccolti anche molti alunni provenienti da ogni parte del mondo.
— Dobbiamo per forza conoscere altra gente? Tanto fra due giorni saremo già a casa e non li rivedremo mai più! — borbottò Armin, imbronciato.
— Armin, sei sempre il solito… Oh, guardate là! — esclamò ad un tratto Rosalya, puntando il dito verso qualcuno. Il viavai di persone che c’era fra la sua mano e l’oggetto del suo interesse era inquantificabile, tuttavia anche un bambino avrebbe capito che quello che stava indicando era un gruppo di tre ragazzi altissimi, snelli e chiassosi, che senza dubbio spiccava sopra chiunque altro in quella stanza. Si trovavano a pochi passi all’uscita, non molto distanti da Kentin e gli altri, ed attorno a loro era riunito un numero spropositato di ragazze.
— Che pallone gonfiato è quello al centro? — commentò Armin.
— Ehi zitto, sta guardando nella nostra direzione! — fece Iris. In effetti uno dei tre ragazzi aveva improvvisamente distolto lo sguardo dal crocchio di ammiratrici e l’aveva posto sul gruppetto di studenti francesi. In particolar modo, sembrava aver adocchiato qualcuno di preciso, qualcuno che Kentin cercò in tutti i modi di identificare, passando velocemente dagli occhi del ragazzo, alle facce di ogni suo compagno di classe.
Prima che potesse capire di chi si trattasse, anche se temeva vivamente che fosse quella persona, lo vide salutare gli altri due, farsi largo tra la folla e dirigersi proprio verso di loro. Quando gli fu di fronte, domandò in inglese se fossero gli studenti francesi. Rosalya, Iris e Kim risposero subito di sì, così cominciò a parlare nella loro lingua, spiegando che gliel’aveva insegnata suo zio, il quale viveva in Francia e che lui ci andava spesso, anche se era australiano e frequentava il Dolce Amoris con sede a Sydney.
Mentre blaterava, Kentin notò con grande rammarico che per tutto il tempo il suo sguardo era stato indirizzato con insistenza verso di Candy, e questo lo mise lievemente in agitazione. Oltretutto sembrava uno di quegli spilungoni usciti da una puntata di Baywatch: pelle abbronzata, capelli biondi tenuti su da un codino, occhi simili a due fessure e di colore verde come quello di Kentin. Il tutto condito da un’espressione fiera e a tratti arrogante stampata in faccia.
— Il mio nome è Dakota, ma voi potete chiamarmi Dake — disse con voce suadente porgendo la propria mano a ciascuna ragazza. Fin dall’inizio, infatti, non aveva fatto altro che rivolgersi a loro, ignorando completamente la presenza di Armin, Alexy, Nathaniel e Kentin.
Le salutò una dopo l’altra, ma quando arrivò a Candy, la sua stretta durò di più a lungo e il suo sguardo si fece più intenso. Quello di Kentin invece si fissò con disgusto sulle loro mani. Su quella stessa mano che fino a pochi minuti prima era stata solo sua.
— Che ne dite, ragazze, se andiamo fuori a farci un giro? — riprese poi, in un francese perfetto. Loro sembrarono contente di quella proposta, così acconsentirono.
— Non vi dispiace se ve le prendo per qualche ora, vero? — domandò in modo retorico rivolgendosi ai maschi, ma tenendo gli occhi fissi su di Candy. Essi risposero senza troppi problemi di no, ma in mezzo ad ogni loro ‘no’ risuonò un unico e deciso ‘sì’.
Tutti si voltarono verso Kentin, stupiti.
Sentendosi addosso le occhiatacce di Rosalya, Iris e Kim, corresse istintivamente quello che aveva appena detto: — Cioè, no — e sbirciò in direzione di Candy, che però non diede l’idea di volersi opporre.
— Allora let’s go! — gridò Dake facendo dietrofront e saltellando verso l’uscita assieme alle ragazze.
In quel frangente Kentin avrebbe tanto desiderato pararglisi davanti e stampargli un cazzotto dritto sul naso. Con che faccia tosta si permetteva di arrivare, presentarsi e portarsi via le loro compagne?
Ma, pensandoci, non poteva nemmeno prendersela con lui: era chiaro che fosse solo un buontempone e che non c’era nulla di cui preoccuparsi. Inoltre, come aveva detto Armin, dopo quella volta non le avrebbe rincontrate mai più. Perciò si mise il cuore in pace e, insieme ai gemelli e a Nathaniel, trascorse il resto della mattinata nella hall.
Qualche ora più tardi arrivò tutta contenta Rosalya. — Ragazzi, notizia sensazionale! — annunciò richiamando la loro attenzione. — Candy e Dake si sono messi insieme!
In un primo momento Kentin non ci fece molto caso; solo in un secondo tempo realizzò quello che aveva appena detto la compagna.
Non reagì in alcun modo né ci ragionò troppo.
Semplicemente vide tutto il castello che per anni aveva costruito con fatica cadere a pezzi.






✤✤✤




Bene, dopo questa sicuramente odierete Candy per il resto dei vostri giorni xD Però voglio dirvi una cosa: non saltate a conclusioni affrettate é_é Aspettate di leggere tuuuutto prima di scannarla XD
Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento… Il prossimo è già a buon punto, manca solo una scenetta finale che avevo già abbozzato da mesi e mesi **
Ringrazio come sempre tutti quelli che recensiscono o, dopo così tanto tempo, aggiungono la storia ai preferiti :0
Al prossimo capitolo :D

...
*Sclero totale fra 3...2...1....* xD

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Capitolo 24
*** Strappo ***




Capitolo 24


Strappo







Era successo tutto troppo velocemente.
Ciò che aveva detto Rosalya non poteva essere vero. Era stato frutto dell’immaginazione di Kentin. Oppure uno scherzo, non c’era altra soluzione.
O magari aveva capito male. Gli eventi di quella mattinata si erano susseguiti ad una velocità talmente elevata, che nessuno sarebbe potuto starci dietro.
Nel giro di qualche minuto arriva dal nulla un bellimbusto, si presenta e si porta via le ragazze; dopo neanche due ore questo è già diventato il fidanzato di una. E non di una qualsiasi, ma di Candy.
No. Era qualcosa di troppo inconcepibile per essere accettato.
— In che senso “si sono messi insieme”?! — esclamò con indignazione Alexy a Rosalya.
— Nell’unico senso possibile del termine, Alexy! Lui le ha chiesto di essere il suo ragazzo, e lei ha detto di sì! — spiegò tutta allegra, mentre si sedeva su un divanetto vicino a loro.
Non rispose più nessuno. Gli sguardi sconcertati di Alexy e Nathaniel si spostarono lentamente su Kentin, che stava osservando con espressione vuota un punto davanti a sé.
Loro capivano bene cosa provava l’amico e di certo gli avrebbero dato tutto il loro appoggio per superare quel duro colpo, ma al contrario Armin e Rosalya ignoravano il suo stato d’animo, così ripresero a parlare.
— E come è successo? Come gliel’ha chiesto? — domandò Armin, che voleva saperne di più sulla faccenda.
La compagna non se lo fece chiedere due volte e cominciò a raccontare. — È stato tenerissimo! Stavamo tutti facendo un giro nel cortile, quando lui l’ha presa in disparte e sono andati a sedersi insieme sotto a un’albero; dovevi vederli, erano troppo… — ma non finì la frase, perché Kentin si alzò di colpo e se ne andò via senza fiatare. Non aveva la minima intenzione di stare ad ascoltare cos’era successo fra la sua Candy e quello sconosciuto. Aveva già sentito abbastanza.
Dopo essersi scambiati uno sguardo d’intesa, Alexy e Nathaniel lo seguirono, lasciando Armin e Rosalya da soli e confusi.
Lo raggiunsero quasi di corsa, davanti agli ascensori.
— Kentin — lo fermò Alexy. — Cos’hai intenzione di fare, ora?
— Che dovrei fare? — chiese lui, alterato.
— Beh, reagire! Non puoi arrenderti così.
— Secondo me, invece — li interruppe Nathaniel — non devi preoccuparti di nulla. Non può essere una cosa seria, vedrai che non appena torneremo a casa si saranno dimenticati l’uno dell’altra.
— Dimentichi cos’ha detto, quel Dake — continuò Alexy. — Che va spesso in Francia! Quindi non c’è da stare tranquilli.
— Ma che vuoi che sia! Vedrai che domani avrà già adocchiato un’altra ragazza. L’hai visto com’è, no? Il tipico dongiovanni.
— Sentite, adesso basta parlare di questa storia — cercò di farli smettere Kentin, che cominciava a non poterne più.
— No, ascolta: tu non puoi rinunciare a Candy — pronunciò Alexy a chiare lettere, parandoglisi davanti. — Non puoi lasciare che un fighetto qualunque l’abbia vinta. Devi combattere!
— Ho già combattuto abbastanza! — urlò Kentin. Alexy tacque.
Si morse subito un labbro, stupito lui stesso per quello che aveva appena detto.
Non avrebbe mai pensato che quel giorno sarebbe arrivato.
Si stava arrendendo.
In un attimo vide cadere tutte le poche speranze che fino a quel momento l’avevano accompagnato e gli avevano consentito di andare avanti. Si era illuso che prima o poi la situazione sarebbe migliorata, che col tempo Candy avrebbe cambiato idea su di lui. Ma che provava esattamente Candy per lui? L’aveva detto: amicizia. Non certo amore. E allora perché continuava ad insistere? Perché non accettava il fatto che lei avesse scelto un altro? Che cosa lo spingeva a non piantarla con quella storia e lasciarsi tutto alle spalle? Forse perché gli sembrava che nell’ultimo periodo si fossero avvicinati; prima sul London Eye e poi quella stessa precedente sera in camera loro. Certo, in un modo un po’ difficoltoso, ma era sicuro che Candy avesse compreso l’affetto reciproco che li legava. Eppure, a poche ore di distanza da quegli avvenimenti, con quell’assurda decisione lei aveva stravolto tutto ciò in cui Kentin credeva.
Ma quello che a lui faceva più male era la scelta di fidanzarsi con un ragazzo conosciuto da così poco tempo. Che cosa aveva questo Dake di così tanto speciale da meritare l’interesse di Candy? Come poteva piacerle uno così? un classico dongiovanni, come lo aveva definito Nathaniel. E soprattuto, cosa aveva di più rispetto a Kentin? Era più alto, d’accordo. Ma bisognava ammettere che a livello fisico non gli poteva invidiare niente. E, cosa più importante, né conosceva né voleva bene a Candy quanto lui. Perché preferirlo, allora?
A questi interrogativi Kentin non sapeva darsi una risposta, tuttavia una triste certezza si stava facendo largo in mezzo ai suoi ragionamenti: il suo dolore non era giustificato.
Era come se si sentisse tradito da Candy. Ma tradito per cosa? Lei non stava mica con lui. Come lui era libera di fare ciò che le pareva, di frequentare chiunque volesse. Non aveva il diritto di imporle niente.
— Non mi sto arrendendo, ma se lei non vuole stare con me, non posso obbligarla — si decise a dire ad Alexy e a Nathaniel, dopo aver concluso che quella era la soluzione più sensata. Per impedir loro protestare ulteriormente, aggiunse: — Adesso scusatemi, ma vorrei stare da solo — e si allontanò verso le scale.
Alexy fece per seguirlo, ma venne trattenuto per un braccio da Nathaniel. — Lasciamolo andare — gli disse. — Concediamogli del tempo per riflettere.

Verso mezzogiorno le tre classi del Dolce Amoris furono chiamate dai professori per cominciare la loro terza visita di Londra.
Kentin pensava che gli sarebbe piaciuto mangiare all’Hard Rock Café, ma, dati gli eventi dell’ultim’ora, non fu in vena di divertirsi. Anche quando attraversarono Piccadilly Circus, con tutte le sue insegne e schermi luminosi, non ebbe né la forza né la voglia di fermarsi ad ammirare la piazza.
Candy gli aveva rivolto degli sguardi ogni tanto, ma per tutto il pomeriggio non gli aveva scambiato una parola. Probabilmente si è accorta di come mi sento e non sa come comportarsi, pensò Kentin.
Durante la strada di ritorno a scuola, però, la compagna si era avvicinata a lui e con molto imbarazzo gli aveva proposto di andare in un bar vicino al liceo dopo cena. Lui aveva accettato senza aggiungere o chiederle altro, curioso di scoprire cosa gli avrebbe detto per giustificare quella sua folle decisione di mettersi con Dake.
Dopo aver cenato, Kentin pensò di andare in camera sua per cambiarsi i vestiti prima di uscire con Candy. Una volta dentro, aprì l’armadio e cercò qualcos’altro fra gli abiti che sua madre gli aveva messo in valigia. Con sua grande sorpresa trovò i pantaloni bianchi e la camicia a quadri che aveva comprato mesi prima al centro commerciale con Alexy. Si mise quelli e scese nella hall.
La stanza, come sempre, era gremita di studenti. Mentre si faceva largo tra la folla chiedendosi dove fosse l’amica, udì nel brusio generale qualcuno che parlava in francese. Riconobbe la voce: era quella di Dake. Si diresse verso il punto da cui proveniva e con suo grande stupore lo vide assieme a Candy e ad altri ragazzi che probabilmente erano suoi compagni di classe.
Non appena li scorse, sentì come uno strappo all’altezza del cuore.
Fu qualcosa di fulmineo, che durò meno di un secondo; ma ciò che gli lasciò dopo fu un dolore prolungato, interno e impossibile da arginare o da alleviare.
Non doveva andare così.
In dieci anni Kentin le aveva passate di tutti i colori, ma quello, vedere Candy insieme ad un altro uomo, era la cosa più straziante che avesse mai provato.
Improvvisamente capì perché aveva scelto lui. A differenza sua, Dake ci sapeva fare con la gente. Era simpatico, divertente, sempre circondato da un mucchio di persone. Forse era proprio il tipo di ragazzo di cui Candy aveva bisogno. E ora che per la prima volta li poteva vedere l’uno accanto all’altra - lui che scherzava e lei che rideva alle sue battute - gli sembrò che stessero pure bene insieme.
Si sentì di nuovo invadere da quel senso di tradimento ingiustificato: ci sarebbe dovuto essere lui al posto di Dake, eppure non poteva farci niente se non accettarlo.
Una cosa, però, poteva farla. Era stata la stessa Candy a chiedergli di uscire, quindi aveva tutto il diritto di interrompere il loro vivace dialogo per avere la ragazza per sé almeno quella sera, prima che l’avesse persa per sempre.
Perciò, dopo un lungo respiro, si fece coraggio e decise di prendere in mano la situazione. Cercando di ignorare il disagio causato dagli sguardi dei presenti che, metro dopo metro, si posavano su di lui, s’incamminò verso la coppietta.
Una volta che gli fu davanti, senza curarsi di Dake domandò a Candy: — Ciao. Possiamo andare?
Lei in un primo momento lo guardò spaesata, poi capì e si portò una mano alla testa — Oh, scusami… — balbettò. — Ti spiace se rimandiamo a domani? — aggiunse accennando al suo nuovo ragazzo, il quale subito le si avvicinò e le mise un braccio attorno alla vita.
Un altro strappo al cuore. Questa volta più forte.
Kentin restò a guardarla con gli occhi quasi sbarrati, incredulo di ciò che aveva sentito.
A poco a poco si sentì osservato da tutti coloro che gli erano attorno, incluso Dake, che lo analizzava dalla testa ai piedi con aria di superiorità, come fosse un terzo incomodo.
Incapace di trovare le parole giuste ed imbarazzato da tutte le facce fisse su di lui, scosse la testa e con riluttanza tornò sui propri passi.
Era difficile spiegare quello che stava provando mentre si allontanava.
Prima era rimasto circoscritto al petto, ma questa volta il dolore causato dal secondo strappo si stava propagando in altre parti del corpo, provocandogli incessanti pulsazioni ed una reazione a catena dagli effetti disastrosi.
Sentiva la pancia contorcersi, come se fegato e stomaco avessero intrapreso una lotta all’ultimo sangue; sangue che di colpo sembrò tramutarsi in fuoco. Quello che arrivava alla testa gli fece credere che sarebbe esplosa da un momento all’altro, anche perché il cervello era troppo occupato a gestire i mille sentimenti che bombardavano il cuore. Lui stesso non capiva che cosa stesse sentendo di preciso. Vergogna? Indignazione? C’erano talmente tante emozioni dentro di lui, che era come se non ne provasse nessuna, nemmeno la rabbia.
L’unica parte del suo corpo ancora funzionante erano le gambe, che però non sapevano dove andare, sfuggite com’erano al controllo del sistema nervoso eccessivamente impegnato.
Un temporaneo barlume di lucidità lo fece dirigere verso l’ascensore. Dopo averlo chiamato si appoggiò al muro, nel tentativo di recuperare l’ingente quantità di fiato di cui aveva fatto uso per non rischiare il collasso.
Qualche minuto dopo si sentì toccare la spalla da qualcuno. Girandosi trovò di fronte a lui due ragazze molto graziose che gli chiesero in inglese se andasse tutto bene. Ricordandosi che si trovava ancora nella hall in mezzo alla gente, cercò di riacquistare un minimo di contegno e rispose loro di sì, ringraziandole per l’interessamento.
Nell’attesa che l’ascensore arrivasse, le due gli chiesero di che liceo fosse, dicendogli che loro erano studentesse dello Sweet Amoris.
Proprio quando sembrava che la conversazione stesse facendo ristabilire l’equilibrio interno di Kentin, successe l’ennesimo imprevisto. Stava per rispondere che la sua scuola era quella francese, quando venne colpito su una guancia da qualcosa di rapido e pungente che gli fece quasi girare la testa di novanta gradi.
Tornato completamente in sé grazie a quella sberla improvvisa, si guardò ripetutamente attorno per capire chi fosse stato ed in un lampo riuscì ad intravedere la figura di Candy scomparire all’interno dell’ascensore che nel frattempo era arrivato.
Sbalordito ma allo stesso tempo deciso a seguirla, oltrepassò velocemente le due ragazze inglesi, rimaste confuse e a bocca aperta. — Excuse me — disse loro, e si precipitò sulle porte; purtroppo, però, le raggiunse poco dopo la loro chiusura, non facendo in tempo a bloccarle. Allora si fiondò furente nell’altro ascensore e pigiò con violenza il bottone del sesto piano.
In un istante tutto lo sbigottimento di prima era svanito. Dentro di lui ogni cosa tornò finalmente a posto, perché doveva far spazio alla crescente ira.
Gli dispiacque di provare quel sentimento. Avrebbe piuttosto preferito rimanere in quel precedente stato di confusione e agitazione, ma ciò che era accaduto era davvero inaudito. Non riusciva a spiegarsi in alcun modo cosa avesse spinto Candy a schiaffeggiarlo così, in pubblico, e senza un motivo plausibile.
Quando l’ascensore arrivò all’ultimo piano si precipitò fuori per rincorrere la ragazza, la quale era già arrivata alla loro camera. Solo di una cosa aveva bisogno: di spiegazioni.
— Si può sapere qual è il tuo problema? — ruggì subito dopo essere entrato nella stanza ed aver sbattuto la porta dietro di sé.
— Volevo dirti che sarei venuta con te al bar, ma a quanto pare eri troppo indaffarato con le tue nuove ammiratrici inglesi — ringhiò lei di rimando.
— Sei tu quella troppo indaffarata con Mr. Perfezione!
— Almeno lui ha carattere! E poi non hai alcun diritto di giudicare con chi posso o non posso stare.
— Potrei dire esattamente lo stesso!
— Benissimo!
— Benissimo! — Il dialogo si interruppe bruscamente. Candy uscì in fretta dalla stanza, furente e alterata quanto lui.
Vai pure! tanto non ho bisogno di te, pensò Kentin. Andò direttamente a dormire, sebbene non fossero neanche le dieci di sera.
Non volle cercare di capire cos’era successo o ragionare meglio su quello che si erano appena detti. L’unica consapevolezza era che, a poco a poco, la stava perdendo.






✤✤✤




Sì, mi sto tirando la zappa sui piedi. Dopo sto episodio credo che sia più che giustificabile odiare a morte Candy xD però come sempre dovete aspettare a leggere tutta la storia T_T Penso di aver fatto un casino con questo capitolo. Non so che cosa starete pensando ora che la storia ha preso questa piega, ma vi assicuro che l’agonia durerà poco :°D Ci sono ancora 3 capitoli all’incirca. Poi finalmente non vi tormenterò più (e non MI tormenterò più) con ‘sto delirio.
Intanto ringrazio tutti voi che lo leggete, commentate o aggiungete tra i preferiti :3 Spero di non deludervi troppo, col finale :°D
Ciao a tutti e grazie!!

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Capitolo 25
*** Buio ***




Capitolo 25


Buio







Il giorno dopo Kentin si svegliò indolenzito. Le avversità della sera precedente non gli avevano dato tregua e anzi iniziavano a mostrare i loro effetti.
Nel prepararsi per andare a far colazione, sia lui che Candy evitarono accuratamente di intercettare lo sguardo dell’altro, nonostante fosse difficile ignorarsi nella stessa stanza. La ragazza era riuscita ad accaparrarsi subito il bagno, per questo motivo finì di vestirsi ed uscì dalla camera prima di lui.
Quando anch’egli fu pronto, si diresse al piano terra. Entrato in mensa, gettò un’occhiata veloce ai tavoli: gli altri compagni non erano ancora arrivati, mentre Candy era andata a sedersi a quello degli studenti australiani, insieme a Dake. Sentì la bile salirgli alla gola, ma, cercando di trattenere la calma, andò a prendere da mangiare dai banconi allestiti per la colazione.
Si stava riempiendo il piatto di fette biscottate e marmellate, quando dalla sua sinistra arrivò un suo compagno di classe, uno dei primi che aveva conosciuto da quando era arrivato al Dolce Amoris. — Auguri, Kentin — gli disse tranquillamente.
Non capendo a cosa si riferisse, pensò che lo stesse prendendo in giro, perciò chiese bruscamente: — Per cosa?
Quello rispose un po’ offeso: — Oggi è il tuo compleanno!
Rimase per un attimo spaesato. In un lampo, però, si rese conto che ciò che gli aveva detto era vero. La gita era cominciata il tre, erano passati tre giorni, quindi doveva sicuramente essere il sei marzo, il giorno del suo diciassettesimo compleanno! Come aveva fatto a dimenticarsene? Forse perché dall’arrivo a Londra, come spesso capita quando si viaggia, aveva perso la cognizione del tempo. O forse perché aveva avuto ben altri problemi per la testa.
Sorpreso ma in un certo senso contento, lo ringraziò sforzando un sorriso: dopotutto era stato gentile a ricordarsene. Terminato il rifornimento di cibo, scelse il tavolo più lontano da quello in cui si trovava Candy ed aspettò l’arrivo degli amici.
La giornata non fu delle migliori. Per cominciare, nessuno dei suoi conoscenti si ricordò di fargli gli auguri e questo gli mise un po’ di tristezza addosso. Poi però si rese conto che avrebbe dovuto aspettarselo; dopotutto non aveva mai detto loro quand’era il suo compleanno: a parte il compagno di prima e Candy - con la quale aveva trascorso mezza infanzia - nessun altro lo sapeva. Quanto a lei, non si rivolsero parola per il resto del giorno, né quando visitarono il British Museum insieme ai professori, né mentre giravano per la città durante le ore libere che gli avevano concesso. In questo caso, però, non si sarebbe aspettato il contrario.
L’unico evento felice in mezzo a tanta amarezza fu la telefonata che ricevette dai suoi genitori che gli facevano gli auguri.
Una volta rientrati a scuola, si recarono come al solito in mensa, dove consumarono la cena. Dopo aver finito, Kentin si alzò dal tavolo insieme agli altri, ma, prima che potesse andarsene, si sentì chiamato da una voce femminile. Si girò e trovò di fronte a lui Karla.
— Ehm... ciao! Posso parlarti un attimo? — gli chiese piuttosto imbarazzata, sbattendo i suoi grandi occhi verdi.
— Sì, va bene — rispose lui, domandandosi che mai avesse da dirgli e seguendola diversi metri più in là.
La ragazza sembrava non saper da dove cominciare. — Come stai? — gli domandò in un sorriso.
— Tutto...bene, tu? — disse incerto.
— Non c’è male, direi — ribatté. Dopo una pausa, continuò: — Come è andata oggi?
Kentin fece per aprir bocca, ma proprio in quel momento le luci della mensa si spensero di colpo, lasciando la sala completamente al buio. Si udirono le grida di alcune persone e crebbe a poco a poco la confusione.
— Karla, stai bene? — domandò portando le mani in avanti per raggiungerla.
— Sì, sono qui. — Avvertì quelle della ragazza scontrarsi brevemente con le sue e subito dopo le sentì salire lungo le proprie braccia, per poi arrivare fino alle spalle. Rimase confuso ed un po’ imbarazzato per quell’inaspettato contatto, ma qualche secondo più tardi capì che stavano solo cercando di farlo ruotare su se stesso di centottanta gradi.
Le lasciò fare e non appena ebbe dato le spalle a Karla, vide comparire davanti a sé l’unica fonte di luce nel buio della stanza. Tante piccole fiammelle che ondeggiavano l’una accanto all’altra illuminavano dietro di loro i volti sorridenti degli altri compagni di classe. Senza preavviso si sentì intonare Tanti auguri a te e fu solo quando si arrivò al nome di Kentin, che lui capì a chi fosse indirizzata la canzone. Al termine della melodia tutti i presenti applaudirono entusiasti, facendolo rimanere incredulo e senza parole. Restò per diversi secondi a bocca aperta: poteva aspettarsi di tutto, ma mai una festa a sorpresa da parte dei suoi amici!
— Io...non so cosa dire... Grazie... — balbettò a bassa voce mentre avanzava di un timido passo verso il tavolo.
— E soffia quelle candeline! — urlò qualcuno dall’oscurità ancora presente. Senza farselo ripetere un’altra volta, Kentin si avvicinò alla torta e le spense in un solo soffio. Dopo un’altra serie di applausi, le luci della mensa si riaccesero e tutti i compagni di classe circondarono il ragazzo. Non aveva fatto in tempo ad abituarsi alla luce, che dalla folla sbucò tutto trepidante Alexy con in mano un sacchetto.
— Da parte di tutti noi — annunciò fiero, porgendolo a Kentin, il quale arrossì stupito.
— Non dovevate!
— Avanti, aprilo.
Senza tentare di nascondere il sorriso che da un’orecchio all’altro gli solcava il volto, guardò all’interno del sacchetto. C’erano due pacchetti: uno largo e poco spesso, delle dimensioni di un libro, ed uno più piccolo e cubico. Cominciò da quello più piccolo.
— Una Polaroid!? — proruppe.
— Spero che ti piaccia! — esclamarono insieme i suoi compagni.
— Sì, è fantastica!
— Ora apri l’altro — continuò Alexy, estraendo il secondo regalo. Kentin lo scartò e vi trovò un album fotografico.
— È per conservare tutte le foto che scatterai.
— È meraviglioso, grazie! — fece in tempo ad aggiungere, prima di venire travolto dall’abbraccio improvviso di Alexy.
Mentre un attimo prima era avvilito e giù di morale, ora il cuore di Kentin traboccava di gratitudine. Non poteva credere che i suoi compagni di scuola, i suoi amici, si fossero organizzati insieme per fargli un regalo così bello.
E c’erano tutti, lì attorno a lui.
Melody, Iris, Kim e Violet lo guardavano contente. Anche Rosalya, con la quale doveva ammettere che in passato aveva avuto qualche battibecco, sembrava soddisfatta della buona riuscita della sorpresa.
Alla loro sinistra c’era Peggy, la quale aveva cominciato a documentare l’evento scattando foto agli altri e ai regali, con l'aiuto di Karla, che nel frattempo si era unita al gruppo.
Davanti a lui Armin lanciava occhiate insistenti alla torta, mentre Alexy continuava a sorridergli allegramente.
Non aveva scordato tutto quello che avevano fatto per lui con l’Operazione Brutto Anatroccolo, dell’aiuto che gli avevano dato nell’allontanare le angherie della gente. Chissà se ce l’avesse fatta anche senza di loro.
Poi c’era Nathaniel, che come lui era riuscito a superare il giudizio degli altri. E pure i tre professori Faraize, Moreau e Stikonski erano rimasti in mensa per festeggiare!
— Siete stati gentilissimi! Non me lo sarei mai aspettato, davvero — li ringraziò con imbarazzo Kentin.
— Ehi, pensavi ci fossimo dimenticati del tuo compleanno?! — gli rispose con tono benevolo Iris.
In effetti era proprio così. O meglio, si domandò come avessero fatto a ricordarsene, dal momento che non ne aveva mai parlato con nessuno di loro. — Ma... come facevate a sapere quale giorno fosse? — chiese.
— In realtà l’idea è stata di Candy — spiegò Kim. — Ci abbiamo messo un mese per decidere cosa regalarti e non è stato facile preparare tutto in segreto!
A quelle parole Kentin ammutolì. Come aveva potuto dimenticarsi di lei? Eppure quella stessa mattina l’aveva detto: Candy era l’unica che sapesse del suo compleanno.
Prima di stupirsi del fatto che fosse stata lei ad organizzare la festa a sorpresa, la cercò istintivamente in mezzo a tutti i presenti, senza però trovarla. Poi Iris e Melody si spostarono di mezzo metro, rivelando che la ragazza c’era, ma era rimasta per tutto il tempo nascosta dietro di loro.
Non appena incrociò il suo sguardo, Kentin la vide irrigidirsi e diventare rossa dalla testa ai piedi. Lui stesso non seppe come reagire, sopraffatto anch’egli dall’imbarazzo.
Che doveva dire? Non poteva certo ringraziarla: ciò che era successo la sera prima era ancora vivo nei suoi ricordi e lo feriva. Tuttavia doveva ammettere che quella rivelazione gli fece provare un senso di gratitudine nei suoi confronti. Pensare ad una festa durante la gita, con tanto di regalo e torta, con un mese di anticipo, non era cosa da niente. In pochi lo avrebbero fatto.
Ma comunque nessuno dei due sembrava intenzionato a proferir parola, perciò nella mensa calò lentamente il silenzio.
Notando che la situazione si stava facendo tesa, qualcuno decise di intervenire. — Che ne dite di tagliare la torta? — squillò la voce acuta di Alexy. Kentin si riscosse dai suoi pensieri ed accolse il consiglio del compagno di classe.
Una volta che tutti ebbero ricevuto la loro fetta di dolce, restarono in mensa per mangiare e chiacchierare insieme. Di tanto in tanto Kentin lanciava delle occhiate a Candy, la quale si era allontanata dal gruppo e se ne stava seduta ad un altro tavolo, in disparte.
Dopo un quarto d’ora la vide alzarsi ed uscire dalla stanza. Senza starci troppo a ragionare, si levò pure lui e la seguì.
La hall era come sempre affollata. Il suo sguardo cadde involontariamente sui divanetti di fronte alla reception, ossia la zona in cui spesso si riunivano gli studenti australiani.
Non appena li vide, il tempo sembrò fermarsi.
Due figure stagliate l’una di fronte all’altra.
Candy.
Dake.
Lui che con una mano la attirava a sé e con l’altra sfiorava il suo mento.
La distanza che separava le loro labbra ridursi ad ogni istante che passava.
Poi il buio.
Kentin strizzò gli occhi. Non osò vedere oltre.
Di nuovo l’entrata della mensa.
Le scale. Il corridoio. La porta della camera.
Era scappato il più lontano possibile, prima ancora di assicurarsi che stesse accadendo sul serio.
Non poteva essere vero.
La chiave elettronica gli scivolò dalle mani per l’agitazione.
Aprì la porta, si fiondò dentro.
Senza accendere la luce, si trascinò sofferente fino alla finestra, come un soldato colpito alle gambe dalle frecce nemiche. Attorno agli occhi un bruciore pungente. Dentro al petto un dolore lancinante.
Tante piccole pugnalate lo stavano dividendo in mille pezzi: del cuore non era rimasto più nulla.
No. C’era ancora. Se lo sentiva in gola.
Quella presenza anomala non gli permetteva di respirare.
Si accasciò a terra appoggiandosi al vetro gelido. Fuori pioveva.
Gli erano capitate tante batoste da quando conosceva Candy, ma quella era stata senza dubbio la più dura da ingerire, ed il dolore che aveva provato la prima volta che l’aveva vista insieme a Dake non era nulla in confronto a questo. Non poteva credere che un giorno l’avrebbe vista tra le braccia di un altro; figurarsi di uno come lui.
L’immagine insopportabile di loro due stretti l’uno all’altra continuava a piombargli davanti ai suoi occhi acquosi, ma l’unica cosa che poteva fare era lasciare che le lacrime sgorgassero e scivolassero a terra.
Non poteva... non voleva crederci.
D’un tratto si sentì osservato da qualcuno. Alzò con timore gli occhi e vide il volto severo di un ragazzo attraverso la finestra.
Dall’esterno le luci della città e del London Eye lo colpivano quel tanto che bastava per delinearne i lineamenti gentili e le proporzioni vicine alla perfezione, segnate tuttavia dal pianto; mentre le gocce di pioggia che con forza battevano contro il vetro, si confondevano con le lacrime della faccia già bagnata. Ad ogni debole o impercettibile movimento, la pelle luccicava di blu, di rosso e di giallo, provocando un tetro contrasto con le orbite oculari spente e obnubilate.
Kentin avvertì un moto di ribrezzo verso quel viso magnifico e terrificante. Se lo ricordava. Ricordava i tempi in cui quel volto rappresentava ancora una novità per lui. I tempi in cui provava piacere ad immersi in esso e a lasciarsi trasportare dal suo fascino. In cui contemplarlo era il suo passatempo preferito.
Ma a quei tempi non sapeva verso cosa sarebbe andando incontro.
— TU! È tutta colpa tua! — urlò in preda alla disperazione, le mani strette a pugno contro la finestra — Mi hai solo procurato guai. Perché? che ti ho fatto di male?
Era sul punto di scatenare tutta la sua ira contro quel riflesso, quando venne frenato da un rumore improvviso alle sue spalle.
Riconoscendo il suono elettronico della serratura, si rialzò immediatamente in piedi e cercò di asciugarsi la faccia da quante più lacrime possibile. Senza osare voltarsi, aspettò che chi era entrato richiudesse la porta e dopo un po’ accendesse la luce della stanza. Non aveva bisogno di guardare, per capire chi fosse. Era l’unica persona che oltre a lui possedeva le chiavi della sua camera.
Pochi istanti dopo, la sentì emettere un verso di sorpresa; segno, probabilmente, che si era accorta di lui.
— Stai bene? — disse dopo qualche secondo di silenzio la voce di Candy.
— No. Ma perché dovrebbe importartene? — ribatté subito Kentin, senza muoversi da dov’era e restando nell’unico punto della stanza avvolto dall’oscurità. Un po’ perché non era certo di riuscire a sostenere lo sguardo della ragazza, un po’ perché non voleva mostrarle di aver pianto. — Che è successo?
— Dimmelo tu, cos’è successo.
— Ero venuta per fare la pace — pronunciò lei con leggera titubanza. — Non voglio che litighiamo ancora.
— Che cambia? Stai benissimo anche senza di me.
— Ma... Io ci tengo a te!
— Certo! e lo dimostri slinguandoti quell’invasato! — Kentin sentì il sangue salirgli al cervello, ma si decise a rimanere con il volto fisso sulla finestra.
— Non ci siamo baciati.
Era dura ammetterlo, ma quelle parole lo spiazzarono.
A poco a poco i piccoli pugnali smisero di lacerargli il cuore, e poté di nuovo respirare.
— E perché mai? — insisté, senza reprimere un lieve sorriso.
— Non era il momento giusto. Ma comunque Dake non c’entra niente con me e te. Noi siamo solo amici, dove sta il problema? — la sentì domandare con un’ingenuità quasi lapalissiana.
Di fronte a quella domanda non poté più trattenersi. — Il problema! È proprio questo, il problema, non lo capisci!? — proruppe girandosi di scatto verso di lei. Arrivati a questo punto, non gli importava se l’avesse visto in quello stato. Era impossibile che Candy non capisse quanto Dake c’entrasse, in realtà.
— No! Che c’è di sbagliato? Avevi detto che per te andava bene — rispose alzando la voce, ma facendo comunque trasparire una certa insicurezza.
Kentin fece un lungo respiro e, preoccupandosi solo di mantenere la calma, lasciò che le parole uscissero da sole.
— Pretendi che io resti solo un amico, che sia sempre disponibile quando ti faccio comodo e che non mi azzardi a parlare con nessun’altra ragazza all’infuori di te. Tu invece puoi spassartela con chi vuoi e ti arrabbi se ho qualcosa da ridire. Sei libera di fare ciò che ti pare e piace, mentre io devo avere occhi solo per te. Come puoi essere così crudele?
Dopo quella confessione si sentì più leggero. Come se si fosse liberato di un peso. Un peso durato per mesi.
Si fermò a guardare la reazione di Candy. La ragazza era diventata pallida, con la bocca aperta che si muoveva per formare delle parole che non riuscivano ad uscire. Lo fissava con sguardo perso e vagamente impaurito, come quello di una vittima che sta per essere accoltellata dal suo carnefice.
Non volendo ascoltare altre scuse, Kentin aggiunse: — Ascolta, non ho voglia di discutere. È meglio che io torni alla festa — ed uscì dalla stanza senza dare a Candy la possibilità di ribattere.
Sentendosi comunque sollevato per la notizia - se si poteva definire così - positiva rivelatagli da Candy, ripercorse il corridoio e scese di nuovo al piano terra. In realtà non era sicuro di voler tornare in mensa dagli altri compagni. L’ideale in quel momento sarebbe stato di rimanere da solo a riflettere, anche se l’unico luogo disponibile, la sua camera, era occupato.
Una volta uscito dall’ascensore, lanciò un’altra occhiata agli studenti australiani, chiedendosi cosa fosse successo fra Dake e Candy dopo che lui era scappato via.
In un primo momento pensò semplicemente di aver visto male.
Ma dopo un ulteriore controllo, rimase a dir poco esterrefatto.
Seduto su un divanetto c’era Dake, che, come se niente fosse e in mezzo a tutta la gente, si stava scambiando un bacio appassionato con una ragazza mora mai vista prima. E questa volta per davvero.
Incredulo per l’assurdità della scena che aveva davanti, Kentin indietreggiò lentamente, e nel farlo pestò inavvertitamente il piede di qualcuno. Girandosi, trovò l’ultima persona che avrebbe sperato di incontrare.
Di fronte a lui c’era Candy, immobile come una statua e pallida, gli occhi sgranati puntati sulla coppia.
Conscio del disastro che era appena avvenuto, spostò di nuovo lo sguardo su Dake. Non seppe cosa dire. Forse avrebbe dovuto consolarla, o per lo meno portarla via da quel folle scenario. Si convinse che fosse la cosa più giusta da fare.
Quando si voltò, però, della ragazza non c’era più traccia.
Guardandosi rapidamente attorno, la intravide che correva verso l’uscita del liceo.
Dopo aver urlato il suo nome, partì all’inseguimento.






✤✤✤




Certo che io so come far incazzare le persone, eh? xD
Okey, concluso questo capitolo mi preme dire due cose.
Innanzitutto mi spiace un sacco se aggiorno dopo mesi e mesi... Purtroppo alcune scene sono state veramente ostiche da scrivere, e ho fatto una fatica immane... Però per il prossimo capitolo dovrei impiegare meno tempo, vi avviso :)
In secondo luogo, c'è una cosa che da tempo mi urta.
Mi ha dato un po’ fastidio saltare i momenti di visita di Londra, cioè dire giusto dove sono andati e passare subito al dopo cena. Il punto è che se avessi descritto tutto, l’avrei tirata troppo per le lunghe, e non volevo arrivare a 40 capitoli .-. Già mi ero imposta di fermarmi ai 20 e non sono riuscita a farcela...quindi ho dovuto saltare queste parti. Voi avreste voluto leggerle? ve le sareste aspettati? oppure non vi è cambiato assolutamente nulla? Alla fine non sarebbero state nulla di che...però c’è sto fatto che mi tormenta da alcuni capitoli xD Lo so, probabilmente è una delle mie solite fisse inutili, ma volevo giusto sapere.
Ma comunque non nego che una scenetta di loro in giro per Londra potrei farcela stare in una possibile raccolta di shot futura x)
Bene, detto questo spero che il capitolo vi sia piaciuto. A me è piaciuto un casino l’ultimo dialogo (quello del litigio, insomma); lo so, sono masochista :°D ma adoro quando i personaggi soffrono *___* Cioè non sono contenta che stiano male, ovvio...però mi piace un sacco descrivere le loro emozioni xD
La cosa positiva, comunque, è che mancano solo due capitoli alla fine della storia, e non sto davvero nella pelle!

Per concludere, volevo annunciare una cosa. Forse l’ho già scritto da qualche parte, ma solo ora ho le idee chiare a riguardo: dopo questa storia pubblicherò una specie di episodio bonus con protagonista Alexy, che si svolge per tutta la durata della gita. Originariamente doveva essere solo un capitolo che avrei messo qui, dopo la conclusione della storia principale, ma siccome mi sono venute un sacco di idee epiche, ho deciso che sarà una breve long vera e propria. Non so ancora il numero esatto di capitoli, ma sicuramente la pubblicherò a parte.

Detto questo, io vi lascio. Vi ringrazio come sempre per aver letto il capitolo e...alla prossima! ;)

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Capitolo 26
*** Rispetto ***




Capitolo 26


Rispetto




Per poter mantenere il rispetto di te stesso, è meglio dispiacere alle persone col fare ciò che sai essere giusto,
che compiacerli temporaneamente col fare ciò che sai essere sbagliato.
                                                                                                    (William J. H. Boetcker)




Come aprì il portone, il vento gelido e la pioggia pungente si insinuarono sotto i suoi vestiti, facendolo rabbrividire. L’ingresso della scuola era deserto a causa delle pessime condizioni atmosferiche; nemmeno coloro che erano soliti uscire a fumare, avevano osato mettere piede fuori quella notte.
Intercettò la sagoma di Candy che, sommersa dal diluvio, fuggiva scomposta in direzione del prato. Ad un tratto la vide perdere l’equilibrio a causa dell’erba bagnata e scivolare rovinosamente a terra.
— Candy! — Non ci pensò due volte. Si lanciò anch’egli nel freddo polare, correndo con tutta l’energia di cui disponeva.
Giunto davanti a lei, la trovò completamente immersa nel pantano. Le ginocchia piegate sul suolo, la faccia china nascosta dai capelli, con la coda che si era praticamente sciolta a causa della violenza del temporale, le braccia che a malapena reggevano il resto del corpo.
— NO! — Kentin si era abbassato per tirarla su, ma Candy lo aveva subito respinto. — Sarai contento, ora — gridò con disperazione.
Il ragazzo non rispose. — Avanti, dillo che avevi ragione.
— Candy, non è colpa tua. Non potevi sapere che persona fosse.
— Io non sto parlando di Dake. — Si girò a guardarlo, gli occhi forse più bagnati dal pianto che dalla pioggia. — Tutto quello che hai detto prima era vero; hai azzeccato ogni singola parola. Ho preteso di frequentare chi volevo io, impedendoti anche solo di parlare con altre ragazze. Sono stata crudele verso di te.
— Ma perché l’hai fatto?
— Perché ero gelosa — sussurrò con voce strozzata.
— Gelosa?! di cosa, se non ti piaccio nemmeno?
— Non piacermi? — emise infine guardandolo dritto negli occhi — Io ti amo, Kentin.
...
C-o-s-a?
Si sentì sfondare i timpani da due spade acuminate.
Non poteva essere vero. Non c’era un minimo senso logico in quelle parole. Che voleva dire? Perché?!
L’espressione di Kentin era un misto fra lo stupore e il panico. Non ebbe nemmeno il tempo di scioccarsi ulteriormente, perché Candy aggiunse con un’insolita fermezza: — E va bene. Se sei disposto ad ascoltarmi, ti spiegherò come stanno realmente le cose.
Nonostante non si fosse affatto ripreso dalla frase pronunciata poco prima dall’amica - e con tutta probabilità non l’avrebbe mai fatto - Kentin si sforzò di focalizzare il pensiero su quell’ultima affermazione.
“Realmente le cose”? Voleva dire che Candy nascondeva qualcosa?
Poté solo annuire, incapace com’era di formulare una qualsiasi risposta vocale.
Dopo averlo guardato a lungo, la ragazza fece un grande respiro per ricacciare dentro le lacrime, e cominciò.
— Ti amo fin da quando sei tornato a scuola, quella mattina di gennaio. Per tutta la lezione non ti ho staccato gli occhi di dosso, chiedendomi chi fossi e perché il prof. non ti avesse presentato alla classe, dato che per tutti eri un nuovo arrivato. Anche se non ti conoscevo, ti ho odiato un po’ quando hai baciato Ambra davanti ai miei occhi; ma ti ho amato ancora di più dopo che mi hai detto che eri tu. Quel ragazzino occhialuto che conoscevo fin dai primi ricordi della mia infanzia. Che non mi mollava un attimo, sia fuori che dentro la scuola. Che mi riempiva sempre di regali, che era dalla mia parte anche quando avevo palesemente torto. L’unico in grado di rendermi speciale e l’unico che si sia mai preoccupato davvero di me.
Kentin ascoltava il discorso dell’amica senza preoccuparsi del temporale che si stava abbattendo su di loro ed ignorando il fatto che si trovasse su un terreno sporco, inondato dalla pioggia. Quanto al freddo, era troppo concentrato sulle sue parole, per sentirlo sulla pelle.
— Perché non me l’hai mai detto? — biascicò guardandola con tenerezza ma lasciando trasparire tutto il suo dolore.
— Non ne avevo il coraggio. E poi ero sicura che non mi avresti mai accettata. Ho creduto che, giustamente, non ti sarebbe più importato nulla di me. Tu invece mi eri sempre vicino, eri ancora disposto a supportarmi e a perdonarmi.
— E allora perché mi hai sempre respinto, pur sapendo ciò che provavo per te?
— Perché non potevo approfittarmene! Non volevo passare per quella che tratta male uno ma poi, solo perché è cambiato fisicamente, si interessa di lui come se niente fosse.
Kentin scosse la testa. — Solo per questo sciocco motivo?!
Sciocco? — urlò quasi alzandosi in piedi — Credi che sia stato facile? Non troveresti orribile che avessi voluto stare con te, con lo stesso te che fino a qualche mese prima disprezzavo?! — Kentin ricostruì tutto quello che era successo da quando era tornato al liceo. Finché non gli venne in mente.
Quel discorso l’aveva già sentito. Avevano già parlato di quella faccenda, lui e Candy: quando era andato a trovarla in ospedale e lei gli aveva rivelato che l’innamoramento verso Castiel era stata solo una messa in scena per farlo ingelosire. In quell’occasione gli aveva riferito di essersi comportata in quel modo per mantenere intatta la sua reputazione.
— Ora dici questo, ma quella volta in ospedale dicesti che avevi agito così a causa del giudizio degli altri! — contestò Kentin.
— Ma non l’hai capito? Erano solo bugie! — esclamò Candy. — Loro non c’entrano niente: l’ho detto per rispettare me stessa e te. Ho tirato in ballo gli altri solo per trovare una scusa... L’avevo detto per cercare di allontanarti, e infatti così è stato. Ma poi ci ho subito ripensato, perché non potevo accettare l’idea di perderti. E non era colpa degli antidolorifici; era stata la mia volontà a decidere.
Quindi così erano andate veramente le cose.
Si ricordò di ciò che era accaduto nei pochi minuti successivi. Lui, deluso per la rivelazione, stava per andarsene; ma lei lo aveva fermato. Poi, proprio mentre erano stati sul punto di baciarsi, erano arrivati Alexy e Rosalya. Il tutto era stato giustificato da Candy con la storia degli antidolorifici, che a quanto pare era soltanto una scusa.
Guardando quegli occhi umidi e scuri, Kentin si rese improvvisamente conto dell’integrità e dell’onestà di quella ragazza. Aveva tenuto segretamente nascosta la realtà per così tanto tempo per lui. Perché ci teneva a lui. Aveva deciso di reprimere i propri sentimenti per il bene della persona che amava.
— Tutto ciò che è successo... Il modo in cui mi sono comportata... io l’ho fatto pensando a te, Kentin. Per rispetto nei tuoi confronti. Perché come ti ho già detto, sei l’unico di cui mi sia potuta e mi potrò mai fidare. Ma per rispettarti non ho potuto ricambiare i tuoi sentimenti. Anche se sapevo che non era quello che volevi, ti ho chiesto di rimanere amici: proprio perché non potevo accettare di perderti. Così facendo, anche se non ero la tua ragazza, sarei potuta restare comunque al tuo fianco.
Ed ecco spiegata la richiesta di amicizia di Candy.
Kentin cominciava a capire i motivi che l’avevano spinta a trattarlo in quel modo; tuttavia c’erano ancora alcuni fatti che non tornavano, come ad esempio la questione Dake. Ma preferì lasciarle finire il discorso.
— Però non avevo fatto i conti con un altro fattore — continuò, distogliendo per un attimo lo sguardo da lui. — Che non ero l’unica ad essere interessata a te. Per questo divenni gelosa. Gelosa di vederti in compagnia di un’altra. Prima con Karla, e poi con quelle due tizie inglesi. Avevo pensato che, dopo avermi vista con Dake, avessi voluto vendicarti provandoci con altre ragazze: perciò mi ero arrabbiata. E poi non dimentichiamoci di Lety. Davvero hai creduto che quel bacio servisse solo ad allontanarla? Vederti con lei mi faceva impazzire. Quando ha cominciato a farti quelle domande, non ci ho più visto: dovevo fare qualcosa.
Si morse un labbro, stringendo tra i pugni i fili d’erba del prato.
Kentin la osservava in silenzio e intanto cercava di metabolizzare le sue parole. Si accorse, nonostante tutto, di provare ammirazione per il senso di lealtà dimostrato dall’amica, ma anche lusinga per le attenzioni che in segreto aveva da sempre riposto in lui.
Ad un tratto, senza saperne la ragione, si ritrovò ad analizzare il paesaggio circostante. Il forte ticchettio della pioggia si scontrava con l’odore pungente dell’erba bagnata e attorno a lui le tonalità di verde via via sfumavano nel grigio smorto della città. Gli elementi della natura si mischiavano con l’asfalto e i lampioni e... erano fiori di ciliegio quelle macchiette rosa al limitare del prato?
— Poi mi sono resa conto di essere arrabbiata. — Dopo un po’ Candy riprese a parlare, distogliendolo gentilmente da quei pensieri. — Mi sono accorta che non riuscivo a stare senza di te; in un certo senso era come se dipendessi da te. Era questo che mi spaventava e mi tormentava più tremendamente: tu rappresentavi una minaccia per la mia autonomia! — Il tono di voce si alzò, lo sguardo sempre più annebbiato. — Perciò sono giunta ad una conclusione. L’unico modo per dimostrare la mia indipendenza era di trovare qualcun altro con cui stare che non fossi tu. Qualcuno che fosse alla tua altezza... almeno a livello fisico. Per questo ho scelto Dake, non perché mi piacesse davvero. Ho approfittato del fatto che lui fosse interessato a me e ho accettato... — E con questo, il cerchio si chiude, pensò Kentin. — Ma ovviamente sapevo che non sarebbe stato nulla di serio: era solo un modo per vedere come andava. Se fossi stata capace di dimenticarti... — aggiunse, tirando su col naso. — È logico che non siamo fatti per stare insieme. Oltre a essere arrogante, lui è un traditore, come hai potuto notare. Dentro di me sentivo benissimo che fosse quel genere di persona; però ero così concentrata ad approfittare dell’occasione, che non mi sono resa conto che sarebbe stato inutile. Ogni volta che ero con lui e ti vedevo arrivare... non sai cosa avrei dato per mollarlo e venire da te. Ma ormai era troppo tardi per tirarmi indietro. Dovevo andare fino in fondo nel mio intento a tutti i costi.
Kentin ascoltava col fiato sospeso, riunendo mentalmente i pezzi del puzzle e sentendo la stima per Candy tornare di parola in parola. Tuttavia volle assicurarsi che non fosse successo nulla di... inopportuno fra di loro. — Ti ha fatto qualcosa quando eravate da soli? — chiese, diretto, timoroso per la risposta.
— No no, assolutamente. Non l’avrei mai permesso — lo tranquillizzò lei. — Quando stavo con lui... Era una sensazione strana. Avvertivo che non era quello il mio posto. Io... mi sentivo fuori luogo, non so spiegarlo. Era come se fosse troppo per me. Come se mi facesse un piacere. — Gli occhi della ragazza si fissarono su quelli di Kentin, che stava a sentirla immobile, senza fiatare. — Invece con te è diverso! — disse poi riacquistando il sorriso e avvicinandosi a lui per prendergli le mani. — Quando mi sei accanto... riesco a tirare fuori la mia parte migliore; sento di poter fare qualsiasi cosa, perché il resto non ha più importanza se ci sei tu.
Il suo intenso sguardo arrivò dritto al cuore di Kentin. Quegli occhi intrisi di pioggia erano pieni di dispiacere e di speranza; tristi ma al tempo stesso solcati da un guizzo di felicità. Occhi sinceri, che da tanto, troppo tempo gli erano mancati.
Sentì che tutto il rancore che aveva serbato per Candy in quegli ultimi due giorni stava velocemente scomparendo e che al suo posto si stava facendo largo un sentimento più vicino alla gratitudine e all’ammirazione; perché alla fine, nonostante potesse sembrare il contrario, si rese conto che lei lo aveva messo al primo posto nelle sue decisioni: ogni sua azione, ogni sua scelta, lei l’aveva compiuta per lui o a causa di lui. Ma aveva anche deciso di nascondere quello che davvero provava e di tenersi tutto dentro. Come aveva fatto a reggere un tale peso per così tanto tempo?
— Perché solo ora? — sussurrò Kentin in un triste sorriso che velava il suo profondo dolore — Perché solo adesso hai trovato il coraggio per dirmi la verità? Avresti risparmiato mesi di sofferenze per entrambi!
Quel piccolo bagliore di gioia scomparve dal volto di Candy e con esso le sue mani lasciarono andare quelle di Kentin per tornare a tormentare l’erba umida del prato.
Già, perché proprio ora?, pensò lei.
Se prima non era stata in grado di rivelargli le sue intenzioni per mancanza di coraggio, cosa l’aveva spinta, adesso, ad aprirsi finalmente a lui? E che cosa le aveva permesso di andare avanti per la sua strada, di perseguire il suo scopo, nonostante fosse tormentoso pure per lei?
Sentì le parole uscirle in modo automatico dalla bocca.
— Perché non ce la faccio più! — Il respiro divenne affannato e le labbra sempre più doloranti a causa dei morsi. — Prima pensavo di avere la situazione sotto controllo, di fare la cosa giusta trovando una distrazione in Dake, ma... se nemmeno con lui riesco a starci, e dopo aver visto che persona è veramente... è evidente che nemmeno questa ha funzionato. E-e adesso non so più cosa fare!
Dopo aver pronunciato quelle frasi, avvertì che qualcosa dentro di lei si era rotto.
Fino a quel momento si era sforzata con tutta se stessa di trattenere le lacrime, sebbene quelle già da tempo agognassero con un’insistenza crudele alla libertà; ma, arrivati a quel punto, capì di non poterle più reprimere. Prese a singhiozzare convulsamente, coprendosi la faccia con le mani, lasciando che l’acqua piovana che batteva sulle sue guance bagnate si mischiasse all’acqua che usciva dai suoi occhi, pungente e ancora più salata della pioggia.
E nel bel mezzo di quello sfogo la risposta alle sue domande le fu chiara.
Per mesi era riuscita a mantenere un equilibrio più o meno saldo fra due sentimenti contrastanti che ogni giorno sentiva combattere con violenza all’interno del suo essere. Ma ora che anche il progetto con Dake si era rivelato un fallimento, la Consapevolezza di non avercela fatta si era intromessa fra le due forze, mandando a rotoli il difficile rapporto in cui esse convivevano, rompendo l’equilibrio in cui erano.
Fu quello sconvolgimento a farle aprire il proprio animo a Kentin. A farla scoppiare in un pianto disperato. A far emergere quei due sentimenti opposti.
Il primo era l’inflessibile Orgoglio, lo stesso che ora la costringeva a nascondere il volto sciupato dalle lacrime, non potendo permettere che il ragazzo notasse sia la condizione di debolezza in cui era, sia che non era stata capace di raggiungere il suo obiettivo. Il secondo era la Compassione, che, più clemente, gli stava facendo provare una pena immensa nei suoi confronti. E infine, il punto di unione fra questi due atteggiamenti così diversi, era il Rispetto. Per tutto quel tempo Candy si era imposta di rispettare se stessa e il compagno di classe, impedendosi di stare con lui; e invece non aveva fatto altro che farlo soffrire. Ma la cosa ancor peggiore era che non esisteva una via di uscita.
A richiamarla dai suoi pensieri per riportarla alla realtà fu la presa improvvisa di Kentin sulle sue braccia. — Guardami — dichiarò afferrandola e costringendola a togliere le mani dal viso. Candy trasalì nel ritrovarsi il volto di lui a pochi centimetri dal suo e sentì il battito accelerare velocemente in preda all’agitazione.
— Ti devono essere chiare due cose. La prima, è che non devi biasimarti per non essere riuscita a stare con Dake. Nessuna persona normale potrebbe apprezzare uno come lui. E la seconda è che l’unica cosa che devi fare ora è mettere da parte la ragione e dare retta al tuo cuore. Per una volta pensa a quello che vuoi veramente tu! Hai detto di amarmi e anche io ti amo, lo sai benissimo — scandì a denti stretti, fissandola dritto negli occhi.
Nonostante quelle parole non facessero altro che incrementare la dose di lacrime, Candy fece un lungo respiro per porre un freno al suo pianto. — Lo so, Kentin. Ma ancor prima di amarti, io ti rispetto. È per questo che non posso stare con te. Vivrei costantemente con un senso di colpa addosso. La colpa di averti trattato male quando eri diverso. Mi sveglierei ogni mattina con la consapevolezza che ti starei solo disonorando. Anche se tu mi piaci... non posso farlo. Mi farebbe sentire una persona orribile, più di quanto non lo sia già — pronunciò con voce insolitamente ferma. Che fu tradita, tuttavia, dall’arrossamento crescente nei suoi occhi.
Kentin si fermò a ragionare su ciò che aveva detto. Sì, capiva benissimo quello che provava Candy. Al posto suo che avrebbe fatto? Ma sicuramente si sarebbe comportato nello stesso identico modo, non c’era dubbio. Però non era giusto che andasse a finire così. A lui non importava come l’avesse trattato; non l’avrebbe considerato un disonore nei suoi confronti, il cambio di volontà di Candy. Doveva dirglielo.
— Candy, non me ne frega niente di quello che è successo in passato. L’unica cosa che conta, adesso, siamo noi due e il futuro che ci aspetta insieme — disse avvicinandosi inconsapevolmente a lei e stringendo più forte la presa sulle sue braccia.
Lei si sentì sul punto di scoppiare di nuovo a piangere ma strizzò con prontezza gli occhi per impedirlo. — Non posso farlo... — insisté dopo averli riaperti. — Tu sei una persona troppo buona e non meriti di stare con una come me.
— Cosa stai dicendo... Non mi merito di più! T-tu sei perfetta, non lo capisci? Sei solo troppo dura con te stessa! — cercò di convincerla, conscio del fatto che pure la sua vista si stava annebbiando.
— Non...non cambierò idea — furono le parole finali di Candy.
Nei suoi occhi Kentin poté leggere un’amara fermezza che gli fece rendere conto di trovarsi in un circolo chiuso. Finalmente aveva capito che il comportamento dell’amica era stato dettato dalla sua eccessiva lealtà, ma proprio questa le impediva di soddisfare il desiderio che entrambi provavano.
Demoralizzato, le lasciò andare le braccia con afflizione, restandola a fissare con una tristezza quasi disumana. Intanto la pioggia continuava a martellare su di loro e non aveva risparmiato né i loro vestiti, che erano completamente zuppi, né ogni singola parte del corpo.
Dopo qualche secondo arrivò un folata di vento gelido dalle spalle di Candy che la fece sussultare dal freddo e coprirsi di scatto le zone di pelle nuda con le mani. Mosso da una passione improvvisa, Kentin si sporse più avanti e la strinse con energia fra le sue braccia, così rapidamente da non darle la possibilità di opporre resistenza. Presa totalmente alla sprovvista, la ragazza entrò ancora di più nel panico e cominciò a gemere sommessamente.
Passarono diversi minuti, durante i quali Kentin tentò di trasmettere parte del suo calore corporeo a Candy e a poco a poco lei smise di tremare.
Quando la sentì completamente abbandonata a lui, spostò la testa in modo da avvicinare la bocca al suo orecchio. — Per favore, Candy — la implorò piano. — Io ti amo...
— Anche io ti amo... — emise con un filo di voce, — ma fin troppo, da poterlo sopportare.
In quell’istante tutto ciò che era compreso a meno di dieci metri da lui scomparve. Osservandoli meglio, si accorse che quelle macchiette rosa nel punto più lontano del prato erano davvero petali di ciliegio.
Avevano sicuramente faticato per diventare ciò che erano ora. Da piccoli boccioli verdi, avevano sfidato ogni possibile minaccia per sbocciare in fiori bellissimi, che pure adesso, sotto il diluvio universale, restavano lì ancorati ai loro alberi a tener testa alle intemperie.
Anche lui aveva dovuto sopportare delle avversità che qualunque altro essere umano si sarebbe rifiutato di sostenere. Eppure, come quei fiori, non si era mai arreso. Aveva continuato a combattere anche quando ogni speranza sembrava ormai perduta.
No. Non poteva dargliela vinta. Non poteva permettere che l’integrità di Candy avesse la meglio. Non ora che aveva capito i suoi sentimenti. Non ora che finalmente gli era stata rivelata la verità. Tutta la verità. Doveva farle comprendere che per lui non era un problema che lei lo desiderasse. E, arrivati a questo punto, l’avrebbe ottenuto con tutti i metodi possibili; anche a costo di usare la forza.
Senza coglierne la fonte, scoprì dentro di sé una nuova energia e, fiducioso di quello che stava per fare, allontanò bruscamente il proprio corpo da quello di Candy, lasciandola per un attimo smarrita e spaesata.
Sapeva cosa dire.
Confidava che quella sarebbe stata la volta decisiva per farle cambiare idea.
Lasciò che fosse il proprio cuore a parlare.
— Sul London Eye dicevi di odiare chi giudica gli altri dall’aspetto esteriore — dichiarò con decisione.
— Lo so — balbettò Candy, spaventata.
— Lo pensi davvero? O ERANO SOLO BUGIE? — gridò Kentin con rabbia.
— No, lo credo davvero!
— Allora dimostralo! Dimentica com’ero prima. Amami non per come appaio, ma per quello che sono! Per quello che sono qui dentro, perché quello che c’è qui non è mai cambiato. Era lo stesso anche prima! Io capisco che cosa provi. Ma tu non hai sbagliato niente! Qualsiasi altra ragazza al posto tuo se ne sarebbe infischiata del passato e avrebbe detto di sì senza pensarci due volte; tu invece hai agito pensando a me. E questo io l’ho capito e lo apprezzo. Ma ora, per piacere: non distinguere un me di adesso e uno del passato solo perché sono diversi esteticamente. Non considerare l’aspetto esteriore! Non fare come il resto della gente. Altrimenti sarai esattamente come loro!
Gli occhi di Candy si erano spalancati così tanto, che la pioggia poteva arrivare dritta dentro di loro. Aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito dopo, incapace di trovare una valida risposta.
Che cosa poteva dirgli? Come poteva replicare?
Il ragionamento di Kentin, per quanto fosse gravoso dirlo, sembrava sensato. Stare a tormentarsi su questi problemi avrebbe solamente dimostrato che a lei importasse dell’apparenza. E questo non era vero. Se si fosse opposta solo perché era cambiato fisicamente, non avrebbe fatto altro che evidenziare una differenza fra il lui del passato e quello del presente. Ma, come le aveva detto, quella differenza non esisteva a livello caratteriale - che era l’aspetto che contava.
Perciò l’unica soluzione... possibile che fosse di dire di sì?
Alzò la testa verso di lui e nel farlo, per la prima volta, lo guardò sotto una luce nuova.
Nelle ultime settimane le era sempre stato chiaro quanto la considerasse importante; però in quel momento era ancora lì con lei nonostante avesse continuato a respingerlo. Nonostante l’alluvione. A ben guardare se non avesse tenuto così tanto a lei, avrebbe benissimo evitato il rischio di una polmonite. Invece era lì. Ancora lì. Lui era sempre stato lì.
— Non voglio essere come il resto della gente — sospirò Candy.
— Allora di’ di sì. E non sarai come loro. — Kentin le portò una mano sulla guancia. — Dimmi di sì. E non dovrai più sopportarlo.
I loro sguardi si incontrarono con delicatezza.
Il frastuono della pioggia sembrò attenuarsi sempre di più. Gli unici suoni percettibili erano i battiti dei loro cuori che diventavano via via uno solo.
Doveva solamente pronunciare un ‘sì’ per liberarsi di quel peso. Un ‘sì’ e quegli anni di sofferenze sarebbero finalmente terminati.
Chiuse per qualche secondo gli occhi per permettere alla pioggia di cancellare ogni traccia di pianto, anche se sapeva che di lì a poco sarebbe di certo tornato.
— È... quello che tu vuoi davvero? — bofonchiò timidamente. — Stare con me?
Un sorriso si formò sul volto di Kentin. — È quello che ho sempre voluto.
— Anche dopo tutto quello che è successo? — Ecco che le lacrime tornavano a farsi largo tra le ciglia.
— Soprattutto, dopo tutto quello che è successo. — L’altra mano si posò sull’altra guancia.
— E mi perdonerai per averti fatto soffrire? — Senza accorgersene la distanza fra i loro volti si era drasticamente ridotta.
— Ti ho già perdonata, Candy. — Ora solo due gocce di pioggia si frapponevano tra gli occhi pieni di lacrime e felicità.
— Allora... — lo guardò intensamente, per l’ultima volta. — Sì.
E ciò che avvenne dopo fu la cosa più naturale che dovesse succedere.
Buio.
Il suono della pioggia.
Due corpi, minuscoli e leggeri, in balìa del temporale. Uniti, nel loro morbido abbraccio, in un bacio tanto semplice quanto perfetto.
Un momento, che entrambi avevano sognato, ma che non avrebbero mai creduto divenire realtà.
Lacrime. Di gioia, per esserci finalmente riusciti. Di dolore, per aver aspettato troppo. Un senso di liberazione soave e fulmineo, per un periodo di sofferenza durato dieci anni.
E l’odore della pioggia, che con insistenza si intrufolava fra i profumi della loro pelle, delle loro labbra.
I capelli sciolti e intrisi d’acqua, in cui affondavano le mani. I due petti che palpitavano al ritmo del temporale. Una sola cosa con la natura.
Una melodia, figlia della pioggia e del loro unico cuore. Musica che risuonava dentro di loro, attraverso ogni loro senso. Una nota diversa per ogni goccia.
E ancora lacrime, fiumi di gioia dagli occhi. Di speranza, che quel momento non sarebbe mai terminato.
Ma nessuno li avrebbe divisi. Solo loro avevano la facoltà di scegliere quanto far durare quel concerto.
Staccarsi, però, sarebbe significato infrangere quella magia così rara.
Staccarsi sarebbe stato troppo doloroso.
E così rimasero uniti in un racconto che sembrava finito, ma che doveva solo cominciare.
E così, nel loro amore, continuarono quella canzone.
E così rimasero loro tre.
Lui.
Lei.
E la pioggia.






✤✤✤




...Uhm okey non so da dove cominciare xD
Quindi penso che farò un elenco puntato °-°
  • Non so se si è notato, ma mi è tornata l’ispirazione per questo capitolo xD Il problema, chiaramente, è che quando ce l’ho tendo ad esagerare, e a sparare fuori di quei virtuosismi che mi fanno accapponare la pelle .-. Però ho detto: chissene frega, è il capitolo più importante e ve li fate andare bene, anche se sono squallidi xD
  • Spero innanzi tutto, prima ancora che il capitolo vi sia piaciuto, che:
    • si sia capito tutto. - La mia paura, dopo averlo scritto, è che ci sia qualcosa di non chiaro, sebbene abbia fatto di tutto per spiegare esattamente ogni cosa D: Se notate che ho tralasciato qualcosa, non fatevi problemi a dirmelo, che ve lo spiego meglio;
    • comprendiate e accettiate il comportamento di Candy. - Questa cosa è più difficile xD Però anche qua, ho cercato di esporre le sue ragioni nel modo più... convincente? - possiamo definirlo così? xD - possibile. Ora, non pretendo che di punto in bianco smettiate di odiarla, però magari dopo aver capito cosa ci stava dietro... D: Boh speriamo.
  • Yeeeee finalmente ho finito sto capitoloooo :0 è stato un trauma, non potete capire x°D
  • Dopo questo ce ne sarà un altro, perché diciamocelo: sarei stata un’infame a farla finire così. O almeno, io al posto vostro mi indignerei e vorrei saperne di più su come andrà avanti la faccenda xD
  • Vorrei ringraziare ognuno di voi per aver letto e supportato questa storia fino alla fine :°) Sapevo che l’avrei finita ad ogni costo, però fidatevi se vi dico che ho sofferto più io a scriverla, che Kentin a conquistare Candy xD Son passati periodi col vuoto più che totale, soprattutto questi ultimi 12 mesi, in cui non avevo un briciolo di ispirazione neanche a pagarla. Eppure ho insistito (un po’ come Kentin), perché ci tenevo davvero a terminarla.
  • No cioè, mi è pure venuta fuori un’endiadi verso la fine :°D Sono troppo saccente.
  • Tornando all’argomento della storia, mi rendo conto che potrebbe non essere molto chiara e che magari qualcosa vi sia sfuggito (dati i tempi biblici che avete dovuto sopportare tra un capitolo e l’altro ): ), quindi ho pensato di fare una cosa. Vorrei scrivervi un riassunto che mi ero fatta tempo fa per fare mente locale, per spiegare “velocemente” la trama, però dal punto di vista di Candy, così da dimostrarvi perché non sia un personaggio negativo, come praticamente a chiunque sembra, ma anzi, dovrebbe essere un modello di riferimento per tutti. (non sgozzatemi ahah)
    Soprattutto se avete capito tutto e non avete bisogno di spiegazioni, siete liberissime di non leggere questa parte, anche perché sono più che altro dei pensieri personali buttati giù perché ne avevo voglia, e per questo hanno un tono molto colloquiale... ma comunque nessuno mi vietava di riportarli qui u_u

    ...pronti?


    Dunque.
    Immaginate di avere sempre avuto, dalla prima elementare, un compagno di classe che vi sta sempre addosso. Brutto. Piccolo. Appiccicoso e che vi mette in imbarazzo di fronte a tutti per il suo modo di fare. Alcune di voi, le più gentili, se ne fregherebbero di quello che pensa la gente e lo tratterebbero bene, anche a costo di venire escluse dagli altri. Ma dato che la maggior parte della gente, diciamocelo, non ha un’indole così buona, ho pensato di scegliere come protagonista femminile una che, per non sentirsi presa in giro dagli altri, lo respinge costantemente.
    Passano così dieci anni. Cambiano i compagni e le scuole, ma la situazione rimane identica: lui insiste dicendo che la ama alla follia, ma lei lo rifiuta. Le fa mille regali, lei ne è anche contenta e lusingata, ma sempre a causa degli altri, non vuole che le stia attorno (e fin qui mi sembra un comportamento normale).
    Ad un certo punto, improvvisamente, lui subisce una trasformazione. Non è più quel piccoletto noioso e petulante, ma diventa un figo da paura (sì, questa cosa è molto improbabile nella realtà, ma è il gioco che l’ha deciso, non io ù.ù).
    Ora, voi che fareste? Ammettendo ovviamente che vi piaccia?
    La maggior parte, secondo me, lascerebbe perdere il passato, e finalmente gli direbbe di sì. Così fate felice voi, fate felice lui, e non dovete più preoccuparvi di nulla (dato che nessuno avrebbe più motivo di prendervi in giro).
    Però.
    Obbiettivamente, non credete che sarebbe una cosa un tantino da ipocriti? Ma proprio leggermente?
    Solo perché non è più imbarazzante a livello fisico, allora chissene frega, e mi va bene stare con lui? Beh, no. Io la troverei una presa in giro nei suoi confronti, e se fossi io al posto di lui, mi darebbe fastidio non poco. Se vedessi la persona che ho sempre amato e che mi ha sempre respinto cambiare improvvisamente idea, solo perché ora sono apprezzabile esteticamente, la considererei una vera infame, per non dire peggio, e non vorrei avere più nulla a che fare con lei. E in effetti il Kentin del gioco reagisce proprio in questo modo, ed è per questo che tutte lo odiano. Perché l’hanno trattato male prima e ora pretendono che lui lasci passare... Beh fatevi un esame di coscienza, bimbe mie. (ora sto divagando xD)
    Però il Kentin della mia storia è più buono di quello reale, e potrebbe anche accettare il comportamento della dolcetta, perché quella ragazza la continua ad amare. E l’amore è più forte, in questi casi. (per me non lo sarebbe, ma è un altro discorso x°)
    Quindi.
    Tornando alla protagonista. Dato che non volevo facesse parte della categoria di persone che ho appena descritto (e dato che se gli avesse detto di sì, la storia non avrebbe avuto motivo di esistere...), ho scelto di farla reagire in questo modo.
    Inizialmente guarda un po’ come stanno le cose. Lo vede che fa il suo ritorno “trionfale” a scuola, nota come tutte le ragazze gli sbavino dietro, come diventa amico di Alexy, come cominci lui stesso a piacersi, crede che di lei non gli importi giustamente più nulla. Così decide di farlo ingelosire facendo credere di essere interessata a qualcun altro (Castiel), ma il risultato non è quello sperato. Poi inaspettatamente lui le dice che è ancora innamorato di lei, ed è qui che arriva alla conclusione che farebbe troppo comodo ricambiare, ora che anche lui piace a lei. Si rende conto di essergli sempre stata grata per tutte le attenzioni che le aveva posto in passato, ma che non aveva potuto apprezzarle a causa degli altri. Capisce che un ragazzo dolce e gentile come lui non merita di venire usato da una come lei, e, proprio in segno di rispetto, fa di tutto per dissuaderlo dal continuare ad amarla. Sperando di farlo arrabbiare, dice che non può accettare di stare con lui, perché verrebbe considerata da tutti un’ipocrita (in realtà perché la considererebbe ipocrita lui, non gli altri, che non c’entrano più nulla, e anche perché si farebbe schifo da sola per essersi comportata così). Lui naturalmente se la prende, ma lei, essendo tuttavia innamorata, non può permettersi di perderlo. Gli fa credere che ciò che aveva detto fosse solo un delirio causato dai farmaci e immagina, come possibile soluzione ai problemi, che basti chiedergli di restare amici per risolvere tutto.
    Poi sappiamo come è andata. Lei non sopporta di vederlo in compagnia di altre, capisce di non poter trovare pace se non sono insieme e che cioè dipende da lui. Questa cosa non le va giù e cerca un diversivo in qualcun altro. Ci prova. Prova a dimenticarlo mettendosi con Dake, ma nemmeno questa funziona e quindi si arrende. Non sa più cosa fare, gli rivela tutta la verità e.... beh prima o poi la storia doveva finire, ragazzi, quindi l’ho fatta terminare qui, e che cavolo XD
    Ahah scherzo, ovviamente :°D Poi lui fa di tutto per farle capire che non la considererà un’ipocrita se deciderà di accettarlo. E allora gli dice di sì. Dopo mooooolto sbattimento, ma gli dice di sì.
    Ora potreste dire che poteva arrivarci prima, senza stare a combinare tutto sto casino, però sarebbe stato troppo facile per i miei gusti (come avrete capito in 26 capitoli, non sono una che approva che fili tutto liscio :°°D). Il casino è funzionale al conseguimento dell’obiettivo, ed il risultato migliore si ottiene faticando. Credo che se si fossero messi insieme subito, non si sarebbero conosciuti così bene, non avrebbero conosciuto l’animo dell’altro, come lo conoscono dopo aver passato tutta quell’odissea, e sicuramente si sarebbero amati in modo più superficiale.
    È un po’ questo il messaggio che volevo trasmettere (oltre al fatto di non giudicare gli altri per il loro aspetto, mi sembra chiaro). È semplice, non sarà certo chissà cosa, ma non mi sembra banale. E io lo trovo abbastanza più profondo per lo standard di fanfiction su DF... Spero che la storia non vi sia apparsa troppo forzata.. C’è da dire che i primi avvenimenti li avevo pensati così “a caso”, non avevo assolutamente in mente tutta la storia da quando avevo cominciato a scriverla. Forse alcune cose mi fanno storcere il naso proprio perché sembrano non c’entrare nulla con il resto e un po’ buttate lì così... Tipo il titolo, se ci pensate, si riferisce solo all’inizio della storia; sarebbe dovuto essere tutt’altro...però all’epoca ovviamente non avevo idea di dove sarei andata a parare xD
    Ma comunque dai, tutto sommato sono abbastanza soddisfatta :°
    Detto questo, spero vi siate un po’ ricredute su Candy. Cavolo, mi è spiaciuto vedere che molti la trovassero antipatica Dx Ragazzi, nessuno è perfetto: spesso con alcuni gesti isolati ha agito un po’ egoisticamente, va bene, però non si può negare che nel complesso abbia messo al primo posto Kentin. Il punto focale infatti è che lei “lo rispetta, ancor prima di amarlo”, e non è cosa da poco. Al giorno d’oggi quante persone la penserebbero realmente in questo modo?

    Con questo spero di aver chiarito un po’ di cose. Ma se avete ancora delle perplessità o se avete notato contraddizioni in questo riassunto (cosa possibile ahah), siete liberissime di farmelo sapere, così con calma ne parliamo xD


E ora credo di aver detto tutto. Vorrei finirla qua perché se vado avanti a parlare, va a finire che queste note dell’autore diventino più lunghe del capitolo stesso xD (no, è impossibile .-. questo capitolo è lunghissimo. Anzi, OBESO).
Quindi vi ringrazio come sempre per averlo letto, e... grazie per avermi seguita fin qui, nonostante la lentezza delle pubblicazioni x°
Io vi saluto, ma ricordatevi che manca ancora un capitolo alla fine ;)

Ciao ciao a tutti, e un bacio :*

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Capitolo 27
*** Notte ***




Capitolo 27


Notte







Fu come risvegliarsi da uno di quei sogni piacevoli che capitano quando meno te lo aspetti. Quelli che intuisci essere solo fantasia, ma che cerchi di goderti più che puoi finché durano. Quelli che ti lasciano una gradevole sensazione addosso, un senso di felicità che perdura anche dopo esserti svegliato. Con la differenza, però, che questa volta il sogno era realtà.
Non appena riaprì gli occhi, la prima cosa che Kentin provò fu una gioia incalcolabile. Aveva aspettato da una vita quel momento, l’aveva sognato ogni giorno, si era anche preparato per quando sarebbe arrivato, e ora finalmente ce l’aveva fatta. Dopo anni e anni di sottomissione, di lotta e di dolore, finalmente Candy aveva accettato!
Per tutto il tempo in cui i loro corpi si erano trovati nel più stretto contatto mai avuto, si era sentito pervaso da una scarica travolgente che gli aveva conferito un calore nuovo. Una sensazione di sollievo che, era certo, gli sarebbe bastata per il resto dei suoi giorni.
Ma fu proprio la fine di quel calore ad accrescere ancora di più il gelo che seguì.
— Hai freddo — disse a Candy, mentre, guardandola con dolcezza, le accarezzava la guancia congelata. — È meglio che rientriamo.
La ragazza riuscì solo ad annuire, ancora intontita per ciò che era accaduto.
Sorreggendola con entrambe le braccia, Kentin si rialzò insieme a lei e, in silenzio, attraversarono il prato del liceo. La pioggia continuava a battere quasi più forte di prima, ma nulla poteva scalfire il suo cuore ormai appagato.
Arrivati al portone d’ingresso, tentarono, prima di entrare, di rimuovere un po’ d’acqua dai loro vestiti e Kentin aiutò Candy a strizzare i capelli imbevuti di pioggia. Non appena furono dentro notarono che la quantità di persone rimaste nella hall si era notevolmente ridotta dall’ultima volta che vi erano stati. Solo alcuni studenti e professori erano ancora seduti sui divanetti a chiacchierare.
Cercando di non dare nell’occhio - più per la vistosa scia d’acqua che si portavano dietro, che per altro - si incamminarono a testa bassa in direzione degli ascensori, quando all’improvviso una potente voce maschile li fece sobbalzare entrambi.
— Eccoli! — Il grido del prof. Stikonski sovrastò il leggero brusio presente in sala. Di fronte a loro, proprio davanti alla mensa, erano riuniti i tre professori del Dolce Amoris e gli altri compagni di classe. I volti di tutti non lasciavano trasparire altro che panico e preoccupazione.
Dal crocchio di persone emerse minacciosa la figura della professoressa Moreau, che, fuori di sé, si avventò rapidamente su Kentin e Candy.
— Voi due! — insorse — Siete spariti per oltre mezz’ora! Vi rendete conto che vi abbiamo cercati OVUNQUE? Dove siete stati per tutto questo tempo?! — Il suo sguardo glaciale si spostò dai loro volti ai loro indumenti, che, zuppi com’erano, lasciavano ben poco all’immaginazione.
Afferrata da sola la risposta, continuò, ancora più infuriata di prima: — Come vi è saltato in mente di uscire fuori dal liceo a quest’ora e con questo temporale?
I due erano talmente mortificati che non riuscirono a spiccicare parola. Kentin fece cadere furtivamente lo sguardo sul suo orologio, che, sopravvissuto per miracolo all’acquazzone, segnava già le undici. Possibile che fossero stati via per tutto quel tempo? Era chiaro che i professori si fossero preoccupati per loro, non trovandoli da nessuna parte. E probabilmente pure i loro compagni, che ora erano tutti in piedi che li fissavano, si erano dati da fare nella ricerca. In effetti non era stata una mossa geniale scappare fuori sotto la pioggia senza dire niente a nessuno: avrebbe potuto almeno avvisare Alexy. Ma la fuga di Candy era stata troppo improvvisa per lasciar tempo a delle spiegazioni.
A pochi metri di distanza dalla folla notò il professor Faraize seduto in modo scomposto su una poltrona. Il viso pallido e sconvolto, fisso su un punto indefinito, la mano sinistra appoggiata alla fronte e la destra che reggeva quello che sembrava un bicchiere di Brandy.
— Allora? Ditemi qualcosa! — esclamò la Moreau, che giustamente pretendeva di sapere la verità.
— È stata colpa mia — risposero entrambi all’unisono. Con stupore si girarono a guardarsi, sorpresi per aver detto la stessa cosa senza essersi messi d’accordo.
La professoressa fissò con occhi stralunati le facce dei ragazzi, come a voler leggere ciò che stava passando per i loro cervelli; ma resasi conto che era del tutto inutile insistere, li richiuse lentamente e se li coprì con le due dita della mano in segno di rassegnazione.
— E va bene — dichiarò dopo aver tirato un lungo sospiro di comprensione. — Non voglio minimamente sapere che cosa stavate facendo là fuori. Ma che non si ripenta MAI più. E ora filate immediatamente nelle vostre camere a farvi una doccia.
Non se lo fecero ripetere altre volte. Con gli sguardi chini sorpassarono velocemente lei e gli altri due professori, che erano rimasti in silenzio e imbarazzati per tutto quel tempo. Dopo averli visti, il volto di Faraize aveva riacquistato il suo colorito roseo. Continuando a camminare, incrociarono, poco più avanti, i loro compagni di classe. Candy proseguì senza fermarsi verso gli ascensori, mentre Kentin rallentò appena il passo per rivolgere un leggero sorriso - prontamente ricambiato - ad Alexy, come a dire “È finita. È tutto a posto”.
Quando fu sul punto di entrare nell’ascensore insieme a Candy, qualcuno alle sue spalle fermò la ragazza, chiamandola timidamente per nome. Si voltarono contemporaneamente, ritrovandosi di fronte un Dake dall’espressione confusa e curiosamente impaurita - a causa, forse, della precedente sfuriata della Moreau che era rimbombata per tutta la hall.
— Tutto a posto? — domandò a Candy, prendendola per un braccio. A quel gesto Kentin scattò verso di lui senza rifletterci.
— Non osare toccarla — gli ringhiò contro, frapponendosi fra loro e costringendolo così a lasciarla andare. — Tra voi è finita — scandì a denti stretti.
Continuando a fissarlo con sguardo truce, trascinò Candy dentro l’ascensore insieme a lui e schiacciò il bottone del sesto piano. Notando che Dake era rimasto ancora più inebetito di prima, si rivolse infine a lui esclamando — Capish? — e lasciò che le porte si richiudessero davanti alla sua bocca aperta.
Mentre l’ascensore saliva, Kentin respirò a fondo più volte per placare l’ira che lo aveva invaso e che gli aveva fatto salire il sangue al cervello. Dalla sua sinistra Candy non poté trattenere una piccola risata e, dopo qualche secondo, dire in tono divertito: — Comunque non era mai cominciata.
Si girò verso di lei sorridendo, col cuore che traboccava di gioia dopo quella breve ma appagante frase. Leggendo negli occhi dell’altro lo stesso stato d’animo, insieme scoppiarono a ridere con fragore.
— Hai visto la faccia di Faraize?! Era... — proruppe Candy con le lacrime agli occhi.
— ...impagabile! — concluse lui fra un singhiozzo e l’altro.
L’euforia era così difficile da contenere, che ad un improvviso sbalzo dell’ascensore Candy perse l’equilibrio, e fu solo grazie alla presa di Kentin, se non finì giù per terra.
Senza smettere di ridere lo attirò a sé seppellendo la sua faccia nella spalla di lui, il quale ricambiò contento l’abbraccio. Si sentiva felice. Era la sensazione più bella del mondo stare tra le braccia della persona amata: finalmente, dopo tanto tempo, aveva ritrovato quella pace troppo a lungo dimenticata.
Non appena l’ascensore giunse all’ultimo piano, stando attenti a non venire scorti da altri studenti, attraversarono il corridoio e arrivarono fino alla loro camera. Dopo essere entrati ed aver richiuso la porta, su di loro scese il silenzio.
Candy era davanti a lui, a pochi centimetri dal letto. Fradicia dalla testa ai piedi ma con un sorriso che si stava formando sulle labbra. Kentin si avvicinò lentamente, senza toglierle gli occhi di dosso e gettando la chiave elettronica sul tavolino alla sua destra.
Finalmente erano soli. Nessun compagno, professore o agente atmosferico che li avrebbe distratti. Solo lui e lei.
La tentazione era troppo forte e Kentin si avvicinò al suo volto, ma Candy lo fermò in tempo.
— Aspetta, prima la doccia — disse prendendogli le mani.
Kentin rimase un po’ dispiaciuto, ma in effetti la ragazza aveva ragione. Erano ancora pieni di fango dalle ginocchia ai piedi, e impantanare tutta la camera di melma non era certo una mossa intelligente.
— Vai prima te — continuò lei.
— Sei sicura?
Candy annuì sorridente.
— Faccio veloce — concluse Kentin, prima di dirigersi in bagno.
Strizzò gli indumenti intrisi d’acqua e li appese ad uno stenditoio attaccato al muro, dopodiché entrò nella doccia.
Mentre si lavava non poté fare a meno di pensare a Candy e a quello che di lì a poco li avrebbe aspettati. La nuova vita che aveva davanti rappresentava una novità per lui; tuttavia era come se sapesse perfettamente come comportarsi. Come se si fosse preparato per anni a quel momento.
Uscito dalla doccia, fece per indossare l’accappatoio, ma poi, senza sapere perché, ci ripensò e si limitò a legarsi solo un asciugamano in vita.
Quando rientrò in camera, Candy era china per terra che stava cercando di asciugare con il fon le scarpe imbevute d’acqua. Non appena lo vide, si irrigidì e distolse subito lo sguardo rialzandosi in piedi. Posato il fon sul tavolo, si diresse verso il bagno. Per un attimo fu tentata di avvicinarsi a Kentin, ma si ricordò appena in tempo di essere ancora bagnata di pioggia e di non poterlo sporcare di nuovo. Senza dire una parola, si morse un labbro e corse nell’altra stanza.
Kentin ridacchiò compiaciuto per la reazione che Candy aveva avuto. Forse era stato un po’ crudele a presentarsi con tutta quella carne all’aria, ma dopotutto era il caso che cominciassero a non vergognarsi, ora che erano diventati più... intimi.
Fece un lungo respiro e si avvicinò alla finestra. Per la prima volta si rese conto di quanto la città fosse semplicemente affascinante di notte.
In un istante si sentì più potente e vivo che mai. Sarebbe stato in grado di uscire fuori e saltare da un’edificio all’altro. In mezzo ai tetti bagnati delle case, che brillavano colpiti dai raggi lunari, il suo riflesso lo osservava con un’espressione del tutto diversa da quella che aveva avuto poche ore prima. Ne avevano passate tante assieme, ma finalmente ora era finita.
Un quarto d’ora più tardi, la porta del bagno si riaprì e Candy tornò in camera con un asciugamano avvolto attorno al corpo e una faccia serissima.
— Volevo dirti una cosa — annunciò con tono solenne a Kentin, guardandolo dritto negli occhi e aspettando che l’ascoltasse. — Il patto di amicizia è rotto.
In un attimo tutto l’entusiasmo di poco prima si dissolse. Non capì subito cosa volesse dire, né perché. Avvertì solo una crescente agitazione dentro di lui.
Fece per aprir bocca, ma la ragazza lo precedette. — Adesso stiamo insieme, no? — e inaspettatamente gli rivolse un sorriso a trentadue denti.
Una volta afferrata la verità, Kentin tirò un sospiro di sollievo e allo stesso tempo ebbe l’impulso di prenderla e riempirla di pizzicotti per averlo fatto preoccupare inutilmente.
Ma d’altronde, perché reprimere quell’impulso del tutto lecito?
Balzò verso di lei e dopo averla afferrata, la buttò sul letto, seguendola per riempirla di solletico. — Sei terribile, lo sai? — esclamò, mentre Candy si dimenava fra singhiozzi incessanti.
Continuò a torturarla per diversi minuti, prima di soffocare ogni sua risata in un bacio improvviso.
La ragazza sussultò per l’emozione, ma ancora di più quando sentì le forti braccia di Kentin scivolarle sotto la schiena per cingerla in un caloroso abbraccio che la fece completamente sciogliere. Prima di perdere l’ultimo barlume di lucidità, però, riuscì a ricambiarlo, spostando le mani tremanti sulla schiena nuda di lui e toccando, per la prima volta, la sua pelle ora rovente. C’era una gran confusione all’interno della sua pancia. Quelle che dovevano essere farfalle, parevano piuttosto vespe, che volando andavano a sbattere ovunque, mandando in subbuglio lo stomaco e tutte le interiora.
Non avrebbe rinunciato a quella sensazione per nulla al mondo.


Coperti da un fine strato d’acqua, i marciapiedi di Londra rilucevano ai bagliori dei lampioni e delle stelle. Il diluvio di quella sera era ormai un lontano ricordo.
La mano di Kentin si spostava lenta dalla nuca alla schiena di Candy, accarezzando con delicatezza ogni angolo che incontrava. Una volta scesi sotto le coperte, senza bisogno di dirsi niente, si erano stretti in un forte abbraccio e non si erano più lasciati. Nessuno dei due, però, era capace di addormentarsi in quella posizione.
A Kentin vennero in mente tutte le tre notti che avevano passato in quella camera dall’inizio della gita. La prima notte, così inaspettata e con Candy così vicina a lui, l’aveva passata all’insegna dell’imbarazzo. La seconda la ricordava come una notte tenera, con le loro due mani ancora unite la mattina dopo. Mentre la terza era stata quella terribile notte dopo il litigio con Candy a causa di Dake. In quest’ultima notte, invece, non sapeva ancora cosa sarebbe successo. L’avrebbero deciso insieme di lì a poco.
Ma la cosa certa era che questa sarebbe stata la più speciale.
La loro notte.
Dopo un po’ di tempo il ragazzo si scostò appena, per poter vedere meglio il viso di Candy. Gli occhi scuri e profondi di lei erano stanchi, ma grandi e pieni di appagamento. Quel viso era la cosa più preziosa che ci fosse ora.
Poggiò la mano sulla sua guancia, vagando con i polpastrelli dallo zigomo alla linea della mandibola, premendo appena per sentire di più il contatto con la morbida pelle.
Poteva avvertire sul proprio petto il battito del cuore di Candy farsi sempre più incalzante, mentre lo guardava carica di amore.
— Non sai per quanto tempo le abbia desiderate — pronunciò lui portando il pollice sulle sue soffici labbra.
— Ora potrai averle tutte le volte che vuoi — rispose Candy in un sussurro.
Non se lo fece ripetere due volte e le impresse un lungo e tenero bacio, il terzo dall’inizio di quella notte.
Poi qualcosa si intrufolò fra i loro volti. Una mano di Candy si era spostata sul suo viso e stava stropicciando gli occhi. Sentendo tirar su col naso, Kentin si agitò. — Che succede? — domandò notando due lacrime luccicare alla luce lunare.
— Niente — disse Candy stringendo la sua maglietta per tirarlo verso di sé. — Sono solo felice. Tu sei semplicemente perfetto, e io sono così fortunata che il mio primo bacio sia stato con te.
Il cuore di Kentin si riempì di gratitudine. Anche per lui era tutto perfetto, non poteva desiderare ragazza migliore, tuttavia il suo sorriso si affievolì quando gli venne in mente che per lui non era lo stesso, che il bacio di quella notte con Candy non era stato il primo “serio” che aveva avuto. Il ricordo di quel vecchio episodio con Ambra lo destabilizzò e lo fece sentire in un certo senso colpevole di aver macchiato quella loro personale perfezione.
Mentre era immerso nei suoi pensieri, avvertì di nuovo le labbra di Candy sulle sue, e si dimenticò in fretta di ogni tormento. Improvvisamente la ragazza di staccò da lui e rivolse l’attenzione sulla sua guancia sinistra. Senza smettere di guardarla, si avvicinò quasi a rallentatore le depositò sopra un altro lungo e tenero bacio.
— E questo perché? — chiese Kentin, dopo che Candy si fu riappoggiata sul cuscino.
— Scusa per lo schiaffo che ti ho dato — rispose mogia, mordendosi un labbro.
Kentin sbuffò. — Che ti avevo detto riguardo al passato?
— Di dimenticarlo... — sorrise Candy — ma questo non fa parte del passato!
— Sì, invece! — ribatté tirandosi leggermente in su e andandosi ad appoggiare su un gomito. Le rivolse uno sguardo dolce e cominciò ad accarezzarle i capelli. — Da questo momento per noi comincerà nuova vita. Di tutto quello che è avvenuto prima voglio... che ricordiamo solo le cose belle e i momenti felici. Tutto il resto è servito solo per arrivare a quello che siamo ora.
— E cosa siamo ora?
— Uhm... “fidanzati” è troppo antico?
— No, va benissimo — esclamò Candy, prima di imprimergli un altro bacio sulle labbra. — Oh, no! — esclamò poi, emettendo un soffocato gemito d'angoscia.
— Cosa c’è?
— Oggi era il tuo compleanno! E non ti ho neanche fatto gli auguri come si deve.
— Ma che dici, hai organizzato la festa per me, te ne sei dimenticata? Io semmai non ti ho ringraziato come si deve. E comunque — aggiunse Kentin cercando di leggere l’ora sul suo orologio, — mancano ancora cinque minuti a mezzanotte.
— Esprimi un desiderio — sussurrò Candy.
Lui chiuse gli occhi. — Fatto.
— Che cos’era?
Ma Kentin sorrise senza rispondere.
— Dai, che cos’era!?
Kentin non le disse mai quale desiderio aveva espresso, ma non aveva alcun dubbio. Ciò che più desiderava in quel momento, era di poter passare il resto della sua esistenza assieme a lei.


***



Quel giorno la chiesa sembrava un castello delle fiabe. Le enormi vetrate lasciavano entrare più luce del solito ed ogni panca, sedia e colonnato era decorato con profumatissime peonie dalle mille tonalità di rosa.
La cerimonia era da poco finita, ma l’atmosfera febbricitante che per tutto il tempo aveva aleggiato all’interno della basilica aveva invaso pure il sagrato, dove tutti gli ospiti si stavano riunendo per accogliere gli sposi che di lì a poco sarebbero usciti.
Senza preoccuparsi di dare nell’occhio, Alexy si mise ad improvvisare un piccolo balletto di gioia.
— Per quanti anni ancora continuerai con questa storia? — lo squadrò Melody con profonda indignazione.
— Di che si tratta? — Domandarono Kim ed Iris avvicinandosi a loro.
— Alexy e la sua solita mania di protagonismo — sbuffò ancora Melody.
— Lo sapevo! Ero certo che si sarebbero sposati — esclamò il gemello dai capelli azzurri.
— Dai, fratello, non era difficile immaginarlo — intervenne Armin, che non smetteva un secondo di tormentarsi la cravatta.
— Tu avrai anche predetto il loro matrimonio, ma io ho indovinato con impeccabile precisione quale abito da sposa avrebbe indossato lei, il che era molto più difficile — squillò fiera Rosalya, mentre cercava di farsi spazio per ottenere un posto in prima fila.
Dietro di lei Violet ridacchiava divertita, mentre Peggy sembrava distratta da qualcun altro poco più lontano. — Guardate, non mi ero accorta che ci fosse anche Ambra.
La bionda, a braccetto con suo fratello Nathaniel - che pareva non poterne più di lei - aveva un’espressione così forzatamente annoiata, che sembrava le fosse stata cucita in faccia con ago e filo.
— Ma quanto ci mettono ad arrivare? — riprese Alexy. Poi, guardando in un punto distante, dove erano riuniti altri invitati, urlò: — Ehi, piccioncini, volete unirvi a noi o vi facciamo troppo schifo? Sono peggio del Super Attak, quei due.
E poi c’erano loro.
Kentin e Candy udirono la voce del loro amico, ma indugiarono ancora, prima di raggiungere il resto dei compagni di classe.
Da quando erano tornati da quella gita a Londra, come era prevedibile l’annuncio della loro relazione aveva fatto in pochi secondi il giro della scuola, ma dopotutto andava bene così. Cercare di nascondere la cosa sarebbe stato pressoché impossibile: come aveva detto Alexy, non riuscivano a stare un attimo lontani l’uno dall’altra.
— Dico sul serio. Nei matrimoni è proibito essere più belle della sposa e tu stai commettendo un reato.
— Senti chi parla! Con questa giacca così attillata stai quasi meglio che senza niente addosso.
Risero insieme, poi ad un tratto Candy divenne seria. — A che pensi? — le chiese con dolcezza Kentin.
— Stavo ripensando a quando eravamo sul London Eye — rispose lei guardandolo con profonda intensità — Tu mi hai insegnato a non giudicare gli altri dall'aspetto fisico. Perché quello che conta davvero sta qui. — E poggiò una mano sul petto di Kentin. — Ti ringrazio per questo.
Il ragazzo la prese portandola all’altezza della bocca e accarezzandone il dorso con le labbra.
— L’insegnamento più grande me l’hai dato tu — sussurrò.
— Ovvero?
— Di non smettere mai di combattere per la persona che amiamo — pronunciò lentamente, lo sguardo carico d’affetto.
Candy sorrise, e con gli occhi che brillavano rispose: — Così mi fai commuovere. E rischio di sciogliermi tutto il trucco.
— Allora sarà meglio che raggiungiamo gli altri — rise Kentin. — Alexy sembra non poter resistere due minuti senza di noi.
— Senza di te, magari — scherzò Candy dandogli una leggera gomitata.
— Piantala! — esclamò cercando di farle il solletico.
Si decisero a riunirsi agli altri e qualche minuto più tardi tra le grida, gli applausi e, naturalmente, i lanci di riso, comparvero Mr. Faraize e Mrs. Moreau - ora Mrs. Faraize. Mentre li guardava, Kentin non poteva che immaginare lui e Candy al loro posto ed era certo che anche per lei fosse lo stesso. Tuttavia accelerare il tempo non era fra i suoi desideri. Avevano ancora molta strada da percorrere insieme, e per adesso non vedeva l’ora di assaporare ogni singolo attimo che la vita avrebbe riservato loro. Ogni cosa sarebbe arrivata a tempo debito.
— Lo so a cosa pensi — gli disse sereno Alexy. — Tranquillo, il mio sesto senso da Cupido mi dice che i prossimi sarete voi.
Kentin preferì non ribattere e si limitò a sorridere.
Nel frattempo attorno agli sposi si era creata una gran confusione. Alcune amiche della sposa avevano insistito per anticipare il fantomatico lancio del bouquet, così diverse donne si radunarono l’una accanto all’altra per contendersi il preziosissimo premio. Tra queste vi era anche Rosalya, che sgomitava per farsi spazio, pronta a saltare.
Tra le risate generali Mrs. Faraize prese posizione dando loro le spalle. Il tiro fu più energico del previsto, così tanto che il bouquet finì per superare il gruppetto di nubili, e per cadere dritto dritto fra le braccia di...
— Kentin! — urlarono tutti i suoi compagni di scuola, stupiti.
Divenuto istantaneamente rosso dalla vergogna, non seppe cosa dire; il suo primo gesto fu quello di voltarsi verso Candy. Lei scoppiò semplicemente a ridere, mentre Alexy, sghignazzando, gli mise una mano sulla spalla.
— Ora non hai più scuse, amico.






✤✤✤




Beeeene.
Se mai qualcuno dovesse leggere questo capitolo, di certo ce l'avrà a morte con me per averci messo così tanto tempo (tre anni *coff*) a scriverlo, ma finalmente eccolo qui concluso!
Ho passato un lungo periodo caratterizzato da zero ispirazione, per questo non ho avuto la capacità mentale per andare avanti. In ogni caso ringrazio ognuno di voi che avete seguito con costanza questa fanfic, sopportando le lunghe attese fra un capitolo e l’altro. È durata anni quest’agonia, ma finalmente posso metterci un punto e dedicarmi ad altro. Posso dirvi che ho già in lavorazione un’ultima storia su questo fandom, dopo la quale credo che non ce ne saranno altre x)
Arrivederci a tuttiiii<33

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