5 volte in cui Sebastian ha dovuto dire addio e 1 volta in cui ha voluto

di Fefy_07
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1 ***
Capitolo 2: *** #2 ***
Capitolo 3: *** #3 ***
Capitolo 4: *** #4 ***
Capitolo 5: *** #5 ***
Capitolo 6: *** #+1 ***



Capitolo 1
*** #1 ***


Nick (forum ed eventualmente sito): Fefy_07
Titolo: 5 volte in cui Sebastian ha dovuto dire addio e 1 volta in cui ha voluto
Fandom: Glee
Rating: Giallo
Pairing/Personaggi: Sebastian Smythe, Warblers, OCs
Pacchetto Scelto: 5+1 [2]
Prompt Utilizzato: Addio (sono stati utilizzati anche gli altri due, Lacrime e Abbraccio)
Avvertimenti/Note: Raccolta, Missing Moments, What if? (capitolo 5), Non-con (non grafico) (capitolo 3)
NdA: I primi 3 capitoli della raccolta sono momenti della vita di Sebastian di quando era ancora in Francia. Non so di preciso quanto sia buono il francese utilizzato, è stato un controllo incrociato tra Google traduttore e WordReference. La traduzione, in ordine di battute, è all’inizio di ogni capitolo, nello schemino apposito. Ho scelto dei momenti in cui Sebastian è particolarmente vulnerabile – o è troppo piccolo per essere già come il Sebastian della serie tv – quindi spero di non essere andata OOC, nonostante questo. Questa storia nasce grazie al bellissimo contest "Tempo di... Tag!" indetto da Ili91 sul forum di EFP, che trovate a questo link: http://freeforumzone.leonardo.it/d/10903583/Tempo-di-Tag-Contest-Multifandom-a-Pacchetti-/discussione.aspx

 
5 volte in cui Sebastian ha dovuto dire addio e 1 volta in cui ha voluto
 
 
Rating: Verde (tendente al giallo?)
Genere: Angst, Hurt/Comfort
Avvertimenti/Note: Missing Moment, kid!fic
NdA: Il nome dell’ipotetico fratello maggiore di Sebastian è preso da una lista online di nomi francesi maschili. Per quanto riguarda la storia, voglio solo puntualizzare che, a mio parere, a quattro anni Sebastian fosse semplicemente a) troppo piccolo per parlare di morte con lui o b) avesse cancellato tutto un’eventuale discorso fatto prima coi genitori/il fratello come si fa con gli eventi traumatici, ma in qualche recesso della sua mente fosse consapevole del fatto che la nonna non ci fosse più.
Per i dialoghi, in ordine di battute:
“Mamma, perché piangi?”
“Lascia stare, mamma, vado io.”
“Vieni con me, fratellino.”
“Possiamo tornare a casa? Non mi piace questo posto.”
“No, non possiamo, Sebastian. Dobbiamo restare.”
“Simon, voglio rientrare a casa. Voglio i biscotti della nonna e voglio che mi chiami ometto. Perché siamo qui, invece?!”
“Devi dire addio, Sebastian”
 
#1

Sebastian ha quattro anni la prima volta che è costretto a dire addio.
Quando arriva il momento, si guarda intorno e non capisce: tutti sono vestiti di nero, anche se c’è il sole e fa molto caldo; mamma e Simon non smettono di piangere e il parroco della loro Chiesa continua a pregare sulla buca in cui hanno calato la cassa.
«Maman, pourquoi pleures-tu?» sussurra il bambino, tirando lievemente il vestito della donna.
La mamma si volta e lo guarda con occhi verdi acquosi e arrossati. Prende un respiro tremulo e cerca di sorridere, mentre comincia a chinarsi, quando un altro mormorio la blocca: «Laisse faire, maman, je vais»
La donna fissa per un attimo il figlio maggiore, prima di annuire e ricominciare a singhiozzare tra le braccia della sorella, che le sussurra ormai da quasi mezz’ora rassicurazioni senza senso nell’orecchio.
«Viens avec moi, frère cadet.»
Sebastian prende la mano di Simon e si lascia trasportare lontano dalla piccola cerchia raccolta attorno alla buca. Non sa cos’ha di speciale quella buca, ma tutti piangono o sembrano tristi e il bambino comincia a odiarla per questo.
«Pouvons-nous rentrer à la maison? Je n'aime pas cet endroit» domanda timidamente il piccolo, quando Simon finalmente si ferma e gli dà le spalle, forse per asciugare le lacrime che Sebastian ha già visto – per preservare almeno nella sua mente il suo orgoglio da fratello maggiore.
«Non, nous ne pouvons pas, Sebastian. Nous devons rester.»
Sebastian sente lacrime di frustrazione affacciarsi ai suoi occhi davanti a quel rifiuto: tutto sembra cupo e freddo qui, anche se sta sudando con addosso la camicia e la cravatta e i pantaloni del completo, ed è giovedì quindi dovrebbero andare a trovare la nonna che gli darebbe un po’ di quei calisson fatti in casa che gli piacciono tanto, e poi lo chiamerebbe il suo petit homme, e riderebbe in quel modo squillante che fa sempre sorridere anche lui…
«Simon, je veux rentrer à la maison. Je veux les biscuits de grand-mère et je veux qu'elle m'appelle petit homme. Pourquoi sommes-nous ici, à la place?!»
Per la fine della sua tirata, Sebastian sta urlando in maniera sorprendente per i suoi piccoli polmoni, ha le guance arrossate e inondate di lacrime e comincia a sentire i singhiozzi salirgli alla gola, senza avere modo di fermarli.
Percepisce le braccia forti del fratello maggiore avvolgerlo in un abbraccio confortante e si aggrappa alla sua giacca, pur sapendo che la riempirà di lacrime e moccio. Vagamente, si accorge di Simon che gli parla nell’orecchio, dicendogli le stesse cose che zia stava dicendo a mamma davanti alla buca, su come tutto andrà bene e di calmarsi.
Sebastian non capisce perché tutti stiano piangendo – non capisce perché lui stesso stia piangendo – ma capisce che c’è un motivo se sono tutti vestiti di nero nonostante faccia caldo, e che anche la nonna sarebbe qui se potesse, perché ci sono tutti i parenti che il bambino abbia mai visto e anche alcuni che non sapeva nemmeno di avere.
Così, quando Simon lo riaccompagna davanti alla buca ormai riempita e gli dice: «Tu dois dire au revoir, Sebastian», il bimbo lo fa.
Sebastian non capisce, ma dice lo stesso addio e poi abbraccia forte Simon, cercando di non scoppiare a piangere di nuovo.

Angolino dell'autrice :)

Vi ringrazio molto per aver letto il primo capitolo di questa piccola raccolta.
Non voglio ripetere 600 volte le stesse cose, quindi mi limiterò a chiedervi gentilmente di farmi sapere se trovate qualcosa di scorretto scritto in francese, purtroppo non conosco bene la lingua e mi sono dovuta affidare completamente ai due traduttori già nominati. Vi sarò eternamente grata se poteste fornirmi la traduzione corretta, in caso!
Se vi va, lasciatemi una recensione, mi farebbe davvero piacere! E' la seconda volta che provo a scrivere su Glee e sto trattando di uno dei miei personaggi preferiti, quindi sono terrorizzata all'idea di andare OOC e non rendergli giustizia. Fatemi sapere che ne pensate! A presto!

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Capitolo 2
*** #2 ***


Rating: Verde
Genere: Angst
Avvertimenti/Note: Missing Moments, kid!fic
NdA: Per i dialoghi, in ordine di battute:
“Mamma, mamma! Dove sei? Ho qualcosa che voglio mostrarti!”
“Entra!”
“Papà? Dov’è mamma?”
“Sebastian, tua madre non è più qui.”
“Lo vedo. Quando torna?”
“Non lo farà. Se n’è andata.”
 
#2

Sebastian ha otto anni la seconda volta che è costretto a dire addio.
Non ha ancora la lingua affilata e il sorrisetto ironico che lo caratterizzeranno più avanti, ma nei suoi lineamenti comincia ad affiorare quella bellezza che conquisterà tanti ragazzi, e a scuola nota come il suo corpo reagisca più agli abbracci un po’ sudati che si scambia coi compagni di squadra dopo un gol a calcetto che ai bacini sulla guancia delle ragazze.
Quel martedì pomeriggio in particolare, Sebastian ha un gran sorriso sul volto e gli occhi lucidi di speranza, mentre stringe al petto il disegno di un cuore rosso, con due omini all’interno e la scritta “ti amo” lungo un contorno, in lettere un po’ grossolane.
Entra in casa con un passo baldanzoso – o forse saltella solo come un cucciolo sovraeccitato –, intenzionato a mostrare alla mamma il dono di Alexandre.
«Maman, maman! Où êtes-vous? J'ai quelque chose que je veux vous montrer!»
Gira rapidamente tutte le camere ma della madre non c’è traccia, ed è strano, perché da quando Sebastian va a scuola, la mamma è sempre stata a casa al suo ritorno, con una merendina e un sorriso affettuoso pronti per lui.
Alla fine, si dirige verso lo studio del padre, perché lui sicuramente saprà dov’è la mamma e quando torna, no?
«Venir!» esclama bruscamente il signor Smythe, quando sente bussare alla sua porta.
«Papa? Où est maman?»
«Sebastian, votre mère n'est plus là.»
Le parole suonano sinistre al bambino, ma si limita a inclinare la testa da un lato e a continuare: «Je le vois. Quand elle revenir?»
A quel punto l’uomo alza la testa e guarda il figlio minore negli occhi per la prima volta da quando la sua testa ha fatto capolino nello studio. In quello sguardo, Sebastian vede risolutezza, forse rabbia e… dolore? Compassione? Non sa che farsene di quei sentimenti e improvvisamente ha paura di sentire la risposta; vorrebbe avere la forza di correre via, nascondersi in camera e tapparsi le orecchie.
«Elle ne sera pas. Elle est partie.»
Il bambino deglutisce, fa un cenno con la testa e apre la bocca per rispondere, ma non ne escono suoni. Non sa quanto rimane a boccheggiare davanti al padre né quando, di preciso, ha richiuso la porta dello studio e si è ritirato nella sua stanza, chiudendo dolcemente la porta dietro di sé.
Si riprende soltanto quando trova sul davanzale della sua finestra un vaso di fiori freschi, indubbiamente messi lì dalla mamma prima di andarsene.
Li osserva per qualche secondo, immaginando di prenderli e gettarli a terra, di saltarci sopra fin quando non saranno una poltiglia informe di petali e acqua, distrutti irreparabilmente come si sente lui in quel momento.
Alla fine, però, non fa nulla. Sposta il vaso sulla scrivania, per poter avere sotto gli occhi quell’ultimo simbolo dell’unica donna che avrebbe mai amato – perché Sebastian, in fondo, lo sa cosa vuol dire quel calore che lo assale ogni volta che Alexandre gli sorride.
Con gli occhi fissi sui fiori, pensa che dovrebbe piangere, ma non ne ha il coraggio, perché stavolta non ci sarebbero le braccia morbide di mamma a consolarlo – o quelle confortanti di nonna, o quelle forti di Simon, che ha compiuto diciotto anni qualche mese prima ed è andato via di casa.
E per quanto papà si sforzi, non si è mai sentito a suo agio di fronte alle lacrime, e i suoi abbracci sono sempre un po’ impacciati. Non ha mai avuto bisogno di imparare, perché c’è sempre stata la mamma per questo.
Con un sospiro, il bambino si infila sotto le coperte e chiude gli occhi.
Forse più tardi, quando il padre gli spiegherà i motivi per cui la mamma non c’è più – di quanto fossero incompatibili e l’amore si fosse ormai estinto ed era una cosa che avrebbe dovuto aspettarsi –, si permetterà di piangere, perché per la mamma lui non è stato abbastanza per restare, o anche solo per aspettare e permettergli di dire addio.
Per ora, però, Sebastian vuole solo dormire.

Angolino dell'autrice :)

Grazie a tutte le persone che hanno letto lo scorso capitolo, doppio grazie a chi ha ricordato/preferito/seguito e triplo grazie a Vane, che ha recensito! ^^ Siete tutti fantastici!
Non ho molto da dire riguardo a questo capitolo, come sempre vi invito a farmi sapere cosa ne pensate e a correggere eventualmente il mio francese che, vi ricordo, nasce unicamente da traduttori online D:
Un bacio, spero che la storia continui a piacervi e di sentire quache vostra opinione! Un bacio, a presto!

 

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Capitolo 3
*** #3 ***


Rating: Giallo (scuro?)
Genere: Angst 
Avvertimenti/Note: Missing Moment, Non-Con (non grafico), drunk!fic
NdA: Per la battuta francese: “Posso comprartene un altro, bellezza?”
 
#3

Sebastian ha quasi quattordici anni la terza volta che è costretto a dire addio.
Sono quasi quattordici perché suona meglio di tredici e mezzo, e in ogni caso è tutta la sera che dice di avere sedici anni. Non sa se il barista o i ragazzi intorno a lui gli credano – sembra più grande della sua età ma non così grande. Forse è merito del calcio, che ha aiutato a definire i muscoli del torace e delle gambe, o il fatto che la pubertà è iniziata e il volto ha perso un po’ di quella ciccia da bimbi, diventando più spigoloso.
Fatto sta che è quasi mezzanotte e lui è in uno dei locali gay più famosi della Francia, e se è ben oltre il suo coprifuoco, beh, non è che il padre sia a casa o che gli importi. È bastato un mezzo sms con la buonanotte e le rassicurazioni della sua babysitter, che tutte le notti lo mette a letto e si ritira nelle sue stanze, non uscendone fino alla mattina dopo intorno alle sette, senza eccezioni.
«Puis-je vous acheter une autre, beau?»
Philippe – o Pierre, o qualcosa del genere – gli sorride in maniera provocante, accarezzandogli una coscia. Sebastian ricambia il sorriso e annuisce, insicuro ad aprire bocca per la lingua, che sente pesante, come se fosse cresciuta di tre taglie dall’inizio della serata.
Ma non è ubriaco, nossignore. Al massimo alticcio, forse.
E quando Pierre – sì, è decisamente Pierre, dev’essere Pierre – gli chiede se ha voglia di andare alla toilette, Sebastian accetta perché il tipo gli piace, non perché è ubriaco.
Ok, magari ha i lineamenti un po’ anonimi e nulla di lui lo colpisce veramente, però è tutta la sera che gli fa complimenti, che lo chiama “bellissimo” o “attraente” o ancora “irresistibile” e al ragazzo piace sentirsi apprezzato e al centro dell’attenzione.
Gli piace la bocca calda che cattura la sua in maniera violenta e gli lascia il sapore di fumo in bocca. Gli piace decisamente quando quella bocca scende sul suo collo e lo lecca, succhia e mordicchia, facendolo gemere. Gli piace anche quando sente due mani slacciargli la cintura e tirargli giù jeans e boxer in un’unica mossa fluida.
Comincia a piacergli di meno quando due dita si infilano nella sua bocca senza autorizzazione, e Sebastian può sentire su di esse un sapore diverso dalla nicotina – Gesù, il tipo è fatto, non è vero?
Gli piace ancora meno quando le stesse dita fanno breccia dentro di lui, senza alcuna delicatezza.
Ha la testa troppo annebbiata per sentire veramente dolore – è più un fastidio e tutta la situazione ha i contorni sfocati, come se fosse un sogno, e forse era più ubriaco di quanto credesse – ma sente il suo membro afflosciarsi quando viene sbattuto, senza troppe cerimonie, contro il lavandino e sente appena la punta del pene di qual è-il-suo-nome attraversargli l’ano, ancora troppo stretto.
Quando si risveglia, la musica troppo alta non c’è più, i boxer sono ancora a mezza coscia e ha appena due secondi di tempo per capire dove si trova, prima di gettarsi in avanti e rimettere tutto ciò che ha nello stomaco – perlopiù alcol e succo gastrico.
Tra un conato e l’altro, poggia la fronte sudata contro la tazza fredda e trova un minimo di sollievo dal suono martellante contro le tempie. Per fortuna c’è oscurità intorno a lui, quindi non dev’essere ancora mattina.
Man mano che passano i minuti, le lacrime che gli scendono lungo le guance, per reazione ai violenti spasmi del suo stomaco, diventano lacrime amare di rabbia e di odio, sentendo tutti gli altri dolori che il suo corpo ha attutito per un po’ di fronte al pressante bisogno di vomitare – come l’indolenzimento di tutti gli arti e il bruciore tra le natiche.
Con fin troppa chiarezza, Sebastian si rende conto che ieri notte non è stato tutto un terribile incubo. Ha davvero avuto la sua prima volta con un perfetto sconosciuto di cui non ricordava neanche il nome nel bagno di un locale gay. Ha dato via la sua verginità per una sveltina senza significato.
Sollevandosi finalmente da terra, con lo stomaco un po’ meno in subbuglio, il ragazzo si guarda allo specchio e, senza pensarci troppo, tira un pugno contro il vetro, talmente forte da mandarlo in frantumi.
La mano sanguinolenta e le nocche pulsanti si aggiungono solo alla lista dei dolori che sente, ma la soddisfazione di non vedere più quell’immagine – occhi iniettati di sangue, guance umide, capelli scompigliati, vestiti sgualciti – è troppo grande per pentirsene.
Nonostante tutto, esce dal locale a testa alta e senza temere il giudizio di nessuno – anche se chi potrebbe essere in giro per le strade alle cinque e mezzo del mattino, Sebastian non lo sa – e, se tutto quello che il quasi quattordicenne vorrebbe in quel momento è una parola di conforto e un abbraccio, beh, a nessuno è dato saperlo e a nessuno importa veramente, no?

Angolino dell'autrice :)

Bentornati! C'è ancora qualcuno con me? Ve l'ho detto che il Non-Con non era grafico, ma spero che in ogni caso non vi abbia scosso troppo, l'ho lasciato quanto più vago possibile, nella speranza di non aver scatenato a qualcuno brutti pensieri/ricordi e cose simili. In questo caso, l’ “addio” è più metaforico che altro, spero si possa sentire nel corso del capitolo, era riferito un po' alla perdita della verginità e un po' a quella dell'innocenza. Non so perché, mi è capitato più di una volta di leggere un'ipotetica prima volta in questi termini di Sebastian, come motivo forse per il fatto che tratta il sesso come una cosa senza significato (?)
Ad ogni modo, spero davvero che questo capitolo non sia così brutto, ci ho sbattuto la testa parecchio perché il Non-Con è una cosa molto delicata e non volevo trattarlo in maniera superficiale o inadatta. Mi auguro che non sia accaduto e che sia quantomeno verosimile.
Fatemi sapere che ne pensate e sempre un enorme grazie a chi ha ricordato/preferito/seguito, a chi ha recensito (vi adoro <3) e a chi ha anche solo letto!
A presto con il 4 capitolo, che finalmente è un po' più allegro! ;)

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Capitolo 4
*** #4 ***


Rating: Verde
Genere: Romantico, Fluff, leggero Hurt/Comfort
Avvertimenti/Note: Missing Moment
 
#4

Sebastian ha quindici anni la quarta volta che è costretto a dire addio.
Non è che provi risentimento verso il padre che ha deciso di trasferirsi in America. Più o meno gli piace il posto, anche se ancora non sa in quale Stato finiranno. Dio, alcuni sono così noiosi che solo il pensiero lo fa rabbrividire.
Comunque, ha accettato la decisione. Non gli dispiace poi così tanto lasciare la Francia.
Decisamente il fatto che sia più sarcastico e impudente del solito – e il solito di Sebastian Smythe è qualcosa, chiunque lo conosca può testimoniare – non è assolutamente collegabile al dispiacere. Nossignore.
Però sarebbe tutto molto più facile se Anthony non lo stesse di nuovo fissando con occhi tristi, per la centesima volta da quando gli ha detto del trasferimento, qualche settimana prima.
«Sai, puoi fare una foto e consumarla guardandola, se ne hai bisogno» sbotta il ragazzo a un certo punto, alzando gli occhi dal quaderno con un’espressione supponente.
Un angolo delle labbra di Anthony si alza in un mezzo sorriso, ma quell’aria malinconica non lascia il suo volto e fa sentire Sebastian a disagio. È una cosa di poco conto, non vale la pena fare tutta questa scena. Non sta morendo, dannazione.
«Mi mancherai, Bas. Mi mancherà questo» mormora il riccio, facendo un gesto con un braccio come ad avvolgere tutto ciò che lo circonda.
Sebastian ha già una replica arguta sulla punta della lingua, su come ciò che gli mancherà è passare la pausa pranzo relegato in un tavolo troppo grande per due sole persone ed è davvero qualcosa di cui lamentarsi, un cambiamento in quella situazione?
Ma le parole rifiutano di lasciargli le labbra quando Anthony fissa i suoi occhi color ambra in quelli di Sebastian e si avvicina, lentamente ma con determinazione.
Non è la prima volta che si baciano – proprio il contrario, a essere onesti – eppure in qualche modo sembra diversa. Sarà che la partenza si avvicina, o forse che ci sarà un weekend di preparativi da portare a termine prima di lunedì mattina e che quindi non potranno vedersi, o magari che Anthony ha cominciato a parlare inglese con lui per permettergli di abituarsi e per Sebastian è più di quanto abbia fatto chiunque altro – non che parli con qualcun altro al di fuori del riccio, ma comunque…
Quando finalmente si separano, Sebastian ha le guance arrossate e un ghigno soddisfatto sul volto ed Anthony gli sorride di rimando, anche se ha le guance bagnate.
«Stai piangendo?!» domanda Sebastian, incredulo.
L’altro ragazzo fa una risatina autocritica e cerca di asciugare gli occhi, prima di rispondere: «Oddio, mi dispiace. Mi sento così incasinato in questo momento. È solo che… tu sei il primo, Sebastian. Non voglio che te ne vada.»
Un groppo chiude la gola al biondo, ma lo ingoia insieme alle lacrime che non si permetterà di versare e invece apre le braccia. «Vieni qui, bambinone» gli dice, dopo un lungo sospiro fintamente scocciato.
Anthony non se lo fa ripetere e scivola nelle braccia dell’altro, aggrappandosi alla maglia e seppellendo il volto nell’incavo del suo collo, con il corpo leggermente scosso dai tremiti per i singhiozzi che sta trattenendo.
Passano alcuni interminabili minuti, prima che Sebastian parli di nuovo: «Sai, essendo gay, immaginavo di dover saltare tutte le smancerie riguardo al confortare una persona in lacrime. Non sono bravo con questa roba da ragazze.»
Una risatina acquosa è la sua unica risposta, seguita da un mormorio attutito che suona sospettosamente come: «Sei uno stronzo», ma c’è più divertimento che offesa nel tono.
«Mi hai scoperto» replica Sebastian, ma stringe lo stesso un po’ più forte l’altro tra le sua braccia.
«Ti mancherò?»
«Probabilmente durante il viaggio. Per quando sarò all’aeroporto di qualsiasi Stato in cui finiremo, ci sarà già una fila di americani ad aspettarmi. Sono piuttosto irresistibile, lo sai.»
Stavolta Anthony lo spinge via con un pugno sulla spalla, ma il sorriso che ha sulle labbra è reale.
Mentre escono da scuola quel giorno, il riccio dice: «Addio, Sebastian» e scappa via con un bacio sulla guancia, prima che l’altro possa anche solo muovere un muscolo, figurarsi replicare.
Si morde il labbro e deglutisce, però, prima di sussurrare al vento: «Addio.»
Non sa – e non vuole sapere – se è destinato ad Anthony o alla sua vita in Francia.

Angolino dell'autrice :)

Rieccomi, col quarto capitolo della raccolta! ^^
Non ho trovato indicazioni precise sull’età in cui Sebastian ha lasciato la Francia, quindi più o meno ho ipotizzato sia stato un anno prima di trasferirsi alla Dalton. Questo è più o meno tutto ciò che c'è da dire sul capitolo, finalmente c'è un addio meno traumatico dei precedenti xD
Spero che la storia continui a piacervi e, come al solito, ringrazio chi ha recensito/ricordato/preferito/seguito e anche chi ha solo letto. Continuate a farmi sentire le vostre opinioni, mi fanno piacere ogni volta!
Concludo aggiungendo i magnifici banner che ho vinto grazie a questa raccolta al contest "Tempo di... Tag!" di Ili91, di cui sono arrivati oggi i risultati (1° posto e premio "Miglior Caratterizzazione"). Sono soddisfattissima!



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Capitolo 5
*** #5 ***


Rating: Verde
Genere: Introspettivo
Avvertimenti/Note: Missing Moments, What if?, Dalton!fic
 
#5

Sebastian ha sedici anni la quinta volta che è costretto a dire addio.
È già da un’interminabile ora e mezza che gli Usignoli stanno facendo le prove e quasi tutti sono pronti a dire al loro Capitano dove dovrebbe infilarsi i suoi “consigli per migliorare”.
«Jeff, sei lento di almeno due battute rispetto agli altri. Il mondo non si può fermare ad aspettarti, quindi vedi cosa fare al riguardo. Nick, devi lavorare sul secondo giro. Sembri una trottola difettosa. Trent, tu devi saltare più in alto. La forza di gravità non ha effetti diversi su di te. Anche se…» Sebastian si ferma e squadra l’altro ragazzo da capo a piedi, facendolo arrossire «…forse in effetti è proprio così. La massa c’entra qualcosa, no?»
Trent abbassa gli occhi, imbarazzato, e sia David che Thad sembrano pronti a dirne quattro a Sebastian, quando le porte della sala si spalancano e un furioso Wes avanza a passi sicuri proprio verso il ragazzo.
«Sebastian Smythe, giusto?» dice, con un tono glaciale che David non pensa di aver mai sentito da parte del suo migliore amico – e loro si conoscono da anni, molto prima di cominciare a frequentare la Dalton.
«L’unico e il solo» replica l’altro, con il suo solito sorrisetto e per niente intimorito dalla postura minacciosa di Wes, «e tu chi diavolo sei? Queste sono prove private.»
«Ne sono al corrente, in quanto ex-membro del Consiglio degli Usignoli. Consiglio che non vedo in questa sala.»
«Perché non ne esiste più uno. Io sono il Capitano degli Usignoli, adesso.»
Le sopracciglia di Wes si alzano in una smorfia a metà tra lo stupore e il disgusto, prima di ripetere: «Capitano degli Usignoli? Tu?!»
«Sì, io», gli occhi di Sebastian si assottigliano e studia per un attimo l’altro ragazzo, prima di continuare: «Problemi al riguardo?»
«Oh, non ne hai idea, ma non essendo mia responsabilità, non posso fare nulla al riguardo. Posso però», continua, alzando un po’ il tono di voce quando l’altro apre la bocca per ribattere «comunicare che, a partire da questo momento, gli Usignoli della Dalton Academy sono ufficialmente sciolti e che tu, Smythe, sei espulso.»
Un attimo di silenzio scioccato segue quelle parole, poi una cacofonia di voci esplode nella stanza, ognuna con una protesta sulle labbra.
«Non puoi farlo!» spicca la voce di Sebastian, tra le altre, ma è meno strafottente di quanto fosse prima e c’è un certo nervosismo nei suoi occhi, quando incontrano quelli di Wes.
«Io no, di certo. Ma questo comunicato del direttore, controfirmato ed affidatomi quando sono passato per il suo ufficio, può.»
Mentre Sebastian legge la conferma a ciò cui non vuole credere, David prende la parola e si rivolge all’altro: «Wes, amico, ma perché?»
E finalmente il ragazzo fa vedere qualcosa di più della calma e fermezza mostrate nei confronti del Capitano degli Usignoli fino a quel momento. Quando volta la testa verso il suo ex-compagno, una furia ardente e quasi violenta anima i suoi occhi, tanto intensa da costringere l’altro a indietreggiare di qualche passo, seriamente spaventato.
«Vuoi saperlo, David? Vuoi davvero saperlo?!» sbotta, stringendo i pugni e sputando le parole successive tra i denti, taglienti e aggressive, «E voi, Nick, Jeff? Volete saperlo?! Volete sapere di come sono tornato a casa in Ohio, intenzionato a passare del tempo piacevole con i miei amici e di come tutto ciò che ho trovato è stato un mucchio di merda?»
Buona parte degli Usignoli sussulta davanti alla parolaccia, perché Wes è quello che non si scompone mai e quindi la situazione dev’essere molto grave. «Wes, sul serio, non cap…» riprova David, ma viene interrotto quando l’altro si volta ed esclama: «Sono andato a trovare Blaine, idiota! Sono andato a trovare il ragazzo che era nostro amico e compagno fino a qualche mese fa, o forse il trasferimento vi ha fatto dimenticare che era uno di noi
La sala cade nuovamente nel silenzio al ricordo dell’ultima volta in cui hanno visto Blaine, sul pavimento freddo di un garage, con ghiaccio arancione che gli colava dal volto e urla – le sua urla – strazianti che riecheggiavano intorno a loro.
«Stai esagerando, che diavolo di bisogno c’è di smantellare gli Usignoli per uno stupido scherzo andato un po’ fuori controllo?!» sibila Sebastian, quando termina finalmente di leggere il documento e riporta l’attenzione su quello che Wes sta dicendo.
«Uno scherzo andato fuori controllo?!» strilla l’ex-Usignolo e poi scoppia a ridere senza la minima gioia, così poco in sé da sembrare quasi un’altra persona a tutti coloro che lo conoscono, in quella stanza – per gli altri, deve semplicemente sembrare un pazzo. «Ti ha mai detto nessuno che è tutto un gioco finché qualcuno non si fa male, Smythe?!»
Stavolta Wes si avvicina ed è faccia a faccia con Sebastian quando sibila quelle parole, talmente vicino che l’altro fa fatica a guardarlo dritto negli occhi, ma rifiuta lo stesso di indietreggiare perché, dannazione, questa specie di criceto melodrammatico non lo farà sentire in colpa – più in colpa di quanto non si senta già, a dirla tutta – per una stupida granita che ha colpito la persona sbagliata!
«Blaine sta bene! Deve operarsi, d’accordo, ma non avrà ripercussioni fisiche a vita per una dannata granita in faccia!»
A quel punto, Wes si allontana di qualche passo, con uno sguardo stupefatto sul volto. «Non lo sai?» sussurra, poi si gira e osserva pian piano tutti gli Usignoli, che sono rimasti in silenzio ad osservare la scena. «Non lo sa nessuno di voi?»
Prima che qualcuno abbia anche solo il tempo di replicare, il ragazzo pronuncia le parole che nessuno, in quella stanza, si sarebbe aspettato di sentire: «Blaine si è già operato e non è andata bene. È cieco da un occhio per colpa vostra.»
Stavolta il silenzio che ne segue è talmente pesante da rendere l’aria quasi irrespirabile. Nick e Jeff si lanciano uno sguardo colpevole, David abbassa gli occhi e li strizza forte, Trent fa un suono strozzato – che suona sospettosamente come un singhiozzo, ma nessuno glielo fa notare.
È solo in quel momento che la consapevolezza di quanto grave in realtà sia quello che ha fatto crolla su Sebastian, lasciandolo impietrito e incapace di rispondere. Tutt’a un tratto, è di nuovo un bambino di otto anni al quale il padre ha detto che la mamma è andata via per sempre, boccheggia e fissa Wes in cerca di qualche parola, di una scusa che non sarà abbastanza o di una giustificazione che possa almeno spiegare il perché. Ma la verità è che le uniche parole che Sebastian ha nella mente in quel momento sono cieco e Blaine, che si rincorrono nella sua testa in un vortice confuso e che evocano tutti i tipi di immagini spiacevoli – Blaine che urla con tutto il fiato che ha nei polmoni, Blaine costretto a portare una benda nera sull’occhio per sempre, Blaine con un occhio di quel bellissimo color ambra e l’altro di un ceruleo spento.
«Non è vero. Non può essere vero, stai dicendo stronzate.»
Nemmeno a Wes scappa la nota disperata e implorante nel tono dell’altro ragazzo, ma non si lascia intenerire e risponde: «Non è così, ma se non ci credi, sono certo che tutte le Nuove Direzioni sarebbero felici di vederti e di dirtelo di persona. Specialmente il ragazzo con la cresta e Santana, che mi ha gentilmente prestato il nastro in cui ti vanti di aver mischiato sale grosso nella granita che hai tirato a Blaine e che mi ha permesso di farti espellere.»
Dopo di quello, Sebastian ricorda di essersi scusato e di aver lasciato la stanza, con la voce di Wes a urlargli dietro che il direttore l’avrebbe convocato presto per ufficializzare la cosa e che avrebbe fatto meglio a cominciare a sgombrare il suo dormitorio.
Una volta in camera, il ragazzo non ha il tempo di dispiacersi per se stesso perché il suo compagno di stanza è steso sul letto a leggere una rivista, con l’uniforme ancora addosso.
«Yo, Sebastian, non ti aspettavo prima di un’altra mezz’ora, come minimo. Tutto ok?» esclama, alzando gli occhi sull’altro e notando la sua agitazione.
«Sto bene, Jon» comincia lui, poi decide di dirgli la verità perché, alla fine, domani a quest’ora probabilmente nemmeno saranno più compagni di scuola, quindi a cosa serve mettere su la facciata dello spaccone che non è toccato da niente di ciò che gli capita intorno? «Anzi, a dire il vero, non sto affatto bene. Presto dovrai trovarti un nuovo compagno, temo.»
Jon aggrotta le sopracciglia, con un’espressione confusa sul volto. «Stai morendo, amico?»
A Sebastian scappa una risata sorpresa. Jon non ha mai avuto tatto, ma questa dev’essere l’espressione più brusca di sempre, eppure la preoccupazione nei suoi occhi è reale. «No, Jon, non sto morendo. Ma… Ecco, non è ancora ufficiale, ma mi hanno, più o meno… espulso.»
Accidenti, è proprio lui, Sebastian-sicuro-di-sé-fino-alla-presunzione-Smythe, questo bamboccio balbettante? La giornata deve averlo proprio stressato.
«Che hai combinato, stavolta? Ti hanno beccato nel mezzo di una sveltina nello sgabuzzino dei bidelli?»
«Non è importante,» risponde, anche se lo è, perché sicuramente anche Jon conosceva Blaine e anche lui lo odierà quando scoprirà cos’è successo, ma per la sua ultima sera, Sebastian vuole essere egoista ed avere una specie di amico accanto, «l’importante è che devo fare i bagagli, così sarò pronto quando il direttore mi convocherà. Puoi darmi una mano?»
«Certo, nessun problema» replica Jon, alzandosi dal letto e facendo qualche passo verso di lui.
Passa qualche silenzioso minuto in cui entrambi i ragazzi si perdono nei propri pensieri. Poi, apparentemente dal nulla, Jon passa un braccio attorno alle spalle di Sebastian e lo fa quasi sobbalzare per la sorpresa.
«Che diavolo stai facendo?!» esclama, ma non si muove per scrollarsi l’altro di dosso, e l’occhiataccia che manda al suo indirizzo non è poi così cattiva.
«Farà schifo qui intorno senza di te, Smythe. Sei uno stronzo, ma hai carattere.»
Jon sorride e, con un’ultima strizzata, si volta verso una scatola vuota.
Sebastian non dice nulla, ma sente le lacrime pizzicargli gli occhi. Il suo compagno di stanza gli sta dicendo addio, ed è forse quello il momento in cui realizza che è stato espulso e ha perso tutto quello per cui ha lavorato – la Dalton, il ruolo di Capitano degli Usignoli, il posto nella squadra di lacrosse.
Ma qualcun altro ha perso molto di più, e allora Sebastian ricaccia indietro le lacrime e si ripromette di non trovarsi mai più in una situazione come questa. E se per fare in modo che ciò accada deve smettere un po’ di fare lo stronzo e il bulletto, può farlo.
Non sarà il massimo, ma a lungo andare, ne varrà la pena.

Angolino dell'autrice :)

Questo è il secondo capitolo che preferisco della raccolta - il primo è il prossimo, quando finalmente Sebastian dice addio a qualcosa che non lo rende felice e quindi è un addio liberatorio, che non lo fa soffrire. Poverino, gliene ho fatte passare di tutti i colori finora! xD
Non ho molto da dire, è una What if? nel senso più assoluto, ho preso un episodio accaduto nel canon e ho modificato leggermente le conseguenze... Mi piacerebbe esplorare la vita di Sebastian dopo l'espulsione, in una futura fic, voi che ne pensate?

Anche qui, non sono proprio certa sull’età, per cui sono andata più o meno a occhio. Non esiste una data di nascita di Sebastian per fare una specie di conto, nel canon, o sbaglio?
Un abbraccio e un grazie alle bellissime persone che hanno la storia tra seguite/ricordate/preferite o anche semplicemente letto e il triplo di tutto a Vane, che continua a commentare ogni capitolo. Anche tutti gli altri sono invitati a lasciare una piccola recensione, mi farebbe davvero piacere!
A presto, con l'ultimo capitolo! :*

 

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Capitolo 6
*** #+1 ***


Rating: Verde
Genere: Romantico, Fluff
Avvertimenti/Note: Missing Moment, future!fic
NdA: Lettore avvisato, mezzo salvato: non so ASSOLUTAMENTE nulla dei passaggi da una facoltà a un’altra, so solo che sono possibili e che i crediti ottenuti fino a quel momento valgono alcuni esami/punti extra o qualcosa del genere.
 
#+1

È una giornata ventosa quella in cui Sebastian Smythe supera il suo ultimo test e ottiene il passaggio dalla facoltà di Legge alla NYU a quella di Medicina.
Due anni prima, entrando, era un ragazzino viziato e un po’ spaccone, concentrato solo sul dimostrare al padre e al fratello – entrambi avvocati di successo – che lui avrebbe fatto meglio, che sarebbe diventato più bravo, più famoso e più ricco.
Adesso, Sebastian è cresciuto – non solo fisicamente ma soprattutto mentalmente – e si è reso conto che tutto ciò che valeva allora non ha più significato di fronte alla tristezza e alla fatica cui si sottopone ogni giorno, studiando materie di cui non gli importa davvero per diventare qualcosa che non vuole essere.
«E che cosa vuoi essere, Sebastian?» gli ha chiesto qualcuno, due mesi prima, davanti a una tazza di cioccolata calda in uno Starbuck’s come tutti gli altri ma che avrebbe cambiato, in qualche modo, la vita di Sebastian.
Che cosa voleva essere? La risposta era stata così chiara nella sua mente che si era sentito stupido per non averla mai riconosciuta, nemmeno a se stesso.
«Voglio essere un medico.»
Sono le stesse parole che ha detto al telefono al padre, pochi giorni dopo quell’incontro e poi ancora al fratello e al coinquilino e a chiunque abbia avuto voglia di ascoltarlo. Sebastian Smythe vuole essere un medico e, adesso che lo sa, non c’è modo di farlo tornare nella facoltà di Legge anche solo per una lezione in più.
Respira una boccata d’aria profumata di fiori e d’estate – perché c’è voluto in realtà molto tempo e molta fatica, prima di poter trasformare quei crediti acquisiti in Legge in qualcosa di anche solo vagamente utile per Medicina – e apre il telefono, digitando un numero di telefono che non avrebbe mai pensato di possedere, con un gran sorriso sulle labbra.
«Ce l’hai fatta?» domanda la voce all’altro capo dopo neanche due squilli, senza salutare, e Sebastian si lascia scappare una risatina, mentre immagina l’altro camminare avanti e indietro in preda all’ansia, col telefono stretto in mano.
«Avevi dubbi?» replica, compiaciuto, anche se sa che è inutile, perché è stato l’altro ragazzo a tranquillizzarlo ieri notte, durante un crollo emotivo particolarmente burrascoso, abbracciandolo e sussurrandogli nell’orecchio che tutto sarebbe andato per il meglio e che sarebbe stato uno splendido medico, un giorno.
«Io no, nemmeno il minimo.»
«Adesso stai solo facendo il ruffiano.»
«Come se avessi bisogno di fare il ruffiano con te, Smythe.»
«Ricordati che non sono più la puttanella di Westerville da due anni.»
«Lo so, e non ti vorrei in nessun altro modo.»
Sebastian arrossisce, ma sa che l’altro è sincero e non può fare a meno di sentirsi un po’ fortunato, anche se mugugna lo stesso, per coerenza: «Mi verrà un diabete con tutte le tue romanticherie.»
«Succhiamelo, Sebastian.»
«Volentieri.»
Stavolta è l’altro a tacere, e Sebastian lo immagina di nuovo, stavolta agitato – e con un’erezione grossa quanto il Texas.
«Stasera, se sarai buono, dopo che ti ho portato a cena fuori come congratulazioni.»
«Che gentiluomo, mi porta anche a cena fuori prima di lasciarselo succhiare. Mi stai viziando»
Il ragazzo potrebbe giurare di sentire l’altro roteare gli occhi attraverso il microfono del cellulare. «Devo andare, il mio turno comincia tra venti minuti.»
«Ci vediamo stasera, allora.»
«A stasera.»
La chiamata si chiude così, perché Sebastian non è ancora abbastanza a suo agio con tutta la storia delle relazioni e della monogamia per ammettere che gli piace – non lo ama ancora, è chiaro come il sole, ovvio a chiunque e insomma, nossignore.
Si volta e comincia a camminare verso la metropolitana, concedendosi un attimo per contemplare New York e tutte le meraviglie che gli ha regalato da quando si trova lì. Anche se sono ormai due anni che ha abbandonato l’Ohio, si sente un po’ come se questo giorno ventoso di fine Giugno sia un nuovo inizio – e lo è, sotto tanti aspetti.
Sebastian ha vent’anni quando decide di dire addio per la prima volta, e non è mai stato meglio.

Angolino dell'autrice :)

Eccoci giunti alla fine. Ringrazio come sempre tutti coloro che mi hanno accompagnato in questo viaggio, leggendo in silenzio, preferendo/ricordando/seguendo e recensendo passo passo, siete stati tutti preziosi per me e per questa storia.
Un paio di noticine finali: innanzitutto, ogni volta che leggo una future!fic su Sebastian, studia legge. Non mi piace, un po’ troppo “seguo le orme di papà” per i miei gusti. Per quanto riguarda l
’identità del ragazzo con cui Sebastian parla al telefono, essa rimane ignota per volontà personale, così ognuno può immaginare chi vuole. Può essere una Kurtbastian, una Seblaine, una Sebastian/OC o anche una Sebastian/Hunter. Francamente, dopo aver letto una Sebastian/Puck e una Sebastian/Sam, non mi stupisco più di nulla.
Mi faccio un po' di pubblicità, giusto per: se vi va, passate sul mio profilo, c'è una one-shot Klaine un po' particolare, su cui mi piacerebbe sentire un'opinione :3 E presto (sì, non vi siete liberati di me *risata malefica*) tornerò nel fandom, anche se non so ancora dire se con una mini-raccolta incentrata su Kurt o se con una Kurtbastian. Vedremo.
Spero che mi facciate sapere qualcosa anche su quest'ultimo capitolo, e di ritrovarvi quando scriverò ancora su questo fandom! Un bacio a tutti! :*

 

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