Nightmares - Incubi dallo Spazio Profondo

di Shetani Bonaparte
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo I° ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Ehylà, umani (?)
Mi sono letteralmente innamorata della vecchia saga dedicata a Fraddy Krueger, quindi ho pensato di fare un cross-over.
Prendetelo come un piccolo esperimento.
Un bacione,
Shetani
 
 
 
Nightmares: Incubi dallo Spazio Profondo
 
 
 
Introduzione
 
Il giovane guardiamarina Philipe Ross si considerava un uomo fortunato: lavorava sulla bellissima USS Enterprise NCC-1701, aveva una moglie che amava e che era sua collega ed aveva una bellissima figlia di dodici anni, quasi tredici.
One, two, Freddy’s coming for you.
Three, four, better lock your door.
Five, six, grab your Crucifix…

“Tesoro, che stai cantando?” chiese Phil carezzando le bionde ciocche della figlia.
“Non so, è tutta la settimana che ce l’ho in mente”
“Ah. Però mette i brividi.”
La giovane fece spallucce, appuntando lo sguardo castano sul foglio nel quale stava disegnando.
Seven, eight, gonna stay up late.
Nine, ten… never sleep again

Facendo spallucce, Phil uscì dal proprio alloggio e percorse il corridoio che lo avrebbe condotto al turbo-ascensore.
Si appuntò mentalmente di informare il signor Scott che, in quell’area della nave esplorativa, c’era qualcosa che non andava con il sistema di aereazione: man mano che si avvicinava al turbo-ascensore, infatti, faceva sempre più caldo.
Salì sul mezzo di trasporto che lo avrebbe condotto all’hangar quattro, dove avrebbe dovuto sorvegliare il ritorno della Galileo ma poi, constatò, il turbo-ascensore non si fermava. Certo, non andava a gran velocità, ma non s’arrestava. Provò con freno manuale, ma quello gli si sciolse in mano.
Phil tentò di chiamare aiuti esterni e sospirò quando ricevette una risposta.
“Sì?”
“Aiuto! L’ascensore non si ferma… comincia a sciogliersi… io…”
“Ti tiro fuori io, caro!” disse quella voce leggermente gracchiante.
Allarmato, Phil udì un fastidioso stridio alle sue spalle. Si voltò: quattro lame stavano squarciando il metallo.
“Ricomincia la festa!” esultò una tetra figura.

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Capitolo 2
*** Capitolo I° ***


Capitolo I°
 
“Allora, si sa niente?”
“Mi spiace, Capitano. Nulla che possa portarci al responsabile” rispose Spock, intento a riguardare per la centesima volta i dati sul proprio padd, non carpendo nulla di utile.
Kirk si avvicinò al cadavere: il guardiamarina Ross era stato un brav’uomo, eppure era stato crudelmente ucciso. Il viso era irriconoscibile, le dita e gli arti erano stranamente deformi, sembrava una statua di cera mezza sciolta. La bocca era spalancata e gli occhi… gli occhi erano delle vuote cavità in cui, però, si poteva intendere un terrore inspiegabile. Il ventre, poi, era stato profondamente squarciato da quattro grosse lame e le interiora sporgevano.
“Era… era ancora vivo quando l’ho trovato… le… le budella pulsavano e il sangue b-bolliva. Se lo avessi trovato prima… s-se non fossi andata da Grace per quella festicciola… forse…” bisbigliava la bionda moglie della vittima.
Era sempre stata una donna forte, Marienne Ross, con l’azzurro e fiero sguardo, sempre pronta a tutto. Ma nulla può prepararti a perdere l’uomo che ami, specie in circostanze così cruente.
Così ora Marienne sedeva alla scrivania, voltando le spalle alla terribile scena, gli occhi arrossati e oramai privi di lacrime, mentre McCoy le somministrava un calmante. Era una donna spezzata.
“C-come lo dirò a Liz? Alla mia bambina… la mia dolce bambina…” mormorò la vedova.
Il Capitano appuntò lo sguardo agitato sul viso della vittima, chiedendosi se magari aveva trascurato qualcosa, se magari aveva fatto un errore e se avesse fatto dirigere l’astronave in un luogo poco sicuro; queste domande lo tormentavano perché era lui il Capitano, era lui il responsabile della sicurezza di circa 430 persone. E non trovava nessun proprio errore, Jim, eppure continuava a cercare nei propri ricordi, come a volersi per forza colpevolizzare.
“Capitano, penso che debba riposarsi: il suo turno è stato lungo. Mi segua, non intralciamo il lavoro degli addetti alla sicurezza” disse Spock in un sussurro, scortando il biondo fino al proprio alloggio.
 
“Dannazione!”
Bones si passo una mano sul viso, esasperato.
Non aveva senso. Non aveva il minimo senso. Illogico, citando il goblin dalle orecchie a punta.
Le lame che avevano squarciato le carni del povero Philipe Ross non avevano lasciato nemmeno un granellino di sporcizia o quant’altro. Per la precisione, era come se la carne avesse deciso di aprirsi da sola. Forse una tecnologia al laser? No, i bordi dei tagli sarebbero stati leggermente bruciacchiati. Un coltello? No, sull’Enterprise non v’erano coltelli tanto affilati da tagliare la carne senza che i bordi fossero slabbrati.
La vedova Ross aveva detto che il sangue del morto ribolliva, eppure, secondo Spock, non v’era stato alcun incendio, né tantomeno un guasto alla ventilazione che potesse far bollire qualcosa.
Prima o poi ci lascio le penne, su questa nave, pensò.
“Infermiera Chapel, ha trovato qualcosa di nuovo?” chiese, osservando insistentemente il proprio padd.
“Mi spiace, dottore. Non penso che si possa trovare qualcos’altro”
“Già, penso lei abbia ragione, Christine. Ha maledettamente ragione…”
Guardò l’orologio e decise che era ora di andare a dormire, così, congedando i colleghi, si diresse a grandi falcate nel proprio alloggio.
Si svestì, fece una doccia calda, mise il pigiama e poi dormì un sonno sereno e privo di sogni.
Ma quella serenità durò per poco: una voce allarmata dall’interfono lo destò malamente, invitandolo a raggiungere seduta stante la sala ricreativa tre.
Subito, però, s’accorse che qualcosa non andava: la sala era praticamente identica alla cucina di casa sua, dove aveva abitato prima del divorzio. Ritornò nel corridoio della nave, scoprendo di esser finito però nel poggiolo. Si sentiva strano, nonostante conoscesse quella casa a memoria, si sentiva disorientato, in terra nemica.
Uh. Beh, stava sognando, questo era ovvio. Un sogno lucido, per la precisione.
“Dottore” si sentì chiamare, “dottor McCoy”
Si voltò verso quella voce di bimba leggermente famigliare, ma non trovò nessuno. Girovagò per tutta la casa, trovandola vuota, sentendosi stranamente sereno, ora, nonostante l’inquietudine iniziale non lo avesse lasciato del tutto. Si ritrovò a poggiar la mano sulla maniglia della porta della stanza di Johanna, la sua bellissima figlia, quando una voce, la voce di bimba, iniziò a canticchiare da dentro di essa.
Non distingueva le parole, ma dal ritmo doveva essere una ninna nanna.
Aprì lentamente la porta e udì quello che, evidentemente, era l’ultimo verso.
“…never sleep again!”
Quando la porta fu completamente aperta, la voce ridacchiò e si spense. Al centro della stanza v’era un carillon, quello al quale Johanna era particolarmente affezionata. Il giocattolo era aperto e produceva il ritmo della canzoncina. Ma la melodia diventava sempre più forte, il pianoforte col quale sembrava suonata era sempre più stonato e ciò rendeva Leonard sempre più agitato, il suo cuore sbatteva all’impazzata contro lo sterno e l’adrenalina scorreva nel sangue dilatando le arterie.
Aveva il fiatone, eppure non aveva faticato. Per esser un sogno lucido, è parecchio fuori dal mio controllo, si disse.
Delle foglie secche, apparendo assurdamente surreali e caricaturalmente allegre, entrarono dalla finestra aperta vorticando in una specie di danza, muovendo un fascicolo sotto al carillon. Il medico lo prese e lo osservò: in copertina vi era un disegno raffigurante delle lame che squarciavano il suddetto foglio.
Poi accadde qualcosa di inaspettato: il fascicolo iniziò a sfogliarsi da solo ad alta velocità, rivelando che le lame erano ripetute in sequenza e che la suddetta sequenza creava un’animazione piuttosto primitiva e le lame si muovevano, aprendo un varco. Poi, però, iniziarono ad uscire dai fogli.
Leonard, per evitarle, gettò a terra il fascicolo, ma ottenne comunque dei tagli sul braccio.
Corse fuori dalla stanza, lungo il corridoio, in un turbinio di foglie, e nonostante il carillon fosse oramai assordante percepì lo stridio delle lame che graffiavano le pareti. Si voltò, vedendo, tra le luci che si spegnevano man mano, una figura che si avvicinava lentamente. Indossava un cappello, e il maglione era a righe, forse.
“Oh, dottore, lei ha ricucito migliaia di ferite ma… poi chi ricucirà lei?”
L’uomo gli corse in contro ridendo e Leonard si trovò con le spalle al muro, ma la voce di bimba urlò e lui si svegliò, agitato, sudato e tremante nel proprio letto, con l’eco dello stridio di lame nelle orecchie e il fantasma del terrore ad inquinare l’azzurro dei suoi occhi.
Si alzò dal letto, conoscendosi abbastanza da sapere che sì, quella notte l’avrebbe passata in bianco. Poi un dolore si fece sentire: istintivamente strinse il punto dolente nel braccio con una mano, che si tinse di rosso.
Come se lo era procurato? Pria non lo aveva, ne era certo.
Sbarrò gli occhi per un terribile presentimento e allora corse in Infermeria, sorprendendo non poco l’infermiera Chapel e il dottor Mbenga, aprì frettolosamente la sacca contenente il corpo di Philipe Ross e constatò quanto i tagli sul cadavere fossero identici a quelli che aveva sul braccio.
“Dottore!” chiamò Christine.
Poi passarono alcuni strani minuti, in cui lui si lasciò medicare il taglio, chiedendo che non fosse richiuso con il rigeneratore cutaneo prima che il Capitano e il Primo Ufficiale – prontamente avvertiti di presentarsi in Infermeria - potessero constatare di persona le somiglianze fin troppo evidenti.
“Era vero… era tutto vero…” sussurrò, il panico che ancora non lasciava il suo cuore, lo sguardo fisso sul sacco contenete il cadavere.
“Cosa, dottore?”
“Il… il sogno, Spock…”
“Impossibile”
Ma l’uomo continuava a stringersi convulsamente le mani, bofonchiando, forte delle sue ragioni.

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