In una galassia lontana lontana... ma qualche metro più in là

di Leysarya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1.1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 1.2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 2.1 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 2.2 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 3.1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


La distesa di assi di legno che fa da pavimento al ponte scricchiola sotto i nostri passi. Sulla nostra testa fasci di giunchi si intrecciano in un tetto a punta.  
Lo sbocco del cavalcavia è ancora lontano alla nostra vista: venti piedi più sotto, l’oceano ruggisce. 
Vie-Gan cammina dritta e disinvolta, ma so cosa la rende nervosa. Continua a lanciare occhiate perplesse ai pilastri che sembrano fin troppo fragili, nient’altro che canne tenute insieme da una corda annodata.
 «Ho qualche dubbio sulla sicurezza di questo ponte» esordisce «con tutta l’umidità che c’è non mi stupirei se il legno fosse marcio» aggiunge con aria critica. 
In risposta, inizio a dare colpetti con la mano a ogni sostegno che mi ritrovo davanti, cercando di non ridere nel frattempo. Vie-Gan mi lancia un’occhiataccia ma non reagisce. 
Dato che la cosa non sembra infastidirla granché, inizio a saltellare con il preciso scopo di darle fastidio. 
Lei sbuffa e mi strattona un braccio, serissima.
 «Un giorno o l’altro ci farai ammazzare.»
 «Che permalosa» ribatto per scherzo, strizzandole l’occhio «coraggio, stiamo per tornare a casa! Questa missione è durata anche troppo.» 
In genere adoro viaggiare in pianeti lontani, ma stavolta Maestro Yoda ha davvero esagerato. Pria III è uno scoglio per la maggior parte coperto dal mare, abitato da un popolo decisamente primitivo che vive in palafitte traballanti ed esposte alle intemperie, con due sole piste di atterraggio per le astronavi sull’intera superficie. 
L’entrata per la miniera sotterranea che abbiamo dovuto esaminare era raggiungibile soltanto attraverso un dedalo di percorsi sospesi sul mare, i quali ovviamente non procedevano in linea retta, e ci hanno costretto ad allungare la strada del doppio. 
Per farla breve, per arrivare a destinazione, raggiungere il fondo della miniera fino alla nuova cava, esaminare i cristalli per determinare che no, non erano adatti per le Spade Laser e tornare indietro,  abbiamo impiegato mesi interi. 
È stata la missione più lunga, noiosa, faticosa e inutile che io abbia mai fatto in tutta la mia vita. Ma Yoda è il Maestro Supremo, quindi mi amputerei una mano piuttosto che esporre lamentele. 
Vie-Gan non ha fiatato come al solito. Il suo senso del dovere le ha impedito di farlo, ma in fondo la conosco e so che anche lei avrebbe preferito un po’ di sano combattimento. È fantastica con la Spada Laser, almeno tanto quanto io sono brava nella persuasione con la Forza. 
Non abbiamo nessunissima intenzione di rimanere su Pria III un istante più del necessario, perciò ci affrettiamo a percorrere lentamente ciò che resta del ponte, in direzione della piattaforma su cui abbiamo parcheggiato la nostra astronave. 
Guardo oltre la ringhiera di legno: il cielo è coperto da fitte nuvole grigiastre, che però non impediscono di distinguere la sagoma di Pria IV, il suo pianeta gemello. 
 «Rei… » mormora Vie-Gan. La tensione nella sua voce mi mette in allarme. Con la coda dell’occhio la vedo appoggiare la mano sull’impugnatura della Spada Laser, da sotto la sua tunica color crema. 
 «Cosa c’è?» rispondo subito, imitandola. 
 «Abbiamo dei visitatori clandestini della Repubblica.»
Guardo avanti proprio nel momento in cui mettiamo piede sulla terraferma. Senza arretrare di un passo, fronteggiamo lo schieramento di Cloni che ci hanno accolto con i fucili imbracciati. 
 «Cavalieri Jedi» dice il comandante, che si distingue dagli altri per i colori dell’uniforme «vi dichiaro in arresto.» 
 «Non credo proprio» ribatto. 
In un fluido movimento simultaneo, Vie-Gan ed io accendiamo le nostre Spade Laser: un raggio bianco e uno dorato saettano nell’aria caliginosa. Appena il tempo di lanciare il guanto di sfida e lo scontro comincia. 
Entrambe ci lanciamo all’attacco: Vie-Gan si getta fulminea sulle armature bianche dell’esercito della Repubblica, mulinando la spada con una destrezza mortale, deviando ogni colpo di blaster nel raggio di due metri. 
La seguo a ruota, tenendomi sulla difesa; sulle prime ho un po’ di difficoltà ad arginare la raffica di laser che i Cloni mi scaricano addosso, ma qualcuno dei colpi di rimbalzo abbatte uno o due soldati, e la pausa che ne deriva mi consente di sollevare una mano e mandare quattro o cinque nemici a schiantarsi sulla nuda roccia dopo un volo che difficilmente li lascerà in grado di fare altro danno. 
 «All’astronave, presto!» grida Vie-Gan, decapitando un Clone con un solo, potentissimo fendente. 
 «Arrivo!» rispondo, liberandoci la strada dai nemici rimanenti con la Forza. 
Cerco di restare calma, ma nel frattempo continuo a chiedermi per quale motivo i Cloni ci stiano attaccando in tale numero e con tanta ferocia, e il sangue mi ribolle per la rabbia.  
Mentre corriamo verso la piattaforma, i blaster continuano a mitragliarci di colpi. Rallentiamo per bloccarli, e uno per poco non mi sfiora l’orecchio. 
 «Ana-Rei, va’ avanti e metti in moto l’astronave!» dice Vie-Gan, concentratissima.
 «D’accordo, e tu?» le grido, cominciando nel frattempo ad arretrare, senza distogliermi ancora dal combattimento.
 «Ti copro le spalle» risponde, nel ritratto della determinazione. 
Immediatamente spengo la Spada Laser e corro a premere il pulsante per aprire il portello. R3-D8, il nostro droide astromeccanico, mi viene incontro, lampeggiando di luce rossa ed emettendo un suono squillante interrogativo. 
 «In posizione, R3!» lo rimprovero «Decolliamo immediatamente.»
Corro ai comandi, digitando il codice per accendere il motore. Sento rumore di battaglia e Vie-Gan ancora non si vede. L’astronave inizia già a muoversi, il portello è spalancato e la piattaforma è così piccola che dovremo staccarci subito se non vogliamo finire in acqua, o sugli scogli. 
 «Maledizione, maledizione» mormoro a mezza voce «non devo essere impulsiva, non devo…» 
L’istante di lucidità dura, per l’appunto, un istante. 
Metto il pilota automatico e mi fiondo fuori, spada in pugno. La mia migliore amica ha bisogno di me.
 
  ∂∂∂
 
Dopo aver detto ad Ana-Rei di salire sulla nostra astronave e stare pronta a partire devio ancora una volta dei colpi di blaster che arrivano sulla mia destra; alcuni si perdono nell’atmosfera, altri vanno a segno e colpiscono chi li ha scagliati. Sto sull’offensiva, e piuttosto che difendermi fino ad arrivare al portello del trasporto cerco l’avanzata. Con un paio di fendenti riesco ad atterrare un altro Clone. La battaglia va avanti inesorabile, sono più di me ma so di poterne uscire indenne. 
Con la coda dell’occhio riesco a scorgere la navicella che inizia a muoversi, ma poco dopo, tra il suono dei blaster e della mia Spada Laser, sento un rumore di passi che si avvicina velocemente.
 «Rei torna indietro!» le dico, contrariata dal suo comportamento.
 «Non salgo sull’astronave se non insieme a te!» mi risponde mentre con la Forza atterra due Cloni che si erano pericolosamente avvicinati a noi. «Sono troppi anche per te, Vie-Gan!»
Quasi un colpo di blaster mi colpisce ma riesco prontamente a schivarlo. 
Non permetterò mai che succeda qualcosa ad Ana-Rei, non fino a quando io sono nei paraggi e posso difenderla. Le voglio bene e non vorrei mai trattarla male o risponderle in modo rude, ma a volte non mi lascia altra scelta. «Torna immediatamente su, ormai sono rimasti in pochi e posso farcela. Serve qualcuno ai comandi.»
 «Ho messo il pilota automatico.»
In una situazione normale le avrei lanciato un’occhiata di rimprovero, ma date le circostanze non posso permettermi di distogliere lo sguardo dai nemici. 
 «Vuoi metterti a discutere di ciò proprio adesso? Sali sull’astronave. Adesso.» Le ordino con tono autoritario. La sento sbuffare e quasi iniziare a dire qualcosa, ma quando un raggio di blaster sta per colpirla e mi precipito a rimandarlo indietro capisce che è inutile discutere con me, non su questo argomento e non in questo momento, così ripone prontamente la propria Spada Laser e fa ciò che le ho chiesto. 
Ormai anche io capisco che è rimasto proprio poco tempo, la piattaforma è piccola e rischiamo di finire nell’oceano se non ci muoviamo a partire. Decapito un ultimo Clone e inizio ad indietreggiare velocemente fino a salire sul portello che lentamente si chiude sotto di me. Il movimento di questo e il repentino alzarsi della navicella mi fanno barcollare e cadere, ma non così rovinosamente da farmi male. Sono esausta e mi lascio scivolare con la schiena sul freddo pavimento, giusto il tempo di fare un respiro profondo per riprendere un po’ il fiato, poi mi tiro su sui gomiti. 
Vedo Ana-Rei correre e inginocchiarsi accanto a me «Stai bene?» mi chiede.
 «Sì, sto bene» dico tirando un altro sospiro e alzandomi in piedi «Erano tanti. Ma perché ci hanno attaccate?»
La mia amica alza le spalle, palesemente perplessa quanto me.
Ci precipitiamo ai comandi e finalmente Rei leva il pilota automatico «Coruscant?» mi chiede per appurare la nostra prossima destinazione. Io annuisco e guardo la mappa: siamo veramente molto lontane. Propongo quindi di metterci subito in contatto con Yoda per metterlo al corrente dell’attacco, ma non appena cerchiamo di stabilire una comunicazione l’ologramma inizia a dare segni di instabilità e interferenza fino a scomparire del tutto. «R3 controlla il generatore» dico riprovando ancora una volta, ma non c’è niente da fare.
 «Che succede?» chiede la mia amica, non consapevole di ciò che sta accadendo poiché molto occupata a pilotare il veicolo, ma sembra anche lei turbata da qualcosa.
 «Le comunicazioni hanno smesso di funzionare. Siamo tagliate fuori, dovremo aspettare di arrivare a Coruscant per riportare al consiglio ciò che è accaduto.» Rispondo dandole le spalle.
 «Vie-Gan vieni qua, c’è un altro problema, forse più grave.»
 «Definisci “più grave”» e avvicinandomi capisco cosa intende. La mappa è scomparsa, le coordinate anche. Non sappiamo più in che zona siamo e non possiamo di certo tornare su Pria III. Anche se potessimo in ogni caso non sarebbe la mia prima scelta, l’ambiente è umido e poco ospitale, benché la popolazione non sia così male, ma è pure poco sviluppato dal punto di vista tecnologico, e non troveremmo di certo lì la soluzione ai nostri problemi.
 «Dobbiamo tentare un atterraggio di emergenza sul primo pianeta che troviamo»
 «Ma siamo lontani dai territori della Repubblica» dice ingenuamente lei.
 «Non credo che quei Cloni siano stati mandati da qualche altra organizzazione, potrebbe essere sia la nostra fortuna che la nostra sfortuna trovarci così lontani. Possiamo solo tentare.»
Pondero sulla possibilità di trovare delle creature ostili, territori completamente disabitati o addirittura inabitabili per via della loro atmosfera. Tutto è un rischio in questo momento, non c’è nessuna certezza. 
Mi siedo in un angolo e incrocio le braccia, impotente dato che non possiamo fare nulla nemmeno per le comunicazioni a meno che non vengano ripristinate.
Il pensiero di aver passato mesi su un pianeta sconosciuto e sottosviluppato per raggiungere una grotta, e aver poi scoperto che i cristalli che speravamo potessero essere utilizzabili per le spade laser non erano in realtà ciò che ci aspettavamo, a causa dello stress del momento mi diventa insopportabile. Durante il tempo che abbiamo, a mio parere, perso potrebbe essere successo chissà cosa, qualcosa che potrebbe spiegare come mai quei Cloni ci hanno attaccate. Ora non possiamo nemmeno sperare in un’immediata risposta alle nostre domande.
 «A cosa stai pensando?» mi chiede Rei, che probabilmente ha notato il profondo silenzio. Non che io sia una persona che ama parlare, ma questa è una situazione un po’ diversa dal solito.
 «Penso che abbiamo veramente perso tempo con questa missione» dico sincera, forse non nascondendo troppo bene la mia irritazione. Lei però non mi risponde, probabilmente la pensa come me. 
 «Vie-Gan, ho trovato un pianeta!» esclama, e io mi precipito verso il radar.


Note:
Buonasera a tutti! 
Ecco qui il prologo della nostra prima storia (per chi non avesse letto la descrizione dell'account siamo in due), speriamo vi sia piaciuto! Dal prossimo capitolo ci firmeremo singolarmente, ma questa volta usate la Forza e scoprite quale delle due parti appartiene a Leysa e quale ad Arya (e quindi qual è il nostro personaggio). Aspettiamo con ansia le vostre recensioni. 

A presto vostre Lady Leysa e Lady Arya.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1.1 ***


Niente da fare. La Forza non sarebbe servita a disserrare quella maledetta porta.
I Maestri del Consiglio Jedi erano in riunione da ore. La cosa non era in sé straordinaria, ma non mi sarei mossa comunque dal corridoio finché non me ne avessero comunicato l’esito.
Era la terza o la quarta volta che il  maestro Myrasu veniva convocato… e questo solo durante i sei anni del mio apprendistato.
Inutile dire che fossi preoccupata. Avevo fiducia in lui abbastanza da non temere che lo avrebbero espulso dal Consiglio, ma non dubitavo che sarebbero stati presi dei provvedimenti.
Pregavo con tutte le mie forze che nessuno riuscisse a schermare le sue difese e leggere nella sua mente… ma il mio maestro era insuperabile in questo. Nessuno avrebbe scoperto il suo… il nostro segreto. Nel momento in cui si era confidato con me, anch’io ero divenuta complice in quell’inganno, ma un inganno per una buona causa.
Prima che al mio maestro, la mia lealtà andava all’Ordine dei Jedi, ma il tacito patto che c’era fra noi aveva un pilastro fondamentale: mai nessuno, qualsiasi cosa accadesse, avrebbe dovuto scoprire cosa c’era nella più piccola e remota delle lune di Haruun Kal - all’apparenza, un pianetino di roccia completamente privo di atmosfera e costantemente bersagliato da comete e asteroidi.
Se la verità fosse venuta alla luce… mi chiedevo se ci sarebbero state delle ripercussioni su di me. Convivevo con quel rischio da quando a undici anni il mio maestro mi aveva scelta.
Prima di incontrarlo ero convinta di non avere alcuna speranza di diventare un Cavaliere Jedi. Non ero la migliore nel combattimento con la Spada Laser ed ero svogliata nello studio del Codice. C’erano dei midichlorians nel mio sangue, e questo significava che la Forza era potente in me, molto, a sentire il Maestro Joda. Ma forse non sarei stata in grado di sostenere la responsabilità di proteggere la Galassia. Chissà perché.
Avevo appena compiuto undici anni quando il maestro Myrasu mi scelse come suo Padawan. Gli fui così tanto grata di avermi dato la sua fiducia che per la prima volta mi buttai con tutta l’anima nello studio e nell’allenamento.
Il mio Maestro mi aveva insegnato a credere in me stessa: mi aveva dato la prova che ero degna di avere una possibilità di combattere, e che come tutti i Jedi, ero stata scelta per dare la mia vita per il bene comune. Era insieme un dono e un dovere, e per questo era una cosa per la quale valesse la pena di dare tutto.
Per questo ero pronta a mentire, tradire, tacere, agire. E lo avevo fatto.

Il sole era alto quando il maestro Myrasu fu congedato. Subito gli corsi incontro per sapere cosa volesse il Consiglio da lui.
 «Controlla la tua ansia, Ana-Rei» mi disse lui, imperscrutabile «stai perdendo il controllo.»
 «Hai ragione, ti chiedo scusa, maestro» risposi, respirando profondamente. Mi avrebbe risposto quando lo riteneva opportuno… se mai lo avesse ritenuto opportuno.
 «Seguimi, Ana-Rei.»
Camminai accanto a lui in silenzio e in trepidante attesa, ma senza darlo a vedere. Scrutai la sua espressione serena, e capii che era raccolto in una riflessione profonda. Non volli disturbarlo.
Koran Myrasu era originario di Haruun Kal, un pianeta in cui tutti gli abitanti erano sensibili alla Forza. Aveva la pelle di una tonalità di poco più chiara di quella del maestro Windu, i capelli castani e gli occhi dalle iridi dorate, profondi e saggi per chi conosceva i suoi disegni impenetrabili. Qualche volta il pensiero di avere questo privilegio mi faceva venire i brividi, ma mai, nemmeno una volta, avevo pensato di fare marcia indietro. Era questo il destino che mi era stato riservato.
 «Sembra che ci siano guai a Naboo.»
 «Così pare» risposi, con una punta di asprezza «è di questo che hanno parlato nella riunione straordinaria del Consiglio?»
 «Oh, il Consiglio ha già preso provvedimenti. Hanno mandato il Maestro Qui-Gon con il suo Padawan per negoziare una resa della Federazione dei Mercanti.»
Myrasu si fermò per sospirare.
 «Ho una terribile sensazione in proposito. Ci sono grandi tumulti nella Forza… e cambiamenti in arrivo.»
 «È una cosa positiva?» domandai
 «Chi lo sa… » disse lui a bassa voce «… il futuro è spesso nebuloso.»
Rimanemmo in silenzio, mentre il maestro Myrasu camminava lungo i corridoi del Tempio Jedi. Ero a disagio: temevo che il Consiglio gli avesse detto qualcosa che non mi era dato sapere.
 «Maestro» mormorai «c’è qualcosa… qualcos’altro che non va?»
Lui mi sorrise tristemente.
 «Lo percepisci, non è vero?»
Annuii, in attesa di una spiegazione.
 «Non è nulla di cui tu debba preoccuparti. Quando arriverà il momento, ti dirò tutto ciò che è necessario, così come il mio maestro fece con me, prima di morire.»
  «Grazie, maestro» dissi con gratitudine «ma voglio sperare che non significhi che rischierete la vita in un prossimo futuro.»
 «Essere un cavaliere Jedi è un compito pericoloso» ribatté lui seriamente «pensavo sapessi che dobbiamo essere…»
 «… Pronti a tutto, lo so» lo interruppi, beccandomi un’occhiataccia. Mormorai una scusa, guardando altrove.
 «E prima o poi arriverà anche il mio momento» proseguì lui, imperterrito.
Non dissi nulla. Mi aveva presa una strana inquietudine.
A volte mi assaliva il dubbio. Quando mi rendevo conto che gli insegnamenti del mio maestro erano diversi da quelli che ricordavo del mio addestramento da Youngling, o da ciò che sostenevano Yoda, Windu e gli altri Cavalieri Jedi…
D’accordo, la mia fiducia nel maestro Myrasu era stata già messa alla prova più volte: prima di tutto quando avevo scoperto che il suo maestro era passato al Lato Oscuro poco prima di morire, e che lui stesso l’aveva ucciso in combattimento. Un comportamento degno dei Sith, che però gli era stato perdonato, date le circostanze, e considerando che non era stata una manovra voluta: il suo maestro era morto in seguito per le ferite riportate, e quindi non propriamente ucciso.
Eppure con tutto ciò a volte avevo paura. Il mio maestro spesso si comportava in modo assai strano, ma era l’unico su cui potevo contare in tutta la Galassia. I miei genitori si erano dimenticati di me nel momento stesso in cui ero stata riconosciuta come Jedi. Non seppi mai nient’altro di loro, né dei miei fratelli. Solo un giorno mi giunse voce che ne erano nati altri dopo il mio trasferimento a Coruscant, altri che io non avrei mai conosciuto.
Da allora non ero più tornata ad Alderaan, né mi ero allontanata da Coruscant.
Il pensiero mi provocava una rabbia impotente che nonostante anni di esercizi non riuscivo a dominare. E una sensazione di smarrimento che giorno dopo giorno diventava più insopportabile.
La coscienza mi aveva spesso insinuato atroci dubbi… domande delle quali non osavo neanche cercare la risposta, tanto mi spaventava il pensiero di conoscere la verità.
Da sei anni ero la Padawan del maestro Myrasu, e i segreti che condividevo con lui erano solo una parte irrisoria di quelli che sospettavo tenesse…
«Devo fare una commissione, Rei, incontrare un Maestro Jedi.»
Mi riscossi dalle mie riflessioni.
 «Vuoi che venga con te, maestro?»
 «Perché no?» disse lui con un mezzo sorriso «È probabile che lui e il suo Padawan ci accompagneranno nella vostra prima missione.»
 «Aspetta… come? La mia prima missione?» esclamai.
Il cuore iniziò a battermi forte. Ero emozionatissima! Aspettavo da anni questo momento… saremmo partiti su una vera astronave e andati finalmente via da questa orribile e caotica distesa di grattacieli, ci sarebbero stati combattimenti, fughe, pericoli mortali, manovre spericolate a bordo di caccia stellari…
 «E dove andremo? Di che si tratta? Quando partiremo?»
 «Ana-Rei!» mi sgridò lui «Cerca di calmarti.»
 «Non ci riesco, maestro!» scoppiai a ridere e iniziai a saltellare per l’impazienza «Non vedo l’ora, sarà fantastico! Allora, cos’è che… »
 «Te lo dirò quando avrai l’autocontrollo per comportarti come una vera Jedi. Adesso smettila.»
Il suo tono sfiorava appena la rabbia, ma il suo sguardo era intimidente abbastanza da far evaporare il mio entusiasmo e far ritornare il timore.
 «D’accordo…» mormorai. Non mi spiegavo perché avesse questi scatti d’ira. Era umiliante, oltre che fastidioso, ma soprattutto… non si addiceva a uno Jedi.
 «Su, vieni. Il maestro ha una Padawan, una ragazza più o meno della tua stessa età. Farete una bella squadra insieme.»
 «Spero sia simpatica, maestro» dissi, sforzandomi di ritrovare un po’ di spensieratezza.
 «Oh, non aspettarti troppo. Lui è piuttosto noioso, ma può darsi che lei sia di una pasta diversa.»
Per quanto mi rendessi conto che non era giusto fare una cosa simile, mi divertivo un sacco a sentire il maestro Myrasu a etichettare le persone come “noiose” o “interessanti”.
 «Come si chiama lei?» gli domandai, sperando di riconoscere il nome tra gli Youngling con cui avevo studiato.
 «Vie-Gan» rispose il maestro. Un nome che non mi diceva nulla. Me lo ripetei in testa a lungo, ponderando il suono, cercando di associarvi un volto.
 «Non mi piace» sentenziai dopo un po’ «mi dà un cattivo presentimento.»
 «Potresti cambiare idea» disse il maestro Myrasu «tutti abbiamo bisogno di compagni di guerra affiatati. Altri li chiamerebbero amici.»
Non dissi nulla. Non ero sicura che l’idea mi piacesse. Mi chiesi se un’amicizia potesse nascere anche con dei segreti.



Note:
Buonasera, popoli della Galassia, è la vostra Lady Arya che vi parla!
Proprio così, Ana-Rei è il mio personaggio, e in questo primo capitolo introspettivo, scritto dal suo punto di vista, ho voluto raccontarvi parte della sua storia e presentarvi la situazione iniziale.
Come avrete già intuito, c'è stato un ampio salto temporale dal prologo, che si svolge parecchi anni dopo, ma non temete, ritorneremo anche lì, e vedrete come andrà a finire!
Chiaramente le due protagoniste non si conoscono ancora: dovrete attendere ancora un po' per il loro primo incontro... secondo voi, che impressione si faranno? Si accettano scommesse!
Per concludere, spero che vogliate lasciare una recensione e darci così il vostro parere, sia io che Lady Leysa vi saremmo molto grate.
Adesso vi saluto, al prossimo aggiornamento,

Lady Arya

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 1.2 ***


L’inquietudine che mi accompagnava da qualche ora a quella parte iniziava a mostrarsi anche all’esterno; infatti, mentre assorta nei miei pensieri guardavo fuori da una delle immense finestre dell’accademia, avevo iniziato senza accorgermene a torturare il guanto nero che portavo già allora sulla mano sinistra. Lo facevo e lo faccio tutt’ora ogni qual volta sono molto nervosa o in ansia.
Guardavo le navicelle sfrecciare veloci nel cielo del primo pomeriggio, con la luce che filtrava tra i pochi spazi tra gli edifici, e solo la voce del maestro Carrick mi riportò alla realtà. In un primo momento non capii cosa avesse detto, nonostante sapevo che stesse parlando con me, così gli chiesi di ripetere.
 «Va tutto bene?» disse allora, prendendomi il polso per farmi smettere di stirare la stoffa del guanto. So che non lo fece con un cattivo intento, ma il risultato fu solo di farmi innervosire più di quanto non lo fossi già, e mi liberai dalla leggera presa in modo poco educato. Non era nelle mie intenzioni, fu quasi un riflesso involontario, ma tanto ormai il mio maestro ci era abituato.
 «No» risposi alla sua domanda con tono forse un po’ malinconico “Non ho un buon presentimento.” «Cerca di stare tranquilla e non avere paura, tutto andrà bene.» «Non ho paura, solo un po’ di ansia» d’altronde però l’ultima volta che sono stata veramente tranquilla avevo 11 anni, ero nel posto sbagliato al momento sbagliato, e da quel momento la mia vita ha preso completamente un’altra strada. Ma quella è un’altra storia.
Tornai a guardare fuori dalla finestra con le mani dietro la schiena.
 «Abbiamo una nuova missione» cambiò rapidamente discorso «Ti ho mai parlato dal maestro Myrasu?»
 «No, mai, perché?»
 «Perché sarà il nostro compagno di viaggio, per così dire, insieme alla sua allieva.»
 «Come si chiama?» chiesi interessata, sempre pronta a fare nuove conoscenze, ma il mio già non eccessivo entusiasmo venne mitigato quasi subito.
 «Ana-Rei, e ha 17 anni» mi fu risposto.
 «È piccola.»
 «Solo quattro anni più piccola di te in fondo. Sono sicuro che andrete d’accordo.»
Io alzai le spalle non del tutto convinta, ma decisi di darle almeno una possibilità.

Pochi minuti dopo, tra il via vai sporadico di gente che c’era in quel corridoio, due persone si avvicinarono a me e al mio maestro. 
Erano un uomo adulto e una ragazza. Lui era alto, la carnagione scura quasi quella di Mace Windu e i capelli castani, quasi in completa contrapposizione con il maestro Carrick, alto sì ma dalla pelle chiara e i capelli biondi. 
Fu proprio quest’ultimo a parlare per primo «Maestro Myrasu, è un piacere rivederla» disse tendendogli la mano.
 «Lo è anche per me, ma avrei preferito che le circostanze fossero ben diverse» rispose stringendogliela, poi mise una mano sulla spalla della ragazza accanto a sé per incoraggiarla ad andare avanti. Si vedeva che era veramente giovane, la sua espressione trasudava eccitazione e non c’era nemmeno un accenno di tristezza o rimpianto. Il mio primo pensiero, sicuramente dettato dal personale pessimismo del momento, fu che non avesse visto ancora abbastanza di ciò che le riservava la vita. I suoi occhi seppur neri erano tutt’altro che spenti, e i capelli che le incorniciavano il viso erano anch’essi di quel colore, tanto intenso che la sua treccia da Padawan spiccava anche sulla sua tunica quasi marrone.
Mi squadrò dalla testa ai piedi con particolare attenzione «Io sono Ana-Rei, piacere di conoscerti» disse poi non molto convinta.
 «Il piacere è mio, Ana-Rei. Io mi chiamo Vie-Gan» falsificai un sorriso a labbra strette.
Le espressioni dei nostri maestri diventarono tutto d’un tratto serie e ci chiesero di allontanarci un po’. Noi ubbidimmo immediatamente e ci spostammo qualche metro più in là, in modo da non sentire ciò che avevano da dirsi.
Un classico silenzio imbarazzato calò tra di noi. Io dal canto mio non ero molto intenzionata a parlare, non sono mai stata il tipo da sbandierare la mia vita ai quattro venti, Ana-Rei invece, seppur ancora un po’ diffidente, mi diede l’impressione di essere impaziente di dire qualcosa.
 «Questa è la mia prima missione, sai? Sono così emozionata» disse poi finalmente, non riuscendosi evidentemente a trattenere.
 «Buon per te» risposi fredda e lei subito si ammutolì di nuovo corrugando la fronte.
Era visibilmente infastidita da quella risposta e continuava imperterrita a scrutarmi, sempre meno convinta, ma non per questo dava segni di resa, anzi, sembrava molto determinata ad instaurare una conversazione con me. Più volte aprì la bocca ma nessun suono usciva dalle sue labbra, quasi non riuscisse a trovare un argomento veramente valido, e per sfortuna mia i nostri maestri non accennavano a finire le loro discussioni.
Iniziai di nuovo a giocare con il bordo del mio guanto, questa volta consapevolmente, e Ana-Rei se ne accorse quasi immediatamente, ed evidentemente incuriosita cominciò a fare molte domande.
 «Come mai porti un solo guanto?»
Non risposi.
 «Perché è tagliato in questo modo?» in effetti il tessuto copriva, oltre ovviamente il polso, solo due dita: il mignolo e l’anulare. Anche questa volta ritenni opportuno non rispondere.
Allora lei azzardò una mossa, alla quale con il senno di poi avrei potuto reagire in modo diverso, e mi prese la mano. Inutile dire che la ritrassi subito estremamente contrariata «Credi di aver finito?» chiesi poi, e lei di nuovo si ritirò nel silenzio.
 «Suvvia Vie-Gan, non tenere quell’espressione corrucciata sul viso, non ce n’è bisogno» i nostri maestri si avvicinarono senza che me ne accorgessi e, non volendo infondo dare una brutta impressione di me decisi di sforzarmi almeno a fare un sorriso. Almeno in parte mi riuscì.
 «A quanto pare non ci sono problemi solo su Naboo, ma anche sulle lune a lui vicine» andrò dritto al punto il maestro di Ana-Rei «Di questi tempi bisogna sempre tenere in considerazione anche le più piccole minacce. È per questo che ci hanno chiesto di recarci su Erai III, una luna del sistema Erai ma molto vicina a Naboo. Non dovrebbero esserci importanti complicazioni, poiché si tratta solo di un controllo per accertarsi che non ci siano navicelle sospette sul suolo del pianeta, ma dobbiamo essere pronti a tutto.»
 «Credo non ci sia nient'altro da aggiungere al momento. Se siamo pronti possiamo partire anche immediatamente, prima arriviamo più abbiamo la possibilità di scoprire qualcosa. In caso contrario ogni minuto che perdiamo è prezioso e potrebbe far sfuggire informazioni importanti» concluse il maestro Carrick.
 «Allora non abbiamo un minuto da perdere!» esclamai io mantenendo quel finto sorriso.
Lasciai che la giovane Padawan raggiungesse il suo maestro e che si allontanassero prima di smettere di fingere. 
 «Ah, e io che pensavo di potermi distrarre un po' con una nuova missione.» Dissi a bassa voce così che solo il mio maestro poté sentirmi.

La giornata volgeva al termine e gli ultimi sprazzi di luce facevano capolino da dietro gli edifici.
Ci eravamo tutti riuniti nell'hangar, pronti a salire sulla navicella che il consiglio dei Jedi aveva messo a nostra disposizione appena ci avessero dato il consenso per partire.
La ragazza dai capelli neri sembrava piuttosto eccitata all'idea di partire per la sua prima missione, anzi, a dire il vero mi dava l'impressione di una persona abbastanza esuberante di fronte a qualsiasi cosa accadesse; passeggiava e si guardava intorno come se non avesse mai visto una navicella spaziale in vita sua.
Io rimanevo ferma accanto al maestro Carrick e al maestro Myrasu, il quale ogni tanto richiamava Ana-Rei e la sollecitava a stare ferma. 
Dopo poco salimmo a bordo e partimmo verso questa Luna di nome Erai III. Era un nome che non  mi era nuovo, sembrava familiare, ma sul momento non riuscivo proprio a ricordare dove lo avessi già sentito, e d'altro canto non chiesi a nessuno più informazioni sul suddetto corpo celeste.
Il mio maestro era ai comandi «Non ci vorrà più di qualche ora per arrivare a destinazione, non sarà un viaggio troppo lungo» disse.
E in effetti oltre ad essere relativamente breve fu anche poco turbolento.
 «Quando arriviamo?» chiese Ana-Rei ad un certo punto con impazienza.
 «Datti un contegno, arriveremo quando sarà il momento» rispose il suo maestro con un tono piuttosto calmo ma severo. Capii quindi che anche a lui a volte dava fastidio quel suo comportamento.
Carrick rise sommessamente mentre guidava il trasporto «Tranquilla arriveremo tra non molto, siamo molto vicini.»
 «Consiglio un atterraggio lontano dai centri abitati e le piattaforme di atterraggio» disse l'altro uomo.
 «Sono completamente d'accordo, non devono sapere che siamo qui.»
 «Cosa stiamo cercando di preciso?» chiesi allora io, credendo che fosse ora che ci dessero spiegazioni più approfondite. 
Ci fu un breve silenzio poi il mio maestro parlò di nuovo «Qualsiasi cosa o essere vivente non dovrebbe trovarsi lì. Navicelle spaziali della Confederazione dei Mercanti, ad esempio. È per questo che non dobbiamo dare nell'occhio, non vogliamo che scoprano anzitempo di essere controllati.»
Atterrammo poco dopo in mezzo al nulla e l'aria di quel pianeta non mi ispirava nulla di buono. Era freddo, quasi ostile. Mi voltai verso Ana-Rei e mi accorsi che all'improvviso aveva perso la sua vivacità, come se avesse capito finalmente l'importanza di ciò che stavamo andando a fare.
 «Va tutto bene?» le chiesi un po' preoccupata.
 «Ho una strana sensazione...» rispose lei guardando dritto davanti a lei. La capivo perfettamente.


Note:

Salve a tutti! Eccomi qui, questa volta l'autrice del capitolo sono io: Lady Leysa!
Io e Lady Arya ci alterneremo per la pubblicazione dei capitoli, e ci scusiamo in anticipo se potremmo metterci un po' di tempo, ma stiamo tentando di scrivere più capitoli di quelli effettivamente pubblicati così da non rimanere mai senza.
Non ho molto da dire, questo è un po' il capitolo introduttivo del mio personaggio Vie-Gan, e la vera avventura arriverà presto!
Come sempre speriamo che lasciate una recensione, ne saremmo entrambe molto felici.

A presto,
Lady Leysa


 

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Capitolo 4
*** Capitolo 2.1 ***


Esitai prima di scendere dalla navicella. Mi sembrava che a poggiare i piedi sul suolo di Erai III avrei compiuto un’azione definitiva e irrevocabile. Vie-Gan osservava comprensiva, quasi accorata. 

 «Va tutto bene?» mi domandò con una punta di preoccupazione. 

 «Ho una strana sensazione…» mormorai. Stavo per spiegarle cosa sentissi esattamente, ma mi morsi la lingua. Probabilmente mi considerava già una mocciosa petulante e irritante, era meglio non peggiorare la situazione. 

Non era affatto colpa mia se lei era così scorbutica! Avevo provato in tutti i modi a fare amicizia, ma evidentemente lei voleva essere lasciata in pace.

L’avevo guardata di sfuggita per tutto il viaggio - breve, a dir la verità. Ogni tanto abbassava lo sguardo: i capelli, di un rosso carota, le ondeggiavano ai lati del viso, forse involontariamente, o forse per coprire la tristezza che le sgorgava dagli occhi. E più il tempo passava, più torturava il bordo di quel guanto bizzarro, con le dita agitate da scatti nervosi che incanalava in quel tic misterioso per non lasciare che si impadronissero di lei. 

Io al contrario ero sull’orlo del collasso totale. Ho lungamente avuto il dubbio di non possedere l’autocontrollo che si addice a una jedi, allora ne ebbi la conferma. 

Il maestro Myrasu dovette richiamarmi a un certo punto, e allora decisi che chiudere gli occhi e meditare fino all’atterraggio sarebbe stato l’unico modo utile per restare zitta. 

Avevo avvertito l’aumento di pressione e lievi sussulti che erano conseguiti al nostro ingresso nel campo gravitazionale del satellite. La velocità del battito del mio cuore si era triplicata, ma mi ero concentrata per regolarizzarlo. 

Il luogo in cui eravamo diretti era a poca distanza da Naboo. Lo scopo del nostro atterraggio su quella luna era una semplicissima missione di controllo. Erai III apparteneva all’omonimo pianeta che ne rivendicava testardamente il possesso, ed era un famoso luogo d’estrazione di cristalli Eralam per le spade laser. 

Udito ciò, annuii per dissimulare il brivido che mi corse lungo la schiena. I cristalli erano un argomento tabù, così come le lune dalle quali venivano estratti.

Come Padawan del maestro Myrasu avevo parecchie informazioni in merito e sapevo che non sempre l’estrazione avviene in satelliti isolati e inospitali per un puro caso, come molti vogliono far credere. Nel mercato dei cristalli per le spade laser la lista delle speculazioni veniva aggiornata alla velocità della luce, ma gli Eralam erano tra i migliori, usati dalla stessa Accademia. 

Il maestro era un esperto in quel campo. D’altra parte, era lui che… 

No, non dovevo rifletterci troppo. Non mostrare nessuna paura. Quindi nessuna esitazione. 

 

Erai, il pianeta madre faceva parte della repubblica, ma aspirava senza la minima discrezione all’indipendenza. Di conseguenza c’era il sospetto che potesse aver collaborato segretamente con la Confederazione dei Mercanti, mettendo a disposizione proprio le vie di Erai III.

Missione di controllo, avevano detto. Bene. L’importante era che non fosse auto-controllo. Stavo tremando in modo indecente. E per quale motivo, poi? Sognavo quel momento da anni. 

Mi sentivo come aggrovigliata in fili invisibili, che mi tiravano qualsiasi cosa facessi. Il maestro Myrasu mi osservava da lontano? Qualcosa mi si aggrovigliava alle caviglie e mi faceva inciampare. Vie-Gan si guardava intorno con aria esperta? Una rete mi afferrava lo stomaco stritolandolo in una morsa. 

Cosa avrei dovuto fare? Mi sembrava di non essere all’altezza. Controlliamo, dunque, che l’ecosistema si mantenga intatto indipendentemente dalla guerra civile che sta per scatenarsi. Mi sembra che sia tutto a posto, torniamo a casa? 

Non fraintendetemi, avanzavo con tutti i sensi all’erta. Ma erano più o meno quelli i pensieri che si affacciavano nel mio subconscio. 

Nel frattempo il maestro Carrick continuava a illustrarci le caratteristiche del luogo con una voce da oratore che sarebbe stata più adatta per una lezione da Younglings, una di quelle che trascorrevo dormendo o facendo levitare aeroplanini di carta. 

 «Sapevate che il satellite è in gran parte deserto a causa di un’antica attività vulcanica che l’ha reso a lungo inospitale? Come sapete, Erai è un gigante gassoso, e fornisce gran parte dei gas nobili in uso nella Galassia…»

Per un po’ mi parve educato voltarmi ad ascoltare e annuire coscienziosamente a ogni pausa, ma poi mi resi conto che il maestro Myrasu guardava altrove e che Vie-Gan aveva le sopracciglia così aggrottate che pareva avesse inghiottito un limone intero, perciò mi sentii autorizzata a ignorarlo. 

Catturavo soltanto nozioni e cifre a caso, come “città fluttuanti”, “78%” e “irraggiungibile da ogni sistema di comunicazione”.

 «Secondo le previsioni, la prossima tempesta si trova in questo stesso emisfero, ma a due giorni e mezzo di distanza» disse Carrick, il maestro di Vie-Gan. 

Tempesta? Quale tempesta? 

 «E torneremo prima di sera, per cui non c’è assolutamente da preoccuparsi» concluse il maestro Myrasu, appoggiandomi una mano su una spalla «come va, Ana-Rei?» 

Sussultai e mi sentii raggelare. Avevo avuto l’aria troppo assente, o insolente? Mi ero persa qualcosa di fondamentale per la missione?

 «Bene, maestro, anche se…» 

 «Senti qualcosa o è solo l’odore di zolfo dei gas vulcanici?»

Arrossii. 

 «Veramente lo avverto anch’io» intervenne Vie-Gan, spostando lo sguardo tra i due maestri alternativamente «pensavo fosse una conseguenza delle tempeste, o dell’attività del pianeta, dato che lo sentivo avvicinarsi, ma adesso che siamo fermi…» 

Sgranai gli occhi. C’era qualcosa in arrivo? Sentii l’adrenalina scorrermi nelle vene. 

Il maestro Myrasu sollevò un sopracciglio; la sua espressione era in buffo contrasto con la calma totale del maestro Carrick.

 «E giusto caso il radar è fuori uso» commentò il mio maestro con serietà.

Deglutii, domandandomi se anche Vie-Gan fosse attraversata dal mio stesso dubbio. 

 «Perdonate l’insolenza, ma un bersaglio mobile non è più difficile da colpire?» intervenni ansiosamente. 

 «Indubbiamente» convenne il maestro.

 «E se il qualcosa che si avvicina fosse ostile… be’…» 

 «Perché non decolliamo?»

Mi voltai verso Vie-Gan e la guardai con riconoscenza. Era incredibile come entrambe completassimo i reciproci pensieri. Le sorrisi, ma lei non mi guardò neppure. Uffa. 

 «Che acume, care Padawan» si complimentò il maestro Carrick. 

Sorrise bonariamente verso Vie-Gan, e lei rispose con un altro sorriso tirato, che trasformò in una smorfia non appena il maestro si voltò. Ebbi un attacco di risatine incontrollabili e mi tappai la bocca con una mano. 

 «Cosa vi diverte, cara Ana-Rei?» domandò il maestro Carrick. Mi ricomposi, abbassando gli occhi. 

 «Non c’è tempo di discutere!» protestò Vie-Gan con decisione. 

Aveva leggermente alzato il tono di voce rispetto al solito. Il che voleva dire che era particolarmente alterata, e col senno di poi, non l’avrei vista perdere la calma per molto altro tempo. 

Come diamine ci riusciva?

Raggiungemmo correndo l’astronave e Carrick si mise subito ai comandi. Decollammo, e Myrasu gli disse qualcosa all’orecchio. Carrick annuì e spinse la cloche verso l’alto.  

 «Ci stiamo allontanando dal campo gravitazionale» disse Vie-Gan. Nessuno dei due Jedi rispose, ma poco dopo l’astronave tornò a inclinarsi verso il basso, dopo che Carrick ebbe tirato una leva per frenare. 

Trattenni il fiato, sentendo il sangue pulsarmi nelle vene. Tre caccia neri, dal profilo affusolato, sfrecciarono sotto di noi, facendo un’ampia curva e procedendo quasi radenti al suolo.

 «Sono droidi avvoltoi?» domandai timidamente, credendo di riconoscerli.

 «Esatto» rispose il maestro Myrasu «sono molto agili e veloci e hanno un’indipendenza limitata. Vorrà dire che siamo vicini a una base, ma quel che è più importante, sono utilizzati solo dalla Federazione dei Mercanti.» 

 «Non hanno pilota, ma un cervello droide integrato» soggiunse Vie-Gan «il che dimostra perché non si sono accorti di noi, non siamo nel loro campo visivo, e sono impostati per fare sempre lo stesso percorso.» 

Il maestro Carrick tacque, visibilmente irritato dal fatto di non poter aggiungere nient’altro a quanto era già stato detto. 

 «Be’, dovremmo seguirli» non trovò nulla di meglio da dire. 

Ci mantenemmo a quella quota, tenendo dietro ai caccia, verso l’orizzonte. Da una tale altezza, mi resi conto delle dimensioni irrisorie del satellite. La base dei droidi poteva trovarsi anche nell’emisfero opposto: la superficie del pianeta era visibilmente curva contro il cielo scuro. 

Il cuore mi balzò in petto quando altri due apparvero in vista, sovrapponendosi a quelli che stavamo seguendo, ma andando in direzione opposta. Presto li vedemmo affollarsi come uno sciame, incrociarsi sterzando all’ultimo minuto e fare giravolte disegnando volute vertiginose. 

 «Come si vede che nessun essere vivente li pilota» commentai tra i denti «cosa facciamo?»

L’astronave procedette imperterrita e silenziosa - aggettivo applicabile anche ai passeggeri.

Mordicchiandomi l’interno di una guancia, un po’ contrariata, osservai il maestro Carrick superare la base e atterrare parecchio più in là.

«Useremo dei passaggi sotterranei?» ipotizzò Vie-Gan, ma ciò che vedemmo bastò come risposta. 

C’era quello che sembrava un antico cratere di fianco a noi, ma in realtà su un fianco si apriva una galleria in discesa. Carrick condusse lì l’astronave, così che fosse nascosta a droidi di passaggio. 

Ed io non avevo ancora capito cosa intendessimo fare. 

Il maestro Myrasu si alzò in piedi e mise le braccia conserte. 

 «I caccia separatisti agiscono seguendo unicamente i comandi della base. Se stanno pattugliando tutta la superficie del pianeta, sarà perché la Confederazione ha intenzione di occuparlo.» 

Cercai di mantenere un atteggiamento tranquillo e risoluto, ma l’impulso di esprimere in qualche modo la tensione era quasi irrefrenabile.

 «Non abbiamo il tempo di consultarci con i Maestri dell’Accademia su Coruscant» obiettò Carrick con aria preoccupata. 

 «Per confermarci che non abbiamo altra scelta oltre a disattivare la base, immagino» proseguì Myrasu. 

 «Non possono aver lasciato il satellite completamente privo di esseri dotati di intelletto» intervenne Vie-Gan «come giustificherebbero altrimenti tutto questo viavai?» 

Stimolata dalla conversazione, anche la mia mente iniziò a lavorare. Oltre al fatto che non mi sarebbe dispiaciuto dire qualcosa di intelligente, avevo la sensazione che ci sfuggisse qualcosa. 

 «Il pianeta madre permette che astronavi della Repubblica atterrino su Erai III?» domandai. 

Fu Vie-Gan a rispondermi, dopo una veloce riflessione.

 «No» esclamò, come illuminata «è come se fossero gelosi dei giacimenti.»

 «In realtà collaborano segretamente con la Confederazione» completò Carrick «un’ottima copertura.» 

 «Allora possiamo smascherarli» concluse Myrasu «nel momento in cui non denunceranno la nostra intrusione.» 

Rimasi basita a osservare la trama dell’imbroglio che si distendeva come una spoletta saltando da una deduzione all’altra dei nostri maestri. Sapevo di avere molto da imparare, e l’impegno non mi mancava, ma a quando i risultati?

 «Bene, definiamo i termini della missione, sei d’accordo, maestro?» riprese Myrasu. Carrick annuì.

 «Ana-Rei, è arrivato il momento di mettere in pratica tutto ciò che conosci» disse il mio maestro «se ti trovi in difficoltà non esitare a chiedere aiuto e mantieni la calma. Non allontanarti mai da me o dal maestro Carrick e da Vie-Gan, a meno che non ti sia ordinato diversamente. Siamo intesi?» 

 «Sì maestro.» 

Lessi il resto nello sguardo che ci scambiammo. Non avevo motivo di dubitare. Ero pronta, capace, reattiva, la Forza scorreva in me. Mi mancava solo una piccolissima dose di fiducia. 

Lasciammo la nave al sicuro sotto uno sperone di roccia; all’interno rimase un droide astromeccanico di nome R3-D8, per contattarci in caso di emergenza. Comunicava attraverso un codice composto da suoni elettronici, fischi e schiocchi, che dopo anni di allenamento ero riuscita a capire in gran parte. Certo, quando si sperticava in termini tecnici annuivo e gli davo ragione. Avevo già sperimentato la sua reazione nei confronti di chi gli chiedeva di ripetere. 

Nello scendere nuovamente dalla nave, ebbi come una sensazione di abbandono. Si andava marcando il mio distacco dalla mia vecchia vita. 

 «Come ci orienteremo?» chiese Vie-Gan.

Ma perché accidenti faceva lei tutte le domande intelligenti?

 «Abbiamo in memoria una mappa delle gallerie. Questa informazione in teoria non è segreta, e il fatto che l’Accademia ne sia in possesso non attesta che stiamo facendo alcunché di male» disse con calma il maestro Myrasu. Era palese che riuscisse a orientarsi meglio in una miniera piuttosto che nelle vie di Coruscant. 

L’illuminazione era debole nei corridoi più in superficie, dove i cristalli erano ormai esauriti. Quello che stavamo percorrendo doveva essere in disuso da tempo, e le lampade ancorate ai soffitti erano opache e ricoperte di ragnatele. 

Presto il percorso curvò verso il basso e le pareti di roccia vennero inghiottite da un rivestimento di metallo bullonato. C’erano varie diramazioni, ma noi procedevamo sempre dritto. Il maestro Carrick si teneva in contatto con R3-D8 con un microfono, e si faceva dettare istruzioni. 

Non dovevamo farci scoprire prima di essere penetrati nel cuore della struttura, e se possibile neanche essere riconosciuti. Ufficialmente eravamo innocenti, ma ultimamente la Confederazione dei mercanti si atteneva pochissimo anche alle leggi comuni a tutti i popoli della Galassia. 

Quando sentivamo la presenza di droidi di sicurezza ci rifugiavamo in una galleria secondaria aspettando che passassero avanti, evitando ogni scontro diretto.

Mi resi conto che c’era una rete di controlli paralleli, sottoterra come in superficie, allo scopo di impedire l’avvicinamento, oltre all’accesso. 

 «Mani-in-alto. Chi-siete? Gettate-le-armi.»

Wooom.

Un lampo verde e abbagliante mi saettò a un soffio dall’orecchio, e la testa del droide più vicino saltò via con un’esplosione di scintille. Vie-Gan roteò la spada laser e si mise in posizione di attacco, con l’arma sollevata alla sua sinistra. 

 «Allarme. Cavalieri-Jedi. Lanciare-l’allarme-alla-bas-» 

I droidi si erano mossi in un principio di schieramento per circondarci, ma oltre che stupidi erano anche lenti. 

Il maestro Myrasu sguainò la spada laser, ma rimase in posizione di guardia, per lasciare che fossi io a combattere. Mi sentivo il cuore in gola, ma rimasi impassibile. 

Tirai fuori la mia spada, la feci roteare alla mia destra una, due volte; i droidi, sbigottiti e impressionati, arretrarono di appena qualche passetto. Ne falciai un paio, e ammisi che fare a pezzi gli avversari dava un impulso straordinario. 

Quando non ci furono più droidi in piedi, premetti il pulsante che faceva ritrarre la lama all’interno dell’impugnatura. Osservai soddisfatta ciò che restava delle mie vittime, ma il mio orgoglio sprofondò alla vista del massacro causato da Vie-Gan. 

Forse però lei si accorse del mio sconcerto e mi lanciò uno sguardo tagliente.

 «Che c’è da guardare?» 

 «Wow» mugugnai a voce bassa, sperando che bastasse come risposta. Lei alzò le spalle. Il complimento non l’aveva nemmeno minimamente lusingata. 

Procedemmo con più cautela e più fretta. Il comandante non aveva fatto in tempo ad avvertire la base della nostra presenza, ma non ci sarebbe voluto molto prima che qualcuno trovasse una dozzina di droidi affettati. 

Dopo un paio di altri incontri spiacevoli - ostacoli di cui ci liberammo in fretta - raggiungemmo uno spazio più aperto, quello che sembrava qualcosa a metà tra un hangar e un magazzino. 

Scivolammo dietro una serie di container per osservare da lì la situazione. Droidi ovunque, non mi sarei aspettata altro. Sospirai per scaricare la tensione. Li osservai meglio: erano… 

 «Droidi da battaglia!» sussurrai concitata. Il battito del mio cuore accelerò. 

I droidi si muovevano schierati in righe, a gruppi di qualche decina, e sotto la sovrintendenza dei droidi comandanti marciavano dentro astronavi da guerra. Strinsi i denti, amareggiata. 

 «Non possiamo assolutamente affrontarli» disse il maestro Carrick. Fece un cenno a Vie-Gan e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Lei annuì, lanciandomi un’occhiata di traverso.

 «Che succede?» mormorai, stringendo la mano sull’elsa della spada laser «Cosa facciamo?» 

Osservai il microfono passare dalle mani del maestro Carrick a quelle della sua Padawan. Neanche allora il sospetto di cosa stesse accadendo mi sfiorò.

 «Mi raccomando, Ana-Rei» disse il maestro Myrasu, nel momento in cui le dita di Vie-Gan si chiudevano attorno al mio polso. 

 «Datti una mossa» sussurrò lei, sfrecciando nel passaggio tra due container. 

Non ebbi il tempo di reagire: i miei piedi si staccarono da terra in quella corsa meccanica e disperata. Sentii il ronzio di due spade laser e il caos generato dalla loro azione diversiva. E allora compresi la dinamica del piano. Ma parlarmene prima no, vero? 

La mia mente era come in uno stadio di elaborazione dati: le informazioni da analizzare erano troppe e si susseguivano troppo velocemente, rischiando di impallare il sistema. 

 «Prova a fermarti e ti infilzo» disse Vie-Gan, quando accennai a rallentare prima che abbandonassimo la sala, per vedere come i nostri maestri se la stessero cavando. 

Accelerai il passo senza replicare, mentre lei continuava a tenermi stretta per il polso, senza strattonarmi con violenza, ma neanche allentare la presa. 

 «R3!» mormorò lei nel microfono «Stiamo uscendo dall’hangar, dacci la nostra posizione rispetto all’unità centrale!» 

A stento udii la risposta, che fu tra l’altro coperta dai miei ansiti. Non avevo il respiro affannoso per la stanchezza, ma per l’adrenalina, cosa comunque non consigliabile. Ricevevo una buona dose di occhiatacce anche per questo. 

 «Non siamo lontane» disse Vie-Gan tra sé, voltandosi a guardarmi «ci sei?»

 «Sì» risposi con convinzione, lusingata dalla sua attenzione. 

 «Bene.» 

E finalmente mi lasciò andare. Urrà!

Dubitava forse che non avrei seguito il suo passo? 

Droidi accorrevano in massa verso il magazzino che c’eravamo lasciate alle spalle, ed io iniziavo ad essere sempre più preoccupata per i nostri maestri. Avevo fiducia in loro abbastanza da essere certa che non avrebbero cercato uno scontro con tanti avversari sapendo di non riuscire a prevalere, ma mi chiedevo quanto tempo la loro misura ci avrebbe garantito. 

Dopo qualche minuto, Vie-Gan si arrestò all’improvviso, davanti a una serie di ascensori. Di fianco alle porte automatiche, delle lucette pulsavano a intermittenza. Erano in funzione. 

 «Oh, no, R3!» protestò lei, arretrando «Ana-Rei, svelta, corri!» 

Possibilmente quelle porte si sarebbero aperte a breve per riversare nel corridoio altri rinforzi. Eppure fuggire senza essere inseguite era impossibile. 

Mi guardai intorno alla ricerca di una soluzione. Mi formicolavano le mani per la frenesia. 

 «Spostati» dissi a Vie-Gan, estraendo la spada laser. 

Lei esitò e mi guardò stranita, prima di farsi da parte, incuriosita. Io sperai solo che la mia idea funzionasse. 

Con la lama fusi il quadro dei comandi dell’ascensore.

 «Ormai niente più anonimato» aggiunsi, tra gli sfrigolii dei circuiti che collassavano. 

Vie-Gan emise un verso di approvazione e di sollievo insieme. Poi anche lei alzò lo sguardo, e indicò la scala di emergenza. Be’, ma la mia idea era buona comunque, no?

Mi fece cenno di andare per prima, ed io non contestai la sua decisione. Salii più rapidamente che potevo, anche se quei pioli sembravano non finire mai. Non mi ero resa conto che fossimo scesi così in basso; probabilmente eravamo già sopra la superficie terrestre. 

Piccolo problema tecnico: gli ascensori bloccati avevano congestionato anche i piani superiori, i quali ora brulicavano di droidi confusi che andavano scontrandosi l’uno contro l’altro balbettando frasi sconnesse. Peccato che la loro menomazione non gli impedisse di estrarre i blaster alla nostra apparizione. 

 «Eliminare-intrusi.» 

Vediamo se il Soresu funziona, fu il mio primo pensiero. 

Non mi concentrai su altro che non fosse respingere i loro proiettili. Una volta preso il ritmo non era difficile e con i colpi di rimbalzo facevo fuori parecchi droidi. Forte! 

Vie-Gan balzò al mio fianco poco dopo, e si servì per un po’ della mia stessa tecnica. Quando la folla si fu un po’ smaltita, passò all’attacco, menando fendenti in ogni direzione e lasciandosi andare in azioni acrobatiche da togliere il fiato. Con questo si avvicinava sempre di più alla porta scorrevole - sì, l’avevo vista anch’io - che si trovava in fondo a quello stesso ambiente. 

Io non mi mossi. Non ero minimamente alla sua altezza nel combattimento, ma dovevo raggiungerla in qualche modo. I droidi stavano per accerchiarmi, e il panico mi risalì in gola come un acido. 

Fu in quel momento che staccai una mano dall’impugnatura della spada e, con il palmo in direzione dei miei avversari, mi concentrai su un’ondata di Forza, quanto più potente possibile. 

Non spezzai lo schieramento in due, ma se non altro feci inciampare un paio di droidi, il che mi ridiede il coraggio e anche la possibilità materiale di aprirmi un varco dietro Vie-Gan. 

 «Ben fatto» si complimentò lei quando la raggiunsi «stavo quasi per venire a salvarti.» 

Le feci il broncio, ma considerando che probabilmente non le importava, decisi che non valeva la pena di rimanere arrabbiata. 

Di guardia alla porta c’erano altri droidi che lei aveva già messo al tappeto. Io le coprii le spalle, mentre lei esaminava il sistema di chiusura. 

 «Dimmi quando hai finito» dissi con una punta di ansia, continuando a roteare la spada.

 «Ho appena iniziato» replicò lei aspramente «dammi un minuto.»

Tra un minuto potresti finire arrostita. Non lo dissi, chiaramente.  

Sentii alle mie spalle un penetrante odore di bruciato e un’ondata di calore raggiungermi.

 «Via libera!» esclamò Vie-Gan.

 «Aspetta un attimo, hai fuso una porta?» obiettai, sbigottita. 

 «Be’, stiamo distruggendo un po’ tutto, perciò scateniamoci» e corse verso il quadro dei comandi. Io mi voltai, la bocca spalancata in una smorfia di terrore. Avevo ancora una quarantina di droidi alle calcagna. Premetti il pulsante della chiusura di emergenza e sorrisi salutando con la mano mentre le porte scorrevoli si chiudevano. 

 «Cos’è che dobbiamo mettere fuori uso?» chiesi, avvicinandomi, mentre il mio umore migliorava decisamente. 

 «Tu spegni tutto quello che trovi» rispose lei, abbassando levette, tirando via cavi e friggendo monitor «tutto potrebbe essere utile.» 

 «Ma è possibile che non ci sia nessuno?» protestai, confusa. 

 «Assolutamente no.» 

Rimasi pietrificata. Una squadra di guardie, viventi, questa volta, ci puntava le armi contro. A parlare era stato colui che identificai come il responsabile, un uomo dalla faccia totalmente anonima e con un’uniforme a righe verdi e gialle. 

 «Mie giovani Padawan, mettete giù quegli affari, potreste farvi male. E spiegateci perché state sabotando e seminando zizzania nella nostra base operativa su Erai III. È disdicevole che i vostri maestri non vi abbiano insegnato il rispetto per il lavoro altrui.» 

Anche senza consultarmi con lo sguardo con Vie-Gan, capii che il capitano pensava che fossimo lì da sole, per chissà quale motivo, e aveva attribuito a noi anche la confusione provocata dai nostri maestri. Ma soprattutto, stando al tono con cui ci si rivolgeva, ci considerava delle bambine. 

Eppure non avevo considerato una possibilità del genere. Attesi istruzioni da Vie-Gan, senza abbassare le armi, perché mi resi conto che farlo sarebbe stato un grande errore. Il comandante non era granché qualificato, e in quanto semplice ufficiale, temeva due apprendiste Jedi e cercava di nasconderlo con la spavalderia.

 «Noi non abbiamo alcuna cattiva intenzione» disse Vie-Gan, tranquillissima. Sollevò una mano e fece un movimento circolare in direzione del viso del comandante.

 «Voi non avete alcuna cattiva intenzione» ripeté quello, non troppo convinto, con gli occhi vacui.

 «Ci lascerete andare via senza trattenerci e non direte a nessuno che siamo stati qui» continuò Vie-Gan, acquistando sicurezza. Persuasione con la Forza! Non c’è niente di più mitico. 

Il comandante annuì.

 «Certo. Vi lasceremo andare.» 

 «Darete disposizioni per l’autodistruzione della base tra dieci minuti.» 

 «Ehi, aspetta, cosa?» farfugliai, inorridita.

 «Daremo disposizioni per l’autodistruzione della base tra dieci minuti. L’ordine è irrevocabile, iniziare le procedure di evacuazione.» 

 «Bene, adesso andiamocene» disse Vie-Gan soddisfatta, imboccando la porta «Vieni, Ana-Rei.» 

La sua impulsività mi aveva sorpresa. 

 «Dieci minuti non sono abbastanza!» protestai, correndole dietro, mentre urtavamo droidi a destra e a manca senza che questi reagissero minimamente alla nostra presenza.

 «Sì che lo sono» rispose lei «andiamo direttamente all’astronave.»

Corremmo fino a restare senza fiato, respirando a boccate avide l’ossigeno che ci bastava al passo successivo. Dieci minuti non mi erano mai parsi più lunghi, e a ogni secondo la schiena mi si andava riempiendo di sudore gelido. A entrare ci avevamo messo molto di più. 

Vie-Gan rallentò, e afferrò il microfono. Le tremava la mano, e capii che anche lei era in tensione. 

 «Se c’è una cosa che non dobbiamo fare» borbottò, smanettando con qualche pulsante «è perderci. Dove dobbiamo andare, R3?» disse, scandendo bene le parole. 

Il droide rispose, ed io vidi al rallentatore le pupille di Vie-Gan dilatarsi, il sangue defluire dal suo volto già pallido. 

 «Cos’ha detto?» la incalzai, con la voce stridula per la paura. 

 «Mantieni la calma, Rei, a ogni costo» disse lei, serissima. Era la prima in assoluto che usava un diminuitivo per chiamarmi. 

 «Certo» balbettai «ma perché?» 

 «Perché… dobbiamo tornare indietro.» 

 

Sapevo che prima o poi la morte sarebbe arrivata anche per me, ma non che mi avrebbe colta a diciassette anni, nei sotterranei di un satellite remoto, perché la mia compagna di missione non aveva fissato il nostro limite di tempo qualche minuto più avanti. Per lo meno l’agonia sarebbe stata breve. Un boato, un’onda incandescente e poi stop, sipario chiuso. 

Allora perché chiedere tanto al mio corpo? Non mi sentivo più le gambe, e sentivo costanti stilettate di dolore al fianco sinistro, mentre le mie vie respiratorie si contraevano implorando aria. 

Anche Vie-Gan era stanca quanto me. A ogni curva vacillava, e si lasciava sfuggire gemiti ogni volta che inspirava. 

Non avevo neanche la forza di chiederle cosa dovevamo fare, tanto sapevo che non ci saremmo riuscite. 

Mi parve quasi un miraggio quando raggiungemmo l’hangar. In alto, sopra la porta che avevamo appena oltrepassato, c’era uno schermo gigante che prima non avevo notato, con delle cifre rosse luminose che pulsavano, come un cronometro. 

Un minuto e quarantasette secondi. Un bel po’ per ripercorrere tutta la mia breve vita. 

Sorprendentemente, anche Vie-Gan si fermò. Ansimava, curva con le mani sulle ginocchia. Io avevo una grandissima voglia di accasciarmi a terra, ma mi costrinsi a restare in piedi. Avrei avuto tutta l’eternità per fare la bella addormentata. 

Sentimmo un rombo avvicinarsi gradualmente, fino a divenire quasi assordante. Cos’era quello, il suono della nuvola di detriti sollevati dall’esplosione? Ma l’esplosione non era ancora avvenuta!

 «Rei» esalò Vie-Gan, con il fiato che le restava. Mi indicò il portello per le astronavi, e si diresse lì. La seguii senza capire, almeno finché con un cigolio, uno spiraglio nero si aprì tra i cardini di metallo. 

Mancavano un minuto e venti secondi circa. 

Ne mancavano altri trenta quando Vie-Gan mi trascinò dentro la nostra astronave, e poi crollò sul pavimento, tirando a terra anche me, che non ebbi la forza di oppormi. 

Chiusi gli occhi e lasciai che il ronzio dei motori mi rigenerasse. La pressione mi schiacciava la fronte e mi faceva pulsare le orecchie. Poco dopo, ci fu una vibrazione più forte. 

 «Boom» mormorò Vie-Gan, distesa accanto a me, anche lei con gli occhi chiusi. 

Io mi morsi l’interno delle guance. Le mie spalle erano scosse da sussulti. Vie-Gan socchiuse un occhio, ed io non ce la feci più. Scoppiai in una fragorosa risata liberatoria.

 «Ana-Rei!» esclamò il maestro Myrasu. Quanto ero felice di sentire la sua voce! 

Mi spiegò in breve che R3-D8 aveva detto a Vie-Gan di tornare indietro perché gli ingressi sotterranei erano crollati subito dopo il loro passaggio, ed erano venuti a prenderci, per così dire, dall’entrata principale. 

 «Suppongo che ora siate voi a doverci spiegare perché Erai III si è appena disintegrato» soggiunse il maestro Carrick. 

Il cuore mi salì in gola. 

 «Disintegrato?» dicemmo in coro io e Vie-Gan. 

Ci avvicinammo allo schermo tutto attorno al quadro comandi, che dava sull’esterno dell’astronave. Detriti di varie misure ci sfrecciavano accanto. 

 «Ops…» mormorai. Stavo ancora tremando, ma non per il freddo. Sospettavo che avrei avuto gli incubi per un paio di notti prima di abituarmi al pensiero di aver rischiato la vita per una stupidaggine. E l’aver fatto saltare in aria un satellite intero senza dubbio non aiutava. 

Voltandomi, vidi un pianeta, avvolto da una sottile atmosfera striata da nubi bianchissime, costellato di macchie verdi e azzurre. 

 «Ragazze, quello è Naboo» intervenne il maestro Myrasu, intuendo che fosse il pianeta che stavo fissando. 

 «Davvero?» commentai, quando mi fu riferito «Non era anche la destinazione della missione del maestro Jinn?» 

A queste mie parole, Vie-Gan trasalì e sbiancò. 

Il maestro Myrasu mormorò una sintetica risposta affermativa e non trattenne un sorriso sornione. 

 «E non abbiamo ancora sue notizie?» insistetti, allo scopo di ricevere chiarimenti. 

Vie-Gan girò la testa di scatto, e i suoi arti si irrigidirono in un moto di insofferenza. 

 «Non ancora purtroppo» tagliò corto il maestro Carrick «Vie-Gan, allontanati da lì.» 

Lei strinse i pugni e suo malgrado obbedì. 

 «Tutto bene…?» esordii, esitante. 

 «Zitta.» 

Ci rimasi un po’ male. Pensavo che quell’avventura ci avesse unite almeno un po’, o fosse servita per stipulare una tregua. Evidentemente no. 

Andai a sedermi nella parte opposta dell’astronave, senza aggiungere altro. Fossi stata un po’ più suscettibile, le avrei ricordato per colpa di chi Erai III era un cumulo di macerie. Ma dato che la mia esistenza sembrava sempre peggiorare le cose ovunque, decisi che far finta di essere un soprammobile avrebbe aiutato di più. Mi rannicchiai in un angolo e immaginai con tutte le mie forze di essere un vaso. 



Pregate per me, sono una povera peccatrice.
Ringraziate che ci sia lady Leysa, perché in caso contrario sareste stati affidati alla mia memoria (ovvero abbandonati al vostro destino). Il capitolo era pronto un mese fa e ho dimenticato di postarlo. Accendetemi una decina di candele in chiesa se siete magnanimi. 
In compenso spero che vi sia piaciuto, e mi auguro vivamente di avervi fatto sorridere (ridere è già un obiettivo troppo complesso per la mia menomazione cerebrale).  
Il prossimo capitolo arriverà in tempi di attesa decisamente più ridotti, in quanto sarà la mia compagna e collega Leysa a scriverlo. Insomma, spero di aver ricevuto il vostro perdono (più che altro il suo...) e con questo vi saluto!

Vostra smemoratissima lady Arya.

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Capitolo 5
*** Capitolo 2.2 ***


Sì, avevo proprio bisogno di distrarmi un po’, e direi che farmi quasi uccidere per un mio errore di calcolo del tempo, anzi, degli imprevisti, era proprio ciò che mi serviva. So cosa mi capita da quando siamo partiti da Coruscant, ma non lo voglio dire a nessuno, mi basta che il mio maestro lo capisca, non c’è bisogno di spendere parole inutili a lamentarmi, non tutto il mondo deve sapere i miei problemi personali e fare finta di comprenderli. Tanto sia che mi sfoghi - non ne sono il tipo - sia che cerchi di ignorare il nervosismo e soprattutto l’ansia loro non mi abbandonano, quindi tanto vale rassegnarsi finché non mi passerà e stare zitta. 

Risalimmo sulla nostra astronave appena in tempo per riuscire a scampare all’esplosione, e quasi subito lo sguardo inquisitore del maestro Myrasu mi investì, chiedendoci come mai il satellite era appena esploso.

  «Delle guardie ci hanno trovate e ci puntavano delle armi contro, le ho persuase con la Forza a lasciarci andare a far esplodere la base, ma non immaginavo che la base fosse tutto il pianeta. Chiedo scusa.» Nessuno mi disse nulla, ma si vedeva che il mio maestro era un po’ deluso dal mio comportamento. Avrei voluto rispondergli che comunque almeno eravamo salvi e sapevamo con certezza che la Confederazione dei Mercanti tramava qualcosa, ma non dissi nulla perché avrei potuto peggiorare la situazione. 

Al contrario di Ana-Rei sapevo quando era opportuno fare silenzio, e ancora una volta la mia idea che fosse troppo esuberante e ficcasse troppo il naso negli affari altrui venne confermata. Ero distratta quando ancora una volta il maestro Myrasu parlò e ci mise al corrente del fatto che eravamo vicini a Naboo e che lo si poteva vedere dallo schermo che dava sull’esterno; allora mi girai di scatto. L’altra Padawan chiese se per caso quello non era il pianeta dove Qui-Gon Jinn era stato mandato in missione. Ebbi un sussulto. Il suo maestro confermò. 

  «E non abbiamo ancora sue notizie?» la sua insistenza mi infastidiva e mi voltai immediatamente, di nuovo intenta a guardare all’esterno. Il maestro Carrick capì che era un argomento infelice e vi mise fine, e in seguito mi intimò di allontanarmi dallo schermo. Gli obbedii, ma solo perché non volevo sollevare discussioni e attirare gli sguardi altrui su di me e sugli occhi lucidi che però riuscivano a trattenere il pianto. 

Ana-Rei si avvicinò a me «Tutto bene?» mi chiese, e io le dissi di stare zitta. In missione non era affatto male, glielo concedo, ma in quanto tatto pensavo che purtroppo stesse già facendo del suo meglio.

Mi appoggiai ad una parete dell’astronave e incrociai le braccia, poi chiusi gli occhi e lasciai andare i miei pensieri, tutti contemporaneamente. Calmarmi era l’unico modo per non diventare irrimediabilmente scontrosa e, soprattutto, di riuscire a stare in pace con me stessa quel tanto che bastava per tornare all’Accademia Jedi. Non mi ero mai sentita in quel modo dopo una partenza del maestro Jinn, a momenti l’ansia si trasformava in una morsa che mi stringeva lo stomaco facendomi sentire addirittura la necessità di vomitare da un momento all’altro. Era assurdo quanto fossi diventata apprensiva con il tempo, e in più avevo un cattivo presentimento su tutta la faccenda.

Ad un certo punto uno scossone alla navicella mi riportò alla realtà.

  «Cosa succede?» chiesi avvicinandomi ai maestri.

  «Alcune navicelle superstiti ci hanno rintracciati e ci stanno attaccando.»

Per un po’ il viaggio fu turbolento, ma non era nulla che non potessimo fronteggiare. Mi precipitai ai comandi secondari per tenere sotto controllo la situazione, peccato che le apparecchiature funzionassero poco e a scatti e il radar fosse quasi completamente fuori uso. 

  «Vie-Gan aggiornaci» 

  «Non posso dirvi molto, ci sono delle interferenze, ma li abbiamo colpiti già un paio di volte e si stanno allontanando velocemente.»

Quasi non finii di dire la frase che l’astronave si stabilizzò e non si sentivano più colpi. Sembrava proprio la mia giornata fortunata, non dovevo morire.

Seppur con qualche intoppo dato dal sistema poco funzionante riuscimmo a tornare su Coruscant sani e salvi. 

  «L’impatto dell’esplosione ci ha colpiti indirettamente, ma ci ha colpiti, per questo gli strumenti funzionano male. Fortunatamente non ci sono danni al motore» espose il maestro Carrick mentre appena scesi camminavamo nell’hangar «sarà meglio farlo sapere a qualcuno e far rimettere in sesto l’astronave.»
Il Maestro Myrasu allora avvicinò un tecnico e gli espose la situazione, e questi annuendo corse verso la navicella.

Perché per una volta non agisci invece di limitarti ad esporre la situazione? Lo pensai soltanto ma avrei tanto voluto dirlo. Durante le prime missioni era anche utile che il mio maestro illustrasse con perizia ogni singolo dettaglio, ma con il tempo capii che non lo faceva per facilitarmi la vita ma piuttosto perché è proprio fatto così. Non mi oppongo mai più di tanto ma a volte mi infastidisce molto.

Io e Ana-Rei camminavamo dietro i nostri maestri, e io dal canto mio non distolsi lo sguardo dal terreno sotto i miei piedi finché non arrivammo ai piani più alti dell’Accademia Jedi. 

Un uomo ci aspettava di fronte alle porte della sala del consiglio. Era la prassi che alla fine di una missione si facesse rapporto, ma di solito si doveva aspettare qualche ora prima che fossero pronti a riceverci, quella volta invece l’uomo ci riferì che potevamo entrare.
Mi dissi che era un po’ strano, ma che non per forza dovesse essere un segno negativo. Forse.

Entrammo tutti e quattro nella sala e lì ci aspettavano solo alcuni dei membri, e tra questi, come di consueto, c’erano i maestri Yoda e Windu.

Non ci fu bisogno che ci interpellassero a lungo su ciò che avevamo scoperto, poiché la missione era stata così breve che inevitabilmente arrivammo presto a raccontarne la conclusione.

  «Come è potuto accadere?» chiese il maestro Windu quando il maestro Carrick disse che il satellite era esploso.

Ci furono lunghi momenti di silenzio ma poi feci un passo avanti e mi presi le mie responsabilità come era giusto.

  «È stata colpa mia. Io e Ana-Rei eravamo arrivate alla sala dei comandi ma ci hanno scoperte, e per non instaurare un combattimento ho deciso di ricorrere alla Forza per convincere chi stava per attaccarci ad avviare la procedura di autodistruzione della base. Non immaginavo che la base comprendesse tutto il pianeta. Avrei dovuto intuirlo dato che la ramificazione di tunnel arrivava molto in basso, ma non ho avuto il tempo di riflettere e ho preso una decisione avventata.»

  «Questa impulsività a una Jedi non si addice. Pericoloso è.» disse il maestro Yoda con la sua caratteristica calma. Io non dissi nulla, sapevo di aver fatto uno sbaglio e perciò non potevo ribattere in alcun modo.

  «Ad ogni modo adesso abbiamo delle conferme in più su come si sta muovendo la Confederazione dei Mercanti. E per quanto io sia contrariato per quanto concerne la modalità, quella base doveva essere disattivata o avrebbe potuto portare seri problemi se qualcuno l’avesse scoperta e avesse portato i suoi traffici illegali alla luce. Forse in questo modo abbiamo posticipato eventuali attacchi.» Disse il maestro Windu.

Non ero sicura se lo stesse dicendo per farmi sentire meno in colpa o solo perché lo intendesse veramente, in ogni caso quelle sue parole alleggerirono poco il mio animo. Non era quello il problema principale che mi affliggeva, anzi a dirla tutta l’idea di aver fatto esplodere un corpo celeste di non mi aveva sconvolta più di tanto, più che altro perché mi auto convincevo che a parte quei pochi soldati non ci fossero forme di vita intelligente. Era più un peccato per i cristalli di Eralam, per quelli sì che mi dispiaceva.

Feci un passo indietro per tornare al mio posto. Per tutto il resto del tempo che i Maestri parlarono con i membri del Consiglio guardai il pavimento, tutto d’un tratto i disegni geometrici su di esso erano diventati interessanti e la mia mente si concentrò finalmente su qualcosa di diverso cercando di seguire gli intrecci per arrivare alla loro fonte. 

  «Va bene, grazie, potete andare adesso. Vie-Gan, tu rimani.»

Ana-Rei mi lanciò un’occhiata di compassione come se stesse per lasciarmi nelle mani del mio carnefice, io ricambiai con un’espressione un po’ vacua, assente. Il Maestro Carrick mi diede una pacca sulla spalla e poi tutti insieme uscirono. Cosa volevano dirmi? Volevano prendere provvedimenti? No, non era possibile, avrebbero fatto rimanere anche il mio Maestro. Forse… No. Già pensavo al peggio. Non sarei riuscita a sostenere una notizia de genere, avrebbe solo confermato il motivo del mio malessere e lo avrebbe triplicato, nella migliore delle ipotesi. No. Mi preparai ad incassare la notizia.

  «Tanta paura vedo in te, giovane Padawan. Preoccuparsi così tanto necessario non è. Cattive notizie da Naboo arrivate ancora non sono.»

Il Maestro Yoda sapeva, e la sua saggezza era l’unica cosa in cui riuscivo a riporre ciecamente la mia fiducia e che poteva in qualche modo darmi un barlume di speranza.

  «È una sensazione che non riesco a controllare, forse è solo percezione di pericolo, forse qualcosa di brutto sta per accadere. Potrebbe essere tutto e potrebbe essere niente, per questo sto cercando di non far prevalere questa sensazione su tutto, ma è veramente forte questa volta.» 

  «Bene così, soggiogare non ti devi fare. Ascolta la Forza e comprendi cosa vuole dirti, e ricorda: la paura la peggiore nemica di un Jedi è. Adesso puoi andare.»

  «Le sue parole sono sempre veritiere e ispiratrici. Grazie Maestro.» mi inchinai leggermente e anche io uscii dalla stanza. Voltandomi mi accorsi che erano tutti ancora lì, nel corridoio, poco lontani dalla stanza del Consiglio. Appena sentirono la porta sbattere leggermente chiudendosi si voltarono verso di me con una faccia funerea. Cosa mai poteva essere successo in quei pochi minuti? Mi avvicinai con l’espressione più serena possibile e  finalmente capii: erano preoccupati che avessero preso provvedimenti nei miei confronti. Quando mi decisi ad ostentare anche il sorriso più smagliante della giornata tutti sembrarono sollevati.

  «Cosa ti hanno detto? Non hanno…» iniziò Ana-Rei, che però incrociò subito lo sguardo severo del suo maestro e si ammutolì. 

Ad essere sincera apprezzai veramente quel suo interessamento. L’avevo trattata male per tutta la durata della missione, anche se non per cattiveria, e ciò non le aveva impedito di preoccuparsi per me. 

  «No, non hanno nemmeno accennato alla nostra missione. Ma perché mi avete aspettata tutti qui?»

  «Volevamo metterci d’accordo per…» principiò il mio Maestro che però si fermò perché evidentemente non trovava le parole giuste. Ci pensò la Padawan a questo.

  «Per festeggiare la riuscita della missione!» esclamò tutta esaltata.

  «Ovvero la distruzione di un Corpo Celeste!» esclamai io di rimando, con una punta di sarcasmo non del tutto intenzionale. Su quella storia ci si doveva decisamente ridere su, o almeno io sentivo di averne il bisogno. Se non iniziavo a pensare a quell’evento catastrofico in maniera negativa probabilmente sarebbe stato meglio. 

  «Adesso però con il vostro permesso, e soprattutto con il suo Maestro, vorrei riposarmi un po’. Posso andare nella mia stanza?»

Lui annuì «Certo, ma non vuoi sapere cosa abbiamo deciso?»

Scossi la testa «Tutto ciò che avete stabilito per me andrà bene, sarà una sorpresa.»

  «Va bene.»

Salutai e iniziai ad incamminarmi lungo il corridoio per raggiungere gli ascensori «A più tardi, Vie-Gan!» sentii dire a gran voce dalla ragazzina. Tutto d’un tratto iniziava a starmi più simpatica.

Sorrisi «A più tardi!» e poi sparii dietro l’angolo così da non poterli vedere più. Ripresi a pizzicare il guanto ma nemmeno stavolta lo feci consapevolmente. 

 

Il sole era tramontato da un po’ quando qualcuno bussò alla mia porta. Non sapevo cosa mi avrebbe riservato la serata ma non ero così maldisposta a scoprirlo. Il tempo che avevo passato da sola l’avevo impiegato nella meditazione che mi aveva aiutato, come sempre in questi casi. Dal canto suo, però, quel senso di ansia perenne aveva iniziato da solo ad affievolirsi sempre di più, anche se non era scomparso del tutto. Non sapevo se fosse un cattivo segno oppure no, ma non ebbi abbastanza tempo per occuparmi anche di quel pensiero. 

Presi la mia Spada Laser, la agganciai alla cintura e andai ad aprire. Era il Maestro Carrick, che mi informava di essermi venuto a chiamare per andare con lui. 

  «Quella però non ti servirà. Vorrei che me la consegnassi.» disse indicando la mia arma.

Lo scrutai per qualche istante per capire cosa stesse pensando ma alla fine gliela cedetti senza esitazioni. Se mi aveva fatto quella richiesta un motivo avrebbe dovuto esserci.

Poco lontano dall’Accademia c’era un locale aperto da poco, frequentato quasi esclusivamente da Jedi, e per questo tutti ne parlavano bene. Non c’erano contrabbandieri, malintenzionati e criminali: un posto tranquillo insomma. 

Quando noi arrivammo Ana-Rei e il Maestro Myrasu erano già lì, seduti ad un tavolo contro il muro. La giovane Padawan aveva lo sguardo fisso sull’entrata e sembrava trattenersi dal saltellare quando finalmente ci scorse. Alzò una mano e la sventolò energicamente per essere sicura di farsi notare. Ma tutto quell’entusiasmo dove lo trova?

  «Sono lì.» indicai il tavolo al mio Maestro.

Dovevo ammettere che era un posto niente male: tutto in ordine, colori chiari, spazioso, però la musica non mi piaceva proprio, per fortuna era solo un sottofondo quasi percettibile sotto il brusio delle voci. 

Io mi sedetti di fronte ad Ana-Rei «Ciao» dissi sorridendo a labbra strette. Non volevo litigare o trattarla male, in fondo non dovevo prendermela con lei se io stavo male solo perché era la persona che si era trovata più vicina a me in quel momento. Lei ricambiò il saluto ma la conversazione terminò lì, forse lei aveva ancora paura di urtarmi e io da parte mia non ero mai stata una gran chiacchierona. Più che altro perché non avevo mai avuto nessuna storia interessante da raccontare.
I nostri maestri si scambiarono uno sguardo abbastanza eloquente e si alzarono nello stesso preciso istante.

  «Noi andiamo a prendere da bere. Volete qualcosa in particolare?»

Io scossi la testa.

  «Io mi fido.»

E ci lasciarono sole. Astuti, pur di farci parlare avrebbero fatto qualsiasi cosa secondo me. Chissà perché poi, avevamo sempre avuto partner diversi per le missioni, non avevamo mai festeggiato o fatto cose del genere, perché questa volta sì? Forse i nostri Maestri non si vedevano tento ma erano stati buoni amici, forse sapevano qualcosa che noi non sapevamo. Non ne avevo la benché minima idea, ma alla fine non mi dispiaceva affatto fare qualcosa di diverso dalla solita routine… ed erano ben due ore che non mi torturavo il guanto.

  «Tu hai mai assaggiato la birra?» mi chiese Ana-Rei ad un certo punto. Una domanda un po’ strana, ma meglio del silenzio imbarazzante.

  «Sì, l’ho bevuta un paio di volte.»

  «I Jedi possono berla allora?»

Quasi risi questa volta «Penso di sì… voglio dire, l’importante è che non ci si ubriaca, o sbaglio?»

Lei annui e iniziò a giocherellare con un tovagliolo che si trovava sul tavolo, facendolo fluttuare con la forza o piegandolo per fargli assumere forme strane.

  «Quindi questa era la tua prima missione?» chiesi stavolta io.

  «Sì! È stata abbastanza movimentata, devo ammetterlo, non me lo aspettavo… saranno tutte quante così?»

  «No, non ci sperare! La mia prima missione è stata ben diversa da questa, e a proposito di questo volevo chiederti scusa. Non volevo trattarti in quel modo e non volevo metterti in pericolo. Di solito non sono così scontrosa, o almeno spero» speravo che quelle misere scuse fossero abbastanza, non avrei saputo fare di meglio perché nemmeno io avrei potuto spiegare perché mi ero comportata così, anzi, non avrei voluto.

  «Stai tranquilla, ogni tanto il mio Maestro mi tratta anche peggio.» Rise «Dice che sono iperattiva qualche volta.» 

E ha ragione! «Sei giovane ancora, è normale!» avrei voluto aggiungere che comunque no, non sarebbe diventata come me crescendo, non glielo auguravo, ma i nostri Maestri tornarono al tavolo con i bicchieri e non me la sentii di aggiungere altro. Li posarono di fronte a noi ma rimasero in piedi.

  «Vi dispiace se vi lasciamo qui e noi ci allontaniamo per un po’?» chiese il Maestro Myrasu con la sua voce profonda.

  «Certo che no, ma perché?» rispose con un‘altra domanda la sua Padawan.

  «Abbiamo incontrato della gente che conosciamo, non ci metteremo molto.»

Della gente che conoscevano, sì, sicuramente era così. Che bugie originali. Si allontanarono di nuovo lasciandoci stavolta in compagnia delle nostre bevande. Ne assaggiai un sorso della mia, era dolciastra e aveva l’aroma di frutta, ma non capivo cosa fosse di preciso. Dalla faccia che fece Ana-Rei dedussi che non le piaceva per nulla.

  «Allora come è stata la tua prima missione?» disse accantonando il bicchiere.

  «Più che noiosa. Siamo stati due giorni su un pianeta di cui adesso non ricordo il nome, e la cosa più emozionante che abbiamo fatto fu parlare con la gente. Era una missione che aveva a che fare con il censimento, insomma puoi immaginare quanto non fu divertente.» Ricordavo quei giorni come se fossero accaduti poco tempo fa, e invece erano passati 3 anni. La noia che provai allora non era mai stata eguagliata da niente. 

Passammo un po’ di tempo a parlare di addestramento, quanti anni avevamo quando eravamo state scelte come Padawan, insomma cose totalmente normali e anche abbastanza ripetitive, ma più parlavamo più riuscivo a rilassarmi. Forse mi aveva veramente fatto bene quell’uscita.

Tutto ad un tratto però sentimmo un fragoroso baccano che proveniva dal bancone del bar, a poca distanza da noi. Un posto tranquillo, dicevano! Un ubriaco aveva appena fatto cadere una bottiglia e ora se la prendeva con chiunque gli capitasse davanti. Probabilmente era proprio un Jedi perché sentii il ronzio di alcune spade laser attivarsi. Mi alzai di scatto e cercai con lo sguardo i nostri Maestri, avevo paura che potessero essere rimasti coinvolti dato che non li riuscivo a scorgere. Mentre il trambusto aumentava, però, finalmente li vidi farsi strada tra la calca.

  «Forse è meglio uscire» proposi io. Non mi andava di rimanere in mezzo a quella confusione, soprattutto se poi la situazione avesse iniziato a degenerare. Per fortuna vicino all’uscita non c’era tanta gente, solo qualche curioso che cercava di comprendere cosa stesse succedendo dentro. 

Il mio Maestro mi restituì la Spada e io la agganciai di nuovo alla cintura «Meno male che non mi doveva servire stasera.»

Lui fece spallucce «Una cosa del genere accade veramente di rado qui, non potevo saperlo.»

Ma come, lui non sapeva sempre ogni impercettibile dettaglio di ogni cosa che esistesse nella galassia? Ad ogni modo, l’importante era che eravamo sani e salvi. Per la seconda volta oggi.

  «Penso che la serata sia finita, care Padawan. È arrivato il momento di tornare ognuno nei propri alloggi.» disse il maestro Myrasu, appoggiando una mano sulla spalla di Rei.

  «Ci vediamo presto!» aggiunse lei salutandomi mentre ci avviavamo in direzioni opposte. 

Iniziamo a sperare veramente che non fossero dei partner occasionali nelle missioni.



Note:
Salve! Qui è di nuovo Lady Leysa che parla - pardon - scrive. Mi scuso veramente tanto per tutti questi mesi di pausa, ma per un motivo o per un altro non ho mai avuto modo di completare il capitolo, perché sì, in effetti avevo iniziato a scriverlo subito, ma non l'avevo mai finito. Mea culpa mi dispiace, sul serio. Vi autorizzo a venirmi a cercare a casa per torturarmi.
Ma adesso non piangiamo sul latte versato! La storia è finalmente stata aggiornata e non ho molto da commentare: come sempre mi auguro che possa piacervi e spronarvi a continuare a seguirla. Non esitate a farci sapere la vostra, per noi la vostra opinione è quella che conta di più.

A presto, questa volta si spera davvero,
Lady Leysa

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Capitolo 6
*** Capitolo 3.1 ***


Avrei potuto ridurre a questo la descrizione della giornata successiva: mi ero alzata dal letto, mi ero vestita, avevo fatto un po’ di ginnastica, avevo fatto colazione, ero andata al tempio Jedi nel cortile d’addestramento e mi ero seduta su una panchina a meditare in attesa della morte.
Non erano passate neanche quarantotto ore dalla mia prima missione, che si era rivelata più stressante di quanto mi aspettassi, anzi piuttosto… be’, esplosiva. Quindi avevo a stento avuto un giorno e una notte per riprendermi, mentre il Maestro Myrasu aveva già fissato per me le date degli allenamenti. Gli orari, cioè, dato che come “data” si intendeva tutti i giorni.
 «Sei troppo incostante, la pratica ti temprerà» diceva.
 “La pratica mi ucciderà” avrei voluto ribattere.
Non credevo che tutti i Padawan avessero la fortuna di essere stati scelti da un Maestro così attento alla loro formazione. Il Maestro Myrasu mi stava così tanto con il fiato sul collo perché non si fidava di me e del mio senso di obbedienza. Probabilmente gli altri si limitavano a ordinare ai loro allievi di fare qualche piegamento e di provare le nuove tecniche con la spada per poi voltare i tacchi e andarsene a sbrigare le proprie faccende, confidando nel fatto che i Padawan avrebbero svolto il loro compito, o almeno ci avrebbero provato.
Io invece ero sempre stata l’alunna più svogliata della Galassia. Non facevo mai i compiti che il maestro Yoda assegnava a noi Younglings, e quando arrivava il momento di esercitarci abbassavo la spada e mi sgranchivo le braccia ogni volta che si voltava. Però cercavo di fare la faccia interessata alle spiegazioni, quando non tenevo la testa appoggiata sul banco. Mi ero pentita di essere stata sempre così disattenta, ovviamente. Principalmente perché dovevo recuperare tutto adesso.
Mentre aspettavo, cercai di non riflettere sulle ore di sofferenza che mi attendevano e pensai invece a Vie-Gan. Quel giorno era previsto il ritorno del maestro Jinn da Naboo, e ogni volta che qualcuno accennava qualcosa in proposito lei sussultava o in qualche modo si innervosiva. Insomma, a me sembrava piuttosto inutile essere così tesi per qualcosa e far finta di niente anche se la verità era ovvia per chiunque. Io al contrario accettavo la mia incapacità di essere imperturbabile, anche se spesso mi rimproveravo di non lavorarci abbastanza.
Ero molto assorta, dopo almeno una decina di minuti passati a evocare conversazioni immaginarie con Vie-Gan, quando lei all’improvviso apparve da una porta a lato del cortile. Indossava una semplice tunica di un colore neutro e aveva i capelli legati tutti insieme in una coda alta. Venne verso di me con passo marziale, la spada al fianco, decisa e al contempo tranquilla, un accostamento che forse solo i cavalieri Jedi potevano raggiungere.
Mi ero più che distratta a pensare di averla davanti, perciò quando fu abbastanza vicina esclamai: «Eccoti, finalmente!»
Lei non si fermò, continuando a camminare finché non mi fu quasi di fronte, ma sembrava leggermente alterata.
 «“Finalmente”? Non mi risultava che fossi stata informata del nostro allenamento.»
Un attimo. “Nostro”?
 «Eh… no, infatti no. Ma l’ho immaginato» mentii. Non sapevo se l’avessi fatto per fare una buona impressione o perché non volevo ammettere di essere così sbadata, in ogni caso lei non se l’era sicuramente bevuta.
 «Dov’è il tuo Maestro?» mi chiese, guardandosi attorno e portando una mano alla cintura a cui teneva appesa la spada – gesto che mi parve di cattivo auspicio.
 «Non lo so, e il tuo?» replicai banalmente.
 “Quella la userai contro di me?” fu ciò che mi trattenni dal dire.
 «Il maestro Carrick mi lascia allenare da sola» disse Vie-Gan con semplicità e freddezza «abbiamo stili di combattimento troppo diversi.»
Annuii, di nuovo incapace di dire ciò che pensavo veramente.
 «Bene, allora, come va?» le domandai.
Vie-Gan non rispose, mi guardò soltanto. Io, a disagio, ripetei la domanda, ma non arrivai neanche alla fine della frase.
  «Cosa fai di solito?»
  «In che senso? Combino guai, se è questo che intendi.»
  «Quando ti alleni» rettificò lei, con appena un’ombra di esasperazione sul viso.
Avevo fiutato il pericolo ancora prima di averne la conferma, ma come al solito non avevo badato ad ascoltare il mio istinto.
Di sicuro tutto era parte di un complotto per uccidermi. Io usavo la spada come una ragazzina, non potevo competere con Vie-Gan. Faticavo persino a seguire con l’attenzione i suoi movimenti!
Cosa avrei dovuto risponderle?
 «Cose normali, insomma. Esercizi, simulazioni di combattimento contro i droidi…»
Stavo per rassegnarmi al fatto che ero destinata a essere ridotta a spezzatino, quando il Maestro Myrasu si fece vivo. Fui stranamente felice di vederlo.
 «Buongiorno, Maestro!» esclamai, alzandomi in piedi e facendo un breve inchino.
 «Buongiorno, Maestro Myrasu» mi fece eco Vie-Gan, educata e composta.
Il maestro ricambiò il saluto e con un cenno mi invitò a restare in piedi.
 «Mi auguro che siate cariche per l’allenamento di oggi» ci disse «Ana-Rei, ti senti pronta?»
Risposi con un eloquente sguardo che chiedeva soccorso. Ma si rivolgeva alla persona sbagliata.
 «Senza dubbio avere davanti agli occhi il buon esempio di Vie-Gan ti farà bene. Per oggi farai da sola: hai la tua spada? Ottimo, lo immaginavo. Solo un paio di indicazioni: non m’interessano i progressi tecnici o l’energia dei colpi, devi solo badare a rimanere concentrata e a percepire ogni movimento del tuo avversario. Voglio che questo pomeriggio tu venga a dirmi che ci sei riuscita. Intesi?»
Per il maestro Myrasu non esistevano punizioni: ogni sudata era una punizione sufficiente. E quello che prendeva il posto delle lodi o delle sgridate erano i suoi commenti, puntuali come il sorgere di un sole, che scavalcavano qualsiasi cosa e arrivavano in qualunque momento di qualunque occasione. Il Maestro mi rimproverava quando ero insolente, distratta o esuberante, ma quasi mai quando non riuscivo a eseguire un esercizio come mi veniva richiesto. Forse vedeva la differenza, e si accorgeva che almeno ogni tanto nel secondo caso mi impegnavo sul serio.
Così eseguii il comando, ed estrassi la spada laser.
Mi resi conto che doveva essere la prima volta che ero meno felice di vedere Vie-Gan di quanto lei fosse felice di vedere me.
Decisi che per dare il meglio assoluto non dovevo pensare a quanto lei fosse superiore a me. Respirai profondamente e chiusi gli occhi per concentrarmi più facilmente. Esplorai mentalmente tutti i muscoli del mio corpo, per essere consapevole del loro funzionamento, e del fatto di essere perfettamente reattiva a ogni avvenimento esterno.
D’un tratto udii una vibrazione e un ronzio, proprio di fronte a me: Vie-Gan aveva acceso la spada. Dapprima mi sentii intimorita e il mio battito cardiaco accelerò, ma poi strinsi la mascella e riportai all’obbedienza il mio sistema nervoso, che era fin troppo nervoso.
Volevo a tutti i costi imparare ad auto controllarmi. Una volta raggiunto quel traguardo, avrei sopportato qualunque altra mancanza da parte mia. Avrei accettato di essere una spadaccina mediocre, se non pessima, una ragazza pasticciona e irritante e disastrosa in qualsiasi altra cosa, ma volevo avere la sensazione di avere il comando su me stessa.
Aprii gli occhi e il mondo riapparve attorno a me. Vie-Gan era nella stessa posizione in cui me l’ero figurata mentalmente: a circa due metri da me, più o meno al centro della piccola arena di cemento, la spada tenuta a sinistra del torace, l’elsa stretta con entrambe le mani. Sentivo che il suo corpo, all’apparenza rilassato, era pronto all’azione e si sarebbe attivato come una macchina da guerra nel momento in cui avessi manifestato l’intenzione di attaccare. Sì, era chiaro che volesse che io attaccassi per prima.
Accesi la mia spada, senza smettere di concentrarmi su Vie-Gan. Il suo viso si era impercettibilmente rilassato, per chissà quale motivo. La rendeva felice la possibilità di farmi a fette senza rimorsi di coscienza? Possibile.
Non volevo perdere altro tempo.
Iniziai con una delle figure più complesse che conoscevo, un movimento che già padroneggiavo che consisteva in un una finta per attaccare di lato. Non mi fermai lì: decisi di continuare con una serie di attacchi a catena, senza raggiungere una velocità estrema ma senza portarli a segno senza che fossero eseguiti perfettamente. Non avevo mai combattuto con tanto impegno e concentrazione, senza preoccuparmi di sbagliare, di non dosare bene la forza, senza che qualunque altra cosa al mondo mi distraesse.
Fui sorpresa di accorgermi che per i primi minuti Vie-Gan teneva il mio ritmo, non soltanto parando i miei attacchi, ma anche anticipando le mie mosse per mettermi in difficoltà e costringermi a trovare un’apertura alternativa. Non solo era forte e rapida, ma aveva anche una mente profondamente analitica.
 «Va bene, ma puoi fare di meglio» mi disse con sorprendente gentilezza.
Ne fui onorata, e lo presi come un grande incentivo a impegnarmi di più. Eppure mi resi presto conto che non era possibile accontentarla. No, forse a Vie-Gan non era chiara la situazione: io non avevo mai fatto di meglio.
E avrei voluto spiegarglielo, ma quello non era il momento giusto per discutere. Furono gli istanti in cui la mia avversaria decise di iniziare a combattere sul serio.
La prima cosa che fece fu rallentare, poi allontanarsi e guardarmi negli occhi, come da avvertimento.
 «Concentrati» mi disse. Quindi iniziò ad attaccare.
Era più lenta di quanto avrebbe voluto, lo sentivo, ma sulla forza non si risparmiava.
Ogni colpo che paravo lo sentivo vibrare nelle ossa, persino dentro le orecchie, fin quasi a stordirmi. Non riconoscevo quasi nessuna delle figure che io avevo imparato, magari perché lo stile era diverso, o perché lei con l’abilità ne aveva sviluppato uno tutto suo.
Il suo ritmo non era impossibile da reggere come mi aspettavo: difficile sì, lo era. Vie-Gan tendeva a stare molto più aperta nel combattimento, l’esatto contrario del suo carattere, e mi costringeva a sequenze di movimenti a cui non ero abituata per proteggere parti del mio corpo a cui non credevo che nessuno avrebbe mai mirato.
Combatteva come se lei e la sua spada fossero non un essere vivente ma una gigantesca molla pronta a scattare in qualunque direzione.
Eppure più il duello proseguiva, più mi rendevo conto di non essere poi così svantaggiata. Usare la spada laser al suo livello non era qualcosa di impossibile. Mano a mano che l’automatismo si innescava riuscivo a concentrarmi abbastanza da vedere l’ombra dei calcoli dietro le sue mosse. I gesti di Vie-Gan divennero più chiari nella mia mente: iniziai a imparare il suo modo di menare fendenti, fare affondi, roteare la spada, schivare i colpi e ruotare il busto per colpire. Erano movimenti che avrei potuto anticipare, ma anche imitare, per rafforzare i miei attacchi. Fu quello che feci: il risultato non fu certo immediatamente positivo, per una serie di motivi. Prima di tutto, ero stanca morta, e i miei arti ormai non rispondevano più ai miei comandi. Seconda cosa, mi sembrava che in confronto alla mia avversaria le mie articolazioni fossero pezzi di legno, i miei muscoli gelatina e il mio cervello un cumulo di segatura. Terza cosa, ci voleva concentrazione per migliorare ancora, ed era inevitabile che qualche aspetto venisse trascurato, rendendomi vulnerabile agli attacchi di Vie-Gan, divenuti fin troppo disinvolti.
Lei poco dopo fermò il combattimento, appena prima che iniziassero a tremarmi le gambe.
 «Fermiamoci. Facciamo qualche minuto di pausa per meditare e riposare i muscoli» disse dopo essere arretrata e avere spento la spada laser.
Annuii, ansimando, e premetti il pulsante sull’impugnatura che fece ritrarre la lama. La presenza di Vie-Gan frenava il mio irrefrenabile istinto di gettarmi a terra per la stanchezza. Il combattimento era stato lungo e molto più intenso rispetto a quelli a cui ero abituata.
Volevo ringraziarla, o se non altro dire qualcosa, ma ogni volta che mi preparavo a parlare, inspirando, subito mi sentivo mancare il fiato.
Mi trattenni tra l’altro dal chiederle quanto sarebbe durato il resto dell’allenamento, ma forse neanche lei ne aveva idea. Ero allo sbando, e quest’idea mi inquietava non poco. Avrei resistito per un altro combattimento come quello? Sarei crollata a terra implorando pietà? Mi sarei fatta decapitare, infilzare o affettare per sbaglio?
Iniziai a sentirmi anche un po’ dispiaciuta, per il fatto che in qualche modo con la mia incapacità costringevo Vie-Gan a farmi da balia e magari a dosare la sua abilità in un esercizio noioso che non le sarebbe stato affatto utile.
Insomma, era palese che i nostri maestri sarebbero stati felici se noi fossimo diventate più affiatate, e nessuno più di me avrebbe potuto entusiasmarsene. Eppure fin dall’inizio non sapevo se Vie-Gan era d’accordo. Mi dicevo che, anche se non esprimeva direttamente il suo punto di vista, il suo stato d’animo filtrava ugualmente attraverso la sua compostezza. Però insomma, che motivi c’erano perché lei potesse non detestarmi?
Il sole era già alto quando finimmo di combattere e i nostri maestri ci raggiunsero. Ebbi la conferma dei miei dubbi quando, immediatamente dopo aver abbassato la spada, Vie-Gan si rabbuiò di nuovo. In seguito, si mise in disparte a confabulare di malavoglia con il suo maestro, per neanche un minuto, poi si chiuse in un granitico silenzio.
Vie-Gan era riuscita nell’impossibile missione di avvilirmi. Un vero record! Non mi ero mai sentita così abbattuta in tutta la mia vita, dai tempi in cui ero una Youngling.
Al maestro Myrasu questo non sfuggì. Mi si avvicinò e mi diede una pacca su una spalla.
 «Ti vedo esausta. La giovane Vie-Gan ti ha dato del filo da torcere?»
 «Eccome» mugugnai. Capii dal suo sguardo insistente che il maestro voleva che fossi più precisa.
 «Ma ritengo di aver fatto dei progressi» aggiunsi stancamente «e sono certa che lei non abbia fatto del suo meglio.»
 «Oh, sì che lo ha fatto. Per aiutare te. Né io né Carrick nutrivamo grandi speranze sul fatto che sareste rimaste insieme per tutta la mattina.»
Non dissi nulla. Ero troppo confusa. Vie-Gan si comportava in modo decisamente incongruente! Al dolore muscolare si stava sommando anche il mal di testa.
Myrasu si avvicinò all’altra coppia, ed io gli venni dietro, camminando lentamente.
 «Adesso ci congederemmo, se a voi non dispiace» disse Carrick, con la sua solita, serafica calma.
Vie-Gan disse qualcosa a bassa voce che non riuscii a capire.
 «Molto bene. Io verrò a informarmi dai Maestri del Consiglio dell’esito della missione del Maestro Qui-Gon, ci rivedremo stasera stessa in tale occasione, suppongo.»
 «Adesso possiamo andare?» ribadì Vie-Gan con enfasi.
Bene, c’era qualcosa che non andava con il maestro Jinn, era evidente, ma mi sarei fatta impiantare la testa di un droide al posto della mia piuttosto che andare a domandarlo direttamente alla mia nuova… collega.
I due Maestri si trattennero ancora un paio di minuti a parlottare, e in quel tempo io mi avvicinai lentamente a Vie-Gan.
 «Grazie per stamattina. Davvero. Non so che altro dire…» esordii con sincerità.
Lei alzò le spalle, e con quel movimento si sciolse un po’, cosa che mi rincuorò.
 «Tu stai bene?» le feci quella domanda subito dopo, diretta, di slancio.
Vie-Gan parse un po’ sorpresa, e rispose con quella che sembrava molta cautela.
 «Presto andrà meglio, si spera.»
Era una relativa buona notizia. Le sorrisi.
 
Durante il pomeriggio avrei dovuto portarmi avanti con lo studio della teoria – quel giorno mi toccava Geografia Galattica – ed esercizi di meditazione, ma ero così stanca dal combattimento del mattino che una volta trovata una superficie orizzontale non semovente mi ci addormentai sopra.
Il Maestro Myrasu mi svegliò che era quasi sera, piuttosto arrabbiato, e continuò a inveire contro di me perché non poteva mai lasciarmi sola e se avessi continuato in quel modo non avrei mai superato il test per diventare Cavaliere Jedi.
 «Lo so, Maestro» mormorai.
 «Allora è il caso di fare qualcosa per impegnarti. Non ho intenzione di rimandarti ad Alderaan, Ana-Rei, sappilo.»
Lo sapevo, eccome. Il Maestro Myrasu era ancora l’unico che, misteriosamente, aveva una qualche forma di fiducia in me.
 «Il Consiglio ha già ricevuto un messaggio da Qui-Gon e Obi-Wan, che sono sulla via del ritorno. A quest’ora saranno già entrati nell’atmosfera di Coruscant: se vogliamo raggiungerli prima che facciano rapporto dobbiamo sbrigarci.»
Mi chiesi perché diamine dovessimo farlo, ma non obiettai e mi rassettai i capelli e i vestiti. Ero troppo curiosa di sapere di più su quella storia, ed ero pressoché certa che Vie-Gan fosse coinvolta e perciò sarebbe stata presente.
Dalle finestre del Tempio vidi i grattacieli avvolti da una luce rosso-dorata e mi sentii un po’ a disagio pensando a tutto il tempo che avevo perso dormendo. In compenso mi sentivo molto più ristorata.
Le mie supposizioni erano giuste: Vie-Gan attendeva già, da sola, sulla piattaforma di atterraggio. Il suo sguardo si perdeva tra le vie aeree di Coruscant, gremite di droidi e astronavi luccicanti di piccole e medie dimensioni.
La raggiunsi senza fretta. Fui lì e non dovetti aspettare molto prima che una delle più grandi tra le astronavi che solcavano il cielo sopra di noi virasse nella nostra direzione e iniziasse la manovra per l’atterraggio.
 «Ecco» mormorai. Vie-Gan continuava a giocherellare con quel guanto dalla forma assurda: i movimenti delle sue dita erano quasi frenetici, e mi sembrava quasi di percepire la tensione nervosa di tutto il suo corpo.
Ne fui condizionata e gli istanti che trascorsero prima che il portello dell’astronave finalmente si aprisse mi parvero infiniti. Uno dopo l’altro, i passeggeri scesero dal mezzo. Conoscevo di vista i due Jedi, ma tutti gli altri erano degli sconosciuti per me. E insieme alle sue ancelle c’era persino la regina Amidala, sovrana di Naboo! Il suo abbigliamento decisamente appariscente era inconfondibile.
Notai anche la presenza di un bambino, di circa dieci anni, aggregato al gruppo di persone (quasi esclusivamente umani, insieme a un droide astromeccanico e a una strana creatura bipede dall’aria poco intelligente).
 «Che ci fa quel marmocchio lì?» domandai, in modo che solo Vie-Gan avrebbe potuto sentirmi, ma credo che per uno strano motivo il mondo intero avesse all’improvviso smesso di interessarle.
Tutta l’ansia degli ultimi giorni le si era concentrata in un solo sguardo. La vidi mettersi dritta con la schiena, più di quanto non lo fosse prima, e credetti che stesse per mettersi a correre. Però si voltò, sfiorandomi con gli occhi per un momento, e si ricompose.
Fece solo un cenno con la testa, e sul suo viso apparve un sereno sorriso.
Lei e il bambino si contendevano la mia attenzione, ma alla fine ero più curiosa di osservare Vie-Gan. Salutai Obi-Wan e feci un inchino alla regina, fingendomi interessata in qualcos’altro, ma con la coda dell’occhio sbirciavo la sua figura, ancora ritta in piedi, fremente.
Quando il gruppo venuto fuori dall’astronave si disperse, il maestro Qui-Gon si fermò venendo verso di lei. Li vidi abbracciarsi con affetto, e improvvisamente tutto ciò che era accaduto negli ultimi tre giorni acquistò una logica.
Be’, però, Vie-Gan avrebbe anche potuto dirmelo! C’era tanto bisogno di mantenere segreto che loro erano… appunto, che cos’erano? Amici? Parenti?
Trasalii e mi sentii mancare il fiato. E se fossero stati padre e figlia, e Vie-Gan non mi avesse detto nulla per questo motivo?
Ma no, il maestro Jinn non avrebbe mai violato il Codice, che andavo a pensare?
Qui-Gon si congedò da Vie-Gan poco dopo, per entrare nel Tempio, ed io in tre passi le fui accanto, mentre lei lo seguiva con lo sguardo.
 «Ehm, senti… una domandina, così, per curiosità» le dissi timidamente «com’è che ti chiami tu di cognome?»
Vie-Gan mi rispose, inespressiva. Il cognome non era Jinn: impressione sbagliata. Stavo per confidarle la mia ipotesi, quando mi si accese in testa un’altra lampadina.
 «E, scusa se insisto, quello di tua madre?»
 «Jinn.»
 «Ah. Si spiega tutto ora!» esclamai, soddisfatta «Bene.»
Ci fu un silenzio relativamente lungo, durante il quale Vie-Gan tacque, e non avevo idea di cosa pensasse.
 «Eri preoccupata, no? Sì, certo che eri preoccupata, che stupida che sono. Ma è andato tutto bene, no?»
Vie-Gan non fece che annuire impercettibilmente, con una dozzina di secondi di ritardo.
 «Andranno a fare rapporto adesso» proseguii «che dici, andiamo anche noi?»
 «Così avremo delle notizie di prima mano» acconsentì lei «entriamo.»
Si avviò per prima, ma aspettò che la seguissi prima di entrare, dietro il corteo di ancelle della regina Amidala.
 

Benvenuti benvenuti! *Voce alla Effie Trinket*
Ehi, sì, dico a voi, lettori silenziosi! Non sarebbe ora di venire fuori e fare un salutino, lasciare un feedback o il volantino di una squadra di basket? 
La sottoscritta, lady Arya, e la sua collega, lady Leysa, ne sarebbero immensamente liete. Anche se non amiamo molto il basket. 
Dunque, mi risulta davvero strano non dovermi scusare per nulla questa volta, perché guarda caso non non sono in ritardo! È una bella sensazione, dovrei farlo più spesso. Ergo, questo capitolo contiene oltre che rivelazioni più o meno inaspettate, una allegra (?) panoramica sul quotidiano delle nostre padawan, e in particolare di Ana-Rei... ma che ne pensate, perciò? Siete ansiosi di saperne di più?
Un grazie speciale a chi continua nonostante tutto a leggere, e alla cara Sylvia Naberrie, che fedelmente recensisce! :* 
Torneremo presto, con un nuovo capitolo dal punto di vista di Vie-Gan, stay tuned!
Buonasera e che la Forza sia con voi!

Con affetto, 
Lady Arya

 

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