Only seven days

di Joseph J
(/viewuser.php?uid=423720)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Siamo responsabili delle nostre conseguenze ***
Capitolo 2: *** the silence killed me ***
Capitolo 3: *** You're just drunk ***
Capitolo 4: *** We are a mess ***
Capitolo 5: *** Please, stay. ***



Capitolo 1
*** Siamo responsabili delle nostre conseguenze ***


Siamo responsabili delle nostre conseguenze

POV. CALUM

“Mi stai lasciando, Luke?” urlò una ragazza al suo ormai ex ragazzo. Lo stava osservando in lacrime senza riuscire a capire cosa realmente provasse il ragazzo di fronte a lei. “È proprio quello che ho detto" rispose lui sorridendo. Non sembrava che provasse compassione per lei, o si pentisse. Non era nemmeno felice. Quel sorriso, il solito sorriso che faceva alla ragazza che lasciava, non era per la felicità, era solamente il suo modo per dire 'Non ha funzionato, ma non mi importa'. 

Osservai la scena appoggiato al tronco di un albero poco distante. Succedeva la stessa cosa ogni lunedì mattina, prima di scuola, e la cosa buffa era che ogni ragazza pur sapendo che al fine settimana sarebbe stata lasciata ci restava male davvero quando questo accadeva. Davvero pensano di poter cambiare Luke Hemmings?  La ragazza, se ne stava andando correndo, forse in bagno a sistemare il trucco colato, a rimettersi in sesto per la lezione, a fingere un ‘va tutto bene’ e aspettare la ricreazione o la fine della scuola per ricominciare a piangere. Una settimana con Luke faceva questo effetto, eppure, io che lo conoscevo da una vita, avevo imparato a conoscerlo, a capirlo, ad amarlo. Perché Luke era così: o lo ami o lo odi e la maggior parte, soprattutto la parte femminile lo odiava.

Felpa e pantaloni di tre taglie in più della sua, e cappellino da baseball in testa, Luke Hemmings con la sua immancabile sigaretta alle labbra, si stava dirigendo verso di me in tutto il suo splendore.

Con un gesto della testa mi salutò, aspirò il fumo per poi lanciare la sigaretta a terra. Poi si tolse il cappello, mostrando i soffici capelli biondi, li ravvivò con una mano e poi li nascose di nuovo sotto al berretto. “Entriamo?” chiese tranquillo, come se cinque minuti fa non fosse successo nulla. “Penso che andrò a controllare che la tua tipa settimanale stia bene…” gli risposi alzandomi in piedi. Luke sbuffò. “Sono loro che decidono di venirmi dietro. Non mi va di darle buca. Funziona così loro chiedono, io accetto. Sono responsabili delle loro conseguenze.” mi fece notare come se fosse una cosa ovvia. “Beh, almeno potresti trattarle bene durante la settimana.” Luke aprì la porta ed entrammo nell’ edificio. Salimmo le scale fino al quarto piano, fermandoci davanti alla macchinetta del caffè. “Le tratto bene, Cal. Le faccio scegliere il posto dove andare per il loro appuntamento, ci parlo insieme…” non gli feci finire la frase. “Per parlare intendi ‘ciao’ e rispondere a monosillabi a quello che ti dicono? Sicuramente fate delle conversazioni interessantissime.” Luke inserì i soldi nella macchinetta e mentre aspettava il caffè mi fece il dito medio. “Non è colpa mia se quelle che mi chiedono di uscire sono tutte noiose.” rispose per poi abbassarsi e prendere il bicchierino. Mescolò il liquido scuro con il cucchiaino per poi bere in un unico sorso il caffè bollente. “Non te lo gusti neanche così!” mi lamentai. “Sei tu che non te lo gusti aspettando che diventi freddo prima di berlo.” rispose buttando il bicchiere di plastica nel cestino. “ Sei un caso perso, Lukey.” gli sorrisi. “Sei l’unica ragione per cui non sono neanch’ora perso del tutto, Calum.” disse facendosi serio di colpo, abbassando lo sguardo. “Vedi di non dimenticarlo.” aggiunse prima puntare lo sguardo sul mio e sorridendomi. Si diresse in classe, lasciandomi pietrificato davanti alla macchinetta, dimenticandomi della ragazza appena scaricata, della classe in cui dirigermi, della lezione da svolgere. Restai lì ad ascoltare la risata di Luke diffondersi per tutto il corridoio.

 

Quando entrai in mensa trovai Luke circondato da una decina di ragazze intente ad attirare la sua attenzione, ma lui non sembrava farne caso, stava cercando qualcuno e quando i suoi occhi si posarono sui miei capii che stava cercando me. 

Lo raggiunsi proprio mentre una ragazza gli stava chiedendo di uscire. “Vuoi uscire con me, Luke?” la solita domanda ogni settimana. Ma non era la solita torretta truccata, era semplice, timida e si vedeva che aveva fatto uno sforzo enorme per tirar fuori quelle cinque parole, esitando sull’ultima. “Esce con me questa settimana.” le parole uscirono da sole, rispondendo con poca convinzione alla ragazza. 

Sia lei che Luke mi guardarono interrogativi. “Usciamo insieme ogni sera, Cal.”

“Concedi una settimana di tempo a ogni persona che te lo chiede, quindi, esci con me…” ripetei più convinto.

“Ok” fu la sua semplice risposta.

“Lo faccio per il tuo bene.” sussurrai alla ragazza per convincere più me che lei. 

 

SPAZIO AUTORE

Buonasera a tutti! Sono Franzy e questa è la mia prima fanfiction.
Joe mi ha imprestato il suo account così lo userò per questa storia.
Il primo capitolo è corto ma è solo un'introduzione.
Fatemi sapere se vi piace lasciando una recensione e se quindi volete che continui.
A presto :) 

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** the silence killed me ***


GIORNO 1

pov. Luke

“Mi stai ascoltando, Luke?” ci eravamo da poco seduti al nostro tavolo, davanti a me un piatto fumante di brodaglia marrone che emanava uno strano odore, più in là Calum mi stava fissando aspettando una mia risposta. 

No, non lo stavo ascoltando, ero immerso nel mio mondo, ma se di solito c’era solo il silenzio e un posto rassicurante dove potersi nascondere, stavolta nei miei pensieri c’era un volto ben definito, quello del mio migliore amico. Occhi scuri a mandorla, il ciuffo ribelle che gli ricadeva sulla fronte, il viso abbronzato, la camicia a quadri larga,  Calum Thomas Hood, nella mia mente, con la voce più bella del mondo, affermava per la centesima volta ‘Esce con me questa settimana’. Perchè? Voleva davvero solamente proteggere quella ragazza? Oppure c’era di più? 

“Ehy, Luke!” mi richiamò una seconda volta e malvolentieri terminai la scenetta che si ripeteva all’infinito nella mia mente. “Perché?” chiesi allora al ragazzo. Avevo bisogno di una risposta su quello che aveva fatto. “Te l’ho appena detto, Luke. Ho trovato un batterista che farebbe proprio al caso nostro. Potremmo finalmente creare una band.” rispose lui tutto euforico. “Perché vuoi uscire con me?” ripetei ignorando la sua frase. Calum sbuffò. “Oh per quello. Non voglio che lunedì un’ altra ragazza si metta a urlare e a piangere. Sai di mattina non è il massimo…” c’era qualcosa che non mi convinceva, stava arrossendo e le mani gli tremavano leggermente. “Questa zuppa fa schifo.” commentò cercando di cambiare discorso. “Calum voglio la verità.” continuai alzando leggermente la voce. Non sapevo se mi stava prendendo in giro , ma da quando mi aveva chiesto di uscire continuavo a chiedermi ‘e se fosse lui quello giusto? Se finalmente riuscissi ad innamorarmi?’ questo per me non era un gioco, non facevo che sperare all’inizio di ogni settimana che la persona con cui uscivo fosse quella giusta, ma non ero mai riuscito a provare niente nei confronti di qualcuno e ci siamo sempre lasciati. “é la verità. é davvero disgustosa.” rispose innervosito. Si alzò velocemente andando a buttare il contenuto del vassoio nel cestino, restò fermo qualche secondo, forse per decidere cosa fare, si guardò un attimo indietro puntando per pochissimo lo sguardo sul mio. Vedendo che lo fissavo, uscì spedito fuori dalla mensa. Non era decisamente il Calum che conoscevo. 

Appena uscii dalla stanza mi vibrò il telefono. Lo presi in mano e mi bloccai leggendo il messaggio: “Alle 17.00 a teatro. Facciamo le prove col nuovo tipo. Vedi di non dimenticarti. -Cal” Calum non era mai stato così freddo e decisamente non era un tipo da messaggi. Preferiva chiamare, sentire la voce della persona con cui parlava. Cosa gli avevo fatto? 

Non risposi al messaggio, sapeva che mi avrebbe trovato lì, sapeva che volevo una risposta per il suo strano comportamento. 

Le ore passarono veloci, fin troppo velocemente. Non aspettai il congedo del professore, non salutai nessuno, mi catapultai semplicemente fuori dall’aula dell’ultima ora, feci le scale due alla volta e appena fuori dall’edificio mi accesi una sigaretta per tranquillizarmi. Cosa mi prendeva? Perché tutta questa fretta di vederlo? 

Il teatro si trovava affianco alla scuola e mi ci vollero solo cinque minuti per arrivarci, cinque lunghissimi minuti fatti di domande senza risposta, la sua voce nella mente e il suo viso nei miei pensieri. Finii la seconda sigaretta ed entrai all’interno con mezz’ora di anticipo. Se il fumo non aveva funzionato, un po’ di musica mi avrebbe sicuramente calmato.

La stanza era buia, l’unica cosa illuminata era il palco, già attrezzato di alcuni strumenti musicali della band e alcuni aggeggi di scena del gruppo di teatro. Avanzai verso quel punto di luce, salendo sul palco. Presi una chitarra acustica e attaccai la spina all’amplificatore. Accesi il microfono posizionandolo davanti a me. Mi sedetti su uno sgabello e iniziai a cantare. Le note di “A drop in the ocean” si diffusero per tutta la stanza. Chiusi gli occhi e fu facile immaginare uno stadio enorme, un sacco di persone che urlavano il mio nome realizzando che non ero tra il pubblico ad ascoltare un concerto qualsiasi ma che era il mio concerto. Era tutto così rilassante che per un momento dimenticai tutto, la mia mente si svuotò di tutti i problemi, il suo della chitarra guidava la mia voce attraverso le varie canzoni. Poi smisi di cantare e quella sensazione svanì. Con ancora gli occhi chiusi sentii il pubblico applaudire, sorrisi e ringraziai. 

Aprii gli occhi e mi accorsi che c’era davvero qualcuno che applaudiva.  Non vedevo il suo viso, immerso nel buio ma riconobbi la sua voce non appena parlò. “Sono sicuro che sabato sera saremo fantastici.” affermò salendo sul palco. Non mi guardò, non alzò neanche una volta lo sguardo sul mio, prese il basso e se lo mise a tracolla ma poi se lo tolse subito, come se quello strumento gli provocasse un dolore terribile. Restò in piedi, di fianco a me. “Cos’è successo?” chiesi aspettandomi già il peggio. Lui mi guardò per la prima volta da quando era entrato e quasi caddi dalla sedia quando vidi l’occhio nero, la guancia ferita e il labbro spaccato. Era successo di nuovo. Non rispose e una piccola lacrima gli rigò il volto. Mi alzai, buttai la chitarra per terra e andai ad abbracciare Calum. Lo tenni stretto ma appena sentii un gemito di dolore mi staccai. Gli presi il viso tra le mani e appoggia la fronte sulla sua. Le sue lacrime cadevano a terra e lui silenziosamente piangeva. “Va tutto bene ora.” lo rassicurai accarezzandogli i capelli. Dovevo proteggerlo, non poteva andare avanti così. “Non la passerà liscia stavolta.” affermai incazzato. Mi staccai da lui e lo guardai serio. “Togliti la maglia.” e lui senza obbiettare eseguì il mio comando. Con una fatica incredibile provò a togliersi l’indumento senza successo. Lo aiutai e non appena la maglia cadde per terra e mi misi a fissare la sua schiena un brivido mi percorse per tutti il corpo, rimanendo scioccato dalla scena. Segni rossi, tagli profondi da dove usciva ancora un po’ di sangue, lividi.. la sua schiena ne era ricoperta. Non si era limitato al viso stavolta, l’aveva pure picchiato su tutto il corpo. Lo girai davanti a me e piansi insieme a lui. Come poteva fare del male a un ragazzo fantastico come Calum. Solo quel mostro, il Bastardo.

“Ti aiuto a rimetterti la maglia” dissi quando finii di piangere. Cercai di non toccare le ferite, facendo piano. “Ti porto in ospedale, Cal.” affermai capendo che i segni sulla schiena erano profondi e potevano fare infezione. Il suo silenzio mi stava uccidendo lentamente e più il tempo passava più facevo fatica a immaginare a cosa sarebbe potuto succedere se, un giorno, il Bastardo non si fosse più limitato a picchiare ma l’avrebbe ucciso. Non succederà, mi ripetevo, non lo toccherà più. 

Uscii sorreggendo Calum e mi sbrigai a chiamare un taxi. Appena ebbi finito di fornirgli l’indirizzo, mi maledii per non aver passato quel maledetto test di guida e maledii pure gli autisti dei taxi che aveva la fottuta abitudine di arrivare in ritardo. Quando finalmente arrivò ci precipitammo dentro. “all’ospedale più vicino.” risposi quando mi chiese la destinazione. “Il più veloce possibile.” aggiunsi. Il ragazzo affianco a me tremava piano e aveva le braccia strette attorno alla pancia. Nuove lacrime avevano ricominciato a rigargli il viso. “Shh, è tutto ok.” ma entrambi sapevamo che era una bugia. 

Alle 20.30 , mi trovavo a guardare fuori dalla finestra di una stanza bianca con solamente un armadio e due letti, uguale a tutte le altre, all’interno dell’ospedale di Sidney,. Su uno dei due letti si trovava Calum che stava dormendo grazie all’effetto dell’anestesia. Gli avevano fasciato pancia e schiena mettendogli dei punti sulle ferite più profonde e il viso era coperto di bende sulla guancia e sull’occhio. Era conciato male. I medici ci aveva più volte chiesto com’era successo ma entrambi avevamo risposto col silenzio. Mi avvicinai al letto sedendomi sulla poltrona li vicino, poi strinsi forte la mano del mio amico. “Supereremo anche questa, sei forte Cal.” Gli diedi un bacio sulla fronte poi chiusi gli occhi cercando di dormire anch’io un paio d’ore.



SPAZIO AUTORE
Eccomi qui con il secondo capitolo.
è completamente diverso da come l'avevo immaginato inizialmente ma non è uscito male.
Ci ho messo un sacco a scriverlo cercando di farlo al meglio e spero che vi sia piaciuto. 
Avete capito chi sia il Bastardo? 
Nei prossimi capitoli si chiarirà meglio e capirete la storia di Calum.
Ditemi cosa ne pensate con un commento, anche per una domanda o un chiarimento :)
A presto,
Franzy

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** You're just drunk ***


GIORNO 2

Pov. Calum

“Dobbiamo denunciarlo, Cal!” era la centesima volta che Luke me lo ripeteva ma non lo stavo ascoltando. Non volevo ascoltarlo.

Mi ero svegliato all’alba, in una stanza che non avevo mai visto prima, con il torace fasciato e la mano di Luke stretta sulla mia. 

Quando avevo capito in che situazione mi trovassi, un brivido di terrore mi aveva invaso tutto il corpo. Luke si era svegliato poco dopo, mi aveva chiesto come stavo, spiegato la sua preoccupazione e al fatto che volesse denunciarlo. Era stanco di questa storia, dovevamo lottare. Ma io non ne avevo le forze, non più.

“è la mia settimana Lukey.” risposi con la prima scusa che mi venne in mente. In fondo era vero, questa settimana Luke era tutto per me e anche se non lo sapeva era da tempo che lo desideravo, che non potevo fare a meno di lui nella mia vita e che per me non era un semplice amico. Non avrei rovinato i miei sette giorni per colpa del Bastardo. 

Vidi Luke abbassare lo sguardo a quella affermazioni e avrei tanto voluto sapere cosa passasse per la sua testa. Probabilmente non gliene fregava niente della sua abitudine, una settimana senza uscire non gli avrebbe cambiato nulla. E invece “Stasera usciamo.” affermò attirando la mia attenzione. Alzai un sopracciglio in modo scettico, qualcosa non mi convinceva, mi stava prendendo in giro? “Dove?” chiesi allora. “Scegli tu il posto.” rispose ovvio. Già, lui non sceglieva mai, lasciava tutto alle sue fidanzate settimanali. Quindi, ero il suo ragazzo settimanale? “Noi… stiamo uscendo insieme?” chiesi ancora titubante. Avevo pensato che non avesse preso l’argomento sul serio, anche se in mensa sembrava nervoso, quasi arrabbiato. Aveva capito? O provava anche lui la stessa cosa? scacciai quel pensiero dalla testa. Era impossibile che Luke Hemmings provasse qualcosa per me. 

Luke non sapeva amare, anche se ci provava. 

“Così sembra..” rispose sorridendomi. Dio, se aveva un sorriso stupendo. “Da Sedici” dissi mostrando un po’ troppo il mio entusiasmo. Lui rise, dovevo avere davvero una faccia ridicola, ma in quel momento, niente a parte Luke aveva importanza. Se io ero la ragione per cui lui riusciva ad andare avanti lui era la mia. 

“Calum sei così..” incominciò ma venne interrotto dall’infermiera che entrò nella stanza. Per lui fu un bene perché tirò un sospiro di sollievo e io maledii quella ragazza per essere entrata in quel momento. “Ti dimettiamo. Ancora qualche controllo e poi potrai andare.” mi disse con un sorriso confortante. Gli risposi con un semplice ‘ok’ e dopo qualche istante uscì.

“Dicevi?” chiesi quindi a Luke sperando che finisse la frase di prima con ‘bello, dolce, fantastico, importante, speciale…’ tutti aggettivi che avrei attribuito a lui.

“Uhm?” rispose girandosi verso di me. Lo osservai: il viso stanco, gli occhi spenti, il berretto blu a coprirgli i capelli. Era stato sveglio tutta la notte, per me. “Dovresti andare a casa…” cambiai discorso. Lui mi sorrise di nuovo, si avvicinò a me e con la mano mi spettinò i capelli. “Sei così strano Calum” poi uscì dalla stanza lasciandomi di nuovo solo con il suo sorriso nella mente e il cuore che batteva troppo velocemente. 

 

Mi guardai di nuovo allo specchio. Il labbro rotto, l’occhio ancora gonfio, il taglio sulla guancia. Facevo davvero schifo. Indossai una camicia azzurra, dei jeans e misi le Vans nere. Una goccia di profumo, una sistemata ai capelli, di nuovo a guardarmi allo specchio. Ero così agitato. ‘è il mio primo appuntamento.’ pensai sistemandomi meglio la camicia. Non ero mai uscito con nessuno. Luke era quello popolare, io lo sfigato. Lui aveva tutte le ragazze che voleva, ma per stasera avrebbe avuto solo me. E a me bastava lui. 

Quando aprii la porta d’entrata trovai Luke più bello che mai. Niente vestiti larghi, niente cappello ma la sua solita sigaretta tra le labbra. Un paio di jeans stretti gli fasciavano alla perfezione le gambe, la camicia a quadri rossa gli stava benissimo. Non si era mai vestito così per nessuno. Agli altri appuntamenti si vestiva come al solito. “Ciao Cal.” sorrise consapevole dell’effetto che aveva avuto su di me. “Sei.. sei bellissimo” mi maledii subito dopo, abbassai lo sguardo probabilmente rosso in volto. “Anche tu Cal.” rispose alzandomi il viso col le dita e guardandomi negli occhi. “Andiamo?” chiese senza distogliere lo sguardo. Mi persi in quel mare azzurro dei suoi occhi e annui automaticamente. Al mio cenno positivo tolse la mano dal mio volto e si avviò verso il ristorante. Ancora confuso lo seguii e per tutto il tragitto non scambiammo una parola. 

Il Sedici era un ristorante italiano vicino a casa mia, ci andavo con Luke quasi ogni venerdì ma questa volta era decisamente diverso. Questo giorno significava molto per me. 

“Hood. Due persone.” feci al cameriere quando si avvicinò a noi. Controllò la prenotazione su un’ agenda e poi ci fece segno di seguirci. Ci sedemmo al tavolo che ci era stato assegnato e un altro cameriere ci portò il listino. Sapevo già cosa ordinare ma lo aprii lo stesso per evitare di guardare Luke. Mi distrai leggendo ogni tipo di cibo, bevanda, prezzi e dolci. Quando rialzai lo sguardo dal listino era Luke a osservarmi divertito. “Sei agitato.” fu il suo commento dopo quasi venti minuti di silenzio. “No” mentii cercando di tenere lo sguardo più inespressivo possibile. 

“Volete ordinare?” il cameriere mi salvò. “Sì” risposi spostando l’attenzione sul ragazzo che aspettava di scrivere l’ordinazione sul blocchetto. “Una pizza margherita e una cotoletta alla milanese” rispose Luke per entrambi senza distogliere lo sguardo da me. “Da bere?” chiese ancora mentre scriveva quello che Luke aveva appena richiesto. “Una birra e una bottiglia di acqua naturale.” Luke rispose ancora per entrambi senza guardarlo. Era come se in quella stanza fossimo solo noi due, il cameriere e le altre persone erano sparite e l’unica cosa che desideravo era non perdere quel contatto visivo con lui. 

“Penso che l’abbiamo messo in imbarazzo” rispose girandosi a guardare il cameriere che se ne stava andando in cucina grattandosi la nuca. “Già” risposi solamente. “Anche tu sei in imbarazzo” disse osservando la mia espressione. “é solo una cena” aggiunse poi sistemandosi i capelli. Come faceva a stare così calmo? Come poteva per lui essere tutto normale? Perché non capiva che di questo passo sarei impazzito? 

 

Pov. Luke

Parlammo del più e del meno come al solito, la mia pizza era buona come al solito, ma Calum… Calum non era come al solito. Era diverso. Mi guardava come si guardava una cosa preziosa, gli tremava la mano, e diventava spesso rosso in viso. E allora capii. Era innamorato di me. Più passava il tempo e più confermavo la mia teoria. E non era come tutte quelle con cui ero uscito che mi volevano solo per il mio aspetto, per lui ero speciale.

Lo guardai per la prima volta in maniera diversa. Mi soffermai di più sul suo viso, sui particolari. Gli occhi grandi marroni, i due piccoli nei sulla guancia destra, e quelle labbra che, Dio, sembravano così morbide e che mostravano il sorriso più bello del mondo. Era proprio bello. 

Continuammo a parlare e parlare per tutta la serata fino a quando ci cacciarono dal ristorante perché dovevano chiudere. Uscimmo con parecchi soldi in meno e Calum con un po’ troppo alcool in circolo. 

Si era rilassato e rideva in continuazione. Ed era una risata contagiosa perché ridevo insieme a lui senza un motivo preciso. Camminammo per un bel pezzo a piedi, sorpassammo la casa di Calum forse perché era troppo presto oppure troppo stanchi per affrontare il Problema. Al Bastardo ci avremmo pensato il giorno dopo. 

Sorpassammo anche casa mia, ci avviammo verso un sentiero lì vicino, salimmo le scalinate di pietra e raggiungemmo il Parco. Era un parcogiochi abbandonato, con le altalene rotte, le panchine piene di scritte e i pali della luce senza lampadine. L’unica cosa che si salvava era lo scivolo a castello. Era li che mi nascondevo da piccolo, era li che mi sentivo al sicuro. Ed era proprio sotto la casetta dello scivolo che avevo conosciuto Calum. 

Accesi una sigaretta e salimmo sullo scivolo. “Non voglio andare a casa, Lukey” continuava a ripetermi. “Non stiamo andando a casa, siamo al Parco.” e allora si tranquillizzò, si sedette vicino a me, appoggiando la testa sulla mia spalla. Aspirai il fumo e osservai il panorama. Il Parco si trovava su una collinetta e da lì si poteva vedere tutta la città. Era Sidney che illuminava tutto il Parco.

“Sai Luke perché ti ho chiesto di uscire?” chiese tutto d’un tratto Calum, spezzando il silenzio. “Perché non volevi consolare un’ altra ragazza quando l’avrei lasciata.” risposi, anche se sapevo che non era questo il vero motivo. “Io penso di amarti, Luke.” continuò con una calma che mi spiazzò. Il mio cuore cominciò stranamente a battere velocemente e la mia mente cominciò a riempirsi di pensieri. La sigaretta mi cadde dalle dita cadendo sull’erba. “Sei… sei solo ubriaco” come poteva un angelo come lui amare un mostro come me? Come poteva innamorarsi di una persona che non sapeva neanche cosa significava la parola ‘amore’? L’avevo imparata, apprezzata e poi come tutte le cose belle anche l’ ‘amore’ era finita. Avevo preferito rimuoverla dal mio vocabolario insieme a tutti gli altri sentimenti, perché l’alternativa faceva troppo male. 

E ora, dopo quasi quattro anni riprovai qualcosa di simile all’ amore. Mi spaventai. Ero davvero pronto a provare un sentimento così potente? Ero davvero pronto a ricordare il passato? 

Sentii Calum respirare regolarmente e capii che si era addormentato sulla mia spalla. “Cosa devo fare adesso?” gli chiesi anche sapendo che non avrebbe risposto. Mi sistemai meglio in modo che anche lui stesse più comodo, accesi un’ altra sigaretta e mi misi ad ascoltare il silenzio. Osservai il viso addormentato di Calum e sorrisi.

Appoggiai la testa al muro di legno della casetta e in quel momento, al Prato, guardando Sydney con Calum al mio fianco, mi sentii la persona più felice del mondo. 

SPAZIO AUTORE
Buongiorno a tutti.
Ecco il secondo giorno e quindi terzo capitolo.
In questo capitolo c'è il primo appuntamento che un po' tutti aspettavano con ansia.
Calum si dichiara, e si sa che gli ubriachi dicono sempre la verità.
Luke invece ha paura di amare e nei prossimi capitoli capirete perchè.
Nel prossimo scoprirete anche chi è il Bastardo anche se forse si capisce un pochino da questo.

Volevo ringraziare per le 6 recensioni,
le 6 persone che hanno messo la storia tra le preferite,
le 2 persone che l' hanno messa nelle ricordate e
le 7 persone che l'hanno messa nelle seguite.
Significa davvero tanto per me quindi grazie a tutti!

Al prossimo capitolo,
-Franzy

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** We are a mess ***


Giorno 3

Pov. Luke

Rumore di vetri infranti. Sussurri. Passi spediti. Confusione. Urla. Spari. 

Apro velocemente gli occhi, capendo cosa sta succedendo. Guardo il letto di fronte al mio: vuoto. Panico. 

Scendo con cautela le scale. Uomini estranei vestiti di nero. Pistole fredde. Un proiettile conficcato nel muro. Mio fratello legato. Piange silenziosamente.

“Che ne facciamo di lui?” chiede uno ai suoi compari. 

“Lo uccidiamo”

“è solo un bambino”

“Che importa?” 

“Siamo venuti per rubare, non per uccidere”

“Se è necessario lo uccido”

“No!” urlo mentre mi scende una lacrima dal viso. Si girano verso di me. Mi hanno scoperto. Resto immobile. 

“E tu chi cazzo sei?” urla un altro. Non rispondo.

“Prendetelo.” cerco di scappare. Tutto inutile. 

“Come ti chiami?” chiede quello che sembra il capo a mio fratello.

“Ni-niall” risponde piano, guardandomi disperato. Chiede silenziosamente aiuto. E quello sguardo, piano piano, mi uccide dentro. 

“E tu?” chiede ancora rivolgendosi a me.

“Luke.” rispondo deciso. Devo mantenere il controllo per Niall. 

“Vi devo uccidere?” domanda e Niall rabbrividisce. Come può un bambino a dieci anni vivere una situazione del genere? 

“No.” rispondo ancora. “Prendete quello che volete, ma lasciate stare mio fratello!” 

“Che ragazzino coraggioso” ride, una risata malvagia, inumana.

“Pensi che basti il coraggio per risparmiare tuo fratello?” non rispondo.

“Non basta il coraggio, serve anche prontezza, forza, preparazione e tanti altri fattori. Ma tu, piccolo Luke, non hai queste capacità. Sei solo un ragazzino.” 

Ed è tutto vero. Sono debole, ho tanta paura. Vorrei solo che mio fratello non fosse presente.

“Quindi ti insegnerò una cosa: non puoi salvare tutti!” detto questo, alza la pistola e spara. 

Un solo colpo. Poi è tutto al rallentatore e senza nessun rumore. Il mio urlo è silenzioso. Niall cade dalla sedia. Liquido rosso gli bagna lentamente la maglietta del pigiama. E lui, il suo respiro si fa lentamente più pesante. 

Quello che mi spaventa di più è il suo sguardo. Un misto tra paura, disperazione, delusione. L’ho deluso. Non l’ho salvato. 

Mi precipito da lui. “Niall, resta con me, non chiudere gli occhi.”

“Che cazzo hai fatto? Stanotte nessuno doveva morire!” grida un compare al suo capo.

“Ti lascio vivere, ma ti porterai dietro per tutta la vita il ricordo che non sei forte, che non sei in grado di salvare tutti. In questo caso preferiresti morire pure tu.” ride ancora, riferendosi a me.

Poi se ne vanno, con qualche soldo in più, e la vita di mio fratello sulla coscienza.

Io resto immobile, con Niall tra le braccia. “Ti voglio troppo bene per lasciarti andare.” gli dico. I suoi occhi diventano stanchi, pian piano si chiudono. “Luke..” sussurra.

 

“Luke?” il sussurro divenne più deciso. “Luke svegliati!” aprii gli occhi trovandomi Calum davanti. “Stavi gridando…” cercai di capire dove mi trovassi. Lo scivolo, il Parco, Calum. L’avevo sognato di nuovo. “Mio fratello…” cercai di spiegare in un sussurro e lui sorrise comprensivo. Poi mi abbracciò. “Siamo un casino.” mi sussurrò vicino all’orecchio. Restammo abbracciati per molto tempo e lì, tra le sue braccia, mi sentii al sicuro. Io non avrei potuto salvare tutti ma in quel momento lui stava salvando me. La mia debolezza, la mia vera storia, la conosceva solo lui. 

Mi staccai da lui, guardandolo negli occhi. I nostri visi erano così vicini che potevo sentire il suo respiro. Potevo trovare la salvezza con lui? Potevo ricominciare ad amare? Volevo baciarlo, placare tutto quel dolore, sentirmi libero per qualche secondo. Calum aveva incominciato a respirare più velocemente, il viso arrossato. Avvicinai piano il viso al suo. Poi mi fermai improvvisamente. “Non posso.” mi scusai in qualche maniera prima di scendere dallo scivolo ed incamminarmi alla fine del parco ad osservare Sidney. Mi accesi una sigaretta, sperando che Calum non mi raggiungesse. Salvare me avrebbe significato, distruggere lui e solo in quel momento me ne resi conto. “Basta scappare.” non mi girai ma potevo intuire che si trovasse dietro di me. “Anche tu stai scappando.” risposi pentendomene subito dopo. Quelle parole lo ferirono. “Te l’ho detto: siamo un casino. Ma si sente meno dolore in due.” affermò per poi abbracciarmi. Non risposi, mi limitai ad ascoltare il silenzio, e ad osservare le sfumature dell’alba. Non potevo permettermi di provare tutto questo: gioia, felicità, libertà, amore. Perché l’amore rendeva le persone deboli, vulnerabili e io dovevo essere forte. Per Niall. Per Calum. “è tutta una cazzata, Cal. Questo dolore, lo sento ogni giorno, ogni fottuto momento. E non sarà questo abbraccio a portarlo via o una parola o l’amore.” le gambe cedettero e mi inginocchiai a terra, prendendomi il viso tra le mani, incominciando a piangere. Debolezza. “Come potrò salvarti in questo stato?” gli chiesi mostrandogli il mio viso rigato dalle lacrime, dalla disperazione. 

Lui si inginocchiò vicino a me, e con l’indice mi asciugò una lacrima. “Anche tu hai bisogno di essere salvato Luke, possiamo farlo insieme se me lo permetti.” restammo a osservarci per qualche istante poi lui si avvicinò e fece quello che io non avevo avuto il coraggio di fare: mi baciò. Un piccolo, dolce, salato bacio. Sapeva di lacrime, tristezza, supporto, solitudine. Ma sapeva anche di Calum, di amore. “Sarebbe meglio andare, ora.” osservai rompendo quel contatto, quel piccolo momento di libertà. Mi ero già permesso fin troppo.

Quattro anni a cercare di ritrovare l’amore e ora che l’avevo trovata aveva paura. Paura di distruggere tutto. Paura di non essere abbastanza forte per andare avanti. 

“Sai non capisco.” mi rispose fingendo un sorriso. “Prima accetti ad uscire con me, sei stato sveglio tutta la notte per vegliare su di me, ho trovato tutto il coraggio del mondo per baciarti e poi tu.. tu..” cercò le parole giuste per finire la frase ma lo intercettai. “Te l’ ho detto: sono un casino” usai le sue parole ma al singolare. “Guardami solo negli occhi e dimmi che non provi niente per me. Amare non è errato, Luke.” e allora lo guardai negli occhi, indossai la maschera dell’indifferenza, spensi le emozioni. “Non provo niente… Calum.” esitai sul suo nome. “Mi dispiace ma è meglio se mi odi.” risposi tenendo lo sguardo fisso sul suo. Poi lo sorpassai incamminandomi verso l’uscita del parco. “Io ti amo.” lo sentii urlare. Continuai ad avanzare. Una piccola lacrima rigò ancora una volta il mio volto.

 

Trattenni il controllo per tutto il tragitto verso a casa, ma appena varcata la soglia, tirai un urlo dalla frustrazione salii in camera e iniziai a distruggere ogni oggetto che mi capitò a tiro: buttai a terra tutto il materiale sulla scrivania, lanciai qualcos’altro contro il muro, spaccai una delle mie chitarre in due. Presi un portafoto in mano, pronto a lanciare anche quello. Mi bloccai guardando la foto: io, Calum e Niall. Crollai sul letto abbracciando la foto. “Aiutami, Ni. Che devo fare?” 

E in quella mattina di metà settembre, sdraiato su tutto quel casino, anch’io mi sentii un oggetto rotto e la cosa che faceva più male era che non potevo essere aggiustato.

 

Pov. Calum

Aprii la porta di casa lentamente, con paura e ancora la tristezza negli occhi. “Dove sei stato?” riconobbi subito quella voce, la voce del Bastardo. “Fuori.” risposi con tutto l’odio che potevo. “Non rispondere con quel tono a tuo padre, stupido ragazzino.” mi urlò contro. Era ubriaco, puzzava d’alcool e quasi non si reggeva in piedi. “Sai, mi chiedevo, quando avresti smesso di trattarmi come sacco da boxe.” osservai, volevo farlo incazzare, volevo farla finita. Che senso aveva continuare a lottare, a resistere. Non avrei mai risolto niente. Luke aveva rinunciato, io pure. “Sono stato in ospedale, ieri. Avrei potuto denunciarti, forse lo farò oggi, chi lo sa.” lo stuzzicai. “Non hai prove, non ti crederebbero.” rispose prontamente. Si versò ancora del wisky nel bicchiere e lo bevve tutto d’un sorso. “Tu, piccolo, stupido ragazzino, hai bisogno della tua dose perché sei un bambino cattivo. Lo faccio per te.” detto questo mi tirò un destro in pancia. Ottimo. “Forse non hai notato che sono cresciuto, coglione. Non sono un bambino.” sputai e ricevetti la reazione che aspettavo. Si scaraventò su di me con tutta la potenza che aveva, buttandomi a terra e cominciando a pestarmi. Non urlai, non mi ribellai, non sentii nemmeno dolore. Sperai che finisse tutto il prima possibile. 

Iniziai a sputare sangue, a fare fatica a respirare ma non mi importava. Sentii rumore di vetri infranti e capii che il bicchiere di whisky era caduto a terra. Sentii il Bastardo imprecare e alzarsi dal mio corpo sanguinante. 

Tirai un sospiro di sollievo, forse perchè il mio piano era fallito, forse perché ero ancora vivo. 

Sperai che Luke arrivasse, che insultasse il Bastardo e che mi portasse via al sicuro. Ma non sarebbe arrivato, non oggi. Era a distruggersi, piano piano. E non potevo odiarlo, perché quelle parole, dette con così fermezza, erano false. Lui provava qualcosa per me, e al Parco l’avevo capito, il suo sguardo parlava da solo. 

“Non finisce qui, stronzetto.” mi ricordò mio padre. “Non è mai finita, giusto?” gli sorrisi sprezzante. Un ultimo pugno sul viso, poi tutto diventò nero. 
 

SPAZIO AUTORE
Scusate per il ritardo di quasi due mesi, ma sono piena di compiti, verifiche, interrogazioni e tutte quelle cose lì.
Comunque questo è il nuovo capitolo, forse è più corto dell'altro ma è intenso. 
Secondo me mi è uscito abbastanza bene e spero di trasmettervi le stesse emozioni che ho provato io a scriverlo.
Non mi allungo più di tanto, lascio a voi la parola.
A presto, 
Franzy


 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Please, stay. ***


Giorno 3 parte 2

Pov. Luke

Presi il cellulare in mano almeno una quarantina di volte. Andavo sulla rubrica e guardavo il nome ‘Calum’ sul display. Volevo chiamarlo, scusarmi per essere così idiota e stupido e debole e sbagliato e un’altra infinità di aggettivi negativi. Volevo correre da lui e abbracciarlo, stringerlo forte tra le mie esili braccia. Non sarebbero servite parole a noi bastava uno sguardo per capirci. Ci bastava sfiorarci per capire cosa provavamo. E in quel bacio avevo sentito tutta la sua tristezza, solitudine ma soprattutto da quanto tempo avesse desiderato un mio bacio. Provava qualcosa di così potente per me e io non me ne ero mai accorto. 

La scena di poche ore prima continuava a ripetersi ancora ed ancora nella mia mente. “Mi dispiace ma è meglio se mi odi” “Io ti amo.” La voce rotta dal pianto di Calum che ripeteva quelle tre parole in continuazione era un qualcosa di straziante. Non riuscivo a pensare ad altro se non a lui e a come l’avessi ridotto. Volevo salvarlo, almeno lui e invece l’avevo distrutto ancora di più. Presi di nuovo il telefono in mano, avevo solo bisogno di sentire la sua voce. Composi il numero a memoria, cliccai sul suo nome e iniziò a suonare. Uno squillo, due squilli, tre squilli. Rispose al quarto. “Pronto?” disse. La sua voce era quasi un sussurro. Anche se cercava di nasconderlo aveva appena smesso di piangere, o forse stava ancora piangendo. Non risposi. Probabilmente non voleva sentire la voce del ragazzo che l’aveva ridotto così. “Lu… Luke?” tentò ancora. Gli faceva così male pronunciare il mio nome. Appoggiai il viso alla mano libera, pronto a riattaccare. “Non riattaccare, ti prego.” mi fermò proprio quando stavo per schiacciare sul rosso, come se avesse capito cosa volessi fare. 

“Io… so che pensi di essere un disastro, che non riesci a salvare le persone che ami e che sbagli in tutto quello fai. Beh, in questo stai sbagliando.” fece una pausa per poi riprendere. “Sarai anche un disastro ma io… io ho imparato ad apprezzarti, a fidarmi, ad amarti. Luke, io ti amo e non mi importa che fine faremo, se non riuscirai ad aiutarmi con il Bastardo o se io non riuscirò a farti capire che bella persona che in realtà sei. Ieri mi hai chiesto di odiarti e mi hai voltato le spalle. Anche se volessi non potrei odiarti perché quel gesto, ti conosco troppo bene, era in realtà il tuo modo di dire ‘per favore resta’. Luke, starmi lontano non cambierà la mia situazione, può solo peggiorare. Ma se ci aiutiamo a vicenda forse riusciremo a sopravvivere a questo inferno. Quindi adesso te lo chiedo io… per favore, resta.” 

Una lacrima mi rigò la guancia, poi un’altra e un’altra ancora. Dio, se lo amavo. In quel momento ne fui certo e mi promisi di salvarlo da tutti i suoi problemi, ce l’avrei fatta, potevo essere forte per lui. Aveva ragione, lasciarlo adesso da solo avrebbe solo peggiorato la situazione. E in quel momento mi ritrovai a pensare che cosa avesse fatto dopo che l’avevo lasciato solo. Era andato dal Bastardo probabilmente. Aveva preferito soffrire fisicamente piuttosto che psicologicamente. Non sarebbe più successo. Ora sapevo davvero cosa fare. 

Potevo ricominciare ad amare, questo è quello che avrebbe voluto mio fratello. “Resto.” fu l’unica cosa che riuscii a dire e a lui bastò. Immaginai il suo sorriso allargarsi sul viso sporco di lacrime e sorrisi a mia volta. Eravamo solo noi due contro il mondo. Chiusi la chiamata, tenendo il cellulare al petto. Osservai il soffitto bianco della mia camera rimanendo sdraiato sul letto per qualche minuto. Poi mi alzai incominciando a sistemare il casino che avevo fatto. Raccolsi i fogli sparsi per tutta la camera, le penne, le matite, la lampada distrutta, la chitarra spezzata in due. Mi accorsi in quel momento che nella stanza c’erano anche vetri, acqua e palline di polistirolo sparsi sul pavimento e  poi mi finì in mano la palla di neve di Niall. Di intatto era rimasto solo il pupazzo di neve e i due bambini all’interno della palla di vetro che ora non esisteva più. Avevo distrutto una delle cose più preziose che avevo. Uno dei migliori ricordi che avevo di lui. 

 

25 Dicembre 2010

“Sveglia, sveglia fratellone!” Niall si scaraventò sul mio letto come una furia, saltò, mi tolse le coperte e mi urlò nelle orecchie. Provai a scacciarlo, a mettermi il cuscino sulla testa e borbottare qualcosa di incomprensibile ma fu tutto inutile. “Ok, hai vinto Nialler!” dissi aprendo lentamente gli occhi e guardando l’ora sulla sveglia: 00.05. Era solo mezzanotte. Che ci faceva in piedi a quest’ora? “é Natale, Luke!” affermò osservando il mio sguardo sorpreso. Allora gli sorrisi perché sapevo quanto lui adorasse il Natale, quanto aspettava con ansia scendere in salotto e scartare i regali, abbuffassi di cibo e stare in famiglia. “E tu sai cosa succede a Natale, quando svegli il tuo adorato fratellone?” gli chiesi cercando di fare la faccia più seria possibile. Lui mi guardò preoccupato, per poi fare ‘no’ con la testa. Non gli risposi gli presi le braccia e lo bloccai sotto di me per poi cominciare a fargli il solletico. Niall cominciò a ridere di gusto implorando pietà, e io risi insieme con lui, felice, dimenticandomi che fosse mezzanotte e che ero appena stato ‘brutalmente’ svegliato. Quando incominciarono a scendergli le lacrime per il troppo ridere, smisi di fargli il solletico e ci sdraiammo uno affianco all’altro. “Ti voglio bene, Luke.” mi disse dopo due minuti di silenzio. “Non te ne andrai mai, vero?” lo guardai confuso da quella domanda, mi alzai su un gomito, gli spettinai i capelli sorridendogli. “Ti voglio troppo bene per andarmene.” lui continuò a guardarmi serio. “Prometti?” chiese ancora. “Prometto.” gli diedi un bacio sulla fronte e poi mi alzai. “Andiamo a vedere cos’ ha portato Babbo Natale” gli offrii la mano e insieme scendemmo le scale. 

Appena Niall vide i regali sotto l’albero, liberò la sua mano dalla mia e corse verso di loro. Ne prese uno in mano, e senza leggere il biglietto me lo porse. “Questo è per te.” rispose tutto sorridente. “Te l’ ho fatto io.” affermò entusiasta. Osservai allora la piccola scatolina e poi lui. Continuava a guardarmi agitato, aspettando che lo aprissi. Strappai la carta e aprii la scatolina. All’ interno c’era una palla di neve. Due bambini stavano costruendo un pupazzo di neve. La scossi e la neve fatta di polistirolo cominciò a scendere. “Siamo io e te” affermò riferendosi ai due bambini. “è bellissimo!” esclamai abbracciandolo. Niall allora si rilassò e ricambiò forte l’abbraccio. 

 

La suoneria dei messaggi mi riportò alla realtà. Appoggiai la palla sul comodino e presi il telefono. Sbloccai lo schermo e guardai il messaggio: era di un numero sconosciuto. 

-Ciao, sono Ashton, il batterista. Calum mi ha dato il tuo numero un paio di giorni fa. Dovevamo vederci per le prove ma non vi siete fatti vivi. Volevo solo sapere se avete cambiato idea.-

Mi ricordai di quando eravamo andati al teatro per fare le prove con questo tipo ma eravamo uscii poco dopo per portare Calum all’ospedale. Mi sembrava che fosse passata un’eternità da quel giorno.

-Ciao Ashton. Abbiamo avuto dei problemi. Sento Calum e poi ti faccio sapere.-  

Misi il telefono in tasca, mi cambiai i vestiti e uscii diretto verso casa Hood.

 

Arrivato sotto casa sua, esitai a bussare. Avevo fatto la strada quasi correndo, quasi spaventato che uscisse di casa. E ora ero spaventato di trovarlo in pessime condizioni per colpa mia. Mi abbassai il capellino sugli occhi e presi il pacchetto delle sigarette. L’aprii e imprecai quando scoprii che le avevo finite. Allora mi decidi a bussare, tre colpi decisi. Poco dopo la porta si aprì e Calum mi si buttò addosso abbracciandomi forte. Rimasi immobilizzato mentre il mio cuore iniziava ad accelerare. “Non te ne andare mai più.” sussurrò appoggiando il viso sulla mia spalla. Mi spostai da lui prendendogli il viso tra le mani. Lo guardai negli occhi e gli pulii il volto con le dita. “Non me ne vado” gli risposi. “Non più” poi lo baciai delicatamente sulla labbra. Un bacio semplice, spontaneo. Mi staccai solo qualche secondo per fissarlo di nuovo negli occhi e sorridergli dolcemente. Quando spostò il suo sguardo sulle mie labbra ripresi a baciarlo con più passione sentendomi finalmente libero. Libero di amare ed essere amato. Libero di poter finalmente vivere. Avanzammo all’interno della casa, chiusi la porta con un piede e mi ci appoggiai con la schiena, tenendo Calum stretto a me, senza lasciare il contatto con le sue labbra. Poi si staccò avvertendo dolore alla pancia. “Ti giuro che gliela farò pagare, Calum.” gli sussurrai a fior di labbra. “Gliela farò pagare.” ripetei ancora, promettendo che l’avrei salvato. “Grazie Luke, grazie di esistere.” 

 

SPAZIO AUTORE
Buon Natale a Tutti! 
Eccomi qua con un nuovo capitolo completamente pov. Luke.
Il biondino si è finalmente deciso a salvare Calum standogli vicino e permettendosi di amare. 
Quindi corre da Calum e gli promette di non lasciarlo mai più.
C'è anche un flashback natalizio con Niall e vi avviso che forse ce ne saranno altri con lui e Luke. 
Vi auguro ancora Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutti quanti e vi ringrazio di cuore per 19 recensioni e per aver messo la mia storia tra le seguite/ricordate/piaciute.
All' anno prossimo,
Franzy :)
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2849437