Himeros

di JeckyCobain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non sarà mai come vuoi tu! ***
Capitolo 2: *** Cioccolata per le orecchie ***
Capitolo 3: *** My heart leaps up ***
Capitolo 4: *** Pink Lady ***
Capitolo 5: *** Orgoglio e Pregiudizio ***
Capitolo 6: *** Maybe I'm in love ***
Capitolo 7: *** I can't pretend ***
Capitolo 8: *** Immortals ***



Capitolo 1
*** Non sarà mai come vuoi tu! ***



 

Non sarà mai come vuoi tu!


«Robert!» Alice ansimava. «Ehi, aspetta!» disse ridendo.

«Alice!» rise lui. «Sapevo che dovevo sposare una ragazza diversa»

«Cosa?» motivata dalle sue parole corse verso di lui più velocemente, e quando arrivò al punto in cui si trovava gli diede un leggero bacio sulle labbra.

«Un'altra ragazza, eh?» ansimò nuovamente per la fretta. «Dimmi dove la trovi un'altra ragazza come me, vecchio come sei»

«Non sono poi così vecchio!» replicò lui.

Si trovavano alla fine della “Cordonata”, la scala di accesso alla piazza del Campidoglio. Alice amava la città di Roma tanto quanto la amava Robert, ma essendo Italiana ogni volta che andavano a visitarla si sentiva a casa.

«Ogni volta che torno qui non mi sembra vero di essere veramente sposata con-» Alice si bloccò e non finì la frase, perché improvvisamente rimase sola. Robert era sparito. Intorno a lei c'erano solo volti sconosciuti e le ragazze sembravano guardarla con occhi iniettati di sangue.

Ad un tratto un vecchio basso e dal volto crudele le si avvicinò e con forza le tirò la gonna. Alice cominciò ad urlare ma nessuno sembrava sentirla, nonostante la piazza fosse gremita. Gli occhi del vecchio erano circondati da occhiali di marca, e i suoi occhi rossi si vedevano attraverso le spesse lenti. La statua equestre di Marco Aurelio sembra osservarla e giudicarla con quegli occhi apparentemente privi dell'iride, ma che, se guardati da più vicino, si poteva notarle risplende sotto il caldo sole che brillava su Roma.

Ad un tratto si sentirono degli squilli, sempre più forti, incessanti, forse le sirene della polizia: qualcuno si era accorto che la ragazza era in pericolo e dovevano aver chiamato i soccorsi. “Grazie a Dio!” pensò Alice, sollevata. Ma dopo quelli che sembravano interminabili secondi nessuno sembrava arrivare. Il vecchio dagli occhi rossi, che nel frattempo si era allontanato per pochi secondi, forse spaventato dalle sirene, tornò all'attacco. Questa volta le afferrò il busto e la trascinò verso terra.

Alice si sentì sprofondare e cominciò a urlare, ma nessuno la sentiva, nonostante il rumore degli squilli si facesse sempre più forte. Poi, d'un tratto, tutto divenne scuro.

 

Alice si svegliò di soprassalto. “Era solo un sogno” pensò ansimante. Guardò la sveglia che continuava a trillare sul comodino. Le 6.40. Era già in ritardo di 10 minuti, ma dopo quel brutto sogno le sarebbero serviti almeno altri 15 minuti per riprendersi. Per fortuna le lezioni non cominciavano prima delle 8.00, infatti per sicurezza impostava sempre la sveglia in modo da poter fare tutto con calma.

«Ma come mi salta in mente di sognare il professore di simbologia?» Mormorò tra sé e sé. Nonostante tutto quello che aveva sognato, l'unica cosa che ricordava era il suo professore di simbologia e iconografia religiosa: il professor Robert Langdon.

Nel sogno erano sposati, probabilmente sarebbe stato quello che tutte le ragazze della facoltà avrebbero desiderato, Alice compresa. Peccato per il finale, che avrebbe voluto cancellarlo all'istante. Non era la prima volta che faceva incubi del genere, e anzi, purtroppo ne faceva anche troppo spesso.

Tirò un lungo sospiro, pensando che sì, era stato tutto un sogno, ma camminare per le vie di Roma assieme a Robert sarebbe stato davvero fantastico.

Si alzò con fatica dal letto, scostando le coperte bianche, e con stanchezza si tirò in piedi. Si mise le pantofole e la vestaglia e andò in cucina, dove la sua coinquilina stava già preparando il caffè, il cui forte aroma si espandeva per tutta la casa.

«Buongiorno Alice!» esclamò con brio la rossa al pianterreno, sollevando la padella dei pancake «Dormito bene?».

Bettany McAvoy era una frizzante ragazza del corso di studi medievali, facente parte della medesima facoltà di Alice: la prestigiosa facoltà di arte e scienze di Harvard.

Bettany, spesso chiamata anche Betta, o Bet dagli amici, aveva ricci capelli rosso fuoco, e uno sguardo sbarazzino e prorompente, che si irradiava dai graziosi occhi verdi.

Lei e Alice avevano molto in comune, nonostante lei non aveva compiuto una traversata oceanica per partecipare ai corsi della prestigiosa università, ma si era semplicemente trasferita dal Kansas.

«'nsomma» rispose Alice con la voce ancora impastata dal sonno. Afferrò la tazza di latte caldo e Nesquik che Bet le aveva preparato.

Ormai era il secondo anno che abitavano assieme, e Bettany conosceva bene i gusti di Alice.

«Come mai, tesoro? Brutti sogni?» era solita chiamarla “tesoro”, ma lo faceva un po' con tutti, era una sua caratteristica.

«Già» sospirò Alice stiracchiandosi prima di cominciare a sorseggiare il suo latte «Se essere sposate con il professor Langdon ma essere brutalmente abbandonate a Roma può essere considerato brutto allora sì.»

Bet trattenne una risata. Sapeva bene della cotta di Alice verso l'attraente professore di simbologia, e ormai era abituata alle sue solite chiacchiere e fantasticherie su di lui.

«Ancora Robert?» sorrise addentando un pancake.

«A quanto pare» sospirò la bionda, in risposta. Finì il latte nella sua tazza con Sheldon Cooper, e la posò nel lavabo. Cercò nella credenza la marmellata di fragole, la sua preferita, e si sedette a tavola a mangiare i pancake, non prima però di essersi stiracchiata mostrando la pancia piatta e invidiata da molte ragazze.

Bet sospirò «Sempre la solita sei» le porse un piatto pulito. «Lo sai bene che il professore non ti noterà mai. Cioè sì okay, ti ha già notata, ma non significa che se ti parla nel tempo libero sia necessariamente interessato a te».

Alice alzò le spalle. Con la testa china sul piatto e gli occhi azzurri ancora assonnati continuò a mangiare imperterrita. Per quanto le volesse bene, Bet era un'inguaribile guastafeste.

«Insomma, Alice» continuò lei «Non è per smontarti, o distruggere i tuoi sogni, ma lo sai che le relazioni tra insegnanti e alunni, nonché essere vietate, sono alquanto pericolose e... impossibili»

Alice detestava quella parola. “Impossibile” non rientrava nel suo vocabolario. E nonostante detestasse il fatto che le piacesse proprio lui, non riusciva a toglierselo dalla testa. Era inevitabilmente innamorata del suo professore.

Era passato più di un anno dalla prima volta in cui lo incontrò; un anno dal primo giorno in cui ebbe lezione nella sua aula. Quella suadente voce baritonale, e quei magnetici e penetranti occhi azzurri che fin dal primo momento l'avevano catturata. E quel suo modo di parlare estremamente affascinante che la rapiva ad ogni spiegazione lo rendevano l'uomo perfetto. Nonostante quarantenne e con i capelli neri cosparsi da qualche ciuffo bianco, sapeva che l'animo del suo amato professore era ben più giovane di quel che dimostrava. Alice aveva letto tutti i suoi scritti, e spesso e volentieri conservava i ritagli di giornale in cui appariva. E anche li era dannatamente bello: il suo sguardo seducente la fissava dalla copertina della rivista del mese scorso, in cui raccontava della sua ultima avventura tra Firenze, Venezia e Istanbul, sulle tracce di un misterioso virus.

“Mi sarebbe piaciuto essere con lui” pensava spesso Alice “Avrei potuto fargli da guida, conosco l'Italia meglio di qualsiasi altro luogo al mondo”.

Alice infatti era nata e cresciuta in Italia, la sua amata Italia, culla dei più grandi artisti rinascimentali, delle coste illuminate dal sole e bagnate dall'acqua cristallina del mediterraneo, ma sopratutto, il paese con la miglior cucina del mondo. Purtroppo, a dispetto delle apparenze per cui era conosciuta, l'Italia non era un paese in cui si poteva far fortuna, e così, dopo il diploma, la ragazza si era trasferita in America, sperando di poter tornare nel suo bel paese con qualche soldo e conoscenza in più. Aveva cominciato lavorando in bar e locali alla moda di New York, e la sua abilità di artista l'aveva aiutata a fare qualche soldo extra vendendo opere che creava nel tempo libero. E proprio in quel periodo aveva deciso di mettersi alla prova per ottenere la borsa di studio per l'università di Harvard: ogni anno ne mettevano in palio diverse per studenti privi di cittadinanza Americana, e lei, con il suo Q.I. leggermente superiore alla media, aveva ottenuto risultati eccellenti.

Si era presa un appartamento a Boston, esattamente all'interno del College, poiché le venivano offerte vantaggiose offerte non essendo della zona, e sopratutto lì, tra le mura di Harvard, si sentiva più sicura che non tra le affollate vie di New York.

Bettany non l'aveva scelta lei come coinquilina, ma ben presto erano diventate amiche, e condividevano molto assieme: dopo solo poco tempo assieme si sentivano già come sorelle.

«Comunque è ora di andare» disse Alice distogliendosi dai suoi pensieri più profondi. Osservò l'orologio da polso e soffocò una risata. Giusto il mese prima aveva notato che il professore ne portava uno esattamente uguale, con le braccia di Topolino che segnavano l'ora.

Aiutò Bet a sparecchiare, poi si diresse in bagno, e dopo una doccia veloce, andò in camera a vestirsi. Quella mattina indossava un semplice vestitino rosa, il suo colore preferito, una giacca in jeans e delle calze fino al ginocchio nere. Si fece la coda, indossò i mocassini e afferrò lo zaino in pelle nera: era pronta per andare.

«Bet, io vado!» disse guardando nervosamente l'ora. Aspettare la coinquilina era un'impresa infinita ogni volta, ci metteva secoli solamente a truccarsi, quando ad Alice bastava un po' di mascara ed era pronta.

«Va bene, buona giornata, tesoro!» si sentì urlare dal bagno.

Alice prese le chiavi di casa dal piattino all'ingresso e chiuse la porta alle sue spalle.

Una volta fuori prese il cellulare per controllare le mail, e nel momento in cui si infilò le cuffiette per ascoltare la musica, notò che la batteria del telefono era scarica. «Merda!» imprecò a denti stretti. Era convinta di averlo caricato la sera prima, ma evidentemente il cavo non era attaccato bene alla corrente.

Buttò il telefono in borsa: per quel giorno niente e-mail e musica.

Non era abituata a fare la strada per l'aula senza musica, lo trovava noioso, sopratutto perché la mattina presto a quell'ora non c'era nessuno nei paraggi con cui parlare. Lei andava sempre là prima per il semplice fatto che le piaceva sedersi fuori sui gradoni, o nell'aula vuota, in silenzio, a leggere uno dei suoi adorati romanzi, senza nessuno che la disturbasse. E poi, ovviamente, il primo ad entrare in aula era sempre Robert Langdon. Era bello poter scambiare due chiacchiere con il professore prima che l'orda di studenti (e studentesse, sopratutto) si posizionassero ai loro posti per cominciare la lezione.

Ogni tanto la fermava anche per i corridoi durante il week-end, quando le lezioni non c'erano, e cominciavano a parlare dei romanzi che leggeva prima delle sue lezioni, o dei film che sarebbero usciti nelle settimane a seguire.

Erano conversazioni che però faceva con tutti i suoi studenti, e nonostante in quei pochi secondi Alice si sentisse speciale per lui, sapeva che in fondo non gli interessava nulla di lei.

Dopotutto era una giovane ragazza ventenne, e lui era troppo grande, sofisticato, e intelligente per una come lei.

E poi bello com'era poteva avere tutte le donne che voleva, perché avrebbe dovuto scegliere proprio lei? Sapeva bene che aveva la fama di esser stato con diverse donne, ma nonostante tutto avesse scelto la vita dello scapolo.

All'improvviso un rumore la distolse dai suoi pensieri. Non capiva da dove proveniva, ma non c'era nessuno nelle vicinanze, quindi... cosa poteva essere?

Si guardò intorno ma non vide nulla. Un secondo dopo eccolo di nuovo: una specie di fruscio, proveniente dalla sua destra. Lo ascoltò attentamente ancora una volta, e si rese conto che non era un fruscio, ma bensì un dolce sciabordare di acque.

Quando capì da dove proveniva si diresse a vedere: le sembrava impossibile che la piscina fosse utilizzata da qualcuno a quell'ora del mattino.

Eppure non immaginò nemmeno lontanamente quello che vide una volta che arrivò lì: il professor Robert Langdon stava nuotando energicamente nella piscina della scuola. Alle 7.30 della mattina, un'ora abbondante prima dell'inizio delle lezioni.

Alice avvampo' di colpo, e, senza nemmeno pensarci, entrò nella piscina al coperto. Si fermò negli spogliatoi e si ravviò i capelli biondi dandosi un'occhiata alo specchio. Il sonno e i brutti sogni si erano improvvisamente dileguati dal suo viso: era forse stata la vista del professore?

Guardò un po' in giro e vide, appeso ad un appendi abiti, l'accappatoio del professore. Lo afferrò e si diresse all'ingresso della piscina.

Era vicina al bordo quando il professore finì le sue 50 vasche giornaliere e alzò lo sguardo su di lei, togliendosi la cuffia e mostrando i capelli sale e pepe piacevolmente bagnati.

La guardò stupito dai suoi occhi azzurri e ad Alice saltò un battito, ma si sforzò di non fare facce strane.

Continuò a sorridere, e allungando la mano disse «Buongiorno professore, già sveglio di prima mattina?»


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Angolo autrice:
Ebbene, ciao a tutti! Sono tornata dopo secoli a pubblicare qualcosa su EFP nonostante non abbia più finito JHRH, e mi scuso, appena avrò tempo lo concluderò! >< semplicemente mi premeva scrivere qualcosa du Robert Langdon per dare sfogo alle mie fantasie (eh sì, dai ci sta). Quindi anche se non avrò tempo di aggiornare comincio questa avventura, sperando che qualcuno la legga (anche se non c'è quasi nessuno nel fandom di Dan Brown sobsobsob)
Eee niente, per chi l'ha letto il cognome McAvoy l'ho preso dalla protagonista della mia precedente fan fiction "Jokes have red hair".
Per quanto riguarda gli orari e tutto ciò che ho scritto riguardo i luoghi, cerco di attenermi il più possibile alla realtà, sopratutto per quanto riguarderà accenni a fatti storici ecc.
Bbbenee, per quanto riguarda la protagonista l'unica cosa che abbiamo in comune è il nome, i capelli e gli occhi, stop. Non sto scrivendo di me, ve lo dico già.
Beneee, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ci vediamo se decido di aggiornare! See yaa! c:

Alli / Jecky 

p.s: La PV che ho usato per Alice è Ebba Zingmark, una modella e fashion blogger. Anche se il suo colore di capelli non è uguale a quello di Alice nei banner che metterò glieli modifico a photoshop di solito ahah, è proprio carina ed era un sacco che volevo usarla per qualche storia! Spero piaccia anche a voi :3

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Capitolo 2
*** Cioccolata per le orecchie ***


Cioccolata per le orecchie
 

Robert era solito alzarsi presto la mattina, alle 5 o alle 6 di solito, per recarsi nella grande piscina di Harvard e fare le sue 50 vasche giornaliere. Nessuno sapeva di questo suo “passatempo”, per così chiamarlo, a parte qualche collega che gli dava puntualmente del pazzo per alzarsi così presto la mattina. Lui lo faceva semplicemente per mantenersi in forma, infatti il suo fisico, nonostante ormai stesse invecchiano, era ancora piuttosto muscoloso, e, a detta di molte colleghe e ammiratrici, molto sexy.

Quella mattina tutto si sarebbe aspettato fuorché di trovarsi di fronte una sua studentessa: Alice Bellini era una degli studenti più brillanti del suo corso, nonché una dei pochi che erano passati all'esame di ammissione per studenti stranieri. Non solo era intelligente oltre la media, ma aveva anche un'incredibile intuito, e un gusto per la letteratura e il cinema che raramente si trovava nei ragazzi della sua età.

Robert alzò lo sguardo sulla ragazza che gli tendeva la mano dal bordo della piscina «Buongiorno professore, già sveglio di prima mattina?» disse sorridendo.

«A quanto pare» rispose lui stringendole la mano. «Come facevi a sapere che ero qui?» aggiunse poi.

La ragazza gli porse l'accappatoio. «Ero per strada quando sono stata attratta dal rumore dell'acqua proveniente dalla piscina, e pensando ci fosse qualcuno di sospetto ho voluto venire a controllare. Non mi sarei mai aspettata di incontrare proprio lei, professor Langdon.» rispose con tranquillità, come se fosse una cosa normale sorprendere il proprio professore durante un allenamento alle sette della mattina.

«Oh, okay» ridacchiò lievemente Robert. «Quindi suppongo che ora dovrò offrirti la colazione» concluse rivolgendole un sorriso affascinante.

Sapeva bene che attirava sempre le studentesse più giovani, e per gentilezza cercava sempre di accontentarle in modi che non comprendessero il contatto fisico, solamente per far si che si accorgessero da sole che lui non era minimamente interessato al rapporto con una studentessa spesso e volentieri molto più giovane di lui.

Alice emise una risata cristallina «La ringrazio» disse «Ma ho già fatto colazione»

Robert ci rimase un po' male: era la prima volta che veniva rifiutato così da una studentessa. “Evidentemente non è attratta da me, per fortuna” pensò, sollevato.

«Allora permetti almeno a me di andare a fare colazione?» riprese con un sorriso «Prima ovviamente di accompagnarti a lezione”.

«Se proprio insiste» rispose Alice facendo spallucce.

“Che ragazza strana» pensò Robert mentre entrava nello spogliatoio e guardava Alice andare verso la sala d'accoglienza, nella direzione opposta “Che sia quello che chiamano genio e follia?”.

La osservò ancora per qualche istante prima che si dileguasse oltre la porta: la lunga coda biondo cenere ondeggiava sulla schiena, accompagnata dai movimenti fluidi ed eleganti dati dalle lunghe gambe, magre e pallide. La schiena era coperta da una giacca in jeans decisamente più grande di lei, che finiva poco prima del sedere, non troppo grande ma sicuramente evidenziato dal vestitino rosa, che lasciava trasparire appena la biancheria in pizzo bianca.

“Ma cosa sto facendo?” Robert si scosse dai suoi pensieri e, imbarazzato da tali, andò a cambiarsi velocemente.

Quando uscì con la sua giacca di Harris Tweed sotto braccio e la borsa in spalla, vide Alice seduta su una delle panchine rosse all'accoglienza, china su un libro. Lo chiuse di scatto e alzò lo sguardo irriverente su di lui, sorridendogli: aveva occhi azzurri, quasi grigi, carichi di voglia di imparare e conoscere. Esattamente il tipo di studente che Robert apprezzava avere in classe.

«Allora, che ci facevi in giro a quest'ora?» chiese lui aprendole la porta da vero gentiluomo.

«Oh, be'» cominciò Alice, prendendo assieme a Robert la via per la caffetteria. «Di solito mi sveglio molto presto perché amo starmene tranquilla in classe finché non comincia la lezione»

«Come mai, se posso chiedere?» domandò, desideroso di non sentirsi dire qualcosa come “lo faccio per lei, professore” come gli era capitato già troppe volte.

«Semplicemente perché la mia coinquilina fa troppa confusione» fu la risposta secca di Alice «sopratutto quando rimane a dormire il suo ragazzo, se capisce cosa intendo» aggiunse a bassa voce con una risata.

Lui fece un sorriso divertito. “Non era un allusione a qualcos'altro quella, vero?” si trovò a pensare.

«E quindi non riesco a leggere in pace» concluse Alice con un'alzata di spalle.

Internamente Robert tirò un sospiro di sollievo. «Ecco perché sei sempre la prima ad arrivare in classe» ridacchiò evidentemente sollevato.

«Esattamente» rispose la ragazza con un sorriso dolce. “È troppo intelligente e matura per innamorarsi di un vecchio come me” pensò Robert, non sapendo che in realtà nella ragazza di fronte a lui si trovavano un tumulto di emozioni tenute a bada da un'incredibile autocontrollo e forza di volontà.

Quando arrivarono alla caffetteria lui ordinò una brioche alla crema e un cappuccino: gli piacevano i gusti più “classici” piuttosto dei pancake o delle uova, come la maggior parte degli americani.

«Sicura di non volere nulla?» chiese appena arrivarono le pietanze al tavolo.

Alice si destò dai suoi pensieri: stava guardando assorta fuori dalla finestra. “Chissà a cosa starà pensando?” si domandò Robert.

«Oh, no, la ringrazio» rispose sorridente lei.

«Le piace la colazione tipica europea, eh, professore?» aggiunse poi, dopo alcuni secondi di silenzio.

Robert rimase stupito dal suo spirito di osservazione ed intuito, e annuì, felice di questa sua perspicacia. «Hai indovinato, Alice» disse rivolgendole un dolcissimo sorriso.

 

Molte studentesse lo dicevano, ma ogni volta che lei sentiva pronunciare il suo nome, si rendeva conto che quell'aggettivo era più che adatto a ciò che sentiva scaturire da quelle labbra: la voce del professor Robert Langdon era cioccolata per le sue orecchie, in quel momento e sempre.

«Hai indovinato, Alice»


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Ciao a tutti! *0*/
Per chi ha già letto la storia bentrovati, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! >u<
Non pensate che il fatto che un prof offra la colazione a un suo studente sia tanto strano, una volta mi è capitato ma ho rifiutato per gentilezza xD
Ah già, ho messo i banner sia su questo capitolo che quello precedente, se volete andarli a vedere ditemi che ne pensate! -v-
Un bacione e grazie a chi legge o recensisce! :3

Alice

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Capitolo 3
*** My heart leaps up ***



My heart leaps up

 
My heart leaps up when I behold // Il mio cuore fa i salti di gioia, quando vedo
A rainbow in the sky // Un arcobaleno nel cielo
So was it when my life began // Così era quando iniziò la mia vita
So is it now I am a man // Così è adesso che sono un uomo
So be it when I shall grow old // Così sarà quando sarò vecchio
Or let me die! // O lasciami morire!
The Childe is father of the Man // Il Bambino è il padre dell’Uomo
And I could wish my days to be // E io potrei sperare che i miei giorni siano
Bound each to each by natural piety. // Uniti ciascuno all’altro da pietà naturale.
(William Wordsworth - My heart leaps up)

 
 

Fu una delle mattinate più felici che Alice avesse mai vissuto da quando si era trasferita al campus: dopo la colazione erano andati insieme in aula e per strada avevano parlato dei loro interessi, come sempre riguardanti il cinema e la letteratura. Robert le disse che era al lavoro su un nuovo libro, e Alice rispose che non avrebbe visto l'ora di leggerlo. In compenso, nel frattempo, stava assaporando un thriller davvero avvincente, il suo genere preferito, e lo consigliò al professore che accolse felicemente quel consiglio.

Si scambiarono molte occhiate complici durante quei pochi passi verso l'aula, o almeno ad Alice sembrava così, ma sembrava non essere lo stesso per Robert, che ricambiava i suoi sguardi solamente per cortesia.

Quando entrarono nella stanza deserta Alice prese posto in prima fila, come al solito, e Robert si sedette alla cattedra non molto distante, pronto a cominciare la lezione.

La giovane studentessa cominciò a tirare fuori i libri, lottando contro il primordiale istinto di gettare le braccia al collo dell'affascinante professore. A trovarsi lì con lui, da soli, le venivano in mente un milione di modi per baciarlo, come vedeva nei suoi telefilm preferiti. Ma era consapevole che erano tutta una finzione e che quelle cose non sarebbero mai accadute. Era questo il suo più grande cruccio: la continua lotta tra istinto e ragione che la tormentava e che infuriavano al suo interno. Era una ragazza posata e intelligente, ma una sognatrice e romantica in prima regola: sognava un amore incondizionato con l'uomo perfetto, che condivideva le sue passioni, le sue pazzie, e che riuscisse a vedere il suo essere stravagante e apprezzasse i suoi difetti, che nascondeva dietro la facciata della brava ragazza diligente a scuola e dedita al lavoro. Quello che voleva non era sicuramente vivere fino alla fine dei suoi giorni a occuparsi di bambini dentro casa, sposata con un uomo che non la soddisfasse dal punto di vista culturale. Lei puntava in alto, puntava ad una vita dedita al lavoro, una vita da donna indipendente, di prestigio e con un lavoro degno di tale appellativo. Il suo sogno era quello di lavorare per grandi imprese Californiane, magari come grafica o designer, o perché no, anche lavorare come illustratrice non le sarebbe dispiaciuto. Per questo motivo e per altri se ne era andata dall'Italia: per cercare la sua indipendenza. Ed è anche questo il motivo per cui non si era mai sentita in grado di affrontare una relazione per così dire “seria”.

Fino al momento in cui non aveva incontrato Robert. Lui era tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare: bello, intelligente, affascinante, amante dell'arte e della letteratura, dei viaggi e di tutto ciò che è bello. E poi era elegante, educato, cortese: un vero gentiluomo, un uomo di altri tempi. Era la prima persona che apprezzava in tutto e per tutto, e con cui avrebbe desiderato passare il resto della sua vita. Nessun altro l'aveva mai condizionata a tal punto da farle pensare che avrebbe potuto rinunciare ai suoi sogni per essa, finché non trovò lui.

Ma sarebbe stata disposta veramente ad abbandonare i suoi sogni per lui? Alice se lo domandava spesso ma non riusciva a trovare una risposta vera e propria: preferiva non pensarci, anche perché sapeva che questi pensieri non l'avrebbero portata da nessuna parte. D'altronde non l'avrebbe mai notata come una donna, ma solo come una studentessa.

La lezione cominciò pochi istanti dopo, destando Alice dai suoi pensieri più profondi. Assimilò l'intera lezione con occhi sognanti e sguardi languidi rivolti al professore: era una fortuna che le luci fossero spente per facilitare  la visibilità delle diapositive, altrimenti si sarebbe vergognata lei stessa per quel suo modo di guardarlo. Pensò che probabilmente a lui non sarebbe cambiato un bel niente, era sicuramente abituato a certi sguardi da parte delle altre studentesse; ma lei non voleva sembrare una delle tante. Per quello fino a prima aveva tenuto un atteggiamento distaccato e quanto più possibile freddo, come se la presenza di Robert non le suscitasse alcuna emozione. Sapeva bene che se il bel professore avesse saputo della sua cotta non le avrebbe mai più parlato come faceva ora, e lei non voleva che questo accadesse.

Quando la campanella suonò e ci fu il cambio d'aula avvenne qualcosa di improvviso. Il professor Langdon aveva appena finito di sistemare alcune cose, e indossando la giacca pronunciò quel nome: “Alice”.

La ragazza, ormai sulla soglia, si girò di scatto, cercando di non mostrare apertamente che il suo cuore aveva appena fatto un giro della morte completo. “Sì, professore?” rispose lei.

“A proposito di quanto successo stamattina...” cominciò Robert, suscitando in Alice un'infinità di dubbi su cosa poteva aver fatto di sbagliato. “Vorrei che non dicessi a nessuno che mi vengo ad allenare nella piscina della scuola di mattina, sai com'è, mi piace stare tranquillo per quel paio di ore in cui nuoto”.

Alice annuì con un sorriso forzato, cercando di nascondere la delusione: quelle parole potevano significare solo una cosa, ovvero che non la voleva più tra i piedi.

“Sarà il nostro piccolo segreto, okay?” aggiunse poi facendole l'occhiolino. Queste parole sorpresero Alice, che si ritrovò con un barlume di speranza riacceso, e persino Robert, che si sorprese a pronunciarle.

“Non si preoccupi prof, non avrei avuto alcun motivo per dirlo ad altri, in ogni caso”. Rispose pragmaticamente Alice nascondendo i suoi veri sentimenti.

Insieme uscirono poi dall'aula chiacchierando sulle lezioni che avrebbero dovuto affrontare nelle ore a seguire. Parlare con Robert era sempre bello, con nessun'altra persona riusciva a chiacchierare così tanto e avere sempre un argomento in comune da condividere.

Il resto della mattina comunque, passò in un soffio, nonostante non vide più il professore, se non di sfuggita durante la pausa pranzo.

Quella sera però, Alice non riusciva a prendere sonno. Continuava a rigirarsi fra le coperte candide alla ricerca di qualcosa, senza capire cosa. Stringeva a sé il cuscino in cerca un conforto inesistente.

Pensò e ripensò per ore a tutto ciò che era successo quella mattina, le parole, gli sguardi del suo amato professore. Le sue mani che si stringevano nell'attimo in cui lo aiutava ad uscire dalla piscina. Non era certo la prima volta che parlavano così allegramente e a lungo, ma era la prima volta che condividevano qualcosa di così profondo come un segreto. Un segreto che era solo loro, e di nessun altro. Non lo avrebbe mai raccontato nemmeno a Bet, a cui di solito raccontava tutto.

Tutto quello che era successo non era niente ma al contempo era tutto. Quella sera Alice prese sonno molto tardi, pensando a tutto e a niente.

 

Nel frattempo, nella sua sontuosa camera da letto, il professor Robert Langdon si gustava una tisana di tè alla frutta, prima di stendersi a letto, e non riuscire a chiudere occhio per le ore seguenti.

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Salve a tutti! *0*/
Qui è Alice che vi parla (o Jecky, chiamatemi come preferite xD) 
Spero questo capitolo sia piaciuto, e so che la storia è un po' monotona per ora, ma dal prossimo capitolo si farà più interessante, vedrete! uwu Inoltre da questo capitolo in poi metterò una canzone o una poesia in tema con il capitolo :3 questa volta ho scelto "My heart leaps up" di Wordsworth, l'abbiamo studiata a scuola (fatto verifica stamattina tra l'altro ahahah!) e mi ha subito colpita, perché sembra che parli alla natura come se parlasse alla persona amata, e questo mi è piaciuto tanto che l'ho voluta appunto utilizzare qui! 
Spero piaccia anche a voi quanto è piaciuta a me!
Oh, a proposito del capitolo: ho avuto alcuni problemi al computer e riscriverlo è stato un vero e proprio parto podale D: Quindi chiedo scusa per eventuali ripetizioni o errori, spero non ce ne siano troppi!
mmmh, non so che altro dire, se non sperare abbiate apprezzato questo capitolo!
Ringrazio specialmente _CaptainJackSparrow_ che legge e recensisce sempre: mi fa tanto piacere, è una persona davvero adorabile! ; v ; <3

Un bacione, a presto!
Alice

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Capitolo 4
*** Pink Lady ***



Pink Lady

Sometimes I hate every single stupid word you say // A volte odio ogni singola stupida parola che dici
Sometimes I wanna slap you in your whole face // A volte vorrei prenderti a schiaffi in faccia
There’s no one quite like you // Ma non c'è nessuno come te
You push all my buttons down // Tu premi tutti i miei bottoni
I know life would suck without you // E so che la vita farebbe schifo senza di te

At the same time, I wanna hug you // Allo stesso tempo voglio abbracciarti
I wanna wrap my hands around your neck // Voglio avvolgere le mie mani intorno al tuo collo
You’re an asshole but I love you // Sei uno stronzo, ma ti amo
And you make me so mad I ask myself // E mi fai diventare così matta da chiedermi
Why I’m still here, or where could I go // Perché sono ancora qui? O dove potrei andare?
You’re the only love I’ve ever known // Sei l'unico amore che io abbia mai conosciuto
But I hate you, I really hate you, // Ma ti odio, ti odio davvero
So much, I think it must be // Così tanto che penso debba essere

True love, true love // Vero amore, vero amore
It must be true love // Sì, deve essere vero amore [...]
No one else can break my heart like you // Nessuno riesce a rompermi il cuore come fai tu.
[...]
Why do you rub me up the wrong way? // Perché mi contagi nel modo sbagliato?
Why do you say the things that you say? // Perché dici le cose che dici? [...]
But without you I'm incomplete // Ma senza te io sono incompleta
(P!nk - True Love)

 

I giorni e le settimane passavano in fretta, e con loro cambiavano le stagioni. L’inizio di quell’ottobre era stato molto caldo, ma ora l’inverno si faceva sempre più vicino. Alice non poteva più indossare il suo vestito rosa preferito, e utilizzava più spesso maglioni e calzettoni di lana; mentre Robert aveva sostituito alle camicie dei più caldi girocollo. Nonostante le foglie fuori fossero già arancioni, Robert si allenava sempre in piscina. Ogni mattina si calava nell’acqua gelida e faceva le sue solite cinquanta vasche. All’inizio il fatto che Alice si presentasse ai suoi allenamenti gli dava un po’ fastidio, ma visto che succedeva di rado non gli creava grandi problemi. Con il passare del tempo però le sue visite cominciarono a farsi sempre più assidue, tanto da trovarla lì ogni giorno. Per fortuna era una ragazza tranquilla, che non disturbava e non chiacchierava più del dovuto, e anzi, la trovava una ragazza simpatica e la cui compagnia cominciava a fargli piacere. Erano diventati, ben presto, qualcosa di più di professore e alunna: erano diventati amici.
Robert aveva cominciato a conoscerla come persona, e non solo come una sua studentessa. Aveva cominciato a capire di che pasta era fatta Alice, e a scoprire pian piano chi c’era realmente dietro la facciata della ragazza intelligente e schiva che la caratterizzava. Aveva scoperto esserci una donna fragile e delicata, nonché molto testarda e determinata.
Quella mattina la vide attraverso l’acqua della piscina: ormai la sua sagoma era diventata familiare e quanto più riconoscibile senza ombra di dubbio. Aveva una canottiera bianca a fiori sopra ad una maglia a maniche lunghe nera; short in jeans, calze scure e parigine nere alte. Ai piedi indossava degli stivaletti grigio scuro con un tacchetto di pochi centimetri, e sul naso erano posati gli spessi occhiali da riposo. I capelli biondi le ricadevano sulle spalle leggermente mossi. Robert si ritrovò a pensare che quella mattina era particolarmente carina, nonostante portasse gli occhiali, cosa che non era solita fare.
«Buongiorno, professore» disse con tono caldo la ragazza, che gli venne incontro porgendogli l’accappatoio. «Svegliato bene? » Robert si passò una mano sui capelli bagnati «Particolarmente» rispose sorridendo.
Quella sera sarebbe uscito il suo nuovo libro: L’arte degli Illuminati parte seconda. A seguito della sua avventura a Roma e quel “piccolo” disastro agli archivi Vaticani aveva finalmente avuto modo di completarlo, e quella sera ci sarebbe stata una conferenza per la campagna di lancio del libro, seguita da una festa. Per quello si sentiva parecchio euforico.
Andò a cambiarsi, e quando si trovò a camminare insieme ad Alice in direzione della caffetteria le chiese se ci sarebbe stata, quella sera. Ovviamente lei rispose di sì, e tra un discorso e l’altro si ritrovarono a chiacchierare, come al solito, finché non venne l’ora di cominciare la lezione.
«Himeros»  annunciò la baritonale voce del professore, non appena tutti gli studenti furono in classe «Letteralmente, desiderium, Cupido. Himeros è la passione del momento, il desiderio fisico presente e immediato che chiede di essere soddisfatto. »  Mentre pronunciava quelle parole Robert si sorprese a guardare in direzione di Alice, che ricambiò lo sguardo con un sorriso. Il professore arrossì lievemente, e tornò alla sua spiegazione «Personificazione del folle desiderio amoroso, figlio di Afrodite e fratello di Eros, venne indicato da Esiodo coll'epiteto di καλός e già ben differenziato dal fratello. Occupa nell'Olimpo, insieme con le Cariti, un posto ben distinto presso le Muse. La precisa determinazione della sua natura però e della sua essenza è formulata in Grecia solo dalla speculazione dei filosofi. I Romani, mantenendo talvolta ancora l'epiteto di H., per lo più traducono il sentimento amoroso che lo caratterizza con Desiderium, appunto, e lo identificano con Cupido. »
“Ma come mi salta in mente?!” continuava a tormentarsi con quel pensiero mentre spiegava le diapositive che accompagnavano la lezione.
«Figurativamente Himeros nell'arcaismo e per tutto il V sec. a. C. è rappresentato sempre compagno di Afrodite e in tutto simile ad Eros, da questi distinto soltanto per mezzo del nome iscritto. » continuò mostrando le diapositive «Sappiamo che così doveva apparire sullo scudo di Achille, e così è rappresentato su un pinax a figure nere del 570 circa; su un cratere a figure rosse della Collezione Santangelo, su uno stàmnos da Vulci al British Museum con Ulisse e le Sirene; su una hydrìa da Nola» le figure di vasi dipinti di rosso e nero si susseguivano sullo schermo «Su una pisside da Eretria e sull'epìnetron pure da Eretria. Simile in tutto ad Eros e, insieme a questi, a lato di Afrodite, appare anche lui, Himeros, alato su un sostegno di specchio a Copenaghen. »
La lezione andò avanti tranquilla oltre a quella fugace occhiata che si erano scambiati, ma continuavano a rimanergli in mente quelle parole: “Himeros è la passione del momento, il desiderio fisico presente e immediato che chiede di essere soddisfatto.”
Che provasse questo verso Alice? Robert cercava di non pensarci “è solo la frase che mi ha coinvolto, non c’entra nulla” si ripeteva mentalmente “Non posso, ne mi innamorerò mai di una come lei”.
 
Quella sera Alice si era preparata con meticolosità e precisione a dir poco insolite da parte sua. Bettany la guardava frastornata: «Davvero andrai conciata così? ».
«Certo che sì, che problema c’è?” »
«Niente è solo… strano, da parte tua» continuò la rossa squadrando da capo a piedi l’amica. «Stai andando ad una presentazione di un libro, non una sfilata di moda».
«C’è anche una festa dopo, e sono stata invitata da Robert» rispose Alice, particolarmente interdetta. «Che c’è di così strano? »
Indossava un vestito aderente bianco e molto semplice, con un maglioncino scuro sulle spalle e una collana piena di pietre colorate al collo.
«Sei troppo bella, ecco cosa c’è di strano» esclamò Bet, guardando compiaciuta l’amica, che si era oltretutto truccata più del solito semplice mascara sulle ciglia.
«Ma smettila! » disse Alice con un sorriso dolce. «Tu non vieni? »
«No, ti lascio sola con il tuo bel professore»  le disse facendole l’occhiolino. «E poi stasera viene qui Joe» Alice le diede un pizzicotto sulla spalla «Ma smettila, scema!» disse ridendo.
Afferrò la borsa e si infilò i tacchi, pronta ad uscire. «Non fare troppo tardi, lo sai che ho paura dei ladri e se rientri tardi mi vengono i brividi»
«Non preoccuparti Bet, tanto non penso si protrarrà a lungo la cosa» rispose Alice già sul porticato «E poi tu non vai mai a dormire prima delle due»
«Divertiti ragazza! » la salutò Bettany, ridendo dalla porta. Alice salì in macchina e si diresse verso il luogo della conferenza.
 
La conferenza aveva luogo in una libreria in paese molto moderna, fuori dal campus, con annessa sala conferenze e piano bar. La sala era gremita di studenti e studentesse di tutte le facoltà, ma nonostante vide qualche volto noto, Alice preferì comunque starsene in disparte, a metà della sala, vicino alle uscite di emergenza. Tanto di posto a sedersi non ce n’era già più. Quando il professore salì sul palco ci furono una serie di applausi, ma con la sua solita modestia Robert li fece fermare dopo poco. Cominciò a raccontare del libro, di come aveva ottenuto le informazioni e del suo viaggio a Roma pochi anni prima. Alice sapeva bene che era stato in compagnia durante quel viaggio, una compagnia che non gradiva molto. Si chiamava Vittoria la donna con cui aveva girato per Roma, e su molti giornali si era parlato a lungo di una probabile relazione tra i due, che veniva puntualmente smentita da entrambi. Alice sapeva che probabilmente non era vero il fatto che non c’era stato nulla, dato che il suo professore era troppo bello per qualsiasi donna, ma cercava di non pensarci più del dovuto, ormai era acqua passata. Ora lui era lì e parlava a loro, parlava a lei. “Chissà se mi ha vista” si domandò Alice più di una volta, nascosta com’era da tutte quelle persone. Si rese conto di sì quando lo sguardo del professore si illuminò nel momento in cui i loro sguardi si incrociarono, proprio come era successo quella mattina a lezione, e le sorrise debolmente. Fu in quel momento che il suo cuore mancò di un battito, e capì il motivo per cui era tanto innamorata di lui. Il modo in cui parlava era affascinante oltre misura, e con poche frasi riusciva a tenere incollate alle sedie un sacco di persone in una stanza di dimensioni ridotte. Si sentì felice e fortunata ad averlo come professore, e soprattutto il fatto che passassero insieme molto tempo era per lei fonte di infinita gioia. Ogni volta sperava che quei momenti non finissero mai: vederlo quando usciva dalla piscina con il suo fisico statuario, uguale a quello delle opere che spiegava con tanto amore; parlare con lui di tutto ciò che le piaceva, senza sentirsi in imbarazzo di non venire capita, come era successo con i suoi ex-ragazzi; lui era speciale e lo aveva capito sin dal primo momento. Non era certo giovane e bello nel senso comune del termine, ma il suo fascino non aveva eguali, e sapeva che era una persona giovane dentro. Non aveva paura di nulla, oltre agli spazi chiusi, ovviamente. E in quel momento Alice capì che era lui l’uomo che desiderava, nessun altro mai. Si dimenticò del fatto che lui non l’avrebbe mai considerata come una possibile futura ragazza, e si lasciò cullare dalla sua soave voce per il resto della conferenza.
 
«Grazie a tutti» terminò Robert, felice ed emozionato. Gli applausi scrosciavano, e nonostante non fosse la prima volta che faceva una conferenza simile (anzi, ne aveva fatte in posti decisamente più grandi e prestigiosi), si sentiva fortemente emozionato. Dopo tanto tempo era riuscito a terminare il suo libro e vedere che c’erano persone in grado di apprezzarlo lo rendeva molto felice. Ripensò alle parole che Sienna gli aveva rivolto tempo fa “Finalmente ho trovato uno scopo nella vita” e pensò che era anche grazie a lei che era cresciuto come persona, che aveva capito che ci sono un sacco di cose che ci appaiono reali nonostante non lo siano. Ripensò proprio a lei, a quanto gli sarebbe piaciuto rivederla, ma ora lei aveva impegni ben più importanti che presiedere alla presentazione di un libro. E lo stesso Vittoria, Sophie o Katherine. Che donne meravigliose aveva avuto l’onore di conoscere e con cui passare del tempo insieme! Quel parlare degli Illuminati e di Roma lo riportò con la mente alla sua adorata Vittoria, e pensò a quanto gli mancava. Lei, più di qualsiasi altra donna lui avesse mai incontrato, era riuscita a coinvolgerlo così tanto da fargli sentire un senso di vuoto grande e incolmabile che la sua libertà da scapolo non era riuscito a colmare, al contrario di ciò che pensava. Ma non si era mai veramente illuso che una ragazza come Vittoria Vetra avrebbe voluto passare il resto dei suoi giorni tra le mura del campus di Harvard assieme a lui.
 
Una volta conclusa, la conferenza si riversò per una piccola parte nella sezione bar lì vicino, dove erano stati disposti dei tavoli con diversi stuzzichini sopra. A trovarsi lì però, Alice non se la sentiva di mangiare. Un nodo allo stomaco si era impossessato del suo corpo, probabilmente l’agitazione di essere lì, in compagnia del suo docente di iconografia religiosa, la metteva in soggezione. E non erano nemmeno soli, ma anzi, forse il fatto che fossero presenti così tante persone non la faceva sentire a suo agio.
Si mise in un angolo della sala, mentre Robert arrivava seguito da amici e studenti desiderosi di scambiare qualche chiacchiera con lui. Alice decise di aspettare non appena si fosse liberato un momento. Quando ciò accadde, le sembrò che fosse particolarmente felice di vederla.
«Alice! » esclamò lui. «Professore, che presentazione favolosa» disse lei sorridendogli. «L’hai trovata interessante? »
«Moltissimo! Soprattutto quando ha parlato del Bernini, è uno dei miei artisti preferiti, lo sa bene»
«Già, anche a me piace moltissimo» continuò Robert «Nonostante abbia rischiato di morire seguendo le sue opere per Roma» aggiunse poi ridendo. «Ma fortunatamente ora è qui» sorrise la ragazza. «Già» sospirò Robert. Ci furono alcuni secondi di silenzio, che furono interrotti da una canzone che Alice conosceva bene.
«Oh mio dio, adoro questa canzone! » disse portandosi una mano alla bocca, stupita. Guardò il professore e gli afferrò le mani. «Forza balliamo! »
«Cosa? » Robert parve stupito. «No, no, io non ballo» aggiunse ridendo. «Forza prof, non faccia la figura dell’uomo intelligente che non sa ballare, altrimenti le donne non la vorranno più»
Lui la guardò storto, ma ridendo acconsentì.
Si lasciarono cullare da quelle note di musica pop allegra e vivace. Robert non era molto bravo a ballare, ma ci stava mettendo il giusto impegno. Nonostante fosse la prima volta che ballavano assieme, i loro corpi erano in perfetta sincronia, come se i passi venissero spontanei ad entrambi.  Alice si accorse subito delle occhiatacce che le rivolgevano le altre ragazze, ma per lo meno sembrò non badarci molto. Almeno finché non cessò la musica.
Si allontanò qualche secondo per prendere da bere per lei e Robert, e quando tornò non si aspettò di certo di trovarsi la scena che invece le si parò davanti agli occhi.
Robert aveva cominciato a ballare con un’altra ragazza.
All’inizio sembrò non credere ai propri occhi, e quella che all’inizio sembrava essere tristezza si trasformò ben presto in rabbia.
Posò i bicchieri sul bancone con forza, si sedette sugli alti sgabelli e tracannò entrambi i cocktail. La testa le cominciava a girare dopo quei due bicchieri: il fatto che li avesse trangugiati senza ritegno, e anche che fosse a pancia vuota, non erano certo d’aiuto. Ma in fondo non le importava nulla. Anzi, l’alcool sarebbe stato un compagno migliore, per quella sera. Ordinò un altro cocktail, e la rabbia pian piano si indebolì, trasformandosi in depressione. Da una parte desiderava sfogarsi e piangere come una bambina, ma dall’altra sapeva di dover tenere un comportamento forte e sicuro di sé. Non era arrivata fin lì in America solo per mostrarsi una ragazzetta qualunque, come quella che stava ballando con il suo amato Robert.
Stava per ordinare il quarto cocktail quando il barista glielo posò sul bancone e Alice rimase con il dito a mezz’aria.
«Da parte di quel signore là in fondo» le disse, indicando un uomo seduto nella penombra. Alla fine del bancone c’era un uomo vestito con giacca e pantaloni grigio scuro, una bella camicia bianca, e un’elegante cravatta. Le si avvicinò e si sedette nello sgabello accanto al suo.
«Un Pink Lady» disse, indicando il cocktail rosa che le avevano appena portato «So che è il tuo preferito, soprattutto per il colore. » rise «E ti rappresenta molto. »
«Mi rappresenta? » domandò Alice, sempre meno la lucida. «Sì, lo sai che è spesso attribuito alle donne? Soprattutto quelle che non hanno molta esperienza con l’alcool» le disse Robert ridendo.
«Tu non sai nulla di me, Robert» rispose la ragazza, non guardando l’uomo che le era seduto accanto, ma tenendo lo sguardo fisso avanti a sé.
«E se invece ti dicessi che so molto più di ciò che tu pensi? » la guardava negli occhi, ma lei non ricambiava in alcun modo lo sguardo. Era troppo arrabbiata per il fatto che l’avesse abbandonata per ballare con un’altra studentessa.
«E cosa sapresti di me, sentiamo? » Finalmente si girò a guardare il professore. Non si rese nemmeno conto che gli stava dando del tu, e non più del lei come era solita fare. Soprattutto non si rese conto che stava rispondendo così male proprio a lui, l’ultima persona con cui avrebbe tenuto un comportamento del genere. «Tu non puoi capire neanche lontanamente ciò che ho provato” continuò lei «Non sai cosa significa essere trattate male e disprezzate dalle persone che ami. » Avrebbe voluto piangere, ma non voleva farlo; la sua mente glielo impediva, mentre il cuore gridava per liberarsi di quel peso. «Tu, che hai tutte le donne che vuoi, sempre e comunque, non hai idea di come ci si senta! » disse alzando la voce sempre di più. Per fortuna le persone sembravano divertirsi e non accorgersi della scena che si presentava poco più in là di loro, e la musica aiutava a coprire le loro voci. Gli occhi di Alice si fecero un po’ più lucidi di prima, al contrario della sua mente.
«Pensi che non lo sappia, davvero? » esclamò Robert con tono deciso, alzandosi. Si rese conto che stava perdendo le staffe, e da brava persona si risedette, dandosi una calmata. «Scusa, non dovevo alzare la voce» sospirò. «Alice, è meglio che torni a casa».
«Non me lo farò ripetere due volte, grazie» per tutta risposta afferrò la borsetta e si avviò verso l’uscita.
Una volta fuori aprì la portiera della macchina e fece per entrarci, ma venne bloccata da Robert.
«Non puoi guidare in queste condizioni, sei pazza?! » esclamò allarmato. «Che cosa vuoi da me, dannazione? » rispose la ragazza non riuscendo più a trattenere le lacrime. «Tu hai tutto ciò che desideri, io... io… sono un disastro» “Uno splendido disastro” si trovò a pensare Robert.
Alice cercò di replicare ancora una volta, ma le parole le si spezzarono in gola, e con le mani si coprì il viso, dalla quale cominciò a sgorgare un torrente di lacrime.
Robert la avvicinò a sé e la abbracciò, proprio come aveva fatto con Sienna l’anno prima. Gli sembrò di tornare a Istanbul, quando la ragazza era tornata piangendo tra le sue braccia. Strinse Alice a sé più forte, cullandola come un padre fa con la sua figlia prediletta. «Va tutto bene, sta tranquilla» le sussurrò piano. «Sei ubriaca, è meglio che torni a casa»
«Robert» singhiozzò Alice, ancora tra le sue braccia «Certe volte ti odio proprio. »
«Anche io» rispose lui sorridendo divertito. «Ma ora è meglio che ti riaccompagno a casa, che ne dici?» ma non ottenne risposta, perché Alice si era addormentata tra le sue braccia.
Lui non sembrava preoccupato, o triste, o arrabbiato. Si limitò a sorridere, e con garbo la mise a sedere nel sedile passeggero. “Uno splendido disastro” pensò fra sé.
 
 

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Angolo autrice:
Ciao a tutti! *0*/ <3
Okay ho diverse cose da dire su questo capitolo:
1) Chiedo scusa è lungo due secoli e mezzo ma come avrete notato sono successe taaaante cose, e anzi ne ho omesse tante che avrei voluto scrivere in più xD Quindi spero non vi abbia annoiato troppo @.@
2) Volevo pubblicarlo sabato, e tenerlo come giorno standard di pubblicazione, ma non ho resistito perché mi sono divertita troppo a scrivere questo capitolo, sopratutto perché mi ha ricordato uno dei miei libri preferiti, "Uno splendido disastro", che tra l'altro ho anche citato >u< per quello e altri motivi ho scelto come canzone "True Love" di P!nk, perché mi ricorda quel libro *^*
3) Per quanto riguarda la canzone (e quelle che metterò in seguito) di solito mentre scrivo le ascolto per trarne ispirazione, quindi provate a metterle e a leggere la storia assieme, il risultato è figo (sempre se riuscite a fare due cose assieme, non tutti sono in grado di leggere e ascoltare musica assieme xD). Inoltre mi sono ritrovata a mettere gran parte del testo perché rappresentava molto sopratutto la parte finale del capitolo, e il nome della cantante si sposava bene pure cn il capitolo. Vabbé avete capito che 'sta canzone mi piace ahahah
4) Mi sto dilungando anche qui, bene. No vabbé i prossimi capitoli spero non siano tanto pesanti e lunghi quanto questo, prometto che diventerò più brava (?) eee-- ecco ho dimenticato cosa dovevo dire.
5) Ah sì, ora lo ricordo LOL salvo imprevisti il prossimo capitolo verrà aggiornato Sabato 8 Novembre, perché ho Lucca Comics di mezzo e quindi mi è impossibile pubblicarlo!

Detto questo vi saluto e torno a studiare il mio amico Kant (TI ODIO KANT)
Un bacione! <3

Alice
 

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Capitolo 5
*** Orgoglio e Pregiudizio ***



Orgoglio e Pregiudizio

You've got that smile, you've got it all // Hai quel sorriso, hai tutto questo
I know I'm right, you think I'm dead wrong // So di essere nel giusto, tu pensi che ho dannatamente sbagliato
You've got that face, you've got that laugh //  Tu hai quella faccia, hai quella risata
I know you're shy and girl I like that // So che sei timida, e questo ragazza mi piace

You'll find a mirror to see what I see in you // Troverai uno specchio per vedere ciò che io vedo in te
But I will follow you until you see it too // Ma ti seguirò finché non lo vedrai anche tu
I know I can't help but love everything you do // So che non posso aiutarti, ma amo ogni cosa che fai
But you can't see that and girl I like that // Ma tu non riesci a vederlo e, ragazza, questo mi piace

So take my world, just take it all // Quindi prendi il mio mondo, prendilo tutto
I'd cross the earth, to break your free fall // Attraverserò la terra per interrompere la tua caduta libera
I'd run the streets, to show you that // Correrò per le strade per dimostrarti
I'm so in love, and girl I like that // Che sono così innamorato e, ragazza, questo mi piace.
(Before you exit - I like that)



Alice si rigirò nel letto più e più volte, non riuscendo a farsi passare la nausea. La testa le martellava fortissimo, e qualsiasi movimento facesse non riusciva a trovar pace.

Pian piano aprì gli occhi: dapprima vide tutto sfuocato, ma quando cominciò a mettere a fuoco le venne un grandissimo dubbio. Dove diavolo si trovava?

Spaventata si alzò e si sedette, ignorando l'insistente mal di testa. Quelle coperte non erano le sue.

Guardandosi intorno vide di essere su un grande letto a due piazze, su un materasso morbidissimo poggiato su del robusto legno lavorato sapientemente a formare bellissimi disegni sulla testata.

C'erano delle mensole con dei libri, un comodino, un armadio a muro, e un appendiabiti con una giacca appesa. Avrebbe riconosciuto quella giacca fra mille, e solo quando la vide cominciò ad avere dubbi ancora più grandi: perché la giacca di Robert era lì?

Dalla grande finestra alla sua destra entrava la luce del primo mattino, illuminando il suo volto stanco che vedeva riflesso allo specchio. Si guardò un paio di volte, e non solo vide una ragazza stanca e triste, ma sopratutto notò di non avere più la sua preziosa collana al collo.

Si rese conto in quel preciso istante che non solo le mancava la collana, ma anche i vestiti: constatò di avere addosso soltanto la biancheria intima. D'istinto afferrò le coperte e si coprì, ma si rassicurò nel vedere che i suoi vestiti e la collana erano meravigliosamente piegati su una sedia lì affianco.

Dov'era e cosa ci faceva lì? Perché era mezza nuda? Non ricordava un'accidente della sera precedente.

Una fitta le trapassò la testa, e la costrinse a tornare sotto le coperte, quando qualcuno bussò alla porta.

«Posso entrare?» chiese una voce familiare. La risposta di Alice fu un mugugno stano.

«Alice, come stai?» domandò di nuovo a bassa voce.

Robert si sedette sul bordo del letto accanto a lei. Le accarezzò leggermente la testa.

«Dove mi trovo?» fu tutto quello che riuscì a dire Alice, di cui l'unica cosa che sporgeva dalle coperte era la sua faccia.

«Sei a casa mia» sorrise dolcemente Robert. A quel punto la ragazza spalancò gli occhi di colpo, e, come se il dolore fosse misteriosamente sparito per una seconda volta, si drizzò a sedere.

Si rese conto subito dopo di essere praticamente svestita, e afferrò nuovamente le coperte coprendosi.

«Cosa ci faccio io qui?» esclamò allarmata «E perché sono nuda?»

«Alice, stai tranquilla» la rassicurò il professore «Ora ti racconterò tutto.»

Robert la fece tranquillizzare, e nonostante fosse una situazione ben più che bizzarra, Alice cedette alla sua dolcezza: nonostante tutto sentiva che poteva fidarsi di lui.

Robert le disse che la sera prima aveva alzato un po' il gomito e invece di lasciarla andare a casa da sola aveva preferito accompagnarla lui stesso. Aveva preso la macchina di Alice e, con lei a bordo, aveva l'intenzione di portarla a casa, fino al momento in cui si rese conto che non aveva la più pallida idea di dove abitasse la ragazza. Così aveva deciso di portarla a casa con sé. Una volta arrivati, Alice aveva cominciato a dimostrare conati di vomito, e Robert l'aveva accompagnata in bagno.

«Quindi mi sta dicendo che ho vomitato nel suo bagno stanotte?» lo interruppe la ragazza, paonazza dalla vergogna.

«Eh sì» sospirò il professore con un sorriso «E sono stato con te tutto il tempo.»

Ad Alice si fermò il cuore per pochi istanti: lui era stato con lei tutto il tempo mentre vomitava, non esattamente la cosa più deliziosa per la quale sarebbero potuti rimanere assieme da soli, ma la rendeva comunque felice. Sapeva che in realtà il fatto di vomitare da soli può provocare gravi danni, e che quindi Robert si sentiva responsabile per lei, ma le faceva comunque piacere il fatto che si fosse preso cura di lei.

Robert continuò a raccontarle che una volta che aveva terminato, l'aveva portata a letto. Si era sporcata il vestito, e quindi glielo aveva tolto, lasciandola solo con della biancheria, non avendo altro con cui vestirla. Inoltre le era venuta una terribile febbre, e lo stare senza vestiti le avrebbe abbassato la temperatura corporea.

Lui era rimasto lì tutta la notte, dormendo a tratti e controllando che stesse bene, perché non poteva lasciarla in balia degli eventi.

Quando ebbe terminato il racconto, Alice si sentì piena di vergogna «Mi dispiace» disse sommessamente «Non avrei dovuto combinare tutto questo casino, è colpa mia»

«Non preoccuparti» chi le parlava era un Robert stanco e affaticato «Non avrei dovuto offrirti quel drink».

Le si avvicinò di più, e con delicatezza le posò le labbra sulla fronte. Alice si sentiva andare a fuoco: il cuore le martellava nel petto più forte che nella testa, e i suoi occhi si chiusero un'istante per assaporare quel momento. Lasciò scorrere le coperte sul suo corpo semi-nudo, non vergognandosi più del fatto che lo fosse o meno.

«Sembra che la febbre ti sia passata» sorrise Robert allontanandosi da lei.

Le stava solo controllando la temperatura. Alice sperava volesse qualcosa di più da lei, ma si era sbagliata di nuovo.

«In ogni caso oggi ti obbligo a rimanere qua, sei ancora molto debole, hai perso un sacco di forze. Ti ho lasciato qualcosa in cucina da mangiare e c'è del succo di frutta nel frigo. Mi raccomando bevi molto e prendi le medicine che ci sono qua sopra, ti aiuteranno a stare meglio.»

La ragazza annuì leggermente. Nonostante la delusione le faceva piacere che il professore si prendesse cura di lei.

Lui si alzò dal letto, e si diresse verso la porta. «Professore!» esclamò Alice prima che se ne uscisse «Io... mi rendo conto di aver combinato un gran pasticcio, ma dovrei avvisare la mia coinquilina. Lei si aspettava che tornassi ieri sera e...»

non concluse la frase perché fu Robert a farlo «Ci penso io, non preoccuparti, Alice» le sorrise «Riposati e non pensare ad altro».

 

Quando Robert uscì dalla porta tirò un sospiro lungo e stanco. Si portò una mano al petto e sentì il suo cuore battere forte. Cos'era quella sensazione? Era troppo tempo che non la provava, eppure la sentiva familiare. Perché quella ragazza lo rendeva così pazzo? Si sentiva un'idiota, si sentiva impotente. Eppure cercava di reprimere quel sentimento che si faceva sempre più strada dentro di lui “Non posso innamorarmi di lei” continuava a ripetersi. “è solo una circostanza strana, non è così”. Stanco e con la testa piena di pensieri si diresse verso l'aula: non era certo che sarebbe riuscito a tenere una lezione decente quel giorno.

 

Quella mattina Alice non fece granché. Come le aveva detto il professore, si alzò e fece colazione, prendendo anche le medicine. Stare seduta a letto però la annoiava, così se n'era andata in giro ad esplorare la casa. Provava ancora brividi di freddo quando si muoveva fuori dalle coperte, ma essendo il vestito scomodo e stretto, si infilò la giacca che era appesa alla parete. “Harris Tweed” pensò abbracciandola e ispirandone l'odore. Sorrise. Sapeva del profumo del suo amato. “Penso che capirà il motivo per cui l'ho presa” pensò Alice ridendosela sotto i baffi. Sapeva bene che non avrebbe dovuto farlo, ma Robert non le aveva dato particolari restrizioni, e sopratutto nessuno sarebbe venuto a saperlo.
Gironzolò per la casa, finché non finì nel suo studio per vedere che libri custodiva, e rimase impressionata dalla molteplicità di volumi che possedeva. Venne particolarmente attratta da un volume rilegato in pelle rossa con una scritta dorata sul fianco. Era una copia di “Orgoglio e Pregiudizio”, uno dei suoi libri preferiti, ma non ne aveva mai vista un'edizione così bella.

Prese uno sgabello lì vicino e si arrampicò per raggiungere il libro, troppo in alto per il suo metro e sessantaquattro di altezza. Ovviamente, sbadata e malaticcia, c'era da aspettarsi che ne combinasse una delle sue. Perse l'equilibrio e finì con il sedere a terra e un paio di volumi in testa. Se non altro il mal di testa le era passato, pensò. Ma ciò che la distrasse non furono i libri per terra o il fondo schiena dolorante, ma bensì il loro contenuto. Sul pavimento erano sparpagliate una serie di cartoline provenienti dai posti più disparati: luoghi esotici, città d'arte, oceani cristallini. Si chiese chi le aveva inviate a Robert. Ogni dubbio sparì quando vide, assieme alle cartoline, una serie di foto. Ritraevano tutte lo stesso soggetto: Robert Langdon aveva uno sguardo felice e compiaciuto, sullo sfondo la Tour Eiffel, o il Colosseo, i canali di Venezia. Le sue mani stringevano però la vita di una persona che Alice riconosceva benissimo: alta, capelli scuri, carnagione abbronzata e corpo perfetto. Vittoria Vetra era nota per essere non solo una scienziata e fisica incredibilmente intelligente, ma anche bella da togliere il fiato.
Alice si portò una mano alla bocca. Le sue idee si facevano pian piano spazio, perché era consapevole che qualcosa tra loro c'era stato, e quelle foto ne erano la conferma. Incuriosita lesse anche le cartoline, sapeva di non doverlo fare, ma quel colpo era stato troppo duro, e non riusciva a crederci, così voleva conferme. Purtroppo lo furono.

Tra le molteplici righe di rivelazioni scientifiche si leggevano dolci parole, e la decisione di trovarsi ogni sei mesi nei luoghi più romantici del mondo.

Quindi le cose stavano così: Robert Langdon non era lo scapolo che Alice pensava. Si vedeva, o era fidanzato, con la Vetra.
Non voleva crederci, perché anche se lieve sperava di avere qualche possibilità. Ma non era così. Non avrebbe mai avuto alcuna possibilità, lei non era a livello di Vittoria neanche lontanamente.
Fece per mettere via tutto quel materiale compromettente, quando qualcosa la bloccò.
La porta si spalancò e vide l'ultima persona che avrebbe voluto vedere.
«Alice, cosa stai facendo?» disse Robert Langdon, guardando stupido ed indignato la ragazza in ginocchio al centro del suo studio, vestita soltanto con una delle sue giacche preferite.




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Angolo autrice:
salve a tutti e ben trovati al quinto capitolo! ^u^
Spero di avervi lasciato un po' di curiosità per la fine di questo capitolo eheheh ewe
A dire la verità era molto più lungo ma ho deciso di dividerlo in più parti per agevolarne la lettura e renderlo più piacevole, e sopratutto così vi lascio un po' sulle spine u.u 
Ho cominciato Orgoglio e Pregiudizio, ecco il perché del titolo xD La verità è che dovevo scegliere un libro che piacesse alla protagonista e visto che non potevo certo mettere il MIO preferito (è il Codice Da Vinci) ho scelto questo. Stranamente si sposa anche abbastanza bene con il capitolo, mi da questa idea (?) eeeee bwwwh, la canzone è adorabile ascoltatela tutti! *0*/ 
Comunque è stata veramente dura trovare il tempo per scrivere il capitolo, con lo studio della teoria della patente e Lucca di mezzo sono stata impegnatissima! >< martedì ho l'esame speriamo di liberarmi di questo stress una volta per tutte xD
A sabato prossimo miei seguaci (???) *0*/

Alice

 

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Capitolo 6
*** Maybe I'm in love ***



Maybe I'm in love
So she said what's the problem baby // Quindi lei disse qual'è il problema, baby?
What's the problem I don't know // Qual'è il problema non lo so
Well maybe I'm in love // Be', forse sono innamorato
Think about it every time  // Ci penso tutto il tempo
[...]
How much longer will it take to cure this // Quanto ci vorrà per curare tutto questo
Just to cure it cause I can't ignore it if it's love // Solo perché non riesco ad ignorarlo se è amore
Makes me wanna turn around and face me but I don't know nothing 'bout love // Mi fa venire volgia di girarmi, ma non conosco nulla riguardo l'amore
[...]
Well baby I surrender // Bene baby, mi arrendo
To the strawberry ice cream // al gelato alla fragola
Never ever end of all this love // di questo amore senza fine
[...]

Come on, Come on // Andiamo, andiamo
Move a little closer // Muoviti più vicina
Come on, Come on // Andiamo, andiamo
I want to hear you whisper // Voglio sentire il tuo sussurro
Come on, Come on // Andiamo, andiamo

Settle down inside my love // Stai dentro al mio amore
[...]
We're Accidentally in love // Be', ci siamo accidentalmente innamorati
(Accidentaly in love - Countin Crows)

Elizabeth Bennet era la sua eroina, così come l'autrice che l'aveva creata. Non c'era nessuna ragazza, reale o fittizia che fosse, a cui Alice si sentisse più legata.

Non solo il modo di pensare, ma anche il carattere, così libero e intelligente, la rappresentavano in tutto e per tutto. Forse era per quello che Orgoglio e Pregiudizio era proprio il suo libro preferito. Forse per il suo spirito dannatamente romantico, che ostentava a nascondere, quel libro era il suo preferito. O forse, per il signor Darcy, il bello e dannato protagonista della vicenda. Così intelligente, orgoglioso, inafferrabile. E l'unica ad esserci riuscita era stata proprio Elizabeth, colei che mai avrebbe pensato trovare un uomo del genere.

Alice si sentiva simile a lei anche in questo: sperava che prima o poi arrivasse il suo signor Darcy, colui che l'avrebbe resa felice e indistintamente sicura di ogni sua scelta. Colui a cui non avrebbe avuto alcun dubbio a rispondere “sì” una volta che le avesse chiesto la mano.

Sperava che in qualche modo Robert potesse essere il suo signor Darcy in futuro, che nonostante tutte le donne che aveva incontrato, tutte le ragazze che lo ammiravano, lui avrebbe avuto occhi solo per lei. Questo era il suo più grande sogno ma, se da una parte sperava che ciò accadesse, dall'altra era consapevole che ciò non sarebbe mai accaduto. E ogni suo dubbio svanì in quell'istante nel quale si ritrovò a terra, vestita con poco, e con in mano proprio quel libro che tanto amava.

 

Robert, dal canto suo, non si era mai trovato in una situazione tanto imbarazzante. Gli era capitato molte volte che le sue studentesse facessero cose un po' strane per attirare la sua attenzione, ma quella che gli si presentava davanti era una scena oltremodo sconveniente.

Guardò la bionda ragazza, con i capelli legati dietro la nuca, seduta a terra, con indosso solo la sua giacca, quella che più preferiva. Il suo cuore accellerò di un battito, e non riuscì a tenerlo a bada: martellava così forte che ebbe paura potesse risuonare in tutta la stanza. Dovette reprimere il primordiale istinto di andare lì, sollevarla da terra e baciarla, o perché no, farlo anche sul pavimento stesso. Ma lui era un gentiluomo, e anche se tutto ciò che cercavano molte donne era solo sesso, lui non voleva questo, né per lui, né per loro.

Tremando leggermente si avvicinò ad Alice. Mai una situazione lo aveva tenuto così in panico, e in bilico tra felicità e la disperazione; nemmeno quando si era trovato a un passo dalla morte, si era sentito così fortemente sconvolto. Sperò che la ragazza non notasse il suo passo incerto e, non capendo più nemmeno lui cosa provasse per lei, si sforzò di essere il più tranquillo possibile.

Una volta più vicino vide un libro dalla copertina rosso acceso aperto, e sul pavimento sparpagliate una miriade di foto e cartoline. Ben presto, tutta la sua preoccupazione svanì. Le aveva trovate, e aveva la faccia di qualcuno che aveva fatto qualcosa che non doveva fare.

Sì arrabbiò non poco.

«Alice!» esclamò, furioso «Non avevi il permesso di leggerle!»

«Io... io...» la ragazza non riusciva a rispondere. Tremava, ma nonostante tutto si alzò in piedi. Robert fece un passo verso di lei, e Alice si ritrovò con le spalle alla libreria.

Spaventata si coprì il volto con le braccia, e girò la testa, pronta a tutte le parole che avrebbe immaginato le avrebbe urlato contro.

Ma lui, a un passo da lei, e con il viso così vicino da poter sentire il suo respiro, le afferrò semplicemente le braccia, e con gentilezza le accompagnò lungo il suo corpo. Alice lo guardò colpita: aveva immaginato addirittura che avrebbe alzato le mani su di lei, da quanto era furioso. Ma non lo fece, e sapeva bene perché. Lui era Robert Langdon, e nessun uomo era tanto gentile e puro d'animo come lui.

«Perché le hai lette?» le chiese soltanto. I suoi visi erano vicini, troppo vicini.

«Io...» le guance di Alice si colorarono di una tinta scarlatta, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. Al contrario di Elizabeth sapeva bene di essere molto più sensibile, ed era facile farla piangere. «Io... non volevo, non era mia intenzione» disse scoppiando a piangere.

Robert avvicinò il viso di lei al suo petto, e cominciò ad accarezzarle la testa amorevolmente.

«Sssh, non preoccuparti» le sussurrò «Non occorre piangere»

«Ma eri così arrabbiato» per la seconda volta non si accorse che gli stava dando del tu «Mi hai spaventata enormemente» diceva lei tra i singhiozzi.

«Alice» rispose lui lasciandosi scappare una risata «Non serve piangere, ehi» le prese il volto tra le mani, e lo diresse a guardare il suo. I suoi occhi blu si specchiarono in quelli ghiaccio di lei, lucidi dal pianto e arrossati. «Guardami» le disse. «È acqua passata, non preoccuparti più di nulla, okay?»

Alice annuì leggermente. «Bene, e ora fai un sorriso». La ragazza, ancora con le lacrime agli occhi, non riuscì a trattenere una risata e Robert ne fu molto contento. Le diede un bacio sulla fronte, e i dubbi di entrambi svanirono completamente. «Mi dispiace essermi arrabbiato» le disse. Lei scosse la testa, e rimasero così in silenzio per qualche secondo.

«È meglio che cerchiamo qualcosa con cui cambiarti, che ne dici?» smorzò il silenzio Robert, leggermente imbarazzato. Alice si era dimenticata di come era vestita e, ancora più imbarazzata di lui, gli spiegò la faccenda del vestito.

Lui rise, e con garbo si affrettò a lasciare la stanza, alla ricerca di qualcosa da farle indossare. Prima però si chinò a raccogliere il libro che era a terra. «Tra tutti i libri proprio questo dovevi scegliere?»

«Le chiedo scusa» disse Alice, rossa in volto come lo era la copertina del libro «ero annoiata ed ero venuta qui alla ricerca di un libro con cui passare il tempo, quello è il mio preferito” lo guardò ancora una volta «Ha una rilegatura così affascinante! Non ne ho mai vista una tanto bella!» lo disse con un'aria così ammirata che fece saltare un battito al professore.

Robert se lo rigirò tra le mani. Prese le foto che conteneva e le gettò senza risparmiarsi sulla scrivania. Le porse poi il libro «Puoi tenerlo se ti piace tanto». Alice sembrava sconvolta: non solo aveva gettato senza ritegno le fotografie, abbandonate ora sulla scrivania, ma le aveva anche regalato quella meraviglia. Era così felice che gettò le braccia al collo del bel professore, e lo ringraziò con tutto il cuore. Quando si accorse, troppo tardi, del suo gesto, si tirò indietro. «Mi scusi, mi sono fatta prendere dalla gioia» disse, tirandosi indietro una ciocca di capelli che le era ricaduta sul volto.

Robert pensò che mai aveva visto un viso tanto grazioso: quegli occhi freddi contenevano un animo incandescente, e i capelli biondi lo portarono con la mente proprio alle pagine del libro che aveva in mano. “La considero una delle donne più belle che io conosca.” ripensò a queste parole, del signor Darcy, che nel momento nella quale aveva letto il libro, lo avevano colpito profondamente. Pensò che Alice assomigliasse tanto alla protagonista del libro, miss Elizabeth Bennet, in quanto a intelligenza, sicuramente, ma anche a carattere e bellezza non era da meno. I suoi pensieri corsero così in fretta da pensare addirittura “potrei mai essere il suo signor Darcy?”.

Si scosse da questi pensieri quando gli venne in mente ciò che doveva fare, incantato com'era dai suoi occhi, si dimenticò che indosso aveva solamente la biancheria e la sua giacca.

 

Tornò con una maglia piuttosto larga alla povera ragazza, ma se non altro ora era ben coperta. Alice lo ringraziò infinitamente, e fu molto felice di poter indossare gli abiti, seppur larghi, del suo amato.

Nonostante quanto fosse accaduto, parlarono per diverse ore, ormai non più imbarazzati, e Robert le chiese se voleva rimanere per un'altra notte ancora. Dopotutto, seppur la febbre le era passata, era ancora molto debole. Come non accettare? La ragazza era enormemente felice, anche se quando venne il momento di coricarsi fu molto agitata. Anche Robert lo era, poiché avrebbero dovuto dormire nello stesso letto. Ma fu molto meno imbarazzante di quanto avrebbero mai pensato, e anzi, si rivelò tutto molto dolce.

Una volta che le luci si spensero, Alice, che sentiva forse un po' freddo, si avvicinò con dolcezza alla schiena di Robert, appoggiandovi le piccole mani e la fronte. Lui all'inizio si sorprese di questo suo gesto, ma non poté rimanerne indifferente, così dopo pochi secondi di indecisione, si girò e afferrò le spalle della ragazza avvicinandola a sé. La strinse forte, mentre lei appoggiava le mani sul suo petto e scivolava lentamente nel sonno. Robert non prese sonno subito, ma rimase ad ascoltare il respiro di Alice che si faceva pian piano più profondo, e si rese conto di essere dannatamente felice, tanto che un sorriso fece capolino al buio sulle sue labbra. Fu in quel momento che capì che si era accidentalmente innamorato di lei. Non lo sfiorò nemmeno il pensiero di Vittoria, o di Sophie. Tutto ciò a cui riusciva a pensare in quel momento era la bellissima ragazza che stringeva tra le braccia. Sapeva cosa avrebbe comportato quella relazione, e tutti i conseguenti problemi, ma in quel momento non volle pensarci. Entrambi si sentivano profondamente felici.

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il computert è impazzitoù+'p9ytttttt





 

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Capitolo 7
*** I can't pretend ***



I can't pretend

Love, I have wounds // Amore, ho delle ferite
Only you can mend, // Che solo tu puoi ricucire
You can mend. // Tu puoi ricucire.

I guess that’s love, // Credo che sia amore
I can’t pretend, // Non posso fingere
Can’t pretend. // Non posso fingere.

Feel, my skin is rough // Senti, la mia pelle è ruvida
But it can be cleansed, // Ma può essere purificata
It can be cleansed. // Può essere purificata.

My arms are tough // Le mie braccia sono dure
But they can be bent, // Ma possono essere piegate
They can be bent. // Possono essere piegate.

And I wanna fight // Ed io voglio combattere
But I can’t contend. // Ma non posso lottare.

I guess that’s love // Direi che è l’amore
I can’t pretend, // Non posso fingere
Can’t pretend. // Non posso fingere.

Quando Robert si svegliò non capiva se tutto ciò che era successo la notte prima fosse stato frutto della sua fantasia o meno. All’inizio pensò che fosse tutto un enorme sbaglio, che era stato tutto un sogno. Ripensò ai suoi pensieri della notte precedente: davvero era arrivato alla conclusione di essere consapevole di essere innamorato di Alice? No, non poteva essere. Poi ripensò a come l’aveva abbracciata teneramente la notte prima e gli sorsero ancora più dubbi a riguardo. A come si era sentito felice, eccitato, e teneramente amato tra quelle piccole braccia, a come era piacevole quel respiro lieve ma profondo sulla sua pelle e anche a tutte le cose belle che aveva passato assieme a lei. Era davvero più di una semplice allieva, lei aveva qualcosa di particolare rispetto agli altri studenti: fosse il suo comportamento così freddo e indipendente, che celava un cuore caldo e buono come il cioccolato; fossero i suoi capelli biondi, o i suoi occhi color ghiaccio nei quali si sentiva sprofondare ogni volta che la vedeva, e sostenere il suo sguardo diventava una prova di coraggio; fosse il suo portamento, la schiena dritta e il mento sempre leggermente sollevato, non dall’aria altezzosa, ma semplicemente sicura di sé; fossero i suoi sogni, i suoi interessi, o la sua premura verso di lui; tutto questo Robert non lo sapeva, ma si rese conto per la seconda volta, con un sorriso sulle labbra, quanto le piaceva. E ogni dubbio svanì quando sentì una voce dall’altra stanza.

In un primo momento non capiva di cosa si trattasse, ma ad un secondo ascolto più attento capì che era quella voce che tanto amava: Alice stava cantando una piacevole melodia.

Si era ripresa totalmente dalla febbre e si stava facendo una doccia nel suo bagno. Robert si costrinse a calmarsi. Con un bel respiro uscì dalle coperte, e si immerse nel freddo gelido di quella mattina. Afferrò la sua vestaglia e si diresse verso il bagno per udire meglio quella voce soave. Alice cantava sotto la doccia con una passione travolgente: le note sembravano uscire così candide e delicate come se l’acqua le stesse lavando, facendole apparire vergini e cristalline. Non aveva mai udito suono più bello. Rimase ad ascoltarla per un tempo indeterminato, di cui nemmeno lui si rese conto finché lei non uscì dal bagno. La prima cosa che fece fu urlare, ovviamente.

«Robert!» esclamò Alice, vestita solo con un asciugamano «Mi hai spaventata!»

«Scusami» disse lui voltandosi, rosso in viso. Le spiegò la situazione, e le disse quanto gli dispiacesse fosse successa una cosa del genere. Lei rise, e dopo poco lui seguì il suo esempio.

«Non si preoccupi» rispose Alice «Ora però vado a cambiarmi, non mi spii per favore» concluse facendogli una linguaccia. Lui rise divertito, e mentre la ragazza si cambiava andò a preparare la colazione.

Ad Alice quanto accaduto quella notte sembrava impossibile. Aveva dormito con Robert Langdon, il suo professore nonché unico e vero amore. Quante ragazze avrebbero voluto essere al suo posto! Pensò divertita. Anche se si erano solo abbracciati, lui la aveva stretta e accarezzata teneramente, come un fratello maggiore protegge la sua sorellina durante un incubo. Certo, era felicissima di questo, ma si sentiva anche abbastanza imbarazzata. Non riusciva a sostenere lo sguardo di Robert pensando a ciò che era successo, anche se era consapevole non fosse niente di così importante, ma per lei è come se avessero fatto l’amore. La sensazione che provava era quella: felice, ma abbastanza imbarazzata. Soprattutto perché lui era il suo professore, non suo fratello, o un amico. Si vestì in fretta, prese le sue cose e si preparò ad uscire di casa: doveva tornare all’appartamento, prendere le sue cose e tornare alle sue lezioni. Quello era stato un sogno bellissimo, ma era ora di tornare alla vita di sempre.

Quando arrivò in salotto, si diresse verso la porta, ma venne fermata da Robert «Dove stai andando?»

«A casa» rispose lei, sorpresa di quella domanda. La risposta le sembrava più che ovvia.

«Sì ma almeno fai colazione prima» rise divertito il professore.

«Sono già stata abbastanza di disturbo, professore» disse lei, tirandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli «è meglio che vada»

Lui le prese la mano e la trattenne. «Ti prego, resta» disse. «Insisto».

Alice divampò di colpo, e non riuscì a non dirgli di no. Così chiuse la porta, e si diresse verso la cucina.

Lì l’aspettava una tavola preparata con tutto ciò che di buono poteva esserci, e Robert, avvicinandosi al frigo le chiese cosa avrebbe preferito mangiare.

Alla fine rimasero a chiacchierare tranquilli, come se tutto ciò che era successo non lo fosse stato affatto, come se fossero alla caffetteria come ogni mattina. Una volta finito Robert la accompagnò alla macchina e le diede appuntamento a dopo, a lezione.

«Senta professore» Alice frugava nella borsa in cerca di qualcosa «Posso chiederle un favore?» gli chiese prima di andarsene.

«Dimmi pure» rispose lui con un sorriso.

«Possiamo fare una foto assieme?» la richiesta di Alice imbarazzò il professore, ma lo rese al contempo molto felice. La ragazza infatti teneva in mano una macchinetta in stile Polaroid, di quelle che fanno le foto istantanee. Era rosa e piena di adesivi. Lui le domandò curioso il perché. «Mi piace avere un ricordo di cose belle» fu la risposta di Alice «E in questi giorni mi sono trovata molto bene qui, e non potrò mai ringraziarla abbastanza.» Concluse «Inoltre» aggiunse poi «Voglio avere anche io una foto con lei, come quelle che ha lei con la signorina Vetra» fu abbastanza doloroso per lei dire queste ultime parole, ma sapeva che lo avrebbe smosso, acconsentendo alla sua richiesta. E infatti fu così. Alice allungò il braccio e fece un autoscatto perfetto di lei e Robert. In pochi secondi la foto si materializzò sulla carta ed entrambi sorrisero felicemente.

Quando Alice tornò a casa dovette raccontare ogni cosa a Bet, che era curiosa come una comare pettegola, e preoccupata come una madre. La abbracciò e baciò felice di rivederla, che stesse bene e che tutto era andato secondo le più rosee aspettative. Fu felicissima di quanto era successo, e le disse che Robert non solo era un uomo favoloso per averla ospitata, ma era anche andato personalmente a cercarla per avvertirle che Alice stava bene, nonostante fosse stanco e distrutto.

Dopo tutti i convenevoli con Bet, Alice si cambiò e si diresse con la musica più gioiosa nelle orecchie verso la lezione di iconografia religiosa, verso il suo principe azzurro.

Ma le cose non erano come si sarebbe aspettata. Robert, nonostante ogni tanto le lanciasse occhiate dolcissime (almeno secondo lei), sembrava molto più freddo di quanto era stato fino a poche ore prima. Alice pensò fosse solamente perché erano a lezione, e non poteva farsi vedere così interessato ad una studentessa. Pensò che una volta usciti di lì avrebbero fatto la strada assieme come al solito, avrebbero parlato e tutto sarebbe tornato come prima, se non in meglio.

Ma non fu affatto così. Una volta fuori dall’aula lo fermarono un sacco di studenti per chiarimenti riguardo la lezione, e Alice non poteva aspettare perché doveva correre ad un’altra lezione. Lo cercò con lo sguardo, almeno per salutarlo, ma lui parve non notarla. A pranzo non lo vide in caffetteria, e non lo vide nemmeno per il resto della giornata. Tutto ciò che le rimaneva per consolarsi era la foto che si erano fatti assieme la mattina. La guardò, la rigirò tra le mani per un sacco di volte, e la stringeva al petto con tenerezza.

Non poteva certo sapere che quella era probabilmente l’ultima mattina che avrebbe parlato con Robert.

Quando la mattina dopo andò in piscina a cercarlo, lui non c’era. Lo aspettò per ore, ma non si fece vivo. Ripercorse ogni cosa che facevano ogni mattina, ma nulla: non lo trovò nemmeno in classe.

Un collaboratore scolastico entrò proprio in quel momento con una brutta notizia: il professor Robert Langdon quella mattina non avrebbe tenuto la sua lezione. La classe cadde nello sconforto più generale: c’era chi esultava per il fatto che non ci sarebbe stata lezione, chi sbuffando uscì dall’aula dicendo che era si era svegliato presto per niente, e altre ragazze si lamentavano che per quella mattina non potevano ammirare il loro bel professore. Alice invece trattenne a stento le lacrime. Dove poteva essere Robert? Perché non le aveva detto niente? In preda allo sconforto più totale si diresse verso casa: non se la sentiva affatto di continuare le lezioni quella mattina.

Casa sua era vuota: Bet era a lezione, tutto ciò che c’era di nuovo nella stanza erano un biglietto lasciato dalla stessa e la posta. Alice lesse il biglietto, che riportava quanto segue:

 

Ehi Alice! Stamattina sono a lezione, quindi mi fermo la a pranzo. Visto che oggi torni a casa prima di me per favore, vai a fare la spesa tu, ti ho lasciato qualche spicciolo nel piattino se ti può servire e la lista la trovi qui dietro. Ah, stasera non torno a casa per cena, vado dal mio ragazzo.

A domani!

Bet

P.s: C’è della posta per te e un biglietto speciale da qualcuno di cui non farò il nome eheheh!

 

Alice si illuminò a quelle parole, e cercò subito tra la posta, finché non trovò un biglietto diverso dagli altri: la busta era rossa, e con una calligrafia elegante e inconfondibile c’era scritto “Per Alice” firmato Robert Langdon.

Senza pensarci un minuto di più Alice la afferrò e ne lesse il contenuto:

Cara Alice,

questa mattina, come forse già ti è stato riferito, non sarò a lezione. Ti porgo le mie più sincere scuse per non essere riuscito ad avvertirti prima, e probabilmente quando leggerai questo biglietto sarai già tornata dalla lezione e non mi avrai trovato nemmeno in piscina. Purtroppo non sono riuscito a salutarti come si deve, ma sono stato chiamato con urgenza a Washington per un lavoro importante che riguarda il mio libro: a quanto pare il mio amico Peter Solomon (ti ricordi la storia che ti avevo raccontato riguardo la mia avventura lì, no?) ha voluto che tenessi una conferenza per parlare appunto del libro. Partirò alle ore 11.00 di questa mattina, se leggi questo messaggio prima che io parta, ti prego di poter venire al parco del campus, quello a nord rispetto alla piscina intorno alle 10.00: vorrei salutarti adeguatamente visto che non so per quanto tempo questa cosa mi porterà lontano da Harvard.

Non farne parola con nessuno, ti aspetto.

Firmato Robert Langdon

Alice non credeva ai suoi occhi, e con mano tremante guardò l’orologio: erano le 9.50, più che in ritardo!

Senza indugiare si rimise il cappotto e di corsa uscì di casa, sbattendo la porta alle sue spalle: correndo forse sarebbe riuscita ad arrivare per tempo.

Corse così tanto che quando arrivò al parco non aveva più fiato nemmeno per chiamare Robert, che nel frattempo sembrava deciso di andarsene.

Quando la vide il suo sguardo si illuminò e le corse incontro, abbracciandola non appena la vide.

«Sono corsa subito non appena ho letto il tuo messaggio!» disse Alice ansimando. «Cosa succede?»

Robert le spiegò tutto, e le disse che questo lavoro lo avrebbe tenuto lontano dall’università per diverso tempo, al momento indeterminato. Alice si rattristò parecchio, ma lui la rassicurò. Le sollevò il mento e pose il suo sguardo a contemplare il suo.

«Non preoccuparti, tornerò il prima possibile» disse sorridendo. Lei contraccambiò il sorriso, e fece per allontanarsi, quando le parole di Robert la fermarono.

«Mi mancherai»

Lei si bloccò, si girò a guardarlo e, con gli occhi che trattenevano appena le lacrime, gli sorrise di nuovo. «Anche tu» sussurrò piano.

Non aggiunsero altro, e si lasciarono così.

Robert voleva portarla con sé, ma se già era impensabile il fatto che lui si era innamorato di lei, portarla via non era sicuramente la scelta migliore. E per quanto il suo cuore la desiderasse ardentemente ed era ubriaco di lei, la sua mente era lucida e sapeva esattamente cosa doveva fare. Comportarsi da gentiluomo, e prima di tutto confessarle i suoi sentimenti. Pensò che quella di partire sarebbe stata la scelta giusta: ormai aveva capito quali erano i suoi sentimenti verso di lei, ma aveva bisogno di certezze, e lo stare lontano da lei per un po' le avrebbe confermate. Il tour per la presentazione del libro era capitato proprio a fagiolo. Per quanto riguarda Alice invece, si sentì distrutta da quella notizia. Non aveva idea di quanto sarebbe stato via, dove sarebbe andato dopo Washington, e sopratutto con chi sarebbe stato. Doveva ancora partire e già sentiva la sua mancanza. Si sforzò di restare seria e di mostrarsi forte, ma dopo che Robert se ne fu andato scoppiò a piangere come non aveva mai fatto. Perché niente andava mai come voleva? Non era la prima volta, e sapeva che non sarebbe di certo stata l'ultima. Tutto ciò che le avevano dato gli altri erano sofferenze e delusioni. Aveva delle ferite sanguinanti, ma sapeva che solo lui poteva guarire le sue ferite.  Si era illusa, e lo sapeva sin dall'inizio che lo sarebbe stato, dell'amore per Robert nei suoi confronti. Ma era stata l'illusione più bella: svegliarsi la mattina consapevoli di quel volto che ti avrebbe guardato, di quelle mani che banalmente avrebbero stretto le tue, di quelle premure che indirettamente coglievi, anche se magari erano inesistenti. E negli ultimi mesi tutto era diventato così bello, così radioso da farle credere che forse quelle illusioni non erano solo la sua fantasia. Ma ora tutto se ne stava andando, come quando di una ferita rimane solo una cicatrice, o quando rimangono solo cenere e fumo di un amore bruciato.

Fu in quel momento, dopo aver versato tutte le lacrime possibili, e aver riflettuto a lungo su quegli ultimi momenti passati insieme, che Alice si decise: non avrebbe più pensato a Robert. Mai più. E non si sarebbe mai più innamorata di nessun altro, perché, ormai lo sapeva, l'amore è soltanto un'infinita delusione. Un'enorme cazzata, proclamata da scrittori, poeti, artisti che la cercavano, invano. Pensava che forse solo lui avrebbe potuto guarire le sue ferite, ma si sbagliava. Mai più Robert, per sempre.

Si asciugò le lacrime con la manica della felpa e se ne tornò a casa, stanca e abbattuta.

 

Nel frattempo Robert era in viaggio per Washington. Anche lui si costrinse a non pensare ad Alice, ma tutto ciò che riusciva a immaginare, prima di prendere sonno, era il suo sguardo di ghiaccio che si scioglieva dinanzi a lui, quel cuore apparentemente freddo che con un tocco andava in fiamme. Immaginò il suo ritorno: lei gli sarebbe corsa in contro, lui l'avrebbe finalmente baciata, confessandogli i suoi sentimenti, e finalmente avrebbero fatto l'amore. Sinceramente, dolcemente, senza ripensamenti, lasciandosi tutto il mondo alle spalle. 
Era completamente e follemente innamorato di lei, non poteva più fingere.

 

---
Ciao a tutti! *v*
Mi dispiace se non ho più aggiornato, ma il mio computer è stato rotto per un po', e poi sono stata molto impegnata con la scuola! ><
Mi scuso davvero tanto per l'assenza, tra l'altro speravo ci sarebbe stata qualche recensione dell'ultimo capitolo ma niente, vabbe' dai xD
spero che questo possa piacervi un po' di più magari :3
Bene, non ho altro da aggiungere, questa canzone è la mia preferita comunque u.u
Un abbraccio,

Alice!

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Capitolo 8
*** Immortals ***




IMMORTALS

They say we are what we are // Dicono che siamo ciò che siamo
But we don’t have to be // Ma non dobbiamo essere

I’m glad to hate you but I do it in the best way // Sono contenta di odiarti, ma lo faccio nel migliore dei modi
I’ll be the guard dog of all your fever dreams // Sarò il cane da guardia di tutti i tuoi febbrili sogni
I’ll try to picture me without you but I can’t // Cercherò di immaginare me senza di te ma non riesco

'Cause we could be immortals, immortals // Perche ' potremmo essere immortali, immortali
Just not for long, for long //  Non solo per molto, per molto

Immortals // Immortali
(Fall Out Boys - Immortals)


Il gelido vento invernale sferzava il viso di Alice, e penetrava la sciarpa che si era messa per proteggersi dalla fredda aria di quella mattina di fine Dicembre. Era passato più di un mese da quando Robert se ne era andato, e anche se non riusciva più a pensare a lui negli stessi termini in cui ci pensava fino a due mesi prima, era strano non avere più la sua presenza intorno.

Tutto ciò che le rimaneva di lui era una foto. Nei primi giorni della sua assenza la guardava e la teneva sempre con sé, ma dopo ciò che si era ripromessa al parco nel giorno in cui se ne era andato, l'aveva nascosta dentro il libro che le aveva regalato, e relegato sulla libreria.

Ormai non pensava più a lui in quei termini, e non voleva nemmeno farlo, a dire il vero. Aveva cominciato a frequentarsi con un ragazzo della facoltà di Studi Medievali, la stessa di Bettany, e uscivano spesso in compagnia tutti insieme. “È meglio così” pensava Alice “Dopotutto che senso ha continuare a soffrire?”. Quella mattina stava andando a lezione di Iconografia Religiosa, avevano dato un supplente alla classe e, anche se non era certo a livello di Robert, era veramente in gamba.

Mancava solo un giorno alla vigilia di Natale, quindi quella sarebbe stata l'ultima lezione per le prossime due settimane. Ma nonostante la gioia che sprigionavano gli altri studenti, e l'atmosfera Natalizia che si respirava nei festoni colorati, nelle luci e nelle palline luminose che addobbavano l'intero campus, Alice sentiva un peso opprimente nel cuore, e non riusciva ad essere veramente felice. Forse le mancava la sua famiglia, o forse era perché tutto quello in cui aveva sempre sperato non si stava realizzando. Oppure le mancava ancora Robert. Era una ferita troppo profonda per essere rimarginata in così poco tempo, ma aveva promesso a se stessa che se mai fosse tornato non gli avrebbe più rivolto la parola.

 

Robert era già in classe, e non vedeva l'ora di cominciare la lezione. Fare il professore era esattamente il lavoro che amava, e anche se adorava viaggiare per il mondo e scrivere libri, tornare a casa era sempre la cosa che preferiva. Vedere i suoi studenti lo riempiva di gioia, sopratutto una. In quel lungo mese passato via aveva capito quanto le mancava, e ogni giorno lo passava a pensare a lei e a quanto sarebbe voluto tornare.

Quando lei entrò in classe il suo volto si illuminò: era sempre bella, anche se il suo volto cupo sembrava tradire la sua solita felicità. Il suo volto felice nel vederla si trasformò in una smorfia di dolore quando lei, anziché rivolgergli un sorriso dolce e spontaneo come sempre, si sedette in ultima fila non guardandolo nemmeno. Il suo aspetto di ghiaccio aveva conquistato anche il suo cuore.

Una volta finita la lezione cercò di chiamarla, ma gli altri studenti, desiderosi di sapere come era stato il suo viaggio e congratularsi con lui, glielo impedirono, e quando uscì per cercarla, lei era come sparita nel nulla. Andò a cercarla in tutti i luoghi che frequentavano assieme ma non la trovò in nessuno di essi, così le scrisse una lettera, e la lasciò fuori da casa sua.

 

Nel frattempo Alice, chiusa nella sua stanza, continuava a piangere, e nemmeno lei sapeva il perché.

La sua presenza doveva crearle indifferenza e invece, per tutta la durata della lezione, si era ritrovata a dover trattenere le lacrime. Sentì un fruscio provenire da giù, un battito alla porta, e poi più niente. Quando si avvicinò alla finestra, per vedere cosa era stato, vide Robert che si allontava. Aspettò che girasse l'angolo, e quando non fu più in vista, andò alla porta: aveva lasciato una busta per lei, con dentro una lettera, che riportava quanto segue:

 

Cara Alice

mi dispiace davvero di essere stato via così tanto tempo, ma le circostanze non mi hanno permesso di tornare prima. Mi dispiace se questa mattina, a lezione, non sono riuscito a parlarti, avrei voluto farlo, ma per la seconda volta le circostanze non me lo hanno permesso. Spero tu possa perdonarmi e ti chiedo, se hai voglia, di venire al parco dove ci siamo visti l'ultima volta questa sera prima di cena. Sapevi che hanno messo un bellissimo albero di Natale lì vicino?

Con affetto,

Robert

 

Alice non ci pensò due volte, e con un sonoro «'fanculo» strappò la lettera. Basta, basta basta! Non voleva più vederlo né pensare a lui! Se l'era ripromesso, e lei non veniva mai meno alle promesse. Quella sera non si sarebbe presentata all'appuntamento, né si sarebbe presentata mai più davanti ai suoi occhi.

 

Robert era lì davanti all'albero con gli occhi sognanti e un pacchetto tra le mani. L'aveva preso mentre era di passaggio a New York e, conoscendo l'amore che Alice provava per il cinema, sapeva che quel regalo le sarebbe piaciuto senz'altro. Finalmente si era reso conto di ciò che provava e niente, assolutamente niente, gli avrebbe impedito di dichiararsi quella sera. Poi l'avrebbe invitata a cena, come era nei suoi piani, e una volta a casa avrebbero fatto l'amore. La amava, oh, se l'amava! Ormai Vittoria e tutte le altre donne che avevano costellato la sua vita erano solo un ricordo lontano. Si chiese com'era possibile innamorarsi così tanto in così poco tempo, ma dopo Vittoria, che se n'era innamorato dopo sole poche ore passate assieme, e aveva rischiato la vita per salvala, capiva che nulla era impossibile.

Aspettò un'ora, due, sotto l'albero. Arrivò la mezzanotte, e se già il parco era poco popolato, adesso era totalmente vuoto. In cuor suo Robert continuava a sperare l'arrivo di Alice, ma ora come ora non ci sperava più tanto. Guardò l'orologio di Topolino: le braccia segnavano le ventiquattro. Era ufficialmente la vigilia di Natale. Sì sentiva rammaricato da quella sua mancanza, ma forse stava male e non aveva avuto modo di dirglielo. Sconsolato se ne tornò a casa, quella sarebbe stata una notte lunga. Ma non si disperò: sarebbe tornato lì l'indomani, e l'avrebbe aspettata di nuovo.

 

Alice passò la vigilia di Natale con i suoi amici, nascondendo la sua tristezza con una recitazione da premio Oscar. Andarono a pranzare in un ristorantino niente male in città, e tornarono verso le sette al campus. D'inverno viene sempre buio prima, quindi le luci erano già tutte accese. Bet e Joe se n'erano andati a casa da bravi piccioncini, e Wes aveva accompagnato Alice per un'altra strada.

Erano alle porte del parco, quando lei gli disse che da lì in poi sarebbe andata da sola. Lui insistette, ma alla fine la lasciò andare, non prima di averla guardata negli occhi e averle detto le seguenti parole: «Alice, io ti amo» . Lei si sentì spaesata, cosa doveva rispondere? Non aveva mai pensato al fatto se lui le piacesse o meno. «Mi sono innamorato di te in questo ultimo mese passato assieme, e non posso più tenere a freno i miei sentimenti.» diceva lui «Ti prego vieni a stare da me questa sera, passiamo assieme un bellissimo Natale!» . Le prese il volto e la baciò. Il suo cuore si stava sciogliendo, per tutto quell'amore, e per un attimo pensò a lui in maniera diversa da un amico. Ma quando si voltò, prendendo respiro da quel lungo bacio, vide l'albero che si ergeva alto al centro del parco. Le sue luci scintillanti brillavano nel buio, come quando da piccola guardava le lucciole e le stelle compiere danze meravigliose nel cielo sopra le sue amate Alpi. Passava sempre là l'estate, e grazie a quelle luci si ricordò anche di Robert. Sapeva bene cosa si era promessa, ma a vedere quelle luci, che lui tanto amava, quell'albero al quale la aspettava, a tutti i momenti passati insieme, al suo volto, le sue mani, la sua voce, il suo profumo. Tutto quanto, se avesse accettato la proposta di Wes, se ne sarebbe andato davanti ai suoi occhi. Davvero voleva questo? Si allontanò dalla stretta del ragazzo che la teneva per la vita, e sussurrandogli un «scusami, non posso» se ne andò verso il parco, correndo e scomparendo alla sua vista. Lui la inseguì per pochi metri, ma quando si accorse verso chi era andata fece dietrofront, e se ne andò.

 

« Robert!» Alice ansimava. « Ehi, aspetta!» disse.

« Alice!» esclamò stupito. Abbandonò il pacchetto sotto l'albero, e la afferrò al volo mentre lei si gettava fra le sue braccia.

« Oh, Robert, come mi sei mancato!» disse affondando il viso tra le sue grandi e calde braccia.

« Davvero?» chiese lui « Ormai non ci speravo più»

Si guardarono negli occhi per alcuni secondi interminabili prima di darsi un lungo e caldo bacio.

« Ho provato a dimenticarti, ma non ce l'ho fatta» disse lei con gli occhi pieni di lacrime. «Perdonami, sono stata una stupida, e tu che mi hai aspettata qui anche oggi, non ci speravo davvero» lo baciò di nuovo. L'aveva fermato in tempo: se ne stava andando nel momento in cui lei era arrivata.

« E io ho provato a non innamorarmi di te, ma non ce l'ho fatta, sono stato uno stupido a reprimere i miei sentimenti per così tanto tempo»

Si baciarono una terza volta, sempre con più passione. Le lacrime scendevano lungo il viso di Alice, e in quel momento si sentiva così viva come non lo era mai stata. Si sentiva invincibile, immortale. Non aveva mai provato una sensazione così bella, e si sentiva una stupida per aver provato a dimenticarlo.

« Ehi, calma, calma!» disse lui staccandosi un po' da lei. Entrambi si misero a ridere. « Ti ho portato un regalo» disse porgendole il sacchetto di colore azzurro.

« Cosa?» lei sbarrò gli occhi dalla sorpresa « Davvero per me?»

« Alice» disse lui inginocchiandosi « Io ti amo, ti amo, ti amo” disse baciandole la mano. «Durante questo ultimo mese ho capito cosa provavo veramente, e non ho potuto più resistere. Me ne ero andato per allontanarmi da te, lo sai bene quanto può essere complicata una relazione tra alunno e studente, dovevo riflettere sui miei sentimenti, e mi dispiace, ti ho fatta soffrire tantissimo, l'unico modo che avevo per farmi perdonare era di tornare, e confessarti finalmente quello che provo per te, o che in realtà ho sempre cercato di nascondere e negare a me stesso. Per quello ti ho preso questo regalo, ti chiedo perdono in questo modo»

Lei gli afferrò la testa e la avvicinò a se. Lo strinse forte, il suo volto a contatto con il suo ventre, e gli sussurrava dolci parole « Sono stata io a sbagliare» disse lei « Pensavo che l'amore non esistesse» disse abbassandosi verso di lui « E invece l'ho trovato. Ti amo, Robert» lo baciò di nuovo, e successivamente, sedutasi con lui sotto l'albero, aprì con mano tremante il sacchetto. Dentro c'era una scatolina dello stesso colore, con una scritta argentata sopra.

Quando l'aprì ciò che vi trovò dentro la lasciò senza parole: era una collana d'argento con una piccola rosa.

« Oddio, Robert è bellissima» fu tutto ciò che riuscì a dire lei.

« Proprio come te» disse lui, prendendola dalla scatola e mettendogliela al collo. « Ti ricordi che significato simbolico ha la rosa?»

Alice rise « Davvero vuoi farmi lezione proprio ora?»

« Dovrai recuperare un bel po' di ore perse, visto che mi sono assentato per l'ultimo mese, o sbaglio?»

« Mi dispiace professore, me lo dica lei di cosa si tratta, sono troppo stupida per ricordarmi il significato simbolico della rosa!» disse ironicamente Alice

« Per il suo profumo e la sua bellezza» disse lui prendendole una ciocca di capelli e aspirandone l'odore « è il fiore che ha assunto diversi significati simbolici, ma in ogni caso è sopratutto simbolo dell'amore terreno e mistico» le accarezzò il viso. « Per l'iconografia cristiana rappresenta la coppa, che raccolse il sangue di Gesù durante la sua crocifissione. Il Sacro Graal. Sang Real, la discendenza di Cristo e Maria Maddalena»

« Santo cielo, Robert!» esclamò Alice « Ancora con questo Santo Graal? Non ti sono bastate le tue vicissitudini a Parigi?» concluse ridendo, e dandogli un bacio sulle labbra.

« Posso invitarla a cena, signorina?» disse lui cambiando totalmente discorso.

« Non vedo come potrei rifiutare!»

 

Andarono a cena in uno dei migliori ristoranti della zona, e passarono una serata indimenticabile. Dopodiché Robert la invitò a casa sua, e lei accettò.

Una volta arrivati solo quelle quattro pareti che componevano la stanza di Robert sapevano cosa era successo là dentro.

Lui la portò a letto e cominciò a baciarla, baciarla e baciarla. I suoi baci lo inebriavano, lo portavano a mille, e non voleva più fermarsi. Dal canto suo Alice non aveva mai provato nulla di più bello e non voleva più andarsene, voleva rimanere lì per sempre, tra quelle braccia, quei muscoli forti ma che la riempivano di dolcezza. Fecero l'amore come non avevano mai fatto, e sentivano che quella notte sarebbe stata indimenticabile, e che l'avrebbero ricordata per tutta la vita. E mentre erano lì, tra quelle coperte, illuminati solo dal chiarore della fredda luna invernale, risuonava nella loro testa una parola: “Himeros”. Quella passione, quel desiderio fisico presente e immediato, era finalmente, dopo tanto tempo, stato soddisfatto. E non potevano chiedere di meglio, per quel meraviglioso Natale.

 

Ma mentre la luce della luna illuminava la collana con la rosa di Alice, un'ombra si aggirava intorno a loro. Erano felici in quel momento, ma quanto sarebbe durato? E come avrebbero fatto a nascondere tutto ciò che era successo? I dubbi erano tanti, e nessuno dei due sapeva se l'amore sarebbe riuscito e coprire ogni male.

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CIAO A TUTTI E BUON NATALE OHOHOH! *O*
Aaaah, non sapete quanto io ami il Natale ; v ; e per farvi un piccolo regalo posto questo capitolo oggi, la viglia di Natale (doveva essere Natale, ma poi ho pensato che magari tra panettoni e regali e parenti non avevate tempo o connessione per leggerlo, quindi meglio ora, no? xD)
In ogni caso, spero vi sia piaciuto, era palese che avrei dovuto scegliere canzoni come "All I want for Cristhmas is you" butttt, sono trasgressiva e alternativa (???) e ho scelto una canzone fresca fresca di cinema (Colonna sonora di Big Hero 6)(Film da paura, guardatelo tutti, balalalalaa) che si sposava a perfezione con il capitolo, e alla quale ho dato proprio questo titolo!
Spero vi abbia soddisfatto abbastanza questa parte, la aspettavamo tutti d'altronde, visto che questi due pidocchiosi non si decidevano mannaggia a loro *picchia aggressivamente entrambi* emhh... come non detto insomma *coff coff* u.u
A parte gli scherzi, cose da dire sul capitolo: 
1) Povero Wes. Seriously, che sfigatello. Ovviamente non sapevo che nome dargli (STRANO!) e quindi ho scelto il primo che mi è venuto in mente, che è quello del mio regista preferito, Wes Anderson :3
2) Non so se l'avevate capito, ma Robert le ha regalato un gioiello di Tiffany. EH SI'.
3) Non penso di avere più nulla da dire, eccetto il fatto che dovete andare a vedervi Big Hero 6 e non voglio sentire scuse perché è bellixx.
4) Ancora Buon Natale, siate felici e non fate i Grinch <3

Un bacione, e all'anno prossimo! Riprenderò a scrivere durante le vacanze e a pubblicare una volta finite! 
Vi abbraccio forte,

Alice
 

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