Faithfully...

di The Writer Of The Stars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di tutto... ***
Capitolo 2: *** Un incontro... fortunato? ***
Capitolo 3: *** Prima lezione e presentazioni... ***
Capitolo 4: *** Canzoni a cappella e dichiarazioni d'amicizia... ***
Capitolo 5: *** Il gruppo unito e un batterista solitario... ***
Capitolo 6: *** Pomeriggio insieme e ritrovo al bar... ***
Capitolo 7: *** Affitti da pagare e canzoni sotto le stelle... ***
Capitolo 8: *** Chiacchierate notturne e un nome da scegliere ***
Capitolo 9: *** Voci fuori dal coro ... ***
Capitolo 10: *** Un lavoro da trovare e soprannomi improbabili ... ***
Capitolo 11: *** Competizioni in vista e canzoni da scrivere ... ***
Capitolo 12: *** Primi litigi e un lungo pomeriggio in vista ... ***
Capitolo 13: *** Nuove conoscenze e una vita difficile ... ***
Capitolo 14: *** Idoli in comune e vivendo su una preghiera ... ***
Capitolo 15: *** Lavoro di "squadra" e risposte inaspettate ... ***
Capitolo 16: *** Esibizioni sconcertanti e meritiamo di essere qualcuno ... ***
Capitolo 17: *** Don't stop believing ... ***
Capitolo 18: *** Sfide canore: Usignoli contro Voci fuori dal coro ... ***
Capitolo 19: *** Panico da palcoscenico e qualcuno da amare ... ***
Capitolo 20: *** Granite in faccia ... ***
Capitolo 21: *** Tributo al Re del Pop ... ***
Capitolo 22: *** Cominciano le indagini ... ***
Capitolo 23: *** Esibizioni emozionanti e si va alle Provinciali! ***
Capitolo 24: *** Le Provinciali ... ***
Capitolo 25: *** Vittorie inaspettate e notizie scioccanti ... ***
Capitolo 26: *** Un brutto posto e verso le Regionali ... ***
Capitolo 27: *** Rivelazioni ... ***
Capitolo 28: *** Le Regionali - parte 1 ***
Capitolo 29: *** Le Regionali - parte 2 ***
Capitolo 30: *** Buonanotte ... ***
Capitolo 31: *** Problemi in vista ... ***
Capitolo 32: *** Niente ci dividerà e ascoltateci ruggire ... ***
Capitolo 33: *** Do they know it's Christmas? ***
Capitolo 34: *** Addii e funerali ... ***
Capitolo 35: *** Ricominciare a vivere ... ***
Capitolo 36: *** Musical e compleanni ... ***
Capitolo 37: *** I'll stand by you ... ***
Capitolo 38: *** Jump! ***
Capitolo 39: *** Verso le Nazionali! ***
Capitolo 40: *** Faithfully ... ***
Capitolo 41: *** Le Nazionali ... ***
Capitolo 42: *** We are the Champions ... ***
Capitolo 43: *** Epilogo - Una storia da scrivere ... ***



Capitolo 1
*** L'inizio di tutto... ***


FAITHFULLY …
Oggi voglio raccontarvi una storia. Si, una storia. Vi va di ascoltarla? Vi avverto, la mia non è una favola. Anche se forse, alla fine potrà sembrarvi un po’ una fiaba. Ma non voglio anticiparvi già il finale. Direi di cominciare dicendo che la storia che sto per raccontarvi, ha come protagonisti un gruppo di ragazzi. E qui niente di insolito, direte voi. Infatti, avete ragione. I ragazzi di questa storia sono adolescenti normali, come se ne conoscono tanti. Solo un po’ più sfortunati. Tra questi, ci sono io. Sono Bulma Brief e sarò colei che vi narrerà questa storia. La storia di come la mia vita sia cambiata. Perché da ora, cari lettori, vi racconterò di come noi, un gruppo di sfigati del liceo, siamo diventati finalmente qualcuno. E dopo di questo, non posso aggiungere altro. Solo cominciare a raccontarvi questa meravigliosa avventura, chiamata vita.
 
Alla “Orange High School” esistevano tre tipi di ragazzi. Quelli “popolari”, pieni di amici ,ricchi sfondati e stramaledettamente arroganti e presuntuosi. Ah, solitamente i popolari facevano parte della squadra di Football o delle cheerleader della scuola. Ma questo, mi sembra ovvio. Poi c’erano i ragazzi normali, che pur non navigando nell’oro, provenivano da famiglie agiate e potevano dire di condurre una vita tranquilla e serena. E poi, c’eravamo noi. Avrete già capito, no? Noi eravamo gli sfigati. Solitamente noi sfigati ci dividevamo in “asociali” e “disastrati”. Io potevo considerarmi entrambe. E qui forse, dovrei spiegarvi un po’ meglio chi è Bulma Brief. Sono un errore. Si,un errore, uno sbaglio. Non ero stata calcolata. Me lo ha detto mia madre stessa, non so quante volte ormai, tanto da averci fatto l’abitudine. Mia madre faceva la prostituta. Ora, so che la cosa può risultare alquanto improbabile, ma è così. Mia madre ha sempre lavorato sulla strada, sin da prima che io nascessi. Io ero stata solo il frutto di una distrazione durante una notte di “lavoro” di Kim. Dovevo chiamarla così, Kim. Mai mamma. Non sia mai. Una volta, quando ero molto piccola, ci avevo provato a chiamarla mamma. In risposta, ricevetti solo uno schiaffo e un “non chiamarmi così”. A quel tempo, non riuscivo a spiegarmi perché non potevo chiamarla come ciò che era per me. Poi crescendo capii che lei non voleva essere madre. Così io non dovevo chiamarla mamma. Avere una mamma che fa la prostituta non è una gran cosa. Per niente. Sin da piccola, sono sempre stata trattata diversamente dai miei compagni, dagli insegnanti, dal resto del mondo. Ricordo bene il giorno della festa della mamma quando ero alle elementari. Tutti i miei compagni facevano disegni o scrivevano poesie per le loro madri, che una volta a casa li avrebbero abbracciati e appeso i loro auguri al frigorifero o alla parete. Anche io volevo fare qualcosa per la mamma. Anche se sapevo che non le sarebbe piaciuto. Invece quel giorno la maestra mi prendeva per mano e mi portava in un’altra stanza, senza nemmeno lasciarmi il tempo di prendere il quaderno e l’astuccio. Solitamente mi sistemava nella sala tv, dove metteva su un film e mi lasciava davanti allo schermo per il resto della giornata. Puntualmente il film era sempre lo stesso, “La fabbrica di cioccolato”. Ormai lo avevo già visto talmente tante volte da conoscere a memoria le battute dei protagonisti. Fantasticavo guardando tutta quella cioccolata che scendeva come un fiume attraverso le colline di caramelle. Quanto avrei voluto anche io un po’ di quel dolce. La mamma non me lo comprava mai. Diceva che non voleva spendere inutilmente soldi per me. E così io conoscevo a memoria un film sulla cioccolata, senza averne mai provato un pezzo. Alle medie il trattamento era più o meno lo stesso. L’unica differenza era il film. Sono passata da conoscere a memoria “La fabbrica di cioccolato” ad amare “L’attimo fuggente”. Si, alle medie il film del giorno della festa della mamma era diventato quello. Ricordo che da quando lo vidi per la prima volta, desiderai ardentemente avere un insegnante come il Professor Keating. Un docente capace di spronare i suoi alunni a credere in se stessi, nelle loro capacità, a cogliere l’attimo. Non sapevo a quel tempo che anche io un giorno avrei incontrato un insegnante così. Anche se non aveva le sembianze di Robin Williams.

Quando andai alle superiori, le cose cambiarono radicalmente. Il giorno della mamma era un giorno come tanti a scuola, e questo era forse un bene per me. I ragazzi però parlavano. I ragazzi sapevano. Ricordo ancora alla perfezione l’accoglienza che mi fu riservata appena varcata la soglia dell’istituto, quel giorno di maggio di due anni fa. Appena entrai uno dei giocatori di football mi si parò davanti. Era un energumeno pelato, grosso e dall’ aria per nulla amichevole. Dire che quel tipo mi spaventava, sarebbe un eufemismo.  Intanto anche altri ragazzi, amici di quel colosso, si erano avvicinati, incuriositi dalla scena. “Ehi, fata turchina, hai fatto gli auguri a tua madre oggi? Aspetta, probabilmente non sarà in casa ,  avrà lavorato ieri sera, quella puttana!” Io non sapevo che dire. Aveva ragione. Lei non c’era. Era a “lavoro”, non la vedevo da un giorno circa. Che potevo dire? E quel soprannome, dovuto al colore assurdo dei miei capelli e dei miei occhi poi … accidenti, non poteva essere più azzeccato. Avevo lo sguardo basso, piantato sul pavimento, intorno a me sentivo solo le risate sguaiate degli amici di quel tipo. Si stavano prendendo gioco di me, era palese. Ora, io ero una tipa un po’ strana, lo ammetto. Nonostante fossi una sfigata emarginata, il carattere non mi mancava. Avevo una lingua tagliente,ero determinata e sapevo rispondere a tono agli insulti. Almeno prima di quel giorno. Ciò che avevano detto era completamente vero, che avrei potuto dire?  I ragazzi continuarono a prendermi in giro e cominciarono anche a darmi degli spintoni, scaraventandomi per terra. Per fortuna, la campanella mi salvò da quello che presto sarebbe diventato un pestaggio. Mi lasciarono lì, stesa a terra, in silenzio e con lo sguardo basso. Se ne andarono con un “Salutaci tua madre!” e altri commenti che preferii rimuovere dalla mia mente. Da quel giorno, parlai molto meno. E cominciai a non andare a scuola durante la festa della mamma.

Era il primo giorno del terzo anno di superiori. Avevo sedici anni compiuti e un’autostima a dir poco inesistente.  Mi svegliai molto presto, come mio solito, pronta alla carica di insulti a me riservati anche per quell’anno. Iniziai a vestirmi con tutta la calma e tranquillità di chi è intenzionato ad arrivare in ritardo. Non volevo incontrare i soliti bulli, e quei pochi minuti di ritardo che mi stavo procurando, mi avrebbero permesso di raggirarli più o meno tranquillamente. Prima di uscire di casa diedi una veloce occhiata alla stanza di mia madre. Non c’era. Beh, che mi aspettavo? Scossi leggermente la testa,scuotendo i miei capelli turchini,lunghi fino alle spalle. Mi decisi finalmente ad uscire, e afferrate le chiavi di casa, mi chiusi la porta alle spalle, pronta ad andare. La scuola non distava molto dalla mia casa. A piedi impiegavo circa cinque minuti ad arrivare, otto se camminavo lentamente. Così, esattamente sette minuti e cinquantanove secondi dopo, mi trovai davanti all’edificio scolastico. Feci un profondo respiro e mi incamminai su per le scale che mi separavano dall’ingresso.
Come ogni anno, il preside della nostra scuola riuniva tutti gli alunni nella grande palestra, per il discorso di inizio anno. Discorso sempre uguale, fatta eccezione per l’uso di alcuni sinonimi a sostituire le parole utilizzate l’anno precedente. Entrai nella grande palestra, guardandomi intorno in cerca di un posto marginale da cui poter ascoltare le originali parole del preside, senza essere disturbata. Mi sedetti sull’ultima panca a sinistra, vicino all’uscita della palestra. Gli altri studenti erano concentrati nella parte centrale della palestra, proprio di fronte al palco allestito per la cerimonia, così tirai un sospiro di sollievo, constatando di essere sola in quel angolino.  Iniziai a guardare l’ambiente intorno, spinta da una lieve curiosità di sapere quante delle facce viste della scuola erano riuscite ad essere promosse, e quante invece erano state bocciate. Certo che c’erano proprio un sacco di studenti, in quell’istituto. Stavo ancora vagando con lo sguardo tra i vari ragazzi, quando mi accorsi che qualcuno era appena entrato in palestra. Volsi lo sguardo verso l’ingresso, e mi imbattei in un paio di iridi d’antracite che mi fecero sobbalzare. Era un ragazzo, uno nuovo probabilmente. L’altezza non troppo elevata, i capelli scuri e rivolti verso l’alto, come a ricordare una fiamma, e il corpo muscoloso gli conferivano l’aspetto di un normale sedicenne, come me. Il suo sguardo invece, era molto serio, profondo, maturo. Lo faceva sembrare adulto. Ero rimasta così, a fissare quegli occhi  scuri, quando mi resi conto che il preside aveva appena fatto il suo ingresso. I falsi applausi degli studenti, rivolti al preside Muten mi risvegliarono da quello che sembrava uno stato di coma apparente. Solo in quel momento mi accorsi che i suoi occhi non erano più su di me. Se ne era andato. Ancora un po’ scossa, sospirai e decisi di rivolgere tutta la mia attenzione al vecchietto con la barba bianca e gli occhiali da sole che aveva iniziato a parlare. Pensai un’ultima volta a quegli occhi color  notte, poi iniziai ad ascoltare seriamente il discorso del preside, anche  se ormai lo conoscevo a memoria.
Quello era il mio terzo anno delle superiori. E di regola, alla Orange High School, all’inizio del terzo anno bisognava scegliere uno dei club scolastici, iscriversi ed essere costretto a frequentarlo per il resto del liceo. Non era male come idea. Non lo era affatto. Si poteva scegliere tra diversi corsi: c’erano il corso di cucito,il corso di lingue, il laboratorio di scienze e così via. L’elenco era piuttosto lungo, e ci voleva un po’ per studiarlo tutto. Così decisi di attendere che tutti avessero scelto il loro club, per potermi poi dedicare all’ardua scelta di qualcosa che facesse per me. Una volta che la folla accalcata attorno al foglio delle iscrizioni fu scomparsa, mi avvicinai all’elenco. Scorsi con gli occhi le varie opzioni, stando attenta anche a coloro che avevano scelto il laboratorio a cui ero interessata. Sia chiaro, non avevo alcuna voglia di ritrovarmi a passare i restanti anni del liceo in compagnia dei bulli della squadra di football, o con le galline delle loro fidanzate. Fortunatamente questi facevano già parte di un club scolastico, visto che la squadra di football e il gruppo di cheerleader erano considerati così. Perciò io non correvo grossi rischi. Nonostante ciò, dopo un’attenta osservazione, non avevo ancora deciso quale laboratorio frequentare. Fu in quel istante che l’occhio mi cadde sulla casella : “Glee Club”. Il Glee Club era un laboratorio dove i ragazzi che sapevano cantare,suonare uno strumento e ballare, potevano sentirsi a casa. Ecco, un’altra cosa che non vi ho detto, è che io amo la musica. Una volta da piccola avevo trovato una chitarra nella soffitta di casa. Era piuttosto vecchia e impolverata. Probabilmente era appartenuta al precedente inquilino del nostro piccolo appartamento, magari l’aveva dimenticata per sbaglio e non era più venuto a riprenderla. Sta di fatto che quello strano oggetto attirò talmente tanto la mia attenzione che decisi che avrei imparato ad usarlo. Iniziai a cercare tutorial su internet, per poter così imparare da autodidatta. Ovviamente tutto ciò avveniva quando mia madre non c’era. Ma d’altronde, non c’era mai, perciò in poco tempo imparai a suonare la chitarra. Ero così fiera di me, ma non lo dissi a nessuno. Continuavo a suonare e cantare di nascosto, quando ero sola in casa. Certe notti, quando mia madre era fuori ed io mi sentivo sola, afferravo la chitarra nascosta sotto il letto ed iniziavo a strimpellare,  componendo qualche canzone. Così ero arrivata a sedici anni con una chitarra nascosta sotto il letto, insieme ad un quaderno pieno zeppo di canzoni scritte da me in quelle notti di solitudine. E inoltre, non per vantarmi, non cantavo neanche tanto male. Anzi avevo una bella voce, che però non usavo molto. Guardai per un attimo la casella con su scritto i nomi dei partecipanti al laboratorio e l’insegnante che avrebbe seguito il corso.  Erano in pochi e non conoscevo nessuno di loro, tantomeno il professore. Un certo Gohan Dawson. Probabilmente uno nuovo. Riflettei per un altro secondo, poi afferrai decisa la penna appoggiata lì vicino e scrissi il mio nome sull’apposita casella. Guardai soddisfatta il foglio:
Glee Club
- Chichi Del Toro
-Goku Son
-Crillin Head
- Yamcha Wolf
- C18 Android
-Tensing Eye
- Riff Eye
-Bulma Brief

Sorrisi soddisfatta, guardando il mio nome insieme a quello degli altri componenti del Glee Club. Con una firma. Fu così, che tutto cominciò. Nota Autrice: Salve a tutti! Sono tornata! Stavolta ho deciso di cominciare una long ambientata, in un universo alternativo, con i nostri immancabili protagonisti! Era da un po' di tempo che quest'idea mi frullava in testa, così oggi ho deciso di metterla per iscritto e ho scritto il primo capitolo! Spero di poter aggiornare regolarmente, anche se non posso darmi un termine, dato che devo ancora scrivere gli altri capitoli! Vedrò cosa posso fare! Intanto vi lascio questo primo capitolo. Non è molto lungo, è una sorta di introduzione alla storia vera e propria. Non so dirvi quanto saranno lunghi i successivi capitoli, nè quanti saranno, ma ho già in mente un'idea di come continuare la storia... comunque ci tenevo a precisare che l'idea generale è leggermente ispirata alla serie televisiva Glee, ma posso assicurarvi che tolta la presenza di alcune canzoni e altri elementi, la storia si svolgerà in modo diverso! Ora vado davvero, altrimenti rischio di scrivere una nota più lunga del capitolo stesso... :) Grazie come sempre a coloro che leggeranno questa storia e a chi recensirà! A presto! TWOTS

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Capitolo 2
*** Un incontro... fortunato? ***


I corsi scolastici sarebbero cominciati subito dopo la fine delle lezioni, nell’immediato dopo pranzo. Alla Orange High School si poteva pranzare in due modi: mangiare il cibo della mensa, seduti ai tavoli insieme al proprio gruppo di amici, chiacchierando di tutto senza in realtà dire nulla di importante. Oppure portarsi un panino da casa e rifugiarsi da soli nel cortile della scuola, crogiolandosi nella tranquillità del momento. Erano pochi infatti gli studenti che sceglievano questa opzione, perciò la maggior parte dei ragazzi si trovava nella mensa, lasciando il cortile vuoto o quasi. Io ovviamente sceglievo la seconda opzione, da sempre. C’era un qualcosa di impagabile e assolutamente imparagonabile alla tranquillità del consumare il proprio pranzo in silenzio, accompagnati solo dallo sporadico canto di qualche uccellino. Le chiacchiere provenienti dalla mensa arrivavano lontane, mano a mano che mi avventuravo nel grande giardino del cortile. Negli anni avevo sperimentato diversi luoghi per consumare il mio pranzo, e durante una delle mie spedizioni alla ricerca del posto perfetto, avevo finalmente trovato il luogo adatto. Continuai a camminare con passo lento e tranquillo, non avevo fretta. Il mio posto tanto non sarebbe scappato. Mentre proseguivo facendomi largo tra le piante, iniziai a pensare. Quella mattinata era passata in modo stranamente tranquillo. Niente incontri spiacevoli, nessun insulto, nessuno mi aveva rivolto la parola. Perfetto. L’anno non poteva cominciare in maniera migliore. Inevitabilmente la mente vagò a quegli occhi scuri incrociati nella palestra. Quello sguardo, mi aveva in qualche modo scosso. Non sapevo spiegare che cosa mi aveva fatto. Posso solo dire che mi aveva colpita. “Chissà chi è quel ragazzo …” mi ritrovai a pensare, proprio un attimo prima di scorgere finalmente il grande albero. Eccola là,la mia quercia. Affrettai il passo non appena vidi la corteccia del mio angolo di paradiso. Pregustavo già la pace e la tranquillità di quei quaranta minuti che la pausa pranzo concedeva, quando mi accorsi di non essere sola. Vicino all’albero infatti, scorsi uno zaino nero, malamente abbandonato al suolo, la cerniera lampo aperta e alcuni libri velocemente riposti al suo interno. Incuriosita e forse un po’ arrabbiata nel constatare che qualcun altro si era impossessato del mio angolo, mi avvicinai al albero. Stavo già preparando un discorsetto nella mia mente, da rifilare all’intruso. Sicura di non trovarmi davanti uno dei soliti bulli, mi ritrovai armata di un insolito coraggio che credevo non mi appartenesse più ormai. Presi un respiro profondo e mi parai di fronte all’ intruso. Avevo chiuso gli occhi ripassando mentalmente il mio discorso, e una volta sicura di me, cominciai decisa: “Senti, posso sapere chi sei e cosa ci fai …” le parole mi morirono in gola. Avevo appena iniziato il mio monologo , ma mentre parlavo, aprii gli occhi, trovandomi davanti il misterioso intruso. Non potevo crederci. Era lui. Se ne stava seduto per terra, la schiena appoggiata alla corteccia, la testa leggermente reclinata all’indietro e gli occhi chiusi. Sembrava così calmo e rilassato. Si accorse della presenza di qualcuno quando mi misi davanti a lui, facendogli ombra. Nonostante ciò non aveva accennato ad aprire gli occhi. Solo quando iniziai a parlare, aprì gli occhi scocciato e infastidito per l’interruzione del suo momento di relax. Si rese conto però che mi ero fermata nel bel mezzo del mio discorso, così mi guardò accigliato e leggermente confuso. “Allora? Si può sapere cosa vuoi? Sei venuta qui a rompere, finisci almeno di lamentarti e poi lasciami in pace!” mi si rivolse scontroso. Ora,se in un primo momento ero rimasta sorpresa a guardarlo, dopo aver ascoltato questa sua affermazione, mi risvegliai di colpo. Se fino a quel tempo ero sempre rimasta zitta di fronte a tutto, reprimendo la lingua tagliente e il carattere deciso dentro di me, in quel momento decisi che era ora di far vedere un po’ di luce a quella Bulma nascosta da troppo tempo. I miei occhi limpidi si infuocarono immediatamente. Posso giurarvi che se fossimo stati in un cartone animato, avreste visto un paio di fiammelle al posto delle mie iridi azzurre. Strinsi i pugni con decisione e, una volta preso fiato, iniziai a sbraitare furiosa: “Ma come ti permetti di parlarmi così?! Se vuoi saperlo sono venuta qui a lamentarmi, perché questo è il MIO posto! Sei tu quello che non dovrebbe essere qui, perciò ti invito calorosamente ad andartene, lasciando libero il mio posto!” non appena finii di pronunciare ciò, mi sentii molto meglio, quasi liberata. Era da tempo che la vera Bulma non si faceva sentire. In un primo momento mi sentii leggermente in colpa. Forse avevo esagerato. Dopotutto, come poteva quel poverino sapere che quel posto era stato il frutto di tante ricerche e che era il luogo dove mi rifugiavo per trovare un po’ di pace in quella vita burrascosa che mi trovavo a vivere? Ma i sensi di colpa vennero subito repressi dal suono della risata di lui. Stava ridendo. Era una risata derisoria, questo è vero, ma non potei fare a meno di ammettere che era una delle risate più belle che avessi mai sentito. Era profonda, un po’ roca, come la sua voce. Mi riscossi velocemente da quei pensieri. E ora perché diavolo stava ridendo?! Esposi questo mio interrogativo indignata e lui finalmente mi guardò negli occhi. Aveva smesso di ridere, anche se non riusciva a trattenere un ghigno divertito su quel viso perfetto … un momento, ma che stavo pensando? Io ero arrabbiata con lui accidenti! Fu proprio il soggetto dei miei pensieri ad interrompere il conflitto interiore che stava avvenendo all’interno della mia mente. “Il tuo posto? Questo sarebbe il tuo posto?! Sbaglio o non vedo targhette con scritto “Donna petulante” qui intorno?! No perché se è così allora illuminami, non vedo l’ora!” ecco mi aveva colpita. Colpita e affondata. Aveva ragione, il mio nome non era scritto da nessuna parte. Nonostante ciò non potei fare a meno di ribattere più inviperita che mai: “ Razza di scimmione, come osi?! Non mi chiamo donna, ho un nome sai?! Mi chiamo Bulma, hai capito? B-U-L-M-A! BULMA! “ . La sua risposta, ovviamente, non tardò ad arrivare. “Tsk, non mi interessa affatto come ti chiami! Per me sei solo una donna rompiscatole! E comunque ti ripeto che non vedo il tuo nome scritto da nessuna parte, perciò questo posto è tanto tuo quanto mio! E ora sparisci, ho di meglio da fare che perdere tempo con una gallina isterica come te!” Ok, quello era il colmo. Stavo per ribattere infuriata quando un sinistro borbottio proveniente dal mio stomaco, mi ricordo ciò per cui mi ero addentrata nel giardino. Stavo morendo di fame, e inoltre non avevo ancora molto tempo per mangiare. La pausa pranzo sarebbe finita a breve e io non avevo ancora messo nulla sotto i denti. Non avevo assolutamente intenzione di arrendermi, ma di mangiare vicino a quel troglodita maleducato proprio non ci pensavo. In più il tempo stringeva e dopo pranzo sarebbe cominciato il laboratorio di musica. Non avevo altra scelta. Più irritata che mai, presi il mio zaino e mi allontanai, cercando un altro posto dove mangiare, il più lontano possibile da quello scimmione. Mentre mi allontanavo sbuffando, non potei fare a meno di segnare nella mia mente il disastroso esito della lite appena avvenuta. Scimmione 1, Bulma 0. Argg, che rabbia! Quello scimmione mi aveva fatta infuriare! Già, scimmione! Come altro potevo chiamarlo? Non conoscevo il suo nome e sinceramente non mi sembrava esistesse soprannome più adatto di quello. Nonostante ciò, dovetti ammettere che grazie a quel maleducato, sembrava avessi riacquistato un po’ del coraggio e carattere che credevo perso. “Bè, almeno quello”, pensai. Dopo un po’ di cammino trovai una panchina gialla. Mi sedetti distrattamente, iniziando a mangiare con voracità il panino che avevo preparato per pranzo. Dovevo sbrigarmi. Tra non molto il club di musica sarebbe cominciato. Chissà, magari quello mi avrebbe permesso di distrarmi e farmi passare l’arrabbiatura. Già, magari … Erano le 14.07 minuti. Sette minuti di ritardo. Non erano nemmeno tanti, ma nonostante ciò dovetti correre come una matta per raggiungere la classe dove si sarebbe tenuto il laboratorio. Non potevo arrivare in ritardo il primo giorno. Arrivai trafelata di fronte all’alula 7. La porta era leggermente socchiusa, perciò in un moto di coraggio la aprii timidamente. Davanti a me si materializzarono un paio di occhi neri, incuriositi. Indietreggiai improvvisamente, presa alla sprovvista da quel ragazzo che mi stava fissando. Probabilmente sarebbe stato uno dei miei compagni di corso. Lo guardai anche io per un attimo. Oltre agli occhi neri puntati su di me, notai che era un ragazzo piuttosto alto e muscoloso. Sul suo capo faceva bella mostra di sé una strana capigliatura a forma di palma e a completare il quadro un enorme sorriso,probabilmente rivolto a me. Era un ragazzo che ispirava subito simpatia, senza alcun dubbio. “Ciao! Io sono Goku! Tu come ti chiami? Frequenti anche tu questo club?” mi chiese con quel sorriso ancora stampato in viso. Ero ancora un po’ sconvolta da quel ragazzo così solare, che impiegai un attimo prima di rispondere. “ Ehm, ciao, sono Bulma e credo che frequenteremo questo corso insieme …” risposi timidamente. Un’altra ragazza mi si avvicinò, guardando per un attimo Goku e prendendolo per un orecchio. “Non stare così addosso ad ogni persona che arriva, Goku! Come devo dirtelo?!” lo rimproverò con una punta di divertimento. “Ahh, va bene Chichi, però ora potresti lasciarmi l’orecchio per favore? Mi stai facendo un pochino male …” rispose Goku, implorando la ragazza di lasciarlo. Sorrisi, divertita da quella scenetta,e solo allora la ragazza che aveva ripreso Goku, mi rivolse la sua attenzione. Aveva gli occhi scuri come quelli del ragazzo appena conosciuto, e i capelli del medesimo colore. Mi sorrise cordialmente, presentandosi. “Ciao! Io sono Chichi! Scusa se Goku è venuto subito ad assillarti, ma lui è fatto così!” mi disse, rivolgendo un’occhiata di rimprovero al poveretto vicino a lei. Quest’ultimo intanto continuava a sorridere imbarazzato, grattandosi la nuca con una mano, in un gesto impacciato. Sorrisi cordialmente alla ragazza, presentandomi anche io. “Tranquilla, non fa niente, anzi Goku sembra molto simpatico! Comunque io sono Bulma, molto piacere.” Feci cordialmente, tendendole la mano. Chichi mi guardò un attimo e poi mi saltò addosso, abbracciandomi come se non ci vedessimo da una vita. Ok rimproverare il ragazzo forse un po’ troppo allegro, ma lei sembrava non essere da meno, anzi … più imbarazzata che mai risposi timidamente all’abbraccio, e dopo poco tempo la ragazza si staccò, ancora sorridendo. Ok, forse quei due avevano qualche rotella fuori posto. Ma forse fu proprio per questo che risultarono subito simpatici. Ero felice di frequentare il laboratorio insieme a loro. Saremmo sicuramente diventati amici. Nel frattempo iniziai a guardarmi intorno, passando in rassegna i volti degli altri ragazzi lì presenti. Il primo a colpire la mia attenzione fu un ragazzino basso, pelato e con un naso praticamente inesistente. Si guardava intorno intimorito, probabilmente era un ragazzo molto timido. Poco più in là scorsi un ragazzo con una strana cicatrice sul volto. Stava in piedi, sorrideva e scherzava con altri due ragazzi lì vicino, scuotendo i lunghi capelli scuri raccolti frettolosamente in una specie di coda. Non era male, sembrava un bravo ragazzo. Insieme a lui, altri due individui catturarono la mia attenzione. Uno di loro era piuttosto alto, anche lui senza capelli, ma con uno strano tatuaggio a forma di occhio in fronte. Un tipo un po’ strano, senza dubbio. Vicino a lui invece, stava un altro ragazzino, molto più basso e con le sembianze piuttosto infantili. Sorrideva impacciato in mezzo a quei due tipi che per lui erano colossi. In fondo alla stanza, appoggiata ad un angolo, scorsi la figura di una ragazza. Era alta, bionda e molto bella. Gli occhi di ghiaccio scrutavano tutto l’ambiente intorno, con fare misterioso. Non sembrava una tipa di molte parole. Feci ricorso alla mia memoria fotografica, ricordando il numero di iscritti a quel laboratorio segnati sul foglio delle iscrizioni. Otto, con me. Iniziai a contare mentalmente, portando lo sguardo ora su uno ora sull’altro, per accertarmi che fossimo tutti. Otto, si c’eravamo tutti. Stavo ancora riflettendo quando la porta dell’ aula si spalancò di botto. Le chiacchiere furono sostituiti dai silenzi e dagli sguardi di tutti puntati verso l’individuo appena entrato. Era un tipo alto, moro e dagli occhi del medesimo colore. Una grossa montatura nera risaltava ancora di più i suoi occhi scuri. Sotto il braccio reggeva alcuni libri e non appena si accorse dei nostri sguardi puntati su di lui, sorrise imbarazzato. “Buongiorno ragazzi! Sono il professor Dawson!” proclamò infine. Seguì un silenzio imbarazzante. Sono sicura che il mio pensiero fu lo stesso di quello degli altri ragazzi presenti nell’aula. Quel tipo sarebbe stato il nostro professore?! Non sapevamo che dire. Non perché sembrasse antipatico, anzi. Sembrava solo un po’ troppo giovane e inesperto. Il silenzio venne finalmente smorzato dal bussare della porta. Il professor Dawson volse lo sguardo verso la fonte del rumore e proclamò un incerto: “Avanti!”. La porta si aprì leggermente. Lo sguardo di tutti ora era puntato verso l’ingresso. Non fece in tempo ad aprire completamente la porta, che mi sentii mancare. Quegli occhi. Scorsi solo quei due pozzi neri. Non era possibile. Non potevo crederci. Ma era così. Era lui. Nota Autrice: Ed eccomi quà con il secondo capitolo della long! Mi rendo conto che non è molto lungo, ma questo è un capitolo diciamo di collegamento, anche se molto importante! Qui infatti assistiamo al primo incontro (litigio) tra Bulma e Vegeta! Inoltre inizia la prima lezione del laboratorio... il prossimo capitolo parlerà infatti della prima lezione con il professore un po' impacciato del Glee Club! Ringrazio come sempre coloro che leggeranno, recensiranno e anche chi metterà la storia tra le seguite (magari..) comunque vi saluto e vi ringrazio come sempre per l'attenzione! Un bacio e al prossimo capitolo! A presto! TWOTS

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Capitolo 3
*** Prima lezione e presentazioni... ***


“Non è possibile …” fu l’unica cosa che riuscii a dire non appena scorsi quei due pozzi neri. Lo dissi in un sussurro, non avevo nemmeno la voce per parlare. O forse non è vero che lo dissi così piano. Chichi infatti mi aveva sentito, e non appena ebbe visto la mia faccia diventata più bianca del normale, mi si rivolse preoccupata: “ Va tutto bene, Bulma? C’è qualche problema?” “Lui …” riuscii solo a dire. Chichi tornò a fissarmi, stavolta più confusa che preoccupata. “Ti riferisci a quel ragazzo?” disse additando in direzione dello scimmione, che intanto era entrato in classe. Annuii debolmente, continuando a fissarlo. Anche lui mi guardava, ma non diceva niente. Chissà che mi aspettavo poi. Il nostro duello di sguardi fu interrotto proprio da lui. Un ghigno divertito si dipinse sul suo volto, e il fatto non mi fece presagire nulla di buono. “Guarda guarda … c’è là gallina isterica …” disse divertito e con quella voce maledettamente sexy … ma cosa diavolo stavo pensando?! Stavo davvero impazzendo. Nonostante ciò, riuscii comunque a recuperare quel caratterino che avevo da poco riacquistato (guarda caso, grazie a lui), e mi preparai per quello che sarebbe stato uno scontro epico. “Tu… “ cominciai ringhiando, ma fui subito interrotta dalla voce imbarazzata del bonario professor Dawson. “Bene ragazzi, direi che ci siamo tutti ora…” disse riferendosi all’ultimo arrivato. “Che ne dite di cominciare?” si rivolse di nuovo a noi, con quel tono terribilmente imbarazzato. Lanciai un ultima occhiata allo scimmione, decretando sospeso per quel momento lo scontro verbale. Con lui avrei fatto i conti più tardi. Chissà quando si era iscritto a quel corso poi. Sicuramente dopo di me. Sull’elenco non compariva il nome di un nono elemento,almeno fino a quando non me ne ero andata. Il professore intanto aveva raccolto le sedie sparse per l’aula e le aveva disposte in modo circolare, aiutato da Goku. “Sedetevi, prego.” Ci invitò ancora timidamente il professore. Tutti quanti ci accomodammo, chiusi in un ostinato mutismo. Chiunque sarebbe entrato in quel momento, avrebbe potuto tranquillamente affermare che stessimo giocando al gioco del silenzio. E invece stavamo solo aspettando che qualcuno di noi dicesse qualcosa. Niente. Ce ne stavamo tutti zitti, ognuno a sperare che il proprio vicino di posto del momento, cominciasse a parlare. Quel silenzio era davvero imbarazzante. Fortunatamente il professore si rese conto della situazione che si era creata in quei minuti di silenzio, così decise di prendere le redini (come giusto che fosse) di quella che sarebbe stata la sua classe. “Bene ragazzi. Direi che la prima cosa da fare sia presentarsi. Comincerò io, e poi a turno, anche voi farete lo stesso. Ok?” ci chiese quasi intimidito dalla nostra presenza. Annuimmo tutti, con scarso interesse. Quel tipo era davvero strano. “Allora, la prima cosa che credo di dovervi dire è che sono il Professor Dawson, colui che seguirà questo laboratorio.” Cominciò alzandosi in piedi e mettendosi al centro della stanza. Non poteva dire cosa più ovvia. “ Con voi voglio essere il più sincero possibile. Voglio instaurare un rapporto diverso con voi ragazzi. Non mi piace trattare i miei alunni con la freddezza tipica degli insegnanti. Con questo non voglio assolutamente mettere in cattiva luce i vostri professori, ci mancherebbe. Vorrei solo farvi sapere che io ho un metodo un po’ diverso del solo insegnamento. Io voglio essere un vostro amico. Voglio essere una persona di cui potete fidarvi, voglio mettermi sul vostro stesso piano. Quindi comincio subito a presentarmi come si deve. “ Prese un profondo respiro, e ricominciò. “ Ho iniziato il mio discorso dicendovi :” Allora, la prima cosa che credo di dovervi dire è che sono il Professor Dawson, colui che seguirà questo laboratorio.” Ora, diciamoci la verità: è un inizio un po’ formale, non credete? Allora facciamo così, mi presento in un altro modo. Mi chiamo Gohan Dawson, ho venticinque anni e odio fare il professore. Ve l’ho detto, con voi voglio essere sincero. Io non sono un insegnante. Sono un musicista. Mi sono laureato a pieni voti al conservatorio più importante della città. Quando mi sono diplomato, avevo grandi piani in mente: andare via da qui, trasferirmi in America e cominciare la mia carriera da musicista in uno dei maggiori teatri degli Stati Uniti. Ma purtroppo ragazzi, la vita non va sempre come vogliamo. Punto primo: per andare in America ci vogliono i soldi. E questo era un problema per un musicista squattrinato fresco di diploma. Ma non era solo questo l’intoppo. Le raccomandazioni. Ragazzi ormai avete, quanti anni, 16? Sapete come funziona la vita. Per sfondare ci vogliono le raccomandazioni. E io, manco a dirlo, non ne avevo. E così, addio agli Stati Uniti. Anche se ero rimasto qui, dovevo pur ,mantenermi. Dovevo trovare un lavoro. Così mi sono messo seduto e mi sono detto: “quale lavoro può fare un ventenne che capisce solo di musica?” le opzioni c’erano, ma le possibilità di effettuarle, no. L’unico lavoro disponibile e che mi avrebbe permesso di pagarmi da mangiare, era l’insegnante. E così ho fatto. Ho girato diverse scuole, come supplente ovviamente, prima di imbattermi in questo incarico. Direttore di un Glee Club. Ci ho riflettuto un attimo: non era un vero incarico da insegnanti. Non avrei dovuto fare lezione come un professore, ma aiutare dei ragazzi a mettere in pratica la loro passione per la musica e tirare fuori il loro talento. Così ho accettato. Ed ora eccomi quà.” Concluse. Nessuno fiatò. Non sapevamo che dire. Aveva detto delle cose maledettamente vere, e non si era vergognato a presentarsi apertamente, davanti a degli sconosciuti. Durante il suo discorso, era sembrato tutta un’altra persona. Era diventato serio tutto di un tratto e la timidezza che aveva caratterizzato il suo ingresso, sembrava essere sparita nel momento esatto in cui si era alzato dalla sua sedia. Ci squadrò ad uno ad uno, senza dire una parola. Dopodiché, come se avesse appena letto la lista della spesa, riassunse quel sorriso imbarazzato esclamando: “Beh, allora? A chi tocca presentarsi?” Alzai timidamente la mano. Ero rimasta pietrificata fino a quel momento. Quel tipo ci aveva appena raccontato la sua vita senza vergogna, dichiarandosi tranquillamente un fallito, che insegnava per ripiego. Se era riuscito lui a raccontarci un po’ della sua vita, perché io non avrei potuto? Il professor Dawson mi guardò ancora sorridente, e mi incitò a presentarmi:” Prego, comincia pure.” Presi un respiro profondo, raccogliendo tutto il coraggio che avevo in corpo. Poi cominciai. “Mi chiamo Bulma Brief. Ho sedici anni. La mia vita non è mai stata facile. Sono una sfigata, anche se non mi piace andare a lamentarmi in giro della mia condizione. Non mi piace sentirmi giudicata. È buffo pensare, che proprio ora, di fronte a nove sconosciuti stia raccontando per la prima volta la mia vita. Sono nata qui, in questa città, penso. Mia madre non mi ha mai detto niente riguardo al luogo della mia nascita. Faccio affidamento sui ricordi. Comunque, anche se non sono certa di essere nata proprio qui, posso assicurarvi di essere cresciuta in questa città. Da sola. Non mi ha cresciuto mia madre. Lei fa la puttana. È la prima volta che lo ammetto di fronte a qualcuno. Di solito non c’è bisogno di dire niente, lo sanno tutti che lei lavora sulla strada. Però, non so perché, ma qui davanti a voi sento per la prima volta il bisogno di dire la verità. Tutta la verità. Mia madre non fa la prostituta per necessità, per poter dare da mangiare a sua figlia, come potreste immaginare. A lei non frega niente di me. È brutto da dire, me ne rendo conto, ma è così. Fa la puttana da sempre, sin da prima che io nascessi. Io sono stata un errore, “un incidente sul lavoro”. Non provate a chiedermi chi sia mio padre perché non lo sa nemmeno lei. Troppi clienti. Sinceramente non mi interessa nemmeno conoscere l’identità di colui che ha contribuito per sbaglio a mettermi al mondo. Innanzitutto perché è un individuo che andava a puttane. E già la cosa non lo rende un gran padre. E poi mi ha abbandonato. Magari è uno di quei uomini che ha una famiglia allegra e perfetta ad aspettarlo a casa. Magari la sera in cui mi ha concepito, sua moglie e i suoi figli stavano attendendo pazientemente il ritorno del loro papà super indaffarato dal lavoro, come voleva far credere. Magari. Chi lo sa. Sinceramente non voglio farmi troppe paranoie e fasciarmi la testa per un qualcosa che non saprò mai. Perciò vado avanti. Forse vorreste sapere per quale motivo ho scelto di unirmi a questo club. La questione è molto semplice. Sin da piccola ho sempre amato la musica. Ho imparato da sola a suonare la chitarra e cantavo strimpellando sulle corde di quel vecchio strumento. Quando ho dovuto scegliere il laboratorio a cui iscrivermi, ero molto indecisa. Poi ho scorto la casella del Glee Club. Un gruppo di ragazzi che come me amavano la musica, insieme ad un professore con altrettante passioni a seguirli. Perché no? Così mi sono iscritta. Non ho amici, solo conoscenti che si divertono a darmi fastidio. Vi ho raccontato la mia vita, tutta intera, così come è. Perché avrei dovuto mentirvi? Il primo passo per avere la fiducia di qualcuno, è essere sinceri con lui, no? E allora io vi ho detto tutto. Sono stata sincera. Ora vorrei la vostra fiducia in cambio. Solo quella. Nessuna compassione. Solo fiducia.” Non appena finii di pronunciare il discorso più lungo che avessi mai fatto, mi sentii una perfetta cretina. Avevo appena sventolato la mia vita privata ai primi nove sconosciuti che avevo incontrato. Ma allora perché, nonostante ciò, non potevo fare a meno di ammettere di sentirmi sollevata? Si, mi sembrava di essermi tolta un macigno pesantissimo che mi opprimeva il cuore da tanto, troppo tempo. Abbassai subito lo sguardo, imbarazzata. Ma prima di ciò, potei giurare di aver sentito due iridi color della notte puntate su di me. Nota Autrice: Eccomi tornata con il terzo capitolo della storia. è un po' corto, lo so, ma è altrettanto importante ed intenso... qui abbiamo assistito infatti alle presentazioni del professor Gohan e di Bulma. presentazioni, a dir poco intense... nel prossimo capitolo invece assisteremo al proseguo di questa prima intensa lezione del Glee Club... chissà cosa accadrà... ;) comunque, spero che questo capitolo, nonostante la sua esigua lunghezza, vi si piaciuto almeno un pochino. :) ringrazio come sempre coloro che leggono, recensiscono e seguono le mie storie! Grazie a tutti, siete davvero gentilissimi! ora vado, vi saluto e vi aspetto al prossimo capitolo! Alla prossima! TWOTS

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Capitolo 4
*** Canzoni a cappella e dichiarazioni d'amicizia... ***


Silenzio. Nessuno osava fiatare. Che avrebbero potuto dire? Li avevo spiazzati. Sentivo lo sguardo di tutti puntato su di me. In particolar modo i suoi occhi. Dio, perché nessuno parlava? Perché non la smettevano di fissarmi? Ma che mi era saltato in mente? Avevo appena confidato a quegli sconosciuti di essere figlia di una puttana, di essere cresciuta praticamente da sola e di essere una fallita convinta che la mia storia non li avrebbe impietositi. Come se la cosa fosse possibile. Andiamo, quanti di voi non avrebbero provato un po’ di pena per questa ragazzina cresciuta troppo in fretta senza l’aiuto di nessuno? Sono sicura di ciò che avranno pensato in quel momento. “ Ma tu guarda questa qua, ci racconta la sua storia strappalacrime, dicendo che non vuole impietosirci, e poi in cambio ci chiede la nostra fiducia!” come biasimarli?  Anche se non era così, anche io avrei pensato lo stesso, se una pazza con cui condividevo l’aria da neanche venti minuti, mi avesse raccontato tutta la sua vita, senza peli sulla lingua. Che mi aspettavo? Che venissero tutti ad abbracciarmi, dicendomi frasi stereotipate del tipo “Andrà tutto bene, vedrai.” O “ci dispiace tanto …” o altre espressioni smielate perfettamente consone alla situazione? No, non volevo una reazione così. Non l’avrei proprio voluta. Ma poi, ora che ci penso, che cosa mi aspettavo davvero? Non lo sapevo neanche io. Avevo  agito senza pensare alle conseguenze, come sempre d’altronde. Maledetta impulsività, accidenti a me! il silenzio continuava. Accidenti, perché quel maledetto professore non si decideva a dire qualcosa, almeno lui?! Continuavo a fissarmi le All Stars, un tempo bianche, e ora di un colore indefinito. Mi accorsi solo in quel momento delle condizione delle mie vecchie compagne d’avventura, piene di strappi e di macchie. Era proprio ora di cambiarle … ero ancora intenta a pensare a come avrei fatto ad acquistare un nuovo paio di scarpe, quando finalmente qualcuno parlò. Anzi, cantò. Una voce delicata, melodiosa, aveva iniziato ad intonare una canzone, rompendo l’imbarazzante silenzio creatosi in quell’ aula canto improvvisamente troppo calda. Alzai lo sguardo stupefatta, volgendo la mia attenzione verso la provenienza di quella voce. Era Chichi. Era seduta di fronte a me, e stava cantando. Tutti continuavano a fissarla, uno più sorpreso dell’altro. Intanto iniziai a concentrarmi sulle parole che Chichi stava intonando. Era incredibile, sembravano scritte apposta per me.
“You with the sad eyes, don't be discouraged                               
Oh I realize, it's hard to take courage
In a world full of people, you can lose sight of it
And the darkness inside you makes you feel so small”

 
Continuavo a fissare Chichi sbalordita, fino a quando una seconda voce, stavolta maschile si aggiunse al suo canto a cappella. Guardai anche lui. Goku mi sorrideva e intanto continuava a cantare quella che per me ormai stava diventando la canzone perfetta.
But I see your true colors shining through
I see your true colors, that's why I love you
So don't be afraid to let them show your true colors
Your true colors are beautiful

E poi non capii più niente. Le voci non erano solo due, diventarono quattro, cinque, non so nemmeno io quante. Tutti quanti iniziarono a cantare quello che evidentemente avrebbero voluto dirmi a parole. Ed io ero sempre più esterrefatta e … emozionata?
Like a rainbow
(Oh oh oh oh, Oh oh oh oh, Oh oh oh oh)
Like a rainbow
(Oh oh oh oh, Oh oh oh oh, Oh oh oh oh)

Show me a smile then, don't be unhappy
Can't remember when I last saw you laughin
If this world makes you crazy and you've taken all you can bear
You call me up because you know I'll be there

Non avevo mai sentito cosa più bella, lo giuro. Quel coretto appena improvvisato, che cantava così, senza base, esprimendo tutto ciò che mi avrebbero voluto dire a parole, con una canzone. Ormai si erano uniti  tutti a quella inaspettata manifestazione di affetto. Solo lui non cantava. Se ne stava in disparte a guardarci con quell’espressione indecifrabile e impassibile perennemente stampata in viso. Ma in quel momento, non poteva importarmene meno. Volevo solo concentrarmi su quella che oggi possiamo definire la prima esibizione del Glee Club della Orange High School. E che, udite udite, era tutta per me. Incredibile.
And I see your true colors shining through
I see your true colors, that’s why I love you
So don’t be afraid to let them show your true colors
True colors are beautiful like a rainbow

Il professor Dawson continuava a guardare quella scenetta senza dire nulla. Come poter interrompere un momento del genere? Non era possibile. E lui lo sapeva, per questo continuava a fissarci con quel inestinguibile sorrisetto in viso. Doveva ammettere però, che in quell’aula c’erano delle voci niente male, anzi. Io intanto continuavo a sentirmi la persona più emozionata del mondo. Non potevo esprimermi in maniera più banale, avete ragione. Ma che volete farci se non trovavo le parole per descrivere tutto quel turbinio di emozioni che mi stavano sconvolgendo? Degli sconosciuti, intravisti per la prima volta mezz’ora prima, mi stavano dicendo che avevo fatto bene ad essere me stessa. Che non c’è niente di meglio di mostrarsi sinceri davanti agli altri e che, per questo, già mi amavano. E tutto questo, cantando. Non avrei potuto chiedere di meglio.
I see your true colors shining through
I see your true colors, that's why I love you
So don't be afraid to let them show your true colors
True colors are beautiful like a rainbow
Like a rainbow
Your true colors, yeah
Your true colors, yeah
I see them, your true colors
You with the sad eyes 

Le voci infine scemarono, lasciando nell’ aria l’eco della loro inaspettata dichiarazione di amicizia. Mentre cantavano mi avevano circondata, erano tutti lì intorno a me. Li guardai ad uno ad uno e finalmente quelle emozioni represse e devastanti, trovarono uno sbocco verso l’esterno. Attraverso le lacrime. Iniziai a piangere, commossa. Erano lacrime di felicità,  mischiate a quelle di tristezza. Era da troppo tempo che trattenevo tutta quell’acqua dentro di me,ed era arrivato il momento di farla uscire. Sorrisi in mezzo alle lacrime, e sussurrai un debole ma comunque percettibile, “grazie” a quei pazzi che potevo già considerare amici. Amici. Finalmente. Chichi mi abbracciò, sussurrandomi in un orecchio: “Mi sa che ti sei appena conquistata la fiducia di tutti.” Sorrisi, appoggiata alla spalla di quella che sarebbe diventata la mia migliore amica. Sciolsi l’abbraccio e, istintivamente, volsi lo sguardo all’unico che non aveva preso parte a quel momento incredibile. Il tipo dagli occhi d’antracite se ne era rimasto in disparte, seduto sulla sua sedia. Braccia incrociate, sguardo corrucciato. Ma perennemente rivolto verso di noi. Chissà che cosa aveva pensato di quella scena. Sembrava così serio e distaccato. Era palese che non avrebbe mai preso parte a quella manifestazione di affetto nei miei confronti. Chissà che cosa pensava di me. Io non sapevo niente di lui. Non conoscevo nemmeno il suo nome, mentre lui era al corrente di tutta la mia disastrosa vita. Ma in fondo, di che mi lamentavo? Ero stata io a confessare tutto davanti a loro. E sinceramente, la risposta alla mia presentazione, non poteva essere più incredibile. Il rumore di due mani che sbattevano tra di loro si espanse nell’aria. Ci voltammo tutti verso la provenienza di quel suono. Il professor Dawson stava applaudendo lentamente, continuando a sorridere. Si vedeva che era soddisfatto. “Bene ragazzi”, esclamò poi dopo aver smesso di battere le mani. “A quanto pare il nostro Club si è appena formato.” Sorrise appena, poi riprese:  “Ci siamo. Benvenuti nel Glee Club.” E già. Sembrava proprio che la nostra avventura avesse appena preso forma.
 
Nota Autrice:
ed ecco il quarto capitolo della storia! Come sempre, molto breve ma molto intenso. Sto scrivendo capitoli piuttosto corti ma dove tratto momenti importanti, perché preferisco che a certi momenti siano dedicati brevi capitoli, piuttosto che concentrare diversi avvenimenti importanti in un unico lungo capitolo! Scusate quindi di nuovo l’esigua lunghezza di questi capitoli … comunque spero che la reazione dei ragazzi alla confessione di Bulma vi sia piaciuta … a quanto pare il nostro Glee Club sta prendendo forma … ;) grazie ancora a tutti coloro che si interessano a questa storia! Siete davvero gentilissimi! Vi chiedo inoltre di avvisarmi se trovate qualcosa che non va all’interno del capitolo e della storia i generale. Accetto con gioia ogni tipo di critica costruttiva, d’altronde io sono una novellina e credo di aver bisogno di qualche dritta ogni tanto … :) Ora vado, ci vediamo al prossimo capitolo!
Saluti
TWOTS
P:S: la canzone cantata dai ragazzi è “ True Colors” di Cyndi Lauper. Credo che il significato sia chiaro, ma in ogni caso vi aggiungo anche la traduzione della canzone:
“Tu con gli occhi tristi 
non scoraggiarti 
Oh ho capito che 
è difficile prendere coraggio 
in un mondo pieno di gente 
puoi perdere tutto di vista 
e l'oscurità dentro te 
può farti sentire così piccolo 

ma io vedo i tuoi colori veri 
che risplendono dentro te 
vedo i tuoi colori veri 
ed è per questo che ti amo 
quindi non avere paura 
di mostrarli 
I tuoi colori veri 
I colori veri sono belli 
come un arcobaleno 

mostrami un sorriso allora, 
non essere triste, non riesco a ricordare 
l'ultima volta che ti ho visto ridere 
se questo mondo ti fa impazzire 
ed hai già preso tutto ciò che 
riesci a sopportare 
puoi chiamarmi 
perché sai che io sarò lì per te 

e io vedo i tuoi colori veri 
che risplendono dentro te 
vedo i tuoi colori veri 
ed è per questo che ti amo 
quindi non avere paura 
di mostrarli 
I tuoi colori veri 
I colori veri sono belli 
come un arcobaleno.”

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Capitolo 5
*** Il gruppo unito e un batterista solitario... ***


La prima lezione del Glee Club trascorse piuttosto velocemente dopo le mie presentazioni. Su mio esempio, anche gli altri ragazzi decisero di presentarsi davvero come si deve, raccontando di fronte a noi tutta la loro vita. In quel modo, non eravamo più dei veri e propri sconosciuti. Credevo di essere l’unica a non avere una vita tutto rose e fiori e invece, dopo quella giornata, dovetti ricredermi. Chichi era povera. Aveva perso sua madre da piccola, causa una brutta malattia. L’aveva cresciuta suo padre, nonostante il suo lavoro non andasse a gonfie vele. Faceva l’operaio, e la ditta non stava passando un bel periodo. Chichi però ci disse che nonostante tutto, suo padre l’aveva cresciuta perfettamente, riuscendo a non farle mancare sia l’affetto paterno che quello materno.” Deve essere davvero un bravo uomo”, pensai, forse con una punta di invidia. In fondo anche se non avevo intenzione di conoscere il mio di padre, mi sarebbe piaciuto avere accanto una figura maschile, pronta a proteggermi e a starmi a fianco. Mi riscossi, maledicendomi per essere stata, anche solo per un momento, invidiosa di quella ragazza dai capelli corvini. Purtroppo qualche settimana prima, il padre di Chichi aveva perso il lavoro, e lei era stata costretta a cercarsi un lavoretto per tirare avanti. Lavorava in un fast food lì vicino, e non si trovava male, diceva. Anche lei, come me, aveva scelto il Glee Club nella speranza di poter finalmente trovare qualche amico che condividesse la sua stessa passione per la musica. Oltre ad avere una bella voce, suonava il pianoforte. Doveva essere davvero brava. Goku invece ci raccontò la sua disgrazia familiare senza perdere quel sorriso bambinesco e impacciato che lo aveva caratterizzato sin dal nostro primo incontro. Aveva perso entrambi i genitori in un incidente stradale, quando aveva solo pochi mesi. Anche lui era nell’auto al momento dell’incidente, ed era stato un miracolo che fosse sopravvissuto. Non avendo parenti che avrebbero potuto tenerlo con loro, venne affidato alle cure di un piccolo orfanotrofio locale. Era cresciuto lì, insieme ad altri bambini come lui, e continuava a vivere sotto l’ala di quel centro che lo aveva accolto. Nonostante sentisse la mancanza dei genitori, non poteva dire di provare quella sensazione di vuoto interiore, provocato dalla  scomparsa dei propri cari. Non perché non volesse bene ai suoi genitori, anzi,ma al momento della disgrazia  lui era davvero molto piccolo e non aveva avuto modo di passare molto tempo con il proprio padre e la propria madre. Per Goku il Glee Club era un luogo dove si sarebbe potuto divertire, facendo ciò che più gli piaceva: cantare e suonare il basso. Il ragazzo dai capelli a palma infatti, suonava il basso, ed era davvero bravo. Anche gli altri ragazzi non avevano avuto vita facile: Crillin viveva con suo nonno, che lo aveva cresciuto e gli aveva insegnato a suonare, udite udite, il contrabbasso. Era un ragazzo molto timido e impacciato e vederlo reggere quello strumento più grande di lui, lo rendeva davvero buffo. Nonostante ciò però, dovemmo ammettere  contro le nostre aspettative, che era davvero bravo.  C18 invece era una ragazza piuttosto taciturna, nonostante ciò,ci rivelò che viveva con sua zia, data la mancanza della madre. Suo padre invece,si trovava in prigione. Non ci disse per quale reato, e noi ovviamente, preferimmo non intrometterci ulteriormente.  Era un po’ strano, ma lei lo disse senza vergogna. D’altronde, io avevo confessato che mia madre era una prostituta, perciò non mi sarei dovuta stupire più di tanto. Sebbene fosse intonata, preferiva suonare il sax, ed era anche lei molto brava. Yamcha invece, dietro quell’aria da buontempone, nascondeva la sofferenza di dover avere due genitori separati, trovandosi così a vivere una settimana con uno, e una con l’altra. Suonava il flauto traverso, e non se la cavava male. Vocalmente preferiva esprimersi attraverso le note del rap, genere che non ho mai particolarmente apprezzato. Nonostante ciò, non era male a cantare anche canzoni di altro genere. Era ovvio però, che se mai avremmo cantato un pezzo rap, l’assolo sarebbe stato suo.  Riff e Tensing confessarono davanti allo stupore generale, di essere fratelli. Certo, il fatto che avessero lo stesso cognome aveva suscitato qualche dubbio, ma venirlo a sapere così a freddo, faceva uno strano effetto. Erano completamente diversi, non sembrava possibile che avessero gli stessi geni. Fu Tensing a spiegarci poi che in realtà lui e Riff non erano davvero fratelli carnali. I suoi genitori avevano adottato Riff quando era molto piccolo, e i due erano cresciuti insieme, considerandosi quindi come fratelli di sangue, anziché fratellastri. Suonavano entrambi il violino, strumento che mi aveva sempre attirato molto, perciò sapere di avere non uno, ma ben due violinisti nel mio stesso gruppo, non potè che farmi piacere. L’unico che non si lasciò molto andare alle presentazioni, fu Vegeta. Esatto, ora lo scimmione aveva anche acquisito un nome. D’altronde era stata una delle poche cose che si era lasciato sfuggire su di lui, durante il suo turno di presentazioni. Ci aveva solo detto di chiamarsi Vegeta, di avere anche lui sedici anni e che aveva scelto il Glee Club solo perché era l’unico corso dove era rimasto posto. Ovviamente fu quello che ci volle far credere, ma io furba, mi accertai del fatto che c’erano anche altri corsi rimasti liberi. Perciò il Glee Club era stata una sua libera scelta. Ma questo, non lo ammise mai. La sola ulteriore informazione che ci diede su di lui, fu che suonava la batteria. Non potevamo dire se fosse intonato o meno, dato che era stato l’unico a non aver partecipato all’esibizione improvvisata di poco tempo prima, ma qualcosa dentro di me mi diceva che quel tono burbero e duro, nascondeva una bellissima voce. In seguito, avrei scoperto che il mio istinto non si sbagliava. Sulla sua vita privata, non scoprimmo niente. Non appena finii di dare le sue generalità, si ritrovò lo sguardo di tutti noi, compreso quello del professor Dawson, puntato su di lui, in attesa che ci raccontasse qualcos’altro. Ci scrutò infastidito, e dopo un rumoroso “Tsk!” affermò “Se vi aspettate che vi racconti tutta la mia vita, mi dispiace, ma siete sulla cattiva strada. Non ho intenzione di raccontare tutto quello che mi riguarda ad un branco di idioti, perciò non provate nemmeno a chiedermi qualcosa. Chiaro?!” ed ecco che lo scimmione tornava alla carica. Infondo c’era da aspettarselo. Quanti avrebbero creduto che quel maleducato troglodita  raccontasse i fatti suoi di fronte ad un gruppo di ragazzi che si erano invece confidati, raccontando tutto ciò che li riguardava? Io no di certo. Anche se forse, un po’ ci speravo. “Chissà cosa nasconde dietro quei modi maleducati … “ mi chiesi, fissandolo. E lui ovviamente se ne accorse, risvegliandomi dai miei pensieri nel solo modo che conosceva. Aggredendo. “E tu si può sapere cosa hai da guardare, razza di gallina isterica!?” volevo ribattere, ma ancora una volta venni interrotta da quella che doveva essere la mia rivincita. Stavolta non fu però il professor Dawson a interrompere lo scontro imminente, ma il suono della campanella che annunciava la fine delle lezioni. Il professor Dawson ci rivolse ancora uno dei suoi sorrisi impacciati, salutandoci: “ Beh, ragazzi, allora ci vediamo domani!  Mi raccomando tutti presenti, vi aspetto!” concluse ancora sorridendo. Rispondemmo tutti quanti con un corale “Buongiorno, a domani” e dopo aver risistemato le sedie ancora disposte in cerchio, recuperammo le nostre cose, avviandoci verso l’uscita. Il primo ad andarsene, manco a dirlo, fu Vegeta.” Certo che è proprio un bel tipo” pensai. Gli altri ragazzi uscirono poi uno dietro l’altro. Io rimasi lì per un secondo, guardando quell’ aula canto che ci avrebbe ospitato per il resto del liceo. Non ci avevo fatto molto caso prima, ma la stanza era piena di tutti gli strumenti che eravamo in grado di suonare. Erano solo un po’ vecchi, ma d’altronde se quello era un club di sfigati, gli strumenti non potevano di certo essere da meno. “Bulma!” mi richiamò una voce. Mi girai verso la porta, dove Chichi mi stava aspettando. “Non vieni con noi?” mi chiese curiosa, additando i ragazzi dietro di lei. Erano tutti lì, fuori dall’aula, e mi stavano aspettando. Incredibile. “Dove?” chiesi sorpresa. “Andiamo a prenderci qualcosa da bere tutti insieme!” disse sorridendo. Annui entusiasta, e li seguii fuori dalla stanza. Camminavamo tutti insieme, come un gruppo di vecchi amici. Non si sarebbe detto che ci conoscevamo da appena un’ora. Li guardai ad uno ad uno, più felice che mai. Una pianista timida, ma allo stesso tempo forte e decisa. Un bassista solare e ingenuo, dalla risata contagiosa. Una ragazza fredda, ma che riusciva a scaldare il cuore, con il solo contatto del suo sax. Un ragazzino basso, pelato e impacciato, ma sicuro di sé con un contrabbasso in mano. Un rapper allegro e simpatico e due violinisti silenziosi ma desiderosi di compagnia. Ed io,una ragazza dai capelli e gli occhi azzurri, una chitarra sotto al letto e una voce desiderosa di farsi sentire. Guardai avanti, e scorsi in lontananza Vegeta camminare con le mani in tasca e la solita espressione corrucciata. Da solo. Quel testone non si era voluto unire a noi.Ovviamente. Ed eccolo là, quindi.  Un batterista scorbutico e solitario. Ah dimenticavo. Un’unica voce ad unirci: la voglia di farci sentire. “Mica male come gruppo …” pensai. Già. Non eravamo per niente male.

Nota Autrice: ed eccomi tornata con il quinto capitolo della storia! Purtroppo ieri non ho potuto aggiornare, ed oggi ho voluto farmi perdonare pubblicando questo capitolo … come sempre piuttosto corto ma importante ai fini della storia. Qui infatti ho presentato un po’ gli altri ragazzi, anche se non ho descritto le presentazioni intere come Bulma … comunque qui ho cercato di farvi capire un po’ la vita non proprio perfetta dei nostri protagonisti. L’unico che ovviamente non si è voluto confidare, è il nostro Vegeta ma c’era da aspettarselo, conoscendolo! Intanto però abbiamo scoperto che suona la batteria … e chissà, magari avrà anche una bella voce … ;) comunque, ringrazio come sempre coloro che leggono , recensiscono e seguono le mie storie! Siete sempre gentilissimi! Come sempre vi ringrazio e vi aspetto al prossimo capitolo!
Un bacio
TWOTS

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Capitolo 6
*** Pomeriggio insieme e ritrovo al bar... ***


Quel pomeriggio passò piuttosto velocemente. Andammo tutti insieme a prenderci qualcosa da bere, in un bar lì vicino, il “Dragon Bar”. Non ci ero mai stata prima di quel giorno, e mi pentii di ciò. Era un locale molto piccolo ed accogliente, arredato un po’ in stile anni 70-80. Dalle casse radio uscivano melodie e grandi successi di quegli anni passati, come a ricordare ai frequentatori più anziani la loro adolescenza, e ai più giovani cosa la loro generazione stesse perdendo. Il tutto accompagnato da fotografie e quadri di grandi cantanti e musicisti passati alla storia, appese lì, alle pareti di quella piccola baracca gestita sicuramente da puritani degli anni della grande musica. Era un posto perfetto per una ragazzina attratta dagli idoli musicali degli adulti. Ovvero, per me. E in più c’era un altro motivo per cui quel posto mi piacque subito. Era vuoto. Ora, non che fossi felice che il locale stesse passando un brutto periodo, ma il fatto che fossimo solo noi lì dentro, mi rese incredibilmente serena e tranquilla. Appena arrivati, ci accomodammo su uno dei tanti tavoli liberi, in attesa che qualcuno venisse a prendere le nostre ordinazioni. Il locale sembrava deserto, le uniche persone presenti eravamo noi. Stavamo continuando a guardarci intorno alla ricerca di un qualche cameriere, quando finalmente qualcuno si fece vivo. La porta dietro al bancone del bar si aprì, manifestando un leggero fascio di luce. Ne uscì un vecchietto di statura molto piccola, con una lunga barba bianca, e gli occhi stretti in due piccole fessure. Si avvicinò al nostro tavolo molto lentamente, facendosi forza appoggiandosi a un bastone di legno che impugnava con quella manina rugosa e piena di vene. Continuammo a fissarlo per tutto il tragitto dal bancone fino al nostro tavolo. Impiegò un’ eternità.  Finalmente, dopo ben quattro minuti e tredici secondi( posso dirvi il tempo preciso poiché impiegò tutta la durata di “Every breath you take” dei Police che stava passando in radio in quel momento, ad arrivare) raggiunse la tanto agognata meta. Il nostro tavolo. Ora che ci penso, forse avremmo potuto scegliere un tavolo più vicino al bancone, per poter risparmiare a quel povero uomo la fatica di arrivare da noi per prendere le nostre ordinazioni. Ma eravamo tutti troppo incuriositi da quel vecchietto, che non muovemmo un solo muscolo fino a che lui non ci raggiunse. E poi, il silenzio provocato dall’ attesa, mi permise di godermi a fondo quei quattro minuti che impiegava  una delle mie canzoni preferite, che in quel momento era l’unica suono percepibile ad un orecchio umano, insieme ai passi lenti e trascinati dell’anziano signore. Perciò restammo fermi immobili a fissare quello strano tipo che imprecava ,contro il suo bastone probabilmente, con la voce di Sting in sottofondo che intonava il ritornello di quel grande successo. Finalmente, con uno sforzo erculeo, compì la titanica impresa di raggiungere i nostri posti. Si avvicinò a noi sorridendo, e notando le nostre facce atrofizzate dalla troppa immobilità del momento, parlò: “Eccomi quà, ragazzi. Mi dispiace avervi fatto aspettare. Sapete com’è, ormai non ho più le gambe di un tempo …” disse con un tono malinconico, probabilmente ricordando i vecchi tempi in cui impiegava solo qualche secondo per poter prendere le ordinazioni dei clienti. “Ce ne siamo accorti …” affermò Yamcha, seduto in quel momento di fronte a me. Non esitai un secondo a sferrargli un calcio negli stinchi da sotto il tavolo, per fargli intendere di chiudere la bocca. “Ahia! Che male, perché mi hai colpito?!” mi chiese colto dal riflesso involontario di tenersi la gamba nella parte lesa dal mio leggero e delicato calcio. Mi sentii un po’ in colpa per quel gesto, ma se c’era una cosa che non potevo tollerare era la mancanza di rispetto, soprattutto verso gli anziani. “Per impedirti di parlare troppo!” risposi additando l’anziano signore ancora preso dai suoi pensieri.  “Ah … ma io scherzavo, sicuramente nemmeno mi avrà sentito quel tipo! Oltre a non essere un maratoneta, non mi sembra abbia un gran udito …” disse, riferendosi al fatto che il vecchietto non aveva fatto una piega e aveva ancora quell’aria assorta  che lo aveva colto ormai da un buon minuto e mezzo. Altra allusione da parte di Yamcha, altro calcio da parte mia. Stavolta, però, colpì l’altra gamba, costringendolo ad un altro urlo di dolore. “Ahia!! Va bene ho capito, non dico più niente riguardo allo strano vecchio!” ora, se lo avevo già colpito su entrambe le gambe, restava solo un punto facilmente raggiungibile dalla mia scarpa, e che avrebbe fatto ancora più male. Yamcha evidentemente capì le mie intenzioni, poiché fece subito una faccia spaventata, supplicandomi: “No ti prego, lì no, non colpirmi lì!” suscitando una fragorosa risata da parte d tutti i presenti, che si erano concentrati sulla scenetta comica appena messa in atto. Anche l’anziano signore, perso come era tra i suoi pensieri, sembrò risvegliarsi dai suoi ricordi, dicendoci: “Bene ragazzi, ditemi pure,cosa posso portarvi?” l’attenzione di tutti tornò immediatamente allo strano tipo in attesa di una risposta. Riflettemmo tutti per un secondo: la sola presenza di quell’uomo portava di conseguenza al fatto che fosse il proprietario del locale. Se non vi erano altri camerieri a parte lui, significava che avrebbe portato lui le nostre ordinazioni. E ciò significava solo una cosa: Ci sarebbe toccato aspettare un’eternità per poterci dissetare e mettere qualcosa sotto i denti. D’altra parte, non vi erano altre prospettive. Lasciare il bar era fuori discussione, ormai eravamo lì. Dire al vecchietto che avevamo cambiato idea e che non volevamo nulla sarebbe stata una crudeltà verso quel poveretto che sembrava non vedere un cliente da secoli. Così dovemmo rassegnarci all’idea di passare il resto del pomeriggio all’interno di quel vecchio bar. Ma in fondo, la cosa non ci dispiacque poi tanto. Ordinammo tutti quanti qualcosa che fosse semplice da preparare, per lo più prendemmo bevande, dovendo ripetere l’ordinazione più volte, causa lo scarso udito del vecchietto, come aveva annunciato Yamcha. L’unico che non si fermò alla semplice bibita fu Goku, che sotto lo sguardo esterrefatto di tutti, ordinò una quantità industriale di cibo. Guardammo l’anziano signore che non scriveva le ordinazioni, ma le appuntava sulla sua mente, temendo che non avesse abbastanza cibo per sfamare lo stomaco di Goku. Stranamente l’espressione tranquilla del vecchietto non mutò minimamente, e una volta che Goku finì di elencare la lunga lista di piatti che sarebbe stata la sua merenda, si allontanò serafico, sempre con la sua flemmatica andatura in stile tartaruga. Lo fissammo allontanarsi, fino a che non varcò la porta di quella che doveva essere la cucina. Rassegnati all’idea di dover aspettare un bel po’ per poter ricevere le nostre ordinazioni, incominciammo a parlare del più e del meno. Il primo argomento cadde ovviamente sulla sconfinata fame di Goku. Vi ricordo che non ci conoscevamo ancora benissimo, perciò non eravamo al corrente del pozzo senza fondo che Goku possedeva al posto dello stomaco. Il ragazzo alle nostre domande sorrise impacciato, portandosi la mano dietro la testa e affondandola nei capelli a forma di palma, in quel gesto impacciato che lo rendeva ancora più simpatico. “Che volete farci? Ho sempre avuto una gran fame,sin da piccolo. All’orfanotrofio infatti le educatrici hanno sempre trovato molta difficoltà a prepararmi il pranzo … diciamo che mi hanno beccato diverse volte a rubare biscotti dalla dispensa nel cuore della notte …” concluse ancora sorridendo. Scoppiammo tutti a ridere, contagiati dalla simpatia e dall’allegria di quel ragazzo buono come il pane. Continuammo a parlare tranquillamente, quando il discorso cadde inevitabilmente sulla lezione del Glee Club di quel giorno. “Che ve ne pare del professor Dawson?” chiese ad un certo punto Tensing, che fino a quel momento aveva parlato molto poco. “Secondo me è un professore in gamba, è davvero simpatico. Ci sa fare con noi ragazzi.” Risposi subito, esprimendo apertamente l’impressione che quell’insegnante fuori dal comune mi aveva fatto. “Già, concordo con Bulma.” Disse Chichi appoggiandomi. “E di quel tipo strano, il batterista, Vegeta? Che ne pensate?” chiese ad un tratto Crillin. Calò il silenzio. Era difficile dire che impressione ci avesse fatto quel ragazzo scontroso e che si era categoricamente rifiutato di presentarsi davanti a noi. Mossa da non so quale coraggio, presi parola: “Secondo me è un bravo ragazzo. Voglio dire, è piuttosto scorbutico e strano, però secondo me in realtà non è così cattivo.” Dissi tutto di un fiato. Tutti quanti mi guardarono esterrefatti. Fu Yamcha il primo a parlare :” Ma come? Proprio tu dici così? Prima sembravate quasi sul punto di scannarvi durante la lezione, e ora dici che è un bravo ragazzo?” disse incredulo. In effetti, la coerenza non sembrava appartenere al discorso che avevo appena fatto. Stavo per dire qualcosa in mia difesa, quando Goku mi anticipò, venendo in mio soccorso: “Anche secondo me è un bravo ragazzo. Andiamo, è vero non lo conosciamo, ma d’altronde anche noi ci siamo conosciuti solo oggi. Se non si è voluto presentare, magari significa che è un tipo riservato, chi lo sa. Non so perché, ma mi sta simpatico.” Con questo discorso, il più serio che gli avevo sentito dire in quelle poche ore passate insieme, lasciò tutti a bocca aperta. La pensavo esattamente come lui. Anche se avevamo già litigato una volta e non sembrava un tipo molto gentile, stranamente quel tipo dagli occhi color della notte, mi incuriosiva. “Infatti, anche se abbiamo litigato e non sembra molto simpatico, secondo me è solo un ragazzo triste e solo.” Conclusi, mettendo quindi fine all’argomento Vegeta. Era incredibile, avevo difeso spontaneamente quel ragazzo sconosciuto che mi aveva considerata una gallina isterica. Eppure, ogni singola parola che avevo detto era assolutamente vera. Mi sembrava che dietro quella corazza da duro, si nascondesse un ragazzo molto fragile e triste. Si, triste. Secondo me, dentro quei due pozzi neri quel batterista scorbutico aveva sommerso un mare di tristezza con una maschera d’indifferenza. Ma gliela avrei tolta io, quella maschera. Ormai avevo deciso. Anche se mi sarebbero costate molte e molte litigate … ero ancora immersa nelle mie elucubrazioni, quando finalmente il vecchietto fece la sua comparsa dalla cucina con un vassoio colmo di bevande, e l’altro pieno di cibo. Arrivò lentamente al nostro tavolo, appoggiando il vassoio con le nostre ordinazioni sul ripiano in legno. Ringraziammo l’anziano signore e, una volta afferrate le nostre bevande, iniziammo finalmente la merenda prospettata. Bevevamo con calma le nostre bibite, fissando Goku ingurgitare tutto quel cibo con una voracità incredibile. Dopo nemmeno dieci minuti, aveva già finito quella che io avrei potuto tranquillamente considerare “cena”.  “Ah, che bella merenda! Chissà cosa avranno preparato per cena stasera all’orfanotrofio …” Lo guardammo basiti. “Scusa, ma hai davvero intenzione di fare cena dopo tutto quello che hai mangiato ora?” chiese Crillin incredulo. Goku lo guardò e rispose semplicemente:”Ovvio! La cena è un pasto importantissimo, non lo sai?” come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. Mentre finivo di sorseggiare la mia bibita, continuai a guardarmi in giro, soffermandomi sui quadri appesi alle pareti. Su quelle mura troneggiavano le imponenti foto di Freddie Mercury, Michael Jackson, Prince, Phil Collins, Mark Knopfler e altri grandi della musica. Tutti i miei idoli. Rivolsi di nuovo la mia attenzione al gruppo di ragazzi seduti lì con me, intenti ancora a discutere dell’ irrefrenabile appetito di Goku. Li guardai, e sorrisi. Lanciai poi uno sguardo al vecchietto seduto dietro il bancone, che ci guardava perso nei suoi pensieri, nei suoi ricordi. Infine parlai. “Sapete, questo posto non è per niente male. Potremmo tornarci anche altre volte, che ne dite?” tutti quanti smisero per un secondo di parlare di Goku, e mi rivolsero la loro attenzione. Fu Chichi a parlare per tutti. “Ma si, perché no? È una bella idea!” cercò l’approvazione degli altri , trovandola nei loro sorrisi entusiasti. E fu così, che da quel giorno, il “Dragon Bar” divenne il ritrovo del Glee Club dopo le lezioni. Di tutto il Glee Club.
 
Nota Autrice:
Ed eccomi tornata con il sesto capitolo della storia! Qui i nostri amici hanno passato un pomeriggio in un bar vicino alla scuola, che a quanto pare diventerà una sorta di ritrovo per il Glee Club dopo le lezioni. L’unico assente è ovviamente Vegeta, che non si è ancora voluto integrare al gruppo … per ora … comunque spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ringrazio come sempre coloro che leggono, recensiscono e seguono le mie storie! Al prossimo capitolo!
Un saluto
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Capitolo 7
*** Affitti da pagare e canzoni sotto le stelle... ***


Quella sera tornai a casa più felice che mai. Avevo passato un meraviglioso pomeriggio in compagnia dei miei nuovi amici. Si, amici. Ormai potevo considerarli così. Le uniche persone che erano state in grado di capirmi dopo solo qualche ora passata insieme, erano loro. Stavo ancora ripensando al pomeriggio appena passato, quando finalmente arrivai a casa. Il sole stava tramontando dietro lo squallido condominio dove io e mia madre vivevamo. Era un vecchio palazzo fatiscente, ma d’altronde era l’unico posto che fino ad ora avevo potuto chiamare casa. L’unico posto dove potevo stare tranquilla, chiusa in camera mia a strimpellare qualche canzone alla chitarra. Ma da quel giorno, l’aula canto del nostro liceo, sarebbe diventata la mia seconda casa. Tirai fuori le chiavi di casa dalla tasca della felpa, cercai quella giusta e una volta trovata la infilai nel buco della serratura, aprendo il portone d’ingresso. Appena rientrai, una forte umidità e un odore di chiuso mi invase le narici. Le crepe sui muri si stavano allargando e l’intonaco iniziava a staccarsi dal soffitto. Ma quello squallore non mi avrebbe rovinato la giornata appena passata. Penny, la portinaia, stava seduta di fronte ad un vecchio tavolo traballante, leggendo una rivista, di quelle che raccontano i fatti privati delle persone famose. Non ne avevo mai letta una, e sinceramente non ne avevo alcuna voglia. Perché impicciarmi della vita di una persona che a differenza mia era diventato qualcuno? Avrei potuto prendere ispirazione dai loro fatti eroici, dalle loro iniziative benefiche, per elogiarli. Ma quei giornali non parlavano di come delle nullità fossero divenute famose. Parlavano solo di scandali sulla vita amorosa di quella gente, di tradimenti, di matrimoni segreti che così non erano più segreti e di figli non voluti ma che pretendevano comunque un ingente somma di denaro dai propri genitori. Roba per vecchie pettegole. Salutai la signora Penny con un “Buonasera” che non ricevette però nessuna risposta. Ormai ero abituata all’indifferenza di quella donna, così salii le scale che mi separavano dal mio appartamento. Percorsi le tre rampe di scale con tutta calma, tanto non avevo fretta. Non avevo nessuno ad aspettarmi a casa. Quella sera mia madre lavorava, come del resto durante tutte le altre sere, eccezione fatta per il mercoledì. Ma anche se quel giorno libero lo avrebbe potuto tranquillamente passare a casa con me, lei preferiva sparire chissà dove per tutta la giornata, e si ripresentava solo a notte fonda per andare a dormire.  Il tutto nella più totale indifferenza nei miei confronti. Ma ormai, ci ero abituata. Ero quasi arrivata al terzo piano dell’edificio, quando una voce gracchiante rimbombò per tutta la tromba delle scale. Era la vecchia portinaia , e sembrava volesse proprio me. “Ah Brief! Vieni subito qui!” urlò tre piani sotto di me. Quella donna non mi aveva mai rivolto la parola, e chissà come mai quella sera aveva deciso di urlarmi e di richiamarmi al suo cospetto. Scesi le scale con molta meno calma rispetto all’andata, curiosa di sapere cosa avesse da strillare quella donna. Non appena arrivai di fronte alla sua scrivania Penny alzò, per la prima volta da quando ero entrata, lo sguardo da quella sciocca rivista. Mi guardò da dietro le pagine piene di foto scandalo delle celebrità, con degli occhi di ghiaccio. Mi guardava con disprezzo. “Siete in ritardo con l’affitto” disse finalmente dopo secondi di silenzio. Ahia. L’affitto. Tasto dolente. A casa non giravano molti soldi, ovvio, ma solitamente una parte di quello che mia madre guadagnava andava destinato all’affitto dell’appartamento. Durante l’estate anche io facevo qualche lavoretto, solitamente la cameriera in uno Chalet in spiaggia, per poter contribuire alle spese della casa. Purtroppo però, durante l’inverno lo chalet chiudeva ed io non riuscivo mai a trovare un altro lavoro part time. I posti erano tutti occupati, la gente non accettava facilmente una sedicenne a lavorare nel periodo invernale, dovendo essere impegnata con la scuola. Così durante i mesi freddi, dovevo fare affidamento sul corpo di mia madre e su quanti clienti sarebbe riuscita ad avere. Era l’unico modo per tirare avanti. Anche se mia madre non lo faceva per me, ma solo per lei. Altrimenti, dove sarebbe potuta andare a stare? “Di quanto in ritardo? Mia madre non ha pagato l’ultimo mese?” chiesi preoccupata. La vecchietta fece un sorriso maligno e rispose:” Tua madre è passata stamattina. Ha preso le sue cose dall’appartamento e le ha portate via. Ha detto che se ne andava da un’altra parte, e che tu saresti rimasta qui. L’affitto quindi, tocca a te pagarlo.” Rimasi scioccata. Mia madre se ne era andata? Senza dirmi niente e lasciandomi sola con un affitto da pagare? Non potevo crederci. “è proprio sicura di quello che dice?” chiesi con un filo di voce. L’altra esclamò tranquillamente:” Oh, sicurissima!” .”E non le ha detto niente di me?” insistetti ancora. “No, niente. Ho provato a chiederle se saresti andata con lei, ma mi ha detto che tu saresti rimasta qui e che non l’avresti dovuta cercare. Ha detto che sei solo un peso e che era arrivato il momento di vivere la giovinezza che la tua nascita le aveva tolto. Poi se ne è andata.” Disse tranquillamente, come se abbandonare la propria figlia fosse la cosa più naturale del mondo. Calde lacrime iniziarono ad inumidirmi gli occhi. Mi voltai verso l’ingresso, intenta ad uscire. Avevo bisogno di una boccata d’aria. Stavo per aprire il portone quando la donna mi fermò : “Ehi, dove stai andando? Non puoi andartene, hai anche l’affitto da pagare!” insensibile. “Non me ne vado. Ho solo bisogno di un po’ d’aria …” dissi con la voce tremante. “Comunque sappi che se non paghi gli arretrati entro due settimane, il padrone di casa sarà costretto a sfrattarti!” continuò imperterrita. “Cosa? Due settimane? E dove li trovo i soldi io in due settimane?!” stavo davvero per scoppiare, ma mi trattenni. La signora mi guardò con indifferenza e poi: “Questi non sono affari che mi riguardano.” Concluse tornando al suo stupido giornale. Con un’enorme rabbia dentro di me, uscì dall’edificio, sbattendo violentemente il portone. Avevo bisogno di un po’ d’aria. La meravigliosa giornata passata, era rovinata. Iniziai a correre più veloce che potevo, dovevo andarmene da qualche parte, volevo stare in pace a riflettere, a piangere, a sfogarmi. Correvo, correvo nella notte ormai scesa. Non sapevo nemmeno dove stessi andando. I miei polmoni urlavano pietà, ma io li supplicai di stare zitti, che erano forti e che dovevano lasciarmi in pace. Corsi per non so quanto tempo, fino a che non decisi di dare ascolto ai polmoni affaticati. Mi fermai per riprendere fiato, e mi accorsi solo in quel momento di dove ero arrivata. Alzai lo sguardo, scontrando i miei occhi velati dalle lacrime contro l’imponente cancello della Orange High School. Ero arrivata a scuola. Non so perché, ma in quel momento sentii l’istinto di andare al di là del cancello, di rifugiarmi sotto la mia quercia, in quel luogo che almeno quella notte sarebbe stato solo mio, e di piangere, piangere e piangere, inveendo contro la luna. Non fu necessario scavalcare il cancello, poiché mi ricordai dell’entrata secondaria sul cortile dell’istituto. Feci il giro dell’edificio e una volta arrivata al cancello, stavolta molto più piccolo di quello principale, lo scavalcai senza grosse difficoltà. Una volta arrivata dall’altra parte, cominciai ad incamminarmi verso il mio solito posto, dove guarda caso quella mattina avevo litigato con Vegeta, non sapendo ancora che sarebbe stato un mio compagno di corso. Mi stavo avvicinando sempre di più, quando improvvisamente mi accorsi di non essere sola. Ero a pochi metri dalla quercia, e dalla parte opposta rispetto a me proveniva una melodia. Qualcuno stava suonando. Riconobbi subito lo strumento. Una chitarra. Mi avvicinai cercando di non far rumore. Non volevo interrompere quella melodia. Dopo qualche accordo iniziale, lo strumento fu accompagnato da una voce maschile. Rimasi incantata. Mi appoggiai lentamente all’albero nella parte opposta rispetto allo sconosciuto. Mi lasciai scivolare lungo la corteccia, fino a toccare il suolo, sedendomi. Appoggiai la testa all’indietro, fissando il cielo notturno. In tutto questo, il ragazzo dall’altra parte non aveva smesso di suonare, così decisi di rimanere in silenzio.  Chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dalla meravigliosa voce di quel chitarrista sconosciuto.

Well, we bursted out of class 
Had to get away from those fools 
We learned more from a 3-minute record, baby 
Than we ever learned in school 
Tonight I hear the neighborhood drummer sound 
I can feel my heart begin to pound 
You say you're tired and you just want to close your eyes 
And follow your dreams down 


Riconobbi subito la canzone. Era “No Surrender” di Bruce Spingsteen. Adoravo quella canzone, e l’arrangiamento fatto unicamente con la chitarra la rese ancora più bella alle mie orecchie. E poi la voce. Dio, non avevo mai sentito voce maschile più bella. Un po’ roca in alcuni punti, ma delicata e dolce in altri. Profonda, calda,passionale. Meravigliosa.

Well, we made a promise we swore we'd always remember 
No retreat, baby, no surrender 
Like soldiers on the winter's night 
With a vow to defend 
No retreat, baby, no surrender 


Quando arrivò ad intonare il ritornello, il mio cuore mancò un battito. Era da brividi. Incredibile,mi aveva incantata. Avevo smesso di piangere e ora, lì sotto quella quercia e quel manto scuro e pieno di stelle, pensavo solo a godermi la voce angelica di quel ragazzo.

Well, now young faces grow sad and old 
And hearts of fire grow cold 
We swore blood brothers against the wind 
And I'm ready to grow young again 
And I hear your sister's voice calling us home 
Across the open yards 
Well even we can cut someplace of our own 
With these drums and these guitars 


In quel momento, sotto le stelle e cullata dalla voce e dalla melodia dolce del ragazzo, giuro che avrei voluto fermare il tempo. Volevo che quell’atmosfera non finisse mai, che quella canzone durasse all’infinito, che quel ragazzo continuasse a cantare fino a che avrebbe avuto fiato in gola. Perché in quel momento, non avrei voluto trovarmi da nessun altra parte, se non lì, appoggiata a quella corteccia.

'Cause we made a promise we swore we'd always remember 
No retreat, baby, no surrender 
Blood brothers on a summer's night 
With a vow to defend 
No retreat, baby, no surrender 

Now out on the streets tonight the lights are growing dim 
And the walls of my room are closing in 
But it's good to see your smiling face 
And to hear your voice again 
Now we can sleep in the twilight 
By the river bed 
With a wide open country in our hearts 
And these romantic dreams in our hands 


In quel momento, mi sentii leggera come una piuma. Sentii come se intorno a me non ci fosse più niente, come se tutti i miei problemi fossero scomparsi. E allora l’abbandono di mia madre era solo un ricordo lontano, anche se avvenuto poche ore prima. L’affitto da pagare non esisteva nemmeno più, la signora Penny mi risultava una sconosciuta. In quel momento c’eravamo solo io e quel ragazzo. Tutti e due a guardare la luna e le stelle. Accompagnati dalle parole di quella meravigliosa canzone.

'Cause we made a promise we swore we'd always remember 
No retreat, baby, no surrender 
Blood brothers on a summer's night 
With a vow to defend 
No retreat, baby, no surrender 


Con due ultimi colpi di chitarra, il ragazzo terminò la canzone. La sua voce e la melodia si espansero nell’aria, fino a scomparire, lasciando posto al silenzio. Mi sentivo stranissima. Avevo di nuovo bisogno di quella voce, sembrava quasi una droga. L’avevo sentita per solo tre minuti e già ne avevo di nuovo bisogno. Istintivamente, sporsi la testa di lato, per poter scorgere la provenienza di quella voce incredibile. A quanto pare anche lo sconosciuto dall’altra parte ebbe la mia stessa idea, perché mi ritrovai subito a pochi centimetri dal viso di quel ragazzo. Occhi neri, profondissimi, che avevo già visto. Il colore della notte nella notte. Le tenebre nelle tenebre. Il buio intorno a noi regnava sovrano, ma io riconobbi subito quello sguardo. “V-Vegeta …” sussurrai. Era proprio lui. E la notte continuò a fissarmi.
Nota Autrice:
ed eccomi qua con il settimo capitolo della storia! A quanto pare i guai non finiscono mai per la nostra Bulma, ma ha trovato una voce in grado di consolarla … e chi poteva essere se non il nostro bel tenebroso di  Vegeta? Ecco quindi che scopriamo anche le doti canore del nostro scimmione … e a quanto pare suona anche la chitarra! Chissà se avrà qualche altra sorpresa da rivelarci … ;) comunque come sempre ringrazio coloro che leggono, recensiscono e seguono questa storia! Siete davvero gentilissimi! Al prossimo capitolo!
Un bacio
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P:S: ah, volevo dirvi che la canzone cantata da Vegeta è “No Surrender” di Bruce Sprigsteen, arrangiata con la chitarra e cantata dal cast di Glee. Vi metto il link della canzone, nel caso voleste farvi un’idea di quello che Vegeta ha cantato e suonato. Il pezzo l’ho immaginato così, solo con la chitarra, ma la voce di Vegeta la immagino un po’ diversa … comunque se vi va ascoltatela, è davvero una bellissima canzone!
https://www.youtube.com/watch?v=P94VWdu5D-w
ancora saluti!
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Capitolo 8
*** Chiacchierate notturne e un nome da scegliere ***


“V-Vegeta …” sussurrai. E lui, con la notte negli occhi, continuò a fissarmi. Stavamo così: occhi negli occhi, l’azzurro nel nero, la luce nelle tenebre. A pochi centimetri di distanza,immobili, incapaci di muovere un solo muscolo. Potevo sentire chiaramente il suo respiro sulla mia pelle, il suo sguardo indagatore che mi scrutava intensamente. Arrossii violentemente, e ringraziai mentalmente la notte per l’oscurità che portava con essa, cercando di nascondere l’imbarazzo. Ma forse, il buio non era abbastanza. La voce di Vegeta mi riscosse finalmente da quello stato di trans in cui eravamo caduti da un paio di minuti a questa parte. “Che diavolo ci fai qui?!” mi chiese arrabbiato, ma con una nota di curiosità che cercò inutilmente di nascondere. Con le gote ancora infiammate risposi flebilmente: “I-Io ero venuta per stare un po’ in pace da sola ma … poi ho sentito qualcuno cantare e ho preferito non interromperti, cioè non sapevo che fossi tu qui a cantare, e poi suonavi la chitarra e non so …” balbettai facendo la figura della cerebrolesa. Dio mio, non ero riuscita a fare un discorso di senso compiuto, mi ero espressa con frasi disconnesse e non collegate tra loro. E tutto questo perché? Perché ero a pochi centimetri di distanza dal ragazzo con la voce più bella che avessi mai sentito. E lui ovviamente non potè fare a meno di sottolineare questa mia debolezza, deridendomi: “Che c’è, non sai nemmeno parlare? Sei davvero strana …” In quel momento riacquistai un pizzico della lucidità che era andata a farsi benedire, e risposi prontamente: “ Ma come ti permetti?! Semmai lo strano sarai tu,visto che vieni nel giardino della scuola a suonare e cantare in piena notte! Che c’è, hai paura che la gente senta la tua incredibile voce?!” Mi lasciai sfuggire per sbaglio l’ultima parte. Ma come avevo fatto, dico io? Lo stavo insultando, ero arrabbiata con lui, accidenti! E invece, nonostante ciò, non avevo potuto fare a meno di dire quanto la sua voce mi aveva colpita. Mi guardò accigliandosi, confuso sopra ogni dire: “Ma che vai blaterando? Cominci insultandomi e finisci facendomi un complimento?! Te l’ho detto, tu non sei normale …  Ah e comunque, dici tanto di me che sto qui a strimpellare di notte, ma anche tu sei venuta qui, altrimenti non mi staresti rompendo le scatole con la tua voce da gallina isterica!” Basta era troppo. Avrei tanto voluto ribattere, ma come? Dannazione, aveva detto la verità, che avrei potuto dire? Possibile che quel ragazzo riuscisse a farmi restare senza parole dopo averlo conosciuto da un solo giorno?! Abbassai lentamente lo sguardo, non potevo reggere il peso dei suoi occhi su di me. E in un attimo, nel momento in cui staccai i miei occhi dai suoi, la realtà tornò a farsi strada prepotentemente nella mia mente. Tutto quello successo poche ore prima, tutto ciò che ero convinta di aver dimenticato grazie a quella voce meravigliosa, ora si ripresentava davanti a me, a pareggiare i conti. “Mia madre mi ha abbandonato oggi. Mi ha lasciato da sola, in un appartamento del quartiere più malfamato della città e con un affitto da pagare entro due settimane. Se non pago, mi cacciano. Ero venuta qui perché volevo stare un po’ in pace da sola e a sfogarmi. Però ho incontrato te. E adesso, non so davvero cosa fare.” Dissi tutto d’un tratto, spinta da non so quale forza interiore, a confidarmi con quel maleducato. Silenzio. Nessuno dei due fiatò. Potevamo distinguere il canto dei grilli in lontananza, ma nient’altro. Io continuavo a fissarmi le All Stars ormai da buttare. Cavolo, era la seconda volta in quella giornata che quel vecchio paio di scarpe attiravano tanto la mia attenzione. Lui invece niente, continuava a fissarmi, credo, ma stava zitto. Avevo ormai perso la speranza di risentire la sua voce, anche solo per insultarmi di nuovo, mi sarebbe andato bene. Qualunque cosa, pur di smorzare quel momento terribilmente imbarazzante. Poi, ad un tratto, lui parlò. “E allora? Ti aspetti che ti dica che mi dispiace, che ti compianga, che ti stringa e che ti consoli? Mi dispiace, ma pensi davvero male. Tua madre ti ha abbandonato? Meglio così! Da quello che ho capito oggi, non corrono buoni rapporti tra di voi. Devi pagare l’affitto in due settimane? Vai cercarti un lavoro! Smettila di auto commiserarti, la vita va avanti, sempre.”  Sgranai leggermente gli occhi ancora fissi a terra. Aveva ragione. Aveva terribilmente ragione. In fondo, che mi sarei voluta davvero aspettare da quella confessione? Ora che avevo sentito le sue parole, capii che non avrei voluto sentirmi dire nient’altro. Erano parole dure, è vero, ma è anche vero che dietro quel tono freddo, ero riuscita a capire cosa avrei dovuto fare. Grazie a lui, tornai alla realtà. Alzai lo sguardo, fiero come non mai, e puntai nuovamente le mie iridi azzurre nelle sue color della notte. Stavolta non c’era nessun imbarazzo però. Solo tanto orgoglio e voglia di reagire. “Sai una cosa Vegeta? Hai perfettamente  ragione. Stare qui a piangermi addosso non serve proprio a niente. Devo reagire, fare qualcosa. Da domani mi cercherò un lavoro. E tenterò anche di dimenticarmi di mia madre.” Lui continuò a guardarmi, e dal suo viso imperturbabile prese vita un mezzo sorriso. Senza dire niente ,con ancora la chitarra appoggiata sulle gambe, si alzò recuperando lo strumento e le sue cose. Stava per andarsene, quando si girò nuovamente verso di me e disse: “ prova a dire a qualcuno ciò che è successo stanotte, e giuro che per te sarà la fine.” Lo guardai stupefatta. “Perché? Perché non vuoi far sapere che hai quella bellissima voce? Non ci avevi neanche detto che suoni la chitarra, per quale motivo?” chiesi sconcertata. Continuò a guardarmi con aria truce:” Perché non sono affari vostri! Io non canto: suono e basta.” Rispose e riprese a camminare. Si stava già allontanando, quando lo richiamai ad alta voce: “Vegeta!” Si girò lentamente,senza dire una parola. Mi guardava, in attesa che parlassi. “Grazie.” Dissi solamente. Mi lanciò un ultimo sguardo, poi si girò definitivamente, andando via. “Riuscirò a farti cantare, è una promessa ...” pensai guardando la sua figura allontanarsi. “Parola di Bulma Brief.”
 
Il giorno dopo mi svegliai con un’energia e una carica a dir poco impressionante. Dopo la chiacchierata con Vegeta la sera prima, avevo capito che non potevo piangermi addosso e che forse, l’abbandono di  mia madre non era poi tanto grave. Vegeta aveva ragione, io e lei non parlavamo per niente, non stavamo mai assieme, non potevo nemmeno chiamarla “mamma”. Ed io soffrivo, soffrivo terribilmente per questo, Dio solo sa quanto. Ora che se ne era andata, forse sarei finalmente riuscita a vivere serenamente, senza dover pensare al fatto di avere una madre che non mi voleva e che non voleva nemmeno essere considerata tale. Adesso nella mia vita c’era una sola cosa importante: Il Glee Club. Da quel giorno, sarebbe stato quello il mio pensiero principale. C’era solo un piccolo problema ancora da risolvere: l’affitto. Accidenti, dovevo trovare una soluzione. Mi sarei cercata un lavoro, questo è ovvio, ma ammesso che fossi riuscita a trovarlo, non sarebbe comunque bastato. Andiamo, in due settimane non avrei potuto ricevere uno stipendio, tantomeno i soldi necessari per pagare quei dannatissimi arretrati.  Ma in un modo o nell’altro, promisi a me stessa che sarei riuscita ad andare avanti. E così quel giorno, un’altra ragazza uscì dal vecchio condominio di periferia. Una ragazza determinata, decisa, combattiva, pronta a tutto. Una nuova Bulma era nata.
Quella mattina le lezioni passarono piuttosto velocemente. Avevo passato le cinque ore dell’orario scolastico a pensare a come avrei fatto a pagare quel dannato affitto. Innanzitutto cercare un lavoro, e questo era chiaro. Magari avrei potuto chiedere al mio futuro datore di lavoro un anticipo dello stipendio, spiegandogli bene la situazione . Ma andiamo, dove lo avrei trovato un tipo tanto gentile da concedermi tutti quei soldi senza aver ancora lavorato?! Purtroppo, non c’era niente da fare. Alla fine delle lezioni non avevo ancora trovato nessuna soluzione, e stavo letteralmente andando nel panico. Fortunatamente non appena uscii dalla classe, vidi Chichi venirmi incontro insieme agli altri ragazzi del Glee Club. Il Glee Club, ecco a cosa dovevo pensare i quel momento. Mi decisi a lasciarmi un po’ andare insieme ai miei nuovi amici, che continuavano a guardarmi sorridenti. Volevo godermi quelle ore all’interno dell’aula canto che avrebbe ospitato la nostra seconda lezione. All’affitto avrei pensato dopo. Goku e gli altri mi invitarono ad unirmi a loro per il pranzo. Non era mai successo. A quanto pareva, la mia vita stava davvero cambiando. Pranzammo tutti insieme, ma non alla mensa. D’altronde, anche se ora non eravamo più soli, restavamo comunque degli sfigati, e gli sfigati mangiano fuori nel cortile. Non andammo a mangiare sotto la mia quercia. Mentre camminavamo alla ricerca di un posto dove consumare il pranzo, vidi il mio amato albero da lontano. Non c’era nessuno, e guardando quella corteccia scura ripensai subito alla notte precedente. Sembrava incredibile pensare che lì, nascosti dalle fronde di una quercia, avevo sentito Vegeta cantare, avevo sentito quella meravigliosa voce che voleva tenere nascosta a tutti. E pensai anche al fatto che grazie alle sue parole dure, avevo capito che dovevo darmi da fare per dare una svolta alla mia vita. Chissà dov’era lui ora. Non si trovava insieme al nostro gruppo, come era logico pensare conoscendolo anche solo da poco tempo. Dovevo assolutamente scoprire il motivo di quel caratteraccio, della sua ostentata solitudine e dell’immensa tristezza riflessa nei suoi occhi neri. E dovevo anche convincerlo a cantare, a far sentire a tutti la sua voce. Ma non sarebbe stata un’impresa facile …
Dopo aver mangiato ci spostammo tutti quanti verso l’aula canto. La seconda lezione del Glee Club sarebbe iniziata a breve. Eravamo tutti eccitati, curiosi di sapere cosa ci avrebbe riservato per quella lezione, quel professore un po’ svitato ma che già amavamo. Entrammo in classe chiacchierando a voce alta, destando così l’attenzione dell’occupante dell’aula. Il professor Dawson alzò la testa da alcuni fogli che stava leggendo, accogliendoci con un enorme sorriso. “Buongiorno ragazzi! Siete pronti per la lezione di oggi?” Annuimmo tutti entusiasti. In quel momento fece il suo ingresso in classe anche Vegeta, con le mani in tasca, le cuffiette alle orecchie e lo sguardo perennemente imbronciato. Non appena varcò la soglia dell’aula lo guardai ripensando alla serata precedente. Anche lui mi lanciò un’occhiata fredda, ma altrettanto eloquente. “Prova a dire qualcosa, e per te sarà la fine”. I suoi occhi sembravano dire proprio questo. Si sedette su una delle sedie lì presenti, senza dire una parola. Per tutto il tragitto dalla porta alla sedia non gli staccai un attimo gli occhi di dosso . Sembravo come incantata, ipnotizzata dalla sua presenza. La voce del Professor Dawson mi riportò alla realtà. Mi guardai intorno  e vidi che stavano tutti prendendo posto. Ero rimasta solo io in piedi. Imbarazzata, andai a sedermi, cercando per un attimo di non incontrare gli occhi d’antracite di Vegeta. Ero sicura che mi stesse guardando. Una volta che ci fummo tutti accomodati, il professore iniziò a parlare: “Allora ragazzi, questa è la nostra seconda lezione. Volevo cominciare con il farvi fare una specie di esibizione tutti insieme, per rendermi conto meglio delle vostre capacità. Anche se mi sono già fatto un’idea delle vostre doti.” disse,facendo riferimento all’esibizione improvvisata del giorno prima durante le mie presentazioni. Annuimmo tutti, incitandolo a continuare. E infatti: “Però prima stavo pensando e mi sono detto “accidenti tutti i Glee Club hanno un nome, mentre noi non ne abbiamo ancora scelto uno!” perciò credo che come prima cosa da fare sia meglio scegliere un nome per questo club. Coraggio,dite voi la vostra, decidiamo tutti insieme. La discussione è aperta.” Un nome. Aveva ragione. Ci serviva un nome.

Nota Autrice: ed eccomi tornata dopo qualche giorno di ritardo con l’ottavo capitolo della storia! In questi giorni sono un po’ impegnata, e ritagliarmi un attimo per scrivere è un po’ difficile ultimamente. Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio come sempre tutti coloro che leggono e seguono le mie storie. In particolar modo vorrei ringraziare baby junior, la mia fan numero uno, che legge e recensisce sempre le mie storie e di questo non riuscirò mai a ringraziarla abbastanza! Ancora grazie e ci vediamo al prossimo capitolo!
Un bacio
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Capitolo 9
*** Voci fuori dal coro ... ***


Avevamo bisogno di un nome. Il nome è qualcosa di fondamentale importanza per un gruppo. Il nome è una sorta di etichetta, una prefazione, un’anteprima data al lettore riguardo ciò che sta per leggere. La scelta del nome, non era quindi una cosa facile. Iniziò così una lunga discussione, dove ognuno diceva la  propria, alla ricerca del nome perfetto. Per la classe volavano proposte del tipo:”I ragazzi della musica” o “La musica nel cuore”. Nomi belli, per carità, ma davvero troppo banali. Io non mi ero ancora espressa. Pensavo e riflettevo ad un nome adatto per il nostro Glee Club, che non fosse troppo scontato, ma che descrivesse al meglio questo gruppo di sfigati canterini. Il professor Dawson non diceva niente, stava zitto e ci osservava discutere insieme. Come a me, quei nomi non lo attiravano affatto. Yamcha e C18 avevano iniziato a discutere animatamente, cercando un punto di comune accordo tra le loro idee: “Secondo me dovremmo chiamarci, “Il gruppo di Yamcha”!” esordì tutto entusiasta il moro con la cicatrice sul volto. Inutile dire che quella sua affermazione scatenò le ire della classe. “Ma che dici? Guarda che non ci sei solo tu qui dentro, dobbiamo scegliere un nome che coinvolga tutti!” lo rimbeccò C18, ricevendo l’appoggio di tutti noi. E proprio mentre Yamcha stava per ribattere, una voce tuonò alle nostre spalle: “ Voci fuori dal coro”. Ci voltammo tutti verso la provenienza di quella voce, scoprendo che era stato colui seduto da solo qualche sedia dietro di noi, a parlare. Vegeta stava seduto sulla sua sedia con la sua solita posa da duro, a braccia incrociate e con gli occhi accigliati. Non aveva partecipato minimamente alla discussione. Almeno fino a quel momento. Lo guardammo tutti confusi, cercando di capire il significato delle sue parole. Poi finalmente, con sollievo di tutti, chiesi curiosa: “Vegeta, scusa potresti ripetere? Che intendi dire?” mi guardò infastidito dalla mia richiesta, ma d’altronde era lecito chiedere spiegazioni riguardo ciò che lui stesso aveva detto. Sbuffò scocciato, sentendo lo sguardo di tutti puntato su di lui. Poi, parlò. “Ho detto, Voci fuori dal coro. Il nome. Andiamo, guardatevi intorno. In questa scuola il 99% degli studenti fa parte di club scolastici sportivi, o è un genio pieno di trofei scientifici, oppure sono tutte delle galline del gruppo di cheerleader. E ora guardate voi stessi. Che cosa siamo noi? Per loro niente. Per quelli là fuori siamo solo quell’un percento mancante al branco di individui tutti uguali. Siamo gli sfigati. Loro vincono concorsi scolastici e premi sportivi. E noi? A noi piace la musica. Siamo diversi dal gruppo là fuori. Noi non vogliamo fare parte del coro, noi vogliamo essere i solisti, per una volta. Noi siamo l’eccezione che conferma la regola. Siamo le Voci fuori dal coro.” Silenzio. Calò il silenzio più totale in classe. Eravamo rimasti tutti a bocca aperta, stupiti dalle parole del batterista scorbutico. Io ero rimasta imbambolata a fissarlo, riflettendo su ogni cosa che aveva detto. Aveva ragione. Noi eravamo le eccezioni dentro quella scuola, noi eravamo diversi da quella massa di ragazzi tutto muscoli niente cervello. E il nome. Era assolutamente perfetto. Continuai a guardare Vegeta, con gli occhi brillanti di felicità. “Ma è assolutamente perfetto! Vegeta, hai ragione,  noi siamo le eccezioni di questa scuola, siamo davvero le Voci fuori dal coro! Grazie, sei un genio!” dissi tutto d’un fiato, presa dall’emozione del momento. Vegeta mi guardò confuso, e oserei dire, imbarazzato:” Tsk! Non fatevi strane idee! Se ho deciso di partecipare a questa discussione, è stato solo perché non ne potevo più di sentire i vostri nomi smielati e i discorsi senza senso di quel decerebrato!” disse, additando Yamcha, il quale, resosi conto dell’offesa, protestò: “Ehi, bada a come parli! Il mio nome era geniale!”  ma ovviamente, nessuno gli prestava più attenzione. Eravamo tutti presi dal discorso di Vegeta, da quel nome perfetto che cercavamo da tanto. il professor Dawson, visibilmente soddisfatto, si avvicinò alla lavagna presente nell’aula, e con un gessetto vi scrisse sopra: “Voci fuori dal coro.” poi, voltandosi nuovamente verso di noi, proclamò entusiasta: “Bene ragazzi, a quanto pare è deciso. Da oggi, voi siete “LE VOCI FUORI DAL CORO”.  Lanciai un’occhiata a Vegeta, sorridendogli riconoscente. “E voce fuori dal coro sia …” pensai prima di voltarmi nuovamente.

Il resto della lezione passò piuttosto velocemente. Come annunciato in precedenza, il professor Dawson ci chiese di esibirci tutti insieme, e così facemmo. Non fu affatto semplice trovare una canzone che conoscessero tutti, ma alla fine riuscimmo a trovare qualcosa adatta ad un gruppo di ragazzi che suonavano insieme per la prima volta. Ci posizionammo ognuno con il proprio strumento in mano, Chichi in piedi sulla sua tastiera e Vegeta seduto dietro la batteria. Quella fu la prima volta che lo sentii suonare quel meraviglioso strumento. Suonammo “Carry on” dei Fun. Nonostante l’originale fosse cantata da un ragazzo, tutti mi costrinsero a cantare da solista. Ero piuttosto imbarazzata, ma quel luogo era stato creato per cantare, perciò mi buttai. Mano a mano che cantavo, mi resi conto di quanto con una canzone si potesse descrivere perfettamente qualunque situazione. Dio, anche quella canzone era perfetta per noi, diceva di non mollare, di andare avanti, sempre e comunque, di essere liberi di scegliere ciò che vogliamo essere. Era incredibile il fatto che esistesse una canzone per qualunque stato d’animo, emozione, situazione. E fu proprio grazie al Glee Club che imparammo ad esprimere le nostre emozioni attraverso la musica. Mentre cantavo, sentivo lo sguardo di tutti puntato su di me, mi sentivo osservata, e in qualche modo la cosa non mi infastidii più di tanto. Mi chiedevo se anche lui mi stesse guardando. Non so il motivo, ma speravo ardentemente che i suoi occhi d’ebano fossero puntati su di me mentre intonavo le note della canzone. Mano a mano che suonavamo, mi ritrovai a non essere più l’unica a cantare. Anche gli altri cantavano, formando una specie di seconda voce, un coro improvvisato. L’unico che non cantò, manco a dirlo, fu Vegeta. Però accidenti, sentirlo suonare la batteria era qualcosa di indescrivibile. Ogni tanto giravo leggermente la testa per guardarlo suonare, e lo vedevo così concentrato ma allo stesso tempo sembrava perfettamente a suo agio. Mentre percuoteva con le bacchette tutto lo strumento, dando il ritmo alla canzone, sembrava così ribelle, così libero … quanto avrei voluto che la canzone continuasse all’infinito e che anche lui cantasse insieme a noi. Ma purtroppo, tutto ha una fine, e con due ultimi colpi alla batteria, il brano finì. Subito un urlo di gioia si proclamò nell’aula e tutti quanti battemmo le mani, complimentandoci a vicenda. Vegeta era rimasto fermo, incollato dietro la sua amata batteria. Gli andai vicino,per complimentarmi. Subito mi squadrò scocciato, ma non ci feci caso e continuai a sorridergli dolcemente. “Sei davvero bravo con la batteria.” Gli dissi una volta arrivatagli vicino. Vegeta rispose con un mezzo grugnito, che poteva essere interpretato come un “Grazie” o un “levati di torno”. In ogni caso, mi piace pensare che la risposta fosse la prima opzione. Lui non mi disse niente. Certo, non mi aspettavo chissà quali complimenti, ma anche un “Anche tu non sei male a cantare” sarebbe stato più che gradito. Se non altro, per cortesia. E invece niente. Mi guardava con insistenza, invitandomi con lo sguardo ad andarmene. E io rimanevo lì imperterrita, sostenendo il suo sguardo. Non me ne sarei andata fino a che non avrebbe parlato.
 
Nota autrice:
eccomi tornata con il nono capitolo della storia! Non è molto lungo lo so, ma spero comunque che vi piaccia! Volevo inoltre avvisarvi che domani parto per una settimana, perciò non aggiornerò per sette giorni … ma appena torno mi rimetto sotto a scrivere, tranquilli! Un’ultima cosa: questo capitolo volevo dedicarlo a una persona scomparsa pochi giorni fa, l’attore Robin Williams, uno dei miei attori preferiti. Non voglio fare un elogio funebre in suo onore o altro, ma volevo solo dedicare il capitolo alla memoria di un grande attore che ha dato tanto al cinema americano. Inoltre, non a caso, nell’ “Attimo fuggente”, interpretava la parte del professor Keating, l’insegnante che tutti vorremmo e a cui mi sono ispirata in questa storia per la figura del professor Dawson. Quel film mi ha dato davvero tanto, e il Professor Keating mi ha fatto davvero capire l’importanza della libertà e di cogliere l’attimo. Carpe Diem, ragazzi. Non voglio rattristarvi, perciò concludo salutandolo così, in un modo che chi ha visto l’ ”Attimo fuggente” capirà: “Addio Capitano, mio Capitano …”
al prossimo capitolo.
Un bacio
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Capitolo 10
*** Un lavoro da trovare e soprannomi improbabili ... ***


Restammo a fissarci per altri interminabili secondi. Sembrava che nessuno dei due fosse intenzionato a perdere quella sorta di sfida di sguardi creatasi in quel momento. Alla fine, fu Vegeta a cedere. “Insomma, si può sapere cosa vuoi da me?!” sbottò irato. Lo guardai neanche tanto stupita da quella reazione, e risposi candidamente: “Non voglio assolutamente niente Vegeta, perché mi dici così?” Per tutta risposta, lui grugnì arrabbiato, girandosi e dirigendosi verso la sedia dove aveva appoggiato il suo zaino. Recuperò quindi le sue cose e si diresse verso l’uscita dell’aula, nello stesso istante in cui la campanella annunciava la fine delle lezioni. Il tutto, accompagnato dal mio sguardo ceruleo puntato su di lui, pronto a studiare ogni suo movimento. Uscì dalla classe senza nemmeno salutare,diretto chissà dove, seguito poi dal resto del gruppo che si apprestava a lasciare la scuola. Scossi leggermente la testa, sorridendo debolmente. “Riuscirò a farti cantare, fosse l’ultima cosa che faccio” pensai, dirigendomi anche io verso l’uscita, dopo aver salutato il professor Dawson. Era una sfida personale, quella. E io, adoro le sfide.
Anche quel pomeriggio dopo la fine delle lezioni ci dirigemmo al Dragon Bar. Durante il tragitto dalla scuola al locale, avevo pensato in continuazione a quel batterista scorbutico che non ne voleva sapere di far sentire la sua voce. “Perché è così cocciuto?!” mi chiesi una volta arrivati all’ingresso del bar. Appena entrammo, vedemmo subito l’anziano signore del giorno precedente, affaccendarsi con la solita lentezza dietro il bancone. Appena si accorse del nostro ingresso, alzò gli occhi dai suoi impieghi e ci guardò. Gli ci volle un po’ per riconoscerci, ma finalmente dopo interminabili secondi di silenzio, sorrise raggiante e ci si rivolse con la solita voce un po’ roca degli anziani. “Benvenuti!” disse entusiasta.  Probabilmente stava pensando: “Clienti, incredibile!” data la sua espressione sorpresa e al tempo stesso felice. Salutammo educatamente con un corale: “Buongiorno!”, dirigendoci allo stesso tavolo del giorno prima. Come il pomeriggio precedente, aspettammo pazientemente che l’anziano signore arrivasse al nostro tavolo per prendere le ordinazioni. E, come il giorno prima, impiegò circa cinque minuti per raggiungerci, con sottofondo musicale Phil Collins con la sua “Another day in paradise”, stavolta. Durante quei quattro minuti e cinquantatre secondi che impiegava una delle mie canzoni preferite, una strana idea mi balenò in mente. Quel vecchietto non era in grande forma, e a quanto pareva la gestione del locale gravava tutta sulle sue spalle. E se avessi lavorato come cameriera lì? Una mano sarebbe stata più che necessaria a quel pover uomo. Ma poi mi guardai per un secondo intorno. Il locale era vuoto. Se gli affari andavano male,era praticamente impossibile che assumesse qualcuno. Però, tentar non nuoce, giusto? Così, dopo aver ordinato, mi alzai un secondo da tavola, dirigendomi verso il bancone dove l’anziano signore stava preparando le nostre ordinazioni. Mi sentivo un po’ in imbarazzo, ma non avevo altra scelta. Avevo urgentemente bisogno di un lavoro. “Ehm, mi scusi?” cominciai timidamente. L’anziano però era girato di spalle ed inoltre, essendo duro d’orecchi, non mi aveva di certo sentita. “Mi scusi, signore?” tentai di nuovo inutilmente. “SIGNORE, MI SCUSI?!” dissi stavolta a voce molto più alta, tanto che anche gli altri seduti al tavolo si girarono a guardarmi, tornando subito dopo alle loro chiacchiere. Finalmente riuscii a richiamare l’attenzione dello strano vecchietto, che girandosi si scontrò con due occhi azzurri e agitati. Mi sorrise cordialmente chiedendomi poi: “Dimmi pure cara, ci conosciamo?” lo guardai un attimo confusa, rispondendo: “Ehm, si, sono una dei ragazzi seduti al tavolo laggiù” dissi indicando gli unici posti occupati in tutto il locale. L’uomo seguì con gli occhi il mio dito, fino a scontrarsi con i miei amici che chiacchieravano allegramente. Sembrò pensarci un po’ su, poi esclamò come sorto da un’improvvisa illuminazione: “Ah si, certo! Dimmi pure, posso fare qualcosa per te?” chiese pacatamente. Lo guardai, sentendo la tensione crescere. Poi mormorai: “Ehm, ecco volevo chiederle se …” “Aspetta aspetta ragazza, non ti sento, alza la voce per favore!”disse l’anziano sorridendo. Presi un respiro profondo, e alzando la voce,feci la mia richiesta: “Ecco, ho notato che lei qui lavora da solo, e non so, pensavo che forse le sarebbe servita una mano e, ecco, volevo dirle che in tal caso, io sarei disponibile …” dissi chiudendo gli occhi, pronta ad una risposta negativa. L’uomo stette un attimo in silenzio, poi mi chiese semplicemente :” Mi stai chiedendo di poter lavorare qui?” Lo disse con un’ingenuità talmente spiazzante che riuscii solo ad annuire. Il vecchietto sembrò pensarci un po’ su, poi incredibilmente, rispose: “Va bene.” Sgranai gli occhi dalla sorpresa e lo guardai a bocca aperta. “H-Ha detto va bene?!” chiesi con un filo di voce. Lui rispose semplicemente:”Si, va bene. Ho proprio bisogno di una mano qui al locale, e tu mi sembri una ragazza in gamba.” “Ma quindi non vuole farmi nessuna domanda, nessun colloquio o qualcosa del genere?” chiesi sempre più incredula. “no, per me va bene così. Dovresti solo firmare qualche foglio, ma a quello ci penseremo in seguito.” Disse risoluto. “Dato che frequenti la scuola, credo che per te l’unico orario disponibile per lavorare sia la sera, dopo cena. Perciò, visto che domani è il giorno di chiusura, puoi cominciare a lavorare già da dopodomani.” Concluse infine. Continuai a fissarlo emozionata. Avevo davvero trovato un lavoro?! ed era stato così semplice?! Con le lacrime agli occhi, ringraziai il generoso vecchietto, felice più che mai: “Grazie, grazie davvero tanto! questo lavoro significa moltissimo per me, non so come ringraziarla!” lui sorrise comprensivo, dicendomi: “Figurati. Anche se ti sembra che il locale sia sempre vuoto, in realtà di sera lavoriamo abbastanza, perciò da solo cominciavo a non farcela. Per fortuna che ho trovato te.” E così, avevo trovato un lavoro. Sorrisi entusiasta. La mia vita  stava finalmente cominciando a prendere una piega diversa.
Le sorprese però non sembravano intenzionate a finire. Il giorno dopo a scuola, trascorse tutto tranquillamente. Passai tutte le cinque ore di lezioni con un sorriso ebete stampato in faccia, felice come una Pasqua per l’evento del giorno precedente. Quando finalmente la campanella dell’ultima ora suonò, mi alzai di scattò e uscii dalla classe come un fulmine, diretta in cortile per pranzare insieme agli altri. Mangiammo tutti insieme, ridendo e scherzando come se ci conoscessimo da sempre. Mentre mangiavamo, mi guardai intorno, in cerca di Vegeta. Niente, quello scorbutico non c’era. “Chissà dove sarà ora …” mi chiesi addentando il mio panino. Sembrava quasi che Goku mi avesse letto nella mente, perché proprio in quell’istante esclamò: “Ehi ragazzi guardate, c’è Vegeta!” dissi indicando il ragazzo che camminava da solo, distante da noi. “ Vado a chiamarlo”, continuò poi il ragazzo dai capelli a palma.“Ehi Vegeta, perché non ti unisci a noi?” gli chiese poi, una volta giunto vicino a lui. Vegeta lo squadrò da capo a piedi, e poi esclamò con disprezzo: “Tsk, perché mai dovrei mangiare con un branco di idioti come voi?! è già tanto che vi sopporti nell’aula canto, perciò ora vattene e lasciami in pace, Kaarot!” Goku rimase un po’ sbalordito da quella risposta, e poi oltremodo confuso, chiese al ragazzo dagli occhi d’antracite: “Come mi hai chiamato, scusa? Temo di non aver capito bene …” disse grattandosi la nuca e sorridendo impacciato. Per tutta risposta … : “Ho detto Kaarot, razza di idiota! Non ti sei visto? Con quei capelli e quella tuta arancione, sembri proprio una carota!”  disse Vegeta, ghignando leggermente, prendendo in giro il povero Goku, sempre più confuso. In effetti, con quei capelli un po’ spettinati e quella tuta di quel colore, sembrava davvero una carota. Vegeta intanto, si era allontanato ridacchiando diabolicamente. Mentre Goku era ancora intento a riflettere sulle parole di Vegeta, tutti noi ci alzammo dal prato dove eravamo seduti e ci avvicinammo all’ ingenuo bassista. “Allora? Che ti ha detto?” chiedemmo tutti curiosi. Il povero Goku ancora a bocca spalancata, biascicò: “Kaarot. Mi ha chiamato carota …” poi, come se niente fosse, alla sua espressione confusa si sostituì un sorriso raggiante: “Mi piace! Io adoro le carote!” disse lasciando ora noi a bocca aperta. Poi, rendendoci conto della comica situazione creatasi, scoppiammo tutti a ridere a crepapelle.  Eh si, quel soprannome gli si addiceva proprio.

Nota Autrice:
Ed eccomi tornata con il decimo capitolo della long! Non è molto lungo ne di grande importanza, ma qui Bulma riesce a trovare un lavoro al Dragon Bar … e inoltre Vegeta chiama Goku con il suo famoso “Soprannome” per la prima volta … :) Ma tranquilli, nel prossimo capitolo le sorprese non mancheranno di certo! Ringrazio già da ora coloro che leggeranno e recensiranno anche questo capitolo. Al prossimo capitolo!
Un bacio
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Capitolo 11
*** Competizioni in vista e canzoni da scrivere ... ***


La lezione del Glee Club di quel giorno fu piuttosto intensa. Eravamo già tutti seduti nell’aula canto da qualche minuto quando la porta della classe si spalancò, mostrando la figura del professor Dawson. “Scusate per il ritardo. “ disse ansimando. Aveva il fiatone, probabilmente aveva corso per rimediare al ritardo. Si avvicinò al vecchio pianoforte a coda presente nell’aula, appoggiandovi sopra la sua borsa. “Allora ragazzi, direi di cominciare subito, visto che oggi abbiamo molte cose da fare.” Cominciò appoggiato allo strumento e con ancora il fiato corto. “La prima cosa che devo dirvi è molto importante, perciò statemi bene a sentire.” Annuimmo tutti, curiosi di sapere cosa quello strano professore aveva di così importante da dirci. “Ragazzi, non so se lo sapete, ma non esiste solo il nostro Glee Club. Solitamente ogni scuola ne ha uno, e bravi o meno, tutti quanti hanno il diritto di partecipare a delle competizioni. Forse non lo sapevate, ma le competizioni tra Glee Club di varie scuole, sono praticamente obbligatoria, come una sorta di tradizione.” Da quelle prima parole, cominciai subito a capire cosa il nostro insegnante voleva dirci. “Le gare tra i vari Glee Club quindi, si svolgeranno anche quest’anno. So che vi sembra presto, dato che questa è solo la nostra terza lezione. Ma ragazzi, fidatevi se vi dico che le gare cominceranno molto presto. Probabilmente non conoscete molto la modalità di queste competizioni, perciò ascoltatemi bene. Le prime gare che dovranno essere affrontate sono le Provinciali. Alle Provinciali, come credo avrete già capito, competono tutti i Glee Club delle scuole della provincia. Solo un Club tra gli altri vincerà le Provinciali, e passerà quindi alle Regionali, dove lo scontro avverrà con gli altri Glee Club di altre provincie nella nostra regione. Inutile dirvi, quindi, che una volta passate anche le Regionali, l’ultima sfida da affrontare sono le Nazionali. Praticamente, alle Nazionali si sfidano i migliori Glee Club della nazione, come avrete già capito. Ragazzi, voglio essere sincero con voi. Riuscire a raggiungere le Nazionali  è molto difficile. Non lo sto dicendo per scoraggiarvi, anzi io credo che possiate anche farcela. Ma per potercela fare, è necessario lavorare duramente sulle vostre capacità. Alle competizioni, non potrete suonare. Dovrete solo cantare. Secondo la definizione scolastica, Glee Club è testualmente “Canto coreografico.” Secondo una mia personale interpretazione invece, Glee significa aprire se stessi alla gioia. Quando voi cantate, suonate e ballate, vi esprimete attraverso la musica. Lo fate con gioia, perché la musica è ciò che amate. L’idea delle competizioni non entusiasmava nemmeno me, ma poi ho capito. Non dovete competere solo per avere la meglio sugli altri. Dovete farlo per voi, per mettervi alla prova con voi stessi, per raggiungere i vostri limiti e migliorarsi per superarli. Certo, vincere non sarebbe affatto male, mi rendo conto che la vittoria vi alletta. Ma se vogliamo vincere, dobbiamo farlo per noi, per dimostrare chi siete davvero. Non volete farvi valere, farvi sentire per una volta? E allora ragazzi, se volete far sentire la vostra voce, questo è il posto giusto.” Concluse. Eravamo rimasti tutti a bocca aperta da ciò che il professore aveva detto. Avremmo dovuto partecipare a delle competizioni? L’idea mi piaceva, ma mentirei se vi dicessi che non ero spaventata. Dopo momenti di silenzio fu finalmente C18 a parlare. “Ma se noi dovremmo solo cantare, chi suonerà a queste gare?” chiese pratica. In effetti, anche io stavo cominciando a chiedermi la stessa cosa. Il professor Dawson sorrise compiaciuto, rispondendo subito: “è qui che volevo portarvi. Solitamente, alle competizioni vi è una band che suona dal vivo per tutti i Glee Club. Ma se noi vogliamo allenarci per bene prima delle gare, dobbiamo pensare solamente al canto. È per questo motivo che da oggi avremo un gruppo di musicisti che suonerà al vostro posto, permettendovi di concentrarvi sul canto e sulle coreografie.” Mentre finiva di parlare, venne interrotto dal bussare leggero della porta. “Eccoli, devono essere loro” disse tra se e se, ma permettendoci comunque di capire. “Avanti!” proclamò il professore. La porta si aprì lentamente, mostrando quattro ragazzi sorridenti. Li squadrammo da capo a piedi, constatando che la loro età si aggirava intorno a quella del nostro insegnante. “Ragazzi, loro sono dei miei vecchi amici e compagni di conservatorio. Sono musicisti molto bravi, fidatevi, e non appena ho chiesto loro di venire a darci una mano, sono stati più che disponibili ad accettare!” disse, dando una pacca sulla spalla ad uno di loro. Il professore intanto continuava a parlare, presentandoci i musicisti, ma la sua voce mi giungeva come un eco lontano. Ero troppo impegnata ad ascoltare il brulicare delle mie idee. Dovevamo affrontare delle competizioni, dove avremmo cantato di fronte ad un pubblico, sfidandoci con altri Glee Club sicuramente migliori di noi. Non avremmo dovuto suonare. Solo cantare coralmente e singolarmente seguendo una coreografia. Avremmo dovuto cantare TUTTI.  E fu in quel momento che pensai alla persona seduta dietro di me. Anche Vegeta avrebbe dovuto cantare. Incredibile. Sarebbe davvero stato così facile farlo cantare? Bè, da una parte, sarebbe stato letteralmente costretto. Ma dall’altro, conoscendo il suo caratteraccio, si sarebbe sicuramente rifiutato di partecipare alle gare. E infatti … “Io non canto.” Proclamò ad un certo punto, interrompendo il Professor Dawson che continuava a parlare felice, e i miei pensieri. Lo sguardo di tutti fu quindi puntato su colui che sedeva in ultima fila e che aveva pronunciato quelle tre parole capaci di congelare tutti i presenti. Il professor Dawson, sinceramente confuso, gli si rivolse sorpreso:” Come non canti, Vegeta? Devi farlo per forza, non puoi suonare alle competizioni!” “Non mi interessa!” sbottò irato lui. “Io non canto. Suono e basta. Mettetevelo bene in testa, tutti quanti. IO NON CANTO.” Inutile dirvi che quel “tutti quanti” fosse riferito a me. Sbuffai contrariata, rivolgendomi al ragazzo dagli occhi color della notte, con il tono di voce più calmo che avessi: “Andiamo Vegeta, perché non vuoi cantare? Non c’è nulla di cui vergognarsi nell’avere una bella voce …” dissi rendendomi conto solo poi di ciò che avevo fatto. Quella sera, quando lo avevo sentito cantare, Vegeta era stato molto chiaro sul fatto che non avrei dovuto fare parola dell’accaduto, per nessun motivo al mondo. E ora, lì seduta su quella sedia nell’aula canto, avevo inconsciamente svelato l’incredibile dono di Vegeta. Inutile dirvi quale fu la sua reazione. “Ma cosa diavolo vai blaterando, razza di idiota! Perché non pensi alla tua di voce da gallina isterica!” urlò rosso in viso. Non poteva assolutamente parlarmi così. Ormai la bomba era stata lanciata, e io l’avrei fatta scoppiare in pochi secondi, se il Professor Dawson non fosse intervenuto subito a placare le nostre ire e ad impedire lo scoppio della terza guerra mondiale. “Ragazzi, basta, non voglio vedere scenate o litigate in quest’aula! Adesso ascoltatemi attentamente. Alle competizioni canterete cover di brani famosi,questo è chiaro. Ma per le provinciali, mi è venuta in mente un’idea. E se cantaste brani originali? Pensateci, con pezzi nostri riusciremo già ad impressionare la giuria ed inoltre trarrete molta più soddisfazione nel cantare pezzi scritti da voi. Perciò voglio questo. Voglio che scriviate almeno un paio di pezzi inediti, e se prima avevo qualche dubbio su chi affidare questo compito, ora ne ho la certezza più assoluta.” Fece una pausa, guardando prima me, poi Vegeta. “No, non può essere, non dirmi che …”  “Vegeta, Bulma. Voi due scriverete una  canzone originale per le provinciali. Insieme.”

Nota Autrice:
ed eccoci arrivati all’undicesimo capitolo della storia! A quanto pare Vegeta e Bulma dovranno scrivere una canzone insieme e chissà, magari Bulma riuscirà a convincere il bel tenebroso a cantare … ;) volevo precisare che il regolamento per le gare tra i Glee Club è ispirato a ciò che accade nella serie televisiva “Glee”, anche se qui ho cercato di semplificarlo … ringrazio già da ora coloro che leggeranno e recensiranno questo capitolo, speranzosa che vi sia piaciuto. Vi aspetto al prossimo! :)
saluti
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Capitolo 12
*** Primi litigi e un lungo pomeriggio in vista ... ***


“Vegeta, Bulma. Voi due scriverete una  canzone originale per le provinciali. Insieme.”
“Che cosa?!” esclamammo io e Vegeta all’unisono.  Eravamo rimasti a bocca aperta. Cioè, secondo il Professor Dawson, io e Vegeta avremmo dovuto scrivere una canzone originale per le provinciali? Insieme?! Era fuori discussione. Ora,prendetemi per lunatica, ditemi ciò che volete, ma non se ne parlava. È  vero che avrei voluto convincere Vegeta a cantare ad ogni costo. Ma scrivere una canzone, è tutta un’altra cosa. Io e Vegeta avremmo dovuto passare del tempo assieme, ci saremmo dovuti conoscere meglio e … “aspettate un attimo!” pensai. “Ma è perfetto! Magari passando un po’ di tempo con lui, riuscirò a conoscerlo e a convincerlo a cantare … e poi, niente mi ha mai spaventato, figuriamoci dover scrivere una canzone insieme ad uno scimmione scorbutico!” continuai questo piccolo monologo nella mia mente, convincendomi finalmente, che quell’idea non era affatto male. Di altro parere, sembrava invece essere Vegeta … “Se lo scordi.” Pronunciò infatti. “Io non scriverò mai una canzone con questa gallina isterica!” continuò arrabbiato. Mi aveva provocato. E io, rispondo sempre alle provocazioni. “Come ti permetti, razza di scimmione maleducato?! Neanche a me va molto a genio l’idea di dover scrivere una canzone insieme a te, cosa credi?!” mentii leggermente imbarazzata. “Ragazzi, non ricominciate per favore! Ho deciso io così, prendetelo come un compito per casa. Voi due scriverete questa canzone. Chiaro?!” disse con il tono di voce più severo che avesse mai usato. Alche anche Vegeta fu costretto ad accettare, emettendo un grugnito che doveva risuonare come un “Va bene” mentre io annuii semplicemente. Per il resto della lezione, nessuno dei due fiatò , permettendo quindi al Professor Dawson di continuare il suo discorso. Ovviamente, non ascoltai granché, immersa come ero nei miei pensieri. L’unica cosa che riuscii a capire fu che il giorno seguente la guida scolastica ci avrebbe accompagnato alla Dalton High School, una scuola superiore non molto distante dalla nostra, dove avremmo assistito all’esibizione del loro Glee Club. “Tanto per farvi un’idea dei vostri futuri avversari …” disse il professore. Oh, fantastico. Avremmo visto la loro bravura, permettendoci di immaginarci l’umiliazione che avremmo dovuto sopportare alle gare. Era risaputo infatti, che il Glee Club della Dalton vantasse diverse voci a dir poco eccelse. Tutti noi lo sapevamo, per questo a una tale notizia restammo esterrefatti e incapaci di proferire parola. Forse il Professor Dawson non si rendeva conto di ciò che avremmo dovuto affrontare. O forse, lo sapeva benissimo.
Al suono della campanella ci alzammo tutti quanti, diretti verso l’uscita. Salutammo educatamente il nostro insegnante e i musicisti che durante tutta la lezione non avevano aperto bocca, e ce ne andammo. Sembrava che stessimo seguendo un copione teatrale già scritto, nessuno parlava, camminavamo tutti in fila senza proferire parola. Troppe le notizie quel giorno. Finalmente, Goku decise di parlare, risvegliando l’attenzione di tutti: “Allora? Che si fa? Andiamo a mangiare?” sorridemmo tutti lievemente. L’appetito di Goku era davvero uno dei più grandi perché della storia. Chichi lo ammonì dolcemente, regalandogli un sorriso comprensivo e carico d’affetto: “possibile che pensi sempre a mangiare? Comunque a quanto ho capito, quel locale, il Dragon Bar, dovrebbe essere chiuso oggi …” disse sospirando. Goku la guardò sorridendo impacciato: “Allora che ne dite di andare a prendere un gelato?” purtroppo tutti quanti declinarono l’invito, e chi per un impegno chi per l’altro, davanti alla scuola restammo solo io, Goku, Chichi e Vegeta. Già, Vegeta. Era rimasto lì, dietro a tutti, in silenzio e con la solita espressione arrabbiata. Ma in fondo, era già tanto che non fosse scappato via da solo, come suo solito, perciò meglio non stuzzicarlo troppo. Goku si guardò intorno, e resosi conto dell’esiguo numero di studenti rimasti (vale a dire noi) ripropose: “Andiamo noi allora! Ho proprio voglia di gelato!” disse sorridendo. Guardai per un attimo Vegeta, impegnato a prendere a calci un povero sasso trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Poi riguardai Goku e Chichi e dissi loro: “Andate voi, tranquilli. Io e Vegeta abbiamo una canzone da scrivere …” dissi sospirando, con un tono fintamente teatrale. Chichi mi sorrise comprensiva: “Va bene, allora buona fortuna!” dicendo ciò mi fece l’occhiolino. Arrossii imbarazzata. Che avesse capito il mio inspiegabile interesse per Vegeta? Non mi fu dato il tempo di rispondere, poiché i due ragazzi dai capelli corvini si stavano già allontanando per la loro strada. Ridevano e scherzavano insieme, avvolti dalla dolce atmosfera dell’imbarazzo tra adolescenti alle prime cotte. Eh, già, anche se ancora non lo sapevano, quei due erano destinati a stare insieme. E si sa, quando il destino fa i suoi progetti, non c’è verso di poterli riscrivere. E questo la maggior parte delle volte è un bene. Fidatevi, ve lo dico per esperienza.
“Allora?! Si può sapere che stai aspettando!?” una voce mi riscosse bruscamente da quei dolci pensieri diretti verso i due innamorati. Vegeta nel frattempo mi era passato davanti e aveva preso a camminare, diretto chissà dove. Con quella brusca affermazione mi stava forse invitando a seguirlo? Possibile? “C-Che intendi dire, scusa?” gli chiesi infatti leggermente confusa. Vegeta alzò gli occhi al cielo e con tono esasperato, mi rispose: “Ma sei ritardata o cosa? Dobbiamo scrivere questa stupida canzone, o no?!” annuii leggermente, capendo dove volesse arrivare. “E allora andiamo! Prima finiamo, prima te ne andrai di torno, e fidati, non aspetto altro!” concluse sprezzante. Con occhi infuocati, ribattei più che mai adirata:”Tranquillo, anche io non vedo l’ora di finire questa collaborazione per non doverti più sopportare!” stavo cominciando a diventare davvero brava a mentire, non c’è che dire. Cominciai a seguirlo in silenzio, non sapendo cosa dire. Dove saremmo andati a scrivere questa benedetta canzone?  Ne sarebbe uscito fuori qualcosa di decente? Ma soprattutto, saremmo riusciti a buttare giù musica e testo, senza ammazzarci? Domande esistenziali, che mi accompagnarono fino a quando non mi decisi finalmente a parlare. “Senti.” Cominciai. “So che sei scocciato e arrabbiato …” “Incazzato.” Mi corresse lui. Sospirai. “Va bene, incazzato e probabilmente scrivere una canzone con me non era nel tuo programma pomeridiano. Ma dobbiamo farlo. Perciò, per prima cosa, direi di mettere da parte le ostilità e provare ad essere amici …” azzardai. “Scordatelo.” Disse infatti lui. Niente. Era più cocciuto di un asino, accidenti! “Va bene!” sbuffai io. “Vorrà dire che non saremo amici. Almeno collaboratori? Se non vuoi parlare di te, possiamo almeno parlare di questa santissima canzone, visto che dovremo scriverla insieme?!” chiesi sconsolata. Un grugnito accolse la mia proposta, perciò leggermente più motivata, decisi di continuare il mio discorso. “Dunque, da quello che ho capito, alle gare ogni Glee Club deve presentare un assolo o un duetto e almeno altre due esibizioni corali. Perciò, pensavo che la canzone potrebbe essere un duetto. Magari io canto la prima parte e tu la seconda, o viceversa … “ “Ferma, ferma, ferma, ragazzina. Io non so cosa nascondi sotto quella massa arruffata azzurra, se hai un cervello o altro. Sicuramente non hai una spugna, perché non sei ancora riuscita ad assorbire, nonostante lo abbia ripetuto almeno quindici volte, un concetto molto semplice ed elementare. Io non canto. Devo forse farti lo spelling? I-O N-O-N C-A-N-T-O. é più chiaro così?” concluse. Lo guardai  a bocca aperta. Possibile, che anche quel suo sottilissimo umorismo e sarcasmo, risultassero così efficaci sull’ emisfero sinistro del mio cervello? Mi aveva davvero presa per una ritardata?! Avrei tanto voluto replicare, ma si sa, il miglior metodo per permettere una buona conversazione, è non urlare. Cosa alquanto impossibile con Vegeta. Sospirai. “Sarà un pomeriggio molto lungo …” dissi solamente.

Nota Autrice:
eccoci qua, con il dodicesimo capitolo della storia! Questa è solo la prima parte di un lungo e intenso pomeriggio che avrà come protagonisti i nostri Vegeta e Bulma … ;) ringrazio come sempre coloro che leggono le mie storie (che ho notato essere in molti, grazie *-*) e chi si ferma anche a recensire questi capitoli! Vi aspetto al prossimo capitolo!
Un bacio
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Capitolo 13
*** Nuove conoscenze e una vita difficile ... ***


Continuammo a camminare lungo la strada per un altro paio di minuti. Ovviamente, in silenzio. Vegeta stava avanti, le mani in tasca, lo sguardo imbronciato. Camminava molto velocemente, quasi faticavo a stargli dietro. Mi aveva distanziato già di qualche metro, quando riuscii finalmente a chiedergli: “Insomma Vegeta, mi vuoi almeno aspettare?! E poi, posso sapere dove stiamo andando?!” e non appena finii di parlare, si fermò. Si girò a guardarmi per un attimo, constatando le mie penose condizione. Avevo le mani appoggiate sulle ginocchia, i capelli leggermente arruffati e la fronte imperlata di sudore. Il fiatone sembrava testimoniare una mia presunta partecipazione ad una gara di atletica, mentre in realtà avevo solamente cercato di tenere il passo di Vegeta Prince. Oh, ecco. L’unica altra informazione su di lui in mio possesso, era il suo cognome. Ghignò sprezzante, vedendomi in quello stato. “Vedo che sei piuttosto in forma, ragazzina. E comunque, puoi chiudere la bocca, siamo arrivati.” Disse indicando un’abitazione di fronte a lui. “Senti, non chiamarmi ragazzina, chiaro?! Abbiamo la stessa età!” dissi offesa. Ma poi, mi girai per dare un’occhiata alla casa. Era una piccola villetta a due piani, le pareti dipinte di bianco e un piccolo giardino intorno. Era tutto molto curato, così preciso da sembrare una di quelle case fotografate per le riviste di arredamento. Ancora immersa in quelle mie elucubrazione, non mi ero resa conto che Vegeta intanto si era avviato verso la casa. “Allora? Ti vuoi dare una mossa?! Hai per caso intenzione di scattargli una foto?!” disse, additando l’abitazione. Scossa dalla sua voce roca e profonda, mi decisi finalmente ad avvicinarmi anche io all’ingresso. Vegeta intanto, stava frugando all’interno delle tasche dei suoi pantaloni,alla ricerca di qualcosa. Infatti dopo qualche secondo, dalla tasca laterale dei suoi jeans scuri uscirono un paio di chiavi argentate, legate tra di loro con un semplice anellino. Non un solo portachiavi appeso ad esso. “è casa tua?” gli chiesi, rendendomi conto solo dopo dell’ovvietà della mia domanda. Vegeta infatti sbuffò esasperato, rispondendomi: “Più parli, e più mi convinco di dover collaborare con una specie di cerebrolesa. Certo, che è casa mia, che razza di domande fai?! Spero solamente che non scrivi canzoni come ragioni, altrimenti qui la vedo molto dura …” disse mentre girava le chiavi all’interno della serratura. Con un terzo scatto, la porta si aprì dandomi libero accesso a casa Prince. Vegeta era entrato per primo, lasciandomi ancora sullo zerbino, offesa per ciò che quel maleducato mi aveva appena detto. Perché doveva pensare che fossi una specie di oca senza cervello? Quanto avrei voluto avere in quel momento con me la pagella scolastica, solo per sventolargli sotto il naso tutti i nove e dieci di cui era ricoperta! Sbuffai sconsolata, entrando quindi all’interno della casa. La prima cosa che notai, fu l’oscurità in cui questa era avvolta. Le luci erano spente e le finestre completamente sbarrate. Stavo per inciampare in un tappeto lì vicino quando Vegeta si decise ad accendere la luce, mostrando quello che era il salotto. La sala era piuttosto grande, le pareti tinteggiate di azzurro e un grande tappeto a ricoprire il pavimento. L’arredamento era abbastanza spoglio: vi erano solo un divano,una poltrona, il televisore e un mobile vicino l’ingresso. Vicino alla televisione, alcune mensole ospitavano diversi DVD riposti accuratamente uno affianco all’altro. Continuai a guardarmi intorno. Possibile che in casa non ci fosse nessuno? Nell’esatto momento in cui pensai ciò, una voce pronunciò: “Vegeta, sei tu?” era una voce femminile, proveniente dal secondo piano dell’abitazione. Guardai Vegeta, che nel frattempo si era tolto la giacca e la stava appendendo all’appendiabiti all’ingresso. Non rispose alla domanda. In quel momento udii dei passi pesanti scendere le scale e poco dopo infatti, mi ritrovai faccia a faccia con un’anziana signora. I capelli bianchi ma molto curati, gli occhi scuri, come quelli di Vegeta, e il portamento fiero e superbo, le conferivano l’aspetto di una sessantenne. Il viso solcato da leggere rughe continuava a guardare il mio invece ancora fresco e nel pieno della propria bellezza. Mi sorrise, mostrando una fila di denti bianchi e piuttosto curati. Poi si rivolse a lui: “Vegeta, caro, come mai non mi hai risposto? E questa bella ragazza chi è?” disse sorridendo e in attesa di una risposta. Vegeta sbuffò. “Non serve che ti risponda nonna, visto che solo io ho le chiavi di casa. E comunque, quella è una mia compagna di scuola. Dobbiamo fare un lavoro insieme.” Disse annoiato. Nonna. L’aveva chiamata così. Quindi quella era la nonna di Vegeta? E quell’affermazione, “solo io ho le chiavi di casa” cosa voleva dire? Significava forse che non vi era nessun altro in quella casa, a parte loro due? Stavo ancora pensando quando mi ritrovai faccia a faccia con una mano. L’anziana signora mi stava porgendo la sua per presentarsi, ancora sorridendo. “Molto piacere, sono Hazel, la nonna di Vegeta.” Disse la donna. Subito le strinsi la mano, presentandomi anche io: “Il piacere è tutto mio! Mi chiamo Bulma Brief e frequento il …” stavo per dire Glee Club, ma l’occhiataccia che Vegeta mi lanciò, mi convinse a cambiare idea. “… la stessa classe di Vegeta.” Conclusi. Vegeta sembrò leggermente sollevato. Evidentemente non aveva detto nulla alla nonna riguardo il Glee Club. Il ragazzo intanto si era diretto verso una stanza attigua al salone, probabilmente la cucina. Dopo qualche minuto ne riemerse con una piccola scatola di plastica in mano. “Non hai preso le tue medicine, o sbaglio nonna?” disse con un leggero tono di rimprovero. La donna fece una smorfia leggermente infastidita, rispondendo poi: “No, sono finite.” Additò quindi la scatola che Vegeta teneva fra le mani, evidentemente le medicine di sua nonna. Vegeta sbuffò alzando gli occhi al cielo. Poi esasperato, disse: “Immaginavo. Vado a comprarle, torno tra poco. Tu resta con lei intanto.” Rivolgendosi a me. Annuii leggermente, osservandolo poi prendere la sua giacca e uscire diretto alla farmacia più vicina. Sembrava incredibile quanto fosse premuroso con sua nonna. Non sembrava quasi Vegeta. Non appena la porta si richiuse alle sue spalle, la signora Hazel mi si rivolse, dicendomi: “Allora, Bulma giusto? Posso offrirti qualcosa da bere?” sicuramente,Vegeta non aveva preso da lei la gentilezza e la pacatezza con cui la donna parlava. Sorrisi leggermente, rifiutando comunque gentilmente l’offerta. L’anziana si accomodò poi sul divano, invitandomi a fare lo stesso. Una volta seduta al suo fianco, Hazel cominciò a parlare: “Così, tu sei un’amica di Vegeta, giusto? Sai, non avevo mai visto amici di Vegeta, sei la prima persona che porta a casa.” Sorrisi leggermente sorpresa. Vegeta non aveva amici? In effetti con quel caratteraccio non era poi così difficile da immaginare. “Bè, diciamo che vorrei essere amica di suo nipote. Ci conosciamo solo da qualche giorno, ma Vegeta mi sembra un ragazzo … ehm … interessante.” Dissi poi. L’anziana signora sorrise maliziosamente, dicendomi poi: “Non sarai per caso la sua fidanzata?” arrossii vistosamente, e più rossa di un pomodoro mi affrettai a negare: “No no, si figuri, io e Vegeta siamo solo compagni di classe!” dissi cercando inutilmente di nascondere l’imbarazzo. La donna scoppiò a ridere, resasi conto dei miei vani tentativi. “Va bene, non state insieme. Però mi sembra che Vegeta ti interessi un po’, o sbaglio?” continuò lei maliziosa. Più rossa di prima, cercai di dire: “Ma no, no, glielo ho detto non siamo nemmeno amici!”  la signora Hazel, continuò a sorridermi comprensiva, con un’espressione tipica di chi vuole far intendere di saperla lunga riguardo cotte e infatuazioni. Solo più tardi mi resi conto  che tra me e Vegeta c’era qualcosa di molto più profondo. La vecchietta aveva visto giusto. Dopo qualche attimo di silenzio, la donna sospirò malinconica, dicendomi poi: “Comunque spero che tu e Vegeta diveniate amici almeno. Sai, Vegeta è un ragazzo così solitario … ha davvero bisogno di qualcuno al suo fianco … “ continuò. Non sapeva che così dicendo, mi aveva incuriosito incredibilmente. “Quindi Vegeta è sempre stato così ehm … taciturno?” chiesi, cercando un altro termine per non dover dire stronzo. L’anziana annuii tristemente, dicendo: “Si, Vegeta è sempre stato così, fin da piccolo. Non ha avuto un’infanzia proprio facile … ma forse a te non interessa …” disse. Al contrario, eccome se mi interessava. “No, la prego, continui. Mi piacerebbe sapere qualcosa in più su Vegeta, e se non risulto troppo invasiva, vorrei chiederle di raccontarmi qualcosa di lui.” Chiesi, quasi supplicando. La donna mi sorrise comprensiva, cominciando poi il suo racconto. “Vedi, Vegeta è il figlio di mia figlia, Rosicheena. Mia figlia è sempre stata una ragazza non proprio facile. Era una ribelle, le piaceva distinguersi dalla massa. Le piaceva molto Cyndi Lauper, che a quei tempi era un po’ l’idolo di tutti i ragazzi. Aveva adottato anche il suo stile eccentrico e stravagante, e mentirei se ti dicessi che non le stava bene. Rosicheena era già una bella ragazza di per sé, ma quell’abbigliamento le conferiva un tocco in più, un fascino quasi irresistibile. E questo, attirava molti ragazzi, chiaro. Non ha mai avuto un fidanzato vero e proprio, ma è stata con diversi ragazzi questo si. Le piaceva molto la musica, suonava la chitarra. Mio marito gliene aveva regalata una per Natale e da quel giorno, si era innamorata di quello strumento. Ha sempre vissuto spensierata, andando spesso contro corrente, contro gli altri tutti uguali tra di loro. Organizzava proteste, scioperi scolastici, occupazioni. Inutile cercare di fermarla, era davvero agguerrita. E poi successe. Rimase incinta di Vegeta. All’epoca aveva appena venticinque anni, e dirti che questo fatto le sconvolse la vita sarebbe riduttivo. Appena scoprì di aspettare un bambino, decise subito di abortire. Fortunatamente, io e mio marito riuscimmo a convincerla a tenere il piccolo, ma la gravidanza fu piuttosto turbolenta. Nonostante fosse incinta, continuò a vivere la sua vita sregolata e piena di eccessi come prima, e a niente valse cercare di convincerla a darsi una regolata, almeno per il bene del bambino. Diceva che non le importava niente di lui, e che una volta partorito sarebbe scappata via. E così fece. Non appena Vegeta nacque, Rosicheena fece i bagagli e se ne andò. Cercai inutilmente di convincerla a restare, ma era una ragazza davvero testarda, proprio come Vegeta. Sai, mio nipote le somiglia così tanto … ogni volta che lo guardo negli occhi, mi sembra di rivedere quelli di mia figlia … dal giorno della sua partenza non seppi più nulla di Rosicheena. Non avevo idea di fosse andata, dove vivesse, cosa facesse. Io e mio marito crescemmo da soli Vegeta, cercando di dargli tutto l’affetto di un padre e una madre che quel piccolino non aveva. Solo qualche anno fa, venni a conoscenza della morte di mia figlia, a causa di un incidente stradale. Si era trasferita in Francia. Ti starai chiedendo che fine abbia fatto il padre di Vegeta. Credici o no, nemmeno Rosicheena sapeva chi fosse. Era stata con così tanti ragazzi, che non fu in grado di dirci chi fosse il padre. Perciò non conosciamo nemmeno noi il padre di Vegeta, così come quest’uomo non è a conoscenza di avere un figlio. Sai, nonostante io e mio marito lo abbiamo cresciuto come un figlio, Vegeta ha sempre sentito la mancanza dei suoi genitori, ed è sempre stato molto chiusi in se stesso. Due anni fa, poi, mio marito è venuto a mancare a causa di un infarto. Da quel giorno Vegeta si è chiuso ancora di più in se stesso, ed è diventato così come lo conosci. Hai visto prima, quando ha controllato se avessi preso le mie medicine? Lo fa sempre. Sono malata di cuore, e spesso mi capita di dimenticare di prendere le medicine, così ci pensa lui a controllarmi. Ma in realtà, non ho molta voglia di prendere quelle pillole. Potrebbero allungarmi la vita, forse, come potrebbero non farcela. Vegeta sta cercando in tutti i modi le cure più adatte alla mia malattia, ma so che non può fare più molto. Sai, io sono l’unica persona che gli è rimasta …” disse singhiozzando. “Ma ora ci sei tu. Voglio chiederti un favore: so che non mi rimane ancora moltissimo da vivere, perciò non voglio che Vegeta rimanga solo dopo la mia morte. Ti chiedo di stargli vicino, diventa sua amica, aiutalo ad uscire da quella corazza. Mi sembri una ragazza così in gamba … e poi almeno quando me ne andrò, saprò di averlo lasciato in buone mani …” concluse, facendomi l’occhiolino tra le lacrime. Durante tutto il racconto della signora Hazel, non avevo fiatato. Ero rimasta a bocca aperta, comprendendo via via il difficile passato di Vegeta. E quando la nonna finì di parlare, mi scoprii a piangere anche io, commossa da ciò che avevo appena scoperto. E poi mi riscossi. La signora Hazel mi stava chiedendo di aiutare Vegeta, di riuscire a scalfire quella corazza, di stargli vicino. Ed è ciò che avrei fatto. “Me lo prometti?” mi chiese lei. Annuii fieramente. “Glielo prometto.” Dissi.


Nota Autrice:
Buonasera a tutti!! Eccoci di nuovo qui con il tredicesimo (di già?! Ndme) capitolo della storia! Mi sembra ieri che ho postato la mia prima storia, e invece è già passato oltre un mese dalla mia iscrizione su questo fantastico sito! Tornando al capitolo, come avete visto, Bulma fa la conoscenza della nonna di Vegeta e scopre il passato piuttosto difficile del bel tenebroso … spero che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio già da ora chi leggerà e magari recensirà questa storia! Un saluto e al prossimo capitolo!
Un bacio
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Capitolo 14
*** Idoli in comune e vivendo su una preghiera ... ***


In quel momento, la porta si spalancò, mostrando un Vegeta piuttosto scocciato (ma questo è ovvio) e con in mano una bustina bianca, proveniente dalla farmacia. Io e sua nonna ci asciugammo immediatamente le lacrime, cercando di sembrare il più naturali possibile. Nonostante ciò, non riuscii a non guardare Vegeta con uno sguardo dolce e intenerito, dovuto a ciò che la signora Hazel mi aveva appena raccontato. “Tieni.” Disse lui alla nonna, porgendole il sacchetto con le medicine. “Prendile.” Disse con tono duro, sembrava quasi un ordine. La nonna sbuffò, ma nonostante questo prese comunque il sacchetto che Vegeta le porgeva, dirigendosi in cucina. Vegeta la seguì con lo sguardo, accertandosi che prendesse le sue medicine. Non appena la signora rientrò in salotto, Vegeta le disse: “Io e lei dobbiamo fare un lavoro per la scuola.” Disse additandomi. “Andiamo in camera mia.” Concluse poi, dirigendosi verso le scale, invitandomi con lo sguardo a seguirlo. Mi alzai dal divano, senza dire una parola, seguendo Vegeta. Prima di salire le scale, guardai un secondo la nonna, che scontrandosi con i miei occhi azzurri, mi fece un occhiolino. Risposi con un cenno d’intesa della testa, accingendomi poi a salire anche io le scale. Vegeta intanto era già arrivato in cima, e sostava di fronte ad una porta chiusa, in attesa che lo raggiungessi. Salivo le scale con una lentezza esasperante, tanto è vero che Vegeta sbuffò scocciato, dicendomi: “Riuscirai ad arrivare in cima prima che faccia buio?! Avanti,datti una mossa!” finalmente, arrivai in cima alle scale, trovandomi faccia a faccia con quel ragazzo così scontroso. Mi guardai per un secondo intorno: Eravamo arrivati su un pianerottolo non molto grande. Vi erano quattro porte. Probabilmente erano la camera di Vegeta, quella di sua nonna e il bagno. Ma la quarta porta, chissà cosa nascondeva. Guardai Vegeta, che intanto aveva aperto la porta di fronte a lui. “Ti avverto.” Disse. “Rompi qualcosa qui dentro, e io ti romperò la testa là fuori.” Mi minacciò prima di entrare in camera, permettendomi quindi di osservare la sua stanza. Era una camera molto semplice, come me l’ero immaginata. Al centro vi era un letto da una piazza e mezza, ricoperto con un copriletto blu scuro. Vicino al letto vi era una finestra con un piccolo davanzale, mentre lì affianco, c’era una piccola scrivania blu, colma di libri riordinati uno sopra l’altro. In un angolo della stanza, troneggiava una bellissima batteria, mentre vicino al suo letto, vi era appoggiata una chitarra acustica blu notte. Le pareti erano bianche e senza la minima traccia di sporco o altro, e l’ordine regnava sovrano all’interno di quei pochi metri quadri. Ci fu una cosa però, che attirò maggiormente la mia attenzione. Sopra al letto, alla scrivania, vicino alla batteria, sulle pareti vi erano diverse mensole, colme di CD. Inutile dirvi che la vista di tutti quei dischi mi spinse immediatamente a dare loro un’occhiata. Divorata dalla curiosità, mi avvicinai a una delle mensole, cominciando a passare in rassegna con gli occhi, ogni CD, uno ad uno. Rimasi esterrefatta nel constatare che quello scorbutico possedesse tutti i CD dei miei stessi idoli. Sembrava di aver fatto un salto nella playlist del mio Ipod, i brani, gli artisti, gli album, combaciavano alla perfezione. Dischi dei Queen, dei Beatles, Dire Straits, Phil Collins, Michael Jackson, Cyndi Lauper, Prince, vi erano tutti questi e molti altri a circondare il piccolo mondo di Vegeta Prince. Sfiorai delicatamente quei cimeli posizionati ordinatamente in fila, sorda ai richiami di Vegeta, che mi ammoniva di non toccare niente. Poi, finalmente, riuscii a dire qualcosa, rimanendo comunque immersa nell’incanto di quella meraviglia. “è-è incredibile …” balbettai. “Hai i CD di tutti i miei idoli, abbiamo  gli stessi gusti.” Dissi poi, sempre più sconcertata. Continuò a guardarmi torvo, ma anche se non riuscii a vederlo, un sorrisetto soddisfatto si dipinse sul suo volto. “Tsk, almeno in campo musicale non sei poi così ritardata.” Disse poi. “Comunque non toccare niente, e togli le tue manacce dai miei CD!” sbottò infastidito. Avevo appena estratto dalla fila di dischi un CD di Prince, e con ancora quel capolavoro in mano, esclamai infuriata: “Manacce a chi?! Come ti permetti di criticare le mie meravigliose e delicatissime mani!” in effetti, modestia a parte, ma non credo vi fosse molto da criticare riguardo il mio aspetto fisico. “Tsk!” ribattè lui, guardando altrove. Guardai per un attimo il CD che avevo in mano, poi, come presa da una folgorazione divina, esclamai: “Ma lo sai che mi ricordi un po’ Prince? Sbaglio, o quello è anche il tuo cognome?” lui mi guardò allibito, sconcertato dalle mie parole. “Ma che dici?!” chiese infatti. Alzai le spalle noncurante. “Bo, non so, ma me lo ricordi un po’. Sarà che avete entrambi questo carattere un po’ particolare e chiuso, misterioso …” dissi, rimettendo a posto il CD. Certo, potevano assomigliarsi solo per questo, perché ora che ci penso, la personalità eccentrica di Prince, non si addiceva molto a Vegeta. Però, ad ogni modo gli avevo anche fatto un complimento. Essere paragonato a Prince, non mi sembra affatto una cosa da poco, anzi … poi come mossa da un’ altra illuminazione, mi girai verso Vegeta e gli chiesi tranquillamente: “E io invece? Secondo te a quale grande artista musicale assomiglio?” ora, ragionandoci, la domanda era un po’ stupida, ma la curiosità di sapere cosa Vegeta pensasse di me, superava anche ogni forma di imbarazzo. Lui mi guardò stranito, rispondendomi poi: “Ma che razza di domande fai?! Tsk, ma tu guarda un po’ questa …” abbassai lo sguardo delusa. D’altronde, c’era da aspettarselo da Vegeta. Ma il mio umore tornò alle stelle quando vidi appoggiata in un angolo vicino alla porta, uno dei miei sogni più grandi. Una chitarra elettrica, una Fender Stratocaster rossa, proprio come quella di Mark Knopfler. Non potevo crederci. “M-ma quella, quella è …” boccheggiai. “Si, è una Strato rossa, come quella di Mark Knopfler, che a quanto ho capito ti piace molto. Puoi solo guardarla, ma non provare a toccarla, assolutamente!” mi ammonì Vegeta. Io ero ancora incredula. Voglio dire, non perché fosse una rarità trovare quella chitarra, ma era davvero molto costosa. Non avrei mai pensato che Vegeta ne possedesse una. “L-l’hai dipinta tu di rosso?” chiesi ancora sbalordita. Lui annuii. “Si. Non sei l’unica fan dei Dire Straits qui, come vedi.” Disse, alludendo proprio al fatto che lo stesso Mark aveva dipinto da solo la sua chitarra di rosso. Ancora incantata a fissare quella meraviglia, mi riscossi solo quando Vegeta disse: “Comunque, dobbiamo scrivere questa dannata canzone o no?! Diamoci una mossa!” lo guardai. Accidenti, dovevo riuscire a farlo cantare! Non era solo una sfida personale, ma ora avevo anche promesso alla nonna di Vegeta che avrei aiutato quel ragazzo così chiuso ad uscire dalla sua corazza. E io mantengo sempre le promesse. Su una delle mensole, vi era appoggiato uno stereo. Mi avvicinai, constatando che fosse accesso e che al suo interno vi fosse inserito un CD. Spinta dalla curiosità, premetti il tasto Play, pronta ad indovinare quale canzone fosse partita. Non appena la musica cominciò, riconobbi subito dalle prime note la canzone. Era “Living on a prayer” dei Bon Jovi. Vegeta intanto si era girato verso la scrivania, frugando tra i libri alla ricerca di qualche spartito o altro, e appena si accorse della musica proveniente dallo stereo, cominciò a sbraitarmi contro. Ma io, non lo ascoltavo più ormai. Già alle prime note della canzone, un’idea mi era balenata in testa. Se volevo far cantare Vegeta, avrei dovuto rischiare. Così, non appena la prima strofa cominciò, iniziai a cantare anche io.

Once upon a time 
Not so long ago 
Tommy used to work on the docks 
Union's been on strike 
He's down on his luck...it's tough, so tough 



Cantavo sopra la voce di Jon Bon Jovi, con un tono basso ma comunque percepibile. Cantando mi girai verso Vegeta, che nel frattempo aveva cominciato a guardarmi incuriosito. Mi guardava e basta. Teneva il tempo, battendo un piede per terra, ma non faceva altro. Non parlava, non faceva niente.

Gina works the diner all day 
Working for her man, she brings home her pay 
For love - for love 


Ero ancora alla prima strofa, ma cominciai già a convincermi che il mio piano non avrebbe funzionato. Ero praticamente scoraggiata, Vegeta non reagiva, mi guardava semplicemente. Ma non mi sarei affatto arresa, perciò continuai, speranzosa di riuscire a smuovere qualcosa all’interno di quello scorbutico. Così, improvvisamente, quando ero già alla fine della prima strofa, un sorrisetto si delineò sul suo volto. Poi, incredibilmente, cantò anche lui.

She says: We've got to hold on to what we've got 
'Cause it doesn't make a difference 
If we make it or not 
We've got each other and that's a lot 
For love - we'll give it a shot 


Cominciò a cantare con me, e ora eravamo in due a sovrastare la voce del cantante. Sembrava incredibile, non potevo credere che Vegeta si fosse lasciato andare e avesse cominciato a cantare con me. Eppure era successo. Lui se ne stava seduto sulla sedia vicino alla scrivania. Io stavo in piedi di fronte a lui, continuando a cantare e a sorridergli soddisfatta. Non potevo crederci. Ci stavo riuscendo. Vegeta stava cantando.

We're half way there 
Livin' on a prayer 
Take my hand and we'll make it - I swear 
Livin' on a prayer 


Arrivammo al ritornello, continuando sempre a duettare. Io mi ero leggermente abbassata, in modo da poterlo guardare negli occhi. Cantavamo a squarciagola le parole di quella canzone, presi dall’euforia del testo e dall’atmosfera in puro stile rock creatasi all’interno della stanza.

Tommy got his six string in hock 
Now he's holding in what he used 
To make it talk - so tough, it's tough 
Gina dreams of running away 
When she cries in the night 
Tommy whispers: Baby it's okay, someday 


Poi lasciai a lui la seconda strofa. Continuando a cantare, si era girato di spalle, tornando a frugare tra i fogli sulla sua scrivania. Mio Dio, quella voce, mi stava letteralmente stregando. Anche se stava cantando sopra a quella di Jon Bon Jovi, riuscivo comunque a sentire la sua voce, e fidatevi se vi dico che mi aveva incantato. Sembrava indifferente, ma stava comunque continuando a cantare. Ed era questo l’importante.

We've got to hold on to what we've got 
'Cause it doesn't make a difference 
If we make it or not 
We've got each other and that's a lot 
For love - we'll give it a shot 

We're half way there 
Livin' on a prayer 
Take my hand and we'll make it - I swear 
Livin' on a prayer 


Al momento del ritornello, ricominciai a cantare anche io. Sembrava incredibile, riuscivamo a percepire perfettamente l’uno la voce dell’altro, e non so come spiegarvelo, ma le nostri voci si incastravano alla perfezione, non una stonatura, nessuno sbaglio. Stavamo diventando un’unica voce. Poi ci fu l’assolo di chitarra, durante il quale Vegeta si alzò, andando  a sedersi ai piedi del letto. Mi sedetti anche io vicino a lui, che con gli occhi chiusi si godeva quel momento di rock allo stato puro.

We've got to hold on ready or not 
You live for the fight when it's all that you've got 

We're half way there 
Livin' on a prayer 
Take my hand and we'll make it - I swear 
Livin' on a prayer 


E poi quando ricominciò il ritornello, in un movimento involontario, girammo di scatto la testa, uno verso l’altro, trovandoci a pochi centimetri di distanza. Continuammo a cantare, raggiungendo le note sempre più alte e continuando a guardarci negli occhi. Involontariamente, la mia mano sfiorò quella di Vegeta, e a quel contatto un brivido inaspettato percorse i nostri corpi. Stava succedendo qualcosa. E poi, la canzone finì, e con essa anche le nostre voci, che sfumarono intonando un ultimo “Living on a prayer.” Restammo fermi, a guardarci, senza fiato, cercando di respirare normalmente. Quella canzone era un vero e proprio suicidio per le corde vocali. Continuando a guardarlo, sorrisi poi soddisfatta. “Allora? Hai visto che non è poi così male cantare con qualcuno?” lui non rispose. “Canterai con noi al Glee Club?” gli chiesi ancora speranzosa. Una smorfia accompagnata da un sonoro “Tsk!” mi risposero, insieme alla testa di Vegeta che si voltava dall’altro lato. Sorrisi lievemente. In fondo, non aveva detto no.

Nota Autrice:
Salve a tutti! Eccoci qua, con il quattordicesimo capitolo della long! Mi scuso se in questi giorno non ho aggiornato, ma sono stata molto impegnata con la scuola di danza, e non ho avuto tempo di scrivere il capitolo …  :) comunque, parlando di capitoli, in questo ho citato molti artisti musicali, la cui passione accomuna Bulma e Vegeta. Tra l’altro,gli artisti citati, sono i miei idoli, e la Fender Stratocaster rossa di Mark Knopfler è davvero il sogno di ogni fan dei Dire Straits … *-*  tornando a noi, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio già da ora coloro che leggeranno e magari recensiranno il capitolo! Al prossimo capitolo!
Un bacio
TWOTS
P.S: ah, volevo dirvi, se non si fosse capito, che la canzone cantata da Bulma e Vegeta è “Living on a Prayer” dei Bon Jovi. Vi lascio il link, giusto per immaginarvela cantata da quei due … :)
https://www.youtube.com/watch?v=bL8Vuh6zS5w
Alla prossima!
TWOTS

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Capitolo 15
*** Lavoro di "squadra" e risposte inaspettate ... ***


Ad un tratto Vegeta si alzò in piedi, dirigendosi nuovamente verso la sua scrivania. Continuai a guardarlo, curiosa di sapere cosa stesse facendo. Dopo aver smistato velocemente tra alcune carte, riemerse con un blocco appunti immacolato e un quaderno pentagrammato, ancora bianco. Mi porse il blocco senza dire una parola, poi, prese la sua chitarra acustica e si sedette sul letto. Io ero rimasta ancora seduta ai piedi del letto, e con un’ espressione incuriosita guardai Vegeta, chiedendogli: “E con questo cosa dovrei farci?” lui alzò per un secondo gli occhi dalla sua chitarra, rispondendomi con ovvietà: “Secondo te? Ci scrivi il testo della canzone!” “Ah …” risposi. “E tu che fai?” gli chiesi poi, ancora piuttosto confusa. Ancora esasperato, rispose: “Io scrivo la musica.” sgranai gli occhi: “Ma-ma come? Pensavo scrivessimo insieme sia il testo che la musica ...” “E invece ti sbagliavi! Tu scrivi il testo e io scrivo la musica. Punto.” Sbuffai scocciata. C’era da aspettarselo. Presi in mano il blocco e la matita e sospirando mi decisi a scrivere quel benedetto testo. Iniziai a scarabocchiare sul foglio immacolato, senza scrivere nulla di sensato. Non avevo idee. Non sapevo cosa fare, cosa avrei potuto scrivere? Per la prima volta, non avevo l’ispirazione. Finalmente mi decisi a chiedere aiuto, girandomi e rivolgendomi al mio “socio”: “Senti, non so cosa scrivere! Non ho idee, dammi qualche suggerimento!” Vegeta, che nel frattempo stava accordando la sua chitarra, alzò per un attimo gli occhi dal suo strumento, con un’espressione mista a scocciatura e oserei dire … sorpresa. “Scrivi quello che ti pare! Basta che abbia senso!” rispose poi noncurante. Sbuffai arrabbiata: “E invece no! Adesso tu mi ascolti e mi aiuti a trovare l’argomento di cui parlerà questa canzone, ok?!” dissi con fare minaccioso. Esasperato, Vegeta disse: “Certo che sei una cosa incredibile! Prova a ragionare per un attimo! Questa canzone dovremo cantarla con il Glee Club alle Provinciali, perciò scrivi qualcosa che parli delle “Voci fuori dal coro” ! Che ne so, magari del fatto che siamo un gruppo di sfigatelli che si divertono a strimpellare qualche accordo con uno strumento e a canticchiare, ma che un giorno riusciremo a farci sentire, a diventare qualcuno, robe così ….” Lo disse con un tono teatrale e annoiato, ma in realtà non si rese conto di avermi appena dato l’idea giusta per il testo. Sgranai leggermente gli occhi e poi stupefatta, dissi: “Diventare qualcuno … ma è perfetto! Grazie Vegeta, sei un genio!” gli sorrisi apertamente, facendolo arrossire leggermente. “Tsk!” rispose lui. “L’ho detto solo perché non riuscivo più a sopportare la tua voce da gallina isterica! E comunque adesso che hai l’ispirazione, scrivi questo maledetto testo e lasciami in pace!” concluse, tornando a guardare la sua chitarra. Sorrisi flebilmente. Poi, presa da un’ ondata di ispirazione, cominciai a scrivere come un razzo sul blocco. In cinque minuti avevo già riempito tutta la prima pagina e non avevo ancora finito … Vegeta intanto continuava a strimpellare alcune melodie inventate sul momento, per poi scarabocchiare sul quaderno pentagrammato note musicali e appunti. Nessuno dei due fiatò per un paio d’ore, troppo presi dal nostro lavoro. Finalmente, dopo due ore di silenzio, alzai gli occhi dal foglio, guardando il blocco riempito di parole, sorridendo soddisfatta. “Fatto!” esultai in direzione di Vegeta. Per tutta risposta, anche lui alzò gli occhi dai suoi spartiti. “Fammi vedere.” Mi disse, prendendomi il quaderno dalle mani. Come qualche ora prima, anche in quel momento le nostre mani si sfiorarono, provocando nuovamente quel brivido misterioso e incredibilmente piacevole. Arrossii imbarazzata, e anche se non riuscii a vederlo con certezza, so che anche a lui quel contatto fece lo stesso effetto. Prese il blocco appunti e cominciò a studiare le varie parole scritte sul foglio. Scorreva velocemente con gli occhi, senza però mutare la sua espressione indifferente. Io continuavo a guardarlo, quasi trattenendo il respiro, terrorizzata dal suo giudizio su ciò che avevo scritto. Finì di leggere il testo, e dopo qualche momento di silenzio, un sorrisetto soddisfatto si dipinse poi sul suo volto. “Hai visto che non era poi così difficile?” disse poi. Lo guardai rilassandomi un po’, ma non ancora completamente. “Quindi? Che ne pensi? Ti piace?” chiesi con l’ansia a mille. Sorrise ancora leggermente, per poi annuire. “Non è male, per un’idiota come te.” Ecco, come sempre non poteva fare a meno di schernirmi. Ma in fondo, mi aveva comunque (ovviamente a modo suo) fatto un complimento, e aveva approvato il mio lavoro. Perciò, entusiasta e libera dall’ingombrante peso del silenzio, chiesi poi a Vegeta: “E tu? Come sei messo con la musica?” alzò un attimo lo sguardo dagli spartiti scarabocchiati, sorridendo poi in modo leggermente sinistro e derisorio. “Oh, io ho finito già da una mezz’oretta. Ma sai, volevo aspettare e vedere quanto altro tempo ci avresti impiegato per finire di scrivere questo testo.” Sgranai gli occhi: “Che cosa?! Cioè, tu avevi già finito da mezz’ora e non mi hai detto niente per vedere quanto tempo avrei impiegato ancora?! Mi stai prendendo in giro?!” sbottai arrabbiata, stringendo i pugni. Lui annuii e rispose con tutta calma: “Non ti sto prendendo in giro. È vero che ho finito la musica da mezz’ora circa. Se non ci credi, dà quà quel testo, ti faccio sentire.” Gli diedi il blocco contenente tutto il mio duro lavoro, ancora stizzita per ciò che avevo appena scoperto. Vegeta lo posizionò di fronte a sé, in modo da poter leggere le parole. Affianco ad esso, aveva appoggiato lo spartito da lui scritto e dopo avergli dato un’ultima occhiata, cominciò a suonare. Rimasi a bocca aperta: aveva davvero scritto una musica bellissima … intonava le parole a ritmo con la sua chitarra, e dirvi che la canzone cantata da lui sembrava ancora più bella mi sembra poco. Era incredibile, testo e musica andavano perfettamente insieme, sembravano essere stati scritti dalla stessa persona. Quando finì di suonare, alzò gli occhi dai fogli e guardandomi disse: “Visto? Te lo avevo detto.” Sorrisi entusiasta. La rabbia di qualche minuto prima era scivolata via, insieme alle dolci note emesse dalla chitarra blu notte di Vegeta e dalla sua voce meravigliosa. “é - è perfetta. Vegeta.” Dissi. “Abbiamo appena scritto la nostra prima canzone. Ed è perfetta.” Mi sarei aspettata un grugnito o un “Vorrai dire la prima ed ultima canzone!” in risposta. Invece Vegeta si limitò ad accennare un lievissimo sorriso, per poi tornare a strimpellare sulla sua amata chitarra. Ci stavo riuscendo. Stavo cominciando a scalfire la dura corazza di Vegeta Prince.
Dopo aver dato un’ultima occhiata al nostro piccolo capolavoro, scendemmo al piano di sotto. Avevamo scritto la canzone, ma dovevamo comunque finire di sistemare gli ultimi ritocchi, e soprattutto, chiedere il parere dei nostri compagni di classe. Vegeta aveva scritto uno spartito per ciascuno strumento, dato che ovviamente aveva pensato di inserire quasi tutti gli strumenti che eravamo in grado di suonare al Glee Club. Avevamo fatto una copia sia del testo che dello spartito, in modo che entrambi ne avessimo avuta una. Arrivati in salotto, trovammo la nonna di Vegeta di fronte alla tv, intenta a guardare uno di quei quiz televisivi.  “Quanti album sono stati pubblicati dal cantante e polistrumentista Prince Rogers Nelson, noto con il nome d’arte di Prince?” chiese il conduttore dello show televisivo. Il concorrente stava in silenzio, riflettendo sulla risposta, e lo stesso stava facendo la nonna di Vegeta. “35” rispose Vegeta entrando in sala. La signora Hazel, tutta presa dallo show non si era accorta del nostro arrivo, e la voce di Vegeta che rispondeva a quel quiz la fece trasalire. “Vegeta, caro, eri tu! Mi hai fatto prendere uno spavento!” disse infatti. Vegeta intanto, aveva rivolto la sua attenzione allo schermo della televisione, dove il concorrente non era ancora riuscito a rispondere. La nonna ci osservò per un po’, per poi chiedere: “Allora? Avete finito questo lavoro per la scuola?” stavo per rispondere, quando Vegeta mi interruppe, liquidando la domanda con un sintetico “si”. La signora annuì e poi, sorridendo leggermente, chiese: “Ho sentito della musica prima. Bulma, Vegeta ti ha per caso costretto ad ascoltare qualcuno dei suoi innumerevoli CD?” Vegeta, per tutta risposta, rispose arrabbiato: “Tsk, è stata lei ad accendere lo stereo. E comunque, anche a lei piacciono i miei stessi cantanti.” Concluse poi, sussurrando quasi l’ultima frase, come se si vergognasse di dire che avevamo gli stessi gusti. Io sorrisi alla signora Hazel, dicendole poi: “Vegeta ha ragione, sono stata io a mettere su qualche canzone. E poi, anche io adoro tutti quegli artisti. È stato solo un piacere.” Il rumore del pendolo presente nella stanza, scandì il trascorrere del tempo, costringendomi a dargli un’occhiata. Erano già le otto, dovevo andare a casa. “Accidenti, si è fatto tardi. Devo andare.” Dissi poi. La signora Hazel mi guardò dispiaciuta, dicendomi poi: “Tranquilla, puoi tornare qui quando vuoi. Sei la benvenuta.” Ringraziai calorosamente la signora, per poi dirigermi verso l’ingresso. Vegeta mi accompagnò alla porta e una volta fuori, sul pianerottolo, mi decisi a parlare. “Allora …” cominciai. “Hai deciso? Cosa farai?” gli chiesi timidamente, riferendomi alla proposta di cantare nel Glee Club. Sbuffò, volgendo lo sguardo altrove. “Tsk! Sia chiaro, io non canto con chi non riesce a raggiungere le note più alte di “Living on a prayer”. Perciò d’ora in poi, vedi di migliorare e di stonare meno, altrimenti sarò costretto a cambiare idea.” Sgranai gli occhi. Non era vero che avevo stonato prima, ma ovviamente non aveva trovato altro modo meno gentile per dirmi che aveva preso una decisione. Sorrisi entusiasta, saltandogli al collo e abbracciandolo, presa dall’euforia della notizia. Vegeta arrossii vistosamente, cercando di staccarmi da lui. “Ma che diavolo fai?!” mi chiese imbarazzato. Quando mi staccai, continuai ancora a guardarlo, sorridendo soddisfatta. “Grazie.” Gli dissi solo. “Tsk!”, rispose lui, guardando dall’altra parte. “Ci vediamo domani.” Dissi infine, scendendo le scale del pianerottolo. “Aspetta!” disse lui ad un tratto, una volta arrivata in fondo ai gradini. Mi girai a guardarlo confusa, meravigliata del fatto che mi avesse richiamato. “Comunque, Cyndi Lauper.” Concluse, entrando poi in casa, senza aspettare una mia risposta. Rimasi un attimo interdetta: cosa voleva dire? Ma poi, ripensando a ciò che gli avevo chiesto quel pomeriggio, capii. “E io invece? Secondo te a quale grande artista musicale assomiglio?” gli avevo chiesto. E lui, ora mi aveva risposto. Cyndi Lauper. La adoravo.  E in più, aveva una voce eccezionale. Sorrisi dolcemente.  Quel giorno, erano successe due cose a dir poco incredibili. Vegeta Prince mi aveva, anche se indirettamente, fatto un complimento.  E cosa più importante, lo avevo convinto a cantare con noi. Vegeta avrebbe cantato insieme a noi. Insieme alle “Voci fuori dal coro”…

Nota Autrice:
salve a tutti! Ed eccoci qua, con il quindicesimo capitolo! A quanto pare, Vegeta ha finalmente deciso di cantare insieme alle “voci fuori dal coro” e in più quei due hanno finalmente scritto la canzone! Tranquilli, se vi state chiedendo di che canzone si tratta, la risposta la troverete nei prossimi capitoli, fidatevi … ;) comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e spero di ricevere qualche recensione, per sapere cosa ne pensate del capitolo ma anche della storia in generale … come sempre vi ringrazio già da ora e vi aspetto al prossimo capitolo!
Saluti
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Capitolo 16
*** Esibizioni sconcertanti e meritiamo di essere qualcuno ... ***


Il giorno dopo entrai a scuola più radiosa che mai. Ero riuscita a convincere quel testone a cantare con noi ed inoltre avevamo scritto una canzone niente male … ero felice, finalmente. Le cose stavano cominciando a cambiare, e in meglio per fortuna. Inutile dirvi che durante le lezioni, non feci che pensare al pomeriggio trascorso con Vegeta … era stato così, così … bello. Cantare  insieme a lui, guardarlo suonare la chitarra, persino discutere, era stato meraviglioso. E poi, quel brivido, quella strana sensazione provata al tocco delle nostre mani … era strano, si, ma bello. Quel ragazzo mi aveva indubbiamente stregata, inutile nasconderlo.  Ma comunque, non eravamo nemmeno amici, perciò inutile farsi illusioni. Di una cosa però ero certa: ora che ero riuscita a farlo cantare, lo avrei anche fatto inserire maggiormente nel gruppo e lo avrei fatto uscire dalla sua corazza. Parola di Bulma Brief. Dopo pranzo, corsi velocemente verso l’aula canto, dove ci saremmo ritrovati insieme agli altri del Glee Club. Appena entrai, mi accorsi che erano tutti molto agitati, chiacchieravano nervosamente tra di loro e camminavano avanti e indietro per l’aula. Guardai per un attimo in direzione del pianoforte, dove solitamente il Professor Dawson si appoggiava. Strano, eppure era arrivato, stranamente non era in ritardo. Ma allora, chi stavamo aspettando? Guardai per un secondo in fondo all’aula. Eccolo lì, quel testone. Ovviamente, lui se ne stava seduto al suo solito posto, senza spiccicare parola o compiere un minimo gesto. Sembrava l’unico tranquillo lì dentro. Mi avvicinai a lui, sedendomi al suo fianco. Vegeta mi guardò con aria infastidita, ma non disse niente. “Non mi ha cacciato. Buon segno.” Pensai. “Ehi, come va?” gli chiesi allegramente. Per tutta risposta, lui alzò le spalle, indifferente. Sospirai delusa: non sarebbe cambiato mai. In quel momento, Chichi mi passò davanti, camminando in modo svelto e nervoso. Il povero Goku le correva dietro, cercando di calmarla. “Chichi, andiamo stai calma, non è il caso di agitarsi!” le diceva il povero ragazzo, cercando di tenere il passo della corvina. Guardai Vegeta incuriosita, chiedendogli poi: “Ma che hanno tutti oggi? E come mai non cominciamo la lezione, chi stiamo aspettando?” Senza guardarmi, Vegeta rispose: “Cos’è, adesso hai anche problemi di memoria? Sei proprio un caso perso … oggi dobbiamo andare alla Dalton, ad assistere all’esibizione dei loro “damerini canterini”, contro i quali dovremmo gareggiare. E fino a che non arriva la guida scolastica per accompagnarci, non possiamo andare da nessuna parte.” Sgranai leggermente gli occhi: la visita alla Dalton! Aveva ragione, me ne ero completamente dimenticata … ecco perché erano tutti così nervosi: stavamo andando a conoscere i nostri futuri avversari. Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta. Il professor Dawson pronunciò un incerto “avanti” e la porta si spalancò. Fece così la sua comparsa in classe una donna non molto alta, mora e con i capelli corti alla maschietto. Due occhi azzurri, dalle sfumature lillà, un paio di jeans scuri e un cardigan grigio, completavano l’esile figura della ragazza che aveva appena fatto irruzione nella nostra classe. “Buongiorno a tutti ragazzi.” Pronunciò con il fiatone. “Sono Videl Satan, la guida scolastica. Scusate per il ritardo.” Concluse poi. Okay. Quindi, quella era la guida scolastica. Era davvero molto giovane, sembrava avere all’incirca l’età del Professor Dawson. “Non si preoccupi, è tutto apposto.” Le si rivolse il nostro Professore, sorridendole impacciato. Dopo aver ricambiato il sorriso, la signorina Videl ci guardò un attimo e poi, sorridendo entusiasta, disse: “Bè ragazzi, direi che possiamo andare. La Dalton vi aspetta.” Divorati dal nervosismo, uscimmo dall’aula, senza dire una parola. Chichi si stava mangiando le unghie voracemente, e se Goku non fosse intervenuto cercando di calmarla, credo che a quest’ora la corvina non avrebbe più le dita. Anche io in quanto ad ansia non scherzavo. Il fatto di essermi ricordata solo pochi minuti prima dell’imminente visita, non mi aveva permesso di prepararmi psicologicamente all’incontro che sarebbe avvenuto di lì a breve. Vegeta invece camminava con le mani in tasca, come sempre indifferente a ciò che accadeva intorno a lui. Sembrava tranquillo. Il cortile della scuola era vuoto. A quell’ora infatti, tutti gli studenti erano impegnati nei club scolastici. Ad attenderci vi era un pulmino scolastico giallo, piuttosto vecchio e malridotto. Uno scarto della meccanica per accompagnare gli scarti della scuola verso la loro più grande umiliazione. Perfetto, no? Salimmo uno alla volta su quella carretta che minacciava di cadere a pezzi da un momento all’altro, e una volta che anche il Professor Dawson e la guida scolastica furono saliti a bordo, partimmo. Cioè, cercammo di partire, visto che l’autista impiegò un bel po’ per mettere in moto quel furgoncino che non ne voleva proprio sapere di muoversi. Dopo qualche incerto e senza dubbio ambiguo rumore del motore, finalmente la carretta partì alla volta della Dalton High School.
La Dalton non distava molto dalla nostra scuola. Con l’autobus avremmo impiegato all’incirca un quarto d’ora a raggiungerla. Con un autobus funzionante. Perché, con quella sottospecie di furgoncino antidiluviano, impiegammo ben quaranta minuti ad arrivare. I motivi? Beh, vi dico solo che dopo aver fatto qualche metro in direzione del cancello della nostra scuola, fummo costretti tutti quanti a scendere dal veicolo per poterlo spingere. Una fatica erculea. Vista da fuori, sarebbe sicuramente risultata una scenetta alquanto comica. Ma fidatevi, se vi dico che spingere quella carretta della strada per 4 chilometri, non fu affatto divertente. L’unica cosa che mi permetteva di avere il sorriso stampato in viso, era sentire Vegeta ( che si trovava lì vicino a me nell’intento di far resuscitare quel pezzo da sfascia carrozze) imprecare contro quella vecchia carretta. Dio, avreste dovuto vederlo. La faccia concentrata e arrabbiata, un leggero rivolo di sudore ad imperlargli la fronte spaziosa , e gli accidenti che mandava contro il Preside o colui che aveva messo a disposizione quel catorcio per accompagnarci. Era una scena degna di un cabaret. Cercai di trattenermi dal ridere, ma fidatevi, era davvero impossibile. Quando si accorse del mio sorriso e delle occhiate divertite che gli stavo lanciando, mi si rivolse ancora più arrabbiato: “E tu cosa diavolo hai da ridere!? Non bastava questo catorcio, adesso ci si deve anche mettere di mezzo lei ad infierire in un momento del genere!” lo disse con tono serio, ma ciò non riuscì a fermare la risata cristallina che uscì dalle mie labbra non appena finì di parlare. Mi guardò torvo, ma nonostante ciò, non replicò, sorridendo in modo quasi impercettibile. Morale della storia:quaranta minuti e cinquantatre secondi dopo, eravamo arrivati di fronte al cancello della Dalton. Non appena entrammo nell’atrio della scuola, una tipa bionda tinta, dall’aria svampita e indubbiamente tendente ad attacchi di schizofrenia, ci venne incontro con un enorme sorriso. Era tutta enorme: labbra (rifatte) enormi, tette (rifatte) enormi, faccia (probabilmente non toccata dal bisturi, ma ho i miei dubbi) enorme, occhi (okay, almeno quelli dovevano essere naturali, no? No?) enormi, sedere (okay, questo era rifatto) enorme. Un omino Michelin con la parrucca bionda. Sorrisi leggermente a quel mio pensiero. “Tsk, c’è qualcosa di naturale in quella tipa?” pronunciò sottovoce poi una voce dietro di me. Mi girai e restai alquanto sorpresa nel constatare che a parlare era stato Vegeta. Aspettate un attimo. Si era davvero avvicinato a me di proposito? No andiamo, mi sento di escluderlo. Probabilmente si trovava dietro di me per caso, e aveva voluto esternare questo simpatico commento riguardo la Barbie lì presente, alla prima persona che gli era capitata vicino. Si, probabile. Anche se, ora che ci penso, io ero l’unica persona con cui aveva scambiato più di due parole. Per la maggioranza insulti, ma comunque ero stata l’unica con cui aveva parlato. Oh, inutile fasciarsi la testa. Meglio approfittare di questo raro momento di chiacchiere e rispondere. “Non credo. Secondo me è una Barbie a dimensioni naturali, hai presente quelle che hanno un bottone dietro la schiena, e se lo premi se ne escono con una vocetta di dieci decibel superiore alla norma, dicendo smielate frasi pre impostate? Ecco, non mi stupirei se adesso quella tipa dicesse “Oh, Ken, ti amo così tanto!”  Dissi con una voce piuttosto acuta e finta, in un tono teatrale e ironico.  A Vegeta scappò un sorrisetto divertito, rispondendo poi: “Probabile.” Sorrisi anche io, per poi rivolgere la mia attenzione alla tipa di plastica. “Benvenuti! Voi dovete essere i ragazzi della Orange High School. Siete arrivati finalmente, vi aspettavamo mezz’ora fa …” disse questa. Non si era propinata con elogi al suo presunto fidanzato anch’esso di plastica, ma come immaginavo aveva davvero una voce squittente e fin troppo acuta. “Ehm, ecco, abbiamo avuto qualche problema con il trasporto. Ci dispiace tanto per il ritardo. Ehe eh …” disse imbarazzato il Professor Dawson, grattandosi la nuca con fare impacciato.  “Loro sono i ragazzi del Glee Club della nostra scuola. Com’è che vi chiamate ragazzi? Ah si, le “voci fuori dal coro”” disse in tono pratico la signorina Videl. La Barbie, senza mai smettere di sorridere, annuì distrattamente. “Oh, ma che nome carino, davvero grazioso.” Ci stava prendendo in giro? Cioè, noi avevamo scelto un nome, permettetemi di dirlo, a dir poco perfetto per un Glee Club, e l’unica cosa che aveva trovato da dire era stato” Carino”, “grazioso”? No comment. “Prego, seguitemi. I nostri Usignoli vi stanno aspettando.” Disse poi melliflua, invitandoci a seguirla. Gli usignoli. Davvero. Non avevano proprio trovato un altro nome? Andiamo era così, così … scontato. E forse, un po’ troppo pretenzioso. “Okay, già per il nome noi abbiamo un punto in più a favore. Perciò, Voci fuori dal coro 1, Usignoli 0.” Disse entusiasta Yamcha. Ma era ancora presto per giudicare. Dovevamo prima assistere alla loro esibizione.  Solo in quel momento, ci concedemmo di dare un’occhiata all’intero edificio. Attraversammo diversi corridoi, uno più bello dell’altro. Era una scuola per gente ricca, si vedeva. Il lusso regnava incontrastato all’interno di quell’istituto. Le pareti dei corridoi erano rivestite di velluto, mentre all’interno delle classi le mura avevano una carta da parati ricamata e dorata. Buffo per noi pensare di poter far lezione in un aula così, quando eravamo abituati alle pareti ingiallite piene di crepe e scritte della nostra scuola. Ma il bello, doveva ancora venire. Arrivammo di fronte ad un enorme portone in legno massiccio, molto antico. “Ecco, i ragazzi sono qui dentro. E questo, è il nostro Auditorium.” Disse la tipa bionda, spalancando poi quel pesante portone. “O. Mamma. Mia.” Riuscii solo a dire. Quella era il loro Auditorium? Dannazione, sembrava il teatro “La scala” di Milano! Le poltrone rosse e vellutate della platea, cinque ordini di comodi palchetti, un enorme palcoscenico a disposizione degli studenti. Anche noi avevamo un Auditorium nella nostra scuola. Ma il nostro, in confronto sembrava la sede per le riunioni degli alcolisti anonimi. “O-Okay. Forse per questo potremo dare loro un punto …” balbettò Yamcha. Lo fulminai con lo sguardo. “Tu credi?! Guarda che roba, un Auditorium così noi ce lo sogniamo!” dissi io. “Ragazzi, accomodatevi pure.” Ci disse poi la svampita, prima di dirigersi verso il palco. “Sono arrivati, potete cominciare.” Il sipario era tirato, perciò in quel momento non riuscimmo a vedere con chi accidenti stesse parlando quella tipa. Guardai alla mia sinistra. Incredibilmente, vi era Vegeta seduto. Okay, le cose cominciavano a farsi leggermente confuse. Sbaglio, o aveva detto che non mi sopportava e che non vedeva l’ora che lo lasciassi in pace? E ora lui che fa, si siede vicino a me? Non che mi dispiacesse, però era solo … strano. Ma poi capii. Si era seduto vicino a me perché era l’ultimo posto esterno della fila che avevamo occupato. Così almeno doveva stare vicino solo ad una persona, e non due. Era logico che scegliesse quel posto. Ora detta, così sembra che fossi stata io a sedermi vicino a lui di proposito. “Oh, lasciamo stare!” pensai infine. Proprio in quel momento, il sipario si aprì, mostrando un gruppo di dieci ragazzi, disposti su due file. Erano cinque maschi e cinque femmine, tutti perfettamente fasciati nella loro elegante divisa scolastica, con tanto di cravatta. D’un tratto, la musica partì. E poi, non ci capii più niente. So solo che cominciarono a cantare e a ballare, con una coreografia pazzesca, senza sbagliare nemmeno un passo. Avevano delle voci meravigliose, erano fenomenali, arrivavano alla perfezione. Inutile dirvi che quella loro esibizione ci lasciò a bocca aperta. Non appena la musica finì, insieme alla loro divina interpretazione, il silenzio avvolse l’Auditorium. La tipa bionda applaudì soddisfatta dal punto in cui si trovava di fronte al palco, mentre i ragazzi si esibivano in un eccellente ed (sembra stupido dirlo) altezzoso inchino. Il primo di noi che proferì parola, fu Yamcha, seduto  vicino a me. “O-Okay. Voci fuori dal coro-1. Usignoli 2439 …” “Stai. Zitto.” Lo ammonii io, ancora sconvolta.
Una delle leggende che circolano sulle “Voci fuori dal coro”, era che fossimo destinati a stare insieme fin dall’inizio. Probabilmente era così. Ma non pensate che sia stato tutto così semplice. Se credete che non ci siano mai stati discussioni o indecisioni all’interno della nostra aula canto, beh vi sbagliate di grosso.
Il rientro alla nostra scuola, fu molto silenzioso. All’interno dell’autobus nessuno fiatò. L’unico rumore percepibile, erano gli scoppiettii del motore di quel catorcio, che almeno per il ritorno, sembrava aver capito il nostro stato d’animo, arrivando perciò miracolosamente a scuola senza dare problemi. Anche il Professor Dawson e la signorina Videl non avevano aperto bocca. Non ci sarebbe stato nulla da dire, d’altronde. Rientrammo a scuola mogi mogi, ognuno immerso nei propri pensieri. Il nostro professore e la guida scolastica, restarono un po’ indietro rispetto a noi, facendo si che una volta entrati nell’aula canto, non vi fosse nessun altro se non noi ragazzi. Quei due intanto erano rimasti in corridoio a parlare. Meglio lasciarli stare. Al momento, avevamo troppi problemi a cui pensare. Alcuni di noi si erano seduti sulle sedie, con lo sguardo basso, altri erano rimasti in piedi e si guardavano intorno nervosi. Finalmente, qualcuno si decise a parlare, rompendo l’ostinato mutismo in cui eravamo caduti. “Non abbiamo speranze.” Disse C18. La guardai. Aveva ragione. Aveva più che ragione. Ma non dovevamo lasciarci prendere dallo sconforto, dannazione! “Hai ragione. Ma forse, non è tutto perduto.” Lei mi guardò stranita. “Che intendi dire?” “Bè, magari adesso non saremo in grado di batterli. Ma sono sicura che esercitandoci ogni giorno, riusciremo a raggiungere anche il loro livello. Dobbiamo solo avere fiducia in noi stessi.” Dissi, cercando di risollevare le sorti del nostro club. C18 sbuffò, rispondendo poi: “Oh, andiamo, smettila con questi discorsi sentiti e risentiti all’infinito. Si realista, non abbiamo alcuna speranza contro quelli, meglio lasciare perdere.” A quelle parole, i miei occhi si corrucciarono in un espressione molto “alla Vegeta.” “Che stai dicendo? Che vuol dire meglio lasciar perdere?” le chiesi. “Vuol dire che me ne vado. Non serve a niente stare qui, ad auto convincerci che possiamo farcela e altre cazzate del genere. Meglio andarsene ora, piuttosto che subire una tale umiliazione.” Concluse poi, cominciando a recuperare le sue cose. Non poteva fare sul serio, stava scherzando, vero? “E quindi te ne vai così, senza nemmeno combattere, senza nemmeno provarci?!” le rimproverai, costringendola a guardarmi negli occhi. “Oh andiamo, smettila! Stai prendendo in giro non solo tutti noi, ma anche te stessa con questa storia! Non ce la faremo mai, non riusciremo mai a farci sentire, a diventare qualcuno di importante là fuori. Questo non è un film. È la vita, mia cara. E io preferisco lasciar perdere subito, piuttosto che provarci senza riuscirci.”  Detto questo, si girò pronta ad uscire. Durante la nostra discussione, non mi ero affatto resa conto dello spostamento di tutti gli altri ragazzi. Fu quando il pianoforte emise una serie di accordi, che mi accorsi che Chichi e gli altri, si erano posizionati ai loro posti, con gli strumenti in mano. Ascoltai per una attimo la melodia che Chichi stava suonando. Non poteva essere: quella era la canzone che avevamo scritto io e Vegeta! Guardai con occhi interrogativi quest’ultimo, seduto dietro la sua batteria. Vegeta mi fece solo un gesto di assenso con la testa, e poi cominciò anche lui a suonare. Sorrisi lievemente. Avevo capito il suo piano.

Can you see me,
'Cause I'm right here

Cominciai a cantare le parole scritte da me, il giorno prima ai piedi del letto di Vegeta. C18, si bloccò. Era girata di spalle, e non appena cominciai a cantare, si volse a guardarmi, con gli occhi sgranati e pieni di sorpresa. Ora doveva solo ascoltare le parole della canzone e avrebbe capito. Dio solo sa quanto pregai perché il piano di Vegeta funzionasse.

Can you listen
'Cause I've been trying to make you notice
What it would mean to me
To feel like somebody
We've been on our way to nowhere
Trying so hard to get there



Mi avvicinai a C18, sempre sorridendole. Lei sembrò capire, perché si lasciò sfuggire un sorriso, permettendomi di prenderla per mano e di accompagnarla al suo strumento, l’unico in quel momento a non essere suonato. Sembrava incredibile. Nonostante nessuno dei ragazzi conoscesse la canzone, la stavano suonando alla perfezione, solamente guardando per la prima volta lo spartito datogli da Vegeta.

And I say oh
We're gonna let it show
We're gonna let go of everything
Holding back our dreams
And try to make it come alive
Come and let it shine so they can see
We were meant to be
Somebody(somebody)
Somebody yeah(somebody)
Somehow, someday, someway
Somebody


Arrivati al ritornello, anche gli altri cominciarono a cantare. Anche C18 si era lasciata trascinare e si era unita a noi. Era incredibile, stavamo suonando tutti insieme in modo così spontaneo, così naturale una canzone che conoscevamo solo in due. Eppure ci stavamo riuscendo. Stava venendo benissimo.

So tired of being invisible
But I feel it yeah
Like a fire below the surface
Trying to set me free
Right inside of me
'Cause we're standing on the edge now
It's a long way down



“Senta Professor Dawson …” “Gohan. E dammi del tu, abbiamo la stessa età”. La signorina Videl sorrise, ritornando poi seria. “Ascolta Gohan, non voglio scoraggiarti, ma hai visto anche tu no? Io non so a quale livello siano i tuoi ragazzi, ma temo che non siano allo stesso di quei viziati della Dalton. Partecipare alla gara non li aiuterebbe affatto, anzi ho paura che …” “Videl, senti fidati di me. I miei ragazzi valgono tanto quanto quei damerini della Dalton, anzi valgono molto di più, capito? Io credo in loro, so che ce la possono fare e …” il professore si interruppe, guardando in direzione dell’aula canto. “Aspetta un attimo. Senti anche tu questa musica?” chiese. Videl annuii, dicendo poi: “Cosa staranno facendo?” “Andiamo a vedere.” Disse risoluto il professor Dawson. Forse, aveva già capito cosa stava succedendo.

But I say oh, we're gonna let it show(let it show)
We're gonna let go of everything
Holding back our dreams
And try to make it come alive
Come and let it shine so they can see
We were meant to be
Somebody(somebody)
Somebody yeah(somebody)
Somehow, someday, someway
Somebody


Appena arrivarono di fronte alla porta dell’aula canto, un sorriso soddisfatto si dipinse sul volto del nostro insegnante. Attraverso i vetri della porta, riuscirono a vedere ciò che stava accadendo. Eravamo già arrivati al secondo ritornello. Io continuavo a cantare, mentre gli altri suonavano perfettamente, non un minimo sbaglio. Forse per il testo, o forse per il fatto che non avesse mai sentito quella melodia, il Professor Dawson capì che quella che stavamo cantando, era la nostra canzone originale. “Incredibile … “ disse sorpreso. La signorina Videl, che nel frattempo era rimasta incantata a fissare la nostra esibizione improvvisata, sembrò riprendersi un secondo, chiedendo al nostro insegnante: “Ma – ma loro …” “Loro stanno dimostrando il loro valore.” Rispose il Professor Dawson compiaciuto ed orgoglioso.

We will walk out of this darkness
Feel the spotlight glowing like a yellow sun
Oh whoa-oa oh oh
And when we fall we fall together
Till we get back up and we will rise as one


Eravamo arrivati al Bridge. Io continuavo a guardare i miei compagni, più felice che mai. L’atmosfera, la canzone, il testo, era tutto perfetto.


Oh we're gonna let it show
We're gonna let go of everything
Holding back our dreams
And try to make it come alive(make it come alive)
Come and let it shine so they can see
We were meant to be
Somebody(somebody)
Somebody yeah(somebody)
Somehow, someday, someway
Somebody


Il professor Dawson intanto continuava ad esultare felice, di fronte agli occhi di un ancora incredula Videl. Dovette rimangiarsi tutte le parole dette poco prima. Noi valevamo davvero.

Somebody
Ooh ooh ooh

E così, con gli ultimi accordi, la canzone terminò. Non appena finimmo di suonare, scoppiamo tutti quanti in un boato di applausi e grida di gioia. La prima a parlare, fu Chichi: “Questa canzone è fantastica, è perfetta per noi! Bulma, ma l’hai scritta davvero tu? Chiese con gli occhi brillanti di felicità. Annuii emozionata. Guardai poi Vegeta per un attimo, aggiungendo: “L’abbiamo scritta io e Vegeta. Insieme.” “Ragazzi, ma è davvero incredibile, come ci siete riusciti?” chiese poi un ancora incredulo Yamcha. Sorrisi, rispondendo poi: “Bè, non abbiamo fatto niente di speciale. Abbiamo solo messo in musica la nostra vita. Ragazzi, noi siamo destinati davvero a diventare qualcuno.” Guardai poi C18, che era ancora rimasta senza parole a leggere lo spartito e il testo della canzone. “Allora?” le chiesi. Si voltò a guardarmi sorpresa. “Cosa?” chiese infatti. Le sorrisi. “Vuoi ancora andartene? O forse, vuoi provare diventare qualcuno, insieme a noi?” . Sorrise anche lei venendomi incontro e abbracciandomi. “Ci sto. Grazie per avermi trattenuto.” Disse lei. Per una tipa come lei, non deve essere stato facile dirmi una cosa del genere. “Ma figurati” le risposi. Ancora abbracciata alla ragazza, guardai Vegeta, che era rimasto ancora seduto alla batteria. Era incredibile. Chi l’avrebbe mai detto che proprio a lui sarebbe venuta in mente l’idea di dare gli spartiti agli altri e di farli suonare tutti insieme, solo per permetterci di restare tutti uniti. Mimai un “Grazie” con le labbra, al quale lui rispose con un mezzo sorriso. Grazie a lui, eravamo ancora “Le voci fuori dal coro.”

Nota autrice:
Ma salve a tutti! Ed eccoci con il sedicesimo capitolo della storia! Ed ecco svelata la famosa canzone! Allora, la canzone utilizzata e “Somebody” tratta dal film “Lemonade Mouth”. Non so se la conoscete, ma in ogni caso posso dirvi che è davvero bellissima e che il testo era davvero perfetto per la situazione delle voci fuori dal coro. Fate perciò finta, che la canzone sia stata scritta da Vegeta e Bulma in questa storia, e spero davvero che vi sia piaciuto. Beh, che dirvi se non un grazie in anticipo per coloro che leggono e recensiscono questa storia e aspetto vostre recensioni per sapere cosa ne pensate! Al prossimo capitolo!
Saluti
TWOTS
P.S:  se volete dare un’occhiata alla canzone, anche per comprenderne il significato (nel caso non aveste capito il testo) vi allego un video con la canzone  “scritta” da Vegeta e Bulma. ;) https://www.youtube.com/watch?v=AFUOHym-t3w
Alla prossima!
TWOTS

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Capitolo 17
*** Don't stop believing ... ***


“Ragazzi, siete stati strepitosi!” esultò qualcuno, aprendo la porta dell’aula. Ci girammo tutti quanti verso la provenienza della voce, scoprendo che a parlare era stato un entusiasta professor Dawson, affianco ad un’ ancora sconvolta signorina Videl. “M-ma questa canzone …” balbettò lei. “L’hanno scritta Vegeta e Bulma.” Disse soddisfatto il nostro insegnante. “Sapevo che insieme avreste tirato fuori qualcosa di buono, ma questo è a dir poco incredibile! Siete stati eccezionali, la canzone è meravigliosa, e l’unione, il modo in cui l’avete eseguita, semplicemente sensazionale. Fidatevi di me ragazzi. Voi riuscirete non solo a battere quelli della Dalton, ma anche gli altri Glee Club della città. Ne sono certo.”
Il resto del pomeriggio trascorse piuttosto velocemente. Terminata la giornata scolastica, ci dirigemmo al solito bar, ancora ebbri dell’eccitazione per l’esibizione avvenuta poco prima. Quel giorno, ci fu però una novità. Non chiedetemi come, ma anche Vegeta si unì al gruppo. Senza dire una parola, ci seguiva verso il solito locale, le mani in tasca e lo sguardo rivolto verso il basso. Rallentai il passo, per potermi affiancare a lui. Stranamente, non parlai. Camminammo dietro agli altri, noi due a chiudere la fila, il gruppo davanti che parlava animatamente, noi in silenzio. Ma devo dire, che quel silenzio non era poi tanto male. Era quasi, non so … piacevole. Non era necessario che Vegeta parlasse. Mi bastava vederlo camminare lì insieme a noi. Bastava. Anche al bar trascorse tutto piuttosto tranquillamente. Mangiammo e bevemmo come sempre, chiacchierando tra di noi. Vegeta si era seduto in un angolino della panca. Giocava con la cannuccia della sua bibita senza proferire parola, quasi annoiato. Fu solo quando parlai io, che sembrò risvegliarsi. “Sapete la novità? Vegeta canterà con noi nel Glee Club!” esclamai entusiasta, cercando di attirare la sua attenzione. Cosa che effettivamente accadde, dato che il diretto interessato alzò gli occhi dalla sua aranciata, spalancandoli per la sorpresa, senza però dire nulla. La reazione degli altri fu all’incirca la stessa, eccezione fatta per il semplice motivo che cominciarono a tartassare me e Vegeta di domande su come fossi riuscita a convincerlo. “Davvero? E come sei riuscita a convincerlo?” mi chiese Chichi incredula. Stavo per risponderle, quando un’occhiataccia piuttosto eloquente di Vegeta, mi convinse a trattenere la lingua e a dire solamente: “Ce l’ho fatta e basta. Adesso l’importante è che Vegeta abbia deciso di cantare con noi. Vero Vegeta?” gli chiesi guardandolo poi. In risposta, lui grugnì, tornando poi a fissare il contenuto del suo bicchiere. “Però nessuno di noi lo ha sentito cantare. Io direi che dovremo fare qualcosa al riguardo.” Disse poi Chichi, facendomi l’occhiolino. Capii quindi le sue intenzioni. “Hai ragione, Chichi. Dobbiamo fare qualcosa. Presto.” Detto ciò, Vegeta rivolse nuovamente l’attenzione su di noi, con uno sguardo piuttosto preoccupato. “Che avete intenzione di fare?” chiese infatti sospettoso. Sorrisi leggermente. “Niente Vegeta. Dovrai solo cantare.” Risposi.
Il giorno seguente fu piuttosto impegnativo. A scuola ero parecchio stanca, dato che la sera prima avevo lavorato per la prima volta al Dragon Bar, dopo cena. A differenza delle mie aspettative, il vecchietto aveva ragione. Dopo cena, il bar si popolava di gente di mezza età, che si ritrovava lì a bere qualcosa tra amici e a scambiarsi quattro chiacchiere seduti vicino alle gigantografie di Freddie Mercury. La cosa sorprendente, era che gli argomenti più gettonati tra quei cinquantenni, fossero proprio questi. La musica. Gli uomini presenti parlavano infatti degli artisti della loro generazione e discutevano fra di loro su quale fosse il miglior album di un artista o il peggiore di un altro. Così, tra un’ordinazione e l’altra, ascoltai diversi spezzoni di discorsi tra i presenti, passando a sentire voci su alcuni tour previsti per i Rolling Stones, ai commenti riguardo ad alcuni inediti di Michael Jackson da poco usciti. Tra tutti quei discorsi, attorniata dalle mie canzoni preferite in sottofondo, mi sentivo praticamente a casa. Anche il vecchio proprietario si rivelò essere ancora più gentile di quanto credessi. Dopo avergli infatti spiegato la mia situazione, l’attempato gestore del locale, non esitò un attimo nel concedermi qualche anticipo per pagare gli arretrati dell’affitto. Tutto si stava finalmente risolvendo. Dopo le cinque ore scolastiche (durante le quali rischiai più volte di addormentarmi, causa le poche ore di sonno) mi precipitai in cortile, dove tutti gli altri membri del Glee Club mi stavano aspettando. Avevamo un’esibizione da organizzare.
Quando il Professor Dawson entrò in classe, non trovò nessuno ad accoglierlo. Al suo “Buongiorno ragazzi, scusate il ritardo!” infatti, non rispose nessuno. Guardandosi intorno stupito, si accorse distrattamente di un bigliettino bianco appoggiato sopra il vecchio pianoforte a coda. Incuriosito, si avvicinò ad esso, recuperando quel pezzo di carta piegato. Lo spiegò, leggendo  incuriosito il suo contenuto. Sorrise poi curioso, e recuperata la sua borsa, si diresse a tutta velocità fuori dall’aula. In classe, rimasero solo gli strumenti sgangherati e un foglietto bianco, con su scritto: “Tranquillo, non l’abbiamo abbandonata. La aspettiamo nell’ Auditorium. Firmato, Le sue Voci fuori dal coro.” svolazzante per l’aula.
Eravamo pronti. In poco tempo, eravamo riusciti a preparare quell’esibizione, dove avremo mostrato al nostro insegnante cosa Vegeta era in grado di fare. Certo, convincerlo fu alquanto difficile, ma dopo avergli assicurato che non avrebbe cantato da solo, sembrò redimersi dal suo iniziale rifiuto ed accettare con finto malcontento di esibirsi sul palcoscenico dell’Auditorium, vuoto. I musicisti che aveva chiamato il Professor Dawson, avevano accettato di aiutarci, portando così i loro strumenti sul palco di legno e montandoli lì. Tutto era pronto. Mancava solo il nostro insegnante. Sperando che avesse notato il bigliettino che avevamo lasciato in classe, continuammo a camminare su e giù per il palco, in attesa che il Professor Dawson si facesse vivo. Quando finalmente riuscimmo a sentire dei passi oltre la porta spalancata dell’Auditorium, ci posizionammo come accordato, facendo un cenno di assenso ai musicisti. Così, quando la testa del professor Dawson sbucò dal grande portone, cominciammo a cantare. (https://www.youtube.com/watch?v=7vN2mkeCjlw esibizione dei ragazzi)

Vegeta:
Just a small town girl 
Livin' in a lonely world 
She took the midnight train going anywhere 


I ragazzi cominciarono a cantare in coro, ripetendo sempre una serie di suoni, simili ad un “Da da” , fino a quando, non arrivò la prima strofa. E Vegeta, camminando dal fondo del palco, cominciò a cantare. Sembrava piuttosto nervoso, continuava a cantare, ma si guardava intorno ansioso, preoccupato. D’altronde, a parte me, nessun altro lo aveva mai sentito cantare.

Bulma:
Just a city boy 
Born and raised in south Detroit 
He took the midnight train going anywhere 



E poi, fu il mio turno. Io e Vegeta eravamo gli unici solisti, mentre gli altri continuavano a cantare in sottofondo. Cominciai a cantare, avvicinandomi a lui e guardandolo negli occhi. Gli sorrisi cercando di rassicurarlo, facendogli poi l’occhiolino. E lui, rispose solo con un mezzo sorriso, tornando poi a cantare. Si stava sciogliendo.

Vegeta:
A singer in a smoky room 
Bulma:
The smell of wine and cheap perfume 


Bulma e Vegeta:
For a smile they can share the night
It goes on and on and on and on 

E così continuammo a cantare. Il professor Dawson ci guardava meravigliato, ma più che altro guardava Vegeta sorpreso. Non avrebbe mai pensato che saremmo riuscito a convincerlo a cantare, men che meno che quello scorbutico avesse una voce del genere.

Vegeta e Bulma:

Strangers waiting 
Up and down the boulevard 
Their shadows searching in the night 
Streetlight people 
Living just to find emotion 
Hiding somewhere in the night 



Arrivammo quindi al ritornello. Anche gli altri, che continuavano a cantare in coro, si avvicinarono a noi due ed insieme continuammo a cantare, tenendo il ritmo della canzone, mentre gli occhi di tutti erano posati su Vegeta. Erano tutti strabiliati dalla sua dote. Quel ragazzo, aveva un dono.

Vegeta e Bulma:

Working hard to get my fill 
Everybody wants a thrill 
Payin' anything to roll the dice 
Just one more time 



Sensibile al richiamo della sua batteria, Vegeta si era lasciato attrarre dal suo strumento, prendendo per un secondo lui il posto del batterista, continuando comunque a cantare. Sembrava davvero felice e vederlo così mi scaldava il cuore in una maniera a dir poco incredibile.

Vegeta e Bulma:

Some will win, some will lose 
Some are born to sing the blues 
Oh, the movie never ends 
It goes on and on and on and on 



Lasciò poi nuovamente il posto al batterista, alzandosi e continuando a cantare insieme a me. Il professor Dawson continuava a sorridere entusiasta, incredulo e ancora affascinato dalla voce di Vegeta. Anche io in quell’esibizione diedi il massimo, come del resto tutti gli altri. Ormai stavamo diventando sempre più uniti. E nessuno ci avrebbe mai diviso.

Tutti insieme:
 
Don't stop believin' 
Hold on to that feelin' 
Streetlight people 

Don't stop believin' 
Hold on 
Streetlight people 

Don't stop believin' 


Hold on to that feelin' 
Streetlight people

 
Tutti in fila, uno vicino all’altro. Così cantammo l’ultimo ritornello, concludendo poi con un “Don’t Stop!” corale, abbassando quindi la testa all’ultimo colpo di batteria. Il Professor Dawson scoppiò in un fragoroso applauso, sorridendo soddisfatto: “Ragazzi, ma finirete mai di stupirmi? E questa come vi è venuta in mente?” sorridemmo entusiasti, rispondendo poi: “Volevamo farle sentire la voce di Vegeta. Che ne dice?” dissi io soddisfatta. Guardai Vegeta, che sembrava essersi ripreso dall’ebbrezza della sua prima esibizione di fronte a qualcun altro che non fossi io. Continuava a mostrare quel mezzo sorriso, che andava interpretato come un “è stato fantastico!” da parte sua. Il professore lo guardò a sua volta, compiaciuto di quella dimostrazione. “Dico che se canterete così anche alle competizioni, vincerete non solo le Provinciali, ma anche le Nazionali!” Fu così, che da quell’esibizione, io e Vegeta diventammo i solisti principali delle “Voci fuori dal coro.”
 

Nota autrice:
salve a tutti! Ed eccomi tornata con il diciassettesimo capitolo della long (e con qualche chilo in più temo! Due matrimoni di fila, non sono proprio il massimo! :)) tornando a noi, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Come avete notato, le esibizioni cominciano a farsi più frequenti, e infatti stavolta è toccato al nostro Vegeta dimostrare agli altri di cosa è capace! Sopra, prima del testo della canzone, ho messo un link dove potrete vedere l’esibizione dei ragazzi! È tratta da un episodio di “Glee” , ma io l’ho immaginato proprio così, dove Vegeta e Bulma sono i solisti, e gli altri il coro. ;) fatemi sapere cosa ne pensate, e vi ringrazio già in anticipo, anche solo chi legge! Al prossimo capitolo!
Saluti
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Capitolo 18
*** Sfide canore: Usignoli contro Voci fuori dal coro ... ***


I giorni seguenti trascorsero piuttosto tranquillamente. Le lezioni andavano bene, la sera lavoravo al Dragon Bar, mentre all’interno del Glee Club, le cose non potevano andare meglio. In quei giorni avevamo cominciato a organizzare la nostra esibizione per le Provinciali, che si sarebbero tenute tra poco più di un mese. Avevamo scritto una canzone, ed era perfetta, ma avevamo bisogno anche di altro. Avevamo bisogno anche di altri due brani. La canzone scritta da me e Vegeta, “Somebody”, l’avrebbe cantata C18, in memoria del fatto che proprio grazie a quella canzone eravamo riusciti a farla restare con noi, nel Glee Club. Dovevamo cantare altre due canzoni quindi, e dato che per questa prima gara il nostro insegnante voleva che eseguissimo pezzi originali, era d’obbligo scrivere altri due brani originali. Stavolta, il Professor Dawson non chiese a me e Vegeta di scrivere le canzoni restanti, ma volle farlo tutti insieme, anche con lui presente, durante le lezioni del Glee Club. Per ora non avevamo scritto granché, ci stavamo concentrando maggiormente sulle coreografie e su come eseguire il brano già pronto. Io intanto avevo buttato giù una canzone per conto mio, ma non avevo detto niente a nessuno al riguardo. Era una canzone piuttosto “personale”, perciò mi sentivo leggermente in imbarazzo nel condividerla con gli altri. Procedeva tutto tranquillamente, quindi. Un giorno, accadde però qualcosa.
Una mattina, durante l’intervallo, mi ritrovai a camminare per i corridoi. Sulla fila degli armadietti degli studenti, trovai un alquanto arrabbiato Vegeta, intento a cercare di aprire il suo di armadietto. Mi avvicinai lentamente a lui, senza dire niente, e sorridendo leggermente per gli improperi che il ragazzo lanciava contro quel povero armadietto. Dopo qualche secondo di imprecazioni, decisi finalmente di aiutarlo, anche perché se avesse continuato di quel passo, avrebbe sicuramente rotto la serratura e il lucchetto, e allora addio armadietto.”Ti serve una mano?” dissi, appoggiando le mie mani sul lucchetto dove era intento ad armeggiare. Vegeta, che non si era minimamente accorto prima della mia presenza, mi guardò piuttosto infastidito e, oserei dire, sorpreso. “Tsk!” disse poi. “Non ho certo bisogno del tuo aiuto per aprire uno stupido armadietto difettato!” proclamò, rivolgendo quindi l’attenzione sul lucchetto. Solo in quel momento, si rese conto della mie mani poggiate sulle sue, nell’intento di aiutarlo. Una scossa percorse entrambi, il solito brivido che ci assaliva ogni qualvolta le nostre mani si sfioravano. Alzò il capo in mia direzione, scoprendomi imbarazzata e rossa come un pomodoro. Continuammo a fissarci senza dire una parola, le mani ancora vicine. Sarebbe accaduto qualcosa, ne ero certa. Sarebbe accaduto, se non fossimo stati interrotti da qualcuno.  “Ragazzi!”  chiamò qualcuno alle spalle di Vegeta. Sporsi la testa lateralmente, imbattendomi quindi in un paio di enormi iridi spalancate. Sobbalzai leggermente all’indietro, mettendo quindi fine al contatto delle mie mani insieme a quelle di Vegeta. Vegeta mi guardò interrogativo e, che resti tra noi, sembrava quasi infastidito da quella brusca interruzione. Si girò poi a guardare chi era colui, o meglio colei, che aveva interrotto quel magico momento. Sobbalzò leggermente anche lui, quando si ritrovò faccia a faccia con un enorme viso e dei capelli biondo platino. “Ma- ma quella non è la Barbie della Dalton?” gli sussurrai all’orecchio. Lui annuii leggermente, continuando a guardare la donna con un espressione indagatoria in viso. “Sbaglio, o voi due fate parte del Glee Club di questa scuola?” disse quindi la tipa. Annuimmo entrambi, ancora curiosi di conoscere il motivo della sua presenza. Un grande sorriso prese forma dalle enormi labbra della Barbie a dimensioni naturali, che disse poi: “Bene, allora vi ho trovato! Non so se vi ricordate di me, ma sono la guida scolastica della Dalton, vi ho accompagnato a visitare la scuola quando avete assistito all’esibizione dei nostri usignoli.” Certo che ci ricordavamo di lei. Come dimenticarsi di quella voce troppo acuta e quel modo di parlare fin troppo stucchevole? “Le serve qualcosa? Come mai è qui?” chiesi, non nascondendo la mia curiosità. Sorrise nuovamente:“Sono qui perché devo consegnarvi questa. È per il vostro Glee Club, da parte dei nostri Usignoli!” dicendo ciò, ci porse una bustina bianca, contenente probabilmente una lettera. All’esterno, ad eleganti caratteri dorati, vi era scritto “Dalton high school”, l’indirizzo della scuola e altre informazioni che non interessavano ne a me ne a Vegeta. La cosa importante, si trovava all’interno di quella busta. Vegeta afferrò deciso la busta, cercando inutilmente di nascondere la sua curiosità. Stava per scoprire il contenuto di quella missiva, quando la Barbie lo riprese subito: “Ah no, dovete aprirla insieme ai vostri amici!” Vegeta sbuffò, pronto di certo a dire qualcosa come: “Io faccio come mi pare, non permetto a nessuno di darmi ordini!” e altre espressioni tipicamente sue. Fortunatamente, intervenni io, rispondendo quindi al suo posto: “D’accordo, faremo così, non si preoccupi. Grazie mille, comunque!” la donnona mi sorrise. “Bene, Buona giornata!” squittì prima di girarsi e cominciare ad ancheggiare vistosamente verso l’uscita della scuola. Io e Vegeta restammo a guardarla allontanarsi ancora piuttosto confusi. Proprio in quel momento, la campanella suonò, annunciando la fine dell’intervallo. Prima di dirigermi in classe, presi la busta dalle mani di Vegeta, che mi guardò piuttosto torvo. “Meglio che la tenga io. Non so quanto tu possa essere affidabile con questa lettera in mano. Sai, non vorrei che la curiosità ti divorasse …” detto questo, Vegeta sbuffò incrociando le braccia e guardando altrove: “Tsk, sai che mi importa di ciò che vogliono quei figli di papà della Dalton! Semmai sarai tu quella pericolosa che non vede l’ora di sapere cosa c’è scritto lì dentro!” disse accusandomi. Feci un leggero risolino, scuotendo leggermente il capo. “Ci vediamo dopo, Vegeta.” Dissi prima di voltarmi. “Ah!” , mi ricordai poi, tornando a volgere la mia attenzione su Vegeta. Lui mi guardò interrogativo, mentre io mi sfilavo una forcina dai capelli azzurri. “Prova con questa.” Gli dissi, porgendogli il fermaglio. Piuttosto stralunato, Vegeta non fece però molte storie, prendendo in mano la forcina, senza dire nemmeno un grazie. Non accennò minimamente ad usarla in mia presenza, perciò decisi finalmente di dirigermi verso la mia classe. Dopo aver percorso qualche passo però, girai per un attimo la testa, scoprendo un Vegeta intento ad aprire il suo armadietto con la mia forcina. Sorrisi, prima di dirigermi definitivamente in classe.
“Ragazzi buongiorno, scusatemi per il ritardo!” disse un trafelato Professor Dawson, spalancando la porta dell’aula sette, l’aula canto. Come sempre, rispondemmo tutti quanti con un corale: “Buongiorno, non si preoccupi!” ormai abituati ai ritardi del nostro insegnante. Non avevamo ancora aperto la busta consegnataci stamattina. Sarebbe stato meglio aprirla dopo le lezioni, fuori dalla scuola, e si, senza il nostro insegnante. Non perché non volessimo renderlo partecipe di ciò che accadesse anche con altri Glee Club della città, ma il fatto era che ci sarebbe piaciuto gestire la cosa, qualunque essa fosse, da soli. Così, quando il nostro insegnante entrò, ne io ne Vegeta accennammo minimamente alla visita della guida scolastica della Dalton, tantomeno alla missiva inviataci dagli Usignoli. “Allora ragazzi, ho una novità per voi!” proclamò il Professor Dawson, appoggiando la sua borsa e la sua giacca sul vecchio pianoforte. Incuriositi, lo spingemmo a continuare, ottenendo così una risposta. “Calmi, calmi, adesso vi spiego. Vedete, dato che è già passata una settimana dall’inizio dei corsi scolastici, il Preside Muten vuole dare un’occhiata a come procedono i vari laboratori. Perciò, venerdì sera all’Auditorium, ogni club scolastico mostrerà l’andamento del proprio lavoro con un’esibizione o mostrando i progetti realizzati, in base al loro laboratorio. Sono perciò lieto di annunciarvi, che anche noi ci esibiremo con un brano coreografato. A quanto ho letto dalla scaletta, saremo gli ultimi ad esibirci, dopo la squadra delle Cheerlader, perciò direi di cominciare subito a preparare qualcosa. Vi esibirete di fronte a tutta la scuola, e il Preside tiene molto a queste attività extrascolastiche, perciò vuole che quella sera sia tutto perfetto. Chiaro?” annuimmo tutti. Quindi, tra tre giorni, ci saremmo dovuti esibire di fronte a tutta la scuola. All’Auditorium. Noi. Bene. Dovevamo metterci a lavorare. “Okay, direi che possiamo cominciare, che ne dite?” chiese il Professor Dawson. Si,possiamo cominciare.
Non appena le lezioni finirono, ci precipitammo tutti quanti fuori dalla scuola. Avevo accennato agli altri qualcosa riguardo una lettera arrivata stamattina, ma non avevo aggiunto altro, perciò erano tutti incredibilmente curiosi. Una volta arrivati al bar, i ragazzi cominciarono a tartassarmi di domande, riguardo questa famosa lettera. Vegeta se ne stava zitto, seduto al suo solito angolino a bere la sua aranciata. Dopo aver tentato di placare la curiosità di tutti, mi decisi finalmente ad estrarre la busta dalla tasca laterale dei miei Jeans, dove l’avevo riposta qualche ora prima. Non l’avevo toccata minimamente ne tantomeno avevo tentato di aprirla. “Alla faccia tua Vegeta!” pensai, mentre prendevo in mano la bianca busta, diventata in quel momento l’oggetto dell’attenzione di tutti. Con una lentezza a dir poco esasperante mi accinsi ad aprire la lettera. Vegeta, spazientito, mi prese la busta dalle mani, trapelando quindi tutta la curiosità che aveva tentato di celare. “Oh, dammi qua!” sbottò infatti, strappandomi la lettera dalle mani. Non mi arrabbiai con lui, ero troppo intenta a compiacermi di come ero riuscita a smascherarlo. “Ma come, Vegeta? Non avevi detto che a te non importava niente di cosa volevano quelli della Dalton?” chiesi melliflua e con un tono indubbiamente ironico. Rosso di rabbia, Vegeta volse lo sguardo verso di me. “Vuoi stare zitta per una buona volta, o è troppo difficile tenere chiusa quella boccaccia che ti ritrovi?!” rispose. Mi infuriai. “Ma come ti permetti, razza di idiota?! Sei tu che ti contraddici continuamente con i tuoi gesti e i tuoi discorsi menefreghisti!” “Ah si?! Senti chi parla, Miss Rompi …” “Ragazzi!” urlò poi Chichi. Vegeta infatti non finì il suo insulto, poiché la ragazza dai capelli corvini ci aveva richiamato, urlando per sovrastare le nostre voci. Posammo in contemporanea i nostri occhi su di lei, notando che aveva preso in mano la lettera e la stava leggendo avidamente. “Ra –ragazzi. Quelli della Dalton vogliono incontrarci stasera.” “Cosa?!” esclamammo tutti curiosi. “Cos’altro dice?” chiesi alla mia amica. Scosse la testa. “Nient’altro. Dice solo che gli “Usignoli” vogliono incontrarci davanti alla loro scuola alle sei e mezzo. Dicono che vogliono fare un incontro amichevole, ma qui amichevole è scritto tra le virgolette! Significa che non sarà affatto un incontro amichevole …” piagnucolò lei.  “Andiamo Chichi. Magari vogliono davvero incontrarci per scambiare quattro chiacchiere …” tentò di rassicurarla Goku, alzando per un attimo gli occhi dal suo amato cibo. Annuii leggermente anche io, ma in realtà, non ero pienamente convinta.
Alle sei e venticinque minuti, eravamo arrivati di fronte ai cancelli della Dalton. Nervosi e agitati, continuavamo a guardarci intorno, alla ricerca di coloro che ci avevano invitato lì. Pochi minuti dopo, vidimo finalmente arrivare i famosi “Usignoli”, fasciati nelle loro perfette divise scolastiche e armati di un sorriso fin troppo finto. “Ciao ragazzi. Voi dovete far parte del Glee Club della Orange high school, siete le Voci fuori dal coro, se non sbaglio …” disse una di loro, sorridendo in modo sinistro. “No, non sbagli. Siamo noi.” Risposi, prendendo in mano la situazione. Un sorrisetto inquietante prese posto sul viso di tutti quei damerini. “Prego.” Continuò la ragazza. “Seguiteci.” Concluse, avviandosi verso l’ingresso della scuola. Li seguimmo senza fare domande, nessuno fiatò fino a quando non raggiungemmo il portone del loro Auditorium. Una volta spalancato, il gruppetto entrò nel loro immenso teatro, con noi dietro. “Allora,” pronunciò poi la ragazza di prima. “Vi starete chiedendo sicuramente come mai vi abbiamo fatto venire qui.” Annuimmo tutti, ormai pendenti dalle labbra di quella biondina. Sorrise leggermente. “Beh, per un semplicissimo motivo. Voi avete assistito alla nostra esibizione qualche giorno fa, perciò vi siete resi conto di che tipo di avversari siamo. Però,lo stesso non si può dire di noi. Eravamo così curiosi di sapere cosa foste in grado di fare, così vi abbiamo chiesto di venire qui oggi, per darci una dimostrazione delle vostre capacità.” Concluse. Strabuzzammo gli occhi. Non potevamo esibirci così, non avevamo preparato niente. L’unica cosa che avremmo potuto fare era mostrare loro l’esibizione che avremmo eseguito venerdì. Ma non era ancora pronta, perciò niente da fare. “Mi –mi spiace, ma noi non abbiamo preparato niente e così, su due piedi, non siamo in grado di esibirci …” “Oh no, tranquilli. Non vogliamo vedere una vostra esibizione. Avevamo pensato piuttosto ad una sfida.” Corrucciammo lo sguardo incuriositi. “Una sfida?” chiesi io. “Si, una sfida. Vedete, avevamo intenzione di fare una piccola sfida fra la nostra miglior cantante, contro la vostra voce più bella. Semplice, no?” rispose poi la ragazza. Ci guardammo un attimo. Uno di noi avrebbe dovuto “sfidare” un membro degli Usignoli, in un duetto? Era questo ciò che ci avevano richiesto? Probabilmente, le loro intenzioni erano ben diverse da quelle annunciate. Non avevano di certo voglia di confrontarsi con noi, per capire che tipo di avversari fossimo stati. In realtà, il loro intento era quello di metterci ancora più in ridicolo di quanto non avesse causato la loro esibizione di qualche giorno prima. Lo avevamo capito tutti che il loro intento era solo quello di metterci in imbarazzo. Nonostante ciò, una voce proveniente dal nostro gruppo, proclamò: “Accettiamo.”  Ci voltammo tutti verso la provenienza della voce. “Vegeta!” esclamai sorpresa. Vegeta infatti, era rimasto in fondo al gruppo e non aveva aperto bocca fino a quel momento. “Ma cosa dici?” gli chiese un incredulo Crillin. Fece quel mezzo sorriso accennato che lo rendeva ancora più intrigante, rispondendo poi: “Dico che per noi va bene. Accettiamo.” La tipa della Dalton sorrise in modo sinistro. “Bene. Allora noi andiamo a prepararci. Quando avrete scelto chi canterà per voi, potrete pure accomodarvi. Il vostro miglior cantante invece, dovrà salire sul palcoscenico.” Dicendo ciò, si allontanò insieme al suo gruppo, in direzione del palco. Mi girai verso Vegeta, attaccandolo come una furia: “Ma io dico, cosa ti è saltato in mente!? Accettare così, senza nemmeno consultarti con noi?!” “Vai.” Disse lui, mantenendo la calma. Strabuzzai gli occhi. “C-come scusa?” chiesi sorpresa. “Ho detto vai. Sali su quel palco e canta. Il loro intento è quello di metterci in ridicolo? E noi non glielo permetteremo. Adesso sali e canta.” Disse lui. Aspettate un attimo. Cioè, lui aveva appena ammesso che grazie a me non avremmo fatto nessuna figuraccia? Aveva appena affermato in modo implicito che io ero la miglior cantante all’interno delle “Voci fuori dal coro”? “Aspetta un attimo. Perché devo andarci proprio io? Chi dice che sono io la miglior voce tra di noi?” chiesi infatti piuttosto turbata.  A differenza delle mie aspettative, anche gli altri ragazzi mi spinsero a salire sul palcoscenico e a rappresentare tutti loro. “Andiamo Bulma, fallo per noi!” disse Chichi. “Sei l’unica che può dimostrargli quanto si sbagliano!” continuò poi Yamcha. Così, dopo un incoraggiamento e l’ altro, mi decisi finalmente ad accettare quella sfida. “Va bene, va bene, vado!” dissi arrendendomi. I miei amici si sedettero su alcune delle poltrone, lasciandomi quindi lì in mezzo alle due file di posti, immobile e tremante. Ero agitata, più che agitata. Stavo per incamminarmi verso il palco, quando una voce mi sussurrò all’orecchio: “Sbaglia anche solo una nota, e dovrai vedertela con me.” Vegeta. “Grazie dell’incoraggiamento!” sbuffai nervosa. Nonostante ciò, Vegeta sembrò non volersi staccare dal mio orecchio, dove dopo pochi secondi, sussurrò nuovamente, stavolta in tono dolce: “ Stendili tutti. Fagli vedere chi sei.” Sgranai gli occhi. Non poteva aver davvero detto una cosa simile. Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata. Perfetto. Non bastava avere il battito accelerato dall’ansia, adesso ci si mettevano in in mezzo anche le palpitazioni a causa di Vegeta. Guardai il diretto interessato, che nel frattempo si era staccato da me, e mi stava guardando, incitandomi con lo sguardo ad andare. Gli sorrisi dolcemente, e dopo aver preso un respiro profondo, mi decisi ad incamminarmi verso il palco. Salii le scalette del palcoscenico con tutta calma, e una volta arrivati lì sopra, mi imbattei in una ragazza dai capelli castani e dal sorriso per nulla amichevole. “Così tu saresti la loro cantante migliore …” disse lei, con un tono di disprezzo. Le sue parole mi avevano infastidito, ma per nulla al mondo avrei fatto il suo gioco, perciò sorridendo, risposi. “Beh, almeno così dicono. Sono Bulma, piacere.” Dissi, porgendole la mano. “Sono Valese.” Rispose, guardando la mia mano infastidita, senza quindi stringerla. “Allora, che canzone vuoi cantare?” chiese con finto tono gentile. Alzai le spalle. “Per me va bene qualsiasi cosa. Scegli tu.” Le risposi. Sorrise in modo diabolico. “Va bene. Ti concedo comunque l’onore di cominciare a cantare per prima. Non vorrei che dopo aver sentito la mia voce, ci rimarresti troppo male, da non riuscire a cantare.” Disse melliflua. Sorrisi leggermente. “Oh, tranquilla, non credo ci sia questo pericolo. Comunque ti ringrazio, comincerò io.” Detto ciò, la moretta mi guardò male, porgendomi poi un microfono. “Randy!” gridò. Subito dopo, in tutto l’Auditorium si spanse una melodia piuttosto famosa. Sorrisi. Conoscevo perfettamente quella canzone. Guardai per un attimo in direzione dei miei amici, che mi sorridevano incoraggianti. Dopo un’ultima occhiata, chiusi gli occhi e cominciai a cantare: (https://www.youtube.com/watch?v=QfQg16uO4fY canzone cantata da Bulma e Valese)

Bulma:
Some folks like to get away,
Take a holiday from the neighborhood.
Hop a flight to Miami Beach or to Hollywood.
But I'm takin' a Greyhound on the Hudson River line.
I'm in a New York state of mind.


Non appena cominciai a cantare, sentii il peso che mi stava opprimendo il cuore alleggerirsi, fino a scomparire quando vidi l’espressione di Valese. Non appena cominciai a cantare il suo viso prima sfacciato e sicuro di se, diventò una maschera di incredulità e rabbia. Non credeva avessi una voce del genere. Sorrisi soddisfatta. Il loro piano cominciava a fare acqua da tutte le parti.

Valese:
It was so easy livin' day by day
Out of touch with the rhythm and blues
But now I need a little give and take


Quando toccò a lei cantare, stavo per scoppiare a ridere. Attaccò la nota con una tale frustrazione e una rabbia in viso, tanto che continuava a guardarmi con disprezzo. Nonostante ciò però, aveva davvero una bella voce.

Bulma:
The New York Times

Valese:
the Daily News.

Bulma:
It comes down to reality, and its fine with me cause I've let it slide
 
Valese:
I don't care if it's Chinatown or on Riverside.
 
Bulma:
I don't have any reasons.
 
Valese:
I left them all behind.
 
Bulma:
I'm in a New York state of mind.

Il duetto era ormai diventato una specie di botta e risposta. Valese era sempre più strabiliata e al contempo arrabbiata nel sentire la mia voce, mentre io continuavo a cantare soddisfatta, consapevole che il loro piano era andato in fumi. E tutto grazie alla mia voce. Chi lo avrebbe mai detto.

Valese:
I'm just taking a Greyhound
 
Bulma e Valese:
on the Hudson River line.
 
Bulma:
Cause I'm in a,
 
Valese:
I'm in a New York
 
Bulma:
state
 
Valese:
of
 
Bulma e Valese:
mind!
New York state of mind.
 

E così, il nostro duetto finì. I miei amici si erano alzati in piedi ed avevano cominciato a battere le mani entusiasti. Gli Usignoli invece erano rimasti immobili, a bocca aperta, un po’ come la volta in cui assistemmo per la prima volta alla loro esibizione. Valese continuava a guardarmi arrabbiata, consapevole che non erano riusciti nel loro intento, e che alle Provinciali si sarebbero dovuti mettere d’impegno per batterci. Gli sorrisi sinceramente, complimentandomi con lei: “Sei stata brava. Sai, sono felice di dovermi fronteggiare nuovamente con te alle Provinciali. Non vedo l’ora.” In risposta, lei sorrise diabolicamente, rispondendo poi: “Vedremo chi vincerà. Non montarti troppo, hai una bella voce, ma questo non significa che tu e il tuo gruppetto di sfigatelli riuscirete a batterci. Nessuno ci è mai riuscito. Ci vediamo alle Provinciali, perdenti.” Detto questo, si allontanò, insieme ad un gruppo di Usignoli ancora increduli. Scesi dal palco, e una volta a terra, i miei amici mi vennero incontro abbracciandomi e complimentandosi con me. In mezzo a tutti quegli abbracci, scorsi Vegeta in un angolo, e sorridendo, gli feci l’occhiolino. E lui ricambiò, con il suo solito mezzo sorriso. Quel giorno, eravamo tutti felici. Per la prima volta, uscimmo da quel posto, tutti insieme e con il sorriso stampato in viso. E per la prima volta non ce ne andammo da perdenti, ma da vincitori.
 
Nota autrice.
Eccoci arrivati al diciottesimo capitolo della storia! A quanto pare, come avrete notato, in questo capitolo c’è stata una sfida canora tra Bulma e una degli Usignoli … e la nostra Bulma li ha lasciati a bocca aperta! La canzone (vi ho inserito il link sopra al testo, e vi consiglio di ascoltarla) è New York State Of Mind, di Billy Joel, ma il video  inserito è una versione fatta dal cast di Glee. Se volete farvi un’idea della voce di Bulma, vi dico che nel video, è la prima ragazza tra le due che inizia a cantare. Guarda caso, quello è anche il mio personaggio preferito nella serie televisiva, e non so se lo avete notato, ma è anche la stessa cantante dell’esibizione del capitolo scorso. Insomma, per farla breve, è così che mi immagino la voce di Bulma. ;) dopo questo monologo praticamente inutile, vi saluto, ringraziandovi già da ora per l’attenzione! Aspetto vostre recensioni! ;) al prossimo capitolo
Saluti
TWOTS

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Capitolo 19
*** Panico da palcoscenico e qualcuno da amare ... ***


I tre giorni passarono, e così arrivò il tanto agognato venerdì dell’esibizione. Eravamo pronti: durante quei tre giorni avevamo messo su un’esibizione niente male, ed eravamo certi che al Preside sarebbe piaciuta, e chissà, magari anche agli altri studenti. Sinceramente, tutti gli altri alunni della nostra scuola, non avevano la più pallida idea di chi fossero le “Voci fuori dal coro”, perciò questa sarebbe stata la buona occasione per farci conoscere all’interno dell’istituto. Non eravamo in cerca di popolarità, intesa come essere ricchi sfondati e fidanzati con un giocatore di Football o con una cheerleader, ma ci sarebbe piaciuto camminare per i corridoi sentendo commenti del tipo: “Ehi guarda, quella lì fa parte del Glee Club, ha una voce pazzesca!” e cose così. Ma si sa, non sempre i sogni diventano realtà.
Erano le sei quarantacinque minuti. Lo “spettacolo” sarebbe cominciato alle sette, ma tutti gli studenti che avrebbero partecipato erano già lì da mezz’ora. Anche noi arrivammo in anticipo, nonostante ci saremmo dovuti esibire per ultimi, ovvero verso le otto e un quarto. Eravamo davvero un gruppetto buffo: il nostro insegnante a fare da capofila, con un sorriso impacciato e un’aria tutt’altro che professionale, e noi dietro, vestiti tutti allo stesso modo, con una maglia blu e un paio di pantaloni neri. I ragazzi invece, indossavano anche una cravatta nera sopra la camicia blu, e fidatevi se vi dico che convincerli a vestirsi tutti uguali fu piuttosto difficile. In particolar modo impiegai circa quarantacinque minuti a convincere Vegeta ad indossare quella dannata cravatta, ma alla fine si arrese, lasciando che gli sistemassi la camicia in modo impeccabile. Io e lui avremmo dovuto cantare da solisti, perciò la perfezione era il minimo che ci si poteva aspettare dal nostro aspetto. Anche se, che rimanga tra noi, Vegeta sarebbe stato bene anche in pigiama su quel palcoscenico. Andiamo, lo ammetto, era davvero un bellissimo ragazzo. Ma d’altronde, io non ero da meno, perciò era logico che il mio compagno d’esibizione fosse alla mia altezza. Tornando a noi, avreste davvero dovuto vederci: tutti nervosi, continuavamo a guardarci intorno, cercando di nasconderci dietro il nostro insegnante. Dietro le quinte, non vi era nemmeno posto per sedersi. Chi camminava da una parte, chi correva dall’altra, chi dava gli ultimi ritocchi al proprio progetto di scienze, e chi finiva di prepararsi per andare in scena. Certo, ci sarebbe stato un po’ più di spazio se solo le Cheerleader avessero evitato di riprovare la loro coreografia proprio in mezzo a tutta quella marmaglia. Andiamo, sappiamo tutti che lo facevano non perché fossero insicure e avessero bisogno di ripassare la loro esibizione, ma per dar fastidio a noi poveretti accalcati lì dietro e a mostrare a tutti noi il loro “incredibile talento”. Convinte di farci morire d’invidia, non risposero nemmeno quando un timidissimo Professor Dawson chiese loro cortesemente di lasciarci un po’ di spazio per appoggiare almeno le nostre cose. La capo cheerleader lo guardò per un attimo con un sorriso diabolico, tornando poi ad urlare ordini a destra e a manca alle galline che le facevano da amiche. Bellamente ignorato e piuttosto deluso, il nostro insegnante tornò da noi, rivolgendoci un sorriso imbarazzato e invitandoci a lasciare le nostre cose nel bagno, essendo l’unico luogo dove era rimasto un minimo di spazio. Scoraggiati, facemmo così, e una volta sistemate alla bel meglio i nostri affetti personali vicino al lavandino, o appeso le borse sulla porta del bagno, tornammo nuovamente di là. Nel frattempo, si erano già fatte le sette, ragion per cui, l’enorme confusione sembrava essersi zittita leggermente, dato che a breve una presentatrice avrebbe dato il via allo spettacolo. Infatti una delle insegnanti di scienze (una vecchia rimbambita con vestiti a dir poco osceni per la sua età) uscì sul palco, dove tra un colpo di tosse e l’altro, diede il via alle “danze.” Mentre sul palco si alternavano i vari laboratori e club (permettetemi di dirlo, alcuni davvero patetici), mi concessi di sbirciare un po’ da dietro le quinte, giusto per rendermi conto della quantità di studenti presenti ad assistere a quello scempio. Scorsi ad uno ad uno le facce sconvolte e sconsolate del Preside,e quelle a dir poco inespressive degli insegnanti, fino a quando non li vidi. Erano tutti lì, seduti in gruppo, che ridevano e sghignazzavano sadicamente tra di loro. Nappa, Radish, Zarbon, Dodoria ed infine lui, il loro capo. Freezer. Freezer era il capo di tutta quella banda di bulli della nostra scuola che in quei due anni mi aveva perseguitato senza pietà. Ma Freezer era anche il figlio del vice preside, perciò guarda caso, lui e i suoi amichetti non erano mai stati espulsi, nonostante tutto quello che avevano combinato. Mi irrigidii di colpo. Il sangue si gelò nelle vene e i miei occhi sbarrati si oscurarono da un velo di preoccupazione. Non potevo esibirmi lì, di fronte a loro. Se in quella settimana sembravano essersi scordati di me, sicuramente dopo avermi visto su quel palco avrebbero ricominciato a torturarmi e a perseguitarmi. Non potevo sopportarlo. Così, con il cuore in gola, le mie gambe presero a correre da sole, dirette verso l’unico luogo dove sarei potuta stare tranquilla a sfogarmi in pace. Nel bagno. Passai davanti a Chichi, che vedendomi in quello stato mi richiamò preoccupata, senza ricevere però una mia risposta. Non sentivo niente, non volevo vedere niente. Volevo solo chiudermi dentro quel bagno e non uscirne più. “Ma che cos’ha Bulma?” chiese Goku ad una sconvolta Chichi. Scosse debolmente la testa. “Non ne ho idea.” “Ragazzi, tra dieci minuti tocca a voi, cominciate a prepararvi!” esclamò il nostro insegnante. Si radunarono tutti quanti in cerchio e solo in quel momento, si resero conto della mia mancanza. “Ragazzi, ma Bulma dov’è?” chiese Crillin guardandosi intorno. “Prima l’ho vista correre verso il bagno. Non so, sembrava stesse piangendo, non sono riuscita a fermarla.” Disse Chichi dispiaciuta. “Accidenti, se quella gallina non viene subito qui, giuro che vado a prenderla per i capelli e la porto qui con la forza!” sbottò Vegeta arrabbiato. “Calmi, non serve agitarsi. Andiamo a vedere cosa le è successo e poi la portiamo qui. Abbiamo ancora dieci minuti prima del nostro turno.” Disse risoluto il nostro insegnante. andando verso i bagni, una delle cheerleader si scontrò con Vegeta. “Oh, ma dove andate così di fretta? Cercate per caso la vostra amichetta con i capelli azzurri? L’ho vista correre disperata verso il bagno poco fa. Certo che è proprio una tipa strana, povera sfigata!” dicendo ciò, scoppiò in una risata sguaiata e a dir poco irritante. “Smettila!” le urlò contro Vegeta, spostandosela poi di dosso e correndo come una furia verso il bagno. Entrarono tutti quanti lì dentro, alla mia ricerca. Non impiegarono molto a trovarmi, vedendo le mie converse bianco- colore indefinito da sotto la porta di uno dei gabinetti. “Bulma!” disse Chichi, bussando alla porta. Non risposi, ma non riuscii a trattenere un singhiozzo disperato. Mi facevo pena da sola. Io che parlavo tanto da messia, spingendo i miei amici a non mollare e a farsi valere, adesso ero chiusa in un cesso, a piangere  terrorizzata dall’idea di salire su quel palcoscenico. E tutto perché avevo visto le facce di quei bastardi, pronti a deridermi. “Bulma accidenti, che succede?” disse poi Yamcha, sentendomi piangere in quel modo. Niente. Non riuscivo a parlare, ormai ero diventata un fiume in piena. In quel momento, decise di intervenire il nostro insegnante, dicendo quindi dall’altra parte della porta: “Bulma, sono io, il Professor Dawson. Va tutto bene, che succede?” a quella gentile richiesta, riuscii finalmente a trovare le parole per rispondere. “N- non va bene niente, professore. I-io, io non voglio esibirmi. Non ci riesco.” Dissi tra le lacrime. A quel punto, i visi di tutti i miei amici erano diventati una maschera di incredulità e terrore. “Bulma, ma che dici? Che significa che non vuoi esibirti? Stai scherzando, spero!” disse poi C18, sgomenta.  Ancora singhiozzando risposi: “Non sto scherzando , ho paura, non ci riesco! Ci sono loro là fuori, ad aspettarmi …” lo sguardo del nostro insegnante si fece curioso: “Loro chi, Bulma? Chi c’è ad aspettarti?” chiese infatti. Non risposi, continuando a singhiozzare. Non volevo coinvolgere anche loro, in quegli atti di bullismo che mi aspettavano. “Professore, mancano cinque minuti e poi tocca a noi, che facciamo?” chiese un preoccupato Crillin. “Senza di lei non possiamo andare in scena!” continuò Tensing. Il Professore si accigliò pensieroso. Nessuno fiatò. Per qualche secondo, nel bagno risuonarono solo i miei singhiozzi, accompagnati dai passi nervosi di qualcuno al di là della porta che faceva avanti e indietro per il bagno. “Andate fuori.” Disse poi qualcuno. Alzarono tutti il capo verso colui che aveva parlato, e anche io dietro la porta del bagno sgranai gli occhi, riconoscendo quella voce. “Ma Vegeta, che hai intenzione di fare?” chiese Goku preoccupato. “Andate fuori. Ci penso io.” Ripetè con calma. Il Professor Dawso annuii, capendo probabilmente le sue intenzioni. “Venite ragazzi.” Disse infatti ai nostri compagni, uscendo seguito dai miei amici più confusi che mai. Restammo solo io e Vegeta. Io dietro la porta di un gabinetto a piangere, lui dall’altra parte in silenzio. “Senti.” Cominciò poi, appoggiando la testa sulla porta. “Non so per quale dannato motivo tu abbia cambiato idea e non voglia esibirti. Però sappi una cosa: se non esci da lì dentro, non risolverai niente.” Sospirai. “Vegeta, tu non capisci. Là fuori ci sono i bulli che mi hanno perseguitata in questi anni, e non so per quale arcano motivo quest’anno non mi hanno ancora infastidito. So solo che se esco e vado a cantare su quel palco, puoi star certo che ricominceranno a torturarmi come hanno sempre fatto. E io …” “Ascolta!” mi bloccò lui. Lo avevo visto sedersi per terra, appoggiando la schiena alla porta e girando leggermente il capo verso la serratura. “Se il problema sono quei quattro bulletti, allora sei davvero una sciocca!” “Oh certo, io sarei una sciocca! Allora scusami tanto, ma sai, non ci tengo a farmi pestare e ad essere riempita di botte da quei tipi che si divertono a farmi soffrire!” sbottai arrabbiata. Vegeta, sospirò. Passò qualche secondo, durante i quali anche io mi sedetti nella stessa posizione di Vegeta, schiena al muro e gambe strette al petto. Solo una sottile porta a dividerci. “Va bene, allora mettiamola così. Tu mi hai praticamente torturato fin a che non ho accettato di cantare con voi, perciò credo che tu ora me lo deva. E poi, se vuoi davvero diventare qualcuno, come predichi sempre, non è stando a piangerti addosso di fronte ad un gabinetto che ci riuscirai. Se scappi sempre, puoi star certa che non la finiranno di perseguitarti. Rinunciando a cantare di fronte a loro, gli darai maggiore conferma di quanto ti incutano paura e ti mettano in soggezione. Lasciali stare, per una volta pensa a vivere davvero e a fare quello che ti piace fare, senza pensare a chi ti guarda. Fallo per questo maledetto Glee Club, per tutte le “voci fuori dal coro”, per questo branco di idioti che chiami amici, fallo per me. Ma soprattutto, fallo per te.” Concluse lui. Avevo gli occhi sbarrati. Vegeta aveva appena pronunciato il discorso più lungo della sua vita, e interamente con un tono di voce calmo e dolce. E poi, tutto quello che aveva detto … aveva dannatamente ragione! Possibile che ogni cosa che dicesse riuscisse a convincermi, a spronarmi e a scuotermi come un uragano? E quel “fallo per me”… Era davvero così importante per lui? Aveva ragione. Piangermi addosso non avrebbe risolto niente. Dovevo fregarmene di quegli idioti, dovevo pensare solamente a ciò che era davvero importante per me. E l’unica cosa importante, erano “Le voci fuori dal coro”. Così dopo aver preso un respiro profondo, mi alzai in piedi, aprendo la porta. Anche Vegeta si era alzato, e vedendomi uscire dal bagno, sorrise leggermente. Gli sorrisi anche io riconoscente, guardandomi poi un secondo allo specchio. “Oh mio Dio, ma sono orribile!” gridai riacquistando il mio spirito allegro, precipitandomi verso il lavandino, e cominciando a sciacquarmi il viso con l’acqua fredda. Vegeta sbuffò, dicendo poi: “Sai che razza di novità!” lo guardai, fulminandolo con lo sguardo. “Forza muoviti, tocca a noi!” disse poi, uscendo dal bagno. Eccolo, era tornato il solito Vegeta. “Aspettami, arrivo!” dissi, dando un’ultima sistemata al mio viso. Ero più decisa che mai, dopo quella chiacchierata con Vegeta, niente mi avrebbe fermato. “Vegeta!” lo richiamai, correndo insieme a lui sul corridoio. Si girò un attimo a guardarmi, dicendo poi: “Cosa vuoi?” gli sorrisi riconoscente. “Grazie” risposi. Accennò una leggera increspatura delle labbra, riprendendo poi: “Forza muoviti!” in tono brusco. Alzai gli occhi al cielo e poi, pronta ad esibirmi, corsi verso il palco.
Non appena i miei amici ci videro arrivare, sbarrarono gli occhi dalla sorpresa. “Bulma! Sei pronta! Vegeta, ma come …” chiese Chichi. “Non ha importanza , forza saliamo su quel maledetto palco, tocca a noi!” borbottò Vegeta. Il professor Dawson, dopo averci augurato in bocca al lupo, sparì tra la platea, andando a  sedersi vicino alla signorina Videl, curiosa di vedere la nostra esibizione. Il sipario era chiuso, così ci posizionammo sul palco come previsto. Io e Vegeta ci scambiammo un’ultima occhiata, proprio mentre il sipario si apriva. E Vegeta, cominciò a cantare la canzone che avevamo scelto.(http://www.youtube.com/watch?v=CDkhFFDZHi4 esibizione dei ragazzi)
Vegeta:
Can …

Tutti insieme:
...anybody find me somebody to love?

Bulma:
Ooh-ooh,
Each morning I get up I die a little
Can barely stand on my feet

 
Tutti:
Take a look at yourself
 
Vegeta:
Take a look in the mirror and cry

Tutti:
In the mirror and cry

Vegeta:
Lord what you're doing to me

Bulma insieme agli altri:
I have spent all my years in believing you
But I just can't get no relief, Lord!


Tutti insieme:


Can anybody find me
Bulma:
Somebody to love?
 
Avevamo scelto di cantare “Somebody to love” dei Queen. Avendo poco tempo a disposizione, fummo costretti ad interpretare una versione ridotta di quella meraviglia, ma andava comunque bene. Io continuavo a cantare insieme a Vegeta, e sorridevo, felice perché stavo finalmente facendo qualcosa che amavo. Non mi importava nulla degli sguardi minacciosi di quei bulli su di me, nemmeno della faccia estasiata del preside o quella felice del Professor Dawson, ne tantomeno del fatto che Videl si fosse commossa nel vederci cantare in quel modo. Mi importava solo stare insieme alle “Voci fuori dal coro”. Insieme ai miei amici.

Vegeta:
Got no feel, I got no rhythm
I just keep losing my beat


Tutti:
You just keep losing your beat

Bulma:
I'm ok, I'm alright

Tutti:
He's alright, he's alright

Bulma:
Ain't gonna face no defeat

Tutti:
I just gotta get out of this prison cell
Someday I'm gonna be free, Lord!


Tutti:
Find me somebody to love
Find me somebody to love
Find me somebody to love


Vegeta:
Oooh!

Tutti:
Find me somebody to love
Find me somebody to love


Bulma:
Eeh-ooh!

Tutti:
Find me somebody to love
Find me somebody to love

 
Tutti:
Somebody, somebody, somebody, somebody, somebody, somebody,
Somebody find me somebody to love

Can anybody find me
 
Chichi:
Somebody to... Love!
 
Find me somebody to love...

Bulma:
Somebody find me

Vegeta:
Find me...

Bulma:
Somebody find me
Somebody to love

 
Somebody to love

Bulma:
Find me somebody to...

Tutti:
...love!
 
Tutti insieme, con le mani rivolte verso l’alto. Così finimmo la nostra esibizione, di fronte ad un pubblico scioccato. Nessuno avrebbe mai pensato che proprio loro, quei ragazzini seduti in ultima fila in classe, quelli che stavano sempre in silenzio, che non alzavano mai la mano per paura di dire qualcosa di sbagliato, nascondessero delle voci così. E poi, fu tutto confuso. La platea esplose in un boato di applausi e grida. Io ero rimasta a bocca aperta: tutto quello era per noi? Stavamo davvero riuscendo a diventare qualcuno? Mi bastò guardare i volti felici ed increduli dei miei compagni, per darmi una risposta. Si, qualcosa stava cambiando.
 
Nota autrice:
salve a tutti ed eccoci qua con il diciannovesimo capitolo della storia! Beh, non so che dirvi, se non che spero che il capitolo vi sia piaciuto! Non so se avete notato sopra, prima del testo, ma ho inserito il link dell’esibizione delle “Voci fuori dal coro”… vi consiglio di guardarlo, perché l’esibizione è proprio come quella, l’ho immaginata così! :) come sempre vi ringrazio per l’attenzione, e vi aspetto al prossimo capitolo! Aspetto vostre recensioni! ;)
saluti
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Capitolo 20
*** Granite in faccia ... ***


Il giorno dopo l’esibizione, nell’aria cominciava a sentirsi un cambiamento. Insegnanti, alcuni studenti (non i popolari ma quelli normali) ci salutavano con un cenno del capo e sorridevano, cosa che non era mai accaduta sino ad ora. Dopo l’esibizione, nemmeno i bulli si erano fatti sentire o vedere, e questo mi portava a sperare che quell’incubo fosse finito. Ma mai cantare vittoria troppo presto …
Finita l’ultima ora di lezione, io e Chichi ci stavamo dirigendo insieme verso l’ aula canto per la lezione di quel giorno. Chiacchieravamo tranquillamente tra di noi, per questo in un primo momento non mi accorsi della loro presenza. “Guarda guarda chi si rivede …” sibilò una voce alle nostre spalle. Rabbrividii subito: avrei riconosciuto quella voce ovunque. “Freezer …” sussurrai, girandomi e scontrandomi con quegli occhi glaciali e inespressivi. Sorrise diabolicamente: “Ho visto che ti piace cantare insieme a tutti quegli sfigatelli … sono i tuoi nuovi amichetti?” disse in tono fintamente gentile. Guardò poi Chichi: “Anche tu cantavi con lei su quel palcoscenico, sbaglio bellezza?” disse in tono mellifluo, prendendole il viso tra le mani. “Lasciami!” protestò Chichi, spostando le mani di quell’essere dal suo viso. “Calmati dolcezza! Sono tutti così antipatici dentro quell’auletta canto?” chiese rivolgendosi poi a me. Strinsi gli occhi in due fessure: “Non ti permettere di insultare i miei amici!” sbottai arrabbiata. Lui e i suoi scagnozzi alle sue spalle risero divertiti: “Però, vedo che hai acquistato un po’ di carattere, mocciosetta! Comunque, come sta tua madre? Sai, l’altra sera ero andato a cercarla al suo “solito posto” ma lei non c’era. Mi è toccato farmi un’altra tipa, ma permettimi di dire che con tua madre è tutta un’altra storia!” disse, scoppiando a ridere insieme ai suoi amici. Una risata diabolica, agghiacciante. Serrai i pugni, sarei scoppiata se solo Chichi non avesse tentato di calmarmi. Anche se ero arrabbiata con mia madre, restava sempre e comunque mia madre, e sentirmi dire queste cose su di lei era piuttosto irritante. “Comunque, vi consiglio di stare attenti. Sapete, quest’anno abbiamo parecchia voglia di divertirci …” dicendo ciò si spostò lasciando che i suo scagnozzi agissero. Non capii molto di quello che successe: so solamente che in quel momento, dai bicchieri che quei tipi tenevano in mano, vidi volare una sostanza colorata, che si schiantò sulla mia faccia e su quella di Chichi. Era gelida. Una granita. “Ahahahha, ci si vede, Perdenti!” disse Freezer allontanandosi, seguito a ruota dai suoi amichetti. Io e Chichi eravamo rimaste immobili. Ci avevano appena tirato una granita in faccia. Cosa ci sarebbe stato di peggio?
Quando entrammo in classe, il nostro insegnante era ,stranamente, già arrivato. “Ecco dov’eravate ma …” spalancò gli occhi vedendoci. “Che vi è successo?!” esclamò sorpreso. In effetti, anche il resto della classe era rimasto a fissarci incredulo. Del resto, voi cosa avreste fatto se due delle vostre compagne fossero entrate in classe ricoperte di granita alla fragola?! “Sono stati Freezer e i suoi scagnozzi … “ dissi arrabbiata. Lo sguardo del Professor Dawson si fece comprensivo. Sapeva che tipi erano i membri di quella banda, ma sapeva anche che essendo figlio del vice preside, Freezer non veniva mai richiamato o altro, così come i suoi amici. Scosse la testa dispiaciuto. “Andate pure a lavarvi. Fate con calma, noi intanto iniziamo.” Disse poi. Annuimmo, dirigendoci verso i bagni. Credetemi o no, da quel giorno, le granite in faccia divennero praticamente un’abitudine.  Ogni giorno infatti, tutti noi membri del Glee Club venivamo tartassati dalla banda di Freezer e dalle loro granite. Passavano per i corridoi, e ogni volta che ci incrociavano, senza nemmeno dire una parola ci tiravano le granite addosso. Ormai avevo praticamente provato tutti i gusti, anche se la mia preferita restava quella ai mirtilli. Anche tutti i miei compagni ci avevano ormai fatto l’abitudine. Lamentarsi con il preside o il vice preside sarebbe stato inutile. D’altronde, colui che aveva dato il via a questa pratica era proprio Freezer. Solo Vegeta non era stato ancora colpito dalla bibita ghiacciata. E raccontarvi ciò che accadde il giorno in cui Vegeta Prince prese la sua prima granita in faccia, mi sembra il minimo.
Al cambio dell’ora, mi piaceva perdermi un po’ per i corridoi alla ricerca di qualcuno dei miei amici. Certo, incontravo sempre qualche granita in faccia sul mio cammino, ma tanto non c’era niente da fare. Quel giorno, camminando per il corridoio del secondo piano, vidi Vegeta di fronte al distributore di bibite. Sorrisi avvicinandomi a lui. Quel giorno, non avevo ancora ricevuto nessuna granita. Strano. “Ehi, Vegeta!” lo chiamai, una volta averlo raggiunto. Alzò per un secondo lo sguardo dalla macchinetta, tornando poi  posarlo su di essa e rispondendo: “Che vuoi?”. Sospirai. “Non voglio niente, ti ho visto e sono venuta a salutarti, ecco tutto.” “Bene, ora che lo hai fatto, puoi andartene.” Rispose lui, sempre senza distogliere lo sguardo dal distributore. Per dispetto, incrociai le braccia e mi misi a fissarlo mentre dopo aver inserito una moneta, prelevava dal distributore un’aranciata. Sapeva che ero ancora lì, ma non disse nulla. Ero così presa dal guardarlo bere la sua bibita, che non mi accorsi che Freezer e la sua banda si stavano avvicinando minacciosamente. Me ne resi conto solo quando la gelida sensazione di una granita al lampone mi inondò il viso. “Ahahahha! Oh, guarda un po’ chi c’è … sbaglio, o tu sei uno dei canterini di quello stupido club?” chiese rivolto a Vegeta. Quest’ultimo intanto, non lo aveva nemmeno degnato di uno sguardo, continuando a bere seraficamente la sua aranciata. Irritato da quell’indifferenza, Freezer si accigliò, ridendo poi subdolamente. “Beh, chi tace acconsente, giusto?” detto questo, prese uno dei bicchieri dalle mani di quel energumeno di Nappa, e con un gesto velocissimo, scagliò la granita in faccia a Vegeta. A quel gesto, quest’ultimo di immobilizzò. Si guardò per un attimo la felpa appena macchiata dalla bevanda colorata, e dopo aver gettato a terra la sua aranciata, si scagliò su Freezer come una furia. “Come ti sei permesso, bastardo!” “Vegeta!” lo richiamai, tentando di fermare la rissa imminente. Ma dopo aver ricevuto un pugno da parte di Vegeta sulla guancia, Freezer si decise a colpirlo a sua volta, spaccandogli un labbro e sferrandogli un calcio sullo stomaco, piegandolo in due dal dolore. Proprio in quel momento, una delle insegnanti attirata dal rumore, fece capolinea sulla scena, mettendo quindi fine allo scontro. “Ma si può sapere cosa succede qui?! Forza, andate tutti e due in presidenza, subito!” urlò poi la vecchia. Freezer sorrise. In presidenza c’era suo padre, come sempre non gli sarebbe accaduto nulla. Vegeta invece, era ancora rimasto a tenersi la pancia dopo il calcio ricevuto. “Vegeta!” mi avvicinai a lui, nel tentativo di soccorrerlo. “Lasciami stare. È-è solo un calcio …” balbettò poi dolorante. Scossi la testa. “Non ti lascio stare, idiota. Andiamo, vengo anche io con te.” Detto ciò, aiutai Vegeta a rialzarsi, e sotto lo sguardo stupito d tutti, ci dirigemmo verso la presidenza.
L’incontro con il vice preside non fu proprio piacevole. Essendo il Preside Muten malato, fu proprio il vicepreside Cold a riceverci. Inutile descrivervi la sua espressione non appena ci vide. Io e Vegeta eravamo ancora sporchi di granita e in più il labbro di Vegeta continuava a sanguinare piuttosto copiosamente, perciò quando entrammo in Presidenza, per tutta la stanza si espanse una risata a dir poco diabolica e agghiacciante. La stessa di Freezer. “Ma prego, accomodatevi.” Fece il signor Cold in modo derisorio. Guardò per un attimo suo figlio che si era seduto su una delle sedie di fronte alla scrivania, e dopo essersi scambiati un cenno d’intesa, rivolse la sua attenzione su di noi. “Posso sapere cosa è successo?” chiese con finta cortesia. Stavamo per iniziare a parlare quando Freezer ci bloccò: “Oh niente di che papà. Vedi, quel tipo lì” e dicendo ciò additò Vegeta, “Mi ha aggredito senza che io facessi nulla.” A quel punto sbottai: “Ma non è vero! Vegeta lo ha aggredito perché lui ci ha tirato addosso delle granite! Vede?!” dissi indicando la mia maglietta e il mio viso ancora cosparso di quella sostanza. Per tutta risposta, il signor Cold scoppiò a ridere: “Per favore, come se io possa credervi.” “Ma è la verità!” protestai. Lui sorrise diabolicamente. “Oh, quindi c’è qualcuno in questa scuola che possa testimoniare il fatto che sia stato proprio mio figlio a farvi ciò?” chiese mellifluo e in modo ironico. Mi morsi il labbro. Era ovvio che sapesse ciò che aveva fatto suo figlio, ma ovviamente negava tutto per difenderlo, come sempre. Ed in più era anche furbo. Tutti gli studenti erano a conoscenza di questo trattamento riservato a noi “Voci fuori dal coro” ma naturalmente nessuno avrebbe mai avuto il coraggio di denunciare l’accaduto. A parte noi membri del “Glee Club”, a cui non avrebbe mai dato retta. Lui sapeva il potere esercitato da suo figlio in quella scuola. Non sentendomi rispondere, sorrise in modo sinistro: “Come immaginavo. Voi due fate parte di quello stupido club dove cantate tutti insieme appassionatamente, giusto?” annuimmo in modo quasi impercettibile. “Quindi il vostro insegnante è il Professor Dawson, o sbaglio?” spalancammo gli occhi. Cosa c’entrava il Professor Dawson ora? “Si è lui. Ma questo cosa c’entra?” chiese infatti Vegeta. Sorrise sadicamente. “Oh niente, non preoccupatevi. Voglio solo fare quattro chiacchiere con questo insegnante …” rispose il Signor Cold. Io e Vegeta rabbrividimmo: cosa voleva dal nostro professore? Freezer nel frattempo sorrise diabolicamente, imitando suo padre. “Beh sapete una cosa? Voglio essere buono con voi due … per stavolta non riceverete nessuna punizione. Però vi consiglio di stare molto attenti …” disse il Signor Cold in modo piuttosto ambiguo. Ci alzammo in piedi. A Freezer non sarebbe successo niente, perciò era arrivato il momento di andarcene. Stavamo per aprire la porta quando il vice preside ci richiamò: “Oh, aspettate un attimo. Sbaglio, o a breve dovrete partecipare ad una gara con il vostro gruppetto di amichetti canterini?”. “Si, dovremmo gareggiare contro altri Glee Club alle Provinciali …” risposi io. Un ghigno si delineò sul volto duro di quell’essere. “Interessante. Potete andare. Oh, in bocca al lupo per queste Provinciali allora.” Concluse mellifluo. “Grazie …” balbettai confusa. Uscimmo in silenzio, chiudendoci alle spalle la porta della Presidenza. “Io vado in classe.” Annunciò poi Vegeta, girandosi e avviandosi verso le aule. Sgranai gli occhi. “Dove hai intenzione di andare conciato così?! Forza, vieni, andiamo a darci una sistemata.” Dissi afferrandolo per un braccio e trascinandolo verso i bagni. Lui mi guardò sorpreso, ma non disse niente, lasciandosi condurre da me. Arrivata in bagno, dissi a Vegeta: “Aspettami un attimo. Vado a cambiarmi.” Dicendo ciò, estrassi una maglietta pulita dallo zaino. Lui mi guardò sorpreso. “Come mai hai una maglietta di ricambio?” chiese infatti. Alzai le spalle, rispondendo poi. “Quando ti danno addosso con le granite per più di una settimana, impari qualche trucchetto importante. Primo fra questi.” Dissi indicando i vestiti puliti. “Portarsi un cambio da casa.” Sorrisi e dicendo ciò entrai nel bagno. Mi cambiai in fretta, timorosa di sentire Vegeta andarsene mentre ero chiusa al gabinetto. Fortunatamente, da sotto la porta del bagno, riuscivo a scorgere le All Stars nere di Vegeta restare immobili, senza muoversi. Potevo stare tranquilla. Una volta cambiata, uscii dal bagno con un asciugamano che avevo portato da casa, pronta ad ogni evenienza. Mi ripulii come meglio potevo il viso e i capelli, dopodiché mi avvicinai a Vegeta. Lui mi guardò preoccupato. “Che hai intenzione di fare?” chiese infatti. Sbuffai. “Vuoi per caso girare tutto il giorno sporco di granita?!” scosse la testa impercettibilmente. “Allora vieni qui e non protestare come tuo solito. Devo solo cercare di darti una ripulita, non ti mangio mica!” risposi io. “Tsk!” sbuffò lui. Nonostante ciò, lasciò che lo ripulissi alla bel meglio dalla bevanda colorata che aveva invaso il suo meraviglioso viso e quei capelli così folti e selvaggi … ma che diamine pensavo?! Lo sguardo mi cadde poi sulle sue labbra. Sottili, serie, così invitanti e rosse … un momento. Rosse?! Ma come … “Vegeta!” esclamai poi. Lui mi guardò confuso. “Cosa c’è?” corrucciai lo sguardo. “Hai tutte le labbra sporche di sangue. Sarà meglio tamponare questa ferita …” dicendo ciò, estrassi un pacchetto d fazzoletti dalla tasca dei miei Jeans. Presi un fazzoletto e con mano tremante cominciai a tamponare la ferita, ripulendo le sue labbra dal sangue. Per tutta la durata della “medicazione” continuai a fissare le sue labbra, incantata da esse. Solo quando il sangue si fu fermato, alzai lo sguardo, incontrando gli occhi scuri di Vegeta. “V-va meglio?” balbettai, persa in quelle iridi profonde. Annuii anche lui imbarazzato, spostando poi lo sguardo verso lo specchio del bagno, per dare un’occhiata alle sue condizioni. Un po’delusa per la fine di quel magico momento,abbassai lo sguardo, rialzandolo subito dopo sentendo la voce di Vegeta. “Ma tu guarda quel bastardo come mi ha conciato …” disse guardando i vestiti e il viso ancora sporco di granita. “Dai, vieni così finisco di ripulirti …” detto ciò, Vegeta si girò verso di me, lasciando che gli passassi l’asciugamano in viso e sui capelli.  Dopo qualche minuto, guardai il risultato. “Beh, ho fatto del mio meglio. Temo però che la felpa sia macchiata …” dissi dispiaciuta. Senza rispondere, diede un’occhiata ai suoi vestiti. Alzò poi lo sguardo e notai che era rimasta una piccola traccia di granita sul suo naso. Era così buffo, che non riuscii a trattenere un sorriso. Subito si accorse di quella mia increspatura delle labbra, rimbeccandomi poi: “Che diavolo hai da ridere ora?!” sorrisi, avvicinandomi a lui. “Niente Vegeta. Sei solo un po’ sporco … qui.” Dicendo ciò, passai la punta delle mie dita sul perfetto nasino all’insù del ragazzo, raccogliendo quindi le ultime tracce di granita rimaste sul suo viso. Sorridendo, mi portai poi le dita alle labbra, assaggiando quindi la bevanda. A quel mio gesto, Vegeta era arrossito e non appena mi vide gustare la bevanda ghiacciata, mi chiese imbarazzato: “Ma che diavolo fai?!” sorrisi furbamente, e una volta constatato il gusto della bevanda risposi: “Mirtilli! È la mia preferita!” detto ciò, raccolsi le mie cose, dirigendomi verso l’uscita del bagno. “Ah!” dissi una volta arrivata alla porta. Mi girai a guardarlo e mi accorsi che era rimasto ancora ad occhi spalancati per quel mio gesto. Mi rivolse poi la sua attenzione, e riconquistato il duro tono di voce, mi chiese: “Cosa?” “Da domani, ti consiglio di portarti un cambio a scuola. Questa era solo la tua prima granita. Credo sarai costretto a farci l’abitudine … ” Dicendo ciò gli sorrisi complice, per poi voltarmi ed uscire dal bagno, lasciandomi alle spalle un Vegeta alquanto confuso ma con un timido sorriso disegnato in volto.

Nota autrice:
salve a tutti! Eccoci arrivati al ventesimo capitolo della storia! Beh, non so che dirvi, davvero. Come avete notato, nessuna esibizione in questo capitolo, ma ho descritto un po’ questa “cosa” delle granite i faccia contro i membri del Glee Club … e avete anche assistito alla prima granita in faccia di Vegeta che è stata un po’ … ehm, “movimentata”. Come sempre vi ringrazio già da ora per l’attenzione e vi aspetto al prossimo capitolo!
Saluti
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Capitolo 21
*** Tributo al Re del Pop ... ***


Il giorno dopo il Professor Dawson venne convocato dal vice preside. Nell’aula canto regnava solo il silenzio e il nervosismo. Nessuno di noi sapeva cosa quel mostro volesse dal nostro insegnante e in più lui non c’entrava niente con quanto accaduto il giorno prima. A quale scopo parlare con il vicepreside riguardo qualcosa in cui lui non c’entrava niente? Io me ne stavo zitta, seduta sulla mia sedia e con lo sguardo rivolto al pavimento. Anche Vegeta era più silenzioso e nervoso del solito. Anche se non dava a vederlo, come me si sentiva in colpa per quel richiamo. Passò un’altra mezz’ora di silenzio e poi finalmente, la porta si aprì. Alzammo tutti in contemporanea lo sguardo sul nostro insegnante che aveva appena fatto il suo ingresso in classe. Non sembrava troppo scosso, anche se era evidente che qualcosa l’avesse turbato. “Allora professore? Cosa le ha detto?” chiese Chichi, divorata come noi dall’ansia. Lui accennò un timido sorriso, rispondendo poi: “Niente di che, tranquilli. Abbiamo solo avuto una discussione riguardo diverse opinioni sui miei metodi di insegnamento, ma non preoccupatevi. Come vedete, sono qui in carne ed ossa, perciò direi di cominciare subito la lezione. Forza, siamo già in ritardo, non perdiamo altro tempo.” Disse, riacquistando il suo sorriso e la sua solita espressione allegra. Ci lasciammo così contagiare dalla sua intraprendenza, cominciando la lezione. “Allora ragazzi, devo dirvi una cosa. Come sapete per le Provinciali dovevamo scrivere altre due canzoni oltre a “Somebody”, ma mi sono informato e mi hanno detto che ne basta solo un’altra. Perciò mettiamoci sotto e vediamo cosa riusciamo a tirare fuori. Avanti, ditemi le vostre idee, senza paura.” Disse il nostro insegnante. Nessuno fiatò. Chi si guardava intorno in cerca di ispirazione, chi si guardava la punta delle scarpe per paura di essere interpellato, chi non sapeva proprio cosa dire. Il Professor Dawson se ne accorse, così sospirando si avvicinò alla vecchia lavagna, prendendo in mano un gessetto. “Proviamo così. Se vi dico “Voci fuori dal coro”, cosa vi viene in mente?” a quella domanda, cominciarono ad arrivare le risposte. “Perdenti, Loser come ci chiamano gli altri.” Disse Crillin. “Granite” disse Goku sorridendo. “ Musica.” disse Yamcha. Andammo avanti per un po’ così, il professore scriveva alla lavagna ciò che dicevamo e noi continuavamo ad esprimerci come un fiume in piena. Ad un certo punto il nostro insegnante si spostò dalla lavagna,  permettendoci di vedere cosa aveva scritto. In mezzo a tutte le parole da noi dette, ne aveva scelte alcune ed aveva scritto una frase alla lavagna, “Loser like me.” sorridemmo. “Beh, che ne dite, vi piace come titolo?” chiese lui. Annuimmo tutti. Così, in mezzo a tutta quella confusione ed euforia, quel giorno nacque la nostra canzone per le Provinciali. “Loser like me.”
Una delle cose più belle del Glee Club, era che potevamo esprimerci attraverso la musica. Hai un’emozione, qualcosa da comunicare? Vieni qui e cantalo! Sembrava incredibile come ci fosse una canzone adatta ad ogni situazione, ma era proprio questo il bello. A volte invece, il nostro insegnante ci assegnava un tema, un cantante in particolare, e per una settimana avremo dovuto cantare solo brani di quell’artista, in una sorta di tributo. Accadde così un giorno. Una mattina prima delle Provinciali il professor Dawson entrò in classe (in ritardo come sempre) ma più pimpante del solito. “Ragazzi!” esclamò appena entrato. “Oggi mi è venuta un’idea. Sapete, ieri stavo frugando tra i miei vecchi CD per riordinarli, e mi sono imbattuto in un vecchio disco di Michael Jackson. L’ho guardato un attimo ed ho pensato: Ehi, perché non ricordare questo grande artista insieme ai miei ragazzi del Glee Club?! Sarebbe fantastico! Perciò da oggi fino alla fine della settimana, vorrei che ognuno di voi, potete lavorare anche in coppia o in tre se volete, si esibisse in un brano di Michael Jackson. Un tributo al grande Re del Pop, prendetelo così. Allora? Vi piace l’idea?” esultammo tutti entusiasti. Michael Jackson era se possibile, l’idolo di tutti noi presenti. Un tributo a lui sarebbe stato … incredibile.  In quel momento mi venne poi un’idea per l’esibizione. Sorrisi leggermente: sarebbe stato perfetto. Avrei solo dovuto convincere Vegeta ad esibirsi con me ed il gioco era fatto. Già, convincerlo …
“Vegeta!” lo richiamai uscendo dall’aula canto dopo la fine delle lezioni. Si voltò a guardarmi infastidito, rispondendo poi: “Che vuoi?” “Volevo farti una proposta. Sai, per il tributo a Michael Jackson, avevo pensato che io e te …” “Scordatelo.” Mi interruppe lui. Mi accigliai. “Come scusa?” gli chiesi infatti. Ghignò leggermente. “Cosa ti fa pensare che io voglia esibirmi insieme a te? Non mi sembra di aver fatto una simile richiesta prima d’ora.” Sbuffai delusa. “Va bene come vuoi. Vorrà dire che chiederò a Yamcha di eseguire con me una versione di Smooth Criminal arrangiata con il violoncello …” lo rimbeccai, cercando in qualche modo di fargli cambiare idea. Non so cosa fu più efficace, se la parte “Versione Smooth Criminal arrangiata con il violoncello” oppure  quel “Vorrà dire che chiederò a Yamcha.” a fargli cambiare idea. A quei tempi avrei detto che lo avesse attirato la mia idea su come arrangiare la canzone, e non che fosse geloso di Yamcha …. Però mi piaceva comunque sperare. “Ferma.” Disse prendendomi per un braccio. Sorrisi furbamente. “Beccato”, pensai. “Com’era quella cosa di Smooth Criminal con il violoncello?” mi chiese. Gli sorrisi leggermente. “Andiamo, ti spiego meglio.” Dicendo ciò ci incamminammo insieme verso casa sua. Accettando la mia proposta, mi aveva automaticamente invitato da lui.
 Quando arrivammo di fronte alla porta della sua villetta, gli avevo praticamente spiegato la mia idea in ogni singolo particolare. Lui si era limitato ad annuire e ad intervenire sporadicamente per correggere qualcuna delle mie idee, ma andava bene così. Appena entrammo in casa, trovammo la signora Hazel seduta di fronte alla televisione, assorta nel programma che stava guardando.  “Nonna!” la richiamò Vegeta. Appena sentì la voce del nipote, si volse a guardarci, sorridendo entusiasta nel vedere anche me lì vicino a Vegeta. “Vegeta caro, ben tornato! Oh, Bulma che piacere rivederti!” disse radiosa. Io la salutai cortesemente, chiedendo poi a Vegeta che intenzioni avesse per quel pomeriggio. “Voglio provare questa canzone. Anche senza violoncello, giusto per sentire come viene. Ovviamente la mia voce sarà migliore della tua, ma si può sempre fare qualcosa …” ghignò divertito, salendo le scale. Incrociai le braccia arrabbiata. “Ah si?! Però quando l’altra sera mi hai mandato a cantare contro quella degli Usignoli non mi sembrava che la mia voce ti dispiacesse così tanto, o sbaglio?!” lui sorrise divertito. “Lascia stare!” disse,entrando in camera sua. “No che non lascio stare, adesso tu mi spieghi!” sbottai salendo le scale con la grazia di un elefante per raggiungerlo. La signora Hazel intanto scoppiò a ridere: “Litigano come marito e moglie: sembrano proprio una coppia sposata! Ah, come si dice? L’amore non è bello se non è litigarello! “ disse tra se e se, fantasticando su me e Vegeta.
Il resto del pomeriggio passò piuttosto velocemente. Io e Vegeta provammo la canzone diverse volte e più cantavamo più mi rendevo conto di quanto le nostre voci si completassero a vicenda, di quanto andassero insieme alla perfezione. Verso le otto scendemmo al piano inferiore, dove trovammo la nonna di Vegeta ai fornelli, intenta a preparare la cena. “Si è fatto tardi, sarà meglio che vada …” dissi. La signora Hazel si voltò a guardarmi, dicendomi poi: “Bulma aspetta! Perché non ti fermi a cena da noi?” le sorrisi. “La ringrazio, ma non vorrei disturbare …” “Oh non disturbi affatto, anzi è un piacere. Sai, a volte ho bisogno anche io di una presenza femminile in casa …” disse sorridendo. Guardai un attimo Vegeta, che nel frattempo non aveva fatto una piega. Pensai per un attimo: d’altronde a casa non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarmi … “Allora la ringrazio, resto volentieri. Grazie mille.” Risposi. La nonna si illuminò e radiosa chiese a Vegeta: “Perfetto. Vegeta caro, aggiungi un posto a tavola per Bulma.” Vegeta senza replicare fece ciò che sua nonna gli aveva richiesto. Nel frattempo la signora Hazel mi disse: “Bulma, vuoi chiamare a casa per avvisare che ti fermi qui da noi? Non so, i tuoi genitori potrebbero preoccuparsi …” stavo per rispondere che a casa non c’era mai stato nessuno ad aspettarmi e che si fosse preoccupato per me, quando Vegeta mi precedette. “Non li ha i genitori, nonna. Vive da sola.” Lo disse con un tono freddo e distaccato, quasi fosse una cosa a dir poco normale. Ma nonostante ciò, in quelle parole riuscii a scorgere l’amarezza e la nostalgia per la mancanza anche dei suoi di genitori. “Oh, mi dispiace tanto, non lo sapevo …” disse sinceramente dispiaciuta la nonna. Sorrisi scuotendo la testa: “Non si preoccupi, va tutto bene. Piuttosto, vuole che le dia una mano con la cena?”
La cena passò piuttosto tranquillamente. Vegeta come suo solito non aprì bocca se non per mangiare, così per la cucina si sentivano solo il rumore delle stoviglie sbattere tra di loro e le chiacchiere tra me e la signora Hazel. Tutto tranquillo, tutto nella norma. Mi trovavo bene lì, seduta con Vegeta e sua nonna. Nonostante lui non parlasse mai, c’era in un quella casa, in quell’ambiente, una sensazione di calore familiare, un raccoglimento che mai avevo provato in casa mia, quando cenavo da sola e al buio, causa le bollette non pagate. Mi sentivo bene. Nonostante ciò, un pensiero aveva invaso la mia mente, dal momento in cui Vegeta aveva rivelato a sua nonna che non avessi i genitori. Quel tono di amarezza, malinconia, mi aveva colpito a tal punto da spingermi a generare un pensiero tanto assurdo quanto possibile. Così, finito di mangiare e dopo aver sparecchiato, mi decisi ad esporre a Vegeta questo mio interrogativo, che avrebbe altrimenti rischiato di squarciarmi il cuore. Vegeta era uscito in balcone, con lo sguardo rivolto verso le stelle e la luna. Presi così coraggio e dopo un profondo respiro, uscii anche io fuori. “Così ti piacciono le stelle …” gli dissi, affiancandomi a lui. Senza spostare lo sguardo da quegli astri, rispose: “E a te piace rompermi le scatole … vedo cha abbiamo entrambi passioni molto interessanti …” sbuffai. Volsi anche io lo sguardo alla volta celeste, e fissando la luna così bianca e luminosa quella notte, cominciai il mio discorso. “Sai, anche a me piace molto osservare il cielo notturno. In un certo senso, mi rilassa. E poi non so, c’è un qualcosa di così pacifico e poetico nell’osservare quelle lucine lassù … a volte poi mi metto anche a pensare. Sai a cosa penso?” gli chiesi. Lui non rispose, incoraggiandomi quindi a continuare. “Penso a mio padre. So che ho detto che di lui non mi interessa niente però … a volte mi chiedo a come sarebbe la mia vita se avessi un padre al mio fianco. Non so, mi piacerebbe avere qualcuno al mio fianco pronto a proteggermi, ad aiutarmi nei momenti di difficoltà. Un papà. Ma tanto è impossibile scoprire la sua identità. Mia madre è stata con così tanti uomini … perciò mi rassegno e lascio perdere. E tu invece? Ci pensi mai a tuo padre?” azzardai. Ero riuscita ad esporre quell’enorme dubbio, ma adesso stava tutto nelle mani del destino e nella risposta di Vegeta. Lui mi guardò da prima infastidito, rispondendo: “Che ti importa?! Non sono affari che ti riguardano!” dicendo ciò, volse lo sguardo da tutt’altra parte. Sospirai, tentando nuovamente. “Ma non ti è mai venuta voglia di conoscerlo? Tu potresti riuscire a trovarlo, rispetto a me hai più speranze … “ “Smettila!” sbottò lui. Sorrisi comprensiva. “Come vuoi. Sappi però che se dovessi cambiare idea, io sono qui. Ti aiuterò.” Detto ciò, mi girai, pronta a tornare in casa. “Aspetta!” sbottò lui. Lo guardai: aveva gli occhi puntati sulle stelle, e un’espressione seria in viso. “Anche se volessi cercarlo, come vorresti aiutarmi, sentiamo.” Sorrisi vittoriosa. “Oh, per quello si vedrà poi. L’importante è che tu lo voglia davvero.” “Tsk!” rispose lui. Ma in realtà, voleva dire: “Si, voglio incontrare mio padre.”
Il giorno dopo io e Vegeta eravamo pronti per la nostra esibizione. Così, quando il nostro insegnante chiese se qualcuno era già pronto e volesse cominciare con il brano scelto, alzai la mano entusiasta, rivolgendo un’occhiata a Vegeta. “Professore, io e Vegeta siamo pronti.” “Perfetto Bulma. Prego, venite.” Dicendo ciò, ci lasciò sistemare per un secondo l’aula in modo adatto all’esibizione. Disponemmo infatti le sedie in cerchio e al centro stavano seduti solamente due dei musicisti amici del professore, con i loro violoncelli in mano. Tutti quanti ci guardavano curiosi, e una volta sistemato tutto quanto, io e Vegeta ci scambiammo un cenno d’intesa, dando il via al nostro tributo al Re del pop. (http://www.youtube.com/watch?v=m_-Bna82cjY esibizione)
                                                                        
Vegeta:
As he came into the window
It was the sound of a crescendo
He came in her apartment
He left the blood stains on the carpet
She ran underneath the table
He could see she was unable
So she ran into the bedroom
She was struck down, it was her doom


Vegeta cominciò a cantare con una tale grinta ed energia che riuscì a stupire addirittura me, figuriamoci gli altri ragazzi. Nonostante ciò, avevo davvero avuto un’idea geniale: quella versione di “Smooth Criminal” accompagnata solo dal violoncello era  davvero interessante …

Vegeta:
Annie are you ok?
Bulma:
So, Annie are you
Vegeta:
Are you ok, Annie
Bulma:
Annie are you ok?
Vegeta:
So, Annie are you ok
Bulma:
Are you ok, Annie
Vegeta:
Annie are you ok?
Bulma:
So, Annie are you ok?
Vegeta:
Are you ok, Annie?
 
Vegeta e Bulma:
(Annie are you ok?)
(Will you tell us that you're ok?)
(There's a sign in the window)
(That he struck you - a crescendo Annie)
(He came into your apartment)
(He left the blood stains on the carpet)
(Then you ran into the bedroom)
(You were struck down)
(It was your doom)

Vegeta:
You've been hit by
Bulma:
You've been hit by - a smooth criminal
 
 
Il ritmo era incalzante, le nostre voci si inseguivano, spostandoci da una sedia all’altra, girandoci intorno, studiandoci come un leone studia la sua preda prima di attaccarla. Nell’aria si era creata una sorta di tensione da tenere col fiato sospeso tutti i presenti. Io e Vegeta sorridemmo lievemente: il nostro intento era riuscito.

Vegeta e Bulma:
Aaow!
(Annie are you ok?)
I don't know!
(Will you tell us, that you're ok?)
I don't know!
(There's a sign in the window)
I don't know!
(That he struck you - a crescendo Annie)
I don't know!
(He came into your apartment)
I don't know
(Left blood stains on the carpet)
I don't know why baby!
(Then you ran into the bedroom)
I don't know!
(You were struck down)
(It was your doom - Annie!)
(Annie are you ok?)
Dad gone it - baby!
(Will you tell us, that you're ok?)

Dad gone it - baby!
(There's a sign in the window)
Dad gone it - baby!
(That he struck you - a crescendo Annie)
Hoo! Hoo!
(He came into your apartment)
Dad gone it!
(Left blood stains on the carpet)
Hoo! Hoo! Hoo!
(Then you ran into the bedroom)
Dad gone it!
(You were struck down)
(It was your doom - Annie!)
Aaow!!!

 
Terminammo così la canzone, in mezzo agli applausi e alle grida di esultanza dei nostri compagni. Fissandoci negli occhi e sorridendo lievemente: il tributo al nostro mito, lo avevamo appena dato.

Nota autrice:
Salve a tutti! Eccoci arrivati al ventunesimo (di già?!) capitolo della storia! Come avete notato, anche qui ho inserito una canzone e il link dell’esibizione  proprio sopra il testo … immaginatevela più o meno così! ;) come sempre vi ringrazio per l’attenzione e vi aspetto al prossimo capitolo! Aspetto vostre recensioni! ;)
Saluti
TWOTS
P:S: visto che lunedì comincerà la scuola, temo che non riuscirò ad aggiornare come vorrei … vediamo, io spero di riuscirci e ce la metterò tutta per aggiornare in tempo! Spero comunque che non vi dimentichiate della storia in caso avessi problemi per aggiornare … comunque vi ringrazio già da ora e al prossimo capitolo! :)
 

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Capitolo 22
*** Cominciano le indagini ... ***


Le esibizioni dei nostri amici furono altrettanto belle. Chichi e C18 cantarono un’emozionante versione di “You’re not alone”, Crillin, Tensing e Riff si destreggiarono buffamente tra le note di “The way you make me feel”, mentre Goku e Yamcha si esibirono in una bellissima cover di “Hold my hand”. Nel complesso, era stato davvero un bel modo per rendere onore al nostro mito. Il tributo delle “Voci fuori dal coro” al Re del pop, era stato incredibile. Non potevamo però rilassarci. Quel giorno, io e Vegeta avremmo cominciato le ricerche di suo padre.
Quando quel pomeriggio io e Vegeta entrammo in casa sua, la trovammo vuota. Vegeta mi disse infatti che quel pomeriggio sua nonna aveva una visita e perciò sarebbe tornata tra un paio d’ore. Fermo in mezzo al salotto, si girò per un secondo a guardarmi, dicendo poi: “Allora, grande detective. Che hai intenzione di fare?” sbuffai. “Fai poco lo spiritoso. Piuttosto, secondo me la prima cosa da fare per arrivare a tuo padre, è scoprire qualcosa su tua madre.” A quelle parole, Vegeta si rabbuiò subito, senza però parlare. “Allora … non so, ci sarà qualcosa di tua madre in questa casa …” continuai timorosa. Alzò lo sguardo. “Seguimi.” Disse solamente, dirigendosi verso le scale. Piuttosto confusa, lo seguii senza replicare, curiosa di sapere dove mi stesse portando. Arrivati in cima alle scale, Vegeta si bloccò di fronte ad una delle porte. Mi trovavo dietro di lui, perciò cercai di sbirciare da in punta di piedi cosa avesse catturato tanto l’attenzione di Vegeta. Appoggiai lievemente le mani sulle spalle di lui per riuscire a non cadere. Sfortunatamente, Vegeta decise di muoversi, facendo si che la mia presa scivolasse dalle sue spalle, facendomi perdere l’equilibrio e cadendo a faccia avanti. Sentendo quel tonfo, Vegeta si girò un attimo a guardarmi, scoprendomi a terra con la faccia rivolta verso il pavimento, intenta a lanciare diversi improperi verso di lui. A quella scenetta scoppiò a ridere, dicendomi poi in tono derisorio: “Aahahah, certo che sei senza speranze! Sei proprio un caso perso!” Rossa di rabbia, mi alzai in piedi, sbottando: “Ma sentitelo, è arrivato “Mister non riesco a spingere uno stupido pulmino scolastico, è troppo pesante”, a farmi la predica! E comunque avresti anche potuto aiutarmi ad alzarmi, anziché ridere e prenderti gioco di me! Sarebbe stato un gesto degno di un gentiluomo! Oh aspetta, che parlo a fare di gentilezza con te, scimmione maleducato!” “Tsk, ha parlato la raffinata! Ma ti senti come sbraiti?! Sembri una scaricatrice di porto! E poi urli come una pescivendola, con quella voce da gallina isterica che ti ritrovi non so come tu possa essere tanto intonata!” si lasciò sfuggire l’ultima parte, e rendendosi conto di avermi fatto involontariamente un complimento, arrossì violentemente. Sorrisi dolcemente. “Ti ringrazio. So di avere una voce meravigliosa, non era necessario che me lo ricordassi.” Dissi poi, sempre con una punta di sarcasmo nella voce. Lui si girò, borbottando qualcosa simile ad un insulto che preferii non udire. “Comunque.” Cercai di riprendere una normale conversazione. “Cosa c’è qui dietro?” chiesi, indicando la porta dinanzi alla quale ci eravamo fermati. Estraendo una chiave dalle tasche dei pantaloni, Vegeta si apprestò ad aprire la porta, rispondendo senza guardarmi. “Questa era la camera di mia madre. O almeno è quanto mi ha detto mia nonna.” Annuii leggermente, lasciando poi che i miei occhi si posassero sulla stanza la cui porta era appena stata spalancata da Vegeta. Sgranai leggermente gli occhi: era una camera bellissima. Un grande letto matrimoniale stava al centro della stanza, mentre un armadio antico faceva la sua ingombrante presenza vicino ad una meravigliosa scrivania decorata. Le pareti erano ricoperte di poster di Cyndi Lauper e gruppi musicali dell’epoca, così come i diversi dischi in vinile riposti ordinatamente su una mensola. Questo particolare mi riportò alla mente la camera di Vegeta, dove sulle pareti regnavano anche lì diverse mensole colme di Cd. Sul comodino vicino al letto, vi erano un paio di fotografie. Mi avvicinai lentamente, scoprendo che nelle foto era ritratta una giovane ragazza dai lunghi capelli neri e un fisico perfetto. Ma ciò che più mi colpì, furono gli occhi della giovane. Scuri, profondi, incredibilmente belli. Erano uguali a quelli di Vegeta. “Era lei tua madre, giusto?” chiesi senza staccare gli occhi di dosso alla cornice. Vegeta rispose poco dopo, con un tono di voce leggermente malinconico. “Si. Non l’ho mai conosciuta, se ne è andata subito dopo la mia nascita. Però mia nonna mi ha mostrato le sue fotografie.” Conoscevo già la storia di Vegeta, avendomela raccontata la signora Hazel, ma nonostante ciò non dissi nulla, non volendo rovinare quel raro momento di confidenza. “Era davvero molto bella …” sussurrai guardando l’immagine della sorridente ragazza dagli abiti anni 80. “Già …” si lasciò sfuggire lui in tono malinconico. “Comunque, cosa dobbiamo cercare?” chiese poi lui, facendomi tornare alla realtà. Lo guardai per un secondo pensierosa, rispondendo poi: “Non so, qualche documento, lettere, cose così. Direi di cercare un po’ qui in giro, che ne dici?” gli chiesi. Lui annuii. “D’accordo. Io cerco qui nei mobili, tu dai un’occhiata alla scrivania.” Detto ciò, cominciò la nostra caccia all’indizio in quella stanza intrisa di gioventù e di ricordi. Passò all’incirca una mezzoretta, durante la quale nessuno dei due fiatò. Per la stanza si sentivano solo l’apri e chiudi dei cassetti, il rumore delle vecchie ante dell’armadio aprirsi e il fruscio della carta stampata di alcuni documenti trovati lì dentro. Finalmente, in fondo ad un cassetto della scrivania, trovai qualcosa. “Vegeta!” esclamai. Lui si voltò a guardarmi interrogativo, chiedendomi poi: “Cosa c’è? Hai trovato qualcosa?” annuii. “Guarda qui. Sembra un diario.” Dissi indicando il quadernino foderato di rosso che avevo tra le mani. Lui intanto si era avvicinato, sedendosi vicino a me sul freddo pavimento in marmo. “ Credi che potrebbe contenere qualche informazione su mio padre?” chiese lui pensieroso. Sorrisi furbamente. “Elementare, Watson.” Risposi, citando il grande Sherlock Holmes. Cogliendo la mia allusione al mitico detective del 221B Baker Street, lo sguardo di Vegeta si accigliò più del solito, ribattendo poi. “Aspetta un attimo. Non penserai di essere tu il grande Sherlock, vero?” “Che intendi dire?” chiesi. “Beh, è ovvio che tra i due sono io l’Holmes della situazione. Tu puoi ritenerti fortunata ad essere il mio assistente, il fedele, e qui cade l’asino, tranquillo dottor Watson.”  Rispose tranquillamente, come se fossimo davvero due investigatori privati. “Cosa?! Se non fosse per me, a quest’ora la M.R.P.V. non sarebbe mai iniziata!” sbottai arrabbiata. Lui invece corrucciò lo sguardo, dicendo poi: “La M che?!” sbuffai esasperata. “La M.R.P.V. La missione ritrovamento padre Vegeta, semplice no? Certo che sei proprio tardo, caro Watson.” Continuai stuzzicandolo. “Ma che razza di nome è?! E poi insisti con questo Watson?! Ti ho detto di non chiamarmi così … ecc …” vi risparmio volentieri l’imperioso monologo di Vegeta sulla sua sovrumana intelligenza, dicendovi solo che per una buona mezz’ora continuammo a litigare come due bambini riguardo a chi avesse avuto il ruolo di Sherlock Holmes e chi del dottor Watson all’interno della nostra “missione.”
“Allora? Che dice?” chiesi a Vegeta, una volta tornata dal bagno. Lo avevo lasciato nella sua stanza, intento a sfogliare quel quadernino appartenuto alla madre. Non rispose, continuando a divorare curioso le pagine di quel diario. “Vegeta …” lo richiamai, passandogli una mano di fronte al viso. “Vegeta!” esclamai più forte. “Che diavolo vuoi!?” sbottò lui, tornando alla realtà. “Bentornato tra di noi. Cosa hai trovato di così interessante da non riuscire a sentire la mia voce mentre ti chiamavo?” gli chiesi curiosa. Lui sogghignò leggermente. “Per prima cosa, se non ti ho risposto forse vuol dire che l’ho fatto perché non volevo e non perché non sentissi. Tra l’altro, mi risulta alquanto impossibile non sentire la tua vocetta fastidiosa. Fidati, anche un sordo muto ti sentirebbe. E comunque, per ora non ho trovato niente di che. Questo diario è stato scritto da mia madre prima che se ne andasse, e a quanto leggo lo ha iniziato all’età di dieci anni.” Annuii, cercando di non fare caso alle sue precedenti provocazioni. “Hai intenzione di leggerlo tutto?” gli chiesi, notando quanto era interessato da quel diario. “Si, credo di si. Se ripercorre tutta la vita di mia madre, come lei stessa ha scritto qui, troverò sicuramente qualcosa riguardo mio padre.” “Va bene. Senti devo andare, ho il turno a lavoro tra mezzora.” “Okay.” Rispose semplicemente, senza staccare gli occhi dalle pagine. “Ci vediamo domani. Fammi sapere se trovi qualcosa di interessante.” Gli dissi, prima di schioccargli un bacio sulla guancia e di uscire dalla stanza. A quel contatto, sembrava essersi per un secondo ripreso, dato che aveva sgranato gli occhi ed era arrossito violentemente. Sicura che avrebbe cominciato ad insultarmi entro due secondi, uscii velocemente dalla villetta, sorridendo leggermente e rossa in viso. Avevo dato un bacio sulla guancia a Vegeta, riuscendo ad evitare i suoi numerosi improperi contro di me per quel gesto. A quel pensiero, sorrisi soddisfatta.
Alle 23,30 finii il mio turno al bar. Quella sera era passata piuttosto tranquillamente, perciò il proprietario del locale mi permise di andare a casa un po’ prima del solito. Arrivata a casa stanca morta mi gettai sul letto esausta. Avrei sicuramente rischiato di addormentarmi così di colpo, se il telefono non avesse cominciato a squillare piuttosto insistentemente. Gli accordi iniziali di chitarra di “Romeo and Juliet” dei Dire Straits cominciarono a diffondersi per la stanza, segno che qualcuno mi stava chiamando. Iniziai a cercare il telefono dentro la borsa, ma si sa che nella borsa di una donna è possibile trovare ogni cosa tranne quella di cui si ha bisogno in un determinato momento. Per questo impiegai diverso tempo prima di trovare il telefono e rispondere finalmente, senza guardare il numero di chi aveva chiamato. “Pronto? Chi è?” chiesi piuttosto preoccupata. Chi avrebbe potuto chiamare a quell’ora? “Alla buon ora, ritardata. Stavo per mettere giù, si può sapere quanto tempo impieghi per rispondere ad uno stupido cellulare?!”  sbuffai sollevata. “Vegeta sei tu!” esclamai sospirando. “No, Sono Dio . Chi vuoi che sia idiota?!”  sbottò lui. “è un piacere anche per me sentirti, grazie mille. Comunque, come mai mi hai chiamato a quest’ora? Hai trovato qualcosa di interessante?” chiesi confusa. “Indovina: mia madre era andata al concerto dei Pink Floyd.” Disse lui. Sgranai gli occhi: “Davvero?! Non ci credo, tua madre è un mito!” esclamai entusiasta. Ghignò dall’altra parte del telefono. “è tutto scritto qui, su questo diario. Mia madre sta diventando il mio idolo: Organizzava proteste, scioperi studenteschi, partecipava ai concerti e si vestiva in modo anticonformista, con abiti Punk e super sexy. Ripeto: mia madre è il mio idolo.” Sorrisi dolcemente, felice che attraverso quel diario Vegeta stesse conoscendo finalmente sua madre. “Già, è davvero un mito.” Restammo a parlare per un altro po’ di tempo di ciò che Vegeta aveva letto su quel diario e scoperto di sua madre, fino a quando arrivò la mezzanotte inoltrata. “Vabbè, sarà meglio andare a dormire, io sto letteralmente crollando di sonno.” Dissi sbadigliando. Vegeta concordò con me. “Già.” “Ci vediamo domani. Buonanotte, Vegeta.” Sussurrai. Incredibilmente, rispose anche lui. “Buonanotte, Bulma.” Dopodiché, scivolai lentamente tra le braccia di Morfeo, con un dolce sorriso stampato in viso.

Nota autrice:
salve a tutti amici!eccoci con un nuovo capitolo! Non credevo che oggi sarei riuscita ad aggiornare, invece ce l’ho fatta, ringraziando il cielo! Spero che questo capitolo vi piaccia e aspetto vostre recensioni! ;)
 Ora scappo prima che mia madre mi linci …;)
Al prossimo capitolo!
Saluti
TWOTS

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Capitolo 23
*** Esibizioni emozionanti e si va alle Provinciali! ***


E così i giorni passarono. Io e Vegeta continuammo a cercare tracce di suo padre e anche se per il momento non avevamo trovato nulla di interessante, non ci arrendevamo. Era davvero troppo importante per lui. Le Provinciali intanto si facevano sempre più vicine. Ormai potevamo dire di essere pronti: avevamo scritto due canzoni originali, avevamo creato anche delle coreografie per i brani. Era tutto pronto. Certo, non sapevamo però che nel frattempo, qualcuno tramava contro di noi alle nostre spalle … almeno fino al giorno delle Provinciali.
Prima della gara, ci furono diversi momenti divertenti, tra esibizioni improvvisate nell’aula canto, e la prova delle coreografie ideate dal nostro insegnante. C’è però un momento in particolare degno di nota e piuttosto emozionante, che credo resterà per sempre nel cuore delle “Voci fuori dal coro.”
Ad una settimana dalle Provinciali, accadde un incontro piuttosto particolare. Era un anonimo lunedì mattina infatti, quando il Professor Dawson entrò in classe annunciandoci che quel giorno avremo avuto visite. “Ragazzi preparatevi: oggi abbiamo visite!” disse infatti entrando velocemente nell’aula canto. Curiosi, chiedemmo chi mai sarebbe potuto venire a far visita ad un branco di sfigatelli canterini come noi, ricevendo una risposta che ci spiazzò non poco. “Tra non molto arriverà qui un altro Glee Club della provincia. Avendo saputo che la Dalton si era esibita in anteprima di fronte a voi, hanno chiesto di poter venire qui nella nostra scuola per mostrarci il loro talento. Sono i ragazzi della Haverbrook scuola per sordi.” Concluse. Strabuzzammo gli occhi straniti. “Mi scusi professore, ma se sono ragazzi non udenti, come hanno potuto mettere su un Glee Club nella loro scuola?” chiese Chichi confusa. A quella domanda, il nostro insegnante rispose portandosi la mano tra i capelli e grattandosi la nuca impacciato. “Eh eh, è davvero una bella domanda …” rispose infatti, lasciando tutti noi sconvolti. “Comunque a momenti saranno qui, perciò non appena arriveranno potremo risolvere i nostri dubbi …” fece risoluto il Professore. Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta. “Oh devono essere loro!” esclamò. “Avanti!” disse. Subito la porta si spalancò, mostrando una sorridente signorina Videl, accompagnata da un gruppo di ragazzi. Un uomo faceva da capofila al gruppo di giovani fasciati nelle loro divise. Probabilmente quello era il loro insegnante. “Eccoci qua, come vede questa è l’aula canto della nostra scuola. E loro” fece indicando noi ragazzi “Sono “Le voci fuori dal coro”, il nostro Glee Club” illustrò all’uomo. Quest’ultimo annuii, girandosi verso i suoi ragazzi e cominciando a fare gesti con le mani. Stava infatti spiegando loro attraverso il linguaggio dei segni ciò che la signorina Videl aveva detto. I ragazzi annuivano sorridenti, e probabilmente dopo aver capito che eravamo noi il Glee Club di quella scuola, ci sorrisero facendo un gesto di saluto con le mani. Ancora perplessi, rispondemmo al saluto, sorridendo loro comprensivi. “Sono il professor Dawson, il responsabile del nostro Glee Club. Benvenuti.” Fece il nostro insegnante, presentandosi cordialmente con il responsabile dei ragazzi non udenti. “Prego, sappiamo che siete qui per esibirvi. Ci farebbe molto piacere.” Continuò poi sorridendo. “Grazie mille. Beh, se non vi dispiace, noi siamo pronti. Possiamo iniziare.” Detto questo l’uomo fece alcuni gesti verso i suoi ragazzi, spiegandogli che era arrivato il momento di esibirsi. Dopo essersi sistemati in fila, la musica partì e il loro insegnante iniziò a recitare le parole della canzone che avevano scelto, mentre i ragazzi descrivevano con le mani il testo della canzone. Era la bellissima “Imagine” di John Lennon e vedere quei ragazzi interpretarla in quella maniera fu a dir poco toccante. Sorridemmo tutti teneramente, riflettendo sulla grande forza d’animo di quei ragazzi, che nonostante non potessero sentire avevano portato avanti la loro passione per la musica. Eravamo rimasti a guardare i ragazzi incantati, quando ad un tratto senza preavviso, Chichi cominciò a cantare le parole della canzone. (http://www.youtube.com/watch?v=cSlGocYJ2Dk esibizione)

Chichi:
Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace...


Guardando Chichi, sorridemmo. Lei intanto si era alzata in piedi e continuando a cantare si era avvicinata ai ragazzi, cercando di imitare anche lei i gesti che stavano compiendo.

Goku e Chichi:
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will be as one


Lo stesso fece Goku, aggiungendosi ai ragazzi. E subito dopo, anche tutte noi “Voci fuori dal coro” cominciammo a cantare, avvicinandoci ai ragazzi e seguendo i loro movimenti, cercando di riprodurli.

Bulma:
Imagine no possessions
I wonder if you can

Bulma e Vegeta:
No need for greed or hunger
A brotherhood of man

 
Iniziai a cantare anche io, al fianco di una delle ragazze non udenti, che cercava di spiegarmi i movimenti da compiere con le mani, con calma e sorridendomi gentilmente. Anche Vegeta iniziò a cantare, cercando di seguire i gesti del linguaggio dei segni e sorridendo leggermente soddisfatto al suo compagno non udente.

Voci fuori dal coro:
Imagine all the people
Sharing all the world...

Chichi:
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one

 
Tutti quanti ormai avevamo cominciato a cantare, al fianco dei nostri nuovi amici. Loro descrivevano con le mani ciò che noi cantavamo, e nel frattempo anche noi cercavamo di imitarli, sorridendoci a vicenda. Anche la canzone era perfetta per un momento come quello. Il Professor Dawson appoggiato vicino al pianoforte ci osservava sorpreso e sorridendo teneramente. Dei ragazzi non udenti si stavano esprimendo attraverso la musica insieme a noi “Voci fuori dal coro”. Era una scena davvero bellissima.

Voci fuori dal coro:
I hope someday you'll join us
And the world will live as one

Così tutti insieme concludemmo quella meravigliosa esibizione. Il nostro insegnante ci guardava commosso, con una mano sul cuore e un sorriso orgoglioso stampato in viso. Quel giorno avevamo ricevuto una delle più belle lezioni di vita che un ragazzo avrebbe potuto apprendere. Quel giorno capimmo che non solo noi ci trovavamo in difficoltà, che c’erano ragazzi che avevano davvero delle serie preoccupazioni e dei motivi per non poter inseguire i propri sogni. Ma capimmo anche , che nonostante tutto con la forza di volontà ogni cosa è possibile, che se lo si vuole si possono anche muovere le montagne, si può amare la musica anche senza sentirla. Quel giorno, rimase nel cuore di tutti noi.
 Finalmente il giorno delle Provinciali arrivò. Dire che fossimo agitati, mi sembra riduttivo. Alle nove e mezza ci saremmo dovuti trovare fuori dalla scuola per prendere l’autobus che ci avrebbe accompagnato alle gare. Ma erano solo le otto e un quarto quando ci trovammo tutti di fronte ai cancelli della “Orange High School”.  Nervosi e agitati, ci eravamo ritrovati tutti lì più di un ora prima della partenza. Cioè, quasi tutti. Il professor Dawson, manco a dirlo, non si era ancora fatto vedere. Da un lato era anche giusto, visto che mancava più di un’ora  prima di partire. Ma d’altro canto, eravamo convinti che avrebbe fatto ritardo anche quel giorno. Tremante, strinsi la busta dentro la quale tenevo gli abiti per la competizione (abiti che avevamo realizzato noi, senza alcun aiuto), guardandomi intorno alla ricerca del nostro insegnante e del pulmino scolastico. “Agitata?” pronunciò una voce alle mie spalle. Vegeta si affiancò a me, dopo aver detto ciò. “Noo, cosa te lo fa credere?” chiesi con finta calma. Ghignò leggermente. “Il fatto che rischi di strappare quella busta se continui a stringerla così.” Disse, alludendo al sacchetto che avevo in mano e che avevo cominciato a stringere presa dal panico. “Ah …” replicai colpita nel segno, cercando di darmi una calmata. “E tu? Non sei nervoso?” gli chiesi poco dopo. “Tsk, perché dovrei? È solo una stupida gara …” rispose senza guardarmi. Ma in realtà si vedeva che anche lui era ansioso. “Secondo me anche tu sei agitato.” Gli dissi infatti. Mi guardò stranito. “E cosa ti fa pensare una tale assurdità?” chiese scocciato. “Il fatto che stai battendo il piede talmente forte che temo avrai creato diverse crepe su questo povero marciapiede.” Dissi, additando il piede di Vegeta che continuava a battere nervoso per terra. “Tsk! Ti sbagli, è solo un tic tipico dei batteristi …” disse cercando una scusa e fermando quel ritmico movimento. “Oh certo. Quindi secondo te, visto che io suono la chitarra, dovrei cominciare a muovere improvvisamente le dita come se stessi cambiando gli accordi del mio strumento, certo. Inventatene una buona la prossima volta. E cerca di rilassarti.” Gli dissi sarcastica, salendo sull’autobus che nel frattempo era arrivato di fronte a noi. Vegeta ringhiò arrabbiato, salendo poi anche lui sul veicolo insieme agli altri ragazzi. Ovviamente il mezzo di trasporto messo a disposizione non poteva che essere quel caro e vecchio catorcio con cui eravamo andati alla Dalton, ovvio. Le Provinciali si sarebbero svolte nel teatro più grande della Provincia, che distava circa un’ora dalla nostra scuola. Pregammo così che almeno quel giorno quel vecchio catorcio non facesse capricci e che ci portasse a destinazione sani e salvi. Erano le nove e quaranta e come immaginavamo, il Professor Dawson non era ancora arrivato. Seduti all’interno dell’autobus, cominciammo a sbuffare impazienti in attesa del nostro insegnante. Attesa che non durò nemmeno troppo, considerato che alle nove e quarantacinque riuscimmo a scorgere dai finestrini un affannato professor Dawson correre verso di noi. “Ragazzi scusate il ritardo, eccomi!” esclamò trafelato non appena mise piede sul mezzo. Scuotemmo leggermente la testa, sorridendo. Non sarebbe cambiato mai. “Buongiorno a tutti!” disse poi qualcuno alle spalle del nostro insegnante. Quest’ultimo si spostò leggermente, mostrando la figura sorridente della signorina Videl. Aveva insistito così tanto per venire con noi, che il professor Dawson non se l’era sentita di dirle di no. Salutammo la guida scolastica, guardando poi impazienti il nostro insegnante. “Oh si, giusto! Mi scusi” disse rivolto all’autista. “Siamo tutti, possiamo andare.” Detto ciò, l’anziano autista del mezzo mise in moto quella carretta che dopo diversi scoppiettii che ci tennero col fiato sospeso, si decise a partire. “Bene ragazzi. Ci siamo. Alle Provinciali!” urlò il Professor Dawson esultante. “Alle Provinciali!” rispondemmo noi, pronti per la sfida.

Nota autrice:
eccoci arrivati al ventitreesimo capitolo della long! Oggi sono riuscita ad aggiornare, visto che domani ricomincerà l’incubo scuola … per me poi che vado in primo superiore al Liceo Classico, inizierà quindi l’incubo Liceo … povera me T-T… comunque, tornando al capitolo, come avete visto ho inserito anche stavolta un’esibizione un po’ particolare, e vi consiglio di guardare il video che ho inserito perché è proprio così l’esibizione che ho cercato di descrivere … e poi vabbè, io lo trovo a dir poco emozionante, quindi … come avrete capito, il prossimo capitolo sarà incentrato su queste famose Provinciali, finalmente …. Ne vedrete delle belle, fidatevi! ;) per ora vi saluto e vi aspetto al prossimo capitolo! Aspetto vostre recensioni!
Un saluto
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Capitolo 24
*** Le Provinciali ... ***


Dopo circa un’ora di viaggio, arrivammo finalmente a destinazione. Agitati e nervosi sopra ogni dire, entrammo tutti insieme nell’imponente teatro che avrebbe ospitato le provinciali. Era davvero grande e maestoso, e il fatto che alcune persone fossero già sedute in platea pronte per assistere alle esibizioni, non migliorò il nostro stato. La cosa positiva, è che non eravamo gli unici ad essere nervosi. Dietro le quinte infatti aleggiava uno spirito agitato e carico di tensione, percepibile in mezzo agli altri ragazzi. Gli altri Glee Club erano già arrivati da un po’ di tempo, perciò erano già vestiti di tutto punto con i loro abiti, ed erano intenti a ripassare le loro coreografie o a cimentarsi in improvvisate tecniche di rilassamento fai da te. In mezzo a tutti quei lustrini e papillon che facevano parte dei costumi di scena, nell’aria la tensione era a dir poco palpabile.  Una volta aver trovato il camerino che ci era stato assegnato, ci cambiammo in fretta, divorati dal nervosismo. Cioè, prima ci cambiammo noi ragazze, e poi lasciammo il posto libero per i ragazzi. Anche se devo dire che alcuni di loro provarono a sbirciare attraverso il buco della serratura noi ragazze intente a spogliarci. Ma questa loro bravata durò ben poco, poiché non appena Chichi se ne accorse, si scagliò come una furia sui nostri compagni. A dirla tutta, quello che ne prese più di tutte fu il povero Goku, che poverino insieme a Vegeta era invece stato l’unico che si era tenuto lontano da quel camerino. Comunque, litigi e inseguimenti per i corridoi a parte, finalmente anche noi eravamo pronti. Non appena uscii dalla sezione dei camerini, ebbi un brusco incontro. Camminando infatti a testa bassa, divorata dall’ansia, non vidi nulla e mi accorsi di aver urtato qualcuno solo quando mi ritrovai per terra a gambe all’aria. “Ahia! Oh, scusami, mi dispiace …” cercai di scusarmi con la poverina che avevo involontariamente gettato a terra. Non appena alzò gli occhi su di me, il sorriso impacciato di poco prima sparì in un istante, riconoscendo quella figura. “Ma guarda un po’ dove metti i piedi, idiota! Oh guarda: Sbaglio o tu sei quella sfigatella della Orange High School che mi ha sfidato qualche tempo fa?” disse Valese con finta sorpresa non appena mi riconobbe. Annuii. “Si sono io. E comunque, volevo ricordarti che siete stati voi Usignoli a sfidare noi Voci fuori dal coro, e non il contrario. Ah e comunque” sorrisi furbamente “Vi abbiamo battuti quella volta.” Un ringhio arrabbiato fu la sola risposta che ricevetti da quella montata della Dalton. Poi un ghigno sinistro si delineò sul pallido volto di Valese, che disse poi:“Vedremo chi vincerà oggi, perdenti. Se fossi in voi, starei molto attenta …” detto questo si alzò, lasciandomi lì per terra, piuttosto confusa e interdetta per la sua risposta. Che voleva dire che dovevamo stare attenti? Non ebbi il tempo per pensare ulteriormente, poichè la voce del nostro insegnante ci richiamò. Le Provinciali stavano per cominciare, e lui aveva intenzione di farci una sorta di discorso d’incoraggiamento, credo. Difatti, una volta radunati tutti insieme in un angolino dietro il palcoscenico, il Professor Dawson ci guardò orgoglioso, ad uno ad uno, dicendo poi: “Ragazzi, è arrivato il momento. So che probabilmente in questo momento non volete sentirvi dire niente da nessuno, capisco che siate agitati perché fidatevi, io lo sono quanto voi. Però questo ve lo devo dire. Voglio che sappiate che io credo in voi. Io credo che oggi voi possiate farcela, perché credo che voi siate delle persone speciali …” “Noi non siamo speciali …” lo interruppe C18, scuotendo la testa tristemente. “Si invece! Ragazzi, ascoltatemi bene. Il Glee Club, le Voci Fuori dal coro, non sono speciali? Amare la musica, cercare di esprimersi e di emanciparsi da una società ormai prettamente suddivisa in base all’indice di popolarità, proprio attraverso le vostre voci, non è speciale? Decidere di eliminare quelle etichette che gli altri vi hanno assegnato e che per troppo tempo vi hanno torturato, e farlo cantando non è speciale? Tutto questo è speciale! E fare parte di qualcosa di speciale, vi rende speciali, capito? Perciò adesso salite su quel palco e fate vedere a tutti chi sono le Voci fuori dal coro. D’accordo?” annuimmo tutti quanti, profondamente toccati da quel discorso. “Bene.” Continuò poi lui. “Perché da oggi tutti sapranno che voi meritate di essere qualcuno.”
Le esibizioni degli altri Glee Club passarono piuttosto in fretta. Nessuno di noi, eccetto me e Vegeta, aveva voluto dare un’ occhiata alle esibizioni degli altri avversari, perciò si erano tutti quanti rintanati nel camerino. Io e Vegeta invece eravamo rimasti lì dietro le quinte a sbirciare le abilità dei nostri avversari. Accidenti, erano tutti bravissimi! “Che ne pensi?” chiesi ad un tratto a Vegeta, in riferimento al Glee Club che si stava esibendo in quel momento. “Non sono male, ma questa versione di Another one bites the dust non mi convince più di tanto.” “Già” concordai in riferimento al solista che stava intonando quel grande successo dei Queen. Arrivò poi il turno degli Usignoli. Entrando in scena, Valese mi diede una spallata, rivolgendosi poi a me e Vegeta: “Vi consiglio di ascoltare attentamente le nostre canzoni. Potreste imparare qualcosa …” detto questo ghignò diabolicamente, entrando in scena insieme ai suoi compagni. Incuriositi da quelle parole, io e Vegeta decidemmo di prestare maggiore attenzione a quell’esibizione. Ma non ci volle molto a capire a cosa si riferisse Valese. Non appena la musica cominciò infatti, io e Vegeta sbiancammo, riconoscendo subito quella melodia. Quell’introduzione con il pianoforte era impossibile da non riconoscere, specialmente per noi due. Quella era la nostra canzone! “N-non è possibile …”balbettai, non appena Valese cominciò ad intonare le parole che avremmo dovuto cantare noi. “Bastardi! Ma come hanno fatto …” ringhiò Vegeta, stringendo i pugni dalla rabbia. Ci guardammo un secondo negli occhi, e in un tacito accordo fatto di sguardi, partimmo come razzi verso i camerini. “Ragazzi siamo nei guai!” esclamai spalancando la porta dietro la quale si trovavano i nostri amici. Corrucciarono tutti lo sguardo, incuriositi. “Che vuoi dire? Cosa è successo?” chiese C18 sospettosa. “Quei bastardi della Dalton! Ci hanno rubato la canzone!” sbottò Vegeta infuriato.  A quelle parole, sgranarono tutti gli occhi: “Che cosa? Ma non è possibile!” esclamò Chichi confusa. “E invece è così! Gli Usignoli si stanno esibendo con Somebody!” risposi in preda ad una crisi di nervi. “Ma come hanno fatto ad avere la canzone?! Nessuno a parte noi e il Professor Dawson la conosceva!” sbottò Yamcha adirato. Scossi leggermente la testa. “Non ne ho idea. Ma adesso l’importante è altro: come facciamo ad esibirci solo con Loser like me? Non possiamo, è contro il regolamento esibirsi con un solo brano!” “Sempre che non ci abbiano rubato anche quella …” borbottò Vegeta stizzito. Non sapevamo cosa fare: eravamo nel panico. In quel momento entrò anche il nostro insegnante, che avendo assistito anche lui all’esibizione era accorso da noi pallido come un cencio. “Ragazzi ma …” balbettò. “Si, lo sappiamo. Professore, siamo finiti, non possiamo esibirci solo con un brano!” esclamò Crillin, stringendo i pugni. In quel momento, un’idea a mi balenò in testa. “Ragazzi ho un’idea! Presto, voi andate a vedere se quelli della Dalton si sono esibiti anche con Loser like me!” Il professore mi guardò confuso. “E tu che farai?” “Mi è venuta in mente un’idea. È l’unica cosa che possiamo fare … forza andate, sbrigatevi!” esclamai agitata. Annuirono, correndo verso il palcoscenico. Vegeta invece era rimasto lì con me e mi fissava curioso mentre ero intenta a frugare nervosamente nella mia borsa. “Che hai intenzione di fare?!” sbottò poi. “Canterò una canzone.” Risposi con ovvietà, sempre senza smettere di cercare all’interno della mia borsa. “Si ma cosa canterai?!” chiese lui spazientito. In quell’istante, trovai finalmente ciò che cercavo ed estraendo i fogli dalla borsa, mi voltai verso Vegeta, mostrandoglieli. “Questa canzone l’ho scritta qualche tempo fa da sola. L’avevo portata dietro per sicurezza, pensando che sarebbe potuta servire. A  quanto pare avevo ragione.” Vegeta diede un’occhiata veloce agli spartiti ed annuendo soddisfatto, rispose: “Si, brava! Forza sbrighiamoci, dobbiamo portare questi spartiti ai musicisti e dopo quei bastardi della Dalton tocca a noi!” “D’accordo, andiamo!” e per la seconda volta, corremmo alla velocità della luce per i corridoi di quel teatro che stava facendo da scenario alla nostra prima gara.
Pochi minuti dopo, anche quei montati della Dalton finirono di esibirsi. Fortunatamente, non avevano rubato anche Loser like me, perciò a parte “Somebody” cantarono altri brani, ovviamente non originali. Restava comunque da scoprire come diavolo avessero fatto ad avere la nostra canzone. Chi mai avrebbe potuto aiutarli ad umiliarci e a sabotare la nostra esibizione?! Ma a quello avremo pensato dopo. In quel momento, l’unica cosa da fare era cercare di salvare la situazione e mostrare a tutti chi eravamo.  Non appena gli Usignoli uscirono di scena, le luci si spensero. Il presentatore intanto ci stava introducendo e in mezzo a quella confusione non riuscimmo a vedere quei codardi della Dalton. Con loro avremmo fatto i conti dopo. “Signori e signore, è arrivato ora il momento del Glee Club proveniente dalla Orange High School. Ecco a voi le Voci fuori dal coro!” esclamò il presentatore. Era arrivato il momento. Ero ancora più nervosa di prima, considerando che avrei dovuto esibirmi con un brano che non avevo mai provato. Stavo per entrare in scena, quando sentii una mano sfiorare la mia. Mi girai sorpresa, incontrando le iridi scure di Vegeta. “Vai su quel palco e falla pagare a quei bastardi. Mostragli chi sono le Voci fuori dal coro. Mostragli chi sei tu.” Sorpresa, lo guardai dolcemente, annuendo.  “Io credo in te.”  Concluse poi lui, prima di lasciarmi la mano e di darmi una leggera spinta verso il palcoscenico. Non appena misi piede sul vecchio pavimento in legno del palco, mi ritrovai centinaia di occhi puntati su di me. Con passo tremante mi avvicinai al centro del palco, dove un’asta con un microfono mi stava aspettando. Guardai per un’ultima volta indietro verso Vegeta. Lui accennò quel mezzo sorriso che più di ogni altra cosa era in grado di calmarmi. Sorrisi anche, e iniziai a cantare. (http://www.youtube.com/watch?v=SZftuwlohyI esibizione)
Bulma:
What have I done

I wish I could run away from this ship going under
Just trying to help
Hurt everyone else
Now I feel the weight of the world is, on my shoulders


Quella era la canzone che avevo scritto da sola, in una sera più triste delle altre. Era davvero molto personale, ma cantare quella canzone era l’unica cosa che avremo potuto fare. E poi, non appena iniziai a cantare, mi resi conto che in fondo non era stata una cattiva idea.

What can you do when your good isn’t good enough
And all that you touch tumbles down?
‘Cause my best intentions
Keep making a mess of things
I just wanna fix it somehow
But how many times will it take?
Oh how many times will it take for me
To get it right?
To get it right?


In quel momento, il viso dei presenti era una maschera di incredulità. Eravamo infatti il primo ed unico Glee Club che quella sera aveva presentato brani originali. In quel momento, l’unica cosa che avrei voluto vedere invece, era la faccia di quegli idioti della Dalton. Chissà quel’era la loro espressione in quel momento, mentre si erano resi conto che il loro piano per sabotarci era sfumato. Per la seconda volta.

Bulma:
Can I start again
With my faith shaken

 ‘Cause I can’t go back and undo this
I just have to stay
And face my mistakes

But if I get stronger and wiser, I’ll get through this
What can you do when your good isn’t good enough
And all that you touch tumbles down
Cause my best intentions
Keep making a mess of things
I just wanna fix it somehow
But how many times will it take?
Oh how many times will it take for me
To get it right


Anche tutti i miei amici e il nostro insegnante mi guardavano stupita. Nessuno di loro aveva idea che avessi scritto una canzone del genere. Ma i loro sguardi compiaciuti, mi suggerirono che quel brano piaceva anche a loro.

So I throw up my fist
Throw a punch in the air
And accept the truth
That sometimes life isn’t fair

Yeah, I’ll send out a wish. Yeah, I’ll send up a prayer
And finally someone will see
How much I care!


Arrivata a quella nota altissima, il pubblico esplose in un boato di applausi, alzandosi addirittura in piedi. Sembrava incredibile. Eravamo riusciti a risolvere il problema in pochi minuti. E l’avevamo fatto in una maniera niente male …

What can you do when your good isn’t good enough
And all that you touch tumbles down?
Cause my best intentions
Keep making a mess of things
I just wanna fix it somehow
But how many times will it take?
Oh how many times will it take

To get it right?
To get it right?


Non appena finii di cantare, il pubblico esplose in un boato di grida ed applausi. Sorrisi soddisfatta, lanciando un’occhiata ai miei amici che dietro le quinte esultavano felici. Dopodiché entrarono anche loro in scena, e il resto accadde piuttosto velocemente. Iniziammo a cantare il nostro secondo brano inedito, in mezzo a tutti quegli applausi e quelle grida entusiaste. (http://www.youtube.com/watch?v=gIvleB5fF78 esibizione)

Bulma:
Yeah, you may think that I’m a zero
But hey, everyone you wanna be
Probably started off like me
You may say that I’m a freak show

I don’t care
But hey, give it just a little time
I bet you gonna change your mind
All of the dirt you’ve been throwing my way
It ain’t so hard to take
That’s right
‘Cause I know one day you’ll be screaming my name
And I’ll just look away
That’s right


Iniziammo a cantare col sorriso stampato in viso. Le preoccupazioni di qualche minuto prima erano svanite ed ora dovevamo solo cantare quello che oggi possiamo considerare l’inno del nostro Glee Club.

Bulma e le Voci fuori dal coro:
Just go ahead and hate on me run your mouth
So everyone can hear
Hit me with the worst you’ve got and knock me down
Baby I don’t care
Keep it up and soon enough you’ll figure out
You wanna be, you wanna be
A loser like me
A loser like me


Felici, seguendo la nostra coreografia ed incoraggiati dal pubblico che era andato in visibilio. Così ci stavamo esibendo, di fronte allo sguardo incredulo degli Usignoli e a quello orgoglioso e fiero del Professor Dawson.

Vegeta:
Push me up against the locker
And hey, all I do is shake it off
I’ll get you back when I’m your boss
I’m not thinking about you haters
Cause hey I could be a superstar
I’ll see you when you wash my car


E poi Vegeta iniziò a cantare. Era tutto perfetto, sembrava davvero così felice e a suo agio su quel palcoscenico. E poi, devo dire che la canzone che avevamo scritto era davvero perfetta per noi.

Bulma Vegeta e le voci fuori dal coro:
All of the dirt you’ve been throwing my way
It ain’t so hard to take

That’s right
Cause I know one day you’ll be screaming my name
And I’ll just look away

That’s right
Just go ahead and hate on me run your mouth
 
So everyone can hear
 
Hit me with the worst you’ve got and knock me down
Baby I don’t care
Keep it up and soon enough you’ll figure out
You wanna be, you wanna be

A loser like me
A loser like me

Bulma e le voci fuori dal coro:
A loser like me!

In quel momento, come avevamo organizzato, Yamcha uscì un secondo di scena, per poi rientrare subito dopo con un finto carretto di granite. Camminando davanti a noi, faceva mostra di quelle che erano diventate il nostro simbolo di riconoscimento. Ognuno di noi afferrò un bicchiere dal carrello e con un glorioso finale corale, urlammo “Loser like me!” gettando i bicchieri addosso al pubblico. Ovviamente non vi erano delle vere granite, ma li avevamo riempiti di coriandoli, che in quel momento si sparsero tra la folla che ci acclamava entusiasta. Un gesto simbolico, che per noi significava tantissimo. Abbracciati tra di noi, stavamo così, davanti a tutta quella gente che ci acclamava come degli eroi. Guardai Vegeta lì vicino a me. ed insieme, ci scambiammo un sorriso complice insieme ad un occhiolino carico di significati.

Nota autrice:
buonasera gente! Eccomi qua, tornata con il ventiquattresimo capitolo della storia! Vi chiedo perdono se ieri non sono riuscita a pubblicare, ma sapete oltre alla scuola per me ieri sono ricominciate anche diverse attività, come le prove del coro della  chiesa, le prove per un musical a cui partecipo ecc … vi risparmio il lungo elenco delle mie mille attività, lasciandovi a questo capitolo che spero apprezzerete! Aspetto recensioni! ;) al prossimo capitolo (che non so quando riuscirò a scrivere e pubblicare, ma vi chiedo di avere pazienza se non riuscirò ad aggiornare molto presto … ;))
saluti
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Capitolo 25
*** Vittorie inaspettate e notizie scioccanti ... ***


“E il Glee Club che vince le Provinciali, qualificandosi per le Regionali è …” tutti i Glee Club erano riuniti su quel palcoscenico che pochi minuti prima aveva ospitato la nostra esibizione. Anche noi eravamo tra loro, abbracciati tra di noi e con le dita incrociate. Il presentatore sembrava non voler accennare a declamare il vincitore di quella competizione, accrescendo quindi maggiormente la mia ansia. Con lo sguardo puntato verso il presentatore, mossi la mia mano alla ricerca di qualcosa in mezzo al gruppo di noi ragazzi. Vegeta era proprio dietro di me, e non appena sfiorai il dorso della sua mano con le dita, riconobbi subito colui che cercavo. Gli presi la mano, stringendola con una forza tale da stritolargliela. “Ma che diavolo fai?!” sbottò sorpreso e irritato, arrossendo violentemente. In tutta risposta, strinsi maggiormente la presa, invitandolo a tacere e a non infierire in un momento come quello. Conscio del fatto che se mi avesse contradetto ulteriormente probabilmente non avrebbe più avuto una mano, non disse niente, limitandosi a guardarsi in torno imbarazzato. “I vincitori sono …” “Ma quanto diavolo ci vuole a leggere un nome su una busta?!” sbottò Vegeta scocciato e arrabbiato, ricevendo in risposta solo un’occhiataccia risentita dagli altri Glee Club e una di rimprovero da parte nostra. “Sei sempre il solito Vegeta, non cambierai mai! Per una volta potresti smettere di ringhiare contro tutti come un cane rabbioso!?” lo rimproverai. Per tutta risposta, cominciò a stritolarmi con una forza sovrumana la mano,  ghignando soddisfatto nel notare il cambiamento d’espressione del mio viso dolorante. “Ah ahia, mi fai male!” balbettai con un filo di voce. “Come come? Non riesco a sentirti, sai io sono solo in grado di ringhiare contro tutti …” disse lui fintamente mellifluo. Rossa di rabbia, ribattei: “E infatti è così, maleducato! E adesso lasciami immediatamente la mano!” intenti come eravamo a litigare, non ci eravamo resi conto che gli occhi di tutti fossero puntati su di noi e che nessuno apriva bocca, tutti presi dalla nostra discussione. “Oh adesso vuoi che la lasci? Prima mi sembrava che volessi tanto tenerla, quando ti sei messa a cercare la mia mano con la stessa foga di una drogata in astinenza, o sbaglio?” disse lui, colpendomi nel segno. Arrossii, imbarazzata. “Non c’entra niente idiota!” “Ah io sarei l’idiota! Senti chi parla …” “Le Voci fuori dal coro!” ci girammo tutti in contemporanea verso colui che aveva parlato. Il presentatore si era deciso a rivelare il tanto agognato vincitore, proprio in quel momento, interrompendo la nostra discussione. Ma fu ciò che disse a lasciarci stupiti. “H –ha detto Voci fuori dal coro?” balbettai confusa. L’uomo annuii sconsolato, riprendendo poi in mano la situazione. “Si, il Glee Club vincitore sono le voci fuori dal coro della Orange High School!” proclamò nuovamente, con il tipico carisma di ogni presentatore che si rispetti. Il teatro esplose in un applauso gigantesco. Le espressioni degli altri Glee Club, in particolar modo degli Usignoli, erano a dir poco indecifrabili. Noi eravamo rimasti a bocca aperta. Avevamo davvero vinto? Dopo aver assimilato la notizia e compreso di aver davvero vinto le Provinciali, ci guardammo con gli occhi spalancati, scoppiando poi in un grido di gioia e abbracciandoci in gruppo. Un abbraccio di gruppo colmo di gioia, incredulità ma soprattutto di orgoglio. Eravamo orgogliosi di noi. Incredibilmente, avevamo vinto. Per la prima volta nella nostra vita, avevamo vinto.

Felici ed ancora increduli, ci apprestammo a lasciare il teatro, dopo esserci cambiati e aver ricevuto l’abbraccio del nostro insegnante e i complimenti di una commossa signorina Videl. Uscimmo in strada da soli, lasciando il nostro insegnante e la guida scolastica indietro rispetto a noi, intenti a chiacchierare. Per noi c’era ancora una questione da risolvere.
“Dove credete di andare?!” sbottò Vegeta a nome di tutti noi. Radunati in gruppo, guardavamo con disprezzo gli Usignoli che si stavano apprestando a lasciare il teatro ancora sconvolti e lividi di rabbia. Non appena udirono la dura voce del nostro “leader”, si girarono a guardarci sorpresi e con un espressione infuriata. “Chi è stato?” continuò Vegeta. Uno di loro ghignò sadicamente. “A cosa ti riferisci, di grazia?” chiese con finta ingenuità. “Sai benissimo a cosa mi riferisco! Chi è stato a darvi la nostra canzone!?” ringhiò Vegeta, stringendo i pugni. Sorrisero diabolicamente. “Ti riferisci alla NOSTRA canzone? Mi dispiace, ma se credete che vi riveleremo come abbiamo fatto ad avere la canzone, vi sbagliate di grosso.” “Quella è la nostra canzone, bastardi!” sbottai poi io arrabbiata. “Non ve ne andrete di qui fino a quando non ci avrete detto chi è stato a darvi la canzone. Chiaro?!” sibilò Vegeta, cercando di contenere la rabbia sempre crescente. “Io non ne sarei così sicura.” Rispose Valese con un ghigno diabolico. Detto questo, con un cenno del capo, diede l’ordine ad alcuni di quei viziati di agire. Non capii poi molto di quello che accadde. So solo che in un istante mi ritrovai un pugno conficcato nello stomaco e dopo una botta in testa, caddi a terra priva di sensi. Ricordo solo una cosa. “E comunque anche se avete vinto le Provinciali, vi consiglio di non cantare vittoria tanto presto. Ci vediamo alle Regionali, perdenti …” concluse Valese, ridendo sguaiatamente insieme ai suoi compagni. Dopodiché, solo il buio.

“Bulma? Bulma?” socchiusi leggermente gli occhi. “Ragazzi, si sta svegliando!” esultò qualcuno. Riconobbi subito la voce di Chichi, a dir poco sollevata nel vedermi aprire gli occhi. Sbattei le palpebre diverse volte, prima di riuscire a focalizzare bene ciò che mi circondava. Non appena recuperai la vista, vidi tutti i miei amici sopra di me, che mi squadravano preoccupati. Ero distesa su alcuni sedili, riconoscendo i posti dell’autobus, capii che stavamo viaggiando su di esso. “Che- che mi è successo?” chiesi alquanto confusa e tenendomi la testa tra le mani. Mi doleva terribilmente. Chichi mi sorrise comprensiva, rispondendo poi. “Gli Usignoli della Dalton ti hanno colpita alla testa e tu sei svenuta.” Annuii, ricordando vagamente quegli attimi avvenuti quante ore prima ormai? “Ma dove siamo?” chiesi ancora confusa. “Stiamo tornando a casa. Ormai dovrebbe mancare poco, sei rimasta priva di sensi per più di un’ora …” mi spiegò dolcemente. Mi guardai intorno, riconoscendo i volti di tutti i miei amici. Goku, Crillin, Tensing, Yamcha, Riff, C18 … ma lui? “Vegeta? Dov’è?” chiesi preoccupata, cercando di alzarmi, ma con conseguente risultato solo un ulteriore giramento di testa. “Stai buona giù, non muoverti idiota!” proclamò duramente una voce. Sgranai gli occhi, riconoscendo la sua voce. “Vegeta! Ma dove sei?” chiesi guardandomi intorno. Sono qui davanti a te, idiota!” rispose. Mi sporsi leggermente, riuscendo così a scorgere la figura di quello scorbutico seduto sul sedile di fronte al mio. Non riuscii a guardarlo in faccia, poiché aveva il viso rivolto verso il finestrino, ma ero sicura di averlo visto tenere qualcosa su un occhio. Corrucciai lo sguardo confusa, chiedendo poi a Chichi: “Chichi, ma che cosa sta tenendo Vegeta su quell’occhio?” lei sorrise maliziosamente, invitandomi poi ad abbassare la voce. Si avvicinò al mio orecchio, sussurrando: “Sai, quando Gli Usignoli ti hanno colpito e sei svenuta, Vegeta è diventato una furia. Si è scagliato contro di loro infuriato, riuscendo a colpire uno di quelli che ti aveva picchiato. Purtroppo però, con questo suo gesto eroico e vendicativo ha anche rimediato un bel pugno su un occhio, per questo adesso ci ha messo del ghiaccio. Gli hanno fatto davvero un bell’occhio nero, ma avresti dovuto vederlo: non appena sei caduta a terra è come impazzito, te lo giuro!” sgranai gli occhi dalla sorpresa. “Di – dici sul serio?” balbettai incredula. Lei annuii. “Sono serissima. Secondo me quello scorbutico si sta innamorando di qualcuno …” disse sorridendomi maliziosamente e facendomi l’occhiolino. “E a quanto pare, sembra anche essere ricambiato, o sbaglio mia cara?” disse alludendo all’intensa colorazione rosso carminio assunta dalle mie guance alle sue parole. “Ma che dici, come ti vengono in mente certe cose?! Io e Vegeta siamo solo amici, litighiamo anche in continuazione, se non te ne fossi accorta!” sbottai cercando di difendermi, probabilmente a voce un po’ troppo alta, poiché tutti gli altri si girarono a guardarmi curiosi. Vegeta invece non fece una piega, e capii in quel momento che si era infilato le cuffiette e stava ascoltando la musica, estraniandosi dal resto del mondo. Dio solo sa quanto in quel momento ringraziai colui che aveva inventato l’Ipod. “Parla piano!” mi rimproverò Chichi. “E comunque, sarà come dici tu, ma secondo me tra te  e Vegeta c’è qualcosa. E poi come si dice? L’amore non è bello se non è litigarello!” disse, scoppiando poi a ridere. Io arrossii se possibile ancora di più, e stringendo i pugni la richiamai. “Smettila!” ma ormai lei era partita per la tangente e niente l’avrebbe fermata. Sospirai sconfitta: Chichi aveva davvero capito tutto.  
“Bulma ti sei svegliata!” il professor Dawson mi raggiunse al mio posto, rivolgendomi un’occhiata sollevata. “Si, è tutto a posto professore.” Risposi sorridendo leggermente. Lui annuii, dicendo poi: “Comunque non riesco ancora a credere che quelli della Dalton si siano potuti comportare così. Prima rubarvi la canzone, e poi picchiare due di voi, è assurdo!” tutti quanti annuimmo, rispondendo poi tristemente: “Comunque non possiamo farci niente professore. Non possiamo di certo contestare contro gli Usignoli o accusarli pubblicamente di averci rubato una canzone. Non ci crederebbe mai nessuno.” Il nostro insegnante scosse la testa desolato. “è davvero ingiusto ….” “Comunque l’importante ora è essere felici. Ragazzi, avete vinto le Provinciali, ce l’avete fatta!” annuimmo sorridendo entusiasti. “Devo dirvi una cosa però: ecco, sapete, non siete gli unici ad aver passato il turno …” cominciò indeciso. Aggrottammo lo sguardo: “Che vuole dire?” “Voglio dire che oltre a voi, anche un altro Glee Club è passato, essendo arrivato primo a pari merito con voi …” “Professore non ci dica che …” lui annuii tristemente. “Ragazzi, alle Regionali ci saranno anche gli Usignoli.”


“Spiegami come è potuto accadere!” urlò al telefono un’infuriata Valese. “Cosa vuoi da me, io il mio compito l’ho portato a termine. Volevate la canzone e io ve l’ho data, ecco tutto. Se voi non siete comunque riusciti a batterli, è un problema vostro!” rispose ringhiando lui dall’altra parte del telefono. “Avevano altre due canzoni originali! Questo tuo padre lo sapeva?!” ribattè arrabbiata la corvina. L’interlocutore dall’altra parte del telefono strabuzzò i piccoli occhi malvagi. “No, non lo sapeva! E comunque, siete passati anche voi o no alle Regionali?” “Siamo passati, ma anche loro ci saranno! Il nostro obiettivo era quello di farli fuori subito!” ripetè arrabbiata la voce femminile. Il ragazzo dall’altra parte sorrise malignamente. “Vorrà dire che li farete fuori alle Regionali, se non prima. Credo che mio padre dovrà fare un discorsetto con un certo Professor Dawson … Fidatevi di me: le Voci fuori dal coro, non dureranno ancora a lungo …” Aggrottò le sopracciglia, dubbiosa. “Freezer?  Freezer, spiegati meglio!” ma la chiamata era già stata chiusa.

Nota autrice:
salve salvino gente! Eccomi tornata ad aggiornare (non credevo ci sarei riuscita) la long, con il venticinquesimo capitolo della storia! Spero che vi sia piaciuto, anche se ammetto che è piuttosto breve … comunque, come avete letto, i nostri amici hanno vinto le Provinciali, accedendo alle Regionali, ma non sono stati gli unici … avete capito chi è il misterioso personaggio che sta aiutando gli Usignoli contro i nostri ragazzi? Io credo di si … ;) mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate di questa storia perciò come sempre vi ringrazio già da ora per l’attenzione, in attesa di recensioni. :) vorrei ringraziare anche coloro che hanno messo la storia tra le ricordate, le preferite e le seguite, mi fa un piacere immenso! Ringrazio ovviamente, anche solo chi legge, ringraziadolo per l'attenzione. :)
un particolare ringraziamento va a coloro che sono sempre pronte a sostenermi, recensendo ogni capitolo di questa storia, perciò credo che un riconoscimento gli sia più che dovuto! ;) ringrazio quindi le fantastiche baby junior, Armstrong_92 e BuddyStorm, per le loro fantastiche recensioni! Come avrete capito, oggi sono in vena di ringraziamenti, ma mi sembravano tutti più che dovuti. ;) Grazie ancora e al prossimo capitolo!
Saluti
TWOTS

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Capitolo 26
*** Un brutto posto e verso le Regionali ... ***


“Come va il tuo occhio?” chiesi a Vegeta con finta indifferenza. Eravamo appena arrivati alla nostra scuola, e una volta scesi dall’autobus ci eravamo tutti incamminati ognuno verso casa sua. Beh, quasi tutti. Vegeta infatti camminava al mio fianco, diretti verso la mia casa. Non fatevi strane idee: se credete che si sia offerto volontario di riaccompagnarmi, vi sbagliate di grosso. Diciamo che è stato, come dire “costretto” da una alquanto preoccupata Chichi. Pochi minuti prima infatti, scendendo dall’autobus avevo avuto un ulteriore giramento di testa, dovuto alla botta ricevuta qualche ora prima. Vedendomi quindi pericolosamente instabile, Chichi si preoccupò subito, soccorrendomi: “Bulma va tutto bene?” chiese infatti ansiosa, sorreggendomi un braccio. Strizzai gli occhi in modo da poter riacquistare la vista sfocata, e una volta messo a fuoco la faccia preoccupata della mia amica, le sorrisi dolcemente. “Sto bene, tranquilla. Era solo un giramento di testa.” Lei annuii, non troppo convinta. “Comunque non voglio che tu vada a casa da sola, non in queste condizioni almeno! Potresti avere un altro mancamento, non se ne parla!” disse. “Grazie mille per l’incoraggiamento. E comunque non preoccuparti, davvero, è tutto a posto.” Lei scosse la testa. “No invece. Ti accompagnerei io, ma devo per forza rientrare, è già tardi e mio padre potrebbe preoccuparsi.” Si guardò poi intorno, passando in rassegna coloro che erano rimasti. Non ci mise molto, poiché erano solo in due presenti: Goku e Vegeta. Gli altri si erano magicamente dileguati alla velocità della luce. Un lampo di genio ombrò gli occhi della mia amica, che esclamò con forse un po’ troppa enfasi: “Vegeta! Avanti, accompagna Bulma a casa!” pronunciò tali parole con l’autorità di un dittatore. Vegeta sgranò gli occhi a tale domanda, rispondendo poi: “Io?! E perché mai avrebbe bisogno di un accompagnamento a casa?! Cos’è, non ha forse le gambe?!” “Ma non vedi che non si regge in piedi, poverina!?” sbottò in risposta la corvina. Incrociai le braccia scocciata. “Grazie mille per gli incoraggiamenti! E comunque, se non ve ne foste accorti, io sono ancora qui!”  “Tsk, sono affari suoi se è cosi ritardata da non riuscire a camminare per un paio di chilometri. A me non interessa niente, cavoli suoi!” continuò imperterrito lui, sbuffando e volgendo lo sguardo altrove.  L’espressione di Chichi si fece d’un tratto maliziosa. Capii subito a cosa era dovuto quel sorriso furbetto dipinto sul suo volto, e la cosa in un certo modo mi rassicurava. Chichi aveva un piano. “Oh davvero Vegeta? Sei sicuro che non ti importi niente? Devo forse rinfrescarti la memoria riguardo a ciò che è accaduto qualche ora prima, o ti basta quel bell’occhio nero che ti ritrovi?!” disse lei, con voce melliflua. Vegeta sgranò gli occhi e stringendo i pugni, richiamò Chichi vicino a lui. Lei si avvicinò, sorridendo beffarda, sicura di essere riuscita nel suo intento. “Prova a farne parola con lei, e non sarò l’unico con un occhio nero tra di noi, chiaro?!” ringhiò lui, convinto che non potessi sentire. Non sapeva infatti che fossi a conoscenza della sua reazione incontrollata al mio svenimento. Chichi questo lo sapeva benissimo, per questo sorrise gagliarda, consapevole di aver centrato il punto. “D’accordo, io non le dirò niente. A patto che tu la riaccompagni a casa.” Lo ricattò lei. Vegeta emise qualche borbottio disconnesso, imprecando contro la corvina. “Va bene, la riaccompagno!” sbottò poi alla fine, sconfitto. Un sorriso soddisfatto si dipinse sulle labbra della mia amica. “Bravo, ottima idea!” detto questo, si girò verso me e il povero Goku, rimasti a guardare la scenetta curiosi. “Bene Bulma, puoi stare tranquilla: ti accompagnerà Vegeta a casa!” proclamò vittoriosa. Dopodiché si avvicinò a me, sorrise maliziosa, dicendo: “Beh, direi che noi possiamo andare Goku. Bulma è in buone mani.” Detto questo, mi fece l’occhiolino, prendendo a braccetto un ignaro Goku e allontanandosi per le buie vie della città. “Avanti, sbrigati. Non ho tempo da perdere, io.” Sbottò poi Vegeta, prendendo a camminare senza nemmeno girarsi a guardarmi. Lo seguii annaspando, tentando di richiamare la sua attenzione. “Accidenti Vegeta, aspettami un secondo! Per favore!” finalmente, dopo qualche imprecazioni da parte mia, si fermò. “Dove abiti?” chiese diretto. Abbassai lo sguardo, imbarazzata. “Nella Est Avenue.” Ammisi poi, senza guardarlo in faccia. Mi vergognavo terribilmente. Nella nostra città, la Est Avenue era considerata un po’ “Il Bronx” di quel piccolo paesino di provincia. Abitato da ladri, prostitute, mendicanti, barboni, alcolizzati e quant’altro, era il classico esempio di quartiere malfamato, dove i bambini crescevano senza un’infanzia e gli adulti divenivano i tali troppo in fretta. Lo stesso era accaduto a me. Senza dire niente, annuì, prendendo poi a camminare in direzione di quel postaccio che però era casa mia. Mi sentivo terribilmente in imbarazzo e in colpa, stavo portando Vegeta in un posto che un ragazzo della nostra età non avrebbe mai dovuto vedere. Ad un tratto, non ce la feci più, perciò esclamai: “Senti Vegeta, non preoccuparti. Non sei obbligato a riaccompagnarmi, davvero. È meglio se vai a casa tua, io me la so cavare da sola. Tranquillo.” un ghigno si delineò sul suo volto perfetto. “Credi che abbia paura ad entrare nella Est Avenue? Solo perché abito in una bella casa, non significa che condanni coloro che a differenza mia sono cresciuti in un ambiente piuttosto burrascoso. Anzi, quando vedo qualcuno di quei ragazzini che giocavano per le malfamate vie di quel quartiere, andare avanti e cercare di vivere una vita migliore, in un certo senso li stimo. Provo un senso di ammirazione, credo.” Disse lui. Sorrisi dolcemente. In modo molto implicito, aveva detto che mi stimava. Seguirono altri minuti di silenzio, durante i quali solo il rumore dei nostri passi risuonavano per le deserte strade. “Allora? Come va il tuo occhio?” chiesi infine io. Lui si irrigidì di colpo, facendo una smorfia contrariata. “Che ti importa?!” disse arrabbiato. “Niente,volevo solo sapere come stavi. Scusa se mi sono interessata a te.” Conclusi sbuffando. Lui non rispose. Le strade intanto si facevano ancora più buie. La scarsa illuminazione dei lampioni che ci aveva accompagnato sino a quel momento era scomparsa, e ormai l’oscurità avvolgeva ogni cosa nel suo raggio. Eravamo arrivati alla Est Avenue. Per i freddi e bui vicoli, si alternavano scenari a dir poco contrastanti tra di loro: prostitute in attesa di clienti, ragazzi ubriachi che si scolavano l’ennesima bottiglia di birra seduti su un vecchio marciapiede, risse tra le varie bande del posto. Funzionava così, lì. Vegeta camminava tranquillo, senza dire niente. Sembrava sereno. Sorrisi amaramente: era la prima persona che vedevo camminare tranquillamente per l’Est Avenue. Ad un tratto un rumore, un colpo di pistola interruppe la quiete creatasi in un altro di quegli innumerevoli vicoli. Vegeta sussultò, guardandosi intorno. Io invece non dissi niente, continuando a camminare. “Non è la prima sparatoria della giornata, se te lo stai chiedendo. Qui accadono in continuazione. Probabilmente proviene dal porto, solitamente i gruppi di malviventi si ritrovano là, a contrattare la loro merce. Capisci che intendo, no?” lui annuii, senza parlare. Ciò che avevo detto era vero: una sparatoria era normale in un luogo come quello. Io ormai ci avevo fatto l’abitudine, per questo non mi scandalizzavo più di tanto. Camminammo per qualche altro metro, fino a quando non mi fermai di fronte ad un vecchio palazzo fatiscente. “Io sono arrivata.” Balbettai imbarazzata, indicando l’edificio alle mie spalle. Vegeta annuii, squadrando il palazzo. “Beh, allora io vado. Stai attento al ritorno, per favore.” Supplicai Vegeta ansiosa. Lui mi guardò in silenzio, ghignando poi leggermente. “Tranquilla, so tenermi lontano da una sparatoria.” Sbuffai sconsolata. “Va bene, come vuoi tu. Allora, buonanotte, Vegeta.” Dissi. “Buonanotte.” Disse lui, lanciandomi un’ultima occhiata, prima di voltarsi e dirigersi verso l’uscita di quel posto. Lo guardai ansiosa, fino a quando non voltò l’angolo della strada, scomparendo alla mia vista. Con il cuore in gola, entrai poi in casa.
Erano le 23,35. Vegeta doveva già essere arrivato a casa. Camminavo avanti e indietro per la stanza, in preda all’agitazione. Avevo paura che gli succedesse qualcosa. Da un lato le tentazione di chiamarlo era tanta, ma dall’altro sentivo che se lo avrei fatto, probabilmente si sarebbe infuriato con me, accusandomi di non fidarmi di lui. Passarono altri cinque minuti di angoscia e alla fine, la ragazza innamorata dentro di me, cedette alla tentazione di sentire come stesse. Non lo chiamai però, preferendo scrivergli un messaggio nel modo meno allusivo possibile. “Ehi, come va? Grazie per avermi accompagnato, ci vediamo domani al Glee Club!” rilessi il messaggio una decina di volte. In fondo non chiedevo niente di particolare, lo ringraziavo solo per avermi riaccompagnato a casa, niente di che. L’importante, era che rispondesse. Avevo bisogno di sapere che stesse bene. Inviai il messaggio, e con il cuore in gola mi sdraiai sul letto, con il cellulare stretto tra le dita. Neanche un minuto dopo, una vibrazione tra le mie mani mi fece sussultare. Aprii il cellulare con foga, leggendo il messaggio appena arrivato. “Se volevi davvero sapere se fossi arrivato a casa sano e salvo, bastava chiamare. Come vedi, sono vivo e vegeto.” Aveva risposto. Arrossii leggermente: mi aveva beccato! “Simpatico come sempre! Quasi mi dispiace di sentire che sei ancora tra di noi!” scrissi sorridendo. Inviato. Dopo neanche dieci secondi, arrivò la risposta di lui. “Ma sentitela, come se riusciresti a vivere senza di me! mi assilli in continuazione, ormai non riesci a vivere senza torturarmi con la tua vocetta da gallina!” lessi il messaggio incredula. Come poteva dire che non sarei riuscita a vivere senza di lui? O meglio, come faceva a saperlo? Decisi però di ribattere, inviperita per quell’insulto. “Ah davvero?! Però mi sembra che la mia vocetta da gallina abbia salvato tutti noi stasera alla gara! Se non fosse per me, a quest’ora staremmo rintanati in casa a piangere delusi dalla sconfitta!” invio. Quindici secondi. Una vibrazione. “Oh, siamo modesti a quanto vedo! D’accordo, forse questa te la posso concedere, sei stata brava. E ora che ti sei accertata che non mi hanno fatto fuori in una sparatoria, ti consiglio caldamente di andare a dormire e di lasciare in pace anche me!” sorrisi soddisfatta. Dovevo essere io ad avere l’ultima. “D’accordo. Ah, e comunque grazie per avermi difeso contro quelli della Dalton. È stato davvero un bel gesto da parte tua. Anche se ci hai rimediato un bell’occhio nero … Buonanotte!” inviato. Sorrisi soddisfatta. Nessuna risposta. Immaginai la faccia sconcertata di Vegeta intento a leggere il mio messaggio e a scoprire che sapevo tutto di quello che era successo dopo il mio svenimento. E al pensiero che Chichi l’aveva fregato … probabilmente in quel momento era diventato una furia. Sorrisi leggermente divertita, immaginandomi la reazione di quello scorbutico. Poi, sorridendo mi addormentai. In fondo, il mal di testa mi era leggermente passato.
I giorni seguenti trascorsero tranquillamente. A scuola, nonostante avessimo vinto le Provinciali, avevamo come sempre meno considerazione di una gomma da masticare, e Freezer e i suoi amici continuavano a riempirci di granite in faccia ogni mattina. Non avevamo ancora idea di chi fosse stato a rubare la nostra canzone e a darla agli Usignoli, e sinceramente avevamo rinunciato a scoprirlo: era solo una battaglia persa. Le lezioni del Glee Club continuavano, più freneticamente di prima, poiché le Regionali si sarebbero tenute solo tra un mese. Non avremmo eseguito brani originali, perciò la preparazione avrebbe dovuto essere più semplice rispetto a quella affrontata per le Provinciali. Dico avrebbe, perché in realtà le prove per le Regionali furono ancora più stressanti di quanto avremmo immaginato. Ma la colpa, era nostra: ci eravamo infatti intestarditi a tal punto da voler raggiungere la perfezione per le Regionali e battere così quei palloni gonfiati della Dalton. Così continuavamo a provare ogni giorno, seguiti e supportati dal nostro instancabile Professor Dawson, arrivando la sera più stanchi che mai. Ma io e Vegeta non avevamo occasione di poterci rilassare: finite le lezioni del Glee Club infatti, io e Vegeta ci precipitavamo a casa sua, intenti a continuare le nostre indagini per la ricerca del padre di Vegeta. Non avevamo scoperto granché: la madre di Vegeta infatti, parlava davvero pochissimo del presunto padre di suo figlio, essendo lei stessa incerta sulla sua identità. C’era però un nome che si ripresentava piuttosto frequentemente su quelle vecchie pagine di diario. V. Solo V, la madre di Vegeta si riferiva così a questo misterioso ragazzo. Non era facile risalire ad una persona conoscendo solo l’iniziale del suo nome. Vegeta lo sapeva, per questo mi sembrava ogni giorno più scoraggiato nelle sue ricerche. Avrei voluto spronarlo a non mollare, convincerlo che lo avremo trovato. Ma come avrei potuto mentirgli, se ormai anche io sapevo che le speranze di ritrovare il padre di Vegeta erano davvero poche? Perciò abbassavo la testa sospirando, senza dire a Vegeta che forse non avrebbe mai incontrato suo padre.
Passò quindi un mesetto. Sebbene le prove per le Regionali ci rubassero molto tempo, spesso non rinunciavamo al piacere di stare seduti tutti insieme in aula canto, ad improvvisare qualcosa tutti insieme. Capitava infatti, che qualcuno di noi iniziasse a canticchiare qualcosa, e poi di seguito anche gli altri si univano a lui, trasformando quello che era partito solo come uno svago in una vera e propria esibizione. Come quel giorno. Seduti in aula canto, in attesa del nostro professore, ci guardavamo spazientiti. Vegeta stava seduto vicino a me, con in mano la sua inseparabile chitarra. Ad un tratto, perso nei suoi pensieri ed intento a fissare un punto imprecisato della stanza, cominciò a strimpellare qualche accordo sullo strumento, canticchiando leggermente.

Vegeta:
I wanna be a billionaire so fricking bad 
Buy all of the things I never had 
Uh, I wanna be on the cover of Forbes magazine 
Smiling next to Oprah and the Queen 




 Sorridemmo tutti guardandolo e riconoscendo la canzone. Iniziammo così a tenere maggiormente il ritmo, mentre Vegeta, iniziò a cantare un po’ più forte continuando a suonare.

Oh every time I close my eyes 
I see my name in shining lights 
A different city every night oh 
I swear the world better prepare 
For when I'm a billionaire 



Funzionava così tra di noi. Bastava un occhiata, uno sguardo, e ci comprendevamo tutti alla perfezione.

Yamcha:
Yeah I would have a show like Oprah 
I would be the host of, everyday Christmas 
Give Travie a wish list 
I'd probably pull an Angelina and Brad Pitt 
And adopt a bunch of babies that ain't never had sh-t 
Give away a few Mercedes like here lady have this 
And last but not least grant somebody their last wish 
It's been a couple months since I've single so 
You can call me Travie Claus minus the Ho Ho 
Get it, hehe, I'd probably visit where Katrina hit 
And damn sure do a lot more than FEMA did 
Yeah can't forget about me stupid 
Everywhere I go I'm a have my own theme music 



Essendo un pezzo rap, ovviamente Yamcha cominciò a cantare. Lui adorava il rap. Così noi ci trovammo a fare da coro, mentre quel ragazzo dalla cicatrice in viso continuava a sparare una raffica di parole dietro l’altra.

Vegeta e Voci fuori dal coro:
Oh every time I close my eyes 
I see my name in shining lights 
A different city every night oh 
I swear the world better prepare 
For when I'm a billionaire 
Oh oooh oh oooh for when I'm a Billionaire 
Oh oooh oh oooh for when I'm a Billionaire



Vegeta ricominciò poi a cantare il ritornello, sempre strimpellando sulla sua chitarra. E noi, ci unimmo a lui, cantando tutti insieme. Era bello, dopo settimane passate a provare le esibizioni per le Regionali, ritrovarsi così tutti insieme, a strimpellare e ad improvvisare nella nostra aula canto, in attesa del nostro insegnante.

Vegeta:
I wanna be a billionaire so fricking bad 
Buy all of the things I never had 
Uh, I wanna be on the cover of Forbes magazine 
Smiling next to Oprah and the Queen 


I wanna be a billionaire so frickin bad!



 E anche quell’esibizione improvvisata terminò, accompagnata dalle risate divertite di tutti di noi. Risate che però cessarono, nel momento in cui il nostro insegnante spalancò la porta, entrando in aula senza fiatare e con lo sguardo basso. Eravamo preoccupati: non aveva mai avuto quella faccia.

Nota autrice:
Buondì gente! Siamo arrivati al ventiseiesimo capitolo …. Non è un granché, me ne rendo conto, ma questo capitolo è un po’ un intermezzo, un capitolo di passaggio a ciò che succederà nei prossimi. Ho inserito una canzone anche in questo capitolo, senza però mettervi il link di un’eventuale esibizione, dato che in realtà non ce ne sono … Comunque la canzone è “Billionaire” di Bruno Mars (*-*) e Travie McCoy. Se volete ascoltarla … (http://www.youtube.com/watch?v=tTljKqYC2hM)
Come sempre vi ringrazio già da ora per l’attenzione, sperando che il capitolo vi sia piaciuto, anche se non è un granchè … ma tranquilli, mi rifarò nei prossimi, dove vi posso assicurare che ne accadranno delle belle … Regionali in vista! ;) Fatemi sapere cosa ne pensate! :) al prossimo capitolo!
Saluti
TWOTS


 

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Capitolo 27
*** Rivelazioni ... ***


“Professore? Professore, cosa è successo?” a quel richiamo, il Professor Dawson sembrò risvegliarsi da quell’apparente stato di coma, scuotendo leggermente la testa e guardandoci confuso. “Eh? Cosa?” chiese infatti spaesato. “Va tutto bene, Professore? È successo qualcosa?” ripetemmo impazienti. Lui scosse leggermente il capo, rispondendo poi: “No, va tutto bene, tranquilli.” Lo disse sorridendo, ma si vedeva che era un sorriso forzato. “Professore, se è successo qualcosa può dircelo, noi …” “Non è successo niente, d’accordo!?” sbottò leggermente arrabbiato. Sgranammo gli occhi sorpresi: non era da lui comportarsi in quel modo. Resosi conto della sua brusca reazione, abbassò lo sguardo, passandosi una mano sul viso. “Scusate, non volevo reagire così. È tutto a posto, davvero, non preoccupatevi …” disse, quasi supplicandoci. Annuimmo ancora confusi, ma senza dire niente. “Comunque, siete pronti!? Vogliamo andare a provare in Auditorium?!” esclamò poi il nostro insegnante, riacquistando il suo tipico entusiasmo e il suo radioso sorriso. Senza dire niente, lo seguimmo fuori dall’aula verso l’Auditorium, anche se ancora perplessi. Una volta giratosi di spalle infatti, il sorriso sul viso del Professor Dawson era scomparso.
I giorni passarono velocemente. Nonostante il nostro insegnante cercasse di mostrarsi raggiante ed entusiasta come al solito, si vedeva che in realtà qualcosa era cambiato. Quel giorno era successo qualcosa che lo aveva turbato a tal punto da dover fingere di sorridere. Anche Vegeta sembrava diverso. Era diventato più schivo e taciturno del solito, durante le nostre ricerche su suo padre sembrava distante, scoraggiato. Ormai non ci capivo più niente.
Arrivò così il giorno prima delle Regionali. Agitati e nervosi, finita la lezione del Glee Club restammo comunque a scuola, per riprovare per l’ennesima volta i brani per la competizione del giorno successivo. Il primo ad andarsene, fu Vegeta. “Vegeta, dove vai?” chiesi curiosa, vedendolo scendere dal palcoscenico dell’Auditorium dove stavamo provando. “Vado a casa, ho da fare.” Disse evasivo, senza nemmeno voltarsi. Corrugai lo sguardo sospettosa. Notando che se ne stava davvero andando, sospirai, scuotendo la testa: inutile contraddirlo, sarebbe stato inutile.
Dopo un’ora di prova, lasciammo finalmente la scuola, dandoci appuntamento al giorno seguente nel cortile della scuola. Si era ormai fatto buio, e tecnicamente sarei dovuta rientrare in casa. Praticamente invece, dopo aver salutato tutti, mi incamminai nella direzione opposta rispetto all’Est Avenue. Camminai pensierosa, continuando a chiedermi per quale motivo Vegeta aveva deciso di andarsene così presto dalle prove. Ultimamente era diventato strano, distante e più scorbutico del solito. Vi lascio quindi immaginare l’elevato numero di litigi giornalieri tra me e lui. Chissà cosa gli stava accadendo … alzai lo sguardo, incontrando la villetta a due piani. Sorrisi leggermente: avrei trovato le risposte alle mie domande. Così, dopo aver preso un lungo respiro, mi incamminai verso il vialetto dell’abitazione, arrivando quindi all’ingresso della casa. Suonai il campanello diverse volte prima che la porta si aprì. “Bulma cara, sei tu!” esclamò la signora Hazel, trovandosi faccia a faccia con me, non appena la porta fu aperta. Le sorrisi gentilmente. “Salve, è un piacere vederla. Mi scusi se la disturbo, volevo parlare con Vegeta … è in casa?” chiesi speranzosa. Il dolce sguardo della donna si accigliò a quella domanda, rispondendo poi: “Come è in casa? Mi aveva detto che sarebbe venuto a casa tua dopo la scuola, pensavo steste insieme …” sgranai gli occhi. “M-ma è sicura di ciò che dice?” chiesi con un fil di voce. Lei annuii. “Sicurissima. Ma allora, se non è con te …” il respiro della donna si fece affannoso, mentre gli occhi scuri cominciarono ad inumidirsi. Capii che la donna si stesse agitando, e conoscendo i suo problemi di salute, la cosa non le faceva affatto bene. “Signora si calmi, non si preoccupi. So dov’è Vegeta, è tutto a posto.” Mentii, cercando di tranquillizzare la signora. Lei annuii, vedendo il mio sorriso incoraggiante. Ma era un falso sorriso: non avevo la minima idea di dove si trovasse Vegeta.
“Pronto?” la voce del Professor Dawson si spanse attraverso la cornetta del telefono, arrivando sino alle mie orecchie. “Professore, sono Bulma!” esclamai agitata. “Bulma? Che succede, come mai mi hai chiamato?” chiese sorpreso il nostro insegnante. “Ecco, mi scusi se l’ho disturbata ma vede … non lo so, non sapevo chi chiamare e la prima persona che mi è venuta in mente era lei … non so che fare, professore mi aiuti …” balbettai, la voce flebile e rotta dal pianto. “Che succede Bulma?!” chiese lui preoccupato. Presi un profondo respiro e trattenendo un singhiozzo, risposi: “Vegeta. Vegeta è scomparso.”
“Che cosa ha detto prima di andarsene?” chiese il Professor Dawson. mi trovavo in auto insieme a lui, poiché dopo la mia chiamata era accorso subito. Quando arrivò, davanti ai suoi occhi si palesò una Bulma che mai aveva visto. Con il viso tra le mani, piangevo disperata, seduta sul vecchio marciapiede di una strada abbandonata. Dopo aver tranquillizzato la nonna di Vegeta infatti, ero uscita di casa, con l’intento di ritrovare quello scorbutico ragazzo, che ormai amavo. Inutile negarlo, infatti: lo amavo. Non so di preciso quando mi sono innamorata di lui. Forse già dalla prima volta in cui l’ho visto, qualcosa era scattato, o forse passando il tempo insieme, lentamente, conoscendoci a poco a poco. Non lo so. So solo, che in quel momento come mai, mi resi conto di essermi innamorata di Vegeta Prince. Lo cercai in lungo e in largo, vagai per la città come un anima in pena, scrutata dallo sguardo dei pochi passanti rimasti a quell’ora. Alla fine, in preda alla disperazione, avevo chiamato la persona di cui più mi fidavo: il Professor Dawson. Ora lì, seduta in macchina insieme a lui, fissavo un punto indefinito di fronte a me, gli occhi arrossati e spenti dal pianto. “A –aveva detto che andava a casa sua. Ma a sua nonna ha detto che veniva da me … perciò ha mentito a tutti, e io non so che fare …” balbettai prossima ad un’altra crisi di pianto. “Sta tranquilla” proruppe lui. “Lo troveremo.”
L’unica zona che non avevo ancora perlustrato, era l’Est Avenue. e non perché mi fossi scordata dell’esistenza di quel luogo o altro. Avevo evitato di andare là, perché non potevo pensare di trovarlo in quel quartiere dimenticato dal resto della popolazione. Non volevo crederlo. Ma dovetti ricredermi quando, senza averlo trovato da nessuna parte, fummo costretti ad addentrarci nei vicoli bui della Est Avenue. scesi dall’automobile, camminavo per quelle strade nervosa ed agitata, cercando con lo sguardo la folta chioma scura di Vegeta e i suoi occhi d’antracite, tanto profondi che sembravano contenere l’universo in essi. Il Professor Dawson mi seguiva, lanciando occhiate preoccupate intorno a lui, rendendosi conto dello squallido ambiente dove vivevo. Pensare che una sua alunna vivesse lì, lo agitò non poco. Camminammo per i vicoli scuri senza trovare nessuno: di Vegeta non c’era traccia. A quel punto, mi resi conto che era rimasto solo un luogo da essere perlustrato. Deglutii nervosa, dirigendomi poi a passo spedito verso la zona più pericolosa del quartiere. “Dove stiamo andando?” chiese preoccupato il Professor Dawson. Chiusi gli occhi, ricacciando indietro le lacrime e facendomi coraggio. “Al porto.” Dissi.
Il rumore delle onde era sempre più percepibile: eravamo quasi arrivati. A sovrastare per un attimo il rumore delle onde, fu un grido, che mi fece gelare il sangue. Era la voce di Vegeta. Iniziammo a correre verso la provenienza di quelle urla straziate ad una velocità inaudita. Solitamente, dopo aver percorso pochi metri ero costretta a fermarmi a riprendere fiato, poca la mia resistenza. In quel momento invece corsi come una furia senza fermarmi mai, le grida di Vegeta come guida. Incredibile cosa si fa per amore. Arrivata di fronte al porto mi bloccai, gli occhi sgranati che minacciavano nuovamente lacrime. Vegeta era lì, a terra, circondato da un gruppo di ragazzi che continuavano a pestarlo a sangue. Invece di riprendere fiato, a quella visione il respiro mi mancò. Con non so quale forza nella voce, gridai in lacrime: “VEGETAA!!” al suono di quella voce, i ragazzi si girarono verso di me. rabbrividii riconoscendoli. “Guarda guarda chi si rivede … e tu cosa ci fai qui, Brief?” chiese con voce melensa quel mostro. Accorgendosi poi della presenza del professore, ghignò sadicamente. “Oh guarda guarda … Professor Dawson, che ci fa lei qui? Non mi dica che ha già dimenticato il discorso di mio padre?” Vegeta intanto tentò di rialzarsi, ma fu subito sbattuto a terra da un potente calcio da parte di uno degli scagnozzi di Freezer. “Vegeta!” gridai, vedendolo gemere dolorante a terra. “Che cosa volete da lui?!” esclamò risoluto il nostro insegnante.  lui ghignò. “Oh, niente di che. Sapete, è stato lui a cercarci. Noi gli stavamo solo dando una lezione.” A quelle parole, rabbrividii. Per quale motivo Vegeta avrebbe dovuto cercare quegli individui? “Andatevene.” Ordinò duro il Professor Dawson. Freezer sorrise diabolicamente. “Ma certamente. Tanto avevamo finito.” Detto questo, dopo un suo gesto del capo, uno dei suoi scagnozzi sferrò a Vegeta un potente calcio nello stomaco. Scoppiando a ridere in una malvagia risata, si allontanarono. Passandomi vicino, mi urtarono con forza una spalla, ma non ci feci nemmeno caso: avevo lo sguardo puntato su Vegeta, che dolorante continuava a tenersi la pancia. Comprendendo quindi la gravità della situazione, corsi verso di lui. “Vegeta!” urlai. Mi inginocchiai al suo fianco, prendendolo tra le mie braccia. “B –Bulma …” sussurrò, riconoscendomi. Un tuffo al cuore. “Vegeta, ma come ti hanno ridotto …” dissi, sfiorandogli le numerose ferite. Il nostro insegnante, dopo aver guardato con disprezzo il gruppo allontanarsi, si avvicinò a noi. “Dobbiamo portarlo via.” Annuii, guardando con tenerezza il ragazzo tra le mie braccia, che tentava inutilmente di rialzarsi. Sostenendolo, ci allontanammo dal porto, accompagnati solo dal rumore delle onde. Quel luogo, doveva essere dimenticato.
In macchina, nessuno fiatò. Tutti immersi nei nostri pensieri, impegnati a cercare un perché a quello spettacolo  assistito poco prima.

è permesso?” la voce di un imbarazzato Professor Dawson si espanse per la stanza. Il Vice preside alzò lo sguardo, sorridendo sadicamente non appena riconobbe la figura dell’insegnante. “Oh, Professor Dawson, prego entri pure.” Lo invitò, fintamente cortese. “Mi ha fatto chiamare?” chiese l’insegnante titubante. Sorrise malignamente. “Si, esatto. Vede, volevo parlarle.” Il nostro insegnante aggrottò le sopracciglia. “Riguardo cosa?” chiese infatti. “Volevo parlarle del suo Glee Club. Vede, io credo che questa sua cosa delle Voci fuori dal coro, non faccia bene all’immagine della nostra scuola. “Ma cosa sta dicendo? Hanno anhe vinto le Provinciali!” esclamò l’insegnante, irritato. “Lo so, ma vede, il fatto è che io non approvo questa “cosa”. Come ha notato, ultimamente il Preside Muten è molto malato, perciò sono io ad occuparmi della dirigenza di questo istituto. Con lei voglio essere sincero: credo che il Preside Muten non durerà ancora a lungo.” Il nostro insegnante aggrottò le sopracciglia. “Dove vuole arrivare?” chiese infatti. “Vedo che non è molto sveglio, professore. Vorrà dire che le rinfrescherò la memoria. Quando il Preside Muten non ci sarà più, sarò io  colui che lo sostituirà. E sa cosa significa?” lui scosse la testa, anche se aveva già capito cosa volesse dire. “Significa che quando prenderò le redini di questa scuola, il Glee Club verrà rimosso, ergo, le sue Voci fuori dal Coro non esisteranno più.” Il Professor Dawson scattò in piedi: “Ma non può farlo?!” sbottò infatti arrabbiato. Sorrise malefico. “Oh si che posso. Perciò le consiglio di stare attento: una sola infrazione, rissa o quant’altro scatenata da uno dei suoi amati ragazzi, e lei se ne andrà. Il suo compito è quello di insegnare a questi ragazzi, e glielo dico francamente, lei non mi sembra la persona adatta. Perciò le consiglio di stare attento: un errore, e le Voci fuori dal coro passeranno il poco tempo rimasto a loro disposizione con un altro insegnante.”

“ … ore? Professore?” il nostro insegnante scosse per una attimo la testa, riprendendosi dai suoi pensieri. “Ditemi.” Disse stancamente. “Volevo chiederle se può gentilmente lasciarci a scuola. Ho dimenticato alcune cose …” chiesi. In realtà non avevo dimenticato niente in classe, ma avevo urgente bisogno di parlare con Vegeta. Da sola. Corrucciò lo sguardo. “Non sarebbe meglio portare Vegeta al pronto soccorso?” chiese dubbioso. “Sto benissimo, sono solo un paio di graffi.” Il nostro insegnante sbuffò: contraddirlo era inutile. “Non si preoccupi, ci penso io.” dissi, cercando di rassicurarlo. Lui annuii, svoltando quindi verso la scuola. Scendemmo in rigoroso silenzio. Ringraziai il nostro insegnante, sorridendogli riconoscente. Lui sorrise comprensivo, salutandoci e raccomandandosi di stare attenti. Una volta che la vecchia auto del nostro insegnante fu ripartita, mi voltai verso Vegeta e senza dire niente, entrammo a scuola. Trovarla aperta era una fortuna, dato che solo due volte alla settimana si tenevano corsi aggiuntivi serali. Quel giorno, era uno di quelli. Attraversammo il bianco corridoio vuoto. Il rumore dei nostri piedi a contatto con il linoleum risuonavano come in un eco in mezzo agli armadietti metallici degli studenti. Entrammo poi nell’aula canto, lo sguardo basso e la bocca serrata. Vegeta continuava a tenersi dolorante un braccio, cercando però di non mostrare l’effettivo dolore provocato da quelle botte. Finalmente, dopo aver richiuso la porta alle mie spalle, parlai. “Perché.” Lui alzò lo sguardo, incontrando i miei occhi lucidi. “Perché lo hai fatto? Cosa ci facevi là con quei tipi?” chiesi, il tono cercava di essere duro, ma le lacrime tradivano le mie reali emozioni. Spostò lo sguardo, puntandolo su un punto indefinito della stanza. “Che ti importa?! Sono affari miei …” “No Vegeta, non sono affari tuoi! Ma ti rendi conto?! Hai idea di ciò che ho pensato vedendoti lì per terra, tempestando da calci e pugni?!” sbottai.  “Non ti ho chiesto io di venire!” disse lui, alzando il tono di voce. Le lacrime continuavano a scendere copiose dal mio volto, ma non per questo mi fermai. “Stai scherzando vero?! Ma ti rendi conto di ciò che è successo!?” “è la mia vita, ne faccio ciò che voglio!” urlò lui contro di me. “No Vegeta, qui non si tratta di te. Hai pensato a me, al Professor Dawson, a qualcuno oltre che a te?! A tua nonna stava per venire un infarto quando ha scoperto che fossi scomparso!? Te ne rendi conto?!” a quelle mie parole, sgranò gli occhi. “Come sta mia nonna?” chiese preoccupato. “Sta bene, perché fortunatamente sono riuscita a tranquillizzarla. Ma adesso spiegami che cosa ci facevi là.” Chiesi risoluta, cercando di nascondere le lacrime. Lui sbuffò. “è stato Freezer a chiamarmi. Aveva detto che aveva delle informazioni su mio padre, e mi ha dato appuntamento al porto. Non so come facesse a sapere delle nostre ricerche, ma sinceramente in quel momento non me ne importava più di tanto. mi aveva assicurato delle risposte, dei dati certi su mio padre, lo capisci?! Invece, una volta arrivato ho trovato solo Freezer e la sua banda ad aspettarmi. Non avevano nessuna informazione di quelle che mi avevano promesso. Me ne ero accorto, per questo mi ero infuriato. E loro hanno cominciato a picchiarmi …” spalancai gli occhi. Quel bastardo … “E tu ti sei fidato, ovviamente. Non ti bastava il mio aiuto? Se non avresti voluto avermi tra i piedi, sarebbe bastato dirlo, invece che prendermi in giro in questo modo!” “Tu non capisci! Io volevo solo trovare mio padre!”  “E a me non ci hai pensato minimamente!? Lo sai quanto ti ho cercato per la città? Lo sai?! Tu non hai idea di quanto mi sia preoccupata per te!” “Sei tu che ti ostini a starmi accanto! Io non ti ho chiesto niente, sei tu che insisti a stare con me, a preoccuparti per me! Perché, perché ti importa tanto di uno come me?!” “Perché ti amo, idiota!” sbottai alla fine. Ero diventata un lago. Piangevo disperata, e senza accorgermene avevo appena rivelato i miei sentimenti a quell’idiota. Lui intanto aveva sgranato gli occhi, confuso e sorpreso sopra ogni dire. “S –senti lascia stare, fai finta che non ti abbia detto niente …” balbettai, raccogliendo le mie cose e scappando dall’aula. Vegeta, rimase immobile.

Nota Autrice:
Eccoci con il nuovo capitolo! Vado di fretta, perciò vi saluto, lasciandovi a questa cosa qui! Spero che vi piaccia , fatemi sapere che ne pensate! ;) al prossimo capitolo!
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Capitolo 28
*** Le Regionali - parte 1 ***


Avete presente i classici film d’amore strappa lacrime? Quelli dove c’è lei, che corre via in lacrime, magari sotto un temporale apocalittico, e poi d’un tratto arriva lui, che la raggiunge, le dice di amarla e la bacia così, sotto la pioggia? Ecco, scordatevelo. Ci stavo pensando anche io in effetti, correndo per le strade buie della città. Dopo aver confessato i miei sentimenti a Vegeta, nella mia mente si era inconsciamente formulata questa scena da film, tanto bramata quanto impossibile. Corsi a perdifiato, fino ad arrivare all’ingresso della Est Avenue. Di Vegeta, ovviamente, non c’era traccia. Ma in fondo, che mi aspettavo? Ero davvero convinta che anche lui avrebbe ricambiato i miei sentimenti, che mi avrebbe inseguito per la città, solo per dirmi “Ti amo”? scossi leggermente la testa, delusa. Basta con le favole. Questa è la vita. Camminai a testa bassa, le lacrime scendevano copiosamente. Sciocca, stupida, illusa che ero stata. Credere che quello scimmione mi amasse, ma come mi era venuto in mente?! E poi, confessargli i miei sentimenti, in quel modo … Dio, immagino quanto la scena sia risultata patetica ai suoi occhi. Arrivata di fronte al portone del condominio dove alloggiavo, una goccia d’acqua si infranse sulla mia spalla. Una, due, tre gocce … alzai lo sguardo verso il cielo notturno, scoprendo nuvoloni carichi di pioggia. Quattro, cinque, sei gocce … cominciava a piovere un po’ più forte, ma non mi muovevo. Le gocce di pioggia cominciavano a mescolarsi con le mie lacrime, e solo un occhio esperto sarebbe riuscito a distinguere le mie lacrime in mezzo a tutta quell’acqua.  Cento, duecento, trecento gocce … ecco, stava diventando un temporale. Abbassai lo sguardo, dirigendomi verso l’ingresso del palazzo. “Buffo” pensai. “C’è anche la pioggia. Manca solo lui …” sorrisi amaramente tra le lacrime, entrando poi in casa.
Partecipare alle Regionali, fu l’unico pensiero che mi costrinse ad alzarmi dal mio scomodo e vecchio letto, vestirmi e dirigermi a scuola alle 7.30 del mattino. Ma tanto ero rimasta sveglia tutta la notte, perciò alzarmi non fu nemmeno questa grande fatica. Il cielo fuori continuava ad essere plumbeo, riversando sulla città ancora mezza addormentata litri e litri di acqua. Camminavo lentamente sotto la pioggia, un piccolo ombrellino a ripararmi. Non avevo voglia di gareggiare. Non volevo andare a scuola, né salire in autobus, diretti verso il più importante teatro della Regione. Non volevo, perché lo avrei visto. E sinceramente, dopo l’episodio del giorno precedente, perdermi in quegli occhi profondi quanto l’universo, era davvero il mio ultimo pensiero. Ma dovevo farlo. Non potevo rinunciare a tutti quei mesi di preparazione, solo per paura di sentirmi rifiutata da un ragazzo che tecnicamente mi odiava. Perciò andai. Alzai la testa, e con sguardo fiero e orgoglioso, arrivai alla Orange High School. I ragazzi erano già tutti lì, accalcati intorno all’autobus evidentemente arrivato in quel momento. Vedendomi, Chichi mi venne incontro con un sorriso raggiante, a contrasto con il tempo scuro e triste. “Buongiorno! Allora?! Sei pronta!?” mi chiese esultando agitata. Esistevano due varianti della Chichi nervosa: la prima, è quella di una ragazza assolutamente intrattabile, tendente all’isterismo e alla schizofrenia se contradetta da qualcuno. La seconda invece, era una ragazza euforica e dalla lingua lunga, implacabile e impossibile da zittire, che non riesce assolutamente a stare ferma per più di due minuti. Alle Provinciali avevo conosciuto il primo lato di Chichi, e mio malgrado, mi ero abituato a quel tremore incontrollato dovuto all’ansia. Ero sicura che anche per tutte le altre gare si sarebbe comportata così, invece quel giorno scoprii la seconda facciadi Chichi del Toro. “Chici, quanto caffè hai bevuto questa mattina?” chiesi sospettosa, intuendo il motivo di tale euforia. Lei sgranò gli occhi, ancora sorridente. “Solo sei tazze, perché me lo chiedi??” rispose ancora euforica, confermando quindi i miei sospetti. Sospirai, riprendendo poi: “La caffeina non ti fa bene, lo sai?” le dissi. “Ma io sto benissimo, sono super eccitata, non vedo l’ora di salire su quel palcoscenico e cantare!!” urlò in preda all’eccitazione. Scossi la testa, sorridendo leggermente. Quel giorno Chichi sarebbe stata incontrollabile. “D’accordo, ho capito, come vuoi tu. Però adesso basta caffè, per oggi credo tu sia a posto …” le dissi, prendendola per un braccio. “Ma … che fai?” mi chiese confusa. “Andiamo, saliamo su questo catorcio, è ora di partire.” Le spiegai. A quelle mie parole, scattò su come una molla, superandomi e salendo gli scalini dell’autobus in un nano secondo. In quell’istante, lo vidi. Vegeta si trovava un po’ più in là rispetto a me, le mani in tasca e la solita espressione seria. I lividi del giorno precedente sembravano essersi dissolti magicamente, lasciando solo qualche segno rosso su quel viso perfetto. Mi fissava. Arrossii imbarazzata, distogliendo lo sguardo e salendo anche io sull’autobus. Poco dopo, anche lui insieme agli altri, salì a sua volta, chiudendo le portiere del mezzo, dando il via alle Regionali.
Durante il viaggio, nessuno fiatò. Cioè, quasi nessuno. Chichi, ancora in preda ad uno schock da caffeina, parlava ininterrottamente a macchinetta, senza mai fermarsi. Io seduta al suo fianco, annuivo distrattamente, facendo finta di prestare attenzione ai discorsi insensati causati dalla caffeina, della mia amica. Il professor Dawson parlottava complice insieme alla signorina Videl (se non si fosse capito, ormai ci seguiva praticamente ovunque) e osservandoli scherzare tra loro, sorrisi teneramente. Quei due sarebbero stati davvero bene insieme. Buffo come mi interessassi alla vita amorosa delle persone intorno a me, quando io stessa versavo in condizioni a dir poco pietose dal punto di vista sentimentale. Sbirciai per un secondo in direzione di Vegeta, che seduto qualche posto dinanzi a me, sonnecchiava con le cuffiette alle orecchie. Possibile che fosse così tranquillo?! Davvero ciò che gli avevo confessato il giorno prima, non aveva sortito alcun effetto, nessuna reazione da parte sua?! Scossi la testa delusa, rivolgendo quindi nuovamente la mia attenzione agli interminabili discorsi di una Chichi drogata di caffè.
Tre ore dopo, eravamo arrivati a teatro. Vestiti, truccati e pettinati come da copione, alle 10,30 eravamo pronti per cominciare. Per i corridoi incrociammo alcuni membri degli Usignoli, ma prestammo loro la stessa attenzione che avevo avuto per i discorsi di Chichi di quella mattina. Inesistente. Meglio lasciarli stare, lasciarli crogiolare nella loro innata convinzione di essere i migliori, piuttosto che rimetterci qualche altro occhio nero. Arrivò quindi il nostro turno, che io e Vegeta non ci eravamo ancora scambiati una parola. Il che era anche sconveniente, visto che il duetto iniziale della nostra esibizione, era stato affidato a me e lui. Così, dalle due parti opposte del palcoscenico, entrammo in scena, dopo che il presentatore ebbe annunciato noi Voci fuori dal coro. Immobile, lo fissavo, il cuore a mille e le mani tramanti. Lui ricambiava il mio sguardo, senza mutare espressione. In un attimo, le luci si accesero, e abbagliati dai fari e dagli occhi ansiosi del pubblico, realizzammo che era arrivato il momento di esibirsi. Dovevamo farlo. Ancora incerti, iniziammo a cantare. (http://www.youtube.com/watch?v=isbOJnQI8sw esibizione da guardare)

Vegeta e Bulma:
Face to face and heart to heart
We’re so close yet so far apart
I close my eyes, I look away
That’s just because I’m not okay


Proprio come il testo della canzone, cantavamo senza guardarci, camminando il più distanti l’uno dall’altra. Sopportare il suo sguardo su di me, era davvero troppo.

Bulma:
But I hold on
Vegeta e Bulma:
I stay strong,
Wondering if we still belong.
Will we ever say the words we’re feeling?
Reach down underneath and tear down all the walls
Will we ever have a happy ending?
Or will we forever only be pretending?
We will ah-ah-always, ah-ah-always, ah-ah-always be pretending?


Poi ad un tratto, i nostri occhi si incontrarono. Continuando a cantare, mi resi conto di quanto quella canzone fosse perfetta per noi due. Riusciremo mai a dire ciò che proviamo, abbattendo ogni muro d’orgoglio? Avremo mai un lieto fine? O forse, forse continueremo a fingere per sempre?

Vegeta e Bulma:
Keeping secrets safe
Every move we make
Seems like no one’s letting go
And it’s such a shame
‘Cause if you feel the same
How am I supposed to know?

Vegeta e Bulma:
Will we ever say the words we’re feeling?
Reach down underneath and tear down all the walls

Bulma:
Tear down all the walls

Era tutto vero. Ogni dannatissima parola, erano tutto quello che avevo pensato fino a quel momento, tutto quello che riguardava me e Vegeta. Cantare quelle parole di fronte a lui, insieme a lui, era diventato quasi un peso insopportabile, un macigno. Dovetti faticare per trattenere le lacrime. Perché davvero, avevo bisogno di sapere cosa provasse Vegeta.
 
Will we ever have a happy ending?
Or will we forever only be pretending?

Vegeta:
Only be pretending

Non stavamo solo cantando ormai. Stavamo parlando, le parole intonate erano davvero le cose che avremo voluto dirci in quel momento. intonavo quei perché, quel “avremo mai un lieto fine?” come una vera domanda, in cerca davvero di una risposta. Perché era così.

Will we ah-ah-always, ah-ah-always, ah-ah-always be pretending?
Will we ah-ah-always, ah-ah-always, ah-ah-always be pretending? (Bulma: Pretending…,Vegeta: Pretending…)
Will we ah-ah-always, ah-ah-always, ah-ah-always be pretending? (Bulma:Pretending…,Vegeta: Pretending…)

 
Ci eravamo avvicinati, cantando quelle ultime parole. Eravamo vicinissimi, guardandoci negli occhi mentre continuavamo a cantare. Le espressioni incerte, piene di sentimenti, ormai ero nuovamente prossima alle lacrime. In quel momento, la dura espressione di Vegeta cambiò, diventò sofferente, supplichevole, come se anche lui condividesse i miei stessi pensieri, le mie stesse emozioni. Ed era così.

Vegeta e Bulma:
Pretending.
 
Persi l’uno negli occhi dell’altra, finimmo il brano, sussurrando quasi l’ultima parte. E poi, non ci capii più niente. So solo che appena la musica terminò, i nostri visi si avvicinarono sempre maggiormente, pochissimi millimetri a distanziarci. Ancora guardandoci negli occhi, avevamo perso la concezione del tempo, dello spazio, di ogni cosa. In quel momento, non eravamo in uno dei maggiori teatri della Regione, non stavamo gareggiando con il nostro Glee Club,di fronte a migliaia di persone in attesa di ogni nostro movimento. In quel momento eravamo solo Bulma e Vegeta, che persi l’uno negli occhi dell’altro, non capivamo più niente. E poi accadde. Le sue labbra incontrarono le mie, che sorprese, risposero subito al contatto. Quanto avevo bramato quelle labbra sottili, ma così invitanti? Quanto avevo desiderato che tutto ciò accadesse? Quanto? In quel momento, mi resi conto che nessun bacio sotto la pioggia avrebbe eguagliato quella meravigliosa scena, di fronte a migliaia di persone rimaste con il fiato sospeso, di fronte al bacio dei due solisti. Era così infatti. Di fronte a tutti, io e Vegeta ci stavamo baciando.

Nota Autrice:
salve gente! Eccoci con il nuovo capitolo della storia! Finalmente, il bacio tra i nostri protagonisti! Era ora, direte voi! il capitolo è breve, ma tranquilli, è solo la prima parte delle Regionali. A quanto avete letto però, la parte più importante è avvenuta proprio qui … ;) vi ho messo il link dell’esibizione, che vi consiglio di guardare, poiché è proprio così la scena tra Vegeta e Bulma in questo capitolo … compreso il bacio finale … ;) By the way, vi lascio quindi a questo capitolo, che spero vi piaccia! Ringraziandovi per l’attenzione, vi saluto in attesa di recensioni! ;) al prossimo capitolo!
Saluti
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Capitolo 29
*** Le Regionali - parte 2 ***


Dolce. Delicato. Tenero. Travolgente. Cosa dirvi di quel bacio? Era così, non riuscivo a trovare aggettivo più adatto a quell’indescrivibile momento. Forse una cosa posso dirla. Magico. Fu il bacio più magico e bello di tutta la mia vita. Le nostre labbra si erano unite in un bacio delicato, ma nonostante ciò si cercavano quasi come una morbosa necessità. Ci fu poi un attimo, in cui realizzammo che se non ci fossimo staccati a breve, probabilmente saremmo morti per asfissia, tanto bello da lasciare il fiato, quel bacio. Sciogliemmo il contatto con una lentezza incredibile, aprendo lentamente gli occhi con una lentezza esasperante. I nostri occhi ora si fissavano increduli, stupiti. Intorno a noi, nessuno fiatava, tutti erano rimasti a fissarci sorpresi. Solo in quel momento realizzai dove ci trovavamo, ricordandomi che eravamo proprio nel bel mezzo di una gara canora. A rompere quell’imbarazzantissimo silenzio, ci pensarono le note iniziali di un altro brano, che si espansero nel silenzioso teatro. L’esibizione doveva continuare, dovevamo riprenderci e continuare quella gara.
Lanciai un ultima occhiata a Vegeta, andando poi a posizionarmi al mio posto, pronta per la prossima canzone. Avremo avuto molto di che parlare dopo, io e lui. (http://www.youtube.com/watch?v=1hTfCwLpbaw esibizione)
Così, dopo quell’iniziale momento di imbarazzo, iniziammo ad esibirci con il nostro secondo brano. Il pubblico iniziò a farsi trascinare dal ritmo allegro della canzone e dalle nostre voci, iniziando quindi a battere le mani a tempo. Chichi, C18, Goku, Vegeta, io, in quel brano ognuno di noi cantava. Io e Vegeta cantavamo ed eseguivamo la coreografia con una carica spiazzante, nonostante continuavamo a lanciarci occhiate a vicenda. Eravamo confusi, ma in qualche modo dopo quel bacio sentivo che qualcosa era davvero cambiato, sentivo una nuova carica dentro di me, un’energia inaspettata, considerando come era cominciata la giornata. Non mi importava di cosa pensava o di ciò che aveva pensato la gente intorno a noi, di fronte a quel bacio inaspettato. L’importante era che ora fossimo tutti lì, insieme, ad esibirci con una canzone che avevamo provato fino allo sfinimento nel mese scorso. E che Vegeta mi avesse baciata. Il resto, era superfluo.


Terminata quella canzone, partì immediatamente il successivo ed ultimo brano per noi Voci fuori dal coro. (http://www.youtube.com/watch?v=GoDj7PumWM0 esibizione)
Affidato stavolta a C18, noi facevamo da coro e al contempo da ballerini, mentre la nostra amica bionda intonava la grintosa “Valerie” di Amy Whinehouse. Essendo me e Yamcha i due “migliori” ballerini all’interno del gruppo, per quel brano finale dovemmo scatenarci in una complessa coreografia tutta salti e capriole. Oh, e il tutto, continuando a cantare. Tra una giravolta e un casquè, lanciai diverse occhiate a Vegeta, notando lo sguardo corrucciato indirizzato al povero Yamcha. Era già geloso … avremo davvero avuto molto di cui parlare quella sera. Il pubblico continuava ad esultare e qualcuno aveva anche cominciato a ballare, lasciandosi trasportare dall’allegria e dall’euforia del momento. E così, con una bella presa finale insieme a Yamcha e intonando l’ultima nota, la musica finì, scemando in mezzo agli applausi incontrollabili del pubblico. Uno vicino all’altro, sorridemmo entusiasti, inchinandoci di fronte a tutti quegli applausi, solo per noi. Lanciammo un’occhiata veloce al Professor Dawson, seduto in prima fila. Sorridemmo teneramente. Si era commosso.
Volete sapere cosa successe dopo? Oh beh, niente di che. Vincemmo solo le Regionali. E stavolta, quei palloni gonfiati degli Usignoli, dovettero andarsene, ringhiando arrabbiati e sconfitti. Forse avevamo ancora qualche asso nella manica, qualche piano malvagio per sabotare noi Voci fuori dal coro. Ma in quel momento, in mezzo all’abbraccio entusiasta di tutti i miei amici, non me ne importava proprio niente. Chi lo avrebbe mai detto? Noi, convinti di non riuscire nemmeno a qualificarci per le Provinciali, avevamo vinto le Regionali. È proprio vero che la vita è incredibile.


“Ragazzi!” ci venne incontro il nostro insegnante, gli occhi ancora lucidi e la voce emozionata. “Professore!” esultammo, correndogli incontro e stritolandolo in un abbraccio da lasciare il fiato. Nonostante ciò, non disse nulla, limitandosi a ricambiare l’abbraccio, a sorridere, e a nascondere la smorfia di fastidio, causata dalla mancanza di aria. Ma in fondo, non gli importava. Se sarebbe morto, avrebbe potuto dire di averlo fatto in mezzo a quei ragazzi che gli stavano cambiando la vita. Quei ragazzi che lo adoravano, che in lui vedevano una figura di riferimento, un mito, che consideravano lui e il Glee Club la loro ancora di salvezza. Nel pensare che quel mostro di Freezer voleva portarglieli via, gli occhi tornarono ad inumidirsi, e colto da un riflesso involontario, strinse maggiormente a sé,quei ragazzi. Quei ragazzi, per cui avrebbe dato anche la vita. I suoi ragazzi. Le sue Voci fuori dal coro.


“Ehm, Vegeta, Bulma, potreste venire un secondo?” ci chiese imbarazzato, dopo aver sciolto l’abbraccio. Annuimmo comprensivi. Era logico che volesse parlarci, dopo quanto accaduto su quel palcoscenico. Allontanandoci un po’ dal resto del gruppo, ci avvicinammo al nostro insegnante, curiosi di sapere cosa avesse pensato di fronte a quel bacio. “Ragazzi, vedete, vi faccio i miei più vivi complimenti, siete stati tutti bravissimi, davvero eccezionali. Però ecco, sapete, quel bacio dopo il vostro duetto, non era proprio consono alla situazione … ” Era super imbarazzato. “Ci è andata bene che i giudici hanno creduto facesse parte dell’esibizione, altrimenti a quest’ora saremmo stati squalificati dalle gare.” Spalancammo gli occhi. Accidenti, aveva ragione. Vedendo le nostre espressioni, lui tornò poi a sorridere. “Comunque, è andato tutto bene per fortuna, perciò ora non preoccupatevi. Però ecco, credo che voi due abbiate bisogno di parlare e di chiarirvi un po’ le idee …” io e Vegeta ci guardammo per un secondo, annuendo imbarazzati. Con un sorriso raggiante, il nostro insegnante riprese. “Molto bene. Sapete,non che sia stato un gesto brutto o altro, anzi ora che ci penso era davvero molto romantico. Però, vedete, per evitare altre sorprese di questo tipo alle Nazionali, vi consiglio di farvi una bella chiacchierata.” Detto questo, ci sorrise, dando un’amichevole pacca sulla spalla ad un Vegeta alquanto imbarazzato. “Ah, e comunque, niente male Vegeta, complimenti.” Disse scherzoso, facendo l’occhiolino ad entrambi. Rossi come due peperoni, balbettammo qualcosa che doveva significare come un “Ma no, di che parla?” che risuonò invece solo come un confuso borbottio. Sghignazzando, il nostro insegnante si allontanò, avvicinandosi agli altri ragazzi. “Ragazzi, ce l’abbiamo fatta!” esultò accompagnato dalle grida di gioia dei nostri amici. Io e Vegeta continuavamo a fissare il pavimento imbarazzati, senza pronunciare parola. Non andava bene, accidenti. Dovevamo dire qualcosa, dopo quello che era accaduto sarebbe stato il minimo. Accorgendomi che Vegeta non aveva alcuna intenzione di cominciare, decisi di rompere io il ghiaccio. “Allora … ehm, quindi …” balbettai. “Mi dispiace.” Disse lui. Sbarrai gli occhi. Vegeta continuava a fissare il pavimento, non accennava a voler alzare lo sguardo. Che voleva dire “mi dispiace”?! “C –che intendi dire, scusa?” balbettai, con il cuore in gola. “Per ieri. Mi dispiace, non volevo farti preoccupare.” Disse lui, lo sguardo ancora rivolto al terreno. Leggermente sollevata, cercai di rassicurarlo. “Non importa, tranquillo.” “Si che importa invece!” sbottò, alzando lo sguardo verso di me. Sembrava quasi arrabbiato, ma solo io riuscii a capire che dietro quei modi di fare bruschi e aggressivi, c’erano solo tanta tristezza e frustrazione. “Va sempre così. I –io finisco sempre col far soffrire le persone che mi stanno accanto, coloro a cui tengo. Anni fa mio nonno, mia nonna e adesso anche tu … io – io …” strinse i pugni con rabbia, tornando a guardare il pavimento. “Ti chiedo scusa.” Concluse infine in un sussurro. “Vegeta …” dissi con le lacrime agli occhi. “Se non vorrai più avermi vicino, va bene, è giusto. Tu –tu meriti di meglio che uno come me.” sussurrò imbarazzato. Sgranai gli occhi colmi di lacrime. “Vegeta ma che dici?! Io ti voglio bene, voglio averti al mio fianco. E non solo come amico …” azzardai in un sussurro, abbassando la testa imbarazzata. Vegeta invece alzò gli occhi verso di me, con uno sguardo sorpreso in volto. La gente intorno a noi parlava, il teatro era ancora gremito di persone e dietro le quinte non era da meno. Ma lì, in quel piccolo angolino, vicino ad una delle quinte, io e Vegeta non sentivamo nulla di ciò che accadeva intorno a noi. Troppo impegnati a captare uno i sussurri dell’altro, alla ricerca di una qualche dichiarazione, di un qualcosa che avrebbe cambiato per sempre il nostro rapporto. “Anche io.” sussurrò poi lui. Alzai gli occhi lucidi, sgranandoli. In un nano secondo, gli fui addosso, la testa sul suo petto e le braccia strette attorno a lui. Imbarazzato e rigido come uno stoccafisso, chiese sorpreso. “E - e adesso che ti prende?! Per quale diavolo di motivo piangi?!” mi lasciai sfuggire un risolino tra le lacrime, alzando lo sguardo dalla sua camicia, ormai inzuppata dalle mie lacrime. Lo guardai negli occhi, e sorridendo risposi, le stesse parole del giorno prima, ma stavolta dolcemente e felice. “Perché ti amo, idiota.” Detto questo, posai le mie labbra sulle sue, dando il via al nostro secondo bacio, di quella incredibile giornata. “Owww …” si lasciò sfuggire qualcuno. Sentendo ciò, ci staccammo per un secondo, guardando in direzioni di colui, o meglio coloro, che si erano lasciati sfuggire quell’esclamazione. Erano tutti lì: Chichi, Goku, Yamcha, il professor Dawson, tutti. Tutti ci guardavano, sorridendo dolcemente, e se fossimo stati in un cartone animato, avrebbero anche avuto gli occhi a cuoricino. “Ma che carini!” esclamò Chichi, accompagnata anche dagli altri, che iniziarono ad applaudire entusiasti, attirando quindi l’attenzione dei presenti. Io e Vegeta eravamo diventati più rossi di due pomodori maturi. “Ma voi che ci fate qui?! Non dovreste essere di là a cambiarvi!?” chiesi imbarazzata. Goku sorrise, grattandosi la testa impacciato, rispondendo poi. “Eh eh, potevamo secondo voi perderci una scena del genere? A proposito, come mai vi siete fermati? Quel bacio era così carino …” “Kaarot, ma che vai blaterando!?” sbottò Vegeta, ormai diventato viola. Senza ascoltarlo, Goku riprese: “Ohhh, ma sapete che siete adorabili insieme? Chichi lo diceva che prima o poi vi sareste messi insieme … ma come hai fatto ad indovinare, Chichina?” chiese poi confuso alla corvina. Quest’ultima non rispose, presa com’era a fantasticare su me e Vegeta, scrivendo probabilmente la sceneggiatura di un nuovo film romantico, come quelli che piacciono a lei, con me e lui protagonisti. Ancora persa nei suoi pensieri, balbettò sognante: “Ah, l’amore vince sempre …” seguita da un alquanto malizioso Yamcha: “Comunque complimenti Vegeta, non credevamo baciassi così bene!” disse, suscitando le risate generali di tutti i presenti, persino le mie. “Hai ragione, non credevo fosse così romantico!” raddoppiò il carico Goku, con quell’affermazione. L’unico che ovviamente non rideva era Vegeta, che ormai al limite del rosso vermiglio, sbottò imbarazzato ed infuriato: “Ma come vi permettete, idioti! E fatevi gli affari vostri, una volta tan …” ma non fece in tempo a finire la frase, poiché si ritrovò travolto da un altro mio bacio. A cui ovviamente, non poté rifiutare.

Nota autrice:
salve a tutti, gente! Come va? Eccoci con il ventinovesimo capitolo della storia! Spero non risulti un po’ OOC, ma sapete, una dichiarazione da parte di Vegeta è alquanto difficile da scrivere … io l’ho immaginata così! Comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e vi invito a rilasciare anche una piccola recensione, se ne avete voglia. Mi farebbe piacere sapere cosa pensate di questa storia! ;) vi ringrazio ovviamente già da ora per l’attenzione, ho notato che la storia ha avuto moltissime visualizzazioni, grazie mille! *-* Va bene, vi saluto e vi lascio a questo capitolo … io vado a fare Greco … -_-
al prossimo capitolo!
Saluti
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Capitolo 30
*** Buonanotte ... ***


Il viaggio di ritorno fu relativamente tranquillo. Dico relativamente, perché in realtà non stemmo fermi un secondo. Eccitati ed entusiasti per la vittoria, non chiudemmo mai la bocca per tutto il viaggio. Chiacchieravamo, cantavamo, improvvisavamo qualche pezzo con la chitarra che Goku aveva portato con se. Insomma, eravamo felici. Io mi ero seduta vicino a Vegeta, ancora incredula per ciò che era accaduto. Ci eravamo baciati, di fronte a più di mille persone, nel teatro più importante della Regione. Avevamo vinto le Regionali. E ci eravamo messi insieme. Cioè, almeno credevo. Ma dopo quello che ci eravamo detti, e quel bacio, mi sembra che la risposta alla domanda: “Siete fidanzati?” sia solo ed unicamente si. Sapevo che sarebbe stato un po’ complicato. Vegeta non era tipo da esternare apertamente i suoi sentimenti, questo lo sapevo. Era stato infatti incredibile che proprio lui mi avesse baciata di fronte a tutti, vuoi per istinto o dopo averci riflettuto. Ma di una cosa ero certa: io lo amavo. E anche lui amava me. Non me lo aveva detto, ma lo avevo capito dai suoi piccoli, grandi gesti. Quel bacio, ad esempio. O la faccia infastidita nel vedere me e Yamcha ballare insieme. Ma anche quella sua timida ma meravigliosa dichiarazione, avvenuta ormai qualche ora prima. Stavamo insieme, quindi. E mai mi ero sentita più felice.
“Dai, andiamo.” Volsi la testa verso colui che aveva parlato. “Come, Vegeta?” chiesi confusa. Eravamo appena arrivati di fronte alla scuola, dopo quasi tre ore di viaggio in autobus. Erano già le undici di sera, e tutti quanti stavano cominciando ad avviarsi verso la propria casa, chi con il proprio motorino, chi a piedi. Io ero una di quelli che avrebbe dovuto camminare per arrivare a casa, e lo stesso per Vegeta. “Ti accompagno a casa, andiamo.” Ripeté lui, fingendosi indifferente. Sgranai gli occhi. “Tranquillo, non è necessario, non preoccuparti.” Dissi, anche se in cuor mio avevo sperato in una sua richiesta del genere. L’idea di dover tornare a casa di notte, da sola e per di più in quella zona in cui abitavo, non mi andava proprio a genio. “Dove hai intenzione di andare da sola, a quest’ora? Forza, muoviti.” Rispose lui, girandosi di spalle e iniziando a camminare. Sorrisi dolcemente, avvicinandomi a lui. Si preoccupava per me. Camminammo per un bel tratto di strada, senza parlare. Sembravamo quasi spaventati all’idea di parlare, di dire qualcosa. Eppure ora che avevamo confessato ognuno i propri sentimenti all’altro sarebbe dovuto essere tutto più semplice, maledizione! Lanciai per un attimo un’occhiata alla mano di Vegeta, infilata come sempre in una delle tasche laterali dei suoi Jeans. Quanto mi sarebbe piaciuta prendergliela e stringerla, come fanno sempre le coppiette …  Ma Vegeta non era tipo da smancerie di questo tipo, lo sapevo, perciò rinunciare all’idea sarebbe stata la cosa migliore. Eppure, sono sempre io, Bulma Brief, testarda come un mulo e determinata come nessun altro. Tentar non nuoce … “Vegeta?” lo chiamai flebilmente. Lui alzò lo sguardo, incrociando i miei occhi azzurri, colmi di speranza. “Che c’è?” chiese tranquillo. Arrossii leggermente nel vedere le sue labbra sottili, al pensiero che solo qualche ora prima erano unite alle mie, in bacio che sembrava non avere mai fine. “T – ti dispiace se ti prendo per mano?” farfugliai imbarazzata. La sua espressione mutò da indifferente a sorpresa e infastidita. “Stai scherzando, vero? Se pensi che sia il tipo di ragazzo da paroline dolci e gesti smielati, mi dispiace ma hai sbagliato persona per una tale richiesta.” Sbottò leggermente irritato. Abbassai lo sguardo delusa. Ci avrei scommesso. Continuammo a camminare, io con la testa bassa e rivolta all’asfalto consumato della strada deserta.  Lui non parlava, non accennava a nessun movimento, se non all’atto di camminare. Ad un tratto, quando ormai la speranza era andata perduta, sentii la mia mano a contatto con un’altra. Sgranai gli occhi, puntandoli sulla mia mano. Incredibilmente, la mia manina bianco latte era stretta a quella forte di Vegeta. Alzai lo sguardo confusa, cercando il suo volto. Lui aveva la testa rivolta da tutt’altra parte, gli occhi bassi e le gote infiammate. Faceva sempre così, quando era in imbarazzo. “M –ma …” “Volevi tenermi per mano o no? Ecco, ora ti conviene accontentarti!” sbottò imbarazzato senza guardarmi in faccia. Sorrisi dolcemente. Evidentemente aveva percepito la mia delusione al suo rifiuto, e aveva pensato di rimediare, non essendoci esseri viventi in giro. “Grazie!” esultai, schioccandogli un bacio sulla guancia. Lui arrossì se possibile maggiormente, borbottando qualcosa del tipo: “Ma vedi di non farci l’abitudine …” o simili. Camminammo così, le mani intrecciate in una timida stretta, il segno indiscusso della nostra relazione. Finalmente. Quando arrivammo all’interno della Est Avenue, Vegeta istintivamente mi strinse maggiormente la mano. Vederlo così preoccupato per me mi faceva venir voglia di abbracciarlo e ricoprirlo di baci. E lo avrei fatto, se solo non ci fossimo trovati proprio di fronte ad una violenta rissa tra bande di delinquenti. Vegeta corrugò lo sguardo leggermente allarmato, stringendo ancora il mio fragile arto.”Tranquillo, possiamo passare di qua.” Dissi rassicurandolo, avendo notato l’ombra della preoccupazione sul suo viso. Lui annuii, e insieme imboccammo una stradina secondaria, raggirando il gruppo di ragazzi che si stavano letteralmente uccidendo. Intervenire sarebbe stato inutile, si sarebbe solo rischiata la vita senza risolvere nulla. Nemmeno la polizia aveva il coraggio di avventurarsi per i vicoli bui della Est Avenue, tanta era la loro pericolosità. “Come fai?” mi chiese ad un tratto lui, dopo esserci allontanati dal gruppo di malviventi. “A fare cosa?” chiesi confusa. “A vivere qui …” disse lui, guardandosi attorno. Probabilmente avrebbe voluto chiedermi la stessa cosa già tempo prima, quando mi aveva riaccompagnato a casa dopo le Provinciali, ma non ne aveva avuto forse il coraggio. Alzai le spalle indifferente. “Se nasci e vivi qui da sempre, prima o poi ti abitui.” Disse tranquillamente. Era vero: ormai ero davvero abituata a tutto quello squallore, a quella delinquenza che regnava sovrana all’interno del quartiere. Poche erano le persone che si salvavano lì, ed io ero una tra queste. Lui non rispose, continuando a camminare. “Ehm, Vegeta siamo arrivati.” Balbettai una volta di fronte il vecchio portone del condominio. Lui mi guardò, annuendo leggermente. A malincuore, sciolsi la presa con la sua mano, disincastrando le nostre dita intrecciate. “Grazie.” Dissi, prima di avvicinarmi a lui timorosa. Volevo baciarlo, accidenti se lo volevo, ma non sapevo come l’avrebbe presa lui, se fosse stato d’accordo. Non ebbi bisogno però di altri monologhi mentali, poiché in un attimo le labbra di Vegeta si avventarono sulle mie. Mi baciò delicatamente, staccandosi poi con lentezza. “Buonanotte.” Mi sussurrò a fior di labbra, staccandosi poi e incamminandosi via. “Buonanotte, Vegeta.” Risposi flebilmente, ancora in stato di confusione per il meraviglioso bacio ricevuto.
“Sono a casa e sono vivo. Contenta?” non appena lessi quel messaggio, sdraiata sul mio letto e già sotto le coperte, un sorriso mi increspò le labbra rosee. Come aveva fatto a capire che avevo intenzione di scrivergli se fosse già arrivato a casa, chi lo sa … “Chi ti dice che volessi accertarmi che non ti avessero fatto fuori sulla strada del ritorno?” scrissi velocemente, in risposta al suo SMS. Dopo qualche minuto, arrivò la sua risposta. “Ma per favore, ormai sei diventata prevedibile! E poi sbaglio, o avevi detto di amarmi?” sgranai gli occhi, arrossendo. Inutile, quel ragazzo mi avrebbe fatta impazzire. “Veggie caro, certo che sei perspicace! Allora scusami se mi preoccupo per il mio fidanzato, ti prometto che non accadrà più, puoi stare tranquillo!”  scrissi azzardando. Al posto di un messaggio però, il telefono iniziò a vibrare, segnalando una chiamata. Sorrisi, accettando la chiamata  portandomi il cellulare all’orecchio, pronta a sentire quale imperioso monologo avrebbe snocciolato in quel momento. “Prima di tutto, chi diavolo sarebbe Veggie? Solo a te può venire in mente un nomignolo del genere, e non azzardarti ad utilizzarlo nuovamente!” risi leggermente, rispondendo poi. “D’accordo, scusami … Veggie!” Lui ringhiò dall’altra parte del telefono, suscitando un’altra risatina da parte mia. Inutile, stuzzicarlo sarebbe sempre stato il mio passatempo preferito. “Insisti?!” sbottò lui. Cercai di placare le mie risa, riprendendo poi: “Va bene, scusami. E comunque non preoccuparti, non mi preoccuperò più per te, mio caro.” Lui sogghignò. “Ti ho forse detto che la cosa mi dispiace?” disse con voce terribilmente roca. Un brivido percosse tutta la mia schiena, e ringraziai il cielo mille volte per non trovarmi di fronte a quello scorbutico, dato che probabilmente gli sarei saltata addosso. “No, non mi pare …” risposi leggermente maliziosa, dopo aver riacquistato un minimo di autocontrollo. “Bene, iniziamo a capirci.” Disse lui, con quella voce ancora maledettamente sexy. “Comunque ti consiglio di andare a dormire, già mi hai trovato quel soprannome assurdo, non oso immaginare cosa potrebbe accadere se ti lasciassi delirare ulteriormente.” Continuò poi. Sorrisi leggermente, concordando con lui. “D’accordo, allora buona notte … Veggie!” mi sarei aspettata un’onta irrefrenabile di insulti da parte sua, invece disse solamente una cosa che mi spiazzò. “Preferisco la buona notte di prima …” disse con voce suadente, riferendosi al bacio di poco prima. Avvampai, sentendolo poi ribattere dall’altra parte del telefono. “E comunque smettila con questo Veggie!” Dopo aver chiuso la chiamata,quella sera mi addormentai con un sorriso ebete stampato in viso e con gli occhi a forma di cuoricino. Ah, tutta colpa dell’amore …

Nota autrice:
Good evening everybody! Eccomi qua, tornata con il nuovo capitolo della long! Chiedo venia se non sono riuscita ad aggiornare prima, ma tra lo studio e le attività varie non ho avuto il tempo di accendere il computer e di scrivere il capitolo. Come avete notato, questo è un capitolo abbastanza irrilevante, ma ora che i due protagonisti si sono finalmente messi insieme, mi sembra giusto dare loro un po’ di spazio per momenti intimi … spero che nonostante la sua esigua lunghezza questo capitolo vi sia piaciuto, e spero di ricevere qualche vostra recensione! ;) fatemi sapere che ne pensate! Grazie in anticipo e al prossimo capitolo!
Buonanotte
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Capitolo 31
*** Problemi in vista ... ***


Camminava velocemente, l’andatura nervosa e gli occhi bassi. Il Professor Dawson aveva paura. Sapeva che stava per accadere qualcosa di brutto. Arrestò la sua frenetica camminata, non appena si scontrò con il massiccio portone della Presidenza. Prese un profondo respiro, e chiudendo gli occhi, bussò deciso alla porta. Incoraggiato da un “avanti” pronunciato dall’altra parte, spalancò la porta, trovandosi subito faccia a faccia con la scrivania del signor Cold. Quest’ultimo, alzò gli occhi dal foglio che stava esaminando e una volta riconosciuta la figura dell’insegnante, un sorriso sadico si dipinse sul suo volto di ghiaccio. “Voleva vedermi?” chiese freddamente il nostro insegnante, cercando di mantenere un tono distaccato e pacato. Lui ghignò. “Oh si, Professor Dawson, venga pure. Si accomodi, prego.” Lo invitò con finta cortesia. “Preferisco restare in piedi.” Rispose deciso il nostro insegnante. Il vice preside riprese. “Come vuole. Allora, si starà sicuramente chiedendo per quale motivo l’ho fatta chiamare.” Cominciò. “Effettivamente mi stavo proprio chiedendo questo.” Rispose tranquillamente il nostro insegnante. “Beh, la questione è molto semplice. Vede, volevo solo darle questa.” Detto ciò, porse il foglio che prima stava esaminando, al nostro insegnante. Questo lo prese con fare sospettoso, iniziando a scorrere velocemente con gli occhi le righe di quel documento. Strabuzzò poi gli occhi, balbettando: “M –ma che significa?” il vicepreside sorrise diabolicamente. “Oh, non è abbastanza chiaro? Lei verrà trasferito in un altro istituto, dove continuerà questa patetica cosetta del Glee Club. Senza le sue amate Voci fuori dal coro.” “Ma sta scherzando?!” sbottò arrabbiato il nostro insegnante. “Le sembro uno che ha voglia di scherzare? Da domani lei non insegnerà più qui, è molto semplice.” Rispose tranquillamente. “Ma mi spieghi almeno per quale motivo!” riprese sempre più incollerito il Professor Dawson. “Oh beh, vede il fatto è che la scuola purtroppo sta esaurendo i suoi fondi, e mi vedo dunque costretto ad eliminare un bel po’ di impicci. Il Glee Club, ad esempio.” “Ma non è possibile! Il Glee Club non sottrae alcun denaro dai fondi scolastici, non può fare una cosa del genere!” il nostro insegnante aveva capito benissimo che quella dei fondi era solo una scusa. Il vice preside si accigliò, rispondendo poi: “E invece posso eccome, sono il Vice Preside, e lei non ha il diritto di contestare le mie decisioni, ne tantomeno di parlarmi in quel modo!” “Ma lei non capisce, il Glee Club è troppo importante per i miei ragazzi! Loro non hanno nient’altro, quell’aula canto è l’unico luogo dove possono essere loro stessi e vivere davvero! Come può far loro una cosa simile?!” ormai era disperato. Ancora freddamente, il signor Cold rispose: “Posso fare quello che voglio, ormai ho deciso.”  “Non posso credere che il Preside Muten abbia acconsentito ad una tale pazzia …” balbettò il nostro insegnante, osservando spaesato la firma indubbia del Preside dell’istituto sulla sua lettera di trasferimento. Il signor Cold sorrise sadicamente. “E invece è così, a quanto vede. Non ho altro da aggiungere, perciò la invito calorosamente a raccogliere le sue cose e a lasciare questa scuola entro stasera. Da domani la aspettano alla Dalton High School.” Il nostro insegnante sgranò gli occhi. “Che cosa?!” balbettò infatti. “Oh, non glielo ho detto? Da domani lei sarà il responsabile degli Usignoli della Dalton High School.” Rispose mellifluo. Il nostro insegnante strizzò gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime pronte ad uscire. “N- non è possibile …” balbettò a testa bassa. Il vice preside ghignò. “Oh si, invece. Mi dispiace, ma da domani, Le voci fuori dal coro non esisteranno più.”

“Avanti, sbrigati!” Vegeta mi aveva preso per un braccio, trascinandomi per il cortile della scuola. “Si può sapere dove stiamo andando? Sono dieci minuti che mi fai girare in lungo e in largo!” sbottai, leggermente infastidita. “Vuoi stare zitta per una buona volta?!” rispose lui, bloccandosi poi di colpo. “Ecco, siamo arrivati.” Disse a bassa voce. Stavo per riprendere ad insultarlo, quando mi accorsi di dove mi avesse portata. Sgranai gli occhi, sorridendo dolcemente. “La mia quercia …” dissi, riconoscendo il luogo dove ormai mesi prima avevo incontrato Vegeta per la prima volta. Lui sbuffò. “Ancora insisti col dire tua? Non ti è ancora chiaro che questa quercia è NOSTRA?!” disse, arrossendo leggermente nel pronunciare quell’aggettivo possessivo. Sorrisi teneramente, avvicinandomi poi a lui. “Va bene, va bene, la nostra quercia. Posso chiederti allora, per quale motivo mi hai portato qui?” chiesi, portandogli le braccia intorno al collo. Lui sorrise malizioso, spingendomi poi verso la corteccia del nostro amato albero. “Sbaglio, o è qui che ci siamo conosciuti?” disse lui, posandomi un leggero bacio sulle labbra. Io ricambiai, dicendo poi: “No, non sbagli. Ti ricordi che avevamo litigato per chi avesse dovuto pranzare qui?” dissi, portando alla mente i ricordi di quel giorno di inizio anno. “Mmm ..” rispose lui,  baciandomi nuovamente. “Mi avevi anche insultata, chiamandomi gallina isterica, ti ricordi?” dissi sorridendo, dopo esserci staccati da quel dolce bacio. Lui ghignò leggermente. “Oh si, come dimenticarlo. E comunque, sappi che non ho cambiato idea al riguardo.” Disse, avvicinando nuovamente le sue labbra alle mie. Presa da un moto d’orgoglio, spostai il viso da un’altra parte, offesa per ciò che aveva detto. “Ah si? Quindi io sarei una gallina isterica?!” chiesi indispettita. Lui ghignò leggermente, avvicinandosi poi al mio orecchio. “No, sei la MIA gallina isterica.” Sussurrò con voce sensuale. Alche, non potei fare a meno, di rivolgergli il mio viso, baciandolo dolcemente.

“Ti rendi conto!?”

Aprì leggermente gli occhi, dopo aver udito quelle voci. “Ve –Vegeta, aspetta – un – attimo – senti – anche tu –queste – voci?” cercai di dire, tra un bacio e l’altro. Infastidito, si staccò a malincuore dalle mie labbra, dicendo poi: “E allora?” “Vengono da quella parte …” dissi, tendendo l’orecchio in direzione di quelle chiacchiere. “Andiamo a dare un’occhiata.” Dissi, prendendo Vegeta per mano e trascinandolo verso la provenienza di quelle voci. Lui sbuffò infastidito, fingendo disinteresse. Oh, ma in realtà era curioso quanto me. Arrivati dietro uno dei numerosi alberi, ci nascondemmo lì dietro, cercando di scorgere i protagonisti di quella conversazione. “Certo che sei proprio un’impicciona … che ti importa di quello che stanno dicendo quelli là!?” sbottò Vegeta, evidentemente infastidito per aver interrotto quel meraviglioso momento di intimità. Gli sorrisi dolcemente, rispondendo poi: “Andiamo tesoro, volevo solo vedere chi si fosse appartato qui come noi. Non so, ma sento che stanno parlando di qualcosa di importante …” dissi, riferendomi a coloro che nel frattempo stavano discutendo oltre la siepe. “E poi non ti preoccupare, dopo di questo sarò tutta tua …” dissi maliziosa, schioccandogli un bacio sulla guancia. Lui arrossì violentemente, volgendo poi lo sguardo altrove. Era ormai passata una settimana dal giorno delle Regionali, vale a dire dal giorno in cui io e Vegeta ci eravamo finalmente dichiarati. Stavamo insieme da diversi giorni quindi, e le cose non potevano andare meglio. A differenza di ogni aspettativa, quando Vegeta si trovava da solo con me, cambiava radicalmente. Diventava tenero, impacciato, dolce ma non stucchevole ovviamente, e a modo molto suo, romantico. Certo, restava sempre il solito Vegeta scorbutico e riservato, ma quando stavamo insieme sembrava che le sue barriere crollassero, lasciando quindi posto solo ad un ragazzo solo, triste ma innamorato di me.

“Hanno vinto le Regionali, quei bastardi!” a quelle parole, io e Vegeta girammo in contemporanea la testa verso colei che aveva parlato. Era girata di spalle, perciò non riuscii a vedere di chi si trattasse, ne tantomeno chi fosse colui con cui stesse parlando. Eppure, quella vocetta acuta e odiosa, l’avevo già sentita.
“Si può sapere che intenzioni avete?! Ormai hanno vinto, non possiamo più fare niente contro di loro!” continuò la moretta inviperita. Alche, una risatina diabolica prese vita da colui che fino a quel momento aveva solo parlato. Rabbrividii. Avrei riconosciuto quel tono ovunque. “Oh Valese, non preoccuparti, non è ancora detta l’ultima parola. Sai, oggi mio padre avrebbe parlato con il loro insegnante, come si chiama? Dawson mi sembra …” “E allora?! Che vuoi dire con questo, Freezer?!” ribatté scocciata la ragazza, che riconobbi come uno degli Usignoli della Dalton. Lui sorrise sadico. “E allora, a quanto pare il caro Professor Dawson sarà costretto a cambiare scuola … che dici, credi che vi piacerà come nuovo insegnante?” rispose lui mellifluo. A quel punto, anche la moretta sorrise diabolica, rispondendo: “Oh, ora capisco. Beh, se il loro insegnante dovrà cambiare scuola, che fine farà il loro Glee Club?” lui ghignò. “Oh, è molto semplice. Da domani, le Voci fuori dal coro, non esisteranno più.”

Nota autrice:
salve a tutti! Eccomi tornata, con qualche giorno di ritardo, con un nuovo capitolo! Vi chiedo perdono per l’esigua lunghezza di questo capitoletto, ma come avete notato, le cose si stanno mettendo male per le nostre amate Voci fuori dal coro … purtroppo il capitolo è breve, ma spero comunque che vi intrighi e che vi sia piaciuto, lasciandovi con l’effetto sorpresa … cosa accadrà? Lo scoprirete nella prossima puntata … ;) vi ringrazio già da ora per l’attenzione, ringraziando coloro che leggono, seguono, e recensiscono questa storia! Grazie infinite! Bene, vi lascio, il Greco mi aspetta … -_- … aspetto vostre recensioni! ;) al prossimo capitolo!
Saluti
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Capitolo 32
*** Niente ci dividerà e ascoltateci ruggire ... ***


Spalancammo in contemporanea gli occhi: “Ma –ma non è possibile …” balbettammo all’unisono. Ci voltammo leggermente uno verso l’altro, fissandoci allibiti per la sconvolgente scoperta. Vegeta si scontrò con i miei occhi cerulei colmi di lacrime, alche sobbalzò leggermente, sorpreso ma soprattutto infuriato per ciò che aveva sentito. “T –ti rendi conto? Era stato Freezer a dare la nostra canzone agli Usignoli, lui e suo padre sono contro di noi da quando abbiamo messo piede in quell’aula canto! Il Glee Club, il Professor Dawson, a lui devo ogni cosa … E adesso, vogliono portarcelo via, vogliono distruggere tutto quello che noi siamo riusciti a creare … non è giusto …” balbettai tra i singhiozzi. Strinsi i pugni infuriata, continuando a piangere. Non potevano farci una cosa del genere … “Lo impediremo.” Disse ad un tratto Vegeta. Alzai lo sguardo su di lui, scontrandomi con i suo meravigliosi occhi d’antracite, concentrati in un’espressione decisa e incoraggiante. “Non dovevano farlo …” continuò. Io intanto continuavo a piangere, il solo pensiero che tutto ciò che avevamo creato con cura in quei mesi, potesse scomparire così, da un momento all’altro mi faceva impazzire. Quel Glee Club, era tutto per me. Era lì che avevo incontrato i miei amici, Vegeta, il nostro meraviglioso insegnante, e adesso dei bastardi volevano portare tutto via, eliminare ogni cosa come se quell’aula canto non fosse mai esistita. “Ehi …” mi richiamò Vegeta. Lo guardai negli occhi, continuando a piangere. “Non accadrà nulla al Professor Dawson, né tantomeno al nostro Glee Club. Resteremo tutti uniti. Te lo prometto.”


Il Professor Dawson camminava per i corridoi a testa bassa. Non riusciva ancora a credere a quanto era accaduto. Non voleva crederci. Eppure era così, doveva davvero andarsene. Ma non era giusto, non era affatto giusto. Arrivò di fronte all’aula sette, e osservando la vecchia porta di legno sospirò tristemente: quella sarebbe stata l’ultima volta in cui sarebbe entrato lì dentro. Abbassò lentamente la maniglia, entrando poi nell’aula canto, immersa nel buio. Era ancora presto, la lezione del Glee Club sarebbe iniziata tra mezz’ora. L’ultima lezione. Con il cuore in gola, accese la luce, osservando poi tristemente l’ambiente circostante. Gli strumenti appoggiati ai loro posti, le sedie dove i suoi alunni sedevano ogni giorno per ascoltarlo adoranti, pendenti dalle sue labbra, erano disposte ordinatamente, come sempre. La lavagna sporca e consumata, mostrava ancora le tracce del suo passaggio: al centro di essa infatti, troneggiava la scritta fatta con i vecchi gessetti, “Voci fuori dal coro” leggermente sbiadita ma ancora presente. Una fitta allo stomaco lo colse, osservando le parole scritte con il gessetto bianco sulla lastra nera di ardesia. Il ricordo di quel giorno di qualche mese fa lo colse come un uragano in pieno maggio, un’onda di ricordi lo travolsero, impedendogli quasi di respirare. Li rivide tutti lì, i suoi ragazzi, seduti di fronte a lui, che discutevano tra di loro per trovare il nome adatto a quel gruppo di sfigatelli dal potenziale fuori dal comune. E poi, quando Vegeta aveva pronunciato in mezzo alla confusione quelle parole, Voci fuori dal coro, una scintilla si era accesa negli occhi del professore, capendo che era davvero quello il nome perfetto. Si sedette lentamente sul vecchio pianoforte, come ogni volta. Stavolta però era diverso, lo sapeva. Continuò a percorrere con lo sguardo ogni centimetro di quell’aula canto, come a voler imprimere nella sua memoria anche il più piccolo dettaglio del luogo dove la sua vita era cambiata, grazie a dei ragazzi incredibili. Così, in mezzo a tutti quegli strumenti e alle sedie vuote, scoppiò in lacrime, piangendo come mai aveva fatto. Li avrebbe persi. Avrebbe perso la sua famiglia.


“No, non è vero …” balbettò Chichi incredula. Vegeta annuì tristemente. “Invece purtroppo è così. Il Professor Dawson se ne andrà, e le Voci fuori dal coro non esisteranno più.” “Ma dobbiamo fare qualcosa, non possiamo lasciare che accada una cosa del genere!” sbottò Yamcha adirato.”Lo so, per questo dobbiamo pensare a qualcosa, ad un piano. Dobbiamo impedire con ogni mezzo che il Professor Dawson se ne vada, le Voci fuori dal coro non possono scomparire così.” Riprese Vegeta risoluto. Lo sguardo di tutti era ora puntato su di me. come biasimarli? pallida come un cencio, addirittura più del normale, il viso rivolto a terra, lo sguardo fisso nel vuoto, e il corpo scosso da violenti singhiozzi. Tra tutti, sembravo essere io colei ad aver preso peggio quella notizia sconvolgente. Mi sentivo svuotata, incapace di fare qualcosa, inutile. “Bulma?” mi richiamò dolcemente Vegeta. “N – non possono portarmi via da voi, dal Professor Dawson … voi siete l’unica cosa che ho …” sussurrai tra le lacrime. Si avvicinarono tutti a me, cingendomi in un caldo abbraccio protettivo. In quel momento, ne avevamo tutti bisogno.”Anche noi …” sussurrò Chichi, ormai anche lei vicina alle lacrime. “Bulma.” Ripeté poi Vegeta, una volta che l’abbraccio collettivo si fu sciolto. Lo guardai, spostando i miei occhi spenti su di lei. “Se vogliamo far sì che il Professor Dawson resti con noi, dobbiamo darci da fare. Abbiamo bisogno anche del tuo aiuto. Ci stai?” mi chiese cercando di incoraggiarmi. In quel momento, capii che aveva ragione, dovevamo fare qualcosa, non solo piangerci addosso. Una scintilla di determinazione brillò nei miei occhi azzurri che ormai da diverso tempo versavano lacrime. Annuii decisa, rispondendo poi: “Certo che ci sto.”


Quando il Professor Dawson rientrò nell’aula canto, dopo essersi assentato per qualche minuto, si scontrò con la fredda figura del signor Cold. Sobbalzò leggermente nel trovarlo di fronte alla porta dell’aula sette, così riacquistando una certa freddezza, chiese: “E lei che ci fa qui?” quello ringhiò, rispondendo poi: “Ma è per caso impazzito? È stato lei a dirmi di venire qui, a quest’ora.” Il nostro insegnante sgranò gli occhi, balbettando poi: “N – no, si sbaglia, io …” “Guardi qua. L’ho trovato poco fa sulla mia scrivania. ” Lo interruppe il vice preside, piazzandogli sotto il naso un foglietto leggermente stropicciato. Lui lo lesse curioso, sgranando poi gli occhi: “Ma non sono stato io a scriverlo! Deve esserci un errore …” “Mi prende in giro?! Chi vuole che sia stato a chiedermi di venire proprio qui, se non lei?!” sbottò nervoso. L’insegnante sbiancò, iniziando a farsi una mezza idea di chi potesse essere stato. In un gesto quasi spontaneo, aprì la porta dell’aula canto, immersa nell’oscurità. Nel momento in cui il leggero raggio di luce inondò l’aula, Vegeta fece un cenno del capo ai musicisti, che dalla loro posizione iniziarono a suonare. “M – ma che succede?” chiese confuso il vice preside, al suono della musica. il Professor Dawson accese la luce, trovandosi faccia a faccia con una Bulma più determinata che mai. E che in quel momento, iniziò a cantare. (http://www.youtube.com/watch?v=-TqFjsiM1_I canzone)

Bulma:
I used to bite my tongue and hold my breath
Scared to rock the boat and make a mess

Avevamo deciso che dovevamo far capire al vice preside quanto il Glee Club, quanto il Professor Dawson fosse importante per noi. E quale modo migliore, se non attraverso la musica?

C18:
So I sat quietly, agreed politely
I guess that I forgot I had a choice

Chichi:
I let you push me past the breaking point
I stood for nothing, so I fell for everything


Il vice preside ci guardava allibito. Non capiva che intenzione avessimo, ne tantomeno per quale motivo avevamo messo in scena quella pagliacciata, come l’avrebbe chiamata lui. Ma iniziò a capire cosa stava accadendo, quando ascoltò le parole che stavamo intonando.

Vegeta:
You held me down, but I got up (Hey!)
Already brushing off the dust

Tutti:
You hear my voice, you hear that sound
Like thunder, gonna shake your ground

You held me down, but I got up
Get ready 'cause I've had enough
I see it all, I see it now


La faccia del Professor Dawson era diventata una maschera indecifrabile. Non ci stava capendo più niente: come facevano i suoi ragazzi a sapere che se ne sarebbe andato, se ancora non glielo aveva detto?Cosa stava succedendo? Ma poi, vedendoci cantare così decisi, così determinati quelle parole rivolte al vice preside, capì quanto i suoi ragazzi lo amavano. Stavano affrontando il Vice preside, per lui.

Tutti:
I got the eye of the tiger, the fighter
Dancing through the fire
'Cause I am a champion, and you're gonna hear me roar!

Louder, louder than a lion
'Cause I am a champion, and you're gonna hear me roar!

Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh
Oh oh oh oh oh oh oh oh

You're gonna hear me roar!

Ormai nessuno poteva più fermarci. Stavamo sputando in faccia al vice preside tutto ciò che avremmo voluto dirgli, gli stavamo dicendo che era arrivato il momento di farci sentire, di farci valere, di ruggire più forte di un leone. E ne lui, ne nessun altro ce lo avrebbe impedito.

Bulma:
Now I'm floating like a butterfly
Stinging like a bee I earned my stripes

 
I went from zero, to my own hero
Bulma e Vegeta:
You held me down, but I got up 
Already brushing off the dust
You hear my voice, you hear that sound
Like thunder, gonna shake the ground

You held me down, but I got up 
Get ready 'cause I've had enough
I see it all, I see it now

 
Continuavamo, fregandoci del fatto che molto probabilmente al termine di quell’esibizione il signor Cold si sarebbe infuriato con noi. non ce ne importava niente, perché in quel momento, cantando decisi e determinati, stavamo salvando il nostro Glee Club.

Tutti:
I got the eye of the tiger, a fighter
Dancing through the fire
'Cause I am a champion, and you're gonna hear me roar!
Louder, louder than a lion
'Cause I am a champion, and you're gonna hear me roar!

Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh

You're gonna hear me roar!
Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh

You're gonna hear me roar!
Tutti:
Roar, roar, roar, roar, roar!

Arrivò quindi il bridge, dove tutti insieme, accerchiammo il vice preside continuando a cantare e a fissarlo decisi. Lui intanto era sconvolto.

Bulma:
I got the eye of the tiger, a fighter!


Tutti:
Dancing through the fire
'Cause I am a champion, and you're gonna hear me roar!
Louder, louder than a lion
'Cause I am a champion, and you're gonna hear me roar!

 
Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh
You're gonna hear me roar!
Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh 
Oh oh oh oh oh oh oh oh 
You're gonna hear me roar!

 
E così, di fronte alle faccia incredule del signor Cold, terminammo la nostra dichiarazione di guerra, il nostro discorso verso quell’odioso essere che voleva portarci via l’unica cosa che avevamo. Il Glee Club. Il Professor Dawson invece si era commosso, e non appena terminammo la canzone, ci corse incontro, abbracciandoci. Ci stringemmo tutti a lui, in un caldo abbraccio di gruppo, che mai come ora era di fondamentale importanza. “Ragazzi … “ sussurrò il nostro insegnante, stringendoci. “Grazie …” continuò. Gli sorridemmo riconoscente ed emozionati. “No, siamo noi che dobbiamo ringraziarla. È solo grazie a lei che siamo qui, tutti insieme. È tutto merito suo. Non potevamo permettere che distruggessero tutto questo.” Dissi a nome di tutti, indicando noi stessi. Lui sorrise commosso.
Clap,clap,clap. Ci voltammo tutti in contemporanea verso la provenienza di quel suono. Ci girammo tutti stupiti, scontrandoci con la figura del signor Cold, che batteva lentamente le mani, con un ghigno malefico stampato in viso. “Ma che scenetta commovente. Bravi ragazzini, cosa speravate di ottenere con questa patetica esibizione? Speravate di farmi cambiare idea riguardo il vostro stupido club? Beh, perché se è così, vi sbagliate di grosso.” Disse sorridendo sadicamente. Serrammo tutti le mascelle, stringendo poi i pugni. Eravamo infuriati, non era possibile che quell’esibizione non avesse sortito in quell’essere malvagio alcun effetto, che il nostro piano non avesse funzionato. “Caro Professore, mi dispiace deluderla, ma questa eroico gesto da parte dei suoi amati ragazzini non è servito a nulla. Lei domani lascerà questa scuola, che lo voglia o no.” “Cosa sta succedendo qui?” sobbalzammo tutti, al suono di quella voce. Ci girammo verso la porta, scoprendo con stupore la figura del …”Preside Muten! Ma lei che ci fa qui? Sapevo che stesse male, come mai è rientrato a scuola?” chiese in preda al panico il vice preside. Il preside alzò le spalle, rispondendo poi: “Beh, oggi mi sentivo molto meglio e ho deciso di rientrare. Allora, cos’è questa storia del Professor Dawson? cosa sta succedendo?” chiese con fare indagatore. Il signor Cold iniziò a sudare freddo, non sapendo cosa dire. Fu il professor Dawson ad intervenire: “Ma come Preside, non lo sa? Sono stato trasferito alla Dalton High School, il signor Cold mi ha consegnato la mia lettera di trasferimento questa mattina …” disse tristemente. Il preside corrucciò lo sguardo dietro le lenti scure dei suoi occhiali da sole: “Ma di cosa state parlando? Io non so niente di trasferimenti o cose varie!” sbottò infatti confuso. Sgranammo tutti gli occhi, sorpresi. “ M – ma Preside, sulla lettera di trasferimento c’era anche la sua firma, come ….” “Io non ho firmato un bel niente! In questi giorni sono rimasto a casa malato, non ho avuto alcun contatto con nessuno …” “Ma allora …” balbettò il Professore, iniziando finalmente a collegare tutti i pezzi. “Signor Cold! Cos’è questa storia del trasferimento del professore?! Io non ho firmato un bel niente, come è possibile che la mia firma compaia in una lettera di trasferimento?!” esclamò arrabbiato, avendo capito cosa era accaduto. Il Professor Cold era ormai diventato una statua di sale: immobile, fissava ora il Preside ora noi ragazzi, rimasti ancora sconcertati da ciò che era accaduto. Il primo a parlare fu Vegeta: “Ha fatto tutto lei! È stato lei a decidere del trasferimento del professore, il Preside Muten non ne sapeva nulla! Ha falsificato la sua firma, non è così?!” sbottò infuriato. Il vice preside strinse i pugni sbottando poi: “Si e sarebbe stato tutto perfetto, se solo il Preside Muten non fosse rientrato!” Vegeta incollerito, si scagliò su di lui, come una furia: “Brutto bastardo, come ha osato!” “Vegeta!” lo bloccammo noi, impedendo così che il mio ragazzo rompesse qualche osso al vice preside. In tutto quel trambusto il Preside Muten aveva capito tutto, e infuriato esclamò: “Fermi tutti! Non c’è nessun trasferimento: dimenticate ogni cosa che vi ha detto il signor Cold: il Glee Club resterà intatto, e lei professore, resterà qui.” A quelle parole, esplodemmo tutti quanti in un grido di gioia, increduli ed emozionati. “E in quanto a lei, signor Cold.” Continuò il Preside, rivolgendosi a quel mostro ormai rimasto pietrificato. “Venga con me nel mio ufficio. Abbiamo molto di cui parlare.” Disse duro, uscendo dall’aula canto, seguito da un ormai infuriato signor Cold. Uscirono dalla stanza, lasciando tutti noi soli, insieme al nostro insegnante. e in quel momento, dopo esserci lanciati tutti un’occhiata complice e felice, ci abbracciammo emozionati, mettendo le mani al centro del gruppo una sopra all’altra. “Ce l’abbiamo fatta ragazzi! Voci – fuori- dal –coro!” gridò entusiasta il nostro insegnante. “Voci – fuori- dal- coro!” rispondemmo noi in coro, alzando le mani verso l’alto. Il nostro Glee Club, era salvo.

Nota autrice:
ìBuenas noche amigos! Eccomi qua, con il nuovo capitolo della long! Come avete visto, alla fine le cose si sono risolte per il nostro amato Glee Club, finalmente! Vi ho inserito come sempre il link ella canzone cantata dai ragazzi, anche se non è un’esibizione ma solo un lyrics … vi consiglio comunque di ascoltarla, se volete! ;) bene, vi lascio, ringraziandovi già da ora per l’attenzione e per leggere e seguire la mia storia! Aspetto recensioni,fatemi sapere cosa ne pensate della storia, mi farebbe piacere! ;) al prossimo capitolo!
Saluti
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Capitolo 33
*** Do they know it's Christmas? ***


Finalmente, le cose iniziavano ad andar bene. Il professor Dawson non se ne andò dalla Orange High School, e le Voci fuori dal coro divennero più unite che mai. A differenza di ogni aspettativa, il signor Cold non venne licenziato o cacciato dall’istituto, ma restò in carica come vice preside, seppur facendosi vedere sempre meno a scuola. Era infuriato con noi, ma ormai poteva fare ben poco: avevamo vinto. Le Nazionali si sarebbero tenute a fine anno, perciò quel periodo fu uno dei più divertenti e belli di tutto l’anno: cantavamo, suonavamo, improvvisavamo brani sul momento ma soprattutto eravamo felici, finalmente. Così, tra una lezione del Glee Club e una cantatina nell’aula canto, i mesi passarono, arrivando così al freddo e magico mese di Dicembre.

Quando quella mattina d’inizio Dicembre uscii di casa, mi resi subito conto che l’aria stava cambiando: il freddo aveva avvolto l’intera città e grossi nuvoloni si stagliavano nel cielo scuro e plumbeo, pronti a riversare un’enorme moltitudine di neve nei giorni successivi. Per le strade e tra i negozi si iniziava a percepire una sottile differenza nella vita quotidiana, le luci  colorate installate per le vie avevano preso a funzionare, ricordando con le loro scritte luminose che la festa più magica dell’anno era alle porte, così come le vetrine dei negozi iniziavano a riempirsi di regali e decorazioni varie. Il Natale stava arrivando.

“Ragazzi, qui c’è bisogno di una bella sistemata.” Proclamai quella mattina, entrando nell’aula canto. Tutti i miei amici mi guardarono confusi, non capendo dove volessi arrivare. “Ragazzi, ormai manca poco a Natale! Vogliamo o no rendere un po’ più magico questo posto, ora che la festa più bella è alle porte?!” esclamai con ovvietà, guadagnandomi l’approvazione di tutti i miei amici. “Ma si, certo! Dobbiamo decorare un po’ questo posto … che ne dite di un bell’albero di Natale qui? E di qualche ghirlanda là sulla porta? Ohh, magari dei festoni colorati intorno alle pareti …” iniziò Chichi, elencando tutte ciò che le passava per la testa in quel momento. In mezzo a tutta quell’allegria ed entusiasmo, c’era solo una persona che sembrava non condividere quello spirito di festa … “Vegeta? Tutto bene, c’è qualcosa che non va?” gli chiesi, sedendomi vicino a lui. Lui se ne stava nella sua solita posa impassibile, le braccia incrociate e lo sguardo corrucciato. Non che mi sarei aspettata i salti di gioia per la mia proposta, ma non sembrava per nulla emozionato dall’idea che presto la magica festa avrebbe avvolto tutti noi. “Sto benissimo.” Rispose freddamente. Sorrisi dolcemente. “Allora andiamo, vieni a darci una mano!” dissi, additando gli altri ragazzi, che si stavano già prodigando alla ricerca di vecchie decorazioni nei meandri della scuola. Una smorfia contrariata si delineò sul volto perfetto del mio ragazzo, che scocciato rispose con un secco: “No.” Sbuffai. “Andiamo tesoro, perché non ti va? Tra poche settimane sarà Natale, non sei felice?” gli chiesi candidamente. Lui sbuffò: “Tsk, non mi interessa niente di quella stupida festa. Per me è un giorno come un altro.” Concluse, spostando lo sguardo altrove. Corrugai lo sguardo delusa, ma soprattutto contrariata: quel pomeriggio avrei fatto visita ad una persona.

“Ecco, prendi pure cara.” La signora Hazel mi porse la tazza fumante, colma di cioccolata calda. “Grazie mille, signora.” Risposi, stringendo il recipiente con entrambe le mani. “Allora, come va?” mi chiese dolcemente. “Tutto bene, non mi lamento.” Risposi sorridendo, portandomi la tazza alle labbra, sfiorando la densa sostanza al cacao. La allontanai poi in un nanosecondo, rendendomi conto troppo tardi dell’elevato calore della dolce bevanda. “E tra te e Vegeta? Come procedono le cose?” mi chiese, leggermente maliziosa. Arrossii leggermente, imbarazzata. La nonna di Vegeta aveva scoperto la nostra relazione per puro caso, quando una volta credendo di essere soli in casa, Vegeta mi aveva posato delicatamente un bacio sulle labbra. Non si era infatti reso conto che sua nonna era rientrata proprio in quel momento, con conseguente risultato un “Ohhh, lo sapevo che prima o poi vi sareste fidanzati!” da parte di sua nonna, e due volti color pomodoro per entrambi. Sorrisi leggermente a quei pensieri. “Va tutto a meraviglia, davvero.” Dissi felice. La signora Hazel mi sorrise comprensiva, riprendendo poi: “Ah, l’amore … sai, si vede che siete fatti l’uno per l’altra. A quanto sento, mia cara, tu sei proprio cotta di mio nipote.” Disse, sorridendo con un pizzico di malizia. Io affondai lo sguardo all’interno della tazza rossa a fantasia natalizia, arrossendo visibilmente. La nonna scoppiò a ridere, dicendo poi: “Oh cara, non preoccuparti, non devi sentirti in imbarazzo! Sai, anche Vegeta ti ama davvero.” Disse poi, riacquistando serietà. Con gli occhi luccicanti dall’emozione, alzai lo sguardo verso l’anziana signora, chiedendo speranzosa: “D –dice sul serio? Voglio dire, come fa a dirlo?” lei sorrise comprensiva, rispondendo. “Oh, fidati lo capisco. Sai, in questo Vegeta è praticamente uguale a suo nonno. Anche lui sembrava sempre scorbutico e riservato, ma in realtà sapeva dimostrare il suo amore per gli altri attraverso i gesti più semplici ma anche più belli. Mio nipote è proprio come lui, orgoglioso fino al midollo,ma tenero con coloro che ama.” Concluse, con un pizzico di malinconia nel nominare il marito defunto. Sorrisi timidamente, rimembrando poi il motivo principale per cui ero andata a far visita alla donna. “Senta, a dire il vero io volevo farle una domanda, ehm … personale.” Iniziai imbarazzata. Lei annuì, invitandomi a continuare: “Prego cara, chiedimi tutto quello che vuoi.” Disse. “Ecco vede, il fatto è che tra poco sarà Natale, e io ho notato che Vegeta ehm … non ama particolarmente questa festa. Lei saprebbe spiegarmi il motivo?” azzardai speranzosa. Un lampo di tristezza avvolse gli occhi dell’anziana signora a quelle mie parole. Poi, volgendo il capo in direzione della finestra, sospirò. “Vedi, è un po’ difficile da spiegare. Sai, Vegeta non ha mai amato il Natale, ma qualche anno fa accadde un fatto che lo portò ad odiare più di ogni altra cosa questa festività. Sai, era il 25 dicembre di due anni fa, quando il nonno di Vegeta è scomparso, a causa di un infarto.” Confessò, gli occhi umidi per aver rievocato il ricordo della morte del marito. “Vegeta era molto legato a sua nonno, e da allora odia il Natale con tutto sé stesso. Dice che gli ha portato via il suo migliore amico …” annuii tristemente. Poi, uno sguardo determinato si dipinse sul mio volto. Quell’anno, Vegeta avrebbe cambiato idea riguardo il Natale. E l’avrebbe fatto grazie a me.

“Buongiorno amore mio!” esultai quella mattina, stampando un dolce bacio sulla guancia a Vegeta. Ero appena entrata a scuola, e non appena lo avevo visto aggirarsi per i corridoi, ero subito corsa da lui, come sempre ormai. Lui mi guardò leggermente stranito, dicendo poi con fare sospettoso: “Okay, cosa ti serve?” sbuffai. “Ma niente tesoro, non posso nemmeno salutare come si deve la luce dei miei occhi?!” chiesi candidamente, provocando un incredibile colorazione carminia delle gote di Vegeta, che rispose semplicemente con un sonoro “Tsk!”, volgendo lo sguardo altrove. Ghignai leggermente: metterlo in imbarazzo ormai era diventata la mia specialità. E in più adoravo vederlo arrossire, le sue guance assumevano un’intensa colorazione del rosso, mentre gli occhi si abbassavano timidamente verso il basso, in un moto istintivo. Era meraviglioso … “Comunque, mio caro, ieri passando davanti a diversi negozi, ho pensato …” “Ecco, lo sapevo che c’era il trucco.” Mi interruppe lui. “Ma no, di che parli?” chiesi con finta innocenza. Lui sbuffò. “Lo sapevo che tutte quelle moine servivano perché volevi ottenere qualcosa. E comunque sappilo già da ora: qualunque cosa sia, la risposta è no.” Scossi leggermente la testa. “E invece ti sbagli, mio caro. Mi stavo chiedendo quale regalo avrei potuto farti per Natale … hai qualche preferenza?” chiesi curiosa. Lui si rabbuiò subito, rispondendo: “Ti ho detto di lasciar stare con questa storia del Natale. E comunque non voglio nessun regalo, perciò vedi di non iniziare ad impazzire per comprarmi qualcosa: non voglio niente.” Detto questo si allontanò, dirigendosi verso la sua classe. Io sorrisi furbamente, guardandolo allontanarsi. “Vedremo, mio caro … fidati, il mio regalo non ha prezzo …”

“Ragazzi! Buongiorno a tutti, scusatemi per il ritardo … wow!! Ma cosa è successo qui?!” esclamò il nostro insegnante entrando in classe, trovandosi circondato da diverse decorazioni natalizie, prima fra tutte, un piccolo albero di Natale posto in un angolo. “Beh, ormai manca poco a Natale … ci siamo adattati!” risposi entusiasta. Lui sorrise divertito. “Beh, allora avete fatto bene!” esclamò, andando poi a sistemare le sue cose sul pianoforte, come sempre. “Ehm, mi scusi Professore, potrei dire un secondo una cosa?” chiese timidamente Goku. Il nostro insegnante lo guardò, incitandolo poi a parlare. “Certo Goku, vieni pure qui e riferisci ciò che devi dire a tutti noi.” disse. Il moro dai capelli a palma si alzò, e arrivato al centro dell’aula, di fronte a tutti noi, con un sorriso impacciato in volto pronunciò: “Ecco, ragazzi volevo chiedervi una cosa … sapete, all’orfanotrofio dove vivo, a Natale solitamente pranziamo tutti insieme, grazie ai volontari, mentre diversi adulti portano poi dei doni ai nostri orfani … ecco, volevo chiedervi se quest’anno avreste voluto venire a festeggiare insieme a noi questa meravigliosa festa … in onore della condivisione e della gioia …” continuò. Noi sorridemmo teneramente: era un’idea meravigliosa. “Ma certo che ci fa piacere … “ rispose Chichi per tutti noi. “Io non vengo.” Pronunciò invece Vegeta, spezzando la tenerezza di quel momento. Sgranammo tutti gli occhi: “M – ma come non vieni, Vegeta? C’è qualche problema?” chiese confuso Goku. Vegeta strinse i pugni, sbottando poi: “La volete smettere di chiedermi se ho qualche problema?! Sto benissimo, come ve lo devo dire?! Non voglio festeggiare il Natale, cosa c’è di difficile da capire?! IO ODIO IL NATALE!! Vi è più chiaro adesso?!” detto questo, uscì come una furia dall’aula, lasciando tutti noi di sasso.

Stringevo tra le mani guantate il documento appena ricevuto. L’ambiente intorno era gelido, c’erano almeno tre gradi sotto lo zero, ma quei fogli sembravano bruciare tra le mie mani. Finalmente, dopo essermi prodigata in lungo e in largo, chiedendo a quanta più gente possibile e in grado di darmi delle risposte riguardo ricerche private e quant’altro, ci ero riuscita. Quelle informazioni mi erano costate un mese di stipendio, ma ne era davvero valsa la pena. D’altronde, l’avevo fatto per lui, per il mio Vegeta. Sorrisi leggermente, dando un’occhiata alla busta: finalmente, Vegeta avrebbe trovato suo padre.

“Posso entrare?” chiesi, mettendo piede nella stanza di Vegeta. Lui mi lanciò una leggera occhiata, rivolgendo poi nuovamente la sua attenzione alla rivista che stava leggendo. “Ormai l’hai fatto.” Disse noncurante, sfogliando le pagine di quel numero di Rolling Stones, una delle maggiori riviste musicali al mondo. Entrai quindi all’interno della camera, chiudendo delicatamente la porta alle mie spalle. Mi andai poi a sedere sul bordo del letto, vicino a Vegeta che stava invece comodamente sdraiato sul materasso. Non alzò minimamente lo sguardo dalla sua rivista, perciò dopo aver preso un profondo respiro, iniziai: “Ehm, Vegeta?” lo richiamai. Lui non rispose, invitandomi silenziosamente a continuare. “Senti, so che non te ne importa niente, che odi il Natale e quant’altro. Però oggi è la Vigilia ed ecco io … “ “Come te lo devo dire? Non verrò a quello stupido orfanotrofio!” rispose irritato, sempre senza staccare gli occhi dall’articolo che stava leggendo. Erano passate infatti diverse settimane dal giorno in cui Goku ci aveva invitato a trascorrere il Natale insieme a lui e agli altri orfani, ed era così arrivata la Vigilia di Natale. Sospirai delusa, riprendendo: “No, non volevo dirti questo. Cioè, mi farebbe piacere se tu venissi, ma non pretendo assolutamente nulla da te. Volevo solo dirti che anche se non ti interessa, io ti ho comunque preso un regalo.” Pronunciai in un soffio. Lui alzò finalmente gli occhi dal giornale, posandoli su di me, in una smorfia contrariata. “Ti avevo detto di …” “Ascolta! Lo so, non volevi niente. Però questo è davvero importante, ti prego, almeno guarda cos’è.” Lo supplicai, porgendogli la busta bianca che fino a quel momento avevo tenuto nascosta. Gliela porsi, concentrando poi il mio sguardo sulle maniche del delizioso maglione invernale verde e bianco dalla fantasia natalizia, che stavo indossando in quel momento. Lui sbuffò, prendendo poi di malavoglia i documenti dalle mie mani. Per diversi secondi, si udirono solamente il fruscio della carta stampata. Io continuavo a fissare il suolo timorosa, non sapendo quale reazione avrebbe avuto Vegeta alla vista di ciò che gli avevo consegnato. Lui non parlava, e la cosa mi mise addosso un’ansia indescrivibile. “M – ma … questi documenti … mio padre … ma come hai fatto?”balbettò finalmente lui. Io risposi, continuando ad evitare il suo sguardo. “Visto che ormai le nostre ricerche erano state interrotte senza risolvere nulla, ho pensato di chiedere aiuto a qualche esperto. Sono riusciti a procurarmi tutta quella roba lì. Ci sono il nome, il cognome, l’indirizzo e altri dati fondamentali … so che avrei dovuto dirtelo subito, ma vedi ho ricevuto proprio oggi questi documenti, e volevo farti una sorpresa … “ ma non riuscii a terminare la frase, poiché Vegeta mi prese il viso tra le mani, alzandolo verso di lui e baciandomi con una dolcezza e una tenerezza spiazzante. Sgranai leggermente gli occhi, per poi chiuderli e lasciarmi andare a quel ringraziamento da parte di Vegeta. Si staccò poi lentamente dalle mie labbra, sussurrando poi: “Grazie …” detto questo, mi posò un leggero bacio sulla fronte, causando l’imporporazione spontanea delle mie gote. Si alzò poi in piedi, ed infilandosi la giacca, aprì la porta. “Allora? Che aspetti, andiamo?!” disse poi impaziente. “Dove?” chiesi leggermente spaesata. Lui sorrise lievemente. “A conoscere mio padre”
 

“223, Sayan Street. Dovrebbe essere questa.” Lui annuì leggermente, squadrando l’abitazione palesatasi di fronte ai nostri occhi. La neve continuava a scendere copiosa, andando ad aumentare lo già spesso strato di neve che ricopriva le strade. Erano all’incirca le 19,15 di quel 24 Dicembre in cui Vegeta avrebbe finalmente incontrato suo padre. Io e Vegeta osservammo la villetta a schiera, silenziosi e avvolti dai fiocchi di neve che continuavano a scendere anch’essi senza far rumore. Vegeta era agitato, anche se non dava a vederlo si vedeva che aveva paura di conoscere suo padre. “Ehi …” lo richiamai dolcemente. Lui voltò la testa in mia direzione. “Sei pronto?” gli dissi. Lui annuì deciso. “si.” Rispose semplicemente, avviandosi verso il vialetto antecedente l’ingresso della casa. Camminava dinanzi a me deciso, pronto a conoscere finalmente suo padre. Io lo seguivo, orgogliosa e felice per lui. Forse quel giorno avrebbe cambiato idea riguardo al Natale … Ero talmente persa nei miei pensieri, che mi accorsi che Vegeta si era fermato, solo quando andai a sbattere contro la sua schiena muscolosa. “Ahi! Vegeta che ti prende, perché ti sei fermato?” protestai confusa. Lui non rispose, continuando a fissare un punto dinanzi a sé. Curiosa, mi sporsi oltre la sua spalla, per poter scoprire cosa lo avesse colpito tanto. Ci eravamo fermati dinanzi una finestra. Al di là del vetro, si stagliava la figura imperiosa di un uomo sulla quarantina. Spalancai la bocca: tolta la presenza di un paio di baffi e di una folta barbetta, era identico a Vegeta. Ma non era l’unico presente in quella stanza, che riconobbi come il salotto. Insieme a lui stavano infatti due graziosi bambini, un maschio di circa cinque anni e una femmina di nove, probabilmente. Saltellavano intorno ad un abete decorato per metà, eccitati probabilmente per la festa tanto agognata. “Papà, papà, mi aiuti a mettere questo?” riuscimmo a sentire ,dall’altra parte della finestra, uno dei due piccoli pronunciare tali parole. A quella richiesta, l’uomo si abbassò, prendendo in braccio il bambino e sollevandolo verso l’alto, permettendogli quindi di posizionare una delle palline colorate tra i rami dell’albero. “Non è giusto, voglio fare qualcosa anche io!” protestò l’altra bambina, imbronciandosi. L’uomo le sorrise teneramente, rispondendole poi: “Bene, allora vorrà dire che tu metterai la stella in cima all’albero!” pronunciò, scatenando la gioia della bambina. In quell’istante, da una stanza adiacente apparve anche la figura di una giovane donna, molto bella e con un dolce sorriso stampato in volto. Si avvicinò all’uomo, abbracciandolo da dietro, alche questo si girò, sorridendo nel vederla. “Come va, amore?” chiese la donna. Lui sorrise, rispondendo: “Tutto a meraviglia …” languidamente, prima di posare le proprie labbra su quelle della donna. Io e Vegeta eravamo rimasti immobili, a fissare quel tenero quadretto familiare. Ero sconvolta: non avevo tenuto in conto che probabilmente il padre di Vegeta avesse una famiglia propria, una vita tranquilla e spensierata come quella. Vegeta non mosse un muscolo, paralizzato: capivo il suo turbamento, era logico che ora non potesse entrare in quella casa, proclamando: “Ciao,non mi conosci, io sono tuo figlio, posso chiamarti papà?!” distruggendo quell’allegra famigliola. “Vegeta …” sussurrai, guardandolo preoccupata. Lui socchiuse leggermente gli occhi, dicendo poi: “Andiamo via.” Detto questo, si voltò, incamminandosi deluso verso la strada imbiancata, diretto il più lontano possibile da quella casa. Sospirai tristemente, affrettandomi a raggiungerlo, dopo aver dato un’ultima occhiata all’allegra famiglia Mulino Bianco all’interno della villetta. Lanciai uno sguardo sfuggente al nome impresso sul campanello, prima di allontanarmi definitivamente. Scossi la testa amaramente. Vegeta Sayan. Suo padre. Avevano anche lo stesso nome.
 

“Vegeta caro, va tutto bene?” chiese preoccupata la signora Hazel. Dopo l’amara scoperta infatti, Vegeta era ritornato a casa sua, senza dire una parola, mentre io mi ero diretta all’orfanotrofio, come da programma. Nonna e nipote stavano cenando insieme, immersi nel silenzio. “Sto bene, nonna.” Pronunciò freddo lui, rimescolando e spostando il cibo nel piatto, senza però mangiarlo. Lei scosse leggermente la testa. “No, non stai bene. Guardati: non hai toccato cibo. Non è da te.” Disse, facendo leva su una delle cose più prevedibili di Vegeta: l’appetito. Lui sbuffò. “Non ho fame, tutto qui.” Rispose. La donna lo guardò con tenerezza, chiedendo poi: “Come mai non sei con Bulma stasera?” lui rispose senza alzare lo sguardo. “Andava all’orfanotrofio insieme a quel branco di idioti, a festeggiare tutti insieme. Non mi interessa.” La nonna sospirò, cominciando poi decisa. “Senti Vegeta, io no so cosa sia successo e non ho intenzione di scoprirlo. Però ora è arrivato il momento di parlare seriamente di questa questione. So che per te questo è sempre stato un giorno duro, è vero, tuo nonno è venuto a mancare proprio a Natale, e so quanto tu abbia sofferto,ma adesso è arrivato il momento di cambiare, devi ..” “Nonna, ho visto mio padre oggi!” sbottò ad un tratto lui, interrompendola. Lei sgranò gli occhi stupefatta. “C – come hai visto tuo padre? Ma, come …” “Bulma è riuscita a trovare diverse informazioni su di lui, così siamo andati a casa sua. Ma, non siamo entrati … ha una bella famigliola felice, come avrei potuto entrate là dentro e dire lui che sono suo figlio?! Avrei sconvolto tutti …” Lei annuì, sconvolta. “Ma – ma perché Bulma ti avrebbe aiutato a cercare tuo padre?” chiese con un filo di voce. Lui sgranò gli occhi, sorpreso da quella domanda. Effettivamente, non sapeva precisamente nemmeno lui il motivo per cui la sua ragazza avesse voluto fare un tale gesto … “Non lo so …” rispose sconfitto. “Perché ti ama.” Proruppe ad un tratto la signora Hazel, interrompendo il silenzio. “Tesoro mio, ti sei mai chiesto cosa sia il Natale?” lui alzò lo sguardo, guardandola confuso. “So che lo abbiamo sempre visto come il giorno della scomparsa di tuo nonno, ma il Natale non è questo. Quello che ha fatto Bulma, è Natale. Quello che stanno facendo tutti i tuoi amici, aiutando i bambini all’orfanotrofio è Natale. Aiutarsi, offrire se stessi per gli altri, amarsi incondizionatamente, non solo oggi, ma ogni giorno dell’anno. Tutto questo, è Natale.” Concluse lei emozionata. Vegeta sgranò gli occhi, e come colto da un’improvvisa illuminazione, si alzò di scatto, afferrando il giubbetto e avviandosi verso l’uscita. La signora Hazel domandò confusa:” Vegeta, ma dove vai?” si voltò, rivolgendole un mezzo sorriso, prima di risponderle: “All’orfanotrofio.”
 
L’orfanotrofio era gremito di bambini di tutte le età. Gli educatori, i volontari, anche noi avevamo dato una mano per rendere speciale il Natale a quei bambini con cui il destino non era stato proprio generoso. All’interno della struttura che accoglieva tutti, non vi erano riscaldamenti, perciò ognuno di noi stava congelando avvolto nel proprio cappotto. Avevamo finito da poco di cenare, e di lui non c’era traccia. Sospirai delusa: ma d’altronde, come potevo sperare che Vegeta si unisse a tutti noi Voci fuori dal coro, alla vigilia di una festa che odiava? “Scusami …” mi richiamò una vocina. Abbassai lo sguardo verso una dolce bambina che mi stava tirando per la manica del giubbetto, osservandomi con grandi occhioni verdi. “Dimmi pure, piccola.” Le dissi, sorridendole dolcemente. “Perché sei triste?” sgranai leggermente gli occhi: incredibile come i bambini riuscissero a percepire qualunque stato d’animo, emozione, anche se nascosto da una maschera di gioia. Scossi leggermente la testa: “Non è niente piccolina, non preoccuparti. Ehi, che ne dici, ti piacerebbe ascoltare qualche canzone?” le proposi. Lei sorrise entusiasta, iniziando a saltellare sul posto emozionata. “Sii, per favore!!” sorrisi dolcemente, guardando poi verso i miei amici, anche loro impegnati con altri bambini. “Ragazzi, che ne dite, vogliamo cantare qualcosa a questi bambini?” sorrisero tutti entusiasti, accettando la mia proposta. “Ottima idea Bulma!” disse il professor Dawson, tirando fuori lo stereo che aveva portato con sé. Proprio in quel momento la porta d’ingresso alle mie spalle si aprì, e da quella direzione si espanse una voce che avrei riconosciuto tra mille: “Tsk, non vorrete cantare senza di me, spero!” sgranai gli occhi, voltandomi poi in sua direzione. “Vegeta …” balbettai, commossa. “M – ma che ci fai qui?” chiesi ancora incredula. Lui ghignò leggermente. “Beh, è Natale, no?” (http://www.youtube.com/watch?v=emIi-uo4I8I  esibizione)

Vegeta:
It's Christmastime, there's no need to be afraid
At Christmastime, we let in light and we banish shade

Sorrisi dolcemente,non appena la musica iniziò, accompagnata dalla voce di Vegeta. Tutti quanti, ci raggruppammo in un angolo della stanza, di fronte ai bambini.

Chichi:
And in our world of plenty we can spread a smile of joy
Throw your arms around the world at Christmastime

Bulma:
But say a prayer, Pray for the other ones
At Christmastime it's hard, but when you're having fun

 
Guardavo Vegeta, ancora emozionata ed incredula nel vederlo lì insieme a noi. Quando poi dopo Chichi iniziai a cantare io, mi riscoprii a piangere dalla gioia.

Yamcha e Crillin:
There's a world outside your window
And it's a world of dread and fear

Tensing:
Where the only water flowing
Is the bitter sting of tears

Tensing e Riff:
And the Christmas bells that ring there are the clanging chimes of doom
Chichi:
Well tonight thank God it's them
Chichi e Bulma:
instead of you

I bambini ci fissavano rapiti, incantati da quella canzone e dall’atmosfera tutt’intorno a noi. Gli educatori e i volontari sorridevano commossi e riconoscenti. Il nostro insegnante sorrideva orgoglioso. Noi, sorridevamo felici.

Tutti:
And there won't be snow in Africa this Christmastime
The greatest gift they'll get this year is life
Where nothing ever grows
No rain nor rivers flow
Do they know it's Christmastime at all?
Here's to you

Tutti e C18:
Raise a glass for everyone
Spare a thought this yuletide for the deprived
If the table was turned would you survive
Here's to them
Underneath that burning sun
You ain't gotta feel guilt just selfless
Give a little help to the helpless
Do they know it's Christmastime at all?


Ci avvicinammo ai bambini, prendendoli per mano, e giocando con loro, mentre continuavamo a cantare. Sorrisi commossa nel vedere Vegeta aiutare un bambino aprire il suo regalo di Natale: non sapevo come, ma Vegeta aveva cambiato idea.

Bulma e le Voci fuori dal coro:
Feed the world
Feed the world
Feed the world
Feed the world
Feed the world
Let them know it's Christmastime again
Feed the world
Feed the world


Quando la canzone terminò, tutti quanti iniziarono ad applaudire felici ed emozionati. In mezzo a tutta quella confusione ed euforia, mi avvicinai a Vegeta. “Allora, posso sapere per quale motivo hai cambiato idea? Non avevi detto che odiavi il Natale?” lo stuzzicai curiosa. Lui ghignò leggermente: non avrebbe mai ammesso che a fargli cambiare idea era stato il mio amore. “Tsk, che ti importa? E comunque, effettivamente, questo Natale non è poi tanto male …” constatò, guardandosi intorno. Io sorrisi, avvicinandomi a lui. “Finalmente lo hai capito.” Sussurrai, prima di baciarlo delicatamente. “Buon Natale, Vegeta.” Dissi non appena ci staccammo. Lui sorrise. “Buon Natale, Bulma.”
 
Nota Autrice:
salve gente!! Ed eccomi con il nuovo capitolo! So cosa state pensando: ma tra tutti gli autori di questo sito, proprio l’unica cerebrolesa che scrive un capitolo sul Natale ad inizio ottobre dovevate incontrare? Ebbene si, miei cari. Anche se non siamo ancora in periodo, ho comunque deciso di scrivere ora questo capitolo, essendo piuttosto importante ai fini della storia. ;) e niente, come sempre vi ho lasciato il link dell’esibizione, che vi consiglio di guardare, se volete immaginarvi la scena. Spero che questo capitolo vi piaccia, ringraziandovi già da ora per l’attenzione, vi saluto in attesa di recensioni. Al prossimo capitolo! ;)
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Capitolo 34
*** Addii e funerali ... ***


Avete presente quel momento nella vita di una persona in cui ci si sente finalmente felici? Quel momento in cui alla domanda “Come stai?” per la prima volta in tutta la propria vita, si risponde “Bene” senza mentire? Ecco, immaginatelo. E adesso mettete in conto che la vita non va sempre come vogliamo. Perché, come un temporale estivo, imprevedibilmente qualcosa si abbatte su di noi con violenza, pronto a distruggere tutto quanto di bello sia stato creato. Ecco. Spesso, quel temporale si chiama morte.
 

Da diversi giorni, la signora Hazel non si sentiva bene. Tutto era cominciato una sera come tante. Vegeta e sua nonna mi avevano invitato a cena da loro, per cui avevamo appena finito di mangiare, quando accadde. Io e Vegeta ci eravamo spostati in salotto, mentre la signora Hazel si era ritirata per un attimo in bagno. Era chiusa in quella stanza da alcuni minuti, quando ad un tratto un tonfo sordo giunse alle nostre orecchie. Allarmati, io e Vegeta scattammo verso il bagno, dove una volta spalancata la porta, ci trovammo di fronte ad una visione sconcertante: la signora Hazel infatti, era caduta a terra, probabilmente svenuta. “Nonna!?” la richiamò Vegeta preoccupato, abbassandosi verso di lei e prendendola tra le braccia. “Nonna!! Rispondi, Nonna!” iniziò ad urlare, scuotendola. Io ero come rimasta paralizzata fino a quel momento. “Bulma, chiama un’ambulanza, svelta!” mi intimò Vegeta preoccupato. Io annuii debolmente, correndo poi verso il cordless in sala. Mezz’ora dopo, la signora Hazel aveva riacquistato i sensi, a bordo di un’ambulanza. “Signora, come si sente?” le chiese uno dei paramedici lì a fianco. Nonostante la signora Hazel si fosse ripresa, eravamo comunque diretti verso l’ospedale, sebbene contro la volontà della donna. Questa sbuffò, rispondendo poi: “Sto benissimo, come ve lo devo dire? Ho solo avuto un mancamento, può capitare!” il medico la guardò, senza rispondere. Non voleva dare diagnosi affrettate, ma aveva capito che quello svenimento non era stato un semplice calo di zuccheri. Vegeta intanto restava zitto, impassibile, seduto al mio fianco. Si era spaventato moltissimo, lo sapevo. Senza dire niente, gli cinsi le spalle con un braccio, permettendogli di poggiare il capo sulla mia spalla. E così fece.


“Sei tu Vegeta Prince?” il medico uscì dalla stanza dove era rinchiuso con la signora Hazel da ormai quaranta minuti, attirando così la nostra attenzione. Vegeta annuì, chiedendo poi: “Si, sono io. Allora? Come sta mia nonna?” il medico sospirò. Corrugai lo sguardo: non portava buone notizie. “Vedete, come sapete la Signora è gravemente malata di cuore …” iniziò. “Ultimamente però,le sue condizioni si sono aggravate, come credo saprete.” Vegeta sgranò gli occhi. “Come sarebbe a dire che le sue condizioni si sono aggravate?! Io non ne sapevo assolutamente niente!” a questo punto, fu il medico a sgranare gli occhi, confuso: “M – ma come … la signora non vi ha detto niente? Ha scoperto del suo peggioramento circa quattro mesi fa, durante la sua ultima visita …” Vegeta era rimasto allibito: perché sua nonna gli aveva nascosto una cosa del genere? “E quindi?” trovò la forza di pronunciare dopo diversi secondi di silenzio. Il medico abbassò lo sguardo, sospirando tristemente: “E quindi non c’è più molto da fare. La signora sapeva che le sarebbero rimasti al massimo cinque mesi di vita … noi non possiamo più fare niente. Mi dispiace.” Concluse. Vegeta lo guardò sconcertato, stringendo i pugni con tale forza da far sbiancare le nocche. “Come sarebbe che non si può più fare niente!? Maledizione, ci dovrà pure essere una cura, una medicina, qualcosa per salvarla!” stavolta ad urlare non era stato Vegeta, bensì la sottoscritta. Il medico scosse la testa, deluso. “Purtroppo è così. Mi dispiace, ma ho paura che alla signora non rimanga molto da vivere …” concluse, lasciandoci esterrefatti. “Se volete entrare, fate pure, è qui dentro. Con permesso.” Si congedò, allontanandosi poi per i corridoi bianchi del pronto soccorso. “V –Vegeta …” sussurrai, guardandolo. Lui aveva lo sguardo basso, i pugni stretti e un tremolio incontrollato a scuoterlo. Senza rispondere, si avviò deciso verso la stanza della nonna, spalancando la porta.
“Oh Vegeta caro, eccoti! Finalmente, non ce la facevo più a sopportare quel borioso e saccente di un medico, era davvero insopportabile! Oh Bulma, cara vieni anche tu, che aspett ….” “Perché non me lo hai detto?” la interruppe bruscamente Vegeta. La signora lo guardò confusa, indagando con gli occhi l’espressione del nipote. Poi, capendo a cosa si riferisse, un sorriso amaro si dipinse sul suo volto rugoso. “Ve lo ha detto, vero?” chiese, cercando una conferma dei suoi sospetti. “Perché?” ripeté invece Vegeta, ancora sconcertato. Lei abbassò lo sguardo, puntandolo sulle lenzuola bianche del lettino ospedaliero. “A quale scopo, Vegeta? Cosa avrei dovuto dirti? “Vegeta, tesoro, tra qualche mese morirò, mi dispiace!” Non sarebbe stato giusto …” “Perché venirlo a sapere così ti sembra giusto invece!?” sbottò adirato lui. Lei scosse leggermente il capo. “In realtà, dopo la visita ero venuta a cercarti a scuola, per avvisarti. Eri nell’Auditorium della scuola, e quando ti ho visto sopra quel palcoscenico, mi sono bloccata. Stavi cantando insieme a Bulma e ad altri ragazzi. Stavi cantando. E per la prima volta da quando sei nato, ti ho visto sorridere davvero, felice. Io non avevo la minima idea che cantare, suonare, che la musica ti rendesse così felice. E tesoro, vederti insieme a quei ragazzi, vederti per la prima volta con qualcun altro, vederti avere degli amici, mi hanno fatto capire quanto quel momento, questo Glee Club di cui tu e Bulma parlate sempre, siano importanti per te. Potevo secondo te darti una notizia del genere, dopo averti visto per la prima volta felice di vivere? Mi si è straziato il cuore … non ci sono riuscita. Mi dispiace, piccolo mio.” Concluse in un soffio, prossima alle lacrime. Io e Vegeta restammo immobili: non avevamo idea che la nonna di Vegeta avesse assistito a quella nostra esibizione all’Auditorium, cantare “Don’t stop believing” tutti insieme. “Anche a me.” sussurrò poi Vegeta, prima di uscire dalla stanza.


La nonna di Vegeta morì esattamente otto giorni dopo. Era una grigia mattinata di Gennaio, quando non vedendo Vegeta arrivare a scuola, capii cosa era accaduto. Quei giorni erano trascorsi come la più straziante delle pene: la signora Hazel era tornata a casa e continuava a vivere tranquillamente, come se niente fosse. Eppure sapeva, che avrebbe rischiato di morire da un momento all’altro. Lei e Vegeta non si erano più parlati molto. Vegeta era ancora sconcertato per quanto aveva scoperto, e cercava di trascorrere il maggior tempo possibile insieme a sua nonna. Subito dopo la scuola infatti, ci precipitavamo insieme a casa sua, preoccupati dalla triste quanto possibile prospettiva di spalancare la porta della villetta e di non essere accolti dalla squillante voce dell’arzilla vecchietta. Preoccupati di non sentirla parlare mai più. Lei invece, aspettava quasi la morte. Non era preoccupata, sembrava serena, quasi il concetto di morte non le risultasse ben chiaro, come termine della propria esistenza. Sembrava quasi che non volesse farsi abbracciare dalla morte, ma era lei ad abbracciare essa, con il solito sorriso incoraggiante che l’aveva sempre caratterizzata. E quel giorno, abbracciò davvero la morte.


Mi precipitai a casa di Vegeta come una furia, correndo all’impazzata per le strade vuote. Una leggera pioggerella aveva accompagnato tutta quella mattinata che sembrava non voler finire mai, e adesso le deboli gocce d’acqua, iniziavano a diventare un temporale. Incurante della pioggia battente, impiegai metà del tempo standard per raggiungere la villetta dei Prince. Ma quando arrivai, mi bloccai subito. Un’ambulanza. Un’ambulanza sostava di fronte alla grande casa. E poi, la vidi. Dalla porta d’ingresso aperta, alcuni medici uscirono cautamente, trasportando con loro una barella, avvolta da un lenzuolo candido. Rabbrividii, sentendo le lacrime pungere con irruenza gli occhi. Con passi lenti e strascicati, mi avvicinai alla vettura, che intanto stava ospitando il corpo di quella che per me in quei mesi, era diventata una vera e propria mamma. “Signorina, la prego … “Mi ostacolò un paramedico, l’espressione seria. Io non risposi, continuando a fissare con sguardo vuoto il lenzuolo bianco, un lenzuolo che sapeva di morte. E poi un pensiero, un fulmine mi balenò in testa. Dovevo trovarlo. Iniziai nuovamente la mia corsa, stavolta fermandomi sul giardino sul retro della casa. Lui era lì. Lo vidi, girato di spalle, stava seduto in terra, le gambe strette al petto. La pioggia batteva incessante sul suo corpo immobile. Mi avvicinai a lui, abbassandomi poi e sedendomi al suo fianco. Lo guardai: lui aveva gli occhi bassi, piantati al terreno, la pioggia scrosciava, inzuppava il suo volto. Eppure le vidi. In mezzo a quella pioggia, per la prima volta le vidi. Le sue lacrime. Piangeva in silenzio, ostentando una calma quasi innaturale. “Vegeta …” sussurrai con la voce incrinata. Subito lo abbracciai, stringendo il suo viso al mio petto. E in quel momento, la sua schiena muscolosa fremette, scossa da violenti singhiozzi che si espansero insieme al rumore della pioggia che cadeva. Gli carezzai la testa, passando le mie dita sottili tra i suoi folti capelli neri, nel tentativo di calmarlo. Ma lui continuava a piangere, singhiozzare, stringere i pugni impotente e sconfitto, dalla morte. Quel giorno, sotto la pioggia, vidi per la prima volta Vegeta piangere.
 

Sapevo che Vegeta e sua nonna erano delle persone molto riservate. A quanto mi avevano raccontato, non avevamo molti amici, né tantomeno parenti o conoscenti con cui si frequentassero. Ma fu solo in quel momento che mi resi davvero conto di quanto Vegeta e sua nonna fossero soli. La chiesa era deserta. Non vi era un’anima, i banchi erano vuoti e abbandonati, mentre dalle finestre lasciate socchiuse penetrava una gelida brezza invernale, a raggelare l’ambiente. Come se non lo fosse già. Non avevo mai partecipato ad un funerale. Certo, questo era un bene, direte voi. beh, d’altronde a quale funerale sarei potuta andare, se non conoscevo nessuno? Non avevo quindi mai sperimentato la famosa sensazione di vuoto, di buco allo stomaco che provoca la perdita di una persona cara. Almeno fino a quel giorno. La chiesa era immersa nel silenzio. Solo i nostri passi risuonarono sul pavimento in marmo di quel luogo sacro, dove avremmo dato un ultimo saluto alla signora Hazel. Eravamo tutti lì, noi. Le Voci fuori dal coro camminavamo tutte insieme, al seguito del nostro insegnante, quel giorno fasciato in un completo nero. Vederlo senza i suoi soliti gilet colorati o con i suoi particolari maglioni, faceva uno strano effetto. Ma mai strano come vedere Vegeta sedere da solo su un banco in prima fila, nella parte destra della navata. Stava seduto lì, lo sguardo puntato sulla bara in legno di ciliegio, disposta di fronte all’altare. Dietro a questo, un sacerdote leggeva alcuni passi del Vangelo per conto suo, riflettendo e cercando di trovare le parole adatte per quel momento. Doveva essere davvero difficile essere prete. Bisognava sempre sapere le cose giuste da dire al momento giusto, senza sbagliare, cercando di infondere agli altri una sicurezza che in momenti come quello era più che vacillante. “Vegeta …” disse piano il nostro insegnante, una volta raggiunto la panca dove lui sedeva. Vegeta alzò leggermente lo sguardo, posandolo poi su tutti noi: ci vide lì, gli sguardi seri e tristi, in silenzio, non sapendo cosa dire. “Ci dispiace  tanto …” continuò il Professor Dawson, avvicinandosi a lui e stringendolo in un abbraccio. Vegeta non ricambiò, ma lo lasciò fare. Anche gli altri ripeterono lo stesso gesto, abbracciando un Vegeta che restava immobile. Quando gli andai vicino, lo abbracciai e stavolta anche lui mi strinse a sé, come se quell’abbraccio fosse l’unica cosa di cui avesse bisogno in quel momento. io lo strinsi più forte che potevo, cercando di non piangere, di essere forte, come lo era lui. La cerimonia passò in fretta. Non ci capii poi molto riguardo a ciò che il parroco disse. La mia mente era vuota, persa nei miei pensieri. Continuavo a guardare a tratti Vegeta, a tratti la busta bianca che stringevo tra le dita. Vegeta sembrava impassibile, non reagiva, si limitava a fissare la bara con sguardo vuoto, spento. “ … lma? Bulma?” mi riscossi, sentendomi chiamare. Alzai lo sguardo, incrociando quello dell’anziano sacerdote: “Volevi dire qualcosa, se non sbaglio. Prego, vieni pure.” Disse. Io annuii, stringendo maggiormente la busta che avevo fra le mani. Con passo tremante arrivai all’ambone, dove mi appoggiai, chiudendo per un secondo gli occhi. Dovevo farcela. Dovevo leggere quella lettera.


“Bulma cara, vieni qui, ho una cosa per te.” Mi trovavo a casa di Vegeta, insieme a sua nonna. Eravamo rimaste sole nella stanza, poiché Vegeta si era assentato un minuto. Mi avvicinai al letto dove la signora riposava, incuriosita dalle sue parole. “Mi dica pure, posso fare qualcosa per lei?” chiesi premurosa. Lei sorrise dolcemente. “A dire il vero si. Tieni.” Mi disse porgendomi una busta bianca. La guardai confusa, afferrando poi ciò che mi stava porgendo. “è una lettera. L’ho scritta io qualche giorno fa, e vorrei che la leggessi tu. Al mio funerale.” Sgranai gli occhi, sorpresa. “Ma …” “Bulma, sappiamo tutti che tra poco arriverà quel giorno. E in quel momento, ti chiedo solo questo. Io ti devo molto, sai? Sei riuscita ad aiutare mio nipote, a farlo amare, ad uscire dalla sua corazza, a fargli vivere finalmente come un vero ragazzo della sua età. E non sai quanto ti sia grata di questo … Per favore, promettimi che leggerai questa lettera, quel giorno. Promettimelo.” Disse decisa, ma con le lacrime agli occhi. Io annuii. “Glielo prometto.”


Scossi debolmente la testa, rimembrando la promessa fatta alla signora Hazel. Poi, con dita tremanti, aprì la busta, scoprendo un foglio scritto a mano, con una calligrafia elegante e decisa. Lanciai per un secondo un’occhiata a Vegeta. Poi, sospirando tra le lacrime, iniziai a leggere.

Caro Vegeta,
in questo momento, sei al mio funerale. Lo so, poiché ho chiesto io stessa a Bulma di leggere questa lettera, quando sarebbe arrivato il fatidico giorno. Ed è arrivato. Sai, piccolo mio, sei sempre stato un ragazzo strano. Da bambino non ti piaceva giocare con i tuoi compagni di scuola, sfuggivi alle richieste degli altri tuoi coetanei. Preferivi restare solo in casa, con me e con tuo nonno. Anche da ragazzino, ti sei sempre voluto isolare dal resto del mondo, da tutti gli altri. So quanto la mancanza di tua madre e di tuo padre abbiano influenzato la tua crescita, e mi rendo conto che forse l’amore di tuo nonno e il mio non sono bastati per permetterti di crescere al meglio. Eppure guardati ora: ormai hai quasi diciassette anni, stento a crederci. Sei diventato un ragazzo bellissimo, con un talento che tenevi ben nascosto e che ora è finalmente emerso. Io e tuo nonno abbiamo sempre saputo che fossi un ragazzo speciale, sapevamo che dentro di te nascondevi qualcosa di grande, un dono incredibile, una dote straordinaria. E me ne sono resa conto solo quest’anno. Quando ti ho visto quel giorno, all’Auditorium, non potevo credere ai miei occhi: stavi cantando, suonavi, ma soprattutto sorridevi. E tesoro mio, quel sorriso mi ha sciolto il cuore, mi ha fatto capire quanto tutto quello fosse importante per te. So di averti deluso, che avrei dovuto dirti della malattia, che ormai non c’era più niente da fare … ma come potevo, dopo averti visto insieme ai tuoi amici, a Bulma, dopo averti visto felice? Mi si sarebbe spezzato il cuore … ti chiedo perdono, quindi. Ho preferito vivere gli ultimi mesi che mi restavano senza dirti niente, con la consapevolezza che finalmente fossi felice, che avessi trovato qualcuno da amare e che ti amava, oltre a me. Sai, quando quel giorno rientrasti in casa con quella deliziosa ragazzina dai capelli assurdamente azzurri, sentii come una scintilla, una sensazione strana scattare in me. Nel momento in cui incontrai gli occhi blu della tua adorata Bulma, capii che era lei quella che stavo aspettando, era lei colei che ti avrebbe amato, che tu avresti amato, che ti avrebbe aiutato a vivere. E so che ci è riuscita, e anche molto bene … come vedi, la tua cara nonnina non sbagliava … vedi, non volevo andarmene prima di avere la certezza che qualcuno sarebbe rimasto al tuo fianco, per sempre. Ed ora che l’ho trovata, credo sia arrivato il mio momento per salutarti. Sono certa che la chiesa in questo momento sia vuota, ci sarete al massimo tu, Bulma e quei ragazzi che ho scoperto essere i tuoi amici, insieme a quel professore che tanto amate. Ho chiesto a Bulma di leggere questa lettera oggi, perché volevo che tu sapessi. Volevo che tu sapessi che nonostante  a breve non ci sarò più, io ti amerò sempre. Ricordalo sempre, io non sarò mai morta, io continuerò a vivere dentro di te, nei tuoi ricordi. Sappi che se saprai ricordarmi, io sarò sempre con te. E allora chiedo anche questo, a Bulma. C’è una canzone, che so per certo esprime tutto quello che vorrei dirti e che non riesco a scrivere in questa lettera. Ho capito come tu ti esprima attraverso la musica, anziché con le parole. E questa volta voglio provarci anche io, provando ad esprimermi attraverso la musica e la splendida voce di Bulma, che considera solo per un attimo mia. Ascolta ogni parola che uscirà dalle labbra di questa amata ragazza, perché sappi che sono tutte le cose che vorrei dirti in questo momento. perciò ti saluto, nipotino mio. Continua ad andare avanti, non limitarti ad esistere, ma a vivere. E se saprai farlo, mi sentirai sempre vicino a te. Addio, piccolo mio. Io ti amerò per sempre …”
La tua amata
 Nonna Hazel.

Conclusi, in lacrime. Tutti stavano piangendo, commossi dalle parole di quella donna che a malapena conoscevano, ma che stavano scoprendo di amare proprio ora, che se ne era andata. Buffo come a volte la gente si affezioni a te, quando sei morto. Vegeta mi fissava, senza battere ciglio. Ma dietro quei profondissimi occhi d’ebano, la tristezza e la voglia di piangere lo stavano divorando, lo sapevo. Non avevo ancora finito. Dovevo cantare, come mi aveva chiesto lei. Avevo letto quella lettera straziante, ma non era ancora terminata la pena. Ma sapevo quanto fosse importante per la signora Hazel. Così, cominciai. (http://www.youtube.com/watch?v=jsD1ZJk44-Q canzone)

Bulma:
If I 
Should stay 
I would only be in your way 
So I'll go 
But I know 
I'll think of you every step of 
the way 

And I... 
Will always 
Love you, oohh 
Will always 
Love you 
You 
My darling you 
Mmm-mm 

Bittersweet 
Memories 
That is all I'm taking with me 
So good-bye 
Please don't cry 
We both know I'm not what you 
You need 


Cantare quella canzone, in un momento del genere, era davvero straziante. Sentivo il cuore lacerarsi dentro il mio petto, mentre intonavo il messaggio della Signora Hazel, in lacrime.  Scesi dall’altare, avvicinandomi a Vegeta e sedendomi al suo fianco. Gli presi le mani, stringendole alle mie, come a volergli infondere forza, coraggio. Anche se non piangeva, la sua anima era dilaniata dal dolore. Lo capivo dai suoi occhi.

Bulma:
And I... 
Will always love you 
I... 
Will always love you 

And I... 
Will always love you 
I... 
Will always love you 

I, I will always love 
You.... 
I will always love...youuuuu
Darling I love you 
I'll always 
I'll always 
Love 
You.. 
Oooh 
Ooohhh




Finii di cantare in lacrime, abbracciando poi Vegeta e stringendolo a me. Sembravo essere io la più fragile tra i due, ed invece che rassicurare e infondere coraggio a Vegeta, era lui che stava facendo questo con me. Ma capii che dovevo essere io forte ora, quando, stretta a me, Vegeta mi sussurrò all’orecchio con voce incrinata: “Come farò adesso?” E capii che adesso veniva la parte più difficile. Ricominciare a vivere.

Nota autrice:
salve a tutti! Vi prego, non linciatemi per quanto avvenuto in questo capitolo … so che la figura della nonna di Vegeta era diventata un po’ la beniamina di coloro che recensiscono e seguono la storia, e credetemi anche per me è stato difficile scrivere questo capitolo … però dovevo farlo, e anche se con grande tristezza, in questo capitolo Vegeta e Bulma dicono addio all’amata signora Hazel … spero di non essere risultata troppo pesante o vi abbia rattristato, confidando inoltre che nonostante questo sia un capitolo piuttosto triste, lo abbiate apprezzato ad ogni modo. Vi ringrazio già da ora per l’attenzione, e in attesa di recensioni mi dileguo, salutandovi al prossimo capitolo!
Saluti
TWOTS

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Capitolo 35
*** Ricominciare a vivere ... ***


È difficile dimenticare qualcuno che ti ha dato molto da ricordare … l’ho sempre saputo, eppure mai come in quel momento la cosa mi era sembrata tanto ovvia. Come dimenticare le carezze, la voce, la presenza, i modi di fare e l’affetto di una persona che non è più vicino a noi? Non si può. Non si può dimenticare. Io lo sapevo. Ma in quel momento, Vegeta sembrava non capire più niente. Ma infondo, il vuoto lasciato nel suo cuore, era troppo grande da colmare con paroline dolci. Io lo sapevo.


Era passata una settimana dal funerale della Signora Hazel. Vegeta mancava da scuola da sette giorni, e nonostante il mio unico desiderio fosse di stare sempre insieme a lui, al suo fianco, la scuola mi attendeva ogni mattina. E con essa, anche il Glee Club. L’aula canto, in fondo, era l’unico luogo dove mi sentissi al sicuro; c’era un non so che di magico, quasi incredibile, in quel luogo. Sembrava che varcata la porta di quel luogo, il cuore si facesse di colpo più leggero, il fardello si alleggeriva. Eppure in quella settimana, neanche l’aula canto era riuscita a farmi sentire tranquilla. Non senza di lui. Quella sedia vecchia, dove solitamente se ne stava stravaccato, le braccia incrociate e il cipiglio duro, era vuota da una settimana ormai, tanto che un sottile strato di polvere si era depositato su di essa. Vegeta doveva tornare.

Dopo la scuola mi precipitavo da lui, a casa sua. Stava sempre da solo, ovviamente, rinchiuso in quelle mura dove l’odore e la presenza di sua nonna non poteva essere più percepibile di così. Non parlava, stava sempre zitto, con lo sguardo fisso alla parete o a terra. ed io restavo ore al suo fianco, senza dire niente, guardandolo con l’amorevole tenerezza e la struggente consapevolezza che Vegeta non sarebbe più stato lo stesso.


Anche quel giorno, ero andata da lui. Arrivai di fronte al bianco portone della villetta con il fiatone, avendo camminato velocemente per poter raggiungere l’abitazione. Suonai, e dopo qualche secondo, la porta si spalancò davanti a me, mostrando la figura di un Vegeta a dir poco irriconoscibile: pallido, con lo sguardo vacuo, i meravigliosi capelli scompigliati e arruffati, l’espressione impassibile. Senza dire niente mi guardò, voltandosi poi, permettendomi così di entrare. Ormai era diventata un’abitudine, la mia visita sembrava essere l’unica cosa ad occupare le sue giornate. Entrai, sospirando; ero preoccupata. Vegeta non mi considerava nemmeno, non un bacio, non una carezza, non mi aveva più sfiorato minimamente da quel giorno. Lo vidi camminare con passo strascinato, ciondolante, fino ad accasciarsi poi sul divano, con stanchezza. Vegeta era diventato l’ombra di se stesso, si muoveva per la casa come un’anima in pena,come fantasma legato a delle catene invisibili,che lo rendevano prigioniero  della tristezza.”Tesoro,come ti senti oggi?”azzardai. Lui non rispose, continuando a fissare il vuoto dinnanzi a sé. Sospirando, mi avvicinai, sedendomi al suo fianco, pronta a passare così le restanti ore pomeridiane, a fare compagnia a quel ragazzo che amavo e che ora non era altro che l’ombra di Vegeta Prince. Vederlo così mi straziava l’anima, mi rendeva quasi faticoso respirare. Ero convinta che neanche quel giorno lo avrei sentito parlare, quando improvvisamente, risentii la sua voce roca, dopo più di sette giorni di silenzio. “Credi che la dimenticherò mai?” disse ad un tratto. Aveva la voce leggermente incrinata, il tono ansioso, gli occhi sempre puntati dinanzi a se. Sgranai leggermente gli occhi, sorpresa. “Perché ho paura che un giorno possa accadere …” continuò poi in un sussurro. Sentivo che voleva piangere, accidenti se lo voleva. Eppure si tratteneva, limitandosi a guardarmi con quegli occhi tremendamente profondi e ora lucidi. Io ero rimasta leggermente frastornata: non credevo dicesse una cosa del genere, e nel momento in cui i suoi occhi cercarono disperatamente i miei, mi sentii mancare, affondando nell’immensità delle sue iridi. Sorrisi poi debolmente. “Sai, è difficile dimenticare qualcuno che ti ha dato molto da ricordare …”  dissi in tono rassicurante. Lui continuò a fissarmi, annuendo poi impercettibilmente. “Ho sempre saputo che mia nonna non sarebbe rimasta per sempre al mio fianco; era naturale, era la vita. eppure non riuscivo ad accettare l’idea che se ne sarebbe andata, lasciandomi solo. Sono sempre stato solo, però almeno c’era lei. E poi sei arrivata tu, e non sai quanto ti sia grato per essere entrata nella mia vita …” confessò lui in un sussurro, continuando a fissarmi. Sorpresa per quella spontanea dichiarazione, sentii gli occhi inumidirsi, e subito abbracciai Vegeta, poggiando il capo sulla sua spalla. Lui mi strinse forte a sé, come se avesse paura di perdermi da un momento all’altro, di perdere anche me. “Mi dispiace …” bisbigliò piano, al mio orecchio. Confusa, chiesi, senza però staccarmi: “E –e di cosa?”  “Io credo che non canterò più …” disse in un soffio. Sciolsi l’abbraccio, guardandolo poi negli occhi,sconcertata. “C- come non canterai più … ma …” “Temo di non  riuscirci più …”mi interruppe. Io scossi debolmente il capo, confusa ed incredula.”Senti,lo so che è tremendamente difficile, perché credimi lo è anche per me, ma non puoi abbandonare la musica … come, come riusciresti a vivere senza … come …”  lui mi guardò tristemente. “Ti chiedo scusa …” io scossi la testa. “Non è a me che devi chiedere scusa, ma a te stesso …” sentii un rivolo d’acqua solcare la mia guancia, per arrivare poi a scontrarsi sulle mie labbra. Stavo piangendo, e sinceramente in quel momento mi sembrò la cosa più naturale da fare. Chiusi gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime che prepotentemente avevano iniziato a bagnare il mio volto. Ma in un attimo, sentii qualcosa posarsi contro la mia guancia, a raccogliere le stille salate. Vegeta mi stava posando leggeri baci sul viso, sui punti bagnati dalle lacrime, cercando di asciugarlo e allo stesso tempo di darmi una sensazione di dolcezza immensa. Lui appoggiò poi piano la sua fronte alla mia, e fissandomi negli occhi, disse: “Mi dispiace, piccola. Ma io non so più chi sono …”
 

Se c’era una cosa che avevo capito facendo parte del Glee Club, è che spesso la chiave per risolvere i problemi, sta nella musica. a volte, possiamo anche scervellaci ore ed ore per comprendere cosa fare, cosa ci chiede davvero il destino. E poi attraverso qualche nota e ad una melodia, capiamo che la risposta sta proprio lì, in quella canzone che fino a qualche minuto prima nemmeno ci piaceva. Quando Vegeta mi aveva detto che non avrebbe più cantato, mi sentii crollare il mondo addosso. Non lo credevo possibile, mi sembrava inconcepibile, era, era … come si vive senza il filo conduttore che tiene unita la nostra vita,come si respira senza l’aria a riempirci i polmoni, come avrebbe fatto Vegeta senza la musica? Ma quando quel giorno, entrando in aula canto, vidi tutti i miei amici e il Professor Dawson lì, tutti insieme, capii cosa dovevo fare. La musica, ci avrebbe riportato Vegeta.


Suonò al campanello di casa Prince, leggermente agitato. Avevo dato istruzioni ben precise a tutti quanti, e al nostro mentore sarebbe toccata la parte più difficile … Vegeta aprì la porta, sgranando leggermente gli occhi dinanzi a colui che si presentò sulla soglia di casa. “Professor Dawson,che ci fa lei qui?”chiese curioso. Il Professore sorrise leggermente. “Ero venuto a trovarti … volevo sapere come stavi ….” Vegeta corrugò lo sguardo “Ma non dovrebbe essere alla lezione del Glee Club a quest’ora?” chiese. Il Professore abbassò la testa, sorridendo furbamente. “Dobbiamo andare al più presto in un posto; quanto ci impieghi a vestirti?”
 

Era tutto pronto. I miei amici, i musicisti, tutti eravamo pronti per quello che sarebbe accaduto in breve tempo. Avevo organizzato tutto in un solo giorno, e Dio solo sa quanto in quel momento pregai che il mio piano funzionasse.  Era tutto perfetto, ma mancava la cosa più importante. Continuavo a guardare pensierosa verso l’ingresso dell’Auditorium, dal palcoscenico, sperando di vedere il portone aprirsi e mostrare una folta capigliatura a fiamma che adoravo da impazzire. Guardai l’orologio nervosa: Accidenti, a quest’ora avrebbero già dovuto essere qui! Stavo iniziando a credere che il mio piano fosse fallito e che il professor Dawson non fosse riuscito a convincere quel testone a seguirlo, quando ad un tratto, la porta si aprì. E lo vidi. Avanzava scocciato dietro al nostro insegnante, che non appena entrò nell’Auditorium buio, mi fece
un cenno col capo. Al che, sorridendo speranzosa, iniziai a cantare. (https://www.youtube.com/watch?v=AQE3d7RBTjQ canzone)

Bulma:
Just a small town girl, livin’ in a lonely world.
She took the midnight train goin’ anywhere.

Just a city boy, born and raised in south Detroit.
He took the midnight train goin’ anywhere.

 
Le note del pianoforte si espansero per l’Auditorium vuoto. Vegeta alzò lo sguardo confuso, puntandolo verso il palcoscenico. E li, ci trovò. In mezzo al palcoscenico, da sola, stavo cantando. E non era una canzone qualunque, lo sapeva. Era una canzone speciale, per tutti noi. Era la prima canzone che Vegeta aveva cantato insieme a noi. La prima e vera esibizione delle Voci fuori dal coro.

Tutti:
Don’t!
Bulma:
A singer in a smokey room.
The smell of wine and cheap perfume.
For a smile they can share the night.
It goes on and on and on and on.
Strangers waiting, up and down the boulevard,
their shadows searching in the night.
Streetlight people, living just to find emotion,
hiding somewhere in the night
.

In quel momento, anche gli altri uscirono dalla penombra, iniziando a cantare coralmente. Timidamente, scesi dal palcoscenico, dirigendomi verso Vegeta, che ancora immobile in mezzo alla platea, continuava a fissarci. Lo raggiunsi, e continuando a cantare gli sorrisi debolmente, cercando di fargli comprendere cosa stesse accadendo. Gli presi poi la mano, portandolo insieme a me sul palcoscenico. Lui non oppose resistenza. Sorrisi soddisfatta: aveva capito tutto.

Tutti:
Don’t stop believin’.
Bulma e Vegeta:
Hold on to that feelin’.
 
E finalmente, anche lui iniziò a cantare, insieme a tutti noi. Sorrisi gioiosa, tra le lacrime. Ci eravamo riusciti: Vegeta stava cantando con noi. Stava tornando a vivere.

Tutti:
Street lights people,
Don’t stop believin’.

Hold on to that feelin’.
Street lights people,
Don’t stop!

 
E non appena la musica finì, il silenzio calò sull’Auditorium. Nessuno di noi fiatava, in attesa che lui parlasse. Un sorrisetto sghembo si delineo sul volto di Vegeta, il suo sorrisetto, quello che mi faceva impazzire. “Volete davvero così tanto che canti con voi?” tutti sorridemmo. “Secondo te avrei preparato tutto questo solo per sgranchirmi un po’ le corde vocali?” dissi ironica, cercando di cogliere un qualunque segnale, cambiamento, nella sua espressione. Lui scosse la testa, leggermente divertito. “Certo che sei proprio incredibile, ragazzina …” non mi lasciò il tempo di ribattere, che le sue labbra si posarono sulle mie, in un ringraziamento che non aveva bisogno di spiegazioni. Eppure, dopo qualche secondo, si staccò dalle mie labbra, sussurrandomi all’orecchio: “Grazie … adesso ho capito chi sono …” Con le lacrime agli occhi, lo baciai, felice. Vegeta stava ricominciando a vivere.

Nota Autrice:
Good Evening everybody! Non uccidetemi per questo mio ritardo nell’aggiornare la storia, ma sono reduce da una settimana di compiti in classe, interrogazioni e altri impegni vari, che mi hanno tenuta distante dal computer e di conseguenza dalla storia … :( comunque, spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e vi ringrazio già da ora per l’attenzione. Ho notato che il primo capitolo di questa storia ha avuto oltre mille visualizzazioni … *-* grazie, mi sento felicissima … comunque, ovviamente ringrazio di cuore coloro che seguono, leggono, e recensiscono la mia storia. Vi ringrazio infinitamente, leggere le vostre recensioni mi  riempie sempre di gioia! Vi lascio adesso e, in attesa di recensioni, vi saluto al prossimo capitolo!
Buonanotte
TWOTS

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Capitolo 36
*** Musical e compleanni ... ***


E così, giorno dopo giorno, Vegeta ricominciò a vivere. Piano piano, con il supporto di tutti noi Voci fuori dal coro, Vegeta riuscì a non cadere nella disperazione e a comprendere quanto la musica fosse importante per lui. Certo, la mancanza di sua nonna era oltremodo percepibile, ma la vita va avanti, e con essa anche noi. E Vegeta, stava andando avanti.

“Ragazzi, ragazzi, ragazzi!!” urlò Chichi, entrando in classe come una furia. Ci voltammo tutti verso l’ingresso, giusto in tempo per scorgere la figura della nostra amica dai capelli corvini, respirare affannosamente, nel tentativo di riprendere fiato. “Chichi, va tutto bene?” chiese il professor Dawson, arrivando alle sue spalle. Lei si voltò leggermente, per incontrare il sorriso divertito del nostro insegnante. “Oh si, benissimo.” Rispose ancora con il fiatone. “Beh, allora …” azzardò timidamente il nostro professore, facendole segno di entrare in aula, così da permettere anche  a lui di fare lo stesso. Chichi lo guardò leggermente confusa, per poi sovvenire: “Oh si certo, entriamo!” disse, facendo così il suo ingresso in aula canto. “Buongiorno ragazzi!” disse il nostro insegnante, entrando e appoggiando come da abitudine i suoi effetti sopra al pianoforte. “Allora, prima di cominciare, qualcuno di voi vorrebbe dire qualcosa, suggerimenti, non so ...”  “Professore!” esclamò Chichi tutta pimpante, alzando la mano. “Dovrei dire una cosa a tutta la classe.” Disse. Il professore annuì, accordandole poi il permesso. “Prego, vieni qui e dicci tutto.” Sorridente, la corvina si alzò, portandosi così in piedi al centro dell’aula. Con un sorriso a trentadue denti, ci squadrò uno ad uno, prima di annunciare … “Ragazzi, ho una notizia da darvi: proprio ieri sera, ho concluso la stesura del primo atto di “GLEE: - HOW A GROUP OF LOSERS BECAME SOMEBODY”. Accompagnando il discorso con gesti teatrali. “O. mio. Dio.” Biascicò Vegeta al mio fianco. Io sorrisi leggermente. Glee – How a group of losers became somebody (che da oggi per convenzione, indicherò solo con GLEE) è un musical scritto da Chichi. Ora, sapete quanto Chichi sia sentimentalista e quanto tenga al Glee Club, come tutti del resto. Ecco, dalle prime settimane di scuola, quando era iniziata la nostra avventura nell’aula canto, Chichi ha deciso che la nostra storia andava raccontata anche agli altri. E in che modo, se non con un bel musical? Per questo, giorno dopo giorno, la nostra amica dai capelli corvini ha iniziato a raccontare tutto ciò che avveniva all’interno del nostro Glee Club, i fatti più importanti, i momenti più belli, attraverso i testi e la musica. Un musical su tutta la nostra vita, maggiormente romanzata,insomma. Niente di più, niente di meno. Ora, l’idea non era affatto male. Anzi, era davvero un’idea fantastica. Il problema, era un altro. Il fatto che a scrivere il musical fosse Chichi. Non fraintendetemi, le voglio un bene dell’anima, è la mia migliore amica, e senza di lei mi sentirei persa. Però ecco, nonostante fosse una ragazza ligia al dovere e alle regole, sempre precisa e ordinata, aveva un piccolo difetto: si lasciava trascinare troppo emotivamente. Di conseguenza, dalla mente romantica di Chichi, prendevano continuamente vita racconti sdolcinati e smielati. Capace di infarcire anche la più semplice delle storie con particolari aggiuntivi e assolutamente troppo dolci, Chichi non era proprio il tipo adatto a raccontare tutta la storia del nostro Glee Club, per il semplice fatto che avrebbe rischiato di romanzare un po’ troppo una storia che ha di per sé già del incredibile. Ma dopotutto, il musical non avrebbe di certo debuttato a Broadway, perciò non c’era da preoccuparsi più di tanto. Sognare un po’ fa bene a tutti. Tutti sorrisero entusiasti, complimentandosi con la nostra amata pianista. Anche io ero felice, ma un fastidioso pensierino si era insinuato nella mia mente, desideroso di ricevere una risposta, “Ehm, Chichi? Potrei dare un secondo un’occhiata al copione?” chiesi timidamente. Lei sorrise entusiasta, porgendomi uno spesso tomo di fogli. Fortuna che era solo il primo atto …  Sorrisi leggermente, nel leggere i nomi degli interpreti sulla prima pagina del foglio: ovviamente, secondo Chichi, se mai il musical sarebbe andato in scena, ognuno di noi avrebbe interpretato sé stesso. Aprii il copione, scorrendo per diverse pagine, fino ad arrivare alla tanto famigerata scena. “Le Regionali.” Così decantava la prima riga della duecentesima pagina. Mi fiondai subito nella lettura, alla ricerca del pezzo che più mi interessava. E poi, quando lo trovai, a momenti rischiai di soffocare pur di non cominciare a ridere come una matta. Vegeta si accorse del mio sorrisetto divertito, perciò con sguardo insofferente, mi chiese: “Che hai trovato di tanto divertente?” io lo guardai, sorridendo furbamente. “Oh niente Vegeta, tranquillo.” Cercai a stento di trattenere una risatina. Lui inarcò le sopracciglia, poi con un gesto brusco, mi strappò dalle mani il copione. “Dà qua!” sbottò, iniziando a leggere anche lui. Lo vidi scorrere con lo sguardo per tutto il foglio, e solo quando le sue immense pupille si dilatarono a dismisura, capii che aveva trovato anche lui la scena tanto agognata. “M – ma … Ma come diavolo ti viene in mente di scrivere certe cose?!” sbottò infuriato, rosso di rabbia (e di vergogna) verso Chichi. Questa si avvicinò, e notando a cosa Vegeta si stesse riferendo, rispose con tranquillità. “Ah si, la scena del bacio alle Regionali. Beh, che c’è di strano?” Vegeta strinse i pugni nervoso. “Che c’è di strano?! Che c’è di strano?! C’è che io non ho mai detto una cosa del genere!!” esclamò arrabbiatissimo, indicando il foglio. In tutta risposta, Chichi gli prese il copione tra le mani, dicendo poi: “Oh, lo so. Ma, sai, non c’era un minimo di dichiarazione … ho pensato di rimediare …” disse, sorridendo maliziosa. “Hai pensato di rimediare?! Ma quando mai ho detto una cosa simile, spiegami!” Vegeta ormai era incontenibile. Chichi fece le spallucce. “Oh andiamo Vegeta, la colpa è tua, sai? Non ti sei degnato di pronunciare uno straccio di dichiarazione verso la povera Bulma dopo quel bacio, qualcosa dovevo pur mettere, no? E poi, suona così bene … Immagina la scena: voi due avete finito di cantare, vi baciate, e non appena vi siete staccati, tu guardi Bulma negli occhi e le dici: “Amore mio, luce dei miei occhi, mia unica ragione di vita, Vesuvio de mi corazon … ti amo, ti ho sempre amato, ma ero troppo stolto, troppo timido per confessarti i miei sentimenti …” declamò lei, recitando la scena come scritta nel copione, in tono teatrale. Alche, in quel momento tutte le risate trattenute fino ad allora, trovarono finalmente uscita dalle nostre bocche, liberandosi per l’aria dell’aula canto in melodiosi suoni argentini e in alcuni più profondi e maschili. Anche il professore era scoppiato a ridere, portandosi le mani allo stomaco. In mezzo a tutta quell’allegria, l’unico a non contorcersi dalle risate era Vegeta, che rosso come un pomodoro dalla vergogna, ci guardava ringhiando rabbioso. Con le lacrime agli occhi per le troppe risa, mi avvicinai a lui, e circondandogli il collo con le braccia, gli sussurrai all’orecchio: “Andiamo, non era poi così male come idea … Vesuvio de mi corazon!” prima di scoppiare nuovamente a ridere, lasciandolo basito. Ma ammettiamolo, anche leggermente divertito.
 

“Ragazzi, sapete che giorno è domani?” annunciai quel giorno entrando in classe. Tutti mi guardarono curiosi, confermando quindi la mia teoria. Mi guardai per un secondo intorno, e una volta essermi accertata che il Professor Dawson non si trovasse nelle vicinanze, esclamai: “Domani è il compleanno del Professor Dawson!” tutti sgranarono gli occhi. “Davvero?! Ma allora dobbiamo fare qualcosa!” esclamò Goku, seguito poi da tutti gli altri. Io sorrisi. “Si, credo che abbiate ragione. E io avrei già in mente un’idea …”
 

“Professore, abbiamo una sorpresa per lei!” esclamammo il mattino seguente, non appena il nostro insegnante fece il suo ingresso in aula canto. Leggermente confuso, ci guardò curioso. Sorridendo complici, lo conducemmo verso una delle sedie sistemate in aula. Il Professore si sedette, ancora confuso. “Buon compleanno, professore.” Dicemmo tutti. Lui sgranò gli occhi, sorpreso. Ma non ebbe il tempo per dire niente, poiché noi iniziammo a cantare. (http://www.youtube.com/watch?v=DZMZYWfNTio esibizione)

Bulma:
Guess this means you're sorry
You're standing at my door
Guess this means you take back
All you said before
Like how much you wanted
Anyone but me
Said you'd never come back
But here you are again


Il professore ci guardò sorpreso, sorridendo leggermente. Poi, oltre al canto, iniziammo anche a ballare. E lì, il nostro insegnante scoppiò a ridere divertito. Infatti, iniziammo a ballare con tutte le coreografie ed i passi un po’ strampalati, un po’ improvvisati, inventati dal professor Dawson per le gare. E fidatevi, era davvero divertente.

Tutti:
Cause we belong together now, yeah
Forever united here somehow, yeah
You got a piece of me
And honestly,
My life (my life) would suck (would suck) without you


“Gohan?” sentendosi chiamare, si voltò, scontrandosi con due occhi azzurri dalle sfumature lilla. “Videl! Dimmi pure, posso fare qualcosa per te?” esclamò, riconoscendo la guida scolastica, con la quale ultimamente aveva legato molto. Anzi, davvero molto. Lei non rispose, poiché in un attimo posò le proprie labbra sulle sue, spiazzandolo con un bacio dolce e delicato. “Buon compleanno, Gohan …” sussurrò, poi, non appena si furono staccati.

Ripensando a quanto avvenuto pochi minuti prima, il professore sorrise dolcemente, riportando poi l’attenzione sui suoi amati ragazzi. E che in quel momento, gli stavano regalando il miglior compleanno della propria vita.

Vegeta e i ragazzi:
I know that I've got issues
But you're pretty messed up too
Either way, I found out I'm nothing without you

Tutti insieme:
Cause we belong together now, yeah
Forever united here somehow, yeah
You got a piece of me
And honestly,
My life (my life) would suck (would suck) without you


Il professore continuava a guardarci, sorridendo commosso. I suoi ragazzi, gli stavano facendo il regalo più bello che avrebbe mai potuto desiderare. Erano con lui.

Tutti:
Cause we belong together now, yeah
Forever united here somehow, yeah
You got a piece of me
And honestly,
My life (my life) would suck (would suck) without you


E così, non appena finimmo di cantare, il nostro insegnante ci sorrise emozionato, le lacrime agli occhi. Lo circondammo tutti quanti in un abbraccio, esclamando in coro: “Buon compleanno, professore!” lui sorrise commosso, stringendoci a lui. “Grazie ragazzi. Grazie.”

Nota Autrice:
buona sera gente! Perdonatemi per questo ritardo, ma gli impegni mi stanno divorando … nonostante il tempo per scrivere sia davvero poco, ogni volta che posso mi metto a tavolino e scrivo, in modo da poter pubblicare al più presto. Ci tengo molto, anche perché questa long è davvero importante per me … e poi le vostre bellissime recensioni non possono che rendermi orgogliosa e felice per ciò che sto facendo, perciò grazie, davvero siete gentilissimi! ;) bene, vi lascio a questo capitoletto, (ho inserito l’esibizione, che vi consiglio di guardare) e in attesa di recensioni, vi saluto alla prossima! Fatemi sapere che ne pensate! ;)
Al prossimo capitolo!
TWOTS

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Capitolo 37
*** I'll stand by you ... ***


Vegeta non mi aveva mai detto “ti amo.” E non che mi aspettassi il contrario, sia chiaro. Sapevo benissimo quanto introverso e poco incline al lasciarsi trasportare dai sentimenti fosse, perciò non avevo mai richiesto una dichiarazione strappalacrime da parte sua. Un po’ perché sinceramente detesto le dichiarazioni troppo melense, stile soap opera, come quelle che invece una fan di “Beautiful” come Chichi adora. E un po’, perché non volevo forzarlo a fare qualcosa che non volesse, non volevo farlo sentire a disagio o in imbarazzo. Mi bastava averlo al mio fianco, sentire che era con me. Bastava. Certo, a volte il mio piccolo cuoricino da diciassettenne innamorata reclamava qualche parolina dolce, che puntualmente non arrivava. Ma poi, ogni volta che Vegeta mi baciava, sentivo risuonare quel “Ti amo!” nel mio cuore, forte, come la montagna riflette l’eco della voce. Sapevo che mi amava, anche se non lo diceva. E mi bastava, sul serio. Ero convinta che non avrebbe mai fatto una dichiarazione d’amore davanti a tutti, intesa come il classico, “Ti amo.”. Eppure, mi sorprese, facendomi capire che non c’è dichiarazione più bella di “Ti starò accanto.”
 

Erano all’incirca le 23.45 di un freddo giovedì di fine febbraio. Quella sera avevo terminato più tardi del solito il mio turno al bar, avendo avuto un incredibile boom di clienti. Vegeta in realtà non apprezzava troppo il fatto che lavorassi al Dragon Bar. Non gli andava proprio a genio il concetto che lavorassi fino a tardi, e soprattutto, non apprezzava il fatto che la maggior parte della clientela fosse di sesso maschile. Vegeta era geloso. Non lo avrebbe mai ammesso, ma quella smorfietta infastidita, il nasino arricciato e il lampo di rabbia ad attraversare i suoi occhi di pece,  ogni qualvolta gli raccontassi di quanto i clienti del locale apprezzassero la mia presenza, non mi erano mai sfuggiti. Era gelosissimo. Un altro punto a confermare ciò che già sapevo; Vegeta mi amava.

Comunque, ero appena uscita dal locale, e mi stavo dirigendo verso casa. Camminavo con passo svelto, stretta al mio cappotto, il capello di lana ben calcato in testa e la sciarpa ad avvolgermi il collo. Infreddolita, sfregavo le mani tra di loro, nel tentativo di riscaldarle, maledicendomi per aver dimenticato i guanti e per non aver accettato la proposta di Vegeta. Quel pomeriggio infatti, Vegeta si era offerto, sempre con la sua immancabile e indescrivibile gentilezza, di riaccompagnarmi a casa, una volta terminato il turno di lavoro. Seppur commossa da quella dimostrazione d’amore, ero stata costretta a rifiutare, prevedendo che quella sera il locale avrebbe chiuso più tardi del solito e non volendolo quindi costringere a restare in piedi per me.
Un po’ per il freddo, un po’ per la voglia di rientrare in casa al più presto, in pochi minuti ero arrivata di fronte al portone del mio palazzo. Estraendo le chiavi dalla tasca del cappotto, aprii il portone d’ingresso, che emise un inquietante e cigolante rumore di benvenuto. Cercai a tentoni l’interruttore della luce, e quando lo trovai, scoprii senza sorpresa che la lampadina era fulminata. Perfetto. Immersa nell’oscurità, iniziai a salire le scale, percorrendo le rampe lentamente, senza far rumore. Ero quasi arrivata all’ultima rampa di scale, quando un fascio di luce nel buio, attirò la mia attenzione. Mi avvicinai cautamente e mi stupii non poco nel rendermi conto che la luce proveniva da uno degli appartamenti, la cui porta era aperta. E per poco non mi venne un colpo, nello scoprire che la porta in questione, era quella del mio appartamento. Tremante, presi un profondo respiro, entrando poi in casa. Il salotto riversava in condizioni pietose: sedie rovesciate, cassetti aperti, oggetti in terra. Ancora sconvolta, sentii poi dei rumori provenire da una delle due camere da letto. Corsi verso di essa, e spalancando la porta, rimasi pietrificata. Apriva e chiudeva i cassetti con frenesia, evidentemente alla ricerca di qualcosa, buttava gli abiti nell’armadio in terra, il letto sfatto e le finestre spalancate: mia madre era tornata. Non appena avvertì una presenza alle sue spalle, si voltò di scatto, incontrando i miei occhi sconcertati e vuoti. Ringhiò rabbiosa, venendomi poi in contro, gli occhi colmi d’odio. Non l’avevo mai vista così. “Dove sono?!” urlò, prendendomi per il colletto del cappotto. Io rimasi immobile, fissandola sconcertata. Non sentendomi rispondere, mi strattonò ancora più violentemente, gridando: “Dove cazzo sono?!” finalmente, trovai la forza di reagire, chiedendo con un filo di voce: “M – ma di che parli?” “I soldi, dove sono i soldi!?!” cercai di allontanarla da me, spingendola via. “Lasciami!” gridai, riuscendo a liberarmi. Ma lei non si arrese. “Dammi immediatamente i soldi!!” ringhiò. “Ma di quali soldi stai parlando?! E poi che ci fai qui!?” chiesi ancora sconcertata. “Dammi tutti i soldi che hai! Mi servono!” rispose. Senza battere ciglio, chiesi con voce ferma, riscoprendo una freddezza che mai avrei creduto di mostrare. “Ti ho chiesto: che cosa ci fai qui …” lei strinse i pugni. “Non devo certo dare spiegazioni a te! Questa è casa mia, posso fare ciò che voglio!”  “Casa tua?! Casa tua?! Con quale coraggio ti presenti qui, dopo essere sparita per mesi, dopo avermi abbandonato, lasciandomi da sola e con un intero affitto da pagare, affermando che questa è casa tua?! Dove sei stata tutto questo tempo, che fine avevi fatto?!” urlai, infuriata. Lei ghignò leggermente: “Non devo certo rispondere a te delle mie azioni …” strinsi i pugni, sentendo gli occhi inumidirsi. “Sono tua figlia, tua figlia! Anche se non te ne è mai fregato niente di me, ma io sono tua figlia!” urlai, iniziando a piangere. Lacrime di rabbia, non di tristezza. Senza battere ciglio, riprese. “Ti ho detto di darmi i soldi. Li voglio ora.” “Perché, perché dovrei darteli?!” sbottai. “Perché sono tua madre, e devi fare ciò che ti dico!” ricominciò anche lei ad urlare ora. Restai per un attimo allibita. Per la prima volta, dalla mia nascita, aveva ammesso di essere mia madre. “Ah, adesso sei mia madre?! Ti sei ricordata di avere una figlia!? Dov’eri allora il giorno del mio compleanno, di ogni anno!? Dov’eri quando ti cercavo per farti gli auguri per la festa della mamma?! Dov’eri quando di notte fuori c’era il temporale, ed io piangevo dalla paura?! Dov’eri quando mi stavano per sfrattare dall’appartamento, quando ho rischiato di dover andare a vivere per strada?! Eh, dov’eri?!” gridai, fregandomi delle lacrime che continuavano a scendere imperterrite sul mio viso. Non un minimo cambiamento nella sua espressione. Freddamente, mi rispose. “I soldi. Adesso.”  “Cosa cazzo devi farci con i soldi?!” urlai, disperata. “Non sono affari che ti riguardano!” rispose lei, perdendo la calma. “Si che mi riguardano! Ci devi comprare la roba, non è così?!” dissi sprezzante. Lei strinse i pugni, senza rispondere. “Come immaginavo …” pronunciai poi in un sussurro, sconfitta e delusa. Abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo poco dopo. “Vattene.” Dissi, la voce ferma. “Vattene, e non tornare mai più.” Ripetei, lo sguardo glaciale. Senza dire una parola, lei si avvicinò a me. Poi, in un attimo, uno schiaffo fortissimo mi colpì, facendomi girare la testa. Sentii una calda sostanza bagnarmi le labbra, dove portai due dita, scoprendole impregnate di sangue. Guardai per un attimo mia madre negli occhi. Poi, senza dire niente, lei se ne andò, sbattendo la porta. L’ultima cosa che udii, fu il portone d’ingresso sbattere violentemente. Poi, solo lacrime.


Estrassi il cellulare dalla tasca, scoprendo le mani tremare. In un attimo, composi il su numero, e portandomi l’apparecchio vicino all’orecchio, aspettai. Dopo alcuni squilli, finalmente la chiamata si aprì. “Bulma!”lo  sentii subito pronunciare. Io non risposi, incapace di pronunciare una sola parola. In un attimo, mi lasciai sfuggire anche un singhiozzo, che risuonò prepotentemente per la cornetta del telefono. “Bulma! Bulma, che succede?! Bulma, rispondi!” esclamò lui, preoccupato. “Vegeta …” sussurrai dopo pochi attimi. “Piccola, che succede?” chiese lui, ancora allarmato. Presi un profondo respiro. “Vegeta … ho rivisto mia madre.”
 

La mattina dopo, entrai a scuola senza fiatare. La sera prima, nonostante Vegeta avesse più volte insistito nel voler venire da me per sincerarsi delle mie condizioni, ero riuscita a convincerlo a rimanere a casa. Appena entrai a scuola però, mi venne subito incontro, preoccupato. “Bulma!” esclamò, affiancandosi a me. Camminavo per i corridoi come un fantasma, senza dire niente, tenendo lo sguardo basso. “Bulma …” mi richiamò più dolcemente, prendendomi il viso tra le mani, e alzandolo verso di lui. Sgranò gli occhi, esclamando poi: “Chi ti ha fatto questo?” chiese, preoccupato, riferendosi al grande livido troneggiante sul mio viso di porcellana. Non risposi, volgendo lo sguardo altrove. Tanto conosceva già la risposta. “Piccola, dimmi che cosa ti ha fatto …” ripeté con dolcezza, sebbene nascondendo una certa ansia. Io scossi la testa, correndo poi via per i corridoi. Vegeta, rimase immobile.
 

Per tutta la mattina, non aprii bocca. Rimasi chiusa in un ostinato mutismo, sempre con lo sguardo basso e spento. L’incontro con mia madre mi aveva sconvolto, più di quanto avrei ma creduto. Così, senza rendermene conto, arrivarono le due. L’ora del Glee Club. Camminando lentamente, entrai in aula canto, dove, sotto l’occhio preoccupato di tutti, presi posto senza fiatare. Il professor Dawson parlava, ma le sue parole mi arrivavano come un eco lontano, un fruscio indistinto. Vegeta continuava a fissarmi preoccupato, senza sapere cosa fare. Poi, gli venne in mente un’idea. “Allora ragazzi, qualcuno di voi vorrebbe cominciare con qualche brano? Avete in mente una canzone adatta alle vostre emozioni, volete esprimere qualcosa …” “Professore.” Tutti, eccetto me, voltarono lo sguardo verso Vegeta. “Vegeta. Dimmi pure.” Esclamò sorpreso il nostro insegnante. Vegeta infatti, non si era mai proposto di sua spontanea volontà di esibirsi nell’aula canto. “Vorrei cantare una canzone.” Pronunciò, la voce ferma. Il professore annuì.  “Fantastico, Vegeta. Prego, vieni pure.” Lo guardai distrattamente alzarsi e dirigersi al centro dell’aula. Poi, dopo aver confabulato con i musicisti, mi guardò, iniziando a cantare. (http://www.youtube.com/watch?v=-LrKcBEuZLs canzone)

Vegeta:
Oh, why you look so sad?
Tears are in your eyes
Come on and come to me now

Don't be ashamed to cry
Let me see you through
'cause I've seen the dark side too


Guardai Vegeta, sgranando gli occhi. Lui continuava a fissarmi negli occhi, cantando quella meravigliosa canzone. E in quel momento, capii che non stava solo cantando, ma stava parlando con me.

Vegeta:
When the night falls on you
You don't know what to do
Nothing you confess
Could make me love you less
I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you


Quella canzone era perfetta. Vegeta stava dicendo tutto quello che mai mi sarei aspettata di sentir dire. Ti starò accanto, diceva. E capii, che quella era la dichiarazione più grande che Vegeta avrebbe mai potuto farmi.

Vegeta:
So if you're mad, get mad
Don't hold it all inside
Come on and talk to me now
Hey, what you got to hide?
I get angry too
Well I'm a lot like you


Tutti quanti continuavano a fissarci, ora me, ora Vegeta, con sguardo intenerito e allo stesso tempo sorpreso. Vegeta intanto continuava a cantare, e avvicinandosi  prese una delle sedie, sedendosi di fronte a me. Io abbassai lo sguardo, arrossendo, cercando di evitare i suoi occhi. Ma proprio in coincidenza con la canzone, a quel “Hey, cos’hai da nascondere?” lui mi prese il mento tra le dita, sollevandomi dolcemente  il viso. Mi scontrai con i suoi profondi occhi neri e con un lievissimo sorriso incoraggiante, a rafforzare ancora maggiormente quell’inaspettata “dichiarazione”. Era un sorriso appena accennato il suo, ma per me era il più bello al mondo.

Vegeta:
When you're standing at the crossroads
And don't know which path to choose
Let me come along
'cause even if you're wrong
I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you
Take me in, into your darkest hour
And I'll never desert you
I'll stand by you


Vegeta aveva capito tutto. Aveva capito quanto in quel momento avessi bisogno de sentirlo al mio fianco, e ora eccolo lì, a cantarmi una meravigliosa canzone che non poteva essere più perfetta di così. Non si stava dichiarando con il classico “Ti amo”, ma mi stava dedicando una canzone. Si stava dichiarando dicendo “Ti starò accanto” e Dio solo sa quanto mi sentii felice.

Vegeta:
And when...
When the night falls on you, baby
You're feeling all alone
You won't be on your own
I'll stand by you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you
Take me in, into your darkest hour
And I'll never desert you
I'll stand by you


Vegeta continuava a fissarmi negli occhi, cantando. E anche io continuavo a guardarlo, le iridi azzurre oscurate da un velo di lacrime che cercavo di trattenere. Era tutto perfetto. La canzone, le parole, l’atmosfera, Vegeta, era tutto così incredibile, che mi sembrava impossibile di non essere ancora scoppiata a piangere.

Vegeta:
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you
Won't let nobody hurt you
I'll stand by you


 E non appena Vegeta terminò di cantare, scoppiai davvero in lacrime. Singhiozzando, mi gettai tra le sue braccia, nascondendo il viso contro il suo caldo maglione di lana, a coprirgli il petto muscoloso. Lui mi strinse a sé, affondando il viso tra i miei capelli e posandomi un delicato bacio sulla chioma azzurra. E mentre continuavo a piangere, lo sentii sussurrare al mio orecchio: “Ti starò accanto, piccola. Te lo prometto. Ti starò accanto.”
 

Nota Autrice:
salve a tutti! Mi scuso immensamente per questo mio ritardo, ma purtroppo tra scuola, danza, tennis, musical, coro della chiesa, oratorio e quanto altro, il tempo per scrivere è proprio ridotto ai minimi termini … mi scuso inoltre per non aver risposto alle vostre recensioni, ma purtroppo non ne ho avuto tempo … :( vi ringrazio immensamente in questo spazietto perciò, ringraziandovi ulteriormente per la vostra comprensione ed il vostro sostegno. Non so cosa farei senza di voi! ;) Bene, la fisioterapia mi aspetta, perciò vi lascio a questo capitolo, ringraziandovi già da ora per l’attenzione! ;) aspetto recensioni,mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate!  ;) al prossimo capitolo!
Saluti
TWOTS P.S: ah, ho inserito come sempre un link per la canzone cantata da Vegeta ... è una traduzione, che vi consiglio di leggere poichè assolutamente perfetta per il momento raccontato, ed inoltre è davvero una splendida canzone ... personalmente la adoro ... ;)

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Capitolo 38
*** Jump! ***


“Come va?” alzai lo sguardo, puntandolo in quegli occhi di brace. “Meglio.” Risposi, continuando a fissarlo. Vegeta annuì, tornando poi a rilassarsi, mentre io appoggiai nuovamente la testa sul suo petto. Ci trovavamo a casa mia, seduti ai piedi del vecchio divano. Fuori era completamente buio, essendo già le undici inoltrate, e solo una fioca lampadina illuminava il soggiorno dove sedevamo. Quella sera Vegeta aveva insistito nel voler venire a casa mia, non volendomi lasciare sola dopo quanto accaduto. Ovviamente, io non mi ero opposta, ancora leggermente scioccata dall’incontro con mia madre. E adesso stavamo così, seduti in terra, con la schiena appoggiata al divano. Io mi ero accoccolata al petto di Vegeta, il suo maglione a solleticarmi le guance lisce. Non riuscivo ancora a credere che Vegeta mi avesse dedicato una canzone, solo poche ore prima ormai, e che ora stesse facendo tutto questo per me. Non potevo vivere senza di lui, ormai lo avevo capito. So che sembra una delle solite frasette fatte, tipiche dei film strappalacrime. Eppure era così. Senza Vegeta, mi sarei sentita persa, vuota. E anche per lui era lo stesso. Noi due ci appartenevamo l’un l’altra, legati da un filo indistruttibile, un legame che aveva incatenato le nostre anime per sempre. Io e lui non ci eravamo ancora concessi fisicamente … si insomma, avete capito cosa intendo. Eppure sentivo di appartenergli in tutto. Per un attimo l’assurda idea di perdere per sempre Vegeta mi terrorizzò, tanto che istintivamente mi strinsi maggiormente a lui. Notando questo mio gesto, Vegeta aggrottò le sopracciglia, chiedendomi poi interrogativo: “Che ti prende?” io non risposi, cercando di scacciare quello stupido pensiero dalla mia mente, scuotendo la testa. Lui mi prese il viso tra le mani, sollevandolo in modo da trovarmi a pochi centimetri dal suo. “Ehi, si può sapere che ti prende?” mi richiese, stavolta più dolcemente. Io sospirai, continuando a fissarlo negli occhi. “N – niente. È solo che …” balbettai. “è solo che?” mi incitò lui. Presi un respiro profondo.”è solo che ho paura di perderti.”  Pronunciai poi in un sussurro. Lui continuò a fissarmi, senza mutare espressione. Per un attimo rimasi con il fiato sospeso, in attesa di una sua risposta. Poi un lievissimo sorriso prese vita dalle labbra sottili di Vegeta, che lasciandosi andare ad uno dei suoi sporadici ma meravigliosi momenti di dolcezza, sussurrò: “Non dire sciocchezze, piccola. Non ti libererai di me tanto facilmente …” disse, prendendomi il viso tra le mani, e avvicinando le sue labbra alle mie. Arrossita per quell’appellativo che Vegeta aveva preso a darmi ultimamente ( e che adoravo), lo richiamai con un filo di voce. “Vegeta …” gli occhi imploranti. Lui capì cosa gli stavo chiedendo. “Ti starò accanto, piccola. Ti starò accanto.” Ripeté la stessa frase di qualche ora prima. Con gli occhi lucidi, lo baciai dolcemente, andando poi ad appoggiare nuovamente il capo sulla sua spalla. E pochi minuti dopo, mi addormentai.


“Ragazzi!” il professor Dawson piombò in classe come una furia. Spalancata la porta, rimase appoggiato su di essa, nel tentativo di riprendere fiato. Tutti noi, seduti già da un pezzo in aula canto, lo guardammo, trattenendo a stento una risatina. Una volta riacquistato un minimo di contegno e aver permesso al sangue di raggiungere il cervello, il professore si avvicinò al suo amato pianoforte, dove come sempre sistemò le sue cose. “Scusate il ritardo.” Pronunciò infine, con ancora il fiatone. Noi sorridemmo rassegnati. Inutile, il professor Dawson non sarebbe mai cambiato. “Ma.” Riprese poi lui. “Stavolta ho un motivo più che valido per aver fatto tardi.” Noi sgranammo gli occhi curiosi. Notando le nostre espressioni, il professore sorrise compiaciuto, iniziando poi: “Vedete, poco fa ero al telefono con un mio vecchio amico, un certo Sandy Dream ...” aggrottammo le sopracciglia. “Sandy Dream? Lo stesso Sandy Dream, proprietario della Dream Company – Materassi da sogno?” chiese Goku. Il professore annuì. “Esatto, proprio lui. Sapete, è un mio amico di vecchia data, e proprio oggi ho ricevuto una sua telefonata …” “E …” lo incitammo noi, pendendo dalle sue labbra. “E, mi ha chiesto un favore. Vedete, quando ha saputo che sono responsabile di un Glee Club, ha subito avuto in mente un’idea per una nuova pubblicità dei suoi prodotti; mi ha chiesto infatti, se fossimo disposti a partecipare e a girare uno spot televisivo per la sua compagnia.” Concluse. Entusiasti, esultammo: “Ma è fantastico! Sapete, ho sempre sognato di schiacciare un bel pisolino su uno di quei materassi …” esclamò Goku con voce sognante. “Ma cosa dovremmo fare noi, di preciso?” chiese invece pratica C18. Il professore sorrise. “Oh beh, semplice. Cantare.”
 

Quando arrivammo di fronte alla Dream Company, per poco non ci venne un colpo. Dinanzi a noi, si stagliava infatti una delle più grandi ed importanti fabbriche del paese. Guidati da un raggiante professor Dawson, entrammo all’interno di quell’enorme edificio. Guardandoci intorno timorosi, scoprimmo subito che dall’interno, la fabbrica sembrava ancora più grande. Stavamo ancora cercando di ambientarci, quando un raggiante ragazzo occhialuto, ci venne incontro sorridendo. “Gohan!” esclamò questo, abbracciando il nostro insegnante. “Ehi Sandy, che piacere rivederti!” rispose, ricambiando il saluto. “Sono felice che abbiate accettato il mio invito!” continuò poi raggiante il simpatico signor Sandy. Volgendo poi la sua attenzione su di noi, ci sorrise cordiale, esclamando poi: “Oh, voi dovete essere le Voci fuori dal coro, giusto?” noi annuimmo timidamente. “Bene. Molto piacere, io sono Sandy Dream.” Si presentò lui. Noi sorridemmo impacciati, guardandoci intorno. Lui si accorse subito del nostro smarrimento, e sorridendo disse: “Beh, vi andrebbe di fare un giro per l’edificio?” alla sua proposta, annuimmo. “Bene. Seguitemi.” Concluse lui, facendoci strada.

Durante tutta la visita, restammo a guardarci intorno estasiati, colpiti da tutta quella magnificenza e dall’immensità di quel luogo. Diverse volte, dovemmo richiamare Goku, che non appena vedeva un letto, si fiondava su di esso estasiato, tra le risate divertite di Sandy e l’imbarazzo di tutti noi.


“Beh, vedo che siete pronti.” Disse Sandy, vedendoci arrivare sul set per le riprese “vestiti”. In realtà, ci eravamo cambiati, indossando un pigiama azzurro, per poter girare lo spot pubblicitario. “Allora, cosa avete in mente?” chiese curioso. Ci scambiammo un’occhiata d’intesa con il nostro insegnante, che sorridendo complice, diede il via alle danze. (http://www.youtube.com/watch?v=Kta20DWHjZA esibizione)

Vegeta:
Owwww!
I get up, and nothin' gets me down
You got it tough, I've seen the toughest around



In piedi, sui diversi materassi, iniziammo a cantare coralmente, fino a quando Vegeta, sbucando fuori, attaccò la sua parte da solista. Vederlo così, con quel pigiama indosso, mi faceva venire una voglia matta di ridere, ma dovetti contenermi, sapendo quanto Vegeta fosse in imbarazzo.


Bulma:
And I know, baby, just how you feel
You got to roll with the punches and get to what's real

Vegeta:
Ah, can't ya see me standin' here
I got my back against the record machine
I ain't the worst that you've seen
Ah, can't ya see what I mean?


Così, come diceva la canzone, continuammo a cantare, saltando di materasso in materasso, mentre il cameraman registrava ogni cosa. Era uno spot pubblicitario che sarebbe comparso in televisione, ma in quel momento mi scordai di ogni cosa. Pensai solo a divertirmi come solo con i miei amici riuscivo a fare.
 
Tutti:
Ah, might as well jump. Jump!
Might as well jump
Go ahead an' jump. Jump!
Go ahead and jump
Ow-oh!



Il signor Sandy ci guardava rapito, non credendo ai propri occhi e alle proprie orecchie. E mano a mano che l’esibizione continuava, si convinse sempre di più che quello era lo spot perfetto per la sua campagna di promozione. Guardò per un attimo il professor Dawson al suo fianco, che esultava e sorrideva compiaciuto, seguendo ogni nostro movimento. Sorrise leggermente: aveva fatto davvero bene a chiamare quei ragazzi.


Ah, might as well jump. Jump!
Go ahead and jump
Might as well jump. Jump!
Go ahead and jump
Jump!


Così, tra salti, capriole e acuti da brividi, terminammo la nostra “esibizione”.  Sdraiati sui materassi, sorridendo verso la telecamera, annunciammo entusiasti lo slogan della Dream Company, terminando così lo spot pubblicitario.
 

“Mai. Più.” Sorrisi dolcemente, ribattendo poi; “Oh andiamo Vegeta, non è stato poi così male! Non dirmi che non ti sei divertito?!” gli chiesi curiosa. Lui volse lo sguardo altrove, rispondendo con un secco: “No.” Io sorrisi furbamente. Eppure, l’espressione che gli avevo visto in volto durante le riprese diceva tutto il contrario …
 

Nota Autrice:
salve gente! Finalmente, sono riuscita a trovare un minuto per aggiornare la storia. Vi chiedo perdono per l’esigua lunghezza e la scarsità di questo capitolo, ma mi piaceva scrivere qualcosa di più leggero e divertente, scene di vita quotidiana dei nostri ragazzi, insomma. ;) preparatevi però, che tra poco arriveranno le famigerate “Nazionali” …  ;) comunque, come sempre vi ho inserito il link dell’esibizione, che vi consiglio di guardare, essendo proprio così la scena descritta, e vi ringrazio già da ora per l’attenzione. Un grazie particolare va a tutti coloro che seguono e recensiscono la storia, ovvero: baby junior, BuddyStorm, Armstrong_92,  galvanix, Lorelayne_kiri_chan16 e ShenSon_07. Grazie mille per le vostre splendide recensioni, non so cosa farei senza di voi! ;) ovviamente, ringrazio anche coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate, e coloro che leggono solamente. Grazie a tutti, davvero. ;) Bene, vi lascio a questo capitolo, salutandovi al prossimo!
Un bacio
TWOTS

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Capitolo 39
*** Verso le Nazionali! ***


E così, tra duetti improvvisati, esibizioni in aula canto e nel vuoto Auditorium della scuola, i mesi passarono. In un attimo, il gelo dell’inverno lasciò nuovamente il posto al leggero calore primaverile e ad un sole sempre meno timido. E mentre le leggere felpe di cotone e le t-shirt a maniche corte tornavano a prendere il posto dei pesanti maglioni di lana, gli alberi fino a quel momento spogli e vuoti, tornarono a rifiorire, i fiori sbocciarono nuovamente e il cielo si schiariva dai nuvoloni minacciosi. E mentre i ciliegi in fiore riempivano la città di petali rosa e vellutati, dispensati per le strade grazie a una leggere brezza di vento, io sorridevo felice. La primavera era arrivata.
E con l’arrivo della primavera, inevitabilmente si avvicinava maggiormente la fine della scuola. Per noi valeva a dire, le Nazionali.


“No, no, no! Fermi un attimo ragazzi!” strepitò il Professor Dawson dalla platea. Sbracciandosi, per farsi comprendere da noi ragazzi e dai musicisti, corse verso il palco, iper agitato. “Ragazzi, non va bene! Goku, per l’amor del cielo, ti ho spiegato ottocento volte quel passo! Devi andare prima a destra, poi sinistra, destra, destra, sinistra!” continuò esasperato, rimbeccando il nostro amico, mostrandogli per l’ennesima volta come compiere quel semplice passo di danza. Il poveretto, frattanto si grattò la testa imbarazzato, senza ancora capire un accidente di quel complicato balletto. Il professore spostò poi l’attenzione su noi altri, esclamando: “E voi. Non riesco a capire bene: per quale motivo alcune voci sovrastano altre? Dovreste cantare tutti nella stessa tonalità, il coro deve essere omogeneo, non si possono sentire voci partire con mezz’ora di ritardo, okay?” noi lo guardavamo allibiti, più confusi che mai. Stavamo provando le esibizioni per le Nazionali, e volendo dare il massimo, ci trovavamo su quel palcoscenico vuoto da più di tre ore ormai. Tra tutti, colui che sembrava risentire maggiormente dello stress pre-nazionali, sembrava proprio il nostro amato insegnante, che in quella competizione stava mettendo anima e corpo. Doveva essere tutto perfetto. Capivamo quanto fosse stressato e agitato, perché fidatevi, noi lo eravamo ancora più di lui. Lo guardammo tutti all’unisono, con aria di comprensione. “Professore …” dissi io a bassa voce. Lui ci guardò ad uno ad uno. Dovette davvero intuire ciò che volevamo comunicare, poiché dopo aver scrutato le nostre espressioni, si portò il volto fra le mani, scuotendo il capo. “Ragazzi … mi dispiace. Non so cosa mi sta succedendo. Il fatto è che queste Nazionali mi stanno mettendo sotto pressione, vorrei che fosse tutto perfetto, ma non per vincere. Io voglio che sia perfetto per voi. So che sto dando d’escandescenza, mi rendo conto che in questi giorni sono davvero insopportabile. È tutta colpa dell’ansia, la pressione mi sta dando alla testa … vi chiedo perdono …” proclamò tristemente. Noi sorridemmo comprensivi ed inteneriti. Lo comprendevamo, anche per noi non era semplice. “Professore.” Lo richiamammo più decisi. Lui alzò lo sguardo, scontrandosi con i volti di nove ragazzi, più determinati che mai. “Anche per noi è importante. Vogliamo davvero far sentire la nostra voce.” Iniziai, parlando per tutti. “E siamo pronti a tutto, anche a passare giorno e notte su questo palcoscenico, pur di riuscire a farci sentire dal mondo là fuori. Noi siamo le Voci fuori dal coro. Non se lo dimentichi mai.” Conclusi decisa. Lui ci guardò commosso, annuendo ammirato. “Non la deluderemo.” Promise Goku serio. “Imparerò quel maledetto passo, anche a costo di restare alzato tutta la notte per provarlo. Glielo prometto, ci riuscirò.” Continuò lui, con una serietà talmente spiazzante e inaspettata per uno come lui, che inevitabilmente scoppiamo tutti quanti a ridere, sotto gli occhi di un confuso Goku. Ma poi, comprendendo la comicità della scena, rise anche lui di gusto. “Bene ragazzi.” Esordì infine il nostro professore, una volta scemata l’allegria. “Si fa sul serio. Le Nazionali ci aspettano.” Concluse con sguardo determinato. Noi annuimmo seri e decisi. “Perfetto, da capo!” proclamò alla fine il professore, tornando alla sua posizione in platea. E noi, riprendemmo i nostri posti, pronti a riprendere da dove eravamo stati interrotti. Eravamo più determinati che mai. Le Nazionali, erano tutto quello che ci restava per farci sentire. E ce l’avremmo fatta.


“Stanca?” mi chiese una voce, affiancandomi a me. Io annuii distrattamente, per poi abbandonare il capo sulla sua spalla. “Non immagini quanto …” Mi sfregai gli occhi, come reduce da un lungo sonno e svegliata proprio nel bel mezzo di un sogno. “Queste Nazionali mi stanno uccidendo …” continuai con voce flebile. Lui ghignò leggermente: “Ma come, la grande Bulma Brief, l’onnipotente che tutto può, viene messa al tappeto da qualche ora di prove di canto? Mi deludi …” mi derise ironico. Alzai subito lo sguardo, indignata: “Oh, ma smettila Vegeta! Come se tu fossi pimpante come un bambino alla vigilia di Natale!” “Ti ricordo che generalmente non sono mai pimpante.” Mi rimbeccò lui, sempre ghignando. Io sbuffai. “Oh, lascia perdere.” Mi arresi, andando ad abbandonarmi nuovamente su di lui. Intorno a noi, solo il silenzio dell’Auditorium vuoto. Per tutta risposta, Vegeta mi posò un delicato bacio sulla chioma azzurra. Poco dopo, mi addormentai.
 

“Ci siamo.” Mi  dissi aprendo la porta dell’aula sette. Con un cigolio, la vecchia porta mi diede l’accesso a quella che in quei mesi era divenuta la mia casa. Mi guardai intorno, constatando fortunatamente che a parte me non vi era nessun altro. Era arrivato il momento: quel giorno, saremmo partiti per le Nazionali. Essendo la competizione a livello di tutta la nazione, saremmo dovuti partire il giorno prima per giungere in tempo alla Capitale, dove avremmo trascorso una notte,prima della fatidica gara. Erano appena le 8,15 di un sabato mattina come altri, dove la scuola era vuota, giacché il sabato era considerato un sacrosanto giorno di risposo, così come la domenica. Il nostro vecchio autobus sarebbe partito alle 8,45, alla volta del momento più importante della nostra vita. Eppure io ero già lì. Avevo scelto di arrivare prima a scuola di proposito, da sola. E così, quella tiepida mattina di metà maggio, entrai alla Orange High School senza nessuno al mio fianco. Per i corridoi vuoti risuonavano solo i miei passetti delicati, insieme al cigolio del piccolo trolley da viaggio preparato per l’occasione. Quella mattina volevo averla tutta per me. Entrai così con calma nell’aula canto, dove scorsi con gli occhi ogni centimetro di quel luogo per me sacro. Con delicatezza sfiorai tutti gli strumenti presenti, il vecchio pianoforte – porta oggetti del professor Dawson, la batteria di Vegeta, il basso di Goku, il violoncello di Crillin. Sorrisi teneramente, ricordando ogni momento passato in quelle vecchie quattro mura, ormai intrise di noi, della nostra essenza. Mi sedetti con calma su una delle sedie, senza mai distogliere lo sguardo da quelle pareti. Un anno. Un anno scolastico era già passato, all’interno di quel luogo magico. Il luogo in cui per la prima volta mi ero presentata di fronte a tutti i miei attuali amici, scoprendo che infondo non eravamo poi così diversi. Lo stesso luogo dove avevo confessato per la prima volta il mio amore per Vegeta … lo stesso posto dove Vegeta mi aveva dedicato “I’ll stand by you”, dove ci eravamo esibiti con pezzi improvvisati, altri preparati, tributi, sfide canore. Il luogo dove avevamo cantato, ballato, riso, pianto, ma soprattutto imparato a vivere. Perché prima di varcare la soglia di quella stanza, ci eravamo semplicemente limitati a sopravvivere. Ma quel posto, era soprattutto il luogo dove tutto era nato. Dove grazie ad un professore un po’ fuori dal comune siamo riusciti finalmente a credere in noi stessi, a trovare il coraggio di far sentire la nostra voce. Sorrisi commossa. Era il luogo in cui le Voci fuori dal coro erano nate. E mai come in quel momento, mi sentii a casa.
 

“Bulma!” voltai lo sguardo, puntandolo verso la provenienza di quella voce. Ero appena uscita dall’aula canto, e con gli occhi ancora lucidi mi ero diretta verso l’Auditorium, dove ora dal palcoscenico osservavo tutto con malcelata emozione. “Chichi!” esclamai, riconoscendo la voce della mia migliore amica. Mi sorrise leggermente. “Che ci fai qui?” io sospirai. “Oh niente, sai avevo bisogno di passare qui a scuola prima delle gare. Era troppo importante …” lei annuì, comprensiva. “Già … sembra incredibile, vero?” io la guardai interrogativa. “Voglio dire, ti rendi conto? Fino a ieri eravamo solo degli sfigati senza amici e convinti di non avere un futuro davanti. E ora guardaci: stiamo andando alla Capitale, alle Nazionali. Stiamo per affrontare i più importanti Glee Club del paese, stiamo per far sentire a tutti la nostra voce!   Ma soprattutto, siamo tutti insieme. È questo l’importante.” Io annuii, sorridendo. “Che ne dici di un ultimo duetto, prima di queste incredibili Nazionali?” le proposi, facendole l’occhiolino. Lei annuì, sorridendo complice. “Dico che ci sto, amica mia.” (http://www.youtube.com/watch?v=JLVRWrX0b88 esibizione)


Bulma:
First when there's nothing
but a slow glowing dream
that your fear seems to hide
deep inside your mind.
All alone I have cried
silent tears full of pride
in a world made of steel,
made of stone.

 
Iniziai a cantare, sorridendo. Io e Chichi. Io e la mia migliore amica. Un ultimo duetto, prima di affrontare la sfida più grande della nostra vita.


Chichi:
Well, I hear the music,
close my eyes, feel the rhythm

Bulma e Chihci:
Wrap around, take a hold
of my heart.



E poi, sorridendoci a vicenda, anche Chichi iniziò a cantare. Guardandoci complici e sorridendo entusiaste, continuammo ad intonare le parole di quella fantastica canzone, una vicina all’altra.


Bulma e Chichi:
What a feeling (Feeling).
Bein's believin' (Believin).
I can have it all, now I'm dancing for my life. (Oooh)
Take your passion (Passion)
and make it happen (Happen).
Pictures come alive, you can dance right through your life (Oooh).



E così, arrivammo al ritornello, sempre più felici. E in un attimo, iniziammo a scatenarci per il palco, fino a poi uscire nel corridoio vuoto, senza smettere di cantare.
 

What a feeling (Feeling).
Bein's believin'(Believin).
I can have it all, now I'm dancing for my life (Oooh).
Take your passion (Passion)
and make it happen (Happen).
Pictures come alive, now I'm dancing through my life (Oooh).

 

Con un sorta di coreografia improvvisata sul momento, ci dirigemmo verso l’esterno della scuola, dove era ormai arrivato l’autobus che ci avrebbe scortato alle Nazionali. Tutti i nostri amici erano già saliti a bordo, e vedendoci cantare con una tale allegria e spensieratezza, si unirono a noi, affacciati dai finestrini del mezzo. Fuori dall’autobus, pronto a salire, c’era Vegeta, che vedendomi arrivare, mi permise di passare avanti, sorridendomi leggermente nel vedermi cantare così, insieme a Chichi, felici come non mai. Anche il professor Dawson e la signorina Videl, già a bordo del mezzo, furono contagiati dalla nostra allegria, e vedendoci salire, si unirono a tutti noi, cantando quell’inno ai sogni, prima di coronare il nostro di desiderio.

Tutti insieme:
What a feeling!

E in un attimo, terminammo di cantare, battendo le mani entusiasti ed esultando felici. Eravamo saliti tutti a bordo, eravamo pronti per affrontare il nostro sogno. Alle nostra grida di gioia, si aggiunse l’esclamazione trionfante del nostro insegnante, che esultando esclamò: “Alle Nazionali!” seguito da un nostro coro entusiasta: “Alle Nazionali!” ripetemmo. E Nazionali siano.
 

Nota Autrice:
Good Evening my dears! Come va? Stasera, sono finalmente riuscita a scrivere il capitolo e ad aggiornare la storia (per fortuna) e come avete letto, i nostri amici sono in partenza verso le Nazionali. Chissà cosa accadrà … ;) comunque, scusate, ma devo assolutamente condividere questo fatto con voi: allora, oggi a scuola durante l’ora di lezione, il mio professore di Greco esordisce nel bel mezzo di un suo monologo dicendo: “ … perciò vedete di non farmi arrabbiare, altrimenti poi divento come Vegeta Super Sayan di quarto livello.” In mezzo alle risate e alle esclamazioni divertite di tutti i miei compagni, io sono rimasta a fissare il mio professore con gli occhi sgranati, in stato quasi comatoso. I miei compagni di banco (tra l’altro la mia migliore amica e il mio migliore amico) mi fissavano sconvolti, vedendo praticamente le stelline luccicare nei miei occhi al solo nominare Vegeta. Non hanno però fatto una piega, conoscendo la mia preoccupante fissazione per Il Principe dei Sayan, limitandosi così solamente a richiamarmi alla realtà. Insomma, già adoravo il mio insegnante di greco, ma da oggi è ufficialmente diventato il mio mito (dopo Vegeta ovviamente ;)) bene, tolta questa parentesi sulle mie ossessioni, vi chiedo perdono per questo piccolo sfogo, in quanto l’ora è tarda e il mio piccolo cervellino inizia a non funzionare più tanto bene … vi ringrazio come sempre per l’attenzione, e in attesa di recensioni vi saluto al prossimo capitolo! ;)
Buonanotte
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Capitolo 40
*** Faithfully ... ***


Squadrai l’abitazione con occhi incerti, stringendomi poi nella mia leggera felpa. Faceva  abbastanza fresco per essere una sera di fine maggio. Guardai per un attimo l’orologio da polso, stretto attorno al mio esile braccio. Le 19,10. “Ancora cinque minuti.” mi dissi. “Cinque minuti e poi vado.” Ripetei dentro la mia testa. Il mio sguardo si soffermò poi su una piccola catenella dorata, stretta vicino all’orologio. Sorrisi leggermente, guardando con tenerezza il ciondolo a forma di chiave di violino incastonato nel braccialetto regalatomi da Vegeta per il mio compleanno. Arrossii leggermente, portando alla mente la scena avvenuta pochi mesi prima, quando il giorno del mio compleanno Vegeta si era avvicinato furtivamente a me, mettendomi in mano un pacchettino. Senza parlare, aveva poi volto la testa da tutt’altra parte, lasciandomi basita ad ammirare la scatolina contenente il braccialetto. Lo avevo sentito borbottare un “Tanti auguri” piuttosto imbarazzato, prima di sorridergli dolcemente e ringraziandolo con un leggero bacio sulla guancia. Da quando lo avevo indossato quel giorno, non mi ero mai separata da quel cimelo, quasi fosse il simbolo indiscusso dell’amore tra me e Vegeta. E con quel ciondolo a forma di chiave di violino, anche del nostro amore per la musica. Sorridendo ancora teneramente, i miei pensieri furono interrotti da un fastidioso “Bip, bip”. Abbassai lo sguardo in direzione dell’orologio digitale, scoprendo che quei famosi cinque minuti erano passati. Basta scusanti. Dovevo andare. Sospirai profondamente, ricacciando le mani all’interno delle tasche della felpa. Poi, con sguardo determinato, mi avvicinai all’ingresso dell’abitazione. Esitai qualche istante prima di suonare al campanello, ma alla fine, colta da un ulteriore moto di coraggio, premetti l’agognato pulsante al fianco della porta, che emise in risposta uno squillante “Dlin Dlon!”
Pochi istante, e la bianca porta in legno si aprì, mostrando la buffa figura di una paffutella donna di mezza età, con in mano uno spolverino colorato. Probabilmente la governante. “Buongiorno.” Fece lei, cordiale. “Buongiorno.” Risposi, nervosa. “Posso fare qualcosa per lei?” riprese la donna, scrutandomi curiosa. Presi un respiro profondo. “Ecco, a dire il vero cercavo il signor Vegeta Sayan. Mi sembra abiti qui …” cominciai incerta. Lei annuì. “Si, certo. Aveva per caso un appuntamento?” chiese lei. Io sgranai gli occhi. “Ehm, no, non …” “Amy, chi era alla porta?” pronunciò una voce potente all’ interno dell’abitazione. La donna volse lo sguardo dietro di lei. “C’è qui una ragazza che voleva vederla, signore.” Sentii dei passi riecheggiare pesantemente per il pavimento dietro la donna. Attesi con il cuore in gola, fino a quando un’imponente figura comparve alle spalle della donnetta. “Una ragazza che voleva vedermi?” chiese sorpreso. Spostò poi lo sguardo su di me. Persi un battito. Eccezione fatta per un paio di baffi, una folta barba e una quarantina di anni in più in viso, quell’uomo era identico a Vegeta. E tecnicamente non avrei dovuto esserne così sorpresa, giacché avevo avuto modo di scorgere da lontano quell’uomo la sera della Vigilia di Natale, ormai diversi mesi prima. Eppure, vederlo così da vicino, mi provocò comunque una grande sorpresa, quanto un senso di inquietudine. Mi squadrò da capo a piedi, indagando con lo sguardo, cercando di capire chi fossi. Io distolsi lo sguardo, sentendomi tremendamente a disagio. “Ci conosciamo, signorina?” chiese infine lui. Io negai con il capo. “N – no. Cioè, lei non mi conosce, ma io so chi è lei. Ecco, mi scusi per il disturbo, ma avevo bisogno urgentemente di parlarle …”  spiegai timorosa. Lui annuì. “D’accordo, ma che sia una cosa veloce.” Proclamò infine, permettendomi di entrare in casa. Tremante entrai all’interno dell’elegante villetta a tre piani, seguendo il Signor Sayan, che intanto si era avvicinato alle scale. “Prego, mi segua.” Mi invitò formalmente. Salendo le scale, mi guardai intorno con malcelata ammirazione. Pareti rivestite in morbido e pregiato velluto, preziosi quadri appesi alle pareti, busti romani e greci troneggiavano di tanto in tanto per i corridoi. Un miscuglio di neoclassicismo, barocco e romanticismo. Quella casa era un’opera d’arte. Persa nei miei pensieri, mi accorsi di essere entrata in una stanza, solo quando sentii la porta richiudersi alle mie spalle. Mi volsi verso il Signor Vegeta, che frattanto si era avvicinato ad una grande scrivania in mogano, vicino ad una finestra della grande stanza, probabilmente il suo studio. “Prego, si sieda.” Mi invitò, l’espressione decisa, seria. Era identico a Vegeta. Mi sedetti dinanzi la scrivania, puntando poi lo sguardo sull’imponente libreria al lato della sala. “Wow …” esclamai solamente, meravigliata. Lui ghignò leggermente. “Le piacciono i libri?” intuì. Io annuii, ancora incantata. “Moltissimo …” riuscii solo a dire, scorrendo con lo sguardo i numerosi titoli dei grandi autori di quei preziosi tomi. L’uomo sorrise leggermente, tornando poi serio. “Comunque, non credo sia venuta qui per parlare di libri.” Riprese deciso. “Chi è lei, e per quale motivo mi ha cercata?” chiese serio. Io presi un profondo respiro, consapevole che era giunta l’ora della verità. “Il mio nome è Bulma Brief. Ho diciassette anni, e vengo dalla Est Avenue. ma non sono qui per parlarle di me.” sospirai, puntando poi i miei occhi sull’uomo di fronte a me. Decisa, proclamai. “Non voglio girarci troppo intorno, perciò glielo dico subito; sono qui per parlare di suo figlio.” Lui aggrottò lo sguardo. “Mio figlio? Come fa a conoscere Tarble, ha sono cinque anni …” “Non sto parlando del bambino.” Lo interruppi. “Sto parlando di un altro suo figlio. Lei non lo conosce; si chiama Vegeta.” Rimasi in silenzio, dopo quelle parole, in attesa di una reazione da parte dell’uomo. Reazione che non tardò ad arrivare, seppur stupendomi non poco. L’uomo iniziò a ridere. Era una risata bassa, derisoria. Inquietante. “Bello scherzo, ragazzina. Ma non ti hanno insegnato a non dire le bugie?” chiese, prendendomi i giro. Strinsi i pugni, innervosendomi. “Non la sto prendendo in giro, è la verità. Lei ha un figlio della mia stessa età. E si chiama Vegeta.” L’espressione dell’uomo si fece dura e nervosa. “Smettila di prenderti gioco di me, ragazzina. Non dire idiozie, io non ho nessun figlio al di fuori dei bambini avuti con mia moglie, non inventare storie …” “Non mi sto inventando un bel niente!” sbottai, nervosa. “Le dice niente il nome Rosicheena?” chiesi subito dopo, confidando che il nome della madre di Vegeta riesumasse ricordi nella mente di quell’uomo. Lui infatti sgranò gli occhi, confuso. “Rosicheena? Ma cosa c’entra adesso?” “La conosce, si o no?” chiesi decisa. Lui annuì, leggermente spiazzato. “Si, siamo stati insieme da ragazzi, siamo finiti a letto qualche volta, ma niente di più …” disse. “Beh, Rosicheena è la madre di Vegeta. O meglio, era.” Ripresi. Lui sgranò ancora gli occhi. “Come era? L’ultima volta che ci siamo visti, avevamo circa una ventina d’anni, poi io partii per il college. Non l’ho più rivista …” “Rosicheena è morta diversi anni fa. Ha avuto un incidente stradale, in Francia, dove si era trasferita dopo la nascita del bambino. Di suo figlio.” Dissi seria. “è assurdo!” sbottò lui, incollerito. “Come può essere mio figlio?! Stai scherzando, ragazzina!” io negai. “Mai stata più seria. Rosicheena rimase incinta di vostro figlio, poco dopo la sua partenza per il college, signore. Non voleva tenere il bambino, ma i suoi genitori la convinsero a non abortire. Purtroppo però, subito dopo la nascita del piccolo, se ne andò, lasciandolo ai suoi nonni. Però un regalo glielo ha fatto.” Mi fermai un attimo. “Lo ha chiamato come lei, in ricordo del padre del bambino.” Lui iniziò a scuotere la testa, portandosi le mani su di essa. “è assurdo, non può essere vero …” “è così …” dissi io, mantenendo la calma. “Vegeta adesso ha diciassette anni. Sa, è identico a lei … frequenta la Orange High School, e insieme facciamo parte del Glee Club della scuola. Suo figlio ha un talento incredibile per la musica, ha una voce meravigliosa …” “Smettila!” sbottò arrabbiato l’uomo. “Credevo le facesse piacere sapere qualcosa di suo figlio.” Dissi, intimorita. “E invece ti sbagli! Non me ne importa un bel niente di questo Vegeta! Potrà anche essere mio figlio, ma per me resta comunque il frutto di un errore adolescenziale. Cosa speravi di ottenere vendendo qui e informandomi di avere un figlio sconosciuto?! Credevi forse che sarei corso da questo tipo abbracciandolo, dicendogli frasi del tipo “Figliolo, come sono felice di conoscerti?!” sussultai leggermente. “I – io volevo solo che lei lo sapesse. Vegeta vorrebbe davvero conoscerla …” “Beh io no! Non me ne importa niente! Perciò adesso vattene ed esci subito di qui, ragazzina!” sbottò infuriato, alzandosi di scatto dalla sedia. “E di pure a questo ragazzino, che non me ne frega niente di lui. Per quanto mi riguarda, per me non esiste nemmeno …” disse. Mi alzai di scatto dalla sedia, delusa. Ma infondo, era pensabile una reazione del genere. Mi diressi verso la porta delle studio, aprendola con veemenza. Poi, mi voltai un attimo verso il padre di Vegeta, giocando l’ultima carta a mia disposizione. “Questo fine settimana saremo nella Capitale per le Nazionali del Glee Club. Ci sarà anche Vegeta …” conclusi, uscendo senza attendere alcun risposta dal signor Sayan. Semplicemente, mi chiusi la porta alle spalle. Io avevo fatto ciò che credevo giusto, anche se Vegeta non ne sapeva niente di quella visita. Adesso sarebbe toccato a quell’uomo agire. A decidere se fare il padre …

 

“  …lma? Bulma?” mi riscossi da quei pensieri, scuotendo il capo. “Eh?” chiesi confusa. Vegeta mi guardò serio. “Ti ho chiesto se volessi ascoltare un po’ di musica …” disse, additando le cuffiette e il lettore MP3 in mano. Io annuii.  “Certo.” Risposi, prendendogli gli auricolari dalle mani. “Quanto tempo manca ancora?” chiesi, guardandomi intorno e scoprendo i miei amici dormire beatamente sui sedili dell’autobus. “Credo un paio d’ore.” Rispose Vegeta, accendendo l’Ipod. “Okay …” risposi guardandolo, ripensando nuovamente all’incontro avvenuto con suo padre, solo pochi giorni prima. Lui non ne sapeva niente, avevo fatto tutto di testa mia. Sentendo poi la melodia espandersi nel mio orecchio, sorrisi dolcemente, appoggiando la testa sulla spalla del mio ragazzo. Così, cullata dalle dolci note del brano e dal movimento dell’autobus, mi addormentai.
 


“Ehi fermo, lascia questo!” esclamai, indicando la televisione dinanzi a noi. Eravamo arrivati nella Capitale da diverse ore ormai, ed essendo le 21,30, avevamo anche terminato di cenare. Ora, tecnicamente sarei dovuta essere nel mio lettino, nella stanza che quella sera avrei dovuto condividere con Chichi e C18. Dico dovrei, perché in realtà, in quel momento nessuno si trovava nella propria stanza. Si erano tutti sparpagliati nella varie camere, e lo stesso Professor Dawson si trovava in compagnia della cara signorina Videl. Il professore contava sul buon senso e sul giudizio dei suoi ragazzi, e fidandosi di noi, ci aveva lasciato piuttosto liberi. “Non siamo in gita scolastica, perciò potete stare tranquilli.  Ovviamente” disse, guardando me, Vegeta, Chichi e Goku (ovvero le coppie di fidanzatini, come le chiamava lui) “confido nel vostro buon senso. Insomma, mi auguro che abbiate giudizio e non approfittiate troppo della situazione …” causando l’imporporamento spontaneo delle nostre gote.  “Comunque, mi raccomando a letto presto e riposatevi. Domani sarà una giornata importante.” Aveva concluso con un occhiolino, prima di augurarci la buonanotte.  Ora, sdraiata di fianco a Vegeta, sul letto della sua stanza, sorrisi leggermente, ripensando a quanto avvenuto pochi minuti prima. Vegeta condivideva la stanza con Goku, ma avevamo fatto una specie di scambio temporaneo delle stanze, in modo da poter stare con i rispettivi ragazzi/ragazze. Ovviamente, non avremmo di certo dormito insieme, questo è chiaro. Ma sarebbe solo stato per passare un po’ di tempo insieme prima di andare a dormire, e di conseguenza, prima delle Nazionali. Vegeta sbuffò. “Vuoi davvero vedere questo film?” chiese, scocciato. Stavamo litigando da diversi minuti su quale programma guardare, e ovviamente, eravamo di idee totalmente differenti. “Perché, che cos’hai contro Titanic?” chiesi, guardandolo scettica. Lui sbuffò. “C’è che lo hai già visto ventimila volte. Spiegami per quale motivo vuoi riguardarlo!” sorrisi furbamente. “Vorrà dire che sarà la ventunesima. E poi” sbattei gli occhi diverse volte, cercando di intenerirlo. “Volevo vederlo insieme a te. È così romantico …” lui mi guardò per un attimo, sussultando nello scontrarsi con i miei occhioni azzurri, imploranti. Tentò di porre un minimo di resistenza, ma quando gli posai un dolce bacio sulle labbra, tutto l’autocontrollo di cui si era munito crollò come un castello di carte. “D’accordo!” si arrese, sbuffando sconsolato. Sorrisi a trentadue denti, esultando. “Grazie!” esclamai, appoggiandomi al suo torace e godendomi così l’inizio del meraviglioso capolavoro di James Cameron. Durante tutto il film, fissai Leonardo di Caprio con gli occhi a forma di cuoricino, tanto che Vegeta si ingelosì non poco, quando esclamai a metà film: “Ah, quello si che è proprio un bel ragazzo! Il ragazzo perfetto!” conscia d averlo innervosito, gli sorrisi poi dolcemente. “Ma mai quanto il Vesuvio de mi corazon …” dissi languida. Lui sorrise impercettibilmente, per poi ribattere: “Ancora con questo Vesuvio de mi Corazon?! Ma la finirai mai?!” ma in un attimo, si ritrovò le mie labbra premute sulle sue, in un bacio dolce e delicato. Cioè, da principio fu dolce, ma lentamente si trasformò in un bacio sempre più passionale. Staccandoci dal poco casto bacio, ci guardammo negli occhi, cercando di riprendere fiato. Persa nei suoi occhi, mi dimenticai di tutto. Le voci degli attori mi giungevano lontane, così come i rumori provenienti dalla strada al di sotto dell’albergo. Non seppi nemmeno io con quale coraggio trovai la forza di dire … “Vegeta?” lui continuò a fissarmi, a pochi centimetri da me. “Dimmi.” Presi un profondo respiro. “T – tu sei vergine, giusto?” balbettai. In un attimo, lo vidi arrossire fino alla radice dei capelli, per poi sbottare. “Ma che razza di domande fai?!” imbarazzato. Io continuai a fissarlo. “Ti ho chiesto se sei vergine. D’altronde stiamo insieme, non mi sembra poi chissà quale domanda.” Dissi, ostentando una sicurezza che non possedevo in realtà. Lui non rispose, frattanto fui io a continuare. “Io ad esempio sono ancora vergine. Tu sei il mio primo ragazzo, insomma … non ho mai … fatto esperienze di quel tipo.” Conclusi, stavolta con le guance imporporate. Vegeta mi fissò. “E tu?” gli chiesi poco dopi attimi. Lui sbuffò. “Sai benissimo che tu sei l’unica persona al mondo in grado di sopportarmi. Con chi sarei potuto stare secondo te, idiota?” lo disse quasi annoiato, ma era chiaro che fosse in imbarazzo quanto me. E inoltre, così dicendo, aveva confermato la mia teoria. Io ero davvero la prima ragazza di Vegeta. Sorridendo dolcemente, mi avvicinai nuovamente a lui. E presa da non so quale spirito di intraprendenza, sussurrai, a pochi centimetri dalle sue labbra: “Lo so benissimo. E lo stesso vale per me. Io e te siamo gli unici in grado di comprenderci a vicenda, come nessun altro. Io ti amo, Vegeta. E voglio fare l’amore con te.” Lui sgranò gli occhi, sorpreso. “S – sei sicura?” balbettò, facendo crollare ogni muro di sicurezza ed orgoglio costruitosi in quegli anni. Annuii decisa. “Io sono sicura. E tu lo vuoi?” chiesi. Lui accennò il suo mezzo sorriso. “Si .” “Ti prego, dimmi “Bulma, voglio fare l’amore con te.” Lo supplicai. Lui sorrise ancora. “Si,Bulma. Voglio fare l’amore con te.”  Disse deciso, prima di travolgermi con un bacio. Il resto, lo lascio alla vostra immaginazione.
 

“Wow.” Riuscii solo a dire. Accoccolata al petto nudo di Vegeta, mi lasciai andare ad un sospiro di meraviglia. “è – è stato …” “Bellissimo.” Completò per me Vegeta. Ancora non riuscivo a crederci; io e Vegeta avevamo fatto l’amore. Avevamo perso la verginità insieme, e nonostante fossimo stati entrambi tremendamente impacciati ed inesperti, fu comunque il momento più bello della mia vita. E non mi importava nemmeno del dolore, adesso. Stretta a Vegeta, avvolti dalle lenzuola di quella camera d’albergo, stretti l’uno all’altra, nudi, mi sentivo felice come non mai. “Vegeta?” lo richiamai, dopo attimi di silenzio. “Mh?” mugolò, invitandomi a continuare. Continuando a tracciare con le dita ghirigori immaginari sul suo petto muscoloso, gli chiesi, senza guardarlo. “Sono tua, vero?”  lo sentii alzarmi la testa, in modo da incontrare i miei occhi, colmi di dolcezza. Ci fissammo per minuti che mi parvero interminabili,  carezzandoci il viso a vicenda. “Certo che sei mia, piccola idiota.” Disse, sorridendo leggermente. Io continuai a fissarlo. “Per sempre e fedelmente?” gli chiesi, con un filo di voce. Lui annuì deciso, perso nei miei occhi. “Per sempre e fedelmente.” Concluse, prima di posarmi un delicato bacio in fronte.


Nota Autrice:
Hello People (from Ibiza? :) ) Dopo quasi una settimana, torno ad aggiornare questa long, che ormai sta giungendo al termine … T-T … Sigh, momento auto depressivo a parte, come avete notato questo capitolo è stato piuttosto … intenso. Eh si, i nostri due protagonisti si sono spinti un po’ in là stavolta, voi che dite? ;) Comunque, questo capitolo è ambientato proprio il giorno precedente le Nazionali, perciò nel prossimo le nostre amate Voci fuori dal coro affronteranno queste fatidiche gare … :) Inoltre, non so se lo avete notato, ma nella parte finale di questo capitolo ho inserito la parola “Fedelmente”, da cui prende il titolo questa storia, “Faithfully” in inglese infatti. Vi assicuro che ricorrerà anche alle gare questa bella parola … pensate a qualche canzone … ;) comunque, tolto questi momenti di riflessione, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e vi ringrazio già da ora per l’attenzione. Vi chiedo perdono se non sono riuscita a rispondere alle vostre meravigliose recensioni, ma purtroppo non ne ho avuto tempo … :( Vi ringrazio tantissimo per il vostro fantastico supporto e per essere sempre pronte a sostenermi ad ogni nuovo capitolo! Vi adoro ragazze! Bene, yo me voy, perciò vi saluto e in attesa di recensioni, vi aspetto al prossimo capitolo! ;)
Bacioni
TWOTS

PS: Ah, se volete notizie per l’altra long, vi avviso che non ho ancora scritto il capitolo o altro … cercherò di aggiornare quanto prima! Ancora grazie!

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Capitolo 41
*** Le Nazionali ... ***


Il teatro della Capitale era quanto di più grande e maestoso avrei potuto vedere. Con i suoi 2030 posti, i quattro ordini e le due immense gallerie, era il simbolo per eccellenza dell’opulenza e dell’eccessivo sfarzo, in un tripudio di stili quali Barocco, Rococò e per certi versi, Neo Classicismo. Un capolavoro per gli occhi. Per questo quando la mattina successiva entrammo all’interno del teatro, restammo a bocca aperta, guardandoci intorno con malcelato stupore. Con il viso rivolto verso l’alto, contemplammo per diversi minuti i meravigliosi affreschi a costellare l’alto soffitto dell’edificio, gli occhi luccicanti d’emozione. Fino a qualche mese prima, non avrei mai pensato nemmeno di poter osservare quella meraviglia dall’esterno, figuriamoci poterci entrare. E invece, ora mi trovavo proprio lì, nel più spettacolare tempio dell’arte che avessi mai visto, al fianco delle persone che mi avevano cambiato la vita. Pensare che a breve ci saremmo esibiti sopra l’enorme palcoscenico, di fronte migliaia di persone, mi procurò non poca ansia. “Ragazzi.” Ci richiamò il Professor Dawson. Volgendo tutti in contemporanea lo sguardo verso di lui, lo fissammo interrogativi. “Gli altri Glee Club sono già arrivati, si staranno già cambiando. Dobbiamo andare.” Disse serio. Vedendoci annuire terrorizzati, distese poi gli angoli delle labbra in un dolce sorriso. “Dai, andrà tutto bene. Non c’è motivo di agitarsi.”
 

 E queste, furono le così dette ultime parole famose, giacché dopo nemmeno mezz’ora, il Professor Dawson aveva preso ad agitarsi, preda da un’ansia incontrollabile. “Sono calmo, sono calmo …” continuava a ripetersi il nostro insegnante, mentre percorreva a grandi passi il pavimento del dietro le quinte del teatro. Per un attimo, temetti quasi che se avesse continuato così, entro poco tempo avrebbe consumato completamente le sue scarpe, tanto l’ardore della sua andatura. “Ehm, Professore?” lo richiamammo timidamente, vedendolo in quello stato. Lui alzò per un attimo lo sguardo dal pavimento, rivolgendoci un’occhiata ansiosa. “è – è sicuro di stare bene?” azzardai. Lui sgranò gli occhi. “Io? Ma certo che sto bene! Non vedete come sono calmo? Sono calmo, sono calmo, SONO CALMO!!” Gridò infine, con voce eccessivamente stridula. Lo guardammo terrorizzati, prendendo bene le distanze da lui. “Professore … stia calmo, non è lei a doversi esibire di fronte a migliaia di persone, nel più importante teatro della Nazione, contro i migliori Glee Club esistenti … Siamo noi quelli che vinceranno il trofeo … o prenderanno pomodori in faccia …” esordì ingenuamente Yamcha, nel tentativo di calmarlo. Ed invece, all’udire quelle parole, fui proprio io ad andare nel pallone. Sbiancai, più di quanto già non fossi, e stringendo i pugni, sbottai in direzione di quell’idiota del mio amico. “Grazie mille, certo che sei proprio bravo a rassicurare la gente, tu!” Vedendomi in quello stato, sobbalzò all’indietro, mettendo le mani davanti a lui. “M – ma io stavo solo cercando di rassicurare il Professore …”  “E invece il tuo benevolo intervento di carità mi ha appena procurato il più grande panico da palcoscenico della storia!” urlai nuovamente, agitata. Ancora infuriata, sentii due mani posarsi sulle mie spalle, e girandomi, mi scontrai con due occhi di pece. “Vegeta …”arrossii leggermente nel trovarmelo a pochi centimetri da me, ripensando a quanto avvenuto la sera precedente.  “Vedi di darti una calmata …” disse serio lui. “E possibilmente, evita di compiere un omicidio per le prossime cinque ore. Mi scoccia ammetterlo, ma quel rincitrullito ci serve, e fino alla fine della gara, gradirei non ricevere visite da poliziotti pronti ad arrestarti. Ovviamente” si bloccò poi un attimo, ghignando leggermente. “Dopo la gara potrai fare quello che vuoi.” Concluse. Io sorrisi leggermente, calmandomi. Era incredibile l’effetto che Vegeta aveva su di me, sembrava quasi un incantesimo, rafforzatosi ancora di più dopo la notte trascorsa tra le sue braccia. Presi un profondo respiro, riprendendo poi. “Va bene. Sono calma adesso. Credo.” Lui sorrise a metà. “Brava, così va meglio.”  “Ehm, ragazzi, resta ancora un problema.” La voce di Chichi ci riportò alla realtà. Voltammo in contemporanea lo sguardo verso la corvina, leggermente infastiditi da quell’interruzione. “Sarebbe a dire?” chiese Vegeta, nervoso. “Il professor Dawson.” sgranai gli occhi, accorgendomi solo in quel momento che non si trovava più insieme a noi, dietro le quinte del teatro. “Ma – ma dove è andato?” chiesi confusa. Alzarono tutti le spalle, dispiaciuti. “Non ne ho idea. Credo ci convenga cercarlo.”


Lo trovammo poco dopo, nel camerino assegnato a noi Voci fuori dal coro. Se ne stava seduto su una sedia, il viso nascosto tra le mani, in silenzio. “Professore …” alzò lo sguardo, scontrandosi con i suoi ragazzi, quelli che aveva imparato a riconoscere vestiti con tute e scarpe da ginnastica, e ora avvolti in eleganti costumi, pronti per la sfida più grande della loro vita. “Ragazzi io …” balbettò, non sapendo cosa dire. “Professore, sappiamo che anche lei è nervoso per queste gare, ci creda, è davvero qualcosa di importante per tutti noi …” cominciò Chichi.  Stemmo in silenzio per un attimo. “Si ricorda cosa accadde il giorno delle Provinciali?” domandai poi io. Lui ci guardò, confuso. “Prima di entrare in scena, ci prese in disparte, tutti insieme. Ci incoraggiò nel modo migliore in cui potesse mai fare, ci ha fatto comprendere davvero il significato del Glee Club. E oggi, vorremmo essere noi a parlare per lei.” Continuò a fissarci, emozionato. Ci avvicinammo a lui, accerchiandolo, chi mettendosi in ginocchio alla sua altezza, chi restando in piedi. Eppure tutti lì, insieme a lui. “Professore, noi dobbiamo ringraziarla. Sa, prima di entrare in quell’aula canto, quel giorno di tanti mesi fa, la mia vita mi faceva schifo. Non avevo niente, ero sola. Eravamo tutti soli.” Iniziai io, parlando a nome di tutti. “Iscrivermi al Glee Club è probabilmente stata l’unica cosa buona che ho combinato in questi diciassette anni. All’inizio avevo pensato: “Devo per forza scegliere qualcosa, tanto vale buttarmi su ciò che so già fare.” Stavolta, era Vegeta a parlare. “Non avrei mai pensato che sarebbe potuto accadere, men che meno avrei mai creduto di ammetterlo. Però vedo che oggi siamo tutti in vena di confessioni e sentimentalismi, perciò ve lo dico. Con voi, in quella vecchia aula piena di strumenti, mi sono sentito per la prima volta in tutta la mia vita, felice.” Si confidò Vegeta, di fronte agli sguardi inteneriti di tutti noi. “Io ero convinta di restare per sempre un’emarginata, per tutta la vita. Voglio dire, non che ora sia una celebrità. Però insieme a voi, perfino ricevere le granite in faccia ogni mattina, non era poi tanto male.” Stavolta, fu C18 a lasciarsi andare. “Nessuno aveva mai creduto in me. Andiamo, un ragazzino alto un metro e poco più, in grado di suonare il violoncello? Mi deridevano tutti, ogni volta che impugnavo quello strumento più grande di me. Capii di aver trovato finalmente degli amici, quando quel giorno in cui suonai in aula canto, insieme a tutti voi, nessuno rise di me. Per la prima volta, nessuno aveva riso di me.” anche Crillin aveva voluto dire la sua adesso.  “Sinceramente, a parte i bambini dell’orfanotrofio, non avevo nessuno con cui parlare. Di musica poi, lasciamo stare. Non so, ma prima di conoscervi il mio migliore amico era il cibo. Da quando vi ho incontrati invece, sento che rinuncerei anche ad un pranzo di nozze, pur di passare del tempo insieme a voi. Certo, il cibo resta sempre il mio primo grande amore, senza offesa Chichina, ma sento che voi siete le persone più importanti della mia vita.” disse invece Goku con ingenuità, suscitando le risatine di tutti noi. “Io – io credevo che nessuno potesse comprendermi. Sognavo di divenire una pianista famosa in tutto il mondo, ma puntualmente arrivavano a casa le raccomandate, gli arretrati dell’affitto da pagare, la lettera di licenziamento di mio padre. Avevo lasciato perdere il mio sogno, credevo sarebbe stato inutile illudersi . E invece, conoscendovi ho capito che non c’è mutuo o bolletta da pagare che possa ostacolare i nostri sogni, qualunque essi siano.  Io – io vi adoro talmente tanto …” esordì Chichi, già in lacrime da diversi minuti. “ Eravamo convinti che i pregiudizi fossero impossibile da cancellare, che le etichette restano attaccate alla vita per sempre. Da quando siamo entrati in aula canto, abbiamo capito che basta solo tirare un po’ più forte, che le etichette e le cattiverie spariscono, lasciando il posto solo a gente desiderosa di farsi sentire.” dissero invece Yamcha, Tensing e Riff, orgogliosi. Sorrisi commossa, riprendendo poi io a parlare. “Professore sa, quel giorno in cui è entrato in aula canto, con quella valigetta sotto braccio e quel sorriso impacciato stampato in viso, non le nascondo che la prima cosa che pensai, fu che lei sembrasse un pazzo. E invece, nel momento in cui ha aperto bocca, ho capito che lei era si pazzo. Ma pazzo della musica. Ci ha spinti a farci sentire, ad abbattere i muri di pregiudizi, cattiverie, ingiustizie che per tutti questi anni ci avevano tappato le ali. Ci ha permesso di farci sentire importanti, per la prima volta siamo usciti dall’ombra. Siamo diventati qualcuno.  Sa professore, lei è davvero un pazzo. Lei è pazzo di noi, lei è pazzo della vita, della gioia. Lei ci ha cambiato la vita. E noi non saremmo mai in grado di ringraziarla abbastanza per tutto quello che ha fatto …” presi un profondo respiro. “Si ricorda cosa ci aveva detto? Fare parte di qualcosa di speciale ci rende speciali, giusto? E allora professore, grazie a lei, noi siamo speciali. Il Glee Club è speciale. Lei è speciale.”  Conclusi, commossa. Il professore ci guardò uno ad uno, gli occhi lucidi. Trattenendo le lacrime, sorrise orgoglioso, incredulo di fronte a quanto aveva sentito. “Grazie ragazzi. Grazie …” riuscì solo a sussurrare, prima di stringerci in un abbraccio da mozzare il fiato. Ma non ci importava. Saremmo anche potuti morire d’asfissia, in quel momento, lì nel camerino del più importante teatro della regione. Non ci importava. Perché se saremmo morti, lo avremmo fatto tra le braccia di colui che ci aveva cambiato la vita. E cos’altro chiedere allora?
 

“E il prossimo Glee Club ad esibirsi, sono i ragazzi provenienti dalla Orange High School. Le voci fuori dal coro!”
Il presentatore annunciò tali parole con voce allegra e squillante. Voltai lo sguardo in direzione di Vegeta. Io e lui non ci trovavamo sul palcoscenico, come i nostri amici, ma eravamo posizionati all’esterno della platea, vicino all’ingresso del teatro. Nascosti da due porte che davano sulla platea, saremmo dovuti infatti entrare dal fondo del teatro, cantando il brano iniziale della nostra esibizione, salendo poi infine sul palco. Era tutto pronto. Avevamo provato quell’esibizione fino allo sfinimento in quei mesi. E adesso il momento era arrivato. Al di là di quelle due porte, duemila persone attendevano l’apertura del sipario, o quantomeno l’inizio dell’esibizione di queste fantomatiche Voci fuori dal coro. Tremante, mi avvicinai a Vegeta, cercando di sorridere incoraggiante. “Buona fortuna.” Gli dissi, agitata. “Ti amo.” Rispose invece lui in un sussurro. Spalancai gli occhi, certa di aver udito male. Vegeta lo aveva detto. Aveva detto, per la prima volta da quando ci eravamo conosciuti, di amarmi. Spalancai la bocca, incredula. Ma non riuscii a pronunciare una sola sillaba, che un introduzione di pianoforte si espanse nel teatro, arrivando sino alle nostre orecchie. Era giunto il nostro momento. Io e Vegeta ci scambiammo un ultima occhiata, e persa nei suoi occhi, persi un battito quando accennò il suo solito mezzo sorriso, proprio nel momento in cui poggiò la mano sulla maniglia della porta. E in un attimo, la aprì, entrando nel teatro, e cominciando a cantare. (https://www.youtube.com/watch?v=aTnzyotpTe4 esibizione completa )

Vegeta:
Highway run, into the midnight sun
Wheels go round and round
You're on my mind

Tutti quanti si voltarono, sorpresi di veder cominciare l’esibizione dal fondo della platea, anziché sul palcoscenico. Vegeta aveva attaccato la nota con una sicurezza ed una dolcezza a dir poco spiazzanti, tanto che tutti rimasero a bocca aperta nell’udire quella voce incredibile. E poi, quando ormai Vegeta era arrivato alla fine della prima strofa, poggiai la mano sulla porta, spalancandola di botto. Uscendo allo scoperto, iniziai anche io a cantare.

Bulma:
Restless hearts, sleep alone tonight
Sending all my love along the wire

Non appena aprii bocca, gli occhi di tutti si puntarono curiosi su di me. Tremante, continuai a cantare. Cercai con lo sguardo gli occhi di Vegeta, che nel frattempo si trovava distante qualche metro da me. E quando li incontrai, lessi in essi tutta la sicurezza e l’amore di cui necessitavo in quel momento. E fu un attimo. Dimentica di tutto, continuai a cantare, stavolta decisa. Quello era il momento che aspettavamo da tutta una vita. il momento di farci valere. E non avrei sprecato quell’occasione.

Vegeta e Bulma:
They say that the road
Ain't no place to start a family
Right down the line it's been you and me
And lovin' a music man ain't always what it's supposed to be



Guardandoci negli occhi, io e Vegeta ci dimenticammo di tutto. Lo stress accumulato in quei mesi di preparazione, l’ansia per la gara, le insicurezze, la gente che ci fissava ammaliata. Non ci importava di niente. Perché stavamo facendo l’unica cosa in grado di farci star bene. Cantare. E cosa più importante, lo stavamo facendo insieme.

Bulma:
Oh boy, you stand by me
I'm forever yours
Faithfully


Io e Vegeta ci scambiammo un occhiata complice, e sorridendo leggermente, partimmo di corsa verso il palcoscenico, lasciando il pubblico guardarci ancora meravigliati ed emozionati dalle nostre voci. Dalle due parti opposte del palco, salimmo le scalette di corsa, mentre la musica continuava ad espandersi per il teatro. Arrivati di fronte al sipario ancora chiuso, ci guardammo un attimo. E in quel momento, il sipario venne giù, mostrando dietro di esso tutte le altre Voci fuori dal Coro, disposte in gruppo.

Le voci fuori dal coro:
Oh, oh, oh, oh,
Oh, oh, oh, oh, oh,
Oh, oh, oh, oh, oh, oh



Bulma:
Faithfully
Oh, oh, oh, oh,

Tutti quanti iniziarono ad intonare la parte corale, mentre io e Vegeta, posti dinanzi a loro, demmo libero sfogo alle nostre corde vocali, con acuti che sfiorano l’incredibile.

Bulma, Vegeta e le voci fuori dal coro:
Oh, oh, oh, oh,
Oh, oh, oh, oh, oh
I'm still yours
Oh, oh, oh, oh, oh

Faithfully

Un ultima nota finale. Io e Vegeta ci girammo, e guardandoci negli occhi sussurrammo quell’ultimo “Faithfully” consapevoli che per noi non era solo una canzone. Era una promessa, la promessa fattaci la sera prima, stretti l’uno all’altro dopo aver fatto l’amore. La promessa di amarci. Per sempre. Per sempre e fedelmente.
Il pubblico esplose in un boato di applausi pazzesco, riportandoci alla realtà. Subito, ci avvicinammo ai nostri amici, già posizionati per il brano successivo. E pochi secondi dopo, la musica partì.

Bulma e le voci fuori dal coro:
Any way you want it
That's the way you need it
Anyway you want it


Super carichi, emozionati, iniziammo il nostro secondo brano con una grinta e una potenza spiazzante e insuperabile. Ci stavamo riuscendo. Stavamo realizzando il nostro sogno.

Vegeta e le voci fuori dal coro:
She loves to laugh
She loves to sing
(She loves everything)
She loves to move
She loves to groove
(She loves the lovin' things


Anche Vegeta sembrava un’altra persona. Deciso, carico, potente, in quell’esibizione stava mettendo tutto sé stesso, anima e corpo. Beh, d’altronde anche noi non eravamo da meno, anzi.

Bulma e le ragazze:
It won't be long, yeah
'Til you're alone
When your love (with Mercedes: Love) (Mercedes: Love)
Oh he hasn't come home (Mercedes: Oo Woah)
'Cause he's lovin' (Lovin')
He's touchin' (Touchin')


Il pubblico continuava ad esultare, trascinato dal ritmo incalzante della musica. Gente che ballava, chi si alzava in piedi, chi urlava estasiato. Stava accadendo tutto questo. E stava accadendo a noi.

Tutti insieme:
Na, na, na-na, na-na
Na-na, na-na, na
Na, na, na-na, na
Na-na, na-na, na-na

Anyway you want it (Vegeta: Na, na, na-na, na-na)
That's the way you need it (Vegeta: Na-na, na-na, na)
Anyway you want it (Vegeta: Na, na, na-na, na; Na-na, na-na, na-na) (Chichi: Ooh)
Any way you want it
That's the way you need it


 E in mezzo alle grida degli spettatori entusiasti, terminammo anche il nostro secondo brano. Adesso toccava al gran finale. Il brano più rappresentativo, importante e significativo delle Voci fuori dal coro. Il nostro motto, il nostro inno alla vita: Don’t stop Believing. Non smettere di credere.

Vegeta:
Just a small town girl
Livin' in a lonely world
She took the midnight train going anywhere


Tra le esultanze del pubblico, Vegeta attaccò la prima strofa della nostra ultima canzone. Sorrise leggermente, conscio di quanto quella canzone fosse importante per lui. Era stata infatti quella la canzone cantata durante la nostra prima esibizione tutti insieme, la stessa canzone con cui ero riuscita a convincere Vegeta a non abbandonare il canto. La canzone con cui tutto aveva avuto inizio. E adesso, la riproponevamo alle Nazionali, e un motivo c’era. Il cerchio si stava chiudendo.

Bulma:
Just a city boy
Born and raised in South Detroit
He took the midnight train going anywhere


La gente iniziò a battere le mani al tempo di musica, e vedendo ciò sorrisi entusiasta. Stava andando tutto bene. Stavamo diventando qualcuno.

Goku:
A singer in a smokey room
Chichi:
The smell of wine and cheap perfume
Goku e Chichi:
For a smile they can share the night
It goes on and on and on and on

Bulma e le voci fuori dal coro:
Strangers waiting
Up and down the boulevard
Their shadows searching in the night
Streetlight people
Living just to find emotion
Hiding, somewhere in the night


Da dietro le quinte, il professor Dawson sorrise entusiasta, emozionato e commosso. Al suo fianco, la signorina Videl non era certo da meno e insieme si scambiarono un’occhiata complice, prima di esultare per noi, pazzi di gioia.

Tutti insieme:
Don't stop believin'
Hold on to that feeling
Streetlight people
Ohhh, woahhhh
Don't stop
Hold on to that feelin'
Streetlight people


Fu tutto incredibile. Il tempo volò alla velocità della luce, e senza che me ne accorgersi, terminammo anche il nostro ultimo brano. Il pubblico esultava, incontenibile, applaudivano, urlavano. Noi ragazzi fissammo il teatro gremito di gente increduli, e in un gesto spontaneo, ci stringemmo in un abbraccio collettivo pieno di amore e di amicizia. Con le lacrime agli occhi, guardammo la gente acclamarci come degli eroi, sentendoci poi mancare quando tutti quanti iniziarono a cantare il ritornello di “Loser like me” , il brano scritto da noi per le Provinciali. Questo significava che la gente ci conosceva, che coloro che avevamo assistito all’esibizione di un gruppetto di ragazzini spauriti diversi mesi prima, si ricordavano di quella canzone così significativa, originale e fantastica. E così, stretta ai miei amici, attorniata dal pubblico urlante “You wanna be, you wanna be, a Loser like me!” alzai gli occhi verso l’alto. “Grazie … “mimai con le labbra, prima di scoppiare a piangere. A piangere di felicità.


Di quello che accadde quel giorno, potrei raccontarvi ogni cosa. Potrei raccontarvi di come, tendendoci tutti per mano, salimmo sul palcoscenico insieme agli altri Glee Club, ansiosi di conoscere il verdetto finale della gara. Potrei raccontarvi di come il presentatore annunciò quel “E i vincitori delle Nazionali di quest’anno sono … Le voci fuori dal coro!” Potrei descrivervi nel dettaglio ogni singola emozione, stato d’animo provato nello scoprire di aver davvero vinto le Nazionali. Potrei dirvi di come, emozionati ed ancora increduli, prendemmo tra le mani la grande coppa dorata, stringendola tutti insieme, con le mani tremanti. Potrei raccontarvi di come piangemmo sopra a quel cimelo, simbolo della nostra vittoria, ma soprattutto nella nostra ribalta. Potrei dirvi di come il Professor Dawson esultò entusiasta nello scoprire che ce l’avevamo davvero fatta, e di come nell’emozione del momento, regalò un dolce bacio ad un’ incredula ed estasiata signorina Videl. Però voglio raccontarvi solo questo. La scena che più mi rimase impressa di quel giorno incredibile. La foto finale. Quel momento in cui, con la coppa alzata verso l’alto, sollevammo il professor Dawson sulle nostre spalle, portandolo sopra di noi e lanciandolo verso l’alto. E lui teneva in mano la nostra coppa, la nostra vittoria. E infine, il momento in cui, dopo averla bagnata con le nostre lacrime di gioia, baciammo la coppa tutti insieme, ringraziando il giorno in cui ci eravamo incontrati per caso, in quell’ aula canto. Il giorno in cui, cambiò la nostra vita. E adesso c’era anche un pezzo d’ora a dimostrarlo. A dimostrare, che ce l’avevamo davvero fatta. Eravamo diventati qualcuno.
 

Nota autrice:
Ed eccoci qua con il nuovo capitolo! Come avete notato, eccoci alle Nazionali! Non so se avete notato, ma ho inserito un link sopra, dove sono comprese tutte le esibizioni descritte nel capitolo. Vi consiglio quindi di guardarlo, perché è proprio così la scena che ho descritto. Non temete, la storia non è ancora terminata, ci saranno almeno altri due capitoli, circa. E tranquilli, nel prossimo il nostro caro Vegeta incontrerà qualcuno di importante, subito dopo la fine della gara … ;) come avete visto, le nostre Voci fuori dal coro hanno vinto, e anche se era scontato, spero comunque di essere riuscita a descrivere al meglio i sentimenti, le emozioni e gli stati d’animo dei nostri beniamini nel giorno più importante della loro vita. Ce l’hanno fatta, ragazzi. Sono diventati qualcuno. ;)  Bene, sperando che il capitolo vi sia piaciuto e in attesa di recensioni, vi aspetto al prossimo capitolo! Scappo a danza, a presto! ;)
Baci
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Capitolo 42
*** We are the Champions ... ***


"Ragazzi, vi rendete conto?! Ce l’abbiamo fatta!” dietro il palcoscenico, tutti abbracciati tra di noi, stringevamo la coppa possessivamente, bagnandola con le nostre lacrime. In mezzo al gruppo, riuscivo a malapena a scorgere qualunque cosa al di fuori delle capigliature e delle braccia dei miei amici. Eppure, tra lo spiraglio lasciato tra la testa di Goku e quella di Chichi, riuscii comunque ad intravedere qualcosa che per un attimo fece fermare il mio cuore. Le mani infilate nelle tasche della giacca, lo sguardo serio, lo stesso che mi aveva conquistata in un volto simile a quello … sgranai gli occhi, ma non riuscii a pronunciare una sola sillaba. Vegeta mi aveva preceduto. “Ma … lui … che ci fa qui?” lo sentii pronunciare al mio fianco, in un sussurro. Mi disincastrai dall’abbraccio, prendendo poi Vegeta con me. Con gli occhi ancora sgranati, continuava a fissare suo padre sostare diversi metri da noi. Gli presi il viso tra le mani, sospirando pesantemente. “Vegeta, ascoltami bene. Vedi io …” “Che cosa ci fa lui qui?!” mi interruppe lui, riacquistando lucidità. Sospirai. “Ecco, ascolta …” “Scusate …” sentii una voce cavernosa risuonare alle mie spalle. Mi voltai, scontrandomi con due occhi scuri e imbronciati. Incredibile, ero circondata da quello sguardo. “Signor Vegeta. Vedo che alla fine ha cambiato idea …” dissi con sicurezza, sorridendo vittoriosa. Lui non accennò un minimo cambiamento d’espressione. “Dov’è?” chiese solamente. Io mi voltai leggermente, sapendo che Vegeta fosse dietro di me. Lo trovai con lo sguardo rivolto verso il basso, le braccia incrociate e le gote leggermente arrossate. Vederlo così in imbarazzo mi fece una tenerezza immensa. Sorrisi dolcemente, prendendolo per le spalle. “Vegeta?” lo richiamai con dolcezza. Lui non rispose. “Vegeta, è arrivato il momento. Tuo padre vuole conoscerti.” Tremante, annuì leggermente. “è da tutta la vita che aspetti di incontrarlo, e adesso che puoi, non puoi certo tirarti indietro! Soprattutto dopo la fatica che ho fatto per convincerlo!” a quelle mie parole, alzò lo sguardo verso di me, spalancando gli occhi sorpreso. Gli feci l’occhiolino e non lasciandogli il tempo di parlare, lo spinsi verso l’uomo alle mie spalle. Si ritrovò così scaraventato a pochi centimetri dal volto di suo padre, e in quel momento, i loro occhi si incontrarono per la prima volta. Spalancarono entrambi le iridi scure, nello scoprirsi così uguali fisicamente. Io lanciai loro un’ultima occhiata speranzosa, allontanandomi poi e raggiungendo il mio gruppo. “Su forza, andiamo tutti di là!” annunciai io, interrompendo le chiacchiere dei miei amici. Mi guardarono confusi, non capendo il motivo della mia proposta. “Vegeta ha … una questione da risolvere. Con suo padre.” Dissi ambigua. Sgranarono maggiormente gli occhi. Sorrisi leggermente. “Seguitemi, vi spiegherò tutto!” dissi sospirando, trascinandoli con me nei camerini.

Vegeta e suo padre intanto avevano ripreso le distanze, e guardandosi in giro o le punte dei piedi, evitarono di incrociare i loro sguardi. Il teatro ormai era vuoto, tutti i Glee Club se ne erano andati, così come il pubblico. Restavano solo i vari tecnici e addetti alla manutenzione, che nel frattempo avevano cominciato a ripulire e a sistemare il teatro, dopo le gare. Per il teatro si udivano solo i rumori metallici delle funi e dei cavi elettrici che venivano smontati e risistemati dai vari operai. “ … così  … tu sei Vegeta …” finalmente, dopo interminabili attimi di silenzio, Vegeta Senior ebbe il coraggio di parlare. Vegeta annuì leggermente, sempre mantenendo lo sguardo basso. Altro silenzio. “H – ho visto la vostra esibizione … siete stati … grandi. Hai una voce davvero bella …”  disse di nuovo il signor Sayan. Vegeta non disse niente. “Anche quella ragazza con i capelli azzurri … quella che ha cantato insieme a te … ha una voce pazzesca.” Continuò l’uomo. A quelle parole, Vegeta sorrise leggermente, orgoglioso. “Dopo averla sentita supplicarmi come un’ossessa per convincermi a venire qui, non mi sarei mai aspettato di sentire una voce del genere uscire dalle labbra di quella ragazzina.” Vegeta ghignò leggermente. “Si beh, quando parla ha una voce a dir poco irritante. Però quando canta …” “Allora ce l’hai la lingua!” lo interruppe Vegeta Senior, sorridendo leggermente. Vegeta alzò lo sguardo, incontrando il volto di suo padre. Sorrise leggermente anche lui. “Senti, so che tutto questo è a dir poco assurdo …” riprese poi serio il padre di Vegeta. “Ma a quanto ho capito, tu sei mio figlio, ed io sono tuo padre.” Disse. “Perciò, visto che non so niente di te … che ne dici di parlarmi un po’ di te?” chiese speranzoso. Vegeta sgranò gli occhi. “Sai, vorrei conoscere mio figlio …” disse il Signor Vegeta, con un lieve sorriso.


“ … e questa è tutta la mia vita.” concluse Vegeta, con un profondo sospiro. Lui e suo padre si erano seduti su due delle poltroncine della platea del teatro vuoto, e in un impeto di coraggio, Vegeta aveva raccontato a suo padre tutto ciò che lo riguardava, permettendogli così di conoscere quei diciassette anni di vita persi. Non aveva proprio detto tutto tutto, ad esempio non si era soffermato molto sull’argomento “Bulma”, in quanto lo mettesse in imbarazzo parlare del fatto che fosse fidanzato. Anzi, non disse nemmeno che stavamo insieme, limitandosi a descrivermi come una figura come le altre, anche se onnipresente in quanto raccontato.  Vegeta Senior prese un profondo respiro. “Wow …” riuscì solo a dire. “Non credevo che … insomma la tua vita è …” “Assurda.” Rispose Vegeta in tono piatto. Suo padre scosse la testa. “No, affatto. Stavo per dire incredibile.” Vegeta alzò lo sguardo su di lui, sorpreso.  “Sai Vegeta, sono felice di avere un figlio come te.” Disse Vegeta Senior dopo pochi istanti. Un fremito scosse la schiena di Vegeta. “E adesso?” chiese tremante il ragazzo. Lui sospirò. Era chiaro, dovevano guardare in faccia alla realtà. “Vegeta, devo dirti la verità; forse già lo sai, ma io sono sposato. Ho anche due figli, due bambini piccoli e …” “E io non c’entro niente …” lo interruppe Vegeta. Suo padre sospirò. “Non è questo. Il fatto è che … insomma, è tutto così complicato … ho scoperto da una settimana di avere un figlio di diciassette anni, e questo fatto mi ha scombussolato la vita … non fraintendermi, vorrei tanto prenderti con me, come è giusto che sia, ma …” “Ma non è giusto per tua moglie e per i tuoi figli. Lo so, ti capisco.” Lo interruppe Vegeta. Vegeta Senior sorrise leggermente. “Perciò resta tutto così, d’accordo?” chiese lui, cercando l’approvazione del figlio. Vegeta continuò a guardare la poltroncina dinanzi a sé. “Si, resta tutto così.” Disse sicuro, cercando di nascondere la delusione. Vegeta Senior sorrise. “Bene. Ah, spero non penserai però di liberarti tanto facilmente di me.” disse ambiguo. Vegeta spalancò gli occhi, guardandolo confuso. “Ho intenzione di rivederti, figliolo. Possiamo incontrarci quando vuoi, in qualsiasi momento. Io sono qui.” Disse, sorridendogli leggermente. Gli porse un bigliettino da visita. “Questo è il mio numero. Mi raccomando, usalo.” Disse, facendogli l’occhiolino. Ancora stordito, Vegeta prese il bigliettino, rigirandoselo tra le dita. Proprio in quell’istante, arrivammo anche tutte noi Voci fuori dal coro, che dopo esserci cambiate, eravamo pronte per il ritorno a casa. Ovviamente, dopo che Vegeta avrebbe finito di parlare con suo padre. “Ahhh ragazzi, ho una fame da lupi!” esordì Goku , procurando l’ilarità di tutti, e calamitando l’attenzione dei due seduti in platea su di noi. Vedendo il gruppo muoversi e dirigersi verso l’uscita, Vegeta Senior capì che era arrivato il momento di andare. “Bene, credo tu debba andare.” Esordì alzandosi in piedi e poggiando una mano sulla spalla di Vegeta. Lui lo guardò annuendo, stringendo ancora il bigliettino da visita tra le dita. Vegeta Senior scorse con gli occhi le facce di tutti noi presenti, che nel frattempo eravamo intenti a rimproverare Goku per il suo appetito sconsiderato. Solo io continuavo a fissare Vegeta e suo padre, curiosa di quale fosse stato l’esito dell’incontro. Guardandomi, Vegeta Senior sorrise leggermente, abbassandosi poi all’altezza di Vegeta, ancora seduto. “Ah, non mi hai detto una cosa figliolo. Quella Bulma, la ragazzina che è venuta a parlare con me …” si fermò un attimo. “è la tua ragazza, giusto?” chiese poi malizioso. Vegeta arrossì fino alla radice dei capelli, balbettando qualcosa di incomprensibile. Alche, suo padre scoppiò a ridere di fronte a tale imbarazzo. Tornò poi serio, continuando a guardare ora me, ora Vegeta. “Da quel poco che ho potuto capire parlando, anzi discutendo, con lei, mi sembra una ragazza incredibilmente decisa e … con una grinta spaventosa. E poi, è davvero una bella ragazza …” continuò leggermente malizioso, facendo arrossire ancora di più Vegeta. Suo padre sorrise, guardando poi suo figlio negli occhi, serio. “è grazie a lei se oggi sono qui. È una ragazza incredibile. Non lasciartela scappare, tienitela stretta …” gli disse, prima di alzarsi nuovamente in piedi. “Bene, direi di andare. Mi ha fatto piacere conoscerti, figliolo.” Disse, posando una leggere pacca sulla spalla a Vegeta, che intanto si era alzato in piedi. Vegeta sorrise, osservando suo padre incamminarsi verso l’uscita del teatro. “Anche a me, papà. Anche a me.” sussurrò tra sé e sé, vedendo la chioma di suo padre, così simile alla sua, scomparire dietro la porta d’ingresso.


“Ehy …” mi avvicinai a Vegeta, osservando nel contempo suo padre andarsene. “Ehy …” Lui mi rispose, senza però distogliere lo sguardo dalla porta. “Com’è andata?” chiesi speranzosa di ricevere informazioni positive. Vegeta sorrise leggermente. “è andata bene.” Disse semplicemente. Sorrisi entusiasta, desiderosa di altre curiosità. “E cosa vi siete detti?” chiesi infatti, curiosa. Lui mi lanciò un’occhiata stizzita, prima di borbottare. “Tsk! Che ti importa? Imparerai mai a farti gli affari tuoi?!” disse, cercando di nascondere un sorriso divertito. Misi su un leggero broncio, tipico di una bambina a cui vengono negate le caramelle. “Antipatico!” sbottai infatti, facendogli la linguaccia. A quella mia reazione, sorrise divertito, e ridacchiando leggermente, si avvicinò a me. “Ahh, vieni qui, piccola gallina isterica!” disse divertito, prima di cingermi in un abbraccio inaspettato. Rimasi per alcuni attimi interdetta, stupita da quel gesto. Vegeta non mostrava mai segni d’affetto in pubblico, perciò mai mi sarei aspettata che proprio ora, di fronte a tutti i nostri amici e al professor Dawson, compisse un tale gesto di sua spontanea volontà. Ma anziché perdermi in assurde elucubrazioni, decisi di ricambiare anche io l’abbraccio,posando il capo sulla spalla di Vegeta. “Grazie.” Mi sussurrò dopo pochi attimi all’orecchio. Io sorrisi intenerita. “Non c’è di che …” risposi in un sussurro. “Ah, e per la cronaca ti ordino di non avvicinarti mai più a casa di mio padre.” Disse poco dopi attimi lui. Strabuzzai gli occhi. “Per quale motivo?” chiesi confusa. “Ha fatto diversi apprezzamenti su di te prima, e non vorrei scoprire di avere un potenziale stupratore come padre, specialmente non ho intenzione di scoprirlo per causa tua. Perciò l’unica casa di essere vivente maschile che potrai frequentare, sarà solo la mia. Chiaro?” concluse serio. A quella sua implicita dichiarazione di gelosia, scoppiai a ridere felice. “Va bene, va bene, puoi stare tranquillo. Non andrò da nessuna parte. E poi, io sono già tua, ricordi?” dissi tra le risate, tornando poi seria. Lui annuì leggermente. “Si. Per sempre e fedelmente.” Disse. Io lo strinsi maggiormente a me. “Per sempre e fedelmente …” ripetei in un sussurro.
 

“Forza ragazzi muovetevi! Andiamo, è tardi!” urlai come un’ossessa per i corridoi della scuola. Alle mie spalle, tutti i miei amici correvano all’impazzata, come me, incuranti del fatto che potessimo così rovinare i nostri amati abiti. Era passata una settimana dal nostro ritorno a casa dopo le Nazionali. Una settimana da quando a scuola eravamo diventati qualcuno. Perché quando quel giorno di sette giorni prima, entrammo a scuola tutti insieme, con il nostro trofeo in mano, non mi sarei mai aspettata di udire quegli applausi. Si, applausi. Metà scuola si era radunata nell’atrio principale, e al nostro ingresso, erano scoppiati in un boato di applausi e cori di vittoria. Sconvolti ed increduli, ci eravamo goduti quello spettacolo con le lacrime agli occhi, al solo pensare che un anno prima, come accoglienza avremmo ricevuto al massimo delle granite in faccia. E adesso, dopo sette giorni dalla nostra vittoria alle Nazionali, un’altra vittoria si prospettava dinanzi a noi studenti. La fine della scuola. L’ultimo giorno era arrivato, e con esso, anche il tipico discorso di fine anno tenuto dal Preside Muten nell’Auditorium della scuola. Ma non ci sarebbe stato solo il discorso. L’ultimo giorno di scuola infatti, veniva anche eletto “L’insegnante dell’anno” all’interno del corpo docenti. E indovinate a chi fu conferito il tanto ambito premio, quel giorno? Si, proprio a lui. Il nostro caro Professor Dawson era stato eletto insegnante dell’anno, per la gioia di tutti noi. Per l’occasione, noi Voci fuori dal coro avevamo preparato una sorpresa, e nel cambiarci poi d’abito, avevamo fatto tardi. Fasciati nei nostri eleganti completi da gara, gli stessi che avevamo indossato alle Nazionali, ci stavamo dirigendo di corsa verso l’Auditorium, correndo per i corridoi vuoti della scuola. Pochi secondi dopo, arrivammo di fronte al portone dell’Auditorium, e spalancandolo, ci rendemmo conto con grande sollievo, che il Preside Muten era ancora intento a sciorinare il suo discorso. Con il fiatone, ci incamminammo tra i vari posti occupati dagli studenti, che ci guardavano incuriositi, alla ricerca del nostro insegnante. Lo trovammo seduto tra le prime file, di fianco alla signorina Videl. Fasciato in un elegante completo blu, batteva a terra i piedi, divorato dal nervosismo. Alzò lo sguardo, e vedendoci arrivare esclamò: “Ragazzi! Ma dove eravate finiti, tra poco consegneranno il premio …” disse, agitato. Con il fiatone, risposi io per tutti. “Avevamo una cosa da fare. Ma non si preoccupi; non ci saremmo mai persi la sua premiazione.”  “Ah, vedo che le Voci fuori dal coro sono arrivate!” esclamò una voce amplificata dal microfono, espandendosi per tutto l’Auditorium. Ci voltammo in contemporanea verso il Preside Muten, che dal palcoscenico sorrideva entusiasta. “Direi allora che possiamo dare il via alla premiazione. Prego ragazzi, venite qui.” Disse, invitandoci a raggiungerlo sul palco, informato dalla nostra idea. Il professor Dawson ci guardò confuso raggiungere il palcoscenico, chiedendosi cosa stesse per accadere. Il Preside Muten mi porse il microfono sorridendo ebete, e lanciando un’occhiata un po’ troppo intensa alla scollatura del mio abito. Occhiata che non sfuggì allo sguardo di Vegeta, che fulminò con gli occhi il Preside, invitandolo calorosamente a rivolgere altrove la sua attenzione. Sorrisi leggermente, prima di avvicinare il microfono alle mie labbra. “Ehm, salve a tutti. Come sapete noi siamo le Voci fuori dal coro, e il professor Dawson è il nostro insegnante. Ad essere sinceri, non è stato solo un insegnante per noi, chi conosce la nostra storia potrà confermare che per noi è stata la nostra ancora di salvezza.” Presi un respiro. “Non voglio annoiarvi con chiacchiere inutili o altro, anche perché non siamo qui per parlare. Siamo qui per consegnare un riconoscimento al nostro mentore e … beh, noi conosciamo solo un modo per farlo.” Dissi, sorridendo complice ai miei amici. “Professor Dawson, questo è per averci salvato la vita. Questo è per lei.” Dissi, prima di posare il microfono e di avvicinarmi a tutti i miei amici, già disposti in ordine. Lanciai un’occhiata a Vegeta, al mio fianco. Lui accennò il suo mezzo sorriso, quello di sempre, sempre lo stesso e pure diverso ogni volta. E poi, iniziò a cantare. (https://www.youtube.com/watch?v=DSdJvNiKtkU esibizione)

Vegeta:
I've paid my dues 
Time after time 

Il pubblico sorrise, riconoscendo la canzone. “We are the champions” dei Queen. Cos’altro potevamo cantare in un momento come quello? Eravamo davvero i campioni. Finalmente, siamo i campioni.

Goku:
I've done my sentence
But committed no crime 

Chichi:
And bad mistakes
I've made a few

 
Il professor Dawson sorrise emozionato. Era incredibile come i suoi ragazzi riuscissero sempre a stupirlo …

Bulma:
I've had my share of sand kicked in my face 
But I've come through
Tutti:
And we need to go on and on and on and on

Vegeta:
We are the champions 
My friends


Ed eccolo, il nostro canto di vittoria. Con un’energia incredibile, Vegeta attaccò il ritornello del nostro inno di ringraziamento al nostro insegnante. Lo stavamo ringraziando, per averci reso dei campioni.


Bulma:
And we'll keep on fighting 
Till the end 

Tutti:

We are the champions 
We are the champions

Bulma:

No time for losers
'Cause we are the champions 

Vegeta:

Of the world!

Il pubblico stava già andando in visibilio, dinanzi agli occhi emozionati e stupiti del nostro insegnante, che continuava a fissarci commosso. I suoi alunni lo stavano proclamando vincitore, campione. E grazie a loro, si sentì davvero vincitore.


Crillin:
I've taken my bows
And my curtain calls 
You brought me fame and fortune and everything that goes with it 
I thank you all



Quando fu poi il turno di Crillin di cantare la sua strofa, io e Vegeta ci scambiammo un’occhiata d’intesa. In un attimo, Vegeta partì alla volta della platea, e scendendo dal palcoscenico, tra gli applausi entusiasti dei presenti, si avvicinò al professor Dawson, invitandolo ad alzarsi e portandolo con sé sul palcoscenico.

C18:
But it's been no bed of roses
No pleasure cruise

Bulma:
I consider it a challenge before the whole human race 
And I ain't gonna lose 

Tutti:
And we need to go on and on and on and on
 
Salendo sul palcoscenico, il professor Dawson ci guardò emozionato. Si avvicinò a noi, e ad uno ad uno, ci abbracciò, mentre noi continuavamo a cantare. Sorrideva riconoscente, con le lacrime agli occhi. Non solo lui aveva aiutato noi, ma anche noi avevamo dato qualcosa a lui, permettendogli di capire davvero quale fosse il vero senso della vita, e cambiandogli la vita. Ah, ovviamente in meglio.

Vegeta:
We are the champions 
My friends

Bulma:
And we'll keep on fighting 
Till the end

Tutti:

We are the champions 
We are the champions
 
Abbracciò ognuno di noi con una tale gratitudine affetto impossibile da descrivere. Ci stringeva a sé, mentre imperterriti continuavamo ad intonare il nostro canto di vittoria, mentre il pubblico andava in visibilio, mentre molti si commuovevano. Mentre noi dichiaravamo di essere i campioni.

Bulma:
No time for losers
'Cause we are the champions 
 
Prendendolo poi per mano, C18 e Chichi condussero il professor Dawson al centro del palco, dove sorridendo gli consegnarono il suo premio. Il professore lo strinse a sé, commosso ma allo stesso tempo felice, come non mai.

Vegeta e Bulma:
 
Of the world!


Tutti:
We Are 
Champions!
Of The 
World!

 
E così, dando libero sfogo alle nostre corde vocali, io e Vegeta intonammo il nostro of the world! Mentre tutti gli altri si proclamavano per un’ultima volta vincitori. Ci stringemmo al professor Dawson, e stretti a lui, intonando le ultime note del brano, sorridemmo felici, quando il professor Dawson sollevò in aria il suo riconoscimento, sorridendo vittorioso. E mentre il pubblico esultava impazzita, il professor Dawson continuò a tenere alto il suo trofeo, il nostro trofeo. Il simbolo che per noi era il miglior insegnante al mondo. Ma a noi, non serviva un pezzo di legno e d’oro, per attestare ciò. Ci bastava essere stretti al nostro professore, ad intonare insieme “We are the champions” di fronte ad un’intera scuola impazzita per noi, una scuola che fino ad un anno prima non era nemmeno a conoscenza della nostra esistenza. Mentre adesso ce l’avevamo fatta. Eravamo diventati dei campioni. Noi siamo i campioni. We are the Champions.


Nota Autrice:
Buondì gente! Eccoci arrivati al penultimo capitolo della long! Eh si ragazzi, vi annuncio che il prossimo sarà l’ultimo capitolo di questa avventura, ovvero l’ epilogo finale. Vi anticipo però che vi lascerò con un finale piuttosto aperto e che insomma … va beh, lo scoprirete al prossimo capitolo. ;) Vi ringrazio già da ora per l’attenzione e per le vostre recensioni, ma tranquilli, i ringraziamenti vi aspettano al prossimo capitolo. ;)
Ancora grazie e al prossimo capitolo!
Bacioni
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Capitolo 43
*** Epilogo - Una storia da scrivere ... ***


“Ragazzi, venite un attimo!” il professor Dawson corse verso l’aula canto, con il suo riconoscimento in mano. “Professore aspetti!” urlammo noi, correndo ansanti dietro di lui. “Dai, muovetevi!” ci richiamò lui, voltandosi verso di noi. Lo raggiungemmo dopo uno scatto finale, trovandolo dinanzi la porta dell’aula canto.”Professore, tra pochi minuti suonerà la campanella … perché siamo venuti qui?” chiese Goku confuso. Le labbra del professor Dawson si aprirono in un largo sorriso. “Perché c’è una cosa che dobbiamo fare, prima di lasciare questa scuola per l’estate …” rispose ambiguo, aprendo nel mentre la porta. “Avanti, entrate …” ci incitò. Noi guardammo curiosi l’interno dell’aula dalla soglia della porta. La luce era spenta, perciò vi era solo una flebile illuminazione prodotta dalla luce solare che filtrava da una piccola finestrella. Timorosi, entrammo in aula, riconoscendo le ombre degli strumenti e delle vecchie sedie di sempre. Tutto come al solito. In un attimo poi, le ombre smisero di essere tali, scoprendosi illuminati dalla luce artificiale di una lampadina.  Sbattei le palpebre un paio di volte, prima di abituarmi alla luce elettrica. E in quel momento, dinanzi a nostri occhi scoprimmo qualcosa che ci incuriosì. Sopra al vecchio pianoforte a coda, stavolta non vi era seduto il professor Dawson, bensì vi era qualcos’altro. Una decina di bicchieri di plastica riposti accuratamente in fila, ricolmi di una strana sostanza colorata, diversa in ogni bicchiere. Rosse, gialle, viola, verdi … erano … “Professore ma cosa significa? Perché vuole offrirci una granita?”  chiese Goku spaesato, grattandosi la nuca confuso. Il professor Dawson scoppiò a ridere, avvicinandosi a noi, che intanto continuavamo a fissare le granite confusi. “No, non vi sto offrendo una granita. Ah, comunque se poi ne vorrete prendere un’altra, la pagherò senz’altro io.” disse il nostro insegnante sorridendo divertito. “Continuo a non capire …” disse invece Vegeta stranito. Il professor Dawson ridacchiò leggermente, scuotendo il capo. “Tranquilli, adesso vi spiego. Queste granite hanno un significato particolare per voi …” “Beh, ce le hanno tirate addosso per tutto l’anno …” lo interruppe C18. Il professore sorrise. “Esatto. Ecco, per tutto l’anno avete dovuto sopportare insulti, cattiverie e … granite di ogni tipo. Oggi ce l’abbiamo finalmente fatta, siamo riusciti a farci valere. Ma stavo pensando che effettivamente, nonostante anche io ne abbia passate tante, non riuscirò mai a capire davvero tutto quello che avete provato fino ad oggi  adesso, se permettete, vorrei provarci.” Concluse serio. Lo guardammo straniti, non capendo ancora cosa volesse dire. Il professore allargò le braccia, serrando gli occhi. “Forza, tocca a voi adesso.” Eravamo ancora più confusi di prima. “Tocca a noi fare cosa?” chiesi infatti. Il professore aprì gli occhi, guardandoci ad uno ad uno. Sorrise poi. “Lanciarmi le granite in faccia.” Questa volta, fummo noi a spalancare gli occhi. “Ma professore, sta scherzando?” sbottò Chichi sbigottita. Il professore rise. “Affatto. Ve l’ho detto, voglio provare anche solo un minimo di tutto quello che avete dovuto sopportare voi quest’anno. E poi …” si fermò un attimo. “Non siete curiosi di sapere come ci si sente ad essere dall’altra parte ogni tanto? A tirare e non ricevere granite?” sorrise allegro, rassicurante. Alche, anche noi ci lasciammo contagiare dalla sua gioia. Ridacchiando, afferrammo ognuno un bicchiere dal pianoforte. Io scelsi la granita al mirtillo. La mia preferita. “Professore, ma per il suo vestito? Si macchierà!” esclamò Chichi con il bicchiere in mano. Il professore sorrise. “Oh, non preoccupatevi del vestito. Nessun abito costoso vale un momento passato con voi …” disse, procurandoci un tenero sorriso in viso. “D’accordo, come vuole lei …” disse Yamcha, ridacchiando. Il professore annuì, deciso. “Bene.  Sono pronto.” Disse serio, chiudendo nuovamente gli occhi, e con le braccia spalancate, pronto a ricevere al meglio la doccia ghiacciata. Noi tutti ci guardammo un attimo, scambiandoci un’occhiata furbesca. “Lo ha voluto lei, professore …” disse Vegeta, ghignando. “Uno …” iniziai io il conto alla rovescia. “Due …” continuò Chichi. “Tre!” nel momento in cui tutti quanti urlammo in coro il numero, la campanella al di fuori dell’aula suonò trillante, segnando la fine dell’anno scolastico. Nello stesso istante in cui tutti gli studenti urlavano e festeggiavano dinanzi al cortile esterno, noi lanciammo la granita al povero Professor Dawson, tutti insieme, colpendolo in pieno. Il professor Dawson si ritrovò in un attimo inondato da una scarica di ghiaccio colorato e acqua dolciastra dalla testa ai piedi. Fece una smorfia indecifrabile, mentre scrollava le spalle zuppe. Ma non appena sentì le nostre risate espandersi per l’aula canto, aprì gli occhi, trovando tutti noi piegati in due dalle risate. Sorrise anche lui, e scoppiando a ridere a sua volta, ci cinse tutti quanti in un grande abbraccio. “Ahh venite qui ragazzi …” “Allora professore, come è stata la sua prima granita in faccia?” chiesi io sorridendo, in mezzo all’abbraccio. Il professore ridacchiò. “Beh, devo dire che avete ragione … me la sono cercata!” disse, causando l’ilarità di tutti. “Ma lo rifarei altre mille volte … se questo significa esservi un po’ più vicini …” confidò serio il nostro insegnante, una volta scemate le risa. Noi lo guardammo con gli occhi lucidi. “Vi voglio bene ragazzi.” Confessò staccandosi dall’abbraccio e guardandoci negli occhi. Noi annuimmo emozionati. “Anche noi, professore …”


 Qualche mese dopo … Oggi


E così, si conclude la storia delle Voci fuori dal coro. Beh, dirvi così non sarebbe corretto. Sono passati tre mesi da quell’ultimo giorno di scuola di inizio giugno. È passata un’intera estate da quando ce l’abbiamo fatta. E, sembra una delle solite frasi fatte, ma questa è stata l’estate più bella di tutta la mia vita. Perché non ero sola. Perché ero con coloro che mi hanno cambiato la vita, e che posso dire, sono la mia vita. ero con Vegeta, con Chichi, con tutte le Voci fuori dal coro. vorrei raccontarvi  di come abbia passato questi mesi, tra giornate in spiagge, serate in riva al mare intorno ad un falò, con le chitarre e i bastoncini di maschmellow  in mano. Vorrei raccontarvi di quando io e Vegeta abbiamo rifatto l’amore su una collina, sotto la luna e un cielo pieno di stelle comete. Che poi, a pensarci bene quella sera non avevo espresso nessun desiderio. Avevo già tutto, ero finalmente felice. Il mio sogno si è realizzato. Vorrei raccontarvi tutto, ma credo che vi annoierei, o meglio, impiegherei troppo tempo per descrivere tutto quel tripudio di emozioni che ha accompagnato la mia estate. Vi parlo di oggi, se vi va. Vi descrivo di come questa mattina mi sia alzata alle sette in punto, imprecando contro la sveglia, non più abituata a quegli orari tanto mattutini. Vi racconto di come poi ho sorriso come un ebete, pensando che quel giorno sarebbe ricominciata la scuola. Ogni ragazzo normale avrebbe sbuffato dinanzi a quella ricorrenza. Io invece no. No, perché l’inizio della scuola significava anche  un’altra cosa. Il Glee Club. Il Glee Club è l’unica certezza. E la certezza che quell’aula canto avrebbe ospitato noi Voci fuori dal coro per altri due anni, fino al termine del liceo, mi ha dato la carica per incamminarmi tutta pimpante verso la Orange High School. Adesso sono seduta sotto la mia solita quercia, nel cortile del liceo, e penso a come la mia vita sia cambiata. Penso che senza il Glee Club, probabilmente adesso non sarei qui a raccontarvi tutta la mia vita. e penso anche, che se questa mattina avessi dormito un po’ di più, non mi sarei ritrovata così presto a scuola, sotto la mia quercia, a rivivere un intero anno di vita come in un flashback. E che non l’avrei raccontato a voi. e penso anche che rivivere tutto quello che mi è successo in questo anno, così solo col pensiero, mi ha fatto più bene di quanto credessi. Sorrido leggermente a questi miei pensieri, e per un attimo non mi rendo nemmeno conto che qualcuno si è seduto di fianco a me. solo quando parla, me ne accorgo. “Come mai sei già qui? Da quando sei così mattiniera?” sobbalzo spaventata, voltando il capo verso la provenienza di quella voce. “Vegeta! Mi hai fatto prendere un colpo!” esclamo, mentre attendo che le pulsazioni cardiache tornino a farsi regolari. Lui alza le spalle, prima di guardarmi con sguardo indagatore. “Ti ho chiesto una cosa, prima.” Ripete, serio. Sbuffò leggermente. “Mi sono alzata presto e sono venuta a scuola, tutto qui. E poi …” mi lascio sfuggire leggermente malinconica. “E poi …” mi incita Vegeta. sospiro pesantemente. “E poi avevo voglia di stare un po’ da sola a riflettere.” Dico, sorridendo leggermente. Vegeta continua a fissarmi impassibile. “A cosa stavi pensando prima?” mi chiede dopo attimi. “Mi stai chiedendo a cosa pensavo prima che tu arrivassi e mi facessi prendere un colpo?” chiedo serafica, con una punta d’ironia. “Esattamente.” Replica lui. Io alzo gli occhi verso il cielo. Inutile, Vegeta non cambierà mai. “Niente che ti interessi …” “Io credo di si invece. Eri raggiante, e avevi la tipica espressione ebete che hai quando mi guardi.” Mi rimbecca lui con un ghigno. Io arrossisco violentemente, consapevole di essere stata colpita e affondata. Stringo i pugni nervosa, reprimendo a stento un urlo. “Possibile che tu sia così egocentrico!?Guarda che il mondo non gira tutto intorno a te!” sbotto adirata, voltando il capo altrove. Lui continua a guardarmi impassibile. “A cosa stavi pensando?” mi richiede nuovamente. Mi lascio sfuggire un sospiro, rassegnata. “Pensavo a quanto la mia vita sia cambiata …” confesso alla fine, con un timido sorriso. Stavolta, lui non mi riprende col suo solito tono da sbruffone. Se ne sta semplicemente in silenzio. Da lontano riesco a percepire un chiacchiericcio indistinto, segno che gli altri studenti stanno arrivando, ma infondo non mi importa. Appoggio il capo sulla spalla di Vegeta, e pochi secondi dopo sento un leggero bacio sfiorarmi la nuca e miei capelli mossi dalle piccole carezze di Vegeta. Chiudo gli occhi, beandomi di quel contatto divenuto ormai un’abitudine. “Ci pensavo anche io …” sussurra Vegeta. io sorrido dolcemente. “Sai, mi sembra ancora incredibile. Ce l’abbiamo davvero fatta, siamo diventati qualcuno. E tutto questo in un solo anno …” Vegeta sorride leggermente. “Se in un anno siamo riusciti a cambiare la nostra vita, adesso che abbiamo altri due anni davanti, cosa faremo?” chiedo io, sollevando il viso verso quello di Vegeta. Lui accenna il suo mezzo sorriso. “Passeremo alla storia... anzi la riscriveremo …” dice. Io annuisco, sentendomi poi la testa penzolare nel vuoto. “Dai andiamo, è ora di andare.” Vegeta si è alzato in piedi e mi sta porgendo la mano. Io  lo guardo negli occhi, e sorridendo gliela afferro. In un attimo, mi sento tirata verso l’alto e mi ritrovo in piedi, dinanzi a lui. Mi perdo nelle sue iridi e in un attimo le mie labbra sono sulle sue, incontrandosi in un bacio dolce e delicato. “Andiamo.” Mi dice Vegeta, dopo esserci staccati controvoglia da quel contatto. Quando entriamo a scuola, mi ritrovo davanti un via vai di studenti affaccendati a correre tra un armadietto e l’altro. Vi è una confusione incredibile, ma nonostante tutto in mezzo a tutto quel disordine riusciamo comunque a vederli. Chichi, Goku, Yamcha e tutti gli altri stanno correndo verso l’aula canto come delle furie, e nel vederci ci urlano dall’altra parte del corridoio. “Vegeta, Bulma! Venite, andiamo!” urlano, entrando nell’aula canto. Io e Vegeta ci scambiamo un’occhiata divertita, e in uno slancio ci buttiamo di corsa verso l’aula can. La porta è aperta e al suo interno riusciamo a scorgere tutti i nostri amici già all’interno della classe, ridere e scherzare con il professor Dawson, stranamente già arrivato. Li guardo sorridendo, voltandomi poi verso Vegeta. Lui mi porge la sua mano, sorridendo leggermente. “Che dici, andiamo a scrivere la storia?”  mi dice, con il suo mezzo sorriso. Gli sorrido dolcemente, afferrando la sua mano decisa. “Andiamo a scrivere questa storia …” dico, entrando con lui in aula canto. Anzi, a casa nostra.


Nota autrice:
Ed eccoci arrivati all’ultimo capitolo di questa long. L’avventura è finita, ragazzi. Non riesco ancora a crederci, ma la storia è davvero finita. Dopo ben 43 capitoli, dichiaro Faithfully conclusa. Non vi nascondo, che ho gli occhi lucidi. Solitamente, nello scrivere una storia metto tutta me stessa, mi impegno al massimo, cercando sempre di lasciare un qualcosa di me in ogni mio lavoro. In questa storia, non vi è solo una parte di me, ma vi è tutto ciò che mi riguarda. Ci sono io, perché è una storia nata più dal cuore che dalla mente. E ci siete anche voi, che con le vostre recensioni, il vostro supporto e i vostri incoraggiamenti, avete reso possibile questa avventura.  Nello scrivere gli ultimi capitoli di questa storia, un’idea si è insinuata nella mia mente, e ho deciso di condividerla con voi. Probabilmente, Faithfully avrà un seguito. Non so dirvi il quando o il come questo avverrà, ma voglio dirvi che nella mia mente e nel mio cuore, le nostre Voci fuori dal coro stanno continuando la loro scalata verso la vita. E voglio che anche voi siate partecipi di questa crescita. Spero un giorno di riuscire a scrivere e a pubblicare il seguito di questa storia, fidatevi, ne ho davvero intenzione perché per me è davvero troppo importante. Ma per adesso, vi lascio a questa Faithfully. E vi lascio anche ai miei ringraziamenti verso coloro che con le loro recensioni mi hanno fatto commuovere, ovvero:

Lorelayne_kiri_chan16
galvanix
baby junior
Armstrong_92
BuddyStorm
ShenSon_07
Non ho parole per descrivere quanto mi sia affezionata a voi e quanto vi ringrazi per le vostre recensioni. Vi adoro, grazie di tutto.

Volevo ringraziare anche coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, ricordate e seguite, ovvero:

 Armstrong_92 
 - Katun92 
 - KidVegeta_99 
 - Kristen Cullen 
 - Lorelayne_kiri_chan16
 - Michelina99 
 - pastafrolla 
 - Pizee_01 
 - ShenSon_07 
 - Luss_94 
 - trekker_girl 
 - Yuri Ishtar 
 - Armstrong_92 
 - BuddyStorm 
 - galvanix 
 - JCMA 
 - Jolly2047 
 - KikkaBrunaCaroline 
kikkalove 
 - mantine 
 - trekker_girl 
 - venere7610 

Vi ringrazio ancora infinitamente per tutto. Questa era Faithfully, ragazzi. Spero che voi l’abbiate amata,almeno quanto io ho amato scriverla. Grazie ancora.

Don’t stop believing – Non smettete di credere.

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