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di Tati Saetre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Perché? ***
Capitolo 2: *** Non è possibile ***
Capitolo 3: *** Cambiamenti ***
Capitolo 4: *** Isabella ***
Capitolo 5: *** Zitella acida ***
Capitolo 6: *** Tesoro ***
Capitolo 7: *** Mike Newton ***
Capitolo 8: *** Emozioni ***
Capitolo 9: *** Mi sei mancata ***
Capitolo 10: *** Movimento ***
Capitolo 11: *** Le mie donne ***
Capitolo 12: *** Tutto fuori ***
Capitolo 13: *** Amore ***
Capitolo 14: *** Voglio esserci ***
Capitolo 15: *** Desiderio di Natale ***
Capitolo 16: *** Renée Dwyer ***
Capitolo 17: *** Cinque è il numero perfetto ***
Capitolo 18: *** Tradimenti ***
Capitolo 19: *** Tanya ***
Capitolo 20: *** Per sempre ***
Capitolo 21: *** Epilogo - Vi amo ***



Capitolo 1
*** Perché? ***


“Questo come mi sta

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Primo Capitolo – Perché

 

“Questo come mi sta?” Bella alzò gli occhi al cielo, guardando il completo blu notte che indossava Alice.

“Bene, tesoro. Come gli altri dieci che ti sei provata.” La mora sbuffò.

“Come sei noiosa. E’ arrivata la nuova collezione, e devo provarla io prima di venderla alle mie clienti. Bella soffocò una risata, continuando a sfogliare la sua agenda e prendendo appunti.

“E poi…” Continuò Alice, buttando un’occhiata fugace alla sua amica. “Come posso fidarmi di te, che nemmeno mi stai ascoltando?”

“Scusa.” Isabella chiuse l’agenda, lasciando la penna in mezzo. “Oggi ho il giorno libero, e la Galleria è in mano ad Angela.”

“Ti rendi conto che Angela è fantastica, vero?”

“Sì, lo so.” Bella si mosse sulla sedia, a disagio. “Ma… quella è la mia Galleria. Sono io che contatto gli artisti, espongo i loro quadri, li vendo. Se qualcosa va storto, ricade tutto su di me.

“E sai anche che Angela non manderà nulla a scatafascio, no? Quella ragazza è terrorizzata da te.”

“Non è vero!” Si lamentò Bella, alzandosi per andare a vedere una gonna esposta in vetrina.

Bells, tu terrorizzi tutti i tuoi dipendenti. Sei una perfezionista. Vuoi il meglio da loro, e quando sbagliano una virgola, tu li licenzi senza preamboli. Sarei terrorizzata anch’io se non ti conoscessi.

“Se lo dici tu.” Bella liquidò la faccenda, perché non era così.

Lei era Isabella Swan, laureata in Storia dell’Arte a pieni voti. Con i suoi sforzi si era aperta una Galleria d’Arte, e amava il suo lavoro. Okay, magari era una perfezionista. Ma non troppo.

“Dove sono le mie nipotine?” Bella cambiò immediatamente argomento, forse perché la sua migliore amica aveva ragione. Un po’.

“Con Esme. Fortuna che esiste mia madre. Con il lavoro, io e Jasper siamo in un mare di guai.

“Sai che puoi benissimo lasciarle anche a me.”

Bells, tu lavori più di noi due messi insieme.”

Alice Cullen lavorava in una boutique a New York, composta soltanto da capi di grandi marche. Mentre Jasper Hale, suo marito, era il direttore di una delle più famose catene alberghiere della città. E lavoravano entrambi nello stesso edificio.

“Non vedo l’ora di vederle. Quando ci organizziamo per quella cena?”

“Restiamo per sabato. Ah, ci sarà anche mio fratello.”

Ecco, ora sì che Bella poteva alzare gli occhi al cielo.

Edward Cullen era l’uomo più viziato, presuntuoso ed egoista che Isabella avesse mai conosciuto nella sua vita. E lo conosceva da dieci anni.

“Perché?”

“Perché è mio fratello, Bella. Perché deve vedere le sue nipotine anche lui. Perché io e Jasper non riusciamo mai a vederlo, anche se lavoriamo nello stesso edificio. Perché…” Alice guardò Bella, alzando le sopracciglia. “Lo sai che potrei continuare per sempre, vero?”

“Okay, okay. Ho capi-” Non finì la frase, perché il suo cellulare squillò.

Angela.

Bella alzò il telefono prima di rispondere, facendolo vedere alla sua amica. “Che ti avevo detto? Ora senti che guaio ha combinato.” Sì era proprio una pessimista.

Bella restò con il telefono premuto sull’orecchio per qualche minuto, poi, riattaccò.

“Cos’ha detto?”

“Ha detto che va tutto alla grande. Che ha venduto due quadri.” Rivelò, ancora con il telefono a mezz’aria.

Alice, in risposta, scoppiò in una fragorosa risata.

“Tesoro, nemmeno tu riesci a vendere due quadri in una giornata. Quella ragazza ti darà del filo da torcere. Bella sospirò pesantemente.

Quindi.” Alice prese la giacca della sua amica, insieme alla borsa e all’agenda, porgendogliele. “Ora esci di qui. E’ il tuo giorno libero, e non esiste che resti qui intorno per controllare Angela. Lei è perfetta, Bells. Devi ammetterlo.” Alice parlava a raffica, a volte senza fermarsi per respirare. E questo Bella lo sapeva bene. “Vai al Pub, da Jacob. Esci di qui, perché ci stai tutti i giorni, e non ti fa bene. Forza.” Le diede una lieve spinta sulle spalle. “Via. Sciò. Ci vediamo domattina.” Dicendo ciò, Alice cacciò praticamente la sua amica dalla boutique, chiudendola fuori.

“Ti voglio bene anch’io, Alice!” Disse, mentre la sua amica le tirava un bacio voltante da dietro la vetrata.

Bella si infilò la giacca a vento, mise l’agenda nella borsa e issò quest’ultima sulle spalle.

Con un passo felino e un tacco dodici, uscì dalle Twin Towers.

 

 

“Basta così.” Jacob Black tolse lo shot di tequila dal bancone, allontanandolo da Bella.

“E daaaai. Non sono ubriaca, Jake!” Jacob soffocò una risata, continuando a pulire il locale.

“Bella, sei qui alle nove di mattina, ubriaca.”

“Sono una donna in carriera, io. Non mi ubriaco.”

Jacob fermò per un attimo le faccende che stava per fare, guardandola.

“Ti conosco da quando sei nata, Isabella Swan. Vuoi che mi metta a ricordare tutte le volte che ti sei ubriacata?” Disse con ovvietà.

“Te l’ho detto, Jake.” Gli puntò un dito contro, un po’ traballante. “Io sono una donna in carriera. Mi ubriaco solo di sera. Mai di mattina.” E dopo quelle parole strascicate, Jacob scoppiò in una sonora risata, ritornando a pulire il suo locale.

Si conoscevano da quando erano bambini, lui e Bella. Lei viveva a Forks, e lui a La Push, lì vicino. Finché Bella non aveva avuto la brillante idea di trasferirsi a New York per frequentare il liceo, tornando a vivere da sua madre. Jacob la seguì, prima di iniziare l’Università. Erano inseparabili, due fratelli separati dalla nascita.

“Insomma… dov’è Leah?” Bella si tolse quei trampoli altissimi, appoggiando le gambe su uno sgabello vuoto.

“A casa. I bambini la massacrano.”

Isabella sospirò malinconicamente. “Che c’è?” Chiese Jake, avvicinandosi a lei.

“Sono un caso disperato, Jake.” Piagnucolò, con gli occhi lucidi.

“Oddio, ecco che arriviamo alla parte in cui l’alcool ti fa diventare una zitella isterica.”

“Ogni volta che vi vedo mi sento triste e felice.”

“Chi vedi? I fantasmi?” Bella diede un piccolo colpo con il pugno sul petto enorme di Jake.

“Non scherzare! Alice è la mia migliore amica, e guarda! Sposata con Jasper da nove anni. Si sono sposati dopo il liceo, Jake! Ed hanno due bambine bellissime! E guarda tu. Ti sei sposato tre mesi fa con una donna bellissima, e lei ora è a casa, in attesa di due gemelli. Ed io? Ho ventotto anni, Jacob. Non ho un fidanzato. Non mi passa neanche per la mente l’idea di trovarmi qualcuno e sposarmi. Cos’ho che non va?”

“Cos’hai che non va? Che tua madre ti mette talmente cose in testa, che ecco i risultati. Disse, indicandola. “Bella, tu sei una donna con le palle. Una che si è mantenuta da sola, per una vita intera. Stai bene, ora? Rispondimi.”

Bella annuì distrattamente.

“Ecco, questo è l’importante. L’uomo della tua vita arriverà, Bella. Lo sappiamo tutti e due, questo. Magari non ora. Magari invece, già lo conosci. Ed arriverà. Ora, goditi la vita da single, che rimpiangerai per sempre!” Era inutile chiedere un consiglio a Jacob, perché anche se diceva cose belle e profonde, andava a finire che sdrammatizzava sempre.

“Non si può parlare di niente, con te.” Gli diede un’occhiata minacciosa, che si trasformò in un sorriso.

Finché non senti il vociare della televisione, che prima era soltanto un rumore di sottofondo.

Attentato alle Torri Gemelle, crollata immediatamente l’area meridionale, WTC2. Si parla di attentato terroristico. Oh, aspettate! Un secondo aereo sta per attaccare  WTC1, Oh mio Dio!

La voce della giornalista, shockata da quello che vedeva, si perse fra i vari commenti delle poche persone che erano nel Pub, mentre a Jacob cadde una bottiglia di liquore, riversandosi per terra.

Bella continuava a fissare quel minuscolo schermo della TV, attaccato a pochi metri di distanza da lei.

Gli tornò in mente la domanda che Jacob le aveva fatto qualche minuto prima: . “Stai bene, ora? Rispondimi.”

Aveva detto di sì. Mentre ora, non stava bene per niente.

 

 

“Dove vai!” La voce di Jacob le arrivò distante, quasi fosse lontano mille metri da lei. Invece, era proprio lì. Riusciva anche a sentire la sua mano sul suo polso.

“Devo andare.” Disse appena, prendendo la borsa e correndo fuori.

New York era caotica, e lo sapeva bene. Un altro mondo, rispetto a Forks. Eppure, in quel momento, le sembrò di non aver mai abitato a New York.

Le persone correvano per la strada, ignari dei taxi e delle macchine che passavano. Altri urlavano. La maggior parte, aveva il telefono in mano.

Il Cellulare.

Bella tirò fuori il suo, componendo il primo numero che trovò in rubrica.

Alice.

Squillava. Ma Bella non ottenne una risposta. Riprovò, immobile in mezzo alla strada, ma nulla.

Angela.

Partì immediatamente la segreteria. Era colpa sua. Faceva spegnere i telefoni personali al lavoro. Non voleva distrazioni per i suoi dipendenti.

Jasper.

Jazz non rispondeva mai al lavoro. Mai. Bella provò ugualmente, ma la chiamata andò a vuoto.

Pensò che stava per vomitare, perché sentì il conato salirle proprio in gola. Anzi, stava per sven-

“Isabella! Isabel-” Nessuno la chiamava mai così. Anzi, solo una persona. “ISABELLA!” Alzò gli occhi, ritrovandosene davanti due verdi.

“Togliti dalla strada!” Le issò le spalle, spostandola di qualche metro.

Ma lei non parlava. Ancora immobile, fissava il viso di Edward.

D-dobbiamo andare.” Cercò di sorpassare Edward, schivando la sua spalla. Ma non ci riuscì. Edward la riportò indietro.

“Isabella, devi bere un bicchiere d’acqua. Entra dentro. Vai da Jacob.” Bella cambiò letteralmente colore, alzandosi sulle punte dei piedi… nudi.

“Alice e Jasper sono lì, Edward! Come posso tornarmene dentro?”

Cosa vorresti fare, eh? Andare a recuperarli tu stessa? Isabella, non puoi andare lì. Non possiamo!”

“COSA? Tu non sei normale, Edward.” Lo spintonò, facendolo arretrare di un passo. “Io vado lì. Alice è la mia migliore amica.” Scandì quelle parole, mentre sentiva gli occhi diventarle lucidi.

Edward questa volta la prese per le spalle, facendole quasi male.

“E Alice è mia sorella, Isabella. Jasper, mio cognato. Tutta la Cullen Media Group si trova lì dentro!” Alzò la voce, indicando il fumo che proveniva da… lì.

Bella aveva il suo lavoro, lì. La sua migliore amica. I suoi dipendenti.

Edward, aveva la famiglia. Avevano entrambi qualcosa da perdere, e per cui lottare.

“Entra da Jacob, Isabella.” Disse di nuovo, questa volta con più calma.

Lei non si mosse.

Perché capì.

Capì che 110 piani si sarebbero distrutti a domino. Portando tutti via.

Capì che forse, non c’era nulla da fare, se non aspettare, aspettare ed ancora aspettare.

Tolse le mani di Edward dalle sue palle, portandosele dietro il collo. Poi, si buttò sul suo petto, piangendo.

Perché aveva capito.

 

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Capitolo 2
*** Non è possibile ***


20 Settembre 2001

Secondo capitolo – Non è possibile

20 Settembre 2001

 

“Tieni.” Bella diede una tazza di tè ad Esme. “Stai attenta. E’ bollente.” Sussurrò, facendole una lieve carezza sulla testa.

Esme alzò gli occhi, stanchi e cerchiati dalle occhiaie. “Grazie, tesoro.”

Bella si allontanò, mettendo le mani dentro le tasche di quel cardigan nero che odiava. Le prudeva sotto la pelle nuda, ed aveva la fronte imperlata di sudore, perché aveva preparato tè bollente per tutti.

Si guardò intorno, soffermandosi sulle foto che ritraevano Jasper ed Alice insieme. Felici. E poi… quello che era accaduto poco più di una settimana prima.

 

“Non possiamo avvicinarci troppo.”

“Io voglio andare lì, Edward!”

Erano nella limousine di Edward Cullen, bloccati nel traffico di New York. Ma sapevano entrambi che quello non era un traffico normale.

Lui si tirò i capelli con entrambe le mani, esasperato. “Devi capire che non puoi fare niente, Isabella. Nemmeno se riusciamo ad arrivare al World Trade Center. La voce di Edward era ferma, sicura, senza esitazione.

Stettero in silenzio per minuti interi, finché la limousine frenò di botto, facendoli quasi cadere per terra.

Edward premette un pulsante in alto.

“Eric! Eric, che succede!” Parlava con l’autista.

I-io I-io!”

“Eric!”

“Signore, tiri giù il finestrino.”

Sia Bella che Edward tirarono giù i rispetti finestrini, mettendo la testa fuori. Fra il fumo che arrivava nella loro direzione, si resero conto che erano quasi vicini al World Trade Center.

Accorgendosi che WTC1 stava crollando alla velocità della luce, e poi, scomparve del tutto.

Come se non fosse mai esistito.

 

Bella si strofinò gli occhi, appoggiata alla parete bianca di casa Hale.

“Hai preparato bevande calde per tutti, senza preoccuparti per te.” Si ritrovò Jacob davanti, con una tazza fumante.

“Non ce la faccio, Jake.” Inghiottì il nodo che le si era formato in gola, scacciando con una mano la tazza che Jake teneva in mano.

Bells, non mangi da giorni.”

Non voleva toccare quell’argomento. Perché era vero. Non mangiava da giorni. Qualsiasi cosa ingurgitava, era per tenersi in piedi. Erano giorni che non faceva un pasto sano.

Lei alzò le sopracciglia, facendogli capire che non voleva.

Non voleva parlare di quello che mangiava o no, quando era successo quello che era successo.

Hey, guarda.” Bella alzò gli occhi, fissando quelli di Jake.

“Che c’è?”

Solo Alice poteva riuscire a farmi vestire in questo modo.” Fece un mezzo sorriso, indicando l’abito elegante che indossava, con tanto di giacca e cravatta.

 

Edward aveva lasciato la sua giacca in macchina, aveva tirato le maniche della camicia fino ai gomiti ed allentato la cravatta.

“Sono il dirigente della Cullen Media Group, posso sapere qualcosa?”

“Signore.” Un poliziotto gli si avvicinò, posandogli una mano sulla spalla. “Le conviene allontanarsi da qui, il prima possibile.”

“Voglio sapere!” Il poliziotto gli indicò un altro suo collega, in lontananza.

“Lì stanno prendendo i nominativi di tutti. Dei superstiti, delle vittime, di tutte le persone che sono dentro l’edificio. Ma signore, io le consiglio di nuovo di allontanarsi!” Edward nemmeno fece caso alle ultime parole che il poliziotto urlò, perché si precipitò dall’altra parte della strada.

 

“Stai bene?”

“Bella, non preoccuparti per me.” Ricevette un sorriso da Leah, mentre si abbassava di qualche centimetro per accarezzarle la pancia, ormai ben visibile.

Si allontanò di nuovo, entrando nella cucina vuota e sedendosi su uno sgabello. Lì c’era troppo silenzio. I pensieri non la lasciavano stare, bombardandole la testa.

No. No. Non si preoccupi. Sì, la aspetteremo qui. No, l’avvocato ancora non è arrivato. Signora, no. Glielo prometto, non parleremo con l’avvocato senza di voi. Va bene. Arrivederci.”

“Qualche problema?” Non aveva potuto fare a meno di ascoltare la conversazione di Edward.

Lui sospirò, allentandosi la cravatta. Era una cosa che faceva sempre, quando era agitato.

“Gli aeroporti sono ancora bloccati.” Annunciò. “I genitori di Jasper non riescono ad arrivare dal Texas.”

“Oh.”

 

Edward faceva scorrere il dito su quella lista di nomi infinita, senza trovarne uno di sua conoscenza.

A

B

C

D

E

F

G

H

I

Tornò su.

H … Hale.

“Jasper!” Non si rese conto di aver pronunciato il nome ad alta voce, finché Bella non arrivò al suo fianco.

“Cosa? Cos’hai detto? Hai trovato Jasper?”

Il dito di Edward era ancora lì, puntato su quel cognome.

“Edward!” Bella lo strattonò per un braccio, facendole girare nella sua direzione.

“Dov’è? Voglio vederlo! Edward, cazzo!”

“Non ho detto che Jasper è vivo.” Sussurrò appena.

 

“Vuoi una tazza di tè?” Edward rise, scuotendo la testa.

“No, grazie.”

“Okay.”

Si sedette sullo sgabello vuoto accanto a Bella, posando la schiena sul piano cottura.

“Come stai?” Questa volta, fu Bella a soffocare una risata amara. “Una domanda di merda, eh?” Continuò Edward.

“Alice è riuscita a far indossare uno smoking a Jacob.” Disse, poi, indicò loro due. “E guardaci. Noi due, in una stanza da soli, a parlare. Pagherebbe oro, per vedere una cosa del genere. Sussurrò infine, mentre la voce si arrochiva.

Edward le passò un braccio sulle spalle, attirandola a sé.

“Ritornerebbe qui soltanto per vedere una cosa del genere. Poi, se ne andrebbe di nuovo con un ve l’avevo detto io, che potevate andare d’accordo’.” Bella soffocò una mezza risata nel petto di Edward, mentre lui imitava la voce di sua sorella.

Perché quello gli era rimasto.

Jasper non c’era più. E con lui, nemmeno Alice.

 

22 Settembre 2001

 

Isabella bussò lentamente, e senza sentire una risposta, entrò cautamente nella stanza.

Era piena di fiori, bigliettini d’augurio per una pronta guarigione ed una ragazza dai lunghi capelli neri era sdraiata in un letto, proprio al centro.

Bella posò i fiori nuovi sul comodino, prendendo quelli vecchi e buttandoli nella spazzatura.

Mmh.”

Hey.” Sussurrò appena, avvicinandosi alla ragazza. “Non volevo svegliarti, scusa.”

“Non preoccuparti.”

“Come ti senti?” Bella le accarezzò la fronte, per poi sedersi su una sedia lì a fianco.

Meglio. Il Dottore ha detto che la prossima settimana potrò tornare a casa.

“E’ fantastico, Angela.”

Ma dovrò tornare tutte le settimane, per la fisioterapia.”

Angela era sopravvissuta.

Ed ora era lì, su un lettino d’ospedale, con una gamba in meno.

“Tesoro, stai tranquilla.” Le disse Bella, vedendo che i suoi occhi diventavano lucidi.

“Lo so. So anche di essere una delle persone più fortunate al mondo, Bella. Eppure…” Non finì la frase, perché il cellulare di Bella iniziò a squillare.

Lo tirò fuori dalla tasca, e senza vedere chi fosse, fece per spegnerlo.

“No, Bella. Rispondi. Si può trattare di qualsiasi emergenza.” Annuì, riprendendo il cellulare in mano.

“Pronto.”

“Isabella.” Edward.

Hey. Che succede?”

“Potresti venire a casa di mia madre?” La sua voce era incerta.

“Che succede?”

“Vieni e basta.” Edward le attaccò praticamente in faccia.

“Problemi?” Le domandò Angela.

“Non lo so, ma devo andare. Passo domani, promesso.” Le schioccò un bacio in fronte, uscendo dall’ospedale.

Cosa diamine voleva Edward Cullen da lei?

 

 

Hey.” Isabella trovò Edward in giardino, con le maniche della camicia fino ai gomiti, senza giacca e con la cravatta allentata.

Flashback.

In quel momento, però, teneva una sigaretta accesa fra le dita.

“Da quant’è che fumi?”

“Da sempre.” Disse lui, scoccandole un’occhiata. “Entra. C’è Esme, Carlisle, e i genitori di Jasper.

“Perché sono qui?”

“C’è anche l’avvocato, Isabella. Entra.” Questa volta era un ordine.

Bella issò la borsa sulle spalle, sorpassò Edward ed entrò in casa Cullen senza bussare.

Esme, Carlisle, la signora e il signor Hale erano seduti intorno a quell’enorme tavolo, mentre l’avvocato, era a capotavola.

“Ciao, tesoro.” Esme accennò un lieve sorriso, e Bella le rispose con un cenno della mano.

Si sedette dall’altra parte del tavolo, posando la borsa a terra.

“Lei deve essere la Signorina Swan.”

“Posso sapere perché sono qui?”

L’avvocato ed Isabella aprirono bocca nello stesso istante.

“Signorina Swan, io sono l’avvocato Denali.” Era un uomo sulla sessantina, capelli e barba bianca, in una posa austera.

“Sì. Ed io sono la signorina Swan, questo è chiaro.

Non le piacevano i giri di parole. Preferiva arrivare dritta al punto.

“Credo che nessuno l’abbia informata su quello che è successo, pochi minuti fa.” Bella guardò prima Esme, poi Carlisle.

No, nessuno le aveva detto nulla.

“No.”

“I signori Hale, appena sposati si sono recati da me, per parlare di alcune questioni.”

“Appena sposati?”

Bella si immaginò un’Alice di diciotto anni, appena uscita da Las Vegas con un abito comprato dieci minuti prima, e un Jasper di appena vent’anni con uno smoking di due taglie più grandi della sua.

Era stato un matrimonio fatto su due piedi. Jasper aveva avuto la brillante idea di chiederle la mano dopo la cerimonia del diploma, e lei aveva accettato su due piedi.

Quindi, si erano ritrovati novelli sposi in meno di una mezza giornata, con Isabella Swan ed Edward Cullen testimoni di quel gran giorno.

“Sì, signorina Swan. Avevano previsto ogni cosa, decidendo anche a chi sarebbe andata la loro casa e le bambine.

Isabella non sapeva a chi sarebbe andata quella villa enorme, frutto di anni di duro lavoro, situata nella periferia di New York. Eppure, sapeva benissimo a chi sarebbero andate le sue nipotine: ad Esme e Carlisle.

I genitori di Jasper vivevano in Texas, ed Alice non le avrebbe mai lasciate andare così lontano.

Ad Esme e Carlisle.” Disse, indicando le due persone proprio accanto a lei.

Esme aveva quarantacinque anni, e Carlisle ne aveva appena compiuti cinquanta. Avevano avuto Edward ed Alice da giovani, con appena due anni di differenza.

Lei era una mamma ed una nonna fantastica, mentre Carlisle, beh… era Carlisle.

L’avvocato Denali si rilassò sulla sedia.

“E’ questo il punto, signorina Swan: i signori Hale non hanno dato queste indicazioni.”

“Come, scusi?”

“Proprio così.” Aggiunse Esme, prendendo la mano di Isabella e portandola sul tavolo. Stringendola lievemente. “Alice e Jasper hanno lasciato un testamento, dove le bambine vanno a te e… a Edward.” Disse infine.

Bella passò in rassegna ogni volto in quella stanza, soffermandosi su quello di Edward, appoggiato allo stipite della porta a qualche metro da lei.

E l’unica cosa che pensò era che si sarebbe fumata volentieri quella sigaretta anche lei.

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Capitolo 3
*** Cambiamenti ***


“Toglitelo dalla testa

Terzo capitolo - Cambiamenti

22 Settembre 2001

 

“Toglitelo dalla testa. Non mi guardare così.” Edward puntò un dito contro Isabella, mentre usciva dalla casa dei suoi genitori.

L’avvocato se ne era andato da qualche minuto, mentre i signori Hale e i signori Cullen erano rimasti in casa, discutendo di quello che era appena successo.

Due settimane prima Isabella Swan era la dirigente di una delle più famose Gallerie d’Arte di New York. Ora, era una donna senza un lavoro e con due bambine sulle spalle.

Cosa dovrei togliermi dalla testa, Edward?” Lo sfidò, avvicinandosi di qualche passo.

Non aveva mai sopportato Edward Cullen. Al liceo era il capitano della squadra di basket, era fidanzato con la cheerleader più bella della scuola e lasciava una scia di ragazze innamorate dietro di sé. Mentre Isabella era piena di brufoli, occhiali spessi come il fondo di una bottiglia e qualche kilo di troppo. Il solito cliché.

Peccato che sembrava veramente una soap opera americana: lui la disprezzava e lei lo odiava. E questo odio reciproco durava da più di dieci anni.

“Amo Emma e Mia, Isabella. Immensamente. Ma la risposta è no. Non possiamo prenderci cura di loro. Siamo le persone meno adatte in questo mondo, per Dio!” Alzò le mani al cielo, esasperato.

Edward era arrabbiato con Alice.

Come aveva potuto fargli una cosa simile?

Isabella si stropicciò gli occhi. “Credi che io sia pronta ad una cosa del genere, Edward?” Disse, abbassando la voce. “Non lo sono. Non ho figli, e per quanto mi piacciano i bambini, ora non sono una mia priorità. Ma… Alice era la mia migliore amica, Edward. Tua sorella. E le ha lasciate a me. A noi. Cosa pensi che debba fare?”

“Lasciarle a mia madre.” La risposta di Edward era stata secca e precisa.

Bella scosse la testa. “C’è un motivo perché Alice e Jasper hanno deciso di fare una cosa del genere.”

“Un motivo che non ha il minimo senso, Isabella!” Quasi urlò, alzandosi le maniche della camicia fino ai polsi. “Non mi interessa cosa pensassero quei due quel giorno. Isabella, stiamo parlando di Jasper ed Alice. Due ragazzi di nemmeno venti anni che si sono sposati a Las Vegas. E che hanno avuto la brillante idea di lasciare le loro figlie a noi due. Indicò prima lui, e poi Bella.

Magari Jasper ed Alice non ci avevano pensato bene. Forse, avevano pronunciato i primi nomi che gli passavano per la testa.

“Adoro tua madre, Edward. Esme è una donna fantastica. Ma non posso lasciarle a lei, quando so che Alice ha voluto lasciarle a me. E’ come… tradirla.”

“Oh, fantastico.” Edward camminò avanti e indietro, prima di tornare davanti a Bella. “Vediamo se ho capito bene: vuoi crescere due bambine di sette e tre anni, da sola. Forse senza un lavoro, perché entrambi non sappiamo cosa succederà ora che abbiamo perso il vecchio. Senza nemmeno una casa in cui stare con le bambine, nulla. Tutto questo non ha senso, e lo sai anche tu.

“A casa di Alice e Jasper.” Disse Bella.

“Come?”

“Eri uscito. L’avvocato ha detto che Alice e Jazz hanno lasciato la casa a noi.

“Non ci credo.” Sussurrò Edward, esasperato.

“Lo vedi? Hanno pensato a tutto. Tutto.”

“Non posso prendermi questa responsabilità, Isabella. Il lavoro mi ucciderà, ora. Dobbiamo trovare una nuova sede, devo trovare un nuovo personale qualificato. Il lavoro è sempre stato e continuerà ad essere la mia priorità. Per quanto le ami entrambe, non posso.”

“Non sto dicendo che lo devi fare, Edward.” Disse Bella, mettendo una mano sopra la sua. “Devi solo mettere una firma, per fare in modo che sia solo io a prendermi cura di loro.  Le potrai vedere ogni volta che vorrai, non me la prenderò. Ma non posso lasciarle ai tuoi genitori. Sono sicura che Alice aveva un motivo valido, per fare una cosa del genere. Lascia solo… che me ne prendi cura io.”

Edward tolse la mano dalla sua, portandosela alla testa.

“E ce la farai? Crescere due bambine, da sola?”

“Sì, Edward. Ho dei soldi, un fondo che ho aperto anni fa. E poi, non ti chiederei mai niente. Ma lasciale a me. Non mettere in mezzo i tuoi genitori, o quelli di Jasper. Le cose andrebbero solo a finire male.”

“Sei sicura?”

Bella annuì, alla fine non molto sicura di quello che stava facendo.

Due bambine sotto la sua tutela. Per sempre.

“Resteremo a casa di Alice e Jasper. Affitterò l’attico in cui vivo ora. Non sarà un problema, Edward.”

Cercò di convincerlo, guardandolo fisso negli occhi e senza sbatterli.

“Okay.” Sussurrò infine lui. “Andiamo a dirlo ai miei.” Ed insieme, si diressero verso l’interno della casa.

 

 

“Tu non sai cosa stai facendo, tesoro.” Isabella sbuffò pesantemente.

“Sì che lo so.”

“Io e tua madre siamo riusciti a malapena a crescere una bambina, Bells.”

“Non è vero. Guardami ora. Non sarei mai diventata così se non fosse stato per voi. Beh, più grazie a te che alla mamma.” Disse Bella, sistemandosi meglio la cornetta fra l’orecchio ed il collo.

“Emma e Mia sono due bambine fantastiche, Bells. Le adoro immensamente, ma non era meglio che rimanessero con Esme? Tesoro, hai solo ventotto anni.” Charlie mise molta enfasi quando pronunciò l’età di sua figlia.

Per lui, era sempre la sua bambina.

“Papà, ho già ventotto anni. Alice avrà avuto i suoi buoni motivi, lo sai. Voglio tenerle con me.”

“Lo sai che sarà un lavoro a tempo pieno, vero? Avrai due bambine. Non potrai lamentarti, stancarti o darle indietro, Bells. Resteranno con te per sempre.”

Isabella sorrise, pensando al suo futuro già progettato.

Sapeva benissimo che il giorno dopo la sua vita sarebbe cambiata. Sapeva anche che poteva farcela, perché Alice contava su di lei.

“Lo so, papà. Non c’è bisogno che me lo ripeti. E non vedo l’ora che vieni a trovarmi per qualche giorno.

“A metà Novembre sarò a New York, tesoro. Promesso.”

“Perfetto. Allora ci sentiamo in settimana. Saluta Sue.”

“Certo. Ciao Bells.”

“Ciao papà.”

Bella riattaccò, buttò il telefono sul letto e lo seguì subito dopo.

La maggior parte dei suoi vestiti era già stata messa in valigia con l’aiuto di Leah, che non aveva voluto sentir ragioni.

Jacob invece l’aveva aiutata ad impacchettare le sue cianfrusaglie, i quadri ed i libri, e li aveva già portati nella nuova casa.

A casa di Alice e Jasper.

Perché Bella sapeva benissimo che quella sarebbe rimasta per sempre la casa dei suoi migliori amici.

Il letto era spoglio, con solo un cuscino sopra. Nel pomeriggio aveva messo un annuncio online e si era recata all’agenzia immobiliare.

Il fondo di cui parlava con Edward non era poi così sostanzioso, ed aveva bisogno di soldi. L’affitto l’avrebbe aiutata di molto, sia a lei che alle bambine. E non si sarebbe mai abbassata a chiedere qualcosa a Edward.

Capiva la sua decisione di non andare con loro, ma tutto o niente.

Se aveva deciso di continuare a vivere la sua vita per conto suo, lei non gli avrebbe mai chiesto nulla.

Con il pensiero che Edward l’aveva lasciata davvero da sola iniziò a chiudere gli occhi, cullata dal silenzio assoluto del suo attico vicino Central Park.

 

 

23 Settembre 2001

 

“Mi odieranno.” Isabella sistemò l’ultima candela sopra il ripiano del camino, guardando la foto di Alice e Jasper.

“Ti amano, Bella. Sei fantastica.” Urlò Leah dall’altra parte della stanza.

Erano a casa di Alice e Jasper.

A casa sua, ormai.

“Non sarò mai come Alice. Lei le adorava, Leah. Era la loro mamma. Non mi ameranno mai. Non si divertiranno, con me. Forse avrei dovuto ascoltare Edward, e lasciarle con Esme e Carlisle. Loro sono fantastici, ed i-”

Shhh.” Leah era tornata dall’altra stanza, e le prese una mano fra le sue. “Basta parlare. Stai vaneggiando. Ti hanno sempre adorata, lo sai bene. E scusa se te lo dico, ma Edward è stato un codardo.

“Edward aveva altre cose a cui pensare, Leah. Ha ragione.”

“Bella, non ci si tira indietro di fronte ad una notizia come questa. Edward è un codardo, e se ne pentirà amaramente.

“Smettila di parlare così, dovrebbero tornare da un momento all’altro.”

Erano le tre del pomeriggio. Leah aveva insistito per aiutare Bella a sistemare la casa con le sue cose, Jacob aveva delle commissioni da sbrigare al Pub e Edward si era offerto di andare a prendere le bambine a scuola.

“Da quant’è che lo difendi? Non era il tuo peggior nemico?”

Bella le lanciò un’occhiataccia. “Tu credi che possiamo tornare ad essere quelle due persone che non possono stare nella stessa stanza per più di cinque minuti, dopo tutto quello che è successo?”

Leah scosse la testa. “No. Guardati, sei già diventata un’altra persona. La indicò, sorridendo amorevolmente. “Ora, io me ne vado. E tu sarai perfetta, Bella. Ah, e cerca di dar fede a quello che hai detto: non ucciderti con Edward dopo due secondi. Leah non riuscì a sentire gli epiteti poco carini che Bella le lanciò, ma invece quest’ultima sentì benissimo la voce di una bambina sul portico. Poco dopo, si erano tramutate in urla dentro quella casa enorme.

“Zia Bella!” Emma buttò la giacca e lo zaino a terra, buttandosi tra le braccia di Isabella.

Hey, tesoro.” Le scostò quei capelli lisci e nerissimi da davanti al viso. “Com’è andata a scuola?”

Iniziò a raccontarle tutto quello che aveva fatto quel giorno a scuola: dai disegni al dettato che aveva svolto perfettamente.

Alice era rimasta incinta di Emma a soli diciannove anni, poco dopo il matrimonio. Quella bambina era una forza della natura, tale e quale a sua madre. Lunghi capelli neri, una corporatura esile ed una parlantina sciolta che non finiva mai.

Mia invece, aveva appena tre anni. Ed era uguale a Jasper: capelli biondi, grandi occhi marroni e due guance tutte da mordere.

“Tesoro, dov’è Mia?”

“Sì è addormentata in macchina. Si addormenta sempre in macchina, dopo l’asilo. Non è possibile. All’asilo non si fa niente, no? Io all’asilo non facevo niente, e mi annoiavo da morire. Ora che sono alle elementari e studio, non sono per niente stanca. Non è vero, zia Bella? Tu ti stancavi all’asilo?” Bella perse il filo del discorso, notando che Emma non aveva nemmeno preso aria per finire il suo.

“Vado a vedere dov’è Mia.” Le puntò un dito contro. “Tu non muoverti di qua, perché quando torno ci sarà una bella sorpresina per te.” Emma saltò su entrambi i piedi, squittendo in modo innaturale.

E’ proprio uguale ad Alice.

Intanto Bella uscì dalla casa, quasi scontrandosi con Edward che teneva in braccio un fagottino rosa.

“E’ crollata in macchina.”

“Me l’ha detto Emma.” Sorrise, lasciandolo entrare e chiudendo la porta. “La porti su?” Edward annuì, dirigendosi verso le scale e salendo al piano superiore.

“E’ vero che tu e zio Edward resterete qui?” Isabella saltò letteralmente sul posto, portandosi una mano sul cuore.

“Tesoro! Non lo fare mai più! Mi hai spaventata.” Lei rise sotto i baffi.

“Lo so. Spaventavo sempre anche papà, e mamma rideva insieme a me.” Trotterellando si avviò verso la cucina, sedendosi su uno degli sgabelli intorno al piano cottura.

“Vuoi fare merenda?”

“Voglio pane e nutella.” Bella aprì ben tre sportelli, prima di trovare quello del pane e della nutella.

Ne spalmò un po’ sulla fetta di pane, la mise in un piattino e lo posò davanti ad Emma. Dopo, le versò del succo di frutta in un bicchiere di plastica.

“Allora.” Incominciò, dopo essersi impiastrata tutto il viso di nutella e briciole. “E’ vero che tu e zio Edward starete qui con noi?”

Isabella sospirò. Non sapeva come dirle che soltanto lei sarebbe rimasta con loro, mentre Edward era fuori da tutto questo.

“Tesoro.” Iniziò, preparandosi mentalmente le parole da usare.

Perché era facile parlare e convincere un uomo a comprare un quadro da centomila dollari, mentre parlare con una bambina di sette anni era la cosa più difficile al mondo?

“Soltanto se ti comporti bene, mangi la verdura e vai a letto prima delle dieci.”

Ma mamma mi faceva andare a letto dopo i cartoni animati!”

“Io non sono mamma.” Edward fece la linguaccia ad Emma, mentre Isabella guardava estasiata il dibattito fra i due.

“Allora, vivete qui o no?”

“Perché, a te cosa cambia?” Domandò Edward, sedendosi accanto a lei e dandole un pizzicotto sulla guancia.

“Soltanto per farvi sapere che il bagno in fondo a destra è mio. Quello con la vasca da bagno ed il sapone di Kiss Me Licia.”

“Ho capito. Non useremo il bagno in fondo a destra.”

“Oh, puoi anche usarlo. Basta che non ti lavi nella mia vasca e non usi il mio sapone.

“Va bene, capo. Ora perché non vai a fare un po’ di compiti? Sennò stasera ti mando a letto prima della fine dei cartoni animati.

Emma si alzò in un batti baleno, si pulì la faccia alla belle e meglio con un tovagliolo e salì al piano superiore.

“Ora come faccio a mandarla a letto prima delle dieci?” Domandò Bella, posando il piatto ed il bicchiere nel lavello.

“Troveremo una soluzione.”

Troveremo?”

“Ah, devo andare a prendere le mie cose in macchina.” Edward si alzò, dirigendosi verso l’uscita.

Hey! Mi spieghi cosa sta succedendo?”

“Prima che me ne dimentichi.” Edward si voltò, puntandole un dito contro. “La camera con il balcone è la mia.” Disse infine, uscendo dalla casa e lasciando Isabella con gli occhi allargati e la bocca dischiusa, in mezzo alla cucina come una stupida.

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Isabella ***


Quarto capitolo – Isabella

Quarto capitolo – Isabella

22 Settembre 2001

 

“Stai esagerando.” James tolse il bicchiere di vetro dalla mano di Edward, posandolo lontano da lui.

“Ancora.” Disse lui, risoluto.

Era a casa di James Nomadi, uno dei suoi miglior colleghi e migliore amico.

“Edward, basta. L’ultima volta che ti sei ubriacato è stato quando hai trovato Tanya a letto con un altro. Alla fine del College. Quasi dieci anni fa. Ora, basta.” Gli puntò un dito contro, affondando nella poltrona di pelle.

“Se dieci anni fa mi avessero detto che questa sarebbe stata la mia fine…

“Fine?” James rise, accavallando le gambe.

“Perché, non è la fine?”

“Edward, capisco che è difficile. Lo è ancora per tutti. Abbiamo perso familiari, amici e colleghi. Ma questo non è il modo giusto di comportarsi. Fatti passare la sbronza e vai a parlare con Bella.

“Tu nemmeno la conosci, Bella. Non sai che tipo è, e di certo io non voglio passare il resto della mia vita con lei. Strascicò le parole, buttando la testa all’indietro, sulla poltrona.

Non poteva andare a vivere con Isabella Swan. Questo era fuori discussione.

Maledetta Alice.

“So che Bella è l’unica donna al mondo che riesce a tenerti testa.”

Ppf.” Sbuffò Edward, riafferrando il bicchiere di tequila. “Quella è un diavolo. Non ho intenzione di finire con lei, per il resto della mia vita.

“Edward, non dovete sposarvi o altro. Devi soltanto conviverci per un po’ di tempo. Vedere come vanno le cose.”

Edward si alzò, avvicinandosi al suo amico.

“E’ una cosa troppo grossa, James. Non posso vedere come vanno le cose e basta. Se decido di prendermi una responsabilità del genere, sarà per tutta la vita. Una vita segregato in una casa non mia, con una vita che non mi appartiene. Non esiste.” Disse, per poi tornare seduto sull’altra poltrona.

“Segregato? Una casa non tua? Quella è casa tua, Edward. E’ casa di tua sorella. Una vita non tua? Quelle invece sono le tue nipoti, Edward. Le figlie di tua sorella, e ti appartengono più di ogni altra cosa al mondo. Quindi, smettila di fare il coglione. Alza quel culo e vai a parlare con Bella.”

“Che risolvo se ci parlo? Ci siamo visti oggi. Abbiamo parlato con i miei genitori e con quelli di Jasper. Lei ha solo ventotto anni, James. Non ha mai voluto figli, da quello che ricordo. Non ha un ragazzo, ma soltanto un attico dove vive da sola. Non sa come fare la madre, James. Tu pensi che alle mie nipoti basti soltanto una zia, ora? No. Hanno bisogno di una figura materna. E mia madre era perfetta per questo. Le avrebbe cresciute lei, e Isabella sarebbe potuta andare a trovarle ogni volta che voleva. Ma no! Quella è una testarda! Si è presa la responsabilità di due ragazzine, senza nemmeno un lavoro.”

“Quanto parli.” Disse James, smuovendo il ghiaccio dentro il suo bicchiere. “Adoro tua madre, lo sai anche tu. Ma sai anche che Alice avrà avuto i suoi buoni motivi, per fare una cosa del genere.”

Edward picchiettò il dito sulla sua tempia.

“Era matta, James. Una pazza. Sono d’accordo sul fatto che prevenire sia meglio del curare, e che siano stati tutti e due molto intelligenti a fare un testamento, subito dopo il matrimonio. Ma questo è troppo.”

“Tua sorella ti voleva bene più di qualsiasi altra cosa al mondo, Edward. E’ per questo che ha scelto di prendere una decisione del genere.”

“No. E Jasper era talmente accecato dall’amore che provava per lei, che nemmeno avrà detto qualcosa quando lei ha preso questa decisione. Perché lo sappiamo entrambi, Alice ha scelto sia per lei che per lui. James, pensa se fosse successo prima. Pensa se Alice e Jasper fossero morti dieci anni fa: chi avrebbe preso le bambine? Io che avevo solo vent’anni e Isabella che ne aveva appena diciotto? Cazzo!” Si alzò di nuovo, camminando avanti e indietro per quell’enorme salone. “Alice aveva seri problemi, a proposito. Non posso buttare tutto all’aria così!” Alzò la voce di qualche ottava, gesticolando con le mani.

“Lo sai qual è il punto, Edward?” Domandò James, alzandosi anche lui per avvicinarsi a Edward. “Ormai tutto è andato già a puttane. Il lavoro, le famiglie, persone che non sanno più cosa fare della propria vita. E tu hai un minimo di speranza, Edward! Andare a vivere con Bella, stare tutti i giorni con le tue nipoti ti aiuterà. Aiuterà entrambi. Se vuoi usare la scusa del lavoro, fai pure. Ma sai benissimo che abbiamo già trovato una nuova sede in affitto, che il team di Los Angeles trasferirà nuovi impiegati qui, per aiutarci. E sai che non è un problema.” James gli puntò un dito contro, toccandogli la camicia. “Il problema è che sei spaventato, ed hai tutte le ragioni del mondo per esserlo. Ma hai la tua famiglia, qui. I tuoi amici, la possibilità di passare più tempo con le tue nipotine, ma non ne hai il coraggio. Bella invece non ha nessuno, e guarda ora dove si trova: in una casa che nemmeno conosce, con due bambine che prima vedeva soltanto alle cene di famiglia.”

“Non paragonarmi ad Isabella.” Disse Edward, voltandosi. “Noi due non abbiamo nulla in comune. Ci conosciamo da più di dieci anni, ma non abbiamo mai parlato veramente. Quindi, non ti permettere di paragonarmi a lei.

“E’ qui che ti sbagli, Edward. Ora avete in comune più cose di quanto credessi. C’è qualcosa che vi unisce, e che vi unirà per il resto delle vostre vite. Ma decidere sta a te.”

“Non è una decisione da prendere in una giornata, James.”

“Edward, questa è una decisione che si può prendere anche in cinque minuti. Hai trent’anni, e sei un uomo di successo. Devi soltanto decidere se sei un codardo o no. Così dicendo, James uscì dalla stanza. Portando dietro di sé il rumore di un bicchiere di vetro che si frantumava.

 

 

 

23 Settembre 2001

 

“L’avevo detto io che era un uomo intelligente!”

Leah! Sei un’ipocrita! Nemmeno ventiquattro ore fa hai detto che Edward è un codardo.

“L’ho detto apposta, che ti credi?” Bella sapeva benissimo che non poteva contraddire una donna incinta, per di più di due gemelli e al settimo mese.

“Okay.”

“Non fare come Jacob, ora. Ogni volta che faccio o dico qualcosa di sbagliato, mi da sempre ragione. Sono incinta, ma non isterica.”

“Cambiamo argomento che è meglio.” Disse Bella, trattenendosi dal ridere.

Sapeva benissimo che Leah era incinta, ed anche molto isterica.

“Ora dove sono?”

“Mia dorme ed Emma è giù a guardare i cartoni con Edward.” Spiegò, alzandosi dal letto.

“Bella, sono le nove e mezza! Lo sai che dovrebbe stare già nel suo letto?

“I piani erano quelli. Ma ha detto che Alice le faceva vedere la TV fino alla canzone della buonanotte. Non voglio stravolgere i loro ritmi.”

“Hai ragione.” Leah sospirò, dall’altra parte del telefono.

Isabella pensò che prima c’era Alice, al posto di Leah. Ogni sera la chiamava sempre, per raccontarle come era andata la giornata. Per farsi dire come stavano le sue nipotine, cosa facevano e se poteva parlare con loro.

Strinse gli occhi, ricacciando indietro le lacrime.

“Senti, vado giù e vedo se riesco a scollarli dal divano.”

“In bocca al lupo. E non litigare con Edward davanti alle bambine!

“Non ti preoccupare, per ora va tutto alla grande.”

“Questo perché non sono passate nemmeno cinque ore. Fra una settimana voglio proprio sentire come starete. Con l’acqua alla gola, te lo dico io.”

“Fantastico, Leah. Sei un’amica incredibile.”

Leah rise rumorosamente.

“Ci sentiamo domani, tesoro. Buonanotte.”

“Buonanotte Leah.”

Bella posò il cellulare sul comodino della sua nuova stanza, si sistemò la maglietta ed i pantaloncini che usava per dormire, e poi scese al piano inferiore.

Ovviamente Edward ed Emma erano stesi sul divano, il primo con le gambe allungate sul tavolinetto di vetro davanti a sé, e la seconda rannicchiata al suo petto.

“Questo non è un bel cartone.” Sentì dire da Edward, che indicava la TV.

“Se non ti piace puoi anche andare a dormire.” Rispose Emma, facendo scappare un sorriso a Bella, rimasta sull’ultimo scalino per non disturbarli.

“In pratica è una donna, in teoria dovrebbe essere un uomo. Maria Antonietta si è innamorata di lei! Ti rendi conto di cosa stai guardando?”

“Zio, è Lady Oscar! Non mi interessa di chi si innamora, mi piace e lo guardo.”

“Speriamo che tua sorella non guardi cartoni del genere.”

“No.” Emma gesticolò con le mani. “Lei guarda solo Hello Spank.”

“Oh, Dio. Quell’animale amorfo.”

Emma alzò gli occhi, fissando Edward.

“Che significa amorfo?” Lui invece sospirò, alzando gli occhi nello stesso identico modo di sua nipote.

“Lascia stare. Comunque, Lady Oscar non è un cartone educativo. Dobbiamo vederne altri.”

“Piccoli problemi di cuore?”

“Emma! Quelli sono fratelli, invece!” La bambina rise, accoccolandosi di più sul petto di Edward e sbadigliando sonoramente.

“Non è ora di andare a letto?” Bella decise di avvicinarsi a loro, appena dopo aver finito la discussione per l’animale amorfo e il quasi incesto in Piccoli problemi di cuore.

“No. La canzone della buonanotte non è ancora arrivata. Sbadigliò di nuovo, puntando un dito contro Bella.

“E tu sei stanchissima, invece. Ti ricordi che domani c’è scuola, vero?”

“Uffa. Posso prendermi un giorno di vacanza?”

“Non se ne parla.” Edward precedette Bella nella risposta. “Tu domani vai a scuola. Proprio come tua sorella.”

“Mi accompagni tu, zia Bella?”

Bella si sedette sul divano, torturandosi le mani. “Non è meglio che ti accompagna zio Edward?”

“Mi accompagna sempre lui! E poi la maestra di Mia vuole che entra sempre con lei.”

Bella arcuò le sopracciglia, scoccando un’occhiata a Edward che invece era molto preso dal cartone in quel momento.

“Ah, veramente?”

“Sì. Anche quando ci accompagnava papà, la signorina Jessica voleva che accompagnasse Mia dentro. Quando invece ci portava mamma, la salutava sempre da fuori.

Bella ci mise due secondi a inquadrare che tipo potesse essere la signorina Jessica.

“Tesoro, ti prometto che ti accompagnerò la prossima settimana. Ma ho del lavoro da sbrigare, e non ho la macchina. Invece zio Edward ha la macchina, e ci impiega meno tempo. Okay?”

Emma non era molto sicura della scusa che le aveva rifilato Bella, ma annuì lo stesso, troppo presa ad ascoltare la canzone della buonanotte che era appena iniziata.

Nemmeno diede il tempo alla ragazza in TV di intonare l’ultima strofa, che aveva chiuso gli occhi ed era crollata.

“La porto su.” Disse Edward, caricandosela in braccio e salendo le scale.

Intanto Bella tirò fuori dalla sua borsa alcuni documenti, portandoseli in cucina. Si sedette su uno sgabello, e aprì le cartelline davanti a sé, esaminandole con cura.

“Problemi?” Sobbalzò, quando sentì la voce di Edward.

Mh. E’ da giorni che cerco di contattare l’agenzia per avere una nuova struttura dove poter esporre. Ma niente.”

“Provato al MoMa?” Bella rise talmente forte che dovette coprirsi la bocca con la mano. “Era divertente?” Domandò Edward scettico, sedendosi davanti a lei.

“Edward, è vero che gli artisti che si affidano a me sono conosciuti e famosi, ma il MoMa è troppo anche per me.”

“Provare non costa niente, no?”

“Esageri sempre.” Gli schioccò un’occhiataccia, sistemando i documenti e rimettendoli nelle cartelline.

“Dote di natura.” Edward sbadigliò, stirando le braccia. “Ripeto: provare non costa niente, Isabella.”

“Ora basta.” Bella chiuse l’ultima cartellina con più forza, puntandogli un dito contro. “Ora abitiamo insieme, volente o nolente. Ed io odio quando le persone mi chiamano Isabella.

“E’ il tuo nome.” Disse Edward, con ovvietà.

“Lo so che è il mio nome, Edward. Ma non chiamarmi Isabella. Siamo persone adulte, ormai. Basta con questo giochetto, perché anche se abbiamo trent’anni, continua ad innervosirmi.”

“Giochetto?” Bella sorrise amaramente.

“Non è uno stupido gioco che va avanti da quando ci siamo conosciuti?”

“Aspetta. Tu credi che ti chiamo Isabella per darti fastidio?” Facendo quella domanda si era alzato, aveva superato il tavolo e si era avvicinato a Bella.

“Non è così?”

“No.” Le diede un piccolo buffetto sulla fronte. “Ti chiamo Isabella perché è un nome che mi piace. Molto più di Bella. Ed ora, vado a dormire. Buonanotte.” Allungò la mano destra portandola dietro il collo di Bella, avvicinando lentamente la testa di lei a quella di lui. A pochi centimetri di distanza, le schioccò un bacio sulla fronte. Dopo qualche minuto, era già salito al piano superiore.

Lasciando per la seconda volta la ragazza con la bocca mezza aperta e gli occhi sbarrati, attaccata al piano cottura. E con la stessa domanda che le rimbombava nella testa.

Cosa diamine stava succedendo?

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Capitolo 5
*** Zitella acida ***


26 Settembre 2011

Quinto capitolo – Zitella acida

26 Settembre 2001

 

“MIA!” Bella urlò a squarciagola, con il pettine in una mano e due elastici rosa nell’altra.

Dopo pochi minuti, trovò quella peste nascosta sotto il suo letto.

“Tesoro”, iniziò, sconsolata “Dobbiamo sistemare quei capelli.” A differenza di Emma, Mia aveva corti capelli ricci. Talmente ricci, che per pettinarli ogni giorno era un problema.

“No.” La risposta secca arrivò alle orecchie di Bella.

“Amore, dobbiamo fare due codini. Ti prometto che sarai la più bella della scuola. Con quelle poche parole, Mia era uscita dal suo nascondiglio e si era messa davanti a Bella.

“Davvero?”

“Te lo prometto.”

Emma aveva preso la testa dura di Alice, mentre la più piccola aveva la mania della moda, già a tre anni. Decideva da sola cosa voleva mettersi la mattina per andare a scuola, scartando i vestiti che Isabella le preparava la sera prima.

Pasta che non mi fai male.”

“Farò piano.”

Con un sospiro rassegnato si sedette sulla sedia, mentre Bella si posizionò dietro di lei ed iniziò a pettinarle quei ricci con cautela.

“Ieri zio Edward mi ha staccato i capelli.”

Isabella cercò di reprime una risata.

“Diciamo che zio Edward non è abituato a pettinare le bambine.”

Ma ero tutta psettinata!”

“Invece stamattina sarai bellissima. Ho quasi finito.” Bella strinse l’elastico intorno ai capelli, e ammirò soddisfatta quello che aveva fatto. “Ecco. Non sei forse bellissima?”

Mmmh.” Rimase davanti allo specchio per qualche minuto. “Pecché Emma ha i capelli nunghi e io no?”

“Tesoro, Emma ha i capelli lisci. Anche i tuoi sono lunghi, ma sono ricci. Fra qualche anno avrai dei capelli lunghi e bellissimi.

“Uffa.” Non era contenta della risposta, ma scese ugualmente al piano inferiore senza ribattere, facendo dondolare la sua gonnellina rossa e lasciando Bella da sola.

“Non so chi sia peggio.”

“Se la giocano. Emma non sta un minuto zitta, mentre Mia starebbe ore ed ore davanti allo specchio. Diciamo che nessuna delle due ha preso il carattere mite di Jasper.

“Purtroppo.” Edward sospirò, sistemandosi il nodo della cravatta.

“ZIA BELLA! FORZA!”

“Appunto.” Disse lei, ubbidendo all’urlo che proveniva dal piano inferiore.

“Sicura di non avere del lavoro da sbrigare?” Chiese Edward, seguendola per andare giù.

“Tranquillo.” Liquidò con una mano. “Ho delle cose da sbrigare in centro, e poi ho promesso ad entrambe che le avrei accompagnate a scuola. E lo sai come sono fatte.”

“Se non mantieni la promessa, sono guai.”

“Bravo.” Bella finse un applauso, mentre Edward alzava gli occhi al cielo.

Entrarono in cucina, e Isabella si diresse verso la credenza per cercare qualcosa da mangiare.

“Non manciare quello!” Rimase con la barretta al cioccolato a mezz’aria, guardando Mia.

“Perché?”

“Ti fa male. Io mi stono sentita male, l’altra volta.”

“Male?”

“Sì.” Intervenne subito Emma. “Quando sei andata a quella cosa per lavoro. Mia ha mangiato tutta la scatola di barrette al cioccolato e si è sentita male. Bella lanciò un’occhiataccia a Edward, che con disinvoltura fissava l’interno della tazza che teneva in mano.

“Perché non vengo mai a sapere le cose spiacevoli che accadono, quando non ci sono?”

“Stai esagerando.” Disse lui, posando la tazza nel lavello. “E’ stato un piccolo errore di percorso.”

Pfff. Ma se hai chiamato James e quasi piangevi perché non sapevi cosa fare.

“EDWARD!”

“EMMA!” Parlarono insieme. Isabella sgridò Edward, mentre lui sgridava la bambina, che in quella casa era la bocca della verità.

“Non potevi chiamare me?”

“No. Avevi quella cosa di lavoro, e non volevo disturbarti.

“Non è vero. Diceva a James che diventavi la solita zitella acida se venivi a sapere questa cosa. E poi ti arrabbiavi con lui.”

Zitella acida?” Bella puntò un dito contro Edward. “Cos’è questa storia, scusa?”

“Niente!” Alzò le mani per difendersi. “E poi non ho detto questo.”

“Ah, davvero? E cos’hai detto?”

“Basta. Dobbiamo andare a scuola.” Emma li interruppe, salvando Edward da una situazione un po’ tragica.

Uscirono tutti dalla casa, e prima di entrare in macchina Bella puntò di nuovo il dito contro Edward: “Resta una questione aperta, Edward. Ne riparleremo dopo.” E così dicendo, chiuse con forza lo sportello della Volvo, facendo trasalire il suo proprietario.

 

 

 

“Non mi piace.”

Ma se ci hai parlato per cinque minuti!”

“Noi donne abbiamo un sesto senso. Non mi piace. E poi, hai visto com’era vestita?”

Molto bene.”

Isabella diede una spallata a Edward, che continuava a guidare in mezzo al traffico di New York.

“Ahi!”

“Te la sei cercata.”

La Signorina Jessica non è così male. Poi mi offre sempre il caffè, prima che suoni la campanella.

“Oh, quanta generosità. Ti sei mai chiesto il perché?”

Edward soffocò una risata, perché conosceva benissimo il motivo.

“Basta ora. Dove ti devo portare?”

“Non c’è bisogno, Edward. Posso anche prendere un taxi.”

“Vorresti scendere da questa bellissima macchina, con i sedili in pelle, profumatissima, per entrare in un taxi sudicio?”

“No. Però non voglio che fai tardi a lavoro.”

“Sono i vantaggi di essere il Capo, Isabella.”

Bla bla bla.” Lo scimmiottò lei, alzando la testa al cielo. “Comunque, undicesima a ovest, cinquantesima strada.”

“Scherzi?” Bella abbassò la testa, senza rispondere. “Oh. Oh. Io, lì? Non mi calcoleranno mai. Bla bla bla.” Edward ripeté la scena di poco prima, rendendosi conto che in quella strada si trovava il MoMa.

Infatti non è nulla, Edward. Soltanto un colloquio. Dicono che la direttrice del MoMa sia la più spietata del mondo.”

“Tu sei la più spietata del mondo, per quanto riguarda il lavoro.”

“Non è vero.”

“Vogliamo parlare di quell’artista emergente che trovai anni fa sul mio piano, mentre piangeva ininterrottamente? Perché Isabella Swan l’aveva liquidato con un semplice ‘fare arte non fa per te.’”

“Era la verità, Edward. Bisogna sempre dire la verità, in questi casi.”

“Se la verità della direttrice del MoMa sarà spietata, non venire a piangere da me.”

“Oh, non ti preoccupare. A proposito, dobbiamo parlare di una cosa.

“Cosa c’è ora?”

“Dobbiamo fare un calendario?”

“Eh? Quella roba che Alice e Jasper ci spedivano per Natale, con foto per ogni mese? Non credo proprio.”

Isabella sbuffò, pensando che era una causa persa parlare con Edward.

“No. Un calendario con i nostri impegni. Ci saranno dei giorni in cui tu non potrai guardare le bambine, e ci sarò io. E viceversa.”

“Ieri sei andata via per tutto il pomeriggio, e ci sono stato io. Qual è il problema?”

“E se invece fossi stato impegnato? Dobbiamo sapere anticipatamente i nostri impegni. Si chiama organizzazione.”

“Sono il Dio dell’organizzazione, Isabella.”

“Oh, mi scusi Dio dell’organizzazione.” Bella si rese conto che erano arrivati fuori al MoMa, e di avere le mani che sudavano.

“Non ce la farò mai.” Sussurrò, guardando l’edificio da fuori.

“Entra.” Quello di Edward non era un consiglio, ma un ordine.

“Ci vediamo oggi.” Aprì lo sportello e scese dalla Volvo.

“Isabella?”

“Sì?”

“In bocca al lupo.” Bella assottigliò gli occhi, perché Edward sapeva benissimo cosa c’era dietro a quell’augurio. Che lei detestava. Non fece in tempo a rispondere, che sgommò via con la sua macchina.

Intanto lei non ci pensò due volte, e decise di entrare. Non era la prima volta che entrava al MoMa, ma era la prima che lo faceva come una possibile cliente.

“Salve!” Salutò la ragazza alla reception con un sorriso tirato. “Sono Isabella Swan.”

“Oh! La signora la sta aspettando, un secondo.”

La stavano aspettando.

La ragazza digitò un numero sul telefono, e poco dopo una porta alle sue spalle si aprì.

Notò immediatamente che quella non era una signora. Ma una donna bellissima, quasi surreale.

Indossava un tailleur nero, che definiva le sue curve magnificamente. Alti decolté ai piedi, e dei capelli biondi che sembravano lunghissimi raccolti in un chignon scomposto.

“Isabella Swan.” Rimase colpita anche dalla sua voce, bassa e suadente. “E’ un piacere incontrarla. Io sono Rosalie Hale.”

 

 

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Capitolo 6
*** Tesoro ***


26 Settembre 2001

 

Sesto capitolo - Tesoro

26 Settembre 2001

 

“Dicevo sul serio stamattina, Isabella.” Edward posò la sua ventiquattrore su una sedia, si tolse la giacca e allentò il nodo alla cravatta.

Intanto Bella aveva alzato quegli occhi grandi e… pieni di lacrime.

Pff.”

“Proprio quello che volevo sentirmi dire.” Sistemò lo sgabello del piano cottura, sedendosi accanto a lei. “Con tutto quello che abbiamo passato, piangi per un rifiuto?”

“Non piango per un rifiuto.” Disse Bella, asciugandosi le ultime lacrime che le erano scese sulle guance.

“Allora?”

“Da quant’è che ti interessa tanto?” Edward rise talmente forte da farla arrabbiare ancora di più.

“Da quando viviamo insieme. E non guardarmi così, come se potessi uccidermi con un’occhiata.

“Rosalie Hale non è spietata, anzi. In confronto io sembro Hitler in persona e lei un gioiellino.

“Lo so.”

“Lo sai?”

“Ho conosciuto la signora Hale anni fa, ad un Gala. E non mi è sembrata affatto spietata.”

“Prima o dopo che te la sei portata a letto?” Edward sbuffò, arricciando le labbra.

“Isabella, non mi sono portato a letto tutte le donne di questo pianeta, sai?”

“Oh, ma non avevo dubbi. Di sicuro tutte quelle di New York, però.”

Mh, no. Manchi tu.” Alzò entrambe le sopracciglia, schioccandole un’occhiata maliziosa.

“Sei pessimo. E continua a sognare.”

“La carne è debole, Isabella.”

“Di certo non la mia.” Detto questo, si alzò per andarsi a prendere un bicchiere d’acqua.

“Allora.” Edward la seguì con lo sguardo fino al lavandino. “Perché piangevi?”

“Non piangevo.”

“No, certo.”

“Rosalie Hale mi ha offerto il lavoro al MoMa. Sarà diverso da quello che facevo prima, ma è pur sempre un lavoro.

“Erano lacrime di gioia, quindi?”

“Sì. Almeno credo.” Accennò, portandosi il bicchiere alle labbra.

“E da quant’è che Isabella Swan piange per un lavoro che è riuscita ad ottenere, soprattutto al MoMa e con un solo colloquio?”

Sai, Edward.” Si avvicinò a lui, ma anche se Edward era seduto, non riuscì ad arrivare alla sua altezza, e dovette alzarsi sulla punta dei piedi. “Da quando ho perso il mio vecchio lavoro, che amavo più della mia stessa vita. Da quando i miei migliori amici non ci sono più, ed insieme a loro migliaia di altre persone. Da quando mi sento una nullità. Non ho mai fatto la madre, e nemmeno era nei miei programmi. Da quando ti odio da una vita, ma ora mi tocca vivere con te, sotto lo stesso tetto. A tempo indeterminato.”

Edward tirò fuori quel sorriso sghembo che gli aveva visto fare molte volte, da quando lo conosceva.

“Mi odi da una vita? Addirittura?”

“Ovvio. A parte qualcosa che non riguardi te, non ascolti altro. Posò il bicchiere sul tavolo, e si voltò per andarsene. Finché Edward prese la sua mano e la fece girare di nuovo.

Hey.” Sussurrò, guardandola attentamente. “Lo sai che stavo scherzando.”

“Lo sai che questo non è il momento migliore per scherzare.”

Edward allungò una mano, asciugandole una lacrima rimasta impigliata nelle ciglia.

“E’ difficile, Isabella. E ti capisco. Siamo su questa barca insieme, ormai. Ma se ti arrendi, è finita.”

“Ti stai dando alla filosofia?”

“E menomale che non era il momento migliore per scherzare, eh!” Alzò entrambe le braccia esasperato, guardandola dalla testa ai piedi.

“Guarda.” Edward la indicò con un cenno del capo.

“Cosa?”

“Stai sorridendo.”

“Finiscila.” Disse, diventando rossa dalla testa ai piedi. “E perché c’è tutto questo silenzio?” Edward allargò gli occhi, diventando bianco. “Edward?”

Si alzò con uno scatto, frugando nella ventiquattrore per prendere le chiavi della macchina.

“Edward? Che succede?”

“Giuro che mi farò perdonare.” Urlò dal vialetto, lasciando dietro di sé l’immagine di Bella furiosa. “Te lo prometto!” Urlò di nuovo, facendo inversione con la sua Volvo e sfrecciando per le stradine del quartiere.

 

 

 

“Ha dimenticato di andare a prendere le bambine a scuola. Ti rendi conto, Leah? Le ha completamente dimenticate.”

“Sono cose che capitano!” Bella allargò gli occhi, puntandole un dito contro.

“Cose che capitano? Non parlerai così, quando nasceranno i gemelli. Se Jake li dimentica a scuola, tu lo uccidi.

“Stiamo parlando di Jacob. Al posto del cervello ha un criceto che gira su una ruota. Edward ha la testa sulle spalle, invece.”

“Da quant’è che lo difendi?” Bella tirò su un pezzo di pizza dal cartone facendo colare metà mozzarella sul bancone.

“Pulisci tu!” L’urlo di Jacob arrivò dall’altra parte del Pub, mentre serviva ad un tavolo.

“Lo difendo da quando lo conosco. E lo conosciamo entrambe da un sacco di tempo, Bells. Continuò Leah, riempiendosi un bicchiere di Coca Cola. “E poi, ti ha dato la serata libera per festeggiare.”

“A trent’anni si dovrebbe festeggiare con una sbronza colossale.” Intervenne Jacob, passando lo strofinaccio dove Bella aveva sporcato.

“Punto primo: non è il mio compleanno. Secondo: non ho ancora trent’anni. E terzo: non si festeggia niente.”

“Sei l’unica persona che non vuole festeggiare per un lavoro del genere, Bella.”

“Non è ancora sicuro. Ho parlato con la signora Hale, ma non mi ha fatto firmare nessun contratto ancora.”

“Sei troppo pessimista. Lo sai cosa ti serve?”

“Non se ne parla, Jacob!” Leah guardò suo marito con rimprovero, puntandogli un dito contro. “Bella ora ha due bambine, e non può fare cose del genere. Non più, almeno.”

Ma se la prima cosa che farai quando partorirai sarà ubriacarti come una spugna.”

“Non voglio bere.” Isabella capì immediatamente le intenzioni di Jacob, e puntò il dito insieme a quello di Leah, contro di lui. “Non sono in grado di tornare a casa con una sbornia colossale. Domani le bambine hanno scuola: devo svegliarmi presto, prepararle ed andare ad un altro colloquio. Non esiste, Jacob Black. Non mi accompagnerai a casa in condizioni disastrose!” Tre birre e sei shot di tequila dopo, nemmeno ricordava più cosa avesse detto a Jacob qualche minuto prima.

 

 

 

“Isabella Swan. Non pensavo fossi un tipo del genere.” Alzò un dito, si sgranchì le gambe e dopo pochi istanti la testa si abbassò nuovamente nel water.

Maledetto Jacob.

Non avrebbe toccato alcool mai più in vita sua, poco ma sicuro.

“Ti serve una mano?”

Quando tirò su la testa posò lo sguardo sulla figura appoggiata allo stipite della porta: Edward Cullen in boxer e canotta bianca.

Lei invece aveva lasciato i jeans lungo la strada dalla porta d’ingresso al bagno, il trucco era sbavato ed i capelli erano in condizioni pietose.

“Non mi serve nien-” Biascicò inerme, prima di chinarsi nuovamente.

“Ho capito.” Edward si posizionò dietro di lei, le tirò su i capelli ed iniziò ad accarezzarle la fronte. Una fonte di sollievo per Bella, a contatto con quella mano fresca.

“Puoi tornare a dormire.”

“E lasciare che le bambine si sveglino con uno spettacolino del genere? No, grazie.”

“Dopo che sono rimaste tre ore fuori scuola da sole, possono sopravvivere ad un’immagine del genere.”

“E come la giustificheresti?”

“Influenza intestinale.” Edward sbuffò, capendo che era inutile discutere con lei, anche da ubriaca.

Riuscì ad alzarla lentamente da terra, ma la sua posizione non era ancora stabile.

“Ci riesci a lavarti i denti da sola?”

“Voglio farmi una doccia.” Si impuntò, allungandosi per aprire l’acqua.

“Non se ne parla. Ti lavi domattina.”

“Puzzo.”

“Non mi interessa. Con la fortuna che hai farai uno scivolone spezzandoti entrambe le gambe.”

“Ho capito, mi lavo i denti e basta.” Lo congedò con una mano, ma Edward non si mosse da lì.

Con lui dietro si lavò i denti e sciacquò il viso, senza guardarsi riflessa nello specchio. Sapeva che avrebbe visto qualcosa di inquietante.

“Ti accompagno a letto?”

“So qual è la mia camera, Cullen.” Edward arcuò le sopracciglia, stupito dal tono che le aveva riservato Bella.

“Okay. Prego.” Dopo due passi incerti verso l’uscita del bagno, Edward la sorresse con un braccio.

“Te l’avevo detto.”

“Sei insopportabile anche di notte.”

“Sono le tre di mattina, Isabella.” Insieme barcollarono fino alla camera di Bella, e lei si buttò a peso morto sul letto.

Ho freddo.” Disse, con la faccia compressa nel cuscino.

“Ti cerco una coperta, tesoro.” Edward allargò gli occhi a quell’appellativo, che gli era uscito così spontaneamente da non rendersene nemmeno conto.

“Tesoro?” Ed ovviamente a quella iena non era sfuggito. “Sei pessimo, Edward.” Iniziò a ridere, talmente forte da rigirarsi sul letto e portarsi le mani sulla pancia.

“E’ meglio ignorarti, stasera.” Quando si avvicinò con la coperta che aveva tirato fuori dall’armadio, si rese conto che quelle risate non erano poi così felici.

“Piangi?”

“No.” Sussurrò appena, asciugandosi le lacrime agli angoli degli occhi.

“Certo che voi donne siete proprio strane.”

“Alice è morta.” Edward rimase interdetto da quel commento, ma continuò a rimboccarle la coperta.

“Lo so.”

“Faccio schifo come madre. Non ho una carriera, non ho mai voluto bambini. Ed ora mi ritrovo con due bambine sulle spalle e… te.”

“Grazie per avermi paragonato a delle bambine, Isabella.”

“Cazzo, Alice è morta davvero.” Si portò le mani alla testa, tirandosi i capelli. Come se si fosse resa conto in quel momento che la sua migliore amica non c’era più. Insieme a tante altre persone.

Dormi, Isabella.” Edward le accarezzò i capelli, prima di dirigersi verso la porta a passo spedito.

“Edward?”

“Sì?”

“Resti qui?”

Dopo qualche minuti di silenzio Edward continuò per la sua strada, chiudendo la porta dietro di sé con uno scatto secco.

“Tutte le volte che vuoi, tesoro.”

 

 

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Capitolo 7
*** Mike Newton ***


Settimo capitolo – Mike Newton

Settimo capitolo – Mike Newton

27 Settembre 2001

 

 

Bella si svegliò con un mal di testa tremendo, la gola secca e gli occhi che faticavano ad aprirsi. Tirò la coperta sino alla fronte, sprofondando ancora di più nel suo letto.

“Dovresti alzarti.” Sussultò, chiedendosi chi, come, e perché qualcuno era nella sua stanza.

Mh.”

“Dovresti anche imparare a dire qualcosa di più, di semplici monosillabi.”

“Esci dalla mia stanza.” Quando capì di chi si trattava, cioè di Edward, cercò di farlo uscire.

“Peccato che questa è la mia, di stanza.” Tirò fuori soltanto la testa, guardandosi intorno. La luce che filtrava dalle finestre le diede subito fastidio, ma cercò di non farci caso. Più che altro, si rese conto davvero che quella non era la sua stanza. E che quello non era il suo letto, la sua coperta e nemmeno il suo cuscino basso e comodo.

“Che faccio qui?” Domandò con cautela, spaesata.

“Niente.” Edward si buttò di peso sul materasso, con la pancia in giù. “Ti sei soltanto ubriacata come una diciottenne alla sua prima festa del college. Poi hai vomitato tutto ciò che avevi mangiato negli ultimi trent’anni della tua vita nel nostro bagno. Fece mente locale, cercando di ricordarsi qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma niente. Nel suo cervello c’era un vuoto totale. Ricordava della cena con Leah per festeggiare il nuovo lavoro, birre su birre offerte da Jacob e poi… il vuoto.

“Dimmi che non siamo andati a letto insieme.” Edward soffocò una risata, tirando su la testa dal cuscino per guardarla dritta negli occhi.

“No tesoro. Mi dispiace.”

Ti dispiace? Tesoro? Oh, Dio. Che diamine è successo?” Lei invece si nascose di nuovo sotto le coperte, lamentandosi.

“Avrei voluto tanto chiedere ad Alice come eri da ubriaca, ma purtroppo l’ho visto con i miei stessi occhi. Ti ho trovata in bagno, distesa per terra. Ti ho convinta a dormire nella tua camera, e con passi incerti sei anche riuscita ad arrivare nel tuo letto. Poi, mi hai chiesto se potevo dormire con te.

Cazzaro.” Edward rise di nuovo.

“Non scherzo.”

“Se sono arrivata fino alla mia camera, perché ora sono nel tuo letto?”

“Perché non riesco a dormire, se non qui. Lo sai, no? Ho portato il mio materasso dal vecchio appartamento. Non riuscivo a dormire nemmeno nel tuo, di letto. Quindi, dopo che sei crollata, ti ho portata qui. Fine.”

“E’ un incubo.” Sussurrò Bella, stropicciandosi gli occhi.

“Non lo fare. Sembri un panda.”

“Eh?” Lo guardò stralunata, alzando gli occhi al cielo. Occhi contornati di nero, perché la sera prima non si era nemmeno struccata.

“Aspetta.” Edward allungò una mano, fino a posare il pollice sotto l’occhio e strofinandolo lentamente. Quando lo staccò per farlo vedere a Bella, era sporco di matita nera.

“Perfetto.” Sussurrò appena, sentendo di nuovo la bocca secca e acida. “Dobbiamo alzarci. Svegliare le bambine e portarle a scuola. Poi, devo andare al MoMa. Non ce la farò mai.”

“Primo: Emma e Mia sono a scuola da più di quattro ore. Secondo: devi bere qualcosa perché persino le tue labbra sono secche. E terzo: ho chiamato Rosalie Hale dicendole che non ti sentivi bene. Ha detto che puoi andare tranquillamente domani.

A quel punto Bella si sedette sul letto, incrociando le gambe sotto le coperte.

“Che ore sono, Edward?”

“Quasi mezzogiorno.” Rispose lui, con tranquillità.

“E perché diamine non mi hai svegliata?” Sembrava tranquilla, ma stava trattenendo la rabbia.

“Non è mai bello quando ti svegli con i postumi di una sbronza colossale. E quella era proprio enorme, Isabella.”

“Sh. Parliamo d’altro. Perché tu sei qui?”

“Non è anche casa mia?” Sbuffò, mettendosi le mani tra i capelli.

“Edward, intendo qui.” Indicò il letto, e poi con un dito la camera. “A casa. Perché non lavori?”

“I vantaggi dell’essere il capo.”

Oh, Dio. Per quante volte me lo ripeterai?” Edward le fece l’occhiolino e un mezzo sorriso, che fecero accelerare i battiti del cuore di Bella.

Non se ne parla, Isabella Swan. No.

“Devo lavarmi.” Disse infine, alzandosi lentamente dal letto. Quando finalmente fu in piedi, cercò veramente di non inveire contro Edward Cullen.

“Per quale assurdo motivo sono in mutande e reggiseno?”

“Non ho avuto nemmeno il tempo di dirtelo, ieri. Ti sei spogliata di corsa.” Mentre vide l’occhiata che gli lanciò, sussurrò unGiuro’.

Stava per rispondergli a tono, ma fu interrotta dal suono del campanello di casa. “Aspetti qualcuno?”

“No. Scendo a vedere chi è. Intanto, fatti quella doccia.” Bella gli rispose con l’alzata di un dito medio. “Ah, Isabella?” Urlò, quando ormai era uscito dalla camera.

“Che altro vuoi?”

“Carino quel tanga.” E scese le scale a due a due, senza sentire le imprecazioni che Bella gli urlava dietro.

Una dopo l’altra.

 

I trent’anni si stavano avvicinando.

Anche se mancava quasi un anno, li sentiva tutti. Erano anni e anni che non si ubriacava in quel modo. E i risultati si vedevano. Borse nere sotto gli occhi, labbra screpolate e un bruciore di stomaco che non ci pensava nemmeno di andarsene. Rimase di sasso quando vide la sua immagine riflessa nello specchio, con i lunghi capelli color cioccolato che le ricadevano bagnati intorno al viso, e il colore della pelle quasi cadaverico faceva a gara con l’asciugamano bianco e aveva stretto attorno al corpo.

Sentì bussare alla porta, e sbuffò pesantemente. C’erano tre bagni in quell’enorme casa, perché Edward doveva romperle?

“Che c’è?”

“Devi scendere.”

“Non sono vestita, Edward. Che succede?”

“Devi scendere, Isabella.” Non le dispiaceva più quando la chiamava Isabella, ma quando lo diceva con serietà come aveva fatto in quel momento, le provocava ancora un po’ di fastidio.

“Se non è una questione di vita o di morte t’ammazzo, Edward.” Aprì la porta del bagno, dimenticandosi che era nuda, con solo un asciugamano di spugna che le arrivava sopra le ginocchia.

Edward non parlò, se non prima di averla squadrata da capo a piedi.

“Che vuoi?” Sussurrò appena, e non poté non rendersi conto del modo in cui deglutì pesantemente davanti a lei.

“Vestiti. Corri. Ha chiamato la signorina Jessica.”

Hey.” Gli diede una lieve spintarella. “Che diamine succede?”

“Mia è in Ospedale. E’ caduta da un albero.”

“COSA?” E detto questo, sbatté letteralmente la porta in faccia a Edward, buttando l’asciugamano a terra e vestendosi con le prime cose che trovò all’interno di quel piccolo bagno. E con un solo pensiero in testa: ucciderò la signorina Jessica.

 

 

 

“Io la ammazzo.” Ripeté Bella per l’ennesima volta, mentre Edward sfrecciava per le vie di New York. “Ti giuro che le strappo quei due capelli finti che le sono rimasti in testa.” Disse, torturandosi entrambe le mani.

“Calmati.”

“CALMARMI?” Inveì, sgranando gli occhi. “Tu non capisci. Stiamo parlando di un fottuto asilo, Edward. Come è potuta cadere da un albero? Nemmeno con te succedono cose del genere.

“Che vorresti dire?”

“Niente.” Sussurrò Isabella, guardando fuori dal finestrino. Voleva dirgli che sapeva che lui amava moltissimo le sue nipotine, ma prendersi cura di loro non era il suo forte.

“Siamo arrivati.” Annunciò Edward, parcheggiando fuori la porta dell’Ospedale. Bella scese di corsa, senza aspettare che Edward spegnesse la macchina.

Nemmeno fece in tempo ad entrare, che vide subito la signorina Jessica seduta su una sedia della sala d’aspetto.

“Signora Swan.”

Signorina Swan.” Precisò Bella, scoccandole un’occhiataccia. “Dov’è Mia?” La signorina Jessica indicò una porta dietro le spalle di Isabella.

“Dentro. Le stanno ingessando il braccio.”

“INGESSANDO IL BRACCIO?” Ormai non riusciva più a trattenersi. L’avrebbe uccisa con le sue stesse mani, se necessario.

Sentì invece due mani posarsi sulla sua vita, ed una testa che si sporgeva accanto alla sua.

“Signorina Jessica, potrebbe dirci quello che è successo?” Alla signorina Jessica non sfuggirono le mani di Edward che si erano posate sul corpo di Bella, ma alzò lo stesso la testa per guardarlo negli occhi.

“Era l’intervallo ed ho deciso di portare la classe fuori, con questo bel sole.”

“Sinceramente non mi interessa niente del tempo.” Le mani sui fianchi di Bella strinsero ancora di più, avvertendola che non era quello il modo giusto di parlare.

“Dicevo: ho deciso di portare la classe fuori in giardino. Mia ed un altro suo amichetto hanno deciso di arrampicarvisi sopra, soltanto che lei è scivolata prima di arrivare alla cima.”

“Arrivare alla cima?” Disse Edward, precedendo la domanda che Bella non avrebbe fatto con una calma del genere.

“Tutto questo non era previsto. Sono desolata, vi giuro.”

“E lei, in tutto questo, dove era?” La signorina Jessica fu salvata dal cigolio di una porta che si apriva, e di una bambina con i riccioli neri che usciva con un lecca lecca in bocca.

Hey tesoro”, Bella si abbassò immediatamente, carezzandole i capelli e guardando il gesso che ricopriva quasi tutto il braccio, fino al gomito. “Come ti senti?”

“Bene. Il doptore mi ha datto qesto.” Mia sorrise, mostrando i suoi dentini perfetti.

Edward la prese in braccio, posandole un bacio sulla fronte.

Signori Hale, Mia sta benone. Dovrete soltanto tenerla a casa per trenta giorni, il tempo di togliere il gesso e poi potrà tornare a scuola.

Né Bella né Edward fecero notare al dottore che loro non erano i signori Hale, troppo preoccupati nel sapere come stava Mia.

Quindi? Non bisogna fare niente?”

“No, non preoccupatevi. Mia è una bambina forte e sana, e fortunatamente non ha subito danni gravi. Nel giro di un mese sarà più attiva di prima. Il dottore le diede un lieve buffetto sulla guancia, prima di girarsi ed andarsene.

Bella si voltò, chiudendo gli occhi fino a mostrare due fessure e puntando il dito contro la signorina Jessica.

“Quel fottuto albero dovrà essere abbattuto.” Sussurrò con fare minaccioso. “E se accadrà un’altra cosa del genere, stia sicura che abbatterò anche lei.” Così dicendo si girò ed andò verso l’uscita a passo spedito, seguita da un Edward esasperato e ad una Mia ignara di quello che era appena successo, troppo felice di continuare a mangiare il suo lecca lecca.

 

 

 

“Ti piace?” Mia strappò via la carta, ammirando il set completo con una spazzola rosa, il pettine, un phon finto e lo specchio delle principesse.

Tììì!” Urlò, buttando le braccia intorno al collo di James. “Guadda!” Alzò tutto per mostrarlo a sua sorella più grande, che con un’alzata di spalle la liquidò.

James si era offerto di andare a prendere Emma a scuola, mentre Edward e Bella pensavano a Mia. Strada facendo le aveva comprato anche un piccolo regalino, ignaro di scatenare l’ira della primogenita.

“Io uso il pettine per i grandi.” Disse Emma, assottigliando gli occhi. “Sei tu che devi usare quello per i bambini.”

“Io non tono una bambina!”

“Invece s-”

“Basta così!” Bella entrò in casa, puntando un dito contro Emma. “Voi due filate nelle vostre camere.” Il dito passò dalla più grande alla più piccola, e con uno sbuffo sonoro tutte e due andarono al piano superiore.

“Grazie per l’aiuto James.” Bella tirò su dal pavimento la carta del regalo, dirigendosi verso la cucina. “Non dovevi.”

“Non è niente. Edward ci aveva comunque dato un giorno di riposo, tranquilla.

Mh. Il capo è così flessibile?” James rise, sedendosi su uno sgabello intorno al piano cottura.

“Sì, abbastanza.”

“Come fai a lavorare con lui? Quasi due settimane che viviamo insieme e già non lo sopporto più.

“Ormai sono più di dieci anni che ci conosciamo, io e Edward. E’ un capo esigente, ma un amico fantastico.

“Non ne ho mai sentito parlare così bene.” Bella sorrise, sedendosi di fronte a James. “Credo che segnerò questo giorno sul calendario.”

“Saprà conquistare anche te.” Annunciò James, scoccandole un’occhiata di chi ne sapeva una più del diavolo.

“Non credo proprio. Non abbiamo fatto in tempo ad entrare a casa, che ha chiamato la signorina Jessica. Nemmeno voglio sapere per quale motivo.” Bella alzò gli occhi al cielo, chiedendosi perché Edward ci stesse mettendo davvero così tanto tempo.

Aveva deciso di chiamare quell’arpia, forse per scusarsi del comportamento di Bella. Eppure era passata più di una mezzora, ed anche Emma ormai era tornata da scuola.

“Che fai stasera, Bella?”

“Ci stai provando, James?” Lui rise, scuotendo la testa.

“Lo sai bene quali sono i miei gusti, Bells. Ma un amico di Lauren è single e in cerca di una donna. Qualche ora di svago non ti farà male, vieni a cena a casa nostra.

“E lasciare Mia con un braccio ingessato in balìa di Edward? Non credo proprio.”

“Devi dargli fiducia. E questa è la serata buona. Tu ti diverti, lui si prenderà cura delle bambine e tutti saranno felici e contenti. Forza!” Bella ci rifletté su.

Da quanto tempo non usciva con qualcuno che non fosse Jacob o Leah?

Da quanto non aveva un appuntamento con un ragazzo? Da troppo tempo.

L’ultima volta che aveva conosciuto qualcuno era stato due mesi prima, al Pub in Jacob. Un troglodita che il suo migliore amico aveva cacciato a calci in culo.

“Alle undici devo stare a casa. E devo chiamare Edward almeno due volte entro la serata. Disse, indicando entrambi i due punti alzando l’indice e il medio.

“Affare fatto!” James batté entrambe le mani, felice che Bella avesse accettato il suo invito, ma sapendo perfettamente che i suoi piani erano ben altri.

 

 

“A che ora hai detto che torni?” Urlò Edward dal piano inferiore, mentre preparava la cena ad Emma e Mia.

“Verso le undici. Forse più tardi. Posso fidarmi di te?”

“Certo.” Bella finì di infilarsi i tacchi che non portava ormai da settimana, sentendo già i piedi che le chiedevano pietà. Aveva indossato un tubino nero, accompagnato da una giacca rossa e dai tacchi dello stesso colore della giacca.

Era troppo tempo che non indossava biancheria che non fosse uguale a quella di sua nonna, o che metteva un vestito sopra il ginocchio. Eppure aveva deciso di provarci veramente, quella sera: il vestito era stato un regalo di Alice, quindi una grande firma. I suoi tacchi Louboutin erano chiusi nella scarpiera da troppo tempo, e i suoi capelli non venivano curati da chissà quanto. Aveva accentuato i suoi boccoli già naturali con il ferro, facendoli ricadere sulle spalle più voluminosi.

Non si era limitata a mettere soltanto un po’ di rimmel sugli occhi, ma questa volta aveva fatto un make-up degno di essere apprezzato persino da un uomo: fondotinta, correttore, ombretto, eyeliner e il suo immancabile rossetto rosso.

Era pronta. Da lì a poco il compagno di James sarebbe passata a prenderla.

“Che te ne pare?” Scese le scale con i tacchi in mano, evitando di rompersi l’osso del collo ancora prima di uscire. Edward si voltò, fissandola dalla testa ai piedi. Per poi ritornare su. E giù di nuovo. “Se vuoi la prossima volta ti lascio una radiografia.” Bella capì che andava più che bene. Se Edward aveva avuto quella reazione, il suo appuntamento a quattro non sarebbe andato per niente male.

“Stai bene.”

“WOW! Ti prego zia Bella, regalami quelle scarpe!” Emma si scapicollò per raggiungerla, ammirando i tacchi laccati di rosso.

“Ti prometto che quando crescerai saranno tuoi.” Si abbassò, per scoccarle un bacio sulla fronte.

“Non lo fare.” Disse Edward, deglutendo rumorosamente.

“Non devo regalarle le scarpe?”

“No. Non abbassarti così davanti ad un uomo, Isabella. Indico il punto in cui si era abbassata proprio davanti a lui.

Bella aprì e richiuse la bocca, come un pesce fuor d’acqua. Finché il suo di un clacson la fece sobbalzare.

“Deve essere Laurent.” Edward annuì, prendendo Emma in braccio e portandola sul divano. Era arrivata l’ora dei cartoni animati. “Tesoro, fai la brava. E Edward, per ogni cosa, chiamami. Qualsiasi.” Posò un bacio sulla guancia di Emma, uno sulla fronte di Mia che era crollata sul divano, e prima di uscire scompigliò i capelli di Edward, regalandogli il sorriso più bello che lui avesse mai visto.

 

 

 

“Dimmi che è una persona come si deve. Non posso perdere tempo con i coglioni.” Laurent rise rumorosamente, sfrecciando per le strade di New York.

“Tesoro, è un uomo fantastico. Sarà amore a prima vista.” Se l’omosessualità di James era quasi invisibile ad occhio umano, quella di Laurent invece si vedeva persino da Marte. Bella gli diceva spesso che era impossibile uscire con lui, perché lei si ritrovava ad essere l’uomo scaricatore di porto, e lui la perfettina della situazione.

“Perfetto. Fra mezz’ora tornerò a casa.”

“Dal tuo Edward?”

“Non ricominciare. Non riesco ancora a capire come abbiamo fatto a non ammazzarci fino ad ora.

“Amore, Dio li fa e poi li accoppia. Ho sempre pensato che tu e Edward siete perfetti insieme. Già avete la famigliola felice. Manca soltanto quella spinta in più.”

“Stai zitto.” Bella lo liquidò con un gesto della mano, mentre Laurent parcheggiava accanto all’enorme villa Nomadi.

“Dici che andrò bene vestita così?”

“Stai zitta.” Laurent ripeté lo stesso gesto di prima, imitandola ed uscendo dalla macchina. Bella lo seguì, ed insieme aspettarono che James andasse ad aprire loro la porta.

“Sto per diventare etero.” James nemmeno la salutò, ma la squadrò da testa a piedi. “Mi chiedo per quale motivo Edward ti abbia lasciata uscire di casa.”

“Io già non vi sopporto più.” Si tolse la giacca e l’appese all’appendiabiti, proprio come se fosse a casa sua.

Bella conosceva Laurent dal college, ed era stata proprio lei a presentarlo a James.

“Dai, andiamo nel salone.” Seduto sul divano, di spalle, c’era un uomo con corti capelli biondo cenere.

“Isabella,” James pronunciò il suo nome a voce alta, così da far voltare quell’uomo. “Ti presento Mike Newton. Mike, ti presento Isabella Swan.”

Bella lo esaminò attentamente, pensando che il colpo di fulmine non era proprio arrivato, anzi. Allungò lo stesso la mano, stringendola nella sua. “Puoi chiamarmi Bella.”

“E’ un piacere conoscerti, Isabella.” Purtroppo sentire il suo nome pronunciato interamente le creò uno strano disagio, cosa che non accadeva mai, quando lo pronunciava Edward. Cioè, tutti i giorni.

 

 

“Allora, che lavoro fai Mike?” Ormai stavano mangiando il secondo, e gli unici che riuscivano a tenere vivo quel tavolo erano i padroni di casa.

“Lavoro alla Cullen Media Group.” Bella si strozzò con l’acqua, tossendo animatamente, mentre Laurent che era seduto accanto a lei le diede qualche colpetto sulla schiena. “Tutto bene?”

“Alla grande.”

“Tu invece di cosa ti occupi?”

“Avevo una galleria d’arte. Ora lavoro al MoMa.”

“Cavolo, sei Isabella Swan la sterminatrice di artisti?” Bella allargò gli occhi, mentre James e Laurent non fecero nulla per nascondere le loro risatine ilari.

“Come scusa?”

“Niente. Però quando vedevamo qualcuno disperato nell’edificio, sapevamo che era appena uscito dalla tua galleria.

“Fantastico.” Sussurrò Isabella, fissando il suo piatto.

“Cambiamo argomento. Cosa ne pens-” La domanda di Laurent fu interrotta sul nascere dal cellulare di Bella che squillava.

“Scusate. Devo rispondere per forza.” Uscì nell’enorme balcone, aprendo lo sportellino del telefono.

“E’ successo qualcosa? Mia sta bene?” Una risata soffocata arrivò dall’altra parte del ricevitore.

“Calmati. Volevo soltanto dirti che stanno entrambe bene, e dormono da un pezzo.

“Non ci credo.”

“Se vuoi faccio una foto per testimoniare. Sono state bravissime. E a detta di Emma anche io sono stato bravissimo, questa volta.”

Bella sorrise, pensando che sua nipote era un giudice inflessibile. E quindi Edward era stato davvero bravo. “Come procede lì?” Si astené nel raccontare come stava procedendo quella serata.

“Bene, dai. Ci stiamo divertendo.”

“Sono contento. Ti meritavi un po’ di relax.” Il sorriso che fece Bella, era un sorriso amaro. Edward era veramente felice che lei si stesse divertendo, eppure

Perché diamine era così tranquillo?

“Invece tu riposati, Edward. Ci vediamo domattina. E chiamai se succede qualcosa.”

“Promesso.” Disse lui, riattaccando il telefono e lasciando Bella da sola.

Veramente sola.

 

 

 

“E’ stata una serata fantastica.” La cena era stata abbastanza imbarazzante, ma dopo qualche bicchiere di vino e qualche chiacchiera di troppo l’imbarazzo si era sciolto.

“Ci sentiamo domani, tesoro.” Laurent le scoccò un bacio sulla guancia, e poi strinse la mano a Mike.

“Ciao James!” Urlò Bella, cercando di farsi sentire da James, che era in cucina a lavare i piatti.

“Ciao Bells!” Urlò di rimando lui. Bella infilò la giacca, e uscì con Mike.

“Sei sicuro che non devi fare altro?”

Mike scosse la testa. “Non è un problema accompagnarti a casa, Isabella.” Perché continuava ad odiare quando la chiamava così?

“Ti ho detto che puoi chiamarmi semplicemente Bella.” Disse, salendo in macchina.

“Isabella è il tuo nome, e mi piace di più.” Ecco, ora sì che suonava maledettamente male.

Non parlarono per tutto il viaggio, se non per Bella che gli dava le varie indicazioni stradali. Quando arrivarono a destinazione, Mike accostò accanto alla casa.

“E’ bellissima.”

“Grazie.” Non voleva dirgli che quella era la sua casa. Nemmeno che aveva due bambine che dormivano beate lì dentro. E nemmeno che viveva con il suo capo. “Grazie mille, Mike. E’ stata una serata fantastica.”

“Che ne dici di risentirci?” Bella alzò gli occhi senza farsi vedere.

“Sì. Credo che possa andare bene. Perché non chiedi il mio numero a James?” Così dicendo lo liquidò con un breve cenno della mano, avviandosi verso la porta centrale.

Cercò di essere più silenziosa possibile, togliendosi i tacchi sul portico, prima ancora di entrare. I piedi le facevano un male cane, e quella cena era andata liscia soltanto grazie ai suoi amici. Che il giorno dopo avrebbe ucciso lentamente.

“Sei tornata.” Una voce assonnata la fece sobbalzare, mentre nel buio cercò di mettere a fuoco qualsiasi cosa. Finché non vide Edward sul divano.

“Che fai qui?” Sussurrò, indicandolo.

“Guardavo la tv e mi sono addormentato. Com’è andata?” Bella si sedette accanto a lui sul divano, buttando la testa all’indietro.

“Una merda.”

“Addirittura?”

“Forse non ci so fare più con gli uomini.” Annunciò, maledicendosi per aver detto ciò che le passava per la testa.

“Magari ti sbagli. Chi era questo?”

“Mike Newton.” Sentì il cucino accanto al suo alzarsi.

“Come scusa? Quel Mike Newton?” Bella sorrise nel buio.

“Già.”

“Che bastardi.”

“Chi?”

“James e Laurent.”

“Perché?” Chiese Bella, volendolo sapere veramente.

“Niente. Non vai a dormire?”

“Mi stai forse cacciando? E poi non riesco a muovere i piedi, i tacchi me li hanno uccisi.

“Vieni qui.” Edward tirò su la coperta di Barbie e Shelly, cercando di avvolgere le gambe di entrambi. Bella invece ci pensò un po’, prima di posare la testa sulla sua spalla.

Quindi Mike non è il tuo tipo?”

“Secondo me ormai è colpa mia. Inizio io ad non essere il tipo di nessuno.”

“Stai zitta, Isabella.” Lei sistemò meglio la testa fra il collo e la spalla di Edward.

“E a detta tua, stasera stavo bene. Anche tu stai perdendo colpi con i complimenti, Edward. Sbadigliò sonoramente, chiudendo gli occhi.

Infatti hai ragione. Non stavi bene stasera, Isabella.”

“Questo mi rincuora molto.” Sussurrò appena lei, iniziando a cedere al sonno.

“Eri bellissima.” Bella cercò di capire il senso di quelle parole, chiedendosi se con il buio e il sonno che incombevano non avesse sognato tutto. Dopo qualche minuto di silenzio, sbadigliò di nuovo.

“Edward?”

“Sì?”

“Ti voglio bene.”

Anche io, tesoro.” Ma questa volta nessuno dei due era ubriaco, e nel buio della notte quelle parole erano vere come non mai.

 

 

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Capitolo 8
*** Emozioni ***


Ottavo capitolo – Emozioni

Ottavo capitolo – Emozioni

 

6 Ottobre 2001

 

 

“Tesoro, stai attenta!” Urlò Bella, mentre Emma la sorpassò di corsa, con in mano una dozzina di palloncini colorati. Alzò gli occhi al cielo, ma le scappò anche un sorrisino. Non poteva mai dire di no a quelle due pesti.

Ormai erano passate più di due settimane, il lavoro al MoMa procedeva alla grande, tanto che aveva instaurato un buon rapporto con Rosalie Hale. Le bambine continuavano ad andare ed odiare la scuola, entrambi allo stesso tempo.

E con Edward sembrava procedere tutto a… rilento. Le cose si erano sistemate, non si ammazzavano mai, e se lo dovevano fare cercavano di stare il più lontano possibile dalle bambine. Ma Bella sapeva che c’era qualcosa che non andava. Dalla sera che era uscita con Mike Newton, la situazione era cambiata. Edward era uno zio ed un tutore perfetto: aiutava in ogni modo, portava sempre le bambine a scuola, e poi le riandava a prendere. Se era necessario si portava il lavoro a casa, per non fare su e giù dal centro di New York. Eppure qualche volta sembrava cadere dalle nuvole.

“Questo dove lo metto?” Appunto.

“Cos’è?”

“Lo striscione con scritto ‘Tanti auguri Mia.’”

“Oh.” Bella si guardò intorno, indicando poi due gancetti appesi al muro. “Lì, davanti alla porta. Così lo vede appena entra.”

Ma se ancora non sa leggere!”

“Hai già finito di gonfiare i palloncini?” Bella squadrò dalla testa ai piedi Emma, che sconsolata fissava tutto ciò che la circondava: un tavolo pieno di regali, palloncini di tutti i colori appesi ovunque, il salone sgombrato dall’enorme tavolo e lo striscione che augurava buon compleanno alla sua sorellina. Ecco, il problema era che tutto quello era per la sua sorellina, e non per lei.

“Ho finito.”

“Vieni qui.” Bella la prese in braccio, solleticandole piano il pancino sino a sentire la sua risata ilare.

“Quando arriva il mio compleanno?”

“Il tuo compleanno è a Giugno, tesoro.”

“Proprio come il mio. Faremo una grande festa insieme.” Disse Edward, avvicinandosi a loro due.

“Non voglio fare una festa con te. Tu sei maschio e vecchio.” Edward assottigliò gli occhi, mentre Bella cercò di trattenere una risata. Ma fu quasi impossibile, finché il campanello suonò ed Emma scese dalle braccia di sua zia.

“Divertente, eh?”

“E’ una forza della natura, quella bambina.” Edward le diede una lieve spallata.

“E’ una forza della natura quando prende in giro me. Invece quando spreme l’intera confezione di dentifricio nei tuoi cassetti, non è affatto divertente.”

Che rompipalle.” Bella sussurrò quelle parole, prima di raggiungere a braccia aperte suo padre.

A Forks era riuscito a prendere qualche giorno di ferie, prima di Natale. Così da poter venire al compleanno di Mia.

“Ciao papà.”

“Ciao tesoro.” La abbracciò affettuosamente, e a lei le si inumidirono gli occhi.

“Mi sei mancato.”

“Anche tu. Dov’è Mia?” Charlie trascinò dietro di sé un enorme pacco, incartato con degli orsacchiotti sopra.

Jake e Leah sono andati a prenderla a scuola.”

Leah ancora riesce a muoversi?” Bella rise, guardando suo padre.

“Sì, papà. Dovrebbe partorire a giorni, ma si rifiuta di stare a riposo. Però il dottore ha detto che non è a rischio, quindi può fare tutte le cose che faceva prima.”

“Povero Jake.”

“Povero Jake davvero.” Edward diede corda al Signor Swan, immettendosi nella conversazione.

“Edward Cullen.”

“Sceriffo.”

“Smettila di chiamarmi così, Edward. Non sei mai venuto a Forks, e non mi hai mai visto in uniforme.

Però mi piacerebbe molto, Charlie. Soprattutto sparare qualche colpo con la tua pistola.

“Comportati male con le mie bambine, e vedrai quanti colpi sparerò io, Edward.” Anche se il rapporto fra  Edward e Charlie era molto tranquillo ed amichevole, dopo quell’affermazione il primo deglutì rumorosamente, facendo riprendere le risate di Bella interrotte poco prima.

“ECCOLI!! ECCOLI!!” Emma corse per tutta casa, trascinando per le mani suo nonno Carlisle e sua nonna Esme.

Jake intanto stava parcheggiando nel vialetto, mentre Mia attraversò di corsa tutto il giardino, arrivando alla porta ed iniziando a sbattere i suoi piccoli pugni su di essa, perché ancora non riusciva ad arrivare al campanello.

Bella aprì la porta, trovandosi davanti a Mia, che a malapena arrivava alle sue ginocchia, in tenuta scolastica. Gonnelina a quadri, camicetta bianca e maglioncino grigio. Non fece nemmeno in tempo ad entrare, che tutti quanti urlarono ‘Auguri’, provocandole una smorfia basita e i suoi occhioni che si allargavano.

Hey, tesoro non piangere. Sono solo i nonni ed alcuni amichetti di scuola.” Bella la prese in braccio, convinta che stesse per scoppiare da un momento all’altro. Invece Mia tirò su la faccia, la guardò per qualche secondo prima di fare nuovamente quella smorfia triste.

“Che succede?”

Guadda come tono vetita male!” Urlò fra le lacrime, facendo scoppiare metà casa in risate rumorose.  

 

 

La casa era piena di persone: dopo l’entrata in scena di Mia erano arrivati James e Laurent, portando dietro di loro un cavallo gonfiabile più alto di Bella. Carlisle ed Esme invece stavano sempre dietro alle loro nipotine, e così anche i genitori di Jasper. Jake non aveva perso tempo, ed appena aveva visto Charlie iniziarono a chiacchierare di tutto ciò che si erano persi; il primo a Forks ed il secondo a New York. Bella stava in disparte, con un piattino di carta in mano pieno di schifezze varie, fra pizzette e rustici che aveva preparato lei la mattina stessa.

“Ti devo parlare.” Edward le strinse il gomito, trascinandola ancora più lontano da tutte quelle persone.

“Che succede?” Domandò, ormai lontani da occhiate indiscrete.

“Ti ricordi quando mi hai proposto quella cosa del calendario? Per far coincidere i nostri impegni?” A Bella le si illuminarono gli occhi.

“Mr. Cullen, hai per caso un appuntamento?” Lui alzò gli occhi al cielo, sbuffando silenziosamente.

“No,” disse di slancio, ma pentendosene qualche secondo dopo. “Okay, forse.”

“Chi è la fortunata?”

“Per adesso non te lo dico. Comunque, non è di questo che ti volevo parlare.

“Allora?”

“Ho un congresso in Italia, la prossima settimana. Dovrei partire lunedì, e tornare il venerdì successivo. E’ un problema?” Bella sorrise guardando il suo viso preoccupato.

“No, che non è un problema.”

“Ti lascio la macchina, così potrai portare le bambine a scuola.”

“Mi lasci la tua Volvo?” Sgranò gli occhi, fingendosi preoccupata. In realtà, lo era veramente.

“Sì, Isabella. Ti lascio la mia Volvo. Non me ne far pentire, ti prego.”

“Tranquillo. E non preoccuparti nemmeno di questo fantomatico appuntamento. Anzi, se questa preda è libera, puoi uscirci anche stasera.

“Stasera?”

“Edward, sono appena le cinque del pomeriggio. Vai, e divertiti. Emma e Mia alle otto saranno esauste.”

“Sei sicura?” Questa volta fu Bella, a sbuffare.

“Sono sicura. Vai a chiamarla. Vedrai che non te ne pentirai.”

Peccato che inconsapevolmente, sarebbe stata proprio Bella a pentirsi di quel dannato appuntamento.

 

 

“Hai vitto che bello il cavallo?” Era la centesima volta che Mia lo ripeteva, seduta su quel cavallino gonfiabile mentre faceva su e giù da almeno mezz’ora.

Tia Bella? Hai vitto che bello il cavallo?” Bella alzò gli occhi al cielo, cercando di non farsi vedere.

“E’ bellissimo, tesoro. Stupendo.” Le regalò un sorriso a trentadue denti, e la bambina felice continuò a dondolare.

“Emma?”

“Che c’è?”

“Hai vitto che bello il mio cavallo?”

Oh, Dio. Fa che tutto questo finisca presto.

“Sì, Mia. Zia Bella?”

“Sì?”

“Ma dov’è zio Edward?” Bella sorrise, pensando a Edward che un’ora prima si era agghindato per il suo primo appuntamento dopo… parecchio tempo.

“Aveva delle cose da sbrigare.”

“Oh. Torna a dormire?”

“Veramente non lo so, tesoro.” In effetti era la verità, Bella non sapeva se Edward sarebbe tornato o meno, quella sera. “Però è ora che voi due andiate a dormire, piccolette.” Prese Mia in braccio staccandola da quel cavallo, mentre Emma le seguì entrambe sulle scale.

“Zia Bella?”

“Sì?” Sussurrò lei, arrivata finalmente nella loro piccola stanza.

“Mi leggi Harry Potter?” Bella prese il primo volume di quella saga dal comodino di Emma, si infilò nel letto con entrambe ed inizio a leggere qualche capitolo. Mentre la primogenita ascoltava interessata, e la seconda ad ogni parola interrompeva con un ‘pecché succede questo’ e ‘i cappelli non pallano.’

 

 

“Si sono addormentate?”

“Dopo avergli letto metà Harry Potter sono crollate.” Bella si sedette accanto a suo padre, che stava guardando la TV sul divano.

Era riuscito a convincerlo a restare lì per cinque giorni, perché prendere un hotel sarebbe stato scomodo, e poi quella casa era enorme, e potevano ospitarlo senza problemi.

“Sono fantastiche.” Disse Charlie, prima di spegnere la TV e voltarsi verso sua figlia. “Tu come stai?”

“Benone, papà. Solo un po’ stanca.”

“Ci riesci? Lo sai che Esme e Carlisle sono sempre disponibili.

“Papà, è quasi passato un mese. E se non le ho lasciate ad Esme e Carlisle all’inizio, non lo farò ora. Ce la faccio. E Edward mi aiuta tantissimo.”

Charlie le rivolse quell’occhiata sconsolata che le faceva sempre da quando era bambina, per lo più quando non era d’accordo con lei.

Nella sua vita Bella ne aveva prese di decisioni sbagliate, eppure aveva fatto tutto sempre di testa sua. Ma era pur sempre la sua bambina, e lui doveva prendersi cura di lei.

“A proposito di Edward, e chi l’avrebbe mai detto? Mi è sempre sembrato un ragazzino viziato, e invece…

“Invece è un uomo fatto e finito, papà. Aspetta un secondo.” Bella si alzò, dirigendosi verso la cucina, cioè verso il suo cellulare che stava squillando.

“Pronto?”

Bells?” Non aveva visto chi la stava chiamando sul display, ma aveva riconosciuto subito quella voce.

“Jacob?”

“Sto portando Leah in Ospedale. Le si sono rotte le acque!”

“Okay, stai calmo! Due secondi e parto da qui, Jake. Resta calmo!”

“JACOB BLACK! POSA QUEL MALEDETTO TELEFONO!” Bella sentì anche in lontananza le urla di Leah, e capì che Jake in quel momento non conosceva nemmeno il significato della parola calma.

 

 

Salì a due a due le scale dell’Ospedale, finché non arrivò fuori al reparto che cercava. Se ne rese conto perché seduti nella sala d’aspetto c’erano Esme, Carlisle, i genitori di Leah, Edward e… la signorina Jessica?

Fai sul serio, Edward?

“Bella.” Esme si alzò la abbracciò calorosamente. “Come stai? Le bambine?”

“Tutto bene. Stanno dormendo, e Charlie è rimasto con loro.

“Se vuoi vado io. Charlie è come un padre per Leah e Jake. Sono sicuro che gli farebbe molto piacere stare qui.” Bella valutò l’offerta di Carlisle, poi però decise che era meglio mantenere le cose come stavano. Suo padre avrebbe passato un po’ di tempo con le bambine, e poi il giorno dopo sarebbe andato a trovare Leah in Ospedale.

“Tranquillo. Non è il tipo che…”

“JACOB BLACK!”

Non è il tipo a cui piace assistere a certe cose, pensò Bella, sentendo le urla della sua amica anche da lontano.

“Capisco perfettamente.” Disse Carlisle, lanciandole un’occhiata comprensiva, prima di andare incontro ad un suo collega. In fondo quello era anche il suo Ospedale.

“Sono state brave?”

Oh, mi ero quasi dimenticata di te Edward.

“Bravissime.” Fece un lieve sorriso di circostanza alla signorina Jessica, poi si sedette accanto ad Esme, che aveva delle occhiaie pronunciate e una tazza di caffè in mano.

“Tu invece come stai?”

“Stanca.” Rispose Esme, ma sempre mantenendo quel sorriso dolce che riservava a tutti.

Sapeva benissimo che la stanchezza di Esme era dovuta da vari fattori, ed anche se era passato quasi più di un mese, aveva sempre perso la sua bambina. Bella ormai da giorni si era resa conto che la signora Cullen faceva quasi fatica a restare nella stessa stanza con le sue due nipotine, che erano il ritratto di Alice e Jasper.

“Perché non vai a casa? Ci restiamo noi qui, con Leah.” Le accarezzò dolcemente i capelli, cercando di confortarla.

“Ti ricordi quando sono nate Emma e Mia?” Bella sorrise, perché lo ricordava benissimo.

Ricordava un’Alice diciannovenne appena incinta, che non sapeva nulla del mondo lì fuori.

Ricordava Esme e Carlisle che non le avevano parlato per giorni, per poi perdonarla con regalini per la piccola.

Ricordava il volto livido di Jasper, dopo che Edward gli aveva dato un pugno in pieno viso.

Ricordava il travaglio di Alice, e le urla che lanciava contro il povero Jasper.

E ricordava perfettamente gli occhioni grandi e spaesati di Emma, quando l’infermiera la portò fuori dentro quella piccola culla.

“Non potrei mai dimenticarlo.”

“Sei una zia perfetta, Bella. E sarai una mamma splendida, te lo posso assicurare. Le si inumidirono gli occhi, ma cercò di non piangere. Perché sapeva che Edward la stava fissando, tenendo il suo sguardo puntato su Bella da un po’.

“NON FARO’ MAI PIU’ UN FIGLIO! TIRATEMELI FUORI!” Ed ovviamente Leah era riuscita a rovinare quel momento di pace e calma anche se non era presente, ma meritandoselo tutto.

 

 

“Oh, Dio.” Due piccoli fagottini erano avvolti da una copertina blu e da una rosa. Alla fine i gemelli si erano rivelati essere una coppia: un maschietto ed una femminuccia. Per la felicità di entrambi i loro genitori, che ora si tenevano le mani.

Leah con il viso stravolto dalle quasi nove ore di travaglio, ma Jacob ancora più stravolto di sua moglie.

“Avete fatto due capolavori.” Bella continuava a guardarli estasiata. Erano così piccoli e così ingenui. Non sapevano nulla di ciò che li circondava, e sarebbero stati amati alla follia da tutti quanti.

Potevano entrare due persone alla volta in quella stanza, e loro avevano deciso di aprire la porta a Bella e Edward. Soltanto che quest’ultimo era impegnato in una telefonata importantissima, perdendosi quello spettacolo.

“Scusate.” Edward entrò in quel momento, posando il cellulare nel taschino della giacca ed avvicinandosi a Bella. La signorina Jessica se ne era andata ore prima, forse dopo aver capito che era un po’ di troppo, in quella stanza.

Si fermò davanti alle due culle, ammirando anche lui i figli di Jake e Leah. Bella lo stava osservando da un po’, e notò che aveva dischiuso la bocca e i suoi occhi si erano fatti quasi lucidi.

Hai anche tu dei sentimenti, Edward Cullen?

“Ora vogliamo sapere la cosa più importante.” Esordì Bella, toccando lievemente la manina di entrambi. “Come li avete chiamati?”

“Glielo dici tu, o glielo dico io?”

“L’idea è stata di entrambi…”

“Ti ho chiesto se vuoi dirglielo tu o no, scemo.”

“Giuro che se iniziate a litigare anche ora, me ne vado.” Esordì Edward, con gli occhi socchiusi. Quei due erano incredibili.

“Edward, Bella” Annunciò Leah, prendendo un bel respiro. “Vi presentiamo Mary Alice Black e Ronald Jasper Black.”

Senza dire una parola, dietro le culle di Mary e Ronald, le mani di Edward e di Bella si trovarono contemporaneamente, stringendosi forte.

 

 

Sei stanca?” Edward chiuse lo sportello della Volvo delicatamente, cercando di fare meno rumore possibile. Erano quasi le cinque del mattino, e finalmente erano riusciti ad uscire da quell’ospedale, concedendosi qualche ora di riposo. Poi avrebbero svegliato le bambine per accompagnarle da Leah e per far conoscere i loro cuginetti ad entrambe.

Emozionata è la parola giusta.”

Entrarono entrambi in casa, restando immobili nell’ingresso, mentre l’alba era ormai incombente e la casa iniziava ad illuminarsi.

“Sono stati fantastici.” Disse Edward, stropicciandosi gli occhi stanchi e rossi. Poi, posò di nuovo lo sguardo su Bella. Rimasero qualche minuto in silenzio, accompagnati dal ticchettio dell’orologio della cucina che scandiva i secondi che passavano.

“Che c’è?” Sussurrò Bella, rendendosi conto che Edward la stava fissando da un po’, senza dire una parola.

E non ci fu bisogno di parole, quando la tirò per un braccio facendole posare le labbra sulle sue.

La testa di Bella stava per scoppiare: non sapeva per quale motivo la stava baciando, eppure non riusciva a tirarsi indietro. Perché le labbra di Edward erano morbide e perfette per le sue. Approfondirono quel bacio capendosi immediatamente, mentre la mano di lui si posò dietro il collo di Bella, iniziando ad accarezzarlo dolcemente ed attirandola più vicino a lui.

Si staccarono nello stesso istante, con il respiro affannato e gli occhi lucidi.

Co-?” Ma non fece in tempo a finire la domanda, perché Edward la attirò ancora di più vicino a lui. Poteva sentire il battito del suo cuore, sotto quella giacca nera.

“Dormi con me, Isabella.”

Lei rimase in silenzio, chiedendosi se aveva capito bene o meno. Se tutto quello che era accaduto in quella giornata stramba era frutto della sua fantasia, o no.

“Non me lo far ripetere di nuovo. Dormi con me.” Bella a malincuore si staccò dal suo petto, dirigendosi verso il piano superiore, senza guardarlo negli occhi.

Ma con la mano stretta in quella di Edward, mentre lo trascinava per scale, chiudendo a chiave dietro di loro la porta della camera di Bella. Insieme a mille altri problemi.

 

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Capitolo 9
*** Mi sei mancata ***


“Fiocco rosa o fiocco giallo

Nono capitolo – Mi sei mancata

14 Ottobre 2001

 

“Fiocco rosa o fiocco giallo?” Mia alzò entrambe le sopracciglia, e poi allungò il suo ditino verso il primo fiocco: quello rosa. Era domenica, e come ogni domenica dovevano andare a pranzo dai nonni. Le bambine adoravano andare a casa di Esme e Carlisle, perché sapevano con certezza che avrebbero rimediato sempre un regalino: dei dolcetti, oppure dei soldi.

“Vieni qui.” Mia si voltò, lasciando che Bella pettinasse i suoi capelli riccioluti. Ormai non si lamentava più, perché ogni volta che si guardava allo specchio, adorava la nuova pettinatura che le aveva fatto zia Bella.

Intanto Emma era al piano inferiore, che arrabbiata finiva i suoi compiti di Matematica.

“Ecco fatto. Sei bellissima.” Diede un buffetto dolce ai capelli di Mia, mentre lei con ammirazione si guardava allo specchio da diverse angolazioni.

“Sei proprio bava.

“Grazie tesoro. Adesso andiamo ad aiutare Emma con i compiti.

“E quando andiamo a prazzo dai nonni?”

“Fra qualche ora.”

“E quando tonna zio Edward?”

Edward. Giusto.

Quell’Edward che era partito la settimana scorsa per l’Italia.

“Oggi. Viene direttamente dai nonni, tesoro.”

“E Mary e Ronnad?”

“Sì, zio Jake e zia Leah porteranno anche loro. Sei contenta?”

Sìì! Percché sono piccoli piccoli e… un po’ vissidi.”

“Mia, non sono viscidi!”

Ma hanno la pelle così… vissida.” Fece la sua solita smorfia con la bocca, quando le cose non le andavano a genio.

“Tu hai finito?” Intanto erano scese giù: Mia si era catapultata sul suo tappeto dei giochi, mentre Emma era china con la schiena sul suo quaderno.

“Odio le sottrazioni. Le odio.”

E sì, in Matematica era proprio tale e quale ad Alice.

“Il bello deve ancora arrivare, tesoro: divisioni, moltiplicazione, lettere al posto dei numeri…

“Grazie, zia Bella. Sei sempre d’aiuto.” Soffocò una risata, mentre si riempiva una tazza di caffè.

La settimana appena finita era stata una delle migliori: stando da sola con le bambine era riuscita ad instaurare un rapporto fantastico con loro, nel giro di pochi giorni. Era riuscita a capirle e a viziarle in tutti i modi possibili, e le adorava da morire. La mancanza di Edward si sentiva, ma loro erano diventate complici. Passavano da pigiama party che duravano ore a gite nei vari parchi di New York. Un giorno le aveva anche portare al MoMa, e persino quel cuore di ghiaccio di Rosalie Hale si era innamorata di loro.

“Quando torna Angela?” Ed avevano anche formato un quartetto perfetto, insieme ad Angela. Si era ripresa da poco, doveva fare ancora molte sedute di fisioterapia, ma non si era mai tirata indietro quando Bella la invitava a cena a casa loro.

Sìììì. Angea quando viene?”

“Presto. Un giorno cacceremo zio Edward e così Angela dormirà qui con noi.”

“Lo mandiamo da James e Laurent.” Disse Emma, trovando una soluzione per tutto. Bella questa volta rise sul serio, immaginandosi Edward a dormire sotto lo stesso tetto del suo migliore amico e del fidanzato di quest’ultimo. Non glielo avrebbe mai perdonato, e per questo aveva in mente di spedircelo il prima possibile.

Pecché ridi?”

“Niente, tesoro.” Bella scosse la testa, togliendosi quelle immagini dalla mente. “Insomma, vogliamo finirli questi compiti?”

Emma alzò gli occhi al cielo, infelice che la sua piccola pausa fosse già finita. “Odio la Matematica. Io. La. Odio.” E detto questo, buttò di peso la testa sul tavolo di legno, sbuffando sonoramente.

 

 

NONNAAAAA NONNAAAAA NONNAAAAA” Mia si catapultò immediatamente fra le braccia di Esme, aspettando che quest’ultima la prendesse in braccio per abbracciarla forte.

“Tesoro, tu non mi saluti?” Emma la guardò dall’alto verso il basso, e lentamente si avvicinò a lei per stamparle un bacio sulla guancia. “C’è qualcosa che non va?”

“Zia Bella mi obbliga a fare Matematica. Io odio la Matematica.” Esme scosse la testa, sorridendo.

“Devi fare i tuoi compiti, tesoro. Tutti gli abbiamo fatti.”

“Non Matematica. Nessuno può obbligarmi a fare Matematica. Sbuffò sonoramente, dirigendosi a testa bassa verso l’ingresso della casa.

Intanto Bella cercava i chiudere quella maledetta macchina, che in una settimana le aveva dato non pochi problemi.

Era una responsabilità troppo grande guidare una macchina del genere, soprattutto se il proprietario era un geloso egocentrico come Edward Cullen.

Dopo pochi minuti seguì le sue nipotine all’interno della casa, trovando già Jacob e Leah seduti su uno dei tre divani di quell’enorme sala. Mentre i gemelli erano nei passeggini, proprio accanto ai loro genitori.

“Non so se stai peggio tu o io.” Esordì Leah, mentre Bella si sedeva accanto a lei. La sua amica aveva occhiaie pronunciate, ed il suo colorito non era dei migliori.

“Ci siamo divertite, queste settimana.”

“Oh, anche noi. Non puoi capire invece quanto si sia divertito Jacob, che ha deciso di tenere il Pub aperto. E che quindi rientrava ogni sera ad orari improbabili, svegliandoli entrambi.”

Bella cercò di non ridere, ma proprio le fu impossibile quando vide la faccia triste da cane bastonato di Jacob.

“Il bello deve ancora arrivare. Tipo quando giocherete a nascondino, e ne troverai uno dentro la lavatrice, mentre l’altra invece di cercarla, prova ad accenderla. Leah allargò gli occhi, stupita.

“Non dirmi che l’hanno fatto veramente.”

“Già. Mia è entrata nella lavatrice, ed Emma quando l’ha trovata invece di andare a fare tana, ha praticamente premuto il bottone d’accensione.”

“E…?”

“Era da un po’ che io ed Angela non le sentivamo, e lei era andata al piano inferiore. Fermate per un pelo.”

“Ringrazia che non lo sappia Edward. Te lo avrebbe rinfacciato per il resto della tua vita.

Peccato che Edward ora lo sa.” Sobbalzarono entrambe, e si voltarono contemporaneamente.

Edward Cullen era proprio dietro di loro: e mentre la faccia di Leah era quasi colpevole per qualcosa che non aveva fatto, quella di Bella era quasi… stupita e felice allo stesso tempo.

“Sei tornato.” Fu l’unica cosa che riuscì a sussurrare, beccandosi una gomitata dalla sua amica.

“Qualche ora fa. Mi ha accompagnato James qui.”

“Oh.”

Brava, Bella. Continua così. Sei la regina delle conversazioni.

“Insomma, chi era dentro la lavat-

“Il pranzo è pronto!” E in quel momento Esme Cullen fu santificata da Isabella Swan. Per il resto della sua vita.

 

 

Quella tavolata era qualcosa di invivibile: Emma e Mia non facevano altro che punzecchiarsi, iniziando anche a tirarsi piccoli pezzetti di pane. I gemelli avevano capito che era l’ora di mangiare, e quindi avevano iniziato a piangere allo stesso tempo. Jacob cercava di aiutare Leah con entrambi i piccoli, Esme provava a calmare le sue nipotine, mentre Edward e Carlisle discutevano di lavoro e politica. Un vero e proprio inferno per Bella, che decise di abbandonare tutte quelle persone ed iniziare a portare i piatti in cucina.

La cucina dei signori Cullen era super attrezzata, con un forno di ultima generazione dotato di touch screen, due lavastoviglie, ed un lavandino enorme. Insomma, nulla a che vedere con la loro cucina.

Aprì l’acqua calda ed iniziò a lavare i primi piatti, quando due mani forti le afferrarono entrambi i fianchi.

Buh.”

“Divertente.” Cercò di continuare quello che stava facendo, ma era impossibile concentrarsi con il profumo di Edward a pochi centimetri da lei.

Devi solo lavare i piatti, Bella.

Lavare. I. Piatti.

“Ti serve una mano?” Domandò, senza staccare le mani da lei. Anzi, avvicinandosi ancora di più da far aderire le loro guance.

“No. Puoi tornare di là.”

“Sto meglio qui.”

Non sapeva come interpretare quelle parole. A dirla tutta, non sapeva proprio come interpretare tutti i gesti di Edward nell’ultimo periodo.

“Puoi aiutare tua madre con Emma e Mia. Oppure dare un po’ di supporto morale a Jacob. O tornare a chiacchierare con tuo padre. Ma qui non ho bisogno d’aiuto, Edward.”

“Capito.” Si staccò di qualche centimetro, giusto per dare lo spazio necessario a Bella di voltarsi.

Ora, erano uno di fronte all’altra. E la prima cosa che notò Bella, fu che la porta della cucina che lei aveva lasciato aperta, ora era chiusa.

“Perché hai chiuso la por-”

Mi sei mancata.” Fu tutto quello che uscì dalla bocca di Edward, prima di zittirla con quella di Bella.

Una mano restò sempre issata sul suo fianco, mentre l’altra arrivò dietro il suo collo, massaggiandole delicatamente la nuca.

Entrambi approfondirono il bacio, intrecciando le loro lingue. Si staccarono dopo quale secondo, entrambi bisognosi di aria, con le bocce arrossate e gli occhi stravolti.

“No. Così non va bene.” Disse Bella, in un sussurro.

“Cosa?”

“Non può andare avanti così. Non ci vediamo da una settimana, Edward. Non puoi tornare e fare… questo.” Con la mano libera indicò loro due, intendendo ciò che era appena successo.

“Dopo quello che è successo la scorsa notte, non posso fare questo?” Edward ripeté il suo stesso identico gesto, alzando entrambe le sopracciglia.

Che cos’era successo, la scorsa notte? Più di una settimana prima, dopo che i gemelli erano nati, Edward l’aveva baciata per la prima volta. E una seconda. Poi una terza, e così via.

 Si erano scambiati effusioni per tutta la notte, senza mai andare oltre.

Si erano scambiati parole dolci e di conforto, dopo tutto quello che avevano passato.

Si erano svegliati insieme, avevano fatto colazione e subito dopo Edward era partito per il suo congresso.

Ed ora che non si vedevano da una settimana, la sua spiegazione era stata quella: un altro bacio attaccata al lavandino della cucina.

“Il problema è che non so ancora cosa sia successo l’altra notte, Edward.”

“Come?”

Bells, mi riscaldi i biberon?” Erano ancora attaccati, quando Jacob entrò in cucina con due biberon pieni di latte in mano. “Okay. Va bene.” Jake deglutì, cercando di trovare un senso a tutto quello aveva appena visto. “Ti lascio i biberon sul tavolo. Io non ho visto niente.” Silenziosamente come era entrato, uscì, lasciandoli di nuovo soli. E ancora attaccati.

“Fantastico. Ci mancava solo questa.” Sussurrò Bella, sbattendo la testa sul petto di Edward, esasperata.

. E poi io ho parura del buio. No. Non potto andale in camera di tia Bella. No.” Sentirono la voce di Mia, mentre chiacchierava amabilmente con sua nonna.

“E perché non puoi andare in camera di Bella, tesoro?”

Pecché tio Edward domme con lei. L’altra notte dommiva con lei.”

“Ora si che siamo fottuti.” Sussurrò Edward, scuotendo la testa e appoggiandola sopra quella di Bella.

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Capitolo 10
*** Movimento ***


“BUH

Decimo capitolo - Movimento

         31 Ottobre 2001

 

          “BUH!”

Cazzo!” Una teglia cadde sul tavolo, rovesciando i biscotti a forma di pipistrello che c’erano sopra.

“Zia Bella ha detto una palola! Zia Bella ha detto una palola!”

Una palola stava per parolaccia, e Mia nella sua maschera da fantasmino non vedeva l’ora di sbandierarlo ai quattro venti.

“Zia Bella non si dicono le parole!” Lanciò un’occhiata truce all’uomo davanti a lei.

“Non rompere.”

“Sempre di buono umore ultimamente. E’ quel periodo del mese?” James le fece l’occhiolino, portando la tazza che aveva in mano alla bocca.

“E’ sempre quel periodo del mese per lei.” Intervenne Edward, rubando dalla teglia un biscotto. E guadagnandosi un’altra occhiataccia da parte di Bella.

James si accigliò, guardando il suo migliore amico.

“Scusa, se è sempre quel periodo del mese quando fate sesso?” Si finse sorpreso, quando sapeva benissimo che voleva soltanto mettere in imbarazzo Bella.

“Oh. E’ rimasta la figa di legno del College, sai. Continuarono a parlare della sua vita sessuale tranquillamente, come se lei non ci fosse.

“Cosa? Ormai Mia ha spiattellato ai quattro venti che ve la intendete, voi due. E ancora niente?” Questa volta la domanda era per Bella, perché si era voltato dalla sua parte.

“Stiamo scherzando.” Sussurrò Bella, stringendo lo strofinaccio che aveva in mano.

Dai, tesoro! Ti servirebbe proprio un po’ di movimento.

“Quello che penso anch’io.” Edward diede corda al suo amico, ed insieme iniziarono a fissarla.

“Primo, il mio movimento non vi deve interessare.” Disse, indicando con l’indice prima James, e poi Edward. “Secondo, il mio malumore è dovuto a te” il dito rimase puntato su Edward, “che non mi stai aiutando per niente. E a te,” di nuovo, si spostò su James “Che sei peggio di quelle due pesti. Ed hai trent’anni.” Finì, riprese in mano lo strofinaccio e continuò a decorare i biscotti.

“Cazzo, ti serve proprio una scopata tesoro.” E sia James che Edward si ritrovarono coperti di glassa nera.

 

 

Quindi niente cena a casa dei tuoi?” Domandò James, mettendosi il cappotto. Ormai era finito Ottobre, e fuori si moriva di freddo.

“No. Bella dice che ha un appuntamento.”

“Oh. Cullen, forse sei geloso?”

“Io? Non abbiamo parlato di niente, quindi è liberissima di fare quello che vuole. Disse  Edward.

“Senti, te lo dico ora che Bella e le bambine sono al piano superiore: non me ne frega nulla di quello che combinate tu e lei, siete grandi e vaccinati. Ma basta che questo non ricadrà sulle bambine.

“Appunto. Siamo adulti e sappiamo quando dobbiamo tenerle fuori da questo.

“Edward, ti conosco. Non conosco Bella, ma conosco te: so che quando ti innamori, quando entri dentro ad una storia non ne esci più. Ci sei al cento per cento. Ma se Bella un giorno si stancherà, devi lasciarglielo fare. Oppure, non iniziate per niente questa cosa.

“Abbiamo finito la paternale?” E lì James capì immediatamente che se ancora non era dentro al cento per cento, era arrivato al novantanove.

“La paternale non te la facevi fare neanche da Carlisle.” Esordì Bella, portandosi dietro Emma e Mia. “Sono pronte. E mi raccomando, James. Poche caramelle.”

“Promesso.” Tirò fuori quel sorriso che faceva svenire ogni donna, e poi fece l’occhiolino alle bimbe, informandole che ci sarebbero state caramelle a volontà quella sera.

“Le vengo a prendere domattina.” Disse Edward.

“Tranquilli. Ve le riportiamo io e Laurent. Dobbiamo andare a pranzo dai suoi, siete di strada.

“Sicuro?”

“Sì.

“E niente parolacce.” Bella puntò il dito contro James, perché Mia aveva appena smesso di chiedere a tutti cosa fosse una scopata.

“Allora, ci vediamo domattina. Fate le brave.” Baciò entrambe sulla fronte, coperte fino al collo dalle loro sciarpe. Una borsa ciascuna, con le maschere di Halloween. Erano prontissime per andare a fare dolcetto o scherzetto con James e Laurent.

“Siamo brave. Promesso.”

“Ciao ciao.” Salutarono entrambe con le manine, finché Bella richiuse la porta dietro di loro. Sentendo in lontananza Mia che cantilenava parolacce e James che rideva come un pazzo.

 

 

Ehw.” Bella sospirò, buttandosi di peso sul divano e stirandosi fino a sentire male ai muscoli.

“Stanca?”

“I piedi.” Disse, con la faccia schiacciata sul cuscino. “Non mi sento più i piedi.”

“Se continui a metterti quelle scarpe per andare a lavoro, dovranno amputarteli alla fine.”

“Spiritoso.” Non si mosse, ma i cuscini del divano si spostarono quando Edward si sedette accanto a lei, tirandole su i piedi e mettendoli sulle sue gambe.

“Che fai?”

“Massaggio a domicilio.” Cominciò dalle dita, fino ad arrivare al collo del piede e poi ricominciare. Bella sospiro, affondando di più la faccia sul cuscino.

“Male?”

Cazzo continua!” Le uscirono di getto quelle parole, come di getto uscì la risata dalla bocca di Edward.

Un suono che Bella sentiva raramente, e non ne aveva mai abbastanza.

Dopo qualche minuto di silenzio e di massaggi ai piedi, lei si voltò, restando sempre sdraiata.

“Lo sai che dobbiamo parlare.” Spinse un po’ di più sul tallone, provocandole una smorfia sulla bocca.

“Già.”

“Siamo persone mature, Edward.”

“Lo so.”

Quindi, arriviamo subito al punto: che succede?”

“Succede che tu sei sdraiata sul divano, e io ti sto massaggiando i piedi.” Alzò gli occhi al cielo, si tirò su ed incrociò le gambe.

“No. Dobbiamo parlare sul serio, ora che le bambine non ci sono.

“Non lo so che succede, va bene?”

“Come non lo sai?”

“No. E’ tutto strano, Isabella.”

“Cazzo, non venirmi a dire che è strano, che non sai come comportarti e roba del genere. So chi sei, Edward Cullen. E so anche quante ragazze hai avuto. Quindi, tira fuori il nocciolo della questione.

“Non lo so. Forse è stato un momento di debolezza.”

Momento di debolezza?” Bella sgranò gli occhi, sedendosi ancora meglio. “Il momento di debolezza c’è stato quando Leah ha partorito. Ed un po’ è stato per colpa mia, vero. Però a casa di Esme e Carlisle, io non centravo niente. E nemmeno il momento di debolezza, perché cazzo Edward, stavo lavando i piatti! E nemmeno l’altro ieri mattina, quando mi hai lasciata fuori al MoMa e per salutarmi mi hai baciata. Questi non sono momenti di debolezza. Questi sono gesti calcolati.” Riprese il fiato che aveva perso durante tutto quel discorso.

“Succede e basta, cosa ti devo dire? Ti vedo lì, mentre torniamo dall’Ospedale, hai la faccia stravolta e magari pensi ancora a Jasper ed Alice. Oppure quando sei lì a lavare i piatti, e c’è quel sedere che Bella, ringrazia che non ti abbia spogliata a casa dei miei genitori. E poi di nuovo in macchina, quando ti volti per salutarmi e scendere, e hai quella faccia così stanca per colpa delle bambine, ma anche così…

“Fermo. Mi stai dicendo che lo fai per pietà? Perché sono stanca, e ti faccio pena? Oppure perché sono la poverina che lava i piatti per allontanarsi da una famiglia perfetta, tralasciando la parte del mio sedere?

“No, Isabella! Cazzo, perché devi sempre mettere il punto nelle parti sbagliate? In tutto il discorso che ti ho fatto, hai capito soltanto quello che volevi capire.

“Ho capito quello che mi volevi dire, Edward.” Sussurrò alzandosi e rimettendosi le ciabatte.

“No! Non hai capito un bel nie-

“Stasera faccio tardi. Tanto hai detto che devi uscire anche tu, no?

“Con alcuni colleghi di lavoro.” Disse Edward, capendo che ormai era una battaglia persa.

“Perfetto. Io vado a prepararmi.” Si voltò, dirigendosi verso il piano superiore.

“Isabella?”

Mh?”

“Posso chiederti con chi esci?”

Sapeva che Leah non poteva muoversi da casa, con i bambini.

E che Angela stava ancora facendo la fisioterapia.

“Con Mike Newton.”

E sapeva anche che Mike Newton non aveva un emerito cazzo da fare, nella sua esistenza.

 

 

Omen era uno dei ristoranti giapponesi più famosi di New York, ed il preferito di Bella. Si stupì non poco, quando Mike fermò la macchina lì fuori, le aprì lo sportello e diede le chiavi al parcheggiatore.

“Come facevi a-

“Lo ammetto: James mi ha suggerito qualcosa, questa volta.” Sorrise, mentre tenne aperta l’enorme porta a vetro per farla entrare.

“Adoro questo ristorante.”

“Già.”

Non adorava Mike Newton, ma per quella sera poteva anche essere passabile. Si stava comportando da gentiluomo, e Bella lo apprezzava molto.

Mike aveva già prenotato un tavolo, e la cameriera giapponese li condusse lì con un sorriso di cortesia.

“Piace anche a te il sushi?” Lui si guardò intorno, grattandosi imbarazzato la testa.

“Okay. Non hai mai mangiato il sushi.” Esordì Bella, con lo sguardo compassionevole.

“Hai vinto tu. Ammetto di non aver mai mangiato sushi in vita mia.

“Perché?”

“L’idea del pesce crudo non mi ha mai allettato, devo dirti la verità.” Lei rise, ed aiutò Mike a prendere la sua ordinazione. Dopo un po’ arrivarono i piatti, e così anche le grosse risate di Bella, mentre cercava di mettere alla prova Mike con le bacchette in mano.

“E’ la prima e l’ultima volta.” Disse infine lui, infilzando quel pezzetto di sushi al salmone con la forchetta.

“Questione di abitudine.”

“Non mi abituerò mai.”

Però ti è piaciuto, sì?” Sarebbe stato davvero triste, se il sushi non gli fosse piaciuto. Anche perché quello era uno dei ristoranti più costosi di NY.

“Non male. E non lo dico tanto per dire.” Bella rise di nuovo, scoprendo che quella serata stava prendendo una piega piacevole.

“Isabella?”

“Signorina Jessica?”

“Miss Swan?”

“Newton?”

Cullen?”

Nella confusione non capirono bene chi aprì la bocca per primo, ma tutti e quattro si resero conto di una cosa: Isabella era a cena con Mike, mentre Edward con la signorina Jessica. Che a casa era definita come ‘colleghi di lavoro’.

“Vi conoscete? Magnifico! Siamo pieni stasera, e unire il vostro tavolo sarebbe fantastico!” La cameriera non aspettò nemmeno una risposta, e velocemente attaccò il tavolo vuoto a quello di Isabella e Mike.

“Jessica Stanley.” La signorina Jessica allungò una mano nella direzione di Mike, e si sedette proprio accanto a lui. Così da lasciare libero il posto accanto a Bella. Che fu subito occupato da Edward.

“Ti piace il sushi?” Sussurrò lui, assottigliando gli occhi.

“Da quant’è che lei è diventata una tua collega di lavoro?”

“Ho avuto dei problemi con quella cena.”

“Giusto. Sei corso subito ai ripari, però.”

“Insomma, come fate a conoscervi voi due?”

“Viviamo insieme, Newton.” Disse Edward, senza mezze parole.

“Come scusa?”

“Viviamo solo insieme. Non stiamo insieme.” Precisò Bella, dandogli una gomitata e facendolo sorridere.

“Siete tipo… coinquilini?” Nessuno dei due aprì bocca, Edward troppo preso a mangiare il sushi rimasto nel piatto di Bella, e lei perché non riusciva a trovare le parole adatte. Ma ci riuscì benissimo la signorina Jessica, che con molta calma e professionalità spiegò a Mike come andavano le cose.

“Wow. James non mi ha mai detto nulla.”

“Si chiama privacy.” Sottolineò Edward, questa volta mangiando dal suo piatto che era appena arrivato. Mentre ‘puoi chiamarmi Jessica, Bella!’ mangiava un’insalata non condita.

Perché il pesce crudo no.

Perché i grassi no.

Perché il fritto no.

Bla bla bla.

“Ragazzi, noi possiamo anche lasciarvi da soli. Abbiamo finito, e così potrete godervi la serata. Esordì Bella, ma fu interrotta da una mano posata sulla sua coscia destra.

“No. Non se ne parla. Vi offro io questa cena.” Edward strinse di più la mano sulla coscia nuda di Bella, facendola tornare al suo posto.

“Posso pagarla tranquillamente io, Cullen.”

“Tesoro, lasciali andare.” Jessica fece l’occhiolino a Edward, gli strinse la mano che era sul tavolo e giocò un po’ con le sue dita.

“E’ James!” Isabella tirò fuori il cellulare dalla borsetta, si alzò e si allontanò di qualche passo. Tornò indietro dopo qualche minuto.

“Succede qualcosa?”

“Dobbiamo andarle a prendere.”

“Cos’è successo?” Questa volta Edward scattò in piedi, abbottonandosi la giacca.

“Andiamo. Mike, potresti gentilmente occuparti di Jessica stasera?” Lui annuì spaesato, mentre la signorina Jessica ignara di tutto continuava ad occuparsi della sua insalata. Mentre Bella e Edward presero i cappotti ed uscirono velocemente, infilandosi nella Volvo grigia.

 

 

“Insomma, che diamine è successo?”

“E’ inutile che fai questa strada. Puoi benissimo tornare a casa nostra.” Edward rallentò con la Volvo, concedendosi di fissare Bella.

“Come? James cosa voleva?”

“Mi ha detto che andava tutto alla grande, e che erano appena tornati a casa.”

“Allora perc-

“Tu torna a casa nostra, Edward.”

Impiegarono venti minuti di silenzio tombale e di sospiri lasciati apposta, per tornare a casa. Ma quando Bella entrò e si tolse le scarpe, non aspettò nemmeno che Edward chiudesse la porta dietro di sé, per tirargliene una in pieno petto.

“Che cazz-

“Ti sembravo un cane bastonato anche stasera, eh?”

“Come?”

“Che problemi hai, Cullen? Stavo bene, stasera. Benissimo. Volevo passare una serata tranquilla, come fa qualsiasi donna di quasi trent’anni. Ma no. Tu devi sempre stare in mezzo. Devi sempre rovinare tutto.”

“Dimmi tu quali sono i tuoi problemi, Bella!”

“I miei? James ha chiamato, chiedendomi se eri arrivato. Con la signorina Jessica. Altro che cena di lavoro. Sapevi benissimo dove sarei andata a cena, e hai fatto tutto apposta. Io avevo soltanto bisogno di una serata per respirare. E basta.” Alzò entrambe la braccia, per enfatizzare tutto quello che aveva detto.

“Con Mike Newton? Vuoi davvero respirare con Mike Newton, Isabella. Bene, allora vai, che lui ti aspetta. Non sai in che guai ti vai a cacciare. Però, vai. Sei adulta, e sei liberissima di fare tutto quello che vuoi!” Urlò stavolta lui, allentandosi il nodo della cravatta.

“In che guai mi vado a cacciare?”

“Non te li spiego neanche. Perché è inutile parlare con te. E’ inutile spiegarti con tranquillità che mi piaci, e che potrei perdere la testa al solo pensiero di sapere che sei lì fuori con Mike Newton. Eppure vai. Perché sei una testarda, ottusa, egommh

Si spostò di almeno tre passi, trovandosi con il sedere sul bracciolo del divano e con Bella in braccio.

“Odio le cravatte.” Sussurrò lei, cercando di tirargliela via. Mentre i bottoni della camicia seguirono la sua fine sul pavimento. “E toglimi le mani dalla schiena, Cullen. Quel sedere è tutto tuo. E lo so che non sei un bravo ragazzo.”

“Niente affatto.” Disse Edward nella penombra della stanza, stringendo entrambe le natiche e avvicinandola ancora di più a lui.

In meno di pochi minuti lui rimase a petto nudo, mentre il vestito di Bella si era alzato fino alla vita.

“Sopra.” Disse, iniziando a baciargli il collo.

“Aspetta. Mmmh. Aspetta, Isabella.”

“Che c’è?” Si stancò a malincuore, guardandolo con quella faccia da cane bastonato che lui adorava così tanto.

“Devi dirmi cosa vuoi fare.”

Cosa voglio fare?” Cercò di trattenere una risatina, mordendosi le labbra.

“E devi esserne sicura.”

“Lo sai cosa voglio fare, Cullen? Mh?”

“Sto cercando di immaginarlo.”

“Io lo immagino da stamattina, invece. Voglio fare un po’ di movimento. Quindi, alza le chiappe dal divano, e portami di sopra.

Edward la strinse di più a sé, lei avvolse le gambe intorno alla sua vita e la portò al piano superiore.

Ogni tua richiesta è un ordine, tesoro.”

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Capitolo 11
*** Le mie donne ***


Undicesimo capitolo – Le mie donne

Undicesimo capitolo – Le mie donne

1 Novembre 2001

 

Era mattina.

Ed era presto.

Bella se ne rese conto dalla luce che filtrava dalla finestra, con il sole che non era del tutto salito nel cielo. Ed anche per un’altra cosa: l’odore pungente del caffè. Aroma che adorava.

Mmh.” Si stropicciò gli occhi, stirandosi ancora di più nel letto.

“Ne ho sentiti fin troppi di quei versi stanotte.”

“Cazzo, cazzo, cazzo!”

Era la voce di Edward, ancora impastata dal sonno a far venire tutto a galla.

Edward Cullen.

Sesso.

Sesso fantastico.

“Proprio il buongiorno che mi aspettavo, tesoro.” Tolse le mani dalla faccia, per poter ammirare Edward Cullen a petto nudo, coperto fino alla vita dal lenzuolo bianco, con una tazza di caffè in mano.

“L’abbiamo fatto davvero.” Non era una domanda, e lo sussurrò appena. Edward annuì, senza proferire parola. E dopo pochi secondi, Bella scoppiò in una sonora risata. Continuò a ridere per qualche minuto, girandosi di lato e tenendosi anche la pancia per i dolori.

“E’ una cosa buona, no?” Edward la indicò, per capire quello che stava succedendo.

“Hai detto che ti piaccio, Cullen.”

Bla bla bla.”

“Hai anche ammesso di essere geloso marcio.”

“Ricordo quello che ho detto ieri sera.”

“E che se pensare a me vicino a Mike, ti vie-” Fu proprio la bocca di Edward ad interromperla, posandosi sopra la sua.

Bella pensò che sarebbe stato fantastico poter sentire l’aroma del caffè in quel modo, ogni mattina.

“Finito?” Il peso di Edward la schiacciava, facendola diventare un piccolo puntino sotto la sua corporatura così robusta.

Ho finito? Voglio veramente finire tutto questo?

“E poi dai, insomma, la signorina Jessica?” Continuò, sapendo che Edward l’avrebbe interrotta di nuovo.

E lo fece. Assaporò le sue labbra lentamente, non preoccupandosi di nulla.

Perché non c’era nient’altro che l’avrebbe staccata da lui, in quel momento.

La mano di Edward si infilò senza permesso sotto il lenzuolo che copriva entrambi, iniziando ad accarezzarle un seno.

Mhh.”

“Ti ho già detto che l’ho sentito troppe volte quel suono, tesoro.”

“Stronzo.” Sussurrò appena, spingendolo con un po’ di forza per farlo finire disteso sulla schiena. In pochi secondi, era a cavalcioni su di lui.

Quei boccoli sciolti le ricadevano sulle spalle nude, e Edward da sotto non faceva altro che ammirarla, stupito.

Dove era stata quella donna per tutto quel tempo?

Sotto i tuoi occhi, cretino.

“Potrei abituarmi a questa visuale.” Disse, mentre Bella si abbassava, unendo i loro petti nudi. Iniziò bacandogli il collo lentamente, per poi arrivare al pomo d’adamo, e poi sempre più su. A pochi centimetri dalla sua bocca, decise di negargli un bacio per sussurrargli delle semplici parole.

“Allora abituatici, Cullen.”

E lui l’avrebbe fatto molto volentieri, se il campanello non fosse suonato proprio in quell’istante.

 

 

“Tesoro, devi scendere.” Bella si infilò un paio di jeans, e poi volse lo sguardo verso Edward.

“Non sono le bambine?”

“Sono appena le nove, James le riporta fra un paio d’ore. Scendi.” Non chiese spiegazioni, indossò anche una maglia bianca e cercò di sistemare quei capelli ormai pieni di nodi. Stava ripensando a tutto ciò che era appena successo scendendo le scale, e le scappò anche un sorriso. Finché non vide un uomo seduto sul divano di casa sua, in giacca e cravatta. Su per giù aveva la sua età, molto elegante e con una cartellina fra le mani.

“Salve.” Disse, avvicinandosi a Edward e sedendosi accanto a lui.

“Isabella Swan?” Ovvio, idiota. Fece un sorriso di circostanza, allungando la mano a quel signore.

Emmett McCarty. Assistente sociale.” La congelò con due semplici parole.

Bella aspettava questo momento da un po’. Sapeva che l’avvocato Denali avrebbe inviato qualcuno, e quel qualcuno era arrivato nel momento meno adatto.

“Posso chiedervi dove sono Emma e Mia?”

“Dai nonni.” Bella precedette Edward, sorridendo al signor McCarty. “Hanno passato Halloween a casa dei nonni.” Finì poi, mettendosi finalmente comoda.

“Non ho ben capito una cosa.” Iniziò Emmett, aprendo la sua cartellina. “Lei e il signor Cullen siete legati da rapporti sentimentali?”

“Sì.”

“No.”

Bella strabuzzò gli occhi, voltandosi lentamente verso Edward.

No! Cavolo, no che non stavano insieme. Quello che era appena successo, era successo e basta.

“Ho capito, dovete un attimo chiarirvi le idee.” L’assistente si schiarì la voce, continuando a puntellare la penna su quella cartellina nera.

Bella continuava a fissare Edward, cercando di capire bene cosa aveva appena detto.

Okay, la sera prima le aveva detto che le piaceva. Ma per lei quel mi piace’ ora era lontano anni luce da un ‘fidanzamento’.

“Le mie visite continueranno ad essere visite a sorpresa, ma la prossima volta spero di vedervi insieme alle bambine.” Emmett si alzò, infilandosi la giacca. “E voi, dovete parlare. Vi ho trovati male e con le idee per niente chiare. Questi vostri problemi passeranno anche ad Emma e Mia, se non li risolvete.” Detto ciò strinse la mano a tutti e due, e poi si fece strada da solo verso la porta di casa.

Era stato un totale disastro.

 

 

Rapporto sentimentale?”

“Mi piaci. Questo significa che provo dei sentimenti. Quindi, ho risposto soltanto con la verità. Bella alzò le mani al cielo.

“Sai cosa significa essere legati da rapporti sentimentali?”

“Lo so, Isabella.”

“Legati. Legare. E’ qualcosa che proviamo entrambi, e quindi ci lega. Chi ti ha detto che provo la stessa cosa per te?

“Oh, stanotte credevo di aver capito la maggior parte delle cose.” La buttò lì lui, sarcasticamente.

“Una scopata non ci lega in rapporti sentimentali.” Nel dire quelle due ultime parole, imitò con le mani due virgolette.

“Non fare l’ipocrita. Sappiamo entrambi come è andata. Sai quello che ho provato io, ed io so perfettamente quello che hai provato tu, Isabella.

“E cosa ho provato, eh?” Gli si avvicinò di qualche passo, arrivandogli quasi sotto il viso.

“Quello che non provavi da tanto, quasi troppo tempo.” Edward inclinò la testa, per guardarla meglio negli occhi. “Anzi, forse quello che non hai mai provato. Ed ora non negare che non fosse niente. E’ stato molto più di una scopata. E lo sai cosa ci lega, eh? Tutto il dolore che abbiamo provato fino a questo momento, tutti gli anni che abbiamo passato insieme, senza renderci conto di niente. Spinse un dito sul suo petto, spostandola di qualche centimetro.

Quindi non fare l’ipocrita, la moralista o qualsiasi cosa tu stia cercando di fare, Isabella. Le bambine torneranno fra qualche ora, e noteranno immediatamente che qualcosa è cambiato. Tu lo sai cosa provo, ma lascio scegliere a te. Dimmi se dobbiamo comportarci da normali conoscenti che parlano a malapena e vivono sotto lo stesso tetto, oppure se mi concedi un po’ di libertà. Se mi concedi di baciarti in questa casa, e spiegare alle nostre bambine che qualcosa è cambiato. Concedimelo, Isabella.”

Si avvicinò ancora di più a lui, posandogli le braccia intorno al collo.

“Te lo concedo.” Sussurrò, stringendosi ancora di più attorno a lui.

“Me lo fai un favore?” Chiese Edward, avvolgendole le mani calde intorno alla vita stretta.

“Sì.”

“Smettila di essere così stronza, perché non ci crede nessuno.” Ottenne prima un pizzico sul fianco, prima del bacio che entrambi aspettavano già da un po’.

 

 

Piccoli sfioramenti.

Era anche quasi impossibile da notare, ma Bella se ne rese conto immediatamente.

Un bacio sulla fronte un più.

Le loro mani una accanto all’altra.

Quelle di Edward che la maggior parte delle volte erano sul corpo di Bella.

Anche ora, mentre le bambine erano a pochi metri di distanza, la mano di lui era posata sulla schiena di lei.

“FOCA! FOCA! FOCA!”

“Mia, come fa la foca?”

Brru Brru.” La bambina rispose alla domanda della sorella con un verso palesemente inventato, imitando l’andatura della foca.

Sia Edward che Bella risero, dietro di loro.

“Guarda! Quello sembra proprio zio Edward, tutto infagottato. Questa volta fu Bella a ridere di più, sotto lo sguardo accigliato di Edward.

La bambina stava indicando un pinguino, quello più grosso fra tutti che camminava sbilanciandosi prima a destra e poi a sinistra.

“Dove hai imparato quella parola?”

“Nuova parola! Me l’ha imparata James.”

“Insegnata, Emma. Insegnata.”

“Me l’ha insegnata James.” Disse di nuovo, facendo una linguaccia a Bella.

Avevano deciso insieme di andare al Bronx Zoo. James e Laurent le avevano riportate a casa verso le dodici, e Edward e Bella ci avevano messo meno di una mezz’oretta a prepararle di nuovo per uscire. Anche se ormai il freddo si iniziava a sentire, si erano muniti di vestiti pesanti e giacche partendo verso lo zoo.

Dopo pochi passi si ritrovarono davanti a degli orsi enormi. Poi c’erano di nuovo le foche, i pappagalli, le scimmie, tigri e leoni.

“Mi sono divertita tantissimo! Non vedo l’ora di tornare a casa e raccontarlo ai miei compagni!

Stavano facendo una passeggiata lungo la zona verde di quello zoo. Avevano comprato dello zucchero filato alle bimbe, compresa Bella, perché quando si trattava di dolci faceva parte della categoria bimbe.

“Ora, vi ripulite tutte.” Le ammonì Edward, guardandole viso e mani a tutte e tre.

“Qual è il problema?”

“Il problema? Siete tutte ricoperte di zucchero. Non toccata la mia Volvo in quelle condizioni.”

“Non è un problema.” Disse Emma, con la bocca ancora piena di zucchero. “Tanto quando eri partito Mia ci ha fatto cadere la cioccolata e zia Bella innumerevoli tazze di caffè.”

“Innumerevoli?”

“Come?”

Parlarono insieme, coprendo le loro domande. Una per Emma, ed una per Bella.

“Hai fatto cadere il caffè nella Volvo?” Chiese conferma Edward, con un tono silenziosamente inquietante.

“No… Insomma, forse. Qualche goccia. Niente di più. Poi, ho ripulito tutto.”

“Hai ripulito tutto?”

Dai, era come nuova tesoro.”

“Non fare quegli occhi. E nemmeno quella faccia!” Edward le puntò un dito contro, mentre lei iniziava a ritrarsi di qualche passo e lui a raggiungerla.

“E tu hai mangiato della cioccolata in macchina?” Pietà per nessuno, perché la faccia arrabbiata si spostò verso il piccolo faccino di Mia.

“No. Tia Bella diseva che potevo mangiare, e io mangiavo in macchina!” Con quella piccola vocina e quei boccoli che le incorniciavano il viso Mia diede immediatamente tutta la colpa a sua zia.

“Ora io vi prendo, e ve la faccio pagare.” Edward parlò lentamente, facendo ormai indietreggiare tutte e tre. Iniziarono a correre, ma in poche mosse acciuffò prima la piccola di casa, poi sua sorella ed infine Bella, e per portarsela dietro caddero tutti e quattro sul fogliame intorno a loro.

Le piccole iniziarono a ridere, seguite immediatamente da Bella e Edward. Non passava nessuno lì intorno a loro, e si godettero ancora qualche minuto insieme.

Hey, guardate!” Si voltarono tutti verso Bella, guardando il fiocco di neve che le era caduto su una mano. Poi alzarono lo sguardo verso il cielo, ed ormai erano tutti e quattro colpiti dalla neve che stava iniziando a scendere copiosamente.

Sia Mia che Emma si alzarono, allungando le mani e girando come trottole. Invece loro erano rimasti ancora per terra, guardandole con un sorriso.

“Come stai?” Domandò Bella, di punto in bianco.

Perché voleva sapere come si sentiva in quel momento. Se stava provando le sue stesse emozioni, perché in quel momento c’era veramente qualcosa che li stava legando per tutta la loro vita.

“Sto bene.” Rispose, avvicinandosi e posandole una carezza sulle punte ormai bagnate dalla neve.

“Sto sempre bene, con le mie donne.” Concluse infine, avvicinandosi e continuando a guardare insieme a lei le loro bambine.

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Tutto fuori ***


Venerdì – 16 Novembre 2001

Dodicesimo capitolo  – Tutto fuori

         16 Novembre 2001

 

“Volvo?” Vide Rosalie dal basso all’alto, allungando un po’ la testa per rivolgerle un sorriso.

“Non è mia.” Rispose, scendendo e chiudendo la macchina. Erano le nove, aveva appena portato le bambine a scuola ed ora era fuori al MoMa.

“Lo so.” Le disse, accennando una mezza risata.

Era da un po’ che non  andavano d’accordo, cioè da quando il suo Capo aveva visto Edward accompagnare la sua dipendente a lavoro, una mattina.

Da lì c’erano state molte frecciatine in direzione della bruna, con altrettante allusioni e battute sarcastiche, che effettivamente erano sarcastiche soltanto per Rosalie.

Bella non le rispose, ed insieme entrarono dentro l’edificio.

Hanna aveva già aperto da un po’, occupandosi di accendere le luci e di sistemare ogni piccola imprecisione.

Il Capo non arrivava mai puntuale, invece Bella aveva un permesso che le permetteva di poter accompagnare prima Emma e Mia a scuola.

“Hanna, alle dieci ho una visita, manda direttamente nel mio ufficio. Bella, tu occupati delle ultime spedizioni.” Con passo felino e tacco dodici si diresse verso la porta bianca del suo ufficio, senza nemmeno preoccuparsi di chiuderla con cautela.

Giornata no?” Chiese la segretaria.

“E’ sempre una giornata no per lei.”

Peccato che per Bella non era una giornata No, e non se la sarebbe fatta rovinare da nessuno.

Ormai andava quasi tutto nel verso giusto: aveva un lavoro che le piaceva e ben retribuito, le bambine erano sempre più felici ed in splendida forma, i suoi migliori amici stavano benissimo, specialmente Angela che era guarita del tutto.

E poi, c’era Edward. Quel Dio greco che poteva vedere tutte le mattine nel suo letto, appena sveglia.

Tutto andava nel verso giusto. Tutto. O quasi.

“Buongiorno. Dovrei vedere Rosalie Hale.”

“Lei è?” Domandò Hannah, mentre Bella seguiva la conversazione da lontano.

Tanya. Tanya Denali.”

 

 

“Sono stanca morta.”

“Lo ripeti tutti i giorni.” Disse Edward, continuando a massaggiare le spalle di Bella.

“Mi fanno male i piedi.”

“Anche questo, lo ripeti tutti i giorni. E come tutti i giorni, io ti dico che non devi indossare quelle scarpe.

“Non capisci niente.” Sbadigliò, girandosi verso di lui. “Devo per forza indossare ‘queste’ scarpe, Edward. Dovevi vedere l’amica di Rosalie, oggi. Una bionda alta almeno due metri, con gambe chilometriche.”

“Oh, invidi una bionda ora?”

Mmh.” Edward le stampò un bacio sulle labbra, staccandosi poco dopo. C’erano le bambine in giro per casa, Emma al piano di sopra e Mia a giocare sul suo tappeto dei giochi.

“Non possiamo andare avanti così.”

“Avremo mai un momento di pace? Un giorno, quando mi dirai ‘Edward, adoro stare così. Facciamo sesso sfrenato.’”

“Spiritoso.” Bella fece un sorriso di circostanza, dandogli una leggera spinta per spostarlo. Dopo si alzò, per controllare il pollo che era nel forno.

Infatti sono serio, Isabella.” Disse, alzando le mani al cielo, ormai arreso.

“Dobbiamo dire qualcosa alle bambine. Dobbiamo per forza dire qualcosa ai tuoi genitori.

“I miei ormai sanno tutto.” Rubò una patata dal forno aperto, portandosela alla bocca. Poco dopo, diventò tutto rosso.

“Ti sta bene, idiota.”

“Idiota?” Edward unì entrambe le sopracciglia, ma il suo sguardo era divertito. E lei sapeva benissimo che gliel’avrebbe fatta pagare, quella sera stessa.

“Mia ci ha sputtanati in quattro e quattr’otto.”

“Che tignifica stuppanati?”

Entrambi si voltarono, guardando la bambina ferma sullo stipite della porta che dondolava da un piedi all’altro.

“Niente, tesoro. Non significa niente.”

Allola pecché tio Edward lo dice, se non significa nente?”

Giusta osservazione, tesoro.

“Perché zio Edward dice tante cose che hanno significato, amore.” Edward le diede un pizzicoto sul fianco, facendola saltare.

“Ripeto: idiota.” Sussurrò, alzando gli occhi al cielo.

“Ho tame.”

“La cena è quasi pronta, tesoro. Dov’è Emma?”

“Non mangia.”

“Perché?” Domandò Edward, iniziando ad apparecchiare la tavola.

“Non scende. Si lagna in camera tua.” Disse con naturalezza, sedendosi al suo posto. Mentre Edward lasciava gli ultimi piatti in mano a Bella, per dirigersi al piano superiore e vedere perché Emma si lagnava.

 

 

“Non ti stai lagnando. Sei disperata.” Annunciò Edward, entrando nella camera di sua nipote e trovandola seduta per terra, con i suoi pupazzi preferiti sparsi intorno ed un libro sulle sue gambe.

“Che succede, tesoro?” Domandò, sedendosi accanto a lei, e sopra a due orsetti di peluche.

Quello che aveva in mano non era un libro, ma era un album fotografico.

Hey.” Edward le accarezzò i capelli dolcemente, per poi farle posare la testa sulla sua spalla.

“Domenica è il mio compleanno.” Singhiozzò, nascondendo il capo nella maglia bianca di lui.

“Lo so, tesoro. Faremo una bellissima festa dai nonni, no?

“Mi portavano a Disneyland!” Sbruffò arrabbiata, ancora tra le lacrime. “Mamma e papà. Hanno detto che mi portavano a Disneyland, per il mio ottavo compleanno!” Questa volta si alzò in piedi, e nella sua mini-statura ora raggiungeva la testa di Edward, che era seduto per terra. “L’hanno promesso! E ora non ci sono più! Se ne sono andati! E no, zio Edward, non mi dire che sono in un posto migliore, e che stanno meglio. Mi hanno lasciata qui, da sola!”

Hey.” Sussurrò appena Edward, prendendola tra le braccia. “Non lo so dove sono, tesoro. E non ti dirò che sono in paradiso. Però ora mamma e papà sono insieme, e sono anche sicuro al cento per cento che sono felici.

E io? Io non sono felice! Chi ci pensa a me?”

“Ci penso io a te, tesoro. Ci pensa zia Bella, i nonni, James e Laurent, Leah, Jake e i gemellini. Tutti pensiamo a te. E tu, ovviamente, devi pensare a noi.”

“Io ci penso a voi.” Sussurrò appena, tirando su col naso. “Però mi hanno fatto una promessa. E mantengono sempre le promesse.” Disse, deglutendo rumorosamente e posando di nuovo la testa sulla spalla di Edward.

“Non possiamo andarci domenica, ma ti ci porto io, a Disneyland. Ti prometto che ci andiamo insieme.”

Io e te da soli?”

“Zia Bella e Mia?”

“Oh, ma lasciamole a casa per una buona volta!” Disse, facendo spuntare un sorriso a suo zio.

“Aggiudicato. Ci andremo da soli, tesoro. Ora, perché non andiamo a lavare questo bel faccino, che la cena è pronta?

“Io non ho fame.”

“Zia Bella ha fatto il pollo con le patate al forno.”

“Forse un po’ di fame.” Disse, con un’espressione da birbante sul viso. “Me lo lavo da sola, sono grande.”

“Ti aspetto giù?”

“Sì.” Disse, scendendo dalle gambe di Edward e dirigendosi verso il bagno. Mentre lui richiuse l’album, per riportarlo al piano inferiore.

“Ah, Zio Edward?”

“Sì?”

“Ti mancano mamma e papà?” Domandò innocentemente, senza tracce di lacrime negli occhi.

Da morire, tesoro. Mi mancano tantissimo.”

Quando si voltò per uscire, trovò Bella appoggiata su lo stipite della porta con gli occhi lucidi, e Mia con la testa posata nell’incavo del suo collo, con le guancette rosse e il labbro inferiore all’infuori.

 

 

“Va bene se restiamo qui?”

Mmh. Certo.”

“Vuoi che vada a prendere i tuoi cuscini?”

“No.”

“Vai tu o vado io a dare la buonanotte alle bambine?”

“Io.”

“Ho vinto un milione di dollari alla lotteria.”

Cosa?” Bella alzò finalmente lo sguardo, puntandolo su Edward.

“Oh, finalmente ricevo qualcosa di più di semplici versi e monosillabi. Vai avanti così da quando è iniziata la cena. Mi spieghi che c’è che non va?”

“Niente.”

“Non dirmi cazzate, Isabella.” Disse, infilandosi la maglia blu che usava per dormire.

Avevano deciso di dormire in camera di Edward da una settimana. Perché lui non si spostava dal suo amato materasso, ma voleva avere Bella accanto. Non era un problema per le bambine, che ormai da tempo non si alzavano più durante la notte.

“Sono una stronza.” Annunciò infine Bella, passandosi le mani fra i capelli e fermandosi prima di aprire la porta ed uscire.

“Cosa?”

“Sono una stronza, Edward. Sono una delle persone più egoiste di questo mondo. Penso solo a me stessa.”

“Fermati. Fermati adesso, e siediti qui con me.” Non era una semplice richiesta, e lo sapevano entrambi. Bella si sedette, e aspettò. “Che succede, ora?”

“Alice era la mia migliore amica. Ed anche Jasper. Ma cazzo, Edward! Alice era tua sorella. Sangue del tuo sangue! Ci sei cresciuto insieme, era tua sorella! Ed io mi sono presentata in questa casa con pretese alte, mi sono incazzata con te ogni santo giorno, ti ho pianto addosso. Per la mia migliore amica. E tu, non hai fatto nulla. Non ti sei incazzato, non hai sbattuto la porcellana per terra, e non ci hai lasciate. Non ti ho dato la possibilità di arrabbiarti, di sfogarti. Non me ne è fregato niente Edward, se non di me stessa.”

Edward allungò una mano, accarezzandole la testa lentamente.

Tesoro, io sto b-”

“No, cazzo! Non dirmi che stai bene, Edward. Non dirlo.”

Cosa vuoi sentirti dire, Isabella? Che Alice era una rompipalle di prima categoria, e che mi manca ogni giorno di più? Che mi manca anche vedere Jasper la mattina al Bar, prima di andare a lavoro? Vuoi sentirti dire questo? E’ ovvio, Isabella. E’ ovvio che mia sorella mi manchi, e così anche mio cognato. Che ogni volta che vedo Mia ed Emma rivedo loro due, ogni santo giorno.” Sussurrò fra i denti, indicando la porta chiusa a pochi metri da loro, dove le bambine stavano ormai dormendo.

“Volevo che buttassi tutto fuori. Non stai bene, Edward. Non stai bene, quando ti tieni tutto dentro. E devi sapere una cosa: puoi dirmi tutto, qualsiasi cosa. Possiamo parlare, dobbiamo parlare. Dei nostri problemi, e di quello che è successo. Perché è stato pochi mesi fa, ed è ancora una ferita aperta. Promettimi che d’ora in poi tireremo fuori tutto.

“Devo addirittura promettertelo?” Ormai Edward non la guardava più negli occhi, ma un punto indefinito dietro a lei. Troppo colpevole di non stare affatto bene, nascondendo gli occhi lucidi dalla vista di Isabella.

“Promettimelo.” Allungò una mano, e lentamente tirò su il suo viso dal mento. Gli accarezzò una guancia ormai resa ruvida dalla barba, e poi vi posò un bacio sopra. Un bacio casto, che diceva molto di più di tutte le notti che avevano passato insieme.

“Te lo prometto. Giuro. Niente più segreti, tesoro.”

 

 

 

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Capitolo 13
*** Amore ***


“Il tacchino, Edward

Tredicesimo capitolo – Amore

22 Novembre 2001

 

“Il tacchino, Edward! Il tacchino!” Bella urlò con il canovaccio in mano ed il grembiule stretto in vita, indicando con la mano coperta da un guanto il fumo che usciva dal forno.

“Non è colpa mia!”

“Non è colpa tua?” Con il coltello che aveva nell’altra mano si allontanò dal bancone, avvicinandosi a lui. “E di chi credi che sia, Edward? Io tagliavo le verdure, e tu dovevi controllare il tacchino. Semplice. Elementare!”

“E’ stato il forno!” Fece quegli occhi da cagnolino ferito, sporgendo anche il labbro inferiore di fuori.

Il forno?” Intanto lei era rossa dalla testa ai piedi, ancora con il coltello da cucina in mano. “Dobbiamo soltanto ringraziare Esme che ha preso le bambine. Perché noi preparassimo il pranzo in tutta tranquillità. E bene, Edward. Tua madre per una volta ha accettato di passare il Ringraziamento qui, ed è la prima volta che non cucina. Credi che possa fare brutta figura? Saremo più di dieci, a pranzo. E il tacchino è bruciato! Che giorno del Ringraziamento sarebbe, senza tacchino?

Intanto Edward aveva tirato fuori il tacchino dal forno, posandolo sul tavolo.

“Okay. Calma, tesoro.” Tolse delicatamente il coltello dalla sua mano, che ora puntava anche involontariamente contro di lui. Strinse anche l’altra mano, avvicinandola cautamente. “Ora respira lentamente. Non andrà nulla a puttane. Il tacchino ha fatto soltanto un po’ di fumo, e non è andato perso. Si beccò un’occhiataccia da parte di Bella, ma posandole un dito sulle labbra la fece tacere prima che iniziasse a scaricarsi. “E’ quasi tutto pronto per il pranzo. E mia madre è felicissima di venire qui, e stare con noi e le sue nipotine. Mangerebbe anche del take away per il Ringraziamento, per la sua famiglia. Lei sospirò, voltandosi e appoggiando la schiena sul bancone.

“E’ la tua famiglia, Edward. Non ho mai passato il Ringraziamento dai Cullen, ma soltanto da mio padre a Forks. Non sono abituata alle grandi cose, come preparare il tacchino o le verdure arrosto. Ma Alice mi raccontava sempre cose splendide. Che Esme è una cuoca perfetta, e che non l’avrebbe scambiata per nessun motivo al mondo. Voglio che oggi vada bene. Voglio un Ringraziamento degno di casa Cullen. Edward le accarezzò i capelli, mettendo una ciocca che le era scivolata dal fermaglio dietro l’orecchio. “Ma si da al caso che non sarà un bel Ringraziamento, se non ti prendi cura delle tue mansioni!” Lo ammonì, puntandole un dito contro.

“Tu hai bisogno di rilassarti.”

“Sto benissimo così, Edward.” Fece per scansarsi, ma se dietro c’era il bancone che la fermava, davanti c’era quell’uomo splendido che glielo impediva.

“Non credo proprio, tesoro.”

“Edward, sono le undici.” Disse, sperando di convincerlo a lasciarla.

“Hai ragione.” Anche lui guardò l’orologio a muro, constatandolo con ovvietà. “Per questo arriveranno tutti alle dodici e trenta. Fra un’ora e mezza.”

“E il tacchino non c’è p-” Non finì di lamentarsi, perché i suoi fianchi furono stretti da una morsa e dopo poco si ritrovò seduta sul bancone.

“Ora, ti rilassi.”

Edw- Fu interrotta da una lunga scia di baci che partirono dalla mandibola, fino ad arrivare alle clavicole.

Shh.”

La cen-

“Tesoro, è il pranzo. Non una cena.” Lo maledisse mentalmente, sia per quella mancanza che per tutto quello che le stava facendo provare.

Le bam-” Questa volta furono le labbra di Edward a coprire quella frase, con un bacio lento e bagnato.

“Un’ora e mezza, piccola. Abbiamo un’ora e mezza.” Intanto la mano si era posata sulla coscia di Bella, passando da sopra e jeans e sotto quel grembiule con Babbo Natale, scivolando sempre più su. Bella sospirò, alzando gli occhi al cielo. Ma anche se tutti stavano per arrivare e non avevano poi tutto questo tempo per cucinare di nuovo il tacchino, non poteva arrendersi a quei baci. Contorse le braccia fino alla schiena, slacciando con un unico movimento il grembiule e buttandolo per terra.

“Venti minuti. Non di più.” Annunciò, sfilando la maglia a Edward, subito dopo raggiunta da tutti gli altri vestiti.

“Me ne dai soltanto venti?” Bella soffocò una risata, incrociando le gambe dietro la schiena di Edward, facendosi trasportare fino al divano.

“Ne abbiamo a disposizione soltanto venti.” Precisò.

“Un’ora e mezza, Isabella.”

“Venti minuti, Edward. Soltanto Venti.” Ma quando lui entrò dentro di lei, sentendo quei gemiti che ormai avevano imparato a memoria, capirono entrambi che quei venti minuti non sarebbero mai bastati.

 

 

“Mutandine!” Edward le lanciò a Bella, mentre lei si rivestiva di corsa. Avevano deciso di rimettere il tacchino mezzo bruciato nel forno, riscaldandolo. Quelle belle verdure tagliate perfettamente erano diventate di forme assurde, tagliate successivamente male e velocemente.

“Erano venti minuti, Edward!”

“Sono sempre venti minuti, per te.” Le passò davanti per dirigersi in bagno, ma solo dopo averle lasciato un bacio sulla fronte. Intanto Bella indispettita, ma con il sorriso sulle labbra finì di preparare quel tavolo in meno di un minuto, saltando quando suonarono al campanello. Nemmeno si specchiò, e quando aprì la porta trovò James a Laurent.

La salutarono allegramente: il primo con un bacio sulla guancia, mentre il secondo con una lieve strizzatina sul sedere.

“Hai la camicia all’incontrario, tesoro.” Le sussurrò nell’orecchio Laurent, sulle labbra un sorriso malizioso. Lei diventò rossa dalla testa ai piedi, ma non fece in tempo a chiudere che sentì le urla di Emma a Mia.

“Mi manca da morire non vederle tutti i giorni, ma cavolo, sto sudando.” Bella allargò gli occhi, perché non aveva mai sentito Carlisle parare in quel modo così aperto.

“Ti capisco.” Sorrise, abbracciandolo leggermente. “E buon Ringraziamento.”

“Grazie, Bella.” Esme arrivò un attimo dopo, con in braccio Mia.

“Ciao tesoro.” La salutò posandole un bacio sulla guancia, mente lei tendeva le braccia per farsi prendere. “Dove sei stata?”

“Ci hanno poltato a Centa Pak.” Ora Bella capiva perché Carlisle era così stralunato e sudato. Sicuramente aveva dovuto rincorrerle per tutta la mattinata.

“Ti sei divertita?”

Mi tivelto più con tio Edward. Lui mi accliapa sempre.” Disse, puntando il dito contro lo zio che era appena uscito dal bagno e stava parlando con James.

Hey.” Si avvicinò dopo aver salutato Emma, prendendo in braccio la più piccola della casa.

Mi tei mancato tanto.” Strinse le braccia intorno al suo collo, e Edward ricambiò con il sorriso sulle labbra.

“Il tacchino.” Sussurrò lui a Bella, indicando la cucina. Era ancora in forno, e la avvertì prima di beccarsi un’altra strigliata. Anche se poi fare pace non gli sarebbe dispiaciuto così tanto.

“Vado a controllarlo.” Bella passò una mano sulla testa di Mia, facendola scivolare poi sulla schiena di Edward, allontanandosi.

Ma non le sfuggirono le ultime parole che lui le rivolse.

“Grazie, amore.”

 

 

“E’ tutto buonissimo, Bella.” Rivolse uno sguardo di gratitudine ad Esme, che stava finendo di mangiare un pezzo della torta di zucca. Almeno quella era una cosa che le era riuscita particolarmente bene.

“Grazie.” Sorrise, e allungò le mani perché proprio in quel momento Leah le stava passando il neonato.

Hey.” Bella abbassò la voce, avvolse Ronald ancora di più nella sua copertina e iniziò a cullarlo.

“Non capisco perché in braccio a te non piange.” Sbuffò Jacob, con le sue grandi occhiaie che gli incorniciavano il volto stanchissimo.

“Perché sono una zia perfetta.”

“Non è velo.” Si intromise Mia, continuando a staccare pezzi di zucca dalla torta mangiandoseli.

“Come no?” Ormai erano tutti in silenzio, pronti ad ascoltare quello che aveva da dire.

“Ieri avevo un ncubo, tono venuta nella tua cemela ma non c’eli.” La fulminò con lo sguardo, ma era più offesa che triste.

“Questo perché sta sempre in camera di zio Edward. Esce sempre con tutto il collo rosso. E stamattina aveva tutti quei lividi.” Disse con ovvietà Emma questa volta, mentre il silenzio in quella sala era diventato tombale.

“Tu e tio Edward fate la lotta?”

“No, tesoro.” Disse Edward.

“Perché non riprendi tuo figlio?” Disse Bella.

“Bambine, giochiamo al gioco dell’oca?” Disse Esme.

“Forse vado a prendere una boccata d’aria.” Disse Carlisle.

“Io lo sapevo che c’era qualcosa sotto.” Disse Jacob.

“Finalmente fate bunga bunga.” Disse James.

“Io lo sapevo!” Disse Laurent.

Parlarono tutti contemporaneamente, procurando un caos degno di una famiglia così rumorosa.

Poco dopo gli uomini sparirono nel giardino con vari bicchieri di whisky e sigarette, Angela si era accomodata sul divano allattando entrambi i gemelli, e Bella si era chiusa in cucina, sommersa dalle stoviglie sporche.

“Ti serve una mano?” La pentola le cadde nel lavandino, procurando un rumore fastidioso.

“No, grazie Esme.”

“Tu lavi ed io asciugo.” Le sembrava più un ordine che una richiesta, ma sempre con quel suo dolce tono di voce.

“Perfetto.” Rimasero in silenzio, e quando le stoviglie pulite diventarono più di quelle sporche, la signora Cullen decise di parlare.

“E’ seria?”

Bella valutò attentamente la sua risposta, perché sapeva che avrebbe avuto un peso grave.

“Sì.”

“Bella.” Non disse nulla, ma lei chiuse l’acqua e si voltò.

“Sì?”

“Non so cosa stia accadendo tra te e Edward, ma è ovvio che c’è del tenero. E sono felicissima per voi. Ho sempre creduto che sareste finiti insieme, prima o poi. Ma le cose erano diverse. Prima potevate pensare soltanto a voi stessi, e se fosse andate male, non avreste avuto nessuna ripercussione, almeno non che riguardasse anche esterni. Ma ora avete le bambine. E se le cose tra te e Edward non andassero bene, loro ne risentiranno per sempre. E questo non deve accadere. Non ora che stanno superando pian piano quello che è accaduto. Non possono permettersi di perdervi. Di perdere anche solo uno di voi.”

“Questo non accadrà, Esme.” Bella si tolse i guanti, allungando le mani pulite verso le sue. “Emma e Mia saranno sempre in primo piano. Io e Edward credevamo di aver fatto le cose per bene e di nascosto, ma quelle ne sanno una più del diavolo. Volevamo dirglielo con calma. Ma già lo sanno. Io e Edward siamo delle persone mature, ma la nostra storia non inciderà sulle loro vite. Te lo prometto.” Spiegò, stringendo per tutto il tempo le mani fra le sue.

“Lo ami?” La domanda arrivò impetuosa.

Io…”

“Bella, lo ami?”

“Sì. Lo amo.” Esme le rivolse quel sorriso dolce, per poi abbracciarla.

“Edward ne ha passate tante, Bella. Tu puoi fargli solo che bene. Lo vedo dal suo sguardo. Prima pensava soltanto al lavoro, e alle donne che trovava di rado. Ora sorride con te, e con le bambine. Siete la sua famiglia.” Gli occhi di Bella diventarono lucidi, mentre ricambiava l’abbraccio di Esme.

“Grazie, Esme.”

“Grazie a te, tesoro. E diglielo. Il prima possibile. Lui deve saperlo, Bella.” Non si chiese come facesse a sapere che Edward non sapeva, ma rimase in silenzio. Ma glielo avrebbe detto. Gli avrebbe detto che lo amava come mai aveva amato un uomo, e che erano una famiglia. Loro due, con le bambine. Che avrebbe passato il resto della vita con lui, che si sarebbe presa cura di tutti e tre. Lo avrebbe fatto il prima possibile, perché aveva bisogno di sapere che Edward era lì, pronto a cominciare qualcosa di nuovo con lei.

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Capitolo 14
*** Voglio esserci ***


         Quattordicesimo capitolo – Voglio esserci

         7 Dicembre 2001

 

         “Grazie, Isabella.” Alzò la testa verso Rosalie, sorridendole.

Non doveva ringraziarla. Certo, aveva apprezzato moltissimo quelgrazie’ detto di corsa, ma non le sarebbe bastato per averle fatto passare un intero venerdì sera chiusa al MoMa, per fare l’inventario.

         Mancava poco, e quell’anno sarebbe finito. Quell’anno che le aveva portato via tanto, forse troppo. Ma che le aveva dato altrettanto. Il Natale era alle porte, aveva lasciato le bambine a casa con Edward e quella sera la stavano aspettando per fare l’albero di Natale. Aveva chiamato dispiaciuta, ma loro tutte felici le avevano detto di non preoccuparsi, e che avrebbero fatto l’albero il giorno dopo. Addobbando quell’enorme casa, proprio come dicevano loro.

         Edward.

         Quel nome ormai era un punto fisso nella sua mente da tempo. Non faceva altro che pensare alle parole che le aveva detto Esme il giorno del Ringraziamento.

         Se lo ami, devi dirglielo.

         Era sicura di quello che provava. Che non era del semplice affetto, anzi. Ma aveva anche paura.

         Paura di una sua possibile reazione. Erano passati quasi più di due mesi da quel giorno, e non sapeva se Edward era pronto o meno.

         Però tu lo sei, e devi dirglielo.

         Non era sicura di conoscerlo abbastanza. Ma la cosa di cui aveva più paura, era una soltanto: il rifiuto. Avrebbe spezzato tutta la quiete che si era creata in quel periodo, lasciando in bilico anche le bambine. E non poteva permetterselo. Non poteva stravolgere di nuovo la vita di Emma e Mia, non dopo tutto quello che avevano passato.

         Sobbalzò quando sentì suonare il campanello della porta principale, chiedendosi chi fosse. Erano ormai le dieci passate, e a quell’ora chiudevano sempre.

         Aprì senza nemmeno rispondere, ritrovandosi davanti l’amica di Rosalie. Quella bionda mozzafiato di cui non ricordava mai il nome. Ma della quale, invece, invidiava quel corpo da modella.

         “Ciao.” La salutò appena, alzando la mano fina con delle unghie lunghe e laccate di rosso.

         “Salve.” Isabella ricambiò, sorridendo cordialmente anche lei. “Rosalie è nel suo ufficio.” Aggiunse.

         “Lo so.” Nemmeno la ringraziò, dirigendosi spedita verso l’ufficio della Signorina Hale.

         Sbuffò sonoramente quando sentì richiudere la porta dell’ufficio di Rosalie, stropicciandosi gli occhi.

         Adorava lavorare al MoMa. Certo, non era la sua galleria. Non era più il Capo, ma ora ne aveva uno. Ma era il lavoro che aveva sempre sognato. Compreso di straordinari in quelle fredde giornate di Dicembre.

         Ma a volte Rosalie era insopportabile, e in più ci si metteva l’amica che sembrava uscita da una sfilata di Victoria’s Secret.

         Sospirò, riportando la sua attenzione sul computer davanti a lei. E pensando che fra poche ore sarebbe tornata dalla sua famiglia.

 

 

         “EMMA!!” Edward urlò talmente forte da far scappare Skipper.

         Sì, avevano preso un gattino. Nero. Come se la sfortuna già non gli avesse colpiti tutti da un giorno all’altro. Quel gatto nero era una piccola palla di pelo infreddolita fuori casa Cullen, quando per puro caso Mia lo trovò, portandolo con sé in casa. Lo voleva tenere con tutta se stessa, avendo – forse per la prima volta -, l’appoggio di sua sorella maggiore. E così con moine ed occhi dolci avevano prima abbordato zio Edward, che poi – all’oscuro delle bambine -, aveva cercato di convincere zia Bella. In camera da letto. E ci era riuscito benissimo.

         Ma le cose non erano affatto cambiate, dopo l’adozione di Skipper. Anzi, peggiorate. Ora quel piccolo micio era il giocattolino principale delle bambine, portato in ogni angolo della casa, vestito da bambolina o da pirata. Ed in quel momento, mentre zampettava nell’altra stanza, in testa aveva un piccolo cappello di Babbo Natale, che praticamente gli copriva metà del musino nero.

         “Perché non posso farlo?”

         “Primo: perché sono le dieci. Secondo: perché dovreste stare a letto da un pezzo, e terzo,” sospirò, cercando di trovare quella calma interiore che aveva perso ormai da molto tempo “terzo, non puoi attaccare delle unghie finte a tua sorella con l’attack, Emma.”

         “Ma lei le voleva così tanto!”

         , le voglio cottì tanto!” Le diede man forte la piccola, indicando la scatoletta piena di unghie di vari colori.

         Non aveva idea di come fosse venuta a Bella quell’idea. Era andata a fare un po’ di shopping con Angela, e si era presentata a casa con due pacchettini di unghie finte. Senza sapere che non erano per delle bambine, e che volevano attaccarsele per forza di venerdì sera.

         “Vi prometto che ve ne comprerò un pacco. Con degli adesivi. Così voi avrete le vostre bellissime unghie, evitando di attaccarvi quelle per il resto della vostra vita.

         “Quando ce le compri? Adesso?” Ad Emma brillarono gli occhi, e Edward faticò per trattenere un sorriso.

         “Domani, tesoro.”

         “Allora le attacco con la colla, adesso.” Si imputò, schioccando un’occhiataccia a suo zio.

         Tale e quale ad Alice.

         “Va bene, attaccale.” Esordì Edward. “Però, ricordati che domani non potrai fare l’albero di Natale, allora. Come farai, con quelle unghie lunghe? Di certo non riuscirai ad attaccare le palline, appendere le luci… Ci penseremo io e zia Bella.

         Il tubetto di colla cadde dalle sue mani, posandosi con un tonfo sul tavolino.

         “Allora… me le compri domani sera?”

         “Te le compro domani sera. Ora, tutti a letto!” Disse, caricandosele entrambe sulle spalle e portandole su per le scale. Beandosi per un momento di quelle bellissime risate che uscivano dalle loro bocche.

 

 

         “Ci vediamo lunedì, Rosalie.”

         Mezzanotte e mezza. Non ci poteva credere. Aveva gli occhi che le bruciavano, per quanto era stata davanti al computer. Anche i piedi chiedevano pietà, per aver tenuto i tacchi per più di dieci ore.

         Non ce la faceva più.

         “Ciao, Isabella.” La salutò, mentre la sua amica le fece un mezzo cenno con la mano.

         Aprì la borsa per cercare le chiavi, che non trovò facilmente. Lo stesso identico problema lo stava avendo Rosalie, con la Porsche rossa parcheggiata proprio dietro.

         “Quella non è la macchina di Edward Cullen?” Fu soltanto un piccolo sussurro, che lei percepì benissimo. Sentì anche la risatina di Rosalie.

         “Come diamine fai a ricordartela?”

         “Conosco la targa a memoria.”

         “Addirittura?” Rispose Rosalie alla sua amica, cercando ancora le chiavi della sua macchina. “Dopo tutto questo tempo?”

         “Non posso di certo dimenticarmi della comodità di quei sedili.” Anche Bella aveva colto la nota maliziosa in quella frase.

         Tanya, Edward è una storia vecchia. Ti ricordo che quella Tanya Denali e quell’Edward Cullen sono morti dieci anni fa. Disse risoluta Rosalie, aprendo finalmente lo sportello.

         “Lo so, tesoro. Ma riproverei volentieri quei sedili.” Risero sguaiatamente insieme, e Rosalie accese il motore partendo subito dopo.

         Senza rendersi conto di aver lasciato Isabella Swan lì, davanti alla Volvo, che aveva trovato le chiavi da un bel pezzo, ma che ormai si erano riversate a terra da qualche minuto.

 

 

         “Puzzi d’alcool.” Sobbalzò, non aspettandosi di sentire quella voce. Pensava stesse dormendo da un pezzo. “E stai facendo un sacco di rumore.” Biascicò, ancora in dormiveglia.

         “Devo prendere il pigiama.”

         “Da quant’è che dormi con il pigiama, Swan?” Riuscì a captare la malizia anche se la voce era ovattata dal sonno.

         “Voglio dormire in camera mia.” Dopo quella frase la luce si accese di colpo, mostrando un Edward con i capelli scompigliati e con un occhio aperto e l’altro chiuso.

         Cosa?”

         “Voglio soltanto tornare nel mio letto, stasera.” Non era arrabbiata. Non lo era affatto, veramente. Voleva soltanto qualche momento per stessa. Tornare nella sua vecchia stanza, restare lì a pensare. Sarebbe stato stupido dire che fosse gelosa di quella Tanya, eppure un po’ lo era. Ma ne avrebbe parlato con calma con Edward. Non ora, in quel preciso istante.

         Edward si alzò, prendendo il suo cuscino.

         “Che fai?”

         “Dormiamo nel tuo letto, no?” Bella cercò di trattenere un sorriso.

         “Voglio stare un po’ da sola.” Perché non so nulla di te?

         “Cos’è successo, Swan?”

         “Niente.” Tutto.

         “Perché puzzi d’alcool?”

         “Sono passata a trovare Jake.” Dovevo sfogarmi con un amico.

         “Dopo dieci ore di lavoro? Sapendo che c’eravamo io e le bambine ad aspettarti a casa? Non sei credibile.”

         Era da tanto che dovevo vedere Jake. Stava per chiudere. Volevo salutarlo.” Avevo bisogno di vederlo. Di sentirmi dire che sono abbastanza, che quello che sto facendo va bene.

         “Sei una bugiarda.”

         Edward si avvicinò, posandole una mano calda sul viso. Lei, si perse per un momento in quegli occhi verdi.

         “Chi è Tanya Denali?” La mano ricadde immediatamente vicino al suo fianco, e Edward schiuse le labbra.

         Dimmi che posso essere di più di quello che lei era per te.

        

 

 

 

 

        

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Capitolo 15
*** Desiderio di Natale ***


Sabato 22 Dicembre 2001

Quindicesimo capitolo – Desiderio di Natale

 

Sabato 22 Dicembre 2001

 

 

So thiiiiis iis Christmaaaas and happyyyy nuu yaaaaaa

“Mia!”

Jingle beeeel jingle beeeeelll

“MIA! Potresti smetterla?” Bella sbatté la cartellina che aveva in mano sul tavolo di marmo, sospirando rumorosamente.

Erano passati quattordici giorni. Da quando Edward le aveva detto che Tanya Denali era stata il suo primo grande amore, durante il College. Il solito cliché. Lei la ragazza più bella della scuola, lui il capitano della squadra di Baseball. Le aveva detto anche che non la vedeva e non la sentiva da anni, ormai.

Erano invece passati dodici giorni. Da quando Edward le aveva detto che sarebbe partito per un viaggio di lavoro in Svizzera, e che forse non sarebbe tornato nemmeno per Natale. Avevano parlato di Tanya e basta, quella sera. Poi, Bella si era chiusa nella sua camera dopo tanto tempo, forse troppo. Non avevano dormito insieme, e la mattina dopo aveva trovato un bigliettino in cucina, dove lui le spiegava con pochissime parole la sua partenza imminente per la Svizzera.

“Non fare così, su!” Emma si avvicinò a sua sorella, mentre la più piccola circondava con le sue piccole braccia la vita della maggiore.

Tia Bella mi strilla sempre!” Disse Mia in lacrime, zuppando lentamente il maglioncino rosso di Emma. “Non mi vuole più bene.” Singhiozzò.

Bella seguì tutta la scena dal tavolo della cucina, sparpagliato di documenti e carte per il lavoro.

“Che succede qui?”

Nonno!” Entrambe urlarono in coro, correndo fra le braccia di Carlisle. Lui le prese entrambe, baciandole sulla fronte.

“Bella, sono entrato con le chiavi di scorta che ha Esme. Scusami se non ti ho avvisato.”

“Ciao, Carlisle. Non ti preoccupare.” Si alzò, avvicinandosi ed abbracciandolo dolcemente.

Cosa dicono le mie tre donne preferite?”

“Nonno!” Emma gli diede un lieve buffetto sul viso “non dire così! Lo sai che poi nonna Esme si arrabbia.”

“Nonna non si arrabbia, perché io sono il suo preferito. E ama solo me.”

Bleah. L’amore.” Mia invece stava attraversando quella fase del ‘i maschi fanno schifo’.

Va tutto benissimo, Carlisle. Come mai da queste parti?”

Esme doveva fare delle compere nei dintorni, allora ho pensato di venirvi a fare una visita. Sai com’è Bella, le donne e lo shopping.”

“Hai fatto benissimo. Metto su del caffè?”

“Certo. E se poi non ti dispiace, quando Esme ha finito vorremmo che le bambine venissero a cena da noi.”

“Sì!”

“SISISISI!” Bella non ebbe nemmeno il tempo di rispondere, perché quelle due avevano già deciso.

“Nessun problema.”

Bella mise su del caffè, mentre Carlisle fece scendere dalle braccia le sue nipotine, che corsero al piano superiore per preparare le loro cose.

“Come vanno le cose, tesoro?” Domandò Carlisle, sedendosi su uno sgabello davanti al piano cottura.

“Benissimo.”

Bella.”

“Sì?”

“Abbiamo tutti dei momenti difficili.” Aspettò che il caffè uscisse, e poi si voltò verso quel bellissimo uomo, che ormai considerava a tutti gli effetti un papà.

“Emma e Mia sono fantastiche, lo sai. Ma sono pur sempre delle bambine. Mille occhi e mille mani, sai cosa intendo. Carlisle rise, annuendo.

“Capisco benissimo.”

“Sai,” disse, versando il caffè in due tazze “mi sono sempre considerata una persona abbastanza matura, seria e responsabile.”

“L’opposto di Alice.” Finì Carlisle per lei.

“Esatto. Non capisco come… faceva. Alice era il mio esatto opposto, Carlisle. Sbadata, imprevedibile e geniale allo stesso tempo. Io pensavo che non sarebbe stato così difficile, con loro. Ovvio, Alice era pur sempre la loro mamma, ed io non sarò mai come lei, per le bambine. Ma…”

“Bella.” Carlisle allungò una mano sul tavolo, stringendo la sua. “Alice era una bambina. E non è un dispregiativo. Ma Alice, era tale e quale ad Emma e Mia. Se fosse stato solo per Alice, loro avrebbero fatto qualsiasi cosa. Qualsiasi. E Alice l’avrebbe fatta insieme a loro due. Tutto questo non è successo grazie a Jasper. Se Alice aveva quel lato infantile che faceva divertire le bambine sempre, Jasper sapeva quando era il momento di giocare e quando dovevano smettere. E’ per questo motivo, che erano una famiglia completa a tutti gli effetti, tesoro.

“Non ci avevo mai pensato.” Carlisle sorrise, carezzandole il palmo della mano prima di ritrarre la sua.

“E’ quello che dovreste fare tu e Edward. Completarvi. Eccellere quando uno di voi due manca in qualcos’altro, e viceversa. Lì diventerà tutto più facile, Bells.”

“Non credo che io e Ed-”

“E’ LA NONNA!” Bella non riuscì a terminare la frase, perché suonarono al campanello ed Emma corse giù per le scale per andare ad aprire.

“Ciao amore!” Esme le baciò dolcemente la fronte, posando delle buste di plastica all’entrata.

“Ho fatto un po’ di spesa, tesoro.” Disse a Bella, avvicinandosi per abbracciarla.

“Non dovevi Esme.”

“Oh, non ti preoccupare. Non mi è costato nulla.”

“Certo. Se continui a ritagliare tutti quei coupon.” Esme schioccò un’occhiataccia a Carlisle, pizzicandogli un fianco.

“Non sei simpatico.” Suo marito sorrise, e Bella in quel sorriso rivide quello di Edward.

Dio, quando mi manca.

“Eccole qui! Pronte?” Emma con un sorrisino sdentato annuì, portandosi per mano la sua sorellina che ultimamente la seguiva dappertutto.

“Zia Bella?”

“Sì, tesoro?”

“Possiamo restare a dormire dai nonni?” Domandò Emma, sbattendo gli occhi ripetutamente.

Questo l’ha imparato da Alice.

“Se per i nonni non è un problema.” Sia Esme che Carlisle dissero che no, non c’era nessun tipo di problema .

“Allora te le riportiamo domattina, Bella.”

“Le passo a prendere io, non vi preoccupate.” Posò un bacio sulla testa di entrambe, salutandole mentre si allontanavo nel porticato insieme ad Esme.

“Bella?”

“Sì?”

“Fra pochi giorni è Natale. Scrivi la tua lettera a Babbo Natale, esprimi un desiderio. Non è mai troppo tardi.” Carlisle la lasciò così sullo stipite della porta, raggiungendo sorridente sua moglie e le sue nipotine.

Una volta rientrata, si sedette sul divano appoggiando i gomiti sulle ginocchia, e affondando la faccia tra le mani.

L’unico problema era che il suo Desiderio di Natale era lontano migliaia di chilometri da lei.

 

 

 

24 Dicembre 2001

 

“Oh. Come sei bella, zia.”

“Grazie amore.” Era la vigilia di Natale, e sarebbero andate a cena a casa di Carlisle ed Esme. Bella per quella sera aveva indossato delle calze nere coprenti, ed un vestito rosso aderente che le arrivava al ginocchio.

Sarebbe stata una serata tranquilla, una cena senza troppe pretese. Leah, Jake, James e Laurent sarebbero andati a pranzo il giorno dopo. Quella sera, i signori Cullen aspettavano soltanto Bella e le loro nipotine.

“Siamo pronte?”

“Mi metti questo?” Mia le allungò un fiocco per i capelli rosso, che non riusciva a legare.

“Certo.” Bella si abbassò, incastrando per bene la mollettina fra i suoi capelli. “Ecco fatto. Ora, sei perfetta.” Le diede un lieve buffetto, e lei corse dalla sorella per farsi mettere le scarpine nere. Una volta pronte, si coprirono per bene tutte e tre ed uscirono nel freddo invernale di New York.

“E’ proprio bella questa macchina.” Disse Emma, sprofondando nei sedili profumati. Bella aveva deciso di prendere una macchina che costasse poco, per spostarsi meglio con le bambine. Jake l’aveva aiutata nell’impresa, ed ora guidava una piccola Fiat cinquecento bianca.

“Ti piace?”

“Sì. E’ come la macchina delle bambole.” E non aveva tutti i torti. La macchina di Barbie era proprio identica a quella. Soltanto rosa.

Il viaggio verso casa Cullen non durò molto, fra una canzone Disney e l’altra, tanto che quando Bella parcheggiò nemmeno fece caso all’auto parcheggiata accanto alla sua.

“Nonno! Nonna!” Mia urlò da vialetto, ed iniziò a bussare ininterrottamente alla porta di casa, finché qualcuno non andasse ad aprirle.

“BUH!”

“AAH” Le bambine sobbalzarono quando la porta si aprì, che nemmeno ebbero il tempo di realizzare di chi fosse quella voce, finché non misero a fuoco sotto la luce arancione del salone.

“Zio Edward!”

Tei Tornato!” Entrambe gli si aggrapparono addosso, circondandogli il collo con foga.

Hey, hey. Mi siete mancate anche voi.” Disse Edward, strapazzandole di baci. “Ora perché non correte dai nonni?” Non se lo fecero ripetere due volte, e scapparono via togliendosi i cappottini e buttandoli a terra.

Sia Bella che Edward si abbassarono per raccoglierli, trovandosi alla stessa altezza.

“Ciao.”

Il suo profumo.

I suoi occhi verdi.

Quelle fossette che uscivano fuori soltanto quando sorrideva.

“Ciao.” Bella si schiarì la voce.

Posarono tutte e due le giacche sull’appendiabiti, poi Edward aiutò Bella a togliersi la sua. Si stirò il vestito con le mani, ed si avviò verso la cucina.

“Dove vai?”

“A vedere se Esme e Carlisle hanno bisogno di aiuto in cucina.” Edward sorrise.

“Lo sai che è tutto pronto da stamattina. Vieni con me.”

“Dove?”

“A fare due passi.”

“Edward, nevica.”

“Non posso cenare...” Prese fiato, e si passò una mano tra i capelli. “Non possiamo sedere nello stesso tavolo… così. Dobbiamo parlare, prima.”

“Di cosa?” Bella si voltò, avvicinandosi verso di lui per fronteggiarlo. Anche se indossava i tacchi, non arrivava nemmeno alla sua fronte.

Vieni con me.” Fu appena un sussurro, e Bella non rifiutò.

Salirono le scale per andare al piano superiore, e Edward la precedette aprendo una delle tante porte di sopra. Fece entrare prima Bella, che si guardò intorno spaesata.

“E’ la tua camera?”

“Lo è stata fino al College. Esme e Carlisle l’hanno lasciata come allora. Non era grandissima, ma rispecchiava in tutto e per tutto Edward. Le foto della sua prima Comunione, dei suoi compleanni, del liceo e del College erano incorniciate sopra un mobile bianco. Al centro c’era un grande letto matrimoniale, e su delle mensole erano apposti i suoi trofei di baseball, il cappello della laurea e uno stereo. Bella si avvicinò, premendo play.

“Non credo ci sia qualcosa den- Ma si zittì, quando la musica partì.

Debussy?” Bella sorrise, raggiungendo Edward che si era seduto sul bordo del letto.

“Mia madre. Sai, la usa per rilassarsi.”

“Sì, come no.”

“Giuro!”

“Edward.” Lui si zittì. “Debussy è forte. Claire de Lune è una delle mie preferite.

“Va bene. Mi aiutava con la concentrazione. Sai, gli esami di fine anno.”

“Certo.” Bella sorrise, dandogli una lieve pacca sulla spalla.

Rimasero per qualche minuto in silenzio. Un silenzio che pesò su entrambi.

“Sei stato via tanto.” Lo ruppe Bella, mentre si tormentava le mani.

“Scusami. Io e James abbiamo dovuto chiudere la società in Svizzera.”

Cosa? No!”

“Già. Per ora, sei l’unica a saperlo. Dopo… dopo quello che è successo l’11 Settembre, i tagli sono stati radicali e drastici.” La sua voce si abbassò di qualche nota.

Oh, Edward. Mi dispiace tantissimo.”

“Lo so.” Lui le rivolse un sorriso sincero. “Ma non è di questo che voglio parlare.” Bella sapeva benissimo a cosa si riferisse.

“Già.”

“Che succede?”

“Io…”

Non sapeva come dirglielo.

Mh?”

“Non mi piacevi, Edward.”

“Scusa, che sig-

Shh. Ascoltami.” Continuò a tormentarsi le mani, cercando dentro se stessa le parole adatte. “Non mi piacevi, Edward.” Riprese, questa volta con più convinzione. Per niente. Alice era entrata nella mia vita velocemente, e non si è mai mossa da lì. Ma tu… proprio non mi piacevi. Non mi salutavi mai, quando ero a casa con Alice. Entravi con i tuoi amici, e non mi degnavi di uno sguardo. Ad un certo punto, hai anche iniziato a farmi dei dispetti.” Bella rise, ripensando a quando Edward non le lasciava nemmeno un secondo per respirare in pace. “Mi guardavi dalla testa ai piedi con aria stizzita. Alzavi gli occhi al cielo quando portavo a casa un bel voto, che magari era più alto del tuo. Quando i tuoi genitori si complimentavano con me, avevi sempre qualcosa da ribattere. Sempre.” Deglutì, riprendendo il discorso. “Eppure, Alice non faceva altro che dirmi che ci vedeva benissimo, insieme. E i tuoi genitori le davano man forte. Quando me ne sono andata per frequentare il College e sono tornata, con te è stato sempre peggio. Per non parlare di quando ho saputo che avremmo lavorato nello stesso edificio. Me ne inventavo di tutti i colori per mancare alle cene che organizzavano Jasper e Alice, perché sapevo che c’eri anche tu. Credo di essermi iniziata a sforzare una volta che sono nate le bambine, sennò non sarei mai venuta. Ma credo… credo che dietro a tutto questo ci siano tante cose, Edward. Mi sono sempre chiesta perché Alice avesse lasciato le bambine a noi due. Nemici da una vita. C’erano Esme e Carlisle, sono giovani e sarebbero riusciti benissimo a crescere Emma e Mia. Non è facile stare dietro a quelle due pesti, Edward. Ma farlo con te, è diverso. Sono cambiate tante cose, da quando ci sei tu. Credo di essermi innamorata di te.” Lo disse tutto d’un fiato, guardando fissa davanti a sé. Aleggiò il silenzio per pochi secondi, finché Edward non allungò la mano verso il mento di Bella, per voltarle il viso.

Ora, erano faccia a faccia.

“Guardami.” Lei alzò quegli occhi marroni, e li fissò in quegli occhi verdi.

“Se tu non prov-

Shh.” Questa volta fu Edward a zittirla, avvicinandosi lentamente verso di lei.

Non era come le altre volte.

La prima volta, si erano baciati con foga nella sala della loro casa, per poi finire a letto. In quel letto ci erano finiti tante altre volte. Ma non era così. L’attesa la stava logorando.

“Edward, baciami.”

Shh.” La zittì di nuovo, posando lentamente le labbra su le sue, e allontanandosi poco dopo. Continuava a sentire il respiro di Edward che si mischiava con il suo. Si avvicinò di nuovo, e questa volta la baciò davvero. Le loro lingue si incontrarono subito, le mani di Bella finirono subito in mezzo ai capelli di Edward, e lui le arpionò un fianco, ma quello ormai era familiare per entrambi. Non era la prima volta, e allora Bella non riuscì a spiegarsi perché fosse così nuovo.

Hey.” Sussurrò Edward, lasciando le mani vagare sul suo viso. “Tu sei il mio Desiderio di Natale, Isabella.”

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Capitolo 16
*** Renée Dwyer ***


Sabato 9 Febbraio 2002

Sedicesimo capitolo – Renée Dwyer

9 Febbraio 2002

 

“Non ce la farò mai.” Sbuffò Bella, stropicciandosi gli occhi. Era una mezzoretta buona che si trovava davanti al suo armadio, guardando sconsolata tutti i vestiti che c’erano all’interno.

“Quello rosso?” Domandò Leah stesa sul letto.

“No. Troppo corto.” Sbuffò di nuovo.

“E quello nero?”

“Troppo scollato.”

“Quel pantalone blu?”

Leah, non posso mettere i pantaloni ad un Gala.”

Oh, scusami tesoro.” La sbeffeggiò l’amico.

“Non capisco come le sia venuto in mente.” Disse Bella, sedendosi a gambe incrociate sul letto.

Due giorni prima, l’importante ed illustre Renée Dwyer aveva invitato – se non obbligato – sua figlia Isabella Swan a presentarsi all’annuale Gala di beneficenza che si teneva presso l’enorme villa dei Dwyer. O di quel milionario di suo marito Phil, se si vuole essere precisi.

“E’ pur sempre tua madre.”

Madre, Leah?” Disse Bella, con l’amaro in bocca. “Una madre è quella persona che ti cresce, che ti viene a prendere a scuola, che ti aiuta a fare i compiti, che si presenta alle recite scolastiche. Una madre è quella persona che ti aiuta con i primi fidanzatini e con la prima sindrome premestruale. Prese fiato, torturandosi le mani. “Non è quella che se ne va di casa quando sua figlia ha appena compiuto tre anni, lasciando lei e suo marito per un altro uomo, Leah. Lei non è mia madre, se non sulla carta.” Finì Bella.

Hey, tesoro.” Si sedette anche Leah, accarezzandole dolcemente la schiena. “Proprio per questo ci devi andare. Per farle vedere cosa sei diventata, e non grazie a lei. Dopo l’11 Settembre sei riuscita ad ottenere un nuovo e brillante lavoro, ti occupi di una casa enorme, e da sola. E soprattutto, di due bambine splendide. Che stanno crescendo in una maniera favolosa. Devi andare lì per quello.”

“Non porterò Emma e Mia con me. Non le farò mai entrare in quel mondo.”

“Dovresti.”

“No.” Chiuse il discorso Bella, alzandosi di nuovo per mettersi davanti all’armadio.

“Cosa. Diamine. Mi. Metto.”

“Questo.” Una voce arrivò dallo stipite della porta, rivelando Edward con in mano una scatola bianca.

“Sarebbe?”

“Il vestito che indosserai stasera. Coordinato con la mia bellissima nuova cravatta.” Esordì, con quell’espressione risoluta.

“Tu non verrai con me al Gala, Edward.” Sentirono entrambi lo sbuffo sono di Leah, che si alzò dal letto per raggiungere Edward sulla porta.

“Pensaci tu, perché io proprio non ne posso più. Raggiungo Jacob al piano inferiore.” E così dicendo, sorpassò Edward senza dire nemmeno una parola a Bella.

“Nessuno può dirmi quello che posso o che non posso fare, Isabella.” Si avvicinò, posando la scatola sopra il letto. “Stasera indosserai questo. Se lo accetti mi farai uno degli uomini più felici della terra.”

“Se accetto il vestito resti a casa con le bambine?”

“No.” Rispose secco, avvicinandosi da dietro a Bella, e posando entrambe le mani sulle sue spalle. “I signori Dwyer hanno invitato metà dei dipendenti della Cullen Media Group al Gala di beneficenza, pensando bene di guadagnarci un bel po’ di soldi.” Spiegò Edward. “Quindi, volente o nolente io andrò al Gala alla villa Dwyer. Sarei ancor di più uno degli uomini più felici del mondo, se tu stasera salissi su quella Volvo insieme a me per andare lì.” Bella si voltò, guardandolo negli occhi.

“Sai a cosa stai andando incontro?”

A dei fotografi. Ai paparazzi. Ad una villa stracolma di persone potenti e di alto calibro. A delle donne single, bellissime e giovani. E Edward era uno scapolo ben ambito, ancora.

“A cosa?” Sussurrò lui, accarezzandole dolcemente il viso. Sempre con quel sorriso malizioso che passò tra le sue labbra.

“A tutto.”

“E sono pronto ad affrontare tutto con te, Isabella Swan.” Disse, avvicinandosi lentamente alle sue labbra. Le sfiorò appena, ma si ritrasse quando Bella cercò qualcosa di più.

Mh.” Mormorò, sconfitta lei.

“Vieni al Gala con me, Isabella.”

“Sarà un putiferio, Edward.”

“Viene con me.” Disse di nuovo, sfiorandole le labbra.

“I giornali, domattina.”

“Vieni con me.” Accarezzò lentamente quella parte di pelle dietro l’orecchio di Bella, zona erogena che conosceva fin troppo bene. Lei chiuse gli occhi, assaporando quel momento.

“Vieni con me, e questa non è una domanda.” Disse infine, facendo sbattere la sua schiena contro le ante dell’armadio, in un bacio che incendiò entrambi.

 

 

“Sei bellissima, Bells.” Disse Jake due ore dopo, quando la sua migliore amica scese al piano di sotto. Indossava un lungo abito nero, senza spalline che lasciava scoperta gran parte della schiena. Per una volta aveva deciso di tirare su i suoi capelli con una pinza dorata, e qualche boccolo scendeva ad incorniciarle il volto.

Wow.” Disse Leah, raggiungendo i due con il piccolo Ronald tra le braccia. “Che schianto. Moriranno tutti.”

“Ne avete ancora per molto?” Chiese Bella, avviandosi verso la cucina a piedi nudi. Aveva deciso di abbinare a quel vestito delle scarpe con il tacco, ma che aveva intenzione di indossare soltanto quando stava per uscire di casa.

Oooh. Zia Bella, mi regalerai anche questo?” Emma la guardò dal basso, ammirando ogni piccolo strass che ornava l’abito di sua zia.

“Certo.” Rispose, avvicinandosi per lasciarle un bacio sulla fronte.

Jake e Leah erano stati incaricati di badare alle bambine fino a che Laurent e James non sarebbero andati a dargli il cambio, dormendo insieme a quelle due piccole pesti a casa Hale.

“Quanto ci mettete voi donne a preparavi? Perché non è ancora scesa?” Sentì le parole di Edward che arrivavano ovattate dal salotto.

“Sono qui da dieci minuti buoni.” Disse Bella ad alta voce, per farsi sentire.

Edward si avviò verso la cuina, fermandosi però poco dopo. Non disse nulla, ma non ce ne era bisogno: la sua faccia parlava da sola.

“Bambine, state attente se volete andare vicino a zio Edward. Potreste scivolare sulla sua bava che è appena colata sopra il pavimento. L’affermazione di Leah fece scoppiare Jake in una sonora risata, mentre Emma e Mia lo guardavano senza capire. Gli occhi di Edward, invece, erano ancora fissi sulla figura di Bella.

“Insomma?” Disse lei, provocandolo facendo un giro su se stessa e mostrando la vistosa scollatura dietro la schiena. “Che ne pensi? In fondo, l’hai scelto tu.” Edward deglutì un attimo, prima di proferire parola.

“Era diverso.” Esordì semplicemente. “Sul manichino, nel negozio. Era diverso.” Spiegò.

“Era diverso perché lo indossava un manichino, Edward.” Disse con ovvietà Jake. “Nessuno in questa casa pensa che Bella Swan sia un manichino, anzi. Avrai del filo da torcere stasera, amico.” Gli passò vicino, dandogli una pacca sulla spalla e guardandolo dritto negli occhi. “Tanto filo da torcere.” Ripeté, entrando in cucina seguito da sua moglie e da tutta quella ciurma di bambini. Lasciandoli completamente soli. Ci fu qualche minuti di silenzio, finché Edward si avvicinò lentamente a lei.

“Abbiamo capito che sul manichino era diverso. Ma ancora non ho il tuo parere.”

“Sei stupenda.” Due semplici parole, che fecero arrossire – forse per la prima volta -, Bella.

“Grazie.” Sussurrò appena lei. Lui si avvicinò ancora di più, stampandole un casto bacio sulle labbra.

“Ora dobbiamo andare.”

“Dobbiamo per forza?”

“E’ il Gala annuale organizzato da tua madre, Isabella. E sì, dobbiamo andare.” Disse Edward, prendendo dall’appendiabiti il cappotto di Bella, che le porse gentilmente. “Ora saluteremo le bambine, e ci avvieremo verso la villa dei Dwyer.” Spiegò, con lo stesso tono dolce con il quale spiegava le cose alle sue due nipotine.

“Edward.” Fu un semplice lamento, sussurrato.

Hey.” Le circondò il viso con entrambe le mani, avvicinando la fronte alla sua finché non si toccarono. “Non devi preoccuparti di niente. Ti prometto che non succederà nulla di male, e che la serata filerà liscia.

“Mia madre ha sempre portato problemi.”

“Non sarà così, da ora in poi. Quindi, metti in moto questo bel sederino e vai a salutare le bambine. Bella sbuffò, ma non disse nulla. Si voltò soltanto, avviandosi verso la cucina e lasciando Edward dietro di lei. “Ah, Isabella?”

Mh?”

“Altro che bel sederino. Con quel vestito quello è proprio un culo da favola.”

Bella sorrise maliziosa, alzando un sopracciglio.

“Ed è tutto tuo, tesoro.” La bocca di Edward si dischiuse nuovamente, facendo scoppiare Bella in un’ilare risata. “Stai attento, che puoi scivolare nella tua stessa bava.” E rivendendosi la battuta di Leah, questa volta si girò, entrando in cucina per salutare le sue bambine.

 

 

“Siamo davvero qui.” Disse appena Bella, guardando fuori dal finestrino. Edward aveva accostato davanti all’enorme villa Dwyer, e già potevano scorgere cinque persone con la macchinetta fotografica appesa al collo.

“Devi rilassarti.”

“Oh, facile da dire.” Edward sorrise, stringendo la mano di Bella fra la sua.

“Tesoro, non devi preoccuparti di nulla.” E così dicendo scese dalla sua Volvo, per poi aprire il lato del passeggero per aiutare Bella.

Furono travolti dai flash che accecarono per qualche secondo entrambi, finché non si abituarono. Edward prese Bella per mano, e la condusse verso la porta di casa Dwyer, che era aperta agli invitati.

“Mr. Cullen! Mr. Cullen! Una foto con la sua lei.”

“Vieni qui.” Sussurrò appena Edward, posando una mano sulla vita di Bella. “Ora, fai un bel sorriso.” Lei ci provò, e tutto sommato ci riuscì abbastanza. “Ecco fatto.” Ripresero a camminare, lasciando i fotografi dietro di loro.

“Oh! Edward Cullen, che piacere rivederti.” Una donna di mezza età si avvicinò a loro, accogliendoli con uno strano sorriso.

Quella donna era Renée Dwyer.

“Mrs. Dwyer, il piacere è tutto mio.” Edward ricambiò il sorriso, prendendo la mano di Renée e avvicinandosela alla labbra. Ruffiano. E lei arrossì, proprio come tutte le donne.

“Sono felicissima di averti qui. E sono ancor più contenta che sei riuscita a portarla.” Scandì l’ultima parola, indicando poi sua figlia.

“Non c’è di che, mamma.”

“E quelle splendide bambine? Dove le avete lasciate?”

“Sono a casa, Renée. Una serata del genere le avrebbe distrutte.

“Giusto. Ma non perdiamoci in chiacchiere qui davanti. Seguitemi al banchetto, così che possa offrirvi qualcosa da bere. Arpionò il braccio di Edward, trascinandolo – letteralmente -, verso il banchetto e lasciando Bella dietro di loro. Si voltò un solo istante, per vedere gli occhi della sua donna che sorridevano, accompagnando il tutto con un’alzata di spalle.

Vai, Edward. Me la cavo anche da sola.

 

 

“Isabella Swan.” Era incantata dalla splendida vista che c’era davanti a lei e cullata dalla melodia di una giovanissima ragazza che suonava il pianoforte, quando quella voce la fece rabbrividire.

“Aro Volturi.” Disse semplicemente, voltandosi di scatto.

“E’ un piacere rivederti.”

“Anche per me.” Mentì.

Aro Volturi era il socio in affari di Phil Dwyer, cioè il suo patrigno. Quando Bella si era trasferita a New York per frequentare il College, aveva partecipato a molte cene in quella villa, ed Aro era sempre presente. Quel signore non aveva mai fatto o detto nulla per cui Bella poteva lamentarsi, ma una sola occhiata le metteva i brividi.

Era un uomo viscido e subdolo.

“Ti trovo bene, Bella.”

“Grazie, Aro.”

“Non abbiamo più avuto il piacere di incontrarci, ma ho saputo tramite Phil cosa è successo. Ora ti occupi delle bambine Hale.”

Bambine Hale.

Le mie nipoti.

“Sì, Aro.” Tagliò corto lei, facendo qualche passo indietro.

“Un bel cambiamento. Non riesco soltanto a spiegarmi perché non hai accettato il posto che ti ha offerto tua madre. Un edificio nella zona più ricca di New York, soltanto per te. Non sarebbe stato affatto male. Invece, hai preferito il MoMa.”

Bella alzò entrambe le sopracciglia, chiedendosi di cosa diamine stesse parlando Aro. Ma non poteva farlo. Non in quel momento.

“Ho preferito il MoMa, Aro. E mi trovo benissimo con Rosalie.”

“Oh, Rosalie. Credo di averla intravista prima.”

“E’ qui?”

“Sì… con quella ragazza bionda. Credo fosse…”

Tanya?”

“Giusto. Conosci anche Tanya?”

“No. La vedo qualche volta, di sfuggita.”

“Eccoti qui.” Sobbalzò, quando due mani le arpionarono la vita. “Dov’eri finita?” Bella sorrise, mettendo la sua mano sopra quella di Edward.

“Tesoro, ti presento Aro Volt-”

“Non c’è bisogno di presentazioni.” Tagliò corto Edward, passando da quel tono di voce dolce ad uno aspro.

“Vi conoscete?”

“Sì. E sarà meglio che io vada. E’ stato un piacere rivederti, Bella. Edward.” Salutò frettolosamente Aro, girando i tacchi e dirigendosi verso l’entrata.

“Che problema avete voi due?”

“Perché vi conoscete?” Parlarono nello stesso istante.

“Prima tu.” Disse Edward.

“E’ il socio in affari di Phil. Lo conosco da… sempre. Più o meno. Tu, invece?”

“La mia è una storia più lunga, tesoro. Ti prometto che te la racconterò, ma non ora. Sta iniziando la cerimonia.” Bella non chiese altre spiegazioni, ma prese la mano di Edward e si avviarono verso l’interno anche loro. “Promettimi una cosa.” Disse, a pochi passi dal loro tavolo.

“Cosa?”

“Non lasciare mai più che ti avvicini. Non mi piace quell’uomo, Isabella.”

“Non piace neanche a me.” Detto questo presero posto in uno dei tanti tavoli rotondi della sala con i loro nomi, aspettando l’inizio della cena.

 

 

La cena era finita, ma ora c’era la parte più brutta. Quella che Bella proprio non reggeva. Renée sarebbe salita su quel piccolo palco proprio di fronte ai tavoli, per poter ringraziare i suoi ospiti, le offerte che erano state fatte, e tante tante altre cose.

“Signore e signori, innanzitutto vi ringrazio per essere qui stasera.” Disse inizialmente, seguita da pochi applausi. Phil, seduto ad uno dei primi tavoli la guardava estasiato. “Sapete tutti quanto io tenga a queste cene annuali, ed ogni anno il vostro contributo fa la differenza per tutti i bambini e le famiglie che scegliete di aiutare.” Si allisciò le pieghe del vestito, riprendendo a parlare. “Sono ormai nove anni che organizzo questo Gala con l’aiuto di mio marito, e vorrei ringraziare tutti i presenti qui stasera. Ma soprattutto, vorrei fare un annuncio proprio a voi. Sappiamo bene tutti cos’è successo cinque mesi fa, e la tragedia che ha invaso tutti noi, dal primo all’ultimo.” La sua voce si affievolì un po’. “Ci sono state tragiche conseguenze, ma nel nostro piccolo cercheremo di fare il nostro meglio. Per questo, la Galleria Lux – una delle gallerie più famose di NY, che si trovava all’interno degli edifici -, sarà riaperta a breve.

“Perché non mi hai detto niente?” Sussurrò appena Edward, arricciando le sopracciglia.

“Perché non ne sapevo niente.”

Quella era – è – la mia galleria.

Non aveva mai chiesto nulla a Renée. Mai. Se l’era sempre cavata da sola, se non per una volta.

 

 

“Mamma.”

“Bella.”

Indossava ancora il cappello e la tonaca blu. Si era appena laureata.

“Vorrei chiederti una cosa.”

I festeggiamenti continuavano, e mentre suo padre che era venuto da Forks chiacchierava amabilmente con Jake e Phil, Bella era riuscita ad allontanarsi qualche secondo per raggiungere sua madre.

“Dimmi.”

“Mi sono appena laureata. E vorrei aprire una galleria. La mia galleria.”

Renée sorrise. Quel sorriso soddisfatto che si ha quando te lo aspettavi.

“Sì?”

“Ho un po’ di soldi messi da parte. Ma non…”

“Non ce la fai. Io e Phil ti aiuteremo.”

“Cosa?”

“Sei mia figlia, Bella. Io e Phil ti aiuteremo.”

“Davvero?”

“Certo.”

“Grazie mille, mamma.”

Bella l’abbracciò, non sapendo che quello sarebbe stato solo l’inizio di una piccola catastrofe.

La Galleria Lux aprì dopo pochi mesi, ma non con il suo nome. Era intestata a Phil Dwyer, che ne avrebbe ricavato la metà dei profitti.

Bella era sempre stata una dipendente. Sempre.

 

 

“E’ come una figlia per me, ormai. E non posso essere più felice di quanto io lo sia ora, che la Galleria Lux stia riaprendo, e che sia proprio lei ad occuparsene da ora in poi. Quindi, signori, vi prego di accompagnare con un applauso colei che cambierà totalmente l’idea di vedere l’arte in questa nuova – nuovissima -, esperienza.

Bella strofinò le mani sudate sopra il vestito, mentre Edward continuava a guardare accigliato la signora Dwyer.

“Signore e signori, un applauso di incoraggiamento per Tanya Denali.” Disse Renée, mentre una bellissima donna bionda che era seduta al tavolo insieme ai Dwyer si alzò, raggiungendo Renée.

Come una figlia per me.

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Cinque è il numero perfetto ***


I giorni erano trascorsi frenetici, e così le ore, e così i minuti

Diciassettesimo capitolo – Cinque è il numero perfetto

11 Marzo 2002

 

I giorni erano trascorsi frenetici, e così le ore, e così i minuti.

Presi tra i mille impegni delle bambine e i loro ritmi, era passato un mese.

Un mese intero. Dove certe giornate erano durate anni, ed altre soltanto pochi minuti.

Un mese intero insieme alle sue bambine, che ogni giorno le facevano imparare cose nuove.

Un mese intero, senza Edward.

Era partito la settimana dopo il Gala a casa Dwyer, chiamato urgentemente dalla filiale di Londra. Aveva salutato le sue bambine calorosamente, ed anche lei.

Le aveva promesso che sarebbe tornato il prima possibile… eppure.

Era passato un mese.

Edward chiamava ogni sera, per parlare con le bambine. Riusciva a spiccicare poche parole con Bella, troppo preso dal lavoro, o da Emma e Mia che non vedevano l’ora di raccontargli la loro giornata.

Un mese intero.

Quel mese, durante il quale aveva preso la decisione che le avrebbe cambiato la vita.

“Che facciamo a cena?” Si ridestò da suoi pensieri, scuotendo la testa e girandosi verso il suo amico: Laurent.

Anche James era partito insieme a Edward, lasciando il suo compagno nella Grande Mela.

Per un mese intero.

Bella e Laurent in quel periodo avevano acquistato un bellissimo rapporto: lui cercava di aiutarla il più possibile, portando le bimbe al parco o andandole a prendere a scuola.

“Pollo?”

“Lo abbiamo mangiato ieri.”

“Pesce?”

“Bella.” Alzò lo sguardo dal monitor del PC che aveva davanti a lei.

Mh?”

“Stai tranquilla.” Laurent posò la sua mano su quella di Bella, accarezzandola dolcemente. “Troveremo una soluzione.” Sorrise dolcemente, dopo quel troveremo.

“Questo è un problema mio.” Sussurrò, cercando di non farsi sentire dalle bambine che giocavano nel salone.

Non aveva detto una parola a nessuno, quando aveva preso quella decisione.

Soltanto Laurent, che ormai viveva praticamente insieme a lei, era riuscito a toglierle quelle parole dalla bocca.

Leah era troppo presa dai gemelli, proprio ora che stavano crescendo a vista d’occhio.

Jack doveva occuparsi del Pub, che invece aveva lasciato troppo andare dopo la nascita dei bambini.

Charlie era a Forks, e spiegargli quello che stava succedendo con una telefonata non sarebbe stato l’ideale.

Edward… non c’era. In ogni sfumatura che poteva esistere, lui non c’era.

“Non è vero.” Laurent la guardò dritta negli occhi. “E’ un problema, sì, questo è vero. Ma è un problema che possiamo risolvere insieme.

“Come?”

“Con molta calma e sangue freddo, tesoro.”

“Non posso, Laurent. Non posso.” Sospirò, asciugandosi una lacrima solitaria che stava scendendo sulla sua guancia. “Non ho più la calma, né tantomeno il sangue freddo. Dopo… dopo tutto quello che è successo.”

Hey, hey.” L’amico si alzò, facendo il giro del tavolo per trovarsi davanti a lei. Con il pollice asciugò la lacrima sul viso di Bella.

“Dio! Tutte a me!” Disse, facendo una risata amara tra le lacrime. “Non posso credere di essere stata così stupida!”

“A cosa ti riferisci?”

Ad entrambe le cose.

“Beh…” rimase in silenzio per un po’. “La prima, di certo è stata una mia decisione. Non ponderata benissimo, ma l’ho scelto io. La seconda invece… non lo è.”

“Potrebbe diventarlo.”

“No. Non potrebbe.”

“E chi lo dice?”

“Io.”

“Non sei l’unica in questa cosa, Bella.” Spiegò Laurent, guardandola apprensivo.

Quello si, invece, che è un problema enorme.”

“Tesoro.” Laurent cambiò tono della voce, proprio come se stesse parlando con un bambino. “Di certo questo non è il momento migliore, ma prima o poi dovrai parlarne. Perché lo devi fare. Non c’è alternativa. E magari sarà una cosa bellissima.”

“Bellissima, Laurent?” Scosse la testa, allontanando la mano del suo amico dal viso. “No. Non sarà bellissima. Perché quello che è successo a Settembre, per quanto tragico possa essere stato, ha portato un cambiamento radicale nelle nostre vite. Non posso farne avvenire un altro, proprio ora. A pochi mesi di distanza. Scombussolerei tutto.”

“Hai ragione. Però, - purtroppo – stai guardando soltanto gli aspetti negativi di quello che potrebbe succedere.

“Oh, allora dimmelo tu! Quali sono gli aspetti positivi?” Rise di nuovo, alzando gli occhi al cielo. “Ecco, vedi? Non ci sono! Non esistono!”

“Cota non etittono?” Mia li interruppe, entrando in cucina in punta di piedi. “TIA BELLA PIANGEEE!” Iniziò ad urlare, facendo così catapultare in quella stanza anche sua sorella maggiore.

“Perché piangi?” Domandò Emma, preoccupata.

“Non è vero, tesoro.” Disse subito Bella.

“Stavamo soltanto decidendo cosa a fare a cena. Zia Bella voleva quel pollo triste e ispido, e invece io ho proposto il Mc Donald… e così ha iniziato a piangere perché lei non lo vuole!

E così dopo la spiegazione di Laurent entrambe le bambine iniziarono a saltare per tutta casa, dimenticandosi di quello che era appena successo prima, e iniziando a gioire per quella cena sporca e imminente che stava per arrivare.

 

 

Le bambine avevano cenato con un happy meal a testa, Laurent con un enorme panino tre volte più grande della mano di Bella, e invece lei aveva mangiato quel “triste e ispido pollo”.

Dopo cena avevano guardato un po’ di cartoni animati, e poco prima che le bambine si addormentassero Bella le aveva portate nella loro stanza, raccontandogli una favola della buonanotte.

Tornata al piano inferiore, aveva trovato il suo amico seduto sul divano, con il telefono attaccato all’orecchio.

Attaccò pochi minuti dopo che Bella si era seduta accanto a lui, voltandosi per guardarla.

“No Laurent, basta. Non ne voglio parlar-

“Era James.”

“E?”

“E’ tornato.”

Bella sbatté le palpebre più volte.

Cosa?”

“Ha detto che non ha fatto in tempo a chiamarmi. Hanno preso un volo all’ultimo momento.”

Hanno?Laurent non fece nemmeno in tempo a rispondere, perché entrambi si girarono verso la porta da dove stava provenendo un rumore.

La chiave che girava nella toppa.

Hanno detto.

“E tu che fai qui?” Edward rimase lì, immobile, con la valigia in una mano e la ventiquattrore nell’altra.

“Me ne stavo proprio per andare.” Si infilò le scarpe in pochi secondi, sorridendo a trentadue denti pronto per tornare a casa.

Anche il suo compagno era tornato, e dalla paresi facciale improvvisa che gli aveva invaso la faccia, non vedeva l’ora di andarsene.

Salutò Bella con un bacio sulla guancia e un’occhiata eloquente, e in silenzio si diede il cambio con l’amico, richiudendo la porta dietro di sé.

Edward fece cadere entrambe le valige per terra, e iniziò ad avvicinarsi lentamente al divano.

Dove Bella era rimasta, immobile.

Ciao bellezza.” Sussurrò appena, dandole un casto bacio sulle labbra.

Bella notò che era bianco, quasi cadaverico. E che aveva delle occhiaie che gli arrivavano al mento.

Hey.” Disse, con voce strozzata.

“Le bambine dormono?” Come risposta annuì soltanto, mentre dondolava nervosamente il piede da destra a sinistra.

Edward le arpionò le gambe, allungandole sopra le sue ginocchia.

“Pensavo che avrei ricevuto più calore.” Ammiccò, accarezzandole lascivamente i piedi. Ma Bella continuò a non fiatare.

“Stai bene?” Domandò allora, scrutandola attentamente.

Anche lei, non era da meno: il suo incarnato faceva invidia a quello di Edward, e per le occhiaie erano entrambi sul podio dello slogan “dieci trucchi per non dormire: chiedi a Edward Cullen e Isabella Swan, campioni del mondo.”

Si stropicciò gli occhi, che lentamente si stavano iniziando a riempire di lacrime.

Hey, amore.” La tirò per un braccio, stavolta trascinandola tutta sopra di lui. “Che succede?” E lì, scoppiò. I singhiozzi che aveva cercato di nascondere con le bambine e con Laurent iniziarono a farsi sentire, insieme a tutte le lacrime.

T-ti.. L-la giacca.”

“Non me ne frega niente della giacca.” Lui le accarezzava i capelli, fino ad arrivare alla schiena. Su e giù. Lentamente. Finché, pian piano, non iniziò a calmarsi.

Si staccò pochi centimetri, quelli che bastavano per guardarsi negli occhi.

“Che c’è?” Sussurrò nuovamente Edward, asciugandole con il palmo della mano il viso bagnato. Lei tirò su con il naso, appoggiando la testa tra l’incavo della sua spalle e il collo.

Lì, il mondo era perfetto.

E lo sarebbe stato, ma ancora per poco.

“Ti… ti devo parlare.” Ingoiò quel boccone amaro, attaccandosi ancora di più a Edward.

“Che succede?” Continuò ad accarezzarla, senza mai staccarsi da lei.

N-non so c-come

“Tesoro, puoi dirmi tutto. Tutto.” Lo specificò due volte, con la sua voce suadente.

S-sono… due cose.”

“Stanno tutti bene?” Il tono della voce aveva assunto una preoccupazione che prima non c’era.

“Sì… Sì. Sono due cose che… riguardano me.” Deglutì, cercando di non far tornare le lacrime e singhiozzi che sembravano imminenti.

“Dimmi.”

“Sono… mi sono licenziata.” Sospirò, però continuò a parlare prima che Edward potesse interromperla. “Il MoMa non era la mia vita, il mio… lavoro. Dopo il Gala, ho deciso di parlare con Rosalie e licenziarmi. Renée mi ha remato contro una vita intera. Non potevo restare in quel giro, ancora. Non dopo quella sera.” Edward si avvicinò a lei, schioccandole un lieve bacio sulla fronte e lasciandole una carezza.

“Era questo che ti preoccupava?” Domandò, sorridendole dolcemente. “Non c’è niente di cui preoccuparsi, tesoro. Vuoi cercare subito un altro lavoro, oppure vuoi prenderti un po’ di tempo e stare a casa? Puoi farlo benissimo. Questo, di certo non è un problema.”

“Non è questo che mi preoccupa.”

Infatti…

“Che succede?” Aveva detto quelle due parole un migliaio di volte, ormai.

“Ti ricordi… cos’è successo il nove febbraio?” Edward arcuò le sopracciglia, il suo modo per far capire che ci stava pensando, ma che non trovava una risposta.

“Era la sera del Gala.” Lo aiutò Bella.

“Intendi il discorso di tua madre?”

“No… dopo.”

Dopo… dopo.

Dopo, erano tornati a casa. Una casa vuota, perché le bambine erano rimaste a dormire da Jack e Leah.

Una casa che aveva visto e sentito Edward arrabbiato, per quello che era appena successo con Renée e Tanya.

Una casa che aveva visto e sentito Bella incredula e sconcertata, dopo quello che era accaduto.

Una cosa che gli aveva visti e sentiti consolarsi, parlare, sussurrare parole dolci e fare l’amore.

“Sì?” Disse Edward, incerto. Poi, sospirò sonoramente. “Tesoro, basta con i giochetti. Che c’è?”

“Sono incinta.” Lo snocciolò così, come se nulla fosse. E le sembrò di perdere un peso che ormai si portava dietro da un mese.

Un mese intero.

Sembrò che l’intera casa si bloccasse: il respiro di Edward, le lacrime di Bella, il ticchettio dell’orologio a muro.

Ogni. Singola. Cosa.

“Edward.” Bella – ancora seduta sulle sue gambe -, gli diete una leggera pacca sulla spalla.

Sei incinta?” Sussurrò appena, indistintamente.

Non doveva succedere. Non era previsto.

Era stato qualcosa di inaspettato.

Per lei, per le bambine, per quel qualcosa che c’era tra lei e Edward, ma che non si poteva definire.

“Incinta?” Ripeté di nuovo, con la voce smorzata.

Lei, non parlava più. Annuì soltanto, leggermente.

Delle lacrime silenziose iniziarono a scendere sul suo viso, e abbassò la testa. Edward gliela alzò con l’indice e il pollice, per poi asciugargliele lentamente.

D-dì” singhiozzò “dì qualcosa.”

“Credo che” era rauca, la sua voce “credo che cinque sia un numero perfetto.”

Bella scoppiò in lacrime, stretta tra le sue braccia. Incastonò di nuovo la testa nell’incavo tra la spalla e il collo, cercando di fondersi lì.

Proprio lì.

Perché era perfetto.

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Capitolo 18
*** Tradimenti ***


“Devo passare da Rosalie, oggi

Diciottesimo capitolo – Tradimenti

23 Marzo 2002

 

“Devo passare da Rosalie, oggi.”

“Rosalie? Rosalie Hale?” Domandò Leah, seduta a gambe incrociate sul letto di Bella.

Le bambine erano uscite con Edward, troppo preoccupato per la salute della sua… ragazza.

Non voglio che ti stanchi.

Emma e Mia richiedono troppo tempo.

Cercherò di occuparmi di loro il più possibile.

Sono incinta Edward, mica malata! Era stata la risposta che si era beccato due giorni prima, dopo l’ennesima raccomandazione.

Cosa sarebbe successo, al nono mese? L’avrebbe rinchiusa dentro la camera a chiave?

Probabile, conoscendo Edward Cullen.

“Già. Proprio Rosalie Hale.”

“Perché?”

“Devo consegnarle dei documenti. Mi ero portata il lavoro a casa, ma ora devo riportarglieli.

“Non puoi farglieli avere in un altro modo?” Bella sbuffò, guardando la sua amica.

Leah, io non ho nessun problema con Rosalie Hale. Adoro il mio lavoro, ma con lei non era… adatto, ecco tutto. Voglio lasciarmela alle spalle come una bella esperienza. Spiegò.

Ed era vero: non si era trovata poi così male con Rosalie. Certo, i suoi orari a volte erano massacranti, ma faceva pur sempre il lavoro che amava.

Ed ora? Ti godrai la maternità?” Sorrise l’amica, indicando quel piccolo bozzo che inizia a pronunciarsi sul suo addome.

“No. Non esiste.”

“Bella!” La sgridò Leah. “E’ una cosa buona, questa. Saranno dei momenti bellissimi.”

“Gioia, non esiste. Non starò con le mani in mano per nove mesi.

Quindi?”

“Voglio…” Ci pensò, prima di continuare. “Non devi dire niente a nessuno. Soprattutto a Jake.

Leah mise la mano sul cuore. “Giurin giurello.”

“Sto cercando di mettermi improprio. Ho contattato artisti freelance, voglio aprirmi un sito internet. Stavolta, devo iniziare da sola. Anzi, voglio iniziare da sola. Laurent ha detto che mi darà una mano con il sito. Spiegò in fretta e furia.

L’amica non disse una parola, ma l’unica cosa che fece fu alzarsi dal letto, per andare ad abbracciarla. Quando si staccò, Leah aveva le lacrime agli occhi.

“Sono così contenta!” Batté entrambe le mani, come una bambina. “Te lo meriti, tesoro. Perché non vuoi parlarne con Edward?”

“Non voglio nasconderlo.” Ed era la verità. “Sto solo cercando di capire cosa fare, per ora. Quando sarò sicura al cento per cento, gliene parlerò. Per ora, è una cosa campata in aria, sai.

“Edward approverà di sicuro.”

“Ultimamente Edward approva ogni cosa che faccio.”

“Certo. Una donna in maternità è un film horror a tempo determinato per nove mesi.

Hey!” Bella le diede una piccola botta sulla spalla. “Non mi chiamo Leah Black!”

“E non porti in grembo due gemelli!” Bella sorrise, accarezzandosi dolcemente la pancia.

Le bambine aveva preso la notizia nel migliore dei modi: la loro felicità aveva invaso casa Cullen per giorni. Emma aveva preso il telefono di suo zio, aveva chiamato i nonni ed aveva annunciato il lieto evento a tutti.

Inutile dire che la loro gioia contagiò anche Carlisle ed Esme, che il giorno dopo avevano portato tutti a pranzo fuori.

“Un figlio con Edward Cullen.” La rimbeccò Leah, per l’ennesima volta da quando l’aveva saputo.

“Lo so. Non ripeterlo.”

“Chi l’avrebbe mai detto?”

Bella sorrise dolcemente, alzando gli occhi al cielo.

Alice Cullen.

Lei, aveva predetto tutto.

 

 

“Sicura che non vuoi che ti accompagni?”

“Edward! Lasciala in pace!”

“Grazie a Dio c’è James!” Borbottò Bella, schioccando un’occhiata d’intesa al loro amico.

“Devo soltanto andare al MoMa. Sono le diciotto, tra mezz’ora sarò a casa.

“Vuoi prendere la mia macchina?”

“Edward!” Strillò Bella, avvicinandosi lentamente a lui. “Non ho bisogno della tua macchina, perché ho la mia.”

“Quella dannata macchina che ti ha regalato Jake. Usata.” Precisò.

“Una fantastica utilitaria.”

“Prendi la mia.”

“La tua Volvo? Alla faccia delle lamentele che mi facevi, quando la prendevo.

“I vantaggi dell’essere incinta!” Disse James, continuano a bere il suo whiskey.

Laurent invece era stato sottratto dalle bambine, che l’avevano portato al piano superiore. Perché con zio Laurent è tutto più divertente.

“A saperlo, ci sarei rimasta prima.”

“Sì?” Gli occhi maliziosi di Edward la squadrarono, accompagnati dal suo sorriso.

Mh mh.”

Hey, hey! Ci sono anch’io qui!”

“C’è tuo marito di sopra.” Riuscì a sussurrare appena Bella, mentre fu travolta dalle labbra di Edward.

Quando si staccò, trovò un peso in più nella tasca del suo giacchetto.

“Prendi la mia macchina, piccola.” Disse appena, tornando ai fornelli.

Dannato, dannato Edward.

 

 

“Questo è tutto.” Bella lasciò i documenti sulla scrivania di Rosalie, ben impilati.

“Fantastico, Isabella.”

Quindigrazie?” Non sapeva cosa dire. Il loro rapporto era finito, e sapeva benissimo che non avrebbe mai più rivisto Rosalie Hale.

Lei alzò gli occhi, - finalmente -, scrutandola.

“Grazie a te, Isabella.” Disse soltanto, per poi riabbassare lo sguardo.

“Nell’astuccio ho lasciato anche le chiavi. Credo… sia tutto. Ciao, Rosalie.” Lei non rispose, e Bella nemmeno aspettò: a passo spedito si diresse verso l’uscita.

E proprio mentre usciva, si scontrò con Tanya Denali. Si scambiarono un semplice cenno del capo, senza proferire parola.

Arrivata alla Volvo, Bella cercò le chiavi.

Mi ammazza.

Se non le trovo, Edward mi ammazza.

Si grattò la testa, sbuffando sonoramente.

Nell’astuccio che aveva lasciato a Rosalie con le chiavi della galleria, c’erano anche quella della Volvo.

Stupida.

Rientrò a passi rapidi, cercando di metterci il minor tempo possibile.

Però, trovò la porta dell’Ufficio di Rosalie – che prima era totalmente aperta -, socchiusa.

Quindi ha lasciato?” Era Tanya.

“Sì. Da un po’.”

“Credi sia per la storia di Renée?”

“Non penso sia solo per quello.”

“Cioè?” Domandò Tanya, e la sua voce sembrava davvero incuriosita.

“Sai, dopo quello che è successo l’undici Settembre.”

“Ah.” Bella da fuori sentì la risposta secca e decisa della sua rivale per eccellenza.

“Ancora vive con Edward?” Chiese poi.

“Sì. Credo di sì.”

“Ho visto la sua Volvo, qui fuori.”

“La Volvo dai sedili comodi?” Bella riuscì a percepire il tono malizioso nella voce di Rosalie. E la seguente risata di Tanya.

“Già. Ma era più comodo il letto del Ritz a Londra.

“Cosa?” La voce di Rosalie, stavolta, era sbalordita.

Mh Mh.”

“Edward Cullen? Quando? Come? Perché?” Le domande erano uscite dalla bocca di Rosalie a raffica.

“Due settimane fa. Era a Londra per la società. Ed io ero lì per una sfilata. Una cosa tira l’altra…”

Oh, cazzo!” Dopo l’esclamazione di Rosalie scoppiarono entrambe a ridere sguaiatamente.

Inconsapevoli che fuori da quella stanza, nascosta dietro la porta accostata, c’era una semplice donna che si teneva una mano premuta fortemente sulla bocca, cercando di attenuare i singhiozzi che non riuscivano a fermarsi.

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Capitolo 19
*** Tanya ***


“Voglio sapere se questa storia andrà avanti per molto

Diciannovesimo capitolo – Tanya

30 Marzo 2002

 

“Voglio sapere se questa storia andrà avanti per molto!”

“Edward.”

“Mai… mai! Mai in tutta la mia vita sono stato trattato in questo modo!

“Tieni.” Jake gli allungò il terzo bicchiere pieno di whiskey, e con l’altra mano continuò a pulire l’altra parte del bancone.

“Tu sai qualcosa.”

“Come?” Stavolta smise di pulire, alzando gli occhi verso il suo amico.

“Non è possibile, Jake.” Sibilò appena, stropicciandosi gli occhi.

Quello seduto davanti a Jacob Black, - dall’altra parte del bancone -, non era di certo Edward Cullen.

Indossava una felpa nera e una tuta grigia. Non si radeva, andava avanti a caffè e whiskey e non mangiava un pasto sano da una settimana.

Da quando Bella se ne era andata.

“Si tratta di lavoro, Edward.”

“Lavoro? Siamo a New York, Jake.” Sbuffò. “Cazzo!” Sbatté il bicchiere di vetro sul bancone, e per poco non si ruppe. “Non decidi nel giro di una nottata di andartene a Forks, per lavoro!”

“L’hai chiamata?”

“Non risponde. Risponde ai messaggi, ma soltanto quando riguardano le bambine.

“A proposito… le bambine?”

Dopo i primi due giorni di smarrimento – nei quali Edward si era chiesto più volte cosa avesse potuto portare la sua donna a partire per Forks di corsa -, aveva deciso di parlare con Carlisle ed Esme, che erano stati più che contenti di prendere le bambine. Inizialmente, si erano trasferiti tutti e tre a casa Cullen. Le bambine erano felicissime, e i loro nonni ancora di più.

Ma Edward sapeva che qualcosa non andava. L’aveva intuito nel modo in cui Leah lo guardava, dall’alto al basso e con gli occhi che potevano incenerirlo da un momento all’altro.

Dalle chiamate che faceva a Bella, senza risposta.

Aveva provato a chiamare Charlie, ma anche lì era partita la segreteria telefonica.

Maledizione!

“Sono dai miei genitori.”

“Cosa gli hai detto?”

“Che Charlie aveva bisogno di Bella. Chiama Esme ogni sera, per parlare con loro.

A me no.

Leah sa qualcosa.”

Leah sa qualcosa.” Jacob ripeté le stesse identiche parole di Edward.

“Cosa?”

“Edward, non ne ho idea. Leah non mi ha raccontato niente. Ma sì, è successo qualcosa.”

Si mise entrambe le mani sulla faccia, cercando di spremersi le meningi.

Cosa ho fatto. Cosa. Diamine. Ho. Fatto.

“Pensa. E’ successo qualcosa?”

“Cazzo, Jake! No! E’ andato tutto bene, benissimo! Aspettiamo un bambino, Dio! E sono l’uomo più felice del mondo. E poi, via. Da un giorno all’altro, se ne va. Non da spiegazioni, non risponde al telefono. Ha bisogno di tempo. Deve pensare e deve lavorare. E Forks è il posto più adatto.” Sputò fuori, grattandosi la testa. “Tutte cazzate!”

“Tutte cazzate.” Ripeté una voce dietro di lui. “Proprio come quelle che ha detto Tanya Denali.”

James.

 

 

La Volvo sfrecciava lentamente sulle strade di New York, e questo era un buon motivo per far perdere la pazienza a Edward.

Ma non il primo buon motivo.

Il primo, era di tutt’altro stampo.

Stupida Bella. Stupida, stupida, stupida donna.

Con una mano tamburellava le dita sul volante, con l’altra fumava l’ennesima sigaretta di quella giornata.

Il MoMa non era lontano, doveva solo trovare un parcheggio e poi ci sarebbe arrivato a piedi. Di corsa.

Lasciò la Volvo in doppia fila, fregandosene dei clacson che suonavano e iniziò a correre verso l’ampia porta. Spinse quasi fino a romperla, sotto gli occhi accigliati di Rosalie Hale.

“Edward Cullen?”

Faticava a riconoscerlo? Anche lui, faticava a riconoscersi in quei giorni.

Tanya è qui?”

Rosalie nemmeno parlò, ma con l’indice indicò la porta del suo ufficio.

“Grazie.” A passo spedito partì, e senza nemmeno bussare aprì la porta.

Tanya Denali era lì, seduta su quell’enorme poltrona di pelle nera, davanti ad una scrivania piena di scartoffie. I capelli biondi e lucenti le incorniciavano il viso. Il trucco era pesante, e accentuava il colore dei suoi occhi chiari.

Una volta ero innamorato di lei.

“Edward?” La stessa identica domanda di Rosalie.

“Dobbiamo parlare.” Il sorriso che sfoderò Tanya gli fece accapponare la pelle.

Come potevo essere innamorato di questa donna?

“Sono tutta orecchie.”

“Non mi interessa con chi hai scopato al Ritz a Londra. Mi interessa soltanto che tu faccia sapere al mondo che non ero io.” Lei scoppiò in una fragorosa risata, ma i suoi occhi la tradirono. Sarebbero stati capaci di incenerirli, proprio come quelli di Leah.

“Come?”

“Alla mia ragazza sono arrivate voci. Voci infelicemente false, purtroppo per te. Vorrei mettere le cose in chiaro, una volta per tutte. Sono stato innamorato di te, e avrei fatto carte false per te. Ma tu non l’hai voluto. Hai preferito giocare all’infermierina durante tutti gli anni del College, ed allora ho deciso di lasciarti.” Prese un respiro, continuando a guardarla. “Ti ho amata, Tanya. Realmente. Ma tu no. Faceva comodo essere la ragazza di Edward Cullen al College, e ti ha fatto ancora più comodo esserlo quando sono diventato il Capo della Cullen Media Group. Ma è proprio qui, che hai toppato. Ho trent’anni, e le mie ambizioni sono cambiate da allora. Non mi interessano i giochetti facili, e soprattutto le stronzate che vai a dire in giro.”

Il sorriso di Tanya non si era dissolto.

“Tutto questo per… Bella Swan?” Il suo tono dispregiativo fece sì che Edward si sfregasse le mani fortemente, per non fare qualcos’altro.

Io e Isabella aspettiamo un bambino.”

E lì, il sorriso morì.

E’ la mia donna, Tanya. E’ la donna della mia vita. E che possa succedermi qualcosa in questo istante, andrò contro al mondo per la sua felicità. Perché è quello che merita, ed è quello che io voglio per lei. Alice e Jasper sono morti. I nostri amici sono morti. Abbiamo perso entrambi il nostro lavoro.” Si alzò e si diresse alla porta. Mise la mano sulla maniglia, ma non aprì.

“Non sarà di certo Tanya Denali a fermarci.” Disse con voce calma e tagliente, uscendo dall’Ufficio.

 

 

         Cinque ore lo separavano da Bella.

Quattro in volo e una in macchina. Ed erano interminabili.

James aveva provveduto al Jet, mentre Laurent si era raccomandato che Bella fosse a casa, a Forks. Jake aveva l’arduo compito di parlare con sua moglie, e spiegarle quello che era realmente successo. Esme e Carlisle avevano le bambine, e le avrebbero tenuto sino al loro ritorno.

Sì, perché sarebbero tornati insieme.

 

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Capitolo 20
*** Per sempre ***


30 Marzo 2002

Ventesimo capitolo – Per sempre

30 Marzo 2002

 

 

“Bella?” Sentì Charlie chiamarla dal piano inferiore, mentre lei stava lavorando al PC. Era a Forks da una settimana, e non aveva fatto altro che lavorare, lavorare e ancora lavorare. Stava mettendo su il sito, e Laurent la aiutava dalla Grande Mela. In quella settimana aveva contattato molti artisti emergenti, e una buona parte aveva risposto positivamente alla sua iniziativa.

“Bella?” La chiamò di nuovo, e questo significa che doveva scendere. Si alzò, premendo leggermente la mano sulla pancia. Iniziava pian piano a pronunciarsi un piccolo rigonfiamento, anche se era di pochi mesi.

Sono incinta.

Non faceva altro che pensarci, e proprio grazie al lavoro era riuscita a distrarsi. Le mancavano le bambine, più di ogni altra cosa al mondo. Le chiamava ogni sera, e sapeva anche che a loro mancava lei.

Le mie bambine.

Prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa, e sistemare le cose. Aveva pensato anche a quello, ma non era riuscita a trovare una soluzione. Doveva delle spiegazioni a Edward. Doveva dirgli che tra di loro era tutto finito.

Con tre bambini da accudire. Insieme.

Aveva parlato con James e Laurent, dopo varie insistenze. Ed aveva buttato fuori tutto: aveva raccontato ai suoi amici cosa era successo, cosa aveva sentito. Della sua fuga a Forks.

Laurent ci era rimasto di sasso, mentre aveva sentito il suo compagno piuttosto perplesso. Era pur sempre il migliore amico di Edward.

“Bella?” Stavolta sbuffò sonoramente.

“Papà! Ecco!” Disse infastidita, scendendo l’ultimo scalino. “Non potevi salire tu?” Ma le parole le morirono in bocca, quando ad aspettarla insieme a Charlie, in quella piccola cucina, c’era proprio lui: Edward.

 

 

“Che ci fai qui?” Cercò di trattenere tutte le emozioni che stava provando.

Non fargli vedere nulla.

Non deve capire nulla.

“Vi lascio soli.”

Fantastico. Ora anche suo padre si era dileguato, prendendo le chiavi della macchina e uscendo da quella casa.

“Dobbiamo parlare.”

“Non ci dobbiamo dire niente.” Disse lei, risoluta. Si avvicinò al frigo, e con le mani tremanti prese una bottiglia d’acqua.

Non ci devo pensare.

Non ci devo pensare.

Non ci devo pensare.

“Sei una stupida, Isabella Swan.” Ma dopo quell’affermazione, sbottò. Come si permetteva? Dopo tutto quello che aveva passato, ora lui le dava della stupida?

“Come?” La sua domanda quasi sussurrata tagliò l’aria.

“Perché sei a Forks?”

“Te l’ho detto. Devo lavorare.”

“Puoi farlo anche a New York.”

“Avevo bisogno dei miei spazi.”

“Oh, perfetto!” lui si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lei. “Potevi avere benissimo i tuoi spazi anche a New York.”

“Che vuoi?” Ripeté di nuovo.

Ora non poteva più mentirgli. Proprio ora che lui era lì, nella sua casa, a Forks. Non era come nei messaggi: lì rispondeva a monosillabi, o non rispondeva proprio.

“Perché non mi hai detto di Tanya?” La bottiglietta che aveva in mano cadde per terra, e l’acqua iniziò a bagnare il pavimento.

Allora lo sa.

Edward si abbassò, raccogliendola. Con il panno pulito che stava sul tavolo, diede un’asciugata alla belle meglio.

“E’ stato James?”

“Grazie a Dio ho ancora persone con un po’ di cervello, intorno a me!” Sapeva che non si stava riferendo a lei.

“Che vuoi, Edward?” Ripeté, per l’ennesima volta.

“Voglio che torni a casa con me.” Bella rise. Una risata amara, quasi un rantolo.

“Non torno a casa con te.”

“Te ne resterai qui a Forks per sempre?”

“No. Tornerò dalle bambine. Ma non con te.”

“Non ci siamo capiti, Isabella. Tu torni a casa. Con me.” Il suo tono autoritario quasi le fece venire i brividi.

“Potevi pensarci prima di scoparti Tanya Denali.”

Ce l’abbiamo fatta! Finalmente l’hai detto!” Eppure, non sembrava così sorpreso.

Non gliene fregava niente.

“E tu l’hai fatto!” Gli puntò un dito contro, che gli toccò il petto.

“Io non  ho fatto un bel niente, Bella! Dovevi soltanto venire da me, e dirmi quello che stava succedendo. E invece no!” La voce di lui si era alzata. “Hai preferito fare l’eroina della situazione, e andartene. A Forks! Mi hai lasciato solo, e te ne sei andata!

“Ho fatto quello che fai tu, sempre!” Si avvicinò. “Te ne vai, quando le cose si fanno difficili. Viaggi di lavoro. Eppure scappi per settimane, e io sono sempre rimasta sola. E non ho mai detto una parola.” Sospirò, appoggiandosi con le mani al piano cottura. “Stavolta tocca a me. Ho bisogno di tempo, Edward. Devo stare da sola.”

“Non sono andato a letto con Tanya.” Quell’affermazione tagliò l’aria.

“Non è quello che dice lei.”

“Quello che dice lei sono tutte cazzate!” Se avessero potuto, i suoi occhi avrebbero sputato fuoco.

“A chi devo credere?”

“A me! Dio, Bella!” Si stropicciò entrambi gli occhi con le mani. “Tanya è pazza. Non è riuscita a mandare giù quello che stava succedendo tra di noi. Sapeva che tu eri lì, dietro quella porta. E l’ha fatto apposta. James era con me, a Londra. Sa che non è successo niente, ed è per questo che me l’ha detto.

“Sono incinta, Edward.” Disse, sospirando leggermente. “Ho iniziato a fidarmi di te da poco. Pochissimo tempo. Eppure, ogni volta c’è qualcosa che mi porta sempre a fare due passi indietro, invece che in avanti. Cosa dovrei fare? Passare la mia intera vita a badare a tuo figlio, mentre tu te ne vai in giro per il mondo? Ad ogni telefonata, devo chiedermi se quello che dici è vero o no. Guardati!” Lo indicò, inclinando leggermente la testa. “Sei un milionario, e sei single! Tutte le donne che ti vedono, ti sbavano dietro! Cosa devo fare, quando parti per un viaggio di lavoro, o prendi una nuova segretaria in Ufficio? Non posso vivere così.” Sussurrò, muovendosi leggermente verso di lui.

“Non sono single.” Disse solamente lui.

“Non sei single.” Ripeté le sue parole, con lo sguardo sofferente.

“Devi credermi. Devi fidarti di me. Da quando stiamo insieme, non ho mai guardato nessun’altra. Non ho mai pensato a nessun’altra. Sei l’unica per me.” I suoi occhi erano lucidi, e sembravano… sinceri.

Sposami, Isabella.”

Cos-”

“Sposami.” Non ebbe nemmeno il tempo di reagire, che lui si inginocchiò ai suoi piedi. “Sposami. Rendimi l’uomo, il padre e il marito più felice del mondo. Sposami.” Lo chiese di nuovo, con la voce che si era trasformata in un sussurro roco.

“Ti amo. Sposami. E avrai” scosse la testa, riprendendosi “avrete tutto quello che vi servirà. Tutto.”

Tutto…?”

“Tutto.”

“Io voglio solo te. Voglio fidarmi di te.”

“Dimmi di sì.” Due lacrime solitarie scesero sulle guance di Bella.

Lo amava. E lì, davanti a lei c’era il suo passato, il suo presente e il suo futuro.

“Se solo… se solo vengo a sapere che hai fatto qualcosa, ti uccido, Edward Cullen. Ti uccido.”

“Era un sì?” Chiese lui, divertito ma ancora speranzoso.

“Sì. Ti amo. Ti sposo.” Il sorriso che gli illuminò il volto poteva accecare qualcuno. Non l’aveva mai visto così felice, mentre la alzava da terra e la stringeva forte.

“Per sempre.” Sussurrò lui, baciandola dolcemente e togliendole e asciugandole il viso bagnato.

“Per sempre. E ora, torniamo dalle nostre bambine.” Disse appena, appoggiando la fronte sulla sua.

Per sempre.” Ripeté Bella, finalmente felice.

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Capitolo 21
*** Epilogo - Vi amo ***


Il cielo era buio quel giorno, e rispecchiava l’umore dei presenti in quella casa

NOTE IMPORTANTI A FINE CAPITOLO.

 

 

Epilogo – Vi amo

Domenica 11 Settembre 2011

 

 

Il cielo era buio quel giorno, e rispecchiava l’umore dei presenti in quella casa. Erano appena le dieci, eppure erano tutti svegli.

Sapevano a cosa andavano incontro, e a quanto fosse particolare quella giornata. Forse troppo.

Ogni anno, era la stessa storia. Non c’era nemmeno bisogno che impostassero la sveglia come le altre mattine, perché quasi all’alba si ritrovavano in cucina, e la maggior parte delle volte non facevano colazione. Restavano lì, in silenzio. Un silenzio che a volte pesava, ed altre no.

“Mamma?” Il piccolo Sam era fermo sullo stipite della porta, mentre la fissava con quegli occhioni verdi.

Proprio come quelli di Edward.

Hey, tesoro.”

“Posso non venire?” Bella arcuò le sopracciglia, mentre risistemava il letto.

Edward quella mattina era uscito presto insieme a Mia, per andare dai nonni. Emma era chiusa nella sua camera, e nessuno aveva provato a disturbarla. La piccola Alice – che poi così piccola non era più -, faceva gli ultimi compiti al piano inferiore. Pensare che la sua bambina aveva già dieci anni e il suo piccolino sette, le fece venire la pelle d’oca.

Alice era stata la bambina più buona che lei avesse mai conosciuto: era nata in una calda mattinata di Giugno, portando con sé tanta felicità. Assomigliava a Bella in tutto e per tutto: i lunghi boccoli castani e gli occhi marroni erano quei tratti distintivi, ma l’altezza l’avevano presa dal loro papà: sia Alice che Sam erano più alti degli altri bambini, e quindi non era possibile che avessero ereditato l’altezza da Bella.

Sam invece era nato tre anni dopo, e fu diverso dalla prima gravidanza.

Sam era stato voluto, desiderato. Perché dopo la proposta di matrimonio, Edward aveva tutte le intenzioni di metter su una squadra di calcetto. Quando Bella rimase incinta, la felicità di Edward non ebbe eguali. Portò sua moglie e le tre bambine in vacanza, godendosi appieno quei momenti.

Gli anni erano passati, e le cose erano cambiate.

Edward le aveva detto per sempre, e da quel giorno fu di parola.

Non la lasciò mai sola, non la fece mai sentire inadatta o triste. L’aiutò in tutti modi, soprattutto quando inaugurarono la Galleria d’Arte eM-Mia di Isabella Swan. Il lavoro andava alla grande, le entrate iniziavano a fruttare sempre di più anno dopo anno, e Isabella poteva ritenersi la donna più felice del mondo.

Riportò l’attenzione sul bambino che stava aspettando una risposta.

“Perché non vuoi venire?” Sam sembrò pensarci su, mentre sua madre lo guardava. Aveva solo sette anni, eppure da come parlava ne dimostrava molti di più.

“Non mi va.” Disse soltanto.

“Tesoro, devi venire.”

“Io non voglio venire. Lasciami da zio Jake.”

“Anche zio Jake ci sarà.”

E zia Leah. E i nonni. E Charlie.

Tutti.

“Ma io non voglio andare. Lasciami a casa con Alice.” Bella sorrise. Un sorriso triste, e scosse la testa.

“Verrà anche tua sorella. E di certo non ti lascio a casa con una bambina di dieci anni.

“Perché tutte le volte dobbiamo andare?”

Bella sapeva che non poteva arrabbiarsi.

Non poteva permetterselo. Perché anche se quella giornata aveva avuto un impatto significativo nella vita di tutti, Sam non poteva saperlo. Lui non c’era, ma era cresciuto con i racconti dei suoi genitori. Con quelli delle sue cuginette. Con i documentari, i video, i telegiornali e con quella giornata.

Perché di lì a poche ore sarebbero andati al World Trade Center per… quello.

Per il decimo anniversario dall’attentato.

“Senti…” Bella si avvicinò, abbassandosi sulle ginocchia. “Dobbiamo andare, amore. Non staremo lì per tanto tempo, ma dobbiamo andarci. Dopo, ti prometto che quando torneremo a casa finirò il progetto che stai facendo per la scuola.”

“Mi aiuterai davvero con i modellini?” Sam parve dimenticarsi di cosa aveva appena chiesto a sua mamma prima, mentre i suoi occhi brillavano.

“Certo.”

“E anche papà?”

“Lo chiederemo anche a papà, sì.”

“Va bene. Allora vado a prepararmi.” Si girò, zompettando verso la sua camera.

E Bella pensò che avrebbe voluto essere proprio come lui: ignara di cosa avevano portato quei dieci anni con sé.

 

 

“Dici che continuerà a piovere?” Il cielo si faceva sempre più nero, mentre Mia guardava la strada sfrecciare dal finestrino. Le goccioline di pioggia scendevano lentamente sul finestrino, e l’asfalto portava dietro di sé quel rumore di bagnato.

Le piaceva la pioggia. Ma non oggi.

“Zia Bella ha visto le previsioni. Dovrebbe smettere dopo pranzo.” Erano solo le nove, e la commemorazione ci sarebbe stata a mezzogiorno. Inutile sapere quando avrebbe smesso di piovere, allora.

“Stai bene?” La mano di Edward sfiorò la sua calda guancia.

Mh

“Sai che puoi dirmi quello che passa in quella testolina, vero?”

Negli anni Mia ed Emma erano cresciute, diventando due piccole donne forti e indipendenti. Ma dal carattere completamente opposto.

Se Mia era la fotocopia di Alice, Emma era diversa: proprio come Jasper, se aveva un problema preferiva chiudersi in sé stessa invece che parlarne con qualcuno.

E proprio perché la sua sorellina aveva visto l’andazzo di quella giornata, aveva chiesto di andare dai nonni insieme a zio Edward.

“Ti mancano?” Sapeva che quella domanda sarebbe arrivata.

“Moltissimo.”

“Invidio Emma.” Disse solamente, continuando a guardare la strada.

“Ha fatto qualcosa?”

Mia scosse appena la testa.

“La invidio perché lei… ricorda. Poche cose, ma le ricorda. Io… non ricordo nemmeno un compleanno passato con mamma e papà. Un momento. Ho ricordi vaghi, ma nulla di concreto. E ad ogni undici settembre… la invidio sempre di più. Perché lei porterà con sé tutte queste cose… e a me cosa resta? Le foto? I video?”

“C’è una cosa che non sai, però.” Edward ingoiò il boccone amaro che si era formato, cercando di non far cedere la voce.

“Cosa?”

“Emma ricorda, come lo faccio io, Zia Bella e tutti quanti. Ma tu… Tu sei uguale a lei.Ma non ce la fece, e la voce mancò di una nota.

“Davvero?”

“Non scherzano, quando tutti ti dicono che sei uguale a tua madre. Sei identica. Sia fisicamente che caratterialmente. Sembra un incubo: rivivere l’Alice tredicenne per due volte. Cercò di smorzare la tensione, alzando gli occhi al cielo. Ci riuscì, perché sulle labbra di Mia spuntò un tenero sorriso.

“Era davvero come me?”

“Sì, tesoro. Se voleva una cosa, doveva andare e prendersela ad ogni costo. Proprio come te. Era presente per tutti, e la maggior parte del tempo lo passava ad arrabbiarsi, proprio perché ci teneva. A fare ogni cosa come diceva lei. Ah, e non dimentichiamoci della moda! Ogni cosa che faceva, doveva corrispondere a un capo adatto all’occasione.

Proprio come me.”

“Infatti.”

“Non posso dire che mi mancano i miei genitori, perché tu e zia Bella ci avete cresciute. Voi siete stati i nostri genitori. Eppure, quanto avrei voluto passare più tempo con loro. Si asciugò frettolosamente una lacrima che scendeva sulla guancia.

Edward parcheggiò davanti casa dei suoi genitori, spense il motore ma non fece nulla per uscire dalla macchina.

“Li porti qui.” Allungò una mano, per posarla sul petto di Mia. “Questo è il ricordo più grande che tu possa tenere, tesoro. Per sempre.”

“Grazie.”

“Per cosa?”

“Per non averceli mai fatti dimenticare. Per aver fatto sempre in modo che loro fossero presenti, nella nostra vita.

“Non devi ringraziarmi.” Si avvicinò, posandole un dolce bacio sulla fronte. “E’ stato tutto merito vostro.”

 

 

“A che punto sei?” Bella era pronta, ed aveva preparato anche Alice e Sam. Si sarebbero visti con Edward, Mia, Esme e Carlisle al World Trade Center. Anche Jake era diretto lì, allora Leah si era offerta di passarla a prendere.

“Noi siamo pronti. Ma non credo che Emma lo sia.”

“Vuoi che la chiami?” Bella lanciò un’occhiata dolce a Leah, e scosse la testa.

“No, no. Vado io. Controlla i bambini.” Leah annuì, e battendo le mani guardò i suoi due piccoli nipotini acquisiti, che stravedevano per lei.

Bella fece le scale con calma, e con ancora più calma bussò alla porta di Emma.

Non rispose.

“Tesoro?”

Nessuna risposta.

“Emma?”

Zero.

Decise allora di aprire.

La trovò distesa sopra il letto, con le cuffie nelle orecchie. Anche Bella riusciva a sentire il rumore della musica, figurarsi se lei poteva sentire qualcosa.

Ma sobbalzò, quando la vide.

Hey, tesoro. Stiamo per uscire.”

“Io non vengo.” Quella risposta la spiazzò.

“Come?”

“Io non voglio venire.”

“Posso?” Bella indicò l’angolo libero, ed Emma annuì impercettibilmente.

Edward riusciva a gestire benissimo Mia, lasciando a volte Bella a bocca aperta. Andavano d’accordo per tutto, erano l’uno la spalla dell’altro.

Invece Emma era… diversa. Timida, con quegli occhioni neri e spaesati e la corporatura esile, Bella si riconosceva molto in lei.

“Che succede?” Le appoggiò una mano sulla gamba, accarezzandola dolcemente.

“Niente.”

“Lo sai che puoi dirmi tutto.” Sembrò pensarci, ma continuò a non parlare.

Emma aveva appena compiuto diciassette anni. Era bellissima. I suoi capelli erano cresciuti sin sotto al sedere, biondo cenere proprio come quelli di suo padre. Era bravissima a scuola, e non aveva mai dato un problema a Bella e Edward. Se l’era sempre cavata da sola.

Si sedette, appoggiando la schiena sulla spalliera del letto.

“Se te lo dico… prometti che non ti arrabbi?”

“Certo che no.”

“E poi… prometti di non dirlo a zio Edward?”

“Che succede?” Ripeté allora Bella.

“Tu promettilo.”

“Non lo dirò a Edward.”

Sembrò pensarci su, nel suo nervosismo.

“Ho fatto sesso.”

La notizia non scioccò più di tanto Bella in sé per sé.

“Qual è il problema? Ha fatto qualcosa che non volevi? Ti ha obbligato?”

“Oh, no no!” Bloccò con una mano l’avanzare delle domande di Bella. “Niente di tutto questo. Cioè… è stato doloroso… sì. Ma ho voluto farlo.” Confessò.

“Questa è una buona cosa. Allora, che succede?”

“Credo di essermi innamorata.” Bella sorrise, e sentì anche i suoi occhi lucidi.

“Credi?”

“No… no. Sono innamorata.”

“Questo non è un problema, tesoro. Anzi, è una cosa fantastica.”

“Ho paura.”

“Perché?”

“Dean è al College quest’anno. E l’Università della California è lontana. Ma io… non voglio andare a Yale. Non voglio separarmi da lui. Quest’anno deve andare per forza, perché è il mio ultimo anno. Ma dal prossimo… zia Bella, io non voglio andare a Yale. So quanto ci tiene zio Edward, lo so, veramente. Ma non è quello che voglio. E so che si arrabbierà tantissimo, se non ci vado. Perché sa di cosa sono capace, e crede che Yale sia la scelta migliore, proprio come è stata per lui. Ma io… non voglio lasciare Dean. Ma nemmeno voglio deludere zio Edward.” Sputò tutto d’un fiato, lasciando Bella sia colpita che spaesata.

“Calmati, tesoro.” Si avvicinò, sedendosi accanto a lei ed allungò le gambe. “Andiamo per punti. Prima cosa, sono felicissima per te e per Dean. Quel ragazzo mi piace: è educato e a modo.

“Zio Edward lo odia.” Bella sorrise.

“Zio Edward odierà ogni uomo che proverà ad avvicinarsi a voi. Anche se quell’uomo diventerà tuo marito e il padre dei tuoi figli. Quindi, non ci interessa.” Le fece l’occhiolino. “Seconda cosa: non devi pensare a Yale. So che sei bravissima a scuola, e che punti in alto. E Yale sarebbe una scelta giusta e ragionevole. Ma non lo devi fare adesso. C’è tempo per pensare. Ora devi pensare all’ultimo anno, e poi alle domande per il College. Vuoi andare a Yale? Ci andrai. Vuoi andare ad un altro College? Andrai lì. Non vuoi laurearti? Sei libera di non farlo. Zio Edward non si arrabbierà per una cosa del genere.

“E invece lo farà! Parla sempre di Yale! Un mese fa siamo andati al campus, mi ha fatto conoscere metà dell’ateneo.

Bella sapeva che sua nipote aveva ragione. Ma conosceva anche suo marito.

“Quando arriverà il momento, quando tu sarai veramente sicura di quello che vorrai fare, io sarò dalla tua parte. Sempre.”

“Davvero?”

“Sì.”

“E così lui si arrabbierà anche con te.”

“Non lo farà. E sai perché non lo farà?” Emma scosse la testa.

“Edward è sempre stato un testardo. La scuola, il College, il lavoro… e voleva che tutti intorno a lui facessero come diceva. Aveva programmato il suo futuro come quello di sua sorella. E lo sai cos’è successo?”

“Penso di sì.”

“Che tua madre glielo sconvolse, quel futuro. Rimanendo incinta a diciannove anni. Edward e Jasper andavano al College insieme, pronti a fondare la loro azienda e lavorare insieme. Ma le cose non andarono come lui le aveva programmate.

Cosa successe?”

“Oh, si arrabbiò così tanto.” Bella sorrise al ricordo. “Se non ci fosse stata Esme a calmarlo, lo avrebbe ucciso. Non parlò con tua madre per mesi. Pensava che erano stati due stupidi. Buttare al vento il loro futuro per uno sbaglio fatto a diciannove anni. Non se ne capacitava. Poi, lo sai cosa gli fece cambiare idea?”

Mh… no.”

Tu.” Le passò un braccio intorno al collo, mentre Emma poggiava la testa sulla sua spalla. “Proprio tu. Quando ti vide, quel giorno. E quando vide le facce dei tuoi genitori… capì che era proprio quello il loro futuro. Lì, insieme a te. Si innamorò di te, e perdonò Jasper.”

“Mi mancano così tanto.”

“Lo so.”

“Allora… tu pensi che non si arrabbierà?”

Bella le accarezzò dolcemente la testa. Perché anche se ora aveva diciassette anni, restava sempre la sua bambina.

“Non lo farà, te lo prometto. Ora, alzati e preparati.” Emma annuì, scattando verso l’armadio.

Bella fece per aprire la porta, ma poi ci ripensò.

“Ah, tesoro?”

“Sì?”

“Sai… se hai bisogno di una visita, o dei preservativi, o la pillola, possiamo parlarne non vorrei che succedess-

“ZIA BELLA! So cosa fare. Adesso puoi andare, ciao.”

Bella scoppiò a ridire, portando dietro di sé l’immagine della sua faccia imbarazzata e rossa.

La sua bambina.

 

 

Ciao.” Sussurrò appena Bella, montando con le ginocchia sul letto e posando un bacio sul collo di suo marito.

“Ciao.” Rispose divertito lui, continuando a sbottonarsi la camicia.

“Posso aiutarti?”

“Posso dirti di no?” Allargò le braccia, lasciandola continuare. Lo fece con lentezza, slacciando un bottone per volta e accarezzando piano il torace.

Era stata una giornata… piena. Fin troppo.

La commemorazione era durata un paio d’ore, mentre ascoltavano le parole del Presidente degli Stati Uniti in un silenzio glaciale.

Proprio come il cielo sopra le loro teste.

Buio.

“Come stai?”

“Stanco.” Lo era anche lei. Stanca per quella giornata così lunga e così piena di ricordi. Gli passò una mano sui capelli, scompigliandoli.

“Finirà questa cosa, prima o poi?” Bella rise.

“Mai.”

“E’ proprio quello che volevo sentirmi dire.” Con forza la tirò su, per poi buttarla di schiena sul letto. Poi, la sovrastò con il suo corpo.

“Edward!”

“Che c’è?”

“I bambini.”

“Dormono tutti.” Iniziò a posare languidi baci sul collo di sua moglie, perché sapeva che era qualcosa che la mandava in visibilio.

Edward…”

“Non sei convincente, signora Cullen.”

“Signora Cullen… ancora mi ci devo abituare.”

“Sette anni non sono bastati?” Bella mise le mani a coppa sul suo viso, cercando di farlo staccare dal suo collo.

“Guardami.” Gli occhi di suo marito splendevano sotto la luce arancione dell’abatjour, e quel verde prendeva sfumature celestine.

“Come stai?” Ripeté di nuovo quella domanda.

“Bene.”

“Sicuro?”

“Questa giornata… non cambia poi le cose. E’ un giorno come gli altri. Dopo quello che è successo… come può cambiare qualcosa un anniversario?”

“Hai ragione.” Bella posò un casto bacio sulle sue labbra.

“Tu come stai?”

“Bene. Stamattina ho parlato con Emma.” Le aveva promesso che non avrebbe detto nulla su quello che era successo con Dean, e voleva mantenere la parola data.

E io con Mia.”

“Davvero?” Edward si scostò, prendendo posto sul suo lato del letto. Allungò un braccio per far accoccolare Bella sul suo petto.

“Sì. E’… arrabbiata. Perché non ricorda molto di Alice e Jasper. Eppure, è così grata per aver avuto noi come genitori. Ci ha definito proprio così. I suoi genitori.” Bella si strinse ancora di più al petto di Edward, mentre lui le accarezzava lentamente il braccio. “Ed Emma?”

“Questo è un periodo strano per lei. Ha diciassette anni, sai com’è… Vorrebbe conquistare il mondo, eppure è ancora una bambina. Abbiamo parlato del College.”

“College?” Dalla domanda Bella capì che era molto interessato.

“Le ho detto di non preoccuparsi. Sa che tu vuoi che lei vada a Yale, e lei sa perfettamente che quella è la scelta giusta. Ma non è convinta. Comunque, ora non è un problema. Ci penseremo più in là.”

“Non vuole andare a Yale per quel Dean?” Il tono infastidito fece sorridere Bella.

“No, no. Assolutamente.”

“Se non vuole andare a Yale perché non le piace, va bene. Se non vuole andare a Yale per quel cretino, non approverò mai.

“Sembra un bravo ragazzo.”

“Oh, certo.”

“Dai!”

“Cosa?”

“Tu com’eri, a diciassette anni? Spocchioso, e ti portavi a letto ogni genere di ragazza. Cosa pensavano i loro genitori, secondo te? I loro padri? Eppure nessuno ti ha detto niente. Dean è un ragazzo in gamba. E’ entrato al College grazie a una borsa di studio, e mi piace. Sembrava che Bella non volesse sentire repliche.

“Quanto è seria questa cosa con Dean?”

“Abbastanza.”

“Abbastanza quanto?”

“Oh, Edward! Quanto può esserlo una relazione tra diciassettenni!

“Sono andati a letto insieme?” La piega che aveva preso quella conversazione non andava affatto bene.

Isabella?”

Mh.”

“COSA?” Edward si alzò a sedere, sfilando la mano da sotto il collo di Bella.

“Non prendertela.”

“Non prendermela? Domani ci parlo. E dopo ammazzo a Dean.”

“Emma è la diciassettenne più intelligente che io abbia mai conosciuto. Con la testa sulle spalle. Non ci ha mai dato un problema, e di certo non ce lo darà ora. Lei ama Dean.”

“Non lo ama. E’ soltanto una di quelle stupide cotte adolescenziali.

“Tua sorella ci ha messo su una famiglia, per la sua cotta adolescenziale.” Le ricordò Bella, arcuando le sopracciglia.

Ed era vero.

La cotta adolescenziale di Alice aveva dato vita a una delle famiglie più belle.

“Non resterà incinta anche a lei a diciannove anni, vero?”

“Emma tiene al suo futuro. Non è così stupida.”

“E se dovesse capitare?”

“Sarebbe una madre formidabile.” L’espressione di Edward era quella di un bambino a cui avevano tolto il suo giocattolo preferito.

“Perché crescono?” Bella si avvicinò, scompigliandoli di nuovo i capelli.

“Non ci possiamo fare niente.” Si ributtò di schiena, riportando con sé sua moglie.

Quindi… non ti arrabbierai se deciderà di non andare a Yale?”

“No, tesoro. Non mi arrabbierò. Purché sia una scelta saggia.”

“Che ne dici di dirlo a lei? Non ora, ma potreste affrontare il discorso. Tiene molto alla tua opinione su questo, lo sai.

“Lo farò.”

“E magari, evita di nominare Dean.”

“Oh, Dio! Menomale che quello zoticone è in California.

“E se è vero amore, questo non li fermerà.”

“No.” Sbuffò Edward, voltandosi verso Bella. Erano faccia a faccia.

“Credo che… ecco… abbiamo fatto un bel lavoro.” Con l’indice indicò il tetto sopra di loro.

La casa.

La loro casa.

La loro famiglia.

“Ci stiamo impegnando. Loro sembrano felici. Lo sono. E lo siamo anche noi.” Sembrò pensarci su. “Tu sei felice, sì?” La domanda di Edward la fece scoppiare a ridere.

“Sono felicissima.” Posò una mano sulla sua guancia, e la lasciò lì. “E ho una cosa per te.”

“Un nuovo completino sexy? Te l’ho già detto quanto mi è piaciuto quello dell’altra sera?” Bella alzò gli occhi al cielo.

“Sì, l’hai ripetuto diverse volte. Comunque… no. Niente completino sexy per te, Mr Cullen.” Bella si alzò, avvicinandosi alla sua parte dell’armadio. Una volta aperto, tirò fuori un foglio bianco ben ripiegato da una scatola. Si sedette di nuovo sul letto, e con le mani tremanti lo diede a Edward.

“Tieni.”

“Cos’è, vuoi divorziare?” Ammiccò lui.

“Smettila per un secondo. Aprila e leggila.” L’espressione seria di Bella lo fecero smettere di giocare, e si sedette anche lui. Prese il foglio, e lo aprì delicatamente.

Questa… questa l’ha scritta Alice?” Annuì appena, rispondendo silenziosamente alla sua domanda.

 

Ciao tesoro!

Se stai leggendo, significa che qualcosa è andato storto. Significa che è presto, e che le mie bambine avranno bisogno di tutto l’aiuto del mondo. Significa che non ci sarà nemmeno Jasper a potersi prendere cura di loro, e questo pensiero mi logora. Ma fino a un certo punto. Perché so che le mie bambine non saranno sole. Mai.

Non so dove sei e cosa stai facendo ora, e non so nemmeno per quale motivo stai leggendo questo. Ma di certo non sarà una bella giornata. Vorrei dirti che questa decisione è stata studiata e ponderata, ma mi conosci: sai che non è vero. Non l’ho deciso dal giorno alla notte, ma sapevo già che fare. Se succede qualcosa, Bella e Edward dovranno prendersi cura delle nostre figlie. E quelle non sono le mie bambine, Bella. Sono la mia vita. Avranno bisogno di te giorno e notte. A volte te lo diranno, altre dovrai scoprirlo da sola. Se è presto, dovrai avere a che fare con pappe e pannolini. Non ti spaventare, tesoro! Non c’è niente che un deodorante per ambienti non possa risolvere! Se sono più grandi, dovrai occuparti di loro in silenzio. Dovrai essere per loro la madre, la zia e l’amica. E sì, so che non sarà facile. So che stravolgerà la tua vita. E non solo la tua.

Perché c’è chi avrà bisogno di te più delle bambine: e quel qualcuno è Edward. Non lo lasciare, Bella. E’ l’uomo più forte e più debole che io abbia mai conosciuto, allo stesso tempo. E’ forte perché crede in quello che fa, e ci mette l’anima. In ogni cosa. E’ debole perché… lo fa da solo. E non mi fraintendere, conosce più persone Edward del Presidente, ma dentro… è solo. Ha bisogno di te. Se ti sto scrivendo, è successo qualcosa. E questo qualcosa avrà delle ripercussioni sulle vostre vite, ma soprattutto in quella di mio fratello. Fallo per me, Bella.

Prenditi cura di lui.

Prenditi cura di lui quando si comporta bene, e sorride alla vita.

Prenditi cura di lui quando le sue giornate sono storte, e non vuole nessuno accanto.

Prenditi cura di lui quando il suo caratteraccio prende il sopravvento.

Prenditi cura di lui, perché è questo quello di cui ha bisogno. Promettimelo.

Edward è la mia metà, e lo sarà per sempre. Se stai leggendo queste parole, significa che la sua metà ora non c’è più. Sarà a pezzi. Non lasciarlo. Ti prego.

Sei la persona più buona che io abbia mai conosciuto, Isabella Swan.

Essere la tua migliore amica è stato un onore, per me.

Dai un bacio alle mie bambine, e ricordale ogni giorno che la loro mamma le amerà per sempre.

Tua,

Alice.

 

Bella aspettò.

Mentre Edward si era voltato con la lettera in mano e le dava le spalle, Bella aspettava che finisse di leggerla.

T-tu.” Non finì la frase. Perché capì che il su e giù fatto dalle spalle era a causa dei singhiozzi.

Hey, hey.” Bella circondò la schiena con le mani, tenendolo stretto da dietro. Posò il viso tra l’incavo della sua spalla e il collo. “Va tutto bene, amore.”

L-lo sapevi d-a…”

“Da quando siamo andati dall’avvocato.”

Sì. Quando avevano saputo che Emma e Mia sarebbero andate a loro.

Il giorno che cambiò completamente le loro vite.

Bella si spostò, e asciugò con delicati baci le lacrime che bagnavano il perfetto viso di Edward.

“Alice ti amava, Edward. E sapeva cosa avresti provato.”

“Per tutto questo tempo…”

“Ho letto la sua lettera talmente tante di quelle volte, che ho paura si frantumi nelle mie mani un giorno di questi.”

“Perché… ora?”

“Perché in questi anni ho capito tante cose, Edward. Ogni volta che ti arrabbiavi, che rispondevi male, quando te ne andavi… io rileggevo la lettera di Alice. E mi dicevo che non potevo andarmene. Non potevo lasciarti. Non potevo, perché lei me l’aveva chiesto. E lasciare te, sarebbe stato come fare un torto a lei e alle bambine. Poi… poi ho scoperto che non volevo lasciarti. Che volevo convivere con il tuo carattere a volte buio e a volte solare. Che volevo vederti insieme alle bambine, e adoravo vederle felici insieme a te. Volevo che tu diventassi il padre dei miei figli, e mio marito. Il favore che dovevo fare ad Alice, si è rivelato come la più grande scoperta della mia vita. Bella prese fiato, continuando ad accarezzare le guance di Edward. Le lacrime non scendevano più, ma i suoi occhi continuavano a restare lucidi.

“Ti amo da morire, Edward. Ti amo che quasi mi scoppia il cuore, quando ci penso. Quando ti vedo… con Emma e Mia. Sono cresciute, ma anche tu insieme a loro. Ti amo quando sei insieme ai nostri figli, e i tuoi occhi scoppiano d’amore. Ti amo Edward. E prendermi cura di te non era più una richiesta di Alice, ma era diventata la missione principale nella mia vita. Ti amo.”

Edward appoggiò la fronte su quella di sua moglie, in silenzio.

“Ha sempre saputo tutto.” Bella annuì.

“Sempre.”

“Sei la mia vita, Isabella. Tu, Emma, Mia, Alice e Sam. Non avrei mai potuto desiderare nulla di meglio.

“Ti amo, Edward.” Circondò le braccia attorno al suo collo, stringendolo forte.

“Ti amo anche io, Isabella Swan.” Respirò a pieni polmoni il suo profumo, chiudendo gli occhi. Restarono in silenzio, fusi in un abbraccio che li aveva fatti unire in tutti i modi possibili.

 

 

NOTE:

Succede.

Succede che una ragazza i vent’anni ha un’idea strana una notte, e decide di metterla in pratica.

Succede che la vita si mette in mezzo, e in tre anni fa accadere tante di quelle cose che portano delle ripercussioni sulla storia.

Ci ho messo l’anima, in Changes. L’ho fatta a pezzi, e l’ho divisa in ventuno piccoli capitoli. Tre anni, ventuno capitoli, tanti giorni passati a pensare: ora la tolgo, non mi va più di scrivere. Non ce la faccio più.

Eppure, non è andata così. Anzi.

Dovevo dare un finale degno ai miei Bella e Edward, - ma soprattutto -, dovevo dare un finale degno a voi.

Chi per tre anni c’è sempre stato, ed ha aspettato pazientemente. Chi ha lasciato andare la lettura per i tempi troppo lunghi, e chi ha commentato ogni singolo capitolo.

Changes è la storia con più preferiti/seguiti tra tutte le mie Fanfiction. Non potevo lasciarvi così, con l’amaro in bocca.

Mi scoppia il cuore, ho pianto talmente tanto oggi mentre scrivevo questo Epilogo, che quasi non volevo lasciarli andare. Eppure è arrivato anche il loro momento. Non so cos’altro dire, se non GRAZIE.

Grazie per esserci stati, grazie per aver amato i miei Edward e Bella.

Grazie, grazie, e ancora grazie.

 

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