Not Just Mundanes

di Defiance
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Disclaimer: Shadowhunters non mi appartiene, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
 



Not
Just
Mundanes








1
Ivy
 
 
 
 
 
 
 
“Sveglia! Sveglia! Sveglia!”
Ivy odiava la petulante voce di sua madre, soprattutto alle sette del mattino, specialmente quando la chiamava per andare a scuola.
Sbuffò, nascondendo il capo sotto il cuscino, come se fosse sufficiente ad interrompere quel suono stridulo e fastidioso che si insinuava prepotentemente nei suoi sogni, ma Abigail Bentley era un osso duro e continuò imperterrita ad urlare finchè la figlia non si decise ad alzarsi dal letto.
“È l’ultimo giorno” le aveva ricordato in preda alla disperazione, facendo centro, perché la ragazza spalancò gli occhi e si alzò all’istante.
“Potevi dirlo prima!” esclamò precipitandosi in bagno per sistemarsi.
C’era un certo non so che nell’ultimo giorno di scuola: tutti sembravano pieni di energie, più allegri del solito; gli studenti ridevano e architettavano una marea di scherzi e perfino i professori sembravano più simpatici del solito... ah, il profumo della libertà!
Natalie diceva sempre che era in grado di fare miracoli, come ad esempio strappare un sorriso alla signora Carroll, l’insegnante di matematica.
Una stronza nata, naturalmente.
Natalie Sumner era come una sorella per lei.
Erano cresciute insieme, perché i loro genitori erano amici di infanzia a loro volta e sin da piccole le avevano fatte giocare assieme; avevano percorso i primi passi insieme, raggiunto ogni traguardo l’una accanto all’altra e, sempre insieme, avevano affrontato le prime delusioni.
Ivy sapeva che anche quando tutto sembrava andarle storto, poteva sempre fare affidamento su Nat e che ci sarebbe stata sempre per lei.
E viceversa.
La sua migliore amica, infatti, era parte integrante di sé e, solo un mese prima, avevano suggellato il loro rapporto con un tatuaggio uguale, del quale i loro genitori, ovviamente, non avevano la più pallida idea.
Se le avessero scoperte, il loro ultimo giorno di scuola lo avrebbero trascorso al Morris Hospital, l’ospedale più vicino a casa loro.
Si ricoprì immediatamente la spalla con una maglietta a maniche corte, onde evitare che la madre la sorprendesse e la scoprisse, poi uscì e afferrò lo zaino al volo.
Sapeva già che Natalie la stava aspettando fuori dal cancello, lei era sempre puntuale come un orologio.
“Nat!”
Le diede un bacio su una guancia e si incamminarono immediatamente verso la Saint Jude.
“Stasera Dave Collins dà una festa. Dobbiamo andarci, sai che dobbiamo” disse l’amica,  con fare saccente, scuotendosi la folta chioma corvina.
“Per inaugurare queste vacanze con una bella sbornia? Ci sto”
“Speriamo solo che Andrew smetta di cercare di avvicinarsi alle mie mutande, non lo sopporto più. Quando capirà che l’ho mollato?” sbottò Nat, alzando gli occhi al cielo esasperata.
“Rifilagli una gomitata nello stomaco o un calcio negli stinchi. Vedrai che riceverà il messaggio” consigliò l’altra, cosicché entrambe scoppiarono a ridere.
Nel corso dei loro diciassette anni, le due si erano infatti cimentate in diversi tipi di arti marziali: dal karate al judo, dal taekwondo al muay thai; il signor Sumner le chiamava “le piccole Charlie’s Angels”, proprio perché il suo nome era Charlie e loro avevano le sembianze di due angeli vendicatori.
Non appena raggiunsero la scuola, Ivy si trovò immediatamente le braccia di Lucas Warbeck attorno alla sua schiena.
“Ciao piccola” la salutò lui con un’occhiata maliziosa, provando come al solito a baciarla, ma fallendo, perché ormai ci era abituata e sapeva perfettamente di dover spostare il volto.
“Luke” rispose acidamente lei, afferrando Natalie per un braccio e trascinandola nella hall.
“Dio. Fare la Cheerleader è un bel passatempo, ma odio tutta l’attenzione che ne deriva. Specialmente quando è da parte di tipi odiosi, egocentrici e narcisisti come Warbeck” sbottò, sbattendo l’armadietto dopo averlo ripulito delle sue cose, ora riposte al sicuro nella sua tracolla.
Era principalmente quello lo scopo dell’ultimo giorno di scuola: raccogliere le proprie cose e mandare a quel paese tutto.
“È diventato un figo”
“È diventato un idiota. Punto”
 
La luna brillava pallida in cielo quando Ivy uscì di casa.
Natalie la stava aspettando nell’auto di Lucas, cosa che non le fece molto piacere, che partì a tutta velocità e raggiunse la villa di Dave in meno di cinque minuti.
Quello, invece, le fece piacere.
Meno doveva stargli vicino, più lei era contenta; odiava i tipi perfettini come lui, che si credevano chissà chi solo perché erano il capitano della squadra di basket e il novanta per cento delle ochet... ragazze, della scuola gli sbavavano dietro.
Dopo aver salutato i suoi amici ed essersi presa un cocktail, Ivy uscì in giardino per fumare una sigaretta (e per evitare le lunghe mani di Luke che provavano a palparle il sedere ogni volta che accennava a ballare. Voleva evitare di prenderlo a calci lì, davanti a tutti).
 Da lì, riusciva a scorgere gli addobbi che Dave aveva utilizzato per abbellire la casa: vi erano luci dappertutto, arancioni, gialle e rosse, colori che ricordavano il sole; immaginò che i festoni blu simboleggiassero il mare e l’avana delle tovaglie la sabbia.
La musica rimbombava per tutto il vicinato, tant’è che le venne voglia di scommettere sull’arrivo della polizia se quel trambusto si fosse protratto oltre la mezzanotte.
Il che era una vera palla; ad Ivy le feste piacevano, in particolar modo se poteva andarci con Natalie,- anche se a fine serata finiva sempre per mollarla e appartarsi con qualche ragazzo, per poi pentirsene puntualmente qualche giorno dopo -, e amava ballare finchè le gambe glielo permettevano.
L’unica pecca, era la mole di compagni che ci provavano con lei; stare al centro dell’attenzione era una prerogativa di Nat, non sua, ma la gente sembrava non capirlo.
“Me lo concedi un ballo?” domandò Lucas, apparendo proprio alle sue spalle.
“No”
“Una passeggiata?”
“No”
“Andiamo a bere qualcosa allora”
“E va bene!”
Aveva acconsentito solo per farlo stare zitto.
Sentiva lo sguardo dei presenti su di lei, soprattutto sul suo ‘cavaliere’; tutte le ragazze la invidiavano perché aveva accanto quel biondino dagli occhi grigi e il fisico palestrato, ma lei continuava a trovarlo vano e superficiale.
Neanche lo conoscevano, come facevano ad esserne così ammaliate?
Ivy non sopportava il modo in cui Lukas era cambiato da quando frequentava i giocatori della squadra; si erano conosciuti a sei anni, alle elementari e all’inizio andavano d’accordo.
Era dolce e simpatico e in seconda media si era persino beccata una bella cotta per lui, ma ora quella persona sembrava essere stata trasformata in... in un pallone gonfiato.
Eppure continuava a volergli bene e, proprio per questo, cercava di fargli capire quanto stupido fosse stato il suo comportamento negli ultimi quattro anni; purtroppo per lui il sesso era diventato più importante dell’amore.
Un giorno incontrerà la ragazza giusta, quella che lo farà tornare come prima, si ripeteva sempre.
Forse non spettava a lei salvarlo.
Forse non poteva salvare tutti.
 
“Ivy!”
Natalie corse verso di lei e quando la raggiunse aveva il fiatone.
“Sta...”
“…Arrivando la polizia. Okay, filiamocela” dedusse, prendendola per mano e trascinandola fuori dall’immensa villa.
Le strade erano buie, perché la maggior parte dei lampioni venivano spenti a mezzanotte e le ragazze erano rallentate dalle loro risate, dovute principalmente a quei bicchieri di troppo che avevano bevuto.
Ivy aveva i piedi doloranti.
Alla fine aveva ceduto e aveva ballato con Luke; per un momento, quando l’aveva stretta a sé e avevano ballato un lento, le era sembrato di rivedere quel ragazzino impacciato che la faceva sorridere sempre da bambina, ma poi la mano gli si era spostata sulla sua natica destra e lei gli aveva tirato una gomitata e, sbuffando, si era ritratta da lui.
Due minuti dopo, Natalie l’aveva raggiunta ed erano ‘scappate’ dalla festa; non avevano di certo bisogno che dei poliziotti le riaccompagnassero in casa, destando i loro genitori e sputtanando il loro tasso alcolico.
“Ivy... questa non è la strada di casa nostra...” le fece notare all’improvviso l’amica, scrutando il viottolo scuro e stretto nel mezzo del quale si trovavano.
“Ops” commentò l’altra ed entrambe scoppiarono a ridere.
Fecero per tornare indietro, ma trovarono la strada sbarrata da una figura inquietante.
Sembrava un giovane sui vent’anni, capelli a spina e fisico scolpito, - Ivy era sicura che Nat ci stesse facendo un pensierino -, peccato solo che i suoi occhi fossero rossi come il sangue.
Rossi.
È l’alcol. Dio, non mi ero accorta di essere così ubriaca, si disse la fanciulla, ma quando passarono accanto allo sconosciuto, - fingendo di non vederlo, per simulare indifferenza -, quello agguantò le loro braccia e le spinse a terra con violenza.
“Merda. Questo vestito stava cento dollari!” borbottò Natalie, lanciandogli un’occhiata omicida con i suoi occhioni neri.
“E questa era la mia forcina per capelli preferita, peccato doverla sprecare per cavargli gli occhi” aggiunse Ivy, rimettendosi subito in piedi e invitando la ‘figura’ a farsi sotto.
Immaginò che la scena dovesse risultare alquanto ridicola: due ragazze di normale corporatura, con indosso un vestitino e tacchi a spillo 12 cm che sfidavano apertamente un tipo probabilmente in grado di ucciderle in due colpi.
Ma loro non sarebbero morte quella sera, erano abbastanza sobrie da mettere ko un molestatore e correre a casa.
Poi però accadde qualcosa che fece cambiar loro idea, intaccando la loro sicurezza riguardo le loro abilità di difesa.
Distruggendo la loro sicurezza riguardo le loro abilità di difesa.
Lo sconosciuto, infatti, man mano che si avvicinava, si andava trasformando pezzo per pezzo: le braccia e le gambe divennero tentacoli, il busto si inspessì e si ricoprì di squame, mentre il volto assunse le sembianze di un pitbull che aveva appena avuto una brutta avventura nella macina di un mulino.
E sembrava viscido, dannatamente viscido.
“Ma che cosa...”
Natalie sgranò gli occhi e si voltò verso la sua compagna di sventure che sembrava più sorpresa di lei.
Ivy aveva la bocca semiaperta e lo sguardo fisso sul mostro, il cuore le batteva talmente forte che pensò le avrebbe squarciato il petto.
Non lo aveva immaginato, i suoi occhi erano davvero rossi.
Deglutì quando l’essere ringhiò e si scagliò a velocità disumana, - decisamente disumana -, su di loro.
Scattarono.
Natalie afferrò un vecchio bastone abbandonato dietro un cassonetto della spazzatura, l’altra una spranga di ferro... probabilmente un tempo era stato il pezzo di una tubatura.
Colpirono assieme,  coordinate come se fosse uno degli esercizi che il loro istruttore faceva fare loro durante le lezioni di taekwondo.
Così riuscirono a tranciargli due tentacoli, ma la creatura sembrava ancora piena di energie... e incazzata nera.
Si avventò su Nat, facendole fare un volo di diversi metri e l’impatto col muro di marmo le mozzò il fiato.
Ivy fece una smorfia, quasi come se avesse percepito essa stessa il dolore del colpo e, sopraffatta dalla rabbia, con gli occhi castani ardenti di ira, saltò; usò come sostegno il palo di una luce e colpì il mostro al ventre, conficcandogli i tacchi delle scarpe, che scivolarono via dai suoi piedi, nella pelle.
Quando ritoccò terra, uno dei tentacoli la colpì al braccio con talmente tanta violenza da atterrarla e senza che nemmeno se ne accorgesse.
Si trovava a un centimetro da lei, la chiara intenzione di sferrare il colpo finale, ma poi scomparve all’improvviso schizzando dappertutto un fatiscente e viscoso liquido nero.
Tutto ciò che Ivy vide prima di svenire, fu una lama lucente sospesa a mezz’aria nel punto ove fino a pochi istanti prima si trovava la creatura e un ragazzo dagli occhi dorati e i capelli biondi, che la fissava con la bocca socchiusa.
Forse sua nonna aveva ragione, forse ognuno aveva davvero il proprio angelo custode.
Chiuse gli occhi e precipitò nel buio.








Angolo Dell'Autrice
Salve a tutti!
Ho iniziato a scrivere questa storia tempo fa e finalmente
mi sono decisa a pubblicarla.
è tutto un what if? con le cose che di conseguenza sono
diverse dalla storia originale e spero tanto che vi piaccia!
Ci tengo tanto a sapere cosa ne pensate, se questo primo capitolo vi
ha incuriositi, se ci sono errori eccetera, quindi per favore recensite!
Cercherò di aggiornare il prima possibile!
A presto,

Bell!

 

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Capitolo 2
*** 2. ***


2
Natalie
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
La schiena le faceva incredibilmente male; voleva aiutare la sua amica, ma non riusciva ad alzarsi.
Ogni volta che ci provava sentiva un dolore acuto attraversarla da parte a parte.
Si controllò il punto più dolorante e scoprì di avere qualcosa conficcata nella carne; estrasse il bastone, stringendo i denti.
Poi il mostro atterrò Ivy e lei doveva necessariamente alzarsi per andare a salvarla, altrimenti l’avrebbe uccisa.
Ignorò le fitte e si rimise in piedi, barcollando verso la ragazza, quando all’improvviso il mostro scomparve schizzandole addosso qualcosa di disgustoso.
Cercò di non vomitare.
Un ragazzo biondo, sui diciotto anni probabilmente, teneva sospesa una lama azzurra lucente e guardava Ivy con un’espressione di confusione mista a sorpresa.
Fantastico. Prima i mostri e ora dei tizi armati fino al collo. Qualche dio ci vuole morte, stasera.
Il giovane si accorse dopo qualche secondo della sua presenza, o se se ne fosse reso conto prima non lo diede a vedere; Natalie notò che i suoi occhi erano dorati.
“Tu stai bene?” domandò lo sconosciuto, prendendo tra le braccia la sua amica.
Aveva una voce profonda e carismatica.
“Lasciala andare!” esclamò, afferrando nuovamente il bastone e puntandolo contro il loro... cosa? Salvatore? Nuovo rapitore? Angelo?
Perché sì, quel tipo aveva le fattezze di un angelo; se la ragazza avesse mai provato ad immaginarsene uno, lo avrebbe dipinto esattamente così, ne era sicura.
“Non ho intenzione di farvi del male. Ma dovete venire con me all’Istituto”
“Sì. Perfetto. Andiamocene con uno sconosciuto armato all’una di notte che probabilmente vuole rinchiuderci in manicomio dopo essere state attaccate da una specie di piragna assatanato. O peggio. Ti sembro stupida?”
“Sembri in preda a una crisi isterica” disse un’altra voce, proveniente da dietro ‘riccioli d’oro’.
Lo aveva scorto solo in quel momento, c’era qualcuno con quel ragazzo.
Aveva i capelli talmente chiari da sembrare bianchi e gli occhi più verdi che Natalie avesse mai visto.
Fantastico. Ora gli sconosciuti sono due.
“E tu chi sei?” sbottò la mora, alzando le mani in aria esasperata.
“Sebastian Morgenstern” rispose quello, come se quel nome potesse dirle qualcosa!
“Ah allora okay”
“Visto? Mi conoscono perfino i Mondani!” esclamò lui, dando una pacca al biondo che alzò gli occhi al cielo.
“Ti sta prendendo in giro, idiota” borbottò, cominciando a percorrere il sentiero buio a ritroso, con Ivy ancora tra le braccia.
“Ehi!” urlò Natalie, correndogli dietro, ma si ritrovò la strada sbarrata da ‘fiocco di neve’.
Era stato così svelto che gli sbatté contro.
Ora do i soprannomi agli sconosciuti. Fantastico. Sono davvero in preda a un attacco isterico.
“A te ci penso io, tesoro” sussurrò, trafiggendola con lo sguardo.
Lei esitò, quegli occhi le facevano uno strano effetto, ma poi lo spinse via con uno strattone e cominciò a seguire l’altro.
“Ehi, riccioli d’oro! Molla la mia amica!”
“Visto che non può camminare e tu sei ferita, temo che io non possa lasciarla” le fece notare il giovane, “e per la cronaca, il mio nome è Jace”
Jace. Che razza di nome è Jace?
“D’accordo. Supponiamo che voglia fidarmi di te. Cos’è quest’Istituto?”
“Casa nostra” spiegò Sebastian, dopo averli raggiunti a grosse falcate.
Aveva un ghigno divertito stampato sul volto che Natalie trovò irritante.
“Oh. E questo dovrebbe portarmi a non prendervi a calci e chiamare la polizia, vero?”
Il tipo che diceva di chiamarsi Jace ridacchiò.
“Abbiamo i nostri metodi per non farci vedere dai Mondani, tesoro” la informò l’altro.
“I Mondani?”
“Gli umani. Come te”
E poi sono io quella ubriaca.
“Se voi non siete umani cosa siete?”
“Shadowhunters. Cacciatori di Demoni. E quello che Jace ha ucciso poco fa, ecco, quello era un demone”
Mondani. Demoni. Cacciatori di Demoni. Certo.
Stava per ribattere con una frecciatina, ma senza rendersene conto erano arrivati davanti alle rovine di una vecchia chiesa.
Natalie ricordò che Ivy ripeteva in continuazione quanto quell’edificio fosse bello, ma lei vedeva solo pietre, massi e la base di uno stabile.
“Sebastian, apri”
“Vivete qui? Tra le rovine di una vecchia chiesa?”
“Non sono rovine. Prova a liberare la mente e a guardare meglio” spiegò il biondino e immediatamente l’immagine di un enorme edificio comparve davanti a lei.
Sembrava un castello. Ecco cosa ci vedeva Ivy.
“Wow” mormorò stupefatta, mentre varcavano la soglia.
Un tipo dai capelli scuri e gli occhi azzurri corse immediatamente verso di loro.
“Jace. Sebastian! Che succede?”  domandò, aiutando l’amico a trasportare Ivy in una stanza piena di letti.
Sembrava una specie di infermeria.
“Alec, un demone ha attaccato queste due Mondane poco fa” disse Jace, mentre il suo compagno esaminava la ragazza, probabilmente per controllare se fosse ferita, ma a parte dei lividi non aveva nulla.
Uno sul braccio era particolarmente grande e brutto.
Solo in quel momento, Natalie notò che ognuno dei presenti era pieno di tatuaggi neri. Strane forme, ma erano le stesse su tutti quanti.
Sono finita in un covo di punk pazzi, probabilmente sono anche strafatti.
“L’altra ragazza è ferita” si ricordò Jace e il tizio che aveva chiamato Alec si avvicinò a lei.
“Vieni, ti medico” le disse gentilmente, invitandola a sedersi su una brandina libera.
“Finalmente. Pensavo che foste tutti biondi e con un ego smisurato” commentò lei, sopprimendo una smorfia di dolore quando l’alcol toccò la sua pelle.
“L’unico egocentrico qui è Jace” sussurrò divertito, chiudendo la ferita con delle garze e dei cerotti.
“Il suo amico non scherza...”
“Sebastian? Lui è solo irritante. Tutto qui. Ho finito”
“Cos’è questo posto?” provò ad indagare Natalie, bramava risposte come mai in vita sua.
“È l’Istituto dove viviamo noi Shadowhunters di Los Angeles. Prima lo gestiva la mamma di Jace, Amatis, ma quando è morta ho preso le redini io, perché sono il più grande tra tutti”
“Siete in molti?”
“Solo Jace, Sebastian, mia sorella Isabelle ed io. Ogni tanto c’è qualche Cacciatore di passaggio, ma di solito siamo solo noi”
Povera ragazza.
“Devi riposare, ti trovo una stanza...”
“No. No, devo tornare a casa. E anche Ivy. I nostri genitori...”
“Ehm, non credo sia una buona idea...”
Lasciò in sospeso la frase e solo a quel punto si rese conto di non avergli ancora detto il suo nome.
“Natalie”
“Natalie. Ti conviene trovare una scusa, Ivy non può lasciare l’Istituto” le consigliò Alec, indicando una camera vuota al piano di sopra.
La ragazza sospirò rassegnata.
“Posso almeno sapere cosa sta succedendo? Mi sta iniziando a far male la testa”
Il ragazzo sorrise.
“Ti mando Sebastian, lui ti spiegherà tutto. Io devo fare rapporto al Conclave...”
 
“Quindi, voi siete Nephilim, io una Mondana. E combattete contro i demoni per proteggerci. E poi ci sono i Nascosti che sarebbero Vampiri, Licantropi, Stregoni e Fate?”
“Giusto” confermò pazientemente Sebastian, forse un po’ divertito dalla ragazza.
Sembrava così spaesata, non era bello essere catapultati in un mondo completamente diverso dal proprio così, dal bello e buono.
“E quei tatuaggi sono rune che potenziano le vostre capacità”
Natalie concluse il suo riassunto e il giovane annuì.
“Bene. Ora la mia testa gira ancora di più”
Lui ridacchiò.
“Probabilmente domani sarete fuori e non dovrete più preoccuparvi di nulla che riguardi il Mondo delle Ombre”
“Se il Conclave ce lo permetterà?” dedusse lei, quando capì che c’era un ‘se’ a quella frase e che lui stava evitando di esternarlo.
“Come fai a sapere del Conclave?”
Sebastian sembrava sorpreso.
“Alec ha detto che doveva fare rapporto. Quindi immagino che agiate per suo conto”
“Il Conclave è un po’ il governo dei Nephilim, sì. Ma voi siete Mondane, non potete esserne coinvolte più di tanto. Questa era un eccezione, perché un demone vi ha attaccate... probabilmente rimuoveranno i vostri ricordi”
Natalie sbiancò.
Non le piaceva l’idea che qualcuno si insinuasse nella sua mente e le portasse via momenti della sua vita.
Sembrava sul punto di vomitare.
“No! Come possono farlo?”
“Con l’aiuto di uno stregone. E si dà il caso che il ragazzo di Alec sia uno di loro”
“No, ti prego no! Non permettere che lo facciano, non voglio! Sono i miei ricordi!”
Sebastian la guardò costernato.
“Non posso confutare una decisione del Conclave. Mi dispiace, ma se decideranno di agire in questo modo...”
Fu come ricevere una sberla in piena faccia.
“E dovete per forza avvertirli? Ivy ed io non ne faremo parola con nessuno e, anche se fosse, chi ci crederebbe?”
“Scommetto che Alec li ha già informati. È il suo dovere, non prendertela con lui”
“Dal tuo tono riesco a percepire che vuoi molto bene ad Alec” osservò la ragazza, corrugando la fronte.
Eccola, la curiosità che si faceva strada dentro di lei, la voglia di scoprire il più possibile su quel misterioso giovane.
“Sono in debito con lui. Mi ha salvato la vita” spiegò dopo un attimo di esitazione.
“Immagino che il vostro rapporto si basi su questo. Voi tutti Shadowhunters. Scommetto che vi salvate la vita a vicenda continuamente, perché con Alec è diverso?”
Sebastian sorrise.
“Sei intelligente. Alec mi ha accolto nell’Istituto quando nessun altro lo avrebbe mai fatto”
“E perché?”
Natalie proprio non riusciva a pensare ad un motivo per cui nessuno avrebbe potuto prendere con sé quegli occhioni verdi.
“Per via di mio padre. Lui... non era una bella persona”
E dal suo sguardo, capì che non doveva più fare domande, così disse solo: “I figli non dovrebbero pagare per i peccati dei propri genitori”.
Per un attimo fu un mescolarsi di verde e nero; i loro occhi si scontrarono con violenza, in un attimo in cui tutto sembrò elettrizzarsi attorno a loro.
Poi Sebastian si schiarì la voce e si alzò.
“Faresti meglio a riposare” disse soltanto e poi la lasciò da sola a rimuginare sugli eventi delle ultime ore finchè non cadde tra le braccia di Morfeo.





Angolo Dell'Autrice.
Ciao a tutti!
Fortunatamente sono riuscita ad aggiornare presto.
Ho dei problemi al pc, motivo per cui non so se
riuscirò a farcela sempre.
Che dire, spero tanto che la storia vi stia piacendo e
incuriosendo. Come avete potuto vedere, Sebastian è 
un po' diverso da come lo conosciamo
in questa storia.
è il ragazzo che per colpa di Valentine
non è mai nato nei libri, io ho voluto dargli la possibilità
che la Clare non gli ha dato.
Spero di ricevere i vostri commenti.
Alla prossima,

Bell.

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Capitolo 3
*** 3 ***


3
Jace
 
 



 
 
 
 
 
 
Jace era ancora in infermeria.
Continuava a fissare la sconosciuta che giaceva sul letto di fronte a lui con... interesse?
Non riusciva a spiegarsi come una semplice Mondana potesse tener testa ad un demone in quel modo, come potesse essere così coraggiosa da andare incontro alla morte con tanta fierezza.
Isabelle entrò silenziosamente nella stanza; aveva i capelli lunghi tutti scompigliati e i suoi occhioni neri sembravano stanchi.
Sbadigliò mentre gli si avvicinava, poi si sedette su una brandina e cominciò a tracciare un iratze sul suo bracco destro.
“Alec mi ha raccontato tutto” esordì, ma Jace sembrava non essersi accorto nemmeno della sua presenza.
Jace.”
“Ha una runa parabatai sulla spalla” disse, “e scommetto che la sua amica ha l’altra. Ma non credo sia stata tracciata con lo stilo. Dovrebbe essere uno di quei tatuaggi mondani”
Isabelle corrugò la fronte.
“Non è possibile. I Mondani non conoscono le nostre rune. Come può...”
“È quello che voglio scoprire”
 
Il sole entrò a piccoli raggi dalle grandi finestre dell’infermeria dell’Istituto, illuminando la stanza e destando Jace.
Sobbalzò, vedendo che la ragazza era già sveglia e lo fissava con gli occhi socchiusi.
Erano color nocciola.
Si era addormentato guardandola e cercando di districare il mistero che l’avvolgeva, era rimasto lì tutta la notte ma non sapeva esattamente il perché.
Voleva solo esserci quando si sarebbe risvegliata e alla fine era successo il contrario. 
“Ti stavi divertendo? Se vuoi posso togliermi i vestiti, ti assicuro che avresti molto di più da guardare” esordì il biondo, con uno sguardo malizioso e un sorrisino impertinente dipinti sul volto.
“Chi sei?” chiese lei, impassibile, le mani strette in due pugni, le nocche bianche.
Jace represse l’impulso di scoppiare a ridere.
“Jace Herondale. Potrebbe essere così gentile da dirmi il suo nome, madame?”
Ivy inarcò un sopracciglio: era chiaramente irritata.
“Quella che ti prenderà a calci nel sedere se non le spiegherai subito cos’è successo!”
E a quel punto non riuscì a non sorridere.
Aveva un bel caratterino quella Mondana; i suoi capelli biondo rame ricadevano sulle sue spalle, un po’ mossi, probabilmente la piega della sera prima era scemata nel sonno.
Jace trasse un profondo sospiro e le spiegò la situazione, ma non sapeva decifrare le emozioni e i pensieri della ragazza durante il racconto e quello era strano, perché in genere era molto bravo ad interpretare le persone.
“Ora, posso sapere almeno come ti chiami?”
“Ivy... Ivy Bentley. Natalie...”
“È qui. Sta dormendo, sta bene”
Si passò una mano tra i capelli biondi, spostando di lato il ciuffo, un gesto per il quale molte fanciulle sarebbero svenute, - ed era successo.
Le aveva praticamente raccontato tutto sul Mondo delle Ombre e lei era rimasta impassibile per tutto il tempo, come se non ne fosse poi stata tanto sorpresa.
“Perché hai una runa parabatai tatuata sulla spalla?”
Ivy corrugò la fronte.
“È un tatuaggio che ho fatto con Nat. Simboleggia la nostra amicizia che non avrà mai fine, la nostra lealtà verso l’altra. Il fatto che saremmo disposte a sacrificare noi stesse per il bene dell’altra. È quello che il tatuatore ha detto e rendeva l’idea del nostro rapporto”
“È una delle nostre rune. È più complicato di così” disse Jace, mostrandole la sua.
“Chi ha la tua? L’altra metà della mela, intendo”
“Alec Lightwood”
“Sarebbe?”
“Attualmente è a capo dell’Istituto, da quando... non importa”
I suoi occhi dorati si rabbuiarono immediatamente al pensiero della morte della madre.
Aveva perso suo padre quando era appena nato; durante la Rivolta, infatti, Stephen Herondale era morto dopo essersi accorto troppo tardi che stava lottando per la parte sbagliata.
Era morto per salvare lui e Amatis, la sua mamma, lottando al fianco di Robert e Maryse Lightwood, i genitori di Isabelle e Alec.
Era cresciuto con loro, all’Istituto di Los Angeles; poi era arrivato Jonathan Morgenstern, che aveva cambiato il suo nome in Sebastian.
Il figlio di Valentine, il capo del Circolo.
Non  era stato molto contento di averlo lì, era pur sempre la prole di colui che aveva causato la morte di suo padre, infatti all’inizio non facevano altro che litigare e combattere tra di loro; poi durante lo scontro contro un demone Raum, lui gli aveva salvato la vita e le cose erano cambiate un po’.
Si era ricreduto sul suo conto, ma ci erano voluti anni.
La verità era che all’inizio lo odiava per il legame di parentela che avevano, perché non riusciva ad accettare il fatto che in qualche modo fosse legato a Valentine.
Jace notò che Ivy lo stava guardando con estrema curiosità, ma non avrebbe mai terminato quella frase e lei doveva averlo capito, perché sospirò.
“Devo tornare a casa. I miei genitori saranno preoccupati”
“Mi dispiace, ma non è possibile. Dobbiamo aspettare gli ordini del Conclave”.
La ragazza strabuzzò gli occhi.
“Stai scherzando, non è vero?”
Il biondo scosse il capo.
Da una parte era contento che avesse una ragione per trattenerla, c’erano cose che doveva sapere, che voleva sapere; dall’altra, odiava il modo in cui aveva monopolizzato i suoi pensieri.
Nessuna ragazza c’era riuscita prima; Jace Herondale aveva avuto molte storie, ma nessuna seria, tant’è che si era convinto di essere maledetto, di non potersi innamorare perché il suo cuore amava solo combattere contro i demoni.
Poi l’aveva vista e qualcosa si era rotto dentro di lui; pensò che ne fosse semplicemente intrigato.
Ivy sbuffò e si lasciò ricadere sul letto; probabilmente aveva capito che contraddirlo o sfidarlo non sarebbe servito a nulla.
“Sei sicura di essere una Mondana? Combattevi come una di noi”
Lo disse senza rifletterci sopra, infatti aveva assunto un’espressione sorpresa molto simile a quella della sua interlocutrice.
“Ti assicuro che non c’è nessun angelo nella mia famiglia”
Il suo tono era spento, come se ci fosse un doppio senso dietro quella frase; era la stesso cadenza che aveva usato lui quando aveva detto ad Alec che non poteva amare nessuno tranne sé stesso e quello che faceva, quella di qualcuno che pensava di essere maledetto.
E all’improvviso sentì il desidero di conoscere quella ragazza, non di portarsela a letto; sentì che dietro la sua bellezza, - perché era davvero bella -, c’era altro da scoprire.
“Qualche ex-Shadowhunter diventato un Nascosto?”
Ivy scosse la testa, poi si alzò di scatto dopo aver dato uno sguardo fuori dalla finestra.
“Io lo so dove siamo! È la chiesa! Quella che tutti vedono come un cumulo di macerie! Lo sapevo che non ero pazza!”
Jace impietrì.
“Ripeto, sei sicura...”
“Sì, sì, sì! Sono sicura, cazzo!” sbottò lei, sbuffando.
“Non ci posso credere. Tu sei...”
Cosa, sentiamo”
“Tu hai la Vista. Ogni tanto capita che qualche Mondano riesca a vedere il Mondo delle Ombre, ma è più unico che raro. Non succedeva da qualcosa tipo cinquecento anni”
Gli occhi dorati del giovane si erano all’improvviso illuminati, come quando uno cerca di risolvere un intricato problema di matematica e poi, per miracolo, ci riesce.
“Perfetto. Sono un fenomeno da baraccone, quindi”
“No. Sei... tu potresti Ascendere, Ivy. Potresti diventare una di noi”
E Jace si rese conto di volerlo. Di volere che lei diventasse una Cacciatrice, che per la prima volta desiderava qualcosa di diverso dallo sfidare la morte.
La ragazza lo fissò con gli occhi sgomenti e la bocca spalancata, ma, prima che potesse dar voce ad alcuna risposta, il suo telefono squillò.
Si sporse dal letto per prendere la sua borsetta e, dopo aver dato uno sguardo fugace all’oggetto, lo mise via con un grugnito infastidito.
“Spero che il tuo soggiorno qui non ti causi problemi con il tuo ragazzo” esclamò, un sorrisetto stampato sul volto.
Era un modo come un altro per sapere se fosse impegnata e, se effettivamente aveva un ragazzo, sarebbe stato contento se fossero sorti problemi.
“Non è il mio ragazzo. Io non ho ragazzi, io non mi innamoro e non la do via, quindi smettila di guardarmi come se volessi strapparmi i vestiti di dosso. Perché so che tipo di persona sei dall’esatto momento in cui ti sei svegliato”
Jace boccheggiò per un istante, poi scattò e le si parò davanti.
Era più bassa di lui di circa cinque centimetri, quindi, dovendo abbassare lo sguardo, non poté fare meno di analizzare le sue labbra carnose e rossicce.
“E sentiamo, che tipo di persona sono?”
Ivy strinse i denti e poi ringhiò.
“Un idiota”
“È così che definisci il ragazzo più bello e più sexy dell’universo?”
Il biondo era sicuro che stesse per controbattere e si stava divertendo un mondo, perché era bello vedere le ragazze cercare di rifiutare l’idea di sentirsi attratte da lui.
Quelle poche che ci provavano, quantomeno; era successo solo una volta e non era neanche durata perché quella aveva ceduto dopo che si era spostato il ciuffo col suo consueto modo sensuale: lui era perfettamente consapevole dell’effetto che faceva, delle sue armi e della sua bellezza e sapeva come sfruttarle.
Lo sapeva dannatamente bene.
Ma Alec piombò nella stanza e lo chiamò.
Jace lo raggiunse e si chiuse la porta alle spalle, sorridendo quando sentì chiaramente un insulto poco carino uscire in sussurro dalle labbra della fanciulla.
“Che stavi facendo? Anzi, non voglio saperlo. Sebastian mi ha chiesto di non avvertire il Conclave e io non l’ho fatto. Dice che Natalie lo ha supplicato e... insomma, abbiamo deciso di lasciarle andare. Non ha senso fare un gran trambusto per delle Mondane quando stanno succedendo... be’, lo sai...”
Lo sguardo fiero del ragazzo vacillò per un attimo, poi annuì e tornò in infermeria.
“Potete andarvene. Certo, ammesso che tu riesca effettivamente ad allontanarti da me”
Un’occhiataccia e una sberla, anche forte.
Ecco come lo salutò Ivy prima di lasciare l’Istituto.








Angolo dell'Autrice
Salve a tutti!
Avrei dovuto aggiornare due giorni fa,
ma ormai tra pc e chiavetta non sono più
io a decidere quando pubblicare i capitoli!
Chiedo scusa.
Non vi annoio non le mie chiacchiere, spero
che il capitolo vi sia piaciuto!
Una recensione mi renderebbe molto contenta :3
Alla prossima,

Bell:)

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


4

Sebastian









“Ehi” 
Natalie lo guardava con i suoi intensi occhi grigi, gonfi di sonno.
Grigi?
“Aspetta. Tu avevi gli occhi neri, ieri sera!” esclamò a bocca aperta.
Il pensiero che fosse una stregona, come Magnus, si fece lentamente strada nella sua mente, ma la ragazza smorzò immediatamente la sua ipotesi.
“Diventano neri quando mi arrabbio. O quando combatto. Anche il mio istruttore di Taekwondo ne era rimasto sorpreso, la prima volta”
“Oh”
“Che ore sono?” domandò lei, stiracchiandosi e scendendo dal letto con uno scatto che le procurò una fitta di dolore.
Probabilmente aveva dimenticato di essere ferita.
“Dovresti stare più attenta. Comunque, sono le dieci. Ho convinto Alec a non allertare il Conclave, mi sto fidando di te. Vi stiamo lasciando andare così, non farmene pentire”
Natalie sorrise e la stanza sembrò illuminarsi.
“Grazie!” esclamò, saltandogli addosso e stringendolo in un abbraccio che lo fece impietrire.
Poi lei si ricompose e arrossì violentemente; un sorrisetto comparve sul viso di Sebastian.
Non era affatto contento di doverla lasciare andare; per una volta era stato bello parlare con qualcuno che non lo conosceva come ‘il figlio di Valentine’, con qualcuno che non aveva dei pregiudizi nei suoi confronti.
Era da tanto che non pensava a Valentine.
Aveva sempre cercato di impegnare la mente con altro, una volta aveva addirittura chiesto a Magnus di fargli un incantesimo per farglielo dimenticare, perché il fatto di essere suo figlio lo faceva sentire come se ci fosse qualcosa di estremamente sbagliato in lui.
Ma poi aveva capito che non poteva fuggire dal cognome Morgenstern, perché tutti sapevano chi fosse, ne riconoscevano la somiglianza fisica.
Così aveva cambiato il suo nome in Sebastian a soli sei anni, perché non voleva avere nulla del padre, ma aveva mantenuto il cognome, per onorare almeno i suoi nonni... sua madre gli aveva detto che erano brave persone, morte anche loro combattendo contro il figlio.
Valentine Morgenstern aveva causato la morte di tanti Nephilim; i nonni materni, quelli paterni.
Il padre di Jace, i genitori di Isabelle ed Alec, verso i quali si sentiva debitore perché lo avevano accolto mettendo da parte i preconcetti.
Soprattutto Isabelle, erano diventati così amici da decidere di essere parabatai e non se lo sarebbe mai aspettato.
Era cominciato tutto in un pomeriggio piovoso, quattro anni prima, un mese dopo il suo arrivo a Los Angeles.

Sebastian se ne stava da solo su uno scoglio, ad osservare il mare.
Le lacrime premevano violentemente contro i suoi occhi, desiderose di essere rilasciate... ma lui non voleva piangere.
Aveva di nuovo litigato con Jace e quella volta era stato davvero cattivo  con lui; le sue parole rimbombavano ancora chiaramente nella sua testa: “Tu non sei uno di noi. Non lo sarai mai. Sarai sempre e solo il bastardo di Valentine”.
Lo odiava ed era sicuro che anche Alec ed Isabelle provassero lo stesso sentimento nei suoi confronti, infondo suo padre aveva ucciso i loro genitori. 
Sarebbe sempre stato solo lì, ma non poteva tornare da Clary, doveva proteggerla. L’amava troppo per farle altro male e per ferire sua madre insieme a lei.
Le lacrime erano scese prima ancora che se ne rendesse conto, al solo pensiero di sua sorella. 
Lei gli mancava terribilmente e sapeva che sarebbe andata sempre peggio; non sarebbe mai riuscito a lasciarsela alle spalle come se non fosse mai esistita.
Sebastian era infatti figlio di Jocelyn Fairchild, la moglie di Valentine che poi si era innamorata del parabatai di lui, Luke, lo zio di Jace.
I due avevano abbandonato il Circolo, per sfuggire all’ira di Valentine, portando il piccolo Morgenstern con sé.
Li avrebbe certamente uccisi e con loro anche la bambina che Jocelyn portava in grembo, Clarissa, sua sorella, la figlia di Luke, la cugina di Jace, la cugina che aveva visto solo una volta a Idris, quattro anni prima, durante la riunione del Conclave dove era stato stabilito che Luke avrebbe assunto la gestione dell’Istituto di New York.
E anche in quell’occasione, la prima volta che si erano visti, il giovane Herondale si era dimostrato scontroso nei suoi confronti.
Ma almeno aveva trattato bene lei, Clary; aveva gli stessi occhi del fratello, ma per il resto erano completamente diversi: lei era bassina e aveva i capelli rossicci tipici dei Fairchild.
 “Sei qui. Amatis ti sta cercando dappertutto” 
Una voce chiara, forte e affascinante, la voce della giovane Lightwood, lo riscosse dai suoi pensieri, ma non si voltò.
“Lei è troppo buona. Io non merito alcuna attenzione, sono il figlio di Valentine”.
Sentì Isabelle sospirare e sedersi accanto a lui.
“Mi è sempre piaciuto venire qui. Quando ero piccola ci passavo ore. Guardavo il mare e immaginavo che invece dell’acqua stessi guardando i miei genitori negli occhi, perché so che il colore di quelli di mio padre era uguale a quello di Alec. E il mare in profondità è così blu da ricordare il nero di quelli di mia madre” confessò dopo qualche minuto di silenzio, “In qualche modo mi rilassava e mi dava forza”
Cosa aveva in mente? Farlo sentire ancora di più uno schifo? Un mostro?
Poi lei posò delicatamente la mano sulla sua e il ragazzino si irrigidì. 
“Io non ti do alcuna colpa di quello che è successo ai miei genitori né lo fa Alec. E nemmeno Jace, anche se non lo dimostra. Lui vuole solo qualcuno da odiare perché gli è stato portato via il padre e tu sei la cosa più vicina a Valentine che conosca. È... complicato, Jace. È sempre stato così. Si fida di noi perché siamo cresciuti insieme, siamo come fratelli... ma per il resto, lui non si fida di nessuno. Magari, col tempo anche lui riuscirà a darti una possibilità, come abbiamo fatto noi”
Sebastian allora si girò verso di lei e la trafisse con lo sguardo.
“Forse non me la merito, questa possibilità. Forse sono davvero cattivo, forse il sangue dei Morgenstern è davvero maledetto. Tu non sai cosa ho fatto”
Vide il colorito di Isabelle scemare leggermente, ma lei fece quello che meglio le riusciva: lo sfidò.
“Allora dimmelo e permetti a me di stabilirlo”
“Ho lasciato l’Istituto di New York, la mia famiglia... perché ho ferito mia sorella. Per colpa mia, il suo migliore amico Simon è stato trasformato in un vampiro. Stavano cercando me e lo hanno portato al Dumort, stavano cercando me perché Valentine aveva ucciso molti dei loro, perché lui odiava i Nascosti. Stavano cercando me per vendicarsi e hanno usato lei e Simon per trovarmi. È stata colpa mia”
Si aspettava un’occhiata d’odio, di disgusto... invece la mora sorrise.
“Non è stata colpa tua. È sempre e solo colpa di Valentine. Dovranno passare generazioni prima che la colpa di qualcosa sia attribuita a qualcun altro. Ma tu non sei lui. Prima o poi, la gente lo capirà”

“Beh, allora addio, Natalie Sumner” disse, chiudendo la porta dell’Istituto e rabbuiandosi quasi subito dopo.
“Quella Mondana ti piaceva, non è vero?”
Isabelle.
“Non mi guardava né con pietà, né con odio, né con disgusto” mormorò Sebastian, dirigendosi verso la cucina.
Si era ricordato solo in quel momento di avere fame.
“Neanche noi lo facciamo. Siamo una famiglia, Seb” 
La ragazza gli posò la mano sulla spalla e lui sorrise.
Le cose erano cambiate negli ultimi due anni; lui aveva salvato la vita a Jace, una volta, e col passare dei mesi il rancore si era affievolito fino a sparire, così due erano perfino riusciti a diventare amici.
E Isabelle era la sua parabatai. 
Scegliere un parabatai dell’altro sesso è una cosa rischiosa, perché non ci si può innamorare dell’altro, è contro le leggi del Conclave, ma loro erano sicuri che si sarebbero visti sempre e solo come migliori amici.
Erano troppo simili perché potessero attrarsi.
E,infatti, quando Magnus e Simon si erano trasferiti a Los Angeles, lei aveva cominciato a frequentare il vampiro.
E stavano ancora insieme; Sebastian era felice per loro, anche se si sentiva in colpa per il fatto che lui se ne fosse dovuto andare da New York per superare il dolore nato dal rifiuto di sua madre verso la sua nuova natura.
Era stato in quell’occasione che aveva rivisto Clary per l’ultima volta e lei lo aveva supplicato di tornare all’Istituto, gli aveva detto di aver bisogno di lui, che gli mancava... ma ormai la sua vita era a Los Angeles, la sua parabatai... mentre lei non voleva lasciare Jocelyn e Luke da soli, con una bambina di un anno che qualche volta avrebbe certamente necessitato di una babysitter. 
Charlotte, così l’avevano chiamata. Un’altra sorella e lui l’aveva vista solo una volta in vita sua, quando era nata. 
Aveva gli occhi azzurri di Luke, il naso e le labbra di Jocelyn, lo aveva scoperto dalla foto che Clary gli aveva lasciato. 
Le ritraeva entrambe e lui l’aveva incorniciata e posizionata sul suo comodino. 
Ricordava di aver desiderato per la piccola una vita da Mondana, lontana dai pericoli del Mondo delle Ombre... ma ci avevano provato già con Clarissa, il richiamo del sangue di Raziel è troppo forte per ignorarlo, per questo erano usciti allo scoperto e tornati dal Conclave.
“Vero, Izzy”

La spiaggia era affollata, essendo ormai vacanza per molti studenti, ma la runa dell’invisibilità lo proteggeva da occhi indiscreti.
Se ne stava tranquillo, dietro gli alberi della pineta, una runa della vista disegnata sulla mano e una dell’udito sull’altra.
Stava osservando una ragazza dai lunghi capelli neri giocare a pallavolo con un’altra dalla chioma biondo rame raccolta in una coda di cavallo, Ivy... ma lui aveva occhi solo per Natalie e una morsa di gelosia gli attanagliava lo stomaco ogni volta che qualche ragazzo le rivolgeva la parola.
Improvvisamente, si ritrovò una lama angelica contro il collo.
“Per l’Angelo!” esclamò, voltandosi di scatto e trovandosi davanti...
“Jace?!” 
Il biondo ripose l’arma e arrossì, cominciando a grattarsi i riccioli d’oro, lo sguardo accuratamente lontano dal suo.
Anche Sebastian era diventato tutto rosso, lo sentiva.
“Le stai seguendo” dissero all’unisono, puntandosi il dito uno contro l’altro.
“Non è vero!” ripeterono, sempre in coro.
“Aaaah, lasciamo stare!” borbottò il biondo, lasciandosi ricadere sull’erbetta fresca.
“Cos’è, Herondale? Qualcuno è finalmente riuscito a scalfire il tuo cuore di pietra?” lo schernì Sebastian, unico intento: sdrammatizzare, cambiare discorso, qualunque cosa non implicasse l’argomento ‘sentimenti verso due sconosciute’,  cosa che li faceva entrambi sentire ridicoli, sicuramente.
Sapeva perfettamente che quella di Jace era solo una facciata, che non era davvero lo stronzo che mostrava di essere: lui si preoccupava sempre per gli altri, quando erano in battaglia e non; stava male se uno di loro stava male, li proteggeva... solo che pensava di avere il peso del mondo sulle spalle e di doverlo portare da solo e che per quello dovesse mostrarsi indistruttibile e forte.
“Sta zitto, mister ‘non avvertire il Conclave’. Sarebbero ancora all’Istituto se non avessi avuto la brillante idea di convincere Alec a non dire nulla”
Lo accusò Jace; non lo aveva mai visto così... insicuro; non sapeva come comportarsi e lui lo capiva, perché anche lui non riusciva a trovare un modo di relazionarsi con una Mondana, o non si sarebbe limitato a spiarla da dietro una siepe.
Alcune vampire, alcune licantrope, persino alcune fate... ma nessuna di veramente importante; perché loro potevano sorvolare sul fatto che fosse figlio di Valentine solo per una notte, solo per portarsi a letto quel figo da paura... o perché le storie tra Nascosti e Nephilim non finivano mai bene e quindi troncavano subito per precauzione, o semplicemente le altre avevano paura di lui.
“Le avrebbero cancellato i ricordi, lo avrebbero fatto a entrambe. Lo sai. Non si sarebbero neanche ricordate che esistiamo”
“E tu volevi che Natalie si ricordasse di te. Perché è a Natalie che sei interessato, giusto?” domandò Jace con una nota di minaccia nella voce che fece quasi sorridere l’altro.
“Sì. A lei non importa di chi sono figlio. E se lo sapesse non le importerebbe. Mi ha detto ‘i figli non dovrebbero pagare per i peccati dei propri genitori’” 
Il biondo si schiarì la voce, probabilmente perché un tempo lui era stato tra coloro che quel conto saldato lo avevano preteso. 
“Forse sarà sempre così per noi, tra i Nephilim. Sai, potremmo anche essere gli Shadowhunters più bravi della nostra generazione. Ma saremo sempre i figli di qualcuno che era nel Circolo, anche se alla fine hanno voltato le spalle a Valentine. Come mio padre, come i Lightwood. Credi che la gente a Idris guardasse male solo te? Perché io ricordo le occhiatacce rivolte a me, a mia madre, a Izzy e Alec... a Clary, Jocelyn e Luke. Praticamente a tutte le persone che amo. E Ivy...”
“Lei è stata la prima esterna alla nostra cerchia a guardarti male solo perché sei un idiota” concluse Sebastian, anche lui provava lo stesso.
Jace gli diede uno scalpello. 
“Stava solo cercando di non svenirmi addosso, come la prima volta.”
“Si certo” lo prese in giro lui, “sono più che sicuro che è svenuta perché ti ha visto e non perché ha affrontato un demone senza neanche sapere che diavolo fosse”










Angolo Dell'Autrice
Eccomi di nuovo qui!
Chiedo scusa per il ritardo, ma ho 
attraversato un periodo difficilissimo
e non ho avuto tempo/volontà per aggiornare.
Spero tanto che il nuovo capitolo vi piaccia
(una recensione mi renderebbe molto felice ;))
Alla prossima,
Bell!


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Capitolo 5
*** 5. ***


5

Ivy









Ovunque andasse, in qualunque direzione guardasse, Ivy vedeva Angeli, Demoni, e Nascosti.
Aveva chiesto a Jace se per lui il mondo fosse diviso in quattro categorie, le precedenti più i Mondani, ma le sembrava che ora quello fosse il suo modo di percepire la realtà.
Da una parte era stata contenta che il Conclave non l’avesse privata dei suoi ricordi, ma dall’altra, rivoleva la sua fottuta, vecchia, tranquilla, vita.
Okay, forse quello non era vero.
Ivy aveva sempre desiderato di essere catapultata in uno dei soprannaturali mondi dei libri che leggeva e ora ci era dentro, solo che non sapeva come sarebbe andata a finire.
“Potresti Ascendere, lo sai?”
Scosse la testa.
No, no, no. Stupida, stupida, stupida. Togliti dalla testa quell’idiota biondo e incredibilmente sexy. No. No, non è sexy, è solo un idiota.
“Sveglia, baby. Andiamo al Pandemonium!” 
Natalie sventolava i pass davanti ai suoi occhi da circa mezz’ora.
“Al Pandemonium. Mi spieghi come cavolo hai fatto a trovare i pass del locale più esclusivo della città?” indagò lei, socchiudendo gli occhi.
“Lucas. Ha fatto tutto lui. A quanto pare i genitori sono i nuovi soci, o roba del genere” spiegò, facendo spallucce e fiondandosi nel suo armadio per scegliere il vestito che l’amica avrebbe dovuto indossare.
“Tieni. Questo e i tacchi alti. Quelli neri. Ora vado a sistemarmi, ci vediamo alle undici”
Ivy aveva ragione: Natalie le aveva scelto il vestito più corto e aderente che aveva trovato nell’armadio.
Era nero, senza spalline e aveva tre piccole strisce di brillantini grigi proprio all’altezza del seno destro. 
“Come non attirare l’attenzione” borbottò, chiudendosi in bagno.

Quando Ivy terminò di sistemarsi, erano appena scoccate le undici.
Aveva i capelli mossi e lasciati sciolti, il trucco le ingrandiva gli occhi e le labbra carnose sembravano impregnate di sangue a causa del rossetto rosso fuoco che si era messa.
Sapeva di avere i bulbi oculari famelici di Lucas addosso, ma non le importava.
A dirla tutta, non capiva nemmeno perché si fosse messa in tiro così tanto; si era sempre trovata bella anche senza un filo di matita o con addosso un paio di jeans e una t-shirt. 
“La semplicità è la cosa più bella” diceva sempre sua nonna.
Eppure quella sera aveva esagerato.
Lucas fischiò non appena la ragazza salì in auto e lei alzò gli occhi al cielo.
Forse doveva accontentarlo, forse doveva andarci a letto, magari avrebbe smesso di torturarla.
Osservò Natalie e vide che si era vestita più o meno allo stesso modo, solo che il suo abito era, - per quanto impossibile sembrasse -, ancora più corto del proprio.
Il suo ex ragazzo le era accanto, tentando invano di stringerle la mano, perché trovava sempre qualcosa da fare per impedire alcun tipo di contatto tra loro.
Ivy dovette reprimere la voglia di scoppiare a ridere.
Il Pandemonium era un locale che andava di moda tra gli adolescenti perché era inquietante, - come d’altronde anche la gente che lo frequentava -, ma anche per via della sua nomina: i giovani andavano lì per ‘sfondarsi’, ubriacarsi e fumare erba; ma il motivo principale per cui, - soprattutto ai ragazzi -, piaceva, era il fatto che si rimorchiava da dio. 
E la musica era travolgente. 
Lucas le prese la mano e la portò in pista; passava il palmo sulla schiena di lei e ogni tanto si avvicinava al suo orecchio per mormorare stupide battutine alle quale Ivy si sforzava di ridere.
Forse, se ci fosse stata con lui, avrebbe potuto smettere di vedere tutto color oro. 
Natalie riuscì a stento ad insinuarsi tra di loro, tant’era la calca in pista.
“Sono arrivati anche Jessica, Dave ed Elizabeth” le mormorò all’orecchio, così che lei poté finalmente sperare di prendere una boccata d’aria, da sola, in santa pace.
“Io esco a fumare una sigaretta” li avvertì e vide già Lucas pronto ad accompagnarla, ma quando Beth lo bloccò, non ci pensò due volte a cominciare a ‘ballare’ con lei.
E per ballare si intende strusciarsi l’uno contro l’altra e palparsi di continuo pensando di non avere gli occhi di nessuno addosso; Ivy pensò che quello sarebbe diventato il nuovo tipo di porno, prima o poi.
Scosse la testa e si fece strada tra la mole di ragazzi, spintonando quelli che cercavano di fermarla e tirando gomitate a quelli che provavano anche solo a sfiorarla.
Fu un piacere per gli occhi vedere il consueto buio illuminato da classiche luci gialle, perché cominciava a non sopportare più il blu acceso del Pandemonium.
La musica si sentiva appena lì fuori; si allontanò un po’ dal locale e accese la sua sigaretta,cominciando a fumarla con estrema lentezza.
Pensò che se Lucas avesse smesso di provarci con lei alla minima occasione, magari si sarebbe anche divertita a quelle feste o in discoteca. 
Stava per rientrare quando arrivò un’ondata di gelo del tutto innaturale che la colpì quasi come fosse una frusta.
Ivy si guardò attorno, strofinandosi le mani sulle braccia nude, poi si sentì afferrare per la caviglia da qualcosa di viscido.
A occhio e croce, avrebbe detto che fosse un serpente, ma in città non ce ne sono mai; e a quel punto, collegava il viscido al termine ‘demone’. 
Cadde per terra e il mostro cominciò a trascinarla in strada, l’asfalto che le graffiava la pelle.
La ragazza non urlò, non ci pensava nemmeno, ma aveva preso precauzioni, non si farebbe mai più fatta trovare impreparata.
Tirò fuori il coltellino da taschino che aveva nella borsetta e fece scattare la lama, per poi infilzarla sulla zampa, - era una zampa quella? -, del demone, che la lasciò immediatamente.
Sentiva chiaramente la sua puzza a pochi metri da lei.
Si rimise in piedi, l’arma ancora tra le mani, mentre la creatura ritornava all’attacco e provava a morderla con i suoi denti aguzzi.
Ma Ivy era agile e riusciva a schivare ogni suo attacco; non aveva la benché minima paura, finchè non colpì il mostro nel punto in cui suppose esserci il cuore, - ammesso che i demoni ne avessero uno -, e lui non scomparve, anzi ringhiò e le si scagliò contro.
Una figura si frappose immediatamente tra di loro.
Alta, bionda, fisico da paura, ma non pompato... Jace.
Di nuovo. La stava forse seguendo?
“Va’ via!” le ordinò, cominciando a tenere testa a quell’essere ripugnante.
“E lasciare a te tutto il divertimento? Non ci penso proprio!” esclamò lei, afferrando al volo la spada che il ragazzo le aveva lanciato a quel punto.
“Prima l’ho infilzato, non è scomparso” urlò Ivy, cominciando a lottare contro un altro demone che era appena apparso accanto al suo aggressore iniziale.
“Li uccidono solo le lame angeliche!” rispose Jace, infilzando il mostro, che si dissolse in un liquido nero non meno disgustoso del primo che aveva visto morire.
La fanciulla pensò agli allenamenti di scherma che aveva fatto quando era piccola e riuscì, al secondo tentativo, ad affondare l’arma nella pelle del mostro, squarciandolo in due.
“Niente male” mormorò il biondo, la stessa espressione sorpresa che aveva assunto la prima volta che l’aveva vista stampata sul volto.
“Già, questi cosi mi stanno un tantino sulle scatole” mugugnò lei, restituendogli la lama.
“È così che tratti tutti quelli che ti stanno antipatici?”
“Solo quelli che davvero non sopporto” precisò la ragazza e, dopo un istante di silenzio, scoppiarono entrambi a ridere.
Proprio in quel momento, Natalie svoltò l’angolo e le corse incontro.
Lucas era dietro di lei,
“Ivy! Ivy! Mi sono spaventata! Oh...” 
Si azzittì quando riconobbe Jace, ma non disse nulla sulla sua presenza, sapeva che Lucas non poteva vederlo.
“Che fai, parli da sola? Ehi, ma quello è sangue?” chiese sconvolto il biondo, precipitandosi a toccarla.
Ivy si scostò poco gentilmente prima ancora che lui riuscisse a sfiorarla.
“Sto bene”
Si guardò intorno, ma lo Shadowhunter era scomparso.
“Sono solo caduta” aggiunse dopo, rendendosi conto di sentire ancora lo sguardo magnetico di Jace addosso... e infatti comparve dopo qualche secondo, fingendo di essere appena uscito dal Pandemonium.
“Ivy! Natalie! Che sorpresa trovarvi qui!” disse, simulando sorpresa.
Lucas aggrottò la fronte.
“E tu chi sei?” 
“Qualcuno che non ti conviene provocare” asserì lui, il solito sorrisetto impertinente dispiegato sul volto angelico.
“Volete un passaggio?” domandò poi, tornando a rivolgersi alle due giovani, che capirono immediatamente di dover acconsentire e seguirlo all’Istituto, esattamente come la prima volta.
“Certo!” 
Natalie fu la più veloce a rispondere, poi si scusò con Lucas e si posizionò accanto all’amica.
“Ragazze, siete impazzite? Volete andarvene con questo... sconosciuto?”
“Non è uno sconosciuto, siamo... amici di famiglia” buttò lì istintivamente Ivy, rendendosi conto di quanto stupida fosse stata quella risposta.
“Ragazze, ci conosciamo dalle elementari e io questo tipo non l’ho mai visto!”
Ogni termine che usava per riferirsi a Jace era quasi carico d’odio, evidentemente si era accorto di come guardava la ragazza dei suoi sogni e non lo apprezzava affatto.
“Certo che non lo hai mai visto! Lui è... del Galles, è un lontano cugino di Natalie, qualcosa del genere” 
Ivy era un’ottima bugiarda.
Ma fu proprio quella precisazione sul fatto che fosse cugino di Natalie a non piacere al giocatore di basket; avrebbe preferito di certo sentire che era un suo lontano parente, così, per avere in territorio marcato.
“Sul serio, amico, sta’ pur certo che sono più al sicuro con me che con te” gli assicurò Jace mentre si avviavano per la strada del ritorno, ammiccando spavaldo.
Probabilmente era solo un modo per far incazzare Lucas facendogli intendere chiaramente il suo interesse per lei e infatti Ivy era già pronta a inventarsi una storia da raccontare quando lui le avrebbe chiesto spiegazioni, ammesso che ne avesse mai avuto l’occasione, certo.
“Come facevi a saperlo?” chiese lo Shadowhunters quando erano quasi arrivati all’Istituto.
“Sapere cosa?”
“Che la mia famiglia ha origini gallesi” 
“Oh, ehm. Veramente, non lo sapevo. È stata la prima cosa che mi è venuta in mente” spiegò Ivy, ormai completamente confusa.
Jace scrollò le spalle e aprì la porta.







Angolo Dell'Autrice
Eccomi qui, scusate il ritardo.
Spero tanto che questo capitolo vi
piaccia, se vi va fatemi sapere cosa ne
pensate, le recensioni fanno sempre
piacere.
Ringrazio tutti colo che seguono la mia storia,
che la leggono e la recensiscono, in particolare
Life Before His Eyes, che mi sostiene tanto e da tanto
tempo ormai. Grazie :D
Alla prossima,
Bell


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Capitolo 6
*** 6 ***


6

Alec







“Credi sul serio che sia il caso, qui all’Istituto?”
Magnus Bane lo guardava con gli occhi da gatto accesi dal desiderio.
Alec ricordava bene il giorno in cui lo aveva conosciuto.
Era stato ferito da un Demone Superiore e quando all’Istituto era corsa la voce del trasferimento del Sommo Stregone di Brooklyn, lo avevano chiamato immediatamente e lui non si era fatto desiderare.
A quanto pare, conosceva bene Amatis; forse conosceva bene tutti gli Herondale e si era sempre chiesto se non avesse dei trascorsi con altri Lightwood, perché all’inizio non mancavano mai riferimenti ai suoi antenati.
Non sapeva effettivamente molto del passato di Magnus, ma aveva imparato a non fare domande, anche se gli costava molto; un giorno, quando sarebbe stato pronto, lui gli avrebbe rivelato tutto, ne era certo.
E non ci sarebbe stato bisogno di chiedere nulla.
Magnus aveva salvato Alec in tutti i modi immaginabili: innanzitutto, respirava ancora grazie a lui; poi, aveva trovato il coraggio di dichiarare la sua omosessualità, grazie a lui e, soprattutto, aveva imparato cosa volesse dire amare, ad avere fiducia nel prossimo, ancora grazie a lui. 
“Per me è sempre il caso, Alexander” rispose divertito lo stregone, sfilandogli la maglietta con una lentezza che ferì lo Shadowhunter come se fosse stato uno strumento di tortura cinese.
Lo baciò; lo baciò intensamente, uno di quei tocchi, - o meglio scontri -, di labbra destinati a prendere fuoco... se i tuoi amici non avevano un tempismo perfetto e l’abitudine a rovinare ogni momento eccitante o comunque bello della tua vita, ovviamente. 
La voce di Jace aveva infatti riempito la sala d’ingresso, il che vuol dire che, giustamente, il rimbombo del suono era arrivato fino al suo ufficio.
Alec sospirò rassegnato.
“ Non chiamarmi Alexander” ripetè stancamente per l’ennesima volta, “torno subito”

“Di nuovo voi?” domandò, corrugando la fronte.
“Scusa il disturbo” borbottò quella che ricordava chiamarsi Natalie.
“Ma Jace ha insistito per portarci di nuovo qui, credimi, non ci tenevamo nemmeno noi” 
Il suo parabatai sorrise.
“Oh, non è arrabbiato, è solo infastidito. Quella faccia la conosco, mi sa tanto che abbiamo interrotto un incontro a luci rosse. Magnus è qui, vero?”
“Taci, Jace” gli intimò Alec, ma effettivamente non lo prese a pugni quando scoppiò a ridere.
Non lo avrebbe fatto mai e non perché probabilmente non avrebbe avuto la meglio su di lui, ma perché non avrebbe mai picchiato il suo parabatai... anche se qualche volta se lo meritava e in quei casi si limitava a costringerlo a guarire da qualche ferita come gli umani.
“Cos’è successo, stavolta?”
Aveva il sospetto che il suo amico le avesse riportate all’Istituto senza alcun motivo, perché era chiaramente interessato ad Ivy, ma poi il suo sguardo si fece serio e capì che si sbagliava.
“Sono state attaccate di nuovo. Al Pandemonium”
Gli occhi blu di Alec guizzarono sulle due giovani.
Cos’avevano di così speciale da suscitare l’interesse dei demoni?
“Non dovreste frequentare quei locali. È una specie di ritrovo per punk, emo, Nascosti e molto spesso anche demoni” disse, lo sguardo ora fisso in quello di Jace.
Era come se riuscissero a parlare senza usare le parole; era così solo con lui.
Uno dei tanti motivi per cui erano poi diventati parabatai.
Sebastian ed Isabelle rientrarono proprio in quel momento, interrompendo la loro ‘conversazione muta’.
Le loro risate si smorzarono non appena videro le due ragazze.
“Natalie...” mormorò sorpreso lui, un’espressone che chiedeva chiaramente spiegazioni a Jace, il quale si limitò a scuotere la testa.
“Io sono Isabelle. L’altra volta non abbiamo avuto occasione di presentarci, sono la sorella di Alec” esclamò lei, stringendo loro le mani.
Le due risposero con un flebile ‘piacere’. 
Alec dovette trattenersi dal ridere; era abituato a vedere ragazze intimidite dalla sorella, lei era stupenda.
Aveva, ovviamente, un corpo perfetto e una personalità particolare; era forte e sicura di sé e bellissima; spesso e volentieri scontrosa, ma dopo una vita passata a spezzare cuori finalmente aveva trovato qualcuno in grado di meritare il suo. 
Brutto a dirsi, ma avevano tutti scommesso sul cuore spezzato di Simon.
Alec, tuttavia, non gli aveva ancora spezzato nulla solo per due motivi: primo, avrebbe infranto le leggi del Conclave, secondo, Izzy avrebbe ucciso lui.
Era bravo, per carità, la trattava come se fosse fatta del materiale più prezioso al mondo, ma scoprire tua sorella a fare giochetti erotici con il fidanzato non è una cosa che tutti i ragazzi sognano, insomma; specialmente nella propria camera da letto.
E così, ad Alec veniva un tic nervoso ogni volta che sentiva le parole ‘Lord’ e ‘Montgomery’, o peggio ancora tutte e due assieme; il che era un problema, visto che la famiglia che abitava dietro l’angolo dell’Istituto si chiamava proprio così.
“Jace, dobbiamo parlare” disse Alec e invitò il compagno a seguirlo.

Si intrufolarono nell’infermeria, perché era la stanza più vicina, ma anche perché era sicuro che Magnus stesse architettando qualcosa di strano nel suo ufficio e non aveva la minima intenzione di diventare la musa ispiratrice delle battute di Jace Herondale.
“Perché i demoni sono così interessati a loro? E perché proprio ora?” 
“È quello che voglio scoprire anche io” 
Il biondo aveva le mani strette in un pugno, così forte che le nocche gli erano diventate ceree. 
Alec gli posò una mano sulla spalla e parlò in maniera apprensiva.
“Ascolta, Jace. So che Ivy ti piace, che vuoi proteggerla... e ti assicuro che non le accadrà nulla di male, non solo perché sarai tu a prenderti cura di lei, - e io lo so, Jace, lo so che lo farai e non c’è nessuno più capace di te nel farlo -, ma anche perché ci saremo noi con te” 
“Grazie, Alec”
Non c’era più traccia della gelosia che aveva per anni accompagnato la vita del giovane Lightwood; o meglio c’era, ma non più per Jace, era per Magnus.
Aveva avuto una cotta per il suo parabatai per così tanto tempo ed era stata una cosa così stupida non solo perché era legalmente impossibile, ma anche perché non aveva mai conosciuto nessuno più etero di lui.
“Devono restare all’Istituto. Per qualsiasi motivo i demoni le vogliono, non possiamo permettere che le catturino. Indipendentemente da quello che tu e Sebastian sentite per loro”

Alec e Jace avevano discusso per circa mezz’ora sul modo in cui avrebbero potuto coprire le due ragazze con i genitori, poi, quando finalmente il piano era diventato privo di punti deboli, si erano ritirati nel soggiorno, dove Isabelle e Sebastian stavano mostrando a Ivy e Natalie degli album.
Jace sorrise sornione quando notò che, non appena aveva messo piede nella stanza, la giovane aveva alzato lo sguardo verso di lui e poi lo aveva distolto arrossendo.
Stavano guardando le foto del Circolo; Amatis doveva averle conservate.
Alec percepì il suo parabatai irrigidirsi al suo fianco e lo seguì con lo sguardo mentre si avvicinava al gruppetto.
“Fermo” disse a un tratto Natalie, bloccando la mano di Sebastian che sussultò leggermente al contatto.
Tutti i presenti si guardarono sconcertati.
“Ehi, io quello conosco!” esclamò subito Ivy, rendendo la situazione ancora più inquietante.
“Ivy non... non è possibile” mormorò con un film di voce Isabelle.
“Ve lo giuro!” insistette a quel punto Nat, scambiando uno sguardo d’intesa con l’amica; lo ricordavano perfettamente, come fosse ieri.
“Quello è... quello è Valentine” annunciò loro Jace, guardando con la coda dell’occhio Sebastian che era come pietrificato, pallido come un cencio.
“Quello è Valentine?” ripetè Natalie, spalancando la bocca.
“È morto” enunciò gelidamente Sebastian.
Stringeva i bordi del tavolo con tanta forza che Alec pensò si sarebbe sbriciolato da un momento all’altro.
La tensione nella sala era estenuante, soffocante. 
“Te lo giuro, Jace! Te lo giuro, era il nostro istruttore di scherma! Jace credimi, ti supplico!”
Ivy scuoteva il ragazzo con forza, le lacrime che minacciavano di venir fuori da un momento all’altro. 
Sebastian si allontanò dalla stanza senza dire una parola e Natalie, avendo letto il cognome di Valentine, aveva probabilmente capito che quello fosse suo padre e gli corse dietro.
Così, per istinto, immaginò Alec; lui le era stato vicino quando lei era stata catapultata nel loro mondo, sicuramente ora lei voleva esserci per lui, ora che il suo mondo stava per crollargli addosso.
Jace, intanto, continuava a fissare Ivy con occhi sgomenti.
“D’accordo allora” concesse lei, “Vieni con me”.
Lo prese per mano e lo trascinò fuori dall’Istituto.
Alec vide chiaramente delle lacrime silenziose solcare il suo viso.
Ivy sta male quando qualcuno a cui tiene non le crede.
E anche se probabilmente rifiutava di ammetterlo a sé stessa, provava qualcosa per Jace Herondale.
Alec lo sentiva, lo vedeva.

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Capitolo 7
*** 7. ***


7

Jace










Ivy stava piangendo, se n’era accorto solo in quel momento, mentre lo trascinava via con forza.
Jace si sentiva un fantoccio; immobile, pietrificato.
L’uomo che ha ucciso mio padre è ancora vivo, pensava continuamente.
Per tutta la sua vita, aveva creduto che la morte di Valentine fosse una sorta di giustizia divina, ma a quanto pare giustizia aveva perso significato perfino tra gli angeli.
Un singhiozzo della ragazza lo riportò alla realtà.
Non aveva nemmeno provato ad avvicinarla e già l’aveva ferita?
Forse era davvero maledetto, forse doveva lasciarla andare, rinunciare all’unica persona che gli aveva letteralmente fatto sentire le farfalle nello stomaco... non poteva rovinarla.
“Ivy, Ivy fermati un attimo”
“No, no. Ti dimostrerò che ho ragione” insistette lei, la voce rotta dal pianto.
Era notte fonda, quasi tutti i lampioni erano spenti.
Jace l’afferrò per le spalle e la immobilizzò, spingendola contro il muro di una stradina ben nascosta, stando attento a non farle male.
Si aspettava che provasse a prenderlo a pugni, se lo meritava, ma lei non fece niente.
Teneva la testa bassa, i capelli le ricadevano sul volto probabilmente per coprire il suo sguardo spento, il volto bagnato.
“Ivy. Ti credo” mormorò il biondo, asciugandole le lacrime con le dita.
A pensarci bene, il fatto che conoscessero Valentine spiegava i continui attacchi dei demoni; il punto era: perché le voleva?
“Davvero?”
Il ragazzo annuì.
“Vieni lo stesso. Devo prendere delle cose da casa. L’ho capito sai? Non ci lascerete andare questa volta”

La stradina che conduceva a casa di Ivy era deserta alle quattro di notte.
Lo stordimento non aveva ancora abbandonato Jace, ma cercava di essere lucido e vigile nel caso in cui qualche demone li avesse attaccati, ma l’unico intoppo fu Lucas.
“Ivy! Credevo ti avessero accompagnata a casa!” esclamò, stringendola a sé.
“Sì, ehm. Lucas scusa ma non...”
“Ti ha fatto qualcosa? Dov’è quell’idiota? E Natalie? Neanche lei è a casa” la interruppe e lo Shadowhunter pensò che forse valesse la pena prenderlo a pugni.
Primo, perché l’aveva abbracciata e la cosa non gli aveva fatto piacere; secondo, perché aveva insinuato che le avesse fatto del male e terzo, perché nessuno dà dell’idiota a Jace Herondale.
“Posso prenderlo a calci?” mormorò nell’orecchio di Ivy; sapeva che Lucas non potesse né sentirlo, né vederlo e notò che la ragazza si trattenne a stento dal ridere.
“No, Lucas. Ma devo andare, non posso spiegarti e no ho tempo da perdere” disse solo, ma quello l’afferrò più forte per le spalle.
“Non vai da nessuna parte se prima non...”
“E lasciami” sbottò, strattonandolo e correndo via.
“Sul serio, dovevi lasciarmi fare” ripetè Jace, ma lei scosse la testa e inserì la chiave nel cancello di una grande villa.
“Ho resistito quattro anni senza prenderlo a pugni, figurati se lo lascio fare a te” 
Non c’era nessuno nell’abitazione.
“I tuoi genitori?”
“Sono in Inghilterra. Insieme a quelli di Nat. Sono in società e hanno una filiale là... non torneranno prima di domenica prossima” spiegò lei, accendendo le luci e raggiungendo una stanza particolare.
Il muro era pieno di fotografie che ritraevano Ivy e Natalie sorridenti a Roma, a Parigi e a Londra, foto che ripercorrevano l’infanzia e l’adolescenza della fanciulla.
Fu una, in particolare, che fece attanagliare il cuore a Jace.
Raffigurava Ivy tra le braccia di Lucas.
“Tra te e quel tipo, c’è qualcosa?”
“Che? Lucas? No. Ma un tempo eravamo molto uniti. Prima che si bevesse il cervello, dico” chiarì Ivy, intenta a trafficare in un cassetto della scrivania.
Allo Shadowhunter non piacque quell’informazione, ma si diede dello stupido per aver pensato che una ragazza così bella non avesse mai avuto qualche storia.
“Eccolo! Tieni, guarda!” 
Gli porse una specie di diario, scritto con una calligrafia infantile; c’erano delle foto, una con lei, Nat e Valentine che fece gelare il sangue a Jace.
Quella era una prova.
“Abitavamo a Washington in quel periodo. Lui aveva conosciuto i nostri genitori e si era offerto di insegnarci la scherma. Noi avevamo accettato, pensavamo che saperci difendere fosse una buona cosa. Valentine era un ottimo maestro, anche se molto severo. Si faceva chiamare John, ma anche se ci avesse dato i suoi veri dati, noi non avremmo potuto sapere...”
“Chi è questo bambino?” la interruppe lui.
Stava guardando una foto di Ivy e di un ragazzino dai capelli neri e gli occhi azzurri.
“Io... un vecchio amico” liquidò la faccenda, ma Jace riuscì a vedere che non solo era arrossita leggermente e aveva spostato lo sguardo altrove, gli occhi le erano di nuovo diventati lucidi e aveva preso a massaggiarsi i polsi con aria cupa.
“ ‘Amare è distruggere ed essere amati è essere distrutti’ ” lesse con voce sommessa e la ragazza sussultò.
“Lo diceva sempre. Valentine. Non capivo perché, finchè...”
“Finchè?”
Sospirò rassegnata e si stropicciò gli occhi.
“Quello è Jason Fleming. Lui... è stato il mio primo amore, se possiamo metterla in questi termini. Avevo solo dodici anni... è morto quando la sua casa ha preso fuoco, assieme ai suoi genitori. Non ho più guardato un ragazzo da allora... non in quel modo” 
Jace era pietrificato, di nuovo; scrutava Ivy senza riuscire a dirle nulla di concreto. 
“Mi dispiace. Non...”
“L’ho superato” tagliò corto lei, aprendo l’armadio e cominciando a prepararsi lo zaino con alcuni abiti.
Notò che non si vestiva molto diversamente dai Nephilim; preferiva i colori scuri, in particolar modo il nero... 
“Ti dispiace se mi cambio? Questo vestitino non è il massimo della comodità”
Jace guardò i suoi indumenti per la prima volta; era stato così travolto dagli eventi da non rendersi conto che avesse addosso solo un tubino corto e aderente che le metteva vertiginosamente in risalto le forme del corpo. 
Si schiarì la voce e disse che l’avrebbe aspettata in soggiorno.
I suoi pensieri non erano mai stati così confusi; la sua mente si spostava da Valentine, a Jason, ai demoni e, la cosa più assurda di tutte, era che la cosa a cui continuava a pensare incessantemente era al modo in cui avrebbe potuto fare sua quella ragazza e che a quel punto sarebbe stato più difficile di quanto pensasse.
Quando Ivy lo raggiunse, indossava un paio di pantaloni neri in pelle e una maglietta rossa.
Sorrise.
“Ti stai adattando?”
“No, mi sono sempre vestita così. Voi Shadowhunters non avete il monopolio sui vestiti neri e in pelle, sai?” rispose lei, ma dal tono di voce sembrava più divertita che irritata da quel commento.
Si avvicinò a lui e gli prese la mano.
Per un momento, il cuore di Jace mancò un battito, ma poi vide che gli aveva semplicemente appoggiato un oggetto nel palmo.
Un anello.
“John Whitman. Questo ce lo ha regalato lui, ci disse che non aveva figli cui lasciarlo. Nat ne ha uno uguale”
Il ragazzo girò l’oggetto al contrario, così che la lettera che occupava il centro, contornata da stelline, si tramutasse da W a M.
“Morgenstern”
“È lo stesso cognome di Sebastian”
“Era suo padre” spiegò il Nephilim, ovviamente Ivy non sapeva nulla.
“Cos’ha fatto di male? Ho capito che c’era qualcosa che non andava in lui dalle vostre facce” 
Jace sospirò. 
Doveva raccontarle tutto, aveva il diritto di sapere... e così fece.
Lo ascoltava impietrita, parola dopo parola, bianca cadaverica; ogni tanto sussultava e boccheggiava come se volesse dire qualcosa ma non riuscisse a formulare i pensieri.
“E questo è tutto. Per qualsiasi motivo Valentine è interessato a voi, noi non possiamo permettere che vi prenda” 
La ragazza sembrava stanca, aveva gli occhi gonfi ed era molto pallida; posò una mano sulla spalla di Jace e mormorò: “Mi dispiace molto. Suppongo che non sia facile per te”
Il sangue gli si gelò nelle vene.
“No, non lo è” rispose freddo, poi si alzò e la invitò a tornare all’Istituto.
Non aveva la minima voglia di parlare della rabbia che provava, dell’odio che era riaffiorato, del desiderio di uccidere Valentine lui stesso.
Non voleva che lei conoscesse quella parte di sé forse più di quanto non fosse pronto a rivelarla, più di quanto odiasse aprirsi.

Ivy camminava accanto a lui, più silenziosa che mai.
Jace suppose che non dovesse essere semplice accettare tutto ciò che le stava accadendo, ma non sapeva proprio come comportarsi con lei.
“Credi che ci sia qualcosa che non va, in me?” domandò all’improvviso, facendolo sobbalzare.
“Solo perché Valentine ti ha addestrata?”  
“Non lo so. Troppe coincidenze... io non credo al caso” 
La sua voce era rotta, trasmetteva tutto il suo turbamento.
Il Nephilim si voltò a guardarla; non sembrava una guerriera, anzi, sembrava fragile.
Forse lo faceva di proposito, quello era l’elemento sorpresa. 
Si fermò e le afferrò delicatamente il braccio, costringendola a incrociare i loro sguardi.
“Non so cosa significhi tutto questo, Ivy. So solo che se sei stata in grado di risvegliare un cuore sopito da sempre, quindi credimi, non c’è nulla di male in te” mormorò, accarezzandole una guancia.
I suoi occhi color nocciola erano sorpresi, mentre quelli di lui... beh, quelli erano accesi dal desiderio.
Il suo sguardo cadde sulle labbra carnose della ragazza e, d’istinto, vi posò sopra le sue; la sentì irrigidirsi, ma non si era mossa di un centimetro né lo aveva spinto via.
Jace si allontanò dal suo volto e la scrutò in attesa di qualcosa, uno schiaffo, una battuta, qualsiasi cosa... invece lei restò immobile a fissarlo, sbattendo rapidamente le lunghe ciglia.
Sembrava quasi ci fosse una battaglia all’ultimo sangue nella sua mente, nel suo cuore.
Il Nephilim stava per riprendere a camminare quando avvertì il lieve tocco della mano di Ivy sul braccio; poi le sue labbra furono di nuovo sulle sue, con la differenza che questa volta l’iniziativa non era stata sua, ma di lei.
La strinse a sé, mentre percepiva il corpo di lei rilassarsi e lasciarsi andare; le sue mani non poterono fare a meno di esplorare la sua schiena, le sue braccia, i suoi capelli.
Sentiva il suo profumo inebriargli i sensi, mentre le loro bocche si studiavano nei minimi dettagli con dolcezza e tranquillità.
Jace pensò che sarebbe potuto anche morire così, ma che ne sarebbe stato felice; non voleva staccarsi, non voleva metter fine a quel momento per paura che non ci sarebbe stata una seconda volta.
“Ivy” sussurrò senza staccare le labbra dalle sue.
“No, non dire niente” disse lei, allontanandosi da lui, guardandolo negli occhi e riprendendo poi a camminare.
Quella ragazza lo avrebbe fatto impazzire.

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