Sand's descent

di lallipumbaa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** -Capitolo 1- ***
Capitolo 3: *** -Capitolo 2- ***
Capitolo 4: *** -Capitolo 3- ***
Capitolo 5: *** -Capitolo 4- ***
Capitolo 6: *** -Capitolo 5- ***
Capitolo 7: *** -Capitolo 6- ***
Capitolo 8: *** -Capitolo 7- ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


−Prologo−

 

Erano tempi antichi. La figura dell’Alta Sacerdotessa di Hathor era una delle figure più influenti di tutto l’Antico Regno, ma rimaneva sempre e comunque sottomessa all’autorità maschile. Fino a quando non venne scelta lei, Amunet, la figlia del Faraone. Data la sua capacità di comunicare con la divinità a lei consacrata e dei poteri che sembrava le fossero stati donati dalla nascita fu dichiarata intoccabile da tutti, per paura che a causa di un qualsiasi cambiamento corporale e mentale potesse cambiare qualcosa e così alterare le sue capacità e la benevolenza della dea nei confronti della famiglia reale. E così fu. La giovane Amunet fu reclusa alla vita religiosa del tempio, circondata dalle dame di compagnia, fino a quando non fu chiamata per guarire una delle guardie principali della Guardia del Faraone. Febbricitante, pallido e con una ferita infettata: fu così che incontrò per la prima volta Kosey. Lo guarì, rimanendo con lui giorno e notte, fino a quando la febbre non svanì e la pelle della ferita sulla gamba non tornò di un colore sano. Visto il distacco dell’uomo nei confronti della figlia, nonostante la sua devozione visto che le doveva la vita, decretò che gli fosse affidata la protezione della ragazza. Col passare del tempo la guardia si affezionò alla ragazza, vedendone l’anima umana e sofferente sotto le vesti dell’Alta Sacerdotessa, e se ne innamorò. Una notte, lontano da occhi indiscreti, lungo le sponde del Nilo che raggiungevano la dimora, le dichiarò il suo affetto e la sua devozione scoprendo di essere ricambiato da lungo tempo. I due mantennero il loro amore segreto per molto tempo, fino a quando a causa di fato inverso in una battaglia il Faraone, già superstizioso e dedicato agli dei, a causa delle insinuazioni del suo fidato Consigliere Okpara, che più di ogni altra cosa bramava il potere, cominciò a sospettare che la figlia avesse potuto fare qualcosa per contrariare la dea. La mente annebbiata dai dubbi e il destino del suo regno appeso ad un filo, fece irruzione nel tempio gettando la figlia nelle mani dei guaritori, i quali accertarono che la figlia non era più pura come le era stato ordinato. Su tutte le furie e ritenendola la causa principale della decadenza del suo regno, la incarcerò accusandola di alto tradimento. Kosey fu mandato al fronte e, sempre su consiglio del suo fidato e infido Consigliere, fu commissionato ad un assassino il suo omicidio. La guerra fu vinta per miracolo e il faraone, avendo risparmiato la vita della figlia, per festeggiare la diede in sposa ad Okpara. Con Kosey morto ogni ragione di vita era sparita. Okpara era un uomo infido, disgustoso. Venuta a sapere dei piani del marito per deporre il padre, Amunet tentò di ucciderlo. Sfortunatamente ad ogni tentativo andò a vuoto, ma lui, consapevole di ciò che intendeva fare, la accusò davanti a suo padre di tramare contro l’impero. Grazie agli insegnamenti di Kosey riuscì a difendersi bene prima che l’arrestassero riuscendo a rubare una lancia, disarmando e stordendo qualche guardia. Fu accusata nuovamente di alto tradimento e condannata a morte. Il giorno dell’esecuzione capitale fu chiamato a raccolta il popolo per dimostrare che nessuno poteva mettersi contro il Faraone, nemmeno la propria progenie, senza rischiare la propria vita. Era inginocchiata a terra, il collo dritto, gli occhi chiusi aspettando il contatto con la lama fredda sulla sua pelle. Sentì un boato e un tonfo. Riaprì gli occhi trovandosi davanti il cadavere del boia con una freccia nel collo. Alzò lo sguardo e non volle chiedere ai suoi occhi. Anche incappucciato avrebbe potuto riconoscere quegli occhi: in mezzo alla folla e con un arco in mano Kosey aveva appena ucciso il boia. In poco tempo neutralizzò le altre guardie e salvò la ragazza scappando dalla folla inferocita. Ma durante la fuga, una freccia avvelenata scagliata da Okpara stesso colpì Amunet al fianco. Riparati in un nascondiglio in un’oasi, Kosey cercò invano di salvare l’amore della sua vita che, poco prima di spirare, gli promise che un giorno sarebbero stati nuovamente insieme, in un’altra vita e in altri tempi. Promesso quello la vita l’abbandonò.

******************** Bene, spero che questa storia vi piaccia :) Da amante della storia in generale e più precisamente della storia dell'antico Egitto, non poteva scapparmi la saga della Mummia!! Questo è solo il prologo, ma spero di riuscire ad aggiornare una volta a settimana e mantenermi così attiva per rispettare le scadenze. Spero sinceramente che possa piacervi (sperando che ci sia qualcuno che la legga) e grazie a chiunque recensisca sia positivamente che negativamente (anche quelle neutre vanno benissimo!). Amo leggere i vostri commenti :) E per ora... ci sentiremo al prossimo capitolo! Un bacione, Lalli

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Capitolo 2
*** -Capitolo 1- ***


−CAPITOLO 1−

 

La porta della grande dimora si aprì quasi due mesi dopo essere stata chiusa. Fortunatamente avevano qualcuno che li aiutasse: la santa donna delle pulizie che oramai conosceva la famiglia che ci abitava. Sapeva cosa poteva pulire, cosa non dovesse toccare e a non farsi più strane domande riguardo agli strani oggetti antichi che dopo ogni viaggio comparivano misteriosamente. “Finalmente a casa!” esclamò sollevato Rick aprendo la porta dell’enorme casa dove abitava con sua moglie e suo figlio. “Per fortuna in questa spedizione non ci sono state altre belle sorprese riguardanti la vecchia canaglia di Imothep.” “Bè, ha capito che l’amore della sua vita era una stronza egoista!” aveva commentato Alex, il figlio di 10 anni “ALEX!!! Chi ti insegna queste parole?” aveva sbottato Evelyn sconvolta dal linguaggio del figlio mentre prendeva un borsone con i suoi attrezzi portandolo su per le scale “Ehm… lo zio Jonathan!” rispose il bambino sorridendo da angioletto. Erano tornati dall’ennesimo viaggio in Egitto e quella volta si erano tenuti lontani da guai e da ogni possibile coinvolgimento con situazioni sovrannaturali. Solo mummie morte non affette da deliri di onnipotenza e nessuno ci aveva rimesso le penne. O meglio, nessuno della famiglia O’Connell.
Passarono un paio di giorni di pace assoluta a sistemare le cose, con Evelyn che catalogava ogni oggetto trovato nel suo studio. Una sera, con Alex fuori gioco in camera sua, i due si erano sistemati sul divano. La donna, penna e blocco in mano, stava cominciando a buttar giù una prima idea del romanzo che voleva scrivere: le avventure che avevano vissuto potevano essere tranquillamente da romanzo e nessuno avrebbe mai creduto che potessero essere racconti autobiografici. Rick, un bicchiere di cognac in mano, le tirò via il blocco dalle mani “Hai intenzione di ignorarmi questa sera?” “No, sono impegnata in altro!” gli rispose alzando un sopracciglio “Vuoi?” le chiese porgendole il bicchiere “Sai perfettamente che non reggo l’alcool.” “È divertente vederti ubriaca!” “Ahahahah. No, grazie!”. Con la mano libera la tirò a sé “Ti amo, Evie…” “Anche io…” stavano quasi per baciarsi quando il campanello suonò. L’uomo la guardò “Vado alla porta, mando cortesemente a quel paese chiunque ci sia e torno.” “Non credo che tu possa fare qualcosa del genere ‘cortesemente’, Rick!” gli disse mentre lo guardava attraversare il salone “Potresti esserne sorpresa invece!”. Evelyn vide la scena svolgersi in pochi secondi: Rick aprì la porta e la richiuse immediatamente, tornando verso la moglie “Tesoro, chi era?” “Nessuno.” Ricominciarono a bussare alla porta “Se non era nessuno sicuramente non si sarebbero rimessi a bussare ancora!” commentò la donna andando verso la porta “Era… uno che voleva vendermi qualcosa!” “Alle 9 di sera? Oh, Rick, piantala!”. Aprì la porta e si mise le mani sulla bocca, trattenendo un urlo di gioia per poi abbracciare stretta la persona davanti a lei. “Oh che bello rivederti tesoro!” “Anche per me è bello rivedervi, Evie! Lo so che vi sto capitando in casa tra capo e collo, ma è un problema se sto da voi per qualche giorno?” dall’interno della casa arrivò la risposta dell’uomo “NO!!!” “Che domande! Certo! Sei della famiglia e una camera per te c’è sempre!” “Grazie mille … anche se non credo sia un piacere per mio fratello.” “Oh, lascia stare quella pentola di fagioli! Entra! Rick!! Da’ una mano a tua sorella a portare dentro i bagagli!!” “Devo proprio?” si lamentò lui, le braccia incrociate “E io che pensavo avessi preso un po’ della gentilezza inglese a furia di vivere qui… invece rimani sempre un dannato americano!” commentò la donna, un borsone in spalla e un paio di valigie dietro di sè. La porta non fece in tempo a chiudersi che il ragazzino biondo si affacciò dalla ringhiera del primo piano urlando “Zia Breanne!!”. Scese a rotta di collo le scale, correndola ad abbracciare “Ouch!! Ciao Alex! … Per gli dei sei cresciuto tantissimo!” commentò scompigliandogli i capelli. A vederli l’uno davanti all’altro potevano essere tranquillamente madre e figlio dal tanto si assomigliavano: Breanne era la sorella minore di Richard, avevano poco meno di dieci anni di differenza, e non avevano passato molto tempo insieme mentre crescevano. Nonostante fosse vestita molto femminile non bisognava soffermarsi all’aspetto per inquadrarla: lei era di tutt’altra pasta- Era abbastanza alta, aveva gli stessi capelli biondi del nipote, gli occhi azzurri, il sorriso e la sfacciataggine tipici degli O’Connell. Era sempre in giro per il mondo: era un’archeologa, un’esploratrice e quando si trattava di tenere in mano un fucile era un cecchino. “Ah, aspetta, ho qualcosa per te!” disse aprendo il borsone prendendo un oggetto lungo e stretto con un piumaggio colorato alla fine. Osservò lo sguardo del nipote che si illuminava prima di spiegargli cosa fosse “Cerbottana, direttamente dalla foresta amazzonica.” “Oh, ma io ti adoro zia!!” guardò la cognata che già si stava accigliando “Tranquilla, il massimo che può sparare sono palline di carta. Non gli ho portato le munizioni.” “Ci manca solo quello!” “Allora, come sono andati gli ultimi viaggi in Egitto?” “Oh, te ne dobbiamo raccontare di cose!!”. Notando l’espressione di Alex alzò lo sguardo verso i due adulti “Non mi dite… Imothep?” “Esatto! Ma prima sistemati comoda. È una lunga storia!”.
Tutti seduti in salotto le raccontarono dell’ultima avventura con Imothep: dalla scoperta della sua mummia da parte di una società segreta con a capo Baltus Hafez, il curatore del British Museum “Ecco perché non lo trovavo più in ufficio!”, al fatto che erano entrati in casa minacciando Jonathan pensando fosse Rick, al fatto che Alex non si era fatto i fatti suoi mettendosi un bracciale ritrovato nella spedizione in Egitto che conduceva alla piramide del Re Scorpione, nascosta nell’oasi di Ahm Shere. Le raccontarono di come si erano trovati Ardeth Bay a casa “Chi?” “Il Medjai dell’ultima volta!” “Ah giusto!”, di come avevano salvato Evie per la seconda volta dall’essere presa e sacrificata, di come Alex, rapito dalla setta, lasciava indizi al gruppo che lo seguiva, fino all’oasi. Le raccontarono tutto, anche come Anck-Su-Namun aveva ucciso Evie e Alex e Jonathan l’avevano riportata in vita usando il Libro dei Morti e di come Evelyn fosse la reincarnazione della Principessa Nefertiri, figlia di Seti I, che Rick fosse un discendente dei Medjai e che con Alex, la Via, erano i tre punti della piramide. “Fantastico! Manchiamo Jonathan e io ora!” scherzò Breanne mentre Alex mimava la corsa verso l’interno della piramide per evitare che il bracciale lo risucchiasse. Alla fine Evelyn mandò a letto Alex che salutò la zia facendole promettere che ci sarebbe stata anche la mattina dopo “Promessa.” gli disse stringendogli il mignolo prima che salisse sulle scale per andare verso camera sua.
Non appena Alex fu fuori portata d’orecchio Rick guardò la sorella “Come mai a Londra? Sono quasi due anni che non ci punti piede.” “Lo so, ma ho bisogno dell’archivio del British e soprattutto ho bisogno di una bibliotecaria.” Disse guardando la cognata che, incuriosita, si inclinò verso di lei “Di cosa si tratta??” “Vi racconterò tutto non appena tornerò dal British domani. Devo presentarmi al nuovo curatore dopotutto!” “Dovrai minacciarlo?” “Non uso il metodo O’Connell sempre! Sono una signora… lo uso solo ed esclusivamente quando mi tirano fuori dai gangheri! … praticamente l’80% delle volte!”.

Il giorno dopo, vestita e truccata come compiaceva ad una signorina per bene degli anni ’30, si diresse verso il British Museum. Si presentò al nuovo curatore, gli mostrò cosa nascondeva nella cappelliera rigida che si era portata dietro e, grazie al suo cognome e al piccolo tesoro che stava donando al museo, ebbe l’accesso all’intera documentazione del British. Cercò qualsiasi cosa si fosse segnata, appuntandoselo su un blocco, ma erano informazioni molto rade. Le storie su quello che cercava sembravano quasi essere state cancellate, come se qualcuno volesse far togliere ogni traccia di quello che era successo a quella famiglia. L’autista era rimasto fuori ad aspettarla, quando uscì dal museo era già buio. Infilandosi il pesante cappotto scese oltre il portico giù per la scalinata marmorea, finendo in cortile. Non appena infilò la strada a ciottoli per il cancello avvertì di essere seguita. Si fermò, le mani strette leggermente l’una nell’altra, senza nemmeno voltarsi “Buonasera signori, perché dovrei avervi trai piedi anche quando sono in vacanza?” una voce maschile le rispose, mentre due figure nere le si paravano davanti “La motivazione la sai. Il nostro padrone non ama aspettare, e ha già aspettato abbastanza… per più di 5000 anni.” “Bè, se ha aspettato così tanto potrà aspettare anche oltre. Signori, buona serata.” Li congedò Breanne con un cenno della testa, passando oltre. Fece per salire in macchina quando sentì nuovamente la voce dell’uomo in nero “Ti avverto. Non aspetterà ancora per molto!” non rispose neanche, ma chiuse la portiera. “Tutto a posto, signorina O’Connell?” le chiese l’autista guardandola sospirare dallo specchietto retrovisore “Sì, tutto a posto.” Gli rispose sorridendogli “Mi porti a casa, per favore.”
Rientrando in casa non trovò nessuno e cominciò seriamente ad andare nel panico “C’è nessuno? … Rick? … Evelyn? … Alex?” salì le scale, il cuore in gola “ALEX? EVIE??? RICK??” giurò mentalmente che se solo avevano osato torcere un capello alla sua famiglia sarebbe andata davvero da colui che la cercava. Ma per farlo fuori. Una porta si aprì, facendo uscire una Evelyn con sguardo preoccupato “Breanne, che succede? Tutto a posto?” “Evie!! Sì! Tutto a posto… è solo che non ho visto nessuno e mi sono preoccupata!” “Vuoi che ti prepari un bagno caldo?” le chiese guardandola, poco convinta della spiegazione “Lo farò volentieri, ma non preoccuparti, lo preparo io…”. L’acqua calda, il silenzio della stanza, l’atmosfera data dal fuoco delle candele. Si rilassò quando il calore dell’acqua entrò a contatto con la pelle. Appoggiò la testa al bordo vasca e lasciò andare i pensieri. Tutto quello che aveva trovato oggi al British le diceva poco, solo Evelyn avrebbe potuto aiutarla… e se nemmeno lei sapeva qualcosa era persa. Il suo sogno ricorrente le venne in mente. Stava scappando su un meraviglioso cavallo nero, ma non era sola. C’era qualcuno con lei. Non la stava rapendo però… la stava portando in salvo. Si sentiva protetta, al sicuro. Poi un dolore lancinante al fianco le fece aprire gli occhi di scatto. Una promessa le suonò nelle orecchie mentre controllava la pelle dove oramai quasi ogni notte si sentiva trafiggere, non trovando nulla come al solito. “Non ce la faccio più…” commentò passandosi una mano sul viso. Sentì un movimento nell’ombra e i suoi sensi si acuirono. Sorrise. Non era sola.
“Senti, tua sorella mi preoccupa.” Commentò Evelyn guardando il marito che stava pulendo le sue armi “Io te lo dico da più di dieci anni che non è a posto, ma non mi dai mai retta.” “Non in quel senso Rick! Dovevi vedere con che espressione si stava guardando in giro quando è arrivata in casa e non ha trovato nessuno. Era in panico, aveva gli occhi sbarrati, quasi sudava freddo! Le è successo qualcosa, me lo sento! Probabilmente c’entra la motivazione per cui è tornata a Londra.” “Evie, ti preoccupi troppo. Lo sai com’è fatta. Ha abbastanza palle per cavarsela da sola.” La rassicurò Rick sistemando il fucile. “Non questa volta. Ha bisogno d’aiuto. E tu sei suo fratello. Va’ a parlarle…” “Lo sai che non sono bravo in queste cose.” “Richard O’Connell se-” “Va bene! Va bene! Appena esce dal bagno vado a parlarle!” si arrese visto il cipiglio della moglie. Rumore di vetri rotti. “Ma che diavolo…?” uscirono dallo studio pensando fosse Alex, ma anche il bambino si stava chiedendo che fosse successo. Si girarono dall’altra parte del corridoio trovandosi una vecchia conoscenza davanti agli occhi. “Che diavolo ci fai qui?” gli chiese Rick guardandolo storto. Ardeth Bay, una sciabola in mano, era in piedi davanti a loro “Credo ci sia un intruso in casa tua.” “Oltre a te?”. La voce della sorella fu inconfondibile “CREPA, FIGLIO DI PUTTANA!!” “Bree!!”. Corsero in bagno trovando la porta chiusa a chiave. I due uomini la sfondarono a spallate, trovando un uomo a terra senza sensi e uno che con un labbro spaccato che stava minacciando la donna con un coltello in mano. Breanne, vestita come il giorno della sua nascita, brandiva in posizione di guardia un oggetto non identificato. Notò un momento di distrazione dell’uomo dato dall’entrata repentina del gruppo e fece roteare l’oggetto che aveva in mano prendendolo in pieno stomaco e poi sulla mascella, quasi mettendolo KO a terra. Ardeth corse verso di lei mettendole il mantello sulle spalle, coprendola. Lei lo guardò stranita alzando lo sguardo verso gli occhi neri dell’uomo. Successe tutto in meno di un secondo: un senso di vertigine, il suono degli zoccoli di un cavallo in corsa, la promessa le risuonò nelle orecchie più forte del solito e il dolore lancinante al fianco arrivò talmente improvviso da farla piegare. Guardò l’aggressore con rabbia “E ora prendi il tuo amichetto svenuto e vattene da questa casa. Vai dal tuo padrone e riferiscigli la mia risposta che è uguale a quella di ogni dannata volta.” L’aggressore si rialzò da terra a fatica, ridacchiando e sputando il sangue che gli occupava la bocca, parlando in egiziano antico. Breanne si impettì, rispondendogli a tono nello stesso idioma. L’uomo prese il suo compagno e se ne andò dalla finestra, scomparendo nell’ombra proprio come era comparso. Il dolore al fianco si fece persistente, si toccò la pelle e trovò qualcosa di caldo e bagnato. Sentì su per il corpo un senso di intorpidimento, cominciò a vedere blu: sapeva che stava per perdere i sensi. Si appoggiò all’uomo di fianco a lei che la sorresse “Cosa succede?” le chiese Rick guardandola seriamente preoccupato “Non lo so…” fece in tempo a rispondere prima di crollare, debole e bianca come un lenzuolo, tra le braccia di Ardeth.

 


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Eeeed ecco il primo capitolo della storia! :)
Breanne O'Connell me la sono immaginata come una versione femminile di Rick. In pratica... una donna con le palle, abbastanza avanti per gli anni '30, ma molto amorevole e che proteggerebbe la famiglia a costo della vita. E poi diciamocelo: chiunque vorrebbe un nipote come Alex!!
Spero sinceramente che vi piaccia... sono molto fiera di come la mia piccola creatura stia procedendo ( *detto con accento tedesco* mi zento un poco il doktor Frankestein) e spero che la possiate apprezzare anche voi!
Come al solito aspetto i vostri commenti :) positivi, negativi... se vi viene voglia di prendervi a schiaffi dal tanto è brutta potete anche dirmelo XD continuerò a postare i capitoli nella speranza che migliori in caso! E ringrazio ripetutamente (sto diventando noiosa) anche chi spende qualche minuto del suo tempo per leggere le mie elucubrazioni mentali! Un bacione e alla prossima, Lalli :3

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Capitolo 3
*** -Capitolo 2- ***


−CAPITOLO 2−

 

“Tu sei venuto qui per lei?” “Effettivamente no. Ho solo seguito quei due. Le vecchie storie normalmente hanno sempre un fondo di verità, e qualcosa si sta muovendo.” “Imothep?” “No, molto peggio.” Erano in salotto, cercando di capire chi diavolo fossero quelli che erano entrati in casa aggredendo Breanne. Dopo che era svenuta l’avevano portata a letto, fasciandole la ferita al fianco. Evelyn era rimasta con lei, mentre Rick e Ardeth portavano via dalla stanza un preoccupatissimo Alex. “La zia starà bene, vero?” chiese il bambino guardando i due “La zia sta bene, non preoccuparti…” rispose Breanne arrivando in salotto scortata sotto braccio da Evelyn. Le aveva fatto indossare una camicia da notte comoda e sopra una calda vestaglia così da non dar fastidio alla ferita e alla fasciatura. Le corse incontro abbracciandola “Non farmi preoccupare così un’altra volta!” esclamò Alex facendole venire un incipit di magone. Lo strinse forte a sua volta “Non lo farò, è una promessa.” “CHE DIAVOLO E’ SUCCESSO PRIMA IN BAGNO?” sbottò il fratello senza preamboli “Ciao fratellone, è un piacere vedere che ti preoccupi così tanto per me.” Gli rispose fredda mentre si sedeva, mettendosi una mano sul fianco dolorante. “Come hai fatto a farti colpire in quella maniera? Il taglio era profondo. Abbiamo dovuto mettere i punti.” Commentò Evelyn preoccupata “Non mi ha colpita nessuno.” “È una dannata ferita da taglio! Qualcuno ti ha dovuto colpire! Non può essersi fatta da sola!” “Rick, non ti sto dicendo palle. E comunque sì, s’è fatta da sola.” “MA NON È LOGICAMENTE POSSIBILE!” “QUI NON SI PARLA DI LOGICA, RICK!! HAI AVUTO A CHE FARE CON MUMMIE CHE TORNANO DAL REGNO DEI MORTI, CRISTO! DOVRESTI AVERE LA MENTE APERTA!!! Tra l’altro Evie, scusami se ho usato l’asta del porta asciugamani come arma!” “Non ti preoccupare, l’ho lavato ed è come nuovo!”. Si girò verso l’arabo che, in piedi vicino al camino, la stava guardando. Stava cominciando a sentire nuovamente la vertigine e distolse lo sguardo, posandolo sulla tazza di the caldo che Evie le stava porgendo. “Grazie…” “Breanne, perché sei venuta a Londra?” le chiese Rick impaziente “Te l’ho detto ieri: dovevo controllare una cosa al British e avevo bisogno di una bibliotecaria che conoscesse la storia egiziana come le proprie tasche. Oggi ho controllato al British, ma ho trovato davvero poco. Le informazioni che ci sono rade, sembra che dal passato abbiano voluto cancellare la storia.” Sospirò, preparandosi a cominciare a raccontare tutta la storia dall’inizio.

Era cominciato tutto mesi prima. Era a Monaco di Baviera quando due persone le si erano parate davanti mentre stava tornando all’hotel di sera tardi. L’avevano fermata puntualizzando che non volevano farle del male, ma che volevano solo che li stesse a sentire. Era una proposta. Molto strana ma era pur sempre una proposta: le avevano parlato del loro ‘padrone’, così l’avevano chiamato, che voleva disperatamente incontrarla. Che se avesse accettato di stare con lui le avrebbe donato quello che tutti bramavano: la vita eterna. Con gentilezza declinò l’offerta, dichiarandosi non interessata all’accordo, dicendo ai due che il suo padrone poteva anche trovarsi qualcun’altra a cui donare l’eternità, ma i due insistettero che voleva solo lei e che la stava aspettando da molto tempo. L’avevano chiamata con un nome diverso dal suo. Amunet. Nonostante quello se ne andò, facendo rimanere la sua ultima frase come risposta ufficiale. Quella stessa notte erano iniziati i sogni. I primi tempi erano solo sensazioni, poi si erano evoluti. Sognava di tempi lontani, di una vita dedicata, meravigliosa, ma comunque solitaria. Sognava tradimenti, esseri spregevoli, la disperazione, ma ogni volta veniva risollevata da un pensiero. Occhi neri come l’ossidiana, occhi profondi, e la sensazione di amore che proveniva a quella vista le riempiva il cuore. Sognava una corsa su un cavallo nero, il senso di libertà. Poi un dolore lancinante al fianco la colpiva ogni notte facendola svegliare di soprassalto e una frase nella lingua antica le risuonava nelle orecchie. Non la capiva all’inizio, ma poi dopo ogni notte che la sentiva l’aveva imparata a memoria. Passarono i mesi ed era partita verso il centro America per degli scavi in Messico. Una sera se li era trovati davanti ancora. Erano gli stessi della volta precedente e come allora erano come sbucati dall’ombra. Portavano sempre lo stesso messaggio del loro padrone. Quella volta oltre alla vita eterna prometteva ricchezze inimmaginabili. Ma la sua risposta era sempre stata la stessa: la sua vita le piaceva com’era e non aveva bisogno nulla di ciò che le stesse promettendo. Aggiungendo che poteva anche andarsene al diavolo e di lasciarla stare per una buona volta. Quella volta furono meno cordiali della volta prima. Le avevano parlato in una lingua che non conosceva e il tono era minaccioso. La chiamarono nuovamente Amunet. Dopo il Messico non li vide per un po’. I sogni continuavano a tormentarla, il nome Amunet le diceva qualcosa, ma non sapeva cosa. La promessa che oramai a volte si ripeteva a bassa voce tra sé quando era concentrata la sapeva a memoria anche se non sapeva cosa potesse significare. Un giorno, mentre se la ripeteva senza accorgersene, una figura incappucciata la prese da parte suggerendole che non era saggio ripetere in pubblico quella frase, che era pericolosa e che avrebbe fatto meglio a dimenticarsela. E poco tempo dopo era tornata a Londra…

“Questa è la storia fino a ieri… oggi me li sono trovata davanti uscendo dal British Museum e hanno rifatto la proposta dicendomi che il loro ‘padrone’ non avrebbe avuto ancora molta pazienza dato che aveva aspettato per 5000 anni. Li ho mandati al diavolo un’altra volta e a quanto pare mi hanno seguita cercando di mandare al diavolo me. Non vorrei vantarmi, ma credo di avergli dato una bella lezione.” Concluse Breanne appoggiando la tazza vuota sul tavolino “Come fai a sapere che sia una promessa?” le chiese Rick sospettoso “Non lo so. Ma me lo sento. La voce la ripete con un tono amorevole, con lo stesso tono in cui pronunceresti una promessa solenne a qualcuno d’importante.” “Ma zia, perché hai bisogno di fartela tradurre? Prima hai parlato in egiziano antico!” le fece notare Alex un po’ perplesso “Davvero??” “Sì! Ti abbiamo sentita tutti.” Confermò Evelyn “Ehm, il problema è che io non conosco l’egiziano. Leggo a malapena i geroglifici, come potrei parlarlo fluentemente?” “Potresti dirmela? Così posso tradurtela.” Chiese Evelyn, il taccuino in mano. Gliela ripeté senza sforzo mentre la donna la trascriveva. Sentendo quelle parole Ardeth chiuse gli occhi. Fu trascinato lontano, ad un’oasi nel Sahara. Un impasto di erbe e l’acqua limpida di una sorgente, una brutta ferita infettata dal veleno. Sentì il panico e la disperazione prendere possesso del suo corpo. Un dolce contatto della pelle bollente sulla sua mano, una carezza e una voce fievole un tempo decisa, ma ancora dolce, pronunciò quelle parole. Sentì un senso di vertigine e si appoggiò al camino per tenersi in piedi. Quando aprì gli occhi fortunatamente erano tutti intenti ad aspettare la risposta della donna e nessuno si era accorto del suo momento di defiance. Guardò la ragazza bionda adagiata sulla poltrona che nascondeva l’espressione sofferente sotto  una maschera di tranquillità. Non l’aveva mai vista in vita sua, ma come poteva avere la sensazione di conoscerla da sempre? Lui era un Medjai, un discendente delle guardie del Faraone. Lei un’americana che, come il fratello, ne aveva vissute di ogni. Evelyn era la reincarnazione di Nefertiri e Rick quella di una guardia reale. Poteva essere tutto possibile. Ci mise poco per tradurre il messaggio “Tesoro, hai ragione. È una promessa. ‘Ci rivedremo, Kosey, te lo prometto. Ti aspetterò per l’eternità se necessario, ma staremo insieme nuovamente. Sarà un’altra vita, saranno altri tempi, ma ci ritroveremo. È una promessa.’ Ma che cosa romantica…” “Da cariare i denti.” Decretò Alex storcendo il naso “Ok, ma perché mi chiamano Amunet? Perché ho questi sogni? Chi diavolo è Kosey? E perché ogni volta che ho questi sogni finiscono sempre con un dolore lancinante al fianco e oggi mi si è pure aperta una ferita?? Cosa diavolo vogliono da me?” si chiese Breanne alzandosi cominciando a camminare nervosamente avanti e indietro, il bordo della vestaglia che svolazzava ad ogni curva secca. “Sto pensando… Amunet… il nome non mi suona nuovo.” Commentò Evelyn picchiettandosi l’indice sulle labbra, pensando a dove avrebbe potuto leggere quel nome “Ho trovato poche cose al British. Sono libri antichi. Si tratta dell’Antico regno, quindi all’incirca 2600 a.C. e collegando ai sogni questa Amunet dovrebbe aver ricoperto un ruolo molto importante per una donna dell’epoca.” Evelyn introdusse la sua cultura nel campo “I ruoli più importanti che una donna potesse ricoprire all’epoca erano pochi: Moglie ufficiale del Faraone-” “No, no! Non c’è nessun collegamento. O meglio. Sento che deve essere stata una nobile, ma il ruolo ricoperto era più religioso.” La corresse cercando di riportare la mente al sogno “E allora era solo uno: Alta Sacerdotessa di Hathor-OHMIODIO!!!” Evelyn sorrise e scattò in piedi “Lo so! So dove andare a cercare!! Aspettate!! Non vi muovete!!” esclamò prima di correre su per le scale facendo i gradini a due a due sotto gli occhi dei presenti. “Rick, voglio bene a Evelyn ma a volte mi preoccupa…” commentò Breanne guardando la cognata entrare di volata in una stanza per poi uscire un paio di minuti dopo con un libro e un quaderno che a vederlo sembrava vecchio di più di una decina d’anni. “Quel nome l’ho incontrato quando ancora lavoravo alla libreria al Cairo prima di conoscere tuo fratello. Quando è successo tutto ho potuto portare a casa qualche libro e questo personaggio mi ha sempre incuriosita. Era la figlia del Faraone Nebkara, della III dinastia. Si parla di storia antica… non si sa molto di questo faraone. Ha avuto 16 anni di regno, ma non fu fortunato coi figli. Di loro si sa comunque poco. Sono stati ritrovati dei papiri scritti secoli dopo da storici che cercavano di ricostruire i regni delle prime dinastie. È stato difficile recuperare le informazioni dato che sembra che avessero voluto cancellare ogni suo segno. Diciamo che sono quasi leggende… Si diceva che il faraone avesse intuito i poteri magici della figlia e della sua capacità di comunicare con Hathor, quindi decise di nominarla alla carica più alta alla quale una donna poteva aspirare: l’Alta Sacerdotessa. Ma per far sì che la benevolenza della divinità potesse venir meno decretò che la ragazza rimanesse vergine per evitare che ogni possibile cambiamento in lei potesse causare l’ira di Hathor.” “Sembra la scusa che aveva usato il padre di Cassandra, la sposa del Re Scorpione… peccato che dove lì era per il bene della figlia, qui il padre era davvero fuori di testa.” Commentò Breanne “Infatti la cosa non durò molto. Amunet era solo una bambina quando fu nominata sacerdotessa e fu fatta crescere con solo compagnia femminile.” “Evita il pericolo non esponendola al nemico. Astuto l’uomo.” “Solo che un giorno si dice che le fu portata al tempio una guardia reale gravemente ferita. Lo guarì del tutto e vegliò su di lui giorno e notte fino a quando non si riprese. Vista la naturale freddezza che caratterizzava la guardia, il re decise di destinarlo alla protezione della figlia, ma non poteva fare un errore più grande dato che i due si innamorarono.” “E ti pareva se non potevano farsi i fatti loro.” Commentò Rick mentre la sorella annuiva a braccia conserte “Qui è tratto dalla leggenda, ragazzi. Non sappiamo se la storia sia vera. E comunque continua!” “Aspetta, fammi vedere se il sogno corrisponde. I due si innamorano, ovviamente la storia della verginità era una palla colossale, e nessuno se ne accorse fino a quando il padre di lei non si spiegò perché stava perdendo una guerra. Il classico infido consigliere gli mette la pulce nell’orecchio e dopo aver fatto controllare in una maniera brutale la figlia la fa imprigionare e manda la guardia al fronte, commissionandone l’omicidio.” Finì la ragazza stringendo i pugni. “Esattamente… tutto a posto?” Breanne guardò Ardeth “Ma il Faraone, credendo di dare clemenza alla figlia, la diede in sposa al Consigliere, un essere viscido e meschino che tramava contro il regno.” Si fece sentire nuovamente il senso di vertigine e si appoggiò allo schienale della poltrona. “Devo scoprire che diavolo vogliono da me, chi è il loro padrone… a quanto pare credano che sia la reincarnazione di Amunet, ma era lei ad avere i poteri e a comunicare con Hathor. Io sono solo una donna e per loro sarei inutile.” Ardeth la guardò. Tutto stava cominciando ad avere un senso. Stava cominciando a capire cosa si stesse muovendo.

 


*********************** E ce l'ho fatta: ecco il 2^ capitolo della storia.
Spero veramente che vi piaccia: ci sto mettendo tutta me stessa per scrivere questa storia.
Ringrazio di cuore chiunque legga, sperando di riuscire a leggere qualche vostra recensione... sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensiate al riguardo! :)
Buona lettura e alla prossima! Un bacione, Lalli :3

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Capitolo 4
*** -Capitolo 3- ***


CAPITOLO 3−


Decisero il da farsi. Fosse stato per Breanne sarebbe partita subito, ma su rifiuto di tutti la obbligarono a riposarsi e ad aspettare che la ferita si rimarginasse almeno parzialmente. Ardeth tornò in Egitto il giorno dopo “Ci troveremo quando arriverete al Cairo. Vi aspetterò là. Nel frattempo cercherò di indagare.” “Ok, ma sta’ attento. Non voglio che qualcuno finisca nei guai per colpa mia. Al Cairo voglio vederti integro.” Gli disse la donna prima che lui uscisse dalla porta, fermandolo per un braccio. Si voltò guardandola negli occhi, l’espressione seria “Non preoccuparti, non sarò da solo.” Sostennero lo sguardo l’uno dell’altra per un po’, poi il medjai uscì dalla stanza scomparendo nella notte.
La ferita si rimarginò in meno tempo di quanto pensassero. Dopo meno di una settimana erano sul treno per il sud della Francia per poi prendere la nave che li avrebbe portati verso il Cairo. “Alex, piantala di giocare con quella cerbottana!” lo rimproverò Evelyn vedendo l’ennesima pallina di carta lanciata sul bersaglio che si era costruito “Mi sto annoiando e non ho più libri da leggere! Zia, raccontami una delle tue avventure in Sud America!”. Breanne non stava ascoltando. Aveva lo sguardo perso fuori dal finestrino facendosi scorrere davanti agli occhi la campagna francese. Il sole stava tramontando e di lì a poco sarebbe stata ora di cena. La mente vagava persa nel nulla. La piega inaspettata che aveva preso la sua vita la stava stravolgendo, ribaltandola completamente. Sapeva sin da bambina di non essere mai stata ‘una come le altre’. Lei e Rick si erano sostenuti a vicenda, e fino a quando i loro genitori adottivi – gli O’Connell – non li avevano accolti nella loro famiglia, si erano sostenuti a vicenda. Rick era più grande di lei di poco più di 7 anni e se un altro bambino provava ad infastidirla erano guai seri. Non si era mai fatto problemi a mettersi nei guai, figurarsi per proteggere la sua sorellina. Ma anche se era la sorellina protetta, crescendo in orfanotrofio al Cairo aveva imparato a difendersi e qualche altro trucchetto che le era servito per la sopravvivenza, come il famoso metodo O’Connell. Entrambi avevano avuto una passione per tutto ciò che era strano, fuori dal comune, e i loro genitori non si erano mai fatti problemi ad assecondarli nelle loro passioni. Aveva fatto più fatica a convincerli a farle imparare a sparare, ma per quello ci pensava Rick. Poi le loro vite si erano separate, ricongiungendosi ogni tanto. Non era sposata, non aveva figli, ogni tanto era stata legata a qualche relazione, ma nessuno sembra essere giusto per lei. Nessuno riusciva a reggere il confronto. Ma con chi non l’aveva mai saputo. Probabilmente la parte di sé collegata alla principessa Amunet era ancora innamorata della misteriosa guardia e nulla sarebbe mai potuto andare come avrebbe voluto lei finché non sarebbe finita quella storia. Sentì nuovamente le vertigini e cominciò a sentire il rumore degli zoccoli di un cavallo in corsa quando fu riscossa dal nipote che le scosse il braccio “Zia? Ci sei?” “Cos-? Oh, sì! Scusami ero persa fuori dal finestrino! Dimmi!”.
Arrivarono a Marsiglia e presero la nave che li portò ad Alessandria, arrivando poi via treno al Cairo. “Non voglio più vedere un treno per un po’.” Commentò Breanne, una borsa a tracolla e un po’ bianca in volto a causa il mal di treno. Tornarono verso il museo dove lavorava Evelyn, usandola come base: il nuovo direttore eletto dopo i fatti di 12 anni prima era anche lui legato ai Medjai e li accolse con calore. “Bene, dove diavolo è Ardeth?” commentò Rick sedendosi sullo scranno dorato “Avevamo deciso che ci saremmo trovati qui, non il giorno… Signor Khafir, esiste un modo per contattare il capo dei Medjai?” chiese Breanne all’arabo che sorrise “L’ho già contattato io, non preoccupatevi. Sto aspettando che torni indietro la risposta. Nel frattempo se volete riposarvi, l’alloggio è sempre disponibile.” “Io sinceramente un pisolino me lo farei. Alex, mi segui?” “Assolutamente papà!” esclamò il bambino per poi sbadigliare. Evelyn guardò la ragazza “Vieni anche tu?” “No, io rimango nella biblioteca del museo. Vedo se riesco a trovare qualcosa in più su quello che ci serve.” Fu accompagnata nella biblioteca e lasciata sola tra i libri. Nonostante la sua vita fosse più costantemente riempita d’azione, quelli erano sempre stati i suoi compagni durante le lunghe notti insonni e i pomeriggi della sua infanzia e continuavano ad esserlo. Andò a cercare nella sezione dedicata e tirò giù dagli scaffali i libri che potevano servirle. Seduta nel silenzio della biblioteca si isolò nel contenuto delle pagine talmente tanto che non notò nemmeno un’ombra sgattaiolare nella stanza. Una voce inquietante, quasi sibilante, parlò alle sue spalle “Bentornata a casa, Amunet…” Breanne si alzò di scatto, voltandosi verso la voce, ma si trovò davanti una figura nera di forma quasi umana ma poteva scommetterci la mano destra che con la razza umana non aveva nulla a che fare. La figura la bloccò immediatamente scaraventandola sul tavolo di legno massiccio, una mano al collo. Tentò di divincolarsi, ma la pressione quasi le toglieva il respiro. “Ti stavamo aspettando tutti… soprattutto il padrone. Sarà contento di essere ricongiunto a te dopo quasi 5000 anni…” “P-p-padr-one?” chiese quasi soffocando “Ricorda, Amunet… tu lo conosci…” “I-io n-non-” la figura alzò l’altro braccio, la mano spalancata e fece per abbassarla su di lei, quando una spada trapassò la figura facendola sparire, quasi evaporare, dopo che ebbe alzato lo sguardo verso chi l’aveva lanciata. Senza più la pressione sulla trachea i suoi polmoni si riempirono d’aria di scatto, facendola alzare a sedere, cominciando a tossire. Sentì dei passi veloci verso di lei e due mani la presero per le spalle, voltandola. “Breanne, tutto a posto? Mi senti?”. Aveva gli occhi pieni di lacrime per lo shock ma intravide sfuocata la figura davanti a sé “A-cough! Ardeth?” “Sì, sono io.” Le disse l’uomo alzandole il viso per il mento, studiandola “Che - cough!!! – diavolo era quel coso?!” “Un essere richiamato dall’ombra, ma ti ha fatto qualcosa?” rispose lui tranquillamente “Mi stava strozzando, cristo santo! Ho seriamente temuto di morire. Aveva una forza quasi sovraumana… mi ha sbattuta sul tavolo come se fossi una bambola di pezza.” Commentò toccandosi la schiena per vedere se ci fosse qualche zona dolorante. “Sei riuscito a scoprire qualcosa?” gli chiese mentre lo vide intento a togliersi il mantello per poi appoggiarglielo delicatamente sulle spalle mentre la esaminava attentamente “Sì, e non mi è piaciuto. È una forza antica, molto più potente dell’ultima con cui abbiamo avuto a che fare, e tu sei la chiave di tutto.” “Certo che per comunicare notizie sconvolgenti hai un tatto impressionante.” Decretò lei spalancando gli occhi, impallidendo per ciò che le aveva appena detto. Rimase seduta sul tavolo, una mano sul viso  “L’episodio di poco fa significa che non ho alcuna protezione. Possono trovarmi ovunque…”  “Non ovunque.” Decretò Ardeth accennando ad un mezzo sorriso.

“No, aspetta, cos’è successo prima?” esclamò Rick “Fortunatamente è arrivato Ardeth in tempo. Altrimenti non so proprio cosa sarebbe potuto succedere. Comunque nonostante sembri che in Egitto possano trovarmi ovunque nonostante possa muovermi senza che nessuno lo sappia, Ardeth ha una bella notizia, nonostante potrebbe essere un po’ una spina nel fianco…” “Dobbiamo arrivare al Tempio di Hathor.” “Quale?” “Quello ad Abu Simbel.” “COSA?! Abu Simbel è quasi alle foci del Nilo! Ci sono giorni e giorni di viaggio per arrivare là!” “Esagerato! È molto più a nord della foce del Nilo… è anche prima della fine del lago Nasser!” Commentò Breanne alzando un sopracciglio e facendo spallucce “E dici poco?!” “Rick, si tratta della sicurezza di tua sorella. Dobbiamo andare al tempio di Hathor.” Richard aveva ragione: raggiungere il tempio sarebbe stato un viaggio veramente lungo. Dal Cairo avrebbero dovuto prendere un battello che li avrebbe portati verso sud lungo il Nilo, fino ad Aswan. E sarebbero stati già quasi cinque giorni di viaggio. Il tempio minore era vicino a quello costruito dal Faraone Ramses II, ma era l’unico ad avere ancora statue della divinità ancora al suo interno. Dendera sarebbe stato più vicino, ma sfortunatamente era spoglio di idoli.
Dopo giorni di viaggio aveva seriamente bisogno di un bagno. Era da un po’ che non ne faceva uno tranquillo: l’ultima volta che aveva provato a farlo era stata aggredita. Si tolse gli stivali e i pantaloni, mettendoli a prendere aria, vicino al camicione largo di lino che normalmente veniva infilato nei pantaloni a vita alta: quello era il suo classico abbigliamento da scavo archeologico… e dato che ora si aveva a che fare con l’Egitto, era meglio coprirsi senza dare troppo nell’occhio. Peccato che fosse l’unica donna oltre a Evie che portasse dei pantaloni. Si sedette nella piccola vasca levandosi di dosso la terra, pulendosi da tutto, anche dal ricordo dell’incontro più che ravvicinato con quell’essere spuntato dall’ombra. Uscì sul ponte della nave per prendere un po’ d’aria, trovando il medjai seduto vicino a Rick, mentre con la cote affilava la sua sciabola e il fratello puliva il fucile “Che ci fate sul ponte? Non dovreste pianificare qualcosa alle mie spalle in segreto da qualche parte?” disse pesandosi su un piede, incrociando le braccia “Nah, è molto più piacevole farlo in pubblico.” Le rispose il fratello sorridendole con la sua espressione da faccia da schiaffi “Giustamente.” “Oh oh oh! Riconoscerei quel fondo schiena ovunque. Buongiorno Breanne.” L’espressione della ragazza si paralizzò ‘No. Perché è qui? Non mi andava male abbastanza così. Ci si deve mettere pure lui.’ Si voltò “Jackson. Smettila di guardarmi il fondoschiena. Non è un qualcosa che puoi guardare col leggerezza. Potresti finire giù dal ponte della nave.” “Le tue minacce non mi hanno mai fatto molta paura, si sono sempre trasformate in altro.” Le disse l’americano alzando il sopracciglio sfoderando il suo sguardo alla ‘ti stendo’. Rick si alzò e si mise davanti alla sorella, il fucile in mano, tendendogli la mano “Ciao, sono Rick O’Connell, il fratello maggiore di Breanne.” “Oh, piacere Louis Jackson!” esclamò ricambiando la stretta “Sì, certo piacere.” gliela strinse forte, facendolo quasi abbassare dal dolore avvicinandosi al suo orecchio “Azzardati a fare un altro commento sul sedere di mia sorella e giuro che ti faccio saltare il tuo. Sono anche più bravo di lei con le armi da fuoco, quindi…” caricò il fucile, facendo sentire il suono dell’ingranaggio “… ci siamo capiti?” “A-assolutamente.” Commentò l’uomo annuendo mentre Breanne guardava divertita la scena. “Chi è quello?” chiese Ardeth “Nessuno, l’ultimo idiota americano con cui ho avuto una relazione. Chissà che diavolo ci fa in Egitto…” “La cosa ti interessa?” le chiese distrattamente, passando ancora la cote sulla lama che brillava alla luce delle lampade “Ehm… no. Però ho un’idea… Jackson, senti… invece di farti massacrare da mio fratello, che è un po’ meno controllato di me, non vorresti giocare a carte così da onorare i vecchi tempi?” “Certamente! Ci sono anche gli altri ragazzi!” “Oh che cosa bella…”. Lo prese per il braccio portandolo via, mentre si girava verso i due sussurrando “Ci vediamo qui tra mezz’ora!”.
Come promesso, mezz’ora dopo la videro tornare giocherellando con un coltello da lancio e una mazzetta di dollari americani “Buona sera a tutti e due!” li salutò prendendo una sedia e sedendosi a cavalcioni verso di loro. Ardeth rimase shockato, mentre Rick la guardò e cominciò a ridere “Sei una dannata O’Connell in tutto e per tutto!!” se la rise mentre gli porgeva soddisfatta la mazzetta consistente “Bè, se vogliono disperatamente giocare a BlackJack con me dato che sanno che a Poker perderebbero sicuramente… hanno capito che cascano male!” gli rispose giocherellando col coltello affilato “Non credo al gioco d’azzardo. Ci si affida solo alla sorte. E molte volte è avversa.” Commentò Ardeth guardandola “Diciamo che la mia non è solo fortuna… ho il mio metodo.” Gli disse sorridendogli soddisfatta. Vide l’espressione negli occhi dell’uomo cambiare repentinamente e lo bloccò arrossendo di botto “Che diamine hai capito? Conto le carte! È una cosa difficile, ma basta non farsi beccare.” Poi finì facendo spallucce “E soprattutto… chi mai penserebbe che una donna potrebbe fare una cosa simile quando solo pochi uomini sulla terra possono farla?”.

Era la notte del quarto giorno e come al solito era tormentata dal sogno. Riaprì gli occhi di scatto, sentendo mancare l’aria, scattando a sedere, annaspando. In completo panico scese dal letto, fiondandosi fuori dalla stanza per prendere più aria possibile. Non voleva rimanere al buio. Aveva bisogno di luce. Aveva bisogno d’aria. Si appoggiò alla ringhiera oltre la quale la riva era illuminata dalla luce della luna. L’aria fresca le riempì i polmoni. A quell’ora della notte quasi tutte le luci della nave erano state spente, tranne una sul ponte. In camicia da notte e capelli sciolti si diresse verso la luce più vicina, sedendosi al tavolo, mettendosi il viso tra le mani. Voleva stare da sola, ma tutta quell’oscurità, di cui non era mai stata intimorita, ora le procurava ansia. “Come mai sei qui fuori da sola?” chiese la voce calda del medjai. Breanne si girò di scatto scattando in piedi.
La luce della luna brillava sul canneto. Erano scappati fuori dal palazzo, lui la continuava a zittire amorevolmente per impedirle di sghignazzare, altrimenti li avrebbero sentiti. Ogni volta che la vedeva comportarsi in quella maniera così contrastante al modo in cui la vedeva il popolo veniva sopraffatto. Sotto la maschera di Alta Sacerdotessa era una ragazza triste, sola, e gli unici che riuscivano a strapparle una risata si potevano contare sulle dita di una mano. Si riteneva fortunato ad essere uno di quelli. La portò in mezzo al canneto, fuori da occhi indiscreti. Lei sarebbe dovuta rimanere pura, suo padre non avrebbe mai permesso a nessuno di avvicinarsi e ora proprio lui che era la persona a cui era stata data la protezione della sua persona, si era innamorato di lei. Lei lo stava guardando con quegli occhi profondi, che stranamente al contrario della moltitudine, avevano lo stesso colore verdeazzurro del fiume. La vide sorridere e alzarsi in punta di piedi, prendendogli il viso tra le mani. Appoggiò delicatamente le mani sugli avambracci di lei, accarezzandole la pelle liscia, ricambiando il sorriso. “Amunet, io…” lo zittì, appoggiandogli un dito sulle labbra “Sshh, non c’è bisogno di parlare.” Abbassò il viso verso di lei, unendo le labbra alle sue.
La vertigine la colse in pieno e lo vide scattare verso di lei, prendendola tra le braccia prima che crollasse irrimediabilmente a terra “Sto bene. Sto bene, non preoccuparti!” lo tranquillizzò mentre la riportava in piedi. “Non puoi svenire ogni volta che mi vedi però… altrimenti potrei pensare che ti faccia un certo effetto.” Le disse sorridendo “Ardeth Bay che fa una battuta?? Cerchiamo di non far scendere le dieci piaghe d’Egitto!” gli rispose ridendo, mentre rimaneva abbracciata a lui. “È tutto a posto?” le chiese tornando serio mentre le accarezzava la fronte, scostandole i capelli biondi dal viso “No… non riesco a stare in camera al buio. È un’idiozia, ma ho paura…” gli confessò abbassando lo sguardo. “Non dovrai mai avere paura, finché ci sarò io a proteggerti.” Degli spari, delle urla e puzza di bruciato. I due si guardarono preoccupati, correndo verso la cabina degli O’Connell.

 


Salve a tutti! :) ed ecco che finalmente comincia l'azione!!
Spero sinceramente che possa piacervi e magari di leggere qualche vostro parere! (negativo, positivo va benissimo tutto! Anche un "Lalli, sto capitolo fa SCHIFO!!!!", lanciatemi pomodori in caso u_u)
Buona lettura e un bacione a tutti :3 Lalli

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Capitolo 5
*** -Capitolo 4- ***


−CAPITOLO 4−


Rick era già fuori, il fucile in mano e aveva appena sparato sotto i piedi di uno facendolo volare nelle acque scure. Breanne si precipitò nella sua stanza vestendosi in una velocità mai sperimentata prima, uscendo poco dopo con in mano il fucile unendosi ad Ardeth e Rick “Che diavolo sta succedendo?” sbraitò il fratello prendendo la mira e facendole volare un altro “Non ne ho la minima idea Rick!” esclamò Breanne prendendo la mira colpendone uno che stava venendo verso di loro. Ad un certo punto si sentì percorsa da un brivido lungo la schiena: freddo, ombra… “Sono qui per me.” Decretò immobilizzandosi “Chissà come mai la cosa non mi stupisce!!”. Si sentì l’urlo di Evelyn “Lascia stare mio figlio!!”. Breanne si girò “ALEX!” solo che fu fermata da Rick “Tu rimani qui con lui. Vado io!!”. Si misero schiena a schiena, coprendosi le spalle a vicenda. Sulla nave c’erano uomini ovunque. Molti di quelli che stavano attaccando erano passeggeri che in tre giorni di navigazione aveva visto più volte. Caricò nuovamente il fucile prendendone in pieno uno che stava per saltare dal tetto. “Non male per una donna!” esclamò Ardeth in mezzo al macello, mentre con poche mosse con la sciabola faceva volare nel fiume un uomo “Non male per un Medjai!” gli rispose sorridendogli tirando un pugno in pieno volto ad uno che si mise entrambe le mani sul naso sanguinolento e dopo un colpo in pieno stomaco col calcio del fucile fu facile da far finire nel Nilo. “Devo andarmene da questa nave. Non posso mettere in pericolo la vita di tutti!” gli disse sparando ad uno “E io ti seguirò! Non ti devo lasciare da sola.” Le urlò di rimando, impegnato nella lotta. Si voltò verso di lui “Ti lascio due secondi, vado da Rick!”. Corse facendosi strada arrivando dall’altra parte del ponte, trovando Alex in piedi su una pila di casse che dava fastidio a molti con la cerbottana che gli aveva regalato, avendo trovato delle munizioni in giro per la barca, Evelyn e Rick erano impegnati a mettere fuori combattimento altri. Si avvicinò alla cognata cominciando a darle manforte “Evie! Dobbiamo andarcene da qui!” “Come?” “Come avete fatto un volta! Dobbiamo buttarci nel Nilo!!!” “Ok!! Ci troviamo sulla sponda del fiume!!”.
Tornò dall’uomo trovandolo circondato. Da lontano col fucile ne fece fuori un paio, liberandolo “Non è possibile, ti lascio solo meno di cinque minuti e già hai bisogno di me?”. Lo vide girarsi verso di lei e il sorriso sulle sue labbra svanì. Si trovò una lama alla gola e una voce suadente che conosceva molto bene le parlò all’orecchio “Ora, tesoro, lasci giù il fucile e vieni con me.” Tenne il respiro regolare, cercando di non buttare all’aria il piano che aveva in mente. Lasciò cadere a terra lentamente il fucile evitando che partisse un colpo che avrebbe potuto colpire Ardeth e si rialzò lentamente “Jackson, sei un figlio di puttana.” Gli sibilò contro mentre la teneva a sé “Oh beh, sono solo punti di vista. Ora tu vieni con me… ma solo dopo che i miei uomini hanno ammazzato il tuo amichetto e la tua famiglia davanti ai tuoi occhi.” “Non ti azzardare a torcere un capello a nessuno di loro.” “Oh, invece credo che lo farò.” “Tu credi?” gli ringhiò contro. Con velocità gli diede una gomitata alla bocca dello stomaco che lo fece piegare, gli pestò l’alluce con forza, un pugno sul naso e una gomitata diritta nell’inguine. Il tutto lo mise fuori gioco, riuscendo così a tirargli via di mano il coltello e ad atterrarlo con un pugno diritto allo zigomo, mentre Ardeth atterrava i quattro uomini che cercavano di tenerlo fermo. Breanne prese il coltello e la pistola dell’uomo, controllando che fosse carica. “Grazie Jackson. Almeno adesso sei servito a qualcosa.” Gli diede un buffetto sulla guancia mentre era svenuto urlando “RICK! EVIE! ALEX!! CI VEDIAMO SULLA SPONDA!!”. Ardeth le prese la mano e insieme si gettarono nel Nilo nuotando verso la riva. L’acqua li accolse. Si tuffarono proprio nel momento in cui i coccodrilli entravano in acqua per fare una colazione anticipata. Si mossero lentamente e con calma, vedendo poi gli enormi animali passare oltre senza nemmeno degnarli di uno sguardo “Oh grazie Sobek…” si trovò a dire Breanne arrivando a riva, arrancando sulla sabbia. “Cominciamo a ringraziare antiche divinità?” le disse Ardeth, anche lui il respiro pesante, seduto sulla sabbia “Bè, se ci hanno salvato le chiappe facendo sì che quei coccodrilli ci ignorassero completamente potrei tranquillamente ringraziarli ogni tanto!” gli disse facendolo ridacchiare. Cominciò a ridacchiare anche lei per poi scoppiare in una risata liberatrice rotolandosi a terra “Ssh! Potrebbero sentirci!” la riprese Ardeth alzandosi in piedi e tendendole la mano per aiutarla. Un proiettile lo raggiunse in piena gamba, facendolo accasciare a terra dolorante “ARDETH!!” prese il coltello che aveva rubato a Jackson e, di lama, lo lanciò verso l’uomo sulla sponda, prendendolo in pieno petto. Riprese il coltello e gli prese la pistola correndo verso l’uomo “Ardeth! Ti prego guardami!!” gli disse prendendogli il viso tra le mani “Non sto svenendo, tranquilla… hai una bella mira.” “Tutto merito di Rick… dobbiamo trovare un mezzo di trasporto. Devo portare da qualche parte per curarti.” Si sentì chiamare in lontananza e riconoscendo la voce rispose a piena voce “RICHARD!” La nave nel frattempo era andata avanti e riuscì a capire da dove provenisse la voce. Rick, Evelyn e Alex erano in salvo e al sicuro… sulla sponda opposta. “Ci vedremo ad Abu Simbel! Siamo quasi ad Aswan!” gli urlò di rimando “Siete sicuri?” “Ce la caveremo! Vediamoci ad Abu Simbel! Troveremo il modo di comunicare!” Rick la guardò “Breanne! Ho intenzione di rivederti intera, ok?” la preoccupazione del fratello, nonostante a volte si comportasse come se non gli importasse, le fece quasi venire le lacrime agli occhi “Anche voi! Ci vediamo là!”.
Si rivoltò verso l’uomo che cercava di rialzarsi inutilmente e gli corse incontro “No, non muoverti… è peggio se fai così.” “Lo so, ma devo chiamarlo…” le rispose dolorante per poi fare un fischio. Pochi secondi dopo si sentirono degli zoccoli, e un meraviglioso cavallo nero arrivò sulla spiaggia “È… il tuo cavallo?” chiese lei sconvolta. “Esatto, ci ha seguiti per tutto il viaggio… è un animale intelligente…” commentò accarezzandogli il muso mentre si abbassava su di lui. “Aiutami ad alzarmi. Ci condurrà alla prima oasi.” “No, caro mio, prima devo occuparmi della tua ferita. Hai una pallottola nella coscia se non te lo ricordi!” gli disse Breanne tenendolo a terra con un una mano pressata sul petto. “Non-” “Non accetto proteste. Prima ti curo la gamba- Ardeth… sanguini anche qui…” disse preoccupata sentendo il liquido caldo sulla casacca. “C’è una ferita in più.” le confessò guardandola negli occhi “E avevi intenzione di tenermela nascosta?”. Si alzò in piedi e cominciò a sfilare la camicia dall’interno dei pantaloni “Che cosa stai facendo?” le chiese sconvolto “Credo che questa parte di camicia sia l’ultima cosa pulita – anche se dannatamente bagnata – che ci sia disponibile in questo momento! Quindi accontentati e tieni a freno la tua pudicizia nei confronti delle donne.” Dalla camicia si strappò un lembo lungo dal fondo e gli circondò il petto, mentre per la gamba cercò di fermare la fuoriuscita di sangue “Usa il coltello.” Le disse prendendole la mano “N-Non posso. Non è sterilizzato e potrebbe causare un’infezione.” Gli disse scuotendo la testa, ma il medjai strinse la presa “Breanne, devi farlo. È l’unico modo per togliermi il proiettile. O lo fai tu, o lo farò da solo.” La donna sospirò “Non ho nulla con cui anestetizzare la ferita, e nemmeno per disinfettarla “Lo so. Ma devi farlo, o tener dentro la pallottola sarà ancora peggio.” Breanne annuì, sfilandosi la cintura di pelle, dandogliela in mano “Tieni e mettitela tra i denti. Farà male.” “Ho sopportato di peggio.” “Un’operazione chirurgica alla luce della luna senza nemmeno del fuoco. Grazie a chiunque abbia pianificato questa dannata situazione! Davvero. Grazie!” commentò con tono sarcastico mettendosi seduta di fianco alla coscia dell’uomo che si mise la cintura tra i denti. “Cercherò di farla durare il meno possibile, ok?” gli disse passandogli una mano sulla fronte, tirandogli via i capelli, vedendolo annuire. Respirò profondamente e avvicinò lentamente la lama alla carne e non appena la toccò l’uomo cominciò ad urlare facendo spaventare Breanne che esclamò quasi perdendo il coltello di mano “Scusa!!!!” ma vide Ardeth ridere di cuore “Scusami, non ho resistito!” “SEI UN CRETINO!!!!” gli sbraitò contro “SE TI AZZARDI A FARLO UN’ALTRA VOLTA LA PALLOTTOLA TE LA ESTRAI DA SOLO, CI SIAMO CAPITI?!” “Ok, non arrabbiarti! Non lo faccio più.” le promise sorridendo “Dannato Medjai… una persona si preoccupa e lui fa scherzi stupidi. Si presume che siano persone serie, no? E l’unico che si diverte a fare scherzi stupidi chi lo trova? Io!”. Si riconcentrò e riavvicinò la lama alla ferita. Gli lanciò un’occhiataccia prima di riappoggiare la lama sulla ferita. L’uomo trattenne il respiro mentre sentiva il metallo scorrere. Strinse i denti sulla cintura e cercò di mantenere regolare il respiro. “Cerco di fare il meglio possibile… manca poco Ardeth…” la sentì parlare. La sua voce sortiva un effetto calmante su di lui. Sentì la sua mano tremante appoggiarsi sulla sua. La voltò e gliela strinse di rimando. Chiuse gli occhi e fu portato indietro, molto indietro…
Era in preda alla febbre, lo vedeva… era pallido, febbricitante e la ferita alla gamba non aveva ancora un bell’aspetto nonostante fosse il terzo giorno che gli disinfettava continuamente il taglio. Gli pulì la ferita con un panno pulito inzuppato in acqua e aloe. Lo vide aprire di scatto gli occhi alzandosi di scatto facendola quasi spaventare, ma doveva mantenere comunque un certo contegno. Lo fece sdraiare nuovamente, calmandolo “Non preoccuparti, ci sono io qui…” gli disse calma, appoggiandogli una mano al petto per farlo sdraiare. Tutto il corpo era ricoperto da un velo di sudore prodotto dalla febbre. Con un panno inzuppato d’acqua pulita lo rinfrescò. Tremava come una foglia. Preparò l’impasto con le erbe curative come al solito, modificandolo appena per vedere se le cose potevano migliorare e ricoprì la ferita, fasciandola col lino pulito. Gli accarezzò il viso, mentre gli appoggiava sulla fronte un panno inzuppato e cominciò a cantare…
Il dolore gli fece spalancare gli occhi. Strinse la cintura tra i denti più che poteva: la punta del coltello si stava facendo strada tra la carne e il metallo “Ce la facciamo, Ardeth… ci sono quasi!” gli disse tranquillizzandolo mentre lentamente e con attenzione estraeva la pallottola sorridendo quando la prese in mano, al sicuro da una possibile ricaduta nella ferita. Cercò di tamponare la ferita il meglio possibile e gli fasciò la gamba. Ardeth lasciò andare la cintura, il segno dell’arcata evidente sulla pelle. Breanne se la rinfilò senza molte cerimonie e si inginocchiò dietro di lui, alzandogli la testa e appoggiandola sulle sue gambe. Lo sentì rilassarsi mentre gli accarezzava i capelli e la guancia libera da barba fino alla linea della mascella. “Quando te la senti saliamo a cavallo, ok?” gli disse con calma. La mano di lui raggiunse la sua, intrecciando le dita con le sue “Hai… hai visto anche tu, prima?” “Cosa?” “Mentre mi stavi estraendo il proiettile è come se avessi avuto una visione di una situazione simile. Non l’hai vista anche tu?” “No, purtroppo no. Ma ne ho avute altre in altri momenti… come prima sul ponte, quando hai fatto la battuta sul fatto che ogni volta che ti vedo mi cedono le ginocchia.” Gli disse sorridendo vedendolo sorridere a sua volta. Aveva gli occhi chiusi e sembrava si stesse godendo ogni singola carezza che stava ricevendo. Rimasero così per un po’ nel silenzio totale. Il suono del fiume, il vento tra il canneto, il respiro del cavallo. “Ok, possiamo andare.” Decretò dopo un tempo che le parve infinito. “Sicuro?” “Sì, non possiamo stare qui troppo. Saranno sicuramente già sulle nostre tracce. E dobbiamo essere ad Abu Simbel in tempo.” “In tempo per cos- Ardeth, dannazione, reggiti a me!” “Ce la faccio da-ah!” si lamentò mentre appoggiava la gamba a terra, zoppicando verso il cavallo. Breanne si mise una mano in faccia, sospirando “Ecco perché tu e mio fratello andate così tanto d’accordo. Siete due testoni della stessa categoria. Forza, monta con la gamba buona. E non rompere. Conduco io. Tu devi già stare attento a reggerti in sella.” Gli disse mentre aiutava l’uomo a salire a cavallo. “Non ci pensare nemmeno. Cavallo mio, conduco io.” Le disse tenendosi alle redini. Da terra la donna lo guardò con espressione di sfida, incrociando le braccia. “Uomo delle caverne, fammi spazio.” “No.” Decretò spostandosi avanti (dolorante) sulla sella. Breanne andò verso il muso del cavallo, accarezzandolo “Tu lo sai che tra poco anche se il tuo padrone rogna ti condurrò io, vero?” “Smettila e monta a cavallo.” Le ordinò mettendosi una mano in faccia. Breanne montò a cavallo dietro di lui “Reggiti.” Si abbassò verso il cavallo sussurrandogli qualcosa all’orecchio, partendo poi veloci come il vento, dirigendosi verso il deserto.

Il caldo era torrido, secco. Le riserve d’acqua li stavano abbandonando. Il cavallo oramai abituato continuava imperterrito la strada, come se sapesse cosa fare e dove andare. Per lei tutto era uguale. Avevano passato il deserto roccioso e ora si stavano dirigendo verso le dune sabbiose del Sahara. Era ancora dietro ad Ardeth, ma teneva lei le redini del cavallo. L’uomo alla fine del primo giorno di viaggio aveva cominciato ad accusare i primi sintomi della febbre. La gamba scottava e sapeva che era tutta colpa dell’estrazione della pallottola in quelle condizioni precarie e senza disinfettante a portata di mano. Ora, al terzo giorno di viaggio, la pelle scottava e tremava di febbre. Lo teneva appoggiato a sé così da evitare che potesse cadere dalla sella, ed essendo debole anche lei sostenere una persona quasi a peso morto era una faticaccia. Il cavallo continuò ad andare avanti imperterrito, ma anche lui cominciava a dare segni di stanchezza. Scese da cavallo, facendo sì che l’uomo stesse sopra, appoggiato all’animale. Gli tenne le redini, camminandogli a fianco, seguendolo. Non aveva la minima idea di dove stesse andando. Se doveva basarsi sulle sue conoscenze del deserto per lei erano nel bel mezzo del nulla. Prese la borraccia alla richiesta di acqua dell’uomo che, sbilanciandosi, cadde a terra. Breanne si accasciò vicino a lui, alzandogli la testa e appoggiandola sulle sue gambe per tenergliela alzata. Guardò il cielo: le nuvole si stavano avvicinando, in lontananza scorgeva giallo. Significava solo una cosa. Aprì la borraccia e gli fece bere gli ultimi sorsi d’acqua rimasti. “Ardeth, forza, devi risalire a cavallo. Dobbiamo continuare.” Disse facendo coraggio più a sé stessa che a lui. “No, Breanne… non ce la faccio. Lasciami qui e continua tu.” Le disse in un momento di lucidità “Non pensarci nemmeno. Tu vieni con me. Fino alla fine.” Gli disse prendendolo sotto le ascelle tirandolo quasi su a sedere, sempre appoggiandolo al suo corpo “Breanne, non raccontarti bugie… la ferita è infettata” “Ardeth, smettila.” Il nodo in gola era alle soglie “E non so per quanto ne avremo ancora.” “Smettila.” “Lasciami qui…” “Smettila di dire cretinate! Abbiamo cominciato questo viaggio insieme e lo finiremo insieme. E se tu ti azzardi a morire recupero il Libro di Anubi e ti riporto in vita solo per farti fuori con le mie mani!” lo minacciò, gli occhi gonfi, il panico che avanzava. Dovevano trovare un rifugio alla tempesta il prima possibile. Ardeth allungò la mano verso la sua guancia, asciugandole la lacrima che le rigava il viso creando un solco tra la polvere che le ricopriva il viso. Quegli occhi meravigliosi in cui si sarebbe perso a guardare continuamente se solo non fosse stato colui che doveva proteggerla. Il suo dovere era quello. Non poteva lasciarsi andare a certe cose. Ma stava per morire. Cosa poteva importargli? Continuò a sostenere lo sguardo di lei allungando la mano arrivando alla sua nuca, portandola delicatamente verso il suo volto appoggiando le labbra su quelle di lei. Sentì il suo respiro bloccarsi per un secondo, poi il battito cardiaco aveva cominciato ad accelerare. La mano fresca di lei sulla sua pelle calda fu quasi un toccasana. “Ardeth…” sussurrò il suo nome a pelo delle sue labbra. La guardò un’ultima volta, sorridendole, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi andare, smettendo di combattere. Breanne lasciò andare il fiume di lacrime che stava minacciando di rompere gli argini da un po’. “No. No. Ardeth no! ARDETH!!!!” lo scosse, ma non provenne nessun lamento dall’uomo. Il panico aveva preso possesso del suo corpo, facendo sì che non si ricordasse più della tempesta di sabbia che minacciava avanzando rapidamente. L’abbracciò singhiozzante: era ancora bollente di febbre, ma non aveva reazioni. Alzò lo sguardo. La tempesta era vicina e non c’era più tempo per nascondersi. Enormi nubi di sabbia si avvicinavano senza sosta e tra poco tutti e tre ne sarebbero stati inghiottiti. Dal nulla sentì nitrire dei cavalli "Molto simpatiche, visioni… molto simpatiche" pensò scuotendo la testa, il vento che si faceva forte. Non beveva da quasi un giorno, e non mangiava da più. le visioni nel deserto non erano poco frequenti a chi era in quelle condizioni. Si sentì debole e chiuse gli occhi. Voleva dormire… solo un po’. Percepì un’ombra. Sentì qualcuno che le portava via il corpo di Ardeth dall’abbraccio e che la sollevava da terra. Aprì gli occhi e due occhi azzurro cielo la fissavano. Fu l’ultima cosa che vide prima che tutto diventasse nero.
 


Buongiorno a tutti :) finalmente arrivo col 4^ capitolo! Mi scuso ufficialmente (me la sto facendo in ginocchio con la cenere in testa fino a Canossa) per il ritardo, ma ho avuto un periodo abbastanza pieno e tra il lavoro e gli impegni personali ho avuto davvero poco tempo per mettermi a scrivere! MA sono tornata a tormentarvi e la cosa mi rende taaaaaanto felice *MWAHAHAHAHAHA* mini-me? A cuccia!
Cooooomunque! Lo so che Ardeth Bay è forse il personaggio più serio della mummia, ma ho alterato leggermente il carattere dandogli la capacità di scherzare (anche se effettivamente in La Mummia 2 sdrammatizza il fatto che sia mezzo squartato con una battuta sui dubledecked di Londra...)
Un bacione enorme a tutti voi che leggete e sopportate i miei sproloqui <3
Ciao, Lalli :3

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Capitolo 6
*** -Capitolo 5- ***


−CAPITOLO 5−


Sognò di epoche lontane, di una vita che non era la sua. Sognò di fughe in cavallo, di promesse. Sognò una vita che doveva essere stata la sua… avventure, notti insonni in orfanotrofio, la felicità di una famiglia, il viso di un bambino che le assomigliava tanto. “Rick… Alex… Evie…” Sognò di un battello sul Nilo, di visioni, un uomo, vestito di nero, la proteggeva e doveva proteggerla… “Ardeth…” La febbre, il viaggio nel deserto, la tempesta di sabbia e un bacio. Il suo sorriso prima di chiudere gli occhi e smettere di lottare. Il panico, il dolore e quando sembrava dovesse essere la fine, due occhi azzurri. “ARDETH!!!!!!” urlò aprendo gli occhi di scatto e mettendosi a sedere. Una donna con un velo indaco sui capelli la calmò, pronunciando parole che non comprendeva. Si ritrovò nel fresco dell’ombra di una tenda di nomadi. Probabilmente quella era la zona adibita alle donne dato che oltre alla donna al suo fianco ce n’erano altre che la guardavano incuriosite. La donna, una signora molto anziana col viso solcato dalle rughe dell’età le sorrise con affetto e la fece sdraiare nuovamente sul giaciglio morbido formato da cuscini e coperte. Guardando le loro vesti colorate e alcuni accenni del loro modo di apparire capì di trovarsi in una tenda Tuareg. Una donna che se ne stava dietro con le altre, vedendo la sua espressione, avanzò sorridendole. Era meravigliosa. La pelle lievemente scura, il viso un ovale quasi perfetto, le labbra carnose e aveva un simbolo tribale disegnato sopra al naso con l’ocra rossa. Aveva un turbante sulla testa e i capelli sembravano acconciati in lunghe treccine. Ma quello che la colpì di più furono gli occhi: intensi, intelligenti, profondi e azzurri. “Mia madre dice che devi riposarti. Non parla inglese, parla solo arabo. Però io lo parlo un po’.” Le disse con una parlata fluente “Grazie… a tutte voi. Dove mi trovo?” le chiese puntellandosi sui gomiti, mentre la donna anziana continuava a farle gesti di star sdraiata “Sei all’oasi di Saf. Fortunatamente siamo riusciti a trovarvi e a portarvi in salvo prima che imperversasse la tempesta… e se vuoi un consiglio di conviene darle retta!” finì ridendo mentre Breanne si stendeva nuovamente sui cuscini. A quando sembrava le avevano tolto i vestiti che aveva indosso prima e ora indossava una tunica blu notte ricamata, a maniche lunghe e lunga fino ai piedi. “Il mio nome è Ijja e lei è mia madre Hennu.” “Piacere, Breanne. Cos’è successo? Mi ricordo la tempesta di sabbia, mi ricordo che ad un certo punto ho chiuso gli occhi e mi ricordo che mi sono sentita sollevare… e degli occhi azzurri.” Mentre parlava Hennu la stava esaminando. Le aveva tirato su il braccio, esaminandone la pelle, le aveva preso il viso tra le mani, guardandole gli occhi, le orecchie e ad un certo punto la vide spalancare la bocca e capì che doveva farlo anche lei. La fece sedere e dopo averle fatto segno di fare respiri profondi le appoggiò l’orecchio alla schiena. “Sta controllando che nulla abbia interferito coi tuoi polmoni nel deserto.” Le spiegò Ijja mentre prendeva un panno bagnato e glielo passava sugli occhi “Avete scampato la tempesta per poco, ma avete passato giorni nel Sahara. Avete schivato l’Ombra per poco.” La vecchia fulminò la più giovane, tirandole una sberla sul braccio e dicendole qualcosa in arabo “Comunque vi spiegheranno tutto non appena vi sarete ristabiliti.” “Ci? Significa che Ardeth non è morto?” chiese sollevata da un peso che la opprimeva. Hennu la guardò sorridente, commentando qualcosa che non capì, ma che Ijja non le tradusse. “Esatto. Ora sta bene, ma sta ancora riposando.” Breanne si alzò lentamente in piedi su tacito ordine della donna che, sempre seduta a terra, le alzò la veste toccandole i muscoli delle gambe. “E la ferita?” “Mia madre ha fatto del suo meglio e l’ha curata con ogni mezzo a sua disposizione. Ora è pulita e il tuo compagno non ha più la febbre da due giorni.” Arrossì di botto “N-Non è il mio compagno! O meglio, è il mio compagno di viaggio, ma non il mio… compagno compagno!” balbettò facendo ridere le donne presenti. “Non hanno mai visto una donna dalla pelle pallida arrossire.” le spiegò Ijja “Dicono che fa un effetto strano.” Breanne tossì per schiarirsi la gola, nascondendo un sorriso. Alla fine Hennu decretò che poteva mangiare cibo solido, ma che avrebbe dovuto mangiare tutto quello che le mettevano davanti per rimettersi in forze… nonostante lo stomaco chiuso non appena arrivò il piatto col cibo lo sentì brontolare. Pranzò in compagnia delle donne nella tenda, parlando con tutte attraverso la traduzione di Ijja. Attraverso i colori del velo che ricopriva loro la testa riconobbe che erano tutte all’incirca della stessa casta: indossavano tutte dei veli neri, tranne Hennu e Ijja, che li indossavano indaco. Le raccontarono aneddoti della loro famiglia, di come erano giunti oramai da qualche mese in quell’oasi. Di fatti buffi accaduti recentemente e vide addirittura Hennu ridere imbarazzata quando una ragazza raccontò di quanto fosse stata bella in gioventù e che durante l’agal, la corte d’amore, tutti gli uomini avrebbero voluto corteggiare lei, ma solo uno – il suo defunto marito – era riuscito ad avere la meglio.
La lasciarono riposare ancora, evitando che potesse uscire di sua spontanea volontà tenendola sempre sotto sorveglianza. Quando sentì che il sole cominciava a calare chiese se poteva lavarsi all’oasi. Ijja arrivò e l’accompagnò in un punto in cui nessun uomo potesse rischiare di vederla. Dall’altra parte del laghetto principale c’era una piccola cascata dove delle madri stavano disperatamente cercando di tener ferme delle bambine che si rincorrevano giocando. Mentre le teneva la veste colorata Breanne guardò la ragazza “Senti, quando riuscirò a vedere Ardeth?” “Devo chiedere a mia madre. È lei la matriarca della nostra tribù.” “L’avevo intuito. Ijja, posso farti una domanda?” “Certamente!” “Scusa l’indelicatezza… ma come fa Hennu ad essere tua madre?” La ragazza sorrise “Non è la mia madre naturale. La mia è morta dandomi alla luce, come molte delle donne del nostro popolo, e quando succede un’altra donna accoglie il neonato nella sua famiglia. A quanto mi racconta era molto affezionata a mia madre e quando morì decise di adottarmi nonostante non fosse più giovanissima. Ti stupirebbe sapere che non ha così tanti anni quanti gliene daresti!” le disse la ragazza ridendo “Quanti anni ha?” le chiese sconvolta “Chiediglielo tu stasera. Credo organizzeranno qualcosa!”.
Quando tornò vestita e coi capelli sciolti ancora un po’ bagnati nel mezzo dell’agglomerato di tende colorate stava scherzando con Ijja “Davvero?” le chiese la ragazza ridendo della grossa, mentre lei giocando con la stoffa indaco che le aveva dato, le raccontava qualche aneddoto di avventure con l’universo maschile “Giuro!! Come se una donna solo perché le vai davanti dicendole ‘Ehy, piccola, sono io quello che cerchi!’ te la possa dare via a caso! Fidati, stai bene in mezzo ai tuareg! Certi uomini è meglio perderli che trova-” si bloccò. Voltando il viso verso la direzione in cui stavano andando vide la persona che a quanto raccontavano aveva sognato di più in tutti i giorni che era stata senza conoscenza. Ardeth era in piedi, vestito anche lui con degli abiti puliti ma neri per sottolineare il suo stato di Medjai, che parlava con un uomo dal viso coperto da un velo indaco. Anche lui la notò e si bloccò mentre parlava. “Ijja, senti, posso usare questa stoffa come oggetto contundente o offendo qualcuno?” le chiese sentendo montare la rabbia dopo che il sollievo di vederlo sveglio e in piedi per poco non le fece venire un ennesimo groppo in gola “Facciamo che questo lo prendo in mano io e te lo ridò stasera, ok?” le rispose capendone le intenzioni, prendendole la stoffa che sarebbe servita a coprirsi la testa dalle mani “Ok. Ora perdonami, ma devo far fuori qualcuno.” Ardeth la vide camminare verso di sé e le sorrise, per poi vederla bloccarsi, assumere un’aria alquanto adirata, girare sui tacchi e allontanarsi a passo sostenuto. La seguì fino al laghetto dell’oasi, lontano dagli occhi di tutti. “Breanne…” la chiamò con il suo tono caldo e calmo. Si voltò verso di lui, gli occhi che se solo avessero potuto avrebbero lanciato fiamme. “Tu. Dannato. Ardeth. Bay!” esclamò lanciandogli contro la sabbia ad ogni parola che diceva “Ehy, ma che ti succede?” le chiese facendola bloccare “Che mi succede? CHE MI SUCCEDE? Dio quanto mi fai arrabbiare!!!” esclamò fulminandolo gettando le braccia al cielo in un moto di stizza facendogli trattenere un sorriso “Ma cosa ho fatto??” “Bah, per esempio mi hai convinta ad estrarti una pallottola in condizioni di igiene nulle e senza disinfettante!” “Se tu non l’avessi fatto sarebbe stato peggio.” Le disse tornando serio “Ma forse la ferita non si sarebbe infettata, tu non ti saresti preso quella dannata febbre, quel povero cavallo non avrebbe dovuto vagare a vuoto per giorni e tu non saresti arrivato sul punto di- ARGH! Ti prenderei a schiaffi!” elencando tutto si era avvicinata a lui puntandogli l’indice sul petto per poi allontanarsi nuovamente. Ardeth la seguì vedendola bloccarsi e voltarsi di scatto tentando di tirargli un manrovescio. La bloccò afferrandole il polso e bloccandole anche l’altro quando tentò una seconda volta poi tirandola a sé, fermandola per le spalle “Non sentirti in colpa per quello che è successo, Breanne… ora è tutto a posto, la gamba è guarita, io mi reggo in piedi…” si schiarì la voce tradendo un filo d’emozione in quello che stava per dire “… e tu sei ancora più bella del primo giorno che ti ho vista.” “Ardeth, la prima volta che mi hai vista ero nuda come un neonato.” Gli ricordò incrociando le braccia, tentando di non cedere a quegli occhi profondi che la stavano guardando con intensità. “E poi non puoi pensare di baciare una donna prima di morire! Dannazione, hai idea del panico che mi è salito quando hai chiuso gli occhi?!” tentò di divincolarsi dalla presa di lui ma lei sue mani arrivarono fino al suo viso “Mi dispiace.” “Mi stai chiedendo scusa per avermi baciata?” tentò di tenere a bada le farfalle nello stomaco “Sarebbe la prima volta che mi capita, normalmente spariscono e basta ma solo dopo avermi portata a letto.” Ardeth le sorrise, abbassando lo sguardo mentre ridacchiava, facendo ridere pure lei che sciolse le braccia raggiungendo la tunica, stringendogliela tra i pugni “Non azzardarti più a fare una cosa simile, ci siamo capiti? Altrimenti recupero davvero il Libro di Anubi e poi sono fattacci tuoi.” Gli ribadì la minaccia alzando lo sguardo, sentendo le guance arrossarsi senza che potesse far qualcosa. La guardò e sorrise “Breanne O’Connell, non puoi avere certe reazioni ogni volta che mi vedi, o potrei cominciare a pensare di farti un certo effetto.” “Sta’ zitto e baciami, medjai.” Gli disse prima che lui abbassasse definitivamente il viso su di lei, dandole un bacio che si sarebbe dimenticata molto difficilmente.

Quella sera tutta la grande famiglia si era riunita attorno al fuoco, dividendosi il cibo, raccontandosi storie. Le donne avevano portato un regalo per Breanne: due doni d’argento – il metallo che rappresentava la luce della luna - che le dissero di non togliere mai. Il primo era la croce di Agadéz, che le spiegarono essere una reminiscenza dell’ankh, e il grigri, un amuleto portafortuna di pelle e argento. Ijja le si sedette di fianco, sistemandole poi il velo sui capelli “Hai un’espressione diversa da stamattina. L’abbiamo notato tutte. Anche Hennu. Tra te e Ardeth è successo qualcosa?” le chiese sorridendo porgendole un dattero, mentre il suono di più imzad riempiva l’aria. Ringraziò che era calata la notte e che la luce emanata dal fuoco era calda di suo perché arrossì al ricordo del pomeriggio. “C’è stato solo un bacio, nulla di scandaloso… a parte il modo in cui l’ha fatto. E meno male che è un medjai.” Commentò guardando al di là della fiamma dove l’uomo parlava con la stessa persona del pomeriggio. “Bè, non hanno doveri strani come astinenza e celibato… sono solo la discendenza delle antiche guardie del faraone. E lui è davvero un grand’uomo. Sei una donna molto fortunata.” Commentò per poi alzarsi lasciandola sola coi suoi pensieri. Era vero, Ijja aveva ragione. Ardeth Bay era il capo dei Medjai, un uomo valoroso e, anche se non era mai corsa dietro quel tipo di uomo, anche un bell’uomo. Era sicura che lui fosse la reincarnazione di Kosey, oramai l’aveva capito, ma non voleva che i sentimenti di Amunet controllassero i suoi. Lei era Breanne Juliet O’Connell. Non l’involucro  contenente l’anima di una principessa egiziana vissuta quasi 5000 anni prima.
Prima che se ne andasse a dormire la persona a cui stava pensando da tutta la sera le si avvicinò “Mi stanno guardando tutte come se mi volessero incastrare. C’entri qualcosa tu per caso?” “Ho solo detto a Ijja che sei davvero bravo in quello che mi hai dimostrato questo pomeriggio. Ma a quanto pare anche le targhie spettegolano!” gli disse facendo spallucce prima che la prendesse per mano portandola verso le piante di datteri. “Mi sento tornare adolescente quando per far sì che un ragazzino potesse darmi un bacio dovevamo nasconderci da tutti! E soprattutto da Rick.” commentò facendolo ridere prima che tornasse serio “Domani sarà una giornata importante. Avremo un incontro con gli anziani… e ti spiegheranno tutto.” “Con tutto intendi di quello che sta succedendo?” “Esatto.” Appoggiò la fronte al suo petto inspirando profondamente “Ti prego, dimmi che finirà tutto bene.” Ardeth le abbassò il velo, facendoglielo scivolare sulla schiena così da liberarle la testa “Non posso promettertelo, ma farò il possibile per far sì che finisca bene. Te lo giuro.” Le disse baciandole i capelli, stringendola a sé. “È Kosey o è Ardeth che sta parlando?” “Non credo sia lui, ma sono abbastanza sicuro di quello che sento.” Breanne ricambiò l’abbraccio. “Non voglio che la mia vita sia governata da un fantasma del passato. Ho paura che se questa fosse Amunet invece che me alla fine di tutto non potrebbe rimanere nulla.” “Non permetterglielo e ragiona con la tua testa.” “Lo sto facendo da una vita.”
 


("microfono" in mano - in realtà è un barattolo di Vinavil - in piedi sulla scrivania) "CAAAAAAN YOU FEEEEEEEL THE LOOOOOOVE TONIIIIIGHT!" *pssss!! Hai ospiti! Ti stanno leggendo!* "Ah. Ehm..." (tenta di ricomporsi e darsi un contegno - mai avuto).
Saaaaaaalve a tutti :) mi scuso per questa scena pessima ma Elton John non lo si può rifiutare. E soprattutto la pazzia che contraddistingue gli ultimi giorni lavorativi prima delle vacanze natalizie sta cominciando seriamente a farsi sentire... A.I.U.T.O.
COOOOOOOOOOMUNQUE!! Ecco a voi il 5^ capitolo della storia! La storia comincia effettivamente ad entrare nel vivo anche se lo posso definire un capitolo di transizione...
Sono curiosa di sapere che ne pensiate... spero vi piaccia :) al prossimo capitolo e come al solito un enorme bacione a tutti voi! <3
Lalli :3

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Capitolo 7
*** -Capitolo 6- ***


−CAPITOLO 6−


Erano nella tenda principale. Oltre a loro due c’erano anche Ijja ed Hennu, altre donne anziane e si trovarono anche qualche uomo, tra cui l’uomo col velo indaco, dal quale si intravedevano spiccare dalla carnagione scura i due occhi azzurro cielo che aveva visto quel giorno nel deserto. L’uomo le si avvicinò, inchinandosi leggermente “Piacere di incontrarti finalmente. Io sono Mbarek, il gemello di Ijja.” “Piacere mio. Tu… sei quello che ci ha salvati dalla tempesta di sabbia o sbaglio?” “Esatto! Eravamo io e Keffu.” Disse indicando un altro uomo, il volto coperto da un velo nero, “Ma probabilmente ti ricordi solo di me dato che dopo che ti ho caricata a cavallo sei completamente svenuta!” “Mi dispiace!!” commentò mettendosi una mano in faccia facendo ridere Mbarek che si voltò verso Ardeth parlandogli in arabo. Breanne si voltò verso l’uomo con un sopracciglio alzato non comprendendo cosa stessero dicendo. Alla fine le si avvicinò di più sorridendo “Mi ha solo detto che sei davvero come dice sua sorella!” “Ti ha detto che sono un danno?” chiese ricevendo come risposta “No, che sei una sagoma!”.
Si sedettero in cerchio così che tutti potessero guardarsi negli occhi. Hennu era su una pigna di cuscini così che la sua statura minuta non la mettesse in svantaggio. Ijja traduceva per lei. “Sapete tutti perché siamo qui. L’Ombra sta mano a mano acquisendo potere e come in passato vuole che la Luce soccomba. Fortunatamente, abbiamo tra noi la nostra portatrice di Luce. Breanne è la reincarnazione dello spirito di Amunet, colei che parlava con Hathor, che era Hathor. La portatrice di vita, la dea delle Fonti del Nilo, ma anche colei dagli impeti distruttivi. Breanne è già entrata in contatto con l’Ombra. La stanno tentando, ma fortunatamente non sono ancora riusciti a prenderla.” Breanne alzò la mano “Domanda. Chi è l’Ombra?” “È colui che loro chiamano ‘Il Padrone’… è la reincarnazione di colui che era collegato a sua volta con Seth, il dio del Caos.” Rispose Hennu attraverso la voce di Ijja “Tutti quelli che mi hanno contattato continuano a ripetere che questo fantomatico padrone mi aspetta da 5000 anni e durante uno degli ultimi attacchi un essere dell’Ombra mi ha detto che è qualcuno che conosco. Quindi suppongo che fosse qualcuno che Amunet conosceva.” “Esatto. Supponiamo che sia la reincarnazione di Okpara, il consigliere del Faraone al quale sei andata in sposa nella tua vita precedente.” “E perché 5000 anni fa ha tentato di ucciderla? O meglio… l’ha uccisa! Non poteva tenerla in vita?” il ragionamento non aveva senso. Perché cercare di corrompere per passare dalla loro parte quando aveva l’originale sotto mano molto tempo prima? Hennu continuò con la spiegazione senza dar retta alla sua domanda “Bisogna far sì che raggiunga il tempio minore di Abu Simbel senza che la riescano a fermare e a contaminarla. Deve entrare nel tempio ed erigere una barriera prima che l’Ombra possa raggiungerli. Devi rimanere nella sala dell’idolo a pregare la dea, come facevi nel passato, e poi capirai quando sarai tornata alla grandezza di un tempo. Solo allora, sarai in grado di sconfiggere l’Ombra.” “Come diamine faccio a sapere come pregare Hathor?” Breanne stava cominciando a perdere la pazienza: era molto più contenuta di suo fratello, ma nemmeno per lei la pazienza era una virtù della quale era stata dotata. Stavano dando tutti per scontato cose di cui lei non sapeva nulla. Aveva l’impressione che nonostante fosse lei quella che a quanto pare doveva fare la maggior parte del lavoro sporco, in quella tenda era quella che ne sapeva di meno. Ardeth se ne accorse e le strinse la mano. “Non preoccuparti… io sarò lì con te.” Le disse guardandola negli occhi “Lo so, ma lo sai che non voglio che nessuno, men che meno tu, metta a rischio la vita per me. Solo che non ho la minima idea di quello che devo fare…” “Arriveranno anche quei ricordi, non preoccuparti…” le disse Hennu “La fate facile voi.” Commentò cominciando a sentirsi scomoda e a disagio sui cuscini. “Amunet, tu sei la nostra speranza. Se tu cadi, l’Ombra vince e il caos regnerà sulla Terra.” “Mettiamo le cose in chiaro, dato che qui sembra che stiamo facendo confusione. Io non sono Amunet. Sono Breanne, ho una mente separata dalla sua. Siamo due entità differenti!” sbottò, stanca di essere chiamata con un nome che non era il suo. “Sei sicura?”. Nonostante la voce di Ijja non rendesse il tono, l’espressione sul volto di Hennu bastava per farle rendere l’idea del sarcasmo della domanda. “E di grazia, quali sono i possibili scenari finali di questa lotta tra Luce e Ombra?” chiese, il sarcasmo che grondava da ogni parola. Hennu si fece improvvisamente seria “Gli scenari sono solo due: vinci tu o vince lui. E di scenari per il secondo ce ne sono altri due. Il primo è che loro ti convincano in una maniera o nell’altra a passare dalla loro parte trasformandoti in Hathor la distruttrice o, in caso non riuscissero, distruggerti definitivamente.”
Era troppo. Ne aveva abbastanza di tutto e di tutti quelli che erano nella stanza. Si alzò dai cuscini con calma, si inchinò leggermente e in silenzio uscì dalla tenda. Prima camminò piano, poi aumentò la velocità fino a quando non si trovò a correre veloce come non aveva mai fatto. Quando si sentì abbastanza lontana dall’oasi si fermò. Attorno a lei c’era solo roccia e sabbia, l’oasi era sempre a vista d’occhio ma sapeva che nessuno l’avrebbe sentita. Urlò a pieni polmoni. Perché lei? Perché proprio lei? O vinceva, o diventava un’assassina, o non le restava che morire. Erano quelle le tre cose che era destinata a diventare? Tutti gli sforzi di una vita per essere quello che era erano stati soffiati via come sabbia dal vento da poche parole. Carne da macello. Ecco quello che era destinata ad essere. Una marionetta nelle mani di qualcosa più grande di lei. Era in ginocchio, le braccia attorno al suo corpo, piegata su sé stessa. Si sentiva sola al mondo e nessuno avrebbe potuto aiutarla. L’unica persona che avrebbe potuto e dovuto è l’unica che avrebbe voluto che se ne stesse tranquilla e fuori dai guai. Sentì il nitrire di un cavallo e il suono attutito degli zoccoli sulla sabbia. Aspettò che la visione arrivasse, ma non fu così. “Breanne…” si girò di colpo verso di lui, mentre lo vide inginocchiarsi di fianco a lei, stringendola tra le braccia “Non voglio… non voglio farlo!” “Lo so, non è facile…” “E lo so che tu sei così testardo da tentare di difendermi, ma non voglio… non devi rimetterci per causa mia!” La guardò e capì cosa la sua reincarnazione avesse trovato in quella della ragazza: nonostante la facciata forte e sicura, sotto viveva ancora la bambina spaventata da esseri che vedeva al buio e nascondeva una fragilità che in quel momento di pressione la stava spezzando. La tenne stretta a sé, lasciandola sfogare. Sapeva che in quel momento aveva bisogno di lui e non se ne andò, ma rimase con lei come ancora di salvezza a cui aggrapparsi. Le prese il viso tra le mani “Ehy, è tutto a posto?” le chiese con affetto asciugandole le ultime lacrime e scostandole i capelli dal viso “No, ma cosa posso farci?” gli rispose rassegnata al suo destino “Combattere per salvare quello in cui credi e per proteggere quello che ami…” “Bè, allora ti conviene non metterti nei guai. Devo già salvare le chiappe al mondo, non posso salvare anche le tue!” disse facendogli un mezzo sorriso e buttando in campo una dichiarazione mascherata da battuta. Ardeth spalancò gli occhi “Bè, non credevo che l’elenco comprendesse anche me!” “Simpaticone!” l’apostrofò lei tirandogli una leggera sberla sul petto “Finalmente qualcuno sta tornando un’O’Connell!” “Fa’ poco lo spiritoso, posso ancora farti un paiolo così anche se è da ieri sera che non mi-” la zittì con un bacio di quelli che lasciano senza fiato e che azzerano la memoria a breve termine. Gli gettò le braccia al collo alzandosi sulle ginocchia così da essere più alta di lui. “Ti avverto, medjai, se mi baci un’altra volta in questa maniera non rispondo di me stessa.” Gli disse a pelo delle labbra facendolo ridere “Non credere che tu sia da sola in quello che hai appena detto!”.

Quella notte ricominciarono i sogni a cui era ormai abituata, ma al contrario del solito il sogno si trasformò in incubo. Sentiva l’ombra pesare su di lei, come se non potesse muoversi e non potesse scappare. Una voce che non aveva mai sentito la chiamava a sé. Era calma, accattivante, quasi seducente, ma le faceva venire i brividi. Si voltò nell’oscurità, cercando di capire da dove arrivasse quella voce, quando sentì delle mani afferrarla trascinandola in basso verso un’oscurità ancora più pressante. Le mancava il respiro, i polmoni non sembravano più collaborare. Vieni Amunet… la chiamò la voce IO NON SONO AMUNET!! Si ribellò lei divincolandosi dalla presa forte su di lei. Sentì qualcuno che l’afferrava per le braccia “Apri gli occhi!” Lasciatemi stare… lasciatemi stare tutti!! “Breanne, sono io! Svegliati!”.
Non appena avvertì che qualcosa non andava era corso nella tenda della ragazza. La vide agitata che si contorceva, il viso imperlato di sudore. Era lontana da quella tenda, lo sapeva. Qualcosa stava succedendo e non era qualcosa di positivo. A scrollò, afferrandola saldamente per le spalle “Breanne!! Apri gli occhi!”. Non la sentiva. “Breanne, sono io! Svegliati!!”. La ragazza scattò a sedere aprendo gli occhi di scatto mettendosi a sedere per poi accasciarsi nuovamente quasi inerte sui cuscini. Le prese il viso tra le mani e non appena le vide gli occhi sbiancò: spalancati, lattei, la pupilla e l’iride si vedevano appena. La prese in braccio correndo verso la tenda di Hennu. Ijja li accolse “Entrate. Anche mia madre ha avvertito qualcosa.” Hennu lo guardò preoccupata non appena vide la sua espressione. “Cos’è successo?” gli chiese mentre stendeva la ragazza di fronte a lei “Non lo so. Stava sognando. Molto probabilmente un incubo. Appena ho avvertito che c’era qualcosa che non andava sono corso da lei… si contorceva, era completamente sudata. Quando l’ho chiamata si è seduta di scatto ed è ricaduta sui cuscini. Così…” Hennu le guardò gli occhi. “È altrove in questo momento… e dubito che sia in un bel posto. Aspetta, vediamo se riesco a richiamarla.” Nonostante Hennu fosse veramente anziana era la matriarca del clan. E sapeva perché. Cominciò ad intonare una litania, passando le mani sopra la testa, gli occhi e il cuore della ragazza ripetutamente. Oltre alla litania tutti i rumori della notte si spensero, c’era solo Hennu che cantava. Le mani della donna continuavano a spostarsi ad un ritmo ben preciso e dopo qualche minuto cominciarono quasi a sprigionare una luce lattea che divenne accecante in poco tempo. All’ultima parola della litania spinse le mani sul cuore. La luce si sprigionò in tutta la tenda accecando per un secondo i presenti. Pochi secondi dopo Breanne inarcò la schiena aprendo la bocca inspirando quanta più aria poteva, quasi fosse il suo primo respiro. Gli occhi avevano perso l’opacità lattea, tornado nuovamente azzurri. Afferrò la prima cosa che le capitò sotto mano, stringendola “Dove diavolo sono.” Il tono di voce trasudava panico “Sei nella tenda di Hennu, ti ha riportata indietro.”
Era nell’oscurità della tenda immersa nella notte, era fradicia di sudore, il corpo che tremava. Il panico aveva preso possesso del suo corpo. L’aveva riportata alla luce, ma la sensazione di essere stata molto vicina a qualcosa di oscuro le attanagliava ancora la bocca dello stomaco. Teneva lo sguardo fisso sulle sue mani, incapace di guardare altro. “Guardami.” Sentì dire dall’uomo. Scosse la testa chiudendo gli occhi. “Breanne, guardami…” lentamente li riaprì, trovandosi seduto vicino al giaciglio di cuscini Ardeth che la teneva per le spalle. Non rispose, non disse nulla, richiuse gli occhi e continuò a inspirare profondamente. Non la forzò, rimanendo ad aspettare che si riprendesse. “Hai bisogno di un bagno.” Decretò dopo aver aspettato un paio di minuti in silenzio, caricandosela in spalla e uscendo dalla tenda nonostante le proteste di Hennu che lo intimava di lasciarla lì a riposare. “No, Ardeth! Lasciami giù!” protestò mentre camminava sulla sabbia fresca “Sssh! Non urlare o sveglierai l’intero accampamento!” la redarguì l’uomo che, nonostante le proteste e i calci della donna, continuava imperterrito. “So camminare da sola.” “Saprai anche camminare da sola, ma se ti lascio giù scappi. Come se non ti conoscessi.” Le ripose facendola voltare di scatto verso di lui assumendo un’espressione sconvolta per poi incrociare le braccia mentre la portava alla stessa cascatella dove Ijja l’aveva portata il pomeriggio prima. “Ora vuoi lasciarmi scendere?”. La adagiò a terra, lasciandola in piedi, prendendola per le spalle “Cos’è successo?” “Ora i sogni sono incubi. C’è una voce che mi chiama, e se resisto mi afferra trascinandomi in fondo…” “Breanne, guardami negli occhi… non devi aver paura di me.” Alzò il viso, cercando di sostenere lo sguardo dell’uomo davanti a sé per la prima volta da quando Hennu l’aveva fatta uscire dal baratro. I suoi occhi alla luce della luna erano diversi, quasi verdi. Gli afferrò la tunica, stringendola tra le mani. “Non ho paura di te. Ho paura di quello che potrei farti in futuro.” “Non mi farai nulla. Sarai abbastanza forte da resistergli.” “Non ne sono poi più così tanto sicura…”. La baciò di scatto, senza che lei potesse farci nulla. La strinse a sé, sentendola ricambiare dopo un attimo di ripresa. La prese in braccio e la portò alla tenda, adagiandola sopra i cuscini morbidi che formavano il suo letto, senza lasciarla andare per tutta la notte, facendole capire che l’amava e che nulla al mondo sarebbe riuscito a fargli cambiare idea.


*Accendini accesi in mano ondeggiando*
LOOOKING BACK ON THE THINGS I'VE DOOOONE, I WAS TRYING TO BE SOMEOOOONE! "Laura, ancora?" PLAY MY PART, KEPT YA IN THE DARK. "Già hai poco contegno nella vita reale, devi sputtanarti pure qui??" NOW LET ME SHOOOOOOOOW YOU THEEE SHAAAAPE OF MY HEAAAAAART!! "L'abbiamo persa."
Bene, dopo questa meravigliosa *Ahahahahahahahahhahahha* - Zittaaaaaa - dicevamo. Dopo questa meravigliosa... esternazione dei miei problemi mentali *Ah, pensavo intendessi della penosa interpretazione di "Shape of my Heart"*, vi lascio il mio pensierino post capitolo: i giochi finalmente iniziano e qualche dubbio viene dipanato! Riusciranno i nostri eroi a salvare il mondo dalle grinfie di questo fantomatico Padrone?
Sono curiosa di sapere quello che ne pensate... ringrazio tutti quelli che hanno la pazienza di leggere le mie elucubrazioni u_u per me significa tanto! Un bacione a tutti e alla prossima <3 Lalli

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Capitolo 8
*** -Capitolo 7- ***


CAPITOLO 7


Il mattino dopo si trovò coperta da stoffe e pelli.
Aprì gli occhi trovandosi abbracciata all’uomo che, sveglio, la stava guardando.
“Buongiorno…” le disse accarezzandole la guancia con la mano libera. A contatto con la sua pelle ambrata, la sua pelle chiara appena abbronzata dal sole egiziano sembrava latte.
“Buongiorno…” gli rispose per poi sbadigliare tentando di svegliare i muscoli del corpo facendolo ridacchiare “Stanotte è davvero successo quello che credo sia successo?” gli chiese giocherellando con una ciocca di capelli scuri, arrossendo lievemente.
“Credo proprio di sì.”
“Sappi che ora potrei non servire più a nulla. Mi era stato detto nella vita precedente che sarei dovuta rimanere pura!” commentò lei assumendo un’aria solenne e palesemente teatrale. Non ricevendo risposta spostò lo sguardo sull’uomo sdraiato accanto a sé che la guardava divertito nascondendo un sorriso con un’espressione di puro scetticismo “Sei un’O’Connell in tutto e per tutto.” Decretò scuotendo la testa facendola sbuffare mentre si sdraiava nuovamente di fianco a lui “E tu sei proprio un medjai.”
Sentì la sua mano calda cingerle il fianco e il pollice percorrere ripetutamente una breve linea immaginaria su suoi fianchi. “Oggi ripartiamo. Dobbiamo raggiungere gli altri.”
Breanne spalancò gli occhi. Quei giorni nell’accampamento le avevano quasi fatto dimenticare che oltre a loro, nell’impresa, erano coinvolti anche suo fratello, Evelyn e suo nipote Alex. Si alzò a sedere di scatto, prendendosi la testa tra le mani “Dio, mi sono completamente dimenticata di loro! Chissà dove sono, se sono già arrivati, avranno sicuramente bisogno di sapere se siamo vivi, magari sono in pericolo, magari sono morti!!” stava andando decisamente in panico e doveva bloccarla.
Le prese le spalle girandola verso di sé, facendo sì che la guardasse negli occhi “Bree, ci abbiamo già pensato noi. Abbiamo mandato un falco a dare un messaggio, ieri è tornata la risposta di Evelyn. Stanno bene e sono quasi arrivati ad Abu Simbel.” “Davvero?” “Davvero.” “Non mi stai dicendo una bugia per farmi calmare, vero?” “No.” “Voglio le prove.” Decretò incrociando le braccia e alzando un sopracciglio in segno di sfida.
Ardeth sospirò e si allungò verso la sua tunica che giaceva in un modo sconclusionato di fianco a quella della donna. Da una tasca interna estrasse un rotolo con la risposta “Tieni. Questa è la risposta di Evelyn.” Breanne lo lesse ripetutamente ‘Siamo salvi nei pressi di Abu Simbel. Vi attendiamo alle porte del tempio.’ La calligrafia era la sua. Sospirò di sollievo “Sono vivi…”.

Le donne avevano preparato tutto per la partenza. Avevano dato una sacca con dei viveri per il viaggio, borracce d’acqua. La camicia di Breanne era inutilizzabile e sapendo che sarebbe ripartita con i suoi pantaloni le avevano confezionato una tunica simile alla sua ma molto più corta così da non intralciarle i movimenti. Il grigri e la croce di Agadèz al collo, un velo turchese sistemato morbidamente sulla testa così da ripararla dal sole e i capelli raccolti. Era pronta per partire. Mbarek si avvicinò a lei, il viso era mezzo coperto dal velo turchese ma sapeva perfettamente che stava sorridendo, portandosi dietro due dromedari già sellati.
“Uno è per me?”
“Certamente! Non vorrai stare sempre dietro ad Ardeth!” esclamò porgendole le redini di uno dei due.
“È una vita che non salgo su un dromedario… ma non mi sono dimenticata quanto puzzino.” Decretò tappandosi il naso facendo scoppiare a ridere l’uomo mentre il dromedario si girava verso di lei a bocca aperta, blaterandole contro. “E l’altro per chi sarebbe? Ardeth ha già il suo cavallo.”
“Per me. Vi accompagnerò io fino ad Abu Simbel.” Le rispose facendo un leggero inchino con la testa. “Come mai? Non si fidano di noi?” commentò sarcasticamente mentre assicurava la borraccia alla sella dell’animale.
“Oh no. Non è per questo! Mi sono offerto io. Uno in più non fa mai male, soprattutto contro l’Ombra. Sono… come definirmi… un guerriero della Luce. Sono votato agli antichi dei, precisamente a Horus. Potrei esservi d’aiuto.”
“Gentile regalo di Hennu?”
“Ancora devo risponderti di no. Mi sono offerto volontario.”
Breanne rimase interdetta. Dopo quello che era successo il giorno prima – sia il concilio che l’incubo di quella notte – di Hennu si fidava poco. Aveva anche quasi cominciato ad odiarla. L’aveva salvata, era vero. Ma poteva scommetterci la mano destra che di lei non le importava nulla. Voleva solo salvare Amunet.
Mbarek notò l’espressione sul volto di lei “Hennu non è cattiva, posso assicurartelo. Solo che è sempre stata cresciuta con l’idea che avrebbe dovuto contribuire alla vincita della Luce. Si tramanda nella nostra famiglia da millenni, in linea femminile. Prima di lei si racconta che avesse questo potere sua madre, e ora lo sta trasmettendo a mia sorella Ijja. Siamo tutti coinvolti in questa storia, chi più e chi meno… ma tutti vogliamo che si risolva per il meglio.” Mbarek era gentile e rassicurante, lo sguardo ricordava tanto quello di Ijja.
Breanne sospirò e annuì, sforzandosi di sorridere.
Nel marasma di suoni e rumori creati dalla tribù durante il giorno riuscì a sentire una voce femminile che la chiamava a gran voce. Si girò e vide per la prima volta Ijja senza velo, i lunghi capelli neri un po’ sciolti e un po’ legati in lunghe treccine, correrle incontro. “Ijja?” l’abbracciò stretta e senza farsi vedere da nessuno le pese la mano, mettendole un piccolo oggetto cilindrico sul palmo, per poi richiuderle le dita “Questo è per te. Non aprilo ora, solo quando sei da sola. Non vogliono che te lo dia, sto rischiando davvero tanto a dartelo, ma devi averlo. Devi sapere.” Era seria come mai l’aveva vista “Farò come dici… grazie.”
“Sta’ attenta, mi raccomando.”

Il viaggio verso l’antico tempio di Abu Simbel cominciò senza intoppi. Furono salutati da tutti tra auguri di buon viaggio, benedizioni e sorrisi.
Breanne, al fianco di Ardeth, aveva lo sguardo perso nell’immensità del deserto che si parava di fronte e si teneva tranquillamente alle redini del dromedario con una mano, mentre l’altra era sulla tasca della tunica che conteneva il cilindro di Ijja.
“Va tutto bene?” le chiese ad un tratto l’uomo, guardandola di sbieco.
“Eh? Sì… tutto a posto. Ero solo in fissa su un punto, non preoccuparti.” Lo rassicurò sorridendo. Stava pensando allo sguardo della targhia quando l’aveva salutata: era preoccupata seriamente, e quel cilindretto che ora si trovava in tasca doveva essere parecchio importante. Doveva riuscire a guardarlo da sola, senza Ardeth e Mbarek attorno. Se era qualcosa di così importante da far rischiare qualcosa alla donna doveva riuscire a leggerlo in santa pace, quando i due non sarebbero stati all’erta.

Passarono due giorni a viaggiare nel deserto, quando una notte, mentre Ardeth faceva il primo turno di guardia, si sdraiò di fianco al dromedario e, lontana da occhi indiscreti, estrasse dalla tasca il cilindro.
Lo osservò bene: era finemente decorato con dei glifi che non conosceva, il tappo, preziosissimo, era lapislazzuli intarsiato.
Lo aprì, la mano tremante, facendo scorrere nel suo palmo un piccolo rotolo di papiro antico.
Lo srotolò lentamente, trovando una scritta in geroglifici.
A quanto pare la sua memoria atavica, che consisteva nell’anima di Amunet, si era riattivata nell’oasi, facendole leggere la pergamena.

In nome di Hathor, dea della Vita,
Signora del Sicomoro,
Amunet, principessa d’Egitto, io ti chiamo.

Un piccolo incantesimo, una piccola ovazione. Lo lesse a bassa voce, come se stesse leggendo un segreto.
Si trovò avvolta dalla luce e subito tutto divenne buio.

Breanne si sentì toccare leggermente la spalla. Un tocco delicato di una mano fresca. E una voce dolce, fanciullesca, la chiamava. “Breanne… Breanne, svegliati!”
Riaprì gli occhi, abituandosi alla luce forte che percepiva. Sbattè le palpebre ripetutamente, mettendo a fuoco il luogo. Ad alte colonne bianche erano legate  lunghe tele di tessuto bianco etereo che si muovevano ad ogni bava di vento. Il sole risplendeva alto nel cielo, le canne di papiro si stagliavano alte, muovendosi lentamente.
Si mise a sedere e davanti a sé vide una figura femminile sorridente.
“Amunet?”
Annuì. “Mi hai chiamata e io sono accorsa da te!”
“Sei… sei così giovane!” commentò sbigottita.
La ragazza davanti a lei aveva la pelle ambrata, gli occhi del colore verde azzurro del Nilo, circondati da un bordo nero che faceva da contrasto. I lunghi capelli corvini erano liberi dalla parrucca, sciolti e lunghi fino alla vita. La veste semplice in lino le dava un’aria ancora più eterea.
“Eh sì, ho 17 anni. Anzi, per i canoni sono già quasi considerata vecchia.” Le rispose sorridente, sedendosi di fianco a lei.
Branne quasi non ci credeva. “Scusami, posso…” disse allungando una mano.
Capendo cosa volesse fare Amunet appoggiò la mano alla sua, facendole percepire che sì, lei era reale.
“Cavolo.”
“Già, cavolo!!” e rise “Poi devo dire che stando con te ho imparato parecchi modi di dire che ai miei tempi non esistevano! Ti direi il mio preferito ma credo di risultare troppo volgare!” disse la ragazza arrossendo.
“Ma sei qui da sola?” le chiese Breanne guardandosi attorno.
“Sono stata in tua compagnia dalla tua nascita. Tu sei stata la mia compagnia come io sono stata la tua nei tuoi momenti di solitudine… Hai avuto una vita parecchio movimentata ed interessante! Devo dire che mi è andata bene.” le confessò. Amunet aveva sì 17 anni fisicamente, ma la sua anima era vecchia di quasi 5000 anni. Era di una maturità sconvolgente. Si fece improvvisamente seria e le prese la mano. “Breanne, promettimi che non cederai mai. Tu sei più forte di loro, sei più forte di tutti loro. Fidati di te stessa, della tua famiglia. Fidati di Ardeth.”
“Non voglio che si faccia del male per colpa mia. Non voglio che nessuno si sacrifichi per me.” Le rispose, le lacrime che tentavano di uscire.
“Okpara, o chi per lui, tenterà in tutti i modi di corromperti o di trascinarti dalla sua parte. Userà la forza, userà l’astuzia, userà la paura e i tuoi sentimenti, ritorcendoli contro di te a suo favore. Nulla di tutto ciò che ti dirà è la verità. Lui è Seth. E tu, mia dolce Breanne… tu sei il tramite di Hathor. Lo ero io, come lo sei tu. E come millenni fa lo era la mia predecessora. Siamo una catena che continuerà nella storia. Il nostro compito è sconfiggere il Male. Io ho fallito, ma sono riuscita a far sì che nessuno potesse sfruttarmi. Speravo di scappare, ma come ben sai, non ce l’ho fatta. Sono sicura che tu ce la farai invece: sconfiggerai Okpara e lo farai finire negli Inferi. E che Osiride non abbia pietà della sua anima.”
“Tu pensi che Okpara sia ancora vivo?” le chiese seria.
“Non lo so, ma non ne sarei così sconvolta. Quel verme magari può essersi spostato di corpo in corpo come un parassita. Seth ha modi diversi di interfacciarsi rispetto ad Hathor. Ma ora devi svegliarti. E’ quasi mattina e devi dirigerti ad Abu Simbel. Nel tempio minore sarai al sicuro.”
Al nome Abu Simbel le venne in mente una domanda fondamentale. “Come farò a proteggere tutti ad Abu Simbel? Come farò a pregare? Non conosco le odi e non conosco i riti.”
Amunet le appoggiò le mani sulle spalle “Chiamami e io ti indicherò come fare.” Le rispose sorridendo.
L’abbracciò stretta, sentendosi abbracciare nello stesso modo.
In quell’abbraccio tutto si illuminò di nuovo, sparendo nella luce più bianca di prima.

“Breanne! Sveglia!” la voce di Ardeth, di solito calma, ora era abbastanza agitata.
“Che c’è? Per gli dei quanto sei agitato!” commentò, la voce impastata dal sonno. Aprì gli occhi, trovandoselo davanti. Il sole stava sorgendo e una leggera luce rosa iniziava ad illuminare il deserto.
Lo vide tirare un respiro di sollievo, sedendosi sulla sabbia.
“Mi hai fatto preoccupare. Non ti sei mossa per tutta la notte e ripetevi costantemente il nome di Amunet.”
Al suo nome spalancò gli occhi, ricordandosi del sogno che aveva fatto.
“AMUNET!!! Sì!! Ardeth. Devo raccontarti una cosa!!” esclamò prendendolo per le spalle. “Ho visto Amunet.”
“C’entra per caso questo rotolo di pergamena che di ha dato Ijja?” chiese Mbarek alzando un sopracciglio, il porta rotolo in mano.
“Come-?”
“Mia sorella non è molto brava nel far sparire le sue tracce. Questo è suo. Ma se ti ha dato il rotolo doveva essere qualcosa di importante.”
Breanne guardò Ardeth, che annuì, incoraggiandola a raccontare.
“E va bene. Prima di andare via dall’oasi Ijja me l’ha dato di nascosto, dicendomi che Hennu non avrebbe voluto e che sarebbe finita nei guai se solo l’avesse saputo. Ma mi è stato di aiuto. Sul papiro c’è scritta un’invocazione. Sono stata avvolta dalla luce e ho incontrato Amunet.”
“Con incontrata vuoi dire…?”
“Incontrata. Era davanti a me in carne ed ossa. Abbiamo parlato e mi ha rivelato parecchie cose. E’ una catena, lei ha fallito, ma ora è il momento di sconfiggere Okpara… Vi racconterò tutto meglio in viaggio.” Si sentiva a disagio, qualcosa dentro di lei le urlava ‘pericolo’ e Ardeth se ne accorse.
“Bree, stai bene?”
“No. Dobbiamo andarcene e correre ad Abu Simbel. Siamo in pericolo. Non so cosa sia, ma ci sono alle calcagna.”
Seguirono il suo istinto e nel giro di pochi minuti erano tutti in sella alle proprie cavalcature, diretti verso il tempio.

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Ecco. Insultatemi pure. Me lo merito. Lo so.
Sono una persona brutta, cattiva ed imperdonabile… ma avevo il blocco dello scrittore e non avevo idea di come continuare la storia. MA!! E c’è un ma… credo di essere riuscita a sciogliere il nodo della faccenda ed è saltato fuori questo capitolo!!
La sottoscritta è tornata a tormentarvi con i suoi squilibri mentali *per vostra GIUOIA E GIUBILO lo so, lo so* e… nulla, spero di aggiornare in tempi umani e non biblici la prossima volta!!
Spero vi piaccia e spero di leggere qualche vostro parere su questo nuovo capitolo della storia tra il nostro bel tenebroso di un Medjai, Breanna e la fine del mondo!

Al prossimo capitolo e un enorme bacione… Lalli :3

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