Tra l'Antro e la Tana

di Ariana_Silente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. Tradito ***
Capitolo 2: *** II. Accolto ***
Capitolo 3: *** Giochi Mancini ***



Capitolo 1
*** I. Tradito ***


L'astinenza da Cronache si fa sentire, purtroppo. Questa è una storia che riguarda Theon attraveso gli anni. Questo primo capitolo in particolare e il secondo sarà un presaga, più o meno. All'incirca una mia riflessione sugli eventi e le ragioni che hanno spinto Theon a fare quello che ha fatto, finendo poi - chiamatelo karma, se volete - nelle grinfie del bastardo di Bolton. No, quei bambini arrostiti e decapitati non li ho dimenticati. Quel suo "meglio crudele che stupido" non l'ho ancora digerito.
Un'ultima cosa: Asha è sempre la Yara della serie tivi, simpatica sorella di Theon.
Via libera alla lettura!
AS




 

 

§§§

Tra l'Antro e la Tana

§§§

 

I. Tradito

 

 

 

Molto spesso aveva osservato l'isola diventare sempre più piccola, facendosi cullare dal vento e dalle onde regolari, si era sempre divertito a indicare all'equipaggio di suo padre o dei suoi fratelli, ogni torre e a elencarne il nome e poi a spiegare dove fossero le cucine, i pozzi, i villaggi, i selvaggi boschi, mentre si destreggiava in bilico tra le corde e il parapetto, scrutando ora l'orizzonte, ora le onde con il sole a luccicare ad ogni increspatura, mormorando mezze preghiere al Dio Abissale.

Non quella volta, quella volta il cielo era grigio e le acque scure. Minacciose: da un momento all'altro il Kraken sarebbe emerso per fare giustizia o il Dio Abissale sarebbe intervenuto, non poteva rimanere indifferente alle sue disperate invocazioni, non lo era mai stato: erano sempre tornati vittoriosi a casa.
Il bambino lo sapeva.
Ma nessun mostro marino si erse dal suo regno di onde, all'orizzonte non si vedeva nessuna nave.
Il mare gli apparve morto, vuoto come mai prima d'allora.
Quella volta guardava la sua casa rimpicciolirsi e scomparire mano a mano, non capiva perché ma non riusciva a vedere né le torri, né i ponti sospesi né nient'altro. Era tutto dannatamente confuso e quella corda al collo gli faceva male. Un male atroce, anche se nessun segno sarebbe rimasto sulla delicata pelle del collo.
Le immagini gli vorticavano davanti agli occhi e pur essendo in mare aperto, vedeva la sala di suo padre, il suo trono, la vedeva piena di gente in armi che vociava o malediva o che si lamentava per le ferite subite...
...Vedeva sua madre piangere, mentre lo stringeva al suo petto, lui inspirava il suo odore di lavanda – e ancora riusciva a percepirlo – spaventato, ma quella volta non riuscì a rassicurarlo, e sua sorella tremante e pallida, aggrappata alla septa, a pochi passi di distanza, suo padre invece immobile, il volto tirato, mentre ascoltava iracondo e sprezzante le parole di quelle persone, di quegli invasori che avevano ucciso i suoi fratelli e gli uomini migliori di suo padre... E poi, un uomo si era staccato da quello che parlava a suo padre ed era venuto verso sua madre e loro.
Il bambino lo aveva osservato avvicinarsi, tra le mani stringeva una corda. Sul petto aveva incisa una paurosa testa di una bestia ringhiante.
Il Lupo e il Cervo erano arrivati nell'antro del Kraken.
Non era possibile. Non era logico... c'era qualcosa che gli sfuggiva.
Il Lupo lo aveva tolto con decisione dalle braccia di sua madre, con uno sguardo grigio glaciale lo aveva allontanato dalla sua presa disperata...
Era stato attento però a non essere violento e a non stringergliela troppo stretta la corda intorno al collo, ma evitò di toccarlo, evitò di guardarlo. Ebbe la delicatezza di non trascinarlo: si mise dietro di lui e camminò, in modo tale che il bambino spaventato non avesse altra scelta che avanzare.
Suo padre, re Balon, li stava guardando, studiava lui, il suo ultimogenito. Gli sembrò che fosse arrabbiato con lui.

Doveva dire qualcosa?

Doveva forse fare qualcosa?

I suoi impavidi fratelli cosa avrebbero fatto al posto suo?

Il respiro del bambino era spezzato e tremava da capo a piedi.
Re Balon lo guardava, anche se quell'uomo alto e dinoccolato, dallo sguardo severo, il cervo impresso nell'armatura, aveva detto che suo padre non era re, ma solo un lord, sottomesso a re Robert Baratheon; non per lui, per lui, suo padre, rimaneva il re.
E il re lo stava fissando, con occhi cupi e irosi.
Lo guardò disperato di rimando, in mezzo a tutti quegli invasori. Era dalla parte sbagliata, non doveva stare lì in mezzo. Doveva tornare da suo padre.

Era il Kraken non lupo né cervo.
Acqua, non terra.
Predatore, non preda.

Prese fiato per parlare, anche se non sapeva bene cosa dire, ma l'uomo tremendo dietro di lui gli pose una mano sulla spalla e strinse, lo sentì chinarsi su di lui.
«Sarà più facile per tutti se resti in silenzio.» lo avvertì in un sussurro solo per lui.
Il bambino chiuse le labbra e tornò a guardare suo padre, mentre gli invasori iniziarono ad uscire. Mentre iniziavano a portarlo via. Si divincolò, nonostante la presa salda dell'uomo di ghiaccio che gli aveva messo la corda attorno al collo.
Sua madre piangeva, stretta ad Asha ora, tutte le persone che conoscevano lo stavano guardando con sguardi avviliti, colpevoli, sconfitti e disperati.
Il re, suo padre, era fermo vicino al suo trono, immobile e distante, lo sguardo fuori dalla finestra.
«Padre?» mormorò il bambino e nonostante il frastuono di uomini che si spostano e metallo che cozza contro metallo, quel richiamo disperato e incerto risuonò nella sala.
Balon Greyjoy finalmente si scosse e tornò ad osservare la misera scena della sua sconfitta: quei maledetti che se ne andavano, quel bastardo di Stark che trascinava via suo figlio. Il suo unico, ultimo figlio.
«Ciò che è morto non muoia mai.» tuonò.
Il bambino non poté portarsi il pugno al cuore, perché l'uomo di ghiaccio si affrettò a portarlo fuori dalla sala.
Ma nelle orecchie gli rimbombavano quelle parole. Gli erano sempre parse ben auguranti, ma quella volta gli sembravano una condanna, un addio.
Avevano attraversato Pyke a cavallo, mentre tutta la gente lo additava.
Erano saliti sulle navi.
Lo avevano messo ben in vista dall'isola, sulla poppa, con quella maledetta corda, mentre la nave aveva la prua verso la terra ferma.
Nessuno, per tutta la durata del viaggio gli aveva rivolto la parola, ma tutti gli occhi indagatori erano concentrati su di lui.
E il Dio Abissale rimaneva sordo e cieco e immobile.
E il Kraken non dava segno di sollevarsi dalle onde.
Il mare, il suo mare, gli stava tirando un gioco mancino. Era morto.
E al collo, quella maledetta corda gli pesava.
Il viaggio proseguì spedito, fino a raggiungere la destinazione, una terra che gli era estranea.
Nessun dio e nessun mostro marino era intervenuto a interrompere quel viaggio, a riportarlo indietro, nessuna nave degli uomini di ferro era arrivata sull'onda di un vento salvatore.

Pioveva.

«Ragazzo.» la voce dura e nervosa dell'uomo che aveva parlato a suo padre. Si voltò, cercando di darsi un contegno.
«D'ora in avanti sarai il protetto di lord Stark, ragazzo; fila dritto, prega che tuo padre non faccia sciocchezze e non ti verrà fatto alcun male.» gli disse presentandogli l'uomo di ghiaccio che gli aveva messo la corda. Il bambino percepì l'implicita minaccia, quella parola significava ostaggio, non era difficile capire la differenza.
Lord Stark gli si avvicinò.
«Come ti chiami?» il bambino guardò in su, verso il lord. Per un attimo gli parve che non fosse così vecchio come gli era sembrato e meno tremendo, ma fu solo per un attimo.
Lui era il bastardo Stark che aveva contribuito all'uccisione dei suoi fratelli, alla sconfitta di suo padre e alla sua prigionia.
«Sono Theon Greyjoy.» affermò orgoglioso il bambino, guardandolo dritto negli occhi.
«Mi sembri un bambino intelligente. Tenterai di fuggire, Theon?» si guardarono.

Cosa avrebbero fatto i suoi impavidi fratelli?
Cosa avrebbero detto?

«Non lo farò.»

Lord Stark gli si avvicinò e gli tolse quella corda infame.

La pioggia cessò mentre iniziavano il viaggio verso le selvagge terre del Nord.

 

Era l'uomo che gli aveva messo la corda al collo e poi l'aveva liberato.  

 

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Capitolo 2
*** II. Accolto ***


 



​II. Accolto

Aprì gli occhi.

La stanza era buia e pochi suoni arrivavano al di là della porta.
Il silenzio tutte le volte gli stringeva il cuore, era opprimente e gli pesava nelle orecchie e non c'era nessuna onda che potesse distrarlo da quella pressione.
Più volte a casa si era immerso nel mare con i fratelli più grandi ed Asha e avevano fatto a gara a rimanere sotto per più tempo. La pressione sui timpani diventava ben presto difficile da sopportare, ma il mare e la vita che nascondeva lo affascinavano talmente tanto che era un prezzo che era disposto a pagare.
Lì, invece al Nord, nel cuore di Grande Inverno, quella grande prigione di pietra e terra, nessuna onda poteva fargli compagnia durante il giorno o cullarlo alla sera. Infatti era sempre dura addormentarsi. Non faceva altro che rivoltarsi nelle coperte e nelle pelli, ascoltando il rumore del suo respiro che si perdeva nel silenzio o il battito regolare del suo cuore. E le storie che quella stupida vecchia donna, che veniva chiamata Nan, raccontava non erano nemmeno lontanamente belle o spaventose come quelle che raccontavano a casa. Tutte parlavano di Estranei, sciocchi cavalieri a cavallo, pronti a partire alla ricerca e a salvare principesse idiote che venivano rapite – e lui era ormai convinto che lo facessero apposta a farsi rapire. Nessuna donna delle Isole di Ferro si sarebbe fatta rapire dal primo mostro che passa – per tornare vittoriosi.
Nessuno sapeva del Giovane e del Vecchio Pescatore, della Ballata del Kraken e della Fanciulla* o le leggende sulle Acclamazioni di Re e, ovviamente, nessuno narrava dei fenomenali arrembaggi e degli attacchi delle letali navi degli Uomini di Ferro o delle mogli del sale.
Anche il cibo era molto diverso da quello cui era abituato, lì quasi nessuno sapeva cosa fosse il pesce e quanto buoni fossero i crostacei. Si era sempre divertito a sgusciare i gamberi e le cozze, facendo poi volare quelle inutili protezioni addosso ad Asha che immancabilmente si metteva a strillare. Ma aveva rinunciato a sperare di vederli comparire nei piatti che la cucina di lord Stark proponeva.
Il bambino rimase disteso a pancia in su, lo sguardo perso al soffitto.
Sospirò.
Era passato già un mese.
Un lungo, terribile mese in cui aveva vissuto sempre nella paura che potessero decidere di fargli del male. I motivi potevano essere i più disparati: dal fatto che facesse qualcosa che non volevano, che suo padre decidesse di fare qualcosa – e nella sua mente riecheggiarono le parole del Cervo: “qualche sciocchezza” – o semplicemente che lord Stark fosse di cattivo umore. O che qualcuno lo persuadesse di ricordare a suo padre dove fosse suo figlio.

Suo padre.

Oltre agli incubi su quel viaggio che lo aveva portato nelle terre verdi, lo perseguitava anche quel sogno.
Suo padre che lo scrutava irato dall'altra parte della sala, mentre lui se ne stava con gli invasori. E poi l'uomo diventava il Dio Abissale per accusarlo. Per condannarlo all'esilio.
Come se avesse dovuto fare qualcosa che non aveva fatto, come se avesse dovuto prendere un pugnale o una spada dai foderi dei nemici e combattere e ucciderli. I suoi fratelli l'avrebbero fatto?
Così avrebbe fatto un vero figlio delle isole di Pyke? Il figlio di re Balon?
Era per questo che nessuna nave di ferro era arrivata per trarlo in salvo e riportarlo indietro?
Suo padre avrebbe mai potuto ritenere di poter fare a meno di lui, di Theon?
Erano queste le domande che gli ronzavano in testa quando rimaneva da solo, che gli riempivano gli occhi di lacrime, ma le lasciava sempre nella piccola camera che abitava ormai da un mese. Era tempo di alzarsi e affrontare il nuovo giorno. Sì vestì alla cieca, poi andò ad aprire le finestre. La luce e il vento tiepido investirono il piccolo e spoglio ambiente. Il bambino scrutò il paesaggio e il movimento delle persone, quindi uscì con un sorrisetto sulle labbra.
Aveva notato che a lady Stark dava fastidio il suo atteggiamento ed era anche per questo che aveva preso quell'abitudine
L'unica arma che avesse era non far capire i suoi veri sentimenti, la sua unica protezione.
Non poteva dare anche quella soddisfazione ai suoi carcerieri.
Non sapeva bene spiegarsi perché, ma lord Stark aveva imposto che gli si continuassero a impartire lezioni di scrittura e lettura con maestro Luwin, che lo annoiavano parecchio, e gli venne anche concesso l'addestramento alle armi e all'equitazione. Quindi durante il giorno non aveva mai veramente tempo per rimanere solo a riflettere. 
Eppure verso la fine della giornata, quando tutti i suoi allenamenti erano finiti e bisognava aspettare la cena, la nostalgia lo attanagliava così forte che sentiva quasi una sofferenza fisica.
L'assenza del sottofondo del mare si faceva sentire così forte da odiare tutto quello che gli stava attorno, persone e cose e animali.
Allora iniziava a gironzolare senza una meta precisa e andava sempre a finire che arrivava in alto sui bastioni interni a scrutare l'orizzonte. A vedere tutto lo spazio di prati, boschi e infinita monotona terra verde che lo separavano dal suo mare, dalla sua casa.
Era l'ora che precede il tramonto, languidi raggi di sole rosso si allungavano su Grande Inverno e le ombre raddoppiavano la loro lunghezza sulla terra.
La figura minuta di un bambino era ben visibile dal basso, dal cortile di fronte alla grande sala dei pasti.

Eddard Stark mentre entrava nella sua sala notò la figurina nera sulle mura e richiamò ser Rodrick.
«E' Theon quello lassù, vero?» l'anziano cavaliere osservò il punto indicato dal suo signore.
«Credo sia lui, mio signore.» annuì.
Eddard si avviò verso le mura, il ser lo seguì.
«Mio signore?» gli chiese, mentre avanzavano spalla a spalla.
«Dimmi, ser Rodrick.» il giovane lord rallentò.
«Mio signore, tu sai che morirei per servire te e la tua famiglia.»
«Lo so, mio buon amico. E so che c'è qualcosa che vorresti dirmi. Sii dunque libero di parlarmi, così come lo eri con il lord mio padre.» l'uomo si rilassò.
«Mio signore, sarò franco: io credo sia eccessivo ciò che stai facendo per questo ragazzino. È un ostaggio. È figlio dell'uomo che voleva ribellarsi al controllo del re. Insegnargli a maneggiare le armi, dedicargli il tuo tempo... C'è il rischio di insinuargli qualche strana idea in testa, io credo.»
Eddard Stark riflesse un attimo su quelle parole, il suo buon maestro d'armi voleva solo essere prudente e consigliarlo. Poi rivolse lo sguardo in alto, verso il cielo.
«Dimmi, ser Rodrick. Cosa vedi lassù?»
«Vedo il tuo ostaggio.»
«Quanti anni può avere, nove, dieci? Non molti di più delle tue nipoti, non credi?» osservò il lord, lanciandogli uno sguardo quieto. L'altro sollevò un sopracciglio.
«Non vi seguo.»
«Continua a insegnargli a maneggiare la spada, ser. Sta già pagando per una colpa che non lo riguarda.» e si avviò per le scale delle mura.

Il bambino si girò di scatto, si era sentito osservato.
Lord Eddard in persona era appoggiato alla stipite della porticina che dava alle scale interne.
«Mi hanno detto che non è la prima volta che vieni quassù, Theon.» gli disse. Non sembrava minaccioso, ma il bambino sentì comunque un altro brivido di paura.
«Non sapevo non potessi farlo. Non verrò più qui, lo prometto.» mormorò, chinando il capo.
«Non ho detto che non puoi venire qui. Mi hai dato la tua parola che non avresti provato a scappare. Stai guardando i boschi?» il bambino lo guardò con un moto di stupore.
«Io... Sto guardando tutta questa terra. È...» ma la voce gli si spense in gola. L'uomo era appoggiato alla pietra, anche lui scrutava l'orizzonte.
«Si stende per molte miglia, di boschi e colline. Sai che su alcuni monti abitano dei popoli che non vivono nei castelli?» il piccolo scosse il capo.
«Anche a casa nei boschi ci sono dei selvaggi che...» ma per la seconda volta, gli mancò la voce.
Eddard Stark vide che stava cercando di trattenere le lacrime.
«Non puoi vedere il mare da qui, Theon, mi dispiace.» per un po' il bambino rimase in silenzio e l'uomo lo rispettò ascoltando il suono della foresta.
«Lo senti?»
«Cosa?»
«Il fruscio delle foglie.» il bambino gli lanciò un'occhiata divertita.
«Non durerà per sempre, quando il vento smetterà di soffiare le foglie rimarranno ferme. La voce del mare invece è infinita.» ribatté il piccolo e, evidentemente, si rese conto solo allora di cosa avesse detto. Una lacrima sfuggì dall'eroico controllo della sua volontà e si affrettò a dare le spalle al lord di Grande Inverno.
Lord Eddard abbassò lo sguardo su quelle pietre mastodontiche e passò le dita sulla superficie rovinata dalle intemperie, riflettendo.
«Sai una cosa? Qui a Grande Inverno non ci sono tante cose cui sei abituato, ma anche la voce di un torrente non si interrompe quasi mai. C'è una camera libera che da sul canale che porta l'acqua nel pozzo nell'area ovest, certo, la vista è meno suggestiva... Vorresti andare lì?» il bambino sollevò lo sguardo lucido e studiò l'uomo per un po'.
«Perché?» chiese.
«Perché cosa?» ribatté l'uomo
«Sono il tuo ostaggio. Perché mi tratti come se fossi un ospite?» era piccolo, non stupido.
«Sai cosa vedo quando ti guardo?» Theon si agitò, Eddard lo vide bene.
«No.» la sua voce tremò, aveva lo sguardo basso.
«Vedo un bambino, vedo il mio protetto.» gli sollevò il mento con l'indice. «Ora è molto difficile, lo so, ma sono sicuro che quando Robb e Jon saranno cresciuti diventerà più facile. E potrai avere dei compagni per allenarti e giocare.» si guardarono ancora per qualche attimo, l'uomo ritrasse la mano improvvisamente, come se si fosse appena accorto di quello che aveva fatto.
«E' ora di andare a cena.» concluse e gli indicò di scendere prima di lui.

Era sera, la porta della nuova camera chiusa ma la finestra aperta. Il bambino era sdraiato supino sul letto di coperte e pelli. Fermo ad ascoltare meravigliato l'acqua che scorreva. Non era la voce del mare certo, ma era un suono amico e costante. Rifletteva.
Nei giorni precedenti aveva chiesto a maestro Luwin che differenza c'era tra la parola ostaggio e la parola protetto. Il vecchio maestro gli aveva lanciato uno sguardo indagatore.
Gli aveva poi risposto che un ostaggio era una merce di scambio. Un protetto era una persona che riceveva protezione da qualcun altro, era una sorta di ospite. Allora lui aveva chiesto se fosse per quello che suo padre non lo riscattasse, perché era un protetto e non un ostaggio. Il vecchio sapiente gli rispose di sì, che un protetto non può essere riscattato... Quindi non sarebbe mai più tornato a casa. Era stata la sua conclusione.
Due mesi prima si sarebbe sentito morire, ma ora... Cosa stava cambiando?
Lì, a Grande Inverno, il lord lo proteggeva e non lo costringeva a una vita meschina. La sua sorte sarebbe stata diversa se a trattenerlo fosse stato il Cervo anziché il Lupo?
Da chi o cosa lo stava difendendo, il lord Lupo?
Suo padre era rimasto a guardare fuori dalla finestra. Aveva gridato quella terribile frase. A volte gli echeggiava ancora nelle orecchie.
Ciò che è morto non muoia mai... In quei due mesi si era convinto che fosse la sua condanna, il modo di suo padre di gridare la sua delusione per il suo pavido e deludente ultimo figlio, per bandirlo...
E questo Lupo del Nord lo aveva preso con sé. Durante il lungo viaggio per arrivare, gli uomini del Nord avevano parlato molto e avevano riso e scherzato su tutto, dalle ferite subite alle donne che li attendevano a casa. E alcuni di loro gli avevano detto che sarebbe stato rinchiuso in qualche cella segreta e tenuto in catene. A eterno monito di cosa succede a chi osa infrangere la pace del Re. Ma di tutte le mezze voci e le mezze minacce, l'unica cosa che si era rivelata vera, era che non avrebbe mai più rivisto la sua casa.
Il lord era stato subito chiaro con i suoi uomini: Theon Greyjoy era il suo protetto e qualsiasi cosa gli fosse successa, era lui a risponderne. E di conseguenza si era comportato: gli aveva dato quanto poteva, nella misura in cui un futuro boia si possa permettere.
Era come un qualsiasi ragazzo della sua età che veniva mandato a corte da un altro signore.
La sua mente stanca venne distratta dal suono del torrente. Non era la voce possente del mare, che andava e veniva dalla spiaggia, certo. Ma era pur sempre acqua che scorre.
E l'acqua dei torrenti non arriva forse ai fiumi? E l'acqua dei fiumi non si getta forse nel mare?
Mentre scivolava nel sonno per la prima volta senza ansia, la voce calma e sicura del lord Lupo gli risuonò nell'orecchio... vedo un bambino.
Si sentiva confuso, il suo vero padre non aveva detto niente per difenderlo quel giorno, quando era stato portato via; lord Stark, anche se era il bastardo che aveva contribuito alla morte dei suoi fratelli e alla sconfitta di suo padre, aveva detto poche parole, ma erano bastate per difenderlo da quanti avessero dei conti in sospeso con gli altri Uomini di Ferro.
Sperò che il piccolo Robb, l'erede di Grande Inverno, crescesse in fretta, per avere un amico con cui giocare.

 

Lord Stark era l'uomo che gli aveva dato l'unico sottile legame che poteva esserci tra la tana e l'antro.


 

§§§

AS' space.

*non affannatevi a cercare queste canzoni, non siete stati distratti, le ho inventate io di sana pianta ;) avevo bisogno di differenze sostanzili e tangibili tra il vecchio universo e quello nuovo del Theon bambino a Grande Inverno.

Scusate le imprecisioni, purtroppo non ho i libri sotto mano e questa storia abbraccia tutto l'arco della vicenda che lo riguarda: all'inizio di A game of throns, si dice che il protetto di Stark ha diciannove anni, mentre Robb ne ha quattordici. Di conseguenza è legittimo, oserei dire matematico, che Robb e Jon abbiano all'incirca 5 anni quando Theon arrivò al Nord e che quindi debba "aspettare" un po' prima di poter relazionarsi con Robb: sopratutto con lui, l'erede, il primogenito, perché Theon è così. Solo dopo essere stato sotto le amorevoli cure di Ramsey credo che la sua prospettiva cambi.
 

 

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Capitolo 3
*** Giochi Mancini ***


 





III. Gioco Mancino


Era tornato.

L'aveva conquistata in nome di suo padre. Per lui, per la sua famiglia che non l'aveva accolto una volta tornato alla sua Isola, di ritorno da una terra straniera in patria e l'avevano abbracciato solo indifferenza e diffidenza. Sua sorella aveva provveduto a mettere in chiaro come stavano le cose, suo padre, quell'uomo vecchio e consumato, gli aveva sbattuto in faccia la sua diversità, la sua debolezza. Doveva dimostrare quanto si sbagliavano, doveva pagare il prezzo in ferro e lo avrebbe fatto, non ci sarebbe voluto poi molto. Lui conosceva le terre verdi del Nord e conosceva gli Stark... Il Dio Abissale sarebbe stato orgoglioso di lui, quel Dio che era rimasto indifferente come suo padre.

Aveva tolto l'orgoglioso stemma Stark e lo aveva sostituito con quello inquietante Greyjoy. Quale mirabile contrasto vedere sventolare il suo stendardo sulla torre più alta di Grande Inverno.
Era tornato a casa e aveva convinto Bran a cedergli Grande Inverno. Non era stato difficile, come aveva previsto.
Era come se avesse restituito il favore – e la cosa non poteva che riempirlo di una sfrenata ironia. Non voleva fare del male ai bambini Stark: erano i suoi protetti, ed era lui a proteggerli.
Un potere inebriante, era questo che il lord Lupo aveva provato?
Sedere al posto che era stato di Eddard Stark e poi di Robb e quindi di Bran lo riempiva di ulteriore soddisfazione: ora era il posto di Theon, il suo.
«Theon, perché hai ucciso Mikken e ser Rodrick? Mi avevi promesso...» chiese Bran per l'ennesima volta e maestro Luwin intervenne, mentre la sua mano si contraeva sul calice.
«Bran, non è il caso di infastidire il principe...» ma lo interruppe quella volta con un cenno del capo.
«Bran, Mikken non ha acconsentito a servirmi, c'eri anche tu. E ser Rodrick ha tentato di attaccarmi, lo hai visto. Dimmi, tuo padre avrebbe accettato mai una cosa simile?» chiese al bambino.
«Mi pare di ricordare che il lord mio padre ti abbia accolto tra di noi.» rimbeccò lui, con sguardo velato da lacrime. Maestro Luwin tentò ancora di intervenire, ma Theon lo impedì di nuovo.
Si alzò e raggiunse Bran da dietro e lo sguardo del bambino poté seguirlo solo fino a un certo punto.
Gli mise le mani sulle spalle magre con calma mal celata, la tensione era altissima, Luwin stava stringendo una mano a Bran, mentre con l'altra tratteneva Rickon.
Theon, tuttavia percepiva la paura del piccolo Stark, la stessa che aveva avuto lui tanti anni prima...
Strattonò indietro la testa del marmocchio che urlò per la sorpresa e appoggiò la lama del pugnale sulla gola esposta. Rickon stava gridando, trattenuto non si sa da chi, maestro Luwin era scattato in piedi, stringendo le mani di Bran.
«Mio signore, imploro la tua clemenza. Non voleva mancarvi di rispetto, è un bambino troppo impulsivo e a volte parla solo per dar aria alla bocca. Ti prego, mio signore, ti è molto più utile vivo che morto.» gli sussurrò ancora.
Ma non gli interessava, non gli importava che intenzioni avesse quel moccioso o cosa gli sarebbe stato più utile: importava solo essere dietro le spalle di Brandon Stark, percepire la sua paura, vederla nei suoi occhi, quegli occhi di ghiaccio che lo avevano terrorizzato, mentre adesso erano velati di paura. E quel potere di decidere se ammazzare o salvare il figlio di Eddard Stark, solo quello contava.
Avrebbe riso se avesse potuto, ma gli piaceva che tutti tremassero dalla paura per la sua reazione. Forse dopo avrebbe chiamato nel solarium qualche ragazza per festeggiare.
«Bran, hai mai chiesto quale sia la differenza tra un ostaggio e un protetto?» gli chiese.
«Che differenza fa? L'unico a cui potresti venderci è Robb, ma ti converrà molto di più mandarci molto lontano, dove lui non possa arrivare. Perché se dovesse arrivare da noi e avere te tra le mani, te la farà pagare.» la voce del bambino tremava, ma i suoi occhi non si erano spostati un attimo dai suoi, la lama ancora appoggiata alla pelle appena arrossata dallo sfregamento. Ci fu qualcosa in quello che Brandon Stark disse che gli fece scorrere un tremito lungo la schiena.
La situazione rimase sospesa ancora per un po', la lama incise finalmente la pelle e qualche goccia di sangue macchiò di rosso i vestiti bel bambino.
«Portate i giovani Stark nelle loro stanze. Che non lascino le loro stanze senza mio ordine.» comandò lui, abbandonando la sala.


...Dovresti arrenderti, se ti arrendessi e prendessi il nero, i tuoi crimini verrebbero cancellati. Avresti salva la tua vita e quella dei tuoi uomini...

 

Ma quel vecchio non sapeva niente, Grande Inverno era sua, la sua casa, molto più di quella che aveva lasciato a Pyke... Doveva esserci qualcosa che gli appartenesse... Era per questo che aveva fatto ritorno.
Ma il dubbio lo assillava, cosa aveva fatto? Era rimasto solo.
Asha e suo padre l'avevano abbandonato, non erano la famiglia che aveva cullato e protetto per tutti quegli anni nei suoi ricordi, loro erano ciò che lui non aveva potuto diventare.

Kraken, non lupo.
Predatore, non preda.
Acqua, non terra.

E lui?
Era confuso.
Aveva cacciato con le micidiali piume d'oca, aveva misurato la terra a cavallo e non il mare a nave, quel mare cui era tornato ed era rimasto sterile e inospitale così come l'aveva lasciato l'ultima volta... ed Eddard Stark era tornato a sussurragli nelle sue troppe notti insonni tante volte che vedeva solo un bambino... E per troppe volte era di nuovo ragazzino a giocare ed allenarsi con Robb e Jonn, a fare scherzi a Bran e Sansa...
Ma il lord Lupo non era altri che il bastardo che aveva contribuito alla morte dei suoi fratelli che lo prendevano in giro, alla sconfitta di suo padre che era rimasto a guardare mentre lo portavano via e alla sua prigionia che gli aveva donato un fratello e un posto dove stare.

 

...Il patto diceva la ragazza dei canili...

Il pugno ferrato lo colpì così violentemente sullo zigomo che sentì il rumore dell'osso che si incrina, assieme alla sua esistenza, e almeno un premolare mordere la lingua col sapore acre del sangue.
Fu l'inizio di un gioco meschino in cui non era altro che una pedina. E Theon si prestò molto bene a quel gioco: iniziò a collaborare nella scelta di quale parte del proprio corpo preferiva fare a meno.
Il bastardo gli strappò prima la sua spavalderia, bruciata in una fiammata con i suoi denti rotti. Quindi lasciò che i suoi uomini si divertissero a mostrargli la sua anatomia, togliendo un po' di cute qui e là, un po' alla volta, mostrando i tessuti sottostanti rossi e vivi e pulsanti che ben presto diventavano neri e morti e doloranti.
Fu quando implorò per la prima volta di tagliare l'anulare della sinistra che Theon iniziò a morire. Quel Theon che aveva fatto in modo di convincere il Giovane Lupo a mandarlo a Pyke, che era tornato pieno di nostalgia e ricordi, di speranze e commozioni per riabbracciare la sua famiglia – sentiva ancora confusamente un aroma di lavanda a pensarci – che erano state affondate con poche parole e pochi sguardi. Quello stesso Theon che nella foga dell'arroganza, dell'invidia e della delusione di perdere quello che pensava gli spettasse di diritto aveva fatto ritorno a Grande Inverno e l'aveva conquistata e poi, avvolto dalla confusa paura di perdere tutto ciò per cui aveva combattuto – e ormai il dubbio che fosse inutilmente lo assillava in continuazione –, aveva ammazzato troppe persone e quei bambini innocenti, che dovevano essere il suo salvacondotto per la sicurezza si erano rivelati la condanna più grande della sua stupidità. Non c'era perdono per quell'omicidio.
Fu mentre intere strisce di pelle abbandonavano la sua schiena, scorticando l'arroganza, la spavalderia e un po' alla volta minando la sua identità, che nacque Reek. Che nacque quella creatura servile e non-umana, disposta ad accondiscendere e a stare al gioco, da pedina a marionetta con fili talmente saldi e indistruttibili da non esserci bisogno nel burattinaio.

...Tu non sei un uomo, ma avrai il vino...


Aveva deliberatamente condannato gli uomini di ferro. Ora che il lord Lupo era morto, ora che Robb era caduto e che Theon non esisteva più, aveva condannato i suoi uomini, sangue del suo sangue. Reek aveva usato il nome Theon Gryjoy, come i buffoni e i giullari delle corti usano le loro maschere. Da indossare e togliere all'occorrenza.

Ma se era Reek, perché tutte le volte doveva ricordarsi di non essere Theon?

 

...Non ci tradirebbe mai, è troppo legato a mio figlio...

 

Aveva condannato un'altra creatura innocente. Un'altra bambina che avrebbe subito la sua stessa sorte, che avrebbe ben presto imparato ad indossare una maschera, se lord Bolton, il bastardo gliel'avesse concesso.
Era seduto accanto al tavolo della sala delle udienze che era stata di Eddard Stark, a sorbire vino e studiare la scena.
Come la sala delle udienze si mostrava triste e cadente, nemmeno l'ombra della splendida dimora che era stata, quando a viverci era Lord Stark, così lui era: nemmeno l'ombra di se stesso.
Era confuso.

Non era il Kraken, quel mostro che non si era sollevato. E il suo dio non era quello Abissale che era rimasto sordo alle sue invocazioni.
Quindi non era acqua, su cui non sapeva navigare.
Non era predatore e non era preda: aveva le terribili piume d'oca.
Non era Theon Greyjoy.
Era stato deciso molti anni addietro, quando Balon aveva deciso di averlo perso, quando, pur sapendo dov'era suo figlio e che attendeva di ritornare, lo aveva comunque relegato nelle schiere di coloro di cui non si poteva fidare.

Non era Reek, decise.
Gli serviva solo per sopravvivere al bastardo che pensava di averlo distrutto e rimontato.

Era Theon.
E aveva misurato la terra a cavallo, la sua arma era la piuma d'oca e il suo signore il lord Lupo della casa Stark che gli aveva messo e poi tolto la corda dal collo e che gli aveva concesso l'unico legame tra l'antro e la tana. Aveva cavalcato accanto a re Robb, aveva combattuto con lui.
La sua colpa era di aver tradito il suo signore, la famiglia che lo aveva accolto e aveva condannato il re del Nord alla morte. E aveva ucciso Mikken, ser Rodrick, i bambini e tutti gli altri.

Mentre lui, Theon, viveva.
Ma sapeva che da qualche parte vivevano, o almeno lo sperava, gli ultimi sopravvissuti della sua famiglia: Bran Stark e il piccolo Rickon.
Probabilmente lo attendeva un destino più misero della morte che i piccoli Stark se ancora vivevano gli avrebbero riversato.
Era stanco di maschere e ombre.


...Tu canterai la tua canzone ad Abel...

 

Salvare quella bambina non sarebbe valso a riportare in vita tutti i morti che lo tormentavano e se li avessero ripresi vivi sarebbe stata solo una condanna a un'agonia senza fine, ma era stato al centro di troppi giochi mancini per non tentare: quello sarebbe stata l'ultimo.
Per la prima volta non ci furono sentimenti contrastanti a spingerlo: portare via Jeyene significava salvarsi e salvarla.
Significava definitivamente rinascere come Theon, un uomo tenuto insieme dalle cicatrici, senza denti, senza dita e senza nulla all'infuori di se stesso.

Tornò al mondo quando sembrava tutto perduto e lui decise di saltare dalle mura esterne, tirandosi a dietro la ragazzina.

 

Era quel salto nel vuoto.
Era Theon.


 

§§§

Eccoci alla fine di questa longshot. Se non si evince dalla storia, non lo perdono per le scelte che ha fatto - avrebbe potuto benissimo cantarle a suo padre e tornare da Robb, per dirne una - tuttavia non possimao dire che non sia stato aiutato dalle sue vicissitudini. E poi diciamocelo, è passato sotto Ramsey, se non il paradiso diaciamo che si è guadagnato il purgatorio.
Fatemi sapere che ne pensate ;)
AS

 

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