Kisses

di Fanie33
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uno tra tanti ***
Capitolo 2: *** Grazie ***
Capitolo 3: *** Incubi ***
Capitolo 4: *** Convinzioni ***
Capitolo 5: *** Scelte ***
Capitolo 6: *** 2 Novembre ***
Capitolo 7: *** Di birre e ragazzi alti ***
Capitolo 8: *** We are here ***
Capitolo 9: *** Di solletico e altre torture ***
Capitolo 10: *** Nostalgia ***
Capitolo 11: *** Incubi e scommesse ***
Capitolo 12: *** Gelosia ***
Capitolo 13: *** Ora possiamo andare ***
Capitolo 14: *** Buon Natale ***
Capitolo 15: *** Di regali e neve ***
Capitolo 16: *** Sabati sera e domeniche mattina ***
Capitolo 17: *** La prova contraria ***
Capitolo 18: *** Un minuto esatto ***
Capitolo 19: *** Buon compleanno, Dean Winchester ***
Capitolo 20: *** Angeli e Demoni ***
Capitolo 21: *** Back to school ***
Capitolo 22: *** Di cose mai viste e vernice fuxia ***
Capitolo 23: *** Di sigilli e timidezza ***
Capitolo 24: *** Pessimo tempismo ***
Capitolo 25: *** Buonanotte ***
Capitolo 26: *** I'll take care of you ***
Capitolo 27: *** Nonostante tutto ***
Capitolo 28: *** Jealous ***
Capitolo 29: *** Candies ***
Capitolo 30: *** Livin' on a prayer ***
Capitolo 31: *** Il silenzio è d'oro ***
Capitolo 32: *** Ho bisogno di te ***
Capitolo 33: *** Cicatrici ***
Capitolo 34: *** Dreams about you ***
Capitolo 35: *** Hearts ***
Capitolo 36: *** Good Luck ***
Capitolo 37: *** Little talks of (Arch)angels and men ***
Capitolo 38: *** Tricking the Devil ***
Capitolo 39: *** Me too ***
Capitolo 40: *** Apple Pie Life ***
Capitolo 41: *** Call me maybe ***
Capitolo 42: *** Sleep ***
Capitolo 43: *** Di telefonate ambigue e visite inaspettate ***
Capitolo 44: *** I will always find you ***
Capitolo 45: *** The Perfect Number ***
Capitolo 46: *** Di dispetti e cacciatori paranoici ***
Capitolo 47: *** AU ***
Capitolo 48: *** There and back again ***
Capitolo 49: *** Finchè morte non ci separi ***
Capitolo 50: *** Nella buona e nella cattiva sorte ***
Capitolo 51: *** Per questa notte, e per tutte quelle che verranno ***
Capitolo 52: *** The road so far ***
Capitolo 53: *** Un altro tra tanti ***
Capitolo 54: *** The French Kiss ***
Capitolo 55: *** Useful Powers ***
Capitolo 56: *** Tutto il tempo dell'universo ***
Capitolo 57: *** Hey Jude ***
Capitolo 58: *** Little talks of Angels and men ***
Capitolo 59: *** On that flight to Lousiana ***
Capitolo 60: *** Sweet lie ***
Capitolo 61: *** Your Body and your Soul ***
Capitolo 62: *** Midnight ***
Capitolo 63: *** Family doesn't end with... wings ***
Capitolo 64: *** Home sweet home ***
Capitolo 65: *** Little talks of Devils and men ***
Capitolo 66: *** Samulet ***
Capitolo 67: *** It's too cold outside for angels to fly ***
Capitolo 68: *** Pride ***
Capitolo 69: *** Bite me ***
Capitolo 70: *** The touch of your hands ***
Capitolo 71: *** Di sfondi ambigui e cospirazioni segrete ***
Capitolo 72: *** God save the Queen ***
Capitolo 73: *** The game is on ***
Capitolo 74: *** With every broken bone ***
Capitolo 75: *** Say my name ***
Capitolo 76: *** Little talks of Kings (of Hell) and men ***
Capitolo 77: *** Boredom ***
Capitolo 78: *** Tie your tie ***
Capitolo 79: *** Shower talks ***
Capitolo 80: *** Kiss me ***



Capitolo 1
*** Uno tra tanti ***


Raiting: Direi verde. Al massimo verde chiaro (?), per i più pignoli.
Genere: Fluff, ovviamente.
Contesto: Vago, ma all'incirca quarta stagione.
Note: Dean ha fame. Sempre.


Rumore di un'auto che parcheggia. Fari che si spengono. Due portiere che sbattono. Passi sul pavimento di legno fuori dal Motel.
Chiavi che grattano sul ferro della serratura, mezza imprecazione masticata e alla fine la porta che si spalanca con una spallata e un sospiro, presumibilmente di esasperazione.
Dean entra lanciando il borsone sulla sedia accanto al tavolo, e senza neanche guardarsi intorno si butta sul letto e sprofonda la faccia nel cuscino.
Dietro di lui, Sam sospira di nuovo, chiude la porta, adagia con calma la propria borsa sull'altra sedia, posa il computer sul tavolino e accende la luce.
Si guarda intorno prima di sfilarsi la giacca e appenderla all'attaccapanni accanto alla porta.
La camera è piccola, spoglia, con una carta da parati rossa scolorita e mobili chiari che sembrano usciti da chissà quale film degli anni ottanta. Le lenzuola del motel sono color panna, o almeno così gli sembra, con due orribili coperte blu stese sopra, a mo' di decorazione più che per vera necessità.
Sam prende in mano il computer e si lascia cadere sull'altro letto, appoggiando pigramente la schiena alla parete e accendendo il pc.
Hanno appena finito una caccia, ma erano troppo stanchi per andare molto lontano, e così si sono fermati in un Motel sulla strada. L'idea è quella di ripartire domani, anche se ad entrambi piacerebbe potersi fermare di più, e magari avere una scusa diversa da “ci stiamo riposando” da propinare a vari ed eventuali angeli rompicoglioni che dovessero piombare giù dal cielo ad avvertirli di chissà quale altra catastrofe globale.
E così adesso Sam sta cercando proprio quello, un piccolo segno demoniaco o presenza di spiriti, meglio ancora se finto, tanto per fare qualcosa.
Dean, accanto a lui, con la testa ancora affondata nel cuscino, mugola.
Sarebbe anche potuta sembrare una parola, ma Sam decide di ignorarlo e di avvalersi della sua dose quotidiana di sano mutismo.
Ma il fratello non demorde, e grugnisce di nuovo, più forte.
Sam scorre in giù la pagina di cronaca locale che occupa lo schermo del computer, senza degnare il maggiore nemmeno di uno sguardo.
Dean sbuffa, e gira la testa verso di lui. Sam rotea gli occhi, ma non si volta.
«Fame» ripete il biondo, guardandolo speranzoso.
Sam si trattiene dall'alzarsi e andarsene, o dallo scoppiare a ridere, o dal prenderlo a pugni, fingendo indifferenza.
«Sam, ho fame» ripete l'altro, come se fosse la cosa più ovvia da dire a tuo fratello alle nove di sera, un'ora dopo essere andati a cena, che per inciso consisteva in un pasto leggero a base di solo due miseri Hamburger e una porzione doppia di patatine fritte.
Sam si gira e lo guarda come se fosse matto «abbiamo cenato un'ora fa, ricordi?»
Dean sbuffa e affonda di nuovo la testa nel cuscino. Certo che se lo ricorda, non è mica scemo. Solo che gli piacerebbe che se lo ricordasse anche il suo stomaco, e non solo quei due metri di buon senso e vocetta lamentosa che sta giocando col computer accanto a lui, grazie tante.
«Ma io ho fame lo stesso» mugola, e questa volta Sam capisce anche se lo ha detto con la bocca premuta sul cuscino.
Sospira, e spegne il computer. Si alza e si avvicina al fratello, mettendogli una mano nella tasca della giacca di pelle, che non si è nemmeno sfilato quando è entrato.
Dean solleva la testa e si gira verso di lui «cosa stai facendo?» chiede, preoccupato da chissà quale rappresaglia per chissà quale crimine commesso inavvertitamente. Tipo nascondergli l'accendino, o sostituire il suo balsamo con lo shampo per cani. Mica l'ha fatto apposta, eh!
«Prendo le chiavi»
«E per fare cosa?»
«Non hai fame?» chiede, estraendo la mano dalla tasca, mano in cui stringe le chiavi dell'Impala «Vado a prenderti qualcosa da mangiare. Torta di mele, magari»
Dean lo fissa per un secondo, stringendo gli occhi, cercando di capire se la creatura che sta possedendo suo fratello in quel momento sia un demone, uno spirito, oppure qualcosa tipo un mutaforma. Ma poi decide che non gli importa, non se la suddetta creatura gli procurerà davvero della torta di mele, e sul suo viso si allarga un sorrisetto. «Magari» risponde, sempre sorridendo.
Sam lo guarda divertito, poi sorride a sua volta e si avvia verso la porta.
Dean lo guarda muovere un mezzo passo, poi lo afferra per la manica della camicia e lo ferma.
Il minore si volta verso di lui «che c'è?» chiede, sorpreso.
«Niente» mormora lui «è solo che...» dice, tirando leggermente la manica della camicia del fratello e mettendosi a sedere «... magari ti meriti un premio per tutta questa gentilezza»
«Magari» sorride Sam, e si china verso di lui, sfiorando le labbra del maggiore con le proprie. Dean mugola leggermente, e il minore sorride, passando delicatamente la lingua sul labbro inferiore del fratello, in un muto invito.
Ma Dean si ritrae, scostandosi dalla bocca di Sam. «Prima la torta» sorride.
E Sam sbuffa, di nuovo.







NdA

Ebbene, salve a tutti.
Premessa più che dovuta: non so dove andrò a parare. Mi è venuta in mente questa cosa più per sbaglio, e altrettanto per sbaglio mi ritrovo qua adesso, ma di una cosa sono certa. Ci proverò.
L'idea che lentamente prende forma nella mia mente mi suggerisce che sarà una cosa lunga e che avrà tanti capitoli, più o meno impegnativi, e non necessariamente fluffosi (ok, è impossibile che io riesca a scrivere una storia senza fluff, sono nata geneticamente predisposta alle carie dentali). Ad ogni modo, cercherò di aggiornare settimanalmente, e soprattutto spero di riuscire a rendere giustizia ad un'idea che a me sembra tanto carina. Ultimo appunto: credo che per quanto riguarda il contesto, me ne starò, almeno all'inizio, buona buona non oltre la quinta stagione, anzi, forse prima, evitando accuratamente qualsiasi genere di spoiler, che eventualmente segnalerò nelle note all'inizio del capitolo.
Ora, per quanto riguarda questo capitoletto in particolare, non è niente di che, è solo "uno tra tanti", ma intanto rende un po' l'idea.
Amo Sam, amo ancora di più Dean, ma Sam e Dean insieme mi uccideranno, prima o poi.

Bene, basta parlare a sproposito.
Come sempre sarò grata a chiunque leggesse, e ancora di più a chi fosse così gentile da lasciare una recensioncina piccina piccina, tanto per sapere se l'idea è piciuta solo a me oppure no.
Alla prossima (settimana),
Erin

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Capitolo 2
*** Grazie ***


Raiting: Verde.
Genere: Fluff, sempre e comunque. Magari c'è un qualcosa di introspettivo, ma a cercarlo con la lente di ingrandimento...
Contesto: Prima o seconda stagione (no, non mi vergogno).
Note: Tanto amore e tanto fluff, con un po' di apprensività. Prima o poi questi due mi uccideranno. WIncest ovviamente.






«Come ti senti?»
«Bene»
«Non ti azzardare a farlo mai piú»

 

Un fantasma, niente di che, una caccia come tante altre in un paesino sperdunto da qualche parte in Indiana. Niente di speciale, davvero, dissepellita la bara e bruciate le ossa, con il sale e tutto il resto. Un lavoretto da un paio di giorni, senza neanche il disturbo di mettersi a fare chissà quali ricerche o di tirare fuori la divisa da agenti governativi. Fin troppo facile, a dire il vero.

E infatti, proprio mentre uscivano dal cimitero pregustandosi le successive ore di meritato riposo, qualcosa colpí Sam alle spalle, mandandolo a sbattere violentemente contro il terreno umido. Del tutto inaspettato, ma Dean ebbe comunque la prontezza di estrarre il fucile, ma quel maledetto figlio di puttana sembrava troppo veloce perfino per lui. Un colpo ed anche il maggiore era a terra, la schiena contro la ghiaia polverosa del cimitero. L'urto fu talmente violento che la vista gli si annebbió per un attimo, anche se lui riuscí a rimettersi in piedi di nuovo, sorreggendosi al marmo grigio di una statua dietro di lui. Ma il fantasma gli fu di nuovo addosso, e gli strappó il fucile dalle mani senza nemmeno dargli il tempo di alzarlo, mandandolo a sbattere ancora più forte contro una lapide qualche metro più indietro.
«Dean!» Sam si alzó ed corse verso di lui, parandosi davanti al suo corpo un attimo prima che il fantasma lo colpisse ancora.
Il maggiore urló, ma lo spirito aveva giá sollevato suo fratello come se fosse una piuma e lo aveva scaraventato lontano. Sam si accasció contro una lastra di pietra, svenuto.
Dean si lanció verso il fucile abbandonato pochi passi piú in la, e un attimo prima che quel fantasma schifoso gli fosse addosso, gli piantó una cartuccia di sale in mezzo alla fronte, e lo guardó dissolversi davanti ai suoi occhi.
Respiró forte, cercando di ritrovare la luciditá che il colpo alla testa gli aveva fatto perdere, ma quando si mise in piedi la vista gli si offuscó e la testa prese a girare.
E poi vide Sam, ancora a terra qualche metro piu in lá, un taglio sulla fronte, la testa piegata di lato e gli occhi chiusi. Si lanció su di lui, ignorando le fitte e i capogiri.
Riusciva solo a pensare al suo fratellino, al suo Sammy, riverso a terra con la schiena appoggiata a quella lapide. "Non, non puó essere morto. Ti prego no. Ti prego."
Gli si inginocchió accanto, mentre nella sua mente ripeteva preghiere a un Dio in cui non credeva, e lo scosse leggermente.
«Sammy...» chiamó, ma il ragazzo rimase immobile, e lui lo scosse ancora.
«Sam, ti prego, rispondimi»
"Che cosa faccio? Cosa faccio adesso? Non puó essere morto. Non puó"
«Dean...» Sam aprí gli occhi, mentre con una mano saliva a toccarsi la fronte in corrispondenza del taglio. Si guardó le dita, e fece una smrfia quando si accorse che erano sporche di sangue.
«Dean» ripetè, cercando di radrizzarsi, mentre suo fratello tirava un sospiro di sollievo «dov'é il fantasma?»
«Andato, per il momento. Ma a quanto pare non abbiamo ancora finito in questo buco di paese» sospiró «Come ti senti?»
«Bene» sorrise Sam, mentre la testa lentamente smetteva di girare.
Dean lo fissó per un secondo «Non ti azzardare a farlo mai piú»
«Che cosa?»
«Esporti in quel modo. Possibile che io e papá non ti abbiamo insegnato niente? É stato stupido. Poteva ucciderti»
«Poteva uccidere te» rispose Sam, calmo.
Dean scosse il capo «Non farlo mai piú» ripeté «se ti succedesse qualcosa io...»
Sam rise, o almeno ci provó, ma dalla sua gola uscí un suono rauco. Il minore guardó suo fratello con una smorfia divertita sulle labbra «Dean Winchester, non è che per caso ti preoccupi per me?»
Il maggiore lo fissó accigliato, e Sam fu certo, assolutamente certo, che stesse per fare una delle sue battute sarcastiche. Ne era talmente certo, che quando lui rispose quasi ci rimase male.
«Certo che mi preoccupo per te. Sei mio fratello» disse, serio «e ora alzati, dobbiamo tornare al motel e fare un po' di ricerche...» aggiunse, alzandosi e passando il braccio di Sam intorno alle proprie spalle.
«No, aspetta» lo interrupe il minore, che ancora doveva riprendersi da quell'inaspettata confessione.
«Cosa?»
«Grazie»
«Per cosa?» chiese Dean, mentre lo tirava su e gli passava un braccio dietro la schiena per evitare che cadesse di nuovo al suolo.
«Perchè ti preoccupi per me» sorrise Sam.
Il maggiore lo guardó un momento, e non poté trattenersi.
Davvero, non potè evitarlo.
Appoggió le proprie labbra su quelle di Sam, che sorrise impercettibilmente e ricambió il bacio, mentre si abbandonava nella stretta del fratello.
«Prego»








 

NdA
Ehilà, salve a tutti!
Come va?
Ce l'ho fatta, sono puntuale! Visto che brava? Ok, basta, la smetto.
Allora, che dire? Niente di che, solo un po' di fluff, che non fa mai male. Diciamocelo, nella vita serve un sacco di fluff!
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito e anche chi ha inserito la storia tra le preferite (fa sempre tanto piacere, e stimola alla puntualità e alla costanza *.* ).
Spero che questo capitolo vi piaccia, perchè l'ho scritto con tanto impegno e tanto amore.
Bene, tutto qua. Un grande abbraccio e ci rivediamo la prossima settimana;)

Erin

 

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Capitolo 3
*** Incubi ***


Raiting: Giallo, più o meno.
Genere: Fluff, come al solito.
Contesto: Prima dell'inizio.
Note: Ebbene si, è una Weecest. È il mio pairing preferito, ma non ditelo a nessuno!



Sam si sveglió di scatto, il cuore che batteva impazzito e la fronte imperlata di sudore.
Si tiró a sedere sul letto, appoggiando i piedi nudi sul legno freddo del pavimento e passandosi una mano sul viso e poi tra i capelli scuri, mentre lentamente i suoi occhi si adattavano all'oscuritá della camera di motel.
Intorno a lui c'era un silenzio quasi surreale, rotto solo da qualche sporadica folata di vento che filtrava da sotto la porta o sbuffava tra le tende. Faceva caldo, ma il ragazzo sentí comunque un brivido freddo lungo la schiena al ricordo dell'incubo che lo aveva svegliato.
Negli ultimi tempi dormiva male. Beh, più che dormire non faceva altro che svegliarsi di soprassalto nel cuore della notte con qualche demone o creatura negli occhi e un grido sulle labbra. Nei suoi sogni non c'era mai sale o ferro, o acqua santa o armi con cui difendersi, c'era solo la paura e urla spaventate.
Suo padre non era in camera, era uscito la sera prima e probabilmente non sarebbe tornato prima di un paio di giorni, e cosi Sam si ritrovó a far vagare lentamente lo sguardo nella stanza avvolta dall'oscuritá, indugiando leggermente sulla figura del fratello, addormentato nel letto accanto al suo.
Un'idea gli attraversó la mente, ma lui la scacció con forza.
"No" si impose "non sei un bambino spaventato. Sei quasi un uomo. Non puoi farti terrorizzare dagli incubi."
Provó a stendersi di nuovo sul materasso, ma appena chiuse gli occhi i ricordi del sogno tornarono prepotenti a farsi strada nella sua mente, e lui si mise di nuovo seduto, tremando.
Di nuovo, si soffermó sul profilo di Dean, avvolto dalle lenzuola tirate su fin sotto alle spalle. Sembrava cosi sereno, cosi... rassicurante.
Era tentato, davvero tentato.
"No" si ripeté "non puoi farlo. Sei grande, sei quasi un cacciatore. Devi affrontare le tue paure". La voce nella sua testa era straordinariamente simile a quella di suo padre.
Ma Dean sembrava cosi tranquillo, addormentato, e vederlo li sul letto era cosi invitante...
"No. Non puoi..."
Ma mentre formulava quel pensiero per l'ennesima volta, una folata di vento più forte delle altre si schiantó contro la finestra socchiusa, facendola aprire con un cigolio sinistro che gli fece accapponare la pelle.
Gli ci volle meno di un secondo a infilarsi tra le coperte -e tra le braccia- di Dean. Lo fece quasi senza rendersene conto, e appena ebbe nascosto la testa tra i cuscini, dando le spalle al fratello, si maledisse per la sua debolezza, ma quel letto era cosi caldo e accogliente che a conti fatti non gli dispiaceva poi cosi tanto.
Il fratello mugugnó qualcosa nel sonno, poi mormoró il suo nome.
«S... Scusa. Ho avuto un incubo» sussurró Sam, anche se probabilmente Dean non si era davvero accorto della sua presenza li. E infatti il biondo mugugnó di nuovo qualcosa di incomprensibile, poi ricadde in quel sonno da cui forse non si era mai svegliato davvero.

***

Quando la sua mano, anziché il materasso, incontró qualcosa di strano, il suo primo pensiero corse alla pistola. Senza nemmeno aprire gli occhi, si ritrovó appoggiato ai gomiti e coi nervi tesi, pronto a scattare.
Ma poi un barlume di luciditá si fece strada nella sua mente, e lui si accorse che quel "qualcosa" era solo, si fa per dire, Sam.
«Sammy?» sussurró, tirando mentalmente un sospiro di sollievo e adagiandosi di nuovo sul letto, accanto al fratello.
A pensarci bene, gli sembrava di ricordare di essersi svegliato quando il ragazzo si era infilato sotto le coperte con lui, ma non era abbastanza lucido da distinguere quelle poche parole che si erano scambiati da un sogno. Cosa gli aveva detto? Un incubo?
«Sammy?» chiamó di nuovo, e non ottenne alcuna risposta.
"Dorme" pensó, quasi sollevato.
Gli si avvicinó di piú, passandogli un braccio attorno alla vita e stringendolo leggermente. Poi gli affondó il viso tra i capelli, fino appoggiare la fronte sulla sua testa.
Un attimo prima di chiudere di nuovo gli occhi, gli lasció un morbido bacio sulla nuca.

***

Sam sussultó quando sentì suo fratello alzarsi di scatto, e rabbrividì quando il braccio di Dean scivoló lungo i suoi fianchi e il petto del maggiore finì a contatto con la sua schiena.
Non rispose ai suoi sussurri, preferì continuare a far finta di dormire. Se Dean si fosse accorto che era sveglio, gli avrebbe chiesto perché aveva cambiato letto, e davvero, lui non aveva nessuna voglia di spiegargli degli incubi. Preferiva di gran lunga rannicchiarsi contro il suo petto e annegare nel calore della sua stretta.
Quel bacio tra i capelli lo fece sorridere leggermente, e il fiato del fratello sulla nuca era meglio di qualsiasi sonnifero, ma si costrinse a rimanere sveglio ancora un po'.
Aspettó che il respiro di Dean si facesse pesante e regolare, poi si girò lentamente nel suo abbraccio, fino a ritrovarsi ad un soffio dal suo viso.
Al buio, anche a quella distanza, non riusciva a distinguere niente di più del profilo del naso e della curva del mento, ma sentiva il suo fiato caldo sul petto, alla base del collo, e la sua mano premere leggermente sulla schiena.
Sempre stando attento a non svegliarlo, si sollevó un poco, fino all'altrezza del suo viso, e li lasció un leggero bacio sulle labbra.
Poi si stese di nuovo, appoggiandosi al suo petto e rilassandosi nella sua stretta.
Dean, ad occhi chiusi, sorrise leggermente.





NdA
Salve a tutti!
Si, terzo capitolo, per di più puntuale, contro ogni aspettativa.
Proprio perchè è il terzo, e il tre è il numero perfetto, dovevo scrivere qualcosa di speciale, quindi una Weecest.
Sam quattordicenne e Dean diociottenne sono troppo, anche per me.
Grazie mille a tutti quelli che hanno recensito gli altri capoli e anche a chi ha inserito la storia tra le seguite, fa sempre tanto piacere.
Spero che anche questo sia all'altezza dei precedenti.
Mi raccomando, lasciatemi una recensione, e ci vediamo la prossima settimana.
Un abbraccio, Erin

 

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Capitolo 4
*** Convinzioni ***


Raiting: Giallo, un po' pesantino.
Genere: Fluff, instrospettivo.
Contesto: Quinta stagione, ma non c'è assolutamente nessun tipo di spoiler.
Note: Cambiamo pairing, vi va? Sorpresa... (Il Raiting è così sia per il contenuto che per certe espressioni, ma non è niente di troppo marcato)






Tutto si poteva dire di Dean Winchester, tranne che non fosse un uomo fermo sulle sue convinzioni. Testardo, avrebbero detto alcuni.
Quando si metteva in testa una cosa, niente e nessuno potevano fargli cambiare idea, salvo rarissimi casi.
Poteva anche essere che avesse torto, certo, nessuno é perfetto, ma in ogni caso teneva fede alle sue scelte fino in fondo.
Nel suo piccolo mondo, c'erano poche cose certe. Il mostro della settimana, tanto per dirne una. Uno schifosissimo essere che andava distrutto ad ogni costo.
Suo fratello, tanto per dirne un'altra. Due metri di capelli scuri e occhioni da cucciolo avvolti in una camicia a quadri, con una voce che tendeva ad assomigliare fin troppo spesso a quella della sua coscienza. O forse era il contrario, ma Dean preferiva non porsi il problema.
L'Apocalisse, per completare il trio. Certa o no, quella se ne stava la, come il casello alla fine dell'autostrada, con tutti i suoi bei cavalieri e demoni a contornare quel meraviglioso regalo di quei pennuti celesti figli di puttana.

Ma Dean Winchester poteva anche ricredersi.
Gli era capitato, qualche volta.
Su suo fratello, la maggior parte. Ma anche su altro.
Ad esempio, sugli angeli e la loro esistenza, e certe volte ancora si chiedeva se non sarebbe stato meglio non averne mai saputo niente.
Ma si era ricreduto anche su suo padre, in parte, specie dopo aver conosciuto Adam ed essersi fatto un paio di viaggetti nel passato con "Heaven Airways".

Ma questo era ben poca cosa se paragonato a quello su cui aveva dovuto fare pericolosamente marcia indietro negli ultimi tempi.
Passino gli angeli, l'Apocalisse e il Paradiso, ma quello davvero, andava oltre ogni sua aspettativa.
Perché nella vita di Dean Winchester, c'era sempre stata una convinzione, un'idea fissa, ferma e certa, una cosa che dava talmene per scontato da non porsi nemmeno il problema. Era cosi, era sempre stato così, e non serviva nè parlarne nè pensarci. Era una cosa ovvia, di quelle che se un anno prima gli avessero detto che si sarebbe smentita, lui avrebbe riso fino alle lacrime, fino a smettere di respirare, fino a piegarsi in due dal dolore allo stomaco.

Era a questo che il cacciatore pensava distrattamente, mentre sentiva la sua maglietta sollevarsi lentamente fino a farsi sfilare via da mani che ormai erano diventate fin troppo esperte nel farlo. E sempre a questo pensava, ancor piú distrattamente, mentre dalle sue labbra uscivano mugolii sempre piú forti e compiaciuti.
E poi non pensava piú, perché doveva concentrarsi seriamente per trattenere i gemiti che gli si affannavano in gola in risposta a quella bocca che con calma misurata risaliva la pelle, a partire dal bordo dei pantaloni. Il cervello si scollegava, quando sentiva quella lingua percorrere con cura le curve tra i suoi addominali, e poi soffermarsi forse un po' troppo a lungo su un capezzolo, mentre i denti lo torturavano.
E non poteva far altro che ansimare, quando quella bocca arrivava alla base del collo e prendeva a succhiare la pelle per marchiarla a fuoco, segnando un passaggio, una proprietá che comunque era fin troppo evidente.
E alla fine sorrideva, ritrovando un po' di controllo, quando quelle labbra finalmente toccavano le sue, e la sua lingua incontrava l'altra, ed era come riprendere a respirare dopo un'eterna apnea.
E solo alla fine, quando sentiva quel sapore in bocca, quel calore addosso e quel respiro sulla pelle, solo allora si decideva ad aprire gli occhi, e si sorprendeva ogni volta di quanto semplice fosse sprofondare in quei pozzi azzurri che si ritrovava davanti.
«Dean»
«Castiel»

E per un attimo, ripensava ancora una volta a quella sua convinzione, quella sua assoluta e incrollabile sicurezza di tanto tempo prima, quando ancora era certo con tutto sè stesso della sua eterosessualità.
E si chiedeva come ci era arrivato li, tra le braccia dell'angelo piú bello del Paradiso, ma bastava un altro bacio per togliergli quella domanda assurda dalla testa.







NdA
Salve a tutti!
Spero che abbiate passato una buona settimana, e che questa sia cominciata nel migliore dei modi;)
Allora, che dire? Quattro settimane, quattro capitoli, e mi sembrava ora di cambiare. Chi non shippa almeno un po' Destiel, dopotutto? Loro due mi piacciono da morire come coppia, quindi era inevitabile che prima o poi scrivessi qualcosa di questo genere, e di sicuro questa non sarà l'ultima volta.
Non so se vi siete accorti, ma ho cambiato un po' le caratteristiche della storia, visto che mi sono venute un paio di idee in mente, ma non vi faccio spoiler;)
Bene, tutto qua, spero vi sia piaciuto questo capitoletto, mi aspetto un sacco di recensioni e vi auguro una buona settimana, e ci rivediamo lunedì prossimo.

Anzi, no, un piccolissimo spoiler ve lo metto, è d'obbligo. La prossima settiama sarà Novembre, e tutti sappiamo cosa ricorre il 2 Novembre... A buon intenditor poche parole.
Alla prossima, Erin:)

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Capitolo 5
*** Scelte ***


Raiting: Siamo sul giallo.
Genere: Fluff, per compensare lo scorso capitolo.
Contesto: Prima dell'inizio.
Note: Weecest, come se ci fosse bisogno di specificarlo.








Dean se ne stava sdraiato sul letto a pancia in su, tormentandosi distrattamente la collana e gettando ogni tanto qualche occhiata a suo fratello, seduto di fronte al pc.
John era uscito meno di un'ora prima, promettendo di rientrare per cena, e aveva lasciato a Sam qualche ricerca da fare su un piccolo caso che stavano seguendo in zona.
Le dita del ragazzo correvano veloci sulla tastiera, scivolando di tanto in tanto sul pad per spostare il cursore sullo schermo.
Dean si perse un momento ad osservarne i movimenti, la contrazione dei muscoli dei polsi, ma anche il ticchettio nervoso dell'indice sinistro sul bordo del computer, e poi gli occhi che scivolavano veloci sulle righe di qualche articolo, e i capelli che pendevano pericolosamente davanti al viso.
Sam sospirò, appoggiandosi allo schienale della sedia e sfregandosi i palmi delle mani sui jeans, e Dean distolse lo sguardo, tornando a concentrarsi sulla tv accesa.
«Cosa guardi?» chiese il minore, chiudendo il computer e alzandosi dalla sedia.
Il biondo scrollò le spalle, perché in realtá non ne aveva idea.
Sam si avvicinò e si sedette accanto a lui sul letto, appoggiando la schiena alla testiera. Dean si spostò un po' per fargli spazio, e non potè evitare di fare caso a quanto suo fratello fosse cresciuto negli ultimi tempi. Ormai aveva sedici anni, e i capelli un po' troppo lunghi gli scurivano gli occhi e lo facevano sembrare più grande della sua età. Era alto, e anche se a Dean seccava ammetterlo, tra poco lo avrebbe superato. Era magro, e la caccia gli aveva scolpito il corpo regalandogli spalle ampie e muscoli definiti. Ma se il maggiore non perdeva mai occasione per mettere in mostra il proprio fisico, il più piccolo preferiva seppellirsi negli abiti dismessi del fratello o in camice troppo larghe. Dean non lo avrebbe mai ammesso -davvero, mai, nemmeno se costretto- ma gli piaceva questo, di suo fratello, che non amasse mettersi in mostra, che preferisse magliette ampie a canottiere strette. In qualche modo, era confortante sapere che Sam non andava alla ricerca degli sguardi delle persone. Dopotutto, Dean era certo che un esibizionista in famiglia fosse più che sufficiente.
«Dean»
La voce di suo fratello accanto a sè lo riportò alla realtà cosi bruscamente da farlo sussultare. Si girò verso di lui, lentamente, incrociandone lo sguardo.
«Dean... Visto che papá non c'è, potremmo fare qualcosa noi due»
La voce di Sam suonava incerta, quasi si sentisse in colpa a chiederlo, o se ne vergognasse, e il fratello lo guardó arrossire e abbassare lo sguardo, e sorrise.
«Certo Sammy» rispose, dandogli un colpetto con la spalla «cosa vuoi fare?»
Sam lasciò vagare lo sguardo sulla stanza, alla ricerca di ispirazione «potremmo fare un giro in macchina...» propose di getto, ma Dean lo fermò subito.
«Non abbiamo la macchina, non fino a stasera»
Al maggiore si strinse il cuore nel vedere la delusione negli occhi del fratello, e cosi si costrinse a tirare fuori un'alternativa.
E poi, l'illuminazione «perché non ci guardimao un film? Uno di quelli veri, intendo»
Sam sorrise, scattando in piedi «Si, si, dai!»
Sembrava un bambino a cui hanno appena promesso una gita a Disneyland, e Dean si mise a ridere, alzandosi in piedi a sua volta e stiracchiandosi.
Dieci minuti dopo, dopo che il minore ebbe saltellato come esaltato in giro per tutta la stanza, si sedettero sul letto, più o meno nella stessa posizione di prima, spalla a spalla, e Sam si impossessó del telecomando talmente in fretta da non dare a Dean nemmeno il tempo di protestare, facendo finalmente partire "Matrix".
Il maggiore sbuffò, nascondendo un sorriso divertito, e si accomodò meglio sul letto, sistemandosi il cuscino dietro la schiena.
Non seppe esattamente quali movimenti portarono poi a quel piacevole groviglio che era Sam accoccolato contro di lui, le gambe piegate e un ginocchio nascosto sotto a una delle sue coscie, e poi la sua mano sulla schiena del più piccolo e gli occhi che vagavano più sulla figura del fratello che non sul film.
E poi, Sam decise di mandare definitivamente in vacanza il cervello di Dean, che giá cosi avrebbe faticato ad articolare il suo nome, figuriamoci altro.
Il moro appoggiò la testa sul petto del fratello, avvicinandosi ancora di più. Sbuffò, scostandosi i capelli dal viso e strusciando inconsciamente la guancia sulla maglietta del biondo, a cui parve che i suoi neuroni avessero optato per l'eutanasia.
In automatico, strinse leggermente l'abbraccio in cui avvolgeva Sam, mentre il suo cuore prendeva a battere più in fretta.
"Ma che cazzo ti succede?" si chiese, ma il calore del fratello stretto addosso gli strappò anche quel pensiero lucido, e lui si ritrovò ad affossarsi ancora di più sul letto.
Dean non capiva. Non sapeva che cosa stesse succedendo, perchè il suo cuore stesse facendo le capriole che neanche una ginnasta sarebbe stata in grado di elaborare -no, non si era appena paragonato ad una ginnasta. No- o perchè gli stessero sudando le mani, o semplicemnte perchè i suoi occhi avessero preso quell'assurda abitudine di indugiare su suo fratello, sui suoi capelli, sulla sua schiena, sulle sue mani... E su tante altre cose a cui Dean non voleva pensare lucidamente, grazie.
Non sapeva nemmeno quando era cominciato, e sinceramente preferiva non dare un nome a quella cosa, e di sicuro semmai ci fosse riuscito il suddetto nome non avrebbe mai lasciato la sua testa.
Non è che fosse spaventato, almeno non nel senso comune del termine. Non era qualcosa da cui scappare o da poter affrontare, ma solo da tenere nascosto e pregare che non vedesse mai la luce.
Dean non era un pervertito, ok? E nemmeno un pedofilo. E il fatto che suo fratello sedicenne riuscisse a fargli contrarre lo stomaco solo sdraiandosi accanto a lui, beh, non cambiava le cose.
E certe idee che gli nascevano spontanee quando si fermava a guardare le labbra di Sam o si ritrovava ad osservarne le gambe fasciate dai jeans, nemmeno quelle cambiavano le cose. Punto.
E no, non si stava di nuovo perdendo su suo fratello, a percorrerne il corpo con lo sguardo. E non stava nemmeno sfiorando la sua schiena sovrappensiero, percorrendo la sua spina dorsale su e giù con le dita, arrivando fino alla nuca e solleticando per un momento la prima vertebra.
Ok, si, lo stava facendo, ma in realtá non gliene fregava niente, non li, non con il profumo di Sam penetrato quasi fin sotto alla pelle o i suoi capelli sul collo. E non gli interessava nemmeno che adesso suo fratello stesse reclinando il capo per andare incontro alle sue carezze, che ora si stavano insinuando sulla cute della testa, mentre le dita si intrecciavano ai capelli troppo lunghi.
E poi i loro occhi si incrociarono, e Dean ritirò la mano mentre il fratello su puntellava sui gomiti e si sollevava dal suo petto, senza però interrompere davvero il contatto. Il cuore del maggiore fece una capriola -ok, forse due- e riprese a battere impazzito, mentre il suo cervello, che nel frattempo aveva rassegnato le dimissioni e si era messo a preparare le valigie per l'Australia, dava un ultimo segno di vita con un immagine delle labbra di Sam sulle sue, del sapore che potevano avere e di quanto potevano essere morbide, e Dean rabbrividì.
Sam lo fissò per un lungo istante, mentre da fuori giungeva ovattato il rumore di una macchina che parcheggiava, e il maggiore si rese conto che se non fosse stato lui, se non fosse stato il suo fratellino minorenne, niente al mondo gli avrebbe impedito di ribaltarlo sul letto e fargli tante di quelle cose da esaurire la fantasia per una vita e mezza.
Ma era sempre Sam, il suo Sam, e non poteva.
Ma lui continuava a fissarlo in quel modo, e Dean leggeva in quegli occhi un chiaro desiderio e una speranza, la stessa che lui cercava disperatamente di ricacciare dentro di sé.
E, mentre l'aereo per l'Australia decollava e lui faceva ciao ciao al suo cervello, appoggiò una mano sulla nuca di suo fratello, mentre con l'altra ancora gli cingeva un fianco. E Sam parve quasi sorridere, e Dean lo vide avvicinarsi leggermente, mentre il suo cuore smetteva di battere, anche lui in attesa.
E poi fu un lieve grattare sulla serratura, la porta che si spalancava e John che entrava sbuffando.
Sam si ritrovò chiuso in bagno talmente in fretta da non rendrsene conto, mentre Dean... bhe, Dean non era certo che sarebbe mai riuscito a far riprendere a battere normalmente il proprio cuore.

 

***

 

«Cazzo, Sam! Spara»
La voce di Dean era roca, forse a causa del colpo alla schiena cha gli avevo tolto il fiato, ma risuonò comunque decisa nell'aria fredda di quella notte, rimbombando leggermente nel magazzino vuoto.
Perchè certo, figuriamoci se é possibile andare a caccia di fantasmi in un posto caldo e magari luminoso! No, molto meglio i capannoni umidi, freddi e abbandonati, preferibilmente privi di un impianto elettrico e con varie e vaste infiltrazioni di vario tipo.
Era passata una settimana dalla sera del film, una settimana in cui Sam si era dedicato anima e corpo al caso di turno, cercando di far finta che suo fratello non lo stesse evitando in ogni modo possibile.
Ricerche su ricerche, ore e ore passate al computer e alla fine un indizio.
Il fantasma, un caro ragazzo che li aveva quasi uccisi giá una volta, pareva essere stato sepolto in un vecchio magazzino. Perchè di cose assurde loro non ne avevano viste ancora abbastanza, no?
Ma un articolo locale che Sam aveva tirato fuori da chissá dove asseriva invece che il suddetto caro ragazzo era stato in realtá cremato. John, che riteneva più valida la seconda ipotesi, aveva deciso di andare a parlare con l'anziana madre, per trovare una ciocca di capelli o qualche altra traccia biologica a cui il fantasma potesse essere legato, ma aveva mandato i figli a controllare comunque il magazzino, per ogni evenienza.
Sam e Dean avevano preso l'Impala, più che altro per avere l'arsenale con loro in caso di necessitá, e si erano addentrati nel magazzino buio armati di tanto sale da poter sterminare un esercito.
Neanche due minuti e quel simpatico figlio di puttana aveva sbalzato il maggiore contro la porta del magazzino, chiusa, mentre Sam arrancava per recuperare dal borsone la benzina e l'accendino.
Il ragazzo aveva ribaltato l'armadio in cui il corpo ormai decomposto riposava -davvero, un armadio? Fantasia quanto ad occultamento di cadaveri zero- e lo aveva cosparso di sale e liquido infiammabile, dandogli fuoco.
Ma le fiamme faticavano a prendere a causa dell'umiditá, e il fantasma era sempre più vicino a Dean, ancora sdraiato a terra, che pareva non riuscire a riprendersi. Sam aveva lasciato cadere il borsone e tenendo in mano il fucile aveva corso attraverso il magazzino fino a fermarsi dietro al fantasma.
«Cazzo, Sam! Spara»
E Sam sparò, ma troppo tardi.
Lo spettro gli comparve accanto, ad un soffio dal suo viso, e un istante dopo il ragazzo impattava di schiena contro la parete umida, accasciandosi al suolo con un gemito.
Dean urlò, come se fosse stato lui stesso a colpire il muro, e per un attimo pensò distintamente che quella volta era finta davvero.
Ma poi, all'improvviso, le ossa presero fuoco, e le fiamme divamparono, aiutate dall'accelerante, e avvolsero tutto il corpo e con esso il fantasma, che si sbriciolò nell'aria con un ringhio di dolore.
Dean si alzò in piedi, stringendo i denti e mordendosi la lingua, e corse da Sam, ancora accasciato a terra, privo di sensi. Il fratello se lo caricò in spalla senza pensarci, trascinandosi fuori dal magazzino quasi senza accorgersene.
Lo stese sul sedile posteriore dell'Impala, ansimando più per la paura e il dolore che per la fatica, e si mise al volante, accendendo il motore.
Mentre guidava verso il Motel, si chiese se dovesse chimare John, ma buttando un occhio su suo fratello, svenuto sul sedile della macchina, il solo pensiero di dover avere anche a che fare con il padre e le sue domande gli fece venire la nausea.
Parcheggiò fuori dalla loro camera, e quando spalancò la portiera si accorse che Sam stava aprendo gli occhi. Si chinò e lo prese in braccio, come se non fosse alto quasi quanto lui e pesasse come il sedicenne che era. Il fratello appoggiò la testa sul suo petto, mormorando qualcosa, e Dean fu percorso da un brivido che non volle identificare.
Lo stese sul suo letto, il più vicino alla porta, poi accese la luce, chiuse le tende e si sfilò la giacca.
Sam gemette, rannicchiandosi su un fianco, ancora con gli occhi chiusi, e Dean si costrinse ad ignorare un taglio sulla spalla e una fortunata serie di escoriazioni sulle mani per inginocchiarsi accanto al letto di suo fratello. Con calma, gli sollevó un lembo della felpa, scoprendo i bordo frastagliati di una ferita che gli attraversava la schiena, in diagonale. In alcuni punti la pelle si stava gia annerendo in ematomi grandi quanto un pugno, e Dean rabbrividì pensando che la sua schiena doveva avere più o meno lo stesso aspetto.
Si alzò e si mise a cercare il kit di pronto soccorso, e quando tornò Sam era ancora rannicchiato, ma con gli occhi aperti.
Al maggiore si strinse il cuore, e gli si accucciò vicino «Ehi»
«Ehi» rispose Sam, accennando un sorriso che però si spense quasi subito in una smorfia di dolore.
«Come ti senti?»
«Indolezito» rispose il più piccolo, fissandolo.
Erano vicini, maledettamente vicini, si rese conto Dean, e scattó in piedi, aggirando il letto e sedendosi alle spalle del fratello.
Sollevare la maglia era impossibile, e così si limitò a tagliarla.
Lentamente, con cura, lavò tutto il sangue, assicurandosi di non fare male a Sam, che nel frattempo stringeva i pugni e si mordeva la lingua.
Il taglio era meno profondo di quanto non sembrasse, e Dean valutò che non serviva mettere dei punti, bastava fasciarlo, e così fece.
Mezz'ora dopo, finalmente il maggiore si decise a mandare un messaggio al padre, avvertendolo che loro erano rientrati al Motel dopo aver sistemato il fantasma, sorvolando ampiamente sulla parte "siamo quasi morti, ma va tutto bene".
Stava sistemando il borsone, quando un gemito di Sam attiró la sua attenzione.
Si sedette a terra, accanto al letto, porgendo al fratello un antidolorifico e un bicchiere d'acqua «Sei stato bravo»
Sam fece una smorfia «Non é vero. Ti ha quasi ucciso per colpa mia»
Dean sorrise dolcemente «No Sammy, é grazie a te se siamo vivi»
Il moro abbassò lo sguardo. «Di positivo, in questa serata, c'è che almeno adesso mi rivolgi di nuovo la parola» mormoró dopo un momento, rannicchiandosi ancora di più, e stirando le labbra in una smorfia di dolore.
Il maggiore si sentì attorcigliare lo stomaco «Sam, ascolta, io...» tentò, sollevandogli la testa fino a far incrociare i loro occhi, e non ebbe la forza di continuare.
Sam lo guardó a lungo, avvicinando la fronte alla sua, lentamente, senza dire nulla. Dean fece per ritrarsi, ma lui lo trattenne, appoggiandogli una mano sulla nuca, le dita ad intrecciarsi con i capelli biondo cenere.
«Sam...» gemette il maggiore.
Ma il ragazzo continuò a fissarlo, fermo, come alla ricerca di un permesso, o di un divieto.
E alla fine fu Dean a cedere.
Non gli importava di avere vent'anni e Sam solo sedici, o che fosse suo fratello, o che fosse ferito, o che il loro padre potesse tornare da un momento all'altro.
C'era solo Sammy. Sempre e solo Sammy.
E poi lo baciò, e si baciarono, stringendosi uno sul letto e uno inginocchiato a terra. Si tennero vicini in una stretta disperata, forte, ed era bello, era giusto, anche se non doveva esserlo. E niente avrebbe tirato via Dean da quel bacio, perchè lui aveva scelto Sam. Lui avrebbe sempre scelto Sam.








NdA
Ciao a tutti. Oggi si, è lunedì e sono tornata al solito standard.
Allora, intanto, un'ode alla mia beta, che si è dovuta sorbire me e le mie tare mentali per tutta la mattina, e che mi ha sopportato nonostante io le abbia scritto il capitolo praticamente sotto al naso. La adoro, e dopo oggi mi sa che le farò un monumento. Ci tengo però a specificare che lei non si prende la responsabilità dei titoli (lo so, sono una cosa atroce, ma non posso farci niente).
A proposito di questo capitolo, è lungo. So che sembra una banalità, ma per me è stato difficilissimo finirlo e, dopo il weekend infame che ho passato, non credevo che sarei davvero riuscita a scriverlo in tempo, e invece sono qua comunque.
Ringrazio tantissimo tutti quelli che mi hanno lasciato una recensione, e anche a chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite, e spero di riuscire a continuare su quest'onda anche con i prossimi capitoli.
Un bacio a tutti, Erin
 

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Capitolo 6
*** 2 Novembre ***



Raiting: Giallo, anche se io lo metterei quasi rosso...
Genere: Introspettivo fin troppo, triste e malinconico. Credo.
Contesto: 2 Novembre 1983.
               Si, avete capito bene.

Note: Niente pairing.
         Non odiatemi, mi odio già abbastanza da sola.


Un urlo.
Si alza di scatto, e si rende conto che si, conosce quella voce. Sua madre urla, e suo padre risale le scale correndo, riconosce distintamente i tonfi dei piedi sulle scale, i gradini percorsi a due a due.
Si chiede se deve alzarsi, e si, dovrebbe, ma poi riconosce distinitamente il sospiro di sollievo di John nella stanza accanto, e un "Sammy" mormorato nell'oscuritá.
Va tutto bene, é tutto a posto.
Torna a stendersi, appoggiando la testa sul cuscino bianco che profuma ancora di ammorbidente, e chiude gli occhi, e distrattamente si chiede perchè sua madre ha urlato, ma non é importante, non adesso che John é con lei e con Sam.
Va tutto bene, é tutto a posto.
Ma poi anche suo padre urla, e questa volta lui non se lo chiede nemmeno, perchè è nella cameretta di Sammy che sta urlando, e Dean esce dalla sua stanza talmente in fretta da non rendersi nemmeno conto di essere davvero sceso dal letto.
Nel corridoio fa caldo, molto caldo, e l'aria è impregnata di un fumo grigiastro che inizia a diffondersi prepotente dall'ultima stanza sulla sinistra.
La luce nella camera è accesa, ma Dean non la ricordava così densa, cosi pastosa, luminosa di un giallo quasi rosso, cosi... calda. Danza sulle pareti decisa, quasi fosse dotata di vita propria, e lui si chiede com'è possibile.
E mentre si perde ad osservare il muro del corridoio animarsi dei colori delle fiamme, John usce dalla camera con un fagotto di coperte in braccio.
Lo vede così, un bambino di quattro anni in piedi, le braccia abbandonate lungo i fianchi, i piedi nudi e due grandi occhi verdi persi tra la paura e la confusione.
Il padre gli si avvicina e gli mette suo fratello tra le braccia.
«Porta fuori tuo fratello più in fretta che puoi. Non ti voltare. Corri Dean, corri!»
Poche parole, e Dean si volta e corre giù per le scale come se solo quello potesse riportare tutto a posto. Perché suo padre gli ha detto di farlo, e John risistemerà tutto, e spegnerá quella luce calda nella stanza di Sammy e poi uscirà con Mary, e se lui porterá suo fratello fuori tutto sarà come prima.
Scende le scale senza nemmeno rendersene conto e si ritrova in giardino, con Sam tra le braccia e un brivido di freddo lungo la schiena.
Si ferma sotto alla finestra della cameretta del fratello. Tra le tende, si distingue ancora il danzare delle fiamme, e Dean ha paura, paura davvero. Per la prima volta, lui si sente mancare il fiato e le gambe tremare, ma non per sè stesso.
«Non avere paura Sammy» sussurra sulla fronte del fratello, ancora stretto fra le sue braccia, e gli lascia un bacio tra i capelli corti e scuri, un tocco leggero, di conforto, di una sicurezza che non ha e che non può dargli davvero, di consapevolezza negata e paura nascosta. Gli sfiora la pelle calda con le labbra e si rende conto che Sam è li, con lui, e sta bene, e allora sta bene anche Dean. Non é perchè ha fatto quello che ha detto suo padre, o perchè è riuscito a salvarsi, ma solo perchè stanno entrambi bene, e sono li e sono al sicuro, e Dean stringe il fratellino a sè.
Alza di nuovo la testa, e si accorse di quando intensa è quella luce ora. Si chiede che cosa deve fare, e se deve davvero fare qualcosa. Si rende conto di quanto è piccolo, con Sammy tra le braccia e i piedi nudi sull'erba, senza sua madre e suo padre accanto a sè. É spaventato, piccolo e spaventato.
E l'unica cosa di cui é certo, assolutamente certo, è che deve restare li e prendersi cura di suo fratello, perchè è quello che John gli ha detto di fare, e lui lo ha fatto, lo sta facendo in quel momento e lo farà sempre, perchè adesso conta solo quello, solo suo fratello, al sicuro stretto tra le sue braccia di bambino di quattro anni, solo, piccolo e spaventato.
E poi é un attimo, suo padre lo afferra e lo solleva, e lui si preoccupa solo di non lasciare che Sam cada, e si stringe e lui. Poi la luce calda esplode densa in strada, e lui non ha nemmeno tempo di chiedersi perché la mamma non é con loro che suo fratello inizia a piangere, e l'unica cosa che gli importa é che Sammy stia bene, perchè ora per lui conta solo questo.
Al resto, ci penserá John. John sistemerá tutto.








NdA
Eh.... Si, lo so. Sono una brutta persona.
Intanto, no, non sono uscita di testa, so che oggi è domenica, ma non potevo non pubblicare una cosa così. Ve l'avevo promessa, no?
Poi, mi sono trovata una beta. "Era ora", direte voi, e lo credo anch'io, ma adesso ce l'ho e me la tengo stretta, grazie. A propostio, la amo tantissimo per la mano che mi sta dando (mi sa che me la sposerò...) e mi scuso in anticipo per tutto il lavoro che le darò da fare più avanti, e sappiate che certi parti della mia mente perversa sono in gran parte merito suo.
In ultimo, chiedo perdono per questo capitolo, che tra l'altro pensavo di pubblicare stamattina, e invece pare che ci sia un complotto mondiale per tenermi lontano dal pc. Spero che il prossimo sia meno strappacuore di questo...
Basta, vi lascio e vado a scrivere il successivo *sospira pensando che non ce la farà mai a finirlo in tempo*-
Un abbraccio a tutti, e ci vediamo presto
Erin

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Capitolo 7
*** Di birre e ragazzi alti ***


Raiting: Verde
Genere: Fluff, come sempre.
Contesto: Quinta stagione, tra il 5x08 e il 5x19 (e avete già capito...)
Note: Nuovo pairing, condito con un po' di classico, perchè io proprio non ce la faccio a tenerli separati.
          Alla mia beta, perchè lei li ama.
 

Di birre e ragazzi alti






«Allora io esco...»
Sam si girò verso suo fratello, in piedi sulla porta della stanza, con la giacca infilata a metà e le chiavi della macchina in mano.
Avevano passato l'ultima settimana sorprendentemente al di sotto dei radar angelici, e questo aveva permesso loro di lasciare momentaneamente da parte Cavalieri dell'Apocalisse e compagnia bella per “distrarsi” con una caccia, per così dire, tradizionale.
Un covo di vampiri, un lavoretto di qualche giorno da cui, tra l'altro erano appena rientrati.
Sam era convinto che, dopo tutto quel sangue e quelle teste mozzate, la serata si sarebbe conclusa con una doccia e una dormita, ma a quanto pareva suo fratello non era dello stesso avviso.
«Dove vai?» chiese il minore, sedendosi sul letto, mentre con una mano si passava un asciugamano tra i capelli umidi.
Il biondo tentennò un momento, sistemandosi la giacca. «Al bar» rispose, dopo un momento, concentrandosi sul collo della propria camicia.
Per Sam fu abbastanza.
«A cosa ti serve la macchina, se il bar è qua sotto?» chiese, fingendo indifferenza.
Dean si bloccò, fissando le chiavi dell'Impala nella propria mano, alla ricerca di una risposta quantomeno decente e che possibilmente non assomigliasse alla verità.
Esitò, spostando il peso da un piede all'altro, mentre un sorriso si allargava sulla bocca di Sam. «Sai cosa?» disse il minore, dopo un momento, sempre fingendosi distratto «Non lo voglio sapere. Buonanotte Dean» e così dicendo, si alzò e si diresse di nuovo in bagno.
Il maggiore sospirò, evidentemente sollevato, poi sorrise, già pregustandosi la serata, e afferrò la maniglia, spalancando la porta.
«Ah, Dean? Ancora una cosa» la testa di Sam sbucò dal bagno, ancora con i capelli bagnati e uno strano sorriso sulle labbra.
«Cosa?» mormorò il fratello, di spalle, già mezzo fuori dalla camera.
Il ghigno di Sam si allargò ancora di più «Salutami Cas»
Dean sussultò, girandosi appena, ma non fece in tempo a ribattere che il fratello si era già chiuso in bagno, ridacchiando.
Il maggiore sbuffò, scuotendo la testa, e finalmente uscì.

 

Un paio di minuti dopo, Sam uscì dal bagno, con i capelli ancora un po' umidi e lo stesso sorriso compiaciuto sulle labbra, mentre nella sua testa si susseguivano tutta una serie di immagini di un Dean sconvolto dalla perspicacia di suo fratello. Esilarante.
Si sedette sul letto, frugando sul una mano nel borsone appoggiato li vicino, finchè non ne estrasse una maglietta nera. Se la appoggiò di traverso sul collo, mentre si alzava in piedi per infilarsi un paio di jeans e si sedeva su una delle sedie del tavolo, accendendo il pc davanti a sè.
Un leggerissimo fruscio d'ali distolse la sua attenzione dal computer, ma ormai lui ci era abituato, e non si scompose più di tanto. L'unico che si faceva ancora venire un attacco di cuore ogni volta che Castiel compariva in quel modo era suo fratello.
«Ciao» sospirò, infilandosi la maglietta, senza distogliere lo sguardo dallo schermo illuminato «Dean è appena uscito, se vuoi..»
«Ma che peccato, era una cosi bella vista da qui»
Una voce che conosceva fin troppo bene, e che di certo non era del loro angelo, lo fece sussultare e scattare in piedi, con il tessuto della t-shirt ancora arricciato sul petto.
«Gabriel» mormorò, facendo istintivamente un passo indietro.
L'arcangelo era comparso in piedi appoggiato al muro, le braccia incrociate sul petto e un sorriso sghembo sul viso.
«Ciao Sam» mormorò, indugiando con lo sguardo sugli addominali scoperti del cacciatore, che arrossì e si affrettò a sistemarsi la maglia.
Gabriel roteò leggermente gli occhi, divertito dalla reazione del ragazzo, e si scostò dal muro, facendo un paio di passi verso di lui.
Sam arretrò ancora un pò, fino a sbattere la schiena contro il tavolo.
L'arcangelo rise, poi puntò gli occhi in quelli del cacciatore, improvvisamente serio «non devi avere paura di me, non voglio farti niente» sospirò «altrimenti lo avrei già fatto, non credi?» aggiunse, sempre fissandolo.
Sam parve rilassarsi, ma continuò a starsene a debita distanza «cosa vuoi, Gabriel?»
L'altro sorrise, voltandosi e muovendo qualche passo nella stanza, come per guardarsi intorno. Alla fine si sedette su uno dei due letti, passando una mano sulla coperta scura «intanto, vedere come state»
«Bene» rispose Sam alla domando implicita, secco.
«E poi volevo farti un po' di compagnia» proseguì l'arcangelo, come se non fosse stato interrotto.
Il cacciatore lo guardò storto, preso in contropiede «compagnia?»
«Si, beh, sai... É un peccato sprecare tutto questo ben di Dio» sorrise, lasciando scorrere lo sguardo sulla figura del ragazzo «e visto che quel simpaticone di tuo fratello é in giro con il vostro angioletto...»
Sam rimase interdetto, sempre appoggiato al tavolo, mentre l'arcangelo davanti a lui si metteva più comodo sul letto e gli rivolgeva un'occhiata a metà tra il malizioso e l'interrogativo.
Alla fine, dopo essersi fissati per un momento, Gabriel sbuffò, ridacchiando «Allora, me la offri una birra o devo fare un patto con un demone per avere qualcosa da bere?»
Sam, suo malgrado, sorrise «Credevo fossi un arcangelo: perché non la fai semplicemente comparire?» ma aprì comunque il frigo, afferrando due lattine e porgendone una all'altro, che la accettò mormorando un “grazie”.
Il cacciatore si sedette sull'altro letto, sempre a debita distanza dal suo ospite ma non troppo lontano. Si portò la birra alle labbra e ne bevve un lungo sorso, osservando Gabriel fare altrettanto.
Si ritrovò a sbuffare divertito quando la lattina, appena incontrò le labbra dell'arcangelo, si trasformò in un lecca-lecca rosso, e si rese conto di quanto l'assenza di quel particolare avesse stonato nel contesto fino ad un attimo prima.
L'altro sorrise a sua volta «Beh, sono pur sempre un arcangelo»
Sam prese un altro sorso, e per un attimo si perse ad osservare la lingua di Gabriel tormentare lo stecchino bianco che gli pendeva dalle labbra, e quasi si strozzò con la sua stessa saliva quando si accorse che il proprietario della suddetta lingua lo stava osservando.
Il cacciatore spostò lo sguardo altrove, percorrendo con gli occhi i muri della stanza, salvo poi riportarli sull'arcangelo «Gabriel, perché sei qui?» chiese, dopo un momento.
«Te l'ho detto Sammy, per vedere se andava tutto bene»
«Andiamo, non te ne è mai importato niente di noi, e adesso di punto in bianco decidi di passare per una visita di cortesia?»
L'arcangelo si portò una mano al petto, sgranando gli occhi «mi ferisci!» sospirò, con tono melodrammatico «stai forse insinuando che abbia un secondo fine?»
«Precisamente» rispose Sam, prendendo un altro sorso di birra.
Gabriel stirò le labbra in quello che doveva essere un sorriso innocente, ma che al cacciatore parve più il ghigno di un predatore che sta per azzannare la sua preda, e per un attimo sentì un brivido percorrergli la schiena, ma non era esattamente paura.
L'arcangelo si sfilò dalla bocca il lecca-lecca, facendolo ruotare tra le dita e poi riprendendolo tra le labbra, e tormentandolo ancora un attimo con la lingua.
Sam lo osservò, nascosto dietro alla sua lattina, e si ritrovò a pensare distintamente qualcosa di ben poco appropriato a proposito di quella bocca. È tutta colpa di Dean, lui e quella sua insana passione per gli angeli.
«È vero» mormorò Gabriel, interrompendo il corso dei suoi pensieri prima che potessero finire ad arenarsi su qualcosa di peggiore delle labbra del suo interlocutore «c'è un motivo se sono qui» sorrise.
Sam indugiò, indeciso se lo volesse sapere o meno, ma tanto era certo che in ogni caso l'arcangelo glielo avrebbe detto, quindi si costrinse a chiedere «E quale sarebbe?»
Gabriel tentennò un attimo, e il cacciatore fu certo che fosse tutta scena.
«Sai, Sam» mormorò, sporgendosi in avanti, come se quello che stava per dire fosse chissà quale segreto che nemmeno il Paradiso conosceva «c'è una cosa che non sai di me»
Il ragazzo, di riflesso, si avvicinò a sua volta, fino ad accostare l'orecchio alla bocca dell'arcangelo. Sentiva il fiato caldo sul suo collo, e nemmeno con il più grande sforzo di volontà del mondo gli sarebbe stato possibile ignorare il brivido che lo percorse dalla testa ai piedi. Sorprendentemente, adesso non era poi così dispiaciuto della presenza di Gabriel in quella stanza.
L'arcangelo esitò ancora un attimo, e Sam chiuse gli occhi, in attesa.
Dio, Dean mi prenderebbe in giro fino alla fine dei tempi se mi vedesse adesso.
«Ho un debole per i ragazzi alti»
Il cacciatore spalancò gli occhi, poi si ritrasse lentamente, indeciso su come prendere quelle parole. Incrociò lo sguardo di Gabriel, e per un attimo fu certo di leggervi una completa sincerità. Ma poi l'altro scoppiò a ridere, e Sam non seppe descrivere la sensazione che lo avvolse, sembrava quasi... dispiacere.
«Ehi, stavo scherzando» sorrise l'arcangelo, cogliendo la confusione negli occhi del ragazzo.
Sam si sistemò sul letto, ristabilendo le distanze.
«Non vorrei mai rischiare l'ira di Dean» aggiunse Gabriel, succhiando il lecca-lecca.
Il cacciatore sorrise, abbassando lo sguardo sulle proprie mani, che ancora stringevano la lattina di birra, ormai completamente calda. Si ritrovò a pensare a suo fratello, che in quel momento era in giro chissà dove, e chissà a fare cosa, con Castiel, un angelo. E in un lampo di assurda determinazione, si accorse che lui non aveva chiesto il permesso a nessuno, tanto meno a suo fratello. E allora perché lui doveva ridursi ad accettare la volontà del maggiore, senza poter mai fare davvero quello che voleva?
E allora lo disse. O meglio, lo lasciò uscire dalle proprie labbra in un momento di lucida follia. «Non decide lui per me»
E lo disse guardando Gabriel negli occhi, che parve non aver aspettato altro da quando era comparso in quella camera quella sera.
«Ah no?» chiese, retorico.
«No» mormorò Sam, il coraggio di una attimo prima che già iniziava ad evaporare.
«In questo caso...» disse l'arcangelo, alzandosi in piedi «Non scherzavo prima»
Il cacciatore si alzò a sua volta, e corrugò la fronte.
«Ho davvero un debole per i ragazzi alti» disse Gabriel, a mo' di spiegazione.
Adesso aveva la testa alzata, per poter guardare Sam negli occhi, e i cacciatore non fece assolutamente caso al fatto che il lecca-lecca era scomparso.
E il bacio fu una cosa del tutto naturale, una conseguenza, come se tutta quella assurda conversazione fosse servita solo ad arrivare li, come se lo avessero sempre saputo entrambi, che sarebbe finita così.
Gabriel afferrò il colletto della camicia di Sam e lo tirò a sé, mentre con l'altra mano gli accarezzava la nuca e intrecciava le dita ai suoi capelli.
Il ragazzo si chiese per un attimo se per caso non fosse impazzito, o se quello non fosse un brutto scherzo di chissà quale creatura malvagia e con un perverso senso dell'umorismo, ma si accorse che non gli importava, non davvero. E allora appoggiò una mano sul fianco dell'arcangelo, Cristo, un arcangelo, e si lasciò guidare, mentre tra le dita stringeva ancora quella birra.
E quando il bacio si fece più profondo, più umido, gli parve di essere morto e di essersi risvegliato in paradiso perché, andiamo, era davvero possibile tutto quello?
Alla fine, quando si dovettero separare controvoglia, Sam sorrise.
«Non dirlo a Dean»










NdA
Lo so, sono una causa persa.
Inutile che me lo diciate, me lo ripete anche la mia beta, le Sabriel non sono esattamente il mio forte, e io ne sono consapevole, ma questa l'ho scritta proprio per lei, che ogni settimana deve sopportare me e i miei errori di battitura (e magari fossero solo quelli).
Ah, e per la cronaca, sono anche consapevole di non saper scrivere una Sabriel senza ficcarci dentro per forza anche una Destiel, ma è più forte di me, non posso proprio farne a meno.
Anche questa settimana, come sempre del resto, ce l'ho fatta a pubblicare per un mero miracolo, ma sono contenta di esserci riuscita. Dopotutto, che settimana sarebbe senza un Kiss?
Piccolo spoiler per il futuro: ho in cantiere una cosa terribilmente angst, ma di quello proprio brutto, quindi mettetevi il cuore in pace, perchè penso che la pubblicherò entro fine mese.
Altro da dire? No, direi di no.
Come sempre, biscotti cuori e cioccolatini a quella santa della mia beta che mi sopporta anche se le scrivo (e le dedico) pessime Sabriel e anche a tutti quelli che leggono/recensiscono.
Un bacio a tutti e buona settimana
Erin

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Capitolo 8
*** We are here ***


Raiting: Verde.
Genere: Fluff si, ce n'è, ma c'è anche l'angst da "Sam senza Dean", insieme alla classica malinconia del genere. Leggerissimo, giuro.
Contesto: Inizio quarta stagione. Ma proprio inizio inizio.
Note: Wincest, se non si era capito. Perdonatemi per aver usato la parola "Castiel" due volte. Non dovrebbe nemmeno comparire con questo pairing...
 


We are here




La bruciatura sulla spalla di Dean era ancora arrossata e pulsava sotto alla manica della maglietta.

Ogni tanto, Sam si perdeva ad osservarla, mentre il fratello dormiva.
Aveva passato quattro mesi trascinandosi e vivendo, o per meglio dire sopravvivendo, alla giornata, oscillando tra il bere e gli incubi. Si era logorato tra il desiderio di vendetta e il rimpianto per aver fallito, per non essere riuscito prima a salvarlo e poi a riportarlo indietro.
Sam sapeva che dirlo, o anche solo pensarlo, adesso che Dean era tornato era quasi un insulto, ma quello che lui aveva passato negli ultimi mesi era stato un inferno. Il solo pensiero di vivere senza suo fratello era talmente inaffrontabile da risultare soffocante, e aver dovuto trascorre tutto quel tempo in sua assenza, e in modo così definitivo, aveva quasi distrutto l'anima già lacerata di Sam.
Lui lo sapeva, lo aveva accettato, era sopravvissuto solo grazie al desiderio di vendetta. Voleva Lilith morta, voleva vederla contorcersi di dolore sotto i suoi colpi, voleva strapparle il cuore e osservarlo smettere di battere tra le sue mani. Voleva vedere i suoi occhi diventare neri tra gli spasmi di agonia, voleva sentirla implorare pietà e voleva che soffrisse come aveva sofferto Dean, come stava soffrendo lui.
E Sam sapeva anche che alla fine, quando sarebbe riuscito ad ucciderla, non avrebbe più avuto nulla per cui continuare a combattere. Nulla per cui continuare a vivere.
Fin dall'inizio, fin da quando aveva stretto il corpo di Dean a sé piangendo in quella casa e sporcandosi i vestiti di sangue, sapeva che sarebbe finita così. Lo aveva accettato. Dopotutto, era stata una sua scelta.
Ma poi lui era tornato. Se l'era ritrovato davanti, aprendo la porta di una camera di motel, e l'aveva visto li, vivo, ed era lui. Non un demone, non un mutaforma, non un fantasma. Era lui, era davvero lui, e a Sam era crollato il mondo di nuovo. Era tutto esploso in mille pezzi, in una pioggia silenziosa di cenere intorno a lui, ma non se ne era nemmeno accorto. Avrebbe ucciso qualunque essere cento e cento volte pur di riportare Dean da lui, e adesso era li.
Avrebbe dovuto chiedere come, quando, perché, ma in realtà non gli importava. Poteva essere solo un sogno e lui non se ne sarebbe preoccupato comunque, almeno non fino al risveglio. Dean, il suo Dean, suo fratello, era li, era vivo, e il mondo poteva bruciare in quel momento che lui non se ne sarebbe nemmeno accorto.
Era ricomparso, ritornato, e aveva fatto crollare tutto il mondo di Sam solo con un sorriso, ma andava bene, perché con una parola l'aveva ricostruito. Era bastata il suo “Sammy” e tutte le cose erano tornate al loro posto. Il cuore di entrambi batteva di nuovo, adesso.
Ogni tanto Sam ci pensava ancora, mentre osservava suo fratello dormire nell'ennesimo letto dell'ennesima stanza dell'ennesimo lurido motel. Osservava il suo petto alzarsi e abbassarsi nel sonno, e gli sembrava il più grande dei miracoli. Osservava i suoi occhi chiusi sussultare in preda ad un incubo e si chiedeva che cosa fosse stato l'Inferno per Dean. E ogni volta ringraziava Dio, o gli Angeli, o Castiel, per averglielo riportato, per averlo salvato, per averli salvati.
Dean dormiva, agitandosi leggermente tra le coperte, mentre Sam lo osservava, seduto sull'altro letto.
Probabilmente nessuno dei due avrebbe mai smesso di avere incubi su quei quattro mesi, ciascuno sul proprio Inferno. Se Dean di notte affrontava torture, sangue e dolore, Sam era costretto a vivere senza suo fratello, in un mondo in cui i demoni continuavano a strapparglielo, ogni volta.
E alla fine il più giovane si svegliava ansimando, e si voltava di scatto verso il letto accanto al suo. Sospirava di sollievo, mentre ricacciava indietro le lacrime, poi si sedeva accanto al fratello e lo guardava dormire.

Dean sussultò nel sonno, strappando Sam ai suoi pensieri.
Si inginocchiò accanto al letto del maggiore, sfiorandogli la spalla, su cui spiccava evidente il marchio di Castiel.
Il più grande parve calmarsi, o forse si stava solo svegliando.
Sam si disse che quello li, disteso davanti a lui, era suo fratello. E si ritrovò a pensare, mentre gli accarezzava distrattamente il braccio, che adesso era per lui che viveva. E che adesso, adesso si, stava vivendo davvero.
Dean aprì di scatto gli occhi, e Sam si perse in quel verde che gli era mancata così tanto, così profondamente e che adesso non avrebbe mai smesso di guardare. E anche se la stanza era buia, quel colore pareva quasi brillare nell'oscurità e per un attimo a Sam mancò il fiato mentre si rendeva conto che per quattro mesi lui era stato disperatamente certo che non lo avrebbe più rivisto, mai più.
E quando Dean incrociò il suo sguardo, Sam seppe che si sarebbe potuto mettere a piangere in quel momento, solo guardandolo.
Il maggiore vide i suoi occhi velarsi e corrugò la fronte, ma il più piccolo non gli diede il tempo di dire niente.
Lo baciò, forte, incorniciandogli il viso con le dita e schiacciandolo sul letto. Dean sussultò, ma non si ritrasse, anzi appoggiò le mani sui fianchi del fratello e se lo tirò addosso, aiutandolo ad arrampicarsi sul letto.
Si divisero dopo un momento, e si guardarono negli occhi.
«Che succede?» chiese Dean, con la voce impastata dal sonno.
«Niente... Solo che volevo essere sicuro che tu fossi qui» sussurrò Sam.
Il maggiore sorrise, e lo baciò di nuovo, stringendolo a sé e sentendolo rilassarsi tra le sue braccia.
Si lasciarono entrambi senza fiato, e il minore si stese sul fratello, affondando la testa nell'incavo del collo di Dean, che gli accarezzò distrattamente la schiena, ancora leggermente intontito dal sonno.
«Hai avuto un incubo» sussurrò, e non era una domanda.
«Anche tu» rispose Sam, e nemmeno la sua era una domanda.
Dean sbuffò una risata, e si strinse di più al corpo del fratello.
Rimasero per un po' così, poi il maggiore piegò leggermente la testa, sfiorando con le labbra l'orecchio di Sam «Sammy, sono qui. Va tutto bene» sussurrò.
«Lo so, Dean. Va tutto bene» rispose il minore.
E si, andava davvero tutto bene.







NdA
Eccomi, salve a tutti!
Intanto, grazie a tutti quelli che hanno recensito i capitoli precedenti e hanno inserito la storia tra le seguite, vi amo un sacco.
Poi, vi ricordate quando avevo detto che ci sarebbe stato qualcosa di brutalmente angst in futuro, probabilmente entro novembre? Ecco, mentivo. Ho dato un occhio al calendario (sarebbe più corretto dire che è stato lui ad aggredirmi mentre ci passavo davanti) e in un rapido calcolo ne è uscito che non ce la farò mai. Forse lo pubblicherò a dicembre, forse addirittura il prossimo anno. Quindi, rilassatevi, per il momento il fluff non vi abbandona.
Last but not least, come sempre una scatola di Sam Winchester di cioccolata alla mia beta, che legge tutte le assurdità che scrivo, e che ha ancora il coraggio di guardarmi in faccia dopo.
In ultimo, buona settimana, e ci rivediamo qui lunedì prossimo, sempre alla stessa ora (più o meno) perchè io non sono in grado di scrivere una one shot in una settimana, no, devo ridurmi al lunedì pomeriggio per forza.
Baci, Erin

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Capitolo 9
*** Di solletico e altre torture ***


Raiting: Arancione chiaro (?). Circa.
Genere: Fluff e comico.
Contesto: Vago. Molto vago.
Note: Wincest, perché li amo. E se è arancione c'è un motivo.
Chiedo già perdono per come (non) finisce.

 

 

 

Di solletico e altre torture

 

 

Sam aprì la porta della stanza con una mano, mentre con l'altra armeggiava con il cellulare. Entrò e appoggiò la chiave e il borsone sul tavolo, e appese la giacca all'appendiabiti accanto alla porta.
Alzò lo sguardo e rimase per un attimo interdetto, quando si accorse di suo fratello, sdraiato sul letto e con la testa reclinata di lato. La tv, accesa, era a volume basso, e
Dean stringeva tra le mani il telecomando. Sam sospirò, chiedendosi se mai fosse possibile che mentre lui era fuori a fare ricerche suo fratello dovesse sempre impigrirsi davanti a quei programmi spazzatura.
Stappò una birra, e gettò un'occhiata curiosa allo schermo della tv, pregando mentalmente di non trovare un porno.
Alzò gli occhi al cielo quando si rese conto che stavano dando una replica di Dr. Sexy MD, e la prima cosa che fece fu pensare che se lo sarebbe dovuto aspettare. La seconda fu chiedersi come accidenti facesse a sapere che era una replica, seguita subito dopo da una scrollata di capo e un sorso di birra.
Si sedette sull'altro letto, sfilandosi le scarpe e appoggiando la schiena alla testiera. Rimase per un attimo fermo a guardare lo schermo, ma poi decise che no, non se ne sarebbe stato li a guardare quella cosa. Poteva anche piacere a Dean -che tra l'altro non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura- ma a lui no di certo. Si girò verso suo fratello, che dormiva beatamente con la testa inclinata e le labbra dischiuse, e valutò mentalmente quale fosse la tattica migliore per appropriarsi del telecomando della tv.
Alla fine, si risolse semplicemente alzandosi in piedi e avvicinandosi senza fare rumore. Cambiò posizione un paio di volte, girando intorno al letto, poi allungò la mano e afferrò l'agognato oggetto, e iniziò a tirare, nel tentativo di sfilarlo dalle mani del fratello senza svegliarlo.
E se davvero qualcuno se lo stesse chiedendo, non era per premura tutta quella tiritera. Certo, Sam voleva bene a suo fratello e tutto quanto, e guardarlo dormire era una meraviglia, ma non era esattamente per non svegliarlo che si stava dando tutta quella pena. Semplicemente il ragazzo sapeva che se Dean lo avesse colto sul fatto mentre cercava di separarlo dal suo Dr Sexy, nemmeno un arcangelo sarebbe riuscito a salvarlo. E che lui non stesse effettivamente guardando la tv in quel momento, beh, quello era solo un dettaglio.
Il telecomando scivolò lentamente tra le dita del maggiore, e Sam stava quasi per tirare un sospiro di sollievo, quando la presa si strinse di colpo e lui sussultò.
Alzò lo sguardo leggermente, quasi si aspettasse di venire fulminato nei successivi due secondi, e quelli che incontrò furono due occhi verdi estremamente aperti ed estremamente seccati.
«Sam?» mormorò, ma al minore parve più un ringhio «che cosa stai facendo?»
Il moro diede uno strattone, appropriandosi definitivamente del telecomando, e poi di allontanò di un paio di passi dal letto, per sicurezza. «Dormivi» si giustificò con un'alzata di spalle, mentre aggirava il fratello per stendersi sul suo letto.
Dean lo guardò esterrefatto per un momento, giusto il tempo di riprendersi dallo shock, poi si mise seduto «Ridammelo»
«No»
«Si invece»
«No»
«Sam!»
«Dean?»
Si guardarono per un attimo, il maggiore adesso in piedi con le mani sui fianchi e il più piccolo sdraiato sul letto e avvinghiato al telecomando, come se stesse proteggendo chissà quale tesoro.
Poi Sam fece l'unica cosa che non doveva fare.
Cambiò canale.

Dean non si era mai considerato il migliore dei fratelli. Era rompiscatole, sarcastico, iperprotettivo e spesso troppo testardo, ma dopotutto non era neanche tanto male.
Voleva bene a Sam, lo aveva sempre protetto e si era preso cura di lui, anche quando avrebbe potuto benissimo rifiutarsi.
E in fondo, non gli sembrava nemmeno di aver mai chiesto niente in cambio. O si?
Ogni tanto si concedeva di starsene sdraiato sul letto a guardarsi un po' di tv, che crimine poteva mai essere? Non gli sembrava che un pomeriggio in pace fosse chiedere chissà che cosa!
Ma questo Sam sembrava non averlo ancora capito.
E quando il più piccolo pensò bene di fare quel madornale errore di premere il pulsante del telecomando, Dean decise che una volta tanto si sarebbe comportato da cattivo fratello, avvalendosi di tutte le armi a sua disposizione.
Con un passo coprì la distanza che lo separava dal letto dove Sam era rannicchiato, e vi si lanciò sopra, senza badare troppo a dove esattamente suo fratello si trovasse.
Il moro sbuffò fuori il fiato di colpo, preso alla sprovvista e schiacciato dal peso del più grande, e si chiuse ancora di più intorno al telecomando.
Dean rise, scivolando di lato e stendendosi accanto a lui.
Ma la tregua durò meno di un secondo. Il maggiore iniziò il suo piano di riconquista con una delle torture che lui preferiva in assoluto.
Solletico.
Un attimo dopo, Sam si stava contorcendo sul letto, sbuffando e ridacchiando, sotto alle mani fin troppo esperte di suo fratello, che sapeva esattamente cosa fare per far cedere il più piccolo.
A onor del vero, Dean doveva riconoscere che il moro stava resistendo bene, molto più di quanto si sarebbe aspettato, ma lui non era un tipo paziente, nè particolarmente arrendevole.
Un minuto dopo, in un movimento brusco di Sam, il maggiore si impossessò di nuovo del telecomando, urlando trionfante un «Ah-ha!» e interrompendo di botto la tortura di Sam, che si sbilanciò su un lato e cadde sul pavimento, ancora tenendosi la pancia.
Il maggiore scoppiò a ridere, un po' per la vittoria e un po' per la scena di suo fratello, in ginocchio, che cercava ancora di riprendersi, paonazzo e col fiato corto.
Sam mormorò un “imbroglione” mentre ansimava, e quando Dean smise di ridere, si alzò in piedi, tenendo ancora la mani sui fianchi per regolare il respiro.
Il biondo lo guardò per un attimo, sul viso stampato un ghigno trionfante, e cambiò di nuovo canale con un sospiro soddisfatto. Poi si spostò un po' più in là sul letto, per lasciare un po' di posto a Sam, semmai avesse voluto rimanere li con lui.
Il minore lo fissò accigliato, poi gli balenò in mente un'idea. Un'ottima idea.
Se Dean si fosse girato in quel momento, probabilmente si sarebbe spaventato, e anche parecchio.
Sul viso di Sam si era aperto un ghigno talmente largo e talmente inquietante da poter appartenere solo a suo fratello, tanto che su quel viso da cucciolo quasi stonava.
Il moro si sdraiò accanto a suo fratello, lasciando che si godesse ancora per un attimo l'illusione di aver vinto.
Due minuti dopo, quando ormai la presa di Dean si era allentata sul telecomando, Sam scivolò lentamente verso di lui, appoggiandogli la testa sulla spalla e una mano sul petto.
Il maggiore si irrigidì appena, con gli occhi fissi sul televisore, ma non si mosse.
Con calma, il più piccolo si spinse contro di lui e si affossò nel materasso, fino a ritrovarsi con la testa appoggiata al petto del fratello e un braccio ad avvolgergli la vita.
Di nuovo, quel ghigno inquietante gli si dipinse sul viso, e Sam iniziò a far scorrere la mano su e giù lungo il fianco di Dean, quasi casualmente.
Piano piano, le carezze divennero più decise, finché il più piccolo non infilò le dita oltre al bordo della maglietta, ritrovandosi a contatto con la pelle nuda.
Dean sussultò appena, ma si limitò ad appoggiare una mano sulla schiena di Sam.
Il minore sollevò l'orlo di stoffa di giusto un paio di centimetri, e posò un bacio sopra la cintura del fratello, che si lasciò scappare un gemito sorpreso.
«Sam, cosa stai...» farfugliò il biondo, ma il più piccolo prese a risalire la pelle con la lingua, fino ad arrivare all'ombelico, togliendogli il fiato.
Dean scattò a sedere, ansimando, ma suo fratello fu più veloce. Si alzò in fretta, e gli si mise a cavalcioni sulle gambe, spingendolo di nuovo sul letto.
Mentre con la bocca riprendeva il percorso che aveva interrotto, con la mani andò a slacciare la cintura dei jeans.
«Sam» singhiozzò Dean, con gli occhi fissi al soffitto.
Il più piccolo sorrise, ma continuò, e dopo la cintura slacciò anche il bottone dei pantaloni.
In condizioni normali, il maggiore si sarebbe perlomeno chiesto cosa aveva scatenato tutta quell'intraprendenza in suo fratello, ma in quel momento nel suo cervello non si attivò nemmeno il consueto campanellino d'allarme “Sam trama qualcosa”. E così si limitò a buttare indietro la testa e ad ansimare, quando la mano esperta del più piccolo si insinuò nei suoi jeans, iniziando ad accarezzarlo da sopra ai boxer.
«Sam» mormorò di nuovo.
Il minore sorrise rendendosi conto di averlo in pungo, e risalì in fretta a baciarlo, mentre continuava ad accarezzarlo. Dean rispose con enfasi, felice di poter annegare i gemiti tra le labbra del fratello, e non si accorse nemmeno che l'altra mano di Sam stava scivolando lenta e inesorabile verso il telecomando.
Le dita del minore si chiusero sulla plastica scura proprio quando Dean iniziava ad inarcarsi sotto ai suoi tocchi, e così decise che poteva bastare. Dopotutto, doveva essere una punizione, non un premio.
Gli regalò un altro lungo bacio, e quando entrambi ebbero bisogno di prendere fiato, si scostò completamente da lui.
Dean per un attimo rimase stordito, aspettandosi che il giochino riprendesse da un momento all'altro, ma poi si rese conto che effettivamente suo fratello si era spostato sull'altro letto, e che reggeva trionfante quel maledetto telecomando.
Sam cambiò canale, continuando a fissarlo di sottecchi e aspettandosi una rappresaglia.
Dean si concesse un attimo per riprendere fiato, poi chiuse gli occhi e sospirò.
Non poteva certo dargliela vinta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA

Salve a tutti, gente!
Come va? Passato una bella settimana? Io no, non vedevo l'ora che finisse. Ma questa sarà anche peggiore, quindi non posso fare altro che consolarmi con un po' di sano *ridacchia* Wincest.
Allora, che dire? So già che mi odierete per come è finita, ma dopotutto si chiama Kisses, no?
Prima di dimenticarmi, amate la mia beta che (so che sarete anche stanchi di sentirmelo ripetere ma se lo merita davvero) diventa matta quasi quanto me per riuscire a pubblicare in tempo ogni lunedì, e che riesce a risolvere anche i miei problemi di connessione a internet.
In ultimo, grazie come sempre a chi recensisce (vi risponderò appena mi sarà tornato regolarmente il wi-fi...) e a chi legge. E anche a chi segue (vi amo tutti un sacco).
Basta, che come il solito sono più lunghe le note del capitolo.
Un grande abbraccio e buona settimana,

Erin

 

 











Cose che non dovrebbero nemmeno essere qui-

L’angolo della beta.

Salve a tutti!
Sono la tanto osannata (senza alcuna ragione) beta di Erin33.
Non dovevo fare questa cosa, Erin non lo sa *e noi non glielo diciamo, shh… resterà fra me e voi;)* e so che cambiare scrittura per la terza volta in un capitolo può essere brutto e destabilizzante, ma io ho il programma magico per l’html e lo sfrutto *risata malefica*. E poi il Courier New è il carattere con cui scrive Chuck, quindi…
Cazzate a parte, è ancora lunedì –per poco ma dettagli- quindi sono ancora in “orario” per la pubblicazione, non so nemmeno perché sto scrivendo (forse solo per dare fastidio a Erin;)), ma questo capitolo è stupendo! (e non lo dico perché sono una Wincest-shipper folle, no eh!).
Destiel e Wincest le vengono divinamente e questo fa sì che noi la perdoniamo per non essere capace di scrivere le (mie) Sabriel, vero?;)
Beh, spero che abbiate amato il capitolo quanto l’ho amato io, eventuali errori sono di imputare alla sottoscritta per non averli corretti e quindi leggete e recensite numerosi perché merita! <3
Aspettando che quella scollegata dell’autrice recuperi la connessione mando un bacio, cioccolatini e cuoricini a tutti quanti anche da parte sua. (sì, l’ha già detto anche lei, ma a me non interessa: sono la beta, l’extrema ratio di questo capitolo… faccio quello che voglio *muahaha*. Ubi maior…)
Con affetto,

la Beta.

P.S. di quella scatola di Sam Winchester di cioccolato neanche l’ombra, Erin

 

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Capitolo 10
*** Nostalgia ***


Raiting: Giallo, Dean è un chiacchierone.
Genere: Fluff perchè ci fa bene, un filo di malinconia e tanto, tanto Castiel. Che non sarà un genere, ma io propongo di aggiungerlo alla lista...
Contesto: SPOILER. Capito? SPOILER! Inizio sesta stagione, prima ancora della 6x01. Gli spoiler sono più sul finale della quinta.
Note: Forse non l'ho ancora detto, ma SPOILER! Se non lo avete capito, Destiel. Perchè siamo in avvento, mi mancavano e sto soffrendo anche io per nostalgia, così ho un po' empatizzato.


Nostalgia


«Dean»
Lisa, in camicia da notte, era in piedi davanti alla finestra del soggiorno e guardava fuori, con le braccia strette al ventre.
«Dean» chiamò più forte, mentre continuava a fissare la strada con lo sguardo carico di preoccupazione.
L'ex cacciatore si alzò dalla sedia dello studio e si affacciò in soggiorno, allarmato dal tono di voce della donna.
«Che succede?» chiese, mentre istintivamente si guardava intorno alla ricerca del pericolo.
Lei nemmeno si girò, ma continuò a fissare la strada. Lui le si avvicinò, e scostò leggermente la tenda con una mano.
Fuori era già buio da un po', e la via era deserta. Le luci delle case circostanti erano tutte spente, e l'unica cosa che ancora illuminava la strada era un solitario lampione sul marciapiede.
«Cosa c'è?» chiese di nuovo, mentre continuava a scrutare fuori.
«Quell'uomo» mormorò Lisa «c'è un uomo che osserva la casa»
«Quale uomo?» chiese Dean, stringendo gli occhi e seguendo lo sguardo di lei, alla ricerca di qualcosa «io non vedo nie-» ma si interruppe.
Spalancò gli occhi e sentì il proprio cuore sussultare, ma nemmeno ci fece caso, troppo impegnato a deglutire a vuoto.
Sotto alla luce del lampione, dall'altra parte della strada, in piedi e con le braccia abbandonare lungo i fianchi, se ne stava un una figura talmente familiare che a Dean quasi si inumidirono gli occhi.
«Cas»
Per un attimo si chiese che cosa dovesse fare, se dovesse uscire o far finta di non averlo visto, ma se lo chiese mentre attraversava l'ingresso a grandi passi, spalancava la porta, scendeva i gradini e attraversava la strada senza nemmeno preoccuparsi delle macchine.
Tenne lo sguardo fisso su di lui, come se il solo fatto di sbattere le palpebre potesse farlo scomparire, e non badò minimamente al fatto di essere scalzo e di indossare solo i pantaloni di una tuta e una maglietta di cotone leggero.
Non sapeva cosa fare, non sapeva cosa doveva fare e non sapeva cosa voleva fare, ma mentre attraversava la strada gli sembrava che quello che stava facendo potesse bastare, più o meno. Forse.
«Tu, pennuto da strapazzo!» ringhiò, ad un paio di passi da lui, i pugni stretti lungo i fianchi.
Non è che fosse arrabbiato, no, e nemmeno ferito o deluso. Era sollevato, era contento di vederlo, e voleva picchiarlo. Si, voleva picchiarlo.
Castiel, lui e quella sua espressione impassibile, quella che Dean gli avrebbe volentieri tolto a suon di pugni, rimase immobile.
L'ex cacciatore lo afferrò per il bavero del trench -Dio, quanto gli era mancato quel trench...- e lo sbatté contro il palo della luce.
In un'altra situazione, si sarebbe chiesto come accidenti aveva fatto a malmenare un Angelo del Signore, e probabilmente si sarebbe risposto che Castiel si era semplicemente lasciato afferrare e spostare, senza opporsi in alcun modo, ma in quel momento preferì pensare di averlo colto alla sprovvista.
Lo tenne stretto per l'impermeabile, schiacciandolo contro il lampione, e incontrò i suoi occhi.
«Déjà vu» pensò, e quasi si mise a ridere, ripensando a quella notte in quel vicolo. Quanto era passato, un millennio? Era una situazione completamente diversa, eppure erano sempre loro, occhi negli occhi.
E l'ultima volta che erano stati così, forse era stato in quel momento che Dean si era accorto che c'era qualcosa di strano. E poi Castiel era tornato in Paradiso, e lui era rimasto a pensare, in una casa che non era nemmeno sua con una famiglia che non gli apparteneva, a che cos'era ad essere così sbagliato. E pensandoci, un po' alla volta una consapevolezza era nata in lui, e Dean aveva avuto tutto il tempo di maturarla ed accettarla.
E anche se era spaventosa, e destabilizzante soprattutto per lui, se ne era reso conto definitivamente vedendolo fuori sotto a quel lampione. E adesso che era sicuro che non fosse un'allucinazione, ne era certo.
«Sparisci, te ne torni in Paradiso e poi non ti fai vedere per quanto, un anno?» ringhiò ad un palmo dal suo naso, mentre un'ombra di confusione appannava gli occhi azzurri dell'angelo.
«Tu non mi hai mai chiamato» mormorò, come se fosse ovvio. E lo era: Dean non aveva più avuto bisogno di lui, aveva trovato una famiglia, e lui non si era più fatto vedere.
L'ex cacciatore lo lasciò andare, facendo un passo indietro e fissandolo.
«È vero» rispose. Si era imposto di non chiamarlo, di non pensarci, sia per la paura di quello che aveva capito sia perché in fondo quello era stato l'ultimo desiderio di Sam: una vita normale per lui. Lisa e Ben erano normali, Cas no.
«Stai bene» disse l'angelo, ed era una semplice constatazione.
Dean annuì «E tu?»
L'angelo parve rifletterci un momento, come se stesse cercando di capire il significato di quella domanda. «Bene, si» rispose, fissandolo.
Erano ancora sotto a quel lampione, sul ciglio di una strada deserta a chissà che ora della notte, e il ragazzo si accorse, adesso che la rabbia era scemata -scemata un cazzo-, che aveva freddo.
Si strinse leggermente nelle spalle «Entriamo?» propose, quasi timidamente.
Castiel si raddrizzò e, semplicemente, scomparve.
 

Per un attimo, ritrovandosi a fissare il vuoto, ci rimase malissimo. Si era quasi convinto che... no, non doveva pensarci.
Sospirò. Era ovvio, non era venuto per restare. Idiota a sperarci. Ma davvero si era illuso che fosse li per lui? Se era passato, doveva chiaramente avere un motivo, una ragione ben precisa, che a giudicare dal modo in cui l'angelo se ne era andato non doveva avere niente a che fare con lui, non direttamente almeno.
Un rumore di qualcosa che cade, dalla cucina di casa sua, e un urlo spaventato. Lisa.
Dean impallidì, mentre un migliaio di scenari uno peggiore dell'altro si affacciavano nella sua mente, e attraversò la strada correndo. A cosa stava dando la caccia l'angelo? Che creatura si era avvicinata tanto a casa sua da spingere Castiel a presentarsi alla sua porta? Quale essere poteva essersi spinto fino li, per poi assalire la sua famiglia di notte? Che cosa c'era adesso, li dentro, e perché quel pennuto non era rimasto a proteggerlo? Si aspettava che se la cavasse da solo?
Si fiondò in cucina trattenendo il fiato, pronto a uccidere qualsiasi cosa stesse minacciando la sua famiglia, già predisposto a classificare e distruggere qualunque essere si fosse ritrovato davanti.
Ma a quello che vide non era assolutamente preparato.
Forse, se ci avesse pensato un attimo in più, si sarebbe reso conto che quella era l'unica spiegazione possibile, e soprattutto l'unica abbastanza assurda da adattarsi alla sua vita.
Lisa, appoggiata al muro e con ai propri piedi una tazza rotta, fissava atterrita un Castiel che doveva essere appena comparso al centro della stanza, che a sua volta la guardava con una genuina quanto comica curiosità.
«Dean» gemette la donna, scivolando lungo il muro fino a raggiungerlo, e nascondendosi dietro di lui.
L'ex cacciatore sbatté le palpebre una, due, tre volte, sbigottito, poi finalmente si riprese.
Sospirò, come se avesse a che fare con un bambino a cui bisogna ancora insegnare la buona educazione. Prese per mano Lisa e la tirò leggermente al suo fianco, accarezzandole il polso per calmarla. Gli parve un gesto così strano, così fuori luogo da fare davanti a Castiel, ma cercò di non pensarci.
Sorrise, perché era tutto così assurdo e così esilarante. Dio, gli era mancato così tanto...
«Lisa» disse, cercando di non ridere e fissando l'angelo con il suo miglior sguardo severo, quello da “sei stato molto cattivo, facciamo i conti dopo” «lui è Castiel»
L'angelo, ancora in piedi in mezzo alla stanza, spostò lo sguardo dall'ex cacciatore alla donna, e dopo un momento di esitazione si avvicinò tendendo un braccio, proprio come aveva fatto Sam la prima volta che si erano incontrati. Dean sorrise a quel pensiero, ma le sue labbra curvarono in una smorfia al ricordo di suo fratello.
Lisa parve ritrarsi, ma il biondo accanto a lei la trattenne, e lei strinse la mano dell'angelo. «Castiel?» mormorò, ancora lievemente sotto shock «quel Castiel?»
Dean sorrise leggermente «Si, quel Castiel»
L'angelo alzò lo sguardo su di lui, incontrando i suoi occhi, e il sorriso del ragazzo si allargò senza che lui potesse controllarlo.
Si fissarono per un lungo istante. Dean non riusciva a credere che fosse davvero lui. Dopo tutto quel tempo, dopo tutti quei pensieri, dopo tutto quello che era successo, non gli sembrava possibile che lui fosse davvero tornato.
Non riusciva a staccarsi da quegli occhi. Era come se un pezzo della sua vita fosse appena tornato al suo posto, come se l'angelo, con la sola sua presenza, riuscisse a ricostruire la sua anima lacerata. Era un sensazione stupenda, una di quelle cosa da cui non ti separeresti mai.
Ma poi Dean si rese conto che qualcosa non andava.
Se era li, doveva avere un motivo preciso. Dopotutto, l'Apocalisse era stata sventata meno di un anno prima, e da allora non si erano più visti. Che cosa lo aveva spinto a cercarlo adesso?
«Lisa» disse, dopo un momento «Io e Castiel dobbiamo parlare. Vai a dormire, ok?»
La donna lo guardò apprensiva, ma lui sorrise «è tutto a posto, davvero. Non c'è nulla di cui preoccuparsi. Vai a letto»
Lei esitò ancora un momento, poi lasciò scivolare la mano fuori dalla sua stretta e imboccò le scale.
Dean sospirò, mentre il nervosismo montava in lui, e puntò di nuovo gli occhi in quelli di Castiel.
«Ma ti sembra modo di comparire davanti alle persone? L'hai spaventata» sbottò.
L'angelo lo fissò inclinando il capo in quella posa che era talmente sua che all'ex cacciatore si strinse il cuore «Tu mi hai detto di entrare...»
Dean lo guardò per un attimo esterrefatto, poi abbassò la testa e si concesse un sorriso. Si sarebbe dovuto arrabbiare, avrebbe dovuto spiegargli che non si compare a tradimento davanti a persone che non hanno mi visto un angelo in vita loro nel cuore della notte, ma era talmente felice di vederlo che gli avrebbe dato il permesso di torturare un demone nel suo soggiorno se glielo avesse chiesto.
«Castiel, che cosa ci fai qui?» chiese alla fine «è successo qualcosa? Stai dando la caccia a qualcosa?»
Nei suoi occhi comparve un velo di preoccupazione quando vide l'angelo esitare ed abbassare lo sguardo, e si avvicinò di un passo.
«Castiel, cosa c'è?»
Il moro alzò gli occhi su di lui «Non sto dando la caccia a niente, Dean»
«E allora perché sei qui?»
Di nuovo, l'angelo abbassò gli occhi.
«Castiel, sul serio, mi sto preoccupando. Cosa succede? Problemi in Paradiso?»
«Dean, il Paradiso è in rivolta»
«Oh... Wow. Come... come posso aiutarti?»
«Non puoi» disse l'angelo, e leggendo la confusione negli occhi del biondo, si affrettò ad aggiungere «ma non è per questo che sono qui»
Dean sbuffò «e allora perché? Dobbiamo giocare agli indovinelli fino domani mattina oppure hai intenzione di spiegarmelo?»
Castiel abbassò lo sguardo, e per un attimo l'ex cacciatore pensò che si fosse offeso, ma poi l'angelo riprese a parlare, tenendo gli occhi bassi e tentennando un po'.
«Quando sono tornato in Paradiso, dopo Lucifero e la morte di Sam, io ho avuto modo... di pensare» sospirò «i miei fratelli sono in guerra tra loro, lo sono stati per quasi un anno, e per tutto questo tempo io ho combattuto dalla parte che mi sembrava giusta, e l'ho fatto perché tu, tempo fa, mi hai insegnato a scegliere» si fermò di nuovo, guardandosi le mani «ma mentre ero in guerra, mentre ero in Paradiso, tra i miei fratelli, non riuscivo a non pensare a quello che avevo lasciato sulla Terra» sollevò gli occhi, e poi li abbassò ancora «sentivo che c'era qualcosa che non andava... in me»
«In te?»
«Si... Credevo che fosse perché ero caduto, ma poi ci ho pensato e non era possibile. Avevo qualcosa dentro di me... o meglio, mi mancava qualcosa»
«Ti mancava qualcosa?» Dean iniziava seriamente a preoccuparsi «la tua Grazia?»
«No, la mia Grazia sta bene» mormorò. L'ex cacciatore poteva leggere la confusione nei suoi occhi «c'è qualcosa, è come un dolore sordo, al centro del petto. Per tanto tempo non ci ho pensato, perché ero in guerra e non avevo tempo di dedicarmi a una cosa che mi sembrava così poco importante, ma adesso fa sempre più male, e io non so che cosa sia e non so come fermarla» Castiel alzò gli occhi, e Dean si accorse che era spaventato.
«Hai provato a chiedere aiuto? Non lo so, a un qualche tuo fratello maggiore?»
L'angelo scosse il capo «No, loro non capirebbero. Io sono caduto, per me è diverso»
L'ex cacciatore non capiva «E allora perché sei qui? Cosa posso fare io?»
Castiel abbassò di nuovo il capo, come se fosse imbarazzato «Perché...» tentennò, guardandosi le mani «Perché mentre ero in Paradiso, io... ci ho riflettuto, e sono giunto alla conclusione che questa cosa, questo dolore non c'è sempre. Ogni tanto se ne va, e ogni tanto è più forte. E quando è più forte io... io penso che succeda solo quando penso a quello che avevo sulla Terra, prima di tornare in Paradiso, e... io non capisco, Dean» disse, alzando lo sguardo, mentre sul viso del ragazzo si dipingeva un debole sorriso.
L'ex cacciatore gli si avvicinò e gli appoggiò le mani sulle spalle, guardandolo comprensivo «Cas, questa cosa, quello che tu chiami dolore, noi la chiamiamo nostalgia. Tu senti la mancanza di quello che hai visto sulla Terra, delle persone che hai incontrato»
L'angelo lo guardò «Cosa devo fare? Come si fa a farlo smettere?»
Dean sorrise «Non si può. Se ne andrà da solo, tra un po'. Quando sarà passato abbastanza tempo, quando avrai smesso di pensare agli umani e alla Terra e ti sarai dimenticato di quello di cui senti la mancanza, allora non farà più male»
Castiel chinò il capo, come se la soluzione gli piacesse ancora meno del problema.
«Coraggio, angioletto, passerà» sorrise Dean, cercando di consolarlo.
L'ex cacciatore si diresse verso il frigo e prese una birra, stappandola. Aveva bisogno di avere qualcosa dietro cui nascondersi prima di porre la domanda successiva.
Lasciò che il silenzio riempisse i minuti seguenti, mentre cercava dentro di sé il coraggio necessario ad affrontare quella che sembrava essere diventata improvvisamente la sua paura più grande. Alla fine sospirò, e si decise «Adesso te ne andrai?»
Castiel sollevò lo sguardo su di lui, quasi spaventato «Io... credo di si»
«Credi?»
«Devo» mormorò.
«Non ne sembri entusiasta» calcò il ragazzo. Una parte di lui cercava ancora di ancorarsi alla presenza dell'angelo. Voleva che restasse.
«Io... no, credo di no» mormorò il moro.
«Che c'è, fratelli antipatici?» perfino il suo miglior tono sarcastico suonò penoso alle sue orecchie, e si diede dell'idiota.
«Non... non credo che gli angeli abbiano il tuo stesso senso dell'umorismo, quindi non so se tu li definiresti antipatici» disse, mentre Dean roteava gli occhi «ma non è questo»
«E allora cosa?» chiese, prendendo un altro sorso di birra.
Castiel fece un passo verso di lui «È solo che... questa nostalgia... credo che peggiori ogni volta che io me ne vado da qui... ogni volta che torno in Paradiso dopo essere stato qua, fa più male. Non credo- non credo di volermene andare»
Dean lo fissò sbigottito «Aspetta. Calma. Time out. Tu sei già stato qui?»
L'angelo arrossì e abbassò la testa «Io... si»
«Quando?»
«Credo... Quando fa troppo male, io scendo sulla terra e vengo qui, perché è l'unico posto in cui smette di fare così male, per un po'. Ma poi torno dai miei fratelli ed è peggio. Non so che cosa devo fare»
«Tu... Tu mi sorvegliavi?»
«Forse... Io non volevo davvero tenerti d'occhio, volevo solo accertarmi che stessi bene. Se mi avessi chiamato, mi sarei mostrato. Ma non lo hai mai fatto»
Dean inghiottì il nodo di senso di colpa insieme ad un sorso di birra, mentre cercava di elaborare gli eventi «e perché stasera ti sei fatto vedere? Era troppo doloroso per te? Ti sei rammollito stando tra gli umani?» chiese, sarcastico.
L'angelo abbassò il capo. «Si» mormorò «era troppo doloroso»
L'ex cacciatore quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Tutto si era aspettato tranne quello. Credeva che semplicemente si fosse stancato di una domanda a cui non sapeva dare risposta, o che magari stesse cominciando ad odiare tutte quelle emozioni umane. Ma che lui, un Angelo del Signore, soffrisse così tanto per la mancanza della Terra -si, Dean aveva capito che non era della Terra che si stava parlando, non più, ma preferiva non pensarci-, questo era troppo... troppo.
«Wow» mormorò.
Castiel lo fissò, come aspettandosi un rimprovero, che non arrivò.
«Perché non ti sei mostrato prima? Perché sei rimasto a soffrire sotto ad un fottuto lampione?»
«Perché credevo... avevo paura che ti saresti arrabbiato. Non sapevo cosa fosse, magari era come quella cosa dello spazio personale e... io non volevo che tu...»
«Si, si, ho capito» lo interruppe l'ex cacciatore «ma adesso cosa pensi di fare? Vuoi davvero tornare in Paradiso?»
«Io... non ho altra scelta»
Dean sorrise, appoggiando la birra sulla tavola «Davvero? Tu non hai altra scelta? Castiel, tu sei l'angelo che ha mandato tutto a puttane per proteggere un'umanità che non lo ringrazierà mai, quello che ha rinnegato i suoi fratelli per il bene della Terra, quello che ha tradito il Paradiso per salvare miliardi di persone che non sapranno mai nemmeno chi sei. Davvero sei ancora convinto che ti serva il permesso per fare qualcosa? Se vuoi una cosa, devi prendertela»
Castiel rimase in silenzio per un momento, spostando lo sguardo dagli occhi verdi del ragazzo alle proprie mani, come a cercare di tirare le fila dei suoi pensieri.
«Per te» mormorò alla fine.
«Cosa?» chiese Dean, avvicinandosi.
«Per te» ripeté più forte «tutto quello che ho fatto, non era per il mondo. Era per te. Anche andarmene è stato per te, perché tu potessi avere la famiglia che volevi. Io sarei rimasto, era l'unica cosa che desideravo, ma non potevo. E sono tornato in Paradiso»
«E adesso vuoi fare la stessa cosa?»
«Io... Si. Tornerò tra i miei fratelli. Come ho detto, non ho scelta»
Dean si passò una mano sul viso con forza, poi si appoggiò con la schiena al tavolo «perché in questa cazzo di vita nessuno chiede mai il mio parere?» sospirò, parlando più con se stesso che con l'angelo.
Sbuffò, poi alzò di scatto la testa, fissando Castiel «Davvero l'unica cosa che desideravi era restare?»
«Si» replicò semplicemente l'angelo «volevo restare. Volevo restare con te»
«Perché non me lo hai detto? Sei scappato a gambe levate come un fottuto coniglio piumato. E adesso, un anno dopo, ti presenti alla mia porta dicendo che ti sono mancato? Ma che cos'avete che non funziona voi angeli?»
Castiel abbassò il capo «Credevo che... credevo che fosse sbagliato. Tu avevi trovato una famiglia, avevi appena perso Sam... Penso ancora che sia sbagliato. Io... io non dovrei essere qui»
«Già. Forse non dovresti» disse l'ex cacciatore, con le braccia incrociate sul petto «Ma ormai ci sei, non vedo perché non approfittare della situazione»
«... approfittare?» chiese Castiel, che non capiva.
«Si, insomma. Hai detto che ti sono mancato, e che non te ne saresti voluto andare. Che altro?»
«Io... non lo so, Dean»
«Castiel, pensaci. Cos'altro avresti voluto fare che non hai mai fatto?» chiese, facendo un passo avanti.
«Io...» l'angelo lo guardò negli occhi «forse...»
«Si?»
Ormai erano ad un passo l'uno dall'altro.
«Vorrei sentirti dire che per te è lo stesso. Che ti sono mancato. Che avevi nostalgia di me. E che non avresti voluto lasciarmi andare» soffiò fuori, come se ogni parola fosse il più terribile dei segreti.
Dean abbassò per un attimo gli occhi, sorrise e pensò a quello che stava per fare. Fanculo tutto, per lui era lo stesso davvero «Lo è. Lo è anche per me. Lasciarti andare è stata la più grande cazzata che io abbia mai fatto dopo lasciare che Sam saltasse nel buco»
Gli occhi di Castiel si allargarono. E l'ex cacciatore seppe che stava per replicare qualcosa che sarebbe dovuto suonare come “ma era necessario, altrimenti l'Apocalisse avrebbe distrutto l'umanità”, e sinceramente a lui non poteva fregare di meno di cosa fosse necessario o no. Sapeva che se avesse esitato ancora un momento il suo angelo se ne sarebbe tornato in Paradiso, e prima o poi si sarebbe dimenticato di lui, e non poteva permetterlo, non poteva.
«Sai cosa?» sussurrò «anche io ho qualcosa che se non faccio adesso lo rimpiangerò per sempre».
E si chinò su di lui, baciandolo.
Fu solo uno sfiorarsi di labbra, solo un contatto appena accennato, poi si ritrasse.
Davanti a lui, la sorpresa scomparve dagli occhi di Castiel nel momento in sui si rendeva conto che Dean era appena riuscito a fare quello che lui non aveva potuto in un anno. Non lo sentiva più, il dolore nel petto. E allora si disse che poteva andare bene, se quello era riuscito a farlo stare meglio, non poteva essere sbagliato.
Prima che Dean potesse dire qualche cosa di estremamente stupido tipo “scusami, non volevo” decise di seguire il suo consiglio: si prese quello che voleva.
Gli appoggiò una mano sulla nuca e se lo spinse contro, subito assecondato da un sorpreso quanto sollevato ex cacciatore, che non ci mise molto a prendere il comando del bacio e a guidare l'angelo seduto sul tavolo, mentre con le mani vagava sui suoi vestiti, troppi a suo parere.
Nelle profondità del suo cervello, poco prima che gli ultimi neuroni venissero spazzati via dalla lingua di Castiel che si infilava nella sua bocca, una vocina cercò di ricordargli che stava baciando un angelo sulla tavola della cucina della sua ragazza, con lei e suo figlio che dormivano al piano di sopra. Ma non gliene poteva fregare di meno.
E si rese conto che la cosa aveva perso del tutto importanza nel momento in cui il suddetto angelo spinse il proprio bacino contro il suo, strappando ad entrambi un gemito sorpreso.
No, decise, non lo avrebbe lasciato mai più tornare in Paradiso.







NdA
*si fa piccola piccola così magari non tutti i pomodori la colpiscono*
ehm ehm... Salve.
Perdono. Chiedo umilmente perdono. E la lista è lunga... Anzi, mi sa che queste note saranno lunghe...
Allora, andiamo per ordine.
Capitolo lunghissimo, è stato un parto. Doveva essere rapido e indolore, e invece Cas si è piantato con le sue manie di protagonismo e io ho dovuto assecondarlo... Lo sgriderò, promesso.
Altra cosa. Ora ho la connessione. Prometto che alle recensioni risponderò domani. Facciamo finta che non ho visto l'uscita della mia beta, facciamo finta che non abbia riso mezz'ora perchè il suo "magico" programma per l'html non funzioni manco per sbaglio e facciamo finta che la prossima cosa che farò non sia andare a sistemare il layout del capitolo precedente.
Poi. Buon avvento e buona settimana a tutti. Mi mancava il freddo, a voi no?
Inoltre. Stamattina ho passato un'ora a sistemare tutti i capitoli precedenti, e mi sono pure scritta una lista con i titoli dei capitoli futuri. Sono tanto fiera di me (non so perchè ve lo sto dicendo, perdonatemi ma sono le undici di sera per tutti)
Ultimo, che tanto non è ultimo. Ho preso una ferrea decisione. Ho deciso, dopo una lunga e travagliata riflessione, che cambierò nome all'account. Erin mi mancherà, ma non ero più io, quindi salutatelo perchè questa sarà l'ultima volta che mi firmerò così. Ma non disperate, il 33 rimane <3
Ultimo, che questa volta è ultimo. Come sempre, un enorme abbraccio a chi legge e recensisce, scleri di beta e autrice inclusi, e tanto affetto a tutti quelli che seguono assiduamente pur non recensendo. E come ogni volta, un grazie grande come una casa a lei, la mia bestia, che mi fa dannare e senza cui non ce la farei.
Dopotutto, ... Minor cessat


E qui ci lasciamo, per l'ultima volta,
Erin

 


 

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Capitolo 11
*** Incubi e scommesse ***


Raiting: Giallo, Sam ha davvero rischiato un trauma!
Genere: Fluff, per variare sul tema.
Contesto: Generale, generalissimo.
Note: Essendo l'8 Dicembre e Festa dell'Immacolata, Sabriel. Più o meno. Ovviamente, non so scrivere Sabriel senza Destiel, ho proprio smesso di provarci, ma almeno aprezzate lo sforzo!

 

Incubi e scommesse




 

La stanza era una delle solite, tristi e anonime camere di Motel, con le pareti ricoperte di carta da parati scolorita e la moquette lisa. C'erano due letti, anche se Sam non avrebbe saputo dire di che colore fossero esattamente le coperte. Una tinta che tendeva al verdino, o forse al grigio.
Il ragazzo era in piedi in un angolo, o forse seduto su una delle sedie traballanti vicino al tavolo, o almeno così gli sembrava.
No, anzi, in realtà sarebbe stato più corretto dire che lui stava osservando la scena da li, anche se non era sicuro di trovarsi davvero in quella stanza. Era come se fosse invisibile, o che non ci fosse proprio. Uno spettatore esterno, ecco.
Tutta la scena era strana, come se la stanza si allungasse sempre di più, e poi di colpo tornasse allo stato originale, mentre le pareti ondeggiavano leggermente.
Sam si sentiva strano, anche se forse sarebbe stato meglio dire che non si sentiva proprio. L'unica cosa che riusciva a fare era guardare fisso davanti a sé, senza distogliere mai lo sguardo. A quanto pareva, nemmeno pensare gli era concesso.
Nella camera insieme a lui c'erano Dean e Castiel, e stavano parlando di qualcosa a cui il più giovane dei Winchester non stava prestando la minima attenzione, troppo impegnato ad osservare incuriosito le ali di Castiel.
Sam non aveva mai visto le ali dell'angelo -beh, di nessun angelo a dire il vero-, e adesso, come primo impatto, gli sembravano... nere. No, forse erano bianche. Eppure sembravano decisamente nere. No, sicuramente bianche.
Partivano dalla schiena dell'angelo, dalle scapole, e curvavano morbidamente verso il basso, in una linea che finiva piegandosi un po' a contatto con il pavimento. Castiel le teneva piegate, quelle ali bianche-nere-bianche-nere-bianche-nere, eppure a Sam sembrava che fossero decisamente aperte.
Ok, magari c'era qualcosa di strano in quelle ali.

Ma per quanto strano potesse sembrare, nulla poteva anche solo sperare di avvicinarsi lontanamente al livello di assurdità dell'evento da cui gli occhi del ragazzo furono catturati, appena si furono stancati delle ali aperte-chiuse-aperte-chiuse-aperte-chiuse.
Castiel fece un paio di passi verso Dean, che si girò verso di lui.
Forse dissero qualcosa, ma Sam non se ne accorse, o non ci fece caso.
Il maggiore dei Winchester allungò una mano, accarezzando i capelli dell'angelo, mentre questo faceva un altro passo verso di lui.

Sam aprì di scatto le palpebre, negli occhi ancora l'immagine di suo fratello che appoggiava le proprie labbra su quelle di un angelo. No, non di un angelo. Di Castiel!
Si passò una mano sul viso, cercando di scacciare l'ombra dell'incubo dalla propria mente. Ok, lo doveva ammettere, la sua testa stava iniziando a diventare davvero fantasiosa quanto a brutti sogni, e questo era solo l'ultimo di una lunga serie di assurdità partorite dalla sua mente facilmente impressionabile. Era tutta colpa di Dean, lui e quel suo fastidioso leccarsi le labbra e sorridere ebete in presenza di Castiel.
Sam si girò lentamente su sé stesso, ancora avvolto nelle coperte, e con la massima cautela scostò le lenzuola a si mise a sedere sul bordo del letto
Cercando di fare meno rumore possibile, si infilò una maglietta e si alzò in piedi, attento a non far cigolare per nessun motivo le molle del letto.
Quando finalmente riuscì nel suo intento, dopo cinque minuti buoni, si stiracchiò, e mugugnò soddisfatto nel sentire tutti i muscoli sciogliersi nell'aria fresca della camera.
La carta da parati scolorita e la moquette lisa si intonavano perfettamente a quei due letti sgangherati e rivestiti da coperte color muffa, una strana accozzaglia di grigio e di verde.
Sam si girò verso il proprio letto, trovandovi due occhi color cioccolato svegli e lucidi, intenti a fissarlo.
«Buongiorno» mormorò il Winchester.
Gabriel sorrise «Io non capisco. Perchè fai tanta attenzione a non svegliarmi se tanto sai perfettamente che gli angeli non dormono?»
Sam arrossì visibilmente, e abbassò lo sguardo «Scusa... Me ne dimentico sempre. Credo sia la forza dell'abitudine»
«Non scusarti. È una cosa dolce» sorrise l'arcangelo.
Sam sbuffò, voltandogli le spalle, e si diresse verso la propria borsa verde militare, aprendola e tirandovi fuori un paio di jeans.
Diede uno sguardo veloce al letto di suo fratello, perfettamente intonso, segno che Dean non era tornato in camera a dormire, e gemette frustrato quando la sua mente decise di regalargli un'immagine gratuita di lui e Castiel intenti a baciarsi nel suo sogno.
Si passò una mano sul viso, stringendo gli occhi e mugugnando infastidito, mentre Gabriel si alzava dal letto e gli si avvicinava.
Gli appoggiò le mani sui fianchi «Ehi, dolcezza, che succede?»
Sam scosse il capo con forza, cercando di cacciare dalla propria mente quell'immagine funesta «nulla, ho solo fatto uno strano sogno. Un incubo, credo»
L'arcangelo gli baciò il collo «ti va di raccontarmelo?»
«Non credo che vorresti sapere»
«Ehi, andiamo, sono un arcangelo» mormorò Gabriel all'orecchio di Sam «posso sopportare un brutto sogno»
Il minore dei Winchester sorrise al solletico che il fiato caldo dell'altro gli provocava «Ho... ho sognato Dean e Castiel che si baciavano» biascicò, stringendo di nuovo gli occhi al ricordo di quelle scene raccapriccianti.
Gabriel scoppiò a ridere, allacciando le braccia intorno alla vita di Sam «tutto qua?»
Il moro si girò nella sua stretta «tutto qua? Guarda che potrei rimanere seriamente traumatizzato se dovesse succedere davvero. Cristo, Gabe! Stiamo parlando di... Dean! E, insomma, di Castiel!»
L'arcangelo rise di nuovo «Sam, non per sminuire l'entità del trauma infantile a cui potresti venire esposto, ma ho sentito dire, da certi angeli, che sono aperte delle scommesse»
Sam inorridì «Angeli? Quali angeli? Che scommesse?»
«Si dice il peccato, non il peccatore. E le scommesse, beh, sono su tuo fratello e... si, insomma, mio fratello. E, purtroppo per la tua sanità mentale, non si scommette sul se, ma sul quando»
Il minore dei Winchester gemette, appoggiando la testa nell'incavo del collo del suo arcangelo.
«Perchè?» mormorò, più a sé stesso che ad altri.
Gabriel sorrise, stringendolo di più «Beh, zuccherino, noi siamo angeli. Intanto, ci annoiamo, e poi siamo dotati di un un innato intuito e di una straordinaria perspicacia. Salvo rare eccezioni, ovvio» e ed entrambi sorrisero, pensando a intuito e perspicacia di Castiel.
Poi Sam alzò di scatto la testa. «Aspetta un momento. Noi? Anche tu hai scommesso?» ringhiò, e Gabriel si sarebbe quasi spaventato, se non fosse stato un arcangelo.
«Beh, sai com'è... Io sono praticamente la fonte più diretta di notizie sui due piccioncini»
Il moro rabbrividì a quell'appellativo, ma non si lasciò distrarre «quindi tu vorresti dire che vieni da noi solo per vedere se Dean e Castiel stanno insieme, per poi tornartene in Paradiso a riferire ad una banda di angeli pervertiti?» mormorò, offeso, sciogliendo la stretta di Gabriel, e allontanandosi appena.
L'arcangelo sgranò gli occhi «ma cosa ti salta in mente?»
Sam strinse gli occhi, e incrociò le braccia sul petto.
Gabriel fece un passo verso di lui, e appoggiò le mani sui polsi del cacciatore, tirandoli appena per scogliere quella posa diffidente «io vengo qui solo per te. Per te e per nessun altro, stupido umano egocentrico» sorrise.
Anche Sam sorrise.
Poi Gabriel alzò di scatto la testa, porgendo l'orecchio alla porta. Sospirò «quella scimmia pelosa di tuo fratello sta tornando» guardò di nuovo il moro «devo andare»
Sam si chinò su di lui, e lo baciò stringendolo leggermente.
Si staccarono controvoglia, e in un attimo Gabriel scomparve, subito prima che Dean aprisse la porta della camera sbadigliando.
Sam sorrise, e si infilò in bagno.

 

Il minore dei Winchester parcheggiò l'Impala davanti al Motel, e si prese un attimo per raccogliere le forze per scendere dalla macchina e arrivare fino in camera. Dopo, ne era certo, nemmeno un demone sarebbe riuscito a separarlo dal suo letto per le successive sei ore.
Sospirò, afferrò il portatile appoggiato sul sedile accanto a lui e aprì la portiera in uno slancio di energia, che tra l'altro si prosciugò quasi immediatamente.
Lui e Dean avevano passato la giornata uno al telefono con Bobby e l'altro immerso in una serie di siti sul soprannaturale uno più inutile dell'altro. Stavano cercando di trovare una simpatica creaturina che se ne andava in giro per quella sperduta cittadina del South Dakota sventrando maschi bianchi e mangiando loro gli occhi. Davvero delizioso come essere, vero?
Alla fine, poco dopo pranzo, Sam aveva finalmente capito che andando avanti in quel modo non ne avrebbero mai cavato un ragno dal buco, e così aveva preso computer e Impala ed era andato a rintanarsi nella biblioteca della città, curiosamente ben fornita in materia di soprannaturale, lasciando Dean al Motel e strappandogli la promessa che avrebbe almeno provato a fare qualche ricerca. Non è che ci credesse davvero, eh.
E adesso, dopo un intero pomeriggio speso tra pile di libri alte fino al soffitto e nomi di creature praticamente impronunciabili, era tornato al Motel senza nulla di davvero concreto in mano.
Mentre smontava dalla macchina, si augurò che almeno Dean avesse avuto più fortuna di lui.
Beh, alla peggio, avrebbero sempre potuto chiamare Castiel.
Camminando lentamente, passò davanti alla finestra della camera che avevano prenotato, sbirciando dentro sovrappensiero.
La prima cosa che realizzò fu che la scena gli sembrava familiare.
La seconda fu il perché: sembrava quella del suo sogno, con tanto di carta da parati, moquette e coperte grigio-verdi.
La terza fu che Dean non era solo nella stanza.
La quarta fu che con lui c'era Castiel, e per un attimo il cacciatore pensò che suo fratello avesse avuto la sua stessa idea: chiamare l'angelo per farsi dare una mano.
La quinta non fu una vera e propria realizzazione. Più che altro fu una domanda.
“Perchè accidenti sono fermo qua fuori, invece di entrare e interrompere qualsiasi cosa stiano facendo?”
Ma, davvero, non fece in tempo a rispondersi. O anche solo a pensare.
Davanti ai suoi occhi traumatizzati, Dean si mosse esattamente come in quel maledetto sogno. Semplicemente si avvicinò a Castiel, gli infilò una mano tra i capelli scuri e lo tirò a sé, baciandolo dolcemente. C'era qualcosa in quel bacio, che diede l'assoluta certezza a Sam che non fosse il primo. E per sua sfortuna nemmeno l'ultimo.
L'angelo, mentre il più giovane dei Winchester faceva le sue masochistiche considerazioni, spinse suo fratello sul letto, appoggiandosi a lui e cadendogli addosso, sempre senza smettere di baciarlo.
A quel punto, quando vide distintamente le mani di Dean infilarsi sotto l'orlo della camicia bianca di Castiel, Sam pensò bene di aver visto abbastanza.
Si allontanò a grandi passi, salì in macchina e sbattè la portiera, pensando troppo tardi che se magari non si fosse fatto sentire da quei due sarebbe stato meglio.
Si passò una mano sul viso, poi mise in moto.
«Gabriel» ringhiò «vieni subito qui»

 

L'arcangelo comparve nell'auto, accanto a lui, prima ancora che Sam facesse in tempo ad uscire dal parcheggio del Motel. Il cacciatore non sussultò, non si spaventò e non rabbrividì, ma si limitò a stringere la presa sul volante, facendo sbiancare le nocche.
«Ehi, biscottino, che succede?» sorrise Gabriel, sporgendosi verso di lui.
Sam gli scoccò un'occhiataccia che fece morire il ghigno dell'arcangelo, che assunse un'espressione decisamente più seria.
«Sam, ehi, va tutto bene?» chiese, quasi preoccupato.
«Dean» mormorò il cacciatore, che ancora doveva capire se era arrabbiato con suo fratello, con Gabriel o con Castiel. Anzi, doveva ancora capire se era arrabbiato, e perché.
«Dean cosa?» chiese Gabe. “In che casino si è cacciato quello scimmione incapace adesso?”
«Dean e Castiel. Si, insomma, il sogno, la scommessa. Quello» gesticolò Sam, quasi isterico.
L'arcangelo tirò un sospiro di sollievo, che il cacciatore preferì ignorare. Si sporse di nuovo verso di lui, e gli appoggiò una mano sulla sua, facendogli allentare la presa spasmodica.
«Sam, stai tranquillo, va tutto bene. Dean è adulto e responsabile» calcò sull'ultima parola, cercando di non caricarla di troppo sarcasmo.
Il moro scosse la testa «Gabe, non è questo. È che... Santo Dio, Castiel è un angelo!» sbottò, esasperato, voltandosi verso di lui e trovandolo con un sopracciglio alzato «che c'è?»
«“È un angelo”? Perché scusa, io cosa sarei, uno struzzo?» sbuffò l'altro, indignato.
Sam aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi la richiuse. Ci pensò un attimo «Si, ma... Tu sei... tu. Tu sei tu, Castiel è... Cas! Gabe, stiamo parlando di Cas, e di Dean! Non è... normale»
«Perchè, scusa, cos'avrebbe mio fratello che non va?»
Sam sospirò, e decise che forse era il caso di accostare.
Spense il motore, poi si voltò verso l'arcangelo, che fingeva il broncio meglio riuscito che Sam avesse mai visto, tanto che ci credette «Non c'è niente che non vada in Cas, o in Dean, o in te»
«O in te» lo interruppe lui.
Sam sorrise «o in me» concesse «è solo che... è strano, ecco»
Gabriel sorrise «ok, è strano, ma non è sbagliato»
«No» sospirò il cacciatore «non lo è»
L'arcangelo lo strinse a sé, sogghignando soddisfatto del risultato ottenuto e infilandosi in bocca un lecca-lecca colorato.
Dopo un po', soffiò tra i suoi capelli e chiese «pensi che riuscirai a tornare al Motel?»
«Assolutamente no» asserì Sam, convinto.
«Posso restare a farti compagnia, dolcezza?»
«Non credo che tu abbia davvero scelta, Gabe» sorrise Sam, stringendosi di più a lui.
Rimasero così per un po', tanto che l'arcangelo credette che il cacciatore si fosse addormentato li, sul sedile dell'auto parcheggiata sul ciglio della strada, ma poi Sam si mosse.
«Ehi, Gabe, sai cos'è strano davvero?»
«Cosa, pasticcino?»
«Che me lo sono sognato. Prima, intendo. Prima che accadesse»
Gabriel sorrise «è la forza della suggestione. Evidentemente anche tu hai un buon intuito»
«Sarà» mormorò Sam, sbadigliando «ma il fatto è che ho sognato esattamente la stessa scena. Stessa stanza, stessi movimenti, perfino stessa prospettiva»
L'arcangelo non rispose, limitandosi ad accarezzare i capelli lunghi del ragazzo accanto a lui.
«Gabe?»
«Si?»
«Non è che sto diventando... tipo un profeta?»
Gabriel sorrise, e gli scoccò un bacio a fior di labbra «non credo, zuccherino. Ma se anche fosse, tu hai già il tuo arcangelo-sulla-spalla»








NdA
Ciao a tutti gente!
Mi presento, io sono Fanie.

Ok, adesso basta scherzare. Non vi spaventate, sono sempre la solita incapace a scrivere Sabriel e la stessa fissata con il fluff.
Allora, essendo oggi l'Immacolata, ho pensato che Gabriel dovesse centrare, in qualche modo, e ci ho provato. Sinceramente, il risultato non mi dispiace.
In origine, doveva essere spezzata in due, la prima parte oggi e la seconda lunedì prossimo, ma alla fine non ho avuto il cuore, e così è tutta qua.
Finirà che prima o poi scriverò la Destiel del sogno di Sam, vedrete (tanto peggio di così...)
Giuro che in realtà non credo assolutamente che Sam reagirebbe così, anzi, penso che gli andrebbe più che bene, ma mi serviva ai fini della trama. E poi questo è un periodo in cui odio un po' Sam, non so dirvi esattamente perchè.
Bene, prima di salutarvi, come sempre un grande abbraccio a chi legge, e ancora di più a chi recensisce (guardate che mica mi offendo, eh!), e un enorme grazie a chi segue/preferisce/ricorda, perchè siete tutti fantastici.
In ultimo, il solito monumento alla mia beta, che amo un sacco per tutto quello che fa per me e per voi.
Basta, buona settimana, buon Dicembre e ci aggiorniamo a lunedi.
Per la prima volta, Fanie

 

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Capitolo 12
*** Gelosia ***


Rating: È giallo, con una lievissima sfumatura arancione. Forse.
Genere: Fluff, tanto per cambiare, con un po' di angst (?) totalmente indesiderato.
Contesto: Seconda stagione, direi, tanto per non generalizzare sempre.
Note: Dopo la Sabriel (che ve lo dico, mi ha sfiancata...) della settimana scorsa, torniamo sul classico. Wincest.

 




Gelosia



La cameriera, una biondina che non poteva avere più di vent'anni, apoggiò sul tavolo del pub il vassoio. Con un sorriso ammiccante, spostó le due birre dal disco di metallo e le depositò davanti ai due ragazzi, seduti l'uno di fronte all'altro. Si attardò ancora un attimo, spostando distrattamente una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
Dean prese in mano la birra e le sorrise ammiccando, mentre prendeva un sorso. Lei rispose con un cenno del capo e si allontanò ancheggiando.
Il maggiore dei Winchester la osservò attentamente finchè non scomparve in cucina, poi si girò verso suo fratello, che lo scrutava da dietro lo schermo del pc.
«Hai visto?» ghignò il biondo.
Sam si limitò ad alzare le spalle, e riportò la propria attenzione sullo schermo del computer, assumendo un'espressione a metà tra la concentrazione e l'indifferenza.
«Andiamo, non è niente male» insistè il maggiore, mentre si leccava le labbra per ripulirle da un traccia di schiuma.
Il più giovane sollevò appena lo sguardo, fissandolo storto per un momento, poi ritornò a guardare il pc.
Dean sbuffò, roteando gli occhi, e stava anche per ribattere di nuovo, ma la cameriera ricomparve con in mano un piatto con un enorme hamburger, che depositò davanti al maggiore con un gran sorriso. Sbattè un paio di volte le palpebre e spostò di nuovo una ciocca di capelli dietro all'orecchio, mentre il cacciatore si sistemava sulla sedia e rivolgeva uno sguardo famelico prima al panino e poi alla biondina, che rispose arrossendo e frullando le ciglia.
Sam, da dietro lo schermo, fissò attentamente tutta la scena sollevando un sopracciglio e sbuffando leggermente.
«Grazie» sorrise Dean, con quello che suo fratello sapeva essere il suo migliore sguardo da predatore.
Lei sorrise di rimando, mormorò un "prego" e scomparve di nuovo oltre alla porta della cucina.
Dean rivolse l'attenzione al suo panino, sorridendo fiero e gonfiando il petto. Sam lo osservò prendere in mano quel mostro di carne e sospirare soddisfatto di se stesso, poi roteò gli occhi e sbuffò.
«Quando hai finito di gongolare, noi avremmo un lupo mannaro da sistemare» disse, sarcastico, mentre cercava di controllare il fastidio nella propria voce.
Il commento gli fece guadagnare uno sguardo truce e un calcio sotto al tavolo.
«Io non gongolo» mugugnó Dean, offeso.
«No, certo che no» rispose Sam, fissando lo schermo.

Mentre Dean mangiava, il minore si preoccupò di spulciare accuratamente una mezza dozzina di articoli di giornali locali, tutti scritti a proposito di strani attacchi di animali selvatici in pieno centro.
Era stata una telefonata di Bobby a portarli li, nella parte più assurdamente sperduta dell'Indiana, in una città di cui Sam non aveva ancora avuto il tempo di imparare il nome. Non erano arrivati nemmeno da un giorno, e le informazioni in loro possesso rasentavano pericolosamente lo zero, per essere ancora in pieno plenilunio. Sapevano solo che il lupo mannaro aveva un territorio di caccia circoscritto alla zona più ricca della città, quindi Sam presumeva che il loro bersaglio vivesse da quelle parti.
Dean, dopo una rapida visita all'obitorio, durante la quale non aveva scoperto nulla di più di quello non sapessero già, aveva dichiarato uffcialmente che lui aveva fame.
E così, a due ore dal loro arrivo e con meno di un pomeriggio a disposizione per riuscire a trovare quel mannaro, Sam se ne stava seduto in un piccolo pub praticamente deserto a fare ricerche e a guardare una cameriera fare gli occhi dolci a suo fratello, che ovviamente ricambiava, per la gioia dell'esasperato Sammy.
Il minore iniziava davvero a stancarsi di quel posto.

A mano a mano che i mugolii soddisfatti che Dean emetteva addentando quel panino aumentavano, Sam si irritava sempre di più, accelerando il ticchettio nervoso delle dita sulla tavola di legno. E continuare a vedere con la coda dell'occhio la cameriera (Sally, Molly? Non si ricordava cosa c'era scritto sul cartellino) che si aggirava nella stanza senza assolutamente nessuna ragione apparente di sicuro non aiutava. E, per la cronaca, Sam avrebbe avuto qualcosa da ridire anche sulle occhiate che Dean le lanciava ogni tanto, mentre sollevava il bicchiere o si leccava le labbra sporche di salsa.

E poi, poi ci fu un momento in cui il moro ringraziò mentalmente di non avere armi a portata di mano, perchè li avrebbe uccisi. Entrambi. Violentemente.
La ragazza, che aveva passato l'ultima mezzora a cercare di assomigliare il più possibile al curioso incrocio tra una gatta morta e un falco che non mangia da un mese, si avvicinò a loro sorridendo come se le si fossero congelati i muscoli facciali e prese il piatto di Dean, ormai vuoto.
Il biondo alzò lo sguardo, sorrise e rispose con un morbido "grazie", che fece roteare gli occhi a Sam.
Lei emise uno squittio che forse si sarebbe potuto classificare come una risatina, mormorò un "prego" e fece un passo indietro.
Il minore dei due stava quasi per tirare un sospiro di sollievo quando sentì la voce della biondina arrischiarsi in una domanda che di per sè non aveva nulla di strano, ma fu pronunciata con un tale tentennamento e una dose tale di apettativa che al moro si attorciglió lo stomaco.
«Vi porto qualcos'altro?»
Sam vide suo fratello sorridere -sorridere con quel sorriso- e non ne potè più.
Chiuse di scatto il computer, e precedette qualsiasi cosa stesse per uscire dalla bocca di Dean «No, siamo a posto così»
Lei gli rivolse un'occhiara delusa, ma lui sostenne lo sguardo e la ragazza si allontanò mortificata.
«Ma che ti prende?» chiese Dean, sorpreso da quella reazione.
Sam lo guardò per un momento, indeciso se prenderlo a pugni subito o aspettare di uscire dal locale. Alla fine si limitò a sospirare rassegnato, e ancora infastidito. Si alzò, prese il portatile e si diresse fuori dal pub, mormorando «Paga, ti aspetto fuori»
Dean lo guardò uscire, e sbuffò scrollando le spalle.

Un quarto d'ora dopo, Sam lo vide emergere dalla porta verde del locale sventolando leggermente un foglietto di carta, che il minore immaginò essere lo scontrino. Con il numero della cameriera scritto sopra, ovviamente.
Dean si avvicinò all'Impala a passo lento, e salì in macchina con un sorrisetto compiaciuto, che però gli morì sulle labbra appena vide suo fratello.
Sam sedeva sul lato del passeggero con un gomito appoggiato al vetro del finestrino e la testa soretta distrattametne da una mano, mentre con l'altra giocava con il cellulare.
Il minore uccise con vaghi mormorii tutti i tentativi di suo fratello di intavolare una conversazione, alzando ogni tanto le spalle e ignorando sistematicamente tutte le battutine sarcastiche, che altro non erano che un misero e fallimentare tentativo di strappargli un sorriso. O di infastidirlo ancora di più, a seconda dei punti di vista.
Dean, dopo l'ennesima scrollata di spalle accompagnata da uno sbuffo indifferente, si stancó di quel giochino, e accese la musica. Alzò il volume al massimo, iniziando a canticchiare "You give love a bad name". Sorrise, abbassando il finestrino e accelerando un po', e si voltò verso Sam. Quella era la sua arma segreta: per quanto suo fratello dicesse di odiare quel tipo di musica, Deam sapeva benissimo che al più giovane in realtá piaceva canticchiare in macchina con lui.
Inutile dire che il sorriso gli morì sulle labbra, quando incontró lo sguardo di Sam. Il minore lo guardava con un sopracciglio alzato, come a cercare di capire cosa esattamente stesse facendo. Dopodichè si allungò verso la radio e la spense, ritornando subito dopo a giocare con il cellulare.
Dean per un attimo rimase interdetto, poi semplicemente il Winchester in lui prese il sopravvento. Inchiodò, svoltando bruscamente in una stradina laterale, un viottolo sterrato tra due campi coltivati. Sam, che in fondo se l'aspettava, non fece una piega, limitandosi a infilare in tasca il telefomo quando il fratello, dopo qualche metro, spense il motore. Dean tirò su il finestrino e si voltò verso il minore, rivolgendogli un'implicita domanda, che fu ovviamente ignorata. Sam rimase immobile e impassibile, con lo sguardo fisso davanto a sè, dove la stradina sterrata si allungava tra i campi e curvava fino a scomparire in un boschetto di noci in lontananza.
Il biondo lo fissò per qualche secondo, mentre l'altro si ostinava a non guardarlo, e alla fine sbottò «Ma si può sapere che ti prende?»
Il minore alzò le spalle, senza nemmeno disturbarsi a voltarsi.
«Sammy» sospirò Dean «avanti, cosa c'è?»
«Niente» rispose il minore, girandosi verso di lui e guardandolo freddamente.
«Andiamo, sono tuo fratello» devi dirmi cosa ti preoccupa.
«Si, esatto, sei mio fratello» sbottò Sam, voltandosi dall'altra parte.
«Cosa vuol dire?»
Niente, Dean, niente. É tutto a posto»
Il maggiore sospirò, inarcando un sopracciglio anche se il più piccolo non poteva vederlo, sempre meno convinto.
Si sporse verso di lui, apoggiandogli una mano sul ginocchio «Eddai Sammy, non farmi preoccupare...» ma il minore si ritrasse di scatto, facendogli perdere l'equilibrio.
Dean sbattè un gomito contro il volante, ringhiando un'imprecazione.
Alzò la testa, aspettandosi di trovare un ghigno divertito sulle labbra di suo fratello, e si preparò già a rispondere per le rime a qualunque battuta di scherno gli potesse venire rivolta. Ma invece di un sorrisino malefico, si trovò davanti ad uno sguardo assorto, gli occhi grigioverdi di Sam fissi su qualcosa davanti a lui, qualcosa che, se le occhiate avessero potuto incenerire, sarebbe gia stato ridotto ad un mucchietto di polvere da un pezzo.
Dean seguì quasi intimidito lo sguardo del fratello, fisso sul cruscotto dell'Impala, e i suoi occhi si arenarono sullo stesso pezzettino di carta che stava osservando Sam. Il maggiore si soffermò sullo scontrino per un lungo momento, poi, finalmente, capì.
Sorrise. «Sammy» disse, sarcastico «non sarai mica geloso?»
Il minore distolse lo sguardo, tornando a puntarlo fuori dal finestrino. «Fottiti»
Dean ghignò, e si sporse verso di lui «Guarda guarda, Sam! Stai diventando verde»
Il moro si ostinava a non guardarlo, e mentre i suoi occhi si appannavano di rabbia, mormorò «Vaffanculo Dean» e si sorprese nel sentire la propria voce uscire roca, quasi spezzata. Si odiò, anche più di quando odiasse suo fratello in quel momento. Debole. Patetico.
Il maggiore si tiró indietro. «Oh» mormorò.
Sam stirò le labbra e strinse gli occhi in un moto di rabbia.

Dean si era sentito un idiota tante volte in vita sua.
Sapeva di non essere esattamente famoso per la sua delicatezza, e anche di essere sprovvisto di qualunque genere di tatto, ritrovandosi cosi a dire cose per cui chiunque lo avrebbe picchiato, se avesse potuto. Con il tempo, aveva imparato a starsene semplicemente zitto e lasciare che fosse Sam a parlare per entrambi, limitandosi ad annuire ogni tanto. Suo fratello era quello delle smancerie da femminuccia, tutte quelle pacche sulle spalle e quelle occhiatine comprensive gli riuscivano bene quanto parlare dei propri sentimenti, o costringere Dean a farlo. Sam era un maestro in questo.
Le persone che lo conoscevano, il biondo lo aveva imparato presto, lo capivano, e avevano smesso di aspettarsi che lui dicesse la "cosa giusta" da un bel pezzo. Era fatto cosi, proprio non ci riusciva, ed era grato a chi era stato in grado di capirlo e magari riderci su.
Ma Sam... Sam era tutto un altro discorso.
Lui era suo fratello, la sua famiglia. E beh, non solo. Sam era il suo mondo, l'unica cosa di cui gli importasse qualcosa.
Ed ebbene si, era riuscito a ferirlo. Dean, sei un coglione.
Idiota. Idiota. Idiota. Ma cosa gli era venuto in mente? Con una cameriera, davvero? Ma che cos'aveva, quindici anni? Si sarebbe preso a pugni.
Si girò di nuovo verso Sam, che aveva riaperto gli occhi e li teneva puntati fuori, la fronte appoggiata al vetro del finestrino.
«Sammy» mormorò, sporgendosi verso di lui «guardami»
Il minore rimase immobile, i pugni stretti.
Dean gli sfiorò una spalla «Sam» disse, cercando di ignorare la fitta al cuore che lo fece sussultare quando sentì suo fratello irrigidirsi sotto al suo tocco. Gli accarezzò leggermemte il mento con le dita, e Sam fece uno sforzo enorme per non scostarsi.
«Ehi, guardami» mormoró, voltandogli dolcemente il viso, e si sentì morire quando vide gli occhi di suo fratello appannarsi. Lacrime di rabbia, di delusione, di frustrazione.
«Scusami» mormorò avvicinandosi ancora di più.
«Perdonami. Sono il più grande stronzo mai esistito» disse, prendendogli il viso tra le mani, mentre Sam chiudeva gli occhi e una lacrima sfuggiva alla presa delle sue palpebre.
«Non volevo, era solo un gioco... Sono un idiota. Ti prego, perdonami» mormorò appoggiando la fronte a quella del fratello, che gli afferró i polsi ma lo lasciò fare.
«Ci sei solo tu. Sempre e solo tu. Nessun altro» sussurrò Dean sulle sue labbra, un attimo prima di premerle in un bacio che sapeva ancora della birra di quel pub, amara, e Sam gli strinse di più i polsi, rimanedo immobile.
Il maggiore si staccò e passò un pollice ruvido sulla guancia del fratello, portandosi via quella lacrima, e tentò un timido sorriso. Il minore aprì gli occhi, ma anziché puntarli in quelli di suo fratello, che lo fissavano in attesa, li lasciò scorrere prima sul parabrezza e poi sul cruscotto, fermandosi sopra al volante. Il biondo seguì il suo sguardo, e si sentì di nuovo quell'idiota di dimensioni colossali che era uscito da un pub sventolando trionfante uno scontrino. Coglione.
Senza pensarci due volte, si lanciò su quel cavolo di foglietto e lo afferrò con una mano, mentre con l'altra faceva scattare l'accendino.
La fiamma divampò davanti allo sguardo perplesso di Sam, mentre suo fratello lasciava cadere il pezzetto di carta nel posacenere, accanto al soldatino che il piu piccolo aveva incastrato li una cosa come vent'anni prima. Entrambi rimasero fermi ad osservare il fuoco mangiarsi l'inchistro e cancellare in fretta tutte le tracce di un numero di telefono, scritto con una penna nera in una calligrafia minuta ed elegante.
Mentre un sottile filo grigio si alzava e l'abitacolo veniva invaso lentamente dall'odore del fumo, Dean si girò a guardare suo fratello, e sentì distintamente qualcosa dentro di lui che si scioglieva.
Sam lo fissava sorpreso, ma nei suoi occhi il maggiore vide sollievo, un sollievo che in un attimo gli cancellò le ultime tracce di lacrime dal viso, sostituite da uno sguardo che Dean non avrebbe saputo definire.
Si fissarono per un secondo, poi, beh, il maggiore non avrebbe saputo dire cosa esattamente accadde. Si ritrovò disteso, la schiena a contatto con la pelle del sedile, le mani bloccate sopra alla testa e suo fratello a cavalcioni delle sue gambe. Negli occhi del minore, una sola parola.Vendetta.
Il biondo non ci provò nemmeno, a divincolarsi. In fondo, sapeva di meritarsi quasiasi cosa suo fratello avesse voglia di fargli, e decise che gli stava bene lasciare che su vendicasse. Cosi, si limitò a sorridere leggermente mentre osservava Sam squadrarlo dalla testa ai piedi, come indeciso su cosa fare esattamente. Non si sorprese più di tanto quando i denti di suo fratello gli affondarono nella pelle morbida del collo con il preciso intento di lasciare un segno il più evidente possibile. Si sarebbe messo a ridere -cazzo, Sam era solo una ragazzina gelosa che scrive il suo nome con il pennarello su tutte le sue bambole- se non fosse stato che nel frattempo il più giovane era calato su di lui sdraiandoglisi sopra, e adesso si stava strusciando in un modo che era davvero difficile da ignorare. Sarebbe morto su quei sedili, Dean se lo sentiva.
Il moro non ci mise molto a passare dal collo alla gola, e dalla gola al pomo d'Adamo, e quando il maggiore chiamó il nome di suo fratello in un mormorio confuso le sue corde vocali vibrarono, e Sam si fermò.
«Ancora» disse, ed era un ordine.
«Cosa?» chiese Dean, la cui lucidità mentale aveva iniziato a giocare a nascondino nel suo cervello.
«Ripeti il mio nome»
«Sam» sussurrò il biondo, chiudendo gli occhi.
«Ancora» disse Sam, appoggiando la testa nell'incavo del suo collo.
«Sam»
«Ancora» ripeté, sussurando all'orecchio di suo fratello.
«Sam» gemette Dean, inarcandosi quando il moro si premette di più su di lui.
Le mani del minore tenevando ancora ferme le sue, in alto sopra alla sua testa, e a Dean non ci volle un grande sforzo per allentare quella presa, ma non si liberò: intrecciò le dita alla sue e si spinse contro di lui, catturando le labbra del fratello in un lungo bacio.
Si staccarono per riprendere fiato e si guardarono per un momento.
A Dean parve che la sua mente stesse cercando di dirgli qualcosa di importante, qualcosa in cui forse centrava un lupo mannaro, ma non é che si possa sempre ascoltare la propria testa, soprattutto non quando tuo fratello minore ti siede sul bacino e ti fa certe cose con la lingua.
Devo proprio essere invecchiato male se ancora ci provo con le cameriere, quando invece potrei fare questo tutto il giorno.
Fu l'ultima cosa lucida che Dean riuscì a pensare prima che Sam riprendesse possesso di quelle labbra, togliendogli il fiato di nuovo.

Il lupo mannaro lo presero, alla fine, ma non quel pomeriggio.












NdA
Salve a tutti!
Come va?
Qua si fa una fatica assurda a star dietro a tutto, ma per il momento riesco ancora a trovare il tempo per scrivere un piccolo Kiss.
Sappiate che le ho sentite (davvero serve dire da chi?) per un fatto di cui mi ero accorta anche io, ma che avevo scelto di ignorare bellamente: il rating. Perchè mai uno dovrebbe mettere un rating arancione e poi non sfruttarlo? Già, me lo chiedo anche io. In mia difesa posso dirvi che una mezza idea ce l'ho già, e che non dovrete aspettare ancora molto (le ultime parole famose)
Bene, detto questo siamo agli sgoccioli.
Devo, come al solito, ringraziare la mia beta, che tra l'altro per questo capitolo mi ha anche dato un mano con la canzone citata (in materia di musica sono assolutamente, completamente, totalmente e tristemente ignarante, mea culpa), e che come sempre mi impedisce di scrivere troppe assurdità.
Un grande abbraccio a tutti quelli che seguono/preferiscono/ricordano, e tanti cioccolatini a chi recensisce, vi adoro. E a chi legge, spero che i capitoli vi piacciano anche se non vi fate sentire;)
Basta, buona settimana e ci rivediamo luendì prossimo:)
Baci, Fanie.

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Capitolo 13
*** Ora possiamo andare ***


Rating: Verdissimo. È quasi Natale, ce lo possiamo permettere.
Genere: Fluff (ma che novità). E poi boh, un po' di introspettivo, ma neanche tanto. Insomma, Dean.
Contesto: Generale, prime stagioni.
Note: Avvento+Settimana di Natale=Wincest fluffoso. Mi dispiace, è fin troppo corta.


 

Ora possiamo andare



«Hai preso il sale?»
«Si»
«L'acqua santa?»
«Si»
«I paletti?»
«Anche»
«E l'esorcismo?»
«Dean, smettila» sbottò Sam, esasperato, mentre controllava per quella che poteva benissimo essere la quinta volta il contenuto del borsone «Non ho più dieci anni. So come si preparano le armi»
Il maggiore gli rivolse un'occhiata carica di tensione, e lui mollò la sacca sul letto, avvicinandoglisi.
Si fermò davanti a lui, e dovette chinare leggermente la testa per poterlo guardare negli occhi «Ehi, che succede?» chiese, preoccupato.
«Niente, Sammy» sospirò l'altro, armeggiando con il caricatore della sua pistola.
«Dean» mormorò il fratello «avanti, dimmi cosa c'è»
«Senti Sam...» il maggiore alzò lo sguardo su di lui, per poi abbassarlo di nuovo «questa non è una caccia come le altre. Non so cosa ci dobbiamo aspettare»
Sam sorrise «Quando mai abbiamo avuto una “caccia come le altre”?»
Dean sospirò, teso «questa volta è diverso»
Il minore gli appoggiò le mani sulle spalle, chinando ancora di più la testa e incrociando il suo sguardo «Ehi, io sono qua e ti guardo le spalle, okay?»
Dean lo fissò accigliato, poi scoppiò a ridere. Una risata bassa, calda, densa di tensione ma anche di uno strano sollievo.
«Che c'è?» chiese Sam, stupito.
«Niente fratellino, niente» sospirò Dean, ancora sorridendo «è solo che dovrei essere io a guardare le spalle a te, non il contrario»
Anche Sam sorrise, sempre con le mani sulle sue spalle, poi si scostò e tornò vicino al letto, aprendo di nuovo il borsone.
«Sai che sono abbastanza grande da cavarmela da solo, si? Non mi serve che tu ti preoccupi per me»
Dean sbuffò, ma non disse altro.
Alla fine, dopo una decina di minuti, si infilarono le giacche e caricarono le armi.
«Sei pronto?» chiese il maggiore, sulla porta.
«Si, arrivo» rispose Sam, chiudendo la sacca.
«Ti aspetto in macchina» disse Dean, uscendo.
Sam si infilò la pistola nella cintura, prese il borsone e si avviò fuori, spegnendo la luce della camera.
Stava per chiudersi la porta alle spalle, quando sentì la portiera dell'Impala aprirsi e vide Dean scendere dalla macchina e incamminarsi verso di lui.
«Hai dimenticato qualcosa?» chiese, ma Dean non rispose.
A grandi passi lo raggiunse, guardandolo fisso, e si fermò di fronte a lui. Sam stava per riaprire la porta e farsi da parte per lasciarlo entrare, ma lui si allungò verso di lui e afferrò la maniglia della camera, tirandola fino a sentire il click della serratura che si chiudeva.
Poi ritornò a fissare il fratello.
E ad un tratto, inaspettatamente, lo afferrò per il bavero della giacca, tirandoselo alla propria altezza e spingendolo contro la porta chiusa. Gli affondò le dita tra i capelli, e Sam si ritrovò a soffocare un gemito nella bocca di Dean.
Gli ci volle un attimo per reagire, ma poi appoggiò le mani sulla nuca del fratello, e si concesse di sospirare tra le sua labbra, mentre l'altro sorrideva impercettibilmente.
Un altro bacio, e uno ancora, poi Dean si staccò da lui, sorridendo «ecco, ora possiamo andare».











NdA
Ciao a tutti!
Come ve la state cavando a così poco tempo da Natale? Io mi sento tanto Grinch, ma mi obbligano lo stesso a mettere le decorazioni e a indossare tremendissimi cerchietti con le corna da renna.
Allora, il capitolo è cortissimo, ma proprio non ho avuto il tempo... Avrei dovuto pubblicare tutt'altra cosa, ma non ce l'ho fatta, e alla fine ho dovuto mettere questa, che è una delle mie "riserve". Tenevo troppo all'altra ff per pubblicarla così, scritta male e praticamente incompleta, quindi rimanderò e la leggerete più avanti.
Altra cosa, mi ero ripromessa di non dirlo, ma in fondo non sarei nemmeno io senza qualche spoiler: tra poco è Natale, no? Ecco. Ho detto tutto. Insomma, ci rivedremo prima del previsto... Poi vado a tagliarmi la lingua, eh!
Bene, credo sia tutto. Grazie a tutti quelli che come sempre leggono (e apprezzano, nonostante certe castronate), recensiscono, seguono, preferiscono, ricordano, ecc. Ah, e alla mia beta, as always.
Basta, me ne vado.
See you soon,
Fanie

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Capitolo 14
*** Buon Natale ***


NB: È dedicata a te, perchè senza di te non sarei mai arrivata fin qui. Tu sai chi sei. Grazie di tutto.

Rating: Mah, verde. forse verde chiaro, ma sempre li siamo.
Genere: Fluff. Tanto, dolcissimo, schifosissimo fluff. Ma proprio da carie. Di quelle cattive. Ma è Natale, o no?
Contesto: Non ha un contesto, ma noi facciamo finta di si.
Note: E... si, l'het in Supernatural è bandito, lo so io e lo sapete voi, quindi la colpa di questa cosa smielata non è tutta mia.
Preparatevi, e prendete un appuntamento il prima possibile dal dentista, perchè con questa cosa ho superato ogni limite consentito.
Buon Natale
(che è anche il titolo del capitolo)
 

 

Buon Natale



Quando Bobby Singer si era svegliato, quel giorno, sinceramente non credeva che la giornata sarebbe cominciata cosi. Non sarebbe dovuto succedere niente di diverso dal solito, non secondo i suoi programmi almeno.
Okay, magari sarebbe stato tutto piu tranquillo, niente ricerche particolarmente impegnative, niente telefonate da vari agenti governativi, niente cadaveri da seppellire in un bosco dopo aver tagliato loro la testa. Diamine, era pur sempre la mattina di Natale!
Sarebbe sceso con calma, si sarebbe fatto un caffè, avrebbe acceso il televisore e si sarebbe guardato la partita, per una volta in santa pace.
Per dovere di cronaca, sarebbe da dire che il vecchio cacciatore ce la fece davvero, ad alzarsi con calma e a bersi quel caffè. Si era appena seduto sul vecchio divano verdognolo, infossandosi tra i cuscini scuri in uno sbuffo di polvere, quando qualcuno bussò alla porta.
No, quello non era bussare. Tre colpi tirati contro il vecchio legno che rimbombarono per tutta la casa, neanche stessero cercando di entrare con un ariete.
Bobby sbuffò. Solo due persone al mondo avevano mai preso a pugni in quel modo la sua porta. Uno, che Dio abbia in gloria quel permaloso bastardo, era John Winchester. L'altro, beh, l'altro era il biondino con gli occhi verdi che entrò in casa sua senza nemmeno salutarlo appena lui gli aprì la porta, mormorando «Prenditela con lui, mi ha costretto»
Alle sue spalle Sam sbuffò divertito, sorridendogli con un «Buon Natale Bobby» sulle labbra.
Il vecchio cacciatore si spostò per lasciarlo entrare, chiudendo la porta alle sue spalle.
Sorrise, suo malgrado, mentre già sentiva Dean mugugnare qualcosa sul fatto che suo fratello lo avesse costretto a guidare per quasi quattro ore di fila, di notte, per arrivare li di prima mattina e che lui, adesso, sarebbe andato a dormire e avrebbe sparato a chiunque avesse provato ad impedirglielo, Natale o no.
No, decisamente, Bobby Singer non credeva che la giornata sarebbe cominciata così. E aveva anche un brutto presentimento su come sarebbe potuta finire.

 

Il resto della mattinata e gran parte del pomeriggio proseguirono tranquillamente, con Dean a sonnecchiare sul divano e Sam e Bobby seduti nella vecchia cucina, con una birra in mano, a parlare del più e del meno.
Nessuna decorazione, nessuna ghirlanda, nessuno stupido cappellino e niente regali, solo loro tre, e bastava questo. No, sul serio, erano solo loro tre, vero?
Bobby ci sperava così tanto...
Erano neanche le sei, e fuori era già buio, quando il padrone di casa si rese conto che le sue erano solo vane speranze. Lui e Sam erano in cucina, e mentre il ragazzo cercava di apparecchiare in modo quantomeno decente con le stoviglie spaiate a disposizione, Bobby apriva armadi e cassetti alla ricerca di qualcosa di commestibile da poter spacciare per cena di Natale.
Dava le spalle alla porta quando lo sentì. Un fruscio lieve ma perfettamente riconoscibile, e lui si appoggiòal mobile della cucina.
"Ti prego, fa che sia quello con il trench"
Il mugugo compiaciuto di Sam distrusse anche quella speranza, e lui si voltò controvoglia, ritrovandosi davanti ad un cacciatore avvinghiato ad un irritante arcangelo intento a creare, con la lingua, abbastanza materiale da riempire almeno un paio d'anni di incubi per Bobby.
«Fuori dalla mia cucina» ringhiò, un attimo prima di vedere Sam arrossire e sciogliere il bacio, ma rimanere stretto a Gabriel e trascinarlo in soggiorno, mentre il trickster ridacchiava.
Il vecchio cacciatore sbuffò, in attesa di quello che sarebbe inevitabilmente successo di li a poco.
Fu un "Gabriel" mormorato dalla stanza accanto, una sorta di monito.
Fu un "Sam?" divetito in risposta, e una risata soffocata del minore dei Winchester, seguita da un serie di flebili suoni umidi.
E poi fu un mezzo guaito di sconcerto, un tonfo sordo di qualcosa, qualcuno, che cade sul pavimento e uno sbuffo di fastidio, e di dolore. Una mezza imprecazione, e poi Dean che si rialzava da terra e entrava in cucina urlando che lui ne aveva abbastanza dell'Inferno, e che se anche suo fratello evitava di mandare a puttane quella sua poca lucidità mentale che gli rimaneva limonandosi un arcangelo davanti a lui, gliene sarebbe stato grato.
Bobby sbuffò, di nuovo, e allungò una birra a Dean. «Idioti»


L'altro quantomeno fu più discreto, questo il padrone di casa glielo dovette concedere.
Da quando Gabriel era arrivato, Dean si era fatto più nervoso. Aveva preso a girare a vuoto per la casa, facendo scorrere le dita sul profilo dei mobili impolverati e sbuffando di tanto in tanto, quando credeva che Sam non lo stesse osservando. Era irrequieto, impaziente.
Quando, passata la prima mezz'ora, a tutti parve chiaro che Dean non lo avrebbe fatto da solo, nemmeno sotto all'occhio critico e accusatorio di suo fratello minore, Gabriel decise di intervenire. Insomma, il sù e giù del cacciatore per la casa gli stava facendo venire la nausea. Se l'orgoglio di Dean impediva al maggiore dei Winchester di tirare fuori le palle e fare quello cha andava fatto (e quello che, tra l'altro, lui stesso voleva fare), di sicuro nessuno avrebbe ostacolato il suo intento di porre fine a quell'andatura altalenante da voltastomaco.
Non ci mise molto a contattarlo. Del resto, Castiel stava aspettando solo quello.
L'angelo comparve in un angolo della stanza, stretto nel suo trench e con la testa bassa. Gabriel sorrise a vederlo così contrito, e immaginò che il suo fratellino pensasse che Dean non lo volesse tra i piedi, visto che non lo aveva chiamato.
Il cacciatore, dal canto suo, si bloccò in mezzo alla stanza, e prima di potersi trattenere si ritrovò a sorridere ebete. Non si preoccupò di essere nella stessa stanza con suo fratello e un arcangelo, e non si curó di Bobby in quella accanto, e nemmeno del musino dispiaciuto del suo angioletto. Attraversò il soggiorno con due falcate, afferrò Castiel per le spalle, lo spinse contro il muro e si premette su di lui, baciandolo con foga.
Lo sbuffo sorpreso dell'angelo fu l'ultima cosa di cui Sam si curò, prima di sorridere e girarsi verso Gabriel, soffiandogli sulle labbra prima di coprirle con le proprie.
Castiel si staccò un attimo da Dean, lo stetto necessario per guardarlo negli occhi, e stava per dire qualcosa, ma il cacciatore lo precedette. «Mi sei mancato» sorrise.
«Anche tu» rispose «ma perché non mi hai chiamato? Ha dovuto farlo Gabriel. Non volevi che venissi?» chiese, inclinando la testa.
Dean arrossì, e gettò un'occhiata dietro di sè, e il cenno che si scambiò con l'arcangelo era il ringraziamento al trickster per aver sopperito alla sua stupidità. Tornò a guardare Castiel, e mormorò «scusami. Certo che volevo averti qui. Solo... Sai che io non sono molto bravo con queste cose...»
L'angelo sorrise, circondandogli la vita con le braccia e stringendolo a sè, con la schiena ancora appoggiata al muro «si, lo so. Vorrà dire che ci lavoreremo»
Dean rise, uno sbuffo roco contro il collo del moro, e annuì leggermente, un momento prima di riprendere possesso di quelle labbra che erano sue di diritto.
Inutile dire che, quando Bobby entrò in salotto reggendo una pirofila con delle improbabili presine gialle, non potè fare altro che sbuffare, alzare gli occhi al cielo e ritornarsene in cucina mugugnando qualcosa sul tempismo degli angeli.

 

Era quasi mezzanotte quando il padrone di casa decise che la sua presenza non era più necessaria. Si alzò stancamente dalla poltrona in cui era sprofondato un paio d'ore prima, quando avevano acceso la tv sorseggiando una qualche specie di liquore dolcissimo procurato, neanche a dirlo, da Gabriel.
Si chinò sul tavolino a raccogliere un paio di bicchieri e qualche piatto da riportare in cucina, e si raddrizzò con uno scricchiolio di ossa e un mugugno indolezito.
Uscì dal salotto con passo incerto, la testa che girava leggermente a causa dell'alcol, e si appoggiò allo stipite della porta per guardarsi un momento alle spalle.
Sam e Gabriel si erano impadroniti praticamente subito del divano più grande, e adesso il giovane cacciatore dormiva completamente rannicchiato contro il fianco dell'arcangelo, un braccio a circondargli la vita e la testa appoggiata sul suo petto. Gabriel, con una mano sulla sua schiena e il gomito puntellato sul bracciolo del divano macchiato, spostava di tanto in tanto lo sguardo dal ragazzo alla televisione, tenuta a volume bassissimo.
Su una poltrona, la più grande che Bobby avesse, dall'altra parte della stanza, Castiel sedeva accanto a Dean, e cacciatore e angelo si sorridevano sussurrandosi cose che in un secondo momento il Winchester avrebbe negato fino alla morte. Tra le pieghe del trench beje si intravedeva la sagoma delle loro mani intrecciate.
Il padrone di casa sorrise, uscendo finalmente dal soggiorno.
Entrò in cucina senza nemmeno accendere la luce, socchiudendosi la porta alle spalle e lasciando che fosse uno spiraglio azzurrino proveniente dalla stanza accanto a guidarlo fino al tavolo. Vi mise sopra i piatti, poi si voltò e appoggiò la schiena allo spigolo del legno, aggrappandosi con le dita al bordo del tavolo.
Non lo sentì arrivare, ma ne percepì la presenza.
Si spostò di un mezzo passo verso sinistra, in modo da lasciargli spazio accanto a sè, ma non si voltò verso di lui.
Sentì il contatto tra le loro spalle, e non si mosse quando sulla pelle della mano destra, ancora appoggiata al legno, percepì il calore e la pressione della stretta dell'altro. Allargò le dita, intrecciandole con quelle del suo nuovo ospite, e sbuffò quando sentì la risatina divertita accanto a sè.
«Buonasera, Robert» mormorò una voce vicinissima a lui, scandita da un forte accenno scozzese.
Bobby sospirò «cosa ci fai qui?» chiese, fissando lo spiragio di luce, la fessura da cui si intravedeva appena l'altra stanza.
«Credevi che ti avrei lasciato solo la notte di Natale?»
Il cacciatore si voltò a guardarlo «da quando voi demoni lo festeggiate?»
«Non lo festeggiamo, infatti, ma mi sembrava carino passare da queste parti»
«Carino?» calcò ironico Bobby «ti sembrava carino comparire in una casa contemporaneamente ai due cacciatori più pericolosi in circolazione e ai loro angeli?»
«Tre» lo corresse Crowley «i tre cacciatori più pericolosi in circolazione»
Il padrone di casa roteò gli occhi «se vuoi qualcosa, non è con i complimenti che la otterrai» sbuffò, nascondendo un sorriso, nonostante tutto, lusingato.
Anche il demone sorrise, sporgendodi verso di lui.
Bobby inclinò appena la testa per ricevere un leggero bacio, da cui Crowley si ritrasse subito.
«Niente a che fare con il nostro patto, ma posso provare ad accontentarmi» ghignó il Re dell'Inferno, facendo arrossire il cacciatore, che voltò il viso di nuovo verso la porta.
Oltre alla fessura, Gabriel aveva preso ad accarezzare i capelli di Sam, mentre Dean si era addormentato con la testa sulla spalla di Castiel, che vegliava sul suo sonno e gli mormorava all'orecchio per tenere lontano gli incubi.
Mentre stringeva la mano del suo demone, Bobby sorrise pensando che quello era il primo vero Natale da molto, moltissimo tempo.















NdA
Buon Natale, a tutti.
E detto questo, credo di aver esaurito le cose per cui valeva la pena scrivere queste note.
Per la cronaca, sono nascosta dietro ad una poltrona in una camera con la luminosità dello schermo ridotta al minimo, mentre i miei parenti nella stanza accanto consumano la duecentomillesima portata del pranzo che io ho passato la vigilia di Natale a cucinare.
NON mi sto la mentando, eh!
No, a parte gli scherzi, questa volta a fluff ho davvero superato tutti i limiti della decenza, ma voi vi accontenterete perchè in fondo è Natale e si può fare, o no?
Bon, basta parlare a sproposito. Buone feste, ci si rivede presto e godetevi tutte le carie dentali che questo periodo comporta, perchè vi garantisco che non dura.
Baci e ancora auguri, alla prossima.
Fanie

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Capitolo 15
*** Di regali e neve ***


Rating: Verde.
Genere: Fluff, perché non ce n'è mai abbastanza.
Contesto: Generale.
Note: È il seguito del capitolo scorso, quindi che c'è un piccolo riferimento al Natale in casa Singer. Ho tanta paura di essere caduta nel banale, ma cercate di capirmi: è la seconda Sabriel in una settimana!

 

 

Di regali e neve

 

 

 

Gabriel compare, come sempre, in una squallida stanza di motel, davanti a Sam, che come sempre lo ha chiamato, e che come sempre gli sorride da seduto sul letto.
L'arcangelo, come sempre, gli si avvicina e gli si siede accanto, e come sempre gli schiocca un bacio sulle labbra, al quale, come sempre, Sam sorride ancora di più.
«Ciao» mormora alla fine, e il cacciatore sposta i capelli da davanti al viso con un cenno del capo.
«Ciao» risponde, senza mai davvero smettere di sorridere, e ridacchia quando Gabriel si infila in bocca una caramella comparsa da chissà dove.
«Allora?» chiede, leccandosi le labbra «Perchè mi hai chiamato?»
Sam, sul serio, vorrebbe ribattere con qualcosa tipo “Non posso chiamarti solo per stare un po' con te?”, ma non sarebbe da lui, e dato che si sono visti l'ultima volta solo un paio di giorni prima, da Bobby, la scusa non reggerebbe. E poi, semplicemente è troppo entusiasta.
«Non ti ho dato il tuo regalo di Natale» risponde, ancora sorridendo.
Gabriel arriccia le labbra, e per un attimo rimane in silenzio, e Sam si sente improvvisamente il più grande idiota del pianeta per aver pensato di fare un regalo ad un angelo, anzi, a quell'arcangelo che ha visto, e annunciato, il primo Natale.
Ma poi il suddetto arcangelo sorride, e lo fa in un modo che scioglie qualcosa nello stomaco del cacciatore, che per quanto lo riguarda potrebbe anche morire li, Natale o no.
Ma il cenno di incoraggiamento di Gabriel lo riporta sul pianeta giusto, e lui tira fuori un pacchetto dal borsone appoggiato ai piedi del letto, e glielo porge.
La carta è rossa, il fiocco dorato, e lo scotch è attaccato bene, e se non lo conoscesse l'arcangelo potrebbe pensare che lo abbia fatto incartare da una commessa. Ma è Sammy, e Sammy si incarta i regali da solo, perché tutto deve essere perfetto, e perché per essere perfetto le cose se le deve fare con le sue mani.
Gabriel sorride, e apre il pacchetto con calma, attento a non strappare la carta, che ora che guarda meglio ha tanto piccole renne disegnate sopra. Sorride, e non sa neanche perché. Lentamente, le sue mani lasciano cadere a terra l'incarto, scoprendone il contenuto.
«È una palla con la neve» mormora Sam, gli occhi che scattano dalle dita dell'arcangelo al suo viso, cercando l'ombra di una reazione.
E di nuovo, si sente l'ultimo degli idioti. Il regalo più scemo dell'anno, complimenti Sam.
Gabriel se la rigira tra le mani, la scuote, e osserva i piccolissimi fiocchi bianchi agitarsi nell'acqua e ricadere morbidamente su quella che è, a tutti gli effetti, la statuetta di un piccolo angelo con le ali spiegate. Con la tunica bianca, l'aureola e tutto il resto. C'è perfino la scritta rossa “Buon Natale” sul bordo della base.
La fissa per un lungo momento, poi la stringe e lascia ricadere le mani in grembo, e finalmente alza lo sguardo. Sorride, anche se l'unica cosa che vorrebbe fare è piangere, e guarda Sam.
«Grazie» mormora, e ha paura che dicendo di più la sua voce potrebbe tradirlo.
Ma il cacciatore probabilmente se ne è accorto, e si sporge verso di lui e lo abbraccia stretto, affondando la testa nell'incavo del suo collo.
«Ti amo» mormora, sorridendo.
«Anch'io» risponde l'arcangelo, avvolgendolo con le braccia e stringendolo forte, prima di lasciargli un bacio sulla fronte.
Nella mano, la palla con la neve.

 

 

 

La mattina dopo, Sam si sveglia rabbrividendo. Non sa perché, non dovrebbe fare freddo, non in Florida, nemmeno se è Dicembre. Apre gli occhi e si tira la coperta su fin sotto al naso, raggomitolandosi su se stesso e sbuffando.
Ucciderà Dean, lui e quella sua maledetta aria condizionata.
Ed è qui che si accorge che c'è qualcosa che non va. Suo fratello non è in camera.
Ok, non è questa gran novità, non se in giro c'è Castiel, ma gli ha già ripetuto decine di volte di avvertire se se ne va, o per lo meno di mandargli un messaggio ogni tanto, giusto per confermare di essere ancora vivo. Fissa il telefono sul comodino, e sbuffa quando arriva alla conclusione che no, è troppo lontano, e lui ha troppo freddo per arrischiarsi a tirare fuori un braccio da sotto alle coperte. Rabbrividisce ancora, e sospira. Non ce la farà mai ad uscire da quel letto.
Richiude gli occhi, e lo sente arrivare. Sorride, perché in fondo non poteva essere nessun altro.
Gabriel si stende sul letto accanto a lui, e lo abbraccia da dietro «Buongiorno, dolcezza» mormora al suo orecchio.
Sam si rigira nella sua stretta, e affonda nel suo abbraccio il più possibile, cercando di calmare i brividi «Gabe, fa freddo»
L'arcangelo sorride, in bocca un lecca-lecca arancione «Scusami» mormora, e lo abbraccia più stretto.
Improvvisamente il cacciatore smette di tremare, e gli sembra che la temperatura della stanza sia tornata quella abituale. Ovviamente è stato Gabriel, ma qualunque cosa abbia fatto a lui va benissimo.
Restano ancora un po' così, e Sam non si muoverebbe mai, se potesse, e sta quasi per riaddormentarsi quando l'arcangelo prende a lasciargli leggeri baci sul profilo del mento, per poi scendere sulla gola e risalire il collo.
«Devo farti vedere una cosa» mormora al suo orecchio, baciandogli il lobo.
Sam sorride per il solletico, e lascia che l'altro sciolga il loro abbraccio e scosti le coperte.
Si costringe ad alzarsi, e si scopre già vestito. Jeans pesanti, maglia nera con le maniche lunghe e felpa, tutto coperto da un pesante giubbotto imbottito e scarponi. Si fissa le mani, avvolte in guanti scuri «Gabe, ma cosa...»
«Avanti, vieni» lo interrompe l'arcangelo, che lo prende per mano e lo trascina verso la porta, evidentemente eccitato.
Sam gira la maniglia ed esce, e beh, basta.
Basta, perché non è che davvero ci sia molto da fare quando fuori dalla tua camera di motel, in Florida, nevica. Non quando tutto il paesaggio circostante, macchine parcheggiate comprese, sono coperte da uno spesso strato di neve bianca, soffice, luccicante e straordinariamente fredda. Non quando il cielo, che dovrebbe essere limpido e soleggiato, è colorato di una leggera tinta grigia, e il sole filtra tra le nuvole illuminando un mondo assurdamente bianco.
Il cacciatore fissa i grandi fiocchi cadere e posarsi intorno a lui con la bocca leggermente aperta, il fiato che condensa in dense nuvolette bianche, gli occhi quasi lucidi.
Si gira leggermente verso Gabriel, che lo guarda sorridendo soddisfatto, e lui davvero non sa cosa dire. Non ci vuole un genio: è il suo regalo.
«Buon Natale, Sam» mormora l'arcangelo, che ancora gli stringe la mano.
Il ragazzo sorride, incapace di fare altro, e lascia scorrere le dita avvolte dal tessuto morbido dei guanti sulla ringhiera fuori dalla stanza del motel, coperta di neve. Sulla stoffa rimangono incastrati alcuni fiocchi candidi, e a lui viene quasi da piangere.
«Grazie» mormora, e adesso è lui a non fidarsi abbastanza della propria voce.
Gabriel lo tira a sé e gli cinge i fianchi con un braccio «Ti amo»
«Anch'io»
Sam si gira verso di lui e, come sempre, Gabriel lo bacia, sfiorandogli il viso con le mani calde, e, come sempre, il ragazzo sorride.

 

 

 

 

 

 

 

 

 






NdA
Ehi gente!
Passiamo subito al sodo, senza tanti preamboli.

Allora, questa cosa è una specie di incidente. Avrei (ma tu guarda, sto diventando ripetitiva) dovuto pubblicare un'altra cosa, ma alla fine mi sono ritrovata a pensare al clima natalizio che tutto sommato non ci ha ancora abbandonato, e al fatto che la neve quest'anno non si è vista manco per sbaglio (non dalle mie parti almeno).
Detto questo, il capitoletto di oggi lo sta pubblicando la mia beta, visto che io sarei in vacanza, neanche a dirlo, in montagna.
Quindi, sappiate che se il layout dovesse fare schifo, la colpa non sarebbe mia, e che lo correggerei appena tornata.
Basta, vi lascio in pace.
Il solito ringraziamento a tutti quelli che leggono, e un abbraccio a chi recensisce/ricorda/preferisce/segue/ecc.
E un bacio a lei, la disgraziata che mi sopporta anche se le do da betare (e da pubblicare, tra l'altro) pessime Sabriel banali e scontate.
No seriamente, scusatemi per questa cosa, ho davvero paura di averne letta una simile da qualche parte, ma visto che non ne sono certa, se qualcuno si accorgesse si senta libero di farmelo sapere e io rimedierò, subito prima di andare a nascondermi in un angolino buio per la vergogna.
Alla prossima,
Fanie

 

PS Questo è anche l'ultimo Kiss dell'anno, quindi... un bacio e ci si rivede nel 2015!

 

 








Cose che non dovrebbero nemmeno essere qui-
L’angolo della beta.

Saaaalve a tutti e, al diavolo l’anticipo, BUON ANNO A TUTTI!

Quella disgraziata di Fanie ha deciso di andarsene in vacanza giusto adesso e quindi è colpa sua (sì giochiamo al gioco delle colpe, visto che se il layout fa pena la colpa è della beta… ù.ù) se adesso mi ritrovo con le mani mezze infilate nell’impasto delle pizza e mezze a pubblicare le sue Sabriel scrause <3<3

A me questo capitolo è piaciuto un sacco e gli eventuali errori sono da imputare alla sottoscritta per non averne fatto una rilettura più attenta e ponderata… chiedo perdono! T.T

Beh… spero piaccia anche a voi, ci risentiamo alla prossima vacanza dell’autrice e nel nuovo anno <3

Con affetto,

β

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Capitolo 16
*** Sabati sera e domeniche mattina ***


Rating: Giallo.
Genere: Malinconico, ma c'è tanto fluff.
Contesto: Siamo di nuovo senza contesto.
Note: Destiel, perchè mi ero accorta di non averne scritte abbastanza. Amateli, io lo faccio già.


 

Sabati sera e domeniche mattina



Dean Winchester era sempre stato un tipo da sabato sera.
Dean Winchester, con la sua Chevy Impala del '67 e la sua fama da puttaniere patentato, viveva di sabati sera.
Dean Winchester, fratello di Sam e figlio di John, era un sabato sera.


Dopo una caccia, dopo una lunga giornata passata a fare ricerche, dopo una manciata di ore di viaggio, arrivava in una scolorita camera di motel, si lasciava cadere sul letto e sprofondava nel materasso, ad occhi chiusi. Rimaneva lì, immobile, ad ascoltare suo fratello che si aggirava per la stanza, magari con un birra in mano, magari con una pistola da pulire appoggiata sul tavolo. Respirava lentamente, mentre la sua testa si svuotava dai mostri e si riempiva della consapevolezza di avere una serata libera, finalmente. E quando, dopo un po', le sue braccia stanche di dissotterrare cadaveri sembravano meno indolenzite e quel brutto ematoma su un fianco smetteva di pulsare, sul suo viso compariva quel solito ghigno da predatore, da ribelle, da mascalzone, e lui usciva infilandosi la giacca di pelle e roteando tra le dita le chiavi dell'Impala.
Entrava nel primo bar che incontrava, si sedeva al bancone e ordinava una birra, sorridendo prima alla cameriera e poi a tutte le ragazza che gli si avvicinavano. E poi, poi era poco più che semplice routine.
Una biondina -o una mora, una rossa, una castana- che ammiccava verso di lui, una sedia -o uno sgabello, una poltroncina, un divanetto- spostata per fargli spazio, un'altra birra -o un whisky, un cocktail, un drink- e qualche sorriso e un paio di battute allusive. Poi erano le sue mani che mettevano in moto l'Impala, mentre gli occhi scivolavano su un paio di gambe fasciate da stretti jeans -o velate da leggere calze, nascoste da una gonna lunga fino al ginocchio, coperte da un cortissimo abitino-, e la concentrazione che faceva fatica a rimanere stabile sula strada, perché due labbra rosse -o rosa, color carne, viola- gli accarezzavano il collo, mentre una mano scivolava avanti e indietro sulla sua coscia, unghie lucide -o laccate di nero, di fuxia, di bianco- che raschiavano il tessuto dei suoi jeans. Poi due portiere che venivano aperte e poi chiuse, e la maniglia di una camera di motel che veniva girata, un'occhiata all'interno tanto per essere sicuro che Sam fosse fuori, e dopo solo abiti che cadevano sul pavimento, intimo di raso rosa -o di seta rossa, di cotone nero, di pizzo colorato- che si ammucchiava in fretta e mani che, affamate, si prendevano ciò che volevano, mentre le labbra e le lingue si rincorrevano, assaporando pelle e marchiando carne con un possesso che non era reale.
A Dean Winchester tutto questo piaceva.
A Dean Winchester tutto questo andava bene.
Per Dean Winchester tutto questo era perfetto, perché lui era un sabato sera.
E così rincorreva l'ombra di un piacere dato sempre in modo diverso ma che non cambiava mai, e che quasi diventava noioso. Si arrampicava su corpi mai uguali ma che in fondo erano sempre gli stessi, assuefatto ad una sensazione che in fin dei conti non mutava. E se anche le mani erano diverse, se le bocche erano diverse e se i vestiti erano diversi, così come i capelli e le voci, quello a cui Dean non faceva caso era che le ragazze si assomigliavano tutte, erano tutte uguali proprio perché nessuna era come la precedente.
Ma a lui stava bene. Perché lui era un sabato sera.
E poi si addormentava, esausto e svuotato, con la schiena sul materasso e le labbra socchiuse, sognando l'inferno e aspettando una nuova alba, un nuovo giorno, una nuova caccia. E quando si svegliava, la mattina dopo, accanto a lui non c'era nessuno. Nessun paio d'occhi marroni -o azzurri, verdi, grigi- da incontrare, nessuna Katy -o Jane, Rose, Megan- da ricordare, nessun bacio da scambiare. Lui si alzava, si stiracchiava, faceva una doccia e si vestiva, mentre la sua mente ritornava a riempirsi di mostri.


E a Dean Winchester tutto questo andava bene, perché lui era sempre stato un tipo da sabato sera, non da domenica mattina.
A lui non piaceva svegliarsi con un corpo caldo accanto, con un bacio sul collo, con un nome sulle labbra. A lui non piacevano le coccole a letto, il dover sciogliere l'abbraccio di qualcun altro per alzarsi, il respirare l'odore di una pelle che non era la sua. Non era abituato a essere legato a qualcuno che non fosse Sam (ma con lui non ci andava a letto, grazie tante), e gli stava bene che le cose rimanessero così, visto che non c'era possibilità di cambiarle.
O almeno questo era quello che incessantemente si ripeteva.

 

***


Il risveglio fu un lento riemergere da un confortevole e caldo torpore fatto di coperte e poca luce che filtrava da sotto la porta e tra le tende pesanti.
La prima cosa di cui si rese conto fu la presenza di un corpo, nudo, appoggiato a lui, accoccolato contro il suo fianco, e per un attimo inorridì atterrito: e questa chi era? Come diavolo si chiamava?
Volò in fretta con la mente alla sera precedente, alla ricerca di un frammento, di un indizio, di un nome...
Ma poi le tristi e vecchie abitudini furono spazzate via da una serie di leggeri baci sul collo, sotto all'orecchio, e da una mano che scivolava dal suo petto a uno dei suoi fianchi, e con il pollice accarezzava il profilo delle sue ossa sporgenti.
Dean non aprì nemmeno gli occhi, limitandosi a lasciare che il calore del fiato che non gli apparteneva si spandesse sul suo corpo, mentre le labbra risalivano la sua mascella e un accenno di barba gli graffiava la pelle. Sorrise quando i suoi capelli gli solleticarono la fronte, e si girò leggermente di lato, andando incontro ad un morbido bacio e ad un abbraccio invitante.
«Buongiorno» mormorò, aprendo appena gli occhi per assaporare la vista di capelli scuri spettinati e iridi zaffiro che lo fissavano attente.
«Buongiorno» rispose Castiel, trascinandosi il cacciatore addosso e assecondando i suoi movimenti mentre lo sentiva affondare nella sua stretta.
Dean mugolò un apprezzamento quando sentì le dita dell'angelo percorrere su e giù la sua spina dorsale e le sue labbra accarezzare dolcemente la clavicola esposta.
«Come hai dormito?» chiese Castiel, spostandosi leggermente per arrivare all'altezza degli occhi del cacciatore, che si schiusero appena.
Dean non rispose, limitandosi a fissare due profondi e millenari pozzi blu, perché sapeva che all'angelo non serviva una vera risposta. Lui era rimasto lì, con lui, tutta la notte, a vegliare sul suo sonno. Questo pensiero gli diede per un attimo le vertigini, e chiuse di nuovo gli occhi, affondando il viso nell'incavo del collo di Castiel.
Il cacciatore soffiò sulla pelle morbida, ed entrambi sorrisero.
Rimasero per un lunghissimo momento così, stretti l'uno all'altro, le caviglie intrecciate e gli occhi chiusi, sepolti sotto a pesanti e calde coperte impregnate del loro odore. Se non era quello il Paradiso, poco ci mancava.
E poi Dean sollevò la testa e la appoggiò sullo stesso cuscino di Castiel, e le loro fronti si toccavano e uno respirava l'aria dell'altro.
E poi cacciatore e angelo si guardarono, verde nel blu, come in un parlarsi muto, un semplice fissarsi che però era molto di più, perché a loro bastava.
E poi fu Castiel ad annullare le distanze , a sfiorare quelle labbra che non aspettavano altro, e lentamente si sollevò e si spostò sopra di lui, le mani ai lati del suo viso, i gomiti leggermente piegati.
Quando il bacio finì, si separarono ma rimasero comunque vicini, e Dean sorrise.
«Che c'è?» chiese l'angelo, inclinando la testa, mente lo guardava mettersi a ridere e passarsi una mano sul viso.
«Niente, Cas, niente» sospirò il cacciatore.


Dean Winchester era sempre stato un tipo da sabato sera. Da birra, da bar, da capelli sempre diversi, da sedie spostate, da drink offerti, da labbra lucide e da unghie laccate, e da occhi mai uguali, e da nomi che cambiavano ogni volta.
Dean Winchester aveva sempre vissuto di sabati sera, perché era l'unica cosa che poteva permettersi, quella che credeva di meritarsi, e quella che, tutto sommato, lo faceva stare bene.
Dean Winchester era diventato un sabato sera, perché quel suo modo di vivere gli era entrato sotto alla pelle, lo aveva plasmato.
Ma adesso, in quel letto, pensava che in fondo le cose erano cambiate.
Quello non era più un sabato sera. Lui non era più un sabato sera.
Quella era una domenica mattina. Uno svegliarsi lento tra le coperte calde, un bacio sul collo, un mormorio roco, occhi che si aprono appena e che riconoscono, e labbra che si tendono in un sorriso, mani che avvolgono in strette morbide, e la consapevolezza che non è solo per quel giorno.
Dean Winchester, per quanto avesse amato i sabati sera, ora sapeva di non rimpiangerli. Ora aveva la sua domenica mattina, quei capelli che non erano lunghi ma che si spettinavano che era una meraviglia, quegli occhi che non erano di nessun colore se non il loro, il blu, e quelle labbra che erano solo per lui. Quelle mani, le stesse che lo avevano salvato, e non solo dall'Inferno, e quella voce, che lo faceva tremare ogni volta. E non c'erano bar, o alcolici, o sedie da spostare, nomi da ricordare, unghie smaltate o rossetti colorati.
C'era solo la sua domenica mattina, il suo angelo, che vegliava su di lui e lo svegliava ogni giorno facendogli credere, per un attimo, che il mondo fosse un posto migliore. E lo era, se loro due stavano insieme.

 

Dean Winchester aveva sempre vissuto di sabati sera.
Dean Winchester aveva imparato ad amare i sabati sera.
Dean Winchester, adesso, nemmeno si ricordava cos'era un sabato sera.
Dean Winchester, adesso, amava le domeniche mattina.

 






NdA
Ehi, salve a tutti!
Intanto, buon anno:)
Poi, io amo un sacco questo capitolo, e spero che a voi sia piaciuto almeno la metà di quento è piaciuto a me, perchè sarebbe già un gran traguardo.
Bene, credo che sia tutto. Ci si vede lunedì prossimo, e sappiate che ho già un'idea in testa che se verrà come spero sarà una cosa fantastica, ma non dico niente;)
Baci a tutti,
Fanie

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Capitolo 17
*** La prova contraria ***


Rating: Tra il verde e il giallo.
Genere: Malinconico, e ben poco fluff per i miei standard. Niente di grave, garantisco.
Contesto: Quinta stagione, ma molto vago.
Note: Questa è una cosa totalmente nuova, e per la prima volta scrivo una di quelle cose per cui Kisses è nato. Vorrei lasciare il paring a sorpresa, ma se preferite sapere che cosa vi aspetta, scendete alle NdA e l'ho scritto nelle prime righe. Spero sinceramente vi piaccia. Buona lettura


 

La prova contraria


Il bar era luminoso, rischiarato da alcuni faretti posti vicino alla porta di ingresso, che rendevano l'ambiente piacevolmente rilassante.
Non era poi così tradi, ma nel locale non c'era quasi nessuno, ad esclusione del barista e di un paio di ragazze sedute a chiacchierare in un angolo.

Ah, e poi c'era il forestiero.

Il proprietario, un uomo alto con i capelli scuri, ogni tanto gettava un'occhiata verso di lui, mentre sistemava il bancone o asciugava i bicchieri.
Era arrivato da un quarto d'ora, su una Chevrolet nera d'epoca, e aveva parlato solo per ordinare una birra, la stessa in cui ora stava annegando lo sguardo. Sedava al bancone, dando le spalle al resto del locale, nell'angolo più buio del bar. Un bel ragazzo, valutò il barista, biondo e ben piazzato, e in fin dei conti sembrava essere la stessa conclusione a cui erano arrivate anche le due donne sedute poco più in là, che ogni tanto si fermavano a fissargli la schiena avvolta in una giacca di pelle scura.
Lui non sembrava in alcun modo interessato, e continuava a rimuginare sulla sua birra. Il barista immaginò che fosse solo un ragazzo come tanti, con un lavoro magari stressante e una fidanzata a forse assillante, che si ritrovava in un bar a bere qualcosa per staccare dalla realtà. E probabilmente avrebbe anche indovinato, se solo avesse avuto davanti un qualsiasi altro ragazzo biondo con una giacca di pelle e un'auto d'epoca.

Ma lui, lui non era affatto come gli altri. Lui era Dean Winchester.
Non aveva un lavoro stressante, non nel senso comune del termine, e non aveva nessuna fidanzata da cui tornare, ma solo un'Impala del '67 e una maledizione di famiglia.
E, beh, se lui finiva in un bar, di solito era solo per uscirne non troppo stabile e non abbastanza lucido da doversi fermare a pensare all'ultima caccia o all'ennesimo casino angelico che gli era capitato per le mani. O magari, era solo per risparmiarsi un'altra notte di incubi sull'Inferno, preferendo svegliarsi con gli occhi appannati dall'alcol che con la gola riarsa dalla paura.

Ma quella sera, quella sera era diverso. Non era li per ubriacarsi e perdere il contatto con la realtà per qualche ora, e nemmeno per festeggiare la riuscita di una qualche impresa eroica a cui ormai era più abituato di quanto gli piacesse ammettere. Tipo riportare in vita suo fratello, richiudere i cancelli dell'Ade, ritornare indietro dall'Inferno, convincere un angelo a voltare le spalle al Paradiso... ecco, quella cosa gli faceva ancora un certo effetto ogni volta che ci pensava, l'idea che Castiel avesse scelto l'umanità anziché i suoi fratelli, ma quella sera non era li nemmeno per quello.
Quella sera era li per se stesso, e probabilmente era la prima volta.
Voleva solo pensare. Pensare all'Apocalisse, a Michael, a Lucifer, a Sam e alla fine del mondo, ed era giunto alla conclusione che quello fosse un buon posto per farlo, e soprattutto un posto che precludeva la possibilità che Sam entrasse da un momento all'altro, sedendosi accanto a lui e costringendolo a parlare “dei suoi sentimenti”. Dean non voleva parlare, e non voleva bere. Voleva solo pensare.
Finì la birra e ne ordinò una seconda del tutto in automatico, nonostante fosse deciso ad uscire almeno un po' sobrio da quel bar. Ma in fondo era ancora fin troppo presto, e c'era tutto il tempo di cambiare idea.

Bevve in silenzio, mandando giù uno dopo l'altro una lunga serie di sorsi amari, respirando lentamnete e profondamente e tenendo lo sguardo fisso sulla parete del bar, occupata da un gran numero di bottiglie di alcolici piene per metà.
Non è che stesse riflettendo su qualcosa di specifico, o su una strategia, o sulla loro ipotetica prossima mossa. Pensava, e basta. Lasciava vagare i propri pensieri, sugli angeli, su Satana, e sul significato che tutto quello poteva avere, come se lui, un misero e piccolo uomo, avesse la più vaga possibilità di capire cosa Dio volesse, cosa Dio ordinasse, o semplicemente dove Dio si stesse nascondendo.
Si rigirò la birra quasi vuota tra le mani.
Non era triste, non si sentiva stanco, non era arrabbiato.
Non lo sapeva nemmeno lui, cos'era. Ma li stava bene. Li, solo con la sua birra ormai vuota e nessun altro.
Un leggerissimo fruscio, accanto a lui.

Dean si sarebbe messo a ridere, davvero.
Ci mise un solo secondo a rendersi conto che, per una volta, non era Castiel l'angelo comparso al suo fianco, e ci riuscì semplicemente perché percepiva la sua presenza vicino a sé, e non in piedi dietro di lui, e soprattutto ad una ragionevole distanza. E si rese conto di chi effettivamente fosse quando sentì uno schiocco umido e un leggero aroma di ciliegia, mentre Gabriel si sfilava dalla bocca il lecca-lecca.
Dean sorrise, senza nemmeno voltarsi, l'ombra del sarcasmo sul suo viso mentre tra le mani faceva ruotare la bottiglia vuota di birra. Accanto a lui ne comparve un'altra, piena, e lui ci mise un attimo a decidersi ad aprirla e prenderne un sorso.
«Che cosa vuoi?» chiese, diretto, senza guardarlo.
«Ciao anche a te» rispose l'arcangelo, con un tono basso e piatto, completamente sconosciuto al cacciatore.
Dean alzò il capo e lo fissò. Non sorrideva, non con il suo solito ghigno almeno, e l'unica cosa che dava al ragazzo la certezza che fosse veramente lui era il lollipop che continuava a far muovere tra le labbra.
Gabriel lo fissò per un momento, come se cercasse di leggere la sua anima. Era inquietante, ma non fastidioso.
«Mi sembrava ti sentissi solo» sorrise, e Dean vide tornare il trickster sul suo viso, ma era solo una pallida ombra.
Suo malgrado, il cacciatore ghignò, perché era divertente quanto fossero inclini i pennuti celesti ad interessarsi a lui solo quando finalmente trovava pace in un po' di solitudine.
«Si, certo» rispose, sarcastico, e prese un altro sorso di birra.
Gabriel appoggiò la schiena al bancone, stendendo le braccia sul ripiano di legno, quasi si stesse stiracchiando. Dean lo fissò incuriosito. Sembrava cosi... strano.
«Stai bene?» chiese, senza riuscire ad impedirselo.
Gabriel roteò gli occhi con fare teatrale «guarda che mi stai confondendo con l'altro angelo, quello con il trench. Io non sono un piagnucoloso bambino che corre da te a cercare consiglio»
Il cacciatore avrebbe voluto ribattere che Castiel era un guerriero, e che lui gli doveva la sua vita, ma in quel momento poteva sentire che l'arcangelo non pensava davvero quello che aveva detto, e così si limitò a sbuffare divertito e a girarsi, poggiando anche lui la schiena al bancone.
Lasciò vagare lo sguardo sul locale, fermandosi per un momento sulle due ragazze sedute in un angolo in fondo, che lo stavano fissando ammiccanti. Stranamente, non gliene poteva fregare di meno, quella sera. Si voltò verso Gabriel, che lo fissava cupo.
«Che c'è?» chiese, una nota appena scontrosa nella voce.
«Niente» scrollò le spalle l'arcangelo «mi stavo solo chiedendo cosa ci fai qui»
«Volevo stare solo» mugugnò il Winchester, sbuffando alla risata divertita dell'arcangelo.
«Balle. Volevi stare lontano da chi conosci, piuttosto»
Il cacciatore si voltò verso si lui, incrociando il suo sguardo «tu che ne sai?»
Gabriel buttò la testa all'indietro, il lecca-lecca tra le labbra «io e te siamo uguali, Dean Wichester»
Il biondo rise «credevo di essere uguale a Michael»
«Non più di quanto Sam lo sia a Lucifer» mormorò Gabriel, tetro.

*

«Ti senti mai solo?» chiese dopo un po' Dean. Quella era la quarta birra, la seconda che Gabriel faceva comparire dal nulla.
L'arcangelo sbuffò.
Era nata quella cosa, il cacciatore non sapeva bene come, di parlare di cose come quella, come se loro due potessero capirsi. E non è che Dean la considerasse davvero una buona idea, però neppure gli dispiaceva. E così eccoli li, ancora in quel bar, a parlare di famiglie, fughe, Apocalissi e fratelli, in un'atmosfera che se non era inquietante perlomeno era strana. Non parlavano davvero dell'immediato futuro, ma solo in generale, in un tacito accordo di non sfiorare l'argomento.
«A volte. Passare un'eternità sulla Terra, circondato da una razza che non ha nemmeno idea che tu esista non è esattamente una vita per chi ama la compagnia»
Dean riflettè sulle sue parole.
«Da quanto sei qui? Sulla Terra, intendo»
Gabriel sospirò, guardando fisso davanti a sé «non credo che ti piacerebbe saperlo»
«Andiamo, la prossima settimana saremo tutti morti, che differenza vuoi che faccia?»
«Secondo te da quanto?»
Dean ci pensò su un momento «Tremila anni»
Gabriel rise, e il cacciatore si accigliò.
«Tremila? Hai una vaga idea di quanti siano tremila anni?» l'arcangelo sospirò «duemila anni fa io suonavo la tromba per annunciare la nascita di Cristo, ricordi? Anche se non è proprio come voi la raccontate»
«Ok, quindi? Quanto tempo?» insisté Dean.
Gabriel abbassò il capo, sorridendo leggermente, mentre si sfilava il lecca-lecca dalla bocca «molto, moltissimo tempo» mormorò, mesto.
Il cacciatore riportò la propria attenzione sulla bottiglia di birra, pensando che forse iniziava ad essere davvero un po' ubriaco.

*

Dean si alzò dalla sedia lentamente, quasi traballando, e ci mise un momento a riprendere l'equilibrio. Troppo alcol, e sgabelli troppo scomodi.
Gabriel lo fissò da seduto, con le braccia ancora allungate sul bancone e il viso in ombra.
«È tardi. È ora che io torni al Motel, prima che Sam mandi Castiel a cercarmi» si sentì in dovere di dire il cacciatore, mentre osservava lo sguardo impassibile dell'arcangelo.
Lui si limitò a scrollare le spalle, alzandosi a sua volta.
Gabriel sorrise, il ghigno del trickster «salutami tuo fratello, e anche il tuo angioletto spelacchiato. Ci vediamo presto, Dean Winchester»
Il cacciatore si ritrovò da solo un attimo dopo.

*

Dean salì in macchina e chiuse la portiera.
In realtà, uscendo dal bar, si era reso conto che non era poi così ubriaco come pensava. E un po' rimpiangeva anche di aver deciso di tornare al Motel. Stranamente, parlare con Gabriel gli era riuscito molto più naturale di quanto si sarebbe mai aspettato.
Per un attimo, un solo attimo, si sentì quasi solo, per la prima volta nella serata.
Ma durò poco.
«Ciao Dean» disse Gabriel, sul sedile accanto a lui.
Il cacciatore sobbalzò «maledetto pennuto. Cosa vuoi ancora?»
L'arcangelo ghignò «mi sembrava ti sentissi solo»
E suo malgrado, Dean sapeva che questa volta era vero.
«E quindi, cosa intendi fare? Accompagnarmi al Motel?»
«Mi sembrava anche che tu ti fossi pentito di aver deciso di tornarci»
Il cacciatore sospirò, tutto sommato divertito «e va bene. Ma piantala con questa cosa del leggermi nella mente. Non mi piace»
Gabriel annuì, sempre sorridendo, e si sistemò meglio sul sedile dell'Impala.
Calò uno strano silenzio, non imbarazzante, solo denso, ed era curioso perché era la prima volta nella serata.
Rimasero li, lo sguardo fisso fuori, sul parcheggio del bar, e sulle ombre della notte. Era strano, tutto strano, e Dean si ritrovò a pensare che fosse incredibile che avessero ancora il tempo di farlo, guardare fuori e restare in silenzio senza fare nulla, quando quella poteva benissimo essere una delle ultime notti che passavano sulla Terra.
Ad un certo punto sentì che era giusto chiederlo. Che doveva saperlo.
«Perchè sei venuto, stasera?»
Gabriel scrollò le spalle dopo un momento, e Dean seppe che quella sarebbe stata solo una risposta di circostanza, o una battuta evasiva.
«Per vedere i tuoi occhioni verdi, dolcezza»
Forse erano davvero uguali, loro due.
Il cacciatore si voltò verso di lui «ah, ecco» sorrise, stando al gioco «sinceramente, credevo quasi che tu te la facessi con mio fratello»
Gabriel ghignò a sua volta, lo sguardo fisso fuori «beh, siamo pari. Io credevo che tu te la facessi con il mio»
Dean strabuzzò gli occhi «Chi, Castiel? Guarda che io sarei etero, fino a prova contraria»
L'arcangelo si voltò verso di lui, gli occhi color cioccolato che scintillavano nell'oscurità, illuminati dalla luce di un lampione. Fissò per un lungo istante il cacciatore, che ripensò in un attimo a quello che aveva appena detto.
E in un lampo di follia, si ritrovò a desiderare che fosse Gabriel, la prova contraria.
“Dean Winchester, sei ufficialmente ubriaco”
«O forse no» mormorò l'arcangelo, che aveva distolto lo sguardo.
«No cosa?»
«No non lo sei»
«Ti garantisco che sono etero»
L'arcangelo si voltò di nuovo verso di lui «Non etero. Ubriaco»
Dean boccheggiò «I-io... Tu... A-avevo detto di non leggermi nel pensiero»
Gabriel ghignò «sono pur sempre il trickster, no?»
Ma Dean era troppo sconvolto per ridere. O per prenderlo a pugni. Rimase in silenzio, cercando di tenere chiusa la bocca e di sembrare perlomeno umano.
Gabriel se ne accorse, e scoppiò a ridere «andiamo Winchester, stavo scherzando. Non prenderla così male»
Il cacciatore si schiarì la voce un paio di volte. Ecco, forse quella era la cosa più imbarazzante che gli fosse mai capitata in vita sua.
«Non è vero. Tuo fratello è la cosa più imbarazzante che ti sia mai capitata»
Dean sorrise, scuotendo la testa. Ma poi la tirò su di scatto, e lo guardò male «Smettila. Di. Leggermi. Nel. Pensiero»
Gabriel rise, sembrava tornato il vecchio trickster.
Il cacciatore lo guardò scuotere la testa e far comparire dal nulla una caramella, che scartò e si infilò in bocca.
E lì, tutto precipitò.
Dean non seppe nemmeno come. Un attimo prima, stava fissando Gabriel succhiare lo zuccherino, e un attimo dopo immaginava quelle labbra su di sé, che sapore potessero avere, come sarebbe stato morderle, e leccarle, e sentirle scendere sulla propria pelle.
E un secondo dopo, l'arcangelo si era voltato verso di lui, e lo fissava con uno strano luccichio negli occhi, una via di mezzo tra il divertimento e il desiderio.
Il cacciatore si rese conto solo in quel momento dei propri pensieri, e li ricacciò indietro, ma era tardi. E la mano di Gabriel era già sulla sua coscia.
«Se vuoi, io la smetto di guardare tra i tuoi pensieri, ma tu dovresti quantomeno cercare di controllarti» ghignò l'arcangelo.
Dean non sentì nemmeno il desiderio di ritrarsi, e si limitò a deglutire sonoramente, perché quella era davvero la cosa più folle che avesse mai fatto in tutta la sua vita.
Si incontrarono a metà strada, accorciando le distanze nello stesso momento.
Non furono gentili, non furono dolci, era uno scontrarsi di labbra affamate, e un attimo dopo Dean era schiacciato contro la portiera della macchina, con Gabriel sopra di lui.
Il suo sapore era dolce, ma non zuccheroso. Sapeva leggermente di ciliegia, e il cacciatore aveva come l'impressione che fosse perfetto per l'amaro che lui si sentiva in bocca, dopo tutte quelle birre.
Si chiese cosa accidenti ci stesse facendo, spalmato sui sedile della sua bambina con un arcangelo addosso, uno stramaledetto arcangelo fissato per i dolci. Andiamo, se proprio doveva trovarsi un uomo con cui fare esperimenti, perché proprio Gabriel? Aveva un bel culo, questo era certo, ma...
«Guarda che ti sento» ringhiò l'arcangelo al suo orecchio, e lui sentì una scarica di eccitazione scivolare lungo la sua spina dorsale e finire dritta al suo basso ventre.
«Maledetto pennuto»
Con un colpo di reni, Dean lo afferrò e lo ribaltò, ritrovandosi in un attimo seduto sul suo bacino.
Ma che cazzo stava facendo?
«Smettila. Di. Pensare» mormorò Gabriel, guardandolo dal basso.
«Figlio di puttana» mormorò il cacciatore, prima di riprendere tra le sue quella labbra.
L'arcangelo sorrise, e Dean gemette quando sentì la sua bocca sul proprio collo.






















NdA
Ehilà gente!
Allora, per chi venisse giù dalle note in alto, è una DEBRIEL. Eh si, Dean + Gabriel. Bene, ora tornatevene su e leggete.
Bene, per chi fosse arrivato fin qui, vuol dire che siete sopravvissuti, ed è già cosa buona.
Che ne pensate? Qua più di ogni altra volta ho bisogno di tante recensioni, perchè non so cosa pensare. Vi prego, lasciatemi una recensioncina... pleaseeee *.*
Ok... Come ho già detto, questa è la prima volta (dopo sedici capitoli mi sembrava ora, e poi il diciassette è un buon numero) che uso davvero Kisses per quello per cui la ff è nata. Dovevano essere si Destiel, Wincest, Sabriel ecc, ma anche tutti quei Kiss e quei paring che di solito sono marginali ma che io amo comunque. E sono sicura di non essere l'unica.
Tengo particolarmente a questa ship (?), e spero di non aver scritto grosse castronate.
Come al solito, grazie di aver letto, un ENORME abbraccio a chi mi lascerà una recensione, ve ne sarei veramente grata. E poi alla mia beta, e non serve nemmeno dire perchè.
Buon proseguimento e ci si vede lunedì.
Baci a tutti,
Fanie

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Capitolo 18
*** Un minuto esatto ***


Rating: Verde.
Genere: Fluff come sempre.
Contesto: Prima dell'inizio.
Note: Esatto, è una Weecest. Quattordici e diciotto, perchè non si può non amarli da piccoli (infatti io non ci riesco). Non vi dico altro, e ci rivediamo giù.
 

Un minuto esatto



Sam dormiva quando il telefono squillò la prima volta. A malapena sentì il suono provenire dalla cucina, e non fece caso né a quanto ci mise Bobby a rispondere né a cosa disse.

La seconda volta, il padrone di casa lo lasciò squillare a lungo, forse nella speranza che chi stava chiamando demordesse. Ma, sia Bobby che Sam lo sapevano perfettamente, lui non si sarebbe di certo arreso così facilmente. Il giovane Winchester era sveglio, questa volta, anche se non del tutto lucido, e della conversazione non sentì quasi niente. Si riaddormentò poco dopo.

La terza volta non era passata un'ora. Sam sentì distintamente Bobby chiudere con un tonfo un libro, sbuffare e poi riaprirlo. Lasciò squillare a lungo, e sospirò quando finalmente il trillare tacque. Trenta secondi dopo, e un altro telefono si mise a suonare, e a Sam parve di riconoscere quello dell'FBI, o forse della Guardia Nazionale, ma non poteva esserne sicuro. Si stropicciò gli occhi e si rannicchiò più stretto sotto alle coperte, mentre la testa riprendeva a pulsare. Ascoltò lo squillare ovattato a lungo, finché non sentì Bobby alzarsi, andare in cucina e staccare con un colpo secco tutte le prese telefoniche dalla corrente. Il ragazzo sorrise, ad occhi chiusi, perché tutto sommato era una cosa piacevole.
Dieci minuti dopo, il tavolo dello studio prese a vibrare impazzito insieme al cellulare di Bobby, che il vecchio cacciatore si affrettò a spegnere e smontare nelle varie componenti, prima di chiudere tutto in un cassetto con un gesto nervoso.
Sam sbuffò, e si allungò verso il comodino per prendere un bicchiere d'acqua. Si accorse, con una smorfia infastidita, che la sua mano tremava, ma si rifiutò di misurare ancora la febbre. Si mise a sedere dritto, appoggiando la schiena alla testiera del letto e spostandosi i capelli dal viso cercando di non muovere troppo la testa, che già faceva abbastanza male per conto suo.
In tutto trascorse un minuto, un minuto esatto. Sam lo sapeva, avrebbe potuto cronometrarlo. Sorrise, con un mugugno che si sarebbe potuto dire compiaciuto, mentre una leggera musichetta iniziava a diffondersi nella stanza a partire dalla tasca dei jeans abbandonati a terra. Un minuto esatto.
Il giovane Winchester afferrò il cellulare e prima di rispondere si schiarì la voce un paio di volte, sforzandosi di tenere gli occhi aperti.
«Pronto?»
«Sammy!» dall'altra parte della linea, e probabilmente anche del Paese, Dean sorrise «Ehi...»
«Ehi» rispose Sam, grato di poter sentire la voce del fratello.
«Ho provato a chiamare da Bobby, ma nessuno risponde. Non è che per caso avete i telefoni staccati?»
Sam soffocò una risata «Magari si è stufato di sentirti chiamare ogni venti minuti»
«Non chiamo ogni venti minuti!» mugugnò Dean, ma sapeva cosa intendeva suo fratello, e sorrise.
«Non volevo chiamare te sul cellulare. Non ti ho svegliato, vero?» aggiunse.
Sam sorrise. Conoscendo il fratello, aveva provato uno a uno tutti i numeri fittizi collegati ad un telefono in casa Singer, e quando il vecchio cacciatore non gli aveva risposto nemmeno al cellulare, finalmente aveva preso coraggio e aveva premuto il primo tasto delle chiamate rapide. Un minuto esatto.
«Non ti preoccupare, non stavo dormendo»
«Come stai?» chiese il maggiore, mentre la voce si abbassava di tono e diventava più raschiante, più preoccupata.
«Meglio» mentì il più giovane, mentre ricacciava indietro a fatica un colpo di tosse.
Dean rimase in silenzio. Sam poteva quasi vederselo davanti agli occhi, camminare avanti e indietro nel parcheggio di un Motel o di una stazione di servizio.
Un minuto esatto. Il tempo che Dean ci aveva messo a lasciare che la preoccupazione prevalesse sulla paura di svegliarlo. Il tempo che il ragazzo aveva passato a fissare lo schermo del cellulare chiedendosi quanto ancora avrebbe potuto resistere senza sentire la voce di suo fratello.
«Hai ancora febbre?» chiese il maggiore, e Sam sorrise, perché era bello sapere di essere, nonostante tutto, il primo pensiero di suo fratello.
«È da un po' che non la misuro» mormorò, e il suo sguardo corse irrimediabilmente al termometro a mercurio abbandonato sul comodino.
Dean sospirò, e Sam strinse le labbra. Non voleva preoccuparlo. Voleva che si concentrasse sulla caccia, non sul suo fratellino ammalato.
Erano passati due giorni da quando John aveva lasciato da Bobby un Sam quattordicenne e febbricitante, accarezzandogli la testa prima di ripartire in fretta con un Dean che, suo fratello glielo aveva letto negli occhi, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di poter rimanere li a prendersi cura di lui. E Sam gliene era grato, davvero, ma sapeva bene di non essere più un bambino, e sapeva anche che suo padre aveva bisogno di aiuto. In quei due giorni la febbre non aveva accennato a scendere, anzi, e le telefonate di
Dean non solo stavano certamente infastidendo John, ma avevano iniziato a spazientire anche Bobby. Sam sapeva perfettamente che a suo fratello non poteva importare di meno della caccia, ma non gli avrebbe permesso di tornare prima della conclusione del lavoro.
Ma era Dean. E non è che con Dean fosse facile ragionare.
«Sam?»
«Come sta andando la caccia?» cambiò discorso il minore, mentre la testa riprendeva a pulsare.
Dean sospirò «Bene» e non avrebbe aggiunto altro.
Sam chiuse gli occhi, e si lasciò sfuggire un gemito quando si stese di nuovo sul letto.
«Sam?» chiamò allarmato il maggiore.
«Sto bene» mormorò il più piccolo «è solo un po' di febbre»
«No, non stai bene» il biondo sbuffò, prima di abbassare di nuovo la voce «sei sicuro che non vuoi che io...»
«Dean, no!» lo interruppe Sam «Non puoi mollare una caccia per tornare qui». “Da me” sarebbe stato più corretto, ma non lo disse.
«Non mollerei un bel niente. Ci sarebbe pur sempre papà»
«Dean, smettila di preoccuparti. Pensa ad uccidere quella creatura, qualunque cosa sia, e poi tornerai»
Il biondo mugugnò qualcosa, ma non ribatté. Sam sapeva di non averlo convinto.
«Ascolta» mormorò, passandosi una mano sulla fronte bollente «starò bene. Non devi preoccuparti»
«Si che devo. Sei mio fratello» Non aggiunse altro, ma il minore capì e sorrise.
«Dean?»
«Si?»
«Torna presto. Finisci il lavoro, e poi torna subito qui»
Il maggiore sorrise, e stava per ribattere qualcosa, ma in quel momento la porta della camera si spalancò e Bobby comparve sulla soglia con l'aria più minacciosa che Sam gli avesse mai visto assumere. Gli strappò il telefono di mano senza chiudere la chiamata, lo appoggiò sul comodino e sbuffò un “Idiota”. Appoggiò una mano sulla fronte del ragazzo, per sentirne la temperatura, poi sospirò e gli rimboccò le coperte. A quel punto riprese in mano il cellulare. «Ascoltami bene, se non la smetti immediatamente di tormentare tuo fratello, ti assicuro che...» tuonò, ma si interruppe, assumendo un'aria corrucciata mentre ascoltava la risposta, presumibilmente per le rime, di Dean.
Dopo un momento riprese, più calmo «Si, sta un po' meglio.... No, non è ancora scesa.... Senti Dean, calmati, è solo un po' di febbre. Guarda che non lo lascio morire in casa mia» Bobby sospirò, Sam sorrise.
«No. Non... Guai a te. Non ti azzardare» si interruppe di nuovo, e guardando Sam si affrettò ad uscire dalla camera.
«Guarda che se ti vedo tornare senza tuo padre non ti apro.... Ah bene, allora vorrà dire che dormirai in auto...» le parole giungevano ovattate da dietro la porta, e il giovane Winchester ascoltò distrattamente « Non mi interessa niente! Sam non è più un bambino. E ora, se vuoi scusarmi, ho delle ricerche da fare. Smettila di darmi il tormento e torna a fare quello che siete andati a fare ovunque voi siate. Non voglio sentirti per le prossime sei ore» ringhiò il vecchio cacciatore, un momento prima di chiudere la telefonata.
Sam non lo sentì tornare in cucina borbottando qualcosa sulla testardaggine dei Winchester. Si era già riaddormentato.

***

Dean rispettò l'ordine. Per le successive sei ore, la casa fu il posto più silenzioso del pianeta, tanto che Sam per un momento pensò che tutti i cacciatori del mondo si fossero presi un giorno libero. O fossero andati in pensione.
In realtà, allo scadere dell'ultimatum, il ragazzo non si aspettava davvero che suo fratello chiamasse. Era notte fonda, e conoscendolo avrebbe aspettato la mattina successiva per paura di svegliarlo o, peggio, di svegliare Bobby.
La febbre si era alzata, o almeno così ricordava di aver pensato mentre fissava il soffitto e seguiva con lo sguardo strani ragni a sedici zampe grandi come pugni che camminavano tranquilli lungo i muri. Erano di uno strano colore a metà tra il verde e il blu, in una combinazione che li avrebbe quasi resi simpatici, se non fossero stati enormi aracnidi pelosi. Entravano e uscivano dalla finestra, ed era una cosa strana, perché la finestra era chiusa, ma Sam non se ne preoccupò più di tanto. Si limitava a fissarli, e pensava che contare i ragni non potesse poi essere così diverso da contare le pecore. Ogni tanto le sue palpebre calavano, ma non si addormentava mai del tutto.
Quasi non si accorse del bussare alla porta di ingresso. Sentì un confuso strascicare dei passi di Bobby, una conversazione accesa ma sussurrata, come se i due interlocutori avessero paura di svegliare qualcuno. Poi la porta che si richiudeva e Bobby che tornava ad affondare nella sua poltrona, ma il giovane Winchester non se ne rese nemmeno conto. Era tutto troppo ovattato, troppo confuso e caldo.
Un minuto esatto.
Sam voltò la testa come in un sogno, attirato da un leggero raschiare alla finestra, ed era quasi certo che non fossero i ragni verdi e azzurri.
Un minuto esatto, e la finestra si aprì, sollevandosi lentamente e lasciando che, oltre all'aria fredda della notte, entrasse anche una figura che si spazzolò gli abiti prima di raddrizzarsi e sorridere al giovane Winchester steso nel letto.
Un minuto esatto.
Sam ci mise un po' a focalizzare e a rendersi conto di cosa stava succedendo.
Dean si avvicinò a lui e si sedette sul materasso, accarezzandogli la fronte «Ehi, fratellino»
Il più giovane tirò le labbra in un sorriso stanco «Ciao Dean»
Non gli chiese cosa ci facesse li, non era abbastanza lucido.
Un minuto esatto. Il tempo che il maggiore ci aveva messo ad aggirare la casa, arrampicarsi fino alla finestra e forzarne il blocco.
Rimasero per chissà quanto tempo così, uno steso sul letto e l'altro seduto accanto a lui, ad accarezzargli la fronte. Ad un certo punto Sam guardò di nuovo il soffitto e si accorse che i ragni non c'erano più, e si rese conto che doveva avere avuto davvero la febbre alta per avere le allucinazioni. Si girò verso Dean e si accorse che gli stava passando sulla fronte un panno fresco, e si chiese quando fosse uscito per andare a prenderlo. Lui non se lo ricordava.
«Ehi» mormorò il maggiore, tirandosi un po' su per guardarlo negli occhi.
«Cosa ci fai qui?» chiese Sam, mentre guardava fuori dalla finestra e si rendeva conto che era ancora buio. «Aspetta... Sei entrato dalla finestra? Perché sei entrato dalla finestra?»
Dean rise, un suono caldo e roco, e Sam desiderò averlo avuto accanto per tutti quei giorni di febbre.
«Bobby mi aveva vietato di farmi sentire per sei ore. Così mi sono concentrato sulla caccia e io e papà abbiamo fatto secco il fantasma prima del previsto. Lui voleva dormire un'ultima notte prima di tornare qui, e così l'ho lasciato al Motel e sono partito da solo»
«Hai guidato l'Impala fino qui, da solo e di notte?»
«Si, beh» Dean accennò un sorriso furbo «papà non lo sa. Dormiva quando me ne sono andato. Gli ho lasciato un biglietto e tutti i soldi che avevo con me, magari prenderà un autobus, o un aereo. Gli ho mandato un messaggio ogni volta che ho attraversato un confine e uno quando sono arrivato qui. È probabile che non mi lascerà mai più mettermi al volante, ma ne è valsa la pena» sorrise, chinandosi su suo fratello e baciandogli la fronte, ora più fresca.
Anche Sam sorrise, e si tirò un po' su per abbracciarlo.
Dean gli andò in contro, e il minore si sentì finalmente meglio, dopo tutti quei giorni. Suo fratello aveva quell'effetto su di lui.
«Non avresti dovuto. Ma grazie»
Il maggiore lo lasciò andare, e si chinò per sfilarsi le scarpe. Sam notò che la sua giacca giaceva abbandonata in fondo al letto, insieme ad un borsone e ad un paio di asciugamani puliti. A terra era appoggiata una bacinella con dell'acqua, e sul comodino il bicchiere era stato sostituito con uno nuovo, pieno fino all'orlo.
«Da quanto sei qui?»
«Un'ora, più o meno. Non eri molto lucido, quando sono arrivato. Mormoravi di ragni colorati e qualcos'altro»
Sam fece una smorfia, lo osservò alzarsi in piedi e stiracchiarsi.
Poi il maggiore tornò sul letto, e gentilmente lo spostò fino a sedersi dietro di lui, con la schiena appoggiata al muro. Il minore si lasciò tirare in mezzo alle sue gambe, e si rilassò contro il suo petto. Profumava di caccia e di Dean, ed era caldo, un caldo che non aveva niente a che fare con il bruciore appiccicoso della febbre che lo aveva tormentato fino a poco prima.
«Dean?»
«Mmmm?»
«Non ho capito: perché sei entrato dalla finestra?»
Il maggiore sorrise «Oh, ci ho provato, ad usare la porta, ma Bobby aveva espressamente detto che lui non mi avrebbe aperto se mi fossi fatto vedere senza nostro padre, me mentre parlavamo ha fatto uno strano accenno al tetto spiovente e alla finestra della camera. L'ho preso in parola. Non ci ho messo più di un minuto ad entrare»
«E lui non sa che sei qui?»
«Certo che lo sa. Mezz'ora fa è venuto a controllare che non mi fossi ammazzato cadendo dal tetto e a vedere come stavi»
Sam rise, mentre Dean lo circondava con le braccia.
«Dean?»
«Mmmm?»
«Grazie»
«E di cosa? Credimi, non è per te che sono tornato. Ti posso garantire che se fossi rimasto ancora un minuto senza vederti sarei impazzito»
Rimasero in silenzio per un po', e forse ad un certo punto Sam si addormentò.
Quanto si rese conto di essere di nuovo cosciente, strusciò la testa contro il petto del fratello, che sollevò una mano per accarezzargli i capelli e pettinarli all'indietro. Il minore sorrise, e girò il viso per guardarlo negli occhi.
Dean lesse la sua espressione e si chinò sulle sue labbra, sfiorandole appena, poi Sam si ritrasse.
Il maggiore lo guardò incuriosito, inarcando un sopracciglio, e il più giovane arrossì «non voglio che tu ti ammali»
Dean sbuffò, divertito, e si sporse in avanti. Gli incorniciò il viso con le mani e appoggiò le labbra sulle sue, muovendole piano, dolcemente. Sam si rigirò nella sua stretta e ricambiò il bacio, pensando a quanto era fortunato, a quanto tutto quello era bello. Il maggiore sorrise, ma non smise di baciarlo, e anche quando si separarono senza fiato lui non lo lasciò andare, tenendolo stretto a sé.
«Ora dormi» gli sussurrò all'orecchio, e il minore ci mise un minuto esatto a crollare, esausto.















NdA
Ehilà gente, ciao a tutti!
Premetto che Sam malato è una cosa dolcissima, e Dean che si prende cura di lui anche di più, quindi ci sono ottime probabilità che io scriva qualcos'altro su queto genere più avanti, ma non prometto niente.
Ah, e quella cosa dei ragni verdi e azzurri... È una mia allucinazione da febbre, ma non ho potuto non usarla qui, quindi ve la beccate.
Altra cosa molto importante: non so voi, ma a me sembra di avere una leggerissima fissazione per Dean. Ma proprio leggera leggera. Del tipo che negli ultimi tre capitoli ho scritto di lui, per non parlare di tutti quelli che ho in piedi a metà. Prometto che questa cosa non durerà ancora a lungo, ma c'è una cosa che non dovrei dirvi ma ve la dirò lo stesso: sappiamo tutti che il 24 Gennaio è il suo compleanno, si? Ecco, quindi, come potrei io perdermi un'occasione del genere? Semplice: non posso.
As usual, un grazie alla mia beta, che nonostante si sia fatta (finalmente) una vita sua, continua a darmi una mano con queste schifezze. Ti amo un sacco <3
Poi, baci e abbracci a chi mi segue e continua imperterrito a tormentarsi con questi capitoli. Vi amerei di più se recensiste, fa davvero tanto piacere.
Bon, altro? No, non direi.
Baci anche a tutti gli altri, che se leggono vuol dire che non sono ancora morti.
Ci si vede più in là.
Fanie

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Capitolo 19
*** Buon compleanno, Dean Winchester ***


Rating: ARANCIONE! (finalmente, oserei dire)
Genere: Fluff, come se servisse specificarlo. E io scriverei "erotico", ma poi dovrei anche vergognarmene. Bah, fate voi.
Contesto: Generale, perchè non sono più in grado di contestualizzarli.
Note: Oggi è il compleanno di Dean. Io faccio un regalo a voi (?), qua c'è qualcuno che lo fa lui.
Vado a vergognarmi nelle NdA.
 

Buon compleanno, Dean Winchester



Nella stanza era ancora buio, anche se fuori già si poteva indovinare un leggero rossore all'orizzonte, primo sintomo della nuova alba.
Dean non era del tutto sveglio, e la nebbia del sonno lo avvolgeva ancora, lasciandolo annegare nel calore delle coperte e nella penombra della stanza. Avrebbe dovuto alzarsi, lo sapeva bene, ma in quel momento gli sembrava che la cosa giusta da fare, o perlomeno la migliore, fosse rimanersene li, al buio, a far finta di recuperare almeno un paio delle ore di sonno perse dietro all'ultima caccia. Era quasi sicuro di non avere niente di così urgente da fare che richiedesse il suo immediato intervento, e a quanto la sua mente mezza annebbiata osasse ricordare, Sam non aveva ancora trovato nessun nuovo caso. Sempre che ne stesse cercando, ovvio.
C'era un fastidioso angolino del suo cervello, un martellante neurone di periferia, che sembrava cercare di rievocare qualcosa, qualcosa di importante che lo riguardava in quel momento, ma era ancora tutto troppo caldo, troppo buio e troppo comodo perché lui decidesse lucidamente di dargli ascolto, preferendo seppellirlo sotto ad un pesante strato di sonno. Eppure lui rimaneva li, testardo e maledettamente insistente, a dirgli che si stava dimenticando qualcosa.

Quando si rese conto di essere definitivamente sveglio, o quasi, sfilò un braccio nudo da sotto alle coperte per sfuggire a quel calore che stava iniziando a sembrare soffocante, e l'aria un po' più fresca a contatto con la pelle della sua spalla e del suo torace gli donò un brivido per nulla spiacevole.
Rimase ancora un lungo momento con gli occhi chiusi, mentre nella sua mente si dibatteva la consapevolezza che, caccia o no, entro un paio d'ore sarebbero dovuti essere di nuovo in viaggio, consapevolezza rapidamente soffocata dalla certezza che altri dieci minuti a letto non lo avrebbero ucciso.
Un fruscio da qualche parte nella stanza lo costrinse ad aprire gli occhi, e lui lo fece aspettandosi di trovare suo fratello avvolto dall'oscurità e intento a vestirsi o a preparare i borsoni, o magari a pulire le armi.
Ma invece della schiena di Sam fasciata da una maglietta scura, quello che si ritrovò davanti fu tutt'altro spettacolo.

Castiel, chissà da quanto tempo fermo in piedi in quella stanza, si era appena sfilato il trench, abbandonandolo a terra, e ora, mentre con una mano si allentava la cravatta, con l'altra districava il primo bottone della camicia dall'asola.
Dean, ora decisamente più sveglio, si ritrovò a fissare l'angelo con la bocca leggermente aperta, in un misto tra “ma che cazzo sta facendo?” e “perchè diamine non si da una mossa?”. Si vergognò per un attimo di sé stesso, quando si rese conto che fino a quel momento non aveva fatto altro che fissarlo, mentre lui con il capo chino e lo sguardo fisso sulle proprie mani apriva lentamente la camicia.
Dio, era una delle cose più erotiche che Dean avesse mai visto, e lo era ancora di più se considerata la sicurezza che trasudava dai movimenti di Castiel, così diversi dai tocchi inesperti e ingenui a cui il cacciatore si era abituato.

«Ciao» mormorò l'angelo, aprendo l'ultimo bottone e scrollando leggermente le spalle.
Il tessuto candido scivolò lungo le sue braccia e si ammucchiò a terra, accompagnando un leggero brivido di aspettativa che si arrampicò su per la schiena di Dean.
«Ciao» gracchiò lui in risposta, ritrovandosi con la bocca sorprendentemente secca.
Castiel sorrise, sciogliendo lentamente il nodo della cravatta e abbandonandola accanto al trench, e fece un paio di passi fino a trovarsi davanti al ragazzo, che si mise seduto e reclinò leggermente il capo per poterlo guardare negli occhi anche da cosi vicino. L'angelo si chinò su di lui, appoggiando le mani sul materasso ai lati del suo corpo, mentre Dean lo afferrava per i fianchi e se lo tirava addosso, lasciando che si sedesse sulle proprie gambe. Castiel lo baciò, all'inizio piano, poi sempre più in fretta, finchè non sentì il cacciatore strusciarsi su di lui e mugolare nella sua bocca. Lo lasciò giusto il tempo di riprendere fiato, e nel frattempo si mise a mordicchiare la pelle del suo collo.

Dean, la testa inclinata da un lato e gli occhi socchiusi, slacciò la cintura dell'angelo, e gli accarezzò la pelle del torace, soffermandosi a torturare con i pollici i capezzoli. Lui gemette roco, e il ragazzo ritornò a stuzzicare il bordo dei pantaloni, finchè non si decise a sganciarne il bottone e abbassare lentamente la zip.
Castiel ansimò quando i polpastrelli caldi di Dean accarezzarono appena il tessuto dei suoi boxer, e spinse il proprio bacino contro quello del cacciatore, che si ritrovò senza fiato un attimo dopo.
L'angelo gli rubò un ultimo, lunghissimo bacio, prima di scostarsi e lascia.r scivolare a terra i propri pantaloni, e far sparire con uno schiocco di dita anche quelli di Dean
Il cacciatore sorrise, prima di sporgersi verso di lui e afferrarlo per i fianchi. Se lo tirò di nuovo addosso, ma Castiel, invece di sedersi su di lui, lo spinse sul letto e lo scavalcò, accomodandosi sul suo bacino. Si strusciò, una lunga e lenta carezza che fece quasi urlare Dean nella sua bocca.

Entrambi sentivano la propria erezione premere contro la stoffa dei boxer, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a rinunciare a quel fantastico bacio, che ormai sembrava più un lotta per la supremazia. Dean gemette, e Castiel si spostò con le labbra lungo il suo collo, poi sulla gola e sul pomo d'Adamo, mordendo una scapola e poi un capezzolo, mentre il cacciatore si inarcava contro il materasso.
«Cas» la sua voce era roca e spezzata, e l'angelo sorrise, scendendo con la lingua lungo il profilo degli addominali.
Lo voleva, lo voleva così tanto, li e subito, ma si concentrò. Non era per quello per che era venuto, non quel giorno.
Leccò il profilo delle ossa del fianco, mentre con una mano risaliva la pelle di una coscia.
Dean ansimò, ringhiando qualcosa a metá tra una preghiera e una minaccia, artigliando il lenzuolo e chiudendo gli occhi. L'angelo interruppe per un momento quella dolcissima tortura per sollevare lo sguardo e osservare il cacciatore. Sorrise, consapevole del fatto che le pupille dilatate, la fronte sudata e il fiato spezzato dal piacere fossero tutto merito suo. Era cosi bello sapere di possedere, in modo molto piu profondo e radicato di quanto chiunque fosse in grado di capire, una cosa meravigliosa come
Dean. E lui era suo e suo soltanto, e lo stava dimostrando semplicemente inarcandosi sotto ai suoi tocchi.

Un gemito frustrato del cacciatore lo riportò all realtà, e lui riprese quella lenta discesa, che finì inevitabilmente sul bordo dei boxer del ragazzo. L'angelo mordicchiò per un attimo la stoffa, poi si abbassò ancora e sfiorò con la lingua il profilo dell'erezione di Dean attraverso il tessuto, che mugolò e sollevò il bacino verso di lui. Castiel sorrise, e ripetè il movimento soffermandosi un po' più a lungo.
Il cacciatore ansimò, inarcando la schiena.
«Cas...» la sua sembra una supplica, e probabilmente lo era.

In un altro momento, l'angelo lo avrebbe torturato ancora, chiendendogli cosa volesse, che lo pregasse, che lo dicesse ad alta voce e che chimasse il suo nome, ancora e ancora, implorandolo. Castiel amava sentire la sua voce spezzata dal piacere, e sapeva quanto fosse difficile strappare a Dean una preghiera come quella, ed era proprio questo ad eccitarlo oltre ogni imaginazione. Lui era suo, e di nessun altro.

Ma in quel momento, la sua mente era concentrata su di lui, sui suoi ansiti e sulle sue dita strette allo spasmo al tessuto delle lezuola, e voleva solo sentirlo gemere e abbandonarsi a lui, perchè quel giorno tutto era solo per Dean.
E così lasciò scorrere le dita sui suoi fianchi e sulla curva del suo sedere, portando con sè la stoffa dei boxer, mentre il cacciatore alzava il bacino per aiutarlo a liberarlo da quell'ultima barriera.
Castiel esitò solo un attimo, perdendosi a guardare il suo corpo completamente nudo, e chiedendosi cosa avesse mai fatto per meritarsi una meraviglia come quella, lui tra tutti gli altri. Sorrise, mentre tornava su di lui e gli afferrava i fianchi con le mani.
Lentamente, passò la lingua sulla sua erezione, strusciandosi su di lui e assaporando tutti i gemiti che il cacciatore non riuscì a trattenere.

«Cas»
Dean teneva la testa premuta contro il cuscino, gli occhi spalancati e fissi al soffitto. Ansimava leggermente, le dita che affondavano nel materasso, le pupille dilatate ad abbracciare interamente l'iride. Era lo spettacolo più sconvolgente che Castiel avesse mai visto, e di nuovo in lui si fece prepotente il desiderio di averlo, in quel momento, per sempre.
Ma l'angelo non perse il controllo.
«Dean» chiamò, il fiato che si infrangeva sulla pelle tesa del cacciatore, che emise un basso ringhio «guardami. Voglio che tu mi guardi»
E lui lo fece. Sollevò leggermente la testa, come se gli costasse un immenso sforzo, e incrociò lo guardo di Castiel, che scelse quel momento per prenderlo in bocca.
Dean urlò, e l'angelo gemette in risposta, il vibrare delle sue corde vocali che si infrangeva sull'erezione dolorosamente tesa del cacciatore.
Il ragazzo spinse il bacino verso l'alto, ogni sforzo concentrato nel non venire solo guardando le labbra di Castiel avvolgerlo un centimetro dopo l'altro. L'angelo lo assecondò, aumentando il ritmo, tormentandolo con la lingua e facendolo contorcere contro il materasso.
Dio, era così bello.

E poi il cacciatore iniziò a chiamare il suo nome, in un rapido alternarsi di parole senza senso e “ti prego” e “ancora” e “Cristo” e “Dio, si!” che fecero chiudere gli occhi di
Castiel, interrompendo il contatto tra loro.
Il ragazzo rovesciò la testa all'indietro, e gemette roco.
«Cas...» lo chiamò ancora, ma questa volta era un avvertimento, anche se entrambi sapevano che non serviva.
L'angelo lo prese tutto, sentendolo premere contro la sua gola, mentre ancora con le mani gli stringeva i fianchi, agevolandone i movimenti. Lo sentì tremare e irrigidirsi sotto al suo tocco, e un attimo dopo Dean venne, chiudendo gli occhi e urlando, ancora, il suo nome.

Castiel si sollevò e risalì il suo corpo, arrivando fino alla sua altezza. Dean ansimava, ancora con gli occhi chiusi, e l'angelo si prese un momento per osservarlo, i capelli appiccicati alla fronte e il viso sudato. Poi incontrò il suo sguardo, e si chinò a baciarlo, mentre il cacciatore gli lasciava volentieri libero accesso alla sua bocca.
Si baciarono a lungo, fermandosi ogni tanto per dare al biondo il tempo di riprendere fiato. Castiel sentiva ancora la propria eccitazione premere dolorosamente, ma la ignorò, perchè in quel momento non aveva nessuna importanza. Si spostò accanto a lui, mentre lo guardava smettere di ansimare una volta per tutte e sorridergli, complice di qualcosa che era solo loro.
Se lo trascinò addosso, stendendosi alle sue spalle e avvolgendogli i fianchi con le braccia.

Era sempre così. L'angelo lo abbracciava, lo teneva stretto a sé e gli affondava il naso tra i capelli, il petto che aderiva alla schiena di Dean.
All'inizio il cacciatore avrebbe protestato, si sarebbe scostato, avrebbe sbuffato infastidito.
Ma con Castiel non c'era mai stato un inizio, e non ci sarebbe mai stata una fine. Tra di loro era così semplicemente naturale da essere perfetto.

E così Dean si limitò ad intrecciare le caviglie dell'angelo con le proprie e ad infossarsi ancora di più tra le sue braccia, mentre sentiva la pressione delle sue mani sulla pancia.
Castiel appoggiò la testa accanto alla sua, e prese a lasciargli una serie di morbidi baci sulla nuca, sul collo, sotto all'orecchio, poi sulla gola e da lì sulle spalle, mordicchiando leggermente la pelle marchiata da una cicatrice vecchia di chissà quanto.
Il cacciatore mormorò un apprezzamento, ma l'angelo non riprese, ritornando ad appoggiare la testa sul cuscino.
Dean si rigirò lentamente tra le sue braccia, allontanandosi appena per poterlo guardare negli occhi. Gli sorrise, mentre l'angelo lo guardava incuriosito.
«Sai che stai diventando davvero bravo?» mormorò, ad un soffio dalla sua bocca «con queste cose, intendo»
«Ho un buon insegnante» rispose Castiel, serio.
Dean sbuffò, ma sorrise. Si avvicinò a lui per poterlo baciare, ma l'angelo si allontanò leggermente. Il cacciatore lo guardò storto.
«Oggi è il 24» mormorò, a mo' di spiegazione.
Dean inarcò un sopracciglio «Il 24 di cosa?»
«Di Gennaio»
Il cacciatore lo fissò per un momento. Deglutì, e parve quasi arrossire. «Ah...» mormorò.
E il suo neurone, quello abbandonato e dimenticato in periferia, tornò prepotente a martellare contro la sua consapevolezza, ricordandogli, per l'ennesima volta, che si stava dimenticando qualcosa di importante. E, beh, a quel punto il ragazzo non poteva che dargli ragione.
«Sam mi ha spiegato cosa si deve fare in questi casi» continuò l'angelo.
«Sam?» chiese Dean, come se si fosse accorto solo in quel momento che il fratello non era in camera.
«È uscito» disse Castiel, rispondendo alla sua muta domanda «credo che sia andato ad organizzare una sorpresa. Parlava di crostata, mi sembra»
Dean sbuffò divertito «Cas, sai cosa vuol dire “sorpresa”?»
L'angelo lo ignorò «mi ha detto di tenerti impegnato mentre lui è fuori, e nel frattempo di farmi venire qualche idea sul regalo che potrei farti, anche se non sono molto pratico di questa vostra usanza umana»
«E così hai pensato di unire le due cose?» chiese Dean, divertito.
L'angelo lo guardò senza capire, e il cacciatore sbuffò, roteando gli occhi.
«Era questo il tuo regalo? Svegliarmi così?»
Il moro sorrise, avvicinando il viso al suo, e parlò sussurrando direttamente sulle sue labbra «No. Il mio regalo è il motore dell'Impala inceppato, e Sam bloccato con il cellulare scarico»

Normalmente, Dean avrebbe ribattuto, se non per suo fratello a piedi da qualche parte lungo una strada poco trafficata, almeno per i soprusi gratuiti alla sua bambina, ma l'angelo scelse proprio quel momento per far aderire i loro corpi e spingere in una lunga carezza il proprio bacino contro quello del cacciatore, che abbandonò ogni intento di protesta e gemette in un ansito spezzato.
«Buon compleanno, Dean Winchester» mormorò Castiel con voce roca al suo orecchio, mentre scivolava sul suo corpo e si sedeva sul suo stomaco.

















NdA
*si vergogna a morte, e ha ottimi motivi per farlo*
Salve, sempre che siate ancora vivi. O capaci di intendere di volere.
Vorrei poter dire che è la mia pirma slash così, ma mentirei, anche se a mia discolpa posso dire che la prima era un esperimento finito male. Questa è la prima che pubblico senza rimorsi, ecco.
Ve l'avevo promessa, una cosa come sei capitoli fa, e da allora ci sto pensando. E, se ve lo steste chiedendo, si, l'ho finita di scrivere dieci minuti fa.
Non so che dire, davvero, spero sia meno peggio di quanto lo sia sembrata a me, e spero anche che mi perdonerete se in futuro ne scriverò altre.
Sincerametne, non mi sembra di essermi spinta oltre il rating, ma se a qualcuno dovesse dare fastidio, fatemelo sapere e provvederò.
Altro da dire non credo che ci sia, a parte che ho bisogno di recensioni, così magari riesco a convincermi di non aver scritto una grandissima idiozia.
I soliti ringraziamenti a chi segue/recensice/ legge soltanto, perchè siete tutti fantastici, e a quel miracolo che è la mia beta, che sta già pensando al compleanno di Sam *sospira affranta*.
Baci a tutti, e ci si vede lunedì.
Fanie

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Capitolo 20
*** Angeli e Demoni ***


Rating: Verde, forse verde chiaro.
Genere: Stavolta è indefinibile. Non c'è nemmeno del fluff. Non so dirvi che cos'è.
Contesto: Sesta stagione, molto preciso, (subito dopo 6x10) con leggerissimi spoiler fino a quel punto.
Note: Non so che cosa dirvi, stavolta. Il paring è strano, e come al solito se volete sapere cos'è prima di leggere andare nella prime due righe delle NdA.
Niente di assurdo in realtà, ma nonostante questo non so che cosa pensare. Ci si rivede giù.
 

Angeli e Demoni






Castiel percepì la sua presenza prima ancora di vederla, ma non se ne sorprese. Dopotutto, era stata lei a chiamarlo.

Di questo l'angelo si era stupito, in realtà. In millenni di storia, fin da quando Lucifero era caduto e aveva creato i demoni, mai una cosa del genere era accaduta. Ma quello era un tempo di cambiamenti, si disse, erano successe talmente tante cose fuori dall'ordinario che questa non avrebbe dovuto sconvolgerlo più di tanto.

Si guardò intorno, la strada accanto alla quale era comparso non era niente di speciale, una via poco trafficata e male illuminata, avvolta da una leggera nebbia che mitigava i contorni del paesaggio.
Era notte fonda, e nemmeno un rumore turbava il silenzio quasi surreale che copriva come un telo scuro quella landa di terra triste e solitaria.
Castiel aveva percepito distintamente la chiamata, in un modo a dire il vero un po' strano, ma non si era sbagliato. Avrebbe potuto scegliere di ignorarla, e di restare in Paradiso, ma invece era sceso sulla Terra, seguendo un segnale flebile ma deciso, forse incuriosito da chi lo aveva chiamato.
Mosse qualche passo sull'asfalto umido, e accanto a lui l'unico lampione che costeggiava la strada si accese all'improvviso, illuminando una figura minuta appoggiata al palo metallico.

«Clarence» ghignò la ragazza, le braccia incrociate sul petto.
L'angelo inclinò la testa, cercando di capire che cosa ci facesse li.
Si era quantomeno aspettato una trappola, o che fosse in compagnia di Sam e Dean. Ma anche in quel caso sarebbero stati loro a chiamarlo, non lei.
«Meg»
Il demone si raddrizzò, scostandosi dal lampione, e per un attimo abbandonò le braccia lungo i fianchi, prima di muovere qualche passo verso di lui. Silenziosamente, gli si avvicinò, e se Castiel avesse avuto un po' di dimestichezza in più con quelle creature, si sarebbe senz'altro accorto che in lei c'era qualcosa di diverso dal solito. Niente aria di sfida, niente sorrisettom malizioso, niente di quella strafottenza che le piaceva adottare in presenza di altri come lei o dei fratelli Winchester. Solo quello strano ghigno, e si sarebbe anche potuto dire che nulla di soprannaturale ci fosse in lei, se non per quell'attimo in cui, tra un battito di ciglia e l'altro, i suoi occhi si tinsero in un lampo di nero.
Istintivamente, l'angelo assunse un'aria più rigida, lasciando che la sua lama angelica scivolasse nel palmo della mano dalla manica del trench, ma non fece nulla per fermare l'avanzata del demone.

Erano passati solo un paio di giorni dalla notte in cui lui aveva bruciato le ossa di Crowley, in quel vecchio magazzino in cui il Re dell'Inferno teneva le sue creature, e da quel momento lui era rimasto fin troppo concentrato sulla guerra in Paradiso. Sapeva che Sam e Dean erano impegnati in una caccia da qualche parte in Indiana, perché nonostante i suoi doveri di soldato divino non aveva mai smesso di tenerli d'occhio, ma a quanto ne sapeva non c'era assolutamente nessun motivo plausibile per cui Meg avesse dovuto contattarlo al loro posto.
«Cosa vuoi?» chiese, mantenendo il tono distaccato che adottava sempre quando si trattava di avere a che fare con quegli abomini creati da Lucifero.
Per un attimo, gli parve che il sorriso della ragazza si spegnesse, ma probabilmente si era sbagliato, perché lo vide ricomparire un attimo dopo, più forte e divertito di prima.
«Clarence» Meg mormorò il nome come per saggiarne il suono, come se ci si stesse ancora abituando.
«Castiel» la corresse l'angelo, anche se non aveva idea del perché lo avesse fatto. Per lui non aveva alcuna importanza che lei ricordasse correttamente come si chiamava, soprattutto considerando che non voleva avere niente a che fare con la sua razza più del necessario.
Lei lo ignorò «come mai così scontroso?»
Lui non rispose, limitandosi ad osservarla mentre a passi lenti e misurati prendeva a girargli intorno, le mani infilate nelle tasche dei jeans e quel sorrisetto stampato sul viso.
Meg non perve prendersela per il suo silenzio, ma anzi, lo prese come un invito a continuare.
«Non mi aspettavo che rispondessi alla chiamata di un demone» mormorò.
Castiel valutò per un attimo cosa rispondere. Sinceramente, nemmeno lui si sarebbe mai aspettato di rispondere, e probabilmente era sceso immaginando che il demone fosse in compagnia dei Winchester. Ma ora che sapeva non essere così, cosa lo tratteneva?
«Cosa vuoi, Meg?» ripetè, scandendo le parole e stringendo la presa sulla sua lama angelica, mentre la ragazza continuava a girargli intorno e lo costringeva a ruotare su se stesso per poterla tenere sempre davanti a sé.
Lei sbuffò «perchè dovrei volere qualcosa?»
«Perchè sei un demone» rispose Castiel, con semplicità. Il tono era stato forse un po' più brusco di quanto avrebbe voluto, ma quello che aveva detto era la pura verità. I demoni hanno sempre dei secondi fini.
«Ah ecco, i cari vecchi pregiudizi» rise lei, sarcastica fino ad un certo punto «credevo che da te avrei avuto di meglio»
Castiel inclinò la testa da un lato, senza capire, ma tenendo comunque la guardia alzata.
«Sei un angelo caduto, se per caso non te ne fossi accorto» disse lei, fermandosi e incrociando le braccia sul petto «e anche se sei tornato in Paradiso, questo non potrà mai cancellare il fatto che tu hai conosciuto il libero arbitrio. Credevo che ormai tu fossi passato oltre a tutte queste stronzate sulle differenze tra angeli e demoni»
Castiel riflettè un momento su quelle parole. Era vero, lui di pregiudizi ne aveva dovuto passare tanti, e tanti ne avrebbe visti ancora.
Si chiese, per la prima volta da quando era li, perché avesse risposto a quella chiamata. Non poteva mentire a se stesso, sapeva esattamente che il demone era solo quando lei lo aveva chiamato, eppure l'aveva raggiunta senza esitazione. Perchè? Che cosa aveva lei di speciale?
«Meg, perché siamo qui?» chiese, ritraendo la lama angelica nella mano e rilassandosi leggermente, senza però mai abbassare la guardia.
Lei sorrise, grata del cambiamento nelll'atteggiamento e della nuova domanda.
«Sai» sorrise, maliziosa «girano delle voci, su di te, angioletto»
Fece una pausa, prima di riprendere, e fare un ulteriore passo verso di lui «voci sull'angelo dagli occhi azzurri che ha fermato l'Apocalisse e sconfitto due dei suoi fratelli più potenti, ma che si fa spaventare da una ragazza in un bordello»
Meg riprese a girargli intorno, evitando di soffermare troppo lo sguardo sul rossore che invadeva in fretta le guance di Castiel. Gli tolse l'imbarazzo di dover dare una risposta, perché proseguì nella sua riflessione «sai, sei davvero strano. Insomma, per essere un angelo. Voi siete quasi sempre spocchiosi e altezzosi, e avete tutta quell'aria di superiorità con le vostre belle ali piumate-» si fermò, mettendo le mani avanti per bloccare una critica di Castiel su quelle “stronzate sulle differenze tra angeli e demoni” «eppure, tu sei diverso»
Si fermò di nuovo davanti a lui, mentre il moro non sapeva bene nemmeno dove tenere le mani, figuriamoci cosa pensare. Lei lo guardò per un lungo momento negli occhi
«Sai, Castiel, in questo ultimo periodo, da quando è nata questa cosa della collaborazione, se così vogliamo chiamarla, tra me e i Winchester, ho avuto modo di osservarti. Ronzi loro intorno come una mosca, eppure non gli devi niente. Li proteggi, ti assicuri che non facciano cazzate, cosa che a loro risulta quasi impossibile cosiderando il patrimonio genetico, e nel frattempo combatti una guerra, e metti in pratica quello che hai imparato durante il tuo soggiorno qui nei bassifondi» Meg sorrise «non molti dei tuoi fratelli si dimostrerebbero così bendisposti ad imparare dall'umanità, ma tu lo hai fatto, e ti ammiro per questo»
Castiel inclinò la testa da un lato, corrugando la fronte «tu mi ammiri?»
Meg mosse un altro passo verso di lui, e stranamente l'angelo non sentì l'impulso di ritrarsi «si, angioletto» sorrise.
Abbassò per un attimo gli occhi, prima di puntarli di nuovo nei suoi e sorrdere melliflua «e poi c'è un'altra cosa» fece una breve pausa, passandosi la lingua sul labbro inferiore in un gesto che all'angelo non sfuggì «sai, dolcezza, ho notato anche un'altra cosa di te, in questi ultimi giorni. Una cosa che non mi sarei mai aspettata da uno... beh, da uno come te»
Il demone sorrise ancora, e si avvicinò di un altro passo. Ormai erano a meno di un metro l'uno dall'altra «quella notte, quando tu hai rispedito a casa Crowley» la ragazza non riuscì a trattenere un leggero ghigno di compiacimento «ho scoperto che sei anche bravissimo in un'attività che è quasi esclusivamente umana, ma che anche noi demoni non disdegnamo, e che dubito ti abbiano insegnato i Winchester» sorrise sorniona, allo sguardo smarrito di Castiel.
Fece un ultimo passo, annullando la distanza tra loro e avvicinando le labbra all'orecchio dell'angelo «perchè non mi fai vedere cos'altro hai imparato dal ragazzo delle pizze?*» mormorò, in un sussurro che fece accendere Castiel di sensazioni che non aveva nemmeno mai immaginato potessero essere possibili.
Prima ancora di rendersene conto, aveva affondato la mano destra tra i capelli del demone, mentre con la sinistra le stringeva un fianco, tenendola vicina a sé. Si era mosso di puro istinto, assolutamente senza controllo, ma ora le sue labbra si muovevano fameliche su quelle di Meg, che pareva non aver aspettato altro.
Lei gli strattonò i capelli, e affondò la sua lingua nella sua bocca, sorridendo appena per la soddisfazione di essere riuscita a... beh, in quello.
Era una cosa spaventosamente piacevole, valutò Castiel, mentre lasciava che lei gli mordesse un labbro e ghignasse contro la sua bocca. Non aveva nessuna idea di cosa stesse facendo, ma non gli sembrava che potesse essere proprio così sbagliato, e non cambiò idea nemmeno quando, in un velocissimo lampo di palpebre, gli occhi della ragazza si tinsero di nero.

Meg si allontanò da lui, quasi controvoglia, ma senza annullare il contatto. L'angelo si sarebbe potuto dire sconvolto, e ansimava leggermente. Lei sorrise, una via di mezzo tra un ghigno di soddisfazione e di divertimento «non male, per essere un verginello. E nemmeno per essere un angelo. C'è margine di miglioramento, ma ci possiamo lavo-»
Castiel non la lasciò nemmeno finire la frase, perché riprese da dove lei aveva interrotto, strappandole il fiato e anche un mugolio sorpreso, da qui lei però si riprese in fretta.
Dopotutto, non dover respirare era un bel vantaggio.






*riprende la battuta di Castiel nell'episodio, che suggerisco di andare a rivedere per chiarimenti.









NdA
Per chi scendesse dalle note in alto, è una MEGSTIEL (Meg+Castiel)
E ora tornatevene su a leggere;)

Per gli altri, salve e ben ritrovati con un nuovo capitolo di questa assurdità.
Tralascinado il fatto che di OOC ce n'è fin troppo, stavolta, spero che non sia venuta male come sembra a me. Giuro che nella mia testa era un'altra cosa, ma poi la Destiel del 24 Gennaio mi ha letteralmente succhiato la linfa vitale, e così è venuta fuori questa "cosa".
In realtà, anche se non sono pienamente soddisfatta, mi piace comunque, quindi sono assolutamente bene accette recensioni (anche critiche, mica mi offendo).
Come al solito grazie a tutti quanti, e un enorme abbraccio alla mia beta, che mi sostiene anche quando sono la prima a voler buttare il computer dalla finestra.
Ci si rivede lunedi, con la promessa che con il prossimo capitolo torneremo, almeno per il momento, nei paring "tradizionali" (?)
Baci a tutti, Fanie

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Capitolo 21
*** Back to school ***


Rating: Giallo scuro.
Genere: Fluff, romantico e poi qualcosa della sfacciataggine di Dean.
Contesto: Si divide tra un highschool! e una seconda stagione.
Note: Mezza Weecest e mezza Wincest, doppio fluff e nient'altro, per compensare lo scorso capitolo. Vediamo quanti riconoscono i nomi falsi di Dean e Sam senza leggere le note.
Buona lettura, ci si vede giù.
 

Back to school





La campanella suonò, e Sam fu ad un passo dal sussultare violentemente.
Si stiracchiò lentamente sulla sedia, le labbra tirate in una smorfia per nascondere uno sbadiglio.
Mentre i suoi compagni di classe uscivano dall'aula, lui si attardò ad infilare i libri nello zaino, assicurandosi che sia il coltello a serramanico che la bottiglietta con l'acqua santa fossero al loro posto.
Uscì dalla stanza quasi trascinando i piedi, fermandosi per un attimo in corridoio alla ricerca di un punto di riferimento che gli permettesse di orientarsi.

Erano arrivati in quella città da meno di una settimana, e quattro giorni prima John li aveva iscritti in quella scuola con la promessa che per questa volta sarebbero rimasti più a lungo, magari perfino un paio di mesi. E così Sam si stava seriamente impegnando èer farsi piacere i professori e i compagni di classe, e cercava di ridurre al minimo le volte in cui si ritrovava a vagare da solo per i corridoi senza avere nessuna idea di dove si trovasse il laboratorio di chimica o la palestra. Suo malgrado, non ci stava riuscendo molto bene.

Si incamminò insieme al fiume di ragazzi che convergevano in mensa per il pranzo. Il solo pensiero di rivedere quei vassoi ricolmi di una strana brodaglia giallognola che i cuochi si ostinavano a spacciare per spezzatino gli faceva rivoltare lo stomaco, e a questo si aggiungeva la certezza che avrebbe dovuto sedersi da solo, perché lui era ancora nuovo e “quello strano”, mentre Dean ci aveva messo la bellezza di cinque minuti ad ambientarsi e a farsi invitare al tavolo del gruppetto più popolare.
Ogni tanto, Sam lo invidiava, chiedendosi come facesse ad essere sempre così... così Dean.

Si fermò vicino al suo armadietto, e mentre inseriva la combinazione tenne le dita incrociate, sperando di non averlo confuso di nuovo con quello di qualcun altro.
Fortunatamente, il lucchetto si aprì con uno scatto, e Sam spalancò l'anta metallica dipinta di rosso e ci spinse dentro un paio di libri. Richiuse la porticina, raccolse il proprio zaino da terra e se lo buttò di traverso sulle spalle, accodandosi agli ultimi ritardatari ancora in corridoio. Raggiunse l'atrio fissandosi le scarpe, e quasi andò addosso ad un gruppo di ragazzi dell'ultimo anno intenti a chiacchierare in mezzo all'atrio. Sam li osservò per un momento, ma quando si accorse che tra di loro non c'era Dean riprese la sua strada lungo il corridoio.
Svoltò l'angolo a testa bassa, mandandosi ongi tanto indietro una ciocca di capelli e cercando di ricordarsi dove si trovasse l'aula di Lettere, la prima lezione del pomeriggiò.

Fu un attimo.
Sam si sentì afferrare alle spalle e trascinare verso il muro, e prima ancora che di riuscire a pensare di urlare, una mano gli si chiuse sulla bocca. Il primo pensiero andò al coltello, e le sue dita si allungarono verso la tasca esterna dello zaino, chiudendosi sul manico. Ma non fece in tempo ad estrarlo, perché sentì una porta alle sue spalle aprirsi e lui venne trascinato dentro ad una stanza e spinto con le spalle al muro.
I suoi occhi ci misero un momento ad abituarsi all'oscurità di quello che sembrava essere una sorta di ripostiglio, bloccando nel frattempo la sua mente, che già galoppava alla ricerca di una via di fuga.
Quando finalmente riuscì a mettere a fuoco qualcosa in più di semplici ombre, davanti a lui scorse il luccichio di due bellissime iridi verde smeraldo,e si rilassò immediatamente.
Dean gli tolse la mano dalla bocca, mentre Sam scoppiava a ridere sommessamente, ma continuò a tenerlo premuto contro la parete con il proprio corpo.
«Sei impazzito?» chiese, ancora sorridendo «avrei potuto farti male»
«Oh si, certo, fratellino» ghignò il maggiore «come no»
«Smettila, mi hai fatto prendere un colpo»
«Scusami» mormorò il biondo «ma non ce la facevo più ad aspettare»
Sam sorrise «da quant'è che non ci vediamo, quattro ore?»
«Cinque ore e venti minuti» sospirò Dean «credimi, le ho contate. E ora sta zitto»
Il minore sorrise, ma le labbra del fratello furono subito sulle sue, calde e morbide, e lui si perse nel loro tocco.
Dischiuse le labbra, docile, e Dean entrò nella sua bocca lentamente ma con forza, e Sam mugolò quando la stretta delle sua mani sui propri fianchi si fece più decisa.
Il maggiore lo baciò lento, come sempre, ma i suoi gesti tradivano una foga che il fratello lesse comunque, e si strinse di più a lui, affondando le dita tra i suoi capelli corti. Inclinò il viso chiudendo gli occhi, e Dean sorrise appena nel bacio, prima di far scivolare le mani sotto alla felpa del fratello.
«Anche tu mi sei mancato» sorrise, e il maggiore lo baciò ancora, ma questa volta fu solo un tocco leggero. Poi si spostò sulla mandibola, sul mento, la gola, il pomo d'Adamo, poi il collo, e morse appena una spalla coperta dal tessuto della felpa scura.
«Forse... forse dovremmo andare» mormorò Sam, molto poco convinto delle proprio parole.
«Ah-ah» rispose Dean, riprendendo a baciargli le labbra.
«Dico sul serio»
«Ah si, e dove vorresti andare?» chiese il maggiore, staccandosi e guardandolo negli occhi.
«A pranzo, magari»
«Hai così tanta fame?» mormorò il maggiore, mentre un'ombra di malizia gli attraversava lo sguardo.
Sam sospirò e sorrise. Dean strinse appena la presa sui suoi fianchi, e il minore sussultò.
«No, per niente»
«Come immaginavo» ghignò suo fratello, e lo baciò di nuovo.

 

***




«Agente Scott*?» sospirò Sam, con il rilevatore EMF in mano.
Suo fratello, dieci passi dietro di lui, fissava un vetrinetta in cui era conservata una magra serie di trofei di football, insieme alle foto delle squadre dei vari anni.
Il maggiore, parve non sentirlo nemmeno, rimanendo fermo in piedi davanti al vetro, le mani affondate nelle tasche del completo scuro da agente governativo.
«Dean!» tuonò Sam, riuscendo a smuoverlo dal suo stato di catalessi.
«Arrivo» mugugnò, allontanandosi a malincuore e raggiungendo il fratello, fermo davanti alla porta di una delle aule.
«Cosa stavi guardando?» chiese il minore, fissandolo incuriosito.
«Foto» mormorò questo in risposta, stringendosi nelle spalle.
«Foto...?»
«Cheerleaders, Sam. Cheerleaders» sorrise il maggiore, ammiccando al fratello, che dal canto suo si limitò a sospirare esasperato.

Il caso non doveva essere niente di speciale, un fantasma incazzato che prendeva di mira i ragazzini di un liceo in South Dakota. Era stato Bobby a mandarli la, e loro non vedevano l'ora di bruciare il bastardo e tornare indietro. Avevano ancora un conto in sospeso con un maledetto demone dagli occhi gialli.
La direttrice della scuola, una donnina in gonna scozzese e maglioncino grigio topo, li aveva scortati in giro per tutta la scuola, chiedendo ripetutamente cosa ci facessero due agenti governativi da quelle parti, e che cosa fossero quei dispositivi che stavano utilizzando, e perché volevano l'accesso alla presidenza, e perché dovevano controllare il seminterrato, e tutta una lunga serie di altre domande fastidiose quanto inutili. Dean sarebbe stato molto contento di liberarsi di lei, ma Sam aveva avuto il buon senso di fermarlo prima che la mandasse via con la scusa di una fuga di gas o qualcos'altro, ricordandogli che avevano bisogno di qualcuno che li guidasse in quel labirinto di corridoi.
Stavano controllando le aule una per una, verificando radiazioni o abbassamenti di temperature, ma il segnale EMF era sempre rimasto costante. Magari si erano sbagliati, e non era un fantasma.

Il minore fece segno al fratello di entrare nell'ennesima classe, dove la preside li attendeva fissandoli scettica, e Dean sbuffò accontentandolo.
Sam passò il rilevatore lungo tutte le pareti, senza trovare assolutamente niente di anomalo, e alla fine sospirò esasperato.
«Bene, passiamo oltre» disse, deciso, aspettando che la donna facesse loro strada.
Ma lei non si mosse.
«Agenti...?»
«Scott e Johnson*» le suggerì il maggiore, che non si sarebbe dimenticato quelle false identità nemmeno volendo, mentre suo fratello lo guardava quasi divertito gongolare per i nomi scelti.
«Agenti Scott e Johnson, siete sicuri che tutto questo sia necessario? Intendo...» la donna esitò, fissando il rilevatore nelle mani di Sam «la mia presenza» aggiunse alla fine.
Dean aprì la bocca, ma il minore fu più veloce «il mio collega ed io le saremmo grati se potesse aiutarci ad orientarci. Sa, la scuola è grande...»
Lei annuì, poco convinta «certamente. Da questa parte» e uscì dalla classe deserta, mentre il maggiore tirava una gomitata tra le costole del fratello, che scosse la testa divertito.

Non durò a lungo, comunque, e con il senno di poi Sam si sarebbe dovuto aspettare una rappresaglia di qualche tipo. Era praticamente inevitabile.
Cominciò con un Dean che, affiancandoglisi, gli sfiorò il dorso della mano con le dita. E sarebbe potuto benissimo sembrare un gesto casuale, se un attimo dopo non gli avesse anche palpato il sedere.
Il minore scattò si lato, colto completamente alla sprovvista, guadagnandosi un'occhiata perplessa da parte della direttrice e uno sguardo assolutamente innocente e quasi preoccupato dal suo “collega”, che stava facendo uno sforzo enorme per sembrare credibile. Sam sospirò, e riprese ad analizzare la stanza. Scosse la testa quando il rilevatore rimase in silenzio, e la preside sospirò e uscì dall'aula.
Il più giovane si avviò verso la porta, ma suo fratello, velocissimo, lo afferrò per un polso e lo trattenne, accarezzandogli con la mano libera la cintura, e avvicinandosi al suo orecchio per sussurrare «Ehi Sam, non ti sembra che tutte queste aule ricordino quelle delle scuole che abbiamo frequentato da ragazzini? Ti ricordi?»
Il minore si divincolò, ma non riuscì a trattenere un brivido, che gli percorse rapido la schiena. Certo che ricordava, ricordava perfettamente.
Si ricordava bene del fatto che l'attività preferita di suo fratello su quei banchi non fosse di certo studiare, ed era un'attività che nemmeno lui disdegnava.
Uscì dalla classe senza degnarlo di una risposta, ma la risata sommessa di suo fratello gli diede la certezza che quella era una battaglia da cui non poteva uscire vincitore.

Fu l'aula di musica a vederlo sconfitto.
Entrarono in una grande stanza disposta ad anfiteatro, gli strumenti allineati sui gradoni in legno, e sulla parete in fondo una lunga serie di premi e attestati incorniciati e contornati da coccarde.
La direttrice, colta da chissà quale moto di orgoglio, attaccò un discorso su questo o quel concorso che aveva visto la sua scuola vincitrice, e mentre andava avanti ad elencare sinfonie e composizioni di musicisti famosi, Dean si affiancò a suo fratello.
«Che ne dici, Sam, l'aula sarà insonorizzata?» gli chiese, infilando una mano sotto alla sua giacca e accarezzandogli la schiena da sopra la camicia.
«Piantala» mugugnò il minore, ma improvvisamente fu molto meno convinto della sua proposta quando il biondo lo afferrò per la cravatta e se lo tirò alla sua altezza, baciandolo.
Il più giovane provò a protestare, ma la preside era ancora intenta a elencare tutti i più famosi compositori e musicisti che erano uscita da quella scuola, e così si disse che non era poi tanto importante.
Dean ghignò, guardando il fratello crucciarsi tra quello che doveva fare e quello che voleva fare, e decise di dargli una mano.
Sfiorò con le dita il tessuto dei pantaloni, soffermandosi sulla zip, mentre Sam tratteneva il fiato.
«Che dici, vuoi ancora avere la direttrice a farti da guida?» chiese, un roco sussurro al suo orecchio, prima di baciargli il collo.
Il moro sospirò, e dichiarò la resa.
Spinse leggermente via Dean, si sistemò la giacca, si passò una mano tra i capelli e sospirò, preparandosi a interrompere il monologo della donna, che ancora non si era voltata.
«Professoressa Freeman» esordì, cercando di ritrovare quel contegno che suo fratello aveva mandato a puttane «la ringrazio, ma da qui possiamo proseguire da soli»
Lei lo fissò scettica «ne è sicuro?»
«C-certo» Sam tentò un sorriso convincente, ma la risatina sommessa di Dean accanto a sé non aiutò affatto, e lui fu certo di essere arrossito «Ormai abbiamo quasi finito, e lei avrà sicuramente altro da fare, e io non vorrei tenerla lontana dai suo obblighi»
«Ah, in questo caso... Molto bene. Se avete bisogno di me, sapete dov'è la presidenza. Arrivederci, agenti»
La donna uscì chiudendosi la porta alle spalle, e i due fratello rimasero per un attimo ad ascoltare il ticchettio dei suoi tacchi sulle piastrelle del corridoio.
Sam si voltò lentamente, trovando Dean già seduto sulla cattedra, le gambe leggermente aperte e un ghigno sulle labbra, consapevole di aver vinto su tutta la linea.
Sam sospirò. Dio, quanto odiava suo fratello.















*Bon Scott e Brian Johnson sono i cantanti degli AC/DC che hanno dato vita rispettivamente ad Highway to Hell e Back in Black.










NdA
Ehi gente, salve a tutti.
Intanto, buona settimana, che questa volta ho deciso di far cominciare con un po' di sano (?) Wincest. E come al solito fluff.
Grazie come sempre a tutti quelli che leggono, seguono, preferiscono, ricordano, ecc. E in maniera particolare a chi mi lascia una recensione, perchè sono importanti per mio umile (si, come no) ego.
Un bacio alla mia beta, che si ritrova con le OS all'ultimo secondo, e a cui sono dedicate le false identità di questo capitolo. Giuro, ho provato ad utilizzare quelle della serie, ma in nessun episodio della seconda stagione c'è un nome decente, e così mi sono arrangiata.
Credo sia tutto. Di nuovo, buona settiamana e alla prossima.
Un bacio, Fanie

P.S.  Dico davvero, lasciate una recensione, fosse anche solo per dirmi che fa schifo. Almeno saprò cosa pensate;)

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Capitolo 22
*** Di cose mai viste e vernice fuxia ***


Rating: Verdissimo.
Genere: Fluff, come sempre.
Contesto: Intorno alla settima stagione, ma non ha una vera e propria ambientazione.
Note: È una Sabriel, ma c'è qualche lievissimo (no dico sul serio, non ci si rende nemmeno conto, praticamente non si vedono) spoiler tra sesta e settima, e come sappiamo Gabriel in queste stagioni non c'è, ma noi facciamo finta di si.
Ricordatevi di leggere con la consapevolezza che io le Sabriel non le so scrivere. Ci si vede giù.

 

Di cose mai viste e vernice fuxia






Sam Winchester poteva certamente dire di averne viste tante in vita sua.
Aveva visto ogni genere di schifezza soprannaturale, dai Wendigo ai lupi mannari, e perfino qualche skinwalker.
Aveva visto fate incazzate, vampiri vegetariani, case possedute e spettri vendicativi.
Aveva visto suo fratello parlare con una macchina e chiamarla “Baby”, e ormai nemmeno se ne preoccupava più.
Aveva visto cerchi nel grano, il Paradiso, l'Inferno e Bobby pettinarsi i capelli.
Aveva visto un angelo imbranato cercare di capire le battute di Dean e fargli gli occhi dolci. E si, lui poteva negarlo quanto voleva, ma aveva visto suo fratello ricambiare.
Aveva visto il Diavolo cantare Stairway to Heaven, e il maggiore dei Winchester mangiare un hamburger vegetariano.

Si, Sam poteva dire di averne viste tante in vita sua, molte delle quali erano cose a cui nessuno sano di mente avrebbe mai creduto.
Ma ce ne erano comunque alcune a cui perfino lui faceva fatica a credere quando se le ritrovava davanti.
Una di queste lo stava fissando, dal basso del suo muso lungo, proprio in quel momento.

Gabriel, seduto, o per meglio dire raggomitolato, sul divano, le braccia conserte e uno sguardo truce negli occhi, non aveva fatto altro che sbuffare da quando era arrivato.
Sam lo osservava in silenzio, in piedi in mezzo alla stanza e con una birra in mano, indeciso se mettersi a ridere o prenderlo sul serio.
«Gabe, avanti...»
«No Sam!» sbuffò l'arcangelo, sprofondando ancora di più nel divano della stanza di Motel «questa è la volta buona che ti ritrovi figlio unico»
Il ragazzo roteò gli occhi, pensando che già una volta in passato Gabriel gli aveva concesso quell'esperienza, e che non era stato affatto piacevole, ma decise di non farglielo notare.
«Avanti, non fare il bambino»
«Il bambino?» sbuffò l'arcangelo, indignato «mi ha chiuso in un cerchio di olio santo. Di nuovo!»

No, Sam era abbastanza sicuro che un arcangelo offeso fosse una novità, per lui.

«E cos'hai fatto stavolta?»
«Io? Fatto?» Gabriel non si mosse nemmeno, ma il tono della sua voce si fece improvvisamente più acuto, e più altro «perchè devo essere stato io a fare qualcosa?»
Sam sospirò, e sorrise, pensando che era la stessa identica risposta che avrebbe dato Dean al suo posto. Se quei due non avessero passato tutto il loro tempo a litigare e a punzecchiarsi a vicenda, non ci avrebbero messo molto a rendersi conto di quanto erano simili, e in un lampo di gelosia Sam fu quasi contento che Dean non riuscisse a guardare più in là del proprio naso.
«Perchè ridi?» chiese l'arcangelo stizzito, rigirandosi nervosamente in bocca un lecca-lecca e strappandolo dai suoi pensieri.
«Non sto ridendo. Dai, raccontami cos'ha combinato mio fratello»
Consolato dalla prospettiva della nuova domanda, Gabriel si tirò un po' su sul divano «non riesco proprio a capire perché se la sia presa. Insomma, non ho fatto niente, questa volta»
Sam inarcò un sopracciglio.
«Cosa, non mi credi? Non è stata colpa mia!» l'arcangelo lo guardò indignato. Ma il ragazzo non cambiava espressione, e Gabriel distolse lo sguardo, puntandolo sulle proprie mani «ok, magari non ha gradito lo scherzetto della macchina...»
Sam sospirò «cos'hai fatto all'Impala?» adesso iniziava a capire cosa poteva aver spinto Dean a vendicarsi.
«Niente di male, giuro. Le ho solo dato... un tocco personale, ecco»
«Gabe...»
«L'ho solo... riverniciata. Di fuxia» mormorò l'arcangelo, senza riuscire a trattenere un ghigno compiaciuto.
Il ragazzo impallidì, e gemette passandosi una mano tra i capelli. Ora si che capiva Dean. Anzi, era quasi sorpreso che suo fratello non avesse provato a far fuori il trickster direttamente.
«Gabriel!» sbottò, appoggiandosi al tavolo e lasciando andare la birra.
«Che c'è? Era solo uno scherzo innocente!»
«Conoscendo Dean, mi sembra strano che ti abbia solo chiuso in un cerchio di olio santo»
«Ehi, per chi mi ha preso? Sono pur sempre un arcangelo!»
«Un arcangelo che ha messo le mani sulla sua bambina. Davvero, è un miracolo che tu te la sia cavata con così poco» disse Sam, prima di abbassare la voce per aggiungere «considerato che avrebbe anche ragione»
Gabriel scattò in piedi, oltraggiato. Si girò incredulo verso il Winchester, che solo in quel momento si rese conto di cosa aveva appena detto.
«Non mi dirai che lo stai difendendo, spero!» la voce di Gabriel era decisamente irritata, anche se Sam sapeva perfettamente che non era veramente serio.
«Gabe, senti... Quella macchina è la cosa a cui tiene di più al mondo. E il tuo era uno scherzo idiota»
L'arcangelo lo incenerì con uno sguardo, e il ragazzo si chiese che faccia tosta dovesse avere per continuare a pensare di avere ragione.
«Io non ci parlo più con te» mormorò l'arcangelo, voltandosi di spalle e incrociando le braccia sul petto.
Sam lo osservò rimettere il muso con un sorrisetto divertito sulle labbra.
«Cos'è che non faresti più con me?» chiese, avvicinandosi alle sue spalle lentamente.
Gabriel mugugnò qualcosa che il ragazzo non riuscì a sentire, e Sam si mise dietro di lui, appoggiandogli le mani sui fianchi.
«Ho detto: cos'è che non faresti con me?» ripeté, le labbra vicine al suo orecchio.
L'arcangelo si rigirò tra le sue braccia, e il ragazzo sorrise quando vide che la smorfia offesa era completamente sparita dalle sue labbra, sostituita da un ghigno malizioso.
«Oh, dolcezza, ci sono davvero poche cose che non farei con te» mormorò il trickster, prima di sollevarsi leggermente sulle punte per baciarlo.
Sam, che se lo aspettava, si chinò appena per andargli incontro, sorridendo per quella battutaccia così da Gabriel.
Si baciarono finché le mani dell'arcangelo non scivolarono sotto alla camicia del cacciatore, e il ragazzo si staccò ridacchiando «Ah no, caro mio. Tu sei in punizione. Così la prossima volta ci penserai due volte prima di mettere le mani sulla macchina di mio fratello»
Gabriel sbuffò «voi Winchester siete tutti uguali»


















NdA
Salve a tutti, come va?
Oggi Sabriel, e non è che vi voglia male, ma mi mancava Gabriel e volevo scrivere qualcosa su di lui. So che non sono capace, e che nemmeno questa volta ce l'ho fatta a non buttarci dentro quel filo di Destiel, ma capitemi, mi sto rivedendeo la settima stagione e mi sto facendo malissimo.
Allora, che dire? La prossima settimana sarò in vacanza e non potrò pubblicare, ma fortunatamente per voi ho una beta e metterà lei il capitolo. Che sarà qualcosa di speciale, ma non vi svelo niente.
Come sempre un abbraccio a chi recensisce, segue, preferisce e ricorda, e anche a chi legge e basta, perchè siete tutti fantastici. E poi a lei, la mia beta, che se non ci fosse non sarei mai arrivata a pubblicare Sabriel, ve lo garantisco.
Bene, buon proseguimento e ci vediamo quando torno.
Un bacio a tutti,
Fanie

 

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Capitolo 23
*** Di sigilli e timidezza ***


Rating: Giallo.
Genere: C'è un po' di fluff, ma non smielato come il solito.
Contesto: All'incirca sesta stagione, ma senza complotti vari. E assolutamente nessuno spoiler.
Note: Paring nuovo che non è nuovo, leggendo capirete perché. Io li amo un sacco, ma ho sempre paura di andare allegramente OOC. Ah, e il titolo fa veramente schifo, ma non ho trovato di meglio
Ci si vede giù.

Di sigilli e timidezza




Crowley comparve nella stanza in assoluto silenzio, con le spalle appoggiate allo stipite della porta e le mani in tasca.
Si guardò intorno con una smorfia di disgusto, ignorando quella strana sensazione che si spandeva nel suo stomaco ogni volta che entrava in quella vecchia casa impolverata. Ovunque nella stanza giacevano pile di libri impolverati, e qua e là si poteva intravedere senza troppo sforzo qualche bottiglia di whiskey ormai vuota. Sui muri erano stati tracciati sigilli di ogni provenienza e religione, così come sulle finestre e sul soffitto, mentre sul pavimento un vecchi tappeto logoro nascondeva quella che il Re dell'Inferno sapeva essere una trappola del diavolo.
Alzò la testa e sorrise, notando come alcuni dei segni impressi sui vetri sporchi e opachi fossero leggermente grattati in un angolo, o appena rovinati sul bordo. Crowley immaginò che quella sarebbe potuta benissimo passare per incuria agli occhi di quei due buffoni dei Winchester, ma lui sapeva perfettamente quanta meticolosa attenzione il padrone di casa mettesse nei suoi scarabocchi di protezione.
Da quando il vecchio cacciatore si era reso conto che il demone non si faceva assolutamente alcun problema a sorpassare tutte le trappole e i sigilli per presentarsi in quella casa a suo piacimento, muri e finestre si erano improvvisamente cosparsi di segni di ogni tipo volti a tenerlo lontano. Se ci pensava, a Crowley veniva quasi da ridere ricordando quanto poco ci avevano messo le cose a cambiare. Un patto, un bacio, una foto, gli occhi sgranati di Dean Winchester e uno sguardo allibito di quell'alce di suo fratello e Bobby aveva capito che qualcosa non funzionava come aveva previsto. E da lì era stata solo questione di tempo prima che i sigilli iniziassero a scrostarsi, o gli esorcismi a venir pronunciati sempre con meno convinzione, o che il fucile fosse scarico guarda caso solo nei momenti in cui il Re dell'Inferno decideva di fare visita alla cittadina di Sioux Falls. E poi le cose erano degenerate, per così dire, in un modo che nemmeno Fergus Crowley in persona sarebbe mai riuscito ad immaginare, con tanto di visite per le feste e utili dritte su qualche creatura particolarmente fastidiosa, e poi anche altre cose che al solo pensarci facevano ghignare il demone di soddisfazione.
Magari, pensò tra sé e sé il Re, un giorno avrebbe detto a Bobby che tutti quei sigilli su di lui non avevano nessun effetto nemmeno intatti, e che se proprio ci teneva avrebbe potuto lasciarli integri, ma per il momento si sarebbe limitato ad apprezzare il fatto che quel vecchio cacciatore ubriacone e scorbutico si stesse adoperando per mantenere frequenti le visite di Crowley.

Sorrise leggermente, mentre riportava la sua attenzione alla figura in piedi davanti a lui.
Bobby era voltato di schiena, i palmi delle mani appoggiati al piano della scrivania e gli occhi fissi sulle righe di un vecchio libro sulle maledizioni indiane.
Il Re dell'Inferno si schiarì la voce «Robert»
Il cacciatore sussultò visibilmente, e Crowley si ritrovò un fucile puntato tra gli occhi prima ancora di rendersene conto. Stranamente, quella scena era così familiare che il suo ghigno demoniaco sfumò in un leggero sorriso, ma lui fu veloce a nasconderlo, mentre con un colpetto della mano abbassava la canna. L'arma fece appena resistenza, prima di cedere e finire abbandonata sulla scrivania, accompagnando il sospiro del suo proprietario.
«Crowley» lo salutò Bobby, la voce rauca e gli occhi stanchi «mi hai fatto prendere un colpo»
Il demone roteò gli occhi, mentre si infilava le mani nelle tasche del cappotto «magari la prossima volta faccio cadere qualcosa entrando»
«Magari la prossima volta usi la porta» lo rimbeccò il cacciatore «cosa sei venuto a fare?» chiese poi, passandosi una mano sul viso.
«Volevo solo salutarti» rispose il demone «e magari riprendere da dove siamo stati interrotti l'ultima volta» aggiunse, malizioso.
Bobby arrossì di colpo, sgranando gli occhi e spostandosi di scatto dalla scrivania, per sfuggire al Re dell'Inferno, che nel frattempo aveva fatto un passo verso di lui. Tossicchiò, in imbarazzo, senza sapere bene né cosa fare né cosa rispondere. Oh si, si ricordava bene dove avevano interrotto l'ultima volta, ed era abbastanza sicuro di non aver mai maledetto così tanto il giorno in cui aveva conosciuto John Winchester come quando aveva sentito Dean bussare alla sua porta quel pomeriggio.
Crowley lo osservò spalancare la bocca ed emettere il classico gemito strozzato di chi sta pregando per un intervento divino, o anche demoniaco a quel punto, e pensò che fosse incredibilmente simile ad un tredicenne alla prima cotta. Ne aveva posseduta una, tanto tempo prima, e all'epoca lo aveva trovato disgustoso, ma adesso gli sembrava quasi... tenero.
«Ehm... Grazie di essere passato» gesticolò Bobby, spalle al muro e occhi puntati a terra «ma, sai, io avrei da fare... e credo, si, ecco, che sia meglio che tu vada» concluse, sentendosi un idiota di proporzioni angeliche.
Crowley ghignò, avvicinandoglisi ancora, mentre l'uomo continuava ad indietreggiare lungo il muro.
«L'altra volta non mi era sembrato che tu fossi così timido, Robert» disse, guardandolo malizioso «anzi, oserei dire che fossi... intraprendente»
Il cacciatore boccheggiò, ma il demone non gli diede il tempo di replicare.
«Certo, ne avrei la certezza se quelle due spine nel fianco dei Winchester non fossero piombati qui sul più bello, ma credo di essermi fatto un'idea piuttosto precisa al riguardo»
Ormai erano uno di fronte all'altro, e Bobby era arrivato a sbattere contro la libreria, tagliandosi ogni altra via di fuga.
Il demone fece un ultimo passo, riducendo ad un soffio i centimetri che ancora li separavano, e aspettò che fosse l'altro a reagire.
Quando si rese definitivamente conto che Bobby non si sarebbe mosso, sospirò alzando gli occhi al soffitto.
«Avanti Robert, per quanto vuoi andare avanti con questa pagliacciata?»
Il cacciatore deglutì, perché c'era ancora un angolino del suo cervello votato alla caccia di esseri soprannaturali che si ostinava a suggerirgli che magari non era normale ritrovarsi a fare cose non solo con un demone, ma con il Re dell'Inferno in persona. Peccato che quell'angolino nulla potesse contro la vaga sensazione di leggerezza che invadeva Bobby ogni volta che si ritrovava la suddetta creatura infernale davanti.
In un ultimo sprazzo di buon senso, si sporse appena verso la finestra. Nulla, nessuna macchina in vista, niente Impala parcheggiata, e ovviamente nessuna scusa valida per sottrarsi a quel dannato demone.
Maledizione, i Winchester avevano il peggior tempismo che si fosse mai visto, ma quando servivano mai che si facessero vedere.
Sbirciò con rammarico il telefono sulla scrivania, ma anche quello sembrava aver fatto voto di silenzio, e il vecchio cacciatore sospirò riportando l'attenzione su Crowley, che non aveva mai smesso di fissarlo.
«Che palle» sbottò, prima di afferrare il demone per il bavero del cappotto e baciarlo.
In fondo, quel maledetto aveva ragione. Bobby non era poi particolarmente timido.












NdA
Salve a tutti:)
Ci credete se vi dico che nasceva come una Destiel?
Cas ha fatto in tempo a comparire nella stanza e a guardarsi intorno, poi si è semplicemente trasformato nel nostro demone preferito, e la mia mente malata ha fatto il resto. Nemmeno io so come ci sono riuscita.
Come senz'altro vi ricorderete (?), io sono in vacanza, quindi questo capitolo lo sta pubblicando lei, la mia ancora di salvezza (sei fantastica, grazie mille<3), quindi voi vi beccate le doppie note come sempre;)
Non credo che ci sia altro da dire, se non che ci sono ottime probabilità che io scriva anche il prequel di questo capitolo, perché la mia testa contorta si sta già facendo tutti i film mentali del caso.
Ah, e giuro che risponderò alle recensioni appena torno.
Buon proseguimento a tutti, e come sempre grazie di starmi dietro:)
Un bacio a tutti,
Fanie








L'angolo della beta

Saaaaaaaaaaaalveeee...
dopo essere diventata cretina a cercare di copiaincollare il file su un word malfunzionante, opto per un documento di testo di serie B, sperando che mantenga le caratteristiche o quanto meno il file tutto intero.
Io sto arrancando sulla settima stagione, quindi leggere Crobby mi fa male FISICO, if you know what I mean... ma se Fanie decide Crobby noi ci si arrangia e si beta/legge Crobby, giusto? :'')
lamentele a parte, spero il capitolo vi piaccia almeno quanto è piaciuto a me, anche perchè la Crobby è il pairing più canon di tutta la serie e non mi stancherò mai di shipparlo!!
alla prossima <3
la beta.

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Capitolo 24
*** Pessimo tempismo ***


Rating: Giallo. Quasi ocra.
Genere: Fluff a modo suo. Molto suo. E poi c'è una vaghissima vena comica.
Contesto: Starebbe tra quinta e sesta stagione, ma ovviamente non c'è un vera e propria ambientazioni, quindi niente spoiler.
Note: Nelle note del capitolo precedente ho detto che ne avrei scritto il prequel. L'ho fatto. Eccolo.
Sono una cosa meravigliosa, ma a me sembrano sempre così tanto OOC...
Ci si vede giù.

 

Pessimo tempismo






Bobby si maledì mentalmente mentre impattava con la schiena contro il muro.
Avrebbe dovuto ricontrollare i sigilli, ecco cosa. O magari tenere d'occhio Dean mentre li disegnava sui vetri delle finestre.
L'ennesimo strattone lo mandò a scontrarsi contro lo stipite della porta, e lui di riflesso chiuse gli occhi.
Magari sarebbe stato meglio spargere in giro qualche trappola del diavolo in più. Sam avrebbe dovuto pensarci.
Si ritrovò a boccheggiare senza fiato mentre veniva strattonato per la camicia e spinto con ancora più forza contro il muro.
Ma a cosa accidenti serviva avere un maledetto angelo che ti gira per casa in continuazione se poi non riesce nemmeno a tenertela al sicuro?
Il demone ghignò, un riflesso nero negli occhi, e Bobby capì di essere spacciato. Perso, andato. E a poco serviva mentire a se stesso, non era colpa di Sam, o di Dean, o di Castiel, quei sigilli erano solo un suo problema.
E sapeva perfettamente di essere stato lui a romperli, uno per uno, maledicendo la sua dannata paranoia ogni volta che ne trovava un altro nascosto da qualche parte.
Si, Bobby poteva ammetterlo, era tutta colpa sua se adesso si trovava pressato contro il muro e con un demone addosso, ma c'era da dire che non erano esattamente quelli i programmi che aveva in mente, mentre grattava l'angolo dell'ultimo sigillo sul vetro della finestra.

Crowley ghignò, mordendogli il collo, e il vecchio cacciatore gemette ansimando.

No, decisamente, i suoi programmi non contemplavano che il Re dell'Inferno piombasse in casa sua appena spezzato l'ultimo sigillo saltandogli addosso come un animale affamato.
Il demone gli leccò il lobo dell'orecchio, e la sensazione della barba pungente sulla pelle era una delle cose più strane e inquietante ed eccitanti che Bobby avesse mai provato in vita sua, e quando sentì le gambe iniziare a non reggerlo più decise che era il caso di intervenire, o non sarebbe mai uscito vivo da quella situazione assurda.
Afferrò Crowley per le spalle e lo sbatté al muro, garantendosi un minimo di controllo, e per un attimo lo osservò. Erano entrambi senza fiato, ma il ghigno del Re dell'Inferno ancora non aveva lasciato le sue labbra, e per un momento il padrone di casa si chiese cosa potesse fare per cancellarglielo dalla faccia, e il demone gli venne in aiuto con la soluzione. Si sporse verso di lui, e Bobby fu rapido a coinvolgerlo in un bacio avido, rude, quasi violento, e questa fu la volta di Crowley di sentirsi scivolare verso il basso.
«Guarda guarda, un cacciatore che intrappola un demone» mormorò, scostandosi appena.
«Sta zitto» borbottò Bobby, ritornando su quelle labbra, mentre le mani scivolavano quasi incerte sotto al cappotto del demone.
Crowley ghignò, mentre sentiva la presa sui propri fianchi rinsaldarsi, e gli circondò la vita con le braccia, tirandoselo ancora di più addosso.
Ansimarono entrambi, e il demone colse l'occasione per lasciar scivolare giù dalle spalle del cacciatore la camicia a scacchi bianchi e azzurri, che si ammucchiò a terra.
Ripresero a baciarsi, e per una volta Bobby si lasciò prendere dallo sproloquio mentale che lo assillava tutte le volte che si trovava in compagnia del Re dell'Inferno.
Ma che cosa stava facendo? Con... con lui, poi. Era forse impazzito? Avrebbe dovuto esorcizzarlo, subito. Dannato demone.
Ma l'ennesimo bacio avido di Crowley lo strappò ai suoi pensieri, e il cacciatore per una volta decise di lasciar perdere tutto e concentrarsi su di lui. Lo spinse contro il muro, tenendolo fermo con il proprio corpo, mentre entrambi annaspavano alla ricerca d'aria.

Fu quando anche il cappotto e la giacca del demone furono ammucchiati a terra che lui iniziò a sentire che qualcosa non andava. Non era il suo istinto di cacciatore, niente del genere, ma sentiva una strana sensazione alla base della nuca, una vaga ombra di disagio.
Si separò per un attimo da Crowley, ma il demone non lo lasciò allontanare, e Bobby gliene fu grato, perché per un attimo le sue mani strette sui fianchi riuscirono a scacciare quello strano fastidio. Dannata paranoia pensò, e si lasciò andare, ignorando completamente quel qualunque cosa fosse. Mosse qualche passo alla cieca, senza smettere di baciare il Re dell'Inferno, e se lo trascinò dietro fino alla scrivania, appoggiandocisi contro.
Non era certo la posizione più comoda del mondo, ma almeno non era più in piedi contro il muro, Maledizione, era troppo vecchio per certe cose.
Crowley sorrise, e Bobby gli morse il labbro indispettito dal ghigno irrisorio, ma il demone si limitò ad infilarsi tra le sue gambe divaricate e ad abbassarsi per arrivare al suo collo.

Probabilmente, fu a causa del gemito che il cacciatore emise quando il demone lo morse che nessuno dei due si rese conto di un rumore in sottofondo. Un raschiare sulla ghiaia, un vecchio motore che gorgogliava, due portiere che sbattono.

Il demone strusciò il viso contro la sua pelle, e Bobby rabbrividì al contatto della sua barba, reclinando appena la testa per fargli spazio.
E fu li che accadde.
La porta si spalancò in un attimo, e la voce di Dean irruppe nella stanza con la forza di un terremoto, mentre nella mente del vecchio cacciatore si concretizzava la consapevolezza che il suo dannato istinto non si sbagliava mai.
«Bobby» urlò dall'ingresso, scaraventando il borsone su una sedia «abbiamo un caso»
Il vecchio cacciatore scattò in piedi, spingendo via il demone, che sbuffò roteando gli occhi.
«Devi andartene» ringhiò il padrone di casa, preso dal panico, mentre con mani tremanti cercava di sistemarsi alla meno peggio i vestiti.
«Bobby?» la voce di Sam si aggiunse a quella di suo fratello.
«Adesso!» ringhiò il vecchio cacciatore al demone, che si chinò a raccogliere giacca e cappotto.
Il Re dell'Inferno gli si avvicinò, ghignando «sei sicuro che vuoi che me ne vada?» mormorò.
«Bobby!» dalla cucina, la voce di Dean si fece sentire in tutta la sua irritata chiarezza.
«Si, devi andartene» rispose il cacciatore a voce bassa, maledicendosi per la supplica che trasudava dalle sue parole.
Crowley sospirò, ma si infilò la giacca. Gli sorrise, ad un palmo dal viso, e prima che lui potesse opporsi gli lasciò un bacio sulle labbra.
Quando la morbida pressione svanì, lui riaprì gli occhi, ritrovandosi davanti un Sam lievemente spiazzato, che occhieggiava incerto la sua camicia abbandonata a terra vicino al muro.
Bobby seguì il suo sguardo, e sospirò «che c'è? Avevo caldo» borbottò.
Sam lo osservò ancora un attimo, passandosi distrattamente una mano tra i capelli.
Dean comparve sulla soglia già con una birra in mano «Ah eccoti, allora sei qui»
«E dove volevi che fossi? Avanti, ditemi che cos'abbiamo» rispose, superandoli per dirigersi in cucina.
Maledetti Winchester, e il loro dannato tempismo.



















NdA
Ehi, ciao a tutti!
Sono tornata, sana e salva, sopravvissuta anche stavolta. Mi sono resa conto (me lo hanno fatto notare in realtà) che sembra che io sia sempre in vacanza. Magari fosse così, ma è solo che se vado via sto fuori per un paio di giorni, magari anche solo una notte, e capita sempre di lunedì. Neanche farlo apposta.
Ma per vostra fortuna ho una beta, e grazie a lei riesco a pubblicare sempre e comunque.
Allora, tornando a noi, qua siamo sulla Crobby pucciosa ma neanche tanto, completamente diversa da quella di Natale, e molto più sullo stampo dello scorso capitolo, ma io ce li vedo bene.
Fatemi sapere che ne pensate, mi mancano le rensioni -si, sto elemosinando, no, non mi interessa u.u-
Per il resto niente, il solito bacio a tutti quanti, vi auguro tanti Winchester con pessimo tempismo.
Ci si rivede lunedì (e torneremo sul classico, perchè se no vi vizio e non va bene)
Fanie

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Capitolo 25
*** Buonanotte ***


Rating: Giallino, appena appena. Più verde chiaro, dai.
Genere: Fluff, fluff ovunque, Sam che va di pensieri romantici e poi... poi c'è una vena comica, in fondo.
Contesto: Sesta stagione, ipotetica, ma come sempre per me Gabriel *spoiler?* non è mai morto.
Note: Mezza Destiel e mezza Sabriel, e non dirò altro. Ci si vede giù.

 

Buonanotte





«Devi andare» sussuró Dean, contro i suoi capelli.
Castiel nemmeno si mosse, rimanendo accoccolato al suo fianco, con la testa appoggiata al suo petto e gli occhi chiusi. Il cacciatore sapeva che non stava dormendo, gli angeli non dormono, ma preferì continuare a parlare a bassa voce, quasi non volesse rompere quel meraviglioso incantesimo.
Sospiró, accarezzandogli lentamente la testa «Dico davvero, angioletto. Sam tornerá da un momento all'altro»
Castiel annuí, ma non accennó nessun altro movimento.
Dean rise sommessamente, stringendolo un po' di piú a sé, mentre fuori il cielo si faceva sempre piú scuro. Era ora di cena, ma lui si rese conto che avrebbe anche rinunciato al suo hamburger pur di rimanere ancora un po' li, e questo senza dubbio la diceva lunga sull'ascendente che quel pennuto adorabile -no, Dean non lo aveva pensato davvero, ok?- aveva su di lui.
L'angelo ricambió la stretta, strusciando leggermente la guancia ruvida di barba sul petto del biondo, che sospiró, meditando di addormentarsi con quel peso caldo addosso. Ma, davvero, Sam sarebbe potuto arrivare a momenti, e l'ultima cosa che serviva a Dean era vedere la faccia sconcertata di suo fratello davanti alla scena di lui e Castiel nudi e abbracciati sul letto inequivocabilmente sfatto.
Il cacciatore lasció ricadere la testa all'indietro sul cuscino, sospirando e godendosi quella calda stretta e il respiro dell'angelo che si infrangeva ritmicamente sulla pelle del suo petto.

Rimasero per un lungo momento in silenzio, mentre il cacciatore intraprendeva quella che pareva essere una disperata ricerca del coraggio per scivolare via da quella calda e morbida presa che iniziava davvero a dargli una certa dipendenza, come il caffé, o la cioccolata. Davvero, non si sarebbe mai abituato ad allontanarsi dal quel corpo senza sentire lo stomaco chiudersi e una fastidiosa sensazione di mancanza impossessarsi di lui. E forse no, non era il corpo, il problema. Non era qualcosa di fisico, o di sessuale.
Era da Castiel che non voleva allontanarsi. E, purtroppo per lui, la cosa sembrava dispiacergli pericolosamente troppo poco.

Ad un certo punto, Dean decise che doveva alzarsi. "O adesso, o mai piú" si disse, e in uno slancio di coraggio, sospiró e sollevó la testa, convinto a mettersi in piedi. Ma, proprio in quel momento, Castiel si scostó da lui. Scivoló fuori dall'abbraccio delle coperte talmente in fretta, con tale distacco, che a Dean sfuggì un gemito di delusione.
L'angelo lo ignoró, concentrandosi piuttosto a raccattare i propri vestiti sparsi a casaccio nella stanza. Afferró la camicia e la cravatta e le appoggió sulla sedia vicino alla porta, poi si voltó e scandaglió la camera per trovare i propri pantaloni.
Lo sguardo gli ricadde inevitabilmente sul corpo di Dean, ancora avvolto dalle lenzuola, che lo fissava in un misto di delusione, indecisione e desiderio malcelato dietro un sorrisetto strafottente. Si scambiarono una lunga occhiata, cadendo ognuno negli occhi dell'altro e annegando in quelle due distese di mare e di erba che conoscevano a memoria. Sarebbero potuti rimanere li all'infinito, a guardarsi e a parlarsi con gli occhi, come avevano fatto giá altre mille volte.
Era straordinario quanto facile fosse per loro comunicare solo incrociando lo sguardo, e per quanto Sam continuasse a ripetere che da fuori risultavano non solo imbarazzanti, ma anche parecchio inquietanti, Dean non si sarebbe mai stancato di cercare di capire quanto profondo fosse il loro legame, quel filo che si stendeva tra di loro e che dalla grazia di Castiel si districava fino alla sua spalla, dove l'impronta della mano dell'angelo ancora campeggiava evidente, anche se leggermente sbiadita.

Fu Castiel ad interrompere il contatto tra i loro sguardi, chinandosi a raccogliere la giacca. Quando risollevó gli occhi, Dean si era alzato e si stava passando una mano tra i capelli biondi.
Mentre l'angelo si rivestiva, il cacciatore si infiló in bagno, aprendo l'acqua e regolandone la temperatura. Si guardó allo specchio, analizzando con occhio critico un piú che evidente segno violaceo che andava via via scurendosi sul collo, subito sotto all'orecchio destro.
«Io lo ammazzo quel pennuto sfigato» grugnì tra sè e sè, mentre con una mano si tromentava i capelli sulla nuca, ingiustamente maltrattati fino a poco prima.
Con suo sommo disappunto, il suo sguardo ricadde su un netto segno di denti accanto al tatuaggio anti possessione, e gli parve quasi impossibile che quell'angelo imbranato, imbarazzante e dotato dell'innata capacitá di perdersi ogni riferimento culturale in una conversazione fosse davvero capace di... beh, quello. E no, non si riferiva solo al morso, no.

Una leggera nuvola di vapore iniziava a diffondersi nella stanza, e la mente del ragazzo fu sfiorata dall'idea di infilarsi direttamente sotto il getto d'acqua calda, ma poi un rumore nella camera lo face affacciare nella stanza accanto, giusto in tempo per vedere Castiel sistemarsi il trench sulle spalle.
«Te ne vai?» gli chiese, prima di potersi rendere conto di quanto idiota fosse quella domanda. Ovvio che se ne stesse andando, era stato lui a dirgli di farlo. E si, se ne stava pentendo amaramente, se ne pentiva sempre amaramente, ogni volta. E nonostante l'unica cosa che volesse in quel momento, a guardarlo cosi, con la cravatta allacciata storta, il trench spiegazzato e i capelli completamente disfatti, fosse afferrarlo e trascinarlo con sé sotto il getto d'acqua bollente e strappargli di dosso tutti i vestiti cosi faticosamente rimessi al loro posto, sapeva esattamente che non poteva farlo, e questa cosa era a dir poco irritante -si, Dean avrebbe usato altri termini per descriverla. No, non avrebbe speso energie altrimenti utilizzabili alla ricerca di aggettivi più adatti-.
Ma quella domanda gli era uscita spontanea dalle labbra, come se quella parte di sè che voleva disperatamente l'angelo ancora stretto addosso avesse preso il sopravvento per un attimo.
Castiel sorrise, voltandosi verso di lui, e il cacciatore si sentì arrossire, e abbassó lo sguardo.
«Dean»
«Si?»
«Tornerò appena mi sarà possibile»
«Si» sospiró il biondo, cercando di nascondere la delusione, e vagando con gli occhi per la stanza.
«Dean»
«Si?» mormoró il cacciatore, alzando lo sguardo e ritrovandosi un angelo tutto stropicciato ad un palmo dal viso, che lo fissava sorridendo leggermente.
Castiel gli sfioró il viso con lo sguardo, soffermandosi prima sui suoi occhi e poi sulle sue labbra, leggermente dischiuse. Poi si avvicinó, e vi posó sopra un morbido bacio, dolce e senza pretese, come per imprimersi nella memoria di cosa sapesse esattamente la sua bocca. Il ragazzo sospiró sulle labbra dell'angelo, che si staccó lentamente, controvoglia.
«Buonanotte» mormoró Castiel, ad un soffio da lui.
«Buonanotte» sorrise Dean.
Un attimo dopo, il cacciatore stava fissando il vuoto, dove un attimo prima brillavano i due occhi più blu che avesse mai visto.
Il ragazzo sospiró, passandosi una mano sulla nuca e lasciando scivolare i polpastrelli sul segno violaceo sul suo collo, poi si infiló sotto al getto di acqua calda.

 

***

 

«Castiel se n'é appena andato. Ora puoi rientrare» mormoró Gabriel.
Sam mugugnó un assenso, straordinariamente avverso a quell'idea.
Erano seduti vicini, fuori dal Motel, con lo sguardo fisso alla strada e alle auto che occasionalmente sfrecciavano davanti a loro. Gabriel teneva un braccio steso lungo lo schienale di legno della panchina, a circondare implicitamente le spalle larghe del cacciatore, che si stringeva nella giacca scura per contrastare il freddo che si faceva piú intenso a mano a mano che il sole calava all'orizzonte.
Sam si passó una mano tra i capelli per scostarli dal viso, e quando si giró verso l'arcangelo seduto accantó a sé si accorse che lo stava fissando. Per un attimo si perse ad osservare quei due occhi marroni che sfumavano in un oro denso e luminoso alla luce del lampione dall'altra parte della strada, e si chiese se fosse un caso oppure se essere il tramite di un angelo rendesse piú intensi i propri occhi, per Jimmy cosi come per l'umano di Gabriel.

Sinceramente, Sam sarebbe quasi stato pronto a scommettere che fosse l'essenza stessa degli angeli a colorare le iridi in quel modo, a renderle così vive e profonde. Il ragazzo non aveva mai osservato attentamente gli occhi di Castiel -quella era un'occupazione che era ben felice di lasciare a Dean, grazie tante-, ma in quel momento, con lo sguardo fisso in quello di Gabriel, poteva giurare che l'ambra delle sue iridi fosse liquida, e che si muovesse spinta da una corrente impossibile, che la mescolava in continuazione con l'oro che circondava la pupilla e il cioccolato che presidiava il confine di quel cerchio quasi luminoso. Sam si era accorto, molto tempo prima, che gli occhi di Gabriel cambiavano colore spesso, e a volte si era chiesto se accadesse per caso o se fosse l'arcangelo a volerlo.
L'Ambra era stato il colore predominante per tutti i loro primi incontri, quando ancora lui e Dean pensavano fosse un trickster, e probabilmente il ragazzo non avrebbe mai dimenticato il denso colore quasi rossastro di quel pomeriggio nel capannone quando, avvolto dalle fiamme di olio santo, aveva sputato fuori il suo nome, quello vero, e si era costretto a parlare della sua famiglia, dell'Apocalisse e della sua fuga sulla Terra. Sam ci aveva riflettuto a lungo, chiedendosi quale potesse essere il significato di quel colore, ma alla fine era stato Gabriel stesso a spiegarglielo, involontariamente, parlandogli di quanto si fosse sentito solo tutti quei secoli tra gli umani, e raccontandogli del senso di tradimento che lo aveva spinto a lasciare i suoi fratelli.
Il marrone invece, quel colore liquido che ricordava il cioccolato fuso, era quello che le sue iridi assumevano quando era determinato, quando a parlare era l'Arcangelo, il soldato del Paradiso. Era il colore che Sam aveva visto riempire i suoi occhi quando si era parato davanti a Lucifero, quella notte, e gli aveva detto che l'umanitá meritava di essere salvata.
Ma era l'oro, quella tinta traslucida che illuminava lo sguardo di Gabriel in un modo quasi sovrannaturale, il colore che in assoluto Sam preferiva. E non perchè fosse bello, o splendente, ma semplicemente perchè quel colore era quello che si spandeva nelle iridi dell'Arcangelo quando, e solo, era con il cacciatore. Era il colore di quando Gabriel si era presentato davanti a lui con un pasticcino in mano e il cacciatore gli aveva offerto di dividerlo, il colore della prima volta che le loro dita si erano sfiorate, il colore di tutti i baci che si erano scambiati. I suoi occhi si illuminavano d'oro in un modo che Sam non poteva nemmeno cercare di memorizzare bene, perchè era qualcosa di unico ogni volta. E così il ragazzo si limitava a trattenere il fiato sorpeso e lusingato, consapevole che quella fosse la cosa più bella che qualcuno avrebbe mai potuto fare per lui. Dedicargli il colore dei propri occhi.

Si fissarono per un lungo momento, mentre Sam riemergeva dai suoi pensieri e riprendeva contatto con la realtà.
Il cacciatore abbassó lo sguardo e rabbrividì, stringendosi nelle spalle e affondando ancora di più nella giacca, mentre il fiato di entrambi condensava in dense nuvolette chiare.
Gabriel sorrise e con una mano lo attiró a se, mentre con il braccio scendava lungo la sua schiena fino a fermarsi sui fianchi. Anche Sam sorrise, grato del calore che l'arcangelo emanava e perfettamente a suo agio contro il suo corpo. Il ragazzo si prese un attimo per assaporare il profumo dolce di zucchero che sembrava seguire l'altro dappertutto, pensando che ormai si era abituato a sentirlo così spesso che sarebbe stato difficile rinunciarvici.

Rimasero fermi stretti l'uno all'altro, e dopo un po' fu Gabriel a rompere il silenzio, di nuovo «Dai, dobbiamo andare. O meglio, tu devi andare» gli sorrise, sfregando il mento sui suoi capelli.
Sam sospiró, perché sapeva che l'arcangelo aveva perfettamente ragione.
Si raddrizzó lentamente, quasi gli costasse una fatica immane, e scivoló fuori dall'abbraccio dell'arcangelo, alzandosi in piedi. Si infiló le mani in tasca, sbuffando fuori dalle labbra una nuvoletta di fiato pallido e chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, un attimo dopo, si ritrovó a sprofondare negli occhi di Gabriel, e come sempre si sentì quasi soffocare dalla portata e dalla profondità di quelle iridi ora dorate. Sam sorrise e arrossì, distogliendo lo sguardo, ma l'arcangelo gli prese dolcemente il mento tra le dita e gli abbassó la testa fino alla sua altezza.
Intrecció le dita ai capelli scuri del cacciatore e contemporaneamente si sporse per baciarlo. Sam, di riflesso, gli appoggió le mani sul collo, come a volerlo tenere stretto all'infinito, e quando si separarono pareva davvero essere passata un'eternitá.
«Buonanotte» sussurró Sam sulle labbra dell'arcangelo.
«Buonanotte» rispose questo.

 

***

 

Sam entrò nella camera in silenzio, sguardo basso e mani impegnate nel reggere le buste con la cena.
«Sammy, sei tu?» gridó Dean dal bagno, alzando la voce per contrastare lo scrosciare fitto dell'acqua.
«Si. Ho portato la cena» rispose il minore, appoggiando i contenitori da asporto sul tavolino della camera.
Dean uscì dal bagno un paio di minuti dopo, con un asciugamano avvolto intorno alla vita e uno tra i capelli, fischiettando.
Sam lo squadrò per un attimo, poi sorrise e abbassò lo sguardo mentre svuotava le buste.
«Che c'è?» chiese il maggiore.
«Uhm... Niente» rispose il fratello, senza però riuscire a smettere di sorridere.
«Perchè ridi?» insistè Dean, mentre si infilava un paio di jeans e abbandonava a terra gli asciugamani.
«Niente, solo...»
«Solo cosa?» incalzó l'altro.
«Solo... » Sam alzó lo sguardo su di lui, fissandolo con uno sguardo a metá tra l'allusivo e il malizioso, in una combinazione da far gelare il sangue nelle vene di Dean «... bel succhiotto» concluse, con un sorrisetto che quasi stonava sul suo viso.












NdA
Salve a tutti gente!
Allora, senza perderci in chiacchiere inutili, vi dico subito che sono molto fiera di questo capitolo, perchè accidenti: questa Sabriel mi è venuta bene! Forse è la più bella che io abbia mai scritto. Forse, anche se la mia beta non concorda.
E poi non so perchè, ma quell'idea che Dean sia assolutamente convinto dell'ingenuità di suo fratello mi fa impazzire, specie se messa vicino a un po' di Gabriel.
Altra cosa, e qua comincio a fare l'autrice rompipalle, ruolo che non mi piace ricoprire, ma sono tornata sul classico dopo un paio di capitoli che io ho amato scrivere ma che, a quanto pare, voi non avete particolarmente amato leggere, Davvero, non capisco, anche perchè non ho avuto modo di capire dove ho sbagliato, dato che nessuno mi ha fatto sapere cosa ne pensa.
Non sono una che smania per le recensioni, ma fa comunque piacere riceverne, anche se sono negative.
E detto questo la pianto, così magari non mi rendo troppo antipatica.
Come sempre, ci si risente lunedì prossimo, e buona settiamana a tutti.
Un bacio,
Fanie

 

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Capitolo 26
*** I'll take care of you ***


Rating: Giallo.
Genere: Fluffoso in un modo tutto suo. E poi mi sa che mi è uscita una vena malinconica. Chiedo perdono.
Contesto: Prima dell'inizio.
Note: Weecest, 14 e 18 anni. Qua ci ho ficcato dentro anche John, che a dire il vero fa una figura un poco meschina, ma non posso farci niente. Ci si rivede giù.


 

I'll take care of you


John aprì la porta ed entrò nella piccola e buia camera di Motel.
Dietro di lui, Dean arrancò fin dentro alla stanza, appoggiandosi con discrezione al muro e respirando profondamente ad occhi chiusi.
Sam varcò la soglia per ultimo, il borsone in spalla, e la prima cosa che fece una volta chiusa la porta fu gettare un'occhiata a suo fratello, rigido contro la parete. Il maggiore riaprì gli occhi ma non si mosse, rimanendo in silenzio e puntando lo sguardo sulla figura del padre.
John si sfilò la giacca e la buttò su uno dei tre letti nella stanza, lo stesso che occupava ormai da quasi un mese, mentre Sam appoggiava la sacca a terra e si avvicinava al fratello.

La caccia era stata un disastro. Erano stati per quasi tre settimane sulle tracce di un cazzutissimo skinwalker, girando a vuoto per la quella piccola città del Mariland senza riuscire a trovare uno straccio di traccia decente. L'unica cosa che aveva impedito a John di ripartire era stata la scia di sparizioni e cadaveri straziati che quella creatura si stava lasciando dietro.
Alla fine, quando ormai la situazione stava diventando frustrante, Sam aveva avuto l'illuminazione, facendo notare la fitta foresta che avvolgeva la collina alle spalle della città. Da lì a capire che avevano sbagliato creatura, il passo era stato breve.
All'alba del giorno successivo si erano armati ed erano partiti, inoltrandosi nella fitta foresta sulle tracce del Wendigo.
In meno di mezza giornata avevano trovato la sua tana, e mentre decidevano dove appostarsi aspettando il suo ritorno, lui aveva trovato loro.
Non lo avevano né visto né sentito arrivare, ma quando il Wendigo si era scagliato su John, Dean non aveva perso tempo, afferrando il lanciafiamme e puntandolo contro la creatura. Ma l'angolazione non gli avrebbe permesso di bruciare quell'essere senza ferire anche suo padre, e così in un attimo era saltato due metri più in là, e aveva aperto la valvola della bombola, pronto ad uccidere quella cosa.
Il Wendigo però era stato più veloce. Un secondo prima incombeva su John, le fauci spalancate, un secondo dopo stava balzando verso l'unica cosa che Dean aveva perso di vista per un secondo.
«Sam!» aveva urlato il maggiore, mentre davanti ai suoi occhi suo fratello veniva sbattuto con violenza al suolo.
Il minore aveva urlato, colpendo il terreno con la fronte, ma aveva avuto la prontezza di spostarsi quando la fiammata aveva investito quell'essere.
Dean aveva abbandonato il lanciafiamme a terra, si era rialzato -non si era nemmeno reso conto di essere stato scaraventato al suolo- e in un attimo si era inginocchiato accanto a Sam, ignorando sia suo padre che i resti carbonizzati della creatura qualche passo più in là. Il minore faticava a rimettersi in piedi, e il fratello lo aveva tirato a sedere e gli aveva controllato la fronte, accarezzando un taglio che già aveva iniziato a sanguinare. Il più piccolo lo aveva guardato accennando un sorriso timido. «Sto bene» aveva detto, ma i suoi occhi si erano spenti quando, toccando il tessuto della felpa di Dean vicino al fianco destro, le sue dita si erano sporcate di sangue. Per un momento il maggiore lo aveva guardato come se non fosse suo, ma quando Sam aveva aperto la bocca per chiamare John, gli aveva afferrato il polso e aveva scosso impercettibilmente la testa. «Non è niente» aveva mormorato, e suo fratello aveva annuito.

Il viaggio di ritorno in macchina era stato anche peggio della caccia. Sam, dal sedile posteriore, aveva ascoltato suo padre gridare a suo fratello tutta la sua delusione. Il maggiore si sentiva già abbastanza in colpa per conto suo, senza che John perseverasse nel ripetere che la sua disattenzione avrebbe potuto ripercuotersi su di Sam, che sua esitazione avrebbe potuto ferirlo, la sua lentezza ucciderlo.
E lui non aveva potuto fare altro che tenere il capo chino e la schiena rigida, nascondendo il taglio sotto alla giacca, ripetendo mentalmente una serie ininterrotta di “mi dispiace”, mentre dalla sua bocca uscivano dei flebili “sissignore”.

Adesso che erano finalmente al Motel, Dean non poteva che sperare che suo padre decidesse di uscire al suo posto per prendere la cena, perché sentiva il fianco bagnato e appiccicoso, e non era sicuro che sarebbe riuscito a guidare nemmeno per uscire da parcheggio.
Osservò incerto il proprio letto, valutando la distanza e chiedendosi se sarebbe riuscito a raggiungerlo senza svenire nel tragitto. Forse non era messo così male, ma preferiva risparmiarsi la sfuriata che John gli avrebbe fatto se si fosse accorto che, oltre ad aver quasi fatto uccidere suo fratello, era anche riuscito a ferirsi.
Alzò lo sguardo, ritrovandosi gli occhi di Sam puntati addosso, e sorrise appena, rassicurante.
Ma il minore non parve convinto. Si avvicinò a lui, e di riflesso Dean indietreggiò lungo la parete, rischiando di cadere.
«Dean» la voce di John li fece bloccare entrambi, e il maggiore tirò appena il lembo destro della giacca, coprendosi meglio il fianco «occupati di Sam, e medicagli quel taglio» disse, indicando la fronte del figlio. «E vedi di non fare altri casini mentre sono fuori» aggiunse, afferrando la giacca e le chiavi. Si chiuse la porta alle spalle senza dire altro, mentre nella stanza riecheggiava il poco convinto “sissignore” del maggiore dei suoi figli.
I due fratelli aspettarono che il gorgogliare del motore dell'Impala si allontanasse, prima di riprendere a respirare, e prima che potesse rendersene conto, Dean stava scivolando a terra.
Sam lo prese al volo, afferrandogli le spalle e trascinandolo fino al letto. Nonostante suo fratello fosse quasi il doppio di lui, lo stese sul materasso, gli filò le scarpe e gli ammucchiò il cuscino sotto alla testa.
Il maggiore gemette, e mormorò qualcosa che poteva sembrare uno “sto bene”, ma il minore lo ignorò, sfilandosi la giacca e sedendosi accanto a lui.
Lentamente, lo aiutò a sfilarsi giaccone e felpa, sul cui tessuto nero campeggiava uno squarci spaventoso. La maglietta grigia non era messa meglio, e il sangue aveva formato una grande macchia scura. Sam la tagliò ignorando le proteste del fratello, che continuava a chiedere di essere lasciato in pace.

La verità era che Dean si sentiva maledettamente debole, e questo lo spaventava.
Lui non aveva paura del dolore, non ne aveva mai avuta, ma quella sera era troppo stanco per sopportare la tortura dei punti da solo, senza l'aiuto di qualche litro d'alcol.
Ma in camera non ce n'era, e l'unica bottiglia che John insisteva per portarsi dietro per casi come quello era chiusa nel baule dell'Impala.
Dean era certo che mordersi la lingua non sarebbe bastato, e dal momento che urlare in un Motel affollato era fuori discussione, sapeva che sarebbe inevitabilmente svenuto, cosa che detestava più di tutto. Perché se John al suo ritorno lo avesse trovato riverso sul letto con una nuova cicatrice anziché sveglio e allerta, nessuno al mondo lo avrebbe salvato dall'ennesima sfuriata e dallo sguardo di delusione, la cosa che più al mondo il giovane Winchester temeva.

Ma il maggiore non aveva fatto i conti con il suo piccolo, tenace e preoccupatissimo fratellino.
Sam lo spogliò anche della t-shirt, e lavò via il sangue con un asciugamano bagnato.
Il taglio non era profondo, ma solcava il fianco per quasi una spanna, e i punti erano inevitabili.
Il minore si alzò dal letto e si accucciò accanto al borsone . Lo spalancò, rimestò il contenuto per un lungo momento, poi si rialzò e tornò accanto a Dean, appoggiando sul comodino garze, bende, disinfettante, ago e filo.
Imbevve un pezzetto di stoffa sterile con l'acqua ossigenata, e lo passò delicatamente sui contorni della ferita. La pelle sfrigolò di schiuma bianca, e Dean ringhiò di dolore, coprendosi gli occhi con un braccio e inarcando la schiena. Sam stirò le labbra, e con la mano libera accarezzò i capelli de fratello, che si rilassò appena, ma continuò a mordersi forsennatamente la lingua per non urlare.
In assoluto silenzio, il più giovane estrasse dalla tasca dei jeans del biondo l'accendino, e passò l'ago ricurvo sulla fiamma, poi tagliò un pazzo di filo da sutura e lo infilò nella cruna.
Si sistemò meglio sul letto, cercando la migliore angolazione da cui iniziare, mentre Dean lo osservava attentamente.
Pur nella sua macabra semplicità, il metodico rituale di Sam era qualcosa di straordinario, e quasi incantava nella sua precisione, cura e perfezione. Suo fratello lo aveva osservato centinaia di volte ricucire una ferita, ma riusciva ancora a stupirsi di come riuscisse a risultare innocente e quasi infantile anche con le mani sporche di sangue.
Ma poi lo vide sollevare finalmente l'ago, sopra alla sua pelle, e all'improvviso tutti i suoi muscoli si tesero allo spasmo. Le mani si chiusero a pugno sulle lenzuola, mentre il battito del suo cuore accelerava e dalla sua gola usciva una specie di rantolo, mentre tratteneva il fiato in attesta del primo colpo.
Sam lo osservò irrigidirsi, e per la prima volta da quando lo aveva steso sul letto, incrociò il suo sguardo, e vi lesse paura.
Dean non ebbe la prontezza di mascherarla, e il minore ebbe il tempo di rendersi conto che quello a cui stava per ricucire un fianco era suo fratello.
Gli accarezzò il fianco, le dita fredde sulla pelle tesa e infiammata ebbero il potere di far rilassare appena Dean, che però non si lasciò andare del tutto.
«Vuoi qualcosa da bere?» chiese Sam, rompendo il silenzio mentre appoggiava l'ago sul comodino e ritornando accanto al borsone.
Dean, nonostante tutto, sorrise. Avrebbe dato qualsiasi cosa per un po' di alcol, ma sapeva perfettamente che il massimo che Sam avrebbe potuto fare era procurargli dell'acqua.
«Un po' di scotch non mi dispiacerebbe, in effetti» rispose, sarcastico.
Sam alzò lo sguardo su di lui, e scrollò le spalle rialzandosi in piedi.
«Ho indovinato, allora» rispose, mettendogli in mano una bottiglia di vetro ancora chiusa, piena di liquido ambrato.
Dean aprì la bocca, ma rimase in silenzio, spostando gli occhi dalla bottiglia al fratello.
«Ma dove...?»
«Ieri sera, appena ho capito che si trattava di un Wendigo. Tu e papà non eravate ancora rientrati, e così sono uscito a comprare questo. Ho preso anche un po' di bende e garze, ho pensato che potessero servire, dato che tu mi hai detto che questo tipo di caccia non è mai facile» rispose Sam, alzando le spalle, prima di aiutare il fratello a raddrizzarsi contro la testiera del letto.
«E hanno venduto una bottiglia di scotch ad un quattordicenne?»
Sam sorrise imbarazzato, mentre osservava il fratello prendere due lunghi sorsi e poi stringere gli occhi.
«Che vuoi farci, sono alto per la mia età»
Dean annuì, mormorando qualcosa di indistinto, poi prese un profondo respiro e strinse la presa sul collo della bottiglia, mentre chiudeva a pugno l'altra mano. Sam capì che era pronto, e riprese in mano l'ago, ma prima di iniziare appoggiò le dita sulla stretta spasmodica del fratello, aprendogliela e appoggiandosi la sua mano sul ginocchio, accarezzandogli appena la pelle.
«Stringi me» disse «così saprò se ti faccio troppo male»
Dean annuì, e richiuse gli occhi.

La mezz'ora successiva su un lungo e lento accumularsi di sangue, garze umide, lunghi gemiti soffocati e sorsi a canna dalla bottiglia.
Quando finalmente Sam recise il filo, ripulì il sangue dalla pelle del fratello e appoggiò un asciugamano umido sulla ferita, il maggiore pensò che non era andata affatto male.
Non aveva bevuto tanto quanto si sarebbe aspettato, non si era staccato la lingua a morsi e con ogni probabilità in una settimana sarebbe tornato come nuovo. Il minore sapeva essere veloce e delicato.
Mentre Dean si stendeva di nuovo sul letto, suo fratello si sbarazzò delle garze sporche di sangue e ripose ago e filo nel borsone. Poi prese l'ultimo asciugamano rimasto, lo inumidì e si mise davanti allo specchio del bagno per lavare via il sangue rappreso dalla fronte.
Al maggiore non sfuggirono i sibili di dolore e di fastidio, e malgrado la stanchezza sorrise.
«Sam» chiamò «vieni qua»
Il più piccolo lo raggiunse sul letto e lasciò che suo fratello gli pulisse il taglio e glielo medicasse. Ridacchiò esasperato quando Dean pretese di controllare che non fosse ferito anche altrove, ma lasciò che gli sollevasse la maglietta per controllare la schiena.
Quando il maggiore lo lasciò andare, Sam si alzò e si tolse di dosso i vestiti sporchi di fango, sotto allo sguardo attento di suo fratello che lo fissava alla ricerca di qualche taglio o abrasione. Ma per fortuna la sua pelle era intatta, a parte qualche ematoma sul petto, e il moro si infilò in un paio di pantaloni morbidi e una felpa che era stata di Dean,
Poi tornò accanto al letto e mise via le bende rimaste, prima di mettersi di armeggiare con i jeans del fratello.
«No Sammy, lascia stare» mormorò il biondo afferrandogli una mano e tirandoselo vicino «non importa. Sto bene così»
Suo fratello annuì e fece per alzarsi, ma Dean lo trattenne e lo attirò a sé.
Sam sorrise, e lo assecondò nel bacio che il fratello gli offriva, ma poi si divincolò dalla sua stretta e si rimise in piedi. Si guardò attorno, alla ricerca di qualcosa che fosse fuori posto, e l'attenzione venne catturata dalla bottiglia di scotch abbandonata sul comodino. Il ragazzo la prese in mano, ma prima di richiuderla se la portò alle labbra e ne bevve un lungo sorso, sotto allo sguardo divertito di suo fratello. Poi la lasciò cadere nel borsone e lo richiuse.
Si diresse in bagno, si sciacquò il viso e le mani, poi tornò in camera.
Dean non si era mosso, e ora lo fissava con le labbra stirate in una specie di smorfia.
Sam si avvicinò al letto e, prima che suo fratello potesse protestare, si stese accanto a lui e gli passò un braccio sul petto, appoggiando il viso sulla sua spalla.
Dopo un attimo di esitazione, Dean nascose la fronte tra i suoi capelli, e si lasciò andare in un sospiro che si portò via anche parte della tensione che aveva accumulato durante quella lunga ed estenuante caccia.
«Mi dispiace» mormorò, mentre si muoveva per andare incontro all'abbraccio di suo fratello.
Sam lo lasciò fare, circondandolo con le braccia e respirando il suo odore. In quel momento, sarebbe stato difficile capire chi dei due fosse il maggiore.
«Non dare retta a papà. Le sue sono solo stronzate» rispose il moro, accarezzandogli lentamente la nuca «se non fosse stato per te, sarei morto. Saremmo morti tutti e tre. Quindi piantala di dire idiozie»
Dean mosse la fronte contro la sua spalle, strofinando il naso sulla sua pelle, poi sollevò il viso e lo guardò negli occhi.
«Dovrei essere io a prendermi cura di te, non il contrario»
«A me pare che tu lo stia facendo, invece. E piuttosto bene, anche» sorrise Sam, appoggiando la fonte sulla sua «io ho solo un taglietto, tu ti sei quasi dissanguato»
Dean fece una smorfia «Sto bene» mugugnò.
«Lo so» mormorò il minore, abbassando il tono, la voce che arrivava come una carezza alle orecchie del fratello «ora dormi» aggiunse, mentre le palpebre del maggiore si chiudevano lentamente.
«Papà ha detto...»
«So cosa ha detto. Lascialo a me, tu dormi» sussurrò Sa, baciandogli le labbra socchiuse, ancora, ancora, ancora, ancora, ancora. Il suo respiro sapeva leggermente di alcol e Dean lasciò che quell'odore forte gli riempisse i polmoni, mischiandosi a quello che permeava la sua bocca.
Il maggiore sorrise tra i baci, troppo stanco per fare altro, e lasciò che il battito del cuore di Sam riempisse i suoi pensieri.
Avrebbe dovuto dirgli di alzarsi, di aiutarlo a nascondere la ferita, di tenerlo sveglio, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu mormorare un “grazie” che prontamente il fratello strappò via con un altro bacio.
Entrambi sapevano che appena Dean si fosse addormentando Sam si sarebbe alzato, avrebbe nascosto la fasciatura sotto ad una coperta e avrebbe aspettato in silenzio che John tornasse, e si sarebbe fatto trovare dal padre sveglio e allerta, come lui voleva che almeno uno dei due figli stesse mentre lui non c'era. Ed entrambi sapevano anche che avrebbe vegliato tutta la notte sul sonno del fratello, e il mattino dopo il più piccolo avrebbe finto un forte mal di testa, accusando la ferita sulla fronte, e avrebbe insistito per restare ancora un paio di giorni in quel Motel, e per la successiva settimana di viaggio avrebbe chiesto di sedersi davanti, nel posto del passeggero, a causa di una forte nausea, così che suo fratello potesse dormire sul sedile posteriore. E il maggiore avrebbe sbuffato tutto il tempo, dicendogli di smettere di preoccuparsi e di farla finita con tutte quelle stronzate, ma Sam non avrebbe sentito ragioni, e alla fine l'avrebbe avuta vinta.
E così Dean lasciò che lo facesse, che si prendesse cura di lui, e si addormentò tra le sue braccia, mentre Sam gli baciava, ancora, le labbra.

















NdA
Salve popolo.
Non so come accidenti faccio a ridurmi a questi orari infami per pubblicare, ma almeno non me ne sono dimenticata (non picchiatemi, non picchiatemi, non picchiatemi)
Bene, che dire? Questo capitolo mi piace da morire, e con le sue quasi 3000 parole mi ha resa molto fiera di me stessa. Una volta tanto, ho messo un Dean debole e un Sam coccoloso, ma ce li vedo bene. E John... John è esattamente come io me lo immagino, chiedo scusa a tutti quelli che lo eleggerebbero a padre dell'anno.
No seriamente, scherzi a parte, spero di non essere andata OOC, ma sinceramente l'idea che ho io di lui non è esattamente lusinghiera. In ogni caso, accetto critiche e suggerimenti da chiunque volesse dirmi la sua.
Detto questo, me ne vado a dormire, e auguro una buona notte a tutti quelli che sono ancora svegli.
Ultima cosa: lunedì piccola sorpresa, una cosetta speciale che mi ha commissionato la mia beta, e che tra l'altro sto amando scrivere.
Un bacio a tutti e buona settimana,
Fanie

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Capitolo 27
*** Nonostante tutto ***


Rating: Verde chiaro.
Genere: Fluff, a modo suo, e un po' malinconico anche se non era mia intenzione.
Contesto: Subito dopo lo scontro tra Lucifero e Gabriel, 5x19. Ma proprio subito dopo.
Note: Spoiler fino a quel punto della quinta stagione, e lievissimi accenni alla sesta, ma nemmeno si notanto. Il paring è una novità, lo scrivo nelle NdA se qualcuno volesse rovinarsi la sorpesa. OOC ovunque, mi sa che ho proprio cannato i personaggi, ma la mia beta non concorda quindi la pubblico così. Ci si vede giù.

 

Nonostante tutto





Un leggero fruscio accompagnò la comparsa dell'Arcangelo.
Gabriel si prese un lungo momento per guardarsi intorno, e ammirare il panorama. Intorno a lui, oltre il terrazzo del tetto su cui era appena atterrato, si stagliava il paesaggio di una città avvolta dalle tenebre ma illuminata dalla luce di migliaia di lampioni e fari di auto. Le strade si riconoscevano per le scie luminose lasciate dai fanali, e i pochi palazzi ancora illuminati si stagliavano contro il celo scuro in alte torri di luci. Soffiava un vento leggero, che quasi con pigrizia trascinava lontanto i rumori che si sollevavano dal basso.
Il tetto su cui Gabriel era comparso era di un palazzo alto, da cui si poteva facilmente osservare la città dall'alto senza essere visti. La tarda ora della sera rendeva l'aria fresca, ma all'Arcangelo non dava fastidio.
Con una lunga occhiata e un mezzo giro su se stesso si riempì gli occhi del panorama, poi sorrise.
«Los Angeles, davvero?» chiese, voltandosi a guardare la figura in piedi sul bordo della balaustra «credevo di essere io quello con il senso dell'umorismo in famiglia»
L'altro alzò le spalle, rimanendo voltato e con le mani in tasca «Mi sembrava appropriato» rispose.
Gabriel lo affiancò, puntando lo sguardo verso la città sotto di loro «Si, lo è» mormorò.
Rimasero per un lungo istante in silenzio a fissare le scie di macchine che si rincorrevano nella notte. Entrambi dovevano ancora realizzare cosa era successo quella notte, e nonostante lo avessero programmato in ogni minimo dettaglio con largo anticipo, farlo davvero era stata tutt'altra cosa. Si erano detti delle cose, si erano fatti delle cose, che appartenevano ad un passato ancora difficile da dimenticare, ed entrambi stavano ancora cercando di perdonarsi per quello che era stato.
«Stai bene?» chiese Gabriel, rompendo all'improvviso il silenzio e voltandosi verso l'uomo accanto a sè.
Anche lui voltò il capo, e le luci della città illuminarono i suoi occhi color ghiaccio, insieme alla pelle rovinata e bruciata del viso.
L'Arcangelo strinse le labbra, mentre il Diavolo sorrideva appena.
«Dovrei essere io a chiedertelo, fratellino. Ti ho ucciso, stasera» mormorò Lucifero, il capo inclinato e lo sguardo di nuovo fisso all'orizzonte.
Il minore sbuffò, scrollando le spalle «sto bene. Guarda» disse, scostando un lembo della giacca che gli copriva l'addome. Sotto, la camicia era squarciata e intrisa di sangue, ma la pelle sembrava illesa.
Lucifero fissò per un momento lo strappo sugli abiti del fratello, poi con un gesto della mano fece sparire il tessuto slabbrato della camicia, scoprendo del tutto la pelle e strappando a Gabriel uno sbuffo a metà tra l'infastidito e l'esasperato. Una lunga cicatrice che deturpava trasversalmente il suo corpo appena sotto al cuore, una linea bianchiccia e lucida che agli occhi del Diavolo parve quasi risplendere di Grazia.
«Perchè non la guarisci?» chiese, e prima che il fratello potesse rispondere, passò due dita sul profilo traslucido della pelle rovinata, e la cicatrice svanì al solo contatto con i suoi polpastrelli. Un tocco leggero, appena accennato, poi Lucifero ritirò la mano, accompagnato da uno sbuffo infastidito del fratello.
«Mi piaceva... Mi dava un'aria da cattivo ragazzo» mugugnò l'Arcangelo, passandosi una mano sul petto, dove un attimo prima brillava l'ultima traccia dello scontro con il fratello.
Il Diavolo ridacchiò sommessamente, scuotendo appena il capo «non ero io quello che doveva crescere?»
«L'ho detto, vero?» chiese Gabriel, sorridendo «beh, magari sarebbe d'aiuto ad entrambi»
Lucifero annuì, sovrappensiero, lo sguardo di nuovo perso all'orizzonte davanti a sé.

Rimasero per un lungo momento in silenzio, spalla a spalla, i dorsi delle mani che si sfioravano impercettibilmente.
Il minore si prese un altro istante per guardarsi intorno e stamparsi quell'esatto momento nella mente, l'ennesimo ricordo condiviso con il fratello dopo tutto il tempo che avevano trascorso lontani.
Da quando Lucifero era caduto, erano passati talmente tanti anni umani da dare le vertigini perfino ad un essere eterno come un angelo, e forse era stato proprio per quello che Gabriel aveva lasciato il Paradiso ed era fuggito sulla Terra: di tutti i suoi fratelli, l'unico con cui davvero avrebbe voluto condividere l'eternità era proprio quello che non era più con lui. E poi, quando la Gabbia era stata aperta, nonostante non condividessero le stesse idee e i loro scopi fossero diversi, nessuno dei due era ancora riuscito a dimenticare l'altro, e così si erano ritrovati.
Era sempre Lucifero a scegliere dove incontrarsi, chiamandolo dalla cima di un vulcano in eruzione in Islanda, o da una grotta nascosta nei ghiacci sul monte Himalaya, o da un'oasi nel deserto del Sahara. Poi c'era stata la Foresta Pluviale durante un monsone, le cascate del Niagara, e l'aurora boreale.
Erano sempre posti meravigliosi, certo, ma isolati, nascosti ad occhi indiscreti, solo loro e nessun altro.
Gabriel ci aveva messo poco a capire che non era la solitudine che il fratello cercava, quanto l'assenza di compagnia. Non voleva incontrare umani, né avere nulla a che fare con loro, perché nonostante fosse passato molto più tempo di quanto loro due potessero ricordare, lui non aveva dimenticato il suo odio e la Caduta. E suo fratello non aveva mai provato a parlargliene, o a convincerlo a mettere da parte il passato, perché sapeva di essere l'ultimo a poter dispensare consigli, anche se in cuor suo considerava gli umani molto più degni di esistere di quanto Lucifero avrebbe fatto mai.
Ogni tanto, quando era solo e dentro di sé sentiva nostalgia del Paradiso, si sedeva da qualche parte e osservava l'umanità, quelle piccole e insignificanti creature che si affannavano nelle loro insulse vite alla ricerca di qualcosa, di qualcuno. Nonostante la loro imperfezione, la loro limitatezza, l'Arcangelo aveva sempre trovato affascinante la loro esistenza, la loro determinazione, il loro coraggio.

In quel momento, in piedi sul tetto di un palazzo a guardare lo scorrere del tempo umano spalla a spalla con il Diavolo, Gabriel si rese conto che quella sera era tutto diverso, sia la scelta del luogo che suo fratello stesso. Lucifero aveva voluto dargli quello che desiderava, l'umanità, un posto da cui osservarla anche se lui non la poteva tollerare. Era il suo modo di dimostrargli che gli dispiaceva, per tutto, e che non gli importava di nulla che non fosse lui. Che l'umanità per lui non era niente in confronto a suo fratello, ma che se lui davvero l'amava tanto, allora gliel'avrebbe concessa.
Gabriel sorrise, impercettibilmente, e sfiorò con i polpastrelli la mano del maggiore, che si schiuse e accolse la sua in una stretta calda.
«Mi dispiace» mormorò il Diavolo «ma sai bene che era...»
«Necessario» Gabriel lo interruppe sorridendo «lo so. Ma guardami, sto bene. Non sono morto, e ora che finalmente anche i Winchester mi credono fuori dai giochi, puoi smettere di preoccuparti per me. E io posso iniziare a preoccuparmi per te»
Lucifero non rispose, limitandosi a stringere appena la presa sulla sua mano e a sorridere nell'oscurità.
«E poi, iniziavo ad annoiarmi. Trickster, Dio Pagano, Arcangelo. Era ora di cambiare»
«Davvero? E cosa vuoi fare adesso?»
«Non lo so. Magari me ne starò per un po' tra gli umani»
«Umani» sbuffò Lucifero «non capirò mai che cosa ci trovi in loro»
“Già, mai” pensò Gabriel, con una nota di malinconia.
«Forse un giorno riuscirò a spiegartelo. Per il momento... sta solo attento a non sottovalutarli. Molti di loro sanno essere... Combattivi»
«Fratellino» ghignò il maggiore «non è che ti stai rammollendo?»
Gabriel rise quietamente, scuotendo il capo «Si, certo, fingi che ti dispiaccia» mormorò.
Lasciò cadere il discorso, non voleva che il passato e il futuro rovinassero anche quel presente.
Lucifero, accanto a lui, ghignò passandosi la lingua biforcuta sulle labbra.
Il minore storse il naso «Smettila, è inquietante»
«Si, certo, fingi che ti dispiaccia» gli fece il verso il Diavolo, mentre Gabriel scuoteva ancora la testa.

Rimasero per un altro lungo momento in silenzio, mentre il vento si faceva più intenso e la giacca ancora aperta di Gabriel sventolava all'aria. L'Arcangelo respirò profondamente, riempiendosi i polmoni e allargando le spalle, come se volesse spiccare il volo. Gli sarebbe piaciuto, ma in quel momento non era sicuro di essersi ripreso abbastanza dallo scontro con il fratello che, seppur finto, lo aveva prosciugato di molta più energia di quanto gli piacesse ammettere.
Si sentì tirare appena per la mano, e un attimo dopo Lucifero lo teneva stretto a sè, baciandolo lentamente.
Gabriel si lasciò andare e rispose al bacio, sorridendo leggermente sulla bocca del fratello prima di mugugnare compiaciuto e schiudere definitivamente le labbra per lasciare al Diavolo libero accesso.
Dio, quel sapore era così inebrante, sapeva di casa e di condanna, di Inferno e di sangue, di ricordi e di futuro.
Lucifero si scostò da lui un attimo dopo, e Gabriel lo lasciò andare quasi controvoglia.
«Sai di fragola, fratellino» ghignó il maggiore sulle sue labbra «dovresti smetterla di ingozarti di caramelle»
Il più giovane sorrise, e stava per ribattere, ma vide lo sguardo di suo fratello sollevarsi e spegnersi appena.
«Quelle non posso guarirle» mormorò Lucifero, quasi con malinconia.
Gabriel voltò il capo per guardarsi alle spalle, e quando si rese conto che il maggiore stava parlando delle sue ali, se ne sorprese.
Le aveva lasciate andare senza accorgersene, e ora che aveva modo di osservarle si rese conto che erano spelacchiate, molte piume erano arruffate o spezzate, e a guardarle bene ricordavano più le ali di un avvoltoio che quelle di un angelo. Ma la cosa in assoluto più strabiliante era un'altra.
«Riesci a vederle?» chiese, con la sopresa impressa a fuoco negli occhi.
Lucifero sorrise, senza distogliere lo sguardo dalle ali del fratello «certo. Nonostante tutto, sono sempre un angelo, prima ancora di essere il Diavolo»
Gabriel chinò il capo, quasi dispiaciuto da quella risposta, ma il maggiore gli sfiorò il mento e lo baciò di nuovo, dolcemente, quasi volesse farsi perdonare qualcosa.
E forse lo voleva davvero, voleva chiedere perdono per la Caduta, per l'Apocalisse, per aver costretto suo fratello a fuggire sulla Terra, per averlo coinvolto in quella battaglia, per aver dovuto quasi ucciderlo, per essere quello che era.
Ma Gabriel non voleva le sue scuse, non gli servivano, lo aveva già perdonato, quindi gli morse il labbro inferiore e si godette il suo sussulto sorpeso, prima di prendere il controllo del bacio e sentirlo grugnire soddisfatto.
Quando una delle mani del fratello si intrufolò tra le piume delle sue ali sussultò appena per il dolore, e gli afferò il braccio, portandoselo con dolcezza e decisone intorno alla vita.
«Lucy, va bene. Sto bene, lascia stare» mormorò sulle sue labbra, ma suo fratello non parve convincersene.
«Ehi, non ha importanza. Sono solo due stupide ali. E poi, così arruffate sono molto più carine»
Lucifero sorrise, nonostante tutto, e Gabriel ne approfittò per baciargli le labbra, mentre la presa del fratello sui suoi fianchi si faceva più decisa.
«Sono contento che sia andata cosi. Voglio dire, se tu non fossi caduto, se io non fossi scappato, se non si fosse scatenata l'Apocalisse, noi non saremmo qui»
«Davvero, non rimpiangi niente?» chiese il Diavolo, guardandolo negli occhi.
«Niente» sorrise Gabriel.
Lucifero sbuffò una risata «va bene fratellino, basta caramelle per te»
Il minore sorrise, poi si strinse di nuovo a lui, mentre sotto di loro, nonostante tutto, l'umanitá continuava a scorrere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA
Per chi scendesse dalle note in alto, è una LUBRIEL (Lucifero+Gabriel)

Per gli altri, salve.
Non picchiatemi, vi prego.
Allora, intanto pubblico a quest'ora improponibile (00:12) perchè non so se ce la farei stasera, e oggi la mia beta è via, quindi o così o niente. Però, ehi, vi trovate un kiss alla mattina, cosa che non succede mai. Forse nevicherà, chissà.
Per il resto, OOC alla stragrande, o almeno temo, e l'idea originale era tutt'altra, ma alla fine si è scritta (?) così, e io così la pubblico.
È un paring che io amo, alla follia, ma che si vede raramente (Sabriel e Samifer monopolizzano il fandom), e quindi non poteva non comparire qua.
Spero che non sia male come sembra a me, fatemi sapere cosa ne pensate.
Ah, un'altra cosa. Non ho specificato molto le dinamiche del capitolo, ma penso si capisca abbastanza cosa è successo durante lo scontro tra Lucifero e Gabriel e perchè. Ma se così non fosse, fatemi sapere e vedrò di limare un po' di particolari.
Per il resto niente, grazie a tutti, vi amo un sacco e ci si risente lunedì.
Un bacio a tutti,
Fanie

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Capitolo 28
*** Jealous ***


Rating: Giallino verdognolo, più sul verde lime.
Genere: Fluffosissima sopratutto l'ultima parte, un sacco di ironia e un filo di comicità dal punto di vista di Dean, e un Castiel puccioso.
Contesto: Sesta stagione, quindi SPOILER! fino all'episodio del bacio di Meg e Cas. Diciamo che si ambienta subito dopo.
Note: Destiel con accenni alla Megstiel presi molto alla larga, e NON è assolutamente un seguito di "Angeli e Demoni", capitolo 20. Questa è una cosa a sè, per gli amanti di un gelosissimo Dean di cui ho amato scrivere. Castiel è pucciosissimo, e meno male che c'è Sam, altrimenti qua staremmo ancora a shippare Het.
Ci si vede giù, e buona lettura:)

 

Jealous






Quando Castiel comparve sul sedile anteriore, Dean stava canticchiando i Metallica a mezza voce, tamburellando a ritmo con le dita.
Il cacciatore sussultò violentemente, masticando una mezza imprecazione e stringendo con forza le mani sul volante dell'Impala.
«Castiel» ringhiò «dannazione, maledetto pennuto!»
L'angelo abbassò il capo contrito, rabbuiandosi nel sentir pronunciare il suo nome completo al posto del soprannome che Dean usava sempre.
«Le mie scuse» mormorò, spostando lo sguardo fuori dal finestrino.

Rimasero per un lungo momento in silenzio, Castiel che fissava il paesaggio notturno che scorreva rapido davanti ai suoi occhi e Dean con i pugni stretti sul volante e la mascella contratta. Nessuno dei due parlava, e il cacciatore in un primo momento lo trovò strano, ma decise che non avrebbe per nessun motivo aperto bocca per primo, quasi rivolgere la parola all'angelo potesse in qualche modo ledere il suo orgoglio. Si sentiva inquieto, in qualche modo infastidito, come se in tutta quella situazione ci fosse qualcosa di strano. Che diamine, avevano appena distrutto un covo di vampiri! Avrebbe dovuto essere euforico, non nervoso come in quel momento. Ma c'era davvero qualcosa che lo disturbava, come un'eco dalla sua memoria, una vocina che gli suggeriva di voltarsi e dare un pungo all'angelo che gli sedeva accanto.
Con il passare dei minuti, il cacciatore si irritava sempre di più, senza nemmeno sapere perché, ma con la certezza che la cosa che lo infastidiva tanto era la silenziosa presenza di Castiel accanto a sé, quando l'unica cosa che voleva era liberarsi di lui e stare da solo.
Non si chiese nemmeno se potesse esserci qualcosa che non andava, un motivo per cui l'angelo era comparso nella sua macchina di notte sorprendendolo al volante come mille volte gli aveva detto di non fare, e per cui ora se ne stava in completo silenzio a guardare il paesaggio. Sentiva dentro di sé solo fastidio, quasi un lieve martellare sul suo orgoglio e la sua cocciutaggine che gli ripeteva “no, non voltarti, ignoralo” per chissà quale ragione, e un forte desiderio di dare un pungo al suo nuovo compagno di viaggio per un motivo a lui totalmente ignoto, ma sufficientemente convincente da fargli formicolare le mani.
Si trattenne più che poté, innervosendosi sempre di più in quell'opprimente e fastidioso silenzio, ma ad un tratto sbottò «si può sapere che cosa vuoi?»
Forse fu più duro di quanto avrebbe voluto essere, irritato per un motivo apparentemente inesistente, ma qualcosa dentro di lui si complimentò per la sua voce autoritaria e il tono distaccato, e per un attimo quasi gongolò.
Se Castiel non fosse stato un angelo, Dean avrebbe giurato di averlo visto sussultare, ma gli angeli non sussultano, e il cacciatore scacciò quell'impressione come uno dei pensieri che lo assillavano in quel momento, fastidioso come tutti gli altri.
Il moro si voltò lentamente, e il maggiore dei Winchester strinse ancora di più la presa sul volante, chissà come ad un passo dallo spaccargli il naso. Quest'idea gli diede ancora più fastidio quando, una volta comparsa nella sua mente, tra i suoi pensieri si fece largo la consapevolezza che se anche avesse ceduto al suo desiderio, non avrebbe fatto altro che rompersi un polso senza poi provocare grossi danni all'angelo. Dean, calmati si disse, e respirò profondamente raddrizzando le spalle, assumendo una posa quasi da statua di cera, straordinariamente impersonale, neanche stesse parlando con un testimone per un caso.
E poi, quando ormai il cacciatore credeva che più al limite di così la presenza di Castiel non lo potesse spingere, lui inclinò il capo di lato e strinse gli occhi, come se non avesse capito la domanda, e Dean fu certo che sarebbe esploso. Sbuffò esasperato, cercando di non sgridarlo per qualcosa che non aveva fatto, e si concentrò sulla strada, quasi a voler fingere di non dare importanza alla conversazione.
«Castiel» scandì, cercando di dare alla propria voce un'intonazione piatta, e non minacciosa come a lui sembrava in quel momento «perché diamine sei qui?»
L'angelo lo osservò per un lungo momento, e Dean decise che no, non gliene fregava niente del suo polso, gli avrebbe spaccato la faccia alla prima occasione utile.
«Mi sembri strano... Turbato» disse l'angelo, sporgendosi un po' verso di lui, e il cacciatore inspirò profondamente «c'è qualcosa che non va?»
«Tu. Tu nella mia macchina, ecco cosa non va» ringhiò Dean, e se ne pentì immediatamente.
Cosa cazzo mi succede?
Ma l'angelo non parve prendersela «sei sicuro di stare bene?» chiese, allungando una mano e appoggiandogliela sull'avambraccio.
Il cacciatore si irrigidì di scatto, come scottato.
«Che cazzo stai facendo?» sbottò «toglimi le mani di dosso»
L'angelo ritirò immediatamente il braccio, confuso «le mie scuse. Non intendevo...»
«Si Castiel, certo. Adesso vai» si ritrovò a dire il biondo, senza nemmeno sapere perché.
Il moro lo guardò accigliato «Dean...»
«Ho detto vai» tuonò il cacciatore, e l'eco della sua voce nell'auto si spense con il fruscio delle ali di Castiel.


Passarono due giorni, due giorni in cui Sam non fece altro che tormentarlo chiedendogli perché il loro angelo si fosse presentato nella camera di Motel in cui al momento alloggiavano nel cuore della notte pretendendo di parlare con il minore dei Winchester a proposito di nuove informazioni sulle armi trafugate dal Paradiso. Non che a Sam avesse dato in qualche modo fastidio, ma ormai si era accorto da un pezzo della preferenza di Castiel per suo fratello, e quindi la cosa lo aveva prima stupito, poi decisamente preoccupato.
Dean si era abilmente svincolato da ogni domanda (Che casino hai combinato? Perché non vi parlate? Da quando? È grave? Vuoi che gli parli io? Sei sicuro di stare bene? Sai che sei diventato irritabile? Ma non si può neanche pronunciare la parola “Castiel”? Da quando sei così scontroso? Centra Cas?), finendo per buttarsi alla ricerca di un nuovo caso che tenesse il più possibile impegnata la boccaccia di suo fratello.

Erano in Iowa quando successe l'inevitabile.
Perché, andiamo, Dean lo sapeva benissimo che prima o poi avrebbe necessariamente rivisto Castiel, e non si stava assolutamente cullando nell'illusione di evitarlo per sempre, ma almeno sperava di riuscire a capire perché finisse con l'assumere una posa talmente distaccata da sfociare nel ridicolo ogni volta che il nome dell'angelo veniva anche solo pronunciato prima che lui si facesse rivedere.
Ma ovviamente il suddetto pennuto aveva deciso di affrettare le cose.

Il pomeriggio del secondo giorno dopo l'incontro nella macchina di Dean, Castiel comparve nella loro camera di Motel.
Entrambi i Winchester stavano sdraiati a pancia in su sul letto, cercando di recuperare almeno un paio delle ore di sonno che avevano perso quella notte passeggiando per il cimitero della città. Il fruscio che accompagnò la comparsa dell'angelo decretò la fine di ogni loro tentativo, e Sam si mise a sedere con uno sbadiglio, mentre Dean si voltava dall'altra parte con una smorfia, già nel suo stomaco una sensazione di fastidio che si faceva largo prepotentemente.
«Ehi Cas, qual buon vento?» chiese Sam, passandosi una mano sul viso.
L'angelo lo fissò per un momento, stringendo gli occhi, ed era già pronto a spiegare al minore dei Winchester che il vento non centrava niente in quel particolare frangente, quando il suo sguardo cadde su suo fratello, ancora disteso a letto.
«Sta male?» chiese, e Sam si voltò seguendo il suo sguardo.
Sbuffò, afferrando il suo cuscino e lanciandolo addosso al maggiore «Dean, svegliati»
Il biondo rispose con un grugnito, mettendosi a sedere.
Si alzò controvoglia, e fece qualche passo nella stanza stiracchiandosi, un po' cercando di togliersi di dosso la stanchezza e un po' per tenere sotto controllo il desiderio di prendere Castiel e sbatterlo fuori di li che l'aveva colto nel sentire la sua voce. Si voltò verso di loro, incrociando le braccia sul petto e appoggiando le spalle al muro. Sembrava pronto ad affrontare un esercito di demoni, e a Sam quell'idea diede i brividi, ma prima che potesse parlare, Dean lo anticipò.
«Allora, che cosa c'è?» chiese, guardando fisso Castiel, che per un lungo momento sostenne il suo sguardo.
Sam sentiva la tensione che aleggiava tra di loro, ma non riusciva in alcun modo a capirne il motivo, e a quanto pareva l'angelo era più o meno nella sua stessa situazione.
Alla fine, Castiel abbassò gli occhi «volevo parlare con voi di Crowley»
«Crowley?» chiese subito Sam, scattando in piedi «è morto. Hai bruciato le sue ossa»
L'angelo non rispose, tentennando appena. Sospirò.
Dean roteò gli occhi «avanti pennuto, parla. Non abbiamo tutto il giorno»
Il minore si voltò verso di lui, scoccandogli un'occhiataccia.
“Ma si può sapere che gli prende?”
Castiel lo fissò per un momento, la fronte corrucciata, e Dean scosse le spalle.
«C'è la possibilità che non sia morto. Potrebbe essere riuscito a fuggire»
«E come?» chiese Sam.
«Magari è stato aiutato» ipotizzò l'angelo, osservando la stanza intorno a loro.
«E da chi?»
«Magari da quel demone»
Dean sussultò, ma per sua fortuna nessuno se ne accorse. Aveva capito perfettamente, e dentro di sé sentì distintamente ribollire una rabbia profonda, inspiegabile quanto il suo desiderio di prendere a schiaffi Castiel. Strinse i pungi, mentre suo fratello corrugava le sopracciglia.
«Quale demone?» chiese infatti, e il maggiore si tese aspettando la risposta.
«Meg» sentenziò Castiel, e il biondo fu investito da una tale ondata di furia che quasi barcollò. Contrasse la mascella e irrigidì la postura, cercando di controllarsi o quantomeno di spiegarsi quell'assurdo comportamento, ma il cambiamento non passò inosservato a Castiel, che lo scrutò con attenzione per un lungo istante.
«Dean, stai bene?»
«A meraviglia» rispose il cacciatore, astioso, e suo fratello lo guardò accigliato, prima di riportare l'attenzione sull'angelo.
«Meg? Sei sicuro, Cas? Lei vuole Crowley morto quanto noi, non vedo perché dovrebbe aiutarlo a scappare. Non c'è motivo per sospettare di lei, né di evocarla di nuovo» disse Sam. Poi si bloccò, e alzò lo sguardo di scatto «a meno che...»
«A meno che cosa?» chiede Dean.
«A meno che Cas, il nostro angioletto, non abbia un secondo fine nella faccenda»
«Secondo fine?» chiese Castiel, confuso «io non...»
«Oh, andiamo. Sappiamo perfettamente quanto tu e Meg siate intimi» proseguì imperterrito Sam, sorridendo «per quanto ne sappiamo, questa potrebbe solo essere una scusa per rivederla»
Stava scherzando, ovviamente, Dean lo sapeva e continuava a ripeterselo, ma dentro di lui rimbombavano solo le parole del fratello, e l'idea che in fondo potesse non sbagliarsi più di tanto. Lo stomaco gli si accartocciò, e lui desiderò distintamente sprofondare e non rivedere più la luce.
Nel frattempo, Sam continuava a prendere in giro l'angelo «Coraggio, Cas. Dicci la verità: cosa c'è dietro alla scusa di Crowley?»
«Io non... Niente»
«Magari hai solo deciso di rivederla per continuare da dove vi siete interrotti l'ultima volta»
Castiel arrossì vistosamente, e a Dean parve di aver appena ricevuto un pungo dritto dritto nello stomaco. Davanti ai suoi occhi si materializzarono le immagini di Cas e Meg intenti a baciarsi nel corridoio del magazzino di Crowley, le mani dell'angelo sui fianchi di lei, le dita del demone intrecciate ai suoi capelli scuri, e la chiara e distinta sensazione di rabbia e disgusto che lo aveva colto in quel momento.
E fu in quell'istante che capì. Capì il fastidio, l'astio, l'insofferenza, la voglia di spaccare la faccia a Castiel e di bruciare viva quella puttana.
Era geloso. Stamaledettamente geloso, di un angelo.
Fottuto, in poche parole.
Ma non gli importava, non davvero, non mentre davanti a lui la causa di tutto arrossiva come una ragazzina per qualche insinuazione fatta da suo fratello minore.
«Allora, non c'è niente che devi dirci, Cas?» chiese il più giovane dei Winchester.
«Sam, non vedo perché noi-»
«ADESSO BASTA» tuonò Dean, all'improvviso, facendo sussultare suo fratello e spalancare gli occhi dell'angelo «piantatela, tutti e due. Castiel è libero di fare quello che vuole con chi vuole, e di sicuro non sono affari tuoi, Sam»
Dopodiché, afferrò le chiavi e la giacca, e prima ancora che uno dei due potesse dire qualcosa, uscì sbattendo la porta.
Dietro di lui, lasciò Cas ad arrovellarsi sul perché il cacciatore lo avesse chiamato, di nuovo, con il suo nome completo, mentre Sam, colto da una folgorazione, mormorava a fior di labbra «perché, tuoi si, Dean?»


Quando la mattina dopo il maggiore dei Winchester rientrò in camera, e non ci trovò né suo fratello né l'angelo.
Aveva passato il resto del pomeriggio a girare a vuoto per la città, passeggiando per le strade o guidando senza meta. Alla fine era andato a rifugiarsi in un bar, dove aveva passato tutto il tempo a far rotolare sul bancone la stessa bottiglia di birra vuota, pensando e ripensando a quello di cui ora era consapevole.
Sei era chiesto fino allo sfinimento perché mai dovesse essere geloso di Castiel, e benché lui non volesse in alcun modo ammetterlo, conosceva bene la risposta. E in realtà la cosa non lo avrebbe disturbato neanche tanto -nemmeno la parte del tramite maschile e tutto il resto, no-, se non fosse stato che, beh, l'angelo chiaramente non era interessato a lui.
Perché, del resto, come poteva sperare di competere con Meg? Lei era una donna -o per lo meno ne possedeva una-, era bella e sfacciata, con il fascino della cattiva ragazza e quel qualcosa che, si vedeva, aveva attirato Castiel fin dal principio.
Quindi ok, fanculo, aveva appena buttato via trent'anni di pura e convinta eterosessualità per un cazzo di pennuto che non lo avrebbe ricambiato mai. Bene Dean, complimenti, un ottimo lavoro.
Alle due del mattino, quando il proprietario del bar lo aveva buttato fuori, lui si era rifugiato nell'Impala, ancora troppo sconvolto, incazzato e amareggiato per anche solo pensare di tornare in Motel, e aveva passato le successive quattro ore a fissare il cielo attraverso un finestrino chiedendosi, semplicemente, dove fosse Castiel in quel momento.
E adesso che era rientrato in camera, l'unica cosa a cui riusciva a pensare era farsi una lunga dormita, considerato che erano più di due giorni che non chiudeva occhio.
Si stese sul letto senza nemmeno svestirsi, appoggiandosi un braccio sulla fronte e accavallando le caviglie. Si addormentò meno di un paio di minuti dopo.

Non durò a lungo, comunque.
Quattro ore dopo, Sam rientrò con una scatola di cartone sotto braccio, e tutto il rumore che fece rovistando nei borsoni servì solo a svegliare suo fratello.
«Sammy» mugolò, sbadigliando «si può sapere che cazzo stai facendo?»
«Sto cercando il libro dei sigilli che ci ha dato Bobby» rispose il minore, senza smettere di spargere per la camera il contenuto delle loro sacche da viaggio.
«È sotto il sedile del passeggero» gemette Dean, coprendosi gli occhi infastidito.
«Ah, ecco. Mi sembrava che non fosse qui» rispose Sam, uscendo di nuovo e lasciando la porta aperta. La luce investì il maggiore in pieno, che si arrese e si mise a sedere.
Il minore rientrò con il tomo sotto il braccio, lo appoggiò pesantemente sul tavolo e lo aprì.
«A che cosa ti serve?» chiese il biondo, alzandosi e affiancandolo.
«Una trappola»
«Questo lo avevo immaginato, genio. Una trappola per cosa?»
«Meg»
Dean boccheggiò, e strinse i pugni. Inspirò profondamente «la vuoi uccidere?»
Sam rise «no, certo che no! La voglio evocare. O meglio, Cas vuole evocarla, anche se secondo me non è necessario. Ma lui insiste per parlarci, quindi lo faremo»
A Dean per un attimo parve di scivolare a terra, ma si riscosse in fretta, prima che suo fratello si accorgesse di qualcosa «Quando?» chiese, la voce roca.
«Ho tutto quello che serve» rispose Sam, rovistando nella scatola che aveva portato dentro insieme al libro «quindi direi... Stasera»

“Stasera” si rivelò essere un punto talmente lontano nel tempo che il maggiore dei Winchester ad un certo punto si convinse che non sarebbe mai arrivato.
Prima di pranzo, subito dopo aver deciso che si sarebbe controllato e non avrebbe fatto nessuna scenata come quella della sera precedente né nient'altro che potesse far insospettire suo fratello circa la sua attuale “condizione”, prese a camminare nervosamente avanti e indietro per la camera, mentre Sam lo guardava accigliato. Non riusciva a smettere di pensare a tutto quello che aveva capito in quelle poche ore, e nonostante avesse avuto modo di rifletterci a lungo, la sua idea non era cambiata. Non era schifato, confuso, frustrato, ma solo e semplicemente geloso, e per nessun motivo al mondo avrebbe permesso a qualcuno di capirlo, né quella sera, né mai. Non poteva permettersi di lasciare intendere quello che stava succedendo, o avrebbe rischiato non solo tutta la comprensione e i consigli sentimentali di Samantha, ma anche il disprezzo di Cas e no, grazie. In fin dei conti, doveva soltanto controllarsi, stringere i pungi e stare tranquillo, respirando profondamente e tenendo a bada le sue emozioni, e sarebbe andato tutto bene. Avanti, cosa poteva essere mai?
Ma mai, mai e poi mai, Dean si sarebbe aspettato che la situazione avrebbe preso una piega così disastrosa. Durante il pomeriggio la sua condizione degenerò talmente tanto che Sam iniziò a incuriosirsi, specie quando suo fratello aprì una bottiglia di whisky. Il minore gliela strappò di mano talmente in fretta da soffocare anche le sue proteste, e la nascose in un posto troppo alto per lui, ignorando gli sbuffi infastiditi. Il resto del tempo, il maggiore lo impiegò pulendo e ripulendo le armi con una cura tale che Sam ne seguì attentamente tutti i movimenti maniacali, ormai decisamente preoccupato. Se l'idea era far sì che suo fratello non si accorgesse di niente, il biondo si accorse ben presto di aver fallito miseramente.

Quando finalmente la sera arrivò, Dean era sull'orlo di una crisi di nervi. Tutti i suoi buoni propositi di sopportazione erano andati in disfacimento nel momento esatto in cui Sam aveva deciso che era ora di cominciare.
Avevano preparato il rituale e i sigilli, e quella forse era stata la parte migliore della serata, perché il maggiore aveva tenuto la mente occupata, o almeno ci era riuscito finché non era arrivato Castiel.
L'angelo era comparso salutando i due fratelli, e nel momento in cui Dean si era ritrovato a chiedersi da quando la sua voce era così roca, aveva capito di essere definitivamente fottuto.
Da lì il tempo era passato fastidiosamente in fretta, schiantandosi contro il muro di fastidio che aveva accompagnato la fatidica frase “è ora di cominciare”.

Il maggiore si fece da parte, lasciando che Sam recitasse la formula. Incrociò la braccia sul petto, osservando dall'angolo della stanza il braciere da cui divampava una piccola fiamma rossa, e attese con in volto stampato tutto il suo disagio per quella situazione.
Meg comparve immediatamente, ritrovandosi intrappolata nello stesso istante. Si guardò intorno sorpresa e anche abbastanza irritata.
«Oh, i Winchester, dovevo immaginarlo» sbuffò, infilando le mani nella tasche dei jeans «cosa volete, ragazzi?»
Sam fece un passo avanti «non è per noi che sei qui, ma per lui» disse, indicando Castiel, mentre alle loro spalle Dean si irrigidiva per l'infelice scelta di parole del fratello.
L'angelo strinse gli occhi, mentre sul viso del demone si allargava un sorriso malizioso e la lingua guizzava tra i denti.
«Clarence» ghignò «ti trovo bene»
Il maggiore dei Winchester sbuffò, roteando gli occhi, ma nessuno parve badarvi a parte Castiel, che gettò una veloce occhiata verso di lui prima di tornare a fissare Meg.
«Cosa sai di Crowley?» chiese, senza tante cerimonie, e Dean rabbrividì al suono della sua voce. Maledizione, doveva controllarsi.
«È morto» rispose Meg, senza fare una piega.
«Non da quanto ci risulta» intervenne Sam, e il demone spostò svogliatamente lo sguardo su di lui.
«Beh, vi sbagliate» disse «è morto. Completamente morto»
Castiel rimase in silenzio, mentre i due Winchester si scambiavano un'occhiata.
«Sei sicura?» chiese alla fine il maggiore, senza sciogliere la posizione tesa.
«Assolutamente» rispose lei, annoiata.
«Bene allora» disse Castiel, facendo un passo indietro «puoi andare»
Con un gesto della mano spezzò il sigillo, lasciandola libera di andarsene. Ma Meg non si mosse, anzi.
«Di già?» chiese, quasi delusa «niente smancerie? Saluti di commiato, cenette romantiche?» poi si voltò verso l'angelo, alzando eloquentemente un sopracciglio «baci d'addio?»
Ci volle solo un attimo perché Castiel si stringesse nelle spalle, arrossendo imbarazzato e distogliendo lo sguardo, e perché Dean si tendesse come una corda di violino.
Sam si voltò appena verso di lui, colto da una sorta di sensazione, e lo vide fissare astioso prima l'angelo e poi il demone. Se fosse stato un gatto, si disse il minore, probabilmente avrebbe avuto il pelo ritto.
Per un attimo pensò di lasciare che la situazione evolvesse per conto proprio, perché era sinceramente curioso di vedere l'autocontrollo di Dean crollare davanti ai suoi occhi per poterlo poi prendere in giro fino alla fine dei suoi giorni, ma quando vide un baluginio argenteo nascosto tra le pieghe della giacca del fratello, scattò come una molla.
«Ora puoi andare, Meg. Se avremo ancora bisogno di te, ti evocheremo di nuovo» disse, facendo un passo verso di lei.
La ragazza lo fissò per un momento, incerta, poi guardò di nuovo Castiel.
«Che ne dici, angioletto» mormorò, avvicinandosi appena a lui «mi evocherai di nuovo?»
Quello che seguì fu questione di secondi.
Dean scattò in avanti, mandando contemporaneamente a puttane tutti i suoi propositi di non belligeranza, parandosi di fronte al demone ed estraendo il pugnale di Ruby. Glielo puntò alla gola, spingendola indietro, mentre nell'aria si spandeva il richiamo allarmato di suo fratello. La ragazza cozzò spalle al muro, quasi inciampando nel tragitto, e la lama si appoggiò alla sua pelle.
«Non hai sentito?» sibilò il cacciatore «è ora che tu te ne vada»
Meg lo fissò completamente incapace di reagire, e per un attimo Dean riprese il controllo, rendendosi conto di quello che stava facendo. Stava per ucciderla, qualche centimetro e ci sarebbe stato un demone in meno al mondo, e l'idea non gli parve poi così infame.
Ma una presa sulla sua spalla, una mano calda e grande, una mano che lui riconobbe immediatamente, lo strinse appena, quel tanto che bastava a trascinarlo leggermente indietro.
«Dean»
La voce di Castiel riecheggiò nella sua mente come un tuono, e lui lasciò andare di colpo il pugnale, scattando lontano dal demone.
Meg non perse tempo e si dissolse, lasciando Sam a guardare allibito l'angelo stringere la spalla di suo fratello, che ancora teneva gli occhi fissi sul coltello abbandonato a terra.
«Ma si può sapere che ti è preso?» scattò il minore, mentre il biondo alzava lo sguardo su di lui e riprendeva il controllo «è Meg! Ci ha aiutato ad uccidere Crowley! Ma che cazzo ti sta succedendo?»
«È un demone, Sam. Tutti i demoni sono uguali» rispose semplicemente Dean, prima di girarsi verso Castiel.
L'angelo lo fissava preoccupato, perché per quanto lui potesse ingannare suo fratello, mai e poi mai sarebbe riuscito a nascondere qualcosa a quei due grandi occhi azzurri. Lo stringeva ancora per la spalla, e non accennava a lasciarlo andare, scrutandolo come se cercasse qualcosa sul suo viso.
Forse fu proprio quello sguardo a riportarlo del tutto presente a sé stesso, lasciando che la consapevolezza di quanto erano vicini in quel momento e del suo tocco caldo lo investisse come un treno.
All'improvviso, il maggiore dei Winchester scattò di lato, sfuggendo alla presa di Castiel.
«Ti ho detto di non toccarmi» mormorò, prima di uscire di nuovo dalla stanza.

Fuori faceva freddo, e lui aveva dimenticato la giacca, ma la voce di suo fratello lo fece desistere dall'idea di tornare indietro a prenderla.
«Dean» tuonò il minore all'oscurità che ormai avvolgeva ogni cosa.
«Vaffanculo, Sam» rispose lui, stringendosi nelle spalle e avviandosi a grandi passi verso la macchina.
«Smettila di comportarti come un bambino, Dean» urlò suo fratello, senza tuttavia seguirlo «torna qui e affronta quello che sta succedendo»
«Non sta succedendo niente» rispose lui urlando, prima di salire sull'Impala.
«Non sta succedendo niente» mormorò, all'abitacolo vuoto.

Guidò per quasi un'ora, spingendo la macchina al massimo lungo le strade deserte, e alla fine si fermò in uno spiazzo erboso in fondo ad un viottolo di ghiaia.
Si sedette sul cofano, ignorando il vento gelido e il freddo che lo stringeva in una morsa.
Se lo era meritato, dopo il modo in cui si era comportato il freddo era solo uno dei modi di torturasi a cui poteva attingere, e probabilmente il più facilmente accessibile al momento.
Se Sam non aveva ancora capito, allora era davvero stupido, e per sua sfortuna Dean sapeva perfettamente che suo fratello era uno stramaledetto saputello intelligentone. Con ogni probabilità, avrebbe insistito per parlarne, e davvero, il maggiore non vedeva l'ora. Meglio affrontare Lucifero e Michele tutto da capo che sorbirsi i consigli e le pacche comprensive della sua sorellina.
Ma la cosa peggiore era Castiel, e la confusione e lo smarrimento che avrebbe visto sul suo viso, e poi il disprezzo. Quello sarebbe stato, con ogni probabilità, troppo.
Si lasciò scivolare con un gemito lungo il parabrezza dell'Impala, passandosi con forza una mano sugli occhi, e sussultando violentemente quando una voce accanto a lui riecheggiò nell'oscurità.
«Ciao Dean»
Il cacciatore fu tentato di colpirlo, ma alla fine si risolse a sbuffare.
«Cosa vuoi, Castiel?» chiese, evitando accuratamente di guardarlo e tenendo gli occhi fissi davanti a sé, il tono di voce distaccato.
L'angelo parve esitare, spostando lo sguardo intorno a sé.
«Quello che è successo prima...» cominciò, ma Dean lo interruppe.
«Non è successo niente. Sono stanco e ho reagito male, tutto qua»
«Sei sicuro? Perché sembra che...»
«Sto benissimo» sbuffò il cacciatore, senza guardarlo.
L'angelo sospirò, come se cercasse le parole per andare avanti. Si tormentò per un momento le mani, poi riprese «Sam dice che quello che hai fatto è normale»
Dean avvampò, pregando di aver sentito male. Dio, ti prego, fa che mio fratello non abbia parlato con Cas.
«Sam?» rantolò, la voce incastrata in gola.
«Dice che sei geloso»
Merda. Merdamerdamerdamerda.
«Ah»
«Dice che quando le persone sono gelose fanno cose... Difficili da comprendere»
Dean tese le labbra in un sorriso forzato «vi lascio da soli per un'ora e voi due vi mettete a cospirare alle mie spalle?» scherzò, ma la battuta suonò infelice anche alle sue orecchie.
«Non stavamo cospirando. Sam era preoccupato per te, e anche io»
«Eri preoccupato per me?» chiese, voltandosi e incrociando per la prima volta il suo sguardo.
«Io mi preoccupo sempre per te, Dean» rispose Castiel, sincero e diretto, facendo contorcere il cuore del biondo accanto a lui.
«Cos'altro ti ha detto Sam?» chiese, la voce bassa ed esitante.
«Che quando le persone sono gelose, significa che tengono a te. Tu tieni a me, Dean?» chiese, fissando gli occhi nei suoi, legandolo in un modo che al cacciatore fece male.
«Cas, io... Io non so se...»
«Sam dice di si» lo interruppe l'angelo, cogliendo al volo la sua difficoltà e la fatica nell'esternare i propri sentimenti «tuo fratello dice che entrambi tenete a me, perché siamo una famiglia, ma che solo tu sei geloso, e che tieni a me in modo diverso»
Dean boccheggiò, ma fortunatamente Castiel non si aspettava una risposta.
«Sam dice anche che è una cosa buona, che a volte fa male ma che va bene, e che per farti stare meglio dovrei dirti che va tutto bene, che non devi essere geloso, ma io non sono d'accordo»
«No?» gorgogliò Dean, che ormai non aveva più coscienza di sé.
«No. Perché a me piace che tu sia geloso, perché finché sei geloso vuol dire che tieni a me. Quindi se vuoi puoi continuare ad esserlo, ma prima vorrei fare una cosa, se me lo permetti» disse, cristallino come sempre, sporgendosi verso di lui, e il maggiore dei Winchester rimase imbambolato a fissare le labbra dell'angelo farsi sempre più vicine alle sue, e fermarsi ad un soffio dalla sua bocca. Per un lungo istante rimasero così, Dean che ansimava appena e Castiel che lo guardava negli occhi.
«Posso... Dean, posso toccarti?» chiese l'angelo, un sussurro sulla sue pelle, e il cacciatore si ritrovò ad annuire appena, un attimo prima di annegare nelle labbra del moro, che lo baciò piano, impacciato.
Mosse le labbra sulle sue incerto, senza avere nessuna idea concreta di cosa fare, e il cacciatore fu assolutamente certo che quello fosse il miglior bacio della sua intera vita. Nella sua mente esplodevano le galassie e implodevano i pianeti, e intorno a lui il tempo scorreva frenetico e rallentava pigro, mentre tutto quello a cui lui riusciva a pensare erano le labbra dell'angelo sulle sue, e la sua mano sulla nuca intrecciata ai capelli.
In un lampo di lucida follia, si disse che baciare un uomo non era poi tanto male, che c'era margine di miglioramento, ma quando Castiel si allontanò da lui con l'ombra dell'incertezza negli occhi -perché dannazione, Dean, sei rimasto immobile come un fottutissimo lampione!- lui non perse tempo e lo seguì, allungandosi su di lui e baciandolo a sua volta, intrecciando le dita ai suoi capelli e al tessuto del suo trench, mentre l'angelo avvolgeva i suoi fianchi con un braccio.
«Non vedrai mai più Meg» mormorò Dean sulle sue labbra, tra un bacio e l'altro.
«Mai più» rispose Castiel.
«E non architetterai mai più piani diabolici alle mie spalle con il sussidio di mio fratello»
L'angelo rise, ma rispose con un bacio, nel quale Dean si perse in fretta.
Fanculo la gelosia, fanculo i demoni, fanculo Crowley e fanculo il Paradiso, lui stava bene dov'era, molto meglio di quanto fosse mai stato in vita sua, e per niente al modo si sarebbe lasciato sfuggire dalle dita quel momento.
Morse il labbro inferiore di Castiel, bevendo il suo mugolio compiaciuto, mentre la sua mente veniva attraversata da un solo, ultimo pensiero.
Devo ricordarmi di ringraziare Samantha.



















NdA
Ehi gente:)
Allora, ignorando la schifezza di titolo che ho scelto stavolta, volevo assolutamente scrivere una cosa del genere (perchè andiamo, lo abbiamo visto tutti quell'episodio, e TUTTI abbiamo visto quanto Dean fosse geloso guardando Meg baciare Castiel, non neghiamolo che tanto non serve), cercando però di non ricadere nell'impronta di "Gelosia" (cap 12). E mi sembra di esserci riuscita piuttosto bene.
Questa volta ho esagerato, 5000 parole ma ne è valsa la pena. Ho amato ogni singola riga, e spero anche voi, in particolare la parte finale che mi ha resa molto fiera di me stessa e di Sam. Soprattutto di Sam.
Spero che questa volta vi farete sentire, perchè sono molto orgogliosa di questo capitolo e spero sia piaciuto anche a voi, a differenza di quello di lunedì scorso che boh, è caduto un po' nel baratro dell'oblio e non capisco perchè.
Per il resto niente, un enorme grazie a chi recensisce, ricorda, segue, preferisce e quant'altro, e anche a chi legge silenziosamente e, nonostante tutto, apprezza. E un enorme bacio alla mia beta, che fa i salti mortali quasi quanto me. Ti voglio bene, anche se ti tocca betare roba lunga 8 pagine <3
Bene, buona settimana e ci si risente lunedì prossimo.
Un abbraccio a tutti,
Fanie

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Capitolo 29
*** Candies ***


Rating: Verde.
Genere: Fluff, ovviamente, una vena romantica e un po' di ironia.
Contesto: Generale, nessun riferimento a niente e nessuno.
Note: Il Paring è uno dei soliti, ma non vi faccio spoiler. Vediamo quanto ci mettete ad indovinare, e se siete lenti come Sam.


 

Candies

 

Dean sprofondò nel letto con un mugugno soddisfatto, e si sistemò con la schiena appoggiata alla parete facendo cigolare tutte le molle del materasso, calciando poi via le scarpe e sfilando la pistola dalla cintura dei pantaloni. La appoggiò sul comodino, e al suo posto prese in mano un sacchetto di caramelle gommose. Se lo sistemò in grembo, aprendolo con un fruscio di plastica, e afferrò il telecomando. Accese la TV infilandosi in bocca la prima gelatina, e mentre sulla sua lingua si spandeva un forte sapore di cola annuì convinto, soddisfatto della sua scelta, cambiando canale.

Trascorse la successiva mezz'ora così, affondando la mano nel sacchetto e facendo zapping alla ricerca di qualcosa da fare per ingannare il tempo, e alla fine la sua indagine si arenò su un terribile documentario sulla fauna amazzonica, che nel giro di un paio di minuti lo fece sbadigliare e riempirsi di nuovo la bocca con una manciata di caramelle.

Sam rientrò in camera poco dopo, con il completo da agente federale addosso e la cravatta scura già allentata.
«La moglie della vittima non c'entra» esordì, appoggiando le chiavi dell'Impala e sfilandosi la giacca nera «in vita mia non ho mai conosciuto nessuno che ne sapesse così poco di occultismo come quella donna»
Dean annuì distratto, scuotendo il sacchetto di plastica per raggrumare le caramelle nello stesso angolo, dopodiché se ne cacciò in bocca un altro paio.
Suo fratello si bloccò a fissarlo, incuriosito dal rumore di plastica e dal silenzio assorto del maggiore, e sbuffò spazientito. Se lo sarebbe dovuto aspettare.
In due passi raggiunse il letto e strappò dalle mani del biondo il sacchetto ormai quasi vuoto, ignorando completamente le sue proteste e limitandosi a scrollare le spalle, mentre lasciava le caramelle sul tavolo della stanza e si sfilava la cravatta.
«Invece di mangiare schifezze, potresti andare a prendere la cena, che ne dici? Ti lascio scegliere, stasera, ma a me prendi un insalata» disse, mentre iniziava a sbottonare la camicia bianca e dal borsone sfilava un paio di pantaloni morbidi e una t-shirt grigia.
Dean borbottò contrariato, ma si alzò lo stesso dal letto.
Si infilò la giacca e prese le chiavi, e mentre usciva si avvicinò al tavolo per appropriarsi di quello che restava delle caramelle per potersele mangiare in santa pace sul sedile della sua Bambina, ma Sam fu più veloce e gli diede uno schiaffo sulla mano, come si farebbe con un bambino dispettoso.
«Ricordati l'insalata» disse solo, mentre suo fratello usciva dalla camera borbottando di salutisti maniacali.

Rimasto solo, Sam si infilò sotto la doccia, scrollandosi via dalle spalle la tensione accumulata durante la giornata, e quando uscì si rivestì in fretta, accasciandosi poi su una delle sedie e massaggiandosi il collo.
Erano in quella città da più di due giorni, e ancora non erano riusciti a capire quale genere di magia avesse ucciso l'amatissimo e rispettatissimo sindaco del paese. Non avevano trovato tracce di WooDoo, né segni che indicassero la presenza di una strega, o qualunque altro sintomo di magia Nera, eppure erano certi di essere sulla strada giusta.
Il minore dei Winchester sospirò, gettando un'occhiata pigra alla televisione lasciata accesa, sul cui schermo un colibrì si spostava rapido da un fiore all'altro. Per un attimo meditò di accendere il computer e rimettersi a fare ricerche, ma a quell'idea la sua testa protestò violentemente, mettendosi a pulsare e facendolo propendere per una lunga notte di sonno.
Si alzò dalla sedia, ma prima di stendersi sul suo letto si voltò a guardare le caramelle abbandonate sul tavolo, e in un lampo di pazzia prese in mano il sacchetto, portandolo con sé e assumendo all'incirca la posizione del fratello poco prima.

La prima caramella gommosa lo fece mugugnare compiaciuto, e lui sollevò il sacchetto davanti agli occhi per prendere nota mentalmente della marca.
«Non le mie preferite, ma comunque niente male» disse ad alta voce, rendendosi conto solo dopo di essere solo nella stanza.
Sorrise, scuotendo il capo. Certe volte, l'abitudine e la stanchezza si facevano sentire anche più del necessario.
Quasi senza rendersene conto, si infilò in bocca un'altra caramella, cambiando canale.
Inutile dire che quando Dean rientrò, mezz'ora dopo, si ritrovò con in mano solo il sacchetto vuoto, mentre il suo salutista fratellino asseriva che quelle erano davvero le più buone caramelle alla cola che avesse mai mangiato, e che se voleva aveva il suo permesso di ricomprarle.




La parte inquietante iniziò la mattina dopo.
Sam si svegliò che non erano le sette, per uno spiffero d'aria che dalla finestra lasciata aperta lo colpiva direttamente sulla schiena. Si raggomitolò più stretto nella coperta, mugugnando infastidito, e fu in quel momento che le vide.
Alzò di scatto la testa, spalancando gli occhi accigliato. Sul suo comodino, esattamente di fronte al suo naso, giaceva un sacchetto di caramelle alla cola, identiche a quelle che lui si era mangiato la sera prima.
All'inizio, per circa un secondo a causa della mente annebbiata dal sonno, pensò che Dean le avesse ricomprate, come da suo suggerimento, ma poi si rese conto che non era possibile, che la sera precedente era troppo tardi perché il fratello potesse uscire di nuovo.
Ma il suo cervello non fece in tempo ad elaborare una nuova teoria più convincente, perché accanto a lui il suddetto fratello si era svegliato, e bofonchiando qualcosa che poteva suonare come “E bravo Sammy che ha ricomprato le caramelle” gli aveva strappato il sacchetto da davanti agli occhi e si era infilato in bocca la prima manciata di zucchero ipercalorico.
Ovviamente, Sam aveva passato il resto della giornata a seguire suo fratello come un ombra, preoccupato dall'idea che potesse cadere vittima di una maledizione o di qualche avvelenamento, ma nulla era accaduto, e il minore dei Winchester aveva deciso di archiviare l'accaduto come “stanchezza”, e di ritornarsene alla caccia.

Peccato che non fosse finita.
Per tutta la durata del loro soggiorno in Louisiana, ogni mattina Sam si ritrovò sul comodino un sacchetto di caramelle.
Cola, menta, liquirizia, caffè, sempre sul suo comodino al risveglio, ogni giorno diverse, e il ragazzo decise che era necessario indagare.
Trascorse due notti intere sveglio, fissando la porta della camera come se da un momento all'altro dovesse venire sfondata da un branco di bufali, ma entrambe le volte non accadde assolutamente nulla, se non che l'unico istante in cui distolse lo sguardo dal comodino -per controllare che ore fossero- fu quello fatidico, e quando rialzò gli occhi le caramelle erano li, come sempre.
Nemmeno ci provò a credere che fosse uno scherzo idiota di suo fratello, e per quanto la cosa fosse sospetta e quantomeno curiosa, decise di non parlargliene, ma lo lasciò abbuffarsi dei suddetti zuccherini ogni mattina, limitandosi a prenderne uno o due per sé, giusto per assaggiarli.

La cosa divenne seriamente inquietante quando riuscirono finalmente a chiudere il caso (la strega si era rivelata essere il sindaco stesso che, in un tentativo fallito, era rimasto ucciso dal suo stesso incantesimo) e si mossero verso il Kansas. Sam, che ormai ci aveva fatto l'abitudine a quella strana routine delle caramelle, non fu comunque in alcun modo dispiaciuto dall'idea di abbandonare quella città e quei dolci sospetti una volta per tutte.
Dopo quasi sette ore di viaggio in macchina, Dean decretò che era ora di fermarsi e riposare almeno un paio d'ore. Dovettero arrangiarsi a dormire sull'Impala, visto che la zona in cui si erano fermati era abbastanza isolata, ma il minore dei Winchester non protestò e, dal momento che doveva ancora recuperare il sonno delle due notti di “indagini”, fu ben felice di accontentarlo.
Lo fu un po' meno la mattina dopo quando, risvegliandosi con un torcicollo spaventoso e sulla stessa strada isolata e dimenticata da Dio della sera precedente, si ritrovò accanto al viso un sacchetto di caramelle al miele.
Non disse niente a Dean nemmeno quella volta, iniziando a chiedersi se non stesse impazzendo, e buttando le caramelle nella prima stazione di servizio in cui si fermarono. Lui odiava le caramelle al miele.




La cosa andò avanti per quasi un mese, e Sam le provò praticamente tutte.
Simboli di ogni religione, sigilli tra i più antichi, sale, acqua santa e perfino trappole del diavolo. Provò a filmare una delle camere in cui dormirono, ma il video non mostrò altro che interferenze. Controllò campi elettromagnetici, punti freddi, sbalzi di pressione, maledizioni e incantesimi, ma il risultato fu lo zero assoluto. Niente, nada.
Dopo essersi ritrovato davanti ogni genere di caramella -alle erbe aromatica, zuccherate, al rum, alla cannella, ripiene, ma anche confetti, cioccolatini, leccalecca, bastoncini di zucchero, praline- e averne buttati la maggior parte perché andiamo, a chi potrebbero mai piacere tutte queste schifezze? era quasi sull'orlo di una crisi isterica, e a tanto così dal chiamare Castiel e farsi dare una mano. Ma la cosa sarebbe stata sospetta, e sorbirsi anche la ramanzina di Dean da “sono tuo fratello maggiore, dovresti permettermi di aiutarti e non nascondermi le cose” davvero, no grazie.
E di certo la riluttanza nel chiedere aiuto all'angelo nulla aveva a che vedere con il fatto che, forse forse, in una parte remota e molto, molto lontana dalla luce del sole, il cuore del cacciatore si scaldava ogni volta che vedeva le caramelle accanto a sé. Perché certo, era strano, inquietante, fastidioso e disturbante, ma l'idea che ci fosse qualcuno (perché doveva per forza esserci qualcuno, giusto?) che si dava tanta pena per fargli trovare quei maledetti dolci ogni giorno e che allo stesso tempo si impegnava per non farsi riconoscere, era una cosa che in qualche modo faceva stare bene Sam, e non era poi così entusiasta all'idea di porre fine a quel rituale.
Ma non per questo poteva permettere che quella creatura, di chiunque si trattasse, mantenesse il suo stato di anonimato ancora a lungo.
Lui doveva sapere, ma per quanto si sforzasse nessuna idea si affacciava alla sua mente.




Fu merito di Dean, anche se Sam non lo ringraziò mai.
Erano in macchina da quasi due ore, e il minore dei Winchester sonnecchiava con la fronte appoggiata al finestrino.
«Sammy» chiamò il maggiore, chinandosi un po' su di lui e rallentando appena «siamo arrivati»
Suo fratello però non diede assolutamente nessun segno di averlo sentito, e così il biondo mise su un sorrisetto sadico e girò di scatto la manopola del volume dell'autoradio.
Heat of the Moment si diffuse nell'abitacolo come un colpo di frusta, proprio nel pieno del ritornello, e Sam fece un salto talmente alto da sbattere la testa contro il tettuccio.
«Dean!» urlò isterico, voltandosi verso il fratello con gli occhi sgranati e iniettati di puro panico.
Dal canto suo, il maggiore si limitò a sorridergli e a spegnere la radio, mentre parcheggiava l'Impala davanti alla reception di un Motel.
«Dannazione Dean» sbottò allora il più giovane, passandosi una mano tra i capelli e respirando profondamente, mentre cercava di riprendere il controllo dei propri nervi «non farlo mai più»
«Perché no?» ghignò il biondo, mentre apriva la portiera «è stato divertente»
«Non per me, dopo tutti quei martedì che ho dovuto vivere per colpa di quel bastardo di-» ma la frase gli morì in gola.
Che idiota che era stato. Come aveva fatto a non pensarci?
«Allora, scendi o no?» chiese Dean, bussando sul vetro.
Ma nella mente di Sam aleggiava una sola, unica e inquietante parola.
Gabriel.

Ci volle molto più coraggio del previsto per decidersi a prendere la cosa sul serio.
Andiamo, Gabriel? Davvero?
Quello avrebbe senza dubbio spiegato perché tutti i suoi sforzi non avessero dato alcun frutto. Nessuno dei sigilli o delle protezioni che aveva usato contrastavano gli angeli, e forse perché non immaginava di avere a che fare con un angelo!
A Sam sembrava così assurdo da risultare disturbante perfino pensarci, ma in qualche modo si era scoperto lusingato da quella specie di... premura? Attenzione? Corteggiamento?
No Sam, questo te lo stai decisamente immaginando.

Eppure... Quale creatura celeste, seppur strana come Gabriel, passa ogni notte e ti lascia un pacchetto di caramelle sul comodino senza avere anche una precisa ragione?
Era quasi... tenero il modo in cui l'Arcangelo (perché ormai la mente di Sam aveva deciso che si trattava di lui, punto e fine) si preoccupava di lui e allo stesso tempo di rimanere nascosto, quasi se ne vergognasse o avesse paura della reazione di Sam.
E forse questo era il problema. Quale reazione? Come stava reagendo il cacciatore?
Ecco, non stava reagendo.
Semplicemente, ogni volta che ci pensava finiva ad arrossire come una ragazzina e ridacchiare sommessamente, tanto che perfino Dean si era accorto che qualcosa non andava.
Del resto, se nel bel mezzo di un indagine su una strage familiare ad opera di un possibile mutaforma, quello che si presume essere il tuo collega nonché agente Williams dell'FBI inizia a sorridere ebete, due domande se le farebbe chiunque.
Ma Sam non poteva farci niente, l'idea di un Arcangelo -e non un Arcangelo qualunque, ma proprio Gabriel- che ogni notte si presentava in camera sua per lasciare accanto al suo letto delle semplicissime caramelle lo mandava del tutto fuori di testa, quasi fosse il gesto più romantico della Terra,
Ok, no, probabilmente era davvero il gesto più romantico della Terra, e chi era lui per rifiutare simili attenzioni?
Ora restava solo da decidere cosa fare in proposito.

Sam non resistette nemmeno una giornata intera, ma nemmeno ci provò con particolare impegno.
La sera stessa del giorno in cui erano arrivati, e del giorno in cui lui aveva realizzato che forse aveva anche una cotta per l'Arcangelo che ogni notte gli portava delle caramelle, decise che quella cosa doveva finire.
Si assicurò che Dean si trovasse qualcosa da fare fino all'alba, in modo da poter disporre della stanza nel modo a lui più congeniale, dopodiché preparò ogni cosa secondo il suo piano, si sedette sul letto e aspettò.
Ci provò seriamente, a restare sveglio, ma verso le quattro del mattino le palpebre iniziarono a calare senza che lui potesse fare niente per impedirlo, e in poco meno di mezz'ora si ritrovò a sussultare per ogni minimo fruscio, entrando e uscendo a scatti da uno stato di dormiveglia molto fastidioso.
Alla fine si arrese, e si raggomitolò sul fianco, cedendo definitivamente al sonno, anche se dentro di sé rimpiangeva di non poter verificare la sua teoria.
Chiuse gli occhi, e fu in quel momento che successe.
Non ci fu alcuno rumore, nessun fruscio, ma Sam lo percepì ugualmente, e sorrise.
Nella sua mano, un baluginio argenteo precedette uno scatto e un guizzo di fiamma, prima che l'accendino toccasse terra e desse fuoco al cerchio di olio sacro.
A quel punto, Sam aprì gli occhi, e si scoprì quasi timoroso di alzare la testa. Prese coraggio e sollevò lo sguardo, e quello che si trovò davanti lo intenerì talmente tanto da togliergli le parole.
L'Arcangelo -perché sì, era proprio Gabriel- era in piedi sul bordo del cerchio infuocato, nel punto più lontano dal letto del cacciatore, e in una posizione che urlava così tanto “senso di colpa” che al ragazzo si strinse il cuore. Teneva le spalle curve e gli occhi bassi, quasi cercasse di far scomparire il pavimento sotto di sé per poter sprofondare e togliersi da quella situazione.
Sam rimase imbambolato a fissarlo per un minuto buono, senza avere davvero idea di che cosa dire, tanto che dopo un po' fu l'Arcangelo stesso ad alzare lo sguardo, intimorito e così diverso dal trickster con cui i Winchester avevano avuto a che fare fino a quel momento.
«Ehm... ciao» disse, tentando un sorriso, e Sam dentro di sé si sciolse per una stupida parola.
«Ciao» rispose, mettendosi in piedi e muovendo un passo verso il cerchio.
«Allora... Alla fine mi hai colto con le mani nel sacco. Bel lavoro, Winchester» disse Gabriel, mentre seguiva i movimenti del cacciatore con attenzione, e il suo tono più che scherzoso suonò teso.
«Già. Beh, ci è voluto più del previsto. Non avevo capito... che fossi tu» disse Sam, accennando un sorriso e muovendosi intorno al cerchio per avvicinarsi.
Di riflesso, Gabriel indietreggiò, sposandosi di lato.
«Immagino di doverti delle scuse, quindi» disse, sulla difensiva.
«Non sono arrabbiato» si affrettò a dire Sam, alzando le mani davanti a sé e facendo corrucciare la fronte dell'Arcangelo, che però si azzardò a fissarlo negli occhi.
«No?»
«No. Beh, sono ancora un po' confuso. Parecchio confuso» sorrise Sam «ma non arrabbiato»
Gabriel sciolse le spalle di scatto, come se lo avessero appena strappato al patibolo «ah. Wow, questa non me la aspettavo»
Sam sorrise, scuotendo il capo. Spostò lo sguardo sul comodino, ma contrariamente a quanto si aspettava non vi trovò nessun pacchetto di caramelle. Allora guardò di nuovo l'Arcangelo, e si accorse che stringeva in mano una busta colorata, ma la teneva nascosta dietro la schiena quasi inconsciamente, come se se ne vergognasse.
«Se ti libero, prometti di non volare via?»
Gabriel annuì, titubante, a Sam rovesciò il bicchiere l'acqua che teneva sul comodino sulle fiamme di olio sacro, che si spensero per un paio di spanne.
L'Arcangelo scomparve immediatamente, ma solo per ricomparire alle spalle di Sam, un paio di metri più indietro, nella parte della stanza meno illuminata.
Il cacciatore si voltò, e lo osservò da quella distanza.
Sembrava quasi un cucciolo che da un momento all'altro si aspetta di ricevere la sfuriata del suo padrone, e Sam parve quasi... tenero. Con la testa incassata tra le spalle, la schiena appoggiata al muro e le mani lungo i fianchi, risultava decisamente più umano di quanto avesse mai osato mostrarsi fino a quel momento, e il ragazzo se ne sentì profondamente lusingato. Prepotentemente, gli tornarono alla mente tutte le buste di caramelle che aveva ricevuto in quelle settimane, e il curioso calore che gli invadeva lo stomaco ogni mattina, rapidamente soffocato dalla preoccupazione ma pur sempre presente. Era incredibile, il suo “ammiratore segreto” era davvero Gabriel, davvero l'Arcangelo. Quasi non riusciva a crederci.
Istintivamente gli occhi gli caddero sulle sue mani, che stringevano ancora la busta di caramelle, e sentì le proprie guance imporporarsi appena. La stanza era illuminata solo dal cerchio di fuoco sacro che continuava ad ardere alle sue spalle, riflettendosi su tutte le pareti, e il cacciatore si arrischiò a fare un passo verso Gabriel, che si tese come una corda, all'erta.
«Quelle... quelle sono per me?» chiese, accennando un sorriso e indicando il sacchetto colorato.
L'Arcangelo abbassò il capo, e fece una faccia stupita, quasi se ne fosse dimenticato «Oh... Beh, immagino di sì» disse, ma non si mosse.
Sam lo fissò per qualche secondo, poi allungò una mano e chiese, gentilmente «Posso?»
Gabriel alzò il capo, porgendogliele.
Il cacciatore le prese, facendo scricchiolare la plastica del sacchetto, e la sua bocca si aprì in una leggera “o” di sorpresa.
«Fino ad ora, tutte quelle che ti ho portato non ti sono piaciute» disse Gabriel, stringendosi nelle spalle, mentre davanti a lui il ragazzo osservava le caramelle.
«Ma sono quelle...»
«Si»
«Quelle che Dean...»
«Si»
«Ma come...?»
«Ho giocato un po' con il tempo» l'Arcangelo si strinse di nuovo nelle spalle, e abbassò il capo, mentre Sam si rigirava tra le mani quelle caramelle.
Sorrise, il cacciatore, mentre con la mente era ad un Natale di tanti anni prima, quando un giovanissimo Dean era rimasto con lui mentre John era a caccia, rassicurando il suo fratellino e cercando di farlo addormentare. Quella notte, lui se lo ricordava bene, era finita con loro due seduti sullo stesso letto, pescando caramelle da un sacchetto di gelatine alla frutta, aspettando l'alba e il ritorno di loro padre. Da quel momento quelle caramelle alla frutta, e le caramelle alla frutta in generale, erano diventate il dolce preferito di Sam, che ogni volta che riusciva a trovarle le comprava, e poi le divideva con Dean:
Sorrise ancora, e alzò lo sguardo.
Gabriel davanti a lui aspettava un responso con la testa incassata tra le spalle, quasi si aspettasse di essere cacciato via da un momento all'altro.
«Perché?» chiese solo Sam.
«Perché tutte le altre non ti sono piaciute»
«No, intendevo perché le caramelle»
«Davvero non ti viene in mente niente?»
«Certo» sorrise il cacciatore «ma voglio sentirtelo dire»
L'Arcangelo scrollò le spalle, indispettito «vuoi proprio umiliarmi?»
«Non umiliarti» disse Sam, muovendo un passo verso di lui «solo sentirtelo dire»
«Non sono un tipo da rose. Preferisco essere originale» rispose Gabriel, tentando un sorriso, mentre il ragazzo avanzava di un altro passo.
«Non è quello che voglio che tu dica. Avanti Gabe» sorrise Sam, ignaro del calore che si propagò nel petto dell'Arcangelo sentendo quel soprannome «fammi contento»
«Magari volevo essere carino. Giusto un po'. Magari mi piaci, anche, giusto un po'» ammise, mentre il cacciatore compiva l'ultimo passo che li separava, arrivando ad un soffio da lui, e chinando la testa per poterlo guardare negli occhi. Non disse nulla, semplicemente rimase lì, con il cuore che batteva all'impazzata e la gola arida.
«E tu» mormorò Gabriel, fissando i suoi occhi «perché non mi hai ancora mandato via?»
Sam sorrise «Davvero non ti viene in mente niente?»
Anche l'Arcangelo sorrise «Certo. Ma voglio sentirtelo dire»
Il cacciatore inarcò un sopracciglio, ma non ci fu tempo per ribattere, perché improvvisamente le loro labbra si toccavano, e si muovevano le une sulle altre, e Sam cercava di respirare ma non è che fosse proprio facile articolare anche un solo pensiero logico.
Gabriel sorrise, appoggiandosi a lui e mettendogli le mani sui fianchi, e il cacciatore sussultò ma non si ritrasse, mentre la sua mente si disfaceva sotto il tocco caldo della pelle dell'Arcangelo.
Quando poi gli sembrava che oltre non si potesse andare, la lingua di Gabriel scivolò sulle sue labbra, e le gambe del ragazzo minacciarono seriamente di liquefarsi in quel preciso istante.
Si separarono sorridendo entrambi, Sam rosso in viso e Gabriel con gli occhi lucidi.
«Alla fine ce l'hai fatta» mormorò il cacciatore, che stringeva ancora tra le mani il sacchetto di plastica colorata.
«A fare cosa?» chiese l'Arcangelo.
«A trovare le mie preferite» rispose Sam, strofinando il naso contro quello di Gabriel, che sorrise e lo strinse di più, mentre una delle mani del ragazzo scivolava lungo la sua schiena.
«Benedette caramelle» sussurrò, prima di baciare di nuovo il minore dei Winchester.





















NdA
Stasera sono di fretta, quindi sarò breve.
Non è stata betata, perchè è stata scritta all'ultimo minuto e non c'è stato il tempo.
Spero non ci siano errori, ma in caso contrario fatemi sapere e correggerò.
Come al solito grazie a tutti, e spero mi lascere una recensioncina.
Ci si risente lunedì prossimo, e buona settimana (anche buona Pasqua, già che ci siamo)
Un bacio a tutti,
Fanie

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Capitolo 30
*** Livin' on a prayer ***


Rating: Giallo.
Genere: il fluff c'è, ma abbiamo anche un po' di angst, un sacco di malinconia e tristezza galoppante.
Contesto: Intorno al 7x03, quindi un sacco di SPOILER fino a quel punto.
Note: Chiedo perdono per tutto quell'angst, ho provato ad evitarlo ma è finita così. Il finale compensa abbastanza, credetemi.
È una Destiel, a chi interessasse saperlo, e Dean è in versione "disperato e non-ho-più-nulla-per-cui-vivere".
Happy Ending garantita, giuro.


 

Livin' on a prayer





Dean scende dalla macchina e si chiude la portiera alle spalle. Appoggia la schiena al metallo lucido dell'Impala, le braccia incorciate sul petto e il respiro pesante.
Intorno a lui, il nulla.
Si è fermato dopo aver guidato per un'ora buona, parcheggiando in uno spiazzo davanti ad una stazione di servizio ridotta così male che potrebbe benissimo sembrare abbandonata.

Fa vagare lo sguardo intorno a sé senza vedere realmente nulla, e quando un pensiero attraversa la sua mente, facendogli notare quanto quel distributore di benzina assomigli a quello in cui per la prima volta aveva sentito la vera voce di Castiel, subito dopo che l'angelo lo aveva riportato in vita, il cuore gli si spezza ancora.
È passato quasi un mese da quel giorno al lago, e nonostante tutto quel tempo, Dean non è ancora riuscito a perdonarsi. È strano, perché normalmente non avrebbe nemmeno avuto modo di pensarci, di compiangersi o di sentirsi in colpa, perché dopotutto hanno i Leviatani alle calcagna, e il mondo è sull'orlo dell'Apocalisse di nuovo, ma nonostante questo lui si ritrova immerso in quei pensieri sempre più spesso.

È per Cas.
Lo aveva visto scomparire in quel lago, inghiottito dal potere che lo stesso angelo aveva risvegliato, e non aveva potuto fare nulla per fermarlo. Lo aveva visto morire davanti ai suoi occhi, di nuovo, e di un'ennesima morte che avrebbe volentieri affrontato lui al suo posto, per sdebitarsi di tutto quello che Castiel aveva fatto per lui in quegli anni. Eppure era rimasto li, immobile, impotente e inutile, come mai si era sentito in vita sua, a guardare il suo migliore amico morire.
E, come se questo non fosse abbastanza, lo tormenta anche la fredda consapevolezza che questa volta è per davvero. Questa volta, anche se Dean ancora non ha trovato il coraggio di crederci, non ci saranno telefonate da un ospedale, o una mano sulla sua spalla, o un angelo che in una luce sfolgorante compare per salvare il culo ai due Winchester. Questa volta, Cas è morto sul serio, distrutto dal suo desiderio di dimostrare a Dean che ce la può fare, dal bisogno di saperlo fuori da una guerra che il cacciatore non ha mai voluto combattere, dalla necessità di salvare -ancora- l'umanità.
E questo, beh, questo il maggiore dei Winchester non riesce ancora nemmeno a pensarlo, figuriamoci ad accettarlo, e a nulla sono valse le sedute di psicoterapia di Samantha o le birre di Bobby. Castiel è morto, e niente al mondo glielo potrà restituire.

E forse, quello che è seguito alla morte dell'angelo non ha stupito Dean più di tanto, o almeno non tanto quanto si sarebbe aspettato.
Al di là della rabbia, del senso di colpa, dell'impotenza e della profonda negazione di tutto quell'ultimo orribile mese, il cacciatore ha scoperto dentro di sé una nera, radicata e densa disperazione.
Ha perso l'unica persona al mondo che si sia mai fidata di lui così completamente e ciecamente, tanto da mettere in discussione millenni di esistenza e la propria intera famiglia. La persona -si fa per dire- che lo ha riportato indietro dall'Inferno, che lo ha guidato in Paradiso e che lo ha protetto dai suoi stessi fratelli. La persona che, nonostante tutto, lo ha seguito contro il Diavolo, che è morta per lui, che lo ha picchiato e poi curato, e che lo ha amato così profondamente da sacrificare per lui più di quanto chiunque sarebbe mai stato in grado di capire.
La persona per cui lui stesso sarebbe morto cento e cento volte, per cui sarebbe voluto morire, pur di dimostrargli che anche lui, Dean Winchester, si fidava totalmente e incondizionatamente dell'angelo che lo aveva salvato dall'Inferno e da se stesso.
Si sente in colpa per non averlo aiutato, e per non aver capito, e per aver permesso che Castiel andasse da Crowley pur di tenere il maggiore dei Winchester fuori da quella vita. Lo odia, per non aver parlato con lui, per averlo condannato a guardare il suo angelo morire un'altra volta, per essere così dannatamente ingenuo. Ed è disperato, perché si rende conto che questa volta non c'è nulla che lui possa fare per riportarlo indietro, per riaverlo con sé, per potergli chiedere perdono.

Ma nonostante questo, nonostante l'angoscia, lo smarrimento e il dolore, c'è una cosa che Dean non è ancora riuscito a lasciare andare.
Così come nel portabagagli dell'Impala coserva ancora il trench di Castiel, piegato e riposto come se da un momento all'altro l'angelo debba ricomparire accanto a lui, il maggiore dei Winchester non ha ancora smesso di chiamarlo.

In mezzo ad un campo, sotto alla luce pallida del sole, i pungi stretti lungo i fianchi e le braccia che tremano, urla il suo nome fino a farsi andare via la voce, insultandolo e minacciandolo, gridando di riportare il suo culo piumato sulla Terra, perché altrimenti sarebbe salito lui a prenderlo, e gli avrebbe fatto passare la voglia di fare il prezioso a suon di sberle.
Seduto sul suo letto, nel cuore della notte, le mani che tremano e la voce ridotta ad un bisbiglio, mormora il suo nome come una litania, lasciando andare le lacrime lungo il viso, pregandolo di tornare, dicendogli che avevano bisogno di lui, implorandolo di non essere morto. Sussurra che gli dispiace, che non ce la può fare da solo, che darebbe qualsiasi cosa pur di tornare indietro e sistemare le cose.
Steso sul cofano dell'Impala, di sera, con le mani intrecciate dietro la nuca, chiama il suo nome piano, quasi spaventato, sorridendo a volte e chiudendo gli occhi lucidi altre, raccontandogli dei Leviatani, dicendogli che le cose non stanno andando bene, che Sam vede Lucifero. Lo prega di comparire, di sedersi accanto a lui, di venire a dare loro una mano. Sussurra alle stelle quanto il suo angelo gli manchi, quanto tutto quel mondo sia sbagliato, e quanto abbia bisogno di cancellare dai suoi incubi due occhi azzurri inghiottiti dall'acqua di un lago.
E nonostante tutto quel tempo, nonostante non abbia mai ricevuto risposta, lui ancora non riesce a lasciare andare anche quello, perché significherebbe arrendersi per sempre e no, non può. La sola idea lo manda fuori di testa.
E così continua, perché non pare che gli sia rimasto altro, pregare una creatura nella cui esistenza non aveva mai creduto di non essere morta, di tornare da lui, di salvarlo ancora.

Lo fa anche quel giorno.
Si sistema meglio contro il fianco dell'Impala, respira profondamente e chiude gli occhi.
«Cas» mormora.
Ribalta la testa all'indietro, il viso rivolto al cielo, le palpebre ancora abbassate.
Cas, se mi senti... Sono io, Dean. Io... volevo solo dirti che qui le cose non vanno bene, e che avremmo davvero bisogno di aiuto. Sam... Sam sta male, e io non so come aiutarlo. Vorrei poter fare qualcosa, per lui, per te, ma non so cosa, e tutta questa situazione mi sta facendo impazzire.
Neanche con i Leviatani va bene, non sappiamo come fermarli. E beh, io non riesco nemmeno a concentrarmi sul problema, perché... continuo a pensare a te che-
Prende un profondo respiro, senza aprire gli occhi. Non ce la fa nemmeno a formulare il pensiero.
Mi manchi così tanto... Avrei voluto che non finisse così, avrei voluto ascoltarti, aiutarti... Avrei voluto che tu ti fossi fidato di me.
E adesso vorrei solo che tu ti facessi vivo.

Ho bisogno di riaverti qui, perché non... non credo di farcela. Non da solo.
E non sono pronto a lasciarti andare. La verità è che forse non lo sarò mai.

Una lacrima gli scivola sullo zigomo, ma lui è rapido ad asciugarla.
Vorrei che tu venissi a riprenderti quel tuo dannato trench, e che piegassi ancora la testa in quel modo strano. Vorrei doverti spiegare un altro modo di dire, e vorrei insegnarti a guidare e a sparare, perché la verità è che se anche torni come umano e senza i tuoi poteri angelici, a me non interessa, mi basta averti qui.
Apre gli occhi, un'altra lacrima sfugge dalle palpebre, e lui la lascia andare.
«Ti prego, torna da me»
Chiude di nuovo gli occhi, e respira profondamente. È come se cercasse di spingere quel pensiero oltre, nel cielo, in Paradiso e nella mente stessa di Dio, in modo che tutti, angeli, demoni e leviatani, sappiano che quell'angelo, quello che non sa bene come fare per sorridere e che ancora non ha imparato a lasciare un messaggio in segreteria, ha qualcuno che lo aspetta, ha una casa, e non importa se tutti lo vogliono morto, lui ha qualcuno che lo ama e che lo rivuole con sé.

Quando riapre gli occhi, Dean sta guardando lo stesso cielo di prima.
Sa perfettamente che, quando abbasserà lo sguardo, davanti a sé non troverà nessuno. Nessun angelo spiegazzato, nessun capo inclinato, niente occhi blu e cravatta storta.
Sa che anche quel giorno tornerà da Sam da solo, con i suoi rimorsi e la sua disperazione, e sa che probabilmente finirà di nuovo ubriaco fradicio entro qualche ora.
Eppure non può fare a meno di sperarci almeno un pochino, perché dentro di lui si agita ancora una fiammella che è poco più di un lumino nella nebbia, testardo e tenace.
E così lui sussurra di nuovo, al cielo, con la voce spezzata.
«Cas, non lasciarmi solo» dice, e dentro di lui qualcosa si contrae e fa male, fa così male che Dean è tentato di urlare e di non smettere più, perché non è giusto che Castiel sia morto, non è giusto.

Se fosse un romanzo, uno di quei libri che piacciono tanto a Sam, adesso il maggiore dei Winchester abbasserebbe lo sguardo e davanti a lui ci sarebbe un angelo pulito e ordinato come il giorno in cui si sono incontrati, e gli sorriderebbe e gli racconterebbe di come sia riuscito a scappare dalle profondità del lago in cui i Leviatani lo avevano rinchiuso. E Dean lo abbraccerebbe, e sarebbe felice, molto felice, e si limiterebbe a tenerlo stretto un paio di secondi di troppo, ma solo quello, perché Castiel è pur sempre un angelo e non si può fare altro con lui.
Ma la realtà non è un libro, non esistono gli gnomi o i principi azzurri, e quando il cacciatore abbasserà lo sguardo non ci sarà nessuno davanti a lui. Ed è per questo che si prende un paio di secondi in più, tanto per cullarsi ancora un po' nell'illusione che esista ancora una speranza per lui, per loro.
Ma forse si sbaglia, perché nella realtà non esistono i mostri, gli angeli, i demoni e spesso nemmeno il Paradiso. Nella realtà non esistono le streghe, le fate, i draghi e le sirene, eppure lui li ha visti, li ha combattuti tutti, e fino a quel momento ha sempre vinto. Nella realtà nessuno ti riporta indietro dall'Inferno, e nessuno riesce a trascinare un angelo in un bordello.

E forse si sbaglia, perché quando china il capo e apre gli occhi, davanti a lui c'è un uomo in completo blu scuro da esattore delle tasse, con la cravatta storta e un po' allentata, che lo guarda come se si aspettasse qualcosa. E no, è un'allucinazione, perché lui lo ha visto morire e non può essere vero, ma Dean spalanca gli occhi lo stesso e l'unica cosa che riesce a pensare è “Grazie a Dio” anche se non è certo che Dio c'entri. O forse si, non gli interessa.
Non è pulito e ordinato come in un libro e non gli racconterà di fughe roccambolesche da profondità lacustri, ma al cacciatore non importa. A lui non importa di nulla, in realtà.
«Cas» rantola, e l'angelo davanti a lui sorride.
«Dean» risponde, senza sapere cosa fare.
Ma il cacciatore sì, sa cosa fare, e in un passo gli è addosso e lo abbraccia, lo stringe così forte che più vicini non potrebbero arrivare, e la sua fronte è sulla sua spalla, e sta piangendo e nemmeno sa perché. Castiel ricambia la stretta, e gli accarezza appena la nuca, mentre Dean quasi trema e inizia a singhiozzare, mentre mormora parole senza senso che però l'angelo sa essere il suo nome.
«Va tutto bene, sono qui» sussurra l'angelo, e il ragazzo lentamente si calma, ma non lo lascia andare, non può e non vuole.
«Credevo che fossi morto. Credevo che non saresti più tornato» Dean ha il respiro appena sincopato, non riesce ancora a controllarsi e ogni tanto gli sfugge un singhiozzo, soffocato contro la spalla dell'angelo «credevo che non ti avrei più rivisto. E con Sam, i Leviatani... quaesta volta ero certo che non ce l'avrei fatta...» sussurra, e non finisce nemmeno la frase. Ma forse non serve finirla. È esattamente quello che intende. Senza Castiel non ce l'avrebbe mai potuta fare.
«Shhh, shhh» sussurrà l'angelo, strusciando le labbra sui suoi capelli «sono qui adesso, sono tornato»
«Avevo così tanta paura che tu-»
«Smettila, non ha più importanza» dice il moro, e lo stringe così forte che il cacciatore smette di tremare «non dovrai pensarci mai più. Non permetterò che accada di nuovo»
Dean percepisce l'aura di sacralità che pervade quella promessa e si sente all'improvviso più leggero, perché è finita. E adesso lo può perdonare anche per tutte le cazzate che ha fatto, per Crowley, il Purgatorio, il muro di Sam, Balthazar... lo perdona, perché adesso riusciranno a sistemare tutto.
Si appoggia a lui e lascia che l'altro lo sostenga, perché in quel momento sa che potrebbe morire e non gliene importerebbe minimamente. Gli chiederebbe come, perché, da quanto, ma nemmeno quello gli interessa, vuole solo restare li e sentirlo, sentire che è con lui, che non è morto, e Dio quanto lo ama. Lo sapeva già, lo ha capito quando lo ha visto scomparire nel lago, ma ora ne è così certo che potrebbe esplodere e fa male ma è anche così bello, e Dean ormai è certo che il suo cervello sia appena collassato su se stesso.
«Cas» mormora ancora, e sembra essere l'unica parola che riesce ad articolare, ma ha un suono così giusto.
L'angelo sorride, e dondola appena, il corpo del cacciatore che lo segue. Il moro lo sta cullando, dolcemente, e Dean sente che poterebbe sciogliersi in quel momento.
«Ti ho sentito. Ho sentito ogni tua preghiera, ogni tuo richiamo, e credimi se ti dico che la tua voce è l'unico motivo per cui sono qui. Se non fosse stato per te, non sarei mai sopravvissuto. Mi hai tenuto sveglio, Dean» e lo dice con naturalezza, come se non avesse appena fatto esplodere il cuore del cacciatore che stringe tra le braccia, e lo dice sorridendo, come se fosse la cosa più bella del mondo, e lo è.
«Tutte le cose che mi hai detto, tutto quello che mi hai raccontato, mi hanno permesso di combattere, di andare avanti, di non lasciarmi morire. Sono qui solo perché sentendoti ho capito di non poterti lasciare»
Dean solleva il capo e lo guarda. Ha gli occhi ancora lucidi e arrossati, ma adesso sono luminosi, e bellissimi.
«Grazie» dice il cacciatore. Grazie per avermi ascoltato, per non avermi lasciato solo, per non esserti dimenticato di me, per non aver mollato, per non essere morto.
«No, grazie a te» risponde l'angelo, e sorride in un modo tale che Dean capisce di doverlo far smettere o gli si friggerà il cervello guardandolo. E se l'unica cosa che gli viene in mente è baciare quel sorriso, beh, pazienza.
Lo fa, lo bacia, e lo stringe ancora più di prima.
Chissenefrega se è un angelo, ha un così dannato bisogno di sentirlo lì con sé che non gli interessa niente di niente. Ci parlerà lui con Dio, dopo.
Castiel sussulta, ma non si ritrae, e in un attimo sta ricambiando, perché sa perfettamente che è giusto che sia così, che lo vuole anche lui, disperatamente e intensamente tanto quanto Dean. E il cacciatore gli accarezza la nuca, sussulta quando l'angelo gli circonda la schiena con un braccio e sembra quasi che altre lacrime scivolino lungo le sue guance, ma non vi da peso, nessuno del due lo fa.
Si separano senza fiato ma non ce la fanno, ad allontanarsi. Castiel sostiene gran parte del peso di entrambi, in quel momento, e Dean sa perfettamente che non riuscirebbe mai e poi mai a rimettersi sulle sue gambe e lasciarlo andare anche solo per qualche metro.
Lui adesso è suo, completamente, e soprattutto è lì, fisicamente lì.
E si rende conto, certo, di avere un principio di ictus in corso, e che con ogni probabilità il suo cuore non riprenderà mai più a battere normalmente, ma la cosa non lo riguarda in quel momento.
Ha una domanda, una domanda importante.
«Non te ne andrai, vero?»
Cas sorride, e appoggia la fronte sulla sua.
«No» risponde, baciandogli le labbra «mai più»
Ed è li che Dean sorride, davvero e per la prima volta da più di un mese, da quando è successo tutto quel casino, da quando lo ha perso. Sorride, e la disperazione evapora come acqua al sole, e in un attimo non c'è più nulla, nessuna sofferenza e nessun senso di abbandono.
Sono insieme, finalmente, adesso andrà tutto bene.
«Stai bene?» gli chiede l'angelo, e lui si mette a ridere, perché adesso sta veramente bene, e se paragonato a dieci minuti prima, quando non era nemmeno sicuro di riuscire a raccimolare il coraggio per arrivare al giorno successivo, vorrebbe mettersi ad urlare.
«Si, sto bene. E tu?»
«Anche io. Adesso, anche io»
E Dean non riesce a trattenersi, lo bacia di nuovo.















NdA
Perchè si, è lunedì di Pasquetta, altresì detto Lunedì dell'Angelo, e cade poco dopo il primo di Aprile, e visto che tutto questo urla a squarciagola "Gabriel" io cosa faccio? Destiel, naturalmente, e pure angst.

Ok, lo so, sono un disastro, ma mi farò perdonare il prima possibile.
Ho sempre visto Dean messo molto male dopo la morte di Castiel, e una cosa del genere ci sta alla grande, anche se forse il maggiore dei Winchester mi è venuto un po' troppo emotivo. Pazienza, io lo amo lo stesso, e anche Cas.
Spero abbiate passato una buona Pasqua, e come al solito un bacio a tutti voi che leggete/recensite/seguite/preferite/ricordate/ecc.ecc. E un abbraccio alla mia beta, che riesce a leggere queste cose anche quando una qualunque altra persona sana di mente mi riderebbe in faccia e tornerebbe a dormire.
Adesso l'angst lo lasciamo perdere per un po', che dite?
Ah, quasi dimenticavo, il titolo è lo stesso della canzone "Livin' on a prayer" Bon Jovi, che vi consiglio di ascoltare perchè merita (e ve lo dice una che di musica capisce poco e niente)
Basta, un bacio a tutti e buona settimana, in particolare a quei poveri disgraziati che dovranno rientrare a scuola dopo le vacanze.
See you soon,
Fanie

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Capitolo 31
*** Il silenzio è d'oro ***


Rating: Giallo.
Genere: Fluff, un filino di introspezione e una vena comica.
Contesto: Siamo nella quarta stagione.
Note: È una Wincest, perché mi mancavano anche se in questo periodo riesco a scrivere quasi solo Destiel. Con la gentile partecipazione di Bobby Singer, che me li ospita in casa quel tanto che basta a partorire queste OS.

 

Il silenzio è d'oro





Dean scivolò via dal corpo di suo fratello appena si rese conto che fuori iniziava ad albeggiare. Si alzò in piedi e si stiracchiò, mugugnando compiaciuto quando i muscoli delle spalle si sciolsero in una cascata di brividi freddi. Si passò con forza una mano sul viso, soffocando uno sbadiglio, e fece un giro su se stesso alla ricerca dei propri vestiti. Trovò la maglia più o meno dove ricordava di averla lasciata, a terra accanto alla porta, e se la infilò con calma. Un paio di passi più in là giaceva la camicia di Sam, e Dean la raccolse e la appoggiò sul borsone del fratello. I jeans di entrambi erano finiti ammucchiati accanto al letto in un momento non ben identificato della serata, e il maggiore sorrise pensando che nemmeno si ricordava più quanto tempo era che non finiva a dormire con Sam da Bobby. L'ultima volta probabilmente erano ancora ragazzi, Dean si ritrovava a sgattaiolare nel cuore della notte su per le scale fin nella camera al piano di sopra, dove Sam lo aspettava sveglio.

Il maggiore si voltò verso il letto, osservando la figura di suo fratello avvolto dalle lenzuola chiare. Sam ancora dormiva, e la tentazione di ritornare da lui e svegliarlo in modo molto lento e molto piacevole si fece strada prepotente in lui, ma Dean sapeva che se non si fosse fatto trovare di sotto quando Bobby si fosse alzato sarebbe stato davvero imbarazzante dovergli spiegare dove aveva passato pressoché tutta la notte.

Si infilò i jeans cercando di non fare rumore, e con un ultimo sguardo al cielo che andava via via schiarendosi fuori dalla finestra, aggirò il letto e si affiancò a Sam. Gli accarezzò la spina dorsale in punta di dita, e arrivò con i polpastrelli fino alla nuca, dove aprì la mano e la infilò tra i suoi capelli.
Il minore mugolò nel sonno, girandosi a pancia in giù e facendo scivolare il lenzuolo di lato. Dean sorrise, afferrando la coperta e tirandogliela su fino alle spalle in una lunga carezza sulla schiena, poi si avvicinò alla finestra e chiuse meglio le tende, in modo che Sam non si svegliasse troppo presto. Gettò un'ultima occhiata al letto, prima di avviarsi silenziosamente verso la porta.

La sera precedente, il maggiore dei Winchester aveva tutt'altri piani.
Si era quasi addormentato, steso di traverso sul divano sotto alla finestra al pian terreno, con una birra vuota appoggiata a terra e una coperta buttata malamente addosso, quando aveva sentito il tocco leggero della mano di suo fratello sulla spalla.
Per un attimo, la mente annebbiata dal sonno e il suo istinto di cacciatore avevano preso il sopravvento, reagendo contemporaneamente e facendolo tirare a sedere di scatto, gli occhi spalancati e i sensi all'erta.
«Sammy... Che succede?» aveva chiesto, la voce rauca.
Suo fratello aveva sorriso, colpevole, e si era accovacciato a terra, sedendosi sui talloni di fronte a lui.
«Scusami» aveva mormorato «non volevo svegliarti. Non riesco a dormire»
Dean si era passato una mano sul viso.
«Che ore sono?» aveva chiesto.
«Qualcosa dopo mezzanotte» aveva sospirato Sam, appoggiandogli una mano sul ginocchio a mo' di scusa.
Da quando Dean era tornato dall'Inferno, suo fratello faceva fatica ad allontanarsi da lui. Lo guardava in continuazione, lo accarezzava e lo baciava spesso, a volte solo per essere sicuro che fosse davvero lì, che non fosse solo un'allucinazione. E il maggiore lo abbracciava, lo teneva stretto a sé in silenzio, tranquillizzandolo e tranquillizzandosi.
Quella sera non era niente di diverso, ma erano da Bobby e dovevano fare attenzione.
Dean aveva appoggiato una mano su quella di Sam, e il più giovane aveva alzato lo sguardo su di lui, accennando un lieve sorriso, prima di sollevarsi e andare incontro al bacio che il fratello gli aveva offerto.

Non ci era voluto molto prima che finissero entrambi a risalire le scale silenziosamente, ma senza riuscire a separarsi l'uno dall'altro.
Il letto aveva cigolato appena quando vi si erano stessi, e in un'occhiata si erano promessi che quello sarebbe stato l'unico rumore che si sarebbe udito quella notte.
Erano stati bravi, tutto sommato, ma adesso Dean doveva tornare al piano di sopra altrettanto in silenzio, e rimettersi a dormire sul divano come se nulla fosse successo.

Socchiuse la porta e diede un'occhiata al corridoio buio. Niente, nessun rumore e nessun movimento.
Bene, Bobby dorme ancora.
Stava per uscire, quando un mugolio di suo fratello lo fece voltare.
«Dean» mormorò Sam, ancora ad occhi chiusi, allungando appena una mano sul materasso vuoto accanto a sé, alla ricerca del fratello.
«Shhh Sammy, dormi» sussurrò Dean, tornando vicino al letto.
Il minore aprì lentamente gli occhi, e il maggiore si accucciò accanto a lui per incontrarne lo sguardo.
«Dove stavi andando?» chiese il moro, strusciando pigramente il viso sul cuscino e sfilando un braccio da sotto le coperte.
«Di sotto. Devo farmi una doccia e ritornare sul divano prima che Bobby si svegli» mormorò, tenendo la voce bassa per non svegliare del tutto il fratello.
«Che ore sono?» chiese Sam «anch'io devo farmi una doccia» aggiunse, allungandosi per accendere la lampada sul comodino, ma Dean gli afferrò la mano.
«No fratellino, tu non ti muovi» disse, riportandogli il braccio sotto alla coperta «dormi ancora un po'»
Sam sbuffò, richiudendo gli occhi e mettendo su una specie di broncio deformato dalla pressione del cuscino sulla guancia.
Il maggiore sorrise, e si chinò a baciargli leggermente le labbra. Fece per ritrarsi e uscire finalmente da quella stanza, ma il fratello lo trattenne infilandogli una mano tra i capelli.
«Resta ancora un po'» gli mormorò, le labbra che ad ogni sillaba accarezzavano quelle di Dean, e l'altra mano già sul suo fianco.
Il maggiore non se lo fece ripetere due volte, scavalcando il corpo di Sam e salendogli a cavalcioni del bacino. Il minore sorrise, girandosi sulla schiena e sfilando il busto da sotto alle lenzuola, mentre il fratello lo aiutava a sollevarsi appena.
Dean si chinò a baciarlo lentamente, le mani che scorrevano con calma lungo il suo torace nudo. Sam mugolò, staccandosi lo stretto necessario per poter sfilare la maglia al fratello, poi lo attirò a sé per i fianchi. Lui lo baciò con enfasi, poi si spostò di lato e gli morse il collo.
Sam gemette, colto alla sprovvista e incapace di controllarsi, e Dean strusciò il viso contro la sua guancia.
«Maledizione Sammy» mormorò al suo orecchio «fa silenzio»
Il minore voltò la testa di lato, alla ricerca delle labbra del fratello, e il biondo fu ben felice di accontentarlo.
Lo coinvolse in un bacio profondo, intenso e bagnato, ed entrambi dovettero concentrarsi per non gemere nella penombra della camera.

Forse fu per questo che non lo sentirono.
Un lieve cigolio della porta mise in allerta il maggiore, che fece appena in tempo a staccarsi dalle labbra del fratello che la voce di Bobby si fece largo nella stanza.
«Sam? Sei sveglio? Non riesco a trovare Dean. Non è che per caso tu sai dove-»
Il vecchio cacciatore si bloccò sulla porta, gli occhi sgranati e la bocca aperta.
I due fratelli, davanti allo sguardo sconcertato del padrone di casa, rimasero per un lungo momento immobili, ansimanti e a petto nudo, le labbra rosse e gli occhi lucidi, uno a cavalcioni del bacino dell'altro.
Poi il più grande si riscosse. «Merda» gemette, scendendo in fretta dal letto e inciampando alla ricerca della propria t-shirt.
«Bobby, non è come sembra» tentò suo fratello, lo spudorato bugiardo.
Ma il vecchio cacciatore era già uscito, con un lungo gemito che poteva sembrare un “ho bisogno di bere”.















NdA

Salve a tutti!
Premetto che nella stesura di questo capitolo nessun anziano cacciatore di demoni è stato maltrattato e/o ha subito traumi psicologici irreparabili. Solo lievi danni da stress post-traumatico.
Detto questo, facciamo i seri.
Questa OS è dedicata a tutti quei poveri studenti che sono rientrati traumaticamente dalle vacanze di Pasqua. Coraggio, è quasi finita.
E mentre qua si aspetta che si facciano le 21.10 (c'è Star Treck stasera, vedete di guardarlo tutti...), come al solito ringrazio tutti coloro che leggono, che ho scoperto essere veramente tanti. Vi amo un sacco<3
Bene, credo sia tutto. Un bacio alla mia beta, amo un sacco anche lei.
E niente, ci si risente lunedì prossimo, nella speranza che mi lasciate un po' di recensioni.
Un abbraccio,
Fanie

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Capitolo 32
*** Ho bisogno di te ***


Rating: Giallo.
Genere: Fluff, e mi sa che non c'è molto altro da dire...
Contesto: Subito dopo il 5x13, esattamente al termine dell'episodio (per chi non se lo ricordasse, è la puntata in cui Dean e Sam vanno indietro nel tempo per salvare John e Mary Winchester, che Anna sta cercando di uccidere per evitare la nascita dei due fratelli. L'episodio si conclude con Castiel che ricompare nella camera di Motel e sviene su uno dei due letti. Per chi, contrariamente a me, non conosce gli scripts a memoria, è la puntata in cui nasce l'espressione "Team Free Will")
Note: Allora, chiedo perdono in partenza.
Il paring è nuovo, ma non dico niente, come sempre lo scrivo nelle note. OOC ovunque, o almeno così sembra a me... E il titolo è pessimo.
Spero sopravvierete, ci si vede giù.
 

Ho bisogno di te




«Vado a farmi una birra. O magari sei o sette. Vieni con me?» chiese Dean, aprendo la porta.
Sam, ancora in piedi in mezzo alla stanza, spostò lo sguardo su uno dei due letti, dove Castiel giaceva svenuto.
«No, io resto. Baderò a lui» rispose.
Suo fratello scrollò le spalle «è un angelo, Sammy, se la può benissimo cavare da solo»
Il più giovane inarcò un sopracciglio «a te dà l'idea di uno che se la può cavare da solo?»
Dean avrebbe annuito, o ribattuto, in un altro momento, o avrebbe detto qualcosa per far sentire meglio il suo fratellino, dopo tutto quello che avevano passato quel giorno, ma anche lui ne aveva viste troppe.
«Io esco, tu fa come vuoi» disse solo, varcando la soglia e chiudendosi la porta alle spalle, lasciando Sam in piedi in una stanza silenziosa.

Il minore si sedette sul letto accanto a quello dove giaceva Castiel, e lo osservò. L'angelo respirava lentamente, come se stesse dormendo, e il cacciatore pensò che gli angeli non avrebbero dovuto dormire, e probabilmente nemmeno respirare.
In quel momento gli sembrò così debole, così indifeso, e faticava ad immaginare cosa potesse significare per Castiel perdere i suoi poteri, diventare lentamente umano, sempre più vulnerabile e meno autosufficiente.
Poteva quasi rivedere in lui il se stesso bambino, catapultato in un mondo di mostri e troppo piccolo per potersi difendere, o per poter capire. E ripensò anche a Dean, a come si era sempre preso cura di lui, a come lo aveva protetto e gli aveva insegnato a vivere in quella realtà terrificante. Decise, mentre con lo sguardo continuava a vegliare sull'angelo, che si sarebbe potuto prendere lui cura di Castiel, se fosse stato necessario. Se quella storia fosse finita male, se lui avesse davvero perso la sua Grazia e si fosse ritrovato umano, Sam avrebbe potuto badare a lui, insegnargli a fare il cacciatore, ad avere cura di sé, a vivere. Non si vedeva male in quei panni, e con il tempo avrebbe anche potuto trovare il modo di sdebitarsi per tutto quello che l'angelo aveva fatto per loro. Prima o poi, sarebbe riuscito a far capire a Castiel che essere umani può anche non essere tanto male, e che il libero arbitrio è qualcosa per cui vale sempre la pena combattere.
Il cacciatore sospirò, accomodandosi meglio sul letto, appoggiando la schiena alla parete e calciando via le scarpe. Non aveva idea di quanto avrebbe dovuto aspettare, ma sapeva che quando Castiel si fosse svegliato lui sarebbe stato lì.

Ci volle quasi un'ora prima che le ciglia dell'angelo sfarfallassero, per poi aprirsi su due occhi blu ancora un po' appannati.
Castiel si tirò su di scatto, alzandosi in piedi come se detestasse l'idea di restare sdraiato ancora per un secondo, per poi barcollare e accasciarsi di nuovo.
Sam lo prese al volo prima che rovinasse sul pavimento, e lo aiutò a sdraiarsi di nuovo.
«Ehi» gli sorrise, mentre gli sistemava il cuscino sotto alla testa «come ti senti?»
«Umano» sbuffò l'angelo, rifuggendo il suo sguardo.
Sam ridacchiò, sedendosi accanto a lui «Si beh, anch'io. Ti fa male da qualche parte?»
Castiel rimase in silenzio per un momento, come se stesse facendo un esame completo di ogni osso o muscolo.
«La testa» concluse alla fine, riappoggiandosi sul cuscino e chiudendo gli occhi.
«Poteva andare peggio» mormorò il cacciatore, appoggiandogli una mano sulla spalla e stringendo appena, prima di alzarsi di nuovo e andare verso il tavolo.
Accese il PC, sedendosi di fronte al computer, più per avere qualcosa da fare che per necessità di altro genere. Trascorse quasi dieci minuti spostando pigramente il cursore del mouse da una pagina all'altra, alla ricerca di un possibile caso, o più semplicemente di qualcosa che lo tenesse impegnato. Ogni tanto gettava un'occhiata a Castiel, che restava disteso ad occhi chiusi, ma che aveva preso ad aprire e chiudere la mano destra, stendendo le dita prima e stringendo il pugno poi. Sam lo osservò quasi ipnotizzato per un po', ormai dimentico della pagina di cronaca locale che stava leggendo. Poi, ad un tratto, vide i tendini del polso di Castiel risaltare più evidenti, i muscoli contrarsi al massimo e il pugno chiuso tremare per lo sforzo, mentre la fronte dell'angelo si corrugava.
All'improvviso, le luci della camera tremarono, il computer di Sam si spense e il cacciatore scattò in piedi come una molla, in allerta.
Durò un secondo, poi tutto tornò alla normalità le luci si stabilizzarono e l'aria perse quella carica elettrica che sembrava aver acquisito, e mentre il portatile si riavviava, Castiel aprì la mano con un leggero sospiro sofferente.
Sam ci mise un attimo a fare due più due.
«Sei stato tu?» chiese, mentre aggirava il tavolo e si avvicinava al letto.
L'espressione dell'angelo era ancora una maschera di tensione, e quando il cacciatore lesse la sofferenza su quei tratti si preoccupò.
«Si» esalò Castiel, mentre lentamente la sua fronte si distendeva.
«Perché, che succede?» chiese Sam.
L'angelo riaprì gli occhi ma non rispose, voltando la testa di lato.
«Cas...» lo chiamò il cacciatore, sedendosi accanto a lui sul letto.
«Volevo essere sicuro di avere ancora la mia Grazia. Di non essere ancora del tutto umano» rispose lui, riprendendo quel movimento della mano, aperta e chiusa, aperta e chiusa.
«Perché?» chiese ancora il giovane Winchester.
«Volevo essere certo di non essere diventato del tutto inutile»
«Cas» Sam appoggiò una mano sulla sua, interrompendone il movimento spasmodico e quasi disperato, costringendo l'angelo a voltarsi verso di lui «non sei inutile, e non lo sarai mai»
Castiel sorrise, ironico, e quell'espressione strinse il cuore del cacciatore «Si che lo sono. Guardami Sam! Riesco a malapena a far tremare le luci di una stanza»
«Non è vero» il ragazzo scosse il capo «solo qualche ora fa ci hai salvati, di nuovo. Non sei inutile. Devi solo riposare, e riprenderti»
L'angelo voltò il viso dall'altra parte.
«Non voglio essere un peso» mormorò, chiudendo gli occhi.
Sam strinse la presa sulla sua mano, forzando il pungo ad aprirsi e distendendogli le dita «non sei un peso»
Castiel non si mosse, e non rispose.
Sam sospirò «Ascolta. Tu hai riportato Dean indietro dall'Inferno, hai affrontato Raffaele per noi, e hai ucciso chissà quante creature che ci volevano morti. Tu sei un angelo, Castiel, e non smetterai di esserlo solo perché non riesci a far sfarfallare le luci»
Premette la mano sulla sua, intrecciando le loro dita. Sapeva di star oltrepassando un confine che si sarebbe distrutto appena varcato, e non ci sarebbe potuto essere ritorno, ma era così concentrato su di lui, sul desiderio di farlo stare meglio, sul desiderio di vederlo ritornare l'angelo forte e coraggioso che conosceva, che non gli importava. Voleva solo far scomparire la sofferenza e la vergogna dai suoi lineamenti.
Si chinò leggermente su di lui «Noi abbiamo bisogno di te»
Castiel voltò il capo verso il cacciatore, incerto, quasi... speranzoso.
Sam accennò un lieve sorriso, sfumato di colpevolezza «Angelo o no, abbiamo bisogno di te. Io ho bisogno di te» mormorò, mentre gli occhi di Castiel si allargavano e nelle iridi blu si insinuava l'ombra del dubbio.
Il cacciatore lo vide, lo riconobbe e capì. Ammise a se stesso l'errore di valutazione, il passo falso bell'aver osato sperare e la consapevolezza che quello che lui voleva dall'angelo non ci sarebbe stato mai.
Annuì appena, più a se stesso che a Castiel, che ancora lo fissava immobile e incerto, e si allontanò da lui. Non lasciò che il sorriso rassicurante sparisse dal proprio volto, perché voleva che quella conversazione conservasse quella patina di normalità, ma quando lo sguardo gli cadde sulle loro mani ancora intrecciate si sentì un po' morire dentro. Si prese un attimo per assaporare quel contatto, poi si alzò in piedi e lasciò andare l'angelo.
Ma Castiel non glielo permise.
All'improvviso, dai suoi occhi era scomparsa ogni traccia di incertezza, e lui strinse la presa sulla mano di Sam. Lo tirò verso di sé, mentre si metteva a sedere sul letto, e il cacciatore si sbilanciò. Colto alla sprovvista, il più giovane dei Winchester perse l'equilibrio e gli rovinò addosso, fermando la caduta puntando un ginocchio sul letto, vicino al fianco di Castiel.
L'angelo lo sentì cadere verso di sè e gli appoggiò una mano sul fianco, un gesto involontario per aiutarlo a riprendere l'equilibrio, ma che una volta compiuto gli scaldò qualcosa dentro, un confortevole tepore alla bocca dello stomaco. Sam si allontanò appena da lui, ma non si rimise in piedi, ancora sorpreso dal movimento repentino dell'angelo. Da quella posizione, lo sovrastava di poco, il cuore che batteva all'impazzata e la consapevolezza del calore del calore della mano di Castiel intrecciata alla sua, e la pressione dell'altra sul fianco.
«Ripetilo» mormorò l'angelo, talmente piano che a Sam parve di esserselo sognato.
«Che cosa?» chiese, troppo concentrato sul movimento delle sue labbra per riuscire a cogliere il significato delle sue parole.
«Quello che hai detto»
Sam ci pensò un attimo, poi si avvicinò ancora di più a lui e con voce bassissima sussurrò «Angelo o no, io ho bisogno di te»
Gli occhi di Castiel parvero lampeggiare per un istante.
«Angelo o no...» ripeté, come se quelle parole nascondessero qualche significato talmente importante da dover essere colto ad ogni costo.
E l'istante successivo stava baciando Sam, impacciato, inesperto, e il cacciatore si ritrovò a prendere il controllo senza nemmeno volerlo.
Sciolse delicatamente le loro mani intrecciate e appoggiò la propria sul suo viso, inclinandogli appena la testa.
Si muoveva piano, cercando di non spaventare l'altro, e lo accarezzava lentamente e con delicatezza, mentre dentro la sua testa i neuroni si scioglievano lentamente sotto al tocco caldo delle labbra dell'angelo.
Sam sorrise, un poco, senza interrompere il bacio, e inclinando la testa per cambiare angolazione. Mosse piano la lingua sul labbro inferiore di Castiel, ascoltando il suo sbuffo sorpreso e sentendolo poi aprirsi a lui, in completo abbandono. La sua bocca era calda, morbida, e Sam cercò di muoversi con cautela, senza sfondare troppo in fretta tutti i confini, ma l'angelo non sembrava d'accordo, e gli andò incontro.
Nell'istante esatto in cui le loro lingue si sfiorarono l'aria prese a tremare e le luci sfarfallarono. Il cacciatore, a cui la posizione scomoda iniziava a pesare, guidò l'angelo di lato, sedendosi accanto a lui e approfittando della situazione per trascinarselo addosso. Castiel si mosse andandogli incontro ed appoggiandosi a lui, mentre il corpo di Sam si adattava incoscientemente ai movimenti dell'angelo, incastrandosi perfettamente con lui. Il cacciatore si accorse appena della lampada vicino alla porta che esplodeva, troppo concentrato su Castiel, praticamente seduto su di lui, che gli stava togliendo il fiato in un modo schifosamente piacevole.
Non fece una piega nemmeno quando il vetro della finestra parve scricchiolare ed incrinarsi, ma quando la lampada sul comodino si infranse, si ritrasse all'improvviso, in fiato corto, mentre le luci si stabilizzavano e le orecchie smettevano di ronzargli. Ebbe appena il tempo di guardarsi intorno che l'angelo era di nuovo su di lui.
«Cas» lo chiamò, mormorando tra un bacio e l'altro, me lui parve non sentirlo.
«Cas, fermo» ripeté, e l'altro si scostò appena. Il cacciatore vide nei suoi occhi l'incertezza, la paura di aver sbagliato qualcosa, e sorrise rassicurante.
«Guarda» disse, indicando il moncone di lampada accanto a loro «sei stato tu. L'hai fatta esplodere»
L'angelo sorrise come un bambino, e Sam si ritrovò a fissare imbambolato i suoi occhi luminosi. Non poteva credere di averlo baciato davvero.
«Ci riesco ancora...» mormorò Castiel.
«Certo che ci riesci. Sei un angelo» sorrise il cacciatore «il mio angelo»
Lui distolse lo sguardo dalla lampada esplosa, e lo guardò negli occhi. «Grazie» mormorò.
«E di cosa?»
«Di credere in me. A quanto pare» sorrise «la mia Grazia dipende da questo»
Sam sorrise a sua volta. Chissà perché, se ne sentì lusingato.
E questo, naturalmente, gli fece venire un'idea.
«Ehi» mormorò, avvicinandosi alle sue labbra «che ne dici se proviamo a vedere se riesci anche a volare?»
Castiel parve rifletterci un attimo, ma quando la consapevolezza inondò i suoi occhi e l'imbarazzo gli colorò le guance, il cacciatore seppe che cosa gli avrebbe risposto.

Quando Dean rientrò, li trovò seduti davanti al computer a discutere di un nuovo caso, ragionevolmente lontani l'uno dall'altro. Castiel sembrava essersi ripreso, e il maggiore dei Winchester lo salutò contento di rivederlo in piedi e, a quanto pareva, in splendida forma. Non fece caso ai capelli umidi di Sam, che chissà per quale motivo si era fatto una doccia, e non notò nemmeno che, per una volta, la cravatta dell'angelo era stata annodata dritta.















NdA
Per chi venisse giù dalle note, è una Sastiel (Sam + Castiel)

Per gli altri, buonasera.

Visto che ve lo starete sicuramente chiedendo tutti (?), sì, Castiel ha volato, alla fine, ve lo dico io.
Comunque, facciamo i seri. In un colpo solo ho massacrato le tre OTP della serie, devo ancora riuscire a capire bene il come, figurarsi il perchè.
OOC tantissimo, e se la prima volta che ho scritto una cosa così (cfr Debriel cap 17) aveva senso, qua proprio non ce li vedo. Ma dovevo provare, quindi sorry.
Tutto qua, e come sempre grazie a tutti e buona settimana.
Vi avverto che se le cose vanno come devono, il prossimo lunedì avrete una cosa un po' speciale.
Nella speranza che questo capitolo non cada nel dimenticatoio come è solito succedere ogni volta che sforo le solite ship, un bacio a tutti.
Fanie

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Capitolo 33
*** Cicatrici ***


Rating: Spudoratamente arancione.
Genere: Fluff, un filo introspettivo, e poi ci si aspetta che io scriva "erotico". Non è che ci credo molto però.
Contesto: Verso il finale di quinta stagione, subito dopo *spoiler* lo scontro con Pestilenza. L'episodio in cui Castiel ricompare come umano, per capirsi.
Note: Destiel arancione, uno schifo unico ma io posto lo stesso perchè ve l'avevo promessa. Ci si vede di sotto, cercate di non morirmi per la strada.
 


Cicatrici



«Ti ho portato degli asciugamani, se ti andasse di farti una doccia» disse Dean, entrando nella camera e depositando la pila di panni di spugna bianca su una sedia.
Castiel non alzò nemmeno lo sguardo, limitandosi a rimanere seduto sul bordo del letto con le spalle curve e gli occhi fissi sulle proprie mani.
Erano rientrati da poco, lo scontro con Pestilenza era stato debilitante e li aveva sfiancati. Il pennuto sembrava essersi ripreso in fretta, ma a quanto pareva l'adrenalina adesso stava scemando, lasciando il posto alla dolorosa consapevolezza di aver perso la sua Grazia. L'angelo sembrava abbattuto, e il cacciatore si sentiva impotente.
Dean si sedette accanto a lui sul letto, spalla a spalla, e chinò leggermente la testa per incontrare i suoi occhi, ma Castiel non alzò la testa.
«Ehi, Cas, tutto bene?»
L'angelo scosse le spalle «penso di si. Non mi sembra di provare dolore da nessuna parte, quindi presumo di non essere ferito»
Dean scosse il capo «non intendevo quello. Volevo sapere come stai tu, come ti senti»
«Non lo so» rispose Castiel, sconsolato «è una sensazione strana, non sono abituato ad essere così umano»
Dean sorrise, cercando di sembrare rassicurante «non c'è niente di male, credimi. Anzi, alcune cose possono anche essere piacevoli»
L'angelo sollevò lo sguardo, incrociando i suoi occhi, e il cacciatore si affrettò a scacciare dalla propria mente la lunga lista di cose “piacevoli” che gli erano venute in mente pensando a lui e Castiel, un letto e molti vestiti in meno.
Ebbene sì, si era preso una cotta per l'angelo sfigato -perchè lui era Dean Winchester, e c'era di sicuro qualcuno lassù che si divertiva da matti a prenderlo per il culo-, e aveva anche avuto tempo e modo di elaborare la cosa ad un punto tale da poterla accettare. Aveva anche superato la fase da “io non sono gay”, anche se adesso si era un poco arenato allo stadio dei sogni ad occhi aperti in cui un angelo molto nudo lo prendeva e lo ribaltava sul letto. Ma quelli erano dettagli.
«Mi sento così stanco» mormorò Castiel, e Dean sorrise.
«Questo è più o meno l'effetto che fa scontrarsi con un Cavaliere dell'Apocalisse. Dovresti riposarti un po'»
«Sam dov'è?» chiese l'angelo.
«È uscito con Bobby a comprare qualcosa da mangiare, e mi ha lasciato qui a badare a te»
Dean fece una smorfia ripensando a suo fratello che, mentre si chiudeva la porta alle spalle, ghignava divertito dicendogli di “prendersi cura di Cas”. Naturalmente, Sam aveva capito della cotta di Dean per l'angelo molto tempo prima di suo fratello.
«Capisco» rispose laconico Castiel, e il cacciatore decise di lasciarlo stare.
Si alzò in piedi, deciso a tornarsene in cucina a cercare la scorta segreta di wiskey di Bobby, ma le dita dell'angelo si strinsero attorno al suo polso, e un attimo dopo il moro era in piedi davanti a lui.
Il biondo non ebbe il tempo di dire niente, perché all'improvviso le labbra di Castiel erano sulle sue, un po' inesperte ma decise, quasi sapesse esattamente cosa aspettarsi e cosa fare per mandare a puttane il cervello di Dean. Che, per la cronaca, ci mise più tempo di quanto fosse lecito immaginare prima di reagire, e buttare l'angelo sul letto.
Castiel rispose con uno sbuffo sorpreso, ma Dean era già su di lui e lo baciava lentamente, mentre con una mano gli scioglieva la cravatta e la buttava da qualche parte alle sue spalle. In un attimo, l'angelo era libero da trench e giacca, e mentre il cacciatore si sfilava la maglietta, lui si sedette sul letto e se lo trascinò addosso. Il biondo si lasciò cadere a cavalcioni del suo bacino, mentre Castiel faceva vagare le mani sulla pelle della sua schiena, ed era la sensazione più fantastica della Terra.
Dean non ebbe il tempo di fermarsi a chiedersi o a chiedere qualcosa, perché oggettivamente gli mancava l'ossigeno necessario a far processare decentemente il suo cervello, e quando l'angelo iniziò a baciargli piano il collo, decise ufficialmente che non si sarebbe fatto domande inutili. Castiel lo aveva baciato, e in cambio lui avrebbe provveduto al suo “problema di castità”.
Sentiva la propria eccitazione premere nei jeans, e ascoltando gli ansimi scoordinati dell'angelo sul proprio collo, si rese conto che non sarebbero durati a lungo in quelle condizioni, e lui voleva godersi ogni attimo. Rallentò il ritmo, baciandolo piano e stringendo tra le mani la sua nuca, mentre con il bacino iniziava a muoversi lentamente avanti e indietro, le gambe piegate ai lati dei fianchi dell'angelo.
Castiel inarcò la schiena e gli infilò una mano tra i capelli biondi, ansimando.
«Dean... Ti prego» gemette, gli occhi sgranati e fissi al soffitto scrostato della camera.
Il cacciatore sorrise, si staccò dalle sue labbra e risalì fino al suo collo.
Parlò sussurrando direttamente all'orecchio dell'angelo, la voce schifosamente bassa e roca.
«Si Cas? Mi preghi?» mormorò, godendo di quella piccola blasfemia.
«Cosa vuoi che ti faccia?»
Gli diede un bacio sul collo, sotto al lobo.
«Avanti angioletto, chiedimelo. Dimmi cosa vuoi»
Gli morse la pelle della mandibola, e Castiel gemette, aggrappandosi alle sue spalle.
«Io... Dean, non lo so» mormorò incoerentemente, perso nelle sensazioni che la bocca del cacciatore gli stava dando.
Il biondo sorrise, conscio di avere il controllo della situazione e consapevole di avere tra le mani il più ingenuo -e vergine- degli angeli. Gli lasciò un bacio asciutto sulla gola, prima di sollevarsi e sorridergli.
«E va bene» ghignò, guardandolo negli occhi «vorrà dire che mi inventerò qualcosa»
Si alzò in piedi lentamente, cercando di prolungare ogni istante fino all'estremo, e calciò via scarpe e calzini, leccandosi le labbra famelico. Poi si sfilò i jeans, e lo sguardo dell'angelo tremolò un istante, incerto, prima di abbandonare gli occhi verdi del cacciatore e scivolare decisamente più in basso. Dean percepì i suoi occhi scorrere lungo la propria pelle quasi come una carezza, scendendo lungo il collo, poi sul torace e sui fianchi, soffermandosi per un momento sull'elastico dei boxer scuri per poi scendere lungo le gambe. Sorrise dell'espressione di Castiel, qualcosa a metà tra il desiderio e la confusione di chi non sa cosa fare, poi annullò quel passo che lo separava dal letto. Si chinò, appoggiando le mani ai lati del bacino dell'angelo, e lo baciò, affondando nella sua bocca ma lasciandogli tutto il tempo di rispondere come meglio credeva. Il moro si lasciò andare, accarezzandogli il viso con una mano e cedendogli il comando che il cacciatore chiedeva, mentre ad occhi chiusi seguiva Dean nei movimenti.
«Sdraiati» mormorò il biondo al suo orecchio, e l'angelo eseguì senza pensarci, ritrovandosi disteso a pancia in su sul letto, con Dean che gli sfilava con cura le scarpe.
Poi il biondo gli fu di nuovo vicino, scivolando sulla sua pelle con le labbra, in un percorso che sembrava conoscere a memoria per le tante volte che lo aveva immaginato, congiungendo in una scia di baci asciutti il collo alla gola, poi alla mandibola e infine al mento, fino alle labbra, che lo aspettavano già socchiuse e appena ansimanti. Castiel chiuse gli occhi, accarezzando la schiena del cacciatore con le mani aperte, percorrendo il profilo dei suoi muscoli tesi come se cercasse di trovare nel loro movimento una logica, qualcosa che gli sembrasse familiare. Lo trovò quando le sue dita scivolarono sulle spalle del cacciatore, ripercorrendo il profilo della propria impronta, ancora visibile seppur sbiadita. Vi appoggiò sopra il palmo e gemette, ricordando l'Inferno e la più luminosa delle anime, quella che lui stesso aveva trascinato lontano dalla sofferenza per ordine di suo Padre, e che adesso era li con lui, nello stesso letto.
Gli parve quasi impossibile, per un attimo, e si chiese se non ci fosse qualcosa di sbagliato, ma le mani di Dean scelsero quel momento per scivolare lungo i suoi fianchi fino alla fibbia della cintura, aprendola rapidamente.
Il movimento riportò Castiel al presente quasi con violenza, e nella sua mente tamburellò con forza la certezza che nulla al mondo poteva essere più giusto della bocca del cacciatore sulla sua, e delle sue dita sui propri fianchi. Nemmeno il dolore di aver perso la propria Grazia poteva lontanamente offuscare quello che stava provando in quel momento, una sensazione così pura che avrebbe dovuto stonare con il piacere fisico che la lingua del cacciatore gli stava dando, ma che in realtà non faceva che incrementarlo. Era tutto perfetto, niente di più e niente di meno.
Dean fece scivolare il bottone dei pantaloni dell'angelo fuori dall'asola, sorridendo al gemito di Castiel, che sembrava essere completamente sopraffatto dalla sensazione.
Il cacciatore si chiese se avrebbe dovuto fermarsi, o chiedergli se stesse bene, se volesse davvero farlo, se si stesse rendendo conto di quello che stavano facendo, e fu sul punto di farlo. Gli baciò il collo, avvicinando le labbra al suo orecchio quasi spaventato dalla reazione che l'angelo avrebbe potuto avere, e aprì la bocca per parlare.
«Cas» lo chiamò piano, sfiorando con le mani le sue braccia fino ad intrecciare le proprie dita con le sue.
Ma lui forse intuì le sue intenzioni, o forse se lo aspettava fin dall'inizio, e non lo lasciò proseguire.
«Sta zitto, Dean» disse, la voce stravolta e quasi irriconoscibile, nonostante il cacciatore lo avesse a malapena toccato «non fermarti»
Dean sorrise, sollevato, e lo baciò, mentre alla cieca gli abbassava la zip dei pantaloni.
Castiel sollevò i fianchi per aiutarlo a sfilarglieli, e il cacciatore li mandò ad ammucchiarsi da qualche parte insieme ai propri. Si sarebbe preso un momento per osservare il corpo dell'angelo, coperto ancora dal tessuto chiaro della camicia, scosso da brividi e completamente a sua disposizione, ma negli occhi del moro -spalancati e fissi al soffitto- c'era così tanto, qualcosa di così forte e fisso e alienante che non ce la fece. Riprese a baciarlo, godendosi i mugolii che la gola di Castiel riversava direttamente nella sua bocca, chiedendosi se per caso non stessero facendo troppo rumore, se Sam e Bobby fossero già rientrati, ma scoprì che qualunque domanda avrebbe dovuto aspettare, perché l'angelo tra le sue mani sembrava sul punto di impazzire.
«Dean» lo chiamò, cercando di ignorare le mani del cacciatore che avevano preso a scorrere lentamente lungo l'elastico dei suoi boxer, ma non avrebbe saputo cos'altro dire, così lasciò la frase spezzata a metà, permettendo al biondo di interpretare quella singola parola in tutto il disperato bisogno che traspariva dalla voce di Castiel.
Il cacciatore si sedette sulle sue cosce, dondolando appena avanti e indietro, leccandosi le labbra e rabbrividendo al gemito che l'angelo non fu in grado di trattenere quando le loro erezioni si scontrarono.
«Adesso, angioletto» mormorò Dean, portando le mani al primo bottone della camicia «vediamo che cosa nasconde tutta questa stoffa» sorrise, sfilandolo dall'asola e passando al successivo, scendendo così lentamente da dare le vertigini ad entrambi.
«Che spreco» disse, sorridendo «coprire tutto questo ben di Dio. Se tutti gli angeli fossero così ben accessoriati, il mondo sarebbe un posto migliore»
Scese ancora, aprendo un bottone alla volta mentre continuava a dondolarsi piano sul suo bacino, mormorando frasi assurde e illogiche e sorridendo delle reazioni altrettanto incoerenti di Castiel, che sembrava ad un passo dal perdere i sensi.
Era a metà, quando lasciò scorrere un dito sulla stoffa ancora tesa della camicia fino al bordo dei boxer, e percepì sotto al polpastrello qualcosa di strano, come una sorta di attrito. Lo fece ancora, soffermandosi su quello che sembrava essere un disegno sulla pelle del ventre dell'angelo, qualcosa di articolato e sottile, come delle righe intrecciate.
Incuriosito, sfilò un altro bottone, tirando i lembi della stoffa per cercare di vedere al di sotto di essa, ma in quel momento Castiel parve riprendersi.
«No!» disse quasi urlando, e facendo sussultare il cacciatore.
Scattò a sedere all'improvviso, sottraendosi alle mani di Dean e tirandosi indietro, lontano da lui. Si strinse le braccia intorno al corpo, quasi cercasse di proteggersi, e abbassò il capo, ansimando leggermente per un qualche genere di paura.
Il biondo lo guardò allarmato, chiedendosi se per caso non fosse successo qualcosa di grave, o se non stesse per accadere. Magari l'Apocalisse era arrivata e l'angelo l'aveva sentita, o qualche altra stronzata soprannaturale di quello stampo.
Ma Castiel non accennava a muoversi, e il cacciatore si rese conto che doveva essere stata colpa sua. Lo aveva spaventato, si era mosso troppo in fretta, e non gli aveva dato abbastanza tempo per processare tutto quello che era successo.
Idiota, avrebbe dovuto saperlo, quell'angelo, il suo angelo, era vergine, e completamente digiuno di qualunque cosa riguardasse le abitudini umane. Era ovvio che quando lo aveva baciato, quella sera, non aveva in realtà la minima idea di che cosa fare, o di che cosa sarebbe potuto succedere in seguito.
Dean si sentì stringere lo stomaco rendendosi conto che di sicuro aveva frainteso, che Castiel non voleva quello da lui, che probabilmente si era sentito perso e solo senza la sua Grazia, e qualcosa nella sua testa piumata lo aveva fatto agire in quel modo.
Desiderò sprofondare, o scappare via da lì, rannicchiarsi da qualche parte e aspettare la fine del mondo con la testa sotto ad un cuscino, cercando di dimenticare quanto stupido e illuso era stato.
Ma qualcosa nella postura dell'angelo, ancora con le braccia strette al ventre e gli occhi bassi, lo costrinse a scivolare verso di lui, accovacciandosi piano vicino alle sue gambe incrociate.
«Ehi» disse, appoggiandogli una mano sul ginocchio e pregando mentalmente che non si ritraesse «tranquillo, non preoccuparti»
Cercò di suonare rassicurante, sorridendo anche se l'angelo non lo guardava, ricacciando dentro di sé la voglia di fuggire lontano e cercando di incrociare il suo sguardo.
Castiel però non alzò la testa, e Dean decise di levare le tende e lasciarlo in pace.
«Vuoi che me ne vada?» chiese in ogni caso, perché non voleva che lui si sentisse rifiutato, ma che capisse che il cacciatore gli stava solo offrendo l'opportunità di stare un po' da solo.
L'angelo tirò su di scatto la testa, incrociando gli occhi incerti di Dean e leggendovi tutto l'imbarazzo e la delusione «No» disse, in fretta, alzando un po' troppo la voce.
Il biondo batté le ciglia confuso, perché non si aspettava quello, ma Castiel sembrava così spaventato dall'idea di vederlo andare via che non si mosse di un millimetro.
«V-va bene» balbettò, incerto, perché quella non era esattamente la situazione in cui aveva immaginato di trovarsi a quel punto della serata.
«Resto qui» aggiunse, quando Castiel sgranò un po' gli occhi e sembrò diventare ancora più confuso di prima. L'angelo inclinò la testa, e un attimo dopo lo stava abbracciando, tanto che Dean subì il contraccolpo quasi sbilanciandosi all'indietro, ma circondò la schiena del moro ugualmente, accarezzando la pelle attraverso il cotone bianco della camicia.
Castiel strusciò la testa nell'incavo del suo collo, e il cacciatore inspirò il suo profumo immaginando che quella sarebbe potuta essere una delle ultime volte che lo sentiva, perché se anche l'Apocalisse non li avesse uccisi, di sicuro l'angelo non gli sarebbe mai più stato così vicino.
Rimasero così un po', e proprio quando Dean riuscì a ritrovare un controllo tale sui propri nervi e sulle proprie emozioni da riuscire ad accettare l'idea di essere appena stato respinto dall'uomo -angelo- per cui si era preso una cotta spaventosa, Castiel gli baciò il collo.
«Woah» scattò il cacciatore, ritirandosi di colpo. Poteva andare bene tutto, ma iniziava seriamente a sentirsi confuso. Troppi segnali contrastanti, e se già le sue idee all'inizio di quell'assurda serata erano state piuttosto vaghe e indefinite, ora come ora non riusciva a capire nemmeno quali fossero le intenzioni di Castiel.
L'angelo lo fissò con il capo inclinato, e nei suoi occhi il cacciatore lesse il terrore di aver sbagliato, e la paura di venir lasciato solo, di vederlo andare via.
«Cas, io...» Dean si passò una mano sul viso con forza «non riesco a capire»
Si sentì un po' stupido quando si rese conto che stava dicendo una cosa del genere a Castiel, quello che non capiva le cose per principio. Ma l'angelo sembrava avere le idee più chiare di lui, o almeno così parve al cacciatore.
«Cosa non capisci, Dean?»
Certo, continua pure a sognare.
«Te. Non capisco te. Un momento fai una cosa, e quello dopo fai il contrario. Non capisco che cosa vuoi»
Castiel inclinò la testa, e Dio se non smette muoio.
«Voglio te» rispose l'angelo, con tono ovvio, e il cacciatore fu certo di aver sentito una manciata di neuroni esplodere e schiantarsi sul retro delle proprie palpebre in un attimo di luce accecante.
«Ah» esalò, cercando di sembrare meno idiota possibile.
Il moro lo guardò incuriosito per un secondo, poi si chinò lentamente verso di lui, avvicinandosi con calma alle sue labbra. Dean permise alla bocca dell'angelo di schiudersi sulla sua, accarezzando la sua lingua con la propria e seguendone docilmente i movimenti. Chiuse gli occhi, mentre Castiel gli stringeva le spalle e lo spingeva lentamente sulla schiena, sovrastandolo.
Quando fu disteso sul letto e le labbra dell'angelo si furono allontanate dalle sue, il cacciatore si arrischiò a guardarlo negli occhi, chiedendosi per un momento cosa avrebbe fatto, ma lui non gli lasciò il tempo di formulare quella domanda ad alta voce, perché imitò gli stessi movimenti che aveva visto fare al cacciatore solo pochi minuti prima, sedendosi sul suo bacino e dondolandosi un poco. Dean non se lo aspettava e gemette, ma nemmeno Castiel rimase impassibile, gettando indietro la testa e ansimando in un modo che al biondo diede quasi un capogiro. Era la cosa più erotica che avesse mai visto, e si stava parlando di un angelo vergine, nel corpo di un uomo, e per di più ancora mezzo vestito.
Il moro lasciò scorrere lo sguardo sul suo corpo, un attimo prima di accompagnare gli occhi con le dita, e poi con la lingua. Gli baciò il collo, le spalle, il petto, poi gli addominali e l'ombelico, scivolando sempre più in basso.
«Ehi, angioletto» mormorò il cacciatore, appoggiandogli le mani sui fianchi e accarezzando il tessuto scuro dei boxer «che ne dici se questa la togliamo?» chiese, tirando appena il lembo sinistro della camicia bianca.
Castiel tirò su di scatto la testa, scuotendola con forza, una mano che già correva a proteggersi il corpo, come un meccanismo inconscio «no»
Dean si tirò su, mettendosi a sedere, mentre l'angelo scivolava indietro.
«Perchè?» chiese, iniziando finalmente a capire dove potesse essere il problema.
«Non voglio» disse semplicemente, stringendosi le braccia attorno al corpo e guardando il cacciatore dal basso, quasi ne temesse il giudizio.
Il biondo gli appoggiò le mani sui polsi «lo avevo intuito, angioletto. Ma perché non vuoi?»
Castiel abbassò il capo, e finalmente Dean la vide. La vergogna, dipinta nei suoi occhi e sui suoi lineamenti, e anche se non capiva si mosse lo stesso.
Diede uno strattone, e lo ribaltò sulla schiena, le dita ancora sui suoi polsi.
«Cas, guardami» mormorò, accarezzandogli con i pollici il dorso delle mani. L'angelo alzò lo sguardo, gli occhi sgranati.
«Non farò niente che tu non voglia» disse il cacciatore, ed era sincero «ma tu devi dirmi cosa c'è che non va. Non posso aiutarti se tu non me lo permetti»
L'angelo lo fissò per un interminabile secondo, poi abbassò gli occhi «Dean, non voglio»
«Cosa non vuoi?»
«Non voglio che tu veda» disse, ma scostò comunque le braccia dal proprio corpo, scoprendo la camicia spiegazzata e arricciata.
Il cacciatore gli lasciò andare le mani, e scorse con lo sguardo l'addome ancora coperto dal tessuto, poi scivolò con le dita lungo il cotone, fermandosi sul bordo più basso. Non distolse mai lo sguardo dal viso di Castiel mentre uno alla volta faceva uscire i bottoni dalla loro asola senza però mai scostare i due lembi candidi. Sentì qualcosa stringersi dentro di sé quando l'angelo chiuse gli occhi sentendo le sue dita scivolare sull'ultimo bottone, ma il moro non lo fermò, e quando Dean spalancò la camicia, si aspettava di trovare chissà che cosa.
In realtà, quello che vide non era una sorpresa, ma nemmeno qualcosa di atteso.
Fissò per un attimo il simbolo con aria perplessa, cercando di capire in che modo il sigillo anti-angelo inciso sulla sua pelle potesse dare così tanto fastidio a Castiel, ma mentre formulava quel pensiero capì.
Sorrise, scuotendo il capo, e il moro lo guardò dubbioso e anche un po' spaventato.
«Sei davvero un pennuto idiota, lo sai?» chiese Dean, chinandosi sulle sue labbra.
Le reclamò per un breve bacio, poi spostò le gambe da un lato e dall'altro dei suoi fianchi, salendo a cavalcioni del suo corpo.
«Se tu credi davvero di doverti vergognare per quello che hai fatto, di dovertene vergognare con me, sei messo peggio di quanto mi aspettassi»
Con una mano, accarezzò il suo torace finalmente nudo fino alla cicatrice, la pelle appena più chiara del marchio in rilievo tra il profilo delle ossa del suo bacino. Castiel sussultò, ma Dean strappò ogni protesta dalle sue labbra con un altro bacio, mentre in punta di dita percorreva ancora e ancora il sigillo che l'angelo aveva inciso su di sé per permettere a lui e a Sam di salvare Adam.
Il moro si agitò tra le sue mani, ma non si oppose.
«Dovresti saperlo, ormai, che quello che hai fatto è stata probabilmente la cosa più coraggiosa e stupida che io abbia mai visto fare a qualcuno, e ti ricordo che sono un Winchester. Noi viviamo di cose coraggiose e stupide»
Sottolineò le sue parole muovendo il bacino su di lui e gemendo compiaciuto quando le loro erezioni si scontrarono.
«E poi» aggiunse «te l'ho mai detto che io ho un debole per le cicatrici? Ce ne sono alcune che sono così belle che mi è impossibile non fare... questo»
Scivolò in basso, e tracciò i bordi del sigillo con la lingua, mentre Castiel si inarcava con un lungo gemito.
«Dean»
«Sono qui, angioletto»
«Fallo ancora»
«Tutto quello che vuoi» sorrise il cacciatore, afferrandogli i fianchi e mordendo piano la pelle intorno al marchio, mentre l'angelo iniziava ad ansimare.
Castiel non si accorse nemmeno che Dean gli stava sfilando i boxer, ma quando si ritrovò pelle a pelle con il biondo, gemette qualcosa di indistinto, in una lingua che probabilmente non era nemmeno umana.
«Adesso vediamo cosa si riesce a fare con un pennuto vergine» sogghignò il cacciatore, cercando di nascondere la propria situazione, altrettanto pietosa e pericolosamente vicina al limite.
Lo accarezzò, afferrando la sua erezione e strusciando la testa nell'incavo della sua spalla, graffiandogli il collo con l'accenno di barba, e iniziò a salire e scendere lentamente. Castiel si agitò, inarcandosi e sbarrando gli occhi, cercando di spingersi nella sua mano, e Dean glielo permise, aumentando il ritmo e baciando via dalle sue labbra tutti i mugolii che l'angelo non riusciva a ricacciare indietro. Gli morse il mento, mentre i suoi movimenti diventavano più rapidi, e il moro lo strinse a sé più forte, infilandogli la lingua in bocca e irrigidendosi tra le sue braccia.
Il cacciatore accarezzò la punta della sua eccitazione con il pollice ruvido, e in quel momento Castiel venne, gemendo il suo nome e spingendosi un'ultima volta nella sua mano, mentre Dean sfiorava ancora il profilo in rilievo della cicatrice sul suo stomaco.
«Idiota di un pennuto» gli soffiò all'orecchio, mentre l'angelo si accasciava sul letto ansimando, e il biondo continuava a strusciarsi lascivamente sul suo corpo «come potevi pensare di doverti vergognare di una cosa del genere?»
Castiel chiuse gli occhi, godendosi la tensione dell'orgasmo che andava via via svanendo, e cercando di distinguere le parole di Dean dal turbinare confuso e assonnato dei suoi pensieri, e alla fine rispose con un vago mugolio indistinto.
Il cacciatore sospirò, ancora visibilmente eccitato, ma l'angelo non gli diede il tempo di dire altro.
Si alzò in piedi, scrollandosi di dosso il corpo del biondo insieme al torpore che lo stava assalendo, e osservando per un momento l'espressione confusa del ragazzo accanto a lui.
Per un attimo Dean pensò che se ne stesse andando, che lo stesse lasciando lì e che magari si fosse pentito di quella serata, ma poi Castiel gli tese la mano.
«L'offerta della doccia è ancora valida?» chiese, con il suo tono innocente che faceva a cazzotti con gli occhi liquidi e i capelli disfatti, e il cacciatore pensò che non ce l'avrebbe mai fatta ad arrivare all'Apocalisse, sarebbe morto prima.
L'angelo inclinò il capo, inventandosi un sorriso che se Dean non lo avesse conosciuto bene avrebbe giurato che potesse essere malizioso, ma non perse tempo a pensarci.
Si tirò in piedi, avvolgendogli i fianchi con un braccio e premendosi su di lui, ascoltando il gemito che Castiel si lasciò sfuggire quando avvertì le pressione della sua erezione sulla coscia.
Mentre trascinava l'angelo in bagno, sperò con tutto sé stesso che Sam se la prendesse con calma.



















NdA
Perchè sì, io scrivo queste cose e pure le pubblico. Picchiatemi.
Btw, doveva essere una cosa bellina e carina visto che questo è il trentatreesimo capitolo -e il 33 è il mio numero preferito, chissà da cosa lo si capisce-, ma non so se mi piace. Non è stata betata, pechè non c'è stato il tempo, ma prometto che appena avrò un momento la sistemerò un pochino. Prendetela come una brutta copia, ecco.
Niente, tutto qua, spero non siate morti nel tragitto e ci si rivede lunedì prossimo.
Anzi no, pechè il 2 Maggio è il compleanno di Sam. E ho detto tutto.
Baci, e alla prossima.
Fanie

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Capitolo 34
*** Dreams about you ***


Rating: Giallo.
Genere: Romantico, fluff ovunque e un po' di introspezione.
Contesto: Prima dell'inizio.
Note: È una Weecest (sedici e vent'anni) e loro sono l'amore mio. Il capitolo è lungo perchè devo farmi perdonare delle cose. Tante cose. Ci si vede giù, e amate Sam che non è in grado di mangiare senza spataccarsi la faccia.


 

Dreams about you


 

Sam era in piedi sulla porta della camera di Motel, le chiavi della stanza ancora in mano e la bocca leggermente aperta. Non riusciva a muovere un muscolo, e nemmeno ad articolare un pensiero, gli occhi fissi sulla scena davanti a lui e il cuore impazzito nel petto.
Deglutì, sentendo la gola secca, senza nemmeno sbattere le palpebre, tutta l'attenzione catalizzata sullo spettacolo che gli si parava di fronte.
Dean, tutto lentiggini e sorriso smagliante, se ne stava tranquillamente steso su uno dei due materassi, le braccia spalancate e abbracciate alle colonnine del letto, in una posa che ricordava in modo quasi blasfemo il rito d
ella crocifissione. In un certo senso, si ritrovò a pensare incoerentemente Sam, sembrava si stesse offrendo in sacrificio.
Il minore rabbrividì, senza riuscire a smettere di fissare il fratello che, con le gambe stese davanti a sé e le caviglie accavallate, scrollò leggermente le spalle, facendo guizzare i muscoli del petto.
Non indossava nient'altro che un paio di jeans, i capelli scompigliati e gli occhi verdi luminosi risaltavano in modo destabilizzante sulla sua pelle abbronzata, e il sorriso che gli tendeva le labbra era solo l'ennesima pugnalata all'autocontrollo di Sam, che non riusciva nemmeno a coordinare la respirazione.
Dean inclinò la testa, scoprendo il collo, e fece un gesto con la mano in direzione del fratello.

«Sam» lo chiamò, la voce così bassa da non sembrare nemmeno naturale «vieni»
Il minore si mosse in automatico, lasciando cadere le chiavi sul tavolo e la giacca su una sedia, senza smettere di guardare il biondo.
Il maggiore sorrise, staccando le braccia dalla testata del letto e incrociando lentamente le gambe davanti a sé, mentre con un gesto del capo invitava suo fratello a sedersi.
Sam obbedì senza ribattere, catturato dai movimenti di Dean, e quando con lo sguardo scese su di lui, si accorse che non indossava jeans, ma pantaloni di pelle, e
cristosantissimo. Per un momento la sua testa confusa fu attraversata dal dubbio su dove se lo fosse procurato, un accidenti di paio di pantaloni di pelle nera e lucida, a vita bassa e con una stupenda serie di lacci sulla coscia, ma un attimo dopo stava già valutando quale fosse il modo migliore per sfilarglieli di dosso.
«Sam» la voce di Dean lo costrinse a sollevare di nuovo lo sguardo e a incrociare i suoi occhi verdi.
Il maggiore sorrise, allungando un braccio verso di lui, e suo fratello si ritrovò a fissare imbambolato la scatola bianca che lui gli porgeva.
Il più giovane dei Winchester la prese in mano, rigirandosela per un momento tra le dita.

«Aprila» la voce calda di suo fratello spense anche l'ultimo collegamento con la realtà, e un attimo dopo Sam stava sfilando il coperchio.
La aprì, scorrendo con un dito sul velluto nero che la foderava, e
la sua mente si svuotò di conseguenza.
Porca. Puttana.
Con cautela, liberò dalla scatola un paio di manette di ferro, lucide e argentate, troppo leggere per essere quelle a cui erano abituati per la caccia, ma abbastanza pesanti da fargli venire qualche idea.
Un movimento di Dean gli fece alzare lo sguardo, e un secondo dopo stava fissando suo fratello che, con un sorriso da infarto e gli occhi del più navigato tra i demoni tentatori, gli porgeva innocentemente i polsi.

«Che ne dici, fratellino?»

Sam si svegliò di soprassalto, fin troppo consapevole di quello che aveva sognato, e anche abbastanza preparato da preoccuparsi degli effetti.
Ringraziò la sua buona stella per essere solo in camera, e si alzò in fretta per vestirsi, mentre dal bagno proveniva un attutito rumore d'acqua corrente. Si passò con forza una mano sul viso, cercando di schiarirsi le idee e cacciare dalla propria testa gli strascichi di quel sogno.
Negli ultimi tempi, era sempre peggio. All'inizio certo, era stato a dir poco inquietante, ma non aveva avuto nemmeno modo di preoccuparsene, perché quando per la prima volta aveva sognato suo fratello accoglierlo con un bacio sulle labbra erano dietro ad un fantasma che stava dando del filo da torcere a suo padre, e così lui aveva accantonato la questione. Il primo sogno con Dean sotto la doccia, e poi a petto nudo in giro per la camera, lo aveva fatto che erano in Ohio, alla ricerca di un Wendigo che poi si era rivelato essere un orso, e anche in quel momento Sam si era detto troppo impegnato per mettersi a riflettere su quanto strano fosse sognare il proprio fratello bagnato e mezzo nudo. Da lì in poi c'era stato il caso della strega, e poi quell'altro fantasma, e poi una creatura di cui Sam aveva dovuto ricostruire la storia praticamente da zero, con ore e ore di ricerche su internet e in biblioteca. E anche durante le due settimane che avevano trascorso da Bobby non c'era stato il tempo di pensare a niente, perché John aveva bisogno di aiuto per un caso che voleva seguire da solo, e che quindi gli telefonava due volte al giorno. E poi la radio vicino alla poltrona, quella che Bobby ascoltava sempre prima di andare a dormire, funzionava male, quindi Sam l'aveva riparata, insieme al ventilatore in camera e alla lampadina del bagno. E poi Dean aveva insistito per fare pratica con le armi, e suo fratello aveva deciso che un po' di esercizio gli avrebbe fatto bene, e così lo aveva assecondato.
In quasi due mesi, da quando i sogni erano cominciati, Sam non aveva avuto un momento libero per preoccuparsene, e non ci teneva assolutamente a trovare il tempo per farlo.
Il punto era, però, che nelle ultime settimane le cose sembravano aver preso una piega sempre più strana, per non dire inquietante e perversa.
Le ultime due notti erano state qualcosa di troppo simile ai film porno che Dean teneva nascosti sul fondo del suo borsone, per i gusti di Sam. Non è che fosse spaventato, o disgustato, perché in fondo i sogni erano suoi e lui era libero di considerarli come voleva, ma sapeva fin troppo bene che non erano normali. In un modo o nell'altro, doveva affrontare la questione, solo che non aveva idea di come farlo.

«Ben svegliato, fratellino» la voce di Dean lo strappò dai suoi pensieri, e lui si voltò verso la porta del bagno giusto in tempo per vedere suo fratello sistemarsi un asciugamano bianco in vita. Era ancora bagnato, piccole goccioline d'acqua gli scivolavano giù dalle spalle e lungo la schiena, accarezzandogli la pelle in un modo che, Sam ne era sicuro, gli stava causando seri danni psichici. Inutile negarlo, dal vivo era mille volte meglio che in sogno.
Il minore dei Winchester tossicchiò e si voltò per allacciarsi le scarpe, dandogli le spalle. Ci mise volutamente diversi minuti, curando attentamente le pieghe dei pantaloni intorno alle caviglie e poi la lunghezza dei quattro lacci, in modo tale da essere certo che, una volta rialzata la testa, Dean sarebbe stato vestito.
«Allora, dormito bene?» chiese il maggiore, e Sam sentì il tintinnio della fibbia delle sua cintura che si chiudeva.
«Uhm... Si, abbastanza»
Dean sogghignò «ci credo, facevi certi versi... non oso immaginare cosa tu stessi sognando»
Sam alzò di scatto la testa, arrossendo fino alle orecchie, e si voltò verso suo fratello, che si stava sistemando il colletto della camicia e che lo guardava con un sorrisetto odioso.
«N-non stavo sognando niente» disse il minore, ma non suonò credibile nemmeno alle sue orecchie. Maledizione, non era abbastanza lucido per affrontare quella conversazione.
«Certo Sammy, come no» sogghignò Dean, passandosi una mano tra i capelli umidi «comunque, hai visto papà?»
Sam scosse il capo «era già uscito quando mi sono svegliato»
Il maggiore sorrise «bene. Questo vuol dire che ci lascia la giornata libera»

Trascorsero il resto della mattinata in Motel, pulendo le armi e gironzolando pigramente su internet alla ricerca di un possibile caso, mentre aspettavano che John rientrasse, ma il padre dei due fratelli non si fece vivo fino a ora di pranzo, quando spedì a Dean un laconico messaggio in cui diceva che non sarebbe tornato prima di sera, forse anche più tardi.
Sam allora propose di andare a comprare qualcosa da mangiare, e suo fratello lo accontentò. Finirono a pranzo in una sorta di tavola calda semideserta, non esattamente il massimo ma neanche tanto male. Dean ordinò una birra, lasciando che il minore ne bevesse un po', e ridendo quando gli rimase una traccia di schiuma sul labbro. Sam sorrise a sua volta, grato di quella giornata di libertà e della presenza del maggiore accanto a sé.
«Domani è il tuo compleanno» disse ad un tratto Dean, come se fosse qualcosa a cui pensava spesso e per cui non riusciva mai a trovare il tempo di parlare.
Sam annuì, riempiendosi la bocca con le patatine del fratello, che gli scacciò la mano ma sorrise.
Il maggiore parve rifletterci un attimo, e stava per dire qualcosa, quando il suo cellulare squillò.
«Pronto? Si. Siamo andati a mangiare in quel bar vicino al Motel. No, adesso torniamo indietro. Quanto tempo ci vorrà? Parti adesso? Va bene. Si, ci penso io. Sissignore. A più tardi»
Dean sospirò, chiudendo la chiamata.
«Indovina chi era» disse a suo fratello, che sorrise e si ingozzò ancora di patatine.
«Dice che avevamo ragione, il fantasma è quella donna trovata morta nel lago, ma che a quanto pare non è stata sepolta qui. La sua tomba si trova nella sua città natale, a circa duecento chilometri da qui. Papà vuole chiudere questa storia, quindi parte adesso, e sarà di ritorno per domani. Mi ha detto di salutarti, e di occuparmi di te»
Sam scrollò le spalle «meglio. Se starà via tutta la notte, domani non avrà voglia di ripartire. Magari per una volta riusciremo a dormire fino a tardi» sorrise, ma Dean lesse tra le righe, come faceva sempre.
John non sarebbe tornato in tempo, e probabilmente sarebbe stato nervoso e stanco, abbastanza da dimenticarsi anche del compleanno del figlio. Non sarebbe stata questa grande novità.
«Ehi, ci sono io qua» disse alzandosi dalla sedia e tirando fuori dalla tasca un paio di banconote stropicciate «ti toccherà sopportarmi per tutto il giorno, fratellino»
Mentre Dean andava alla cassa a pagare, Sam sorrise. Magari suo fratello non lo sapeva, ma lui non avrebbe potuto chiedere di meglio.

Trascorsero il pomeriggio a guardare la tv stravaccati sul letto, litigandosi il telecomando e punzecchiandosi a vicenda. Il maggiore tirò di nuovo fuori la storia dei sogni per dare fastidio a suo fratello, e il minore arrossì violentemente, ma oltre a quello Dean non si spinse. Chiamarono anche Bobby, per chiedergli come andassero le cose, e per dirgli che John era a caccia da solo. Di sicuro il vecchio cacciatore si sarebbe preoccupato di tenerlo d'occhio, se ce ne fosse stato bisogno.
Dean non era tranquillo all'idea che il loro padre fosse così lontano da loro per un caso, ma Sam si preoccupò di distrarlo, e alla fine il maggiore lasciò perdere. John se la sarebbe cavata benissimo.
Arrivò la sera quasi troppo in fretta, e quando Sam iniziò a sbadigliare Dean spense la tv e lo costrinse ad andare a dormire.
«Quei sogni così movimentati ti fanno stancare, eh Sammy?» scherzò, e suo fratello emise un verso soffocato, mentre quasi si strozzava con la sua saliva.
Dean rise, e il minore si avvolse stretto tra le coperte, desiderando sprofondare. Il maggiore spense la luce e si stese sul letto.

Dopo un po', Sam si rigirò tra le lenzuola.
«Sei sveglio?» sussurrò suo fratello, e lui rispose con uno sbuffo.
«Sam, cosa vuoi per il tuo compleanno?» chiese Dean, a voce bassa.
Il minore scosse il capo nell'oscurità «niente»
suo fratello sbuffò «non mi piace come risposta. Ritenta e sarai più fortunato» cantilenò.
Lui sorrise «davvero Dean, non voglio niente. Sto bene così come sono»
Il maggiore grugnì, sarcastico, ma Sam non disse nulla.
Dopo un po', il minore si voltò verso il fratello, riuscendo a scorgere il profilo del suo corpo nella penombra.
Sospirò «Solo...»
Dean voltò il capo verso di lui, incrociandone lo sguardo «Solo cosa?»
«Solo... vorrei un altra giornata come questa»
Si sentì un idiota per averlo detto, e ancora di più quando suo fratello non replicò.
«Buonanotte Dean»
«Buonanotte Sammy»

Il minore si addormentò poco dopo, avvolto dalle coperte e con la mente immersa di nuovo in un sogno come quelli che popolavano le sue notti da un paio di mesi a quella parte. Suo fratello invece rimase sveglio a lungo, fissando il vuoto davanti a sé e ripensando a quello che aveva detto Sam, “un'altra giornata come quella”, chiedendosi che cosa mai avesse avuto di tanto speciale.
E poi ripensò a quello che aveva sentito mormorare al fratello nel sonno, mentre si agitava tra le lenzuola, e ricordò come era suonato il suo nome sulle sue labbra, un “Dean” soffocato ma udibile, quasi una preghiera. Sorrise, per un istante, immaginando di aver sentito bene, e pensando a come le cose sarebbero potute essere se quello che Sam aveva chiamato nel sonno fosse stato veramente lui, durante un sogno che tutto poteva essere tranne che fraintendibile.
Sarebbe stato bello, bellissimo, e per un attimo lo desiderò con tutto se stesso, ma non ci sperò nemmeno un istante, perché non sarebbe stato giusto, e non sarebbe stato corretto nei confronti di suo fratello e di se stesso.
Alla fine, quando il sonno iniziò a prendere il sopravvento, sorrise e si distese pigramente tra le coperte, mentre nella sua mente si formava un'idea sulla giornata successiva.



***



Dean era in piedi in mezzo alla stanza, il corpo coperto solo da un asciugamano di spugna, i capelli umidi gocciolavano sulle spalle bagnate. Sorrideva, gli occhi verdi illuminavano il viso e facevano tremare le ginocchia a Sam, che per fortuna era seduto. Dal letto, osservò suo fratello avvicinarsi a passi lenti e misurati, e passarsi pigramente una mano tra i capelli.
«Dormito bene, fratellino?» chiese, scivolando con le dita sulla propria nuca e poi sul collo «sai, ti ho sentito fare degli strani versi nel sonno» ghignò, mentre la mano passava sulla gola e poi giù sul petto «chiamavi il mio nome, lo sai Sam?»
Il minore deglutì a vuoto, mentre le dita di suo fratello scivolavano sul
proprio addome e poi sul fianco, fino al bordo dell'asciugamano.
«Perché non me lo fai risentire, uhm?» sorrise, catturando gli occhi di suo fratello con i propri «il tuo nome sulle tue labbra suona così bene, Sammy» aggiunse, afferrando la spugna bianca e facendo tremare di aspettativa suo fratello «potrei quasi abituarmici»
Con un gesto secco, strappò l'asciugamano, che si ammucchiò a terra con un tonfo morbido, e sorrise malizioso a suo fratello, che emise un respiro spezzato.


Sam si svegliò di colpo, ma riuscì a non sussultare. Aprì gli occhi di scatto nell'oscurità, sbattendo per un attimo le palpebre per adattare la propria vista all'assenza di luce.
Nella stanza si sentivano dei lievi fruscii ovatti, una cerniera che veniva aperta e poi chiusa, il tintinnio delle chiavi che venivano infilate in tasca.
Lentamente, iniziò a distinguere il profilo dei mobili, e il contorno di una figura che si muoveva nella camera, evidentemente cercando di non fare rumore.
Dean era vestito, la giacca addosso e le scarpe infilate, e camminava in giro a tentoni, cercando di non sbattere contro i letti o il tavolo. Scavalcò alla cieca un borsone e arrivò alla porta. A Sam parve girarsi per un istante verso di lui, poi abbassò la maniglia e un raggio di luce si intrufolò nella stanza, rischiarando ogni cosa.
«Dean» lo chiamò suo fratello, la voce roca da sonno.
Il maggiore si bloccò sulla porta, e si voltò a guardarlo.
«Ehi, fratellino, ben svegliato» sorrise, mentre Sam si passava una mano sul viso e si metteva a sedere «pensavo stessi dormendo»
«Dove stavi andando?» chiese il più giovane, e per un attimo una parte di lui si aspettò che Dean stesse uscendo e lo stesse lasciando da solo per chissà quanto tempo. Il giorno del suo compleanno.
«Volevo andare a comprare delle ciambelle. E un po' di torta di mele, ovviamente» sorrise il maggiore «ma dato che sei sveglio possiamo andarci insieme. Forza, vestiti e usciamo»
Sam sorrise «perché? Cosa devi farci con delle ciambelle?» chiese, mentre suo fratello richiudeva la porta e spalancava le tende.
Dean si voltò «che idiota che sei, fratellino» sorrise, mentre si avvicinava al letto «devi proprio farmelo dire, eh?»
Sam annuì, convinto, senza smettere di sorridere.
«Dio, quanto ti odio quando fai il sentimentale» sbuffò il maggiore, roteando gli occhi, mentre suo fratello si alzava in piedi.
«Lo so» rispose il moro.
Dean lo tirò a sé, stringendolo in un abbraccio protettivo «Buon compleanno, fratellino» mormorò tra i suoi capelli, lasciandogli un leggero bacio sulla fronte.
Sam sorrise, grato di quel contatto, e si crogiolò un attimo di troppo tra le braccia di suo fratello, prima di lasciarlo andare e vestirsi.

Fecero colazione in una caffetteria, mangiando ciambelle e torta di mele, e Dean sorrise quando Sam si sporcò le labbra con la panna, e ordinò una seconda fetta per dividerla con lui.
Trascorsero la mattinata in giro per la città, perdendo tempo tra un parco e una sala giochi, mentre aspettavano che John chiamasse per avvertire che stava tornando.
Quando il cellulare di Dean squillò, il maggiore lasciò suo fratello al bancone di un fastfood e uscì per rispondere. Rientrando, trovò Sam seduto ad un tavolo nell'angolo, con due cheesburger e una porzione doppia di patatine fritte, e si preoccupò di nascondere la fronte corrucciata dietro ad un sorrisetto.
«Ma guarda che fratello premuroso, mi hai preso le patatine» ghignò, ma il minore nemmeno lo considerò.
«Che cosa ha detto papà?» chiese, mentre Dean prendeva posto davanti a lui sulla panca.
Suo fratello alzò le spalle «è tornato al Motel. Dice che ci lascia la macchina, se vogliamo andare a farci un giro, mentre lui si scrolla di dosso un po' di tensione»
Sam scosse il capo «è andato a seppellirsi in un bar, vero?»
Il maggiore scrollò il capo «probabile. Lo rivedremo stasera» disse, addentando il proprio panino.
Trascorsero un paio di minuti in silenzio, finché Sam non riuscì a racimolare il coraggio necessario a porre la domanda successiva.
«Se ne è scordato, vero?»
«Certo che no» disse Dean, che se lo aspettava fin dall'inizio «mi ha detto di farti gli auguri»
«Non è vero» disse Sam, sorridendo comprensivo «non difenderlo. So che se ne è dimenticato»
«Sammy, sai come stanno le cose. La caccia...»
«Si, la caccia, il caso, il fantasma. Lo so. Volevo solo saperlo»
Dean lo guardò abbassare gli occhi e infilarsi in bocca una manciata di patatine, e non aggiunse altro.

Il pomeriggio trascorse esattamente come la mattinata, visto che nessuno dei due aveva voglia di tornare al Motel, e i due fratelli passarono il tempo in giro per la città, cercando di stare lontani dai posti in cui la gente aveva conosciuto Dean come il giovanissimo agente Williams, partner del ben più esperto agente Smith, impegnati nell'indagine sugli omicidi sospetti.
Prima ancora che potessero accorgersene, il sole iniziò a calare all'orizzonte, e decisero di fermarsi fuori a cena. Il maggiore provò a chiamare il padre per sapere se avesse fame, ma il cellulare squillò a vuoto senza che nessuno rispondesse, così Dean lo spense e si dedicò a prendere un po' in giro suo fratello, che pareva non essere in grado di mangiare una pizza senza sporcarsi il mento di pomodoro.
Mentre camminavano per tornare al Motel, Sam diede una leggera spallata al maggiore, che sorrise e lo spintonò più forte.
«Grazie, Dean»
«Per cosa?»
«Per il regalo. Hai esaudito il desiderio» mormorò, arrossendo appena.
«Non c'è di che, puttana»
«Fesso»

Arrivarono nel parcheggio del Motel che era già buio, i lampioni accesi ad illuminare le strade poco trafficate. Si fermarono per un momento davanti alla porta, mentre Dean giochicchiava con le chiavi della camera.
«Forza, entriamo» sorrise Sam, che avrebbe fatto di tutto pur di prolungare quella giornata all'infinito. Stava bene con suo fratello, si sentiva al sicuro, e poteva essere se stesso. Sogni a parte, con lui era felice.
«Hai davvero tutta questa voglia di andare a dormire?» sorrise il maggiore, guardandolo di sottecchi.
Sam arrossì «in effetti, no»
«Molto bene, allora» disse Dean «aspettami qui»
Sparì dentro alla loro camera, e un attimo dopo ne emerse sventolando le chiavi dell'Impala, con un sorriso a trentadue denti.
«Papà dorme, non se ne accorgerà» disse, mentre si dirigeva verso la macchina, parcheggiata davanti alla reception del Motel.
Sam rimase impalato a fissarlo, sorridendo appena, con il cuore che batteva forte nel petto. Forse lo amava. Che assurdità, pensarlo in quel momento, ma forse lo amava. E tanto anche.
«Allora, non vieni?» sorrise Dean, aprendo lo sportello della macchina.
Il minore sorrise, scuotendo il capo, e lo raggiunse correndo.

Parcheggiarono in uno spiazzo deserto, lontano dalla città e abbastanza buio da fare paura a chi di mestiere non facesse... beh, quello che facevano loro.
Dean scese dalla macchina e Sam lo seguì, imitandolo quando si stese sul cofano dell'Impala, con le braccia intrecciate dietro alla nuca. Il maggiore gli passò una birra tirata fuori da chissà dove, e quando suo fratello inarcò un sopracciglio, lui scrollò le spalle.
Bevvero in silenzio, osservando il cielo che nonostante la stagione era abbastanza limpido da lasciar intravedere le stelle, luminose rispetto allo sfondo scuro.
«Sogni mai, Sam?» chiese Dean, ad un tratto.
Il minore quasi si strozzò con la birra, tossicchiando leggermente, mentre suo fratello ridacchiava divertito.
«Sammy, cerca di non ucciderti proprio il giorno del tuo compleanno» lo prese in giro, ma questo non diminuì l'imbarazzo del più giovane. Sapeva che Dean voleva una risposta.
«N-non lo so. Non mi capita spesso» smozzicò, guardando altrove.
«Non mentire, Sam, non sei capace» sogghignò suo fratello.
L'altro non rispose, e così rincarò la dose.
«Dai, avanti, ormai sei un bambino grande, penso che tu ce la possa fare a dare una risposta intelligente, con un paio di frasi di senso compiuto»
Nonostante il tono scherzoso, Dean doveva sapere. Aveva deciso, dopo averlo sentito sospirare di nuovo il suo nome nel sonno quella mattina, che non poteva esserselo immaginato. Voleva capire.
«A volte. Di recente più spesso» disse Sam, bevendo a canna un altro sorso.
«E cosa sogni?»
Il minore si schiarì la voce. Se avesse mentito, suo fratello se ne sarebbe accorto. Se ne accorgeva sempre.
«Noi. Me e te. A volte a caccia, o al Motel, o nell'Impala. Niente di che» sorrise, cercando di mascherare la tensione.
Dean giocherellò con la birra, cercando di prendere coraggio. O adesso o mai più, si disse.
«E sospiri il mio nome nel sonno perché...?» buttò lì, cercando di non farla sembrare un'accusa. Non lo era, era più una supplica. Voleva la verità, solo quella.
«Dean... non è come pensi» trasalì Sam, senza guardarlo.
«Non penso niente» sorrise il fratello, cercando di sembrare rassicurando «ehi, Sammy, tranquillo. Non ti giudicherei mai»
Ma il minore non lo ascoltava. Scese di scatto dal cofano dell'Impala, facendo due passi indietro, gli occhi sgranati. Lasciò cadere la bottiglia.
«N-non è come pensi. Giuro che... giuro che non volevo. I-io...» balbettò in preda al panico, e Dean fu subito vicino a lui, mentre una parte del suo cuore esultava. Aveva ragione, aveva avuto ragione fin dall'inizio. Dio, era così bello.
«Sammy, ehi, ehi guardami» sorrise, prendendolo per le spalle e scuotendolo leggermente «non preoccuparti, sono qui»
Il minore alzò gli occhi, inchiodandoli nei suoi, e Dean vi lesse il terrore, la confusione, insieme al senso di colpa.
«È tutto a posto, fratellino» gli disse, rassicurandolo, e spostando le mani dalle spalle al suo viso.
Sam prese un respiro profondo, chiudendo per un attimo gli occhi.
«Scusami» gemette «mi dispiace. I-io non so cosa-»
«Shh, smettila Sam. Non voglio saperlo. Dimmi solo una cosa» mormorò Dean, avvicinandosi ancora di più a lui. Erano alti uguali, nonostante la differenza di età, e da quella distanza potevano guardarsi perfettamente negli occhi «vorresti il mio regalo di compleanno?» chiese, accennando un sorriso e scendendo per un attimo con lo sguardo sulle sue labbra, così da permettergli di capire senza fraintendimenti.
Sam colse al volo, e arrossì violentemente, sentendo le gambe venire meno. Si, si e si, lo voleva più di ogni altra cosa, e non gli sembrava nemmeno possibile.
Non osò parlare, ma annuì leggermente, osservano il sorriso di Dean allargarsi e la sua lingua guizzare per un attimo sul suo labbro inferiore.
Lo vide avvicinarsi lentamente e inclinare il capo, e come al rallentatore sentì il fiato di suo fratello sulla propria pelle, e pensò che sarebbe morto prima di poterlo baciare.
Ma l'attimo successivo le labbra di Dean erano sulle sue, ed erano la cosa più fantastica che gli fossero mai capitata in tutta la sua vita. Il maggiore si mosse piano, spostando una mano dalla sua guancia alla nuca, mentre l'altra si appoggiava sul suo fianco, una pressione calda e rassicurante che distrusse anche le ultime remore di Sam. Il minore si spinse un po' contro di lui, schiudendo le labbra e invitando Dean a fare lo stesso. Le loro lingue si accarezzarono ed entrambi chiusero gli occhi, stringendosi l'uno all'altro quasi con foga, mentre si esploravano a vicenda, mordendosi ed accarezzandosi.
Ed un attimo dopo era finito.
Sam si ritrovò ad aprire gli occhi e ad annegare in quelli di suo fratello, spalancati e lucidi esattamente come i suoi. Brillavano nell'oscurità e, Dio, sorridevano, sorridevano così tanto.
«Ehi» mormorò Dean, vicino alle sue labbra ma non abbastanza.
«Ehi» sorrise Sam, ed era sicuro di essere arrossito come una ragazzina.
«Ora me lo puoi dire, sai, cosa sogni di notte» ghignò il maggiore.
Il minore inclinò il capo «se per te fa lo stesso, posso mostrartelo» sussurrò, lasciandogli un leggerissimo bacio a fior di labbra.
Il biondo rincorse la sua bocca e se ne appropriò di nuovo, cercando di trattenere un sorriso che invece si schiantò contro la lingua di Sam, che sorrise a sua volta ma lo baciò comunque, crogiolandosi in quel calore.
Era perfetto, niente di meno.
«Buon compleanno, fratellino»
















NdA
Intanto, perdono.
Dopo 33 capitoli di preciso ed onorato servizio, ho saltato la prima pubblicazione, e mi dispiace. In realtà quello di sabato non era uno dei classici appuntamenti, quindi non so se vale come ritardo. Ad ogni modo metto il capitolo oggi, e mi scuso ancora perchè volevo prima spezzarlo, poi riscriverlo, sistemarlo, correggerlo... e alla fine non sono riuscita a postare. Perdono, davvero.
In ogni caso, colgo l'occasione (?) per dirvi che da qui in avanti, almeno fino a Giugno, la pubblicazione potrebbe subire dei ritardi, o addirittura saltare dei capitoli, perchè in questo momento io non ho nemmeno il tempo per vivere, figuriamoci scrivere. Farò del mio meglio, giuro, ma non so se ce la farò ad essere sempre puntuale. Ma non spaventatevi, non smetterò di """allietarvi""" le settimane con i miei Kisses.
Bene, credo sia tutto.
Per quanto riguarda questo capitolo, è dedicato alla mia beta, che sbava dietro a Sammy dalla prima stagione, e segretamente spera ancora di veder realizzato quanto descritto in questa OS. Sogna cara, sogna <3
Basta, tutto qua. appena possibile risponderò anche alle recensioni.
Vi amo tutti, un bacio,
Fanie

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Capitolo 35
*** Hearts ***


Rating: Più verde di così si muore.
Genere: Fluff, quasi da far schifo, e un filo di romanticismo.
Contesto: Prima stagione, ma solo perchè Sam ha la frangia.
Note: Dovevo pubblicare tutt'altro, ma ci si è messa in mezzo la vita e non ho avuto il tempo. Così ho pensato ad un'alternativa a quello che sarebbe stato un capitolo lunghissimo, ma neanche quello ha funzionato molto bene. Nasceva come una Wincest malinconica da terza stagione, è finita con una Wincest fluffosa da prima, che però non dice un bel niente. Ci si vede giù.

 

Hearts

 

Dean sentì qualcosa muoversi accanto a lui, ma non era abbastanza sveglio per badarci. Si limitò a mugugnare un paio di parole indistinte nel sonno, mentre aspettava che la lucidità del risveglio gli venisse in aiuto, ma quando una voce che conosceva bene sussurrò un pigro “shhh” vicino al suo orecchio, smise ogni resistenza. Si mosse sul letto, tirandosi un po' indietro per fare spazio accanto a sé, e facendo scivolare una parte del cuscino verso il nuovo arrivato. Non si curò delle coperte che si stavano avvolgendo attorno ai suoi fianchi, era troppo stanco, ma ebbe la premura di non ripiombare subito nel sonno.
Magari avrebbe dovuto aspettarlo sveglio. O magari non bere così tanto.
Suo fratello non sarebbe dovuto rientrare così tardi, ecco cosa, e glielo avrebbe sicuramente detto, appena fosse riuscito a far funzionare contemporaneamente abbastanza neuroni da coordinare l'apertura delle palpebre.

Sam si sfilò le scarpe sorridendo, la giacca già abbandonata a terra insieme alla camicia e ai jeans, e si infilò piano tra le coperte. Il braccio di Dean pendeva ancora nel vuoto oltre il materasso, come sempre fin da quando erano piccoli, e il minore lo piegò per non fargli male con il proprio peso, poi appoggiò la testa sul cuscino, vicino al viso del fratello.
Il maggiore si mosse un poco, stringendosi a lui e incastrandosi con il suo corpo, gli spazi lasciati liberi da uno riempiti dall'altro.
Avrebbe voluto punirlo, perché non doveva stare fuori così a lungo, ma sarebbe stato un po' ipocrita, visto che lui aveva passato la serata a bere, e poi avrebbe richiesto energie di cui Dean non era certo di disporre.
Sam sorrise, avvicinando il viso a quello del fratello, che percepì il suo movimento anche ad occhi chiusi e glielo permise, appoggiando la fronte alla sua.
«Fratellino» biascicò nel sonno, interrompendosi subito dopo.
«Si, Dean?»
«Puzzi di alcol» sorrise, e Sam sentì il suo fiato infrangersi sulle proprie labbra.
«Senti chi parla»
«Ehi, porta rispetto, sono il maggiore» borbottò, molto coerentemente.
«E io sono il più alto. Non vedo cosa questo centri con l'alcol» sorrise Sam, e Dean mugugnò qualcosa di indistinto, prima di dargli un colpetto con la fronte, che nel suo immaginario sonnolento sarebbe dovuto essere una testata.
Suo fratello forse lo intuì e sorrise intenerito, avvicinandosi a lui per lasciargli un leggero bacio sulle labbra, che ebbe l'immediato effetto di far sciogliere la smorfia sul viso del maggiore. Dean parve quasi sorridere, prima di allungarsi verso di lui per prolungare quel contatto, sempre ad occhi chiusi.
Ma il minore non glielo permise, e si strinse di più a lui, intrecciando una gamba con le sue.
«Sammy, vuoi anche il ciuccio?» biascicò Dean, ormai quasi del tutto sveglio, senza però osare opporsi ai movimenti del moro. Non lo avrebbe mai ammesso, ma gli piaceva.
Lui sospirò, e per tutta risposta scivolò lungo il suo corpo, fino ad appoggiare la testa sul suo petto, e sospirare soddisfatto. Sapeva che suo fratello faceva tanto il sostenuto ma che in realtà sarebbe rimasto tutto il giorno a farsi coccolare da lui, quindi decise di prendersi tutto lo spazio che voleva.
Dean sbuffò, ma non riuscì a risultare infastidito quanto era nelle sue intenzioni, e così lasciò perdere. Trascinò pigramente un lembo del lenzuolo a coprire suo fratello fino alle spalle e se stesso fino ai fianchi, poi si lasciò andare di nuovo sul materasso, la mente che già rincorreva i residui di un sogno.
Sam si agitò ancora un momento, ma quando una delle mani del maggiore andò ad infilarsi pigramente tra i suoi capelli, le dita che premevano appena sulla nuca prima di ritirarsi e intrecciarsi con la frangia troppo lunga, si rilassò e appoggiò finalmente l'orecchio sulla sua maglietta, lasciandosi andare ai battiti del suo cuore. Era un po' più rapido del proprio, quello che sentiva rimbombare nella testa, e così rimase ad ascoltarlo finché non rallentò, sincronizzandosi al suo. Si concentrò su quel suono, lento e rassicurante, così forte e presente, e lentamente si lasciò andare all'intorpidimento, chiudendo gli occhi mentre il respiro del fratello si faceva regolare.














NdA
'Sera, a tutti.
Premetto che non avrei mai scritto una cosa del genere, ma o così o niente Kiss, e mi si stringeva il cuore. Spero di riuscire a farmi perdonare lunedì prossimo con tutt'altro genere.
Altra cosa. Nella mia solita e immensa fortuna, mi si è rotto il tasto della "T". Non ridete, lo sto schiacciando con una matita, ed è orribile. E non so perchè ve lo sto dicendo, ma ho come la strana sensazione che se vi faccio un po' di pena mi perdonerete per quanto scritto sopra.
Tutto qua, alle recensioni risponderò appena il prof di Chimica smetterà di inseguirmi con una frusta minacciando di farmi sbranare dai cerberi rimandarmi.
Per il resto niente, baci a tutti e alla prossima,
Fanie

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Capitolo 36
*** Good Luck ***


Rating: Verde, magari lime.
Genere: Fluff, Romantico e comico.
Contesto: Sesta, lì in giro. Non ha una vera e propria ambientazione. Nessunissimo spoiler.
Note: Sono fierissima di questo capitolo. Doveva essere una sciocchezza da mezza pagina, e invece si è rivelata una cosa stupenda e pucciosa. Amo Sam, dico davvero.
È una Destiel comunque, perchè io sto guardando l'ottava e si, sono praticamente canon.

 

Good Luck



«Dean, sei pronto?» sbottò Sam, per quella che poteva essere la quarta volta.
Suo fratello tentennò. «Quasi» rispose alla fine.
Il minore roteò gli occhi, chiudendo di scatto la zip del borsone con dentro le armi.
«Andiamo?» chiese, mentre il biondo si sistemava la giacca addosso.
«Ehm... Aspetta, il telefono» disse l'altro, allungandosi verso il comodino e infilandosi il cellulare in tasca.
«Adesso sei pronto?»
«Credo... credo di si» rispose Dean, ma non si mosse. Rimase in piedi in mezzo alla stanza, le mani che torturavano il calcio della pistola.
Sam lo osservò con le sopracciglia inarcate, prima di sbottare definitivamente «ti dai una mossa?»
«Si, arrivo» disse l'altro, il tono irritato, ma non fece altro che prendere in mano il borsone e passarselo da una spalla all'altra, sotto allo sguardo allibito e ormai sospettoso di suo fratello.
«Sei sicuro di sentirti bene?» chiese infatti, facendo un passo avanti.
«Certo Sammy, sto benissimo» rispose lui, senza però fare nulla per fugare i dubbi del minore, rimanendo fermo impalato in mezzo alla stanza.
«Dean...» sospirò Sam, avvicinandosi ancora, mentre suo fratello faceva di riflesso un passo indietro «va tutto bene?»
«Bene, benissimo, a meraviglia, mai stato meglio» rispose in fretta l'altro, sollevando le mani davanti a sé «andiamo» disse, facendo un cenno verso la porta.
La speranza era che Sam lo precedesse, ma suo fratello non colse l'antifona.
«C'è qualcosa che vorresti dirmi? Sai che con me puoi parlare di tutto. Dico davvero. C'è qualcosa che ti preoccupa, o che-»
«Alt, stop, fermo lì. Non mi trascinerai in una delle tue conversazioni a cuore aperto, sorellina» lo bloccò Dean, sfuggendo abilmente allo sguardo interrogativo del minore «Ora prendi le armi e andiamo, quel covo non aspetterà di certo noi»
«Se lo dici tu...»
Sam prese in mano il borsone e aprì la porta. Poi si voltò e gettò un'occhiata dubbiosa a suo fratello, che invece di seguirlo aveva ripreso ad armeggiare con una delle loro sacche da viaggio.
«Dean?» sospirò.
«Sto cercando il macete. Hai visto il mio macete?»
«Ce l'hai legato al fianco. Sicuro di stare bene?»
«Certo che sto bene»
Sam uscì, appoggiandosi allo stipite della porta e aspettando che il maggiore lo raggiungesse, cosa che sembrava ormai solo un sogno irrealizzabile.
Dean infatti aveva ripreso ad aggirarsi nella stanza, come se fosse alla ricerca di qualcosa di fondamentale alla sopravvivenza umana, o per lo meno alla sua.
«Cosa c'è ancora?» sbottò Sam.
«La fiaschetta dell'acqua santa. L'hai vista?»
Il minore inarcò un sopracciglio. «Acqua santa? Stiamo andando a caccia di vampiri, per la miseria, cosa te ne fai dell'acqua santa?»
Dean scrollò le spalle «voglio essere prudente. Cos'è, un crimine?» sbottò, sollevando di scatto il cuscino dal suo letto per controllare al di sotto di esso. Niente.
«Senti, non è che magari sei... non lo so, preoccupato per qualcosa?» buttò lì Sam, mentre suo fratello infilava la testa in un'altra sacca da viaggio.
«No Samantha, sto bene. Voglio solo la mia maledetta fiaschetta»
Il minore sospirò.
Tentennò ancora un attimo, poi scosse il capo «ti aspetto in macchina» disse, e si chiuse la porta alle spalle.

Appena fu uscito, Dean tirò su di scatto al testa.
«Era ora» sbottò alla stanza vuota.
Lasciò cadere di scatto il borsone sul letto, si voltò e sollevò il viso verso il soffitto.
«Castiel» chiamò, e un attimo dopo un fruscio lo avvertì di una presenza angelica alle sue spalle.
«Ciao Dean» lo salutò una voce familiare, tanto per cambiare ad un palmo dal suo orecchio.
Il Winchester scosse il capo ma sorrise, voltandosi verso di lui. «Non imparerai mai, eh?»
Castiel inclinò la testa di lato, corrucciando le sopracciglia, ma Dean non aveva il tempo di spiegargli niente.
«Sto andando a caccia» disse, fissando l'angelo negli occhi.
Lui annuì, serio e attento, ma non disse nulla.
«Vampiri» aggiunse allora il biondo.
Castiel annuì di nuovo. «È pericoloso?» chiese, dopo un momento.
«Forse. Probabilmente» rispose Dean.
«Necessiti del mio aiuto?»
«Non credo, no»
«Sam crede che la mia presenza possa esservi utile?»
«Sam non sa che ti ho chiamato»
L'angelo inclinò il capo, di nuovo «e allora perché sono qui?»
Dean sorrise, una via di mezzo tra un ghigno malizioso e un'espressione intenerita.
Gli accarezzò il tessuto del trench con una mano, stirandone una piega, prima di riportare lo sguardo su di lui.
«Non mi auguri buona fortuna per la caccia?» chiese.
«...Buona fortuna?»
«Si, Cas, buona fortuna. È quello che si augurano gli umani quando stanno per affrontare una prova difficile e sperano di superarla»
«Oh. Certo. Allora, ehm, buona fortuna, Dean»
«Grazie Cas»
Si fissarono per un momento.
«Adesso posso andare?» chiese l'angelo, dopo quella che parve un'eternità.
Dean sorrise «c'è ancora una cosa» disse «quando ci si augura buona fortuna, certe volte ci si scambia anche un gesto che accompagni la speranza di un buon esito. Tipo una stretta di mano, o un abbraccio, o, beh, un bacio»
Castiel inclinò il capo «vuoi che ti abbracci?»
Il cacciatore roteò gli occhi «No, Castiel»
«E allora cosa? Non capisco»
«Davvero, angioletto? Dopo tutto quello che ti ho fatto un paio di sere fa, quando Sammy era fuori, non ti viene in mente niente che potresti fare in questo contesto?»
L'angelo lo guardò per un lungo istante.
«Dean» disse infine «tu mi hai detto che non devo baciarti quando Sam può vederci»
«Infatti» confermò il cacciatore «ma Sammy è in macchina, adesso»
«Non è esatto» lo corresse Castiel «in relatà ci sta osservando dalla finestra»
Dean avvampò, facendo un salto indietro «c-cosa?» smozzicò, senza avere il coraggio di voltarsi.
L'angelo si limitò ad alzare le spalle e a fare un cenno verso le tende.
Il cacciatore si girò lentamente, giusto in tempo per vedere suo fratello minore nascondersi dietro al muro, presumibilmente sghignazzando come un matto.
«Figlio di puttana» sbottò il Winchester, rosso in viso.
Scosse il capo, passandosi una mano sulla bocca. Grandioso.
«Dean» lo chiamò l'angelo, e il cacciatore si voltò di nuovo verso di lui.
«Cazzo Cas, potevi avvertirmi»
«Scusami. Non avevo idea che potesse darti fastidio»
«Certo, come no» sbottò il cacciatore «senti, ora devo andare, mi aspetta il viaggio in macchina più lungo della mia vita»
Afferrò il borsone e si diresse verso la porta, ma un braccio forte si avvolse intorno alla sua vita, e lo costrinse a girarsi. Castiel lo baciò prima ancora che avesse il tempo di protestare, ma Dean non lo avrebbe fatto comunque, quindi era ok.
Si lasciò baciare come una tredicenne, l'angelo che lo sosteneva e gli occhi inspiegabilmente chiusi, mentre le sue mani scivolavano sui suoi fianchi e li stringevano possessivamente.
Si lasciò sfuggire un gemito sorpreso quando Castiel fece scivolare la lingua tra le sue labbra, ma accettò l'intrusione di buon grado, lasciandosi guidare e fregandosene altamente di suo fratello, il pervertito guardone.
Quando si separarono, non osarono allontanarsi.
«Buona fortuna, Dean» sussurrò l'angelo sulle labbra del cacciatore, e lui sorrise, le lentiggini in risalto sulla pelle chiara.

Quando il maggiore dei Winchester salì in macchina, Sam sedeva al posto del guidatore, e non aveva ancora smesso di ridere.
«Sta zitto» gli intimò suo fratello, ma questo non fece assolutamente nessun effetto al minore, che non si preoccupò nemmeno di nascondere l'enorme sorriso che gli attraversava il viso da parte a parte.
«Ora capisco molte cose, fratellone» ghignò, mettendo in moto l'Impala.
«Non. Fiatare»
«Certo, certo» ironizzò Sam.
«Dico sul serio. Non una parola, con nessuno.»
«Si, come no. Aspetta che lo sappia Bobby! Questa conversazione sarà solo un piacevole ricordo» rise il minore, mentre suo fratello lo guardava storto, incenerendolo con un'occhiata.
Dean accese la radio, alzando il volume abbastanza da infastidire Sam, che però non smise di ridere.
Trascorsero in silenzio i successivi minuti, e il maggiore si rilassò, contento che suo fratello avesse lasciato perdere.
Proprio quando aveva iniziato a canticchiare la canzone che passava in quel momento, il più giovane si voltò verso di lui, controllando la strada con la coda dell'occhio, e Dean suo malgrado fu costretto a girarsi e ad incontrarne lo sguardo.
Si fissarono per un attimo, poi il minore ghignò.
«L'hai trovata la fiaschetta, alla fine?»
Dean sbuffò, arrossendo. «Sta zitto, Sam»
 





















NdA
Sera a tutti.
Come va?
Allora, first of all, cosa non sono questi tre? Non so se amo di più Sam e Dean o Dean e Cas. Credo che non lo capirò mai.
Spero che sia piaciuto quanto è piaciuto a me, perchè si, ho adorato scrivere questo capitolo.
Altra cosa. Nelle recensioni qualcuno mi ha chiesto una cosa che credevo di aver già specificato ma a quanto pare no, ovvero quanti capitoli mancano. Allora, tanti. Dico sul serio, non ho nemmeno previsto un numero di oneshots o una data di chiusura, perchè ho una valanga di prompt e ho intenzione di scriverne la gran parte. E quando avrò deciso che è ora di inziare a farsi una vita e chiuderò la raccolta, giuro che avvertirò con laaaargo anticipo.
Basta, that's all. Aspetto le recensioni, e come al solito un abbraccio a tutti quanti (lettori, recensori, inseguitori, preferitori (?), eccetera eccetera).
Alla prossima gente.
Fanie

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Capitolo 37
*** Little talks of (Arch)angels and men ***


Rating: Giallo.
Genere: Fluff, e leggermente comico.
Contesto: Vago.
Note: Cortissimo, ed è un genere di scrittura che non ho mai usato prima. Personalmente mi piace, e l'ho provato su una coppia che secondo me è perfetta per questo esperimento, ma fatemi sapere cosa ne pensate. Ci si vede giù;)

 

Little talks of (Arch)angels and men




«Ma porc- Gabriel! Mi hai fatto prendere un colpo!»
«Scusa, Sammy»
«Guai a te se mi compari di nuovo alle spalle in quel modo»
«Oh, ma quanto siamo permalosi. Cosa stai facendo?»
«Una ricerca. Stiamo seguendo un caso»
«Mmm... Posso aiutarti in qualche modo?»
«Ad esempio togliendo quella mano da lì»
«Va bene...»
«Dico sul serio. “Togli” non significa “sposta più in alto”»
«Sei sicuro che non posso aiutarti in alcun modo...?»
«Di sicuro non in quel modo, razza di angelo ninfomane»
«Certo, fingi che ti dispiaccia»
«Chiudi quella bocca»
«Va bene... Attorno a cosa?»
«Gabriel!»
«Si, dolcezza?»
«Piantala di... di provocarmi. Dean sta facendo la doccia, se ci trova qui insieme non sarà un bello spettacolo»
«In questo caso dovremmo sbrigarci»
«Oh no, non ci provare nemm-umf»

«Allora? Vuoi ancora che “tolga quella mano da lì”?»
«Sadico»
«Aggettivo curioso da attribuire ad un arcangelo. Se vuoi che me ne vada, basta che tu me lo dica»
«Ti detesto»
«Come? Non ti ho sentito...»
«Gabriel, datti una mossa»
«E con Dean, come la mettiamo? Non vorrei mai che uscisse dal bagno e ci trovasse... cosi»
«Mpf»
«Cosa, Sammy?»
«Piantala di fare il bastardo»
«Scusa, proprio non capisco che cosa vuoi da me...»
«Sta zitto e baciami»
«Certo pasticcino»

















NdA
Ehilà, salve a tutti.
Allora, che ne dite? A me piacciono un sacco, poi ditemi voi.
Dopo un sacco di capitoli in cui non scrivevo di loro, mi sembrava ora di pubblicare una Sabriel. La mia beta la pensava allo stesso modo.
Btw, spero vi sia piaciuta, e se riscontrerà il successo che spero ci riproverò più avanti, magari con un altro paring.
Tra l'altro, amo anche il titolo, che conoscendomi userò di nuovo.
Beh, that's all. Alla prossima gente, e un bacio a tutti.
Fanie

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Capitolo 38
*** Tricking the Devil ***


Rating: Giallo, più o meno.
Genere: C'è un filo d'angst, un po' di malinconia e la solita ondata di fluff.
Contesto: Settima stagione, con variegati spoiler fino a metà. Direi che se avete visto il 7x17 siete a posto.
Note: Finisce bene, non preoccupatevi. È una Wincest, con la gentile partecipazione di un personaggio che io amo, ma non vi dico chi è perchè se no spoiler (anche se già dal titolo...). Ci si vede in fondo, e buona lettura.

 

Tricking the Devil



Dean si svegliò di soprassalto quando il lungo gemito spezzato di suo fratello interruppe il silenzio ovattato della camera, invadendogli con forza i timpani e riportandolo con brusca forza alla realtà buia e fredda della notte.
«Sam» chiamò allarmato, le dita già avvolte intorno al calcio della pistola sotto al cuscino, e mentre faceva scattare l'interruttore della lampada sul comodino, cercò di fare mente locale su dove fossero, a caccia di cosa e a quanto dalla chiusura del caso. I suoi occhi non si erano ancora aperti del tutto che già la sua mente galoppava alla ricerca del mostro che poteva essere in agguato nel buio, e del modo migliore per mettere suo fratello e se stesso al sicuro nel minor tempo possibile.
La luce nella camera dilagò contemporaneamente al sussurro di Sam, un mugolio addolorato in risposta alla preoccupazione del fratello maggiore.
Dean ci mise un solo istante a registrare che nella stanza erano soli, che nessuna creatura demoniaca li stava attaccando e che il minore era sdraiato a pancia in su sul letto, gli occhi chiusi con forza e le mani premute sulle orecchie. Capì immediatamente cosa stava succedendo, e dopotutto se lo sarebbe dovuto aspettare, ma si sentì male ugualmente, una morsa allo stomaco che lo fece immediatamente rabbrividire, un sapore amaro in bocca. Mollò la pistola e divorò in un passo la distanza tra il suo letto e quella di Sam, sedendosi accanto a lui, cercando di ignorare la stretta che gli attanagliava le viscere, una via di mezzo tra la preoccupazione e il senso di colpa per la totale impotenza di quella situazione.
«Sammy» lo chiamò dolcemente, scostandogli una ciocca di capelli sudati dalla fronte, ma il minore gemette più forte, rannicchiandosi su un fianco lontano da lui e sfuggendo al suo tocco, le mani ancora premute ai lati della testa, il petto che si alzava freneticamente come se fosse in preda ad un incubo.
«Sam» Dean lo scosse appena per una spalla, il tono fermo ma comunque dolce, preoccupato «ehi, sono io»
Il più giovane parve riconoscerlo, e mormorando il suo nome si voltò verso di lui, premendo la fronte contro il suo ginocchio piegato, senza aprire gli occhi. La presenza del fratello parve calmarlo, perché il suo respiro perse quella nota sincopata, ma il ragazzo non riuscì a smettere di lamentarsi, gemendo sommessamente.
«Non se ne va» mormorò, la voce roca e spezzata, i palmi ancora sulle orecchie «non mi lascia in pace. Non mi lascia dormire»
Dean strinse i pungi. «Lucifero?» chiese, anche se conosceva già la risposta.
Sam annuì appena contro la sua gamba «sta grattando le unghie... le u-unghie su una lavagna. N-non lo sopporto. Va avanti da ore»
Il maggiore rabbrividì al solo pensiero. Appoggiò una mano sulla schiena del fratello, accarezzandolo piano da sopra la maglietta scura, completamente impotente davanti al potere e al sadismo del Diavolo. Si sentì stringere il cuore al pensiero di quello che Sam stava passando, privato del sonno da giorni e completamente incapace di reagire. Si sentiva furioso, era arrabbiato con se stesso per il solo fatto di non poterlo aiutare in alcun modo, perché sentiva che tutta quella situazione, in qualche modo, era colpa sua.
Ad un tratto il minore si irrigidì, rannicchiandosi ancora di più contro il suo fianco, e gemendo forte, quasi il dolore fosse fisico.
«Sam! Che succede?» chiese il maggiore, allarmato.
«Dean» lo chiamò il fratello, terrorizzato «la tua voce. Sta urlando con la tua v-voce. Io... è come quando i cerberi ti hanno ucciso... Non riesco, non posso sopportarlo»
Sam tremava, le mani premute con forza sulle orecchie, i muscoli tesi allo spasmo sotto alla mano calda del maggiore, mentre nella sua mente si affollavano i ricordi di quella notte di Maggio* di anni prima, quando tra le braccia aveva stretto il corpo martoriato di suo fratello.
Dean raggelò. Non sapeva cosa fare, non poteva fare nulla.
Strinse i denti. «Sam. Sam, guardami» intimò, la voce ferma «ehi, fratellino, sono qui»
Appoggiò le mani del suo viso, voltandolo dolcemente verso di sé, mentre sotto alla sua presa il minore continuava a tremare e a gemere sommessamente.
Sam spalancò gli occhi, e incontrandone lo sguardo Dean trattenne il fiato, mentre inconsciamente si avvicinava a lui.
Il minore aveva gli occhi lucidi, arrossati, e le lacrime già scivolavano inesorabile lungo il suo viso, schiantandosi contro le dita di suo fratello. Le pupille erano dilatate, grandi e scure, ma vuote, come se oltre ad esse non ci fosse niente, nessuna consapevolezza e nessuna coscienza. Sam era altrove in quel momento, disperso in un abisso di ricordi dolorosi e sangue. Percepiva nelle torture di Lucifero i proprio ricordi, la paura e la solitudine, insieme alla consapevolezza di non essere riuscito a salvare suo fratello. Il Diavolo attingeva a quello, a quella parte della sua vita che il minore dei Winchester aveva così gelosamente tenuto nascosta e lontana dalla propria vista, e con essa lo tormentava, mischiando la memoria della sua vita e quella dell'Inferno, risvegliando il dolore con la voce di Dean.
Il maggiore immaginò come potesse essere quella tortura, avere la voce del proprio fratello nella testa, e non poterla ignorare, non poterla scacciare. Ricordava le urla di Sam nella Panic Room di Bobby, quando ce lo aveva rinchiuso per smaltire gli effetti del sangue di demone, e il pensiero di essere costretto ad ascoltare quel tormento all'infinito senza potervi porre fine gli fece accapponare la pelle.
«Ora basta» ringhiò, premendo con più forza la mano sulla schiena di Sam «tutto questo deve finire»
Spinse il corpo del minore di lato, costringendolo a stendersi sul letto, dopodiché si sdraiò accanto a lui, stringendoselo addosso, mentre Sam gemeva e affondava il viso nel suo petto, la fronte premuta sulla clavicola. Lui gli cinse la schiena con le braccia.
«Basta, ti prego, basta» sussurrò il più giovane, e dopo un attimo di confusione Dean capì che si riferiva alla tortura del Diavolo. Sentì la rabbia montare dentro di sé, e strinse il fratello con più forza, intrecciando le gambe con le sue e trascinandoselo ancora più vicino.
«Sam» sussurrò, le labbra ad un soffio dal suo orecchio, la voce calma e rilassata «ascoltami. Sono qui. Sto bene»
Prese ad accarezzargli la nuca, intrecciando le dita ai suoi capelli «sono tornato indietro, ricordi? Castiel mi ha riportato in vita. Sto bene, stiamo bene»
Sam parve rilassarsi, o perlomeno smise di tremare tra le sue braccia, e Dean si arrischiò a sospirare in un moto di sollievo.
«Va tutto bene, fratellino»
«Continua... Ti prego, Dean, continua a parlare»
«Sono qui, Sam, è tutto a posto. Non permetterò che qualcuno ti faccia del male, nemmeno il Diavolo nella tua testa. Ricordi? Sei la mia spina nel fianco, e io mi prenderò sempre cura di te»
Il minore annuì contro il suo petto, ora rilassato.
«Ha smesso» mormorò, quasi spaventato all'idea che se lo avesse detto troppo forte la tortura sarebbe ripresa «non lo sento più»
«Va bene, Sammy, non preoccuparti. Ci sono io qui»
Il minore sollevò lentamente la testa, strusciando la fronte prima sul collo e poi sulla guancia di suo fratello, che sorrise e lo strinse ancora di più. Sam lo baciò, felice e sollevato di poterlo fare di nuovo senza la voce viscida e disgustosa del Diavolo a mormorargli all'orecchio quanto sporco e sbagliato fosse. Dean ricambiò, con calma, grato a chissà chi di esserci riuscito, qualunque cosa avesse fatto.
«Sono così stanco» mormorò Sam, nascondendo di nuovo il volto nell'incavo del collo del fratello.
«Shhh, Sammy. Dormi. Nessuno ti farà del male stanotte»
Il minore si addormentò poco dopo, per la prima volta da giorni, mentre Dean rimase sveglio ancora a lungo, accarezzandogli piano la schiena e la nuca.
Quando fu certo che Sam si fosse addormentato, si sporse all'indietro per spegnere la lampada.
Avevano poche ore prima che il sole sorgesse di nuovo, e lui aveva intenzione di sfruttarle al massimo.
Ci pensò un attimo, a quello che aveva detto, a quello che aveva fatto, e un moto di sollievo si schiantò nel suo petto quando si rese conto di aver trovato il modo di aiutare suo fratello.
Si rannicchiò contro il suo corpo nel buio della stanza, e sorrise all'oscurità, immaginando che Lucifero li stesse osservando.
«Ti ho fregato, figlio di puttana. Di nuovo» ghignò, prima di appoggiare la fronte tra i capelli di Sam e chiudere finalmente gli occhi.
Nemmeno Satana poteva niente contro i Winchester.








*Maggio, ovvero quando Dean muore nella quarta stagione. Non so se esiste una data precisa, ma sappiamo che torna in vita a Settembre, e che all'Inferno ci è rimasto quattro mesi. Mi sono fatta due conti.













NdA
Salve gente.
È Giugno, finalmente. E la scuola sta finendo, per fortuna.
Allora, che dire? Bon, a parte che sì, prima o poi vi becccherete una Samifer perchè io amo Lucifero e boh, all'assenza di Gabriel devo pur sopperire in qualche modo, no?
Oltre a questo niente, spero vi sia piaciuto, io ho amato scriverlo.
Anche se non è stato affatto semplice, sotto le palate di angst che la scena ispirava e da cui io dovuto scremare ripetutamente il capitolo perchè se no non se ne usciva vivi.
Bene, tutto qua. Come al solito, farò santa la mia beta, che mi corregge pure i titoli.
Buonanotte gente, ci si rivede lunedì.
Baci a tutti,
Fanie

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Capitolo 39
*** Me too ***


Rating: Verde, decisamente.
Genere: Fluff, tanto per variare sul tema, e poi boh, romantico.
Contesto: Sesta stagione, ma senza nessunissimo spoiler.
Note: Corta da far schifo, ma il fatto che sia una Destiel compensa (credo).
Ci si rivede giù.

 

Me Too





È un attimo e Dean è a terra, la testa che gira vorticosamente e un dolore lancinante al fianco.
Abbassa lentamente lo sguardo e osserva la maglia lacerata, un profondo squarcio da cui sgorga una quantità impressionante di sangue, allargandosi in una pozza scura a terra.
“Mi sto dissanguando” ha il tempo di pensare il cacciatore, “morirò”.
Lo realizza con freddezza, lucidamente, mentre davanti ai suoi occhi suo fratello viene colpito con violenza e cade a terra, svenuto.
Per un attimo, Dean è felice di essere stato ferito, perché sa che l'odore del suo sangue attirerà la creatura, dando a Sam il tempo di riprendersi e scappare.
Il succhiasangue si volta, e per un breve istante lui ha paura.
Ci sono troppe cose che non ha fatto, che non ha detto, e avrebbe voluto farlo, forse avrebbe dovuto.
Ma poi si ricorda di essere pur sempre un cacciatore, e scaccia tutto dalla propria mente. È già morto in passato, non teme niente di quello che troverà dall'altra parte.
Ma c'è davvero una cosa che avrebbe voluto fare, mentre il vampiro si avvicina a lui, le zanne già sfoderate.
Vorrebbe poter dire a Castiel che lo ama, perché ha sempre desiderato farlo, fin dal loro primo bacio, mesi e mesi prima, e gli dispiacerebbe andarsene senza che lui lo sappia. Ne andrebbe del suo orgoglio, ecco.
La testa gli gira, la vista si annebbia, e Dean riesce solo a pensare che sono gli effetti della perdita di sangue che si fanno sentire, prima di avere la netta sensazione di stare per svenire. È un modo triste di morire, ma lo consola il fatto che non sentirà i denti del vampiro piantarsi nella sua gola.
Il mondo si oscura, e lui pensa solo “ti amo, Cas”.

Ed è lì che accade.
Il succhiasangue è a terra, morto, la testa che rotola ancora sul cemento del magazzino in cui si trovano, poco lontano dal corpo di Sam, ancora svenuto.
Dean sbatte le palpebre, cercando di mettere a fuoco qualcosa, mentre sente il fianco pulsare come se qualcuno lo stesse toccando.
Abbassa lo sguardo e vede la ferita rimarginarsi sotto ai suoi occhi, come se delle dita invisibili vi scorressero sopra, portandosi via il sangue e il dolore, e lui per un attimo si chiede cosa diavolo stia succedendo.
E poi lo vede. È solo un attimo, un'ombra, quasi un miraggio. Un angelo in trench ad un palmo dal suo naso, che si china appena e gli lascia un morbido baco sulle labbra, talmente leggero da essere appena percepibile.
«Anch'io» mormora, prima di scomparire di nuovo.

Dean deve caricare suo fratello in macchina, guidare fino al motel, trascinarlo dentro, metterlo a letto e uscire di nuovo per comprare la cena, prima di rendersi finalmente conto di quello che è appena successo.
Ok, lui sa perfettamente che lassù ai Piani Alti c'è in atto la Seconda Guerra Angelica e che Castiel sta guidando la fazione che non vuole morta tutta l'umanità. Di conseguenza, il cacciatore ha piuttosto chiaro il fatto che l'angelo abbia di meglio da fare che prestare attenzione alle loro cacce, quindi quello che Cas ha fatto è stato dedicare loro quanto più tempo possibile.
C'è un curioso vuoto, nella sua mente, per un lungo attimo primo che finalmente Dean realizzi.
Ha detto a Castiel di amarlo. O meglio, l'angelo ha percepito i suoi pensieri.
E, cosa più importante, ha detto di ricambiare.
Dean sorride, passandosi due dita sulle labbra e pensa fra sé che la prossima volta che vedrà il suo pennuto lo ringrazierà adeguatamente per avergli salvato il culo. Di nuovo.

















NdA
Salve popolo<3
Allora, intanto scusate se è un po' che pubblico cosine corte corte, ma non ho mai il tempo di mettermi a scrivere cose più complicate. Non riesco nemmeno a pensare ad uno dei miei crack!
Ma dalla prossima settimana si cambia musica, gente, quindi preparatevi. Anche perchè, beh, l'estate è ufficialmente iniziato e per vostra fortuna io non ho una vita.
Che altro? Beh, come al solito grazie a tutti e un enorme abbraccio a chi non è ancora uscito dall'Inferno ha ancora finito la scuola o sta aspettando gli esami di maturità. Sappiate che vi capisco, e avete tutta la mia comprensione.
Bene, that's all. Un bacio, e ci si sente lunedì prossimo.
Fanie

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Capitolo 40
*** Apple Pie Life ***


Rating: Verde.
Genere: Malinconico, parecchio, e il fluff si è volatilizzato, purtroppo.
Contesto: Tra quinta e sesta stagione, ambientata nel periodo in cui Dean vive da Lisa.
Note: Vi avverto già subito che è una Het, e che mi sono resa conto di non saperle proprio scrivere. Mi scuso per l'obrorio.
È una Dean/Lisa, ma in pratica si può considerare come il prequel di "Nostalgia", quindi una pre-Destiel. Soprattutto la fine.
Ci vede giù, se sopravvivete.

 

Apple Pie Life





Il rumore del motore di un pick-up invase la via illuminata solamente dalla luce dei lampioni, mentre un uomo sui quaranta lo parcheggiava di fronte ad una villetta a schiera uguale a tutte le altre, girava la chiave e scendeva dal furgone.
Era biondo, ben piazzato, la spalle larghe e le mani abituate al lavoro, e un paio d'occhi inconfondibilmente verdi.
Mosse quei quattro passi che lo separavano dalla veranda, fece scattare la serratura ed entrò senza nemmeno accendere la luce. Accompagnò la porta a chiudersi senza cigolii molesti, si sfilò le scarpe e con un piccolo colpo del piede rimise a posto il tappeto bianco in mezzo all'ingresso, che si era arricciato fino a rivelare il bordo di una trappola del diavolo disegnata con inchiostro rosso.
Si tolse la giacca e la appese accanto alla porta, poi sistemò per bene le tendine delle finestre e si avviò in cucina.
La casa era deserta, nessuna luce e nessun rumore, esattamente come avrebbe dovuto essere, ma per un attimo il ragazzo con gli occhi verdi desiderò la confusione, l'adrenalina della caccia, la voce di suo fratello, il battito d'ali del suo angelo. Gli mancavano, gli mancava ogni cosa di quella vita, perfino i demoni e quel grandissimo figlio di puttana di Crowley. Aveva sacrificato troppo, negli anni, e nonostante adesso avesse la vita che aveva sempre desiderato, non era abbastanza, non era quello che gli spettava.
Strascicò i piedi sul legno scuro del pavimento fino davanti al frigo, lo aprì e ne tirò fuori una birra.
Se la rigirò tra le mani, osservando il vetro colorato illuminato dalla lievissima luce che proveniva dai lampioni sul marciapiede. Una volta, ne stappava sempre due insieme, senza nemmeno chiedere.
Improvvisamente, l'idea di mettersi a bere gli diede il voltastomaco, e così riaprì il frigo e rimise la bottiglia dove l'aveva presa.
Guardò l'orologio. 23.56.
Lisa e Ben stavano dormendo di sicuro, e lui esitò ancora un attimo prima di incamminarsi e salire le scale per raggiungerli. La notte non era mai stato il suo habitat naturale, e dopo tanti anni lui ancora non aveva imparato ad affrontarla davvero fino in fondo. Temeva ancora troppo il suo Inferno, e ora anche quello di suo fratello.
Salì le scale quasi senza rendersene conto, e silenziosamente varcò la porta della camera di Lisa. Lei dormiva, una vestaglia chiara appena visibile tra le lenzuola, il viso rilassato, il respiro regolare.
Il biondo si preoccupò di non svegliarla, si svestì e infilò un paio di pantaloni morbidi e una maglietta grigia. Tentennò un attimo prima di sollevare le coperte e infilarsi a letto.
C'era sempre quella sensazione, quell'idea strana che quel posto non fosse suo, che lui dovesse trovarsi da tutt'altra parte, quella certezza di star vivendo la vita di qualcun altro. Non che per lui quella casa e quella famiglia fossero troppo o troppo poco, inadeguate o sopravvalutate. Semplicemente, qualcosa continuava a dirgli che non erano giuste, non facevano per lui.
Avrebbe dovuto essere altrove, con altre persone, con un'altra famiglia, e lui lo sapeva, ma forse era solo troppo stanco e troppo vecchio per poter soffrire ancora.
Ormai, aveva salvato l'intero pianeta abbastanza volte da ritenere di meritarsi un po' di riposo, ma senza nemmeno rendersene conto aveva capito che non era il riposo quello che voleva. Lui voleva Bobby, Sam, Cas e tutta la sua famiglia. E se per averla avesse dovuto cacciare per il resto dei suoi giorni, lo avrebbe fatto volentieri.
Si aggiustò il cuscino sotto alla testa, poi sporse una mano oltre il bordo del letto e con due dita scorse il profilo metallico del fucile caricato a sale. Si, quella vita gli mancava, ma ormai non gli apparteneva più.
Sam si era sacrificato proprio perché lui potesse avere qualcosa di diverso, qualcosa per cui continuare a vivere anche senza suo fratello, e lui non avrebbe mandato tutto a puttane solo per la sua vecchia smania di eroismo e sacrificio. Avrebbe reso Sammy fiero di come era cambiato, di quello che era riuscito a costruire pur soffrendo per la sua morte, di quello che aveva messo in piedi per il suo futuro, per il resto della sua vita.
Dita gentili gli accarezzarono la schiena e lo strapparono dai quei pensieri.
Lui si girò, incontrando gli occhi aperti e assonnati di Lisa, che sorrideva, e sorrise a sua volta.
«Quando sei tornato?»
«Poco fa. Dormi» rispose, accarezzandole i capelli.
Lei annuì e richiuse gli occhi, e l'uomo dagli occhi verdi si chinò su di lei per lasciarle un bacio sulle labbra. La strinse a sé, affogandosi in quell'abbraccio, e si costrinse ad abbassare le palpebre.
Avrebbe vissuto quella vita, in un modo o nell'altro, lo sapeva. Avrebbe costruito qualcosa che durasse, avrebbe tirato su un ragazzino che non era figlio suo ma che ormai lo vedeva come un padre, e avrebbe vissuto con quella donna che gli aveva aperto la sua casa. Avrebbe disimparato a scattare in piedi al minimo rumore, si sarebbe dimenticato gli esorcismi in latino e avrebbe scordato l'incantesimo per evocare un demone.
Lo avrebbe fatto per Lisa, per Ben, per Sammy e per se stesso.

Forse, l'unica cosa che non avrebbe mai potuto lasciar andare, era qualcosa di impresso a fuoco nella sua mente e nella sua carne.
Il marchio di Castiel non se ne sarebbe andato mai. Quello, e il tatuaggio sul petto.
Lo avrebbero accompagnato per tutta la vita, a ricordargli chi veramente era stato, le vite che aveva salvato, quelle che aveva distrutto e quelle che aveva perso.
E in fondo non gli dispiaceva, avere quell'impronta sulla spalla.
Magari era un po' inquietante, certo, ma lo costringeva a tenere sempre a mente che una volta, anni prima, un angelo aveva abbattuto schiere di demoni solo per poterlo salvare, per tirarlo fuori dall'Inferno e per dargli una seconda possibilità. Lo costringeva a ricordare di valere qualcosa, di essere stato così importante per qualcuno, un tempo.
Era qualcosa, quel marchio, che nonostante quello che aveva significato lo mandava avanti.

 

Fuori da quella casa, dall'altra parte della strada, una figura osservava la finestra della camera di un ex cacciatore.
L'uomo aveva capelli scuri, indossava un lungo cappotto beige e aveva occhi innaturalmente azzurri. Se ne stava sul ciglio della strada con le braccia lungo i fianchi, come se non sapesse cosa farsene, e teneva lo sguardo fisso sulla casa di quello che un tempo era stato l'unico umano in grado di far ribellare un angelo al Paradiso.
Rifletteva, tra sé e sé, su quello che avevano condiviso, su quello che avevano affrontato insieme da quando lo aveva strappato dalla perdizione. E ringraziava suo Padre, ovunque egli fosse, per aver dato a quello stanco cacciatore una casa e una famiglia, la vita che aveva sempre desiderato, dopo tutto quello che gli aveva tolto.
Il suo angelo, nonostante tutto, sarebbe rimasto lì a vegliare su di lui.
















NdA
Salve a tutti, e scusate lo schifo.
Questo è il quarantesimo capitolo, e il ventesimo era il primo het che scrivevo (Megstiel). Uno ogni venti mi sembra una buona media, soprattutto perchè non li so scrivere e qualunque paring mi fa altamente schifo.
Detesto Lisa, dico davvero. Tra lei e Amelia... Penso che si veda.
Comunque mi farò perdonare, la prossima settimana torno sul classico e per altri venti capitoli staremo lontani da sta schifezza.
Baci gente, ci sentiamo presto;)
Fanie

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Capitolo 41
*** Call me maybe ***


Rating: Arancione, decisamente.
Genere: Qua "erotico" mi sa che è d'obbligo, ma resta l'ombra del fluff.
Contesto: Quarta stagione, ma solo perchè hanno i tatuaggi anti-possessione e Dean è già tornato dall'Inferno. Nel capitolo quest'ultimo fatto non viene menzionato, ma ve lo dico io.
Note: Wincest, perchè io mi diverto a fare esperimenti e poi a pubblicarli, vergogandomene. Spero non morirete per strada, perchè tutto sommato sono curiosamente orgogliosa di questa OS. Il titolo è quello che è.
Ci si vede nelle NdA.

 

Call me maybe




Dean strinse la presa sul volante dell'Impala, indeciso.
Dopo lunghi minuti passati alla guida, scosse il capo, mentre rallentava ed entrava nel parcheggio del Motel in cui alloggiava con Sam, e spense il motore dopo aver fermato la macchina in un angolo buio dello spiazzo.
Sfilò il cellulare dalla tasca della giacca e dopo aver guardato per un momento il display illuminato compose il primo numero delle chiamate rapide. Sospirò, mentre aspettava che suo fratello rispondesse.

Avevano litigato quella sera.
Dean era rientrato in camera barcollando, ubriaco già alle tre di pomeriggio e con una nausea pazzesca. Sam lo aveva preso, buttato su uno dei due letti e fatto ingurgitare qualcosa come due litri di un caffè orribile, e non appena il maggiore era tornato in sé aveva proceduto con la solita ramanzina sul suo comportamento sconsiderato, sulle conseguenze delle sue azioni, sul prendersi cura di se stesso e altre cose che Dean aveva preferito non ascoltare.
Davvero, già la testa sembrava sul punto di scoppiargli, non era decisamente in grado di sopportare la tirata d'orecchio di Sam in versione “sorellina apprensiva”. Aveva solo deciso di passare la prima giornata libera da settimane in un bar, perché suo fratello doveva per forza comportarsi come una ragazzina ansiosa?
E così, appena era stato in grado di reggersi in piedi, aveva preso le chiavi dell'Impala e si era chiuso la porta della camera alle spalle, la luce della sera che già gli feriva gli occhi e la voce del minore dei Winchester che svaniva dietro di lui insieme all'eco del suo ultimo “vaffanculo, Sam”.
Aveva girato in macchina per un po', incazzato per un motivo che nemmeno si ricordava più, e aveva aspettato di sbollire, lasciando a suo fratello il tempo di fare altrettanto.

E adesso era di nuovo nel parcheggio del Motel, il lieve “tuu-tuu” del telefono nell'orecchio e una mano ancora stretta sul volante, in attesta del minore. La verità era che un poco si vergognava, essersi incazzato con Sam solo perché si preoccupava per lui, ed essersene andato sbattendo la porta. Adesso, prima di rientrare in camera, voleva solo sapere che cosa lo aspettava dentro a quella stanza, se suo fratello era ancora infuriato o se magari stesse già dormendo.
All'improvviso, la finestra di una delle camere del Motel si illuminò, la stessa su cui era puntato lo sguardo di Dean. Il maggiore dei Winchester osservò il profilo delle tende in controluce, mentre l'ennesimo “tuu” si infrangeva contro il suo timpano, un po' gracchiante, e sorrise leggermente quando una figura attraversò la stanza e si sedette di fronte alla finestra, allungandosi verso quello che il biondo indovinò essere un comodino.
«Pronto?»
La voce di Sam lo colse quasi di sorpresa.
«Ehi, Sammy»
«Dean! Dove sei? Stai bene?»
Il maggiore sorrise. Suo fratello non era arrabbiato, ma solo preoccupato. Come sempre. Stava per rispondere che era lì fuori, nel parcheggio del Motel, ma Sam lo anticipò. Dean lo vide alzarsi in piedi e avvicinasi alla finestra per scostare una tenda e guardare lo spiazzo di asfalto davanti alla loro camera.
Suo fratello deglutì, e non perché avesse paura che Sam lo potesse vedere -aveva parcheggiato dietro alla reception, in una zona d'ombra resa ancora più densa dall'ora tarda, impossibile da notare- ma per quello che vide oltre al vetro della finestra.
Il minore era in piedi, un braccio piegato per reggere il cellulare e l'altro sollevato contro il supporto di legno che sosteneva la tenda, ed era completamente nudo, fatta eccezione per un asciugamano stretto attorno ai fianchi.
Dean se lo immaginò con i capelli umidi, le goccioline d'acqua che scivolavano lungo la sua schiena, la pelle bagnata e profumata di bagnoschiuma.
Si leccò inconsciamente le labbra, mentre la presa sul volante si rinsaldava e un'idea si faceva strada nella sua mentre.
«Dean, ci sei?»
La voce del fratello lo riportò alla realtà, mentre un sorrisetto malefico gli increspava le labbra.
«Si Sam, ci sono. Sto bene. Sei ancora arrabbiato con me?»
Vide la figura del ragazzo allontanarsi dalla finestra e tornare a sedersi sul letto. Di sicuro, non si era accorto di essere osservato.
Il minore sospirò. «Non lo sono mai stato. Non volevo litigare» fece una pausa, e dai movimenti in controluce Dean indovinò che si stesse passando una mano sul viso «tra quanto torni?»
«Non mi manca molto» sorrise il maggiore «sono già per strada»
Non sentì minimamente il senso di colpa per quella piccola bugia.
«Va bene» rispose Sam, e a Dean parve quasi sollevato «allora ti aspetto»
Il maggiore ghignò, e colse la palla al balzo.
«Stavi dormendo?»
«No, ero sotto alla doccia»
«Ah» rispose lui, con noncuranza «quindi non sei vestito»
Sam esitò per un momento, poi tossicchiò, e suo fratello avrebbe giurato, pur non potendolo vedere, che fosse arrossito.
Dean non gli diede modo di dire nulla. «E sei tutto bagnato»
«E tu invece sei completamente impazzito» sbottò il minore, ma il biondo sentì l'incertezza nella sua voce, l'imbarazzo e anche la curiosità.
«Sam» mormorò, abbassando la voce quel tanto che bastava a farla assomigliare ad un ringhio.
«Dean, davvero?» ridacchiò suo fratello, cercando di dissimulare quello che traspariva dalla sua voce «sesso telefonico? Non ti sembra che siamo troppo vecchi per certi giochetti?»
Ma il maggiore non la pensava allo stesso modo -vecchio? LUI? Quando mai?- e lo ignorò.
«Sam... riesco quasi a vederti. Sul letto, nudo, i capelli umidi, la pelle bagnata»
«Veramente ho un asciugamano addosso» lo corresse il più giovane, ma Dean vide la sua ombra raddrizzarsi. E colse l'invito a proseguire.
«Beh, non fa niente. Tra poco non ti servirà più» decretò, spingendo il fratello un passo più vicino alla resa.
Sam rimase in silenzio, e lui continuò.
«Sai cosa, fratellino? Vorrei essere lì. Ti prenderei e ti ribalterei sul letto» sorrise, e attraverso il vetro e le tende vide il minore distendersi sul materasso, le gambe leggermente piegate e un gomito sollevato a reggere il cellulare vicino all'orecchio.
«E poi cosa faresti?» chiese, il tono che voleva essere derisorio suonò solo oscenamente malizioso.
«Mi toglierei la maglia. Lentamente, un centimetro alla volta»
«Bacerei ogni muscolo» mormorò il minore, e Dean sentì distintamente qualcosa muoversi al di sotto della cintura. Sorrise, conscio che Sam aveva ceduto.
«Passati una mano sul petto, piano, dall'alto verso il basso. Immagina che sia io a farlo» sogghignò, concedendosi il tempo di una pausa strategica «con la lingua»
Suo fratello gemette piano, e Dean se lo immaginò con gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, la testa gettata all'indietro sul cuscino.
«Curva a destra, sulla coscia, sopra all'asciugamano. Apri le gambe. Immagina che ci sia io, nel mezzo»
«Dean» sussurrò Sam, che già iniziava ad ansimare, senza avere idea dell'effetto che il suo respiro accelerato avesse sul fratello.
«Metti in vivavoce» gli intimò il maggiore, arrochendo ancora di più la voce «ti serviranno entrambe le mani»
Il minore ringhiò qualcosa di incomprensibile, e un attimo dopo Dean sentì un lieve “bip”. Il braccio di Sam però non si mosse, e il biondo immaginò che si fosse infilato una mano tra i capelli, tirandoli all'indietro come era solito fare lui. Strinse un po' la presa sul volante.
«Scivola sul bordo dell'asciugamano. Immagina che siano le mie mani, una sui tuoi fianchi e una tra i tuoi capelli»
Sam sospirò, un gemito nelle orecchie di Dean.
«Ha-hai un ottimo modo di farti perdonare» smozzicò il minore.
«Sta zitto, Sam, o ti giuro che accosto e mando avanti questo giochino per tutta la notte. Poi vediamo come starai domani mattina»
Il minore ringhiò, frustrato, e Dean si lasciò sfuggire un sorrisetto compiaciuto.
«Ora, fratellino, togliti l'asciugamano, piano, aprilo lentamente, un lembo alla volta»
Aspettò che eseguisse gli ordini, controllando i suoi movimenti attraverso la finestra, sistemandosi con la mano libera il cavallo dei pantaloni, poi riprese, la voce sempre più bassa.
«Ora fermati. Immaginami di fronte a te. Ti passerei una mano sulla gamba, dal basso verso l'alto, mentre ti bacio il collo. Riesci a vedermi? Riesci a sentirmi, Sam?»
«Si... ti sento»
«Bene, voglio sentirti anch'io. Continua a muovere la mano, sù e giù sul petto, e immaginami lì con te. Dimmi cosa mi faresti»
«Ti bacerei» esalò Sam.
«Si»
«Sul collo, poi sul petto. Prenderei in bocca uno dei tuoi capezzoli»
Dean sospirò, umettandosi le labbra.
«Ti morderei. So che ti piace. So che quando lo faccio chiudi gli occhi e stringi i denti. Dimmi che ho ragione»
Il maggiore buttò la testa indietro, sbattendola con forza sullo schienale di pelle, e chiuse gli occhi.
«Sam» rantolò.
«Guarda la strada, Dean» lo ammonì suo fratello «e datti una mossa»
Lui sorrise, il fiato un po' corto.
«Sposta le mani» ordinò «appoggiale di lato, sul letto»
Sam gemette, con disappunto, ma obbedì.
«Immagina che ti stia baciando. Senti la mia lingua, su un fianco. Un morso. Ora sull'ombelico. Ti bacio piano, ti mordo. So che soffri il solletico, ma so anche che quando ti lecco lì vorresti urlare. Dentro e fuori, Sam, dentro e fuori, con la lingua. Ti ricorda niente?» sogghignò.
«Sei un dannato bastardo» rantolò il minore, e con una punta di soddisfazione Dean lo vide inarcarsi contro il letto, le braccia tese ai lati del suo corpo. Poteva quasi sentirlo, fremere e ansimare, i muscoli contratti allo spasmo, e lui si rese conto di non essere messo meglio. Senza nemmeno rendersene contro, aveva preso a strusciarsi contro il sedile di pelle, la mano libera ancora miracolosamente impegnata a stringere il volante.
«Dean»
«Mi senti, Sam? Senti il mio respiro su di te? Vorrei essere lì. Ti leccherei piano, dalla base alla punta»
Il minore gemette, forte questa volta, e suo fratello fu ad un passo dallo scaraventarsi fuori dall'Impala.
Si leccò le labbra.
«Sam... Ti morderei, sulla coscia, e domani ti sveglieresti con un meraviglioso segno di denti, oltre a quelli che ti lascerei sul collo. Sotto all'orecchio, o sulla clavicola. È quello il tuo punto preferito, o sbaglio?»
«Dean» gemette suo fratello «dove cazzo sei?»
«Non mi manca molto, sono quasi arrivato»
«Datti una mossa»
«Mmm... come mai tutta questa fretta?»
«Ti prego, sbrigati» sussurrò Sam.
Questa volta, Dean lo prese sul serio, senza giocare. Non era niente di diverso da quello che sembrava: una supplica.
«Arrivo, Sammy. Ancora un momento» disse, cercando di schiarirsi la mente.
Scese dalla macchina, chiudendosi la portiera alle spalle il più piano possibile.
«Resta concentrato, su di me. Immagina le mie mani sui tuoi fianchi, senti la mia lingua sulla tua pelle? Dimmi cosa vuoi»
«Voglio che tu venga qui, adesso» ringhiò Sam, e Dean osservò la sua figura attraverso la finestra. Si accorse che gli aveva disubbidito, e che si stava toccando con una mano. Poteva quasi vedere il profilo delle dita attraverso la tenda, scorrevano lungo il suo petto fin sull'addome, poi sui fianchi e giù, per poi risalire lentamente.
Ghignò, ma il sorrisetto gli morì sulle labbra quando mosse il primo passo verso la camera e la sua erezione strusciò bruscamente contro il tessuto ruvido dei jeans.
Wow, non avrebbe mai pensato di potersi ridurre in quello stato per così poco.
«Sam» ringhiò, incamminandosi quanto più velocemente la sua condizone gli permettesse «pensami lì, tra le tue gambe. Pensa che ti bacerei, piano, e poi ti morderei le labbra»
Ma chi cazzo glielo aveva fatto fare a parcheggiare così lontano?
«Poi scenderei sul petto, sul tatuaggio, poi sempre più giù»
Sam ansimava nel suo orecchio, e Dean non riusciva a capacitarsi di quanto lui e suo fratello riuscissero a mandarsi fuori di testa a vicenda solo con il suono delle loro voci.
Arrivò davanti alla porta della camera, e sfilò dalla tasca la chiave, cercando di non farle tintinnare.
Abbassò la voce, in modo che Sam non lo potesse sentire da oltre il legno sverniciato, mentre lentamente faceva scattare la serratura.
«Mi chinerei su di te, ti bacerei l'ombelico. E poi te lo prenderei in bocca» disse, reggendo il telefono contro la spalla.
Il minore gemette, quasi urlando il suo nome, e Dean se lo immaginò inarcarsi contro il materasso, l'asciugamano ormai a terra, le labbra spalancate e gli occhi fissi al soffitto.
Si accarezzò appena attraverso i jeans.
«Tutto, Sam, fino in fondo. Immagina la mia lingua, e la tua mano tra i miei capelli»
«Dean... Dean ti prego»
«Che cosa, Sam?»
«Vieni qui»
Il maggiore chiuse la chiamata e spalancò la porta, la giacca già a terra e un braccio incastrato a sfilarsi la maglietta. Si richiuse l'anta alle spalle con un calcio, e prima di potersi godere lo spettacolo di suo fratello sdraiato sul letto, bagnato, sudato e ansimante, con le gambe aperte per lui, si ritrovò il minore addosso, completamente nudo, che lo strattonava per liberarlo dagli ultimi vestiti.
«Dove cazzo eri finito?»
«Ti importa?»
«Sta zitto»
Si spintonarono fino al letto, Sam cadde di schiena, Dean sopra di lui, una mano già ad accarezzarlo.
Ma poi ci ripensò, e mentre si liberava dei jeans ammucchiati alle caviglie, si alzò in piedi e con una manata all'interruttore spense la luce.
Poi, a tentoni, tornò sul letto, il fratello che lo aspettava seduto.
«Allora, ripeti un po' l'ultima parte, quella della mia mano tra i tuoi capelli» ghignò Sam, mordicchiandogli il labbro inferiore.
Dean sorrise «Tu, piccolo pervertito...»
«Quando si dice che l'allievo supera il maestro» mormorò suo fratello, baciandolo.

















NdA
'Sera a tutti.
E, prima che me lo chiediate, sì, ho scritto davvero una Wincest arancione.
Se non conoscete la canzone del titolo, andate su youtube a cercarla e amatene il video. È spettacolare.
Detto questo, passiamo oltre.
Dopo la cosa della scorsa settimana, mi dovevo far perdoanre, e questo capitolo era pronto da mesi, quindi eccolo qua.
Confido che non vi abbia uccisi.
Niente, tutto qua. So di essere una brutta persona che non risponde alle recensioni, ma sappiate che sono una brutta persona con poco tempo, e per questo non riesco mai a fare tutto quello che vorrei.
Spero di rimediare in settimana.
Dovrebbe essere tutto.
A presto, buona estate, buoni esami (chi comincia gli orali questa settimana) e ci si rivede alla prossima.
Ah, e un bacio alla mia beta, che dopo aver letto il capitolo di oggi ha dichiarato che "devi smetterla di guardare Superantural, ti fa male". Ti voglio bene anch'io<3
A lundì, gente!
Fanie

 

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Capitolo 42
*** Sleep ***


Rating: Verde.
Genere: Fluff come sempre, ma anche romantico, decisamente introspettivo e con un filo di malinconia iniziale.
Contesto: Siamo nel Bunker, quindi dall'ottava in poi (e Cas è quello della nona, quindi post-scherzetto-di-Metatron), ma l'unico spoiler vero e proprio è una cosuccia sulla settima, una mezza riga scarsa.
Note: Destiel, anche se volevo pubblicare Sabriel. Il tema è un po' scontato per il contesto, ma sono così pucciosi...

 

Sleep


 

A Castiel non piace dormire.
Lui è un angelo. Non ne ha bisogno.
È una cosa da umani, a lui non serve.
Sarebbe inutile. Debilitante, perfino.
Si sente già abbastanza Caduto, senza doversi sottoporre anche a quella umiliazione.
Dean non capisce niente, si sbaglia.


Nel Bunker, tira una strana aria.
Sam ha provveduto a levare le tende appena ha capito che stava per scatenarsi una di quelle discussioni che solo Castiel e Dean riescono a mettere in piedi, e si è rintanato nella sua stanza, provvidenzialmente lontana da quella dell'angelo. O ex angelo, per essere precisi.
Quella cosa, qualunque cosa sia, va avanti da quando vivono tutti e tre insieme, ovvero pochi giorni.
Sam sapeva che prima o poi qualcosa sarebbe dovuto succedere, e quando ha visto Castiel trascinarsi in cucina con l'aria di uno che non dorme da mesi e Dean guardarlo come se stesse per morire, ha capito che defilarsi era l'unica soluzione. Se suo fratello non parlerà all'ex angelo stasera, sarà lui a costringerlo domani mattina. Per il momento, farà solo finta di non saperne niente.
E così il maggiore dei Winchester ha preparato la cena per sé e per Castiel, ha osservato il neo umano quasi soffocarsi cercando di mangiare una bistecca -mastica bene, Cas, non sei una dannato poppante-, ha lavato i piatti e si è stravaccato sul divano nella stanza dove Sam è riuscito ad installare un televisore. Non si è stupito più di tanto quando l'ex angelo, in maglietta e jeans, lo ha raggiunto e gli si è seduto accanto, e così ha messo su un film, uno qualunque, uno che Castiel non ha capito ma di cui non ha chiesto niente. Ha imparato praticamente subito che non si parla durante i film.
E quando la sua testa ha iniziato a ciondolare pericolosamente verso la spalla di Dean, il cacciatore ha deciso che la serata era finita.
Ha spento la tv, ha scostato la trapunta con cui aveva coperto Cas ad un certo punto -se lo dici a Sam ti spiumo, moccioso- e lo ha tirato in piedi delicatamente, incamminandosi verso le loro camere trascinandoselo dietro per un polso, cercando di non svegliarlo del tutto.
Quando l'angelo ha capito dove Dean lo stava portando, si è bloccato di colpo, scuotendo il capo con forza.

Castiel non riesce a dormire.
Assolutamente no.
Non
sa come si fa, non ci ha mai provato e non vuole nemmeno farlo.
Lo spaventa. Sar
ebbe troppo umano, per lui.
Ne ha paura.
Dean non capisce.


Castiel ricorda gli incubi. Quelli di Dean, naturalmente, perché lui non ne ha mai avuti.
Ricorda il cacciatore rigirarsi tra le lenzuola, gemere, annaspare, rantolare parole sconnesse, chiamare il nome di Sam nel sonno, e a volte anche il suo. Ricorda ogni immagine dell'Inferno che abbia mai attraversato i suoi incubi, e anche quelle di molte cacce, molti mostri, molte morti.
Ricorda i suoi risvegli, il corpo che scatta in avanti, le mani che volano alla ricerca di un'arma con cui difendersi, gli occhi sgranati, la fronte sudata, il respiro raschiante. Ricorda il suo sguardo terrorizzato, un attimo prima di realizzare dove si trovava, e riprendere a respirare.
Castiel non vuole. Ha paura. Ricorda tutto con troppa chiarezza, tutti gli incubi che ha portato via a Dean con i suoi poteri perché potesse dormire una notte serena, ed è terrorizzato all'idea di vivere la stessa cosa. Non lo ha mai detto al cacciatore, perché sa che lo disgusterebbe, sapere che il suo angelo si è ridotto a quella carcassa di umano, terrorizzato dalla propria ombra, ma ne è spaventato a morte.
Per questo, quando si rende conto che Dean lo sta accompagnando alle loro camere, che sono una di fronte all'altra -così posso averti sempre sott'occhio, moccioso-, Castiel si fa prendere dal panico.
Si ferma di scatto, scuote la testa e sfila il polso dalla presa morbida del cacciatore.
Questo si volta, perché in fondo un poco se lo aspettava ma ci ha sperato comunque, e incrocia i suoi occhi.
Cas fa ancora un po' di fatica con tutta quella cosa delle emozioni umane, e così ci mette mezzo secondo in più di quanto avrebbe voluto per scacciare la paura dal proprio volto, dando al maggiore dei Winchester il tempo di vederla, e di riconoscerla. Dopotutto, l'ha vista riflessa allo specchio per mesi, subito dopo il proprio ritorno dall'Inferno.
«Avanti, moccioso, è ora di andare a letto» dice, il tono ancora sommesso.
«Non sono stanco. Non ho bisogno di dormire» risponde Castiel. Non ci crede nemmeno lui.
Dean si mette le mani sui fianchi, e all'angelo viene voglia di fare un passo indietro. «Certo, come no. È perché non sei stanco che ti stavi addormentando sulla mia sp- sul divano, un momento fa»
«Non mi stavo addormentando» ribatte lui, testardo.
«Avanti, va a dormire» risponde il cacciatore, cercando di riprenderlo per un polso, ma lui si scansa, e questa volta fa davvero un passo indietro.
«No»
«Perché no?»
«Non ne ho bisogno»
«Dannazione Castiel» sbotta Dean, e lui stringe le labbra. Odia quando il maggiore dei Winchester lo chiama con il suo nome completo.
«Sono un angelo, Dean» osserva, calmo, e per un attimo il cacciatore vede in lui il figlio di puttana che lo ha trascinato fuori dall'Inferno. Non sa perché, ma si sente sollevato quando lo colpisce la consapevolezza che lui non è più quella creatura, che è cambiato.*
«No» ribatte comunque, più duramente di quanto vorrebbe. Si ferma, respira, si passa una mano sul viso, poi lo guarda negli occhi. «Ascolta» dice, avanzando di un passo verso di lui «so che non lo vuoi accettare, ma non è più così. Sei umano adesso»
Castiel si irrigidisce, e lui si sente uno schifo. Sa che non è il miglior momento per parlarne, e sa che a quella conversazione dovrebbe prendere parte anche Sam, l'esperto delle chiacchierate a cuore aperto, ma lui adesso non c'è, quindi si arrangerà.
«Adesso mangi, bevi, sanguini, ti stanchi, devi lavarti, devi riposarti, e devi anche dormire, che ti piaccia o no. Non capisco dove sia il problema»
Lui non parla. Non lo guarda nemmeno. Stringe i pugni e basta. Dean non capisce.
«Senti» dice ancora, avanzando di un altro passo «affronteremo questa cosa, te lo prometto. Sistemeremo questa faccenda, riavrai le tue ali. Ma dobbiamo farlo un poco alla volta, ogni giorno» sorride, incoraggiante, anche se Castiel non lo sta guardando «so che fa paura, lo capisco. Ma non sei solo, ci siamo anche io e Sam, e insieme ne verremo fuori, okay?»
Il moro solleva lo sguardo, e improvvisamente decide che si è umiliato abbastanza. Non vuole che Dean sappia, quindi fingerà di dormire, senza dirgli nulla. Può restare un'altra notte sveglio, lo sa. Deve riuscirci.
Annuisce, e vede il cacciatore sorridere.
«Andiamo» dice il maggiore dei Winchester, incamminandosi verso il corridoio.
Lui lo segue, le spalle incurvate.

Castiel ha paura di dormire.
Non ce la può fare, sa di non esserne in grado.
Non è mai stato così tanto spaventato in vita sua.
E non può dirlo, non può parlarne con nessuno.
Vuole solo essere lasciato in pace.
Dean non può capire.


E così si ritrova nella sua camera, la stanza in cui ha passato meno tempo tra quelle che ha visitato al bunker, e non sa dove mettere le mani.
Il maggiore dei Winchester lo osserva dalla porta, una spalla appoggiata allo stipite, le braccia incrociate sul petto.
Castiel si chiede se non abbia paura che scappi, e probabilmente è proprio per quello che segue con occhio clinico ogni suo movimento.
«Se hai bisogno di qualcosa, la mia camera è di fronte alla tua» dice, ad un certo punto.
«Lo so» risponde lui, evitandone lo sguardo.
«Devi solo bussare»
«Va bene»
«Buonanotte»
«Buonanotte, Dean»
E il cacciatore esce, chiudendo la porta. Non ha spento la luce, e Castiel gliene è grato.
Si siede sul letto, le gambe raccolte al petto, la testa appoggiata al muro, e non osa chiudere gli occhi. Fissa lo sguardo sul muro davanti a sé, e aspetta. Sa bene che, qualunque cosa succeda, non andrà mai a bussare alla porta di Dean.

Castiel non vuole a dormire.
Non sarebbe naturale, per un angelo.
È terrorizzato, non ce la può fare.
Non può farlo, non ci riesce.
Dean non
riesce a capire.


Alla fine, non ha resistito che per pochi minuti. Mezz'ora, forse.
Ha aspettato giusto il tempo di essere sicuro che Dean fosse andato a dormire, poi è sgattaiolato fuori dalla sua camera, ed è andato in biblioteca.
Lo ha spaventato il fatto che le sue palpebre abbiano iniziato a calare da sole, e così ha pensato che leggere lo avrebbe aiutato a restare sveglio. Per il momento funziona, anche se perde metà delle parole che ci sono scritte perché non è abbastanza lucido da coglierle tutte.
Rimane seduto su una scomodissima sedia per un tempo infinito, scrollando spesso il capo. Si farebbe un caffè, se solo sapesse come funziona la caffettiera. Gira una pagina dopo l'altra, ignorando gli sbadigli che gli si bloccano in gola sempre più di frequente.
Non cederà. Non può dormire.
«Ehi»
Castiel sobbalza, chiudendo di scatto il libro, e quasi urla.
D'istinto, evoca la sua lama angelica, ma nulla appare nella sua mano.
Poi alza lo sguardo, e sulla porta della biblioteca c'è Dean, in maglietta e pantaloni di una tuta, neri.
Ha i capelli scompigliati e gli occhi impastati, e anche la voce sembra roca, quindi deve aver dormito. Quanto, lui non saprebbe dirlo.
Ha le braccia incrociate sul petto, ma nonostante questo non sembra arrabbiato.
«Ciao, Dean» dice Castiel, appoggiando il libro sul tavolo.
«Non volevo spaventarti, ma ho controllato la tua camera e non c'eri. Cosa ci fai qui? Dovresti dormire»
«Non sono stanco»
«Vedo» ribatte Dean, e lui inclina il capo, confuso.
Il cacciatore sbuffa, e gli va vicino. Si china appena su di lui. «Hai due occhiaie spaventose» dice, e appoggia un pollice sotto al suo occhio sinistro, accarezzando la pelle violacea «sembra che ti abbiano dato un pugno»
Muove piano il polpastrello, e Castiel chiude gli occhi.
Per un lunghissimo momento, non vede altro che oscurità, e non sente niente.
L'attimo dopo, Dean gli sta dando dei leggeri colpetti sul viso, e lui si tira su di scatto, spaventato.
«Cas, ti eri addormentato»
Lui raggela, e si alza in piedi, cercando di diradare la nebbia nella propria testa.
Dean si scansa e lo osserva misurare la libreria a grandi passi, lo sguardo quasi allucinato, le mani che strattonano febbrilmente i capelli. Sembra un animale in gabbia.
«Cosa c'è?» chiede Dean, e adesso si sta preoccupando veramente.
«Niente. Va a dormire»
«No. Devi dirmi cosa sta succedendo, adesso»
Lui si ferma di scatto. «Niente, sto bene»
«Non stai bene, dannazione» urla Dean, e Castiel vorrebbe scomparire.
Il cacciatore gli va incontro, lo afferra per i polsi e lo scuote un poco. Lui non ha nemmeno la forza di contrastare quel movimento, è troppo stanco.
«Cas, per la miseria. Sembri Sam quando Lucifero viveva nella sua testa. Devi dormire, o ti farai male»
Il moro scuote il capo, non vuole.
Dean finalmente si ferma, e per la prima volta quella sera, lo osserva.
Lo guarda per bene, negli occhi, e finalmente capisce, e si dà dell'idiota. Lo lascia andare.
«Almeno provaci» dice, dopo aver fatto due passi verso la porta della biblioteca «qualunque cosa ti spaventi così tanto, la si può superare. Te lo dico per esperienza»
Castiel lo guarda riluttante, ma lui non molla.
«Non è male come sembra. Fallo per me» mormora, e vede l'altro cedere, abbassare le spalle sconfitto, e avviarsi verso le camere.

Castiel non può dormire.
Niente cambierà mai questo.
Nessuno lo può aiutare, è solo.
Solo e tanto, tanto spaventato.
Dean non vuole capire.


Solo che, questa volta non va come si aspettava. Dean non lo lascia sulla porta della sua camera, ma entra, e si siede su una poltrona accanto al letto.
Castiel si rannicchia riluttante tra le lenzuola, e il cacciatore scuole la testa e lo copre per bene, gli sistema il cuscino e accende la lampada sul comodino, prima di spegnere la luce della stanza.
Il moro lo osserva tornare a sedersi, e si chiede quand'è che se ne andrà così lui potrà tornare in biblioteca.
«Non me ne vado, se è questo che speri, moccioso» ridacchia Dean «resterò qui finché non ti addormenterai»
«No» dice Castiel, e sa che la sua voce è suonata spaventata.
Il cacciatore aggrotta le sopracciglia, poi si sporge in avanti. «Cosa c'è?»
«Niente»
«Piantala di dire cazzate. So benissimo che c'è qualcosa che non va»
«Non è importante»
«Si che lo è. Se si tratta di te, e di Sam, ogni cosa è importante»
Appena lo dice, Dean arrossisce e distoglie lo sguardo, perdendosi il leggerissimo sorriso di Castiel.
«Non mi piace dormire, tutto qua»
«Ne hai bisogno»
«Ma non mi piace. Mi fa sentire... debole, inutile, indifeso»
«Umano» sorride Dean, che sta abbassando progressivamente la voce.
Le palpebre di Castiel iniziano a calare, ma lui non vuole.
«Non mi piace»
«Non è così male. Ci sono anche dei lati positivo. Se non dormi non puoi sognare»
Il moro si irrigidisce.
«Cosa c'è?» chiede Dean.
«Niente»
Lui rotea gli occhi, e in quel momento Castiel sa che è ad un passo dal capire tutto.
Infatti, il cacciatore lo osserva attentamente, in un modo che a lui non piace affatto, e poi sgrana gli occhi.
«Hai paura» sussurra.
Lui non risponde, stira le labbra.
«Hai paura di sognare, perché hai paura di avere incubi»
Castiel chiude gli occhi, e in quel momento si addormenterebbe anche, perché non vuole vedere il disgusto nello sguardo di Dean, ora che sa che è solo un bambino spaventato. Non lo sopporterebbe.
È per questo che quando il materasso dietro di lui si abbassa sotto ad un peso che non è il suo, sussulta colto di sorpresa.
Dean si stende dietro di lui, e l'ex angelo non osa voltarsi.
Sente una delle mani del cacciatore sulla propria spalla, ed è caldo e rassicurante.
Restano in silenzio per tanto tempo, Castiel respira forte e sente il cuore battere impazzito.
«Anch'io avevo paura di dormire» dice ad un certo punto il maggiore dei Winchester «dopo l'Inferno, avevo incubi ogni notte. Non lo sopportavo, e così cercavo di non addormentarmi»
«Lo so» esalò il moro.
«Alla fine, ero ridotto così male da non riuscire a stare in piedi. Sammy mi ha costretto a parlare degli incubi con lui, e allora se ne sono andati» si ferma un momento, muovendosi un poco sul letto «anche lui si è ridotto male. Con Lucifero, intendo. Non ero sicuro che ne saremmo usciti, quella volta. Rischiò di morire, Cas»
«Me lo ricordo»
«E tu adesso stai facendo lo stesso»
«A me non serve-»
«Piantala, sai che non è vero. Hai paura, l'ho capito, ma non te ne devi vergognare»
Castiel rimane in silenzio per un momento, poi prende coraggio e si volta, ritrovandosi faccia a faccia con Dean.
«Tu non capisci»
«Allora spiegami»
Respira forte, cerca di controllarsi. «Non è... normale. Non dovrei dormire. Sono un angelo»
«Lo è, adesso. Adesso devi dormire»
«Io... Dean, ricordo i tuoi incubi, quelli dell'Inferno. So cosa sognavi. Non voglio sognare anch'io»
Il cacciatore corruga le sopracciglia. «Come fai a ricordarli?»
Castiel svia lo sguardo, fissandolo altrove. «Alcuni te li ho portati via»
«Hai avuto incubi al mio posto?»
«Gli angeli non dormono. Ne ho solo assorbito le immagini»
«Wow» Dean si gratta la nuca «non me lo avevi mai detto»
«Non ne vedevo il motivo»
Il cacciatore sbuffa, divertito, ma poi lo guarda negli occhi. Sono vicini, Castiel non se ne era reso conto.
«Devi dormire. Se avrai degli incubi, li supereremo. Qui sei al sicuro, niente può farti del male, anche se adesso sei umano»
«Ma fuori da qui...»
«Se è questo che ti spaventa, puoi restare al bunker, per il momento. Io e Sammy andremo a caccia, tu ci aspetterai qui. Sarai al sicuro»
Castiel scuote il capo. Il maggiore dei Winchester non ha capito.
«Non è per me che ho paura»
Il cacciatore aggrotta le sopracciglia. Poi capisce.
«Non ho mai avuto paura per me, Dean»
«Non preoccuparti per noi, siamo bravi in quello che facciamo» sogghigna.
Ma lui scuote ancora la testa. «Non è questo. Siete i migliori cacciatori che abbia mai visto, ma questo non cambia le cose» sospira, poi riprende «io ho capito che in questo momento sono debole e...» stringe per un attimo le labbra «inutile. E se succedesse qualcosa a te o a Sam, se moriste, io non potrei fare nulla. Non potrei curarvi, non potrei riportarvi in vita»
«Cas...»
«No, ascolta. Sono inutile senza poteri, ed è questo che mi spaventa. Se ti perdessi perché sono umano, adesso, non potrei perdonarmelo»
Lui sa bene che se dovesse avere degli incubi, sognerebbe Dean. Dean che caccia, che combatte, che viene ferito, che sanguina, che urla, che si dibatte, che chiama il suo nome, e che alla fine muore, da solo.
Respira profondamente, chiude gli occhi. Non dormirà, non lo farà mai.
Ma poi la mano del cacciatore torna sulla sua spalla.
«Se “mi” perdessi?»
Lui solleva le palpebre, che si stanno facendo sempre più pesanti. «Tu, e anche Sam»
«Hai detto “ti”»
Castiel aggrotta le sopracciglia. «Io e te abbiamo sempre avuto un legame più profondo» dice, come se spiegasse qualcosa.
E finalmente, dopo anni, Dean tira le somme.
Non ci voleva un genio, ma il maggiore dei Winchester non è mai stato un esempio lampante di perspicacia.
Sorride, perché in fondo un pochino ci sperava, e si fa più vicino a Castiel.
«Vuoi che ti prometta che tornerò sempre, che niente riuscirà a farmi fuori?»
«Non puoi promettere una cosa del genere»
«Si che posso» sorrise Dean, sfrontato, come se avesse tutte le risposte dell'universo, e un pochino Castiel è curioso.
«E come?» domanda ingenuamente.
«Posso darti una cosa che mi costringerà sempre a tornare da te. Qualunque cosa accada, dovrò tornare per riprendermela»
Lui inclina il capo, perplesso. «Cosa?»
«Questo» mormora Dean, e appoggia le labbra sulle sue.
Castiel chiude gli occhi, sente il bacio del cacciatore ed è morbido, caldo, stupendo.
Si lascia accarezzare dalla sua bocca, sospira e decide che gli piace.
In fondo, un pochino ci sperava anche lui.
Quando Dean si allontana, l'ex angelo si è addormentato. Lui sorride, e per un folle attimo pensa che ci starebbe bene una battuta, qualcosa su quanto i suoi baci devono essere noiosi, e potrebbe anche svegliare Sam per dirlo a lui.
Ma poi realizza che il suo fratellino avrà abbastanza da metabolizzare quando gli spiegherà che da ora in poi, l'ultima cosa che farà prima di uscire a caccia e la prima appena tornato sarà baciare Castiel.
Sposta la mano sul fianco del moro, e lo accarezza piano, anche se sa che non si sveglierà.
Poi, si addormenta anche lui.

Castiel dorme.
In fondo, non è male come credeva.
Dean dice che in due si dorme meglio, e lui ci crede.
Non avrà incubi, ora lo sa.

Dopotutto, gli piace dormire.
Forse si sbagliava.
Dean ha capito molto più di lui.
















*Dean è sollevato all'idea che Castiel sia cambiato perchè si è ribellato al Paradiso, perchè è diventato il SUO angelo, e anche se è Caduto e adesso è umano, lui preferisce averlo così che come Bastardo Senza Gloria del Paradiso, fedelissimo a Suo Padre e quasi suo nemico.
Così, tanto per chiarire, perchè mi sembrava che potesse suonare strano.















NdA
Sera gente, mai che io riesca a pubblicare di mattina.
Questo capitolo è Destiel ma un po' meh, non so. Non mi dispiace, ma non è esattamente tra i miei preferiti.
Comunque, a parte tutto il resto, c'è una cosa importante a cui servono queste note.
Anche se non è il giorno giusto (sono in ritardo, lo so) e il capitolo non c'entra assolutamente niente, secondo me va detto.
Complimenti all'America, che come sempre ci è arrivata prima degli altri, e che come al solito ha dimostrato che le cose belle succedono, prima o poi. Basta crederci, e lottare per ottenerle.
Finalmente, e per fortuna, #
LoveWins
Insomma, era ora che qualcuno tirasse la testa fuori da sotto alla sabbia e si rendesse conto che l'Amore, quello vero, non è questione di sesso, ma di anime. Magari, chissà, adesso lo farà anche qualcun altro.
E questo è tutto, gente, spero vi sia piaciuto il capitolo.
Adesso vado a rispondere alle recensioni arretrate, vah.
Un bacio a tutti,
Fanie

 

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Capitolo 43
*** Di telefonate ambigue e visite inaspettate ***


Rating: Giallo, all'incirca.
Genere: Fluffoso, romantico, decisamente demenziale e un filo comico.
Contesto: Non ne ha uno, e va bene così.
Note: Godetevela, è una Crobby e forse è la più bella che io abbia mai scritto. Se volete, potete leggerci una Wincest sottintesa, anche se non è nata come tale.
Ci si vede giù.



Di telefonate ambigue e visite inaspettate




«Dobbiamo chiamare Bobby» sentenziò Dean, passandosi una mano tra i capelli, intorno alla sesta o settima ora di lavoro totalmente inutile.
Sam annuì, assolutamente d'accordo, e chiuse il portatile con uno sbuffo quasi sollevato.

Erano le dieci di sera passate, e quello era il secondo giorno che trascorrevano dietro a quel caso. All'inizio non era sembrato loro niente di strano, una caccia come le altre, ma dopo aver interrogato i primi testimoni, si erano resi conto che non si trattava affatto del solito fantasma vendicativo.
Le vittime non avevano niente in comune, vivevano distanti e non frequentavano lo stesso ambiente. Una era sposata, le altre tre no. Due di loro avevano figli, mentre le altre erano troppo giovani per averne. Le uniche caratteristiche che le accomunavano erano il fatto di essere tutte donne, di avere i capelli tinti di nero e di essersene andate di casa molto giovani. Non un granchè su cui lavorare.
E così, dopo un'intera giornata passata a fare ricerche, i due fratelli si erano arresi, propendendo per l'unica scelta possibile.

Dean si sfilò di tasca il cellulare, componendo a memoria il numero del vecchio cacciatore, optando per la linea ufficiale, una volta tanto.
Sbuffò, fissandosi le unghie mentre aspettava che Bobby rispondesse, e occhieggiando ogni tanto Sam, che ricambiava lo sguardo.
Al quarto squillo del secondo tentativo, finalmente qualcuno prese la chiamata, ma solo per riattaccare subito dopo.
Dean corrugò le sopracciglia e aprì la bocca per dire qualcosa, ma nessun suonò uscì dalla sua gola, quando allontanò il cellulare dall'orecchio, perplesso. Suo fratello lo fissò confuso, sorpreso almeno quanto lui.
«Beh, sarà stanco» disse il maggiore dei Winchester, incerto.
«Riproveremo domani» annuì suo fratello, e gli allungò una birra.
 
«Era ora» sentenziò il Re dell'Inferno, quando finalmente il telefono smise di suonare ininterrottamente.
Bobby, mezzo sdraiato contro lo schienale del divano, sbuffò risentito. «Poteva essere importante»
«Improbabile. Erano solo i Winchester»
Il vecchio cacciatore si tirò un po' su, guardando male il demone. «Appunto, proprio per questo. Levati, li richiamo»
Crowley ghignò, scivolandogli più vicino, più o meno dov'era prima che Dean chiamasse, e riprese a sfiorargli il petto con un dito, tracciando immaginari ghirigori sulla sua pelle scoperta. «Sei sicuro che sia quello che vuoi?»
Bobby sospirò rauco, lasciando andare la testa contro il bracciolo del divano. «Sadico bastardo»
Crowley ghignò, scivolando con la mano fino al suo fianco, dove strinse un poco le dita. «Sì, quella è più o meno l'idea in generale»
Si chinò a baciarlo, premendo la mano libera sulla sua nuca, e si strusciò un po' su di lui, fino a fargli perdere il fiato.
«Magari li richiamo domani»


Intorno alle nove, Sam decise di riprovare.
Dean stava facendo la doccia, e lui approfittò di quel momento di tranquillità per chiamare Bobby, e aggiornarlo sul caso. E già che c'era, anche per chiedergli che cosa gli fosse preso la sera prima.
Digitò il numero e si appoggiò il telefono all'orecchio, mentre con la mano libera scorreva una pagina di cronaca locale trovata sul sito di un giornale di zona. Niente di utile nemmeno lì.
Al terzo squillo, sentì finalmente un fruscio, presumibilmente qualcuno che strusciava la cornetta da qualche parte prima di rispondere, e Sam sperò di non aver svegliato Bobby. Sarebbe stato ancora più scorbutico del solito.
Ma quella che sentì dall'altra parte della linea, decisamente non era la voce del vecchio cacciatore.
«Buongiorno, ragazzi» esalò un accento curiosamente scozzese, e molto molto familiare.
Il giovane Winchester scattò in piedi, rovesciando la sedia. «Crowley! Dov'è Bobby?»
Il demone sorrise, Sam poté percepirlo distintamente «è qui, non ti preoccupare. Al momento però è... impegnato, e non può rispondere. Quindi vi sarei grato se tu e tuo fratello la smetteste di far suonare questo dannato telefono»
«Maledetto schifoso, cosa vuoi da Bobby?» urlò ancora il ragazzo.
Crowley ghignò. «Non devi preoccuparti per lui, non voglio fargli del male. Non tanto almeno. Appena avrò finito con lui, ve lo lascerò vivo e vegeto»
«Non ti azzardare a toccarlo!» tuonò Sam, ma il Re dell'Inferno scoppiò a ridere, e chiuse la chiamata senza aggiungere altro.
«Crowley? Crowley!» lo chiamò il minore dei Winchester, ma non ricevette risposta, e così chiuse il telefono con uno scatto nervoso.
Proprio in quel momento la porta del bagno si spalancò di colpo, e Dean piombò nella stanza ancora bagnato fradicio, un asciugamano malamente avvolto intorno alla vita.
«Cosa c'è? Che succede?» chiese, il fiato leggermente corto e gli occhi sgranati.
Sam scosse il capo con forza, preoccupato «Bobby. Credo che quel dannato demone lo stia torturando»
«Crowley?» chiese conferma Dean.
Suo fratello annuì.
«Bastardo» ringhiò il maggiore.
«Cosa facciamo?»
Il biondo si passò una mano sul viso, con forza. «Io mi vesto, tu carica l'Impala. Possiamo essere alla rimessa in un'ora»
 
Il leggerissimo spiraglio di luce che filtrò attraverso le sue palpebre socchiuse su accompagnato da un umido bacio sulle labbra. Bobby se le inumidì di riflesso, percependo il forte sapore del Craig sulla lingua.
«Sei ancora qui» mormorò, premendo due dita alla radice del naso, e soffocando uno sbadiglio.
«Non avevo niente di più interessante da fare»
«Certo, come no»
Il vecchio cacciatore si tirò su a fatica, sbattendo le palpebre e stiracchiandosi, e il suo sguardo cadde sul telefono abbandonato sul comodino.
«Ha chiamato qualcuno?»
«No, nessuno» sorrise Crowley, con un'espressione così innocente che per un lunghissimo momento Bobby gli credette.
«Devo chiamare Dean» sospirò, allungandosi verso il cellulare.
«Dopo» disse il Re dell'Inferno, strusciandosi su di lui e deviando la traiettoria della sua mano sul proprio petto, tirandoselo vicino.
Il vecchio cacciatore annegò le proteste in un lungo bacio, da cui si liberò solo quando Crowley si scostò per alzarsi e scendere in cucina, trascinandosi dietro il padrone di casa.

Bobby mise sul fuoco una pentola con un paio di uova a friggere, mentre nella caffettiera l'acqua iniziava a bollire.
Si versò una tazza di caffè senza nemmeno chiedere al demone se ne volesse anche lui, e rigirò le uova nella padella prima di metterle in un piatto.
Quando si voltò, vassoio in mano, un paio di labbra gli sbarrarono la strada, e lui si ritrovò a ricambiare un bacio del tutto inaspettato. Crowley gli tolse il piatto dalle mani e lo appoggiò sul bancone accanto a loro, poi gli mise le mani sui fianchi e si premette su di lui, rubandogli un sospiro e un altro bacio.


«Avanti, sbrigati» sbottò Sam, una mano sulla pistola e una sul cruscotto.
«Più veloce di così non posso andare, Sammy» ringhiò suo fratello, teso almeno quanto lui, il pugnale anti-demone nella tasca interna della giacca.
Davanti a loro, il profilo dell'autorimessa si delineava un poco alla volta, sempre troppo lentamente per i gusti di entrambi.
Dean parcheggiò fuori dalla casa, lanciandosi fuori senza nemmeno spegnere il motore, e appena suo fratello fu al suo fianco, sfondò la porta con una spallata.
«Bobby!» chiamò.
«Bobby, dove sei?» suo fratello entrò subito dietro di lui, guardandosi intorno frenetico.
«Tu va di sopra, io controllo qui» disse il maggiore, entrando in soggiorno.
«Va bene» annuì Sam, imboccando le scale.
Dean passò da una stanza all'altra in pochi secondi, e quando finalmente arrivò alla cucina, il pugnale quasi gli cadde di mano.
«Ma che cazz-»
«E tu cosa ci fai qui?» gemette Bobby, nudo dalla vita in sù, una tazza di caffè e un piatto di uova appoggiato accanto a lui, gli occhi sgranati e un re dell'Inferno altrettanto svestito premuto addosso.
Il maggiore dei Winchester boccheggiò, incapace di dire qualunque cosa. «Sam» urlò, lievemente isterico «Sam, vieni qui»
Dal corridoio provenne un rumore di passi, il cigolio del legno delle scale e poi un tonfo, presumibilmente il ragazzo che saltava gli ultimi sei o sette gradini.
«Dean» chiamò, affacciandosi in cucina ansimando, la pistola puntata davanti a sé.
Gli bastò un secondo per guardarsi intorno, e sul suo viso scorsero in rapida successione la sorpresa, la confusione, l'incertezza e l'imbarazzo, prima di finire con un'espressione che assomigliava pericolosamente a quella di suo fratello, assolutamente indecifrabile.
«Bobby, noi-»
«Ma che cazzo state facendo?» lo interruppe suo fratello.
Crowley ghignò. «Vuoi che ti faccia un disegno, Winchester?»
Dean fece due passi avanti, magari con l'intento di afferrarlo per il bavero del cappotto, ma poi valutò com'era vestito -o come non lo era, in quel caso- e ci ripensò.
«Tu» ringhiò, puntandogli il pugnale di Ruby contro «credevamo lo stessi torturando, dannato bastardo»
«Torturando?» chiese Bobby, alternando lo sguardo dai due fratelli al Re dell'Inferno, che per la cronaca non si era ancora mosso dalla sua confortevole posizione, ovvero spalmato addosso a lui.
«Torturando?» ripeté, la voce alterata da qualcosa di molto simile alla rabbia «gli hai detto che mi stavi torturando?»
Crowley roteò gli occhi, muovendo una mano davanti a sé come se stesse scacciando una mosca. «Loro hanno supposto che io ti stessi torturando. Sempre così sospettosi, voi cacciatori»
Dean ringhiò, e stava per saltargli alla gola, quando Sam lo interruppe, appoggiandogli una mano sulla spalla e stringendo con forza.
«Ma se non lo stai torturando, si può sapere cosa diavolo...» chiese il minore dei Winchester, ancora lievemente stralunato.
Bobby tossicchiò, in imbarazzo, e Dean parve essere sul punto di svenire.
«Ti prego, dimmi che è un patto, o che sei sotto incantesimo, o una qualunque stronzata del genere, così posso farlo fuori e iniziare a convivere con i miei nuovi incubi fin da subito»
«No che non è un patto, razza di idiota» rispose Bobby, raddrizzando la schiena e guadandolo male.
«E allora cosa, sentiamo»
Il padrone di casa sospirò, alla ricerca delle parole. Poi, semplicemente, strinse un po' di più la presa sul fianco del Re dell'Inferno. «È esattamente quello che sembra»
«Davvero, Bobby?» chiese il minore dei Winchester, abbassando finalmente la pistola «un demone?»
Il vecchio cacciatore si accigliò. «Dimmi che non è una domanda seria, Sam» disse, calcando sul suo nome. I due fratelli colsero al volo l'antifona, e mentre Dean stringeva i pugni, il più giovane abbassava la testa, colpevole. La storia di Ruby non era mai passata davvero.
«Dannazione Bobby, non può essere possibile» tuonò il maggiore dei Winchester «non tu. Non dopo tutti i casini che questo figlio di puttana ci ha causato»
«Veramente...» accennò Crowley, ma i tre cacciatori si voltarono verso di lui contemporaneamente, guardandolo così male che lui preferì tacere.
Il padrone di casa prese un respiro profondo. «So che non... So che è assurdo. E che non vi piace. Beh, non piacerebbe nemmeno a me, se fossi al vostro posto. Ma non è come se voi non aveste mai fatto delle cazzate nella vostra vita»
«Questa non è una cazzata» sbottò Dean.
«No, non lo è. E se mi sbaglio ne pagherò le conseguenze. Ma io mi fido, di lui» disse Bobby, accennando con la testa al demone, che sorrise leggermente e gli baciò piano uno zigomo.
Sam non riuscì a trattenersi, e inarcò un sopracciglio, stringendo appena la mano, che non si era mai mossa dalla spalla di suo fratello.
Il maggiore si girò verso di lui, e lo trovò con un leggerissimo sorriso sulle labbra.
«Che c'è?» ringhiò.
«Beh...» Sam esitò, forse alla ricerca delle parole adatte «devi ammettere che sono... carini»
Dean gli scoccò un'occhiataccia, ma quando si voltò di nuovo verso Crowley, lo trovò a strusciare piano il naso contro la guancia di Bobby, come avrebbe fatto un gatto, e questo gli fece rivoltare lo stomaco, ma in modo buono. Forse.
«Non-» si interruppe, si schiarì la voce, poi riprese «non so cosa cazzo stia succedendo in questa casa e non lo voglio sapere. Noi adesso ripartiamo, perché abbiamo un caso in sospeso. Ci serviva una mano, ma» disse, voltandosi verso Sam «credo che ce la caveremo da soli»
Il minore annuì, convinto, e leggermente imbarazzato.
«Per il resto, beh... chiama, se ti serve una mano» accennò a Bobby.
«E per quanto riguarda te» ringhiò, fissando Crowley con gli occhi ridotti a due fessure «se ti azzardi a fargli del male, a comportarti da stronzo o a spezzargli il cuore, ti troverò»
Il Re dell'Inferno inarcò un sopracciglio. «Mi stai veramente facendo quel discorso?»
Dean esitò, colto alla sprovvista, ma fu Sam a riprendere per lui. «Esatto, proprio così. E ricordati che noi sappiamo come trovarti e come farti molto, molto male. Quindi vedi di stare attendo a quello che fai, demone»
«Ve lo tratterò bene, ragazzi» ghignò Crowley «parola di re»
Il maggiore dei Wnchester lo guardò storto e suo fratello sorrise un poco, prima di fare un cenno a Bobby, qualcosa che poteva sembrare un saluto, e trascinare Dean fuori dalla casa e di nuovo in macchina.
 
Solo quando anche il rumore del motore dell'Impala fu svanito Bobby finalmente si rilassò. 
La prima cosa che fece, fu dare un pugno a Crowley all'altezza della spalla, e gli fu grato quando questo fece almeno finta di aver provato dolore. Non gli credette nemmeno per un attimo.
«Tu, dannato demone manipolatore» ringhiò, scrollandoselo di dosso.
Lui roteò gli occhi, ma lo lasciò andare.
«Sei un bastardo. Avrei dovuto lasciare che Dean ti piantasse quel pugnale in gola»
«Non lo avresti mai fatto»
«Non. Interrompermi» tuonò Bobby, furioso.
Lui alzò le mani in segno di resa.
«Sei un viscido serpente. Non era così che lo dovevano scoprire»
Crowley ridacchiò quietamente. «Perchè, avevi veramente intenzione di dirglielo?»
«Prima o poi!»
«Non lo avresti mai fatto»
«E non indovini perché?» chiese il vecchio cacciatore, retorico.
«Hai davvero così bisogno della loro approvazione?» sbottò il demone.
«Si» ringhiò lui, e per un attimo Crowley vide quello che Bobby aveva veramente provato quando Dean era comparso sulla porta della cucina, la paura di perdere il suo demone, il timore di vedere il disprezzo negli occhi dei due ragazzi che erano quasi i suoi figli, il senso di colpa per non essere riuscito ad impedire che quello che era successo tra lui e il Re dell'Inferno.
«Ehi» mormorò, andandogli incontro «è andata bene. Non hanno cercato di uccidermi, e non hanno giurato di provare a farlo in futuro. È un gran risultato» scherzò.
Bobby sbuffò.
«Non ti preoccupare. Sono due idioti, io l'ho sempre detto, ma capiranno. Dean ha la testa dura, ma ti vuole bene, e se tu sei felice, lo sarà anche lui»
Il vecchio cacciatore si lasciò circondare dall'abbraccio che il demone gli offriva. «Chi ti ha detto che sono felice?»
Crowley ghignò. «Lo sei, credimi. Devi esserlo, o i Wichester mi troveranno e mi faranno a fettine»
«Potrei aiutarli» sbuffò Bobby.
«Si, forse potresti» sorrise il demone, coprendo le sue labbra con le proprie.
















NdA
Salve gente.
Io oggi non potevo pubblicare, quindi lo sta facendo la mia beta (che amo, perché mi legge i capitoli a ore strane della notte e dichiara che “è assurdo. Completamente. Ma mi piace un sacco. Sto un po' come Sam e Dean al momento”. Non so cosa farei se non ci fossi tu<3).
Spero sia piaciuto anche a voi.
Appena torno rispondo a tutte le recensioni, promesso.
Un bacio gente, vi lascio alle note della mia beta:)
Fanie

Cose che non dovrebbero nemmeno essere qui.
aka... l'angolo della beta.


Non sono la peggiore beta del mondo perchè mi sono (quasi, ma non troppo quasi) dimenticata che oggi fosse lunedì. 
Non merito tutti gli elogi, ma in mia difesa fa caldo. Ed è ancora lunedì. 
Quindi tutto sommato posso evitare il rogo.
Forse.
Amate il capitolo quanto l'ho amato io e amate soprattutto chi l'ha scritto.
Sono un pessimo soggetto, ma ormai mi hai assunta e mi tieni così, Fanie!

Detto questo concludo il mio disperato tentativo di redenzione e spero che mi vogliate bene comunque. almeno pochino pochino ^.^"
Baci, 
β.
P.S. grazie all'editor di efp la grafica di Fanie è andata... perciò essendo in mega ritardo (mea culpa!)
ho sistemato meglio che ho potuto. 
Spero le modifiche reggano fino al provvidenziale intervento dell'autrice.
Chiedo di nuovo perdono, a voi e soprattutto a Fanie... :''( 
Ri-baci,
β.

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Capitolo 44
*** I will always find you ***


Rating: Direi verde chiaro, massimo giallino, più per il linguaggio e il tema che per il vero e proprio contenuto.
Genere: Angst, un poco, all'inizio. Fluff sul finale. Decisamente introspettivo.
Contesto: Quarta, quinta stagione? L'unico riferimento temporale è che ad un certo punto si parla (per tipo mezza riga) di angeli.
Note: Wincest. Il tema non è esattamente delicatissimo, ma neanche da fasciarsi la testa. Leggetela con serenità, ecco.
Ah, e Dean dovrebbe pensare meno, secondo me.
 

I will always find you




Dean uscì dalla camera sbattendo la porta, le chiavi dell'Impala strette nel pugno e due dita ancora sulle proprie labbra, a ricordare una presenza di cui sentiva già la mancanza.
Rabbrividì nell'aria fredda della tarda sera, e indossò la giacca con un gesto fluido, incazzato.
Dietro di lui, la porta si spalancò di nuovo, e suo fratello si affacciò al parcheggio, una mano tra i capelli e l'altra stretta sulla maniglia di ottone.
«Maledizione Dean!»
«No Sam, non questa volta» rispose urlando lui, senza nemmeno voltarsi, e continuando a camminare verso la macchina.
«Perchè no?»
«Perchè non è così che dovrebbero andare le cose» ringhiò, e per un attimo pensò che lui non l'avesse sentito, e avvertì l'impulso di fermarsi, di tornare indietro, di rifare quell'errore che lo aveva spinto a scappare da quella stanza.
«E come dovrebbero andare?»
«Dovresti trovarti una ragazza. Innamorarti di lei, baciarla, amarla, sposarla e vivere per sempre felice e contento. Come in una favola, Sammy» gridò, voltandosi finalmente, le braccia spalancate in un gesto di resa, le chiavi che penzolavano tra le dita della mano destra. Non si fermò, mosse due passi all'indietro, ormai sufficientemente lontano da suo fratello.
«Non dire stronzate. La nostra vita non è una favola» rispose Sam, sbuffando quello che poteva quasi essere un sorriso ironico, e facendo un passo avanti, fuori dalla porta della loro camera.
«No, non lo è, ma la tua dovrebbe esserlo. Sto facendo in modo che lo possa diventare» disse Dean, ripensando a meno di un minuto prima, quando le sue labbra erano state su quelle di suo fratello, per la prima volta, e lui non si era mai sentito così bene in vita sua. A casa.
«E la tua? Tu perchè non puoi vivere una vita lontano da tutto questo?» chiese Sam, facendo altri due passi verso di lui, riducendo quella distanza che Dean si era ostinato a creare.
«Perchè non la voglio, e non posso averla. Io morirò combattendo un mostro, con un'arma in mano, e vivrò cacciando fino alla fine dei miei giorni»
«Io non permetterò che accada. Non ti lascerò vivere così. Non da solo» disse Sam, convinto, avvicinandosi ancora, arrivando ad una distanza accettabile.
«E con chi dovrei farlo?» chiese Dean, con un filo di voce, mentre nella sua testa vorticavano le immagini di lui e suo fratello in mezzo ad una camera di Motel, stretti, stanchi, labbra su labbra.
«Con me»
Dean rise, buttando indietro la testa, la tensione che scavava nel suo stomaco. «Non dire stronzate fratellino. Mi sembra ovvio che dopo oggi io e te non cacceremo più insieme. Anzi, tu non caccerai mai più» rispose, odiandosi. Si inumidì le labbra, sentendo su di esse ancora un ultimo sprazzo del sapore del fratello, e del desiderio che ancora aveva di lui. Del desiderio che aveva sempre avuto di lui.
Sam incrociò le braccia sul petto, ed emise qualcosa a metà tra un ringhio e uno sbuffo. «Smettila di comportarti così. Credi che io sia un bambino? Credi che non capisca cosa tutto questo significhi? Credi che non ne abbia una paura dannata?» sibilò, e per un attimo Dean osò pensare che forse lui non era l'unico ad aver voglia di scappare. E allora perché lo tratteneva?
«Credo che tu non voglia capire. Che tu preferisca fare finta che sia tutto troppo grande per poterlo comprendere fino in fondo»
Il minore inarcò un sopracciglio. «E tu? Tu hai capito tutto, Dean?»
Lui sorrise, mesto, e si dondolò sui talloni, abbassando il capo. «Ho avuto modo di pensarci a lungo, in effetti» ammise, ripensando a tutte le volte in cui si era guardato allo specchio e si era fatto schifo, vedendo di fronte a sé un ragazzo innamorato del suo fratellino. Si era detestato, molto più di quanto non stesse facendo in quel momento, perché almeno adesso stava cercando di porre rimedio.
«Allora permettimi di fare altrettanto. Permettimi di capire cosa ci vedi di tanto sbagliato» disse Sam, facendo un altro passo in avanti e abbassando la voce.
«No. Tu non ci penserai mai più. Tu non penserai a me mai più» ringhiò il maggiore, alzando di nuovo il capo, e raccogliendo tutta la forza di volontà che quel bacio di poco prima non gli aveva strappato.
«Tu non capisci. Non ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo, vero? Nemmeno tu riesci ad ammettere quanto grande è questa cosa» mormorò Sam, avvicinandosi ancora, la supplica ben chiara nei suoi occhi.
«Io so solo che questa cosa, per quanto ti riguarda, finisce qui» sibilò ancora Dean. Si chiese, per un momento, se sarebbe davvero stato in grado di rinunciare definitivamente a lui, dopo tutto quello che avevano passato insieme, dopo averlo avuto per un attimo. Dopo essersi reso conto che non avrebbe mai amato nessuno come amava lui.
«Io non credo»
«Vuoi mettermi alla prova, fratellino?» sorrise, nonostante tutto.
Ma Sam rimase serio, concentrato. «Voglio farti capire che non ti basterà andartene. Non sarà sufficiente caricare le armi in macchina e sparire mentre dormo, perché io ti troverò, ovunque e in qualunque momento, perché non c'è posto al mondo o creatura nell'universo che possa tenermi lontano da te, né ora né mai» respirò, facendo un altro passo verso di lui, ormai a separarli meno di due metri. «E non mi interessa se a te questo non piace, se vorresti andartene e negare fino alla morte che sono innamorato di te»
Suo fratello sussultò visibilmente, e Sam sorrise, dolce, comprensivo. «Si Dean, sono innamorato di te, ti amo così tanto e così forte che il solo pensiero di non potertelo dire ogni minuto di ogni giorno per il resto dell'eternità potrebbe uccidermi, ma non mi importa, perché come ho già detto lo potrò fare»
«Sam, non sai quello che dici. Tu non capisci» gemette il maggiore, cercando di svincolarsi dalla presa dei suoi occhi, incapace di muoversi.
«Si invece, capisco benissimo. Ti amo, Dean Winchester, e lo urlerò finché tutti i demoni dell'Inferno e gli angeli del Paradiso lo capiranno, se questo servirà a farti smettere con queste stronzate del legame di sangue. Perché è di questo che si tratta, no?» disse Sam, allargando le braccia e lasciandole poi ricadere lungo i fianchi.
«Sam...» sussurrò Dean, una supplica a fermarsi, a lasciarlo fare la cosa giusta.
«Ti spaventa che siamo fratelli? Beh, vedila così: sarebbe solo l'ennesimo segreto che ci portiamo dietro, un nuovo punto nella lista delle cose da non scrivere nel curriculum, e non sarebbe nemmeno la più orribile» il minore scrollò le spalle, come se non gli importasse. E non gli importava.
«Smettila» disse Dean, sempre più vicino alla resa a cui desiderava abbandonarsi.
Ma a lui importava. Lui desiderava che suo fratello fosse felice, che avesse una vita vera, una moglie, dei figli, una casetta con la staccionata bianca, e non un fratello maggiore pateticamente innamorato di lui e una vecchia auto d'epoca.
Sam non lo ascoltò. «No Dean, non questa volta. E sai perché? Perché mi ami anche tu, e te ne sei accorto molto tempo prima di me, e ancora non hai capito che non ti basterà scappare questa volta. Ti troverò sempre, te lo giuro» sorrise, guardandolo fisso negli occhi, in modo che lui capisse che davvero, ad ogni costo avrebbe mantenuto la promessa, a costo di doverlo andare a riprendere all'Inferno.
«Non devi vivere così. Io ho il compito di proteggerti, e non posso farlo se restiamo insieme. Non dopo...» la frase gli morì sulle labbra, e lui si chiese se sarebbe mai riuscito a scacciare dalla propria memoria il calore della lingua di Sam che accarezzava la sua, il suo fiato caldo e leggermente ansimante, il sapore della sua bocca, la morbidezza delle sue labbra e la forza delle sue mani tra i propri capelli.
Il minore indurì lo sguardo, stringendo per un attimo i pungni. «Sei un cazzo di egoista, lo sai? Credi di farlo per il mio bene ma stai solo scappando. Dillo Dean, di ad alta voce quello che pensi. Quello che ti viene in mente ogni mattina appena mi sveglio, o quello che vorresti fare quando mi ricuci un taglio, o che ti chiedi quando bevo a canna una birra. Dillo» ringhiò, abbassando ancora la voce e avvicinandosi di un altro passo.
«No» gemette suo fratello, allo stremo.
«No? Allora lo dirò io. Vorresti baciarmi, per sapere se le mie labbra sono morbide come te le immagini anche appena sveglio. Vorresti baciarmi, per distrarmi dal dolore. Vorresti baciarmi e sentire finalmente il sapore della mia bocca che si mischia al gusto amaro e frizzante della birra. E sai come lo so? Perché è esattamente quello che vorrei farei io. Ogni minuto di ogni giorno» mormorò Sam, facendosi ancora più vicino, ancora più docile davanti a suo fratello, portandolo ad un passo dal baratro.
«Ti prego, smettila»
«No, Dean, non ti permetterò di farti ancora del male. Ora dimmi, fratellone, che effetto fa essere il centro della vita di qualcuno, il destinatario di ogni singolo pensiero di una persona ogni giorno della sua vita?»
Il maggiore trattenne il fiato. Forse... forse anche Sam...
Sarebbe stato ugualmente sbagliato, se entrambi si fossero voluti allo stesso modo? Se entrambi si fossero amati allo stesso modo?
«Non lo so. Dimmelo tu» rispose, sollevando il capo e guardandolo fisso negli occhi.
«Non riesci nemmeno a dirlo ad alta voce» sussurrò lui, ancora un passo più vicino, l'ultimo lecito tra due fratelli.
«Non lo ho mai fatto. Sarebbe stato troppo... reale» ammise Dean, e si odiò quando la sua voce cedette, lui che doveva essere forte e andarsene lontano, per il bene di entrambi.
«Dillo adesso» lo incoraggiò Sam, un'esortazione mascherata da sfida.
«Non posso» resistette lui, l'ultimo baluardo prima del nulla.
«Si che puoi» premette Sam, abbassando ancora di più la voce, ormai poco più di un soffio.
«Non ce la faccio» rispose lui. Era quasi una richiesta di aiuto.
«Vuoi che lo faccia io? Bene allora. Ti amo. Ti amo e ti amo, oggi, domani e per sempre, e ti amerò anche se non riesci a dirlo a tua volta, posso amarti per entrambi» disse il minore, tirandosi di due passi indietro di scatto, allargando le braccia e alzando la voce, il capo rivolto al cielo. Voleva che tutti lo sentissero, non gli importava. Tutti dovevano saperlo.
Poi abbassò di nuovo le spalle e guardò suo fratello, in piedi a due passi da lui.
«Ti stai rovinando la vita» gli fece notare il maggiore.
«Le so dando un motivo per essere vissuta» sorrise lui, ritornandogli vicino.
«Mi odierai. Un giorno capirai di aver sbagliato e mi odierai per non avertelo impedito» mormorò Dean, piano, abbassando lo sguardo.
«O magari un giorno sarai tu ad odiare me» bisbigliò Sam, prendendogli delicatamente il mento tra le dita e riportandolo alla propria altezza.
Erano così vicini, così meravigliosamente vicini...
«No, questo non succederà mai» disse Dean, esausto.
«E perché no?»
«Perchè io ti amo» ammise, alla fine, con un filo di voce. Ma con sua sorpresa, non si sentì sconfitto. Solo... libero. Giusto.
Sam sorrise, gli occhi brillarono per un momento. Appoggiò la fronte sulla sua, con cautela.
«E ci voleva tanto?» chiese.
Anche Dean sorrise, piano, esitante.
L'attimo dopo, il minore lo stava baciando, come in quella camera poco prima, ed era ugualmente bello, ugualmente casa.
Il maggiore si rese conto che non poteva esserci nulla di sbagliato, perché erano sempre loro.
Lo baciò a sua volta, infilando le dita tra i suoi capelli.














NdA
... E sì, sono ancora viva.
Intanto, buonasera a tutti.
Andiamo con ordine.
Il titolo lo ha scelto la mia beta (che ringrazio un sacco), quindi declino ogni responsabilità. Per il resto, se non si era capito, Dean è innamorato di Sam da sempre, suo fratello si è svegliato un po' più tardi. In qualche modo si sono baciati, e naturalmente il maggiore si è fatto prendere dal panico. Il capitolo è quanto segue al bacio.
Poi. So che vi devo delle enormi scuse per non aver pubblicato niente la settimana scorsa, e ritengo che sia il primo vero ritardo, mi dispiace. Non sto neanche qua a spiegarvi il perchè e il percome(?), sappiate che proprio non ce l'ho fatta. L' esate non si sta rivelando rilassante come credevo.
E proprio a questo proposito, devo fare un annuncio. C'è la possibilità, non tanto remota purtroppo, che io rarifichi ancora di più i giorni di pubblicazione, spostandoli a un lunedì ogni due. In pratica, ogni quindici giorni. So che è brutto, ma preferisco così piuttosto che tirare fuori capitoli scritti all'ultimo minuto e piedi di schifezze.
In realtà non è detto che lo farò, dipende da come si evolveranno gli eventi. Mi dispiace per il "disagio".
Altra cosa. Sto seguendo la messa in onda della nona stagione doppiata in italiano. Mi rivolgo a chi si sta facendo del male allo stesso modo: Ma secondo voi, perche "Zeke" sì, e invece "Cas" non si è mai sentito? Cos'hanno i doppiatori contro quel soprannome? Mah...
E dopo questa uscita, credo sia tutto. Vado a rispondere alle recensioni arretrate, adesso che ho un minuto libero.
Un bacio a tutti, e scusate ancora per il ritardo e tutto il resto.
Fanie



P.S. Se cogliete la citazione del titolo, siete fighi.

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Capitolo 45
*** The Perfect Number ***


Alla mia beta, a cui devo il mondo. Auguri tesoro mio, goditi questa schifezza, perché so che in fondo la volevi<3




Rating: Assolutamente, completamente e totalmente arancione. Quasi scuro, oserei dire.
Genere: Sarà introspettivo e sarà anche fluff, ma il capitolo è nato per essere erotico, ed erotico è.
Contesto: Ipotizzerei ottava stagione, ma non ci sono veri spoiler. Qualcosina sulla fine della settima, ma neanche ce ne si accorge.
Note: Oggi è il compleanno della mia beta. E se non fosse chiaro, questo è il mio regalo per lei. Il primo, perlomeno. Non vi svelo il paring (perché la sorpresa sta proprio lì), ma se qualcuno di voi non avesse voglia di imbarcarsi in capitoli pesanti, passi oltre e domani pubblicherò qualcosa di più leggero. Decisamente più leggero.
No sul serio, andateci piano, perché così in là non mi ero mai spinta fino ad ora.
Ci si vede giù.




 

The Perfect Number






Era estate, faceva caldo.
In un Motel sperduto da qualche parte nel Michigan, l'aria condizionata soffiava al massimo, le ventole che giravano con un fastidioso grattare davano il sottofondo ad un momento che altrimenti sarebbe stato fin troppo silenzioso. Una macchina d'epoca, nera sotto il sole battente, era placidamente parcheggiata fuori da una camera, in attesa di chissà cosa.
Una porta verde, legno graffiato e mangiato dalle tarme, chiudeva il mondo fuori da una stanza come ce n'erano mille, ma totalmente diversa da tutte le altre.
Dentro, la luce stentava ad entrare. Le tende erano tirate, solo qualche spiraglio sfuggiva alla trama del tessuto spesso, illuminando una camera spoglia, squallida, carta da parati gialla e moquette color topo. Un tavolo, due sedie, due letti, due borsoni da viaggio, un portatile, due birre vuote dimenticate su un ripiano.
Una giacca di pelle e un trench.
Un cacciatore di demoni e un Angelo del Signore.

Dean sorrise, cercando di far sembrare il suo solo un ghigno malizioso, ma fallì miseramente, e Castiel si assicurò di farglielo notare immediatamente, rispondendo con un'espressione speculare alla sua. Un passo, due, poi labbra su labbra.
Il maggiore dei Winchester si lasciò baciare, le mani immediatamente sui suoi fianchi per tirarselo vicino, e l'angelo si preoccupò di assecondarlo, infilandogli le dita tra i capelli e avvolgendole alla sua nuca.

Sapeva di buono, Castiel, di quell'aria fredda che si respira in alta montagna, di neve, della nostalgia di casa, e di miele.
Era diverso da quello a cui era sempre stato abituato, più innocente e timido, ma più forte, spontaneo. Era una scarica lungo la schiena ad ogni bacio, la sensazione di poter prendere il volo e di poterlo fare con lui.

L'angelo lo strinse senza far male, mentre Dean si faceva strada sotto il suo trench e la sua giacca, sfilandole e lasciandole cadere a terra. Nemmeno si accorse di essere già senza maglia, ma non vi diede importanza, già impegnato ad allentare la cravatta blu.
Castiel sorrise, facendo due passi avanti e spingendo il cacciatore fino a fargli appoggiare la schiena al muro. Gli mise le mani sul petto, distanziandosi giusto il tempo di guardarlo negli occhi -attenti, appena un po' appannati- prima di riprendere a baciarlo. Gli morse un poco il labbro inferiore, sempre troppo piano, mai abbastanza forte da far contento Dean.

Anche lui sapeva di buono, dell'aria che sferzava il parabrezza dell'Impala, del gusto amaro della birra, di un posto in cui tornare, di un motivo per Cadere.
Era luminoso, il cacciatore, un'anima splendente nonostante la vita che faceva e tutti gli anni all'Inferno, ed era bello, bello in un modo diverso e più puro rispetto alla semplice fisicità del corpo.
Ma anche di quello, Castiel non poteva lamentarsi.

Lo premette un po' di più al muro, mentre le mani di Dean si facevano largo tra i bottoni della camicia, sfilandoli uno alla volta a partire dall'alto, troppo impegnato con le labbra dell'angelo per poter baciare ogni lembo di pelle scoperta come invece avrebbe voluto fare.
Il moro si fece indietro di poco, appena lo spazio per permettergli di riprendere a respirare, e si chinò sul suo petto, succhiando la clavicola e poi il collo, frenetico.
Dean ringhiò, più che altro per nascondere quello che sarebbe potuto sembrare -ad orecchio inesperto e disattento, naturalmente- un sospiro, e abbandonò i bottoni della camicia per poterla sfilare dall'orlo dei pantaloni, riducendo il cotone bianco ad una sorta di telo candido e stropicciato, ormai del tutto superfluo.
Castiel sollevò il capo e incrociò i suoi occhi, nella penombra.
Il cacciatore si ritrovò fottuto.

Era da qualche mese che andava avanti quella... cosa. Dean sapeva che non era affatto salutare, o sana, ma non c'era mai stato molto di sano nella sua vita, quindi questo non poteva peggiorare granché la situazione. Magari sarebbe andato all'Inferno, per questo. Di nuovo.
Il fatto era, puro e semplice, che tutta la sua esistenza era stata incasinata, fin da quando poteva ricordare, e l'arrivo di Castiel e il resto erano stati quasi naturali. Per quanto riguardava l'aspetto pratico, almeno. A quello sentimentale, ci stava ancora lavorando.

L'angelo reclamò di nuovo la sua bocca, e lui glielo lasciò fare, finendo si aprire i bottoni e spalancando, finalmente, i due lembi della camicia. Dio, ovunque tu sia, grazie.
Appoggiò le mani sui fianchi candidi, e se lo tirò contro, sorridendo al mugolio compiaciuto che si infranse contro il suo orecchio un attimo dopo.

E fu lì che accadde.
Perché davvero, la solita fortuna di Dean.
Il cacciatore sentì la chiave infilarsi nella toppa e scattare, poi vide la porta aprirsi, inondando la camera di luce, ed entrambi alzarono lo sguardo.
«Allora, la figlia della vittima non centra. Pare sia una famiglia molto religiosa, quindi direi che possiamo escludere l'occultismo, a meno che-» la voce di Sam, completo da agente federale con cravatta scura già allentata, si interruppe di colpo, appena messo un piede dentro alla camera e alzato lo sguardo.
«Sammy...» esalò Dean, a torso nudo, un evidente segno rosso sul collo e la schiena ancora appoggiata al muro, una delle mani di Castiel sul suo fianco.
«Ciao, Sam» mormorò l'angelo squadrandolo dalla testa ai piedi, la camicia aperta sul petto e la cravatta sciolta che penzolava ai due lati del collo.
Il minore dei Winchester parve metterci un attimo prima di riprendersi, mentre suo fratello scorreva tutta la gradazione cromatica del rosso, dal color semaforo ad un inquietante vinaccia, la mano di Castiel che non accennava a muoversi dal suo fianco.
Dio, non si sarebbe mai abituato a quella cosa.

Sam inclinò il capo, allentandosi ancora di più la cravatta «vedo...» disse, prima di schiarirsi la voce «vedo che avete cominciato senza di me»
Poi ghignò, facendo sciogliere qualcosa nello stomaco di suo fratello.
«Poco male. Mi rimetto subito in pari» disse, chiudendo la porta con un calcio e mangiandosi quei pochi metri che lo separavano dagli altri due.
Arrivò ad un palmo dal naso di Dean, che, ancora lievemente stranito, alzò la testa aspettandosi un bacio, il solito bacio.

Era sempre stato così tra di loro, fin da ragazzini. Avevano imparato a prendersi cura di loro stessi, in ogni modo, in ogni momento, sfidando anche una legge morale che di fatto non avevano mai rispettato. Nessuno dei due ricordava chi avesse cominciato, ma era andato bene fin dall'inizio, il loro piccolo segreto, fragile e piacevole nel modo contorto in cui era sempre stata la loro incasinatissima vita. Prima il dormire insieme, poi i baci, aspettare che John uscisse per sperimentare, inventare scuse per restare da soli in qualche stanza di Motel, o dividere il letto da Bobby. E più crescevano, più diventavano consapevoli che quello che facevano era sbagliato, e ugualmente se ne fregavano, rimanendo la cosa più importante e il centro dell'universo l'uno dell'altro. E non era neanche strano, a pensarci, per il modo in cui erano cresciuti.
Se non si fosse conosciuto così bene, e altrettanto Sam, Dean avrebbe quasi osato dire che il loro fosse un meccanismo di difesa, come se fossero diventati indispensabili tra di loro per poter sopravvivere solo in due. Ma era più di questo, lo sapevano.

E quindi, quando Castiel era successo, non si erano fermati a parlarne poi tanto, ma l'avevano presa così, come l'ennesima situazione del cazzo. Piacevole, una volta tanto.
Ma era rimasto quel qualcosa, tra di loro, di esclusivo. Così come Dean ce l'aveva con Cas, anche Sam aveva una fetta di intoccabilità, con il fratello. E anche un po' con l'angelo, a dirla tutta.
Si appartenevano tutti e tre, condividevano parti e ne nascondevano altre, dosando gesti e parole come solo persone che si conoscono alla perfezione sono in grado di fare.
Una delle cose di Dean e Sam, solo loro, era il primo bacio. Lo era sempre stato, era una sorta di tacito accordo, a cui l'angelo si era sottomesso volentieri.

Ma il minore dei Winchester, quel giorno, non la pensava così, e intrecciò le dita ai capelli di Castiel, chinandosi su di lui e infilandogli la lingua in bocca.
L'angelo sussultò sorpreso, ma lo assecondò, rispondendo con enfasi, mentre accanto a loro il biondo osservava la scena scocciato.
Quando si separarono, i due Winchester si guardarono negli occhi, sfidandosi.
«Finito?» chiese Dean, ironico, ignorando il sorrisetto beffardo sulle labbra del fratello. Glielo avrebbe strappato a morsi, poco ma sicuro.
«Così impari a non aspettarmi, la prossima volta» lo rimbeccò Sam, ma il maggiore non aveva nessuna voglia di mettersi a chiacchierare.
Lo afferrò per la cravatta allentata e lo tirò giù, mordendogli le labbra perché le aprisse, e affondandovi dentro un attimo dopo. Il ragazzo lo lasciò fare, docile ma meno remissivo di Castiel, sfidando Dean ad una gara di lingue e morsi, finché entrambi non rimasero senza fiato, due sorrisi speculari ad illuminare i loro volti.
L'equilibrio era stato ristabilito, ora potevano riprendere da dove si erano interrotti.

I due cacciatori si guardarono per un momento, e si capirono. L'attimo successivo, si chinarono entrambi sul collo candido dell'angelo, che gemette sorpreso e si aggrappò a loro, una mano sul fianco di Dean e una su quello di Sam. Lo morsero, il maggiore dei Winchester che succhiava un lembo di pelle sotto all'orecchio e suo fratello che baciava il pomo d'Adamo, mentre di comune accordo avanzavano lentamente verso uno dei due letti, trascinando Castiel con loro, che non fece alcuna resistenza. Lo lasciarono cadere tra le lenzuola e lo osservarono stendersi, la camicia aperta e stropicciata, il petto candido in vista, come un'offerta sacrificale. Ghignarono entrambi, sovrastandolo dall'alto, prima di voltarsi uno verso l'altro.
Il minore coprì quel metro di distanza che lo separava da suo fratello e si chinò per baciarlo, e questa volta fu Dean a lasciargli il comando.

Anche Sam sapeva di buono, di vecchie biblioteche polverose piene di libri, di esorcismi in latino, di sere passate ad osservare le stelle, della casa che desideravano.
Lui aveva sempre lo stesso sapore, non era cambiato in tutti quegli anni, nemmeno con Stanford, nemmeno con l'Inferno, ed era bello sapere di poter contare almeno su quella costante, nel loro schifo di vita. Baciare Sam era sempre lo stesso, sempre ruvido e dolcissimo.

Il minore dei Winchester appoggiò una mano sul viso del fratello, facendogli inclinare la testa per cambiare angolazione, e Dean sorrise nel bacio. Sammy era sempre il solito perfettino, non sarebbe cambiato mai. Gli sfilò la cravatta, alla cieca, e insieme a lei fece scivolare a terra anche la giacca scura, prima di afferrarlo per i passanti dei pantaloni del completo e tirarselo contro.
Sam gemette, affondando le dita tra i capelli del fratello, e ondeggiò il bacino per vendicarsi, strappando un ansito a Dean, che interruppe il bacio e lo occhieggiò indispettito, ma non smise di toccarlo.

Quella era la piccola condizione di Dean, il suo rituale. Così come il suo primo bacio di norma apparteneva a Sam, allo stesso modo era lui l'unico a poterlo spogliare, e l'unico a poterlo fare come meglio credeva. Gli sfilò uno alla volta tutti i bottoni della camicia candida, mettendoci volutamente più tempo del necessario, e quando ebbe finito gliela fece scorrere giù dalle palle, mandandola ad ammucchiarsi per terra.

Il gesto fu accompagnato da un sottilissimo gemito, e i due Winchester si voltarono contemporaneamente verso la fonte di quel suono, stesa sul letto e con fin troppi vestiti ancora addosso.
Castiel, arrossato e scarmigliato, li osservava con una sorta di timidezza allucinata, una luce febbrile negli occhi, lo sguardo che si spostava frenetico dal petto di Sam a quello di Dean.

A pensarci bene, quello era un aspetto che ancora non era chiaro a nessuno.
O forse sì, ma loro non ne parlavano mai.
I due Winchester, da piccoli e poi da adolescenti, avevano discusso spesso di quello che li legava, e capitava che ne parlassero anche adesso, in un momento di pace, seduti sul cofano dell'Impala a guardare le stelle.
Ma Cas... Dean si era chiesto, qualche volta, se non fosse sbagliato.
Con Sam, le poche volte che si era posto il problema, aveva concluso che giusto o no, li faceva sentire completi, era indispensabile, quindi andava bene.
Ma l'angelo era un altro discorso. Si trattava di una creatura celeste, emanazione di pura Grazia di Dio, una dei suoi figli più fedeli e retti, che si macchiava di peccato con due uomini, due fratelli, nello stesso letto, nella stessa bocca. Da qualche parte, doveva essere sbagliato.
Forse lo stavano corrompendo, lo stavano trascinando in un abisso da cui non sapevano come uscire, lo stavano sporcando di colpe che non avrebbero mai e poi mai dovuto appartenergli.
Non che qualcuno si fosse mai preoccupato di farlo sapere a loro, in ogni caso.

Ma in fondo, anche se Dean si era posto quel dubbio un'infinità di volte, restava un fatto intrascurabile. Cas era Cas, non un pennuto qualsiasi. Aveva scelto, era Caduto.
E c'erano anche quelle cose, quelle che succedevano ma venivano ignorate con un leggero sorriso, quelle a cui il maggiore dei Winchester preferiva non dare un nome, ma non per questo fingeva non accadessero.
Come ad esempio Castiel che rispondeva a tutte le sue preghiere, che gli portava via gli incubi, che lo raggiungeva solo per aiutarlo in una caccia. Che gli impediva di dire “si” a Michele, che lo baciava piano quando il cacciatore era troppo stanco anche solo per salutarlo, o forte quando era disperato, schiacciato dal peso di quella vita. Che parlava con lui del Paradiso, gli raccontava dei suoi fratelli, e lasciava che Dean parlasse di suo padre, della sua infanzia, di un piccolo Sammy, di tutto quello che non aveva mai avuto.
Ma anche Castiel che se ne andava, che sbagliava, che falliva, e il maggiore dei Winchester che si incazzava con lui, che non gli parlava, che lo odiava.
E Sam, che perdonava immediatamente l'angelo, perché chissà come capiva, perché anche lui sapeva cosa significasse fare di tutto pur di vedere Dean felice, anche enormi cazzate. Lo baciava, ricordandogli che il suo posto era con loro, e poi andava a prendere suo fratello a randellate, finché finalmente non riusciva a infilargli in quella testa che magari, magari, Cas era sempre Cas e lo aveva fatto solo per loro, per la sua famiglia. Ed erano di nuovo tutti e tre insieme, a casa.
E anche Sam che litigava con Dean, che gli urlava contro, che guardava suo fratello andarsene sbattendo la porta, e poi che crollava seduto, esausto. Castiel che compariva accanto a lui, e lo ascoltava, e parlava con lui, ridendo un poco della testardaggine del maggiore dei Winchester, finché lui non tornava sui suoi passi e baciava piano suo fratello e il suo angelo per farsi perdonare.
E poi Cas che tirava fuori Sam dalla Gabbia, che affrontava Lucifero al suo posto, che gli dava una mano per le ricerche. Che lo ascoltava attentamente mentre cercava di insegnargli ad usare un computer, anche se non riusciva a capire nemmeno una parola di quello che diceva, e che lo aiutava a tradurre la lingua morta di qualche testo prestatogli da Bobby.

Dean, dopo averci pensato a lungo e molte volte, era semplicemente giunto alla conclusione che se anche Castiel si stesse sporcando, la scelta era completamente consapevole, ponderata e presa secondo un unico, strambo criterio.
Cas li amava, entrambi, così come entrambi amavano lui. E guardandolo, in quel momento, steso sul letto, con il petto che si alzava e abbassava frenetico e gli occhi sgranati, Dean non poteva essere più certo di così.

I due fratelli ghignarono, il minore più discreto, il maggiore più sfacciato, e si sfilarono le scarpe e i calzini in un movimento perfettamente speculare, come se avessero passato anni ad osservarsi. E in effetti, lo avevano fatto per davvero.
Il più giovane dei Winchester si chinò sul letto, gattonò fino al petto dell'angelo e vi lasciò un bacio asciutto, poi si scostò e gli slacciò la cintura. Aprì il bottone e la zip, e scivolò indietro portando con sé i pantaloni, le scarpe e i calzini, lasciando Castiel solo con l'intimo addosso. Ammucchiò tutto a terra, poi si svestì anche lui e tornò sul letto, accovacciato accanto all'angelo.
«Che fai, resti lì impalato?» chiese, voltandosi per un secondo verso Dean.
Il fratello li osservò per un momento, valutando che tutto sommato non sarebbe neanche stata una soluzione da scartare, e Sam si chinò sul viso di Castiel e lo baciò, tutto denti e lingua, l'angelo che ricambiava strattonandolo per i capelli. Anche quando si separarono, il minore dei Winchester continuò ad ansimargli addosso, giusto il tempo di riprendere fiato per poi ricominciare a baciarlo, a volte piano e a volte più a fondo, lasciandosi guidare dalla presa di Castiel sulla propria nuca.

Quella era la condizione dell'angelo. Non era stata veramente imposta, i due fratelli l'avevano semplicemente dedotta dopo poco che era iniziata quella cosa, e ne avevano sorriso, quasi inteneriti.
A Cas piaceva essere baciato, tanto, in ogni modo, l'importante era che qualcuno gli tenesse la bocca impegnata. E Dean, beh, non si vergognava affatto a dire che non era proprio un'occupazione così orribile. Per un paio di labbra così, si sarebbe volentieri sacrificato per la causa.

Sam scavalcò il corpo dell'angelo e si sedette a cavalcioni su di lui, e prima di riprendere da dove si era interrotto, lanciò un'occhiata di sbieco al fratello. Poi si chinò in avanti, e l'angelo gemette.
Dean rimase impalato a guardarli ancora per mezzo secondo, prima di raggiungerli sul letto, abbandonando jeans e boxer nel tragitto.
No, probabilmente non si sarebbe mai abituato.


Si issò sulle gambe di Castiel, alle spalle di suo fratello, e gli circondò la vita con le braccia, iniziando a baciargli il collo, la nuca, le spalle, le scapole. Ondeggiava piano con il bacino, seguendo i movimenti di Sam che faceva altrettanto, e sussurrava piano il suo nome, accarezzando gli avvallamenti dei suoi addominali in punta di dita.
Il minore dei Winchester ribaltò la testa all'indietro appena ebbe il suo petto ad aderire alla propria schiena, dando un colpo secco di fianchi contro l'erezione dell'angelo, ancora coperta dalla stoffa, che ansimò e afferrò tra le dita il tessuto delle lenzuola, stringendolo forte. Sam appoggiò la nuca sulla spalla di suo fratello e voltò il viso di lato per poterlo baciare, e Dean non se lo fece ripetere due volte. Affondò la lingua nella sua bocca come se da quello dipendesse il futuro del mondo,

scivolando lentamente tra le gambe di Castiel, che le stava divaricando quasi inconsciamente. Nel frattempo si beò dei gemiti di suo fratello e del loro angioletto, che avevano preso a strusciarsi l'uno contro l'altro alla ricerca di un ritmo.

Sam ringhiò e si separò dal suo petto e dalle sue labbra, chinandosi in avanti per baciare l'angelo proprio quando questi stava iniziando a gemere in quel modo basso e roco che mandava Dean letteralmente fuori di testa.
Castiel annegò nella sua bocca e si inarcò con forza contro il materasso, sgranando gli occhi blu fissi al soffitto, quando la mano del maggiore dei Winchester superò la barriera dei boxer e si avvolse intorno alla sua erezione. Lo accarezzò un paio di volte, ma si sorprese quando altre dita, familiari, sollevarono delicatamente le sue e le spostarono altrove, su un altro membro altrettanto congestionato. Sam sospirò di sollievo e sostituì la presa del fratello sull'eccitazione di Castiel, che gemette forte e lo strattonò per i capelli, costringendolo a sdraiarsi ancora di più sopra di lui, a pesargli addosso, e lui lo accontentò.
E in quel momento Dean, che stava quasi per lamentarsi per la posizione maledettamente scomoda del suo braccio, si accorse che il movimento imposto dall'angelo aveva portato il suo fratellino letteralmente piegato in due, le cosce ancora a circondare i fianchi di Castiel e il petto ad aderire a quello sotto di sé. E fu più forte di lui scendere con lo sguardo a delineare la forma perfetta della sua schiena, il leggerissimo segno lasciato dall'elastico dell'intimo e infine sì, anche la curva di quel bellissimo culo. Le gambe di Castiel, ormai oscenamente aperte, lo avevano costretto a scivolarvi nel mezzo, e ora lui si trovava in una posizione sorprendentemente favorevole.
Mentre con una mano riprendeva il movimento regolare sull'erezione del fratello, che gemette nella bocca dell'angelo e parve inarcarsi contro di lui, si sollevò sulle ginocchia, puntellandosi con la mano libera alla schiena di Sam, che intuì quello che voleva fare un attimo prima che lui avvicinasse il proprio membro al suo sedere. Il minore sollevò i fianchi, mentre Dean prendeva a strusciarsi contro di lui, chiudendo gli occhi e masticando il suo nome in imprecazioni sempre meno sommesse.

Ruotò il polso, causando in suo fratello uno spasmo e in Castiel un mezzo grido stupito, perché Sam aveva stretto la presa di scatto, e l'angelo iniziò a mormorare parole in una lingua che i due fratelli non potevano capire. Sorrisero entrambi, per un attimo, perché sapevano che cose del genere accadevano solo quando riuscivano ad essere particolarmente bravi. Nemmeno fecero caso alle lampade che prendevano a sfarfallare.
All'improvviso, erano tutti e tre talmente presi da lasciarsi andare e basta, e respirare e gemere e chiamarsi a vicenda, inseguendo la luce bianca ad un passo dall'esplodere dietro le loro palpebre serrate.

Il primo a venire fu l'angelo, che per una volta non fece esplodere niente, e Dean pensò distrattamente che aveva avuto ragione lui, era solo una questione di allenamento, ma allontanò quel pensiero in fretta, perché suo fratello aveva sfilato la mano dai boxer di Castiel e si era sollevato, schiantandosi contro il suo petto e gemendo forte.
«Dean... Dean... Dean...» mormorava, gli occhi sbarrati e il bacino che scattava in avanti nella presa del maggiore, prima con foga e poi lentamente, senza soluzione di continuità. Ondeggiava ancora sui fianchi dell'angelo, e il maggiore dei Winchester avvolse la sua vita con il braccio che un attimo prima era stato premuto sulla sua schiena, per tenerlo ancorato a sé. Si sollevò di più per baciargli il collo, le spalle, il lobo dell'orecchio, e nel frattempo spingeva contro i suoi fianchi, con foga, con disperazione.
Sam spalancò la bocca e appoggiò la nuca sulla sua spalla, e Dean approfittò di quel momento per mordergli il collo, dando contemporaneamente un colpo secco di mano sulla sua erezione, consapevole che quello lo avrebbe portato oltre il limite. Infatti, l'istante dopo suo fratello stava venendo con un grido incastrato in gola, e lui smise di preoccuparsi del resto, iniziando una rincorsa all'orgasmo sempre più frenetica.
Si strusciò con forza tra le sue natiche, in un incastro perfetto di corpi caldi, mentre da qualche parte riusciva a percepire la bocca di Castiel attorno ad un suo capezzolo, i denti a stuzzicarlo, le mani sui suoi fianchi.

Suo fratello piegato in due per lui e il loro angelo a leccarlo a bocca aperta, mormorando piano il suo nome contro la pelle sensibile in piccoli sbuffi di fiato. Il fottutissimo Paradiso.
Seppe che era finita quando si rese conto che Sam non aveva mai smesso di ondeggiare i fianchi, ma che continuava a spingersi, languido e soddisfatto, nella presa lenta della sua mano.
Vide tutto meravigliosamente bianco una frase e mezza dopo, quando suo fratello gli gemette sommessamente all'orecchio «Vieni, Dean, vieni per me», e lui quasi urlò il suo nome in risposta, spegnendoglisi addosso.

Rimasero l'uno sull'altro per molto tempo.
Lentamente, riuscirono a scivolare in un incastro perfetto di braccia e gambe, teste appoggiate a petti e dita a circondare fianchi. Sam sfilò i boxer ormai malridotti di dosso a Castiel e coprì tutti e tre con un lenzuolo, ma quello fu l'unico vero movimento per parecchi minuti.
Forse, meditò Dean, avrebbero anche potuto addormentarsi così.
Lo fecero davvero.

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA
Mai e poi mai nella vita avrei pensato di scrivere una cosa del genere. Dico davvero.
Ma per te, questo ed altro. So che in realtà la volevi, anche se pensavi che non te l'avrei mai scritta.
Adesso odiami.

Per ovvi motivi, il capitolo non è stato betato, ma spero non ci siano orrori. Con un po' di fortuna, domani aggiornerò come da programma, sempre che il wifi funzioni, dal momento che oggi dava grossi problemi.
Ah, e il titolo... Il tre è il numero perfetto. Credo che si spieghi da sé. E io adesso andrò a nascondermi.
Mai avrei creduto che sarei riuscita a scrivere una Wincestiel, e devo dire che le prime righe sono state veramente difficili. Ma dopo un po'... Hanno un loro senso, ecco. Potrei scriverne un'altra, prima o poi. Chissà;)
Altra cosa. Devo ringraziarvi tutti un sacco, perché con l'ultimo capitolo ho raggiunto e superato le 100 recensioni, e sto saltellando in giro come un'idiota. Vi amo un sacco.
Spero sia tutto, non dovrei avere altro da dire. Spero di non aver superato il rating, ma non mi sembra. Alla peggio, fatemelo sapere e la pubblicherò separatamente.
That's all. Un bacio a tutti e a domani (si spera).
Fanie



Ah, sì. Ancora una volta, Buon compleanno<3

 

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Capitolo 46
*** Di dispetti e cacciatori paranoici ***


Rating: Verde chiaro.
Genere: Fluff, comico, romantico. La combinazione che serve dopo lo scorso capitolo.
Contesto: Liberi di immaginarla dove volete, ma essendo una Sabriel si presume quinta stagione.
Note: Sì, è una Sabriel. E anche questa è tutta dedicata alla mia beta, che me l'aveva chiesta.
Niente da dire, ci vediamo giù nelle note.


 

Di dispetti e cacciatori paranoici

 

 

Dean Winchester non era mai stato un tipo paziente.
Di sicuro, non quanto suo fratello.
Sammy poteva starsene seduto in auto per ore a leggere un libro o a osservare la porta di casa di un tizio, un presunto skinwalker o qualche altra schifezza del genere, senza nemmeno sbadigliare. Lo aveva visto rimanere a fissare la stessa pagina di giornale per quasi mezz'ora, leggendo uno alla volta tutti i necrologi, quando lui si era arreso dopo i primi due. Avrebbe anche potuto giurare che suo fratello fosse uno di quelli che ad una mostra d'arte rimangono impalati per ore ad osservare lo stesso quadro, magari uno di quelli bianchi con solo una linea nera nel mezzo.
Ma lui, lui no. Lui aveva bisogno di muoversi, di scattare senza riflettere, di agire e basta.
Per questo, in quel momento, non tollerava minimamente la voce del meccanico di zona, un omino basso e pelato, che canticchiava a mezza voce -stonata, per altro- i Metallica. I suoi Metallica, per la miseria.
E detestava anche il fatto che non potesse essere lui a prendersi cura della sua bambina, come ogni volta, e dovesse invece lasciarla tra le mani di quel tizio, che gli sembrava tutto tranne che affidabile. Magari era lui, la creatura che provocava tutte quelle vittime in quella città, anche se di fatto non erano ancora certi di che cosa esattamente si trattasse. Né che effettivamente fosse qualcosa di soprannaturale.
«Senta, è sicuro di voler restare?» chiese l'omuncolo, guardando Dean in faccia con due occhietti da ratto «ci potrebbero volere delle ore e per controllare la ventola di aerazione è necessario smontare anche il radiatore, non so se...» cominciò, ed era qualcosa come la terza volta che cercava di mandare via il cacciatore per poter lavorare in pace sulla sua macchina.
«Non se ne parla neanche» sbottò il maggiore dei Winchester, spazientito «faccia quello che deve fare, io aspetterò» rispose, incrociando le braccia sul petto.
Col cavolo che avrebbe lasciato la sua Baby nelle mani di quell'uomo.
«Contento lei» sospirò il meccanico, infilando di nuovo la testa nel cofano della macchina.
Dean arricciò le labbra in una smorfia. Appena avessero capito di che creatura si trattava, quell'omuncolo sarebbe stato in cima alla lista dei sospettati, poco ma sicuro.

Ci vollero quattro ore, trecento dollari, due birre e un lunghissimo giro in città prima che Dean riprendesse un controllo sufficiente sui propri nervi per poter rientrare in Motel.
«Carte di caramelle» ringhiò, sbattendo la porta della camera alle proprie spalle e schiantandosi su una sedia di peso «delle stramaledette carte di caramelle incastrate nella ventola di raffreddamento, capisci Sam?»
Suo fratello si mise a ridere, e Dean odiò ancora di più il mondo. Non gli chiese nemmeno spiegazioni quando lo vide quasi cadere dal letto dalle risate, non gli interessava.

***

Dormì per le sei ore successive, e quando si svegliò era quasi l'alba.
Decise che sarebbe potuto andare a comprare la colazione, e si congratulò con se stesso per essere un fratello maggiore così magnanimo e generoso, mentre si infilava la giacca e usciva dalla camera.
Due ore dopo, mentre vedeva finalmente il profilo del carroattrezzi definirsi in lontananza, non la pensava decisamente allo stesso modo. Aveva forato, non si sapeva bene come, proprio all'estremità opposta della città rispetto a quel dannatissimo meccanico, e quando aveva chiamato suo fratello per dirglielo, Sam era sembrato dispiaciuto per meno di due secondi, prima di emettere uno strano mugolio e chiudere la chiamata in fretta e furia.
Ci vollero altre due ore, due maledette e lunghissime ore, prima che lo stesso omino del giorno precedente riuscisse a cambiare la dannata gomma, e a quel punto Dean stava fumando dalle orecchie.
«Arrivederci, signor Burton» lo salutò il meccanico.
«Ma anche no» rispose lui, sgommando via come una furia.

Sam lo aspettava in Motel, tutto concentrato sulle indagini. Dean fece finta di non notare che era fermo esattamente alla stessa pagina del giorno precedente, a dimostrazione del fatto che non aveva fatto niente per tutto la mattina.

***

Durante quel pomeriggio, Dean non mosse un muscolo. Parcheggiò l'Impala davanti alla camera e non la toccò più, nemmeno per tirare fuori dal bagagliaio le armi.
Si stravaccò sul letto e accese la tv, ignorando lo sguardo accusatorio di suo fratello.
Aspettò che si facesse sera, dopodiché si infilò cautamente in macchina e guidò fino a trovare il bar più vicino a quel maledetto meccanico, tanto per sicurezza. Parcheggiò esattamente dall'altra parte della strada, si infilò le chiavi in tasca ed entrò nel locale, più che propenso a bere fino a star male.
Peccato che quando uscì, qualche ora dopo, molto poco lucido e con una cameriera davvero carina abbarbicata addosso, l'Impala non fosse più dove l'aveva lasciata.
Sul momento, troppo ubriaco anche solo per rendersene conto, non vi diede affatto peso. Non quanto la mattina dopo, almeno, quando si svegliò, frastornato e con un mal di testa allucinante su una panchina poco distante e con ben poche idee su come ci fosse arrivato.

«Sei tornato con l'autobus?» chiese conferma Sam, osservandolo dalla testa ai piedi, e cercando di trattenere un sorriso. Dean non glielo avrebbe perdonato.
Suo fratello ringhiò. «Scusami tanto, se mi hanno rubato la macchina»
«Tecnicamente non l'hanno rubata» sottolineò il minore, e il biondo dovette stringere i pungi per non picchiarlo.
«Non so come cazzo sia arrivata qui, genio» sbuffò, puntando il dito verso l'Impala, placidamente parcheggiata fuori dalla loro porta «ma di sicuro non ce l'ho portata io»
Sam ondeggiò il capo, cercando di capire se fosse ancora ubriaco, poi scrollò le spalle. «Non fa differenza. Tu sei qui, la macchina è qui, quindi è tutto ok»
«No, non è ok!» sbottò Dean, spalancando le braccia «te lo dico io, Sammy, in questa città c'è qualcosa di strano. Qualcuno ce l'ha con me»
«Certo Dean, come no» rispose suo fratello, voltandogli le spalle un attimo dopo e soffocando un sorriso nella manica della camicia.

***

Sam iniziò a preoccuparsi per la salute mentale di suo fratello quella sera, quando il maggiore dei Winchester uscì dalla camera con una coperta e un cuscino, dichiarando che “lui avrebbe dormito in auto”. Il ragazzo non riusciva a capire se Dean fosse più preoccupato per se stesso o per la sua bambina.
«Sei un dispettoso bastardo» mormorò alla camera vuota, un sorriso ad increspargli le labbra, mentre osservava la figura di suo fratello girarsi e rigirarsi sul sedile posteriore dell'Impala, visibilmente scomodo.
Un attimo dopo, due braccia forti si avvolsero attorno alla sua vita, e un respiro caldo gli solleticò un orecchio.
«La colpa non è mia» mormorò Gabriel, alle sue spalle, accoccolandosi contro la sua schiena «sta facendo tutto da solo»
Sam ridacchiò. «Sta diventando paranoico, Gabe. Sai che è suscettibile quando si tratta di quella macchina»
L'arcangelo ridacchiò, la vibrazione del suo petto si ripercosse sulla schiena del cacciatore, e lui sospirò chiudendo gli occhi. «Cos'altro avrei dovuto fare? Ti sta sempre appiccicato» mormorò, strusciando la fronte nell'incavo della sua spalla.
«E intasargli la ventola del motore, bucargli una gomma e fargli sparire la macchina ti sembrava una buona idea?»
«Con la gomma non c'entro. È stata solo una fortunata coincidenza» sorrise Gabriel.
«Bugiardo» rispose Sam, girandosi nel suo abbraccio fino ad averlo di fronte a sé.
«Forse» mormorò l'Arcangelo.
«Forse?» chiese il cacciatore, inarcando un sopracciglio.
«Forse»* concluse Gabriel, chiudendogli la bocca con un bacio.
Il minore dei Winchester sorrise appena, prima di infilargli una mano tra i capelli e assecondarlo, appoggiando la fronte sulla sua.
Si accarezzarono con calma, come facevano sempre, senza forzare i tempi o i gesti. Sam si appoggiò con la schiena al muro e Gabriel si fece più vicino, senza malizia.
«Mi sei mancato» mormorò il cacciatore, sulle sue labbra.
«Ci siamo visti solo questa mattina» rispose l'arcangelo.
«Dobbiamo dirglielo. Non possiamo continuare a nasconderci come due ragazzini, Gabe» disse Sam, prima di baciarlo di nuovo, questa volta quasi con disperazione, come se il solo fatto di dire tutto a suo fratello potesse in qualche modo intaccare la sua relazione con l'arcangelo.
«Beh, quando deciderai di farlo, assicurati di nascondere l'olio sacro, ok?» scherzò Gabriel, accarezzandogli la schiena.
«Dicevo sul serio» mormorò Sam, staccandosi da quel contatto quasi intossicante, una conversazione fatta più di baci che di vere parole «non è possibile che ogni volta che vogliamo vederci tu debba sabotare la macchina di Dean. Alla lunga, gli verrà una crisi isterica»
«Sarebbe divertente» ghignò Gabriel, e il cacciatore lo guardò male.
«Va bene» gemette, alzando gli occhi al cielo «glielo diremo. Ma non stasera. Lascialo dormire fuori ancora una notte, ok?»
Sam sbuffò una risata, e si lasciò convincere. L'arcangelo sorrise a sua volta, e riprese a baciarlo.
Si trascinarono entrambi a terra, per gioco, ridacchiando e mordicchiandosi le labbra, finché il cacciatore non fu seduto sul pavimento, con le gambe tese e la schiena appoggiata alla parete, Gabriel a cavalcioni dei suoi fianchi.
L'arcangelo rise quando Sam gli solleticò la pancia, e appoggiò la fronte sulla sua chiudendo gli occhi per riprendere fiato. Iniziò a sbottonare la camicia del maggiore dei Winchester un attimo dopo, nello stesso momento in cui il ragazzo tornava serio e gli sollevava piano la maglietta.

Sam si rese conto che la porta accanto a lui si era spalancata solo perché il peso familiare dell'arcangelo era scomparso, costringendolo ad aprire gli occhi giusto in tempo per vedere suo fratello entrare in camera a passi pesanti.
«Mi serve ancora una coperta, fa un freddo cane là fuori» ringhiò Dean, afferrando una trapunta da uno dei due letti -quello di Sam- e avvolgendosela a caso attorno ad un braccio, prima di voltarsi per uscire di nuovo a testa bassa.
Ma si bloccò di colpo, appena si accorse di suo fratello, seduto scomposto accanto alla porta.
«Che succede? Cosa ci fai lì per terra?» chiese, osservandolo attentamente.
Il minore dei Winchester chinò il proprio sguardo su di sé, sulla camicia mezza aperta, i vestiti spiegazzati, e probabilmente i capelli sfatti.
«Sai cosa? Non lo voglio sapere» disse Dean, scuotendo il capo «'notte, Sammy» aggiunse, uscendo dalla porta.
L'istante dopo, appena il ragazzo sentì la portiera dell'Impala chiudersi di nuovo, Gabriel ricomparve sulle sue gambe. «Beh, perché non glielo hai detto? Era un buon momento!»
Sam lo fissò, cercando di capire se fosse serio.
Dopo un secondo, sbuffò esasperato, appoggiando la nuca alla parete.
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA
Salve popolo. Come va?
Allora, premetto che se avete colto la citazione dell'asterisco *(«Forse» «Forse?» «Forse»)* siete fighi. Altrimenti niente, è veramente andata a pescare in un posto inimmaginabile.
Btw, spero che il capitolo vi sia piaciuto, in tanti mi avevate chiesto una Sabriel e mi sembrava ora di accontentarvi. Soprattutto dopo ieri...
Penso che sia tutto. Un bacio e buon proseguimento. Sinceramente non so se riuscirò ad aggiornare lunedì, vediamo come vanno le cose. Ad ogni modo, non scappo, giuro.
Baci a tutti, Fanie



P.S. Ah, quasi dimenticavo. Se aveste delle idee carine, suggerimenti per capitoli o prompt sul genere, anche crack (meglio ancora) o se vi piacerebbe trovare una OS particolare... Fatemi sapere, e se riesco a trovare il tempo e l'ispirazione potrei accontentarvi;)

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Capitolo 47
*** AU ***


Rating: Arancione chiaro, ma non per il cntenuto. È solo che Dean pensa.
Genere: Comico, romantico, demenziale, e anche assolutamente geniale a modo suo. Ah, e fluff, ovviamente.
Contesto: È un punto molto specifico della sesta stagione. Ma se vi dico quale di preciso vi faccio spoiler e sarebbe veramente un peccato.
Note: Il paring è strano, anche se non sembra. Tutta l'ambientazione è strana, in realtà. E c'è una What if? in mezzo grande come una casa. 
E il titolo... Richiederebbe una riflessione di sei pagine, ma io mi limito a dire questo: È il più grande AU di tutta la serie, e l'unico a non esserlo veramente. Quindi il titolo... Ha il suo perchè.
Basta, ci si vede giù.

 

AU





A Dean non sta piacendo. Affatto.
Questa cosa dell'universo alternativo, o di qualunque cazzata si tratti, decisamente lo sta mandando fuori di testa.
A Balthazar questa cosa gliela farà pagare, garantito.

Sam, neanche a dirlo, si è ambientato in fretta. Gli è bastata una mezz'ora di ricerche ed è riuscito ad imparare quanto basta sul suo alterego (Jared Padaqualcosa, un nome così idiota da poter appartenere solo ad un universo alternativo) da riuscire a muoversi abbastanza liberamente sul set e in casa sua. Che poi, quella cosa di Ruby, Dean la deve ancora digerire, anche se ha il netto sospetto che al suo fratellino non dispiaccia poi così tanto.

E quindi, mentre Sammy se ne va in giro a far finta di fare l'attore e a raccogliere informazione su quella realtà alternativa, lui se ne è rimasto rintanato nel suo camerino, o comunque si chiami quella specie di saletta con i muri bianchi ed un'inquietantissima parete a specchio in cui lo hanno rinchiuso all'inizio delle prove. Si aspettava che qualche truccatrice lo raggiungesse -cerone? Davvero?-, ma dopo una buona mezz'ora nessuno si è fatto vivo, e se non fosse per la “J” sulla porta (anche Jensen è un nome abbastanza idiota, a dirla tutta), penserebbe di aver sbagliato stanza.
Si stravacca su una poltroncina, lisciandosi il tessuto della camicia scura che indossa, e accavallando le caviglie su un tavolinetto basso. Si chiede se anche questo Jensen lo faccia, bere birra, mettere da vent'anni sempre la stessa giacca di pelle, indossare lo stesso paio di jeans finché non si consumano, o se sia un più tipo tutto casa e chiesa, da maglioncino e cravatta. Magari usa i cappotti lunghi, e i berretti di lana. Le scarpe lucide. Le bretelle.
Dio, speriamo di no. Si vergognerebbe per lui.
Gli piacerebbe conoscerlo, pensa. Sam gli ha detto che ha una moglie, e forse una figlia, non ricorda. Chissà se è carina. Lo deve essere sicuramente. Magari ha gli occhi azzurri, i capelli neri. Deve avere due tette così. Una quarta, o magari una quinta. Alta, magra, un culo sodo, le labbra piene, la risata cristallina. Chissà come deve essere, avere una moglie gnocca come quella. Perché deve essere gnocca per forza, se lui l'ha sposata. Lui, sì insomma. Quell'altro.
Deve assolutamente smettere di fantasticare sulla moglie del suo alterego in un universo parallelo. Dio, gli angeli prima o poi finiranno col friggergli il cervello.

Bussano alla porta, e lui salta in piedi così in fretta da sbilanciarsi per lo spavento.
In realtà non era un vero e proprio bussare, più che altro due colpetti flebili, discreti.
Lui non sa cosa fare. Dannazione, nemmeno si ricorda come cazzo si chiama quel tizio che lo impersona nella serie tv. Oddio, e se gli chiedessero di recitare?
Resta impalato, non sa che fare, il cuore in gola.
Ma poi, una voce, e lui sente un sollievo così palpabile invaderlo che quasi singhiozza.
«Sono io. Posso entrare?» mormora qualcuno dall'altra parte del pannello di legno, e Dean potrebbe riconoscere quel tono basso e roco ovunque nel mondo. Anche in uno alternativo.
Si lancia sulla porta quasi con l'intenzione di sfondarla, e appena la spalanca Castiel è lì, trench e testa inclinata. Sorride.
Dean non sa cosa dire, ma è sollevato, ora può finalmente smettere di far finta di essere quel Jensen Qualcosa e tornarsene a casa. Non si lamenterà mai più dell'Apocalisse, lo giura.
Castiel guarda oltre le sue spalle, nel camerino. «Sei solo» constata, e il cacciatore sta per dirgli che Sam è in giro a fare ricerche, ma immagina che l'angelo lo sappia già, che lo abbia incontrato e che suo fratello lo abbia indirizzato da lui.
Quindi sta zitto, e lo osserva guardarsi prima a destra e poi a sinistra, per assicurarsi che il corridoio dei camerini sia vuoto. Si chiede se dovrebbe invitarlo ad entrare, o qualcosa del genere, o se all'angelo vada bene anche starsene in piedi sulla porta.
Ma poi, Castiel lo spinge dentro e si chiude l'anta di legno alle spalle, talmente in fretta che lui urta la parete quasi senza accorgersene. E l'attimo dopo è il delirio.
La bocca dell'angelo è calda, sa di qualcosa di amaro -caffè- e la sua lingua fa delle cose che lui non avrebbe mai immaginato possibili. Ok, sì, forse così è eccessivo, ma rende l'idea.
Le sue labbra si muovono su quelle del cacciatore con navigata sicurezza, quella di qualcuno che lo ha già fatto, e molte volte. Dannazione, gli morde il labbro, lo succhia, e porca puttana Dean non connette più. Merda, cazzo, gli sta sfilando la giacca.
«Cas» rantola, appena riesce a staccarsi, e deve ancora capire dove sia finito il ribrezzo che si presume dovrebbe provare in una situazione del genere. Niente, nemmeno un poco. E non sa neanche se vuole catalogare quella piacevole sensazione alla bocca dello stomaco. Finge che sia nausea.
Quella più in basso la ignora proprio.
Castiel si stacca di scatto dal suo collo, e ha gli occhi lucidi.
Cazzo, Dean ha mai visto gli occhi dell'angelo così lucidi e così scuri? Porca puttana, avrebbe dovuto, perché sono uno spettacolo destabilizzante.
Ma poi lui ghigna, e quello sì che frigge il cervello del cacciatore. Sa che quello che sta succedendo non è normale, non dovrebbe succedere, ma non è sicuro di voler smettere. Cazzo, se trova Balthazar, lo ammazza.
«Cas?» domanda l'angelo, e lì per lì Dean non capisce. Corruga le sopracciglia, anche se non è certo che questo basti a cancellare l'espressione da pesce lesso che è sicuro gli decori il viso in quel momento.
Castiel lo guarda negli occhi, e il cacciatore sa di dovergli dire qualcosa, fermarlo, allontanarlo, dargli un pugno. Ma la sua testa non funziona più nel modo corretto, perché riesce solo a pensare “bacialo, bacialo, bacialo, bacialo” e lui deve fare uno sforzo immane per non cedere e accontentarla.
Il moro continua a fissarlo alla ricerca di qualcosa, e lui si costringe a ripetere.
«Castiel» dice di nuovo, anche se non sa bene perché. Anzi, non sa bene nemmeno perché cazzo stiano parlando, quando in quella stanza ci sono un divano, un tavolo e un sacco di pareti, e loro potrebbero star facendo cose più interessanti su una qualunque di queste superfici. O anche tutte, ci si può pensare.
Ma l'angelo pare capire, qualsiasi cosa ci sia effettivamente da capire, e si illumina. «Dean» mormora, come se fosse una risposta. Il cacciatore non capisce, ma l'attimo dopo si stanno baciando di nuovo, e il black out nella testa del Winchester è di nuovo totale.
Lo morde, questa volta più forte, e Dean si ritrova a ricambiare senza nemmeno volerlo -ma a chi la racconta, certo che lo vuole- e geme nella sua bocca.

In mezzo minuto di bacio tutto lingua e denti, la giacca e il trench non si sa come a terra e le mani dell'angelo infilate sotto alla camicia che scavano alla ricerca della pelle, il cacciatore viene a patti con tutta una serie di cose che lo sconvolgono e di cui lui avrà tutto il tempo del mondo per fregarsene, dopo. Nell'ordine, il fatto di essere gay (o perlomeno bisex), la certezza di essere innamorato di un cazzo di angelo sfigato -altresì detto suo migliore amico-, la consapevolezza di stare per fare sesso con un uomo -anche se più che consapevolezza si dovrebbe dire speranza- e la determinazione di volerlo sbattere fino a farsi male.
Quando si separano, Dean vorrebbe urlare.
Ma poi Castiel dice una cosa che lo ammazza. Metaforicamente, si intende.
L'angelo appoggia lo bocca al suo orecchio, preme un ginocchio sul cavallo dei suoi pantaloni e sussurra, roco «credevo che non ti piacessero i giochi di ruolo, Jens»
Il cacciatore sgrana gli occhi, e il moro gli morde il collo, attento a non lasciare nessun segno.
Si struscia un po' su di lui, poi riprende. «Pensavo che mi preferissi quando urlo il tuo nome. Ma se oggi vuoi che ti chiami Dean, beh, per me va bene»
Gli lecca il lobo, e la mente appannata del cacciatore ha bisogno di quasi un intero minuto per capire cosa cazzo sta succedendo.
Oddio, merda. Questo non è Castiel.
Che il pensiero successivo sia qualcosa come “e ti pareva, era troppo bello per essere vero”, il cacciatore non lo ammetterà mai.
Ma il problema resta. Deve uscire da lì, cercare Sam, tornare nel mondo reale e nascondersi. Evitando possibilmente ogni altro incontro futuro con l'angelo in trench.
Ma il fatto è che non sa nemmeno cosa fare. Cazzo, non sa nemmeno come si chiama questo tizio.
Era una cosa russa. Dimitri? Igor? Yuri?
«Misha» mormora, ma quell'altro non lo sente. Si beh, nessuno sarebbe mai riuscito a distinguere un nome in quel gemito, ma questo Dean si rifiuta di pensarlo.
L'uomo appoggiato a lui continua, strusciando il mento coperto di barba sulla sua gola, ed è la cosa più fottutamente piacevole che gli sia mai capitata nella vita. «Vuoi che sia il tuo angioletto, mh? Imbranato, impacciato, imbarazzante, con il culo più bello su cui tu abbia mai posato gli occhi, eh Winchester?» ghigna, e il cacciatore sente che c'è qualcosa di sbagliato, ma non gliene frega niente. Non è nemmeno più sicuro di voler davvero smettere.
«So che mi guardi, quando pensi che io non ti veda, ma sono una angelo, Dean. Ti sento» mormora, e struscia i fianchi contro i suoi, e porca merda lui è già duro. Lo sono entrambi.
Deve uscire da lì, adesso.
Ma poi Misha si stacca dal suo collo, e fa un mezzo passo indietro. Il cacciatore si rifiuta di rimanere deluso. L'uomo inclina il capo, come farebbe Castiel, e dice una cosa che lui non capisce. Ma non è che ci stia capendo molto in generale, quindi non ci da tanto peso. «Oppure, possiamo provare le battute della prossima settimana, se vuoi»
Lui lo guarda allibito, perché davvero non sa, e gorgoglia un “cosa?” a cui Misha sorride.
«Ti avevo detto di leggere il copione. Mai una volta che tu mi ascolti» sbotta, e rotea gli occhi, in un'espressione così poco da Cas che Dean quasi si sente male.
«Hai presente la scena di cui abbiamo discusso per mesi, quella di cui tutto il fandom sta parlando? Quelle quattro battute in croce per cui tutte le fan stanno dando di matto?»
Lui scuote il capo. «Eh?»
«Sai, quel mezzo minuto durante il quale il Destiel diventa canon, nel finale di stagione. Quello che Bob vuole girare in gran segreto la prossima settimana. Andiamo Jens, non dirmi che non te lo ricordavi. In pratica, è la prima volta che puoi baciarmi davanti a tutti!»
Dean non ha capito una parola. Ma che lingua parla questo? «Io non...»
«Oh, Jens, per l'amor del cielo» sbotta Misha allargando le braccia «Robert ci ha fatto avere ieri mattina il copione per mercoledì prossimo, e tra le scene da girare c'è anche quella del bacio tra Dean e Cas»
E quello che il cacciatore sente è sicuramente un infarto. «Il cosa?»
«Il bacio! Andiamo, non puoi essertene dimenticato, ne abbiamo parlato per mesi» borbotta l'uomo, guardandolo storto.
E lui si sente in colpa per qualcosa che non ha fatto, come capita praticamente sempre quando si tratta di Castiel. E fa l'unica cosa che gli riesce bene in quei momenti. Mente.
«Ah, sì, ricordo, il bacio, certo» annuisce convinto.
Oh sì, Balthazar è morto, ormai.
E Misha sorride, sornione. «Beh, se vuoi possiamo iniziare da lì, e poi cercare di immaginare cosa farebbero Dean e Cas al posto nostro» mormora, e il cacciatore ha di nuovo caldo tutto d'un colpo.
Il moro ritorna con le labbra sulle sue in un bacio morbidissimo, quasi impacciato, e potrebbe sembrare davvero il primo bacio di un angelo.
Si stacca, lo guarda, e lo bacia di nuovo, e per un lungo momento il cacciatore si permette di credere che quello sia davvero quello che si prova a baciare Castiel. E pensa che sì, lui lo potrebbe fare. E non solo sul set.

Si baciano, tanto, finché finalmente il finto angelo non infila le mani sotto alla camicia, sulla sua pancia, e scorre le dita su e giù, e Dean non capisce più niente. Lo morde, gli afferra i capelli, respira sulle sue labbra e lo bacia ancora.
Castiel, o Misha, lo chiama piano, quasi spaventato, ed è bellissimo, e lui non smetterà mai di baciarlo.

Peccato però, che in famiglia i Winchester abbiano in vizio del tempismo indecente.
Perchè in quel momento Sam bussa alla porta.
E Dean lo ignorerebbe, davvero, lo manderebbe a fanculo e tornerebbe a leccare le labbra dell'uomo che lo preme contro il muro, ma Misha salta indietro di scatto, gli occhi sgranati.
«Datti una sistemata» sibila, passandosi le mani tra i capelli nel disperato tentativo di rimetterli a posto, quando si accorge che lui non si è ancora mosso.
«Dai Jensen, sbrigati. Se Jared ci trova in questo stato verrà fuori un casino. Raccogli la giacca, avanti» mormora, pianissimo e concitato, sistemandosi il trench sulle spalle, e suo malgrado Dean si ritrova d'accordo. Se Sam venisse a sapere quello che è successo lì dentro, lui morirebbe di vergogna. Anche se non sa di preciso per cosa.
«Avanti» dice, dopo un momento, e percepisce Misha fare tre o quattro passi verso il fondo del camerino, lontano da lui.
Sam compare sulla porta, e sembra sul punto di dire qualcosa, quando si accorge che suo fratello non è solo. Li guarda, entrambi, incuriosito e preoccupato. Ma è Sammy, e Sammy non è il tipo da fare domande. Non nel camerino di un set televisivo sulla loro vita, in un universo alternativo e davanti all'attore che interpreta il loro angelo custode.
Le domande le farà una volta tornati a casa.
«Jensen...» dice, sicuro di sé come un ragazzo costretto a chiamare suo fratello con un nome diverso perché trasportato in un mondo parallelo in cui loro due non sono nemmeno parenti non dovrebbe essere «verresti con me? Devo parlarti un attimo»
E Dean annuisce, dannazione, perché l'unica cosa che voleva era uscire da lì, giusto? Cazzo, no.
Prima di varcare la soglia e seguire Sam fuori, si volta un secondo verso Misha.
Merda, non gli assomiglia nemmeno. Gli occhi sono blu, ma non quel blu. E la testa non è inclinata nel modo giusto. E sorride. Cas non sorride mai così. E di sicuro, non gli ha mai fatto l'occhiolino come invece fa l'uomo in quel momento.

***

Sono tornati a Sioux Falls. Tutti interi. Dean si è incazzato con Balthazar, parecchio, Sam ha dovuto tenerlo fermo e le cose sono come prima.
Il maggiore dei Winchester non ha più voluto pensare a quello che è successo in quel camerino, non è così masochista. Fatto sta, però, che ci ha pensato lo stesso, parecchio. Ma veramente tanto. Troppo, forse.
E tra le altre cose, ha capito che le cose con cui è venuto a patti mentre baciava Misha sono vere sul serio. È davvero gay, è sicuramente innamorato di Cas e, porca puttana, vuole ancora sbatterlo sulla prima superficie disponibile. A lungo, possibilmente.
Lo pensa anche in quel momento, mentre l'angelo discute con Sam e Bobby della guerra in Paradiso, e lui se ne sta stravaccato su una poltrona alle sue spalle, una birra in mano e gli occhi puntati sul suo culo. Cazzo, ha veramente un bel culo. Altro che quarta o quinta di seno.
L'angelo non lo guarda, è tutto concentrato sulle parole di suo fratello, e Dean ripensa a quello che gli ha detto Misha.
Scremata la conversazione dalle parole senza senso -fandom, canon, Destiel- si è reso conto di una cosa enorme. Gli ci sono voluti giorni per metabolizzarla, ma finalmente adesso ci è riuscito, e porca puttana è una notizia fantastica. Si fa per dire.
In quel camerino era troppo scosso per darci peso, ma con il senno di poi, si è reso conto di due fatti sostanziali.
Il primo, è che quella serie tv rispecchia perfettamente la loro vita, come i libri di Chuck. Il secondo, conseguente al primo, è che tutto quello che succede nella serie succede anche nella loro vita.
Quindi, tirando le somme, Dean si ritrova a sorridere, bevendo un sorso di birra e guardando ancora il culo del suo angelo. Misha gli ha detto che il bacio tra lui e Cas doveva venir girato per il finale di stagione.
In pratica, deve solo aspettare.

















NdA
I'm back, bitches<3
Allora, che dire? Io amo questa Destiel. Forse è la mia preferita. E non è nemmeno una Destiel. È praticamente una pre-slash.
Sto cadendo in basso mi sa...
Btw, vi lascio in pace, e vi prometto che risponderò alle recensioni il prima possibile. Anche oggi, se trovo il tempo.
Ultimissimo commentino: quanto ci sarebbe piaciuto se veramente la Destiel fosse diventata canon sul finale di stagione della sesta? Avremmo pianto un sacco perchè come ogni buon finale di stagione sarebbe morto minimo uno dei due, ma almeno...
Basta vah.
Baci a tutti, e ci sentiamo il prima possibile.
Fanie

 

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Capitolo 48
*** There and back again ***


Rating: Tra il giallo e il verde. (Prima o poi smetterò di cercare tutte queste sfumature e mi deciderò ad usare i colori così come sono)
Genere: Romantico e sentimentale sicuramente, ma anche una leggerissima vena malinconica. Niente che non si risolva con il solito fluff.
Contesto: Settima stagione, dalla 7x03 in poi. Spoiler vari ed eventuali fin lì. Per chi non ricordasse cosa quell'episodio comporta, Castiel è scomparso nel lago e Sam vede Lucifero.
Note: Non voglio spoilerarvi il paring, ma come sempre lo metto nelle NdA. Era stato chiesto a gran voce, e io mi sono decisa ad accontentarvi, anche se devo chiedervi scusa per certe premesse che ho fatto nel capitolo circa l'Inferno. Abbiate pietà, la fantasia è quello che è.
Fate attenzione al titolo, ne riparliamo nelle note.
*Dedica*: Questo capitolo lo dedico a chi è nuovo da queste parti, perché tra di voi c'è una persona che spero si riconosca in queste righe, e con cui sono molto contenta di poter condividere questi capitoli. Perché io sono “quella che è riuscita per prima a farmi piangere con una one shot”, e sono molto fiera di questo. Ti voglio bene<3



There and back again



Sam sedeva al computer da ore. Passava da una pagina all'altra, controllando solo ogni tanto il cellulare, per essere sicuro di non avere chiamate perse o messaggi da Bobby. Ma, purtroppo, sapeva fin troppo bene che il vecchio cacciatore era messo male quanto lui.
Si passò una mano sugli occhi, scrollando via malamente la stanchezza dell'ora tarda, e si appoggiò allo schienale della sedia. 
Dean era fuori, come accadeva sempre più spesso, ad ubriacarsi o a perdere tempo tra bar e cameriere. Suo fratello sospettava che fosse solo un altro dei suoi assurdi e autodistruttivi modi di gestire il dolore e l'impotenza, tutto pur di non dover affrontare la mancanza di Castiel. Anche se erano passati mesi, la ferita restava aperta per entrambi i Winchester. Sam la stava solo vivendo in modo diverso.

Il cacciatore chiuse gli occhi per un attimo, stendendo e piegando le gambe sotto al tavolo, prima di riprendere da dove si era interrotto.
Con i Leviatani era un disastro. Dopo mesi passati a dare loro la caccia, costretti ad abbandonare le loro identità e perfino la loro macchina, si erano ritrovati a non saperne assolutamente niente, nessun modo per farli fuori o per rispedirli in quel dannato buco da cui erano usciti. Inermi, di nuovo.
A Sam, così come a Dean, quella situazione faceva alquanto schifo, e così, mentre suo fratello cercava ancora un modo per riprendere in mano la propria vita dopo l'ennesima perdita, lui era deciso a vendicare Castiel, ammazzando quegli schifosi bastardi ladri di corpi. Una missione che, a quanto pareva, sembrava senza speranza, visto che fino a quel momento non avevano trovato nulla di utile.

Il giovane Winchester chiuse l'ennesima pagina internet per aprirne un'altra, altrettanto priva di informazioni interessanti, e cliccò sul link ad un altro sito, e poi ad un altro ancora.
Niente, niente, niente e di nuovo niente.
Si sfregò con forza le palpebre, esausto.
«Fai una pausa»
Una voce calda alle sue spalle, vicino al suo orecchio, lo fece sobbalzare, concentrato com'era su quella montagna di parole inutili, ma appena la riconobbe si rilassò di nuovo, sospirando di sollievo.
«Mi hai fatto prendere un colpo» mormorò, appoggiandosi allo schienale della sedia, e -oh. La sua schiena aderiva perfettamente al petto, alle sue spalle, caldo ed accogliente, il mento dell'altro tra i suoi capelli. Sorrise, un poco.
«Credevo che ormai ti fossi abituato a me» rispose la voce, e un braccio forte e scoperto si appoggiò al tavolo, accanto al suo, polpastrelli ruvidi che accarezzavano discretamente il dorso della sua mano.
«Resterà sempre una cosa strana, per me» sorrise Sam, sistemandosi contro il suo petto, accogliente, perfetto. «Soprattutto dopo, sai...» aggiunse, e percepì l'altro sogghignare.
«Dopo cosa, Sam?» mormorò la voce alle sue spalle, e il cacciatore ruotò il busto sulla sedia, incontrando immediatamente un paio d'occhi di ghiaccio e un mare di capelli biondi. Quel viso, che aveva qualcosa di felino nei tratti, gli sorrise.
«Dopo la Gabbia, Lucifero» mormorò, serio, e il Diavolo fece guizzare la lingua biforcuta.
Suo malgrado, il ragazzo abbassò il capo e sorrise.

Non era affatto andata come credeva Dean.
All'epoca, quando loro due si erano ritrovati dopo quell'anno di lontananza, Sam non ricordava nulla, visto che la parte di lui che aveva vissuto quelle torture era ancora intrappolata là sotto.
E poi, appena gli era stata restituita, le visioni erano state solo di dolore e sofferenza, e lo avevano costretto a stare lontano dal muro che Morte aveva eretto per proteggerlo.
Dopo, quando Castiel aveva abbattuto anche quell'ultima barriera, il cacciatore era stato investito da tutti quei ricordi e anche dalla presenza, del tutto inopportuna, di Lucifero.
Sul momento non aveva avuto modo di raccontare a Dean cos'era veramente accaduto all'Inferno, perché suo fratello era preso dalla faccenda di Cas e dall'apertura del Purgatorio. E anche quando l'angelo era morto in quel lago e la situazione sembrava aver preso una piega inquietantemente calma e immobile, Sam non se l'era sentita di interrompere il lutto di suo fratello per spiegargli nel dettaglio quello che lui aveva passato all'Inferno.
Da quel momento in poi, non era più accaduto che ne parlassero, e il più giovane dei Winchester aveva semplicemente deciso di lasciar correre, e aspettare un “momento giusto” che sarebbe anche potuto non arrivare mai.
Ma, di quell'anno chiuso nella Gabbia le conseguenze si facevano ancora sentire, oltremodo reali e palpabili. Sam ricordava ogni secondo.

All'inizio sì, erano state torture e sofferenza. Lucifero che si accaniva sulla sua anima e la dilaniava, ne strappava parti, si divertiva a smembrarla e poi a ricomporla solo per ricominciare tutto da capo. Il minore dei Winchester aveva chiaro in mente il suono del suo sangue che cadeva a piccolo gocce sul pavimento, le proprie urla, i propri lamenti, tutto quel dolore. Gli unici momenti in cui poteva riposare era quando i due fratelli, i due Arcangeli, si divertivano a combattere, a colpirsi e colpirsi e sanguinare a loro volta, fino a ridursi in brandelli e tornare dall'inizio. Ricordava tutte le loro urla, la loro sofferenza, i millenni che li avevano tenuti separati che tornavano sottoforma di furia e dolore che si scagliavano addosso l'un l'altro. E poi, Lucifero riprendeva a giocare con lui.

Ma dopo un po', le cose avevano iniziato a cambiare.
La Gabbia era grande, molto più di quanto Sam pensasse. Nel suo immaginario, sarebbe dovuta essere solo un pozzo nero, stretto e caldo, asfittico. In realtà era sconfinato, un enorme spazio vuoto, illuminato a volte e buio altre, freddo, e opprimente. Il ragazzo si ricordava di essersi chiesto, mentre la lama del Diavolo affondava nella sua carne, se anche l'Inferno di Dean fosse stato così. 
Lucifero aveva vissuto lì dentro per talmente tanti secoli da non poterli contare, e conosceva la Gabbia come un bambino conoscerebbe il proprio parco giochi. Sapeva interpretarla, piegarla alla propria volontà nei limiti consentiti dall'incantesimo, e poteva farla muovere a proprio piacimento, scaraventando Michele lontano da loro o chiudendolo dentro a stanze con pareti impenetrabili, così da avere la privacy di cui necessitava per strappare tutta la carne dalle ossa di Sam.
Ad un certo punto, aveva iniziato a isolarsi con lui sempre più spesso, e aveva smesso di usare le lame, per fargli del male. All'inizio, il cacciatore aveva creduto che fosse solo un altro modo di ferirlo, una tortura psicologica. Il Diavolo lo costringeva a parlare, e parlare, e parlare. Della sua infanzia, della morte di sua madre, di com'era stato crescere come un soldato, agli ordini di John Winchester. E poi di Dean, di come anche lui era cresciuto in fretta, di tutti i sacrifici che entrambi avevano dovuto fare, e di Stanford. E dopo di quando avevano ripreso a cacciare insieme, della sua morte, della morte di entrambi, di quella loro mania di salvarsi a vicenda anche a costo della vita. Di tutti gli angeli che avevano incontrato, di Gabriele, ma anche di Jo, Ellen, Ash, Bobby*, e tutti quelli che loro avevano amato e che erano morti, irrimediabilmente. La scia di dolore che i Winchester si lasciavano dietro, sempre.
Dopo un po', Lucifero aveva iniziato a chiedergli di Castiel, di quello che aveva fatto per loro, della sua ribellione, di tutto quello che aveva sacrificato solo per salvarli, per le parole di Dean che avevano fatto breccia tra i millenni di obbedienza incondizionata. Sam era convinto che fosse solo un modo di estorcergli informazioni, come se il Diavolo volesse conoscere le debolezze di suo fratello, un modo per colpirlo attraverso il piumoso amico morto per loro.
Ma ad un certo punto si era semplicemente reso conto che non sarebbero mai usciti da quella Gabbia, perché Dean gli aveva promesso che non avrebbe provato a riaprirla per tirarlo fuori, e nel contempo che parlare gli faceva bene. Raccontare a Satana della sua vita, di tutte le sue sofferenze, di quello che aveva sacrificato, era terapeutico, in qualche modo. Quindi raccontava e basta, perché se anche il Diavolo veniva a sapere di tutte le loro gioie e i loro orrori non faceva differenza, perché in alcun modo avrebbe mai potuto usarle contro suo fratello.
Lucifero non parlava mai, non commentava se non raramente, e si limitava ad incoraggiarlo quando si fermava, quando i ricordi erano troppo dolorosi per poter essere espressi a parole.
Con il tempo, con il passare della sofferenza, Sam si era rilassato. Aveva preso a parlare anche di se stesso, di quello che aveva provato, di quello che aveva pensato, senza più lasciarsi influenzare da chi era il suo confidente. Si raccontava che lo faceva per egoismo, per stare meglio, e per ritardare l'inevitabile ripresa delle torture.
Ma non avvenne mai. Lucifero non riprese mai in mano le lame, o il calore accecante del fuoco, o il freddo doloroso del ghiaccio. Aveva continuato a chiedere, e ad ascoltarlo parlare.
Quando poi un giorno lo aveva slegato dalle cinghie che lo tenevano imprigionato al tavolo su cui lo aveva torturato tanto a lungo, Sam non se ne era sorpreso, non davvero. Si era limitato a massaggiarsi i polsi, notando come erano guariti dalle piaghe causate dai lacci al solo tocco del Diavolo.
Michele non si vide più. Lui e Satana rimasero chiusi in una stanza per tutto il tempo. Lucifero prese a lasciarlo da solo, libero di riposare, o di riordinare le idee, chiedersi cosa fosse cambiato. Trasformò il tavolo asettico macchiato del suo sangue in un letto, morbido e pulito, e rese quella stanza quasi accogliente, simile a tutte le squallide stanze di Motel che Sam e Dean avevano visitato nella loro vita, la cosa più simile ad una casa che il ragazzo ricordasse. Fece apparire anche una sedia, una sorta di sgabello di legno in un angolo della camera, il più possibile lontano da lui, come se avesse paura di spaventarlo. Da quel momento in poi gli parlò da lì, a distanza.
La vera sorpresa fu quando anche il Diavolo iniziò a parlare di sé. Della sua vita, di suo Padre, del tradimento dei suoi fratelli, della Caduta. Gli raccontò di quello che aveva condiviso con Gabriele, e con Michele, e quello che aveva provato quando gli avevano voltato le spalle. Sentire un'altra versione mise Sam nella condizione di capire cosa realmente fosse accaduto, del come, e definitivamente del perché. La Gabbia, la prima volta che Lucifero vi era rimasto rinchiuso, lo aveva cambiato, aveva accresciuto in lui l'odio, la rabbia, la solitudine, e quando finalmente era riuscito ad uscirne lo aveva fatto solo per la vendetta.
Ma quella volta, il cacciatore lo aveva capito molto lentamente, il Diavolo che vi era entrato non era la stessa creatura a cui stava parlando in quel momento, e non sapeva cosa questo potesse significare.
Lo aveva realizzato di botto quando, un giorno come tutti gli altri, si era risvegliato e la prima cosa che aveva visto erano stati gli occhi color ghiaccio di Lucifero, seduto ai piedi del letto, che lo scrutavano come alla ricerca di qualcosa. Sam, stranamente, non si era spaventato.
«Cosa c'è?» aveva chiesto, e il Diavolo si era riscosso in quel momento.
«Sei così luminoso...» aveva mormorato semplicemente, come se non si potesse capacitare di qualcosa, prima di andarsene e lasciarlo solo.
Il cacciatore si era chiesto a lungo cosa volessero dire quelle parole, e alla fine lo aveva chiesto a lui, a Lucifero.
Il Diavolo si era azzardato a sedersi vicino a lui, lo sguardo gelido intrecciato al suo, e con calma e pazienza gli aveva spiegato una cosa che aveva aperto gli occhi a Sam in un modo che il ragazzo non avrebbe mai creduto possibile. Gli aveva parlato della sua anima, lucente, splendente, e di quando questo fosse stupefacente.
«Ricordi quando mi hai detto che Castiel definiva l'anima di Dean “luminosa”? Beh, tu lo sei molto di più. Sei accecante, in un modo in cui nessuna anima, specie una torturata così a lungo in un posto come questo, dovrebbe essere. Sei la Luce, Sam, e io ancora non capisco come questo sia possibile» aveva detto, e il cacciatore in parte aveva capito, ma non ci aveva creduto.
Poteva Lucifero, il Diavolo, Satana, essere cambiato solo per lui, perché era così accecante?
Glielo aveva chiesto, gli aveva domandato se era possibile che la sua anima avesse influito su di lui, su quello che rimaneva della sua Grazia, e l'Arcangelo Caduto aveva sorriso. Gli aveva detto che non era così semplice, che era più di questo.
«Non è per un'anima che accadono le cose. I demoni non diventano dei santi e gli angeli non si ribellano al Paradiso, per un'anima. Ci sono cose che vanno oltre anche al potere di una creatura sfolgorante come sei tu» aveva mormorato, e finalmente Sam aveva capito.
Capito il tavolo delle torture che si trasformava in cuscini comodi, la rabbia di Michele chiusa fuori da quella porta, le sue ferite guarite, la sofferenza lenita solo da parole mormorate dal Diavolo.
«Non pensavo che Satana credesse a simili poteri» aveva risposto, e gli occhi di Lucifero si erano animati di consapevolezza, perché si era reso conto che Sam aveva capito.
«Non ci credevo, infatti. Avevo perso la fiducia nell'amore quando mio Padre mi ha esiliato dalla sua casa. Ma adesso, ci credo di nuovo» aveva detto, con un sorriso triste sulle labbra, e si era scostato per alzarsi, e andarsene di nuovo.
Ma il cacciatore non glielo aveva permesso. Lo aveva afferrato forte per un braccio, trattenendolo.
«Resta» aveva detto solo, e Lucifero si era seduto di nuovo.
Il bacio era stato dolce, timido, come mai Sam si sarebbe aspetto un bacio dal Demonio, ma era stata la cosa più giusta che si fosse ritrovato a fare in tutta la sua vita. Baciare piano il Diavolo nelle profondità più remote dell'Inferno, dopo le peggiori torture e le più dolorose sofferenze. Appoggiargli una mano sul viso e chiudere gli occhi, e sentire le sue dita intrecciarsi ai suoi capelli, disperate.
«Non te ne andare, non andartene anche tu» aveva mormorato Lucifero sulle sue labbra, la voce quasi spezzata, debole come mai a Sam era stato permesso di vederlo.
«Non me ne andrò. Anche se potessi, non lo farei» aveva promesso il ragazzo, strattonandolo e stringendolo a sé, forte, fin quasi a farsi male. E in quel momento si era sentito a casa.
Da lì, le cose avevano preso una piega totalmente inaspettata. Se inizialmente il Diavolo aveva fatto fatica a fidarsi, restio ad affidare quello che restava della propria Grazia devastata alle cure dell'uomo che lo aveva condannato ad una nuova eternità di reclusione, con il tempo aveva capito che Sam era come lui. Solo, distrutto, stanco e felice. Avevano entrambi un nuovo scopo.
E dopo quel bacio ne erano venuti molti altri, e tante confessioni, racconti di un passato che non voleva tornare a galla e segreti sussurrati tra le lenzuola di quello stesso letto. Cicatrici ripercorse con la memoria e con le dita, con le labbra, e due squarci sulla schiena dove un tempo c'era stato un paio d'ali tracciati con la punta del naso, e poi con il respiro. Le mani, i capelli, gli occhi, la bocca, tutta la pelle e tutti i pensieri, erano rinati ed erano morti di nuovo tra quelle mura fittizie, e si erano sepolti insieme a loro nel morbido calore della stretta in cui si erano chiusi senza più riuscire a lasciarsi andare.
Piano piano, secolo dopo secolo**, si erano innamorati l'uno dell'altro, in modo talmente devastante da fare quasi male. Ma loro se ne erano già fatti abbastanza, e anche questo non se lo sarebbero inflitti. Si erano curati a vicenda, nelle profondità dell'Inferno, e avevano aspettato che l'eternità sgocciolasse via.
E quando finalmente l'anima di Sam era ritornata nel suo corpo e Castiel aveva abbattuto il muro eretto da Morte, loro due si erano ritrovati, ancora. 

Di questo, Dean non sapeva nulla, e probabilmente sarebbe passato ancora molto tempo prima che suo fratello trovasse il coraggio di dirglielo, di dirgli che lui amava il Diavolo, quello che lo aveva torturato, picchiato, ferito, e poi curato, accarezzato, ascoltato e baciato.
Ma con calma, il giovane Winchester sapeva che anche Dean avrebbe capito. 

«Dai, Sam, fai una pausa» ripetè Lucifero, strappandolo ai suoi pensieri.
Il ragazzo scosse il capo. «Non posso. Devo trovare qualcosa sui leviatani, una cosa qualsiasi»
Il Diavolo gli accarezzò la nuca, e lui chiuse gli occhi, esausto.
«Non aiuti nessuno se svieni dalla stanchezza. Avanti, vieni a dormire. Prometto che stanotte ti proteggerò io» mormorò, appoggiando la fronte sulla sua.
«No» ripetè Sam «devo almeno aspettare che Dean torni. Magari stasera avrà voglia di parlare...»
«E di dirti quanto senta la mancanza di Castiel?» Lucifero inarcò un sopracciglio.
Sam strinse le labbra, abbassando il capo.
«Prima che tu riesca a mettere tuo fratello con le spalle al muro e costringerlo a parlare dei suoi sentimenti per un angelo morto, dovrà essere o molto ubriaco o veramente molto triste. E Dean non è niente di tutto questo, al momento. Lui lo sa»
«Sa cosa?» chiese il ragazzo, corrugando le sopracciglia.
Lucifero gli sorrise, come si farebbe ad un bambino, e gli baciò la fronte. «Se c'è una cosa che ho imparato da te su Castiel, è che troverà sempre il modo di tornare da tuo fratello, sempre. E Dean lo sa. Per questo non ha ancora mollato, perché vuole essere qui quando il suo angelo riuscirà a trovarlo»
Sam sorrise, malinconico. «Tu dici?» chiese, speranzoso.
«Dico» annuì il Diavolo, trascinandolo in piedi, e il ragazzo lo lasciò fare.
«Spero tu abbia ragione» mormorò, lasciandosi condurre fino al letto e stendendocisi sopra.
«Dean ha salvato il mondo, tante volte. Ha dato tutto per l'umanità. Merita il suo lieto fine, e lo avrà. Se conosco l'universo che ha creato mio Padre, e lo conosco, sarà ricompensato. Succede sempre» mormorò Lucifero, sdraiandosi accanto a lui e tirandoselo addosso.
«E io?» chiese Sam, petulante «non ho salvato anch'io il mondo? Non merito anch'io un lieto fine?»
Il Diavolo sogghignò, mentre il cacciatore nascondeva il viso nell'incavo della sua spalla.
«Forse. Di sicuro, meriti più di quello che ti è stato dato» annuì contro la sua nuca, e percepì il ragazzo ridacchiare.
«Dio, spero di no. Sto così bene in questo momento che non ti cambierei con nessun altro» mormorò, scostandosi dal suo nascondiglio e guardandolo negli occhi, e Lucifero sorrise.
«Ti amo anch'io» rispose, e il bacio che Sam gli offrì fu giusto come tutti quelli che si erano scambiati nella Gabbia, e fece quasi desiderare ad entrambi di poterci tornare.









*Visto che i ricordi sono quelli di Sam nella Gabbia, lui è convinto che Bobby sia morto, perché era già caduto oltre il portale quando Castiel lo riporta in vita. Lo stesso vale per l'angelo, qualche riga dopo.

**Ho parlato di secoli perché, come sappiamo, all'Inferno il tempo scorre diversamente, e Sam è rimasto intrappolato per quasi due anni interi là sotto, prima quando il suo corpo se ne andava in giro con il pilota automatico e poi nei mesi che Dean ci ha messo per rendersene conto. In più (e questa è una mia teoria, ma la vedo così), più in profondità si và più lentamente scorre il tempo. Quindi sì, i due piccioncini sono rimasti incastrati per un bel po' di secoli.






















NdA
Per chi scende dall'alto, è una Samifer (Sam+Lucifero)

Per gli altri, salve a tutti.
Dopo quindici lunghissimi giorni, I'm back.
Intanto, spero che abbiate colto tutti la citazione del titolo. Che non è una citazione ma fa lo stesso. Se non sapete cos'è, vergognatevi, andate a cercarla e poi vergognatevi di nuovo.
No, scherzi a parte, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e che non sia troppo strano, con quella cosa dell'Inferno. Perché in fondo, lo sappiamo noi cos'hanno fatto quei due per tutto quel tempo chiusi là sotto? No, infatti.
Comunque sia, anche lunedì prossimo salta la pubblicazione, ma torno giusto in tempo per l'inizio della scuola, e sappiate fin da subito che sarà una cosa di un angst orribile, tanto per festeggiare il rientro nelle aule. Preparatevi, perché l'Happy Ending non è contemplata.
Ma ho già detto troppo. Un bacio alla mia beta, che sta pubblicando il capitolo al mio posto e che riesce a leggere le mie OS anche a ore strane della notte. Ti voglio bene<3
That's all, folks. Ci si rivede tra due settimane..
Un bacio a tutti,
Fanie







Cose che non dovrebbero nemmeno essere qui
Aka... l'angolo della Beta.

S A M I F E R

e non credo ci sia molto da aggiugere.
E non è perchè qualsiasi ship che contenga Sam sia per una OTP, no eh.
Lo shipperei anche con un sasso se il sasso acconsentisse.
Sarà che Sammy è Sammy e la parte in cui Morte gli ritorna l'anima e lui inizia a vedere Lucifer fa desiderare anche a te di non averne una, sarà che il pairing è tra i più belli e al contempo strani che si possano accozzare in Spn, sarà che l'idea dell'autrice di aggiungere la parte della Gabbia alla Samifer "classica" è, secondo me, geniale (sviolinate time, magari mi guadagno un Sam Winchester di cioccolata), perchè di tutte le Samifer che ho letto, non è mai trovata una che con questa maestria riuscisse a spiegare il risanamento del rapporto tra Sam e Lucifer, dato che effettivamente, pensandoci bene, è un po' una forzatura che dopo tutte le torture dell'Inferno subite da Sam, lui di punto in bianco si innamori del suo carnefice. 
Per me resta una trovata geniale e azzeccatissima questa dell'amore tra i due che nasce nella Gabbia, resa poi benissimo dal modo di scrivere di Fanie che come sempre è perfetto e calza ogni personaggio e il suo PoV.
Niente da aggiungere, leggetelo e godetevelo. E amatelo, perchè è stupendo. 
 β.

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Capitolo 49
*** Finchè morte non ci separi ***


Rating: Giallo, niente di che.
Genere: Angst, anche se non tanto quanto avrei voluto. Poteva essere peggio, ecco.
Contesto: 5x19. Credo che non serva dire altro.
Note: Primo giorno di scuola per molti di noi. Per cominciare bene l'anno, io mi sono fatta del male a scrivere questa cosa. Non è venuta triste quanto avrei voluto, ma penso che ci sia un limite al dolore che uno scrittore ha il diritto di infliggere, e il mio si aggira più o meno intorno a questo livello. (In realtà so essere molto peggio, ma non con loro)
Sappiate che, come avevo già anticipato, l'happy ending non è prevista.




 

Finchè morte non ci separi






L'Impala si fermò sgommando davanti alla porta colorata del Motel, i fari accesi sotto alla lieve pioggerellina che infangava l'asfalto. Sam non aspettò nemmeno che suo fratello spegnesse il motore, e si lanciò fuori dalla macchina di corsa. Aprì con una spallata la porta d'ingresso e un attimo dopo era nell'atrio, il respiro affannato da un terrore sordo e le orecchie invase dalla voce di Dean, che gli urlava di aspettare, di stare attento. Ma non c'era tempo, non più.
Attraversò la sala di corsa, imboccando il corridoio, e si bloccò.
I muri, completamente coperti di sangue, sembravano accartocciarsi gli uni sugli altri, rendendo il passaggio soffocante e opprimente. A terra, i corpi degli Dei uccisi da Lucifero giacevano scomposti, distrutti dall'ira del Diavolo.
All'improvviso, tutta la foga di Sam era scomparsa. Ogni speranza, la minima possibilità di vederlo ancora, che lui fosse ancora vivo sembrava svanita, e il cacciatore non era più così ansioso di scoprire cosa lo aspettava in fondo al corridoio. La rabbia, la preoccupazione, l'ansia avevano ceduto il posto alla paura, al terrore di sapere cosa avrebbe visto in quella stanza da cui meno di un'ora prima era scappato con Dean.
Lui e suo fratello avevano lasciato Kalì abbastanza lontano da essere al riparo, e lei aveva promesso loro che sarebbe rimasta nascosta, al sicuro, come Gabriel avrebbe voluto. E poi, dopo essersi assicurati che lei fosse salva, avevano girato la macchina ed erano tornati indietro, da lui.
Dean poteva anche pensare all'Arcangelo come ad un compagno d'armi, un amico che si era sacrificato per loro, un'altra vittima della guerra, ma per Sam era diverso. Per lui Gabriel era tutto, e molto di più.

E adesso che era di nuovo in quel Motel, consapevole di quello che avrebbe visto ma ancora troppo cocciuto -troppo innamorato- per poterlo accettare, non sapeva se esisteva ancora in lui la forza di percorrere il corridoio e scoprire in che modo questa volta il Destino si era accanito sui Winchester.
Prese un respiro profondo, stringendo i pugni e cacciando dalla mente l'immagine di Gabriel che irrompeva in quella stanza, sorridendo a Lucifero, mettendosi tra suo fratello e l'uomo che amava e dicendo al Diavolo che lui sceglieva gli umani, quell'umano.
Si incamminò in silenzio, mentre alle sue spalle si sentiva a malapena il rumore della porta d'entrata che si apriva e si chiudeva di nuovo, accompagnando l'ingresso di Dean nel Motel, abbastanza lontano da lasciare a suo fratello l'illusione di essere ancora solo.


Sam tenne coraggiosamente lo sguardo fisso davanti a sé, le labbra strette, i muscoli tesi, inspirò profondamente e svuotò la testa dai pensieri, preparandosi a tutto, ad ogni cosa potesse esserci, a tutto quello che avrebbe potuto distruggerlo. Si concentrò su tutto e su niente, ripetendosi che qualunque cosa fosse successa, comunque le cose fossero andate, lui avrebbe avuto la forza di andare avanti.
Aveva già perso delle persone care, in passato, aveva visto morire tutti quelli che aveva amato, eppure era ancora in piedi, nonostante tutto. Sua madre, suo padre, Jess, Jo ed Ellen, Cas e anche Dean, loro erano morti e lo avevano lasciato con il dolore della perdita, ma lui era riuscito ad andare avanti. Questa volta non poteva essere diverso.

Ma nemmeno pensarlo, nemmeno ripeterselo fino a convincersene poteva salvarlo da quello che lo aspettava in quella stanza. Niente al mondo avrebbe mai potuto impedirgli di sentirsi soffocare appena messo piede in quel salone, lo sguardo coraggiosamente alto e il cuore completamente distrutto, la vista annebbiata davanti al corpo di Gabriel, riverso a terra, una pozza di sangue e l'impronta bruciata delle ali.

E Sam improvvisamente desiderò solo cadere in ginocchio, sdraiarsi a terra e morire, perché non era vero, non era vero affatto che questa volta era come tutte le altre. Questa volta era orribile e terribile, doloroso in un modo che di sopportabile non aveva nulla, uno squarcio intollerabile.
Non pensò, non ne era più capace, si trascinò fino al corpo di Gabriel e vi si accasciò accanto, in silenzio. Rimase lì per un lungo momento, senza dire o fare niente, solo fermo a guardare il suo viso, i suoi occhi chiusi, i suoi capelli.
Sentì in lontananza Dean chiamarlo, come in un sussurro, chiedergli se fosse vivo, se potesse fare qualcosa. Lui non gli rispose. Immaginò che si sarebbe fermato ad aspettarlo all'imboccatura del corridoio, appoggiato alla parete, il cuore stretto in una morsa mentre lentamente capiva che cos'era l'arcangelo, che cosa sarebbe potuto essere, che cosa Sam avrebbe voluto che fosse.
Il più giovane dei Winchester si trascinò in grembo il suo corpo, adagiò la sua testa sul proprio petto e lo sentì, sentì quanto vuoto fosse ormai quel tramite, quando lontano fosse ormai Gabriel, talmente tanto da non poter essere più raggiunto, mai più.
Accarezzò con le dita la sua giacca, e lo sguardo cadde sul pavimento, sulla bruciatura delle ali, sfumata e volgare come un'impronta di rossetto su una camicia bianca. Erano magnifiche, le sue ali, ed era la prima volta che Sam le vedeva.
E qualcosa nel suo cervello esplose. Come una bolla di sapone che scoppia, il ragazzo si rese conto che quella era anche l'ultima volta che le vedeva, che non ci sarebbero mai state piume tra le sue dita e Grazia da accarezzare.

«Mi permetterai mai di vederle?»
Gabriel aveva sorriso, baciandogli la clavicola mentre il cacciatore gli accarezzava la schiena. «Un giorno» aveva risposto, «quando tutto questo sarà finito, le potrai perfino toccare»


Dio, glielo aveva promesso. E adesso, quell'ombra era tutto quello che avrebbe avuto, quel corpo freddo e vuoto tutto quello che gli sarebbe rimasto di lui.
Il dolore lo invase come la marea, lento e costante, soffocante, inaffrontabile.
Non lo avrebbe più baciato, non avrebbe più sentito il suo odore di zucchero, non lo avrebbe mai più visto comparire davanti a sé come in un sogno. Non gli avrebbe mai potuto dire che lo amava.
Strinse a sé il suo corpo, ricordando com'era caldo e accogliente, confortante.
Non ci sarebbe mai più stato nulla per loro, niente Paradiso, niente lieto fine.

«Se dovesse andare male, promettimi che ci rivedremo ai Piani Alti. Che verrai a trovarmi qualche volta»
Glielo aveva chiesto mesi prima, steso su un letto e con il suo peso addosso.
«Se dovesse andare male e io morissi, non ci sarebbe Paradiso per me. Gli angeli non hanno anima» aveva risposto lui, e a Sam si era bloccato il respiro. Gli ci era voluto un lungo momento per rispondere.
«Allora facciamo in modo che non vada male»


Stava piangendo. Le lacrime gli rigavano il volto e cadevano morbide tra i capelli dell'Arcangelo, silenziose, e Sam quasi non se ne era accorto.
Si concesse soltanto quello, quel lungo momento di dolore, perché sapeva bene che non c'era spazio nella sua vita anche per la nostalgia, che non sarebbe mai riuscito a spiegare a suo fratello perché Gabriel era stato così importante per lui. Se voleva sopravvivere, lo doveva lasciare andare quella notte, doveva dirgli addio e andare avanti, e ammazzare Lucifero per lui, per quello che gli aveva fatto.
Abbassò il capo e appoggiò le labbra sulle sue, piano, ricordando com'era stato farlo la prima volta, la seconda, e le mille successive. Si chiese come sarebbe riuscito a vivere ancora senza di lui. Forse non poteva. Forse il suo Destino era morire cercando di fermare l'Apocalisse.
E se anche fosse stato, avrebbe preferito non vedere mai il Paradiso, non se Gabriel se ne era veramente andato per sempre.

«Ti sei mai pentito di essere scappato, di aver lasciato i tuoi fratelli?» aveva chiesto Sam, un giorno, molte settimane prima.
«Mai. Non mi sono pentito nemmeno di un singolo giorno tra quelli che ho vissuto, di nessuna cosa che ho fatto. Per una semplice ragione»
Sam aveva corrugato le sopracciglia. «Quale?»
«Tu»


Sam si separò dalle sue labbra stringendo i denti, conficcandosi le unghie nei palmi, mentre le lacrime ancora sgorgavano dai suoi occhi, scivolando inesorabili sulle sue guance. Era colpa sua, era tutta colpa sua.
Se non fosse stato per lui, se non avesse liberato Lucifero, Gabriel sarebbe vivo, starebbe bene. Che diritto aveva di fargli del male? Di farne a tutto il mondo?
Che diritto aveva di essere vivo al suo posto, al posto di tutti quelli che invece erano morti?
Respirò profondamente, accarezzando un'ultima volta i suoi capelli, imprimendosi nella memoria il dolore di quel momento, lo squarcio nel suo petto, il sangue di Gabriel che gli sporcava le dita. L'averlo con sé, il ricordare la propria sofferenza, la propria colpa, lo avrebbe aiutato ad uccidere il Diavolo.

«C'è una cosa che devo dirti» aveva mormorato quasi timidamente una sera di non molto tempo prima.
«Lo so» aveva risposto l'arcangelo, sorridendo.
«Lo sai?»
«Lo so. Te lo leggo negli occhi»
Sam si era morso un labbro, mentre il calore del corpo nudo di Gabriel premuto contro il suo fianco
sembrava farsi un po' più presente, un po' più morbido. «Allora permettimi di dirlo ad alta voce»
“Ti amo”. Era quello. Voleva
che lo sapesse.
«No» aveva sussurrato lui. «Non farlo. Non ancora»
«
Perchè no?»
«Voglio che sia quando Lucifero sarà sconfitto. Voglio che sia il mio premio, e il tuo»
Sam aveva sorriso, un groppo ad annodargli la gola. «Va bene. Te lo dirò quando sarà tutto finito»
Quella sera, era stata l'ultima volta che si erano visti.


Il cacciatore si chinò su di lui, fino ad arrivare ad un soffio dal suo orecchio. Deglutì, ma il dolore non se ne andava, era ancora lì.
«Ti amo» sussurrò, come se lui potesse ancora sentirlo, come se potesse ancora rispondergli.
Si odiò, perché non era così che sarebbe dovuta andare, non era così che avrebbe voluto dirglielo. Avrebbe voluto che Gabriel glielo strappasse di bocca ancora, ancora e ancora, che lo costringesse ad urlarlo, che glielo facesse sussurrare con le mani affondate tra le sue piume, le labbra sulle sue. Ma non sarebbe mai successo.
Gli sfiorò la fronte, e le palpebre, aspettandosi di vederlo aprire gli occhi, ma non accadde. Gli sollevò delicatamente il capo e lo riappoggiò a terra. Poi si alzò in piedi e si asciugò il viso.
Respirò profondamente, poi si voltò ed uscì dalla stanza, superando Dean e il corridoio, i muri sporchi di sangue, i corpi degli Dei, la porta d'ingresso, tutto il dolore.
Si sedette in macchina, aspettando che suo fratello lo raggiungesse.
Prima di lasciarlo andare per sempre ed indossare la maschera di impassibilità che di solito apparteneva al maggiore dei Winchester, Sam si concesse un ultimo, devastante pensiero, la consapevolezza che lo annientò del tutto.
“Ti amo, e lo farò per sempre”.



















NdA
Sì, sono una pessima persona.
E detto questo, liberi di tirarmi dietro tutto quello che volete.
Tempo fa (tipo millemila mesi) vi avevo promesso una cosa tanto angst, che non ho mai pubblicato. In realtà quella è ancora in lavorazione, mentre questa... è quasi soft in confronto. Ma non disperate, leggerete anche quella, prima o poi.
Cambiando discorso, spero che il primo giorno di scuola sia andato bene, e che non tutti come me abbiate già voglia di buttare una bomba in sala professori.
That's all. Vado a dare una sistemata ai vecchi capitoli e a rispondere ad un po' di recensioni (ve l'ho mai detto che vi amo tutti un sacco?). Mi farò perdonare, ve lo prometto.
Ci vediamo prima di quanto voi immaginiate...
Baci a tutti, Fanie

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Capitolo 50
*** Nella buona e nella cattiva sorte ***


Rating: Giallo, come ieri.
Genere: Malinconico, angst, triste e tutto quanto, ma c'è fluff. Meno del previsto, ma c'è.
Contesto: Se non si intuisse dal titolo, è il sequel del capitolo scorso. Quindi sempre verso la fine della quinta stagione.
Note: Posso anche essere una sadica manipolatrice, ma non vi avrei mai permesso di cominciare davvero l'anno scolastico con tutto quell'angst. Le mie Sabriel hanno tutte un lieto fine, almeno per il momento.

 

Nella buona e nella cattiva sorte




«Cerca di dormire. Ripartiamo domani mattina» mormorò Dean, mentre usciva dalla camera. Si richiuse la porta alle spalle senza aggiungere altro, e Sam sospirò quasi con sollievo appena lo sentì allontanarsi. Nonostante le speranze del fratello, non sarebbe mai riuscito a dormire.

Si tirò a sedere sul letto, la schiena rivolta alla finestra e all'ultimo spiraglio di luce del sole morente, un altro giorno che stava per finire, uno più vicino all'Apocalisse.
Nel bene o nel male, Sam non sentiva di rimpiangere nessuno di quei giorni.
Si passò con forza una mano sul viso, la pelle che si tendeva quasi troppo, ammorbidita dalle lunghe ore di veglia, dal dolore, dalla sensazione costante di non avere abbastanza aria nei polmoni, e dalle lacrime che aveva cercato di trattenere invano. Si era sentito quasi stupido, a volte; lui, quelle lacrime, se le meritava tutte.
 

Erano passati pochi giorni da quella notte al Motel, da quando aveva stretto al proprio petto il corpo vuoto e insanguinato di Gabriel, da quando aveva sfiorato con le dita l'impronta bruciata delle sue ali e lo aveva baciato per l'ultima volta. Ricordava ancora troppo bene la sensazione del suo sangue sulle mani, la consistenza dei suoi capelli, il dolore nel proprio corpo. Forse, si era detto spesso, non lo avrebbe mai dimenticato, e si sentiva fortunato per questo; non avrebbe mai voluto dimenticare niente di lui.

Dopo quella notte, niente era più stato come prima.
Sam aveva iniziato ad avere incubi orribili, sognava l'Inferno e Gabriel che veniva torturato, e lui che non poteva fare nulla per impedirlo, se non urlare e urlare e urlare. Si svegliava sempre con Dean che lo scuoteva per una spalla, e non sapeva mai se essere grato per questo o se sentirsi solo mortalmente in colpa.
Si costringeva a mangiare, più per non far preoccupare ulteriormente suo fratello, e cercava di tirare avanti, in qualche modo. Respirava, prevalentemente, e sembrava un buon sistema. Al momento, non gli veniva in mente nient'altro che potesse fare.
In ogni caso, sapeva di avere uno scopo, di dover fermare l'Apocalisse, perché era quello per cui Gabriel era morto, oltre che per lui. Di certo, non lo avrebbe deluso di nuovo.


Dean, se non lo aveva già dedotto dal bacio che aveva lasciato sulle labbra di Gabriel prima di lasciare quel Motel, aveva capito cosa c'era veramente stato tra loro dal modo di comportarsi di Sam dopo la sua morte, e se ne era moderatamente stupito. Con sorpresa del minore, aveva dimostrato un incredibile tatto, limitandosi a lasciargli spazio e tempo, cosa non facile da trovare per loro a così pochi giorni dalla fine del mondo.
Una volta sola aveva provato a parlarne, cercando di essere delicato e di non ferirlo ulteriormente, ma non aveva funzionato. Questa volta, suo fratello sembrava annegato nel suo dolore.
La cosa che più spaventava Dean era che gli ricordava fin troppo il Sam che si era rimesso a cacciare con lui subito dopo la morte di Jessica.
Ma al minore non importava né di quello che pensava Dean né di quello che sarebbe successo da lì in poi.

Seduto sul letto della camera di Motel, scrollò il capo, cercando di scacciare l'intorpidimento dei suoi muscoli, con scarsi risultati.
Fuori dalla porta, il sole era ormai quasi tramontato, e il ragazzo immaginò che Dean non sarebbe rientrato prima di diverse ore, abbastanza da dargli modo di raccogliere i propri pezzi prima di ripartire e raggiungere Bobby a Sioux Falls. Non che a Sam interessasse qualcosa, comunque, ma suo fratello sembrava deciso a salvaguardare la sua salute.
Si alzò in piedi e si aggirò per la stanza, calpestando la moquette logora e cercando uno spunto, qualcosa da fare per impegnare il tempo, per non dover pensare. Se solo provava a chiudere gli occhi, il viso di Gabriel gli compariva davanti, e lui provava il forte desiderio di mettersi ad urlare.
Si appoggiò con i palmi al tavolo, la schiena curva, la testa incassata tra le spalle e il capo chino. Sentiva già il dolore affannarsi in gola, insieme alla rabbia, e al senso di colpa.
Perché, tra tutti, proprio lui?
«Vorrei avertelo impedito» mormorò, alla stanza vuota «vorrei averti impedito di lasciarti coinvolgere»
Nessuno gli rispose, e il dolore lo invase, rendendolo consapevole di quel silenzio, e di quanto fosse definitivo.
Non era la prima volta che lo faceva, parlare a lui come se ancora potesse sentirlo. E tutte le volte era ugualmente soffocante.
«Non avevo nessun diritto di metterti in mezzo» ringhiò, odiandosi. «E non dovevo lasciarti lì, da solo»
La voce gli si ruppe, all'improvviso, e si detestò ancora di più. «Non avresti dovuto permettermi di ferirti»
Si asciugò il viso con un gesto di stizza, e sentì il bisogno di rompere qualcosa, di dare un pungo alla parete. All'improvviso, la porta alle sue spalle cigolò.

Sam si irrigidì. Chissà da quanto Dean era in piedi sulla porta, da quanto lo stava ascoltando. Chissà se di notte sedeva al buio a guardarlo mormorare il nome di Gabriel. Non ne avrebbe avuto il diritto, nessuno aveva il diritto di vedere il suo dolore.
«Cosa fai ancora qui?» chiese, i pugni stretti lungo i fianchi. La sua voce uscì carica di rabbia, di odio per nemmeno lui sapeva cosa, e si stupì nel reagire in quel modo, con quella furia che di solito apparteneva a suo fratello. Forse era vero, i Winchester in fondo sono tutti uguali.
Dean non gli rispose, e Sam non lo sentì nemmeno muoversi alle sue spalle. Doveva essere ancora fermo alle sue spalle. Il giovane cacciatore si voltò con rabbia, e- basta.

Davanti a lui, una mano sulla maniglia e l'altro braccio abbandonato lungo il fianco, c'era un ragazzo con i capelli castani e due iridi color cioccolato, la giacca un po' aperta e la luce del lampione in strada ad illuminargli le spalle, come due ali dorate.
Aveva gli occhi spalancati, quasi sorpresi, ma la sua espressione tradiva un enorme dolore, una sorta di rassegnazione e pentimento, e malinconia.
Sam ricordava di aver visto quell'espressione addosso a Dean, e la riconobbe: senso di colpa, rammarico, consapevolezza e infine sollievo.
L'altro uomo non si mosse, non disse nulla. Sembrava alla ricerca delle parole adatte, come se dire una cosa piuttosto che un'altra potesse avere un effetto diverso, e se ne restava lì, fermo. Anche il cacciatore rimase in silenzio, allibito, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime.
Aprì la bocca per parlare. «Dean» urlò, la voce che gli si spezzava in gola, ma suo fratello non c'era, o per lo meno non lo raggiunse.
Gabriel deglutì, senza che il suo sguardo perdesse quella nota di addolorato rimpianto. «È qui fuori, se vuoi andare da lui. Ma gli ho chiesto di non entrare» mormorò. E la sua voce, Dio, la sua voce. Sam l'aveva sentita davvero, era davvero lui. Ma Gabriel era morto, aveva stretto il suo corpo vuoto tra le braccia, e aveva pianto sul suo viso macchiato di sangue.
«Sei un fantasma» mormorò. Non era vero, ovviamente. Gli angeli non diventano fantasmi. Ma non era possibile che fosse lì. Non dopo tutti quei giorni, e tutto quel dolore. Non poteva averlo abbandonato tanto a lungo per poi ripresentarsi così, senza una parola.
«No, sono io. Sono solo... vivo» rispose lui, e Sam capì perché stesse in silenzio.
Semplicemente non c'era una cosa giusta da dire. Non ci si presenta in una camera di Motel dicendo “ehi, non sono morto”. Ci si presenta con una mano sulla maniglia, usando la porta anziché comparendo in mezzo alla stanza, e facendolo in modo così umano da far stringere il cuore. Si spalanca gli occhi e si aspetta, si aspetta, e si muore ogni istante finché chi ti sta davanti non ti perdona.
«Come?» mormorò il cacciatore, anche se suonò tutt'altro che una domanda. Si appoggiò al tavolo con una mano, sentendo che stava per svenire. Gabriel scattò in avanti di un passo, lasciando la maniglia e allungandosi verso di lui, per prenderlo al volo se fosse caduto, ma si arrestò incerto. Non si sentiva degno, e Sam lo capiva.
L'Arcangelo chinò il capo sulle proprie mani. Aveva la voce spezzata, notò il ragazzo. «Quello che tu hai visto, era solo una copia. Non ero veramente io. Lucifero ha trafitto una mia immagine, e anche se è stato doloroso sono riuscito a sopravvivere» disse, senza osare guardarlo. «Ma mio fratello non è stupido. Sospettava un trucco, e così ho fatto l'unica cosa che potevo: ho lasciato la mia copia lì, sul pavimento. Sentivo che lui era lì a guardare, e così sono rimasto per mantenere l'inganno. È per questo che non posso usare i miei poteri: potrebbe percepirmi e saprebbe che sono vivo. Lui era lì, in ogni istante. Era lì perfino mentre tu...» respirò profondamente, poi alzò lo sguardo. «Non credevo che sareste tornati indietro. Non volevo... che tu vedessi»

Sam sentì la testa girare, e si appoggiò con tutto il palmo al ripiano del tavolo. Era tutto vero. Era vivo davvero.
Questa volta Gabriel non esitò: attraversò la stanza e gli appoggiò le mani sulle braccia, trascinandolo verso una sedia. Sembrava restio ad avvicinarsi di più, quasi sentisse di non meritarlo. Sam non la pensava affatto così.
Oppose resistenza, mentre l'Arcangelo cercava di spingerlo a sedersi, e lo attirò a sé con forza, avvolgendolo con le braccia e affondando la testa nell'incavo del suo collo. Era scomodo, perché lui era troppo alto e i capelli di Gabriel gli solleticavano il viso, ma riusciva a sentire il suo odore, e il suo cuore battere, ed era caldo proprio come lo ricordava.
«Perdonami» sussurrò l'Arcangelo al suo orecchio, afferrando con forza la sua nuca e premendoselo ancora di più addosso.
«Dio, quanto ti odio» singhiozzò Sam nel suo orecchio, e Gabriel lo strinse ancora di più, premendo le labbra contro la sua tempia.
«Non è stata colpa tua» mormorò. «Non pensarlo»
Sembrava che ci credesse davvero. «Te l'ho già detto tempo fa: le scelte sono mie, e io non le rimpiango»
Sam sussultò ancora, e annuì contro il suo collo.

Rimasero così per tanto tempo, così tanto che il cacciatore credette di stare per addormentarsi. Chissà se Dean era ancora là fuori. Sam se lo immaginò appoggiato al cofano dell'Impala con le braccia incrociate sul petto, a cercare di non pensare a cosa lui e l'Arcangelo stessero facendo. Ridacchiò, nonostante tutto, e scostò il viso dal collo di Gabriel, appoggiando la fronte sulla sua. Lui teneva gli occhi chiusi, come se cercasse di trattenere le lacrime, o di non vedere il dolore che la sua assenza gli aveva causato.
«Scherzavo, prima» sorrise Sam «non ti odio davvero»
Inaspettatamente, anche l'Arcangelo sorrise, ad occhi chiusi. «Oh, lo so. Ti ho sentito mentre lo dicevi, quella notte al Motel»
Il cacciatore strinse le labbra, ricacciando indietro i ricordi, e tutto quello che aveva provato e pensato. «Forse dovrei dirtelo di nuovo»
Gabriel aprì gli occhi, e parve quasi sul punto di replicare, ma Sam lo fermò. «Ti prego. Ne ho bisogno»
Lui annuì, premendo con forza la fronte sulla sua.
Il cacciatore inspirò ed espirò.
«Ti amo»
L'arcangelo si alzò in punta di piedi e lo baciò. Si premette su di lui come se potesse annullarsi, e Sam fece altrettanto, mentre metteva in quel bacio tutto quello che non gli aveva mai detto. Vi annegò il dolore di quella notte, gli incubi, la sensazione del suo sangue sulle mani, il freddo del suo corpo vuoto, l'apprensione di Dean, il senso di colpa e tutti i rimpianti. Gabriel lo ascoltò e comprese, lasciando scivolare la lingua nella sua bocca, strappandogli il dolore e prendendoselo addosso, come se potesse appartenergli, come se fosse giusto che ad averlo fosse lui.

Si lasciarono andare senza fiato, poi Sam sorrise.
«E tu? Tu me lo dirai quando Lucifero sarà sconfitto?»
Gabriel inarcò un sopracciglio, poi si lasciò andare in una smorfia a metà tra l'imbarazzato e l'intenerito. «Ti amo, e lo farò per sempre»















NdA
Per chi non se ne fosse accorto, l'ultima cosa che dice Gabriel in questo capitolo è uguale all'ultima che ha pensato Sam nello scorso.
Il titolo è quello che è, abbiate pazienza.
Per il resto, boh. Amo questi due capitoli tipo tantissimo, anche se avrebbero dovuto venire un po' più hurt/comfort. Ma ce ne faremo una ragione. 
Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che mi seguono e recensiscono, e anche chi non lo fa anche se potrebbe. Vi amo tutti proprio per il sostegno che mi date, anche silenzioso.
E già che ci siamo, ve ne dico un'altra. Sperando di non dover ritrattare la prossima volta, ho intenzione di riportare le pubblicazioni ad una a settimana, com'era prima. Per la vostra gioia (spero).
Tutto qua. Godetevi questo piccolo scherzetto regalo di inizio scuola, "e che la fortuna possa sempre essere a vostro favore" (vediamo chi la riconosce).
Baci a tutti, 
Fanie

 

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Capitolo 51
*** Per questa notte, e per tutte quelle che verranno ***


Rating: Disgustosamente verde.
Genere: Fluff, come se non ci fosse un domani. Ho provato a girarla sul comico, ma mi sa che non ha funzionato.
Contesto: Boh. La stagione sarebbe la quarta, ma i personaggi sono più quelli della quinta.
Note: Sono quasi sicura che fraintenderete il paring, all'inizio. Ma il bello è quello.
Ci si vede giù, e se riconoscete la quasicitazione del titolo, siete fighi.

 

Per questa notte, e per tutte quelle che verranno




Sam era pieno di buone intenzioni, quel giorno, quando si era lasciato cadere a pancia in giù sul letto e aveva sprofondato la faccia nel cuscino con un sospiro grato. Avrebbe dormito almeno per le successive dodici ore, e non ci sarebbe stato angelo, demone o fratello rompicoglioni in grado di dissuaderlo da tale proposito.
Aveva calciato via le scarpe incrostate di fango e si era dimenato giusto quel tanto necessario a sfilarsi jeans, prima di infilarsi lentamente sotto alle coperte e calare definitivamente le palpebre sul mondo. Aveva sentito solo vagamente Dean uscire dal bagno, infilarsi una maglietta pulita e farsi strada sotto alle lenzuola dell'altro letto. Entrambi i Winchester si erano lasciati andare ad un sospiro soddisfatto, e Sam aveva allungato un braccio verso il muro, nell'ultimo sprazzo di forza di volontà residua, per spegnere la luce con una manata all'interruttore.

La caccia era stata estenuante, tanto per cambiare.
Il dannato vampiro si era fatto rincorrere per ore, nell'oscurità dei campi che circondavano l'ennesima città senza nome in cui i due fratelli erano finiti a seguire un caso. Dal tramonto fin quasi all'alba, Sam e Dean non avevano potuto far altro che cercare di stargli alle calcagna fin quasi allo stremo delle forze, quando il maledetto si era finalmente deciso a farsi vivo e ad attaccarli per fame.
Lo avevano sopraffatto facilmente, anche se Dean si era preso una più che ovvia botta in testa e Sam uno spavento da manuale nel vedere suo fratello sovrastato dal succhiasangue.
La norma, insomma.
Dopo aver fatto sparire il corpo, erano rientrati in Motel, tirato accuratamente le tende sul sole nascente e spento i cellulari, decisi più che mai fare una cosa che non capitava loro da più tempo di quanto fosse lecito immaginare: dormire.


Quindi, come già detto, Sam aveva tutte le intenzioni di fare tesoro di quelle ore concesse dalla caccia conclusa. E vari ed eventuali casini angelici potevano anche andare a farsi fottere altrove, grazie tante. Dio, Dean sarebbe stato fiero di lui.
Si rigirò su un fianco, aprendo appena gli occhi per controllare suo fratello, placidamente abbandonato sulla schiena con le lenzuola annodate attorno ad una gamba, una mano appoggiata sul torace e la bocca aperta, un morbido russare ad accompagnare il movimento del suo petto.
Sam sbuffò un sorriso, grato di averlo ancora lì, sano e salvo.
Dopodichè, chiuse elegantemente la porta in faccia ai sentimentalismi e richiuse gli occhi, accoccolandosi meglio contro il cuscino.

Si addormentò immediatamente.
O almeno, credette di averlo fatto.
Viaggiò per un po' sospeso tra gli incubi e l'oblio, come se il suo subconscio fosse indeciso su quale scegliere, e proprio quando la sua mente provata aveva deciso di concedergli un sonno senza sogni, lo sentì.
Un morbido fruscio davanti a lui, oltre le palpebre chiuse, il dannato rumore di un paio d'ali angeliche.

In quel momento, prima ancora di riuscire a trattenersi, Sam giurò a se stesso che se uno di quei pennuti era venuto lì per trascinarli in una nuova prova di coraggio suicida, gli avrebbe strappato le ali. E probabilmente avrebbe anche goduto nel farlo.
Non aprì nemmeno gli occhi, pensando malignamente che era suo fratello il loro umano preferito, quindi poteva tranquillamente sbrigarsela lui.
Se ne pentì un attimo dopo, ma continuò comunque a tenere le palpebre serrate. Forse, se il suddetto angelo li avesse visti entrambi addormentati, avrebbe avuto pietà delle loro povere anime mortali.

Poi però, accadde qualcosa.
O meglio, non accadde niente.
Per un intero, lunghissimo minuto, non successe assolutamente niente. Nessun rumore, nessun fruscio, nessuna voce angelica e imperiosa che li richiamava alla realtà.
Uhm, strano.
Sam aprì un occhio, e automaticamente aprì anche l'altro, stupito.

In piedi davanti a lui, accanto al letto di suo fratello, c'era Castiel, trench spiegazzato e cravatta storta, in tutta la sua solita e assurda magnificenza.
Fissava Dean -tanto per cambiare-, e sembrava indeciso, quasi volesse fare qualcosa ma non riuscisse a capire quale potesse essere il modo migliore.
Sam stava per alzare la testa e chiedergli se andasse tutto bene, quando l'angelo si mosse. Fece l'unica cosa che il Winchester si aspettava da lui da mesi, eppure l'unica che mai avrebbe creduto che potesse fare davvero.
Accarezzò la guancia di Dean, e Sam soffocò un gemito di sorpresa talmente bene da congratularsi con se stesso.

Ovviamente, suo fratello si svegliò di soprassalto, il dannato guastafeste.
Sam sarebbe stato curioso di vedere la mossa successiva di Castiel -chissà se avrebbe osato baciargli la fronte o qualcosa del genere-, ma all'improvviso si rese conto che anche così non era male. Vedere suo fratello scattare a sedere ed afferrare il polso dell'angelo, ancora sospeso a mezz'aria, con una prontezza di riflessi praticamente felina, era il preludio di un'interessantissima discussione tra Dean e il suo angelo-sulla-spalla. E Sam era maledettamente interessato, ovvio.
Magari, era la volta buona che quei due si decidevano a togliersi i prosciutti dagli occhi e a fare un passo l'uno verso l'altro.

«Cas» rantolò il maggiore dei Winchester, ansimando leggermente per lo spavento.
La voce dell'angelo gli fece eco immediatamente, sovrapponendosi allo strascicare dell'ultima lettera del suo nome. «Shhh» mormorò, quietando immediatamente tutti i rumori della stanza.
«Cos'è successo?» chiese il ragazzo, sbattendo le palpebre e allentando la presa attorno al polso di Castiel, senza però lasciarlo andare del tutto. In qualche modo, questo sembrò strano a Sam, molto poco da Dean.
«Va tutto bene» rispose morbidamente l'angelo, portando il maggiore dei Winchester a sdraiarsi di nuovo usando la sua presa sul suo braccio.
Dean si lasciò spingere giù tranquillamente, come se Castiel avesse fatto una cosa del genere già centinaia di volte in passato. A Sam lampeggiò un terribile dubbio nel cervello.
«Allora perché sei qui?» chiese.
In un attimo, il minore dei Winchester osservò l'angelo inclinare la testa, rilassato come non lo aveva forse mai visto, e appoggiare un ginocchio sul letto, accanto al fianco di suo fratello. Il secondo dopo, era steso a metà sul suo corpo, il busto leggermente sollevato per non pesargli addosso, lo sguardo fisso in quello di Dean.
E lì, Sam non ebbe più nessun dubbio a proposito dell'attuale orientamento sessuale di suo fratello.
Castiel sorrise. «Mi mancava sentirti» rispose, la voce morbida.
Mh.
Dean doveva aver pensato all'incirca la stessa cosa, perché sul suo volto passò un'espressione di comico sgomento. Saettò lo sguardo verso l'altro letto, e suo fratello si complimentò di nuovo con se stesso per la velocità con cui riuscì a chiudere le palpebre e a simulare il sonno.
«Cas, c'è Sam, non-» iniziò, titubante, e il minore dei Winchester si sarebbe messo a ridere.
«Non intendevo quello» lo fermò l'angelo, ovviamente, portando un fratello a roteare gli occhi e l'altro ad arrossire.
Arrossire, davvero. Lo prenderà in giro per il resto dell'eternità.
Castiel appoggiò il capo sul suo petto, spostando le gambe di lato e appoggiandosi al suo fianco. A Sam parve che avesse chiuso gli occhi.
«Solo- solo così» aggiunse, sistemandosi contro il suo corpo, in un modo che al minore dei Winchester ricordò fin troppo vividamente quello di un grosso gatto, o di un amante.
Di nuovo, Dean dovette pensare la stessa cosa, perché Sam lo vide sorridere in un modo tutto nuovo, nella penombra della stanza, un intreccio interessante di tenerezza e malizia, con giusto una punta di soddisfazione.
«Uhm, va bene. Ok, sì» mormorò il cacciatore, adagiando una mano accanto al suo viso, e l'altra sulla sua spalla, protettiva.
Sam li osservò ancora un attimo, intenerito e anche vagamente traumatizzato, poi chiuse gli occhi, deciso ad aspettare giusto che si addormentassero, per poi alzarsi e fotografarli.



Il resto, lo sentì soltanto.

«Cas»
«Dean»
«Puoi anche venire più vicino, sai»
Alcuni rumori, il fruscio delle lenzuola, il vago tonfo delle scarpe dell'angelo che cadevano al suolo, poi il morbido scorrere delle sue gambe attorno a quelle del cacciatore, la sua testa che strusciava sul suo petto, il suo peso finalmente addosso a Dean.
«Così?»
«Così»
Il sospiro grato del maggiore dei Winchester, e poi il muto schiocco di un bacio asciutto al centro del suo petto, sopra alla maglietta.

«Cas»
«Dean»
«Puoi anche baciarmi adesso, se vuoi»
Un suono umido, sommesso e discreto. Una mezza risata soffocata e poi altri baci, lenti, rilassati.
«Così?»
«Così»
E Sam decise che no, niente foto.








Suo fratello non riesce ad impedirsi di notare che Dean è curiosamente rilassato, quella mattina. Niente mugugni infastiditi per le lunghe ore di viaggio che li aspettano, niente litigi per il primo turno di doccia. Canticchia, perfino.
Sam sorride.
«Dean»
«Mh?»
«Hai dormito bene?» chiede, tanto per fare conversazione. E anche perché è una ragazzina, ovviamente.
Lui scrolla le spalle e si volta, dandogli la schiena.
Cas non c'è. È volato via poco prima che Sam si svegliasse, ma lui non se l'è presa.
«Non hai avuto incubi» butta lì, perché se non vede suo fratello cedere non è contento.
Lo osserva irrigidirsi, le spalle che si tendono sotto al tessuto della maglietta, la stessa su cui Castiel ha dormito quella notte. Si volta a mezzo per guardarlo negli occhi, e il minore dei Winchester si rende conto che è un po' pallido. Ma guarda un po'.
«Perchè dici?» chiede, circospetto.
Sam scrolla le spalle, con noncuranza. Ma è tutto calcolato. «Non ti sei agitato nel sonno stanotte, e non ti ho sentito urlare»
Adesso Dean è quasi violaceo. Suo fratello vede pulsare una vena sulla sua fronte, e per un attimo si sente in colpa. Ha come il sospetto che se gli facesse partire un embolo proprio adesso, Castiel non glielo perdonerebbe.
«Eri... eri sveglio?» ed è arrossito. Non è soltanto ad un passo da un collasso, ma è proprio arrossito.
Sam respira, forte, ricacciando indietro quel dannato sorriso che minaccia di spaccargli la faccia a metà. Ci pensa bene, due, tre, sei volte. Poi annuisce a se stesso.
È un dannato Santo, ecco cosa.
«No Dean. Ho dormito bene anch'io» risponde, e sente la tensione fluire via da suo fratello. Che idiota.
Il maggiore sospira, e scrolla le spalle. Sam gli sorride con noncuranza, e ritorna a riempire il borsone.
La prossima volta scatterà quella maledetta foto.



















NdA
Salve gente.
Allora, intanto il titolo. È una citazione un filino rielaborata. Altrove si trova anche come "Per questa notte e per tutte quelle a venire" o "Per questa notte, e per tutte le notti che verranno" o cose così, insomma. Dai, è facile.
Comunque. Amo questo capitolo tipo troppo. Mi mancavano le Destiel, non ne scrivevo una da... una vita.
E, cosa più importante, sono puntuale e non mi sono dimenticata di pubblicare. Sono figa, sì.
Adesso che ci siamo, vediamo di mantenere il ritmo.
È tanto che non lo faccio, ma volevo ringraziare tutti quanti, chi mi segue, legge, recensisce, preferisce e ricorda, perchè siete tutti una cosa meravigliosa e io mi sciolgo ogni volta. Siete la gioia del mio piccolo cuoricino martoriato dalla nona stagione. E anche dal maledetto angst che mi ostino a leggere.
Penso che sia tutto.
Un grande abbraccio a tutti, spero sinceramente che il capitolo vi sia piaciuto, perchè sono affezionata sia alla OS che al titolo.
Alla prossima e un bacio.
Fanie

 

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Capitolo 52
*** The road so far ***


Rating: Tra il giallo e il verde.
Genere: Romantico, fluffoso, forse un filo comico.
Contesto: Prima dell'inizio.
Note: È una Weecest (quattordici e diciotto anni). E io ne sono tipo innamorata. Per la cronaca, mai titolo fu più difficile di questo.



 

The road so far





Sam non avrebbe mai detto che il volante dell'Impala fosse così grande. Né che il cruscotto fosse così alto. A malapena riusciva ad arrivare ai pedali, ma non era veramente importante, perché con quel buio non sarebbe riuscito a vedere niente comunque. John gli aveva detto chiaramente di non accendere i fari per nessun motivo, ma Sam si era reso conto che in ogni caso non avrebbe saputo come fare, quindi non era granchè come limitazione.
Il cuore gli batteva all'impazzata, rombando nelle orecchie e sbattendo contro le costole, i palmi delle mani sudate che quasi scivolavano sulla pelle scura del volante. Era spaventato, nonostante lui fosse l'unico ad essere al sicuro.

Un branco di skinwalkers. John aveva detto che non sarebbe stato niente di impegnativo, quindi Sam poteva anche restare in macchina. Che con “restare in macchina” intendesse “sul sedile di guida, pronto a portarli via nel caso qualcosa fosse andato storto”, sia Dean che suo fratello lo avevano scoperto solo una volta arrivati al capannone che ospitava i mutaforma. L'ex marine aveva borbottato a denti stretti qualcosa a proposito del motore in folle e della prima marcia, ma prima ancora che Sam potesse rendersi conto di quello che stava per succedere, lui aveva aperto la portiera ed era uscito nella notte, pugnale d'argento stretto tra le mani.
Il minore si era voltato sconvolto verso suo fratello, gli occhi sbarrati e i pugni serrati, e Dean lo aveva guardato come uno che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di evitargli quel compito, ma non aveva potuto far altro che seguire suo padre.
E non sarebbe stata questa gran cosa, davvero. Doveva solo premere la frizione, girare la chiave, ingranare la marcia e premere l'acceleratore. Aveva visto suo padre farlo migliaia di volte.
Tutti sanno guidare, sul serio.
Ma Sam Winchester, quattordici anni appena compiuti, non aveva mai appoggiato le mani su quel volante prima di quella sera.

Cercò di controllarsi, di restare calmo. Ripassò mentalmente ancora una volta la sequenza, come un mantra, facendo scivolare i piedi sulla frizione, sul freno, sull'acceleratore, le dita già sulle chiavi, pronte a scattare.
I minuti passavano, e dal magazzino nessun rumore. Se avesse avuto fortuna, tutto sarebbe andato secondo il piano, e lui non avrebbe dovuto guidare sul serio.

La verità era che lui non era spaventato dall'idea in sé. Era curioso, e anche ansioso di imparare.
Una volta aveva chiesto a Dean di insegnargli, ma suo fratello aveva sempre detto che era ancora troppo piccolo, che ci sarebbe voluto ancora qualche anno. In quel momento, Sam non era affatto d'accordo.
Ma non era spaventato, no. Almeno, non dal guidare. Era terrorizzato all'idea di non riuscirci, di non essere abbastanza veloce, di deludere John.
Dean non aveva mai avuto questo problema. Lui era sveglio, lucido, reattivo, perfetto. Era quello di cui suo padre aveva bisogno, quello che doveva essere anche Sam. Ma Sam non era Dean. Sam era Sam, e non aveva mai guidato in vita sua.

All'improvviso, la porta di metallo del capannone si spalancò, sbattendo con forza sulla lamiera che circondava l'edifico. Il fragore metallico fu assordante, e il minore dei Winchester sussultò violentemente, il cuore impazzito nel petto.
Dal magazzino Dean e John uscirono correndo, i vestiti macchiati di sangue, le braccia piene di tagli, i coltelli viscidi in mano.
Frizione, chiave, marcia, acceleratore. Niente di difficile. Ce la poteva fare.
«Sam» gridò suo padre «accendi il motore»
Il ragazzo si pietrificò, le mani che tremavano attorno alla chiave, il respiro ingolfato.
A metà strada tra la porta e la macchina, il branco cominciò a sciamare fuori dal capannone. Sei, forse sette. Troppo veloci.
John spalancò la portiera e si lanciò sul sedile posteriore, scivolando sulla pelle nera e sporcandola di sangue.
Mancava ancora Dean.
Fu questione di attimi, i secondi che si rincorrevano frenetici.
Sam si voltò verso il magazzino, e vide suo fratello, di spalle alla macchina, che fronteggiava gli skinwalkers ancora in forma umana, come se avesse avuto anche solo la minima possibilità di farcela contro sei di loro.
«Andate!» urlò, senza nemmeno guardarli, e suo fratello sentì la gola chiudersi per la paura.
No. Non Dean.
L'attimo dopo era fuori dalla macchina, il pugnale d'argento che suo padre gli aveva lasciato per ogni evenienza stretto in mano.
Il corpo del primo mutaforma si accasciò a terra sotto ad un unico colpo fulmineo, ma gli altri se ne accorsero fin troppo bene. Uno di loro saltò, cambiando aspetto in aria, e atterrando addosso a Dean, e Sam decise che quello sarebbe stato il prossimo.
Mentre suo fratello crollava in ginocchio sotto al peso del lupo, il più giovane gli si avventò contro, piantandogli il coltello nel cuore come mai si sarebbe aspettato di riuscire a fare. Un fiotto di sangue viscido piombò addosso ad entrambi, ma il secondo dopo il maggiore era di nuovo in piedi, e correva verso la macchina tenendo Sam per un gomito. Lo spinse in avanti, verso il sedile del guidatore, e il più piccolo ebbe di nuovo l'orribile certezza che non ce l'avrebbe mai fatta, non sarebbe mai riuscito a far partire quel motore.
Si sedette comunque, mentre John spalancava la portiera del sedile posteriore e urlava a Dean di salire, svelto, svelto, svelto. Mise le mani sul volante, la chiave inserita, un piede sulla frizione e...
«Spostati, Sam» disse suo fratello, e l'attimo dopo erano tutti in macchina, le portiere che sbattevano e le gomme che sfrigolavano sull'asfalto umido, i fari improvvisamente accesi che abbagliavano due dei lupi rimasti, sgombrando la strada e lasciandoli, finalmente, liberi di andare.

Sam si raddrizzò, massaggiandosi il ginocchio che aveva sbattuto contro il cruscotto, e osservò le proprie mani ricoperte di sangue, e anche quelle di suo fratello, strette intorno al volante.
Oh. Guidava Dean. Nemmeno se ne era reso conto.
Si passò le dita viscide prima sulla giacca e poi sulla nuca, il cuore che ancora rimbombava nelle orecchie. Chiuse gli occhi. Erano salvi, erano vivi.
«Bel lavoro, Sam» mormorò John dal sedile posteriore, reclinando la testa contro lo schienale e appoggiandosi una mano sulla fronte, esausto e sollevato.
Il minore non disse nulla, perché non si aspettava quel complimento e non credeva di meritarselo, nonostante tutto.
Era stato a tanto così dal vedere suo fratello morire. Dean. Il suo Dean.
«Già, bel lavoro fratellino» mormorò la sua voce, calda, affettata, e quelle parole colpirono Sam in pieno petto, non tanto per quello che significavano per lui quanto per il tono con cui Dean le aveva pronunciate. Era arrabbiato, si sentiva chiaramente dal modo in cui calcava sulle consonanti, dal sibilo della sua voce, dalla forza con cui masticava le parole. Il più piccolo aprì gli occhi solo per vederlo stringere con forza le mani sul volante, la mascella contratta. Era deluso. Era stato lui a deluderlo.
Ma nonostante questo, nonostante tutto quello che Sam aveva visto in lui in quel momento, il maggiore si passò con distrazione una mano tra i capelli, poi sulla nuca e giù per il collo, fino ad abbandonarla quasi casualmente sul ginocchio di suo fratello.
Sam sorrise un poco, coprendo le sue dita con le proprie, mentre il cuore che ora sussultava per tutt'altro motivo, un po' per il senso di colpa e un po' per la gratitudine di poterlo fare ancora. Dean strinse un po' la presa, e suo fratello decise che quella caccia non era stata tutto tempo sprecato.

***

Quella notte, sognò di essere ancora al volante.
Sognò di non riuscire a girare la chiave, di non riuscire a far partire l'Impala e di veder morire Dean per questo. Sognò mostri e demoni inseguirli e afferrarli, solo perché lui non era abbastanza veloce a mettere in moto quella dannata macchina. Sognò suo fratello che gli urlava di andarsene, di scappare, e se stesso troppo lento e spaventato. Sognò migliaia di Dean morti perché lui non era abbastanza, perché lo aveva deluso, e perché continuava a farlo.

Si svegliò gridando, senza riuscire a respirare, i capelli madidi di sudore incollati al viso e le dita strette a pugno sulle lenzuola, come se fossero il volante dell'Impala. Urlò finché ebbe fiato in corpo, e quando la gola iniziò a bruciare tanto da farlo rantolare, si accorse che non era più in quella macchina, ma stretto contro il petto di suo fratello, le sue braccia ad avvolgergli le spalle, le mani affondate tra i capelli.
Dean dondolava avanti e indietro, come quando erano ancora bambini e passavano il Natale da soli, e John non c'era e il più grande era tutto il mondo del più piccolo. In fondo, non era cambiato niente.
«Respira, Sam» stava dicendo il maggiore, e solo quando ne sentì la voce lui riuscì a riempire i polmoni, troppo in fretta. Tossì, respirò ancora, tossì di nuovo.
«Era solo un incubo» disse Dean, e suo fratello non ebbe nemmeno il coraggio di annuire. Si strinse contro di lui, affondando il viso nella sua maglietta, riempiendosi in naso e la testa del suo odore. Era solo la sua immaginazione, ma gli sembrava che sapesse ancora di sangue.
«È ok, Sammy. Shhh, tranquillo. Tutto ok» cantilenò il maggiore, stendendolo sul materasso, accarezzandogli i capelli.
Non era niente. Non era niente, e John era sicuramente ancora in camera. Non era niente, e Dean adesso doveva tornare nel suo letto. Non era niente, e Sam si sarebbe dovuto riaddormentare da solo. Non era niente, ma non era sicuro di riuscirci.
Chiuse gli occhi, ricacciando indietro le lacrime e imponendosi di non tremare.
Respirò profondamente, pronto a lasciar andare la maglietta di suo fratello, aspettando di sentirlo alzarsi e tornare a dormire.
Ma non accadde. Dean si stese accanto a lui, infilando una gamba sotto alla coperta e avvolgendolo stretto con le braccia.
Sam sussultò, cercando di ritrarsi. «Papà...» mormorò, pianissimo.
«Fanculo papà» rispose suo fratello, e lui si accartocciò tra le sue braccia, schiantandosi contro il suo petto come un naufrago che bacia la terraferma.
Dean lo avvolse stretto, e Sam lo sentì di nuovo.
Lo capì dal modo in cui lo stringeva, dalla sensazione dei suoi pugni chiusi alla base della propria schiena, dal leggerissimo tremito della mascella contratta, dalle gambe rigide ancora troppo vicine alle sue. Suo fratello era arrabbiato. Sam lo aveva deluso, di nuovo.

***

Si sentì trascinare fuori dal letto che il sole era appena sorto.
Faceva dannatamente freddo lontano dalle coperte, ma il fatto che a farlo alzare lentamente fossero le braccia protettive di Dean, faceva sembrare tutto meno grigio.
Aprendo gli occhi e ricordando, Sam sorrise pensando che, da quando non erano più bambini, le volte in cui lui e suo fratello avevano dormito insieme si contavano sulle dita di una mano.
«Vestiti. Oggi dobbiamo fare una cosa» mormorò Dean ad un niente dal suo orecchio, prima di soffiargli un bacio sulla tempia e lasciarlo così, seduto sul bordo del letto.
Sam sbattè le palpebre, osservando la luce soffusa del primo mattino illuminare la stanza, e si accorse che suo fratello era già vestito. Dal bagno proveniva un morbido rumore di acqua corrente, segno che John si stava facendo la doccia.
Il minore si infilò rapido un paio di jeans e una felpa, e prima ancora di allacciarsi le scarpe saltò in piedi, ansioso di non perdersi il momento.
Sorprese Dean in piedi vicino al tavolo, intento ad armeggiare con il cellulare, e gli si fiondò tra le braccia in un lampo, fulmineo come la sera prima aveva ucciso quello skinwalker. Il maggiore stava per dire qualcosa, ma lui gli chiuse la bocca con un bacio, stringendogli i fianchi e spingendo il proprio corpo contro il suo. Dopo quello che era successo, e quello che aveva sognato, baciarlo era il minimo.
Dean ridacchiò quando si separarono, ma non lo allontanò. «Buongiorno anche a te» soffiò sulle sue labbra, facendolo arrossire appena.
Lo spinse un po' indietro, squadrandolo. «Allora, sei pronto?» chiese.
Sam scrollò le spalle, infilandosi le mani in tasca.
«Bene, andiamo»
«Ma papà...»
Dean aprì la porta, poi voltò la testa per guardarlo da sopra una spalla. «Non preoccuparti, sa esattamente dove dobbiamo andare»

Dean guidò per più di mezz'ora, e a Sam parve quasi che stesse girando a vuoto per le strade della città. Provò a chiedergli cosa dovessero fare, ma suo fratello fece sempre il misterioso, e lui dopo un po' si arrese.
Comunque, non potè fare a meno che concentrare gran parte della propria attenzione sulle sue mani che stringevano il volante, o sui suoi piedi che passavano dal freno all'acceleratore, o sul modo in cui cambiava le marce una dopo l'altra. Dean se ne accorse, e sorrise mentre Sam arrossiva.
«Hai avuto un incubo, stanotte» disse, guardando la strada.
Sam scrollò le spalle. «Me lo ricordo»
«Di tutti gli incubi che un cacciatore può avere, quello di non saper guidare è in assoluto il più strano» scherzò suo fratello, ma sembrava teso.
Il minore si irrigidì. «Come fai a saperlo?»
«Parli nel sonno, Sammy, lo hai sempre fatto. Eri tutto un “non parte”, e “la chiave non gira”» disse Dean, guardandolo per un attimo, e stringendo la presa sul volante.
«Mi dispiace averti svegliato» sussurrò il più piccolo, affondando nel sedile.
«Non è stata colpa tua»
Il maggiore irrigidì la schiena, contrasse la mascella e strinse gli occhi, nervoso, arrabbiato. Deluso, di nuovo.
«Papà non avrebbe ma dovuto metterti in quella situazione»
Sam non disse niente. Forse, realizzò in quel momento, non era con lui che Dean era arrabbiato.

Il maggiore si fermò in un parcheggio. Un enorme spazio vuoto, un piazzale davanti ad un supermercato abbandonato. Doveva essere stato grande, perché da quello che suo fratello poteva vedere, aveva almeno un paio di centinaia di posti auto.
Niente marciapiedi, solo una manciata di pali della luce che sovrastavano il cemento dall'alto. Nessuno ostacolo.
Dean scese dalla macchina, e Sam lo imitò senza pensarci. Suo fratello aggirò l'Impala, e prima che il minore potesse protestare, si infilò dal lato del passeggero, chiuse la portiera e si allacciò la cintura di sicurezza.
In tutta la sua vita, quella era sicuramente la prima volta che Sam gli vedeva fare una cosa del genere, e fu questo a far accendere una lampadina nel suo cervello.
«No» sbottò, mettendo le mani avanti, fissando suo fratello attraverso il parabrezza della macchina. «Non esiste. No»
Dean sorrise, un po' divertito e un po' accondiscendente. «Preferiresti che fosse papà ad insegnarti?»
Sam aprì la bocca, tentennò e la richiuse. Abbassò le mani, e si trascinò fino a sedersi accanto a suo fratello. «Sappi che se ci schiantiamo, darò la colpa a te»

Sam Winchester appoggiò per la seconda volta in vita sua le mani sul volante dell'Impala alle nove e zerosette del mattino.
Inchiodò di scatto quattro volte, sbagliò la marcia sei e fece partire per errore i tergicristalli una sola.
Non si spinse mai oltre i cinquanta chilometri all'ora e non si azzardò a premere bottoni che non fossero quelli per accendere i fendinebbia, e anche quando lo fece solo per prova fu con estrema cautela.
Dean sbattè contro il cruscotto, si lussò quasi una spalla e rise fino alle lacrime quando Sam scambiò un sacchetto di plastica nera per un gatto e quasi li uccise entrambi.

Il più piccolo provò manovre, retromarcia, frenate e accensione fino allo sfinimento, e quando finalmente smise di sussultare ogni volta che suo fratello gli ordinava di svoltare a destra o a sinistra per seguire curve immaginarie in un parcheggio vuoto, Dean decise che poteva bastare.
Alle dieci e quarantadue di quella stessa mattina, Sam sfilò le chiavi dal quadro, e le restituì al maggiore, che le prese con l'orgoglio impresso negli occhi.
«Niente male, fratellino. Davvero, niente male»
E il più piccolo si rilassò finalmente contro lo schienale del sedile di pelle.

Non tornarono a casa subito, comunque.
Dean decise che dovevano festeggiare, anche se probabilmente Sam non avrebbe rimesso le mani sul volante prima di mesi, se non anni. Tirò fuori due lattine di birra dal bauletto frigo nel portabagagli e ne allungò una a suo fratello, che lo guardò strano prima di prenderla e aprirla.
Non ne bevve neanche un sorso, ma fece compagnia a suo fratello, seduti sul cofano dell'Impala a guardare il sole alzarsi sempre di più.
Non faceva ancora abbastanza caldo da riscaldare il metallo nero dell'Impala, e Sam si godette la leggera brezza sulla nuca, a contrasto con il calore del corpo di suo fratello, sdraiato accanto a lui, e poi sempre più vicino.

Finirono a baciarsi come entrambi aspettavano da ore, come Sam voleva da quando si era svegliato quel giorno, lento e profondo, come se tutto il tempo del mondo appartenesse a loro.
Dean lo trascinò in piedi e lo baciò contro il paraurti dell'Impala, tenendogli il viso tra le mani, e appoggiando la fronte sulla sua.
Sam gli avvolse i fianchi con le braccia e si lasciò premere sul metallo lucido, prima di spingerlo con calma verso il fianco della macchina. Senza aprire gli occhi o smettere di baciarlo, spalancò la portiera e si stese sul sedile di pelle nera, guardando suo fratello gattonare sopra di sé.
Dean sorrise un po' storto, chinandosi su di lui e strusciando il naso sul suo.
Restarono lì, a baciarsi e basta, in quel parcheggio dimenticato, finchè il sole non fu troppo alto nel cielo.

Era pomeriggio inoltrato, quando John scostò le tende della camera di Motel e vide l'Impala parcheggiare un po' troppo bruscamente davanti alla stanza, in un leggero sobbalzo di sospensioni.
Sorrise compiaciuto quando dalla portiera del passeggero scese Dean, che rideva apertamente a suo fratello. Sam smontò un attimo dopo, gli occhi un po' sgranati di chi si è spaventato, ma un sorriso luminoso e fiero sul volto, le chiavi che roteavano tra le dita.
Le lanciò al maggiore, che le prese al volo sollevando appena la mano, prima di fare un passo in più e scompigliare i capelli al più piccolo. Lui si scostò, ma sorrise ancora di più.
John richiuse le tende e si allontanò dalla finestra.
Ricordava ancora bene il giorno in cui aveva insegnato a Dean a guidare, una strada sterrata dietro alla rimessa di Bobby, mentre Sam giocava con i soldatini sulla veranda del vecchio cacciatore. Ricordava l'emozione negli occhi del maggiore dei suoi figli, e anche come la chiave fosse entrata liscia nel quadro, senza grattare il metallo, senza tremare nella sua mano. Ricordava il sole basso alle loro spalle mentre il ragazzo cambiava una marcia dopo l'altra, senza quasi rallentare. Ricordava di aver pensato che Dean era bravo, e che amava l'Impala quasi più di lui, e che per questo meritava di guidarla tanto quanto lui.
E ricordava anche che gli ci era voluta un'intera settimana di lavoro per far sparire le ammaccature dal paraurti anteriore.



















NdA
Salve a tutti, e scusate se pubblico così tardi.
Premetto che il titolo è qualcosa di meraviglioso e anche assolutamente banale ma allo stesso tempo perfetto, e dovete ringraziare la mia beta per questo, perchè dopo un brainstorming assurdo se non era per lei non se ne saltava fuori. Le devo una marea di biscotti.
Come dice lei, questa volta John mi è uscito "quasi umano", e me ne sono stupita anch'io, mentre Dean e Sam sono... *.*
Basta. Spero che anche a voi sia piaciuta, perchè era una vita che non scrivevo Weecest e mi mancavano da morire.
That's all. Baci a tutti, e abbiate ancora un po' di pazienza per recensioni e risposte varie.
Alla prossima<3
Fanie

 

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Capitolo 53
*** Un altro tra tanti ***


Rating: Più verde di così si muore.
Genere: Fluff, romantico, e dolcioso, proprio come alle origini.
Contesto: Vago, ma all'incirca quarta stagione.
Note: Oggi è il 5 Ottobre. Domani, guarda un po', sarà il 6. E visto che il 6 Ottobre 2014 io ho pubblicato il primo capitolo della raccolta, festeggiare l'anniversario mi sembrava d'obbligo. Quindi, visto che se non faccio le cose contorte non sono nemmeno io, questo altro non è che il sequel del primo capitolo. Quindi sì, sarebbe meglio che ve lo andaste a rileggere, ecco. Con il resto delle spiegazioni ci rivediamo nelle NdA.
*Dedica*: A me stessa, perchè dopo un anno e 53 capitoli, ho ancora voglia di scrivere.

 

Un altro tra tanti




Fari che si spengono. Rumore attutito di una portiera che si apre e poi si richiude con un cigolio. Leggerissimo grattare di una chiave che si infila nella toppa. Porta che si spalanca, inondando la stanza con la luce azzurrina del lampione in strada.
Sam entra nella camera buia con una busta di carta in mano, e si ferma per un attimo sull'uscio, sorpreso di trovare l'oscurità ad attenderlo.
Ricorda perfettamente che quando è uscito la luce era accesa, e Dean sveglio ad aspettarlo.
Evidentemente, suo fratello si è addormentato, e Sam non potrebbe essere più felice, grato che si riposi un po' dopo la caccia, al sicuro dagli incubi sull'Inferno.
Il ragazzo avanza a tentoni nella stanza, cercando di non fare rumore, e appoggia delicatamente la busta di carta sul tavolo. Ha dovuto girare in macchina per tutta la città, fino a trovare l'unico Discount aperto tutta la notte. Per sua fortuna, avevano ancora una fetta di torta di mele, anche se visto che adesso Dean dorme non gli servirà a molto.
Tira fuori dal sacchetto il sale che ha comprato, e disegna una spessa linea di granellini bianchi sul profilo dell'unico davanzale nella stanza, e poi anche sotto alla porta. Nel loro mondo, la prudenza non è mai troppa.
Poi tira per bene le tende e si assicura che la propria pistola sia carica, i proiettili d'argento al loro posto, in ordine. Calcia via le scarpe, senza fare rumore, e sta per buttarsi a peso morto sul suo letto, quando il leggerissimo russare di Dean attira la sua attenzione.
Lo osserva, con gli occhi ormai abituati all'oscurità, e lo vede dormire con il viso schiacciato contro il cuscino, le labbra piegate in una smorfia buffa, la fronte rilassata di chi non sta sognando. È sdraiato a stella, con le braccia e le gambe allargate sul letto, la giacca di pelle abbandonata a terra. Probabilmente se l'è sfilata quando si è alzato per spegnere la luce. Ha la pistola sotto al cuscino, Sam può vedere il bordo del calcio puntare da sotto alla federa color panna, e se ne rallegra, in un modo molto strano che lo fa un po' sorridere. Saranno al sicuro, quella notte.
È rilassato, Dean, respira profondamente e non si sveglia nemmeno quando suo fratello gli accarezza il profilo delle dita della mano destra, che sporge fuori dal materasso come un invito.
Sam, a piedi nudi, si allontana dal letto e riapre la busta di carta. Ne sfila una confezione di plastica trasparente, chiusa intorno ad una fetta di torta confezionata con cura.
Se la rigira tra le mani, e dopo un attimo di esitazione la appoggia sul comodino di Dean. Poi si china sulle labbra di suo fratello, in un contatto leggerissimo. Tanto per non perdere la buona abitudine del bacio della buonanotte, gli aveva detto una volta, e suo fratello aveva sbuffato un “ragazzina” in mezzo ad un sorriso.
Sente il fiato del maggiore attraverso la sua bocca dischiusa, e si accorge che sa ancora un po' del bacon degli hamburger con cui hanno cenato. Sam ama quel sapore.
Si sdraia sul proprio letto, lasciandosi andare in un lungo sospiro di sollievo. I muscoli si rilassano, la stanchezza gli fa pesare le palpebre, e lui chiude gli occhi, grato.
Sa perfettamente che quando si sveglierà, domani mattina, non troverà quella vaschetta di plastica sul comodino, né la fetta di torta.
E sa anche che la prima cosa che farà Dean appena Sam si sveglierà sarà baciarlo con l'aroma della cannella ancora in bocca.

















NdA
(Premetto che il titolo è solo l'ovvia continuazione di quello del primo capitolo.)
Ma ci credete che è già un anno? Non mi sembra possibile. 53 capitoli, ci rendiamo conto? Sembra assurdo.
E a questo proposito, volevo ringraziare tutti quelli che mi hanno accompagnata, quelli da cui le ho sentite e che mi hanno incoraggiata, chi mi ha lasciato delle recensioni, chi ha letto e basta, e chi mi ha scritto per dirmi delle cose che mi hanno spinto ad andare avanti. E anche tutti quelli che (che lo sappiano o meno) mi hanno ispirato i capitoli, anche se magari non lo sapranno mai, e chi mi segue nonostante qualche volta io stessa mi picchierei.
E soprattutto grazie a quella magica persona che ogni settimana mi bastona perchè io le mandi i capitoli da betare, e che anche quando fanno schifo riesce sempre a tirare fuori un lato positivo e a farmeli aggiustare. E grazie anche per i titoli, le canzoni, i falsi nomi, le correzioni, i "questo è il mio nuovo kiss preferito" e i "secondo me è tanto che non scrivi una Sabriel". 
Se non fosse stato per lei, e per tutti voi che state leggendo queste note, questa raccolta sarebbe morta parecchi capitoli fa. Quindi niente. Grazie e basta.
E se magari non arriveremo a festeggiare un altro anniversario, sappiate solo che non potrò mai spiegarvi quanto questi ultimi dodici mesi nel fandom abbiano significato per me.
Un bacio a tutti, e a presto<3
Fanie

 

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Capitolo 54
*** The French Kiss ***


Rating: Verde. Perchè nella vita non si può avere tutto.
Genere: Romantico? Fluff? Nah. Qualcosa. È molto meh.
Contesto: Molto precisamente in quel bellissimo episodio conosciuto come "Attori per forza" o, più semplicemente, 6x15. (Come se non si capisse dal titolo).
Note: È uno dei crack-paring, come sempre scritto nelle NdA. E boh, poteva essere meglio, ma loro due sono così... Inquietanti, insieme!
Ci si vede giù, cercate di sopravvivere.

 

The French Mistake Kiss




Fu un battito d'ali l'unico suono che accompagnò la comparsa di Castiel, e il lieve fruscio parve quasi riecheggiare tra le pareti di quella stanza buia e asfittica. L'angelo si guardò intorno, scorrendo con lo sguardo lungo i muri scrostati, la moquette consumata, i mobili rovinati.
Non era niente di diverso dalle centinaia di camere di Motel che aveva visto negli ultimi due anni, da quando aveva incontrato Sam e Dean, e si distingueva da tutte le altre forse solo per quello che conteneva.
Castiel se ne rese conto immediatamente, percependo l'enorme potere che pervadeva quelle mura, quasi un alito di Grazia angelica, come se frammenti dell'essenza di milioni di suoi fratelli e sorelle fossero rinchiusi lì, tra quelle mura. L'oscurità quasi totale che permeava la camera gli impediva di vederle, ma sapeva che le Armi erano lì.
«Sono molte più di quante avessi immaginato» esalò, un sospiro di sollievo che si disperdeva nel buio, un leggerissimo sorriso rilassato che gli increspava le labbra. Con quelle, Raffaele sarebbe stato di certo sconfitto, e nulla avrebbe allora impedito all'umanità di continuare a vivere al riparo dalla minaccia di una nuova Apocalisse.
Nell'ombra, una figura si mosse, accompagnata dal suono di una flebile risata, un ghigno che rimbalzò addosso a Castiel, lasciandogli solo una curiosa sensazione di familiarità. Quella voce, avrebbe potuto riconoscerla in qualunque avvallamento del tempo, e in qualunque dimensione.
Balthazar emerse dal buio, le labbra piegate in un sorriso, una mano infilata nella tasca della giacca, le dita della sinistra avvolte attorno ad un bicchiere di cristallo.
«Ti vedo sollevato, fratellino» mormorò, facendo volteggiare nell'aria davanti a sé la fluote di champagne.
Castiel chinò il capo per un momento, senza imbarazzo, le spalle che cedevano un poco sotto al peso della tensione del momento. «Lo sono» ammise, dopo un attimo di tentennamento.
«Non ti fidavi di me?» chiese Balthazar, avvicinandosi di un passo e mostrandosi finalmente alla luce lattiginosa di un lampione che filtrava attraverso le tende consumate della camera.
«Temevo che tu avessi sopravvalutato il loro potere, quando me ne hai parlato» lo corresse Castiel, guardandosi intorno mentre la vista del suo tramite lentamente si adattava all'oscurità.
«Come puoi sentire tu stesso, non l'ho fatto» sorrise l'altro angelo, sedendosi elegantemente sul letto addossato alla parete e accavallando le gambe.
Castiel lo osservò dall'alto, cogliendo il vago luccichio dei suoi occhi azzurri e il leggerissimo odore dolciastro di alcol che lo attorniava. Non era fastidioso, anzi. Era quasi invitante.
«Ora sono tue, fratello come mi avevi chiesto» mormorò Balthazar, vuotando in un sorso il bicchiere e facendolo scomparire subito dopo. Inclinò il busto all'indietro, appoggiandosi sui palmi delle mani.
Castiel ignorò il movimento, indugiando invece con lo sguardo sullo scollo esagerato della maglia e sul profilo della catenella che scompariva tra il solco dei pettorali come uno strano invito a seguirla. Si ritrovò a chiedersi quale fosse la storia di quel tramite.
Risalì la sua figura fino agli occhi, aperti, luminosi, che lo guardavano attenti e divertiti. Distolse lo sguardo, imbarazzato.
Balthazar, nonostante tutto, non avrebbe mai smesso di metterlo a disagio in un modo così piacevole da dargli le vertigini.
«Spero... spero che possano essere sufficienti. Il loro potere, intendo» disse, lisciandosi distrattamente una piega dell'impermeabile.
«Guarda tu stesso» gli rispose l'angelo, indicando con un vago cenno della mano una sedia in un angolo. Sopra di essa, una borsa verde militare se ne stava afflosciata su un lato, il bordo che sporgeva dalla seduta fin quasi a renderne precaria la posizione.
Castiel non l'aveva notata, all'inizio, e si stupì di quanto quella sacca assomigliasse a quelle con cui Sam e Dean trasportavano le armi. Stranamente, il compito non era così diverso.
Non si disturbò ad avvicinarsi, ma scomparve e riapparve accanto alla sedia. Ora che la osservava meglio, da sotto alle cerniera pareva quasi risplendere una luce azzurrina, la Grazia che cercava di liberarsi.
Fece scorrere la zip di pochi centimetri, e un forte fascio chiaro si diffuse nella stanza, con la potenza di mille soli che bruciano. Sorrise, grato per quell'immensa e insperata fortuna, e lasciò che il suo tramite annegasse lo sguardo in quella splendida potenza, la perfezione celeste che si infrangeva come la marea su di lui, allagandogli i pensieri con la forza delle Armi.
Solo un lungo attimo, poi richiuse la borsa, e con un gesto della mano la fece scomparire.
Balthazar non si scompose, e quando Castiel riaprì gli occhi e si voltò a guardarlo, gli sorrise appena, un po' malizioso e un po' ironico.
«È stato un piacere» aggiunse, alzandosi in piedi.
L'angelo rimase fermo e lo osservò avvicinarsi, fino ad averlo a poco più di un passo di distanza. Balthazar inclinò il capo, le labbra arricciate in un sorriso malinconico, e Castiel dovette sollevare un po' la testa per guardarlo negli occhi. Quello sguardo era sempre un pugno al centro dello stomaco, un po' dolce e un po' destabilizzante.
Si ritrovò a pensare a quando le cose erano diverse, in Paradiso, a quando loro due erano fratelli, amici, compagni.
«Sono fiero di avere dalla mia parte un guerriero come te» mormorò, e lo osservò scuotere un po' il capo.
«Chi l'avrebbe mai detto» sogghignò Balthazar «che Castiel, il piccolo angioletto ligio alle regole, sarebbe finito a guidare la fazione ribelle al Paradiso». Scrollò le spalle. «I tempi cambiano» aggiunse «ma nonostante tutto, anche io sono fiero di essere al fianco di un comandante come te»
Castiel chinò il capo, e tese le labbra in una linea piatta. «Credi che vinceremo?» chiese, con un filo di voce, e quando rialzò lo sguardo Balthazar non poté non leggervi lo smarrimento, il dubbio, la paura e l'enorme peso che quel ruolo gli aveva messo sulle spalle.
All'improvviso, davanti ai suoi occhi spalancati e malinconici, provò un'immensa compassione per quell'angelo, quel fratello, con cui aveva combattuto innumerevoli battaglie e che forse adesso lo avrebbe accompagnato a morte certa. Credeva davvero che fosse nel giusto.
Forse non avrebbe dovuto farlo, forse non era compito suo e sicuramente nessuno glielo aveva chiesto, ma un attimo dopo lo stava attirando a sé, avvolgendogli le spalle con le braccia e stringendolo in un abbraccio molto umano e un po' disperato.
In quel momento, nessuno dei due poté impedire al fantasma di un ricordo lontano di insinuarsi in quel contatto, come a ricordare loro che non era il primo, e che non sarebbe mai potuto essere nemmeno l'ultimo.
Castiel sospirò come se non avesse aspettato altro, e Balthazar si ritrovò a ridacchiare divertito quando l'angelo gli appoggiò la testa sulla spalla, gli occhi chiusi e la fronte premuta contro la sua giacca.
«Vedrai, fratellino, ce la faremo» mormorò, accarezzandogli i capelli.
Timidamente, Castiel gli circondò la vita con le braccia, aggrappandosi con le mani alla sua giacca, e avvicinandosi ancora di più. Forse, non ricordava più come fare. Forse, non sapeva se ne aveva ancora il permesso.
Balthazar sogghignò, intenerito, e risalì con i polpastrelli lungo la sua schiena, le spalle, il collo, la nuca, una guancia. Intreccio le dita ai suoi capelli, spingendolo a sollevare il capo. Castiel si spense contro la sua mano come un gatto, prolungando il contatto, e l'angelo lo interpretò come l'ultimo consenso che gli serviva.
Baciò suo fratello sulle labbra, prima un tocco leggero e poi un contatto avido, caldo.
Castiel non indietreggiò, non si irrigidì, si limitò ad assecondarlo con calma, la memoria che tornava a galla in una lunga scia di brividi caldi.
«Vedo che la ribellione ti ha portato anche altri doni, oltre alle manie di grandezza» sogghignò Balthazar sulle sue labbra, mentre con una mano già scivolava oltre alla barriera della camica bianca, e lo osservò inclinare il capo.
«Io non ho manie di-» iniziò, ma l'altro lo fermò, zittendolo con un altro bacio.
«Castiel, davvero, sei più carino quando stai zitto»



















NdA
Per chi venisse dalle note in alto e avesse voglia di spoiler, è una Calthazar (Castiel+Balthazar)

Per gli altri, salve.
E sì, sono una pessima persona che non sa quando è il caso di appendere la tastiera al chiodo (?). Davvero, questa volta ho dato il peggio di me. Ma ehi, è passato più di un mese da quando ho scritto la Samifer, ed era ora di cambiare.
Il fatto è che questi due ispirano. Voglio dire, anche sorvolando su tutta questa cosa del combattere l'uno al fianco dell'altro, bisogna considerare che Balth si è schierato dalla parte di Castiel pur sapendo che probabilmente non avrebbero vinto. E santo cielo, Balthazar muore con il nome "Cas" sulle labbra! Il fatto che ad ucciderlo sia Castiel è totalmente marginale. Dettagli.
Btw, fine del sipario di assurdità.
Non picchiatemi nelle recensioni, e ci si vede lunedì prossimo con qualcosa di un po' più "umano".
Baci a tutti<3
Fanie


 

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Capitolo 55
*** Useful Powers ***


Rating: Tra il giallo e il verde, come sempre più verde che giallo.
Genere: Comico (seh, mi piacerebbe essere in grado di scrivere roba comica...), romantico, fluff, Castiel con manie di protagonismo e Sam che non ne può più di quegli altri due.
Contesto: Sarebbe sesta, ipoteticamente, ma non c'è neanche mezzo spoiler, quindi leggetela senza contesto.
Note: Destiel, perchè sì. Ho sempre voluto che succedesse questa cosa nella serie, ma visto che non si può, mi accontento di averla scritta. Pace, amore e ci si rivede giù.

 

Useful Powers




Da quando Dean ha scoperto che Castiel può fare quella cosa, se ne sta sempre sul chi vive.
Non che non lo facesse anche prima, comunque. Con il lavoro che fa, il relax non è esattamente all'ordine del giorno.
Ma questo.
A Dean non piace.
Gli piace anche meno di quanto gli piacesse Sam senza anima. Ok, non così tanto, ma rende l'idea.

Il fatto è che, davvero, è inquietante.
Più di quanto lo sia cacciare demoni. Più di sognarsi ancora l'inferno.
Più di scoparsi un angelo.

E lo ha scoperto per caso, tra l'altro.
Perché Castiel è davvero un marmocchio impaziente, e non riesce nemmeno ad aspettare che Sam sia uscito per saltargli addosso.
Che lo faccia solo perché ad un certo punto perfino lui si esaspera dei pensieri impuri di Dean in sua presenza, è qualcosa di cui il cacciatore si vanterebbe -riesce a corrompere un angelo solo guardandolo, lo considera un record personale-, se questo non comportasse anche il conseguente blocco della crescita di suo fratello.
Altra cosa di cui Dean non si lamenterebbe, in effetti.
Potrebbe quasi pensarci, traumatizzare Sam raccontandogli una o due cosette a proposito di quello che lui e Castiel fanno quando il fratellino va a fare ricerche.
Ma comunque.

Dean lo ha scoperto davvero per caso.
Quando Sam si era chiuso la porta del bagno alle spalle, Castiel non aveva aspettato nemmeno il click della serratura per attaccarsi alle sue labbra. Lui non se ne era lamentato, ovviamente.
Ma il fatto è che suo fratello, tempismo di merda, aveva pensato bene di uscire dal bagno -"Ho dimenticato le lamette e la schiuma da barba"- e di beccarlo con un angelo incollato al fianco.

O almeno, questo credeva Dean.
Era già pronto a smentire, negare, ignorare l'evidenza fino all'Inferno e ritorno -e neanche troppo eufemisticamente parlando-, pregando che Sam non decidesse di parlarne. Era anche preparato a sfoderare l'arma del "sono posseduto", notoriamente un vizio di famiglia più facile da giustificare.
Solo che suo fratello nemmeno lo aveva guardato, aveva attraversato la stanza e aperto il borsone appoggiato sul letto.
Un attimo dopo, era di nuovo oltre la porta del bagno. E Dean imparava di nuovo a respirare.

Quindi sì, prima di quella sera non aveva avuto idea che Castiel potesse rendersi invisibile, anche se avrebbe dovuto immaginarlo.
Aveva perso dieci anni di vita -non che gliene restassero molti, in ogni caso- ma ne era decisamente valsa la pena.

O almeno, così credeva.
Perché Castiel, il piccolo bastardo approfittatore, ci ha preso gusto.
E no, Dean non è ancora pronto a spiegare a suo fratello perché nell'ultima settimana si è rovesciato addosso tre birre e un caffè, solo perché il dannato angelo si diverte a comparire alle sue spalle nei momenti peggiori (sempre e regolarmente quando c'è anche Sam) e stringerglisi addosso, mordergli il lobo, sospirare sulla sua nuca.
Davvero, a Dean verrà un esaurimento.

Quindi sì, si sente lievemente stressato.
Del tipo che ogni volta che una tenda si muove, una porta cigola, una luce sfarfalla appena, lui scatta come una molla e accampa una scusa qualsiasi per scappare il più lontano possibile da Sam, nel caso in cui Castiel decidesse di comparire per molestarlo.
-In realtà lui teme che se l'angelo sentisse i suoi pensieri, potrebbe ripensarci, e magari smettere con questo giochetto delle apparizioni. E Dean sa di non essere affatto portato per l'astinenza.-

Ogni tanto, pensa di stare esagerando.
Sam sarà anche un assillante so-tutto-io, ma non ha ancora il dono di percepire l'invisibile.
Ok, tecnicamente ne è capace, ma Dean preferisce non pensarci. Si consola ripetendosi che non lo può fare a comando.
In ogni caso.
Dovrebbe darsi una calmata, se ne rende conto. Dopotutto, Castiel non ha nessun interesse nel fargli venire un infarto in tempi brevi.



Ma a quanto pare si sbaglia, perché il piccolo pennuto pervertito si sta facendo prendere la mano.
Lo sveglia succhiandogli le labbra, quella mattina, e Dean sa che Sam ha solo fatto finta di non averlo sentito gemere compiaciuto, prima di potersi trattenere. Come ricompensa al suo discreto fratellino, gli offre la colazione.
Per ora di pranzo, Castiel si è già fatto sentire due volte -i denti, chiusi su un boccone di pelle dietro all'orecchio, appena dopo le nove, e due dita appoggiate subito sotto al bordo dei suoi jeans, mentre salivano in macchina per andare a cercare un posto in cui mangiare qualcosa-
Dean, per quanto cerchi di ignorarlo, per il bene della salute mentale di suo fratello minore, sa che presto o tardi l'angelo l'avrà vinta.
Ogni tanto, si chiede se quel dannato piccione abbia qualcosa da fare di diverso dal dare il tormento a lui.
(Spera vivamente di no)

Il pomeriggio, Sam insiste per andare ad interrogare i testimoni dell'incendio su cui stanno indagando.
Si scopre, nel giro di un paio d'ore, che restare seri davanti alla madre e alla sorella di una vittima mentre un purissimo e castissimo Angelo del Signore ti sussurra all'orecchio una dettagliata lista di cose che vorrebbe farti con la cravatta che indossi, è più complicato del previsto.
Quando il suddetto angelo inizia ad accarezzargli i fianchi attraverso la divisa da agente federale, Dean deve fingere un'emicrania e scappare da quella casa.

A cena, Sam ci deve andare da solo. Suo fratello minore finge perfino di stupirsene, il maledetto impiccione.
Dean ha deciso, gli farà trovare un video nel computer. Poi vediamo chi dei due resta più traumatizzato.
Non fa in tempo a vederlo chiudersi la porta alle spalle, che due mani forti -calde, pesanti, visibili- si infilano tra i suoi capelli e lo schiantano contro una bocca aperta, umida, perfetta.
«Ciao anche a te» mormora Dean, e Castiel sorride, occhi azzurri luminosi e presenti davanti a lui.
«Vorrei dirti che mi sei mancato, ma mentirei» recrimina il cacciatore, ma l'angelo sa che non è vero. Gli è mancato, eccome.
Sentirlo non è affatto come vederlo, o averlo. In fondo, è per questo che ad entrambi piace tanto quel gioco.
Castiel inclina la testa, i pollici che accarezzano i suoi zigomi. Dean aspetta solo un momento, un lungo e interminabile istante, giusto il tempo di godersi quel contatto. Poi lo spinge contro il muro, e con uno strattone i bottoni della camicia saltano.
Potrebbe giurare che è valsa la pena di aspettare anche solo per questo.








 

Sam inizia ad esasperarsi, davvero.
Può andare bene tutto, ma lui non è stupido. E gli piacerebbe che suo fratello non lo trattasse come tale.
Davanti a lui, Dean si sta contorcendo mentre cerca di allacciarsi le scarpe. Suo fratello non si chiede neanche perché debba risultare un'operazione così complicata, ha già visto il modo strano in cui la camicia del maggiore si piega lungo i fianchi, come se qualcosa la tenesse premuta. Anche il modo in cui tiene piegata la testa, come se andasse incontro a delle carezze, è decisamente strano. E inquietante.
Quindi, Sam non è stupido.
Ha capito cos'è che fa comportare Dean in quel modo assurdo da più di una settimana, non ci vuole un genio.

Anche perché, beh, quei due non sono esattamente due maestri dell'occultamento.
Insomma, passi il comportamento di suo fratello.
E passino anche i cali di corrente ingiustificati, dal momento che anche se le luci sfarfallano non compare nessun angelo.
E ok, passino pure i bottoni che trova in giro dappertutto (davvero, Dean dovrebbe imparare a sbottonare le cose, invece di fare a pezzi la camicia di Castiel ogni volta).
Ma è già la quarta volta che inciampa su un "piede invisibile".
E nessuno si è ancora scusato con lui.





















NdA
Salve a tutti, gente.
Come ve la passate? Io abbastanza bene, altrimenti non vi trovereste queste cosucce fluffose fluffose.
Sam ha tutto il mio appoggio, Dean la mia compassione e Cas... Cas è meglio se non lo commento.
Btw, spero che il capitolo vi sia piaciuto, io vi amo tutti un sacco e vi ringrazio come sempre se siete qua perchè mi seguite, preferite, ricordate, recensite o anche solo leggete.
Altra cosa di fondamentale importanza: contrariamente a quello che sperate pensate, lo scorso capitolo non ha esaurito la mia voglia di scrivere crack. Quindi sì, statevene in guardia per le prossime settimane, perchè mi sento molto pericolosa al momento (anche perchè giovedì esce il 9x18 doppiato in italiano, e chi ha già visto la nona stagione in lingua originale SA cosa questo significhi. Ma ne riparleremo, credetemi)
That's all. Buona settimana, fate i bravi, mangiate le verdure, non parlate con gli sconosciuti, guardate da entrambi i lati prima di attraversare la strada, ecc. ecc.
Baci a tutti,
Fanie

 

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Capitolo 56
*** Tutto il tempo dell'universo ***


Rating: Solita cosa indistinta tra giallo e verde.
Genere: Malinconico, leggermente angst, romantico, e finisce bene. Circa.
Contesto: Ambientato nel futuro apocalittico del 2014 in cui Sam ha detto "sì". È la mia piccola e personale dimostrazione che l'End!verse non è fatto solo per la Destiel.
Note: Il paring lo scrivo come sempre nelle prime righe delle NdA, ma non è niente che non si sia mai visto su questi schermi. Più o meno.
Il capitolo è dedicato a due meravigliose persone che amano questa coppia tanto quanto me, e che mi hanno "costretta" a scrivere un altro capitolo su di loro. Grazie per tutto il sostegno e l'incoraggiamento, questo è per voi.
 

Tutto il tempo dell'universo




Lucifero era sempre stato diverso.
Il più bello degli angeli, il preferito di Dio, il ribelle, il Caduto.
Aveva sempre avuto un modo tutto suo di pensare, di agire, perfino un modo diverso di eseguire gli ordini, interpretandoli, distorcendoli. Si era sempre considerato superiore agli altri, migliore, perfetto.
Forse lo era veramente, con il suo modo unico di vedere le cose, coglierne le sfumature, mostrare agli altri prospettive diverse.
In un modo o nell'altro, era sempre riuscito a distinguersi da tutti, ad elevarsi, ad imprimersi nella mente di chiunque e a farsi ricordare.
Nei secoli, nei millenni, la sua storia era stata distorta, traviata, era stato chiamato Diavolo, Satana, Serpente, gli avevano dato del mostro, tentatore, infido, ingannatore, bugiardo, crudele, maligno, e tutti avevano imparato a temerlo, sia gli angeli che gli uomini. Nessuno lo avrebbe mai potuto dimenticar, nè per quello che era stato nè per quello che aveva fatto.

 

Ma c'era una ragione, se Lucifero sarebbe sempre stato ricordato. Aveva un dono, che gli aveva sempre permesso di elevarsi sopra a tutte le altre creature, perfino sopra a suo Padre.
In quel momento, guardandolo, Gabriel sapeva che la sua più grande fortuna e la sua peggiore debolezza era quella di essere soltanto inconfondibile.
Nessuno, nè in Cielo nè in Terra, avrebbe potuto confondere quel potere, quell'immensa Grazia, quell'unica creatura. Lucifero aveva il dono di essere ricordato, perchè impossibile da scambiare per qualcun altro.
Gabriel, forse, era stato il primo a capirlo, e l'unico ad accettarlo.

 

Nell'eternità del tempo, tutti gli angeli avevano temuto il Diavolo, lo avevano combattuto, ferito, imprigionato. Avevano costruito i Sigilli per tenerlo rinchiuso nelle profondità della terra, e vi avevano vegliato per migliaia di anni, terrorizzati dal pensiero di un unico, splendente, Ribelle. L'intero creato aveva imparato a diffidare di quella creatura, ad averne paura, a rifiutarne le lusinghe. Tutto il cosmo aveva avuto, per millenni, un unico nemico, come se tutta la cattiveria, il Male, si fosse incarnato in lui, la cui unica colpa era stata quella di dire "No".
Nessuno aveva osato opporsi, chiedere, pretendere. Michele aveva ricevuto l'incarico di sconfiggere il Ribelle, e nessuno dei suoi fratelli si era mai domandato se fosse davvero giusto.
Solo uno di loro, secoli e secoli dopo la Caduta, si era reso conto dell'errore, e per la vergogna, per la colpa, aveva abbandonato il Paradiso, rifugiandosi tra gli uomini.

 

Gabriel aveva sofferto per la lontananza di suo fratello, e non c'era stato giorno in cui non avesse rimpianto la sua scelta. Era stato costretto a schierarsi, a scegliere tra i suoi due fratelli maggiori, e lui aveva appoggiato Michele, perchè quello era ciò che suo Padre voleva.
A distanza di secoli, aveva riconosciuto quella decisione come la sua più grande colpa, e se ne era pentito con tutta la sua Grazia.
Ma nemmeno questo aveva mai potuto riportare indietro suo fratello, e lui non avrebbe mai potuto vivere in Paradiso senza di lui. Abbandonare quello che restava della sua famiglia era stato meno doloroso della Caduta di Lucifero.

 

I secoli che erano seguiti, non erano stati meno strazianti.
Anche quando Sam Winchester aveva fatto loro la gentile concessione di aprire la Gabbia e i sue Arcangeli si erano incontrati di nuovo, era stato terribile e angosciante.
Troppi secoli, troppo dolore e ancora troppo odio, e il loro primo contatto era stato uno scontro. Nonostante quello che li legava, la Caduta sembrava essersi insinuata tra di loro fino a rendere irreversibile l'allontanamento.

 

Ci erano voluti anni.
Gabriel aveva dovuto ricominciare a sentire il morso insopportabile della solitudine, e il senso di colpa per quello che aveva contribuito a fare a suo fratello, e Lucifero aveva avuto bisogno di rendersi conto di cosa il minore avesse sacrificato dopo la sua Ribellione. La sua famiglia, la sua essenza, l'amore del loro Padre, l'eternità in Paradiso.
Spinti l'uno verso l'altro dalle loro stesse Grazie, si erano incontrati a metà strada, così come avrebbero voluto essere stati in grado di fare all'epoca della Caduta.

E adesso, a distanza di anni dall'apertura della Gabbia, le cose erano finalmente come avrebbero dovuto essere state fin dall'inizio.
Gabriel lo realizzava ogni giorno, ad ogni alba e ad ogni tramonto, chiedendosi nel contempo se fosse davvero quello che suo Padre avrebbe voluto per la Terra, per l'Umanità.

L'Apocalisse aveva distrutto ogni cosa, ma nonostante questo non tutto era perduto.
Contrariamente a quanto Gabriel avrebbe mai pensato, Lucifero non odiava così tanto gli esseri umani da volerli vedere spazzati via. La sua vera missione, da quando era uscito dalla Gabbia, era stata unicamente quella di vendicarsi dei suoi fratelli, della famiglia che l'aveva abbandonata.
Aveva ucciso ogni singolo angelo che si fosse mai parato davanti a lui, li aveva fatti soffrire, uno dopo l'altro, perché qualcuno potesse pagare per il dolore che aveva provato lui. Aveva strappato ali e trafitto Grazie, fino a sterminare l'esercito celeste, finché lo stesso Gabriel non aveva dovuto intervenire per fermarlo.
Ma quando se lo era trovato davanti, Lucifero non lo aveva aggredito, o combattuto. Lo aveva attirato a sé e stretto in un abbraccio, le ali di entrambi che si avvolgevano a spirale intorno a loro, le lame angeliche abbandonate a terra. Lo aveva chiamato “fratello”, sussurrando “mi dispiace” e “perdonami” al suo orecchio, mentre anche le braccia dell'Arcangelo si avvolgevano attorno al suo corpo, disperate. Si erano stretti per scusarsi a vicenda, di aver sbagliato a scegliere e a giudicare, per essersi scontrati, per essersi fatti così tanto male.

E alla fine, Gabriel era riuscito a convincere i suoi fratelli superstiti a smettere di combattere quella guerra persa.
Lui aveva giurato di proteggere l'umanità, e per questo non avrebbe mai e poi mai ucciso un solo essere umano, ma non avrebbe esitato a trafiggere qualunque creatura avesse osato cercare di portargli via suo fratello, il Diavolo. E quando anche Michele si era finalmente arreso, consapevole che nemmeno lui avrebbe potuto contrastare i suoi fratelli più potenti, gli angeli superstiti se ne erano andati. Dove, Gabriel non voleva saperlo.

Adesso, l'Apocalisse imperversava ancora sulla Terra, ma lentamente anch'essa avrebbe lasciato quel mondo, si sarebbe ritirata e chiusa dietro ad altri Sigilli.
Adesso l'umanità sarebbe stata libera di ricostruirsi una casa, priva di demoni e angeli, pura, sicura.
Adesso, Lucifero non era più il Diavolo, ma un altro Arcangelo. Il primo, il più splendente, magnifico.

Si, lo era davvero, Gabriel non poteva impedirsi di pensarlo.
Indipendentemente dal suo tramite, Lucifero era e sarebbe sempre rimasto straordinario e perfetto.
Anche in quel momento, mentre entrava nella stanza a passo felpato, il completo bianco avvolto attorno al corpo alto e muscolo di Sam Winchester, sembrava emanare luce.
Gabriel lo osservò avvicinarsi, sorridergli, e pensò che tutto sommato erano stati fortunati. Sarebbero potute accadere altre cose, il futuro sarebbe potuto essere diverso, loro sarebbero potuti essere diversi. Ma non era andata così.

«Mediti ancora sull'opera di nostro Padre?» mormorò il Diavolo, incrociando i suoi occhi e trovandoli assorti.
L'Arcangelo si alzò dal divano di pelle, un leccalecca in bocca, un sorriso sulle labbra. «Medito sulla nostra opera»
Lucifero strinse per un attimo gli occhi, scrollò il capo, sorrise ancora. «Ci sono ancora altre cose che potremmo fare, fratello»
Gabriel annuì, avvicinandosi a lui. Nonostante tutto, non sarebbe mai riuscito ad abituarcisi.
Gli anni di lontananza, quello che si erano dati e presi, quello che provavano l'uno per l'altro, avrebbe sempre avuto quell'effetto su di lui, quella curiosa sensazione di un dolore molto umano, se troppo distante dalla creatura che più amava.
Se c'era una cosa di cui si era accorto durante tutta la sua esistenza senza suo fratello, era che lontano da lui non era se stesso, non era completo.
«Possiamo fare tutto» mormorò, alzando una mano e lasciandola scorrere tra i capelli troppo lunghi di Sam Winchester «tutto quello che vuoi. Adesso, per sempre»
Lucifero lo guardò intensamente, assorto, le braccia che con naturalezza si avvolgevano attorno ai suoi fianchi, le ali impalpabili che sfioravano le loro sorelle. «Siamo gli unici angeli rimasti» sussurrò, come se fosse una confessione impronunciabile, il più grande dei segreti, qualcosa di doloroso da tenere nascosto. La più assoluta dichiarazione d'amore.
Gabriel la percepì appena, e lasciò che gli scorresse lungo il corpo in una cascata di brividi. Loro due, soltanto, per tutto il resto dell'eternità.
«Siamo i nuovi dei» rispose, sorridendo.
Niente trickster, con Lucifero, niente Loki, niente Arcangelo sbruffone. Solo Gabriel, solo suo fratello minore, solo l'essere che lo amava più di ogni altra cosa nel Creato.
Lui sorrise appena, poi chinò il capo e appoggiò la fronte sulla sua.
Niente Diavolo, con Gabriel, niente Satana, niente Re dei Demoni. Solo Lucifero, la creatura spezzata che non avrebbe mai amato nessuno come amava lui.

Ci erano voluti millenni, per arrivare lì, in una villetta dimenticata nella brughiera come nei migliori racconti di creature leggendarie. Ci erano voluti secoli, perché la Terra vedesse loro due abbracciati nel salotto di una casa così umana da dare le vertigini, in un posto che sarebbe appartenuto solo a loro. Ci era voluto tutto il tempo del mondo, e anche qualcosa in più, perché finalmente loro due si ritrovassero, dopo essersi persi, abbandonati, rimpianti, perdonati. Ci era voluta l'eternità, perché finalmente Lucifero si sentisse libero, giusto, nel far scivolare la propria mano lungo il corpo di suo fratello, lungo il profilo delle spalle, su per il collo, fino alle labbra. Ci erano volute intere ere perché Gabriel avesse finalmente l'occasione di respirare contro la sua bocca, di accarezzarla, di benedire tutto il dolore che li aveva condotti lì.
E poi ci era voluto un solo attimo, perché finalmente si baciassero, perché Lucifero tirasse il corpo del fratello contro il proprio, perché Gabriel infilasse le dita tra i suoi capelli.

E se anche ci era voluta tutta l'età di quel vecchio universo, loro avrebbero trovato il modo di recuperare ogni singolo istante. Il tempo, adesso, apparteneva a loro.





















NdA
Per gli amanti dello Spoiler, è una LUBRIEL (Lucifero + Gabriel)

Per tutti, invece, salve.
Sappiate che io sono profondamente innamorata di questo capitolo, e se i personaggi risultano OOC è colpa del mio personalissimo modo di interpretare il rapporto tra di loro. Non hanno bisogno di alcuna maschera, quando sono insieme.
La mia beta, quella cara ragazza a cui devo il mondo e anche la mia labile sanità mentale, mi ha fatto notare che ho praticamente scritto una mezza Sabriel, mettendo Lucy nel corpo di Sam. Ma il fatto è che Lucifero... E Sam... E Gabriel... L'End!verse è bello per quello.
Ma basta parlare del capitolo.
Come sempre vi amo tutti tantissimo, spero che siate sopravvissuti e vi prometto che lunedì si torna alle cose "normali".
Che poi. Sapete che giorno è lunedì? È il 2. Il 2 Novembre. Mi viene già male.
Altra cosa importantissima. Chi ha visto il 9x18 in italiano? E l' 11x03? Non riuscirò mai a riprendermi dopo la valanga di... non so nemmeno io che cosa. Ho bisogno di fluff. Supernatural finirà per uccidermi, prima o poi.
Credo sia tutto.
Un bacio grande grande, ci si risente più in là. (O anche nelle recensioni, perchè io ho serimente bisogno di fangirleggiare con qualcuno su quanto andato in onda di recente)
Fanie

 

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Capitolo 57
*** Hey Jude ***


Rating: Come ogni 2 Novembre che si rispetti, verde.
Genere: Angst, malinconico, triste, orribile, terribile, fatemi smettere perchè se no finisce male.
Contesto: Prima dell'inizio.
Note: Quanto male mi sono fatta a scrivere questa cosa. Neanche immaginate. Per essere meno di una pagina, è stata una sofferenza.
Se siete già tristi per conto vostro, fatevi un favore e non leggete.
*Dedica*: Alla mia beta, un anno dopo.


 

Hey Jude




John seppe che qualcosa non andava nel momento esatto in cui parcheggiò l'Impala davanti alla porta della camera di motel in cui aveva lasciato Dean a badare a Sammy, qualche ora prima.

Non era stato via molto, appena il tempo di incontrarsi con Bobby a metà strada per Sioux Falls. Sapeva che anche ai suoi figli sarebbe piaciuto vedere il vecchio cacciatore, ma quella sera lui sentiva di aver bisogno di una birra con qualcuno che potesse capire, qualcuno che sapesse che cosa si provava.
E così aveva messo ogni genere di protezioni alla camera e aveva lasciato in mano a suo figlio un fucile caricato a sale. “Bada a Sammy” aveva detto, prima di chiudersi la porta alle spalle e salire in macchina. Casa Singer non era molto distante, meno di un'ora. Entro l'alba sarebbe stato di ritorno, e i suoi figli non avrebbero corso nessun rischio, in sua assenza.
Normalmente, non li avrebbe lasciati da soli senza una ragione, ma ormai il fantasma per cui si erano fermati in quella città era stato distrutto, e non c'era più nulla che potesse nuocere loro. Dopo tanto tempo, John sentiva di aver bisogno di staccare la spina, per un momento, e Bobby era un buon modo.

Il fatto era, che quella sera erano sei anni.
Non si fermava a pensarci spesso, negli ultimi tempi, ma in giornate come quella la mancanza di lei si faceva sentire sempre con più forza, fino a diventare quasi soffocante. E allora, nemmeno rivederla negli occhi di Sam e nei tratti di Dean era sopportabile.
Quella sera, rivedere un vecchio amico era stata l'unica cosa che lo aveva trattenuto dall'impazzire, e nonostante i rimproveri di Bobby per aver lasciato i suoi figli da soli, sapeva che lui poteva capire. Condividevano lo stesso dolore.

Non era ancora sorto il sole, quando era arrivato al motel. Si era aspettato di trovare le luci spente e i suoi figli addormentati, ma la loro camera era l'unica ancora illuminata. Erano bastate quelle luci, per fargli capire che qualcosa non andava.
E adesso che era finalmente entrato, capiva anche cosa.

Su uno dei due letti, un giovane Dean di dieci anni teneva in grembo il suo fratellino, e lo cullava come suo padre aveva visto fare a Mary centinaia di volte. Era stanco, si vedeva dagli occhietti gonfi di sonno e dal modo in cui la testa ciondolava di lato, ma nonostante questo non sembrava essere intenzionato a smettere. Facendosi più vicino, John si rese conto che stava anche canticchiando. Gli si strinse il cuore, quando riconobbe la melodia di Hey Jude, le parole masticate e in gran parte inventate, perché a dieci anni Dean era ancora troppo giovane per conoscere il testo a memoria. Mormorava la canzone contro i capelli di Sammy, il fucile appoggiato sul materasso accanto a loro, e John seppe di aver sbagliato a lasciarli, quella sera.

Spalancò la porta lentamente e suo figlio sollevò la testa, per un attimo allarmato, poi i suoi occhi si fecero grandi per la sorpresa e finalmente tranquilli, sollevati.
John richiuse l'anta alle proprie spalle, in tempo per vedere Dean portarsi un ditino alle labbra, e fargli segno di stare in silenzio.
Il padre si avvicinò al letto, e osservò il viso del minore dei suoi figli, gli occhietti chiusi e le guance macchiate di lacrime, un pollice in bocca.
«Si è addormentato mezz'ora fa, non prima» sussurrò il più grande «non riuscivo a farlo smettere di piangere. Era convinto che tu ci avessi abbandonato, che non saresti più tornato»
John accarezzò la testa di Dean, e si chinò su di Sammy per prenderlo in braccio. Lo avvolse con le braccia e lo sollevò dalle gambe del fratello, il bambino che inconsciamente affondava il nasino nel suo petto, e che apriva piano le palpebre.

«Sono tornato» sussurrò suo padre, e vide gli occhi verdi, la stessa sfumatura di Mary, inumidirsi di nuovo.
Il piccolo si aggrappò alla sua giacca e si arrampicò fino al suo collo, dove nascose la fronte. Infilò le manine tra i suoi capelli, e singhiozzò piano contro il suo orecchio.
«Papà» gemette, un pigolio da spezzare il cuore.
«Va tutto bene, Sammy, tutto bene» sussurrò John, accarezzandogli la schiena, mentre dal letto Dean li osservava ancora seduto, un labbro stretto tra i denti.
Mentre li guardava, anche i suoi occhi si inumidirono, e John si sedette accanto a lui, su materasso, allargando un braccio per fargli posto.
Il maggiore esitò un momento, poi si infilò tra Sammy e suo padre, lasciandosi circondare dalle sue braccia, mentre il più piccolo smetteva di piangere e allungava una mano per afferrare la maglietta di suo fratello.

Era in quei momenti che Mary gli mancava di più. Lei avrebbe saputo cosa fare, avrebbe potuto consolarli, consolare i suoi figli e anche il loro padre, trovare una soluzione a tutti i mali del mondo.
John si sentiva come se in quell'abbraccio mancasse qualcosa, mancasse qualcuno.
Ma nonostante questo, non avrebbe più permesso che Sammy si sentisse abbandonato, e che Dean fosse costretto a rassicurarlo su qualcosa di cui forse dubitava anche lui.
Per quando amasse Mary e per quanto la sua assenza fosse insopportabile, era ai suoi figli che lui doveva la sua vita, e sapeva che sua moglie avrebbe voluto questo.

Strinse di più la presa attorno al corpo di Sammy e di Dean, baciando loro la fronte, mentre fuori il sole del terzo giorno di Novembre faceva capolino all'orizzonte.


















NdA
Salve a tutti, e scusate per il capitolo.
L'idea originale era pubblicare un capitolo Weecest molto fluffoso, poi non so come siamo finiti a farci del male gratuitamente. 
Il fatto è che non si può essere felici il 2 Novembre, proprio non si può.
Spero di non avervi uccisi, sinceramente.
La prossima settimana sarà meglio, garantito. Forse.
Va beh, scusate ancora e spero almeno vi sia piaciuta. E il titolo, beh, io sono dell'idea che se proprio ci si deve fare male almeno vale la pena di farselo per bene.
Sappiate solo che la mia beta non ne sa niente.
That's all. Baci a tutti.
Fanie

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Capitolo 58
*** Little talks of Angels and men ***


Rating: Verde.
Genere: Romantico, fluff, vagamente comico.
Contesto: Piena sesta stagione.
Note: Per i fedelissimi della raccolta, il titolo dice già tutto. Avevo promesso di riutilizzarlo insieme alla tecnica di scrittura, quindi eccoci qua. E sappiate che non sarà l'ultima volta che lo vedete, perchè io lo amo tipo troppo.
Questa volta è un po' più pesantino della precedente, ma il paring compensa.

 

Little talks of Angels and men





«Dean»
«Figlio di- Castiel! Non abbiamo già parlato del comparire alle spalle delle persone? È fastidioso»
«Dean»
«E dannazione, spazi personali!»
«Le mie scuse, Dean»
«Sì beh, non fa niente. Qual buon vento di porta qui?»
«Vento? Nessun vento-»
«Ti prego, non dirlo. Perché sei venuto?»
«Volevo vederti. La guerra in Paradiso mi ha trattenuto molto a lungo, questa volta»
«Me ne ero accorto. Beh, io sono qui, tu mi hai visto, quindi adesso puoi anche tornartene nell'alto dei cieli a giocare a nascondino con i tuoi fratelli»
«Noto tensione nella tua voce. Qualcosa ti provoca disagio, Dean?»
«Io a disagio? E perché mai? Non è come se avessi baciato un angelo e ci fossi andato a letto, e poi questo fosse sparito per settimane, senza più richiamare. Nemmeno. Una. Volta»
«Sei sarcastico. Ti ha turbato quello che abbiamo fatto?»
«Sesso, Cas, si chiama sesso. E no, non è stato quello a turbarmi -anche se a pensarci avrebbe dovuto- ma il fatto che tu poi sia scomparso senza lasciare traccia, e non ti sia più fatto vedere. Potevi essere morto, per quanto ne sapevo»
«Sto bene, Dean»
«Si, beh, grazie di esserti disturbato a farmelo sapere»
«Vuoi... vuoi che me ne vada?»
«No che non voglio che tu te ne vada!»
«Vuoi che resti?»
«Vorrei chiuderti in un cerchio di olio santo ed impedirti di tornare in Paradiso, così almeno sarei certo che sei al sicuro»
«Ma Dean, io devo-»
«Lo so che devi combattere una guerra, ma questo non mi impedisce di preoccuparmi per te»
«Sei arrossito»
«Sta zitto»
«... Cosa vuoi che faccia?»
«Voglio che tu smetta per cinque minuti di fare il bastardo senza gloria del Paradiso e che mi baci, maledizione, così anche io posso piantarla di fare la ragazzina ansiosa»
«Va bene»
«E se la prossima volta ti azzardi a non chiamare, ti spiumo sul serio»
«Dean, ora taci»















NdA
Ora ditemi se non sono la meraviglia.
Bon va beh, basta.
Sono di frettissima oggi, quindi note brevi solo per dirvi che vi amo e che confido mi perdonerete se sono indietrissimo con le recensioni. Sono pessima ma davvero non ho tempo.
Recupererò, promesso.
Baci a tutti, e buona settimana
Fanie

P.S. Siamo vicinissimi al sessantesimo capitolo. E chi mi segue da abbastanza tempo sa che questo significa sventura.

 

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Capitolo 59
*** On that flight to Lousiana ***


Rating: Giallo solo per il linguaggio.
Genere: Fluff, romantico, comico, Dean che fa l'idiota.
Contesto: Ovunque nella sesta stagione, ma zero spoiler.
Note: Era tipo troppo che non scrivevo Wincest. E questi due sono la meraviglia.
Tutto il mio amore va alla mia beta, la genia che ha trovato il titolo (come sempre, santa donna). Basta leggerlo per capire cosa c'è di bello in questo paring.

 

On that flight to Lousiana




Succede prima che Dean possa metabolizzare la cosa. Troppo in fretta, lui non fa nemmeno in tempo a capirlo che è già troppo tardi.
Succede che c'è un caso in Lousiana e che «no Dean, non attraverseremo il paese in macchina, non c'è tempo».
Succede che Bobby è un maledetto traditore, e nessuno dovrebbe toccare Baby senza il suo permesso, ma lui lo ha fatto e adesso l'Impala non parte. Manomessa per ricattarlo, dannato vecchio ubriacone.
Succede che Sam è il fratello più stronzo del creato e dannazione, lui non vuole prendere un aereo dal South Dakota.

Ma prima che quel pensiero possa lasciare la sua testa e schiantarsi contro il tavolo della cucina della rimessa di Sioux Falls insieme al suo pugni chiuso -perché lui è Dean Winchester e che sia dannato se qualcuno può costringerlo a fare qualcosa che non vuole-, Sam lo sta già trascinando lungo il corridoio tra i sedili di un fottuto aeroplano. Maledetto fratello testa di cazzo.

Chiariamoci, non è che abbia paura. È stato all'Inferno, ha fermato l'Apocalisse. Non è che sia davvero spaventato da quei grossi cosi metallici che potrebbero cadere da un momento all'altro, no.
Ma Cristo, se Dio -o chi per lui- avesse voluto vedere l'uomo volare, gli avrebbe dato un paio d'ali. Quindi, per Dean gli aerei sono un po' contro natura.
E questo è quanto, l'unico motivo per cui lui detesta volare. Assolutamente. E fanculo Sam e quello che pensa la sua testolina piena di verdura.

Il succo è, però, che quelle pastiglie rilassanti che gli ha dato Bobby, forse non sarebbero state una cattiva idea. Merda, le ha lasciate nella valigia.
Dean detesta volare, maledizione.

Che poi, è tutto una merda, il sistema funziona in modo sbagliato.
Sam voleva che si spacciassero per due sceriffi del cielo, aveva anche preparato i distintivi e tutto. E a Dean stava bene, davvero, maledizione, era tutto ok.
Ma che colpa ne aveva lui se la tizia dell'imbarco era una fissata e li aveva guardati male e quasi quasi li faceva anche sbattere fuori perché “in vita mia non ho mai visto uno sky mashal che ha paura di volare”?
Fanculo, Dean doveva ancora vendicarsi di Sam per essere scoppiato a ridere lì, davanti a quella stronza in gonna e foulard e agli agenti di sicurezza. Quel posto era una merda, suo fratello era una merda, il volo era una merda, la sua vita era una merda.

Quindi ok, nemmeno adesso è tanto a suo agio, diciamocelo pure.
L'hostess sta spiegando come infilarsi la maschera in caso di emergenza, e Dean deve distogliere lo sguardo perché se no vomita al solo pensiero, e no, assolutamente no.
Accanto a lui Sam fa quella faccia, quella che ogni tanto fa venire a suo fratello voglia di cavargli gli occhi con le chiavi della macchina.
«Dean, stai bene?» gli chiede, e tra tutto le risposte che potrebbe dargli (“a te cosa sembra?” “certo, bene, benissimo” “tra un po' andrà meglio” “no che non sto bene!”) lui sceglie la più ovvia, quella made in Winchester.
«Fottiti»
Sam sbuffa, e Dean si aggrappa ai braccioli come se stessero per strapparlo dal sedile con la forza.
In questo momento, preferirebbe una possessione demoniaca a questo dannato volo.
Ma non è che abbia paura, no davvero.

Solo che poi succede quello che non dovrebbe succedere mai.
Una delle assistenti di volo, una biondina carina con la divisa rossa della compagnia, passa accanto al loro sedile, e nota con la coda dell'occhio il passeggero del corridoio, quello con la giacca di pelle e gli occhi verdi, che sta praticamente andando in iperventilazione, le nocche sbiancate per la presa ferrea al sedile.
Si avvicina con un sorriso. «Salve, io sono Cindy» si presenta, e lo guarda, aspettando che il ragazzo faccia altrettanto.
«Dean e Sam Winchester» mormora lui indicando prima sé e poi il ragazzo sul sedile accanto, e l'hostess vede il moro vicino a lui sbiancare e dargli una gomitata nelle costole. Lei finge di non accorgersene.
«Va tutto bene, signor Winchester? Posso portarle qualcosa da bere?» chiede, sorridendo.
Questo apre bocca per rispondere, ma il ragazzo alto è più veloce. «No, non serve, mio fratello ha solo paura di volare»
Lei annuisce, comprensiva, mentre Dean mugola un «io non ho paura» ma non ribatte.
Cindy sorride ancora, e se ne va.
Il maggiore non ha bisogno di guardare suo fratello per sapere che ha quella faccia da schiaffi che mette su ogni volta che lui fa una cazzata.
«Sì, lo so» sbuffa «non dovevo dirle i nostri veri nomi»

E poi le cose vanno bene. Sì, insomma, per i dieci minuti successivi non succede niente.

Peccato, però, che gli aerei abbiano questa brutta abitudine di decollare, dannazione. E Dean sì, lo aveva previsto, ma fa schifo lo stesso.
Mentre il mostro di metallo prende quota, lui si aggrappa ai braccioli e si spinge contro il sedile, chiude gli occhi e merdamerdamerdamerda.
«Dean» sussurra suo fratello, accanto a lui, appoggiandogli una mano sul ginocchio, per tranquillizzarlo, ma non serve a molto.
Lui ringhia, pensando che appena avrà di nuovo il culo poggiato sul sedile di pelle dell'Impala, costringerà suo fratello alla peggior maratona di musica rock che quello spilungone abbia mai avuto l'onore di sperimentare. A tutto volume. Anche di notte. Fanculo, non lo lascerà dormire per un'intera settimana.
La mano di Sam è ancora lì, a metà tra il ginocchio e la coscia, e sembra quasi chiamarlo, dannazione, la tentazione è fortissima e Dean è solo un uomo, in fondo. Non ha paura, questo no, però lo fa lo stesso.
Intreccia le proprie dita a quelle del fratello, e sa che sta ridendo, il bastardo, ma stringe forte lo stesso, si aggrappa e riesce ad aprire gli occhi. Sam non parla -se lo facesse, si ritroverebbe rasato a zero entro l'alba-, ma ricambia la stretta e basta, aspetta che l'aereo smetta di salire insieme a lui.

Ma non succede, dannazione, ci vuole una vita, e adesso Dean sta veramente iperventilando. Merda, volare fa schifo.
Sgrana gli occhi, gli sembra quasi di cadere all'indietro, sa che da un momento all'altro il portellone si spalancherà e lui cadrà nel vuoto e odia Sam per averlo costretto a questa tortura.

Per fortuna, però, suo fratello lo conosce piuttosto bene. Del tipo che sa che se non farà qualcosa entro due virgola sei secondi Dean morirà di infarto, e quindi non esita a chinarsi su di lui e baciarlo. E maledizione, le labbra di Sam sono sempre fantastiche, e Dean adesso potrebbe quasi voler entrare nel club “sesso ad alta quota”, ma sa che non ce la farà mai ad alzarsi da quel sedile.
Forse... No, decisamente no.
Quindi ok, si accontenterà della lingua di suo fratello che affonda nelle sua bocca con appena il riguardo necessario, tutto lo sforzo concentrato a cercare di distrarlo.
E funziona, dannazione, l'aereo non esiste più, non esiste più nulla se non quel bacio e la mano di Sam ancora stretta in quella di Dean. Volare non è così male, in fondo.
Il minore sospira nella sua bocca e ok, basta pensare. Si baciano e basta, per un po', e quando finalmente Sam si allontana, Dean registra immediatamente due cose.

La prima, è che hanno smesso di salire di quota. Non che lui voglia sapere a quanti metri di altezza sono, eh. Forse adesso può anche mollare la mano di Sammy, anche se sa che non lo farà, e che lui non si lamenterà.

La seconda, decisamente più allarmante, è l'espressione allibita della stessa hostess di prima, la biondina che ha chiesto a Dean se si sentisse bene.
Li fissa la bocca aperta e con un vassoio di metallo in mano, gli occhi sgranati.
Merda, hanno fatto un casino.

Ma poi lei si riprende.
«Scusate» sorride scrollando la testa «avevo capito che foste fratelli»
Dean deglutisce, Sam non osa muoversi -o sfilare la mano dalla presa del maggiore.
«Evidentemente condividete il cognome per tutt'altro motivo» continua la ragazza, e se ne va come se niente fosse.



Garantito, Dean non ci risalirà mai più su un aereo -il ritorno lo faranno in autobus, fanculo suo fratello e le sue gambe lunghe che non entrano tra i sedili-, e si vendicherà di Sam appena scesi da quella trappola mortale.
Comunque, non lascia andare la sua mano fino all'atterraggio, per ogni buon conto.




























NdA
Salve gente.
Si, poteva essere molto più arancione e pieno di un sacco di dettagli divertenti, ma io ho una dignità (seh, mi paicerebbe) e veramente poco tempo libero. 
Avete rischiato (si fa per dire) che non pubblicassi oggi, ma vi amo troppo per darvi anche questo dolore (?).
Sono indietrissimo con le recensioni (perdono per chi ha recensito il capitolo della Lubriel e ancora aspetta mie notizie, giuro che il ritardo non è intenzionale) e nemmeno stasera riuscirò a rispodere, ma nei prossimi giorni mi metterò d'impegno.
Tanto amore a tutti voi che mi seguite, spero che continuiate a farlo e soprattutto spero di essere all'altezza.
Ricordo a tutti voi che questo era il capitolo 59, ergo lunedì prossimo la sfortuna si abbatterà su di voi povere anime (anche se devo dire che il paring è già stato scelto, e non è male come potrebbe sembrare. Sempre che io riesca a scriverlo, ovvio)
That's all.
Baci a tutti e a lunedì.
Con amore, 
Fanie

 

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Capitolo 60
*** Sweet lie ***


Rating: Verde.
Genere: Romantico, generale (qualsiasi cosa significhi).
Contesto: Ampiamente prima dell'inizio, credo.
Note: Sessantesimo capitolo, gente, quindi Het (ma quanto schifo faccio?). Il paring è come sempre specificato in fondo, ma fatevi un favore e leggetela direttamente, perchè è una delle poche coppie canon della serie che non mi fa proprio così schifo. Anche se per scriverla ho dovuto comunque fingere che fosse un altro paring *sussurra "Sabriel"*.
Niente, buona lettura e ci si vede nelle note in fondo, che ho un'anncuncio importante da fare.

 

Sweet lie




C'era stato qualcosa di perverso nel loro rapporto, se così si poteva chiamare.
Quel brivido, quella strana pelle d'oca che gli risaliva la schiena ogni volta che lei lo chiamava con quel nome, quello che non gli apparteneva ma che preferiva a quello vero.
La folle sensazione di essere qualcuno, per lei, qualcuno che aveva una casa, che apparteneva a qualcosa, e che poteva smettere di fingere di essere quello che non era.
L'inconcepibile pensiero di poter finalmente fermarsi, non scappare più, costruirsi un mondo da amare, e da cui essere amato, finalmente.
Lui non si era mai illuso, in fondo. Sapeva che tra di loro le cose non erano perfette, che lei era comunque una Dea pagana, una creatura così diversa, così lontana e intrigante, così perfetta. E invece lui sarebbe comunque rimasto un reietto, un rinnegato, un fuggiasco, rifiutato dalla sua stessa famiglia, reduce da una vita che non aveva mai voluto.

Forse era per questo, alla fine, che aveva amato così tanto quel brivido quasi sporco, così caldo, che bruciava la sua pelle come fuoco liquido, riverberando sulla sua Grazia e sfrigolando come olio bollente sulle piume delle sue ali. Il tepore delle dita di lei addosso, che accarezzavano il corpo di quel tramite, e i suoi occhi scuri si insinuavano in profondità, talmente a fondo che ogni volta Gabriel quasi temeva che potessero arrivare al suo cuore, a capire che in fondo lui non aveva mai smesso di mentirle.
Erano brividi ogni volta, perché non poteva impedirsi di pensare che per quanto fosse tutto completamente sbagliato, che non sarebbe dovuto essere quello il suo destino, quella era comunque la vita che aveva scelto scappando, e che preferiva, nonostante tutto, al Paradiso.

Ed era così che aveva capito che, per quanto incasinati loro due fossero, Arcangelo e Dea pagana, abituati a mentirsi, a ferirsi e poi alla fine a ritornare nello stesso letto e perdonarsi, c'era di più del solo sesso tra di loro.
Avrebbero potuto avere l'eternità per rendersene conto e accettarlo, ma se la vita di Gabriel gli aveva insegnato qualcosa, era che l'eternità non appartiene a nessuno, e che nessuno la dovrebbe dare per scontata.
Quindi, ad un certo punto, si era semplicemente arreso al fatto che non avrebbe potuto trascorrere tutto quel tempo che non aveva davvero a chiedersi come sarebbe stato se Kalì avesse saputo la verità. Aveva deciso che lei meritava, che entrambi meritavano, di conoscerlo per com'era davvero. Doveva vedere, almeno una volta, l'essere spezzato e codardo che preferiva nascondere le proprie ali che affrontare il destino che era stato scritto per lui.

Si era rigirato in mente l'immagine che si era creato ad arte per giorni interi, fino a renderla perfetta, fino ad avere davanti agli occhi e impressa in mente l'esatta scena, il perfetto incrocio di paura, senso di colpa, ironia e sorpresa, il modo migliore per dirlo a lei.
L'aveva presa con sé e l'aveva portata sotto alle stelle, in un luogo lontano da ogni cosa, e aveva assaporato per l'ultima volta il brivido deciso di sentire la sua bocca pronunciare il nome che non gli apparteneva, quel Loki sussurato a mezza voce. Le aveva sorriso paziente, e sotto allo sguardo scuro di lei aveva lasciato andare la sua vera natura, liberando le ali.
I due enormi archi piumati erano esplosi dalla sua schiena, rilucendo di luce dorata nella fredda aria notturna, e Gabriel aveva sussurrato «Sorpresa» arricciando le labbra in un sorriso storto, autodenigratorio, sporcato di senso di colpa e dal timore del rifiuto, il terrore di perdere l'unica cosa bella che la sua vita da rinnegato gli aveva mai portato.

Kalì lo aveva osservato a lungo, le braccia incrociate sul petto e gli occhi puntati sulle piume ambrate, e alla fine aveva inarcato un sopracciglio, soprendendolo.
«Me le ero immaginata più grandi» aveva commentato, fissandolo stupita, e lui si era sentito un idiota per un lungo, impossibile momento.
«Lo sapevi?» aveva chiesto, mentre le ali si piegavano un po' e accarezzavano il suolo con la punta delle piume più lunghe.
Kalì aveva roteato gli occhi, sciogliendo l'intreccio delle braccia sul petto e avvicinandosi a lui, fino ad averlo ad un soffio dalla propria bocca.
«Gli occhi ti risplendono di luce azzurra ogni volta che ti accarezzo la schiena. Sarò anche una Dea pagana, ma anche io conosco le religioni dell'occidente» aveva mormorato, direttamente sulle sua labbra, lasciando che le proprie si arricciassero in un sorriso malizioso.
Aveva circondato il collo dell'Arcangelo con le braccia, mentre lui la guardava inerme, arreso, innamorato.
«Dimmi solo qual'è il nome con cui ti chiamavano i tuoi fratelli» aveva detto lei, baciandolo morbidamente, il corpo premuto sul suo, i capelli lunghi e scuri che già iniziavano ad infiammarsi.
Lui aveva chiuso gli occhi, grato di ogni cosa, riconoscente per la sua stessa vita, solo per quel singolo istante di perfezione assoluta.
«Gabriel» aveva risposto, le ali che si sollevavano di nuovo e li circondavano, illuminando il volto di lei di un bagliore dorato, ma forse era solo il fuoco che balenava negli occhi della Dea.
«Gabriel» aveva ripetuto lei, sulla sua bocca, prima di ondeggiare la testa e lasciare che le fiamme lambissero le piume, senza nemmeno rovinarle.

E poi l'Arcangelo aveva si era sentito addosso tutte e sei le sue mani, e non c'era stato niente di perverso in quel brivido, niente di sbagliato in quello che provava, niente di blasfemo in quello che pensava e niente di vergognoso nella sua esistenza, nella sua appartenenza.
Era stato a casa, da quel momento in avanti.





















NdA
Per chi viene giù da sopra, è una Gabrielì (Gabriel + Kalì)
Altre variazioni -più o meno esistenti-: Kaliel, ma anche Lolì (Loki + Kalì) e poi la preferita della mia beta, Kaki (sempre Loki + Kalì).

Non credo che serva spacificare che tutto questo è frutto di variegate seghe mentali, una mattina persa a fare niente e ampio uso di sostanze stupefacienti di dubbia natura.
Ci tengo a dire che vi è anche andata bene, perchè sarebbe potuta uscire una terribilissima e angosciante DeanxJo e credo che non fosse il caso di farvi male in quel modo.
Per il paring va ringraziata come sempre quella santa donna che io amo alla follia, perchè io (da Sabriel shipper indottrinata a forza quale sono) mi ero anche dimenticata della sua esistenza. Invece, a quanto pare, funziona bene.
Sappiate che vi amo, e che per altri venti capitoli la smettiamo con questo strazio.
Ora veniamo alle note dolenti:

A causa di problemi personali, sono costretta a sospendere la raccolta.
Ovviamente non definitivamente, ma solo per un periodo di non ben specificata lunghezza.
Non ho intenzione di chiudere e abbandonarvi, assolutamente, anche perchè voglio portare a compimento questa impresa che ho iniziato e in cui tutti voi mi state supportando. Solo che ci voorà un po' di tempo prima che io riesca a ricomincare  a pubblicare.

Non sono così pessima da interrompere così senza preavviso, nè da sospendere immediatamente dopo una Het, quindi ci sarà ancora un capitolo, quello di lunedì prossimo, che ho già scritto.
Mi dispiace, davvero, e spero che mi perdonerete e portere pazienza fino al mio ritorno.

Grazie a tutti, e ci si risente alla prossima.
Un bacio,
Fanie

 

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Capitolo 61
*** Your Body and your Soul ***


Rating: Giallo.
Genere: Romantico, Fluff, forse un filo malinconico ma neanche tanto.
Contesto: Nona stagione (tanto per farsi un'idea, è ambientata nell'episodio in cui Castiel lavora al Gas'n'Sip e Dean lo trascina a caccia)
Note: La Destiel è la vita. Il prompt viene da quel magico mondo chiamato Tumblr. 
Amo questo capitolo più di quanto possiate immaginare, e spero lo amiate anche voi. 
Per chi temesse gli spoiler, in realtà non è che sia sta gran cosa. C'è un ampissimo preambolo che riassume grossomodo le otto stagioni precedenti a quell'episodio, ma leggetela con serenità, vah.

 

Your Body and your Soul




Castiel ha solo un vago ricordo di come sia fatto il corpo di Dean.

Essendo un angelo, è abituato a percepire le anime, a vedere le creature di suo Padre nella loro vera essenza, più che non nella loro forma materiale. Può percepire le vibrazioni che emana ogni singolo spirito, sia esso un uccello del cielo, una bestia terrestre o un pesce dell'acqua.
Pur contenuto e tecnicamente vincolato ai sensi del suo tramite, un messaggero celeste è ancora capace di vedere con la propria Grazia, prima ancora che con gli occhi umani, e per questo può comprendere pene, fatiche e dolore di ogni creatura, e intervenire per lenire la sofferenza che dilaga nel Creato.
Castiel ha trascorso secoli ad osservare la vita crescere ed evolversi, trasformarsi e piegarsi fino a diventare quello che è ora, e si è convinto ogni istante di più della meraviglia dell'opera di suo Padre. Può riconoscere l'anima di ogni singola specie animale che abbia calcato la Terra, e sa che ognuna di esse è unica e perfetta.

Gli esseri umani, quelli sono più complicati.
Ognuna delle loro anime vibra in modo diverso, di un colore diverso. Ogni uomo o donna possiede un'essenza che è unica e irripetibile, talmente particolare da essere inconfondibile, eppure difficile da catalogare, da riconoscere, da definire.
Castiel ha conosciuto, nella sua lunga esistenza, alcuni suoi fratelli in grado di riconoscere l'indole di un essere umano dalla semplice vibrazione della sua anima, come se ogni singola nota di quella complicatissima sinfonia non fosse altro che un evento della sua vita, un sogno, un ricordo, qualcosa che lo ha plasmato per renderlo quello che è. Ma Castiel era solo un soldato, e non era suo compito imparare a distinguere gli esseri umani.


Ma poi è successo Dean.

Castiel lo ha capito nel momento esatto in cui ha trafitto l'ultimo demone che lo separava dalla sua meta, quando ha sollevato lo sguardo dalla morte e dal dolore dell'Inferno e ha visto quell'anima, quell'essenza spezzata e macchiata, distrutta, che si contorceva nel punto più profondo di quel pozzo buio. Appena ha posato il suo sguardo su quello spirito, ha sentito che c'era qualcosa di diverso.
Nessuna creatura può subire quarant'anni d'Inferno, cedere, commettere atrocità simili e poi continuare a brillare in quel modo, con quella forza. Nel momento in cui lo ha afferrato e stretto contro di sé, ha capito cosa davvero significava vedere un'anima umana, sentirla vibrare a contatto con la propria Grazia, e ha capito che il suo posto non era tra le schiere angeliche, ma sulla Terra, tra gli uomini.

Da quel momento, nulla è stato più lo stesso.
Castiel ha visto l'anima di Dean ancora, e ancora, e ancora, e ancora, ha imparato a conoscerla, a percepirne ogni singola sfumatura. Vi ha visto il colore del dolore per le persone rimaste indietro, l'iridescenza della rabbia di fronte all'indifferenza degli angeli, l'opacità della sua testardaggine davanti alle situazioni senza uscita. La trasparenza del suo affetto per Sam, per Bobby e per tutta la sua famiglia disastrata, l'opalescenza della paura di non farcela, e la tinta tetra della resa a Michele.
Ha visto la sua anima splendere di tutti i colori del Creato, illuminare la strada all'umanità stessa e risplendere come nessuna creatura dovrebbe riuscire a fare.
Castiel sa perchè. É la luce dell'Uomo Giusto.

E poi, lentamente, ha imparato davvero a riconoscere le sfumature delle anime umane. Ha visto il colore della saggezza in Sam, e anche le venature della pazienza e dell'umiltà. E Bobby gli ha mostrato le tinte della vecchiaia che porta con sè l'esperienza, e la forza di chi non si perde mai d'animo. Con il tempo, tutte le sfumature di quelle anime si sono stampate nella sua mente, e ogni giorno di più Castiel ha imparato a riconoscerle. Senso di colpa, appartenenza, famiglia, coraggio, perseveranza, sofferenza, abbandono, tenacia, orgoglio, speranza.

Gli ci sono voluti anni, ma alla fine ha imparato a capire gli umani.
Dean, però, resterà sempre quello che richiede meno sforzo. In un modo strano, la sua anima si adatta alla sua Grazia come se fossero state create per leggersi a vicenda. Castiel non ha mai capito cosa questo significhi. (Che fosse solo la volontà di suo Padre?)

Quindi, non si è mai chiesto come fosse l'incarnazione umana dell'anima di Dean.
Non ha mai avuto bisogno di vedere il suo corpo, e imporsi di non farlo gli ha evitato di indugiare su altri pensieri che avrebbero potuto sviarlo dal suo compito di sventare l'Apocalisse. Angeli e umani sono e sempre saranno entità troppo diverse per potersi avvicinare abbastanza, questo Castiel lo ha sempre saputo, e lo ha accettato come parte del suo sacrificio per la volontà del Paradiso.
Anche dopo la ribellione, sapeva che sarebbe stato sbagliato, immorale, innaturale.
Non vedere davvero Dean gli ha permesso di non vedere anche parte di se stesso, dei suoi desideri.
(Poteva essere sbagliato anche solo volerlo, senza neppure averlo davvero?)

E forse è stata questa, la sua rovina.
Si è imposto con tale foga di non indugiare su quell'umano, da finire ad affezionarsi alla sua anima, invece che al suo corpo.
Forse, Castiel si è un po' innamorato della lievissima sfumatura irridescente di cui la sua essenza vibra ogni volta che Dean gli sorride.
E forse, anche del modo in cui il colore sembra sciogliersi, sfrigolando sulla sua stessa Grazia, appena il cacciatore lo prega.

Ma lui è un angelo. E gli angeli non hanno la libertà di cui invece godono gli esseri umani. Castiel sa bene che sulla Terra non c'è posto per lui. E nemmeno nel cuore di Dean.
Quindi si rassegna, e si ripete una volta di più che la sua anima è l'unica cosa che si concederà di vedere.
(Di che colore sarebbe la sua essenza se risplendesse illuminata dalla luce di una Grazia?)

È per questo che, quando si presenta ai due Winchester giusto in tempo per salvarli dall'attacco di Pestilenza, a stento riesce a riconoscere Sam. Non aveva mai visto nemmeno il suo, di corpo.
Dean, invece, è inconfondibile. I suoi occhi vibrano dello stesso colore della sua anima.
Ed è tornando a casa di Bobby che, seduto sul sedile posteriore dell'Impala, Castiel ammette a se stesso che nemmeno privarsi della vista dell'incarnazione di quella sfumatura poteva impedirgli di amarla con tutta la propria essenza.

Ma nemmeno in quel momento ha tempo di curarsi troppo di quello che si è così ostinatamente negato. L'Apocalisse è alle porte, ogni notte potrebbe essere l'ultima e lui è troppo amareggiato dall'aver perso i suoi poteri per riuscire a vederne il lato positivo.
Quindi, quando con un movimento della mano Lucifero manda il suo corpo in pezzi, Castiel non ha nemmeno il tempo di rimpiangere di non aver guardato Dean un'ultima volta.
E quando suo Padre lo riporta in vita, è troppo tardi, perchè la consapevolezza di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato è tornata ad oscurargli la vista, insieme ai suoi poteri.
(Sarebbe valsa la pena di vivere una vita umana, per lui? Ha il privilegio di chiederselo, oppure anche solo pensarci è sbagliato?)

Da quel momento in avanti, le cose sono diverse. Dean ha Lisa, si ripete Castiel, e la sua mente è concentrata alla ricerca di una soluzione per l'anima di Sam. L'angelo non ha mai visto la sua essenza splendere di così tanta determinazione.
E c'è la guerra in Paradiso, e lui guida la fazione ribelle. Non avrebbe il tempo di pensare alla sua anima e al suo corpo nemmeno se se lo permettesse.
Che poi si ritrovi sempre più spesso a guardare ammirato la vibrazione di lucida gratitudine nell'anima di Dean ogni volta che lui risponde alle sue preghiere e compare, Castiel preferisce fingere che faccia parte del suo enorme debito con i fratelli Winchester.

E poi le cose precipitano troppo in fretta.
Sa di non poter chiedere aiuto nemmeno a Dean, sa che la guerra in Paradiso non dovrà mai pesare sulle sue spalle. Ricorda troppo bene il colore della sofferenza che bruciava quell'anima, non vuole che lui debba vivere un'altra Apocalisse.
Quindi apre il Purgatorio, e annega in quel lago.
Quando riemerge e Dean lo trova e gli riporta la memoria, lui ha ancora i suoi poteri. Non vede il suo corpo nemmeno in quel momento.
(Riuscirà mai a farsi perdonare per quello che gli ha fatto, per quello che è diventato pur di non doverlo ferire?)

E quando finiscono insieme in quel buco fetido e grigio infestato dalle peggiori creature mai esistite, l'unica certezza che a Castiel rimane è che deve proteggerlo, proteggerlo a qualunque costo. Non ha importanza che lui non capisca, che lo preghi ogni notte di andare da lui, di lasciarsi trovare. Non può farlo.
E allora immagina solo il colore della sua anima, che tinta deve assumere la purezza che il Purgatorio esprime.
Sa per certo che sarebbe una sfumatura meravigliosa. Lo sono tutte, sull'essenza di Dean.

Quando Naomi lo trascina fuori da quel luogo, perfino a lui costa ammettere che la prima cosa a cui ha pensato appena messo piede sulla Terra sia stato rivedere quel colore.
L'anima del cacciatore ha un'iridescenza strana, nel momento in cui i loro occhi si incrociano per la prima volta dopo il Purgatorio.
Castiel preferisce credere che sia sorpresa, o gratitudine.
Per quanto ne sa, angeli e umani sono ancora troppo diversi, e nemmeno la sua Caduta o la sua ribellione potranno mai cambiare questo.
Dean, comunque, lo abbraccia, e Castiel sente distintamente la sua Grazia sfrigolare di qualcosa che nessun messaggero divino dovrebbe provare.
(Può permettersi di stringerlo a sua volta? Ha il diritto di desiderare di non tornare mai più in Paradiso, pur di restare tra quelle braccia?)

Quindi, quando quelle parole -ho bisogno di te-, mormorate da un cacciatore in ginocchio in una cripta buia, infrangono il legame che lo vincola alla volontà di Naomi, lui non può dire di non esserselo aspettato.
Dean, con il sangue che cola lungo il mento e una lama angelica, la sua lama angelica, a pochi centimetri dal cuore, brilla di un colore così acceso che per un attimo Castiel teme che possa accecarlo. Per il suo bene, per il bene di Dean, finge di nuovo di non vederla, di non riconoscerla, di non sapere che quella sfumatura è la stessa che lo illumina quando abbraccia Sam, o di cui risplendeva quando ancora amava Lisa. Questa volta, però, è tutto un po' più caldo, un po' più intenso, un po' più dolce. Ed è per lui.

Poi però, succede che Castiel torna a fidarsi della creatura sbagliata, e Metatron chiude il Paradiso.
Sa perfettamente che è colpa sua, e quando Dean lo caccia dal bunker ne ha solo la conferma. Non può sapere il vero motivo, e forse preferisce fingere di credere che sia solo il disprezzo che il cacciatore prova per quella creatura spezzata e finita che si trova davanti.
Castiel non ha il coraggio di guardarlo, dopo tutti quei tradimenti e dopo che il cacciatore non è riuscito a perdonarlo.
(In quanti altri modi gli sarà concesso ancora il privilegio di Cadere per Dean Winchester? Fino a che punto dovrà dimostrare quanto è disposto a sacrificare per una creatura che non potrà avere mai?)
Consapevolmente, sceglie di non ricordare il suo corpo nemmeno in quel momento.

 

 

É per questo che, qualche settimana dopo, non lo riconosce.

Avrebbe dovuto aspettarsi che Dean lo avrebbe tenuto d'occhio, ma ingenuamente sperava di essere passato inosservato, in quel piccolo discount sperduto in cui lavora.
Adattarsi è stata dura, ma non avere un posto in cui tornare -nessuno da cui tornare- ha aiutato ad andare avanti.
Quindi, quando la donna dall'altra parte del bancone prende a due mani le borse della spesa ed esce dal negozio, Castiel non capisce.

C'è un ragazzo, davanti a lui. Giacca di pelle, capelli biondi, un sorriso sfrontato sul viso. Lo guarda come se lo conoscesse.
E lui ha la curiosa sensazione di averlo già visto.
Ma poi lo guarda meglio, e ne vede gli occhi.
Per un lungo, terribile momento, Castiel si convince di essere tornato un angelo, e di poter di nuovo vedere le anime. Quel colore, lui non lo potrebbe mai scordare.
E quel giorno, per la prima volta nella sua millenaria esistenza, ringrazia suo Padre di averlo reso umano.

Perchè è vero, gli angeli sono troppo diversi dagli uomini.
Ma ora, forse, ciò che è rimasto di lui è abbastanza simile a quell'umano, a Dean Winchester.


É per questo che lo bacia.
Prima che risalga in macchina per tornare da Sam.
Si sporge su di lui, mentre il cacciatore spalanca la portiera, e chiude gli occhi.
Osa addirittura appoggiare una mano sul suo fianco. Non sa a cosa aggrapparsi. 
(Stringere il tessuto della camicia scura sarebbe troppo? Chiedergli di non andarsene, di non abbandonarlo ancora, sarebbe irrealizzabile?)

Dean sussulta. Gli appoggia una mano sulla spalla, e spinge un poco per farlo spostare.
Castiel sa che sta per allontanarlo, e lo asseconda.
Indietreggia, colpevole ma nonostante tutto fiero di quello che ha fatto.
In ogni caso, il cacciatore lo disprezzava anche prima, questo non cambia le cose. E forse lui non avrebbe avuto altra occasione.

Come si ritrovi con la schiena premuta contro la fiancata dell'Impala, le mani affondate nel capelli di Dean e le sue dita strette ai fianchi, non lo saprà mai.
Lui lo sta baciando con forza, profondamente, inclina la testa e poi la raddrizza, sbuffa dal naso e lo bacia ancora.
Quando Castiel si arrischia ad aprire gli occhi, si accorge che anche i suoi sono chiusi.

Del tutto consapevolmente, lascia scorrere le mani lungo la sua nuca, a palmi aperti, sulle spalle, giù per la schiena, sulle natiche, e poi sullo stomaco, il petto, il collo e di nuovo i capelli. Ha sempre desiderato farlo.
Dean sussulta e sembra quasi sorridere, Castiel può immaginarsi la sua anima immensamente pura e luminosa esplodere di luce ancora, sempre di più.
È tutto caldo e perfetto, in un modo che nessun angelo potrebbe mai immaginare. Se questo è quello che si ottiene a Cadere per un uomo, non lo rimpiangerà mai.

Due ore dopo, Dean ha avuto il tempo di prenotare una camera nell'unico Motel in zona, sedersi con Castiel attorno ad un tavolo, stappare due birre e berle entrambe, e parlare.
Va avanti per quella che sembra un'eternità, così tanto tempo che ad un certo punto l'angelo vorrebbe solo che smettesse. Perchè parla di quegli ultimi anni, di quello che ha capito di provare, di quanto ha desiderato poterlo baciare ogni singolo giorno di ogni fottuta Apocalisse che hanno dovuto sventare, di quanto fosse spaventato. Parla del periodo in cui Castiel era scomparso nel lago, o chiuso in Purgatorio, o vincolato a Naomi. Gli racconta di quanto male facesse, non poterlo avere, e ad un certo punto dice che -Mi dispiace, Cas, avrei voluto solo essere un po' meglio di così, per te.
E l'angelo sa di poter accettare ogni cosa, da lui, tranne sentirlo dire che non è abbastanza, quando in realtà è soltanto tutto.
Quindi non c'è nemmeno un battito di ciglia tra il momento in cui è in piedi, di fronte alla sedia su cui siede Dean, e quello in cui è sul suo grembo, stretto a lui, gli occhi serrati e le labbra sulle sue, e lo stringe perché non sapeva di poterlo fare, prima.

In effetti, Castiel si sente un po' in colpa a pensarlo, un po' blasfemo a ringraziare suo Padre di avergli tolto la Grazia, di avergli strappato le ali.
Dovrebbe dispiacergli, di non avere più nulla di quello che è stato, ma Dean è su di lui, adesso, e ansima il suo nome come se fosse una preghiera, ha le unghie affondate nella sua schiena e ah- è perfetto.
Castiel -Cas. Cas, ti prego, sì, così- sa che quello che ha tra le braccia, sulle proprie labbra, fin dentro alle vene, è il più bel regalo che mai gli sia stato fatto.
Non ha più dubbi, adesso, niente più domande nascoste nella propria testa, niente libertà che non può prendersi, limiti che non può oltrepassare.
Curioso, come il momento in cui si è sentito più libero in tutta la sua esistenza sia con Dean che lo tiene fermo per i polsi, premuto contro le lenzuola, il suo corpo a bloccargli perfino il respiro.
Lo bacia perché lo può fare, gli morde il collo e scivola sotto di lui per quel poco che gli è permesso, e ama la sensazione della pelle nuda di un corpo che per anni si è ostinato a non voler vedere.

Lo toccherà, ne imparerà le forme, il modo in cui rabbrividisce, si arrossa, si distende, si contrae. Passerà ore ad accarezzarne i capelli, a sfiorarne le labbra, a stringere bocconi di carne tra i denti. Nasconderà il viso dove più lo aggrada, lo terrà stretto a sé per tutto il tempo che riterrà necessario, e non sarà mai abbastanza, quindi lo farà ancora, tutto da capo.
Amerà Dean Winchester in ogni modo possibile.

Che il prezzo da pagare sia non poter vedere più la sua anima, Castiel se ne farà una ragione.
Quel colore, lui ce l'ha stampato subito dietro alle palpebre.

 

















NdA
Salve a tutti.
Spero vi sia piaciuto, io l'ho amato un sacco.
Il POV di Cas non è facile per nessuno, spero di averci preso almeno un po'.

Ora vengono le cose brutte:
Come già detto in precedenza, mi trovo costretta a sospendere temporaneamente la raccolta.
Vorrei non doverlo fare, ma non c'è alternatva, purtroppo.
Coglierò l'occasione per scribacchiare qualcosa di nuovo, rispondere alle recensioni arretrate e magari anche rivedere un po' i vecchi capitoli, tanto per tenermi impegnata.
Appena sarà possibile, mi rifarò viva.
Con ogni probabilità, comunque, pubblicherò lo stesso i capitoli importanti (tipo Natale o 24 Gennaio), quindi non sparirò del tutto.

Grazie a tutti quanti, vi voglio un mondo di bene, e abbiate pazienza, vi prego.
Un bacio, e spero a presto.
Fanie

 

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Capitolo 62
*** Midnight ***


Rating: Giallo.
Genere: Romantico, fluff, un po' di malinconia.
Contesto: Quarta stagione, diciamo il 31 Dicembre del 2008.
Note: L'anno scorso abbiamo festeggiato il Natale con la Destiel (e Sabriel e Crobby), quindi quest'anno il capodanno non poteva essere che Wincest.
Ok, oggi non è capodanno, ma sono praticamente certa che domani mi dimenticherei di pubblicare, quindi eccoci qui. Buona lettura, e per il resto ci si vede giù.
*Dedica*: A tutte quelle persone che, quest'anno, mi hanno resa quella che sono. Nel bene e nel male, siete parte della mia vita, e per quanto piccolo possa essere stato il vostro contributo, io adesso sono una persona diversa. E di questo non posso che ringraziarvi.

 

Midnight




Festeggiare il capodanno non era mai stata una tradizione di famiglia.
Sam non sarebbe riuscito ad elencare nemmeno cinque anni di cui si ricordasse il primo giorno, o l'ultimo.
Suo padre era sempre stato troppo impegnato con la caccia o con il whiskey, suo fratello troppo preso dal cercare di compiacerlo e imitarlo. Niente fuochi d'artificio, conti alla rovescia, brindisi di mezzanotte.
Probabilmente, il miglior capodanno che riuscisse a ricordare era quello trascorso con Jessica, a Stanford.

Ma alla fine, non è che ci abbia mai dato peso. Non era una cosa di cui aveva bisogno, o di cui aveva mai sentito la mancanza. Era solo un'altra di quelle cose che appartenevano alla gente normale, e a cui i cacciatori non potevano prendere parte.

Quell'anno, in particolare, Sam non avrebbe mai creduto di arrivare a festeggiare qualcosa.
Da quando Dean era morto, la sua vita aveva smesso di esistere. I giorni si erano succeduti lenti ed inesorabili, in quei quattro mesi, e lui non aveva potuto fare altro, aspettare e aspettare, fino a che una caccia non lo avesse ucciso. Era certo che non sarebbe mai riuscito a trovare una ragione di vita diversa da suo fratello.
Si era rassegnato ad anni di solitudine, un'esistenza da cacciatore solitario, guidato solo dal desiderio di vendetta verso ogni demone della terra. E in tutta sincerità, non aveva nemmeno sperato di vedere un nuovo anno.

Ma poi, Dean era tornato.
Sam non si era ancora abituato alla boccata di sollievo che ogni tanto ancora lo investiva, quando si rendeva conto che lui era di nuovo lì, di nuovo vivo.
Ora, il minore dei Winchester vedeva almeno una ragione per celebrare il nuovo anno.



Era stata una giornata molto lunga. Avevano concluso una caccia a tarda sera, e si erano rinchiusi in motel per lavarsi via di dosso il sangue dell'ennesima creatura che avevano tolto di mezzo. Nessuno di loro due nutriva un particolare desiderio di uscire ancora, a bere o a respirare le ultime ore di quel vecchio anno.
Tacitamente, avevano deciso di restare insieme, quella sera, da soli.

Sam uscì dal bagno in una nuvola di vapore, l'orologio sul comodino del letto che segnava le 23.49, la penombra delle stanza rischiarata a malapena dalla lampada vicino alla porta.
Suo fratello era fermo davanti alla finestra, il sacchetto con il sale con cui aveva cosparso i davanzali appoggiato vicino a lui, una birra in mano. Il minore si prese un momento per osservare la sua schiena, le spalle larghe fasciate dalla flanella di una camicia a quadri, i capelli corti e biondi sulla nuca, una mano infilata in tasca. Dean guardava fuori, verso il parcheggio, perso in chissà quale pensiero.
Forse ricordava l'Inferno, forse -come Sam- non riusciva a smettere di ringraziare di esserne uscito.

Il minore lasciò cadere a terra gli asciugamani umidi e si infilò una maglietta grigia e un paio di pantaloni morbidi. Si passò una mano tra i capelli bagnati, e sorrise agli ultimi minuti di quell'anno terribile. Forse, il successivo avrebbe portato loro qualcosa di migliore.

Dean non mosse un muscolo, troppo lontano con la mente, e Sam lo osservò grato, felice di averlo lì con sé.
Si avvicinò alle sue spalle, silenziosamente, senza fare rumore. Non lo chiamò -non voleva disturbarlo-, ma si limitò ad avvolgere la sua vita con le braccia, e ad appoggiare la testa sulla sua spalla.
Il maggiore non sussultò, ma si rilassò visibilmente nella sua stretta, come se Sam lo avesse strappato a brutti pensieri. Sorrise, senza farsi vedere, e appoggiò una mano sopra a quelle del fratello, morbidamente premute contro il suo stomaco.

«A che pensavi?»
«A niente»
«Bugiardo»

Dean ridacchiò, bevendo un sorso di birra e appoggiando la bottiglia vuota sul davanzale della finestra.
«È il trentuno, oggi, vero?» chiese, senza guardarlo, lasciandosi solo andare un po' di più nel calore delle sue braccia.
«Ancora per poco»

Fuori era buio pesto, tranne per la luce di un lampione nel mezzo del parcheggio. Attorno ad esso, un gruppo di ragazzini infreddoliti si agitavano sul posto, facendo scattare ogni tanto degli accendini, che illuminavano solo per un attimo i loro visi arrossato dal gelo invernale. Anche loro aspettavano la mezzanotte.

Sam e Dean stettero per lunghi minuti in silenzio, guardando fuori, ognuno salutando a modo suo l'anno che se ne andava. C'era molto da dimenticare, e molto di cui essere grati.

Ad un tratto, uno dei ragazzini oltre alla finestra si mise a saltare sul posto, con le braccia in alto, e subito gli altri lo imitarono. Contavano.

«Sta per scoccare la mezzanotte»
«Lo so»

La prima luce del nuovo anno fu una piccola fontana colorata, verde e azzurra, che scopiettava di piccole scintille argentate, attorno a cui i bambini si strinsero ammirati, e che Sam guardò sorridendo da lontano.
Anche Dean sorrise, ritornando con la mente ad un quattro Luglio di molti anni prima, quando aveva comprato di nascosto i fuochi artificiali per il suo fratellino, anche se il padre glielo aveva proibito.
Altri petardi esplosero nel parcheggio, abbastanza forte da essere uditi anche attraverso il vetro spesso delle finestre. Il custode del motel uscì brandendo un fucile, e i ragazzi si dispersero in fretta.
Sarebbero tornati, Sam non aveva dubbi.

«Buon anno, fratellino»
«Buon anno, Dean»

E il maggiore inclinò leggermente il viso, per baciargli le labbra.
Sam lo fece voltare, e gli incorniciò il volto con le mani, come per tenerlo con sé, non lasciarlo andare mai più.
 


È tradizione dare il primo bacio dell'anno nuovo alla persona che si ama di più al mondo.

















NdA
Salve a tutti.
Sono felice di essere tornata, anche se solo per oggi, perchè mi state mancando un sacco.
Volevo aggiungere un capitolo a Natale, ma alla fine eventi di forza maggiore mi hanno impedito di farlo, quindi eccoci qua. Ci vorrà ancora un po' perchè io torni ufficialmente, purtroppo, ma sappiate che non vi abbandono. Come avrete senza dubbio (?) notato, ho recuperato le recensioni arretrate, adesso devo solo rimettermi in pari con tutto il resto.
Se le cose non vanno come spero, ci vediamo la prossima volta il 24 Gennaio o giù di lì, per il compleanno di Dean (mettetevela da parte, non scriverò un capitolo come quello dell'anno scorso, proprio no). Altrimenti, beh, ci si rivede prima.

Ora vi saluto, vi auguro ogni bene, che la Forza sia con voi e tante altre belle cose.
Un abbraccio a tutti, e spero che quest'anno possa essere un po' migliore del precedente (e che magari gli sceneggiatori, colti da un'illuminazione divina, facciano finalmente diventare la Destiel canon. E sarebbe ora).
Baci,
Fanie


 

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Capitolo 63
*** Family doesn't end with... wings ***


Rating: Verde, ma un bel verde.
Genere: Valanghe e valanghe di fluff, e poi un sacco di sentimentalismi, romanticismo e giusto quella punta di comicità che serve.
Contesto: In quella meravigliosa What if? in cui Gabriel non è mai morto, Sam non è mai finito nella gabbia, a Raphael non sono mai venute manie di grandezza e l'Apocalisse è stata sventata comunque. Facciamo sesta stagione, ma spoiler zero.
Note: È una Sabriel, prevalentemente, ma con una established!Destiel. Tanto di quell'amore che mai.
Un bacio a quella splendida persona che ha scelto il paring e che senza saperlo mi ha dato l'ispirazione per l'intero capitolo. E ovviamente alla mia beta, per il titolo.
Ci si vede giù.
(I'm back, bitches<3)


 

Family doesn't end with... Wings




«Caffè?»
La voce morbida dell'arcangelo costringe entrambi i Winchester ad alzare lo sguardo dai giornali che stanno consultando, e a fissare gli occhi su di lui.
Gabriel tiene in mano un bicchiere enorme di caffè, zuccheratissimo, come piace a Sam, e glielo tende sorridendogli gentilmente, l'altra mano appoggiata al tavolo e il busto leggermente chinato verso di lui.
Il minore dei Winchester lo accetta con un cenno del capo, le labbra piegate in un sorriso. Ne prende un sorso, chiude gli occhi, sospira contento e riprende a leggere l'articolo. Gabriel ha la faccia di chi ha appena compiuto un miracolo, e si volta immediatamente, forse per nascondere l'espressione che Dean nota comunque.

Stanno cercando un caso seduti attorno al tavolo sgangherato della camera di motel, niente di particolarmente impegnativo al momento.
Niente Apocalisse, orde di demoni, angeli megalomani. Il paradiso.
Da quando Gabriel si è unito a loro, la percentuale di successo nella caccia senza danni temporanei o permanenti a loro o ad altre persone è aumentata esponenzialmente, e forse Dean lo dovrebbe ringraziare. Non che lo farà, comunque.
È già tanto che gli permetta di stare con loro, sopportando i suoi scherzi idioti, le sue battute e il suo infantilismo («senti chi parla» «zitto, Sam»).
Se poi ci si aggiunge anche quella cosa, il maggiore dei Winchester non è tanto convinto che avere l'arcangelo intorno sia una buona soluzione.

In quel momento, un fruscio d'ali lo riscuote dalle sue elucubrazioni mentali, e un leggero bacio sulla nuca lo fa sorridere.
Castiel gli accarezza il viso e gli si siede accanto, giusto in tempo per vedere gli zigomi di Dean colorarsi di rosso perché non sono soli, dannazione.
Sam non fa una piega, saluta l'angelo senza quasi alzare la testa dal giornale, ormai abituato a quelle scene. Più del fratello sicuramente.
Gabriel, invece, sbuffa sarcastico, e Dean può sentire che sta per fare una battuta idiota, e lo ferma con uno sguardo acido un secondo prima che apra bocca. Si fissano in cagnesco per un momento, poi il cacciatore nota un dettaglio importante.
«E il mio caffè?»
L'arcangelo inarca un sopracciglio, scettico. «Il tuo cosa?»
«Il mio caffè! Perché a Sammy sì e a me no? Ti faccio così schifo?» chiede, indignato.
Gabriel ghigna. «In effetti, sì»
Dean ha già la bocca aperta per ribattere qualcosa -qualcosa di cui si pentirebbe sicuramente-, ma una mano sul suo braccio lo ferma, e quando si volta per dire qualcosa come “no Cas, non questa volta” si ritrova tra le mani un bicchiere di caffè fumante, nero e amaro come piace a lui. E ok, non ne vale più la pena.
Sam li guarda sorridendo, la faccia mezza coperta dal giornale, e quando suo fratello alza lo sguardo lui lo distoglie, per paura che Dean si arrabbi di nuovo (non si può mai scherzare, quando c'è Castiel così vicino a suo fratello), e gli occhi ricadono per un attimo su Gabriel, la figura snella appoggiata al muro, le braccia incrociate sul petto. Ha i capelli che ricadono un po' in avanti, gli occhi marroni luminosi e assenti, fissi in lontananza come se fosse perso nei suoi pensieri. Il minore dei Winchester lo guarda per un attimo, incantato, ma poi l'arcangelo ritorna in sé e ricambia lo sguardo.
Dean sbuffa quando Sam arrossisce e seppellisce di nuovo la faccia nel giornale..


La verità, è che sarebbero anche carini, se non fosse che è Gabriel.
Insomma, il maggiore dei Winchester può capire tutto -lui stesso si scopa un angelo ed è assolutamente contento della sua attuale situazione- ma proprio l'odore di zucchero e le battute idiote no.
Castiel è più tollerante di lui. Un po' perché Gabe alla fine è suo fratello maggiore, un po' perché non è iperprotettivo come Dean («stronzate, non sono iperprotettivo» «Dean» «oh, Cas, sta zitto»), in fin dei conti non rimane mai particolarmente turbato da quel qualsiasi cosa sia che c'è tra Sam e l'arcangelo.

E d'accordo, nemmeno al cacciatore dispiacerebbe tanto (non gli dispiace per niente, ma a lui le novità non sono mai piaciute), ma il fatto è che sono ridicoli.
Insomma, un uomo grande e grosso che nella vita caccia mostri che arrossisce come una ragazzina quando l'arcangelo Gabriele gli offre un cioccolatino.
Come un uomo saggio disse una volta, idioti.

Ci pensa distrattamente, mentre guarda il primo fingere indifferenza mentre accende il computer per rintracciare l'indirizzo di una vittima sospetta e il secondo mordersi un labbro mentre lo guarda, con lucida meraviglia negli occhi.
In quel momento decide quale sarà il suo nuovo scopo nella vita.
Si volta verso Cas, si guardano e si capiscono, l'angelo sorride.

***


La verità è che Dean si diverte.
Il pensiero di iniziare a tormentare Sam e Gabriel, dopo che per anni è stato oggetto delle prese in giro di entrambi per via di Castiel, lo mette di buon umore. Vendetta.
E poi d'accordo, vuole troppo bene al suo fratellino per lasciare che si arrangi, impedito com'è. Sa che senza il suo proverbiale intervento, non si darebbe mai una mossa.

Cas, come sempre, nelle sue motivazioni è più poetico.
«Ricordi quando ti ho baciato la prima volta?»
«Ma se ti ho baciato io!»
Ridacchia, lo stronzo. «No, non è vero» scuote appena la testa, poi prosegue. «Ero terrorizzato all'idea che tu mi respingessi. Angeli e umani non dovrebbero nemmeno mai incontrarsi, figuriamoci innamorarsi»
Dean rotea gli occhi, parlare di sentimenti non è il suo forte. «E questo cosa c'entra con Sam e Gabe?»
«Anche mio fratello ha la stessa paura. Come se, facendosi avanti, potesse esporre Sam a qualche rischio, con il solo fatto di essere un arcangelo. Un ribelle, per di più»
«Stronzate. Noi Winchester sappiamo badare a noi stessi»
«Non lo mettiamo in dubbio. Ma tu non sei Sam, e Gabriel non è me. Forse, ha bisogno di capirlo per conto suo»
Dean ci riflette per un momento. «Tu come lo hai capito?»
«Capito cosa?»
«Che io e te... sì insomma, noi...» Avvampa.
Castiel sorride. «Tu mi hai reso parte di questa famiglia. Mi hai dato una casa diversa dal Paradiso prima ancora che io mi ribellassi. Mi hai fatto capire che potevo essere anche umano, se lo avessi voluto, perché appartenevo già all'umanità»
«Quindi, che si fa?»
L'angelo sorrise, si china su di lui e gli bacia le labbra, appena. «Deve essere Sam a dare a Gabriel una possibilità, altrimenti lui non si farà mai avanti, per paura di ferirlo. Noi possiamo solo spingere tuo fratello»
Dean ghigna. «Oh, sarà un gioco da ragazzi»

***


Si rivela più complesso del previsto, anche se non meno divertente.
Il primo passo è ovviamente relegare suo fratello al sedile posteriore dell'Impala, accanto a Gabriel, quando l'arcangelo viaggia con loro, anche se deve sorbirsi per tutta la strada le lamentele (le gambe lunghe da alce non ci stanno dietro ai sedili).
Tossicchia ogni volta che i due si perdono in qualche occhiata strana, giusto per farglielo notare -in realtà, si sente un po' punto sul vivo: lui e Cas non avevano l'esclusiva sui lunghi ed imbarazzanti sguardi carichi di sottintesi?- e non manca mai di fare battutine.
Spesso e volentieri Castiel lo guarda male, ma lui si diverte troppo per darci peso. Sam è sempre più imbarazzato, e lui vive per vederlo arrossire come una ragazzina.
Gabriel, d'altro canto, sembra sempre un po' troppo ombroso, distaccato, scostante ogni volta che il maggiore dei Winchester fa notare l'ovvio, e Dean si ritrova a pensare che sì, in fondo Cas potrebbe avere ragione: l'arcangelo ha davvero paura di spingersi troppo oltre, di spaventare Sam e di ferirlo.

Ma nemmeno questo può cambiare la terribilmente imbarazzante e -non lo ammetterà mai- tenera realtà. Gabriel è cotto, disperatamente, almeno quanto il giovane cacciatore.
Dean ricorda con affetto giusto un paio di episodi in cui davvero, ha capito come si sentiva Sam quando ancora lui e Castiel negavano ogni sentimento.

Il primo, qualche settimana prima, era avvenuto in un motel della Louisiana, o forse del Kansas (non si ricordava). Lui e suo fratello erano soli in camera, e ne stavano approfittando per rilassarsi a caccia conclusa. Dean stava bevendo una birra sdraiato sul letto, a fare svogliatamente zapping aspettando che Cas e Gabe li raggiungessero per andare a cena, mentre Sam si faceva una doccia.
L'arcangelo era comparso in un angolino della stanza, tranquillo, salutando il maggiore dei Winchester con un cenno e puntando l'attenzione sul televisore acceso.
«State bene?» aveva chiesto, alludendo alla caccia, e Dean aveva scrollato le spalle, senza rispondere.
«Sam?» aveva mormorato Gabriel subito dopo, infilandosi un leccalecca in bocca e accomodandosi scompostamente su una sedia, lo sguardo che vagava per la stanza.
Il maggiore dei Winchester aveva fatto un cenno con il capo verso la porta del bagno -senza risparmiarsi un sorrisetto allusivo-, che proprio in quel momento si era aperta e ne era emerso suo fratello, preceduto da uno sbuffo di vapore e dal profumo intenso del bagnoschiuma.
Si era guardato intorno, un asciugamano avvolto intorno alla vita e la pelle ancora umida, e aveva salutato Gabriel con un sorriso tinto da appena una punta di timidezza, avviandosi verso la propria sacca da viaggio.
Dean aveva guardato interessato l'arcangelo spalancare la bocca così tanto da lasciar quasi cadere lo stecchino bianco della caramella che reggeva tra le labbra, le sue guance arrossarsi all'improvviso e il suo sguardo scorrere senza riuscire ad impedirselo su tutta l'ampiezza della schiena di Sam, dalla nuca al bordo dell'asciugamano di spugna.
Aveva tossicchiato, subito dopo, aveva mormorato un “vi aspetto fuori” e si era dileguato.
Il minore dei Winchester aveva finto di non accorgersene nemmeno, e Dean aveva roteato gli occhi.

Il secondo, molto meno divertente, era stato durante un caso in South Dakota, una presunta possessione demoniaca.
A metà delle indagini per capire di cosa si trattasse, Sam e Dean erano caduti in un agguato molto ben orchestrato. Erano stati divisi, attaccati e circondati da almeno una ventina di demoni.
Il coltello di Ruby, in mano al maggiore, era servito a poco quando l'orda si era lanciata su di loro. Erano finiti entrambi disarmati, a terra, indifesi.
Dean ricordava perfettamente che, mentre un bastardo con gli occhi neri lo sollevava da terra con la forza del pensiero e gli chiudeva la gola fino ad annebbiargli la vista, il suo primo pensiero, istintivo, era stato “Cas”.
E l'attimo dopo l'angelo era comparso al suo fianco, scaraventando il demone lontano e bruciando gli occhi a tutti quelli che lo circondavano. Aveva preso Dean al volo, un attimo prima che cadesse al suolo, e lo aveva sorretto finché non aveva smesso di rantolare, il fiato che tornava a riempirgli lentamente i polmoni.
La prima parola che aveva mormorato, la testa ancora che girava, era stata “Sam”, e Castiel lo aveva aiutato a zoppicare fino dal fratello, steso esanime sul pavimento gelido del magazzino abbandonato. La maglia che indossava era strappata in più punti, dove un pugnale era affondato fino al manico, e una pozza di sangue si stava lentamente allargando sotto di lui.
Al suo fianco, stretto al suo corpo, c'era Gabriel, le iridi che splendevano di luce azzurra e una mano che percorreva lentamente il suo torace, ricucendo le ferite e cancellando le abrasioni.
Quando ogni traccia della lotta era scomparsa, Dean aveva trattenuto il fiato, perché Sam teneva ancora gli occhi chiusi, e non pareva nemmeno respirare.
Allora Gabriel si era chinato su di lui, mormorando qualche parola in enochiano, e gli aveva baciato la fronte, un contatto lieve che aveva fatto sussultare il corpo del minore dei Winchester. Il ragazzo aveva spalancato le palpebre e si era aggrappato alla giacca dell'arcangelo, ansimando. Lui lo aveva stretto a sé, tirandolo seduto quel tanto che serviva a farlo appoggiare al proprio corpo, e Sam aveva nascosto il viso nel suo collo, spaventato. Dopo un attimo, aveva allungato una mano verso Dean, senza guardarlo, e lui l'aveva afferrata, stringendola forte, mentre Castiel lo aiutava ad inginocchiarsi accanto al fratello. Per un po', erano rimasti semplicemente lì, il due Winchester con le dita intrecciate, Sam avvolto dalla stretta di Gabriel, suo fratello abbracciato a Cas e i due angeli a guardarsi intensamente, senza parlare.
Solo tornando al motel, con la mano di Castiel sul suo ginocchio e le dita strette attorno al volante dell'Impala, Dean aveva realizzato che a chiamare Gabe doveva essere stato Sam, così come lui aveva chiamato il suo angelo. E nonostante tutto, ne aveva sorriso.

Ed oltre a questo, ci sono anche tantissime piccole cose, briciole, indizi che il maggiore dei Winchester non riesce ad impedirsi di vedere.
La premura con cui l'arcangelo si rivolge a Sam, i sorrisi di entrambi, il modo in cui si siedono sempre vicini quando Gabriel li accompagna a pranzo, la complicità che dimostrano nella caccia, le battute sciocche di Gabe che fanno sempre sorridere il giovane cacciatore. E poi la facilità con cui quei due passando dal chiacchierare tranquillamente ai silenzi assorti, dagli sguardi intensi ai vuoti quasi imbarazzati.
Ogni tanto, si chiede se anche lui e Castiel erano così, prima di tutto quanto, se anche loro finivano sempre ad invadersi l'uno con l'altro gli spazi personali, a rimbrottarsi per stupidaggini e a riderne un attimo dopo, a sfiorarsi e ad arrossire subito.
Probabilmente sì, e se ne vergogna davvero tanto.

Ma il fatto è, che per quanto lui ci stia provando, né Sam né Gabriel sembrano volersi smuovere da quella situazione di stallo.
Gli viene da ridere, se pensa che quei due sono uno Loki, dio del caos, e anche un arcangelo cazzone, mentre l'altro uno dei migliori cacciatori di demoni mai esistiti, in grado di tradurre qualsiasi genere di lingua morta e di combattere Lucifero in persona.
A guardarli adesso, non si direbbe.
Lui ha fatto più o meno tutto quello che gli è venuto in mente per cercare di farli avvicinare, ma sembra che niente funzioni.
Forse Castiel ha davverto ragione, e devono rendersene conto da soli.

Ma il punto è che Dean è piuttosto sicuro che se ne siano già accorti entrambi.
C'è qualcos'altro, qualcosa di più profondo che li ostacola, e il maggiore dei Winchester sa benissimo che non riusciranno mai a superarlo, se non verranno messi davanti al problema -lui stesso ha dovuto sbatterci il muso, prima di capirlo-.

A quel punto, l'unica soluzione che gli viene in mente è quella di costringerli a parlare, e così ogni volta che Gabriel compare per salutarli («Ciao ragazzi, ciao Sam») Dean si inventa una qualsiasi scusa per dileguarsi, trascinando Castiel con sè.

Ovviamente, suo fratello non ci mette molto a capire che non sono fughe romantiche, ma complesse ed articolare -alla fine neanche tanto- strategie per farsi i cazzi suoi.

Naturalmente, non osa affrontarlo davanti agli angeli.
Lo prende in disparte mentre Cas e Gabe sono impegnati in una discussione sul diluvio universale, un argomento che Dean trova particolarmente noioso ma che sembra aver catturato l'attenzione del suo... uhm, ragazzo.
«Beh, si può sapere che cosa stai facendo?» esordisce il minore, e suo fratello non si disturba nemmeno a negare.
«Io? Aiuto la mia dolce e sensibile sorellina a trovare un cavaliere per il gran ballo» ghigna, e può vedere il momento esatto in cui le orecchie di Sam si accendono come semafori.
«Di cosa stai parlando?» bofonchia, sulla difensiva.
«Andiamo, hai giocato con me e Cas per anni a questo gioco, non vorrai dirmi che non conosci le regole» ammicca, malizioso.
Sam sembra sul punto di svenire. «Cos... No! No, assolutamente no, ti sbagli. Tra me e Gabe non c'è niente»
«Certo»
«Te lo assicuro»
Dean lo guarda, per un lungo momento, come ha visto fare al suo fratellino decine di volte, quando lui mentiva spudoratamente e Sam sembrava solo aspettare il momento in cui sarebbe crollato.
Miracolosamente, succede, e le spalle del minore cedono sconfitte.
«Ok, d'accordo, lui è gentile e simpatico e ci ha salvato la vita tantissime volte. Ma è un arcangelo, se non lo avessi notato»
«È piuttosto difficile da ignorare, come caratteristica»
«Beh, quindi dovresti avere piuttosto chiaro che io non ho nessuna speranza»
Dean sbuffa. Non era previsto avere davvero questa conversazione. «Lui ti piace, giusto?»
Sam non risponde, ma distoglie lo sguardo, ed è abbastanza.
«Non capisco quale sia il problema, allora» sbotta il maggiore, gettando uno sguardo oltre alla spalla del fratello per essere sicuro che Cas e Gabe stiano ancora chiacchierando seduti al tavolo del bar in cui si sono sistemati.
«Dannazione, Dean» soffia Sam, con un tono così sconfitto da dare i brividi. «Lui è un Arcangelo. L'unico arcangelo, in realtà. Quello dell'Annunciazione, quello che se la faceva con una divinità nordica, okay?»
Il maggiore annuisce, cercando di seguirlo.
«E io sono Samuel Winchester. Il cacciatore di mostri, quello che ha scatenato l'Apocalisse, il tramite di Lucifero, quello con sangue di demone nelle vene. Quando mai uno come me potrebbe stare con uno come lui?» e sospira, esausto.
Dean non riesce a parlare, per un lungo momento.
Curioso, come in questo momento i ruoli siano invertiti, perché quello che Sam gli ha appena detto è esattamente quello che lui pensa ogni singolo giorno, guardando Castiel. Solo che l'angelo è dannatamente bravo a convincerlo che è perfetto esattamente così com'è.
Respira profondamente. Normalmente, non direbbe mai quello che sta per dire. Non è uno da smancerie, da sentimenti, da cose da ragazzine. Ma è del suo fratellino che si sta parlando, della sua felicità.
E poi davvero, Cas lo ha cambiato tanto, lo ha reso migliore. Meno cazzone, senza dubbio.
«Sai, quando ho conosciuto Castiel, credevo anche io di non essere alla sua altezza. Dio, lo credo ancora» abbassa gli occhi, non ce la fa davvero a guardarlo, ma si sforza di proseguire. «Ma il fatto è che non dipende da me, non è mai dipeso da me. Si è in due, in cose come queste. Lui meritava una possibilità, così come la merita Gabriel adesso»
«Dean...»
«Non sto dicendo che sia facile. Non sto dicendo che un giorno ti sveglierai convinto di essere la persona migliore sulla Terra. Dico solo che se lui ti piace almeno la metà di quanto tu piaci a lui, dovresti concederti la possibilità di essere felice»
Sam non risponde, e Dean gli appoggia una mano sulla spalla. «Se non per te stesso, almeno per lui»
Il minore annuisce, senza guardarlo, e lui gli lascia una leggera pacca sulla spalla, prima di voltarsi e tornare al tavolo, da Castiel e Gabriel.
Sa di non averlo convinto, perché i Winchester hanno il gene della testa dura, ma sa che ci penserà, e tanto basta.
Si siede sulla panca accanto a Cas, intreccia le dita alle sue, sotto al tavolo, e sorride senza guardarlo.
Dopo un attimo, li raggiunge anche Sam, che ha gli occhi un po' lucidi, ma si infila dietro al tavolo vicino a Gabriel, che lo guarda preoccupato.
«Ehi, va tutto bene?» chiede, osservandolo da sotto in su, una mano sul suo braccio.
Sam non risponde, ma gli sorride e annuisce. Poi lancia uno sguardo a Dean, e sorride anche a lui.
A quel punto, va tutto bene.

***


Ci vuole qualche settimana.
Sam è comunque una ragazzina e Gabriel è comunque un coglione alato, quindi il maggiore dei Winchester porta pazienza e si sorbisce ancora un po' di occhiate imbarazzanti e gesti impacciati.
Castiel lo distrae, parecchio, ma alla fine lui è comunque troppo preoccupato per suo fratello per lasciar perdere.

Una sera, lui e l'angelo stanno tornando in Motel, dopo aver sbrigato gli ultimi preparativi prima di ripartire ed essere andati a prendere la cena.
Il cellulare nella tasca di Dean vibra, e lui lo tira fuori aspettandosi che sia Bobby che li chiama per una caccia.
È Sam.
«Ehi fratellino, tutto bene?» chiede, armeggiando con le chiavi dell'Impala per aprire la portiera, mentre Cas si è già teletrasportato sul sedile del passeggero.
La voce del minore dei Winchester è bassa, dall'altra parte. «Si, tutto okay. Senti, uhm...» esita, Dean si ferma.
«Non è che potresti, non lo so... prendere un'altra camera? Io vorrei, sai, parlare con Gabe» soffia, e suo fratello può sentire attraverso la cornetta quanto è teso.
«Sempre se non è un problema» aggiunge Sam, in fretta, facendolo sorridere.
«Io e Cas ci arrangiamo, non preoccuparti»
«D'accordo»
«Ah, Sam?»
«Mmm?»
«Buona fortuna, sorellina» ghigna. Attacca un attimo prima che lui possa sputargli dietro il solito “fesso”.
Rialza la testa, Castiel lo sta guardando. Sale in macchina, finalmente, e lascia cadere la cena sul sedile posteriore.
«Dice che parlerà con Gabriel, stasera» dice, un po' all'angelo e un po' a se stesso.
«Bene» annuisce lui.
«Penso di sì» concorda, poi accende il motore.

***

Quando Gabriel compare nella camera da cui Sam lo ha chiamato, il cacciatore lo sta aspettando seduto su uno dei due letti. Ha le mani incrociate davanti a sé, i gomiti sulle ginocchia, il busto un po' in avanti.
Emana tensione perfino dalla piega dei capelli, all'arcangelo non ci vuole niente per notarlo. Straordinaria, la facilità con cui riesce a leggere Sam Winchester, e anche un po' spaventosa.
«Ehi, pasticcino, tutto bene?» chiede, fingendo di non sapere esattamente perché lo ha chiamato.
A quanto pare, Dean non è l'unico ad essersi fatto prendere la mano da questa faccenda del cupido: anche Castiel sembra entrato nel personaggio.
Sam scrolla le spalle, si alza in piedi e si passa una mano sulla nuca, nervoso. «Ti va di.. parlare un po'?» chiede, titubante, e Gabriel gli sorride.
«Certo, tutto quello che vuoi»
«Allora, uhm, siediti» dice, facendo un cenno sul letto davanti a sé, e l'arcangelo obbedisce, tranquillo.
«Dean e Cas non ci sono, stasera. Credo che prenderanno un'altra camera» mormora Sam, guardando a terra, tormentandosi le mani.
Gabriel sorride. «Lo so»
Il cacciatore alza lo sguardo su di lui, sorpreso. Si fissano per un attimo, poi capiscono e il minore dei Winchester ridacchia. «I nostri fratelli si sono alleati contro di noi, eh?»
«Pare di sì»
Sam china di nuovo il capo, imbarazzato, e Gabriel vorrebbe tanto poterlo guardare negli occhi.
«Quindi... che si fa adesso?» chiede il ragazzo, e l'arcangelo scrolla le spalle.
«Quello che vogliamo» dice. «Non siamo costretti a fare qualcosa solo perché Dean e Castiel hanno messo su un'agenzia matrimoniale»
Sam sussulta visibilmente, e deglutisce.
Ha frainteso, è evidente, ma prima che Gabriel possa rimediare lui parla di nuovo. «Certo, è ovvio»
Sospira, la delusione in lui è palpabile. Quando riprende, non ha ancora alzato lo sguardo da terra. «Quindi, uhm, siamo a posto?» chiede.
L'arcangelo storge la bocca in una smorfia infastidita. Lo vuole guardare negli occhi.
Così scatta in avanti, e si inginocchia di fronte a lui, tra le sue gambe, e appoggia le mani sulle sue ginocchia.
Sam è sorpreso, ma non parla. Si guardano negli occhi per un attimo.
«Siamo a posto se è quello che vuoi» dice Gabriel, un piccolo sorriso sulle labbra, che contagia senza volerlo anche il cacciatore.
«Dean dice che dobbiamo volerlo entrambi, altrimenti non funziona» sussurra Sam, che torreggia su di lui anche se si sente immensamente piccolo.
«Allora credo che potrebbe funzionare, per quanto mi riguarda» ammette l'arcangelo, e vede il minore dei Winchester perdere un respiro, forse due.
«O-ok» balbetta, arrossendo. «Ok. Quindi... adesso?»
Gabriel sorride, solleva il busto e si fa più vicino. «Adesso questo» mormora, e lo bacia.

Con il senno di poi, Sam avrebbe potuto dare retta prima a suo fratello.
E, sempre con il senno di poi, sa che dovrebbe ringraziarlo.
Ma, il fatto è che lì c'è Gabriel, ed è bravo, incredibilmente. Non avrebbe mai creduto che potesse essere così bravo.
Profuma di zucchero filato e caramelle gommose all'arancia, ha dei capelli che sembrano fatti apposta per essere stretti e strattonati. E la schiena, Dio, la schiena di Gabriel è probabilmente l'ottava meraviglia del mondo.
Sa che non andranno oltre ai baci, quella sera, anche se Dean domani farà un sacco di battutacce che lo faranno arrossire e per cui Castiel inclinerà il capo e a cui Gabriel risponderà a tono. Ma il fatto è che così è perfetto, stesi nello stesso letto, con pochi vestiti addosso e con le labbra dell'arcangelo che scendono dalla sua fronte alle sue clavicole e poi risalgono lungo la curva della mascella.
Ricambierà, non vede l'ora, e la notte è lunga e lui non ha sonno.
Gabriel non è esigente, non lo spinge a fare qualcosa che non vuole, è paziente e comprensivo, e trasuda amore da ogni gesto. Lo accarezza come se avesse aspettato tutta la vita di poterlo fare, e un po' Sam sa come ci si sente.
Domani, sì, domani ringrazierà Dean e Cas.

***


La mattina dopo, quando finalmente si decidono a raggiungerli per colazione -alla fine di una lunga e soddisfacente seduta mattutina di baci, battute stupide e altri baci-, suo fratello sta gongolando.
È evidente perfino prima di entrare nella tavola calda, Sam lo può percepire senza nemmeno vederlo.
Come previsto, appena entrati non fa in tempo nemmeno ad incrociare il suo sguardo che è già arrossito, e Gabriel sorride, tirandoselo un po' più vicino per la giacca.
Si siedono al tavolo di fronte a loro, e appena alza gli occhi si imbatte nelle mani intrecciate sotto al mento di suo fratello e Dio, è così dannatamente imbarazzante.
Dean non parla, Castiel nemmeno, l'arcangelo sembra interessato solo a succhiare caramelle alla menta (Sam già ama quel sapore) e lui non riesce a trovare un punto della stanza su cui fissare lo sguardo.
Alla fine, il maggiore dei Winchester ghigna, e lui sbianca. No, Dean, ti prego, no.
Ma non arriva quello che lui si aspetta.
«Siamo okay, allora?» chiede, anche se si vede lontano un miglio che vorrebbe dire qualcos'altro («hai trattato bene la mia sorellina? Non avete tenuto sveglio mezzo motel, vero?»).
Gabriel annuisce, serio, e sembra che abbia davvero capito che quella è una domanda importante, per Dean.
Anche Sam annuisce, sorridendo, anche se ha le guance arrossate e la mano sotto al tavolo è corsa subito ad intrecciarsi con quella dell'arcangelo.
Castiel non dice niente, annuisce soltanto e si fa un po' po' più vicino a Dean (anche una delle sue mani è scivolata giù, e subito l'angelo ha sorriso).
Sono okay davvero.

Qualche ora dopo, mentre sono tutti e quattro nell'Impala, direzione Sioux Falls («non sognarti nemmeno di dirlo per telefono a Bobby, non mi perderei la sua faccia per niente al mondo, sorellina»), il mangianastri sputa fuori le note di qualcosa dei Metallica e Dean canta, Sam appoggia la testa sulla spalla di Gabriel.
L'arcangelo sorride, si china e lo bacia piano, il giusto miscuglio di sicurezza e calma da fargli chiudere gli occhi e quasi sospirare.
Può sentire suo fratello arricciare le labbra, mentre Gabe gli circonda la vita con un braccio e se lo tira ancora più vicino, ma subito le dita di Castiel si muovono per lenire ogni protesta, ed è tutto perfetto.



 

 


Litigheranno, perché Gabriel è un esibizionista e un cocciuto cazzone, e perché Dean vuole avere sempre ragione e spesso è un idiota Perché Sam ogni tanto si esaspera e non riesce più a sopportarli, e Castiel con lui. Si daranno fastidio gli uni con gli altri, terranno il broncio per un po', e poi ogni cosa tornerà al suo posto.
Perché è così che si fa con la propria famiglia. Ci si accetta esattamente per quello che si è.































NdA
Oddio, sono tornata.
Non avete idea di quanto mi sia mancato tutto questo.
Sono felicissima di essere di nuovo qua, e spero di rimanerci molto a lungo.
È comunque possibile che io ogni tanto salti le pubblicazioni, ma generalmente sarò puntuale, come sempre.
Niente, sappiate che in questo capitolo c'è tutto il mio cuore, e spero di non essere andata OOC con Dean (che così sentimentale in realtà non è).
As usual baci a tutti, e ci si vede lunedì prossimo<3
Fanie

 

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Capitolo 64
*** Home sweet home ***


Rating: Verde, decisamente.
Genere: Fluff.
Contesto: Ottava stagione, le prime notti che i fratelli passano nel bunker.
Note: Wincest molto leggera, OOC purtroppo. 
È un capitolo molto meh, poi ditemi voi.


 

Home sweet Home





La prima notte nel bunker è routine, per loro.

Insomma, come se non fossero mai stati in uno spettrale magazzino sotterraneo e non ci fossero finiti a dormire dentro.
Trascinano due divani polverosi e decisamente datati nella sala principale, quella con le scale a chiocciola e gli interruttori generali della luce, e vi si accampano come sanno fare solo loro, l'abitudine di una vita spesa sui letti dei motel. Si sistemano vicini, con le armi e le borse a portata di mano, perché anche se hanno passato buona parte della giornata ad esplorare stanze e corridoi e Dean si è perfino fatto una doccia, non è detto che quel posto sia davvero sicuro. Davvero vuoto.

Alla fine la prima notte va così, con loro due che si addormentano malvolentieri uno accanto all'altro, il maggiore disteso a pancia in su con un braccio allungato oltre alla testa, le dita che sfiorano di tanto in tanto i capelli di Sam.



La seconda notte non è molto diversa.
Il minore passa tutta la giornata in biblioteca, a spulciare elenchi e a cercare di capire come funzioni quella sorta di base segreta, mentre Dean... beh, Dean trova l'armeria, e non ne esce fino a tarda sera, quando sente Sam ululare dalle scale che ha comprato la cena.

Alla fine, sono entrambi troppo stanchi e troppo pigri per cambiare sistemazione, e si addormentano di nuovo su quei divani. Questa volta, la mano del maggiore non sfiora più solo i capelli del fratello, ma si intreccia direttamente con le sue dita, arrendevole.

Nessuno dei due osa ancora dirlo ad alta voce, ma sembra quasi che abbiano trovato un posto dove potersi fermare qualcosa in più di qualche notte.
Forse, potranno chiamarlo casa.



La terza notte, Dean è irremovibile.
(Sam non ci ha neanche provato, ad ostacolarlo, ma comunque)
Ha deciso che, finché dura, quel posto gli piace, quindi vuole trovarsi una sistemazione più comoda di un divano di pelle.


«È pieno di camere qui dentro, Sammy! Possiamo scegliere quella che vogliamo»
Sam non risponde, sa che non servirebbe.
«Ne voglio una enorme. Mi metterò la TV in camera. E anche un minifrigo» gongola suo fratello, mentre si ingozza dell'hamburger che lui stesso ha preparato.
«Ah, e ce ne sono alcune che hanno perfino il bagno in camera. Non lo vuoi, il bagno in camera?» chiede, ma non lascia al minore nemmeno il tempo di rispondere.

«Voglio l'aria condizionata, il lettore DVD, un materasso ad acqua e un armadio gigantesco. Non ho mai avuto un armadio!» e a Sam sembra tanto che suo fratello abbia perso vent'anni mangiando un panino, perché quello davanti a lui non è il cacciatore rude e disilluso a cui è abituato, ma un ragazzino su di giri in overdose di zucchero.
Gli piace, questa versione di Dean.

Per questo lo saluta con un cenno e un sorriso, quando lui annuncia a gran voce che andrà a cercarsi la camera migliore di tutto il bunker e no, Sam, nemmeno con tutte le moine del mondo riuscirai a convincermi a cedertela.
Non che Sam intendesse provarci, comunque.

Alla fine, non vede Dean per il resto del pomeriggio.
Ogni tanto, dalla biblioteca, sente la porta principale aprirsi e chiudersi, e probabilmente è lui che, un po' alla volta, porta dentro tutte le loro cose, la loro vita chiusa in quattro sacche da viaggio in un bagagliaio.
Non si preoccupa solo perché sa che quel posto è a prova di ogni genere di creatura soprannaturale -a parte gli angeli, ma al momento non hanno nessuna ragione particolare per tenerli fuori, quindi va bene-.

Ad un certo punto, qualcosa dopo il momento in cui è venuto a comunicargli che ha trovato il garage e che adesso anche l'Impala ha una stanza tutta per sé, entra trotterellando per dirgli che hanno anche una palestra, lì sotto, e Sam non l'ha mai visto così entusiasta in vita propria.

Non è che nel loro lavoro le novità siano qualcosa da accogliere con gioia, di solito, ma questa sembra aver davvero suscitato l'entusiasmo di Dean.

Verso mezzanotte, si presenta con addosso un pigiama decisamente non suo e gli schiocca un bacio sulle labbra, augurandogli la buonanotte, e Sam non fa in tempo a ricambiare che quello è già sparito lungo il corridoio, quasi a passo di danza.

Lui resta in biblioteca ancora un po', ma quando ormai non ce la fa davvero più a respirare la polvere di anni e anni di vecchie scartoffie spegne la luce e si alza stancamente in piedi.
Appoggia svogliatamente la tazza di caffè e il piatto vuoto che conteneva la sua cena sul tavolo della cucina -sempre che quella sia davvero una cucina- e si carica in spalla il proprio borsone.
Dean ha avuto la gentilezza di rimettere al loro posto i due divani, e Sam gliene è davvero grato.

La scelta della camera è piuttosto obbligata. Sa che suo fratello è probabilmente andato a nascondersi nel corridoio più remoto dell'intero bunker solo per non essere disturbato, e sa altrettanto bene che potrebbe essere utile che uno di loro due dorma vicino alla porta d'ingresso, nel caso succedesse qualcosa di imprevisto. In più, a Sam piace l'idea di sistemarsi vicino alla biblioteca.
Domani andrà a vedere dove dorme Dean, tanto per curiosità, ma per il momento è troppo stanco.
Si lascia cadere sul letto di una camera abbastanza grande e abbastanza pulita, anonima.
Non ha niente di speciale, a parte il bagnetto attiguo, che a Sam piace parecchio.
Si infila sotto alle coperte dopo aver a malapena avuto la voglia di cambiarsi e spegnere la luce. Il pugnale è sul comodino, come sempre.
Addormentarsi è più difficile di quanto ricordasse.

 

Solo che sembra che nemmeno la sede fortificata di un'organizzazione segreta votata alla distruzione delle creature sovrannaturali sia, di fatto, immune alle creature sovrannaturali.
Sam lo pensa quasi con fastidio, mentre ascolta in silenzio i soffocati passi in corridoio.
Ha già il coltello in mano, ma è ancora sdraiato a letto, a metà tra il sonno e la veglia.
Nella sua esperienza, ogni volta che si è chiesto se non potesse essere un umano, quello a zonzo per le strade poco trafficate di notte, alla fine non lo era mai.
Sente la porta della propria camera socchiudersi in uno spiffero d'aria sulla schiena, e si irrigidisce. È di spalle all'entrata, quindi non può sapere di quale mostro si tratta, e aspetta.
Mutaforma. Vampiro. Skinwalker.
No, skinwalker no, i passi erano decisamente umani.
Demone.
Eppure gli sembrava di aver controllato bene le protezioni.
Fantasma.
Ecco, quello potrebbe essere. Magari, uno degli uomini di lettere morti decenni prima. Ma i fantasmi non fanno rumore.
Non si muove finché non percepisce la creatura fermarsi alle sue spalle.
...E lasciare cadere qualcosa. Poi qualcos'altro.
Un leggero spostamento d'aria, un fruscio, due, poi un mormorio soddisfatto e finalmente il silenzio.

Sam si sta ancora chiedendo cosa accidenti sia successo, quando si volta.
E trova suo fratello Dean sdraiato a terra, accanto al letto, la testa appoggiata su un cuscino e il corpo avvolto in una coperta leggera, uguale a quella che il minore ha trovato stesa sul proprio letto.
Dotazione standard degli uomini di lettere, a quanto pare.
Il maggiore ha gli occhi chiusi, un braccio steso oltre la testa, il viso rilassato, e Sam sorride.

Alla faccia della camera più spaziosa e del letto più comodo.

«Si può sapere che cosa stai facendo?» bisbiglia, facendolo sussultare.
Dean spalanca gli occhi, una mano già sul cuore. «Dannazione, Sam! Credevo dormissi»
Il minore sogghigna, e suo fratello sembra quasi arrossire, ma nel buio non può esserne certo.
«Ti avevo preso per una schifezza sovrannaturale. Ti sembra modo di entrare nelle camere altrui?»
Il maggiore rotea gli occhi, offeso, e non commenta.
Lì, disteso a terra, Sam lo trova incredibilmente dolce.
«Beh?» chiede.
«Beh cosa?»
«Beh, vuoi restare tutta la notte lì per terra o vieni a letto?»
Dean sbuffa, come se davvero gli seccasse alzarsi dal pavimento scomodo e infilarsi sotto le coperte morbide con suo fratello, e lo asseconda facendo perfino il sostenuto.
Quando finalmente le braccia di Sam si avvolgono intorno alla sua schiena, soffia un sospiro e si rilassa. Il minore gli solleva il mento con un dito e lo bacia, tanto perché può e tanto perché nemmeno lui riesce a dormire se non sono vicini.


«Dean»
«Mmm?»
«La camera qua affianco ha un letto doppio»
«Ha il bagno?»
«Credo di sì»
«E la presa per il minifrigo?»
«Anche»
«E lo spazio per la TV?»
«Non metteremo la TV in camera»
«Puttana»
«Fesso»



















NdA
Sera a tutti.
Oggi pubblico in fretta perchè ho poco tempo.
Spero che vi sia piaciuto, io non sono tanto soddisfatta ma va beh.
Risponderò appena posso alle recensioni.
Grazie a tutti gente, e un bacio.
Fanie

 

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Capitolo 65
*** Little talks of Devils and men ***


Rating: Verdissimo.
Genere: Fluff da far male allo stomaco.
Constesto: Settima, ma spoiler zero, a occhio e croce.
Note: E va beh, basta leggere il titolo per capirsi, sia per il genere che per il paring. DIco solo che l'unica altra Samifer di questa raccolta è stata amata come non mi sarei mai aspettata, quindi spero amiate anche questa. Ci si vede giù.

 

Little talks of Devils and men





«Buongiorno Sam»
«Levati di dosso, Lucifero»
«Perchè? Non vuoi più essere mio amico?»
«Noi non siamo mai stati amici. Tu mi hai torturato»
«E tu mi hai chiuso nella Gabbia. Credevo avessimo superato la fase dei bisticci»
«Va bene, va bene, tutto quello che vuoi, ma ti prego, lasciami dormire almeno finché non torna Dean»
«Ma ci vorranno ore! Dai Sammy, vieni a giocare con me»
«Mmh...»
«Alzati, alzati, alzati, alzati, alzati»
«Ti odio»
«Oh, eddai, tira fuori la testa da sotto al cuscino. Mi annoio!»
«Lasciami in pace»
«Ma io voglio attenzione!»
«Okay, okay. Facciamo un patto: io ti faccio un po' di posto sul letto, e tu stai buono ancora per un paio d'ore»
«Va bene»
«Okay, vieni qui, sotto alle coperte. E tieni le mani a posto, altrimenti dormi per terra»
«D'accordo Sam. Ma tu vai un po' più in là»
«Lucifero, mi hai tolto il cuscino»
«Non puoi tenertelo tutto per te»
«Non tirare la coperta»
«Lasciamene un po'!»
«Sta fermo»


«Sam?»
«Mmm....»
«Mi dai un bacio?»
«Mmm...»
«Dai, Sam»
«Non te lo meriti»
«Se mi dai un bacio, poi faccio il bravo»
«Non è vero»
«Giuro. Parola di Satana»
«Mpf. Okay. Ma poi dormi»

«Buonanotte Sammy»
«Notte, Lucy»






















NdA
Salve gente. 
Avevo questo capitolo nel cassetto da una vita, e oggi ho deciso che mi ispirava. Io lo amo, non so voi.
Anche se non ve ne siete accorti, ho aumentato la dimensione del carattere nei capitoli (seh, chissenefrega, direte voi) perchè mi è capitato di aprire uno dei capitoli della raccolta dal telefono e 'azzo, non se vede 'n'acca. Vabbè, scleri a parte.
Ricordatevi che quell'iniziativa (?) è sempre valida, se vi piacerebbe trovare un capitolo con un prompt particolare, o con un paring di quelli crack, io sto qua apposta. Non garantisco che lo scriverei in tempi brevi, ma sicuramente lo farei. Prima o poi. Più poi che prima. Bon sì, ci siamo capiti.
E niente, baci a tutti come sempre, e ci si risente lunedì.
(E invece no, perchè domenica è il 24 e IO NON HO ANCORA IDEA DI CHE COSA SCRIVERE STAVOLTA AIUTO)
A prestissimo, 
Fanie

 

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Capitolo 66
*** Samulet ***



Rating: Verde
Genere: Boh. Fluff credo, ma non ne sono così convinta.
Contesto: Il 24 Gennaio che segue al ritorno di Dean dal Purgatorio. Zero spoiler, comunque.
Note: Wincest, visto che l'anno scorso era Destiel. Ho ignorato l'esistenza di un Castiel chiuso in Purgatorio e di Amelia, che per la cronaca detesto.
Il titolo, per chi bazzica più o meno il fandom, dice già dove si va a parare. E va beh, non dico niente, le richieste di perdono le metto nelle NdA.


 

Samulet




Non è che a Dean sia mai importato del suo compleanno. No, davvero.
Non è mai stato uno da festeggiamenti, o da regali. Del resto, è un cacciatore. Non è che la sua vita sia qualcosa da festeggiare.

Ma il fatto è, molto semplicemente, che dopo essere stato all'Inferno, aver visto il Paradiso ed essere anche ritornato indietro dal Purgatorio (molto di recente, tra l'altro) un po' di considerazione credeva di essersela meritata, grazie tante.
E intendiamoci, non è che stia chiedendo parate o fuochi d'artificio, certo che no. Ma che suo fratello gli dica almeno “auguri” il giorno del suo compleanno, ecco, non gli sembra proprio sia chiedere troppo.

(Anche un'abbondante dose di sesso mattutino, pomeridiano e serale non sarebbe proprio una brutta idea, ma insomma, Dean è uno che sa accontentarsi)

Ma, a quanto pare, l'unico che quel giorno si è ricordato del suo compleanno, è, appunto, lui stesso. Patetico, veramente patetico.

Quindi ok, si sente autorizzato a tenere il muso a suo fratello durante tutto il corso della giornata, rispondendogli a monosillabi mentre si aggirano, macheti in mano, per un'angosciante foresta abitata da almeno tre skinwalkers, a giudicare dalle tracce. Ogni volta che Sam prova a fare conversazione, lui sbuffa e non lo degna di uno sguardo, facendo arenare ogni tentativo contro un ostinato silenzio.
Lui nemmeno pare prendersela, lo stronzo.
(Detto fra noi, Dean è consapevole di essere uno che tiene il muso spesso, ma non lo ammetterà mai ad alta voce. Resta il fatto che forse suo fratello è giustificato, ad ignorarlo)

Quando finalmente tornano in Motel, coperti di sangue e con graffi più o meno profondi un po' ovunque, Sam fa per spogliarsi e infilarsi sotto la doccia, ma il maggiore si infila in bagno un attimo prima di lui, ovviamente sbattendo la porta. Ha almeno il diritto del primo turno di doccia, e che cazzo.

Mentre l'acqua scorre lungo il suo corpo e lava via i segni della caccia, si ritrova a pensare che ok, Sam alla fine non ha fatto tutto questo grande torto ad essersi dimenticato di fargli gli auguri, insomma, capita.
E poi, cosa di cui era già consapevole, la loro non è una vita che valga la pena di essere festeggiata, non dopo i recenti eventi. (E con “recenti” intende più o meno il periodo che intercorre dalla sua nascita a quel particolare 24 Gennaio)
Quindi d'accordo, perdonerà Sam -non è mai stato veramente arrabbiato, solo un pochino deluso, ecco- e la farà finita con questa ridicola storia del compleanno. Fine.

Solo che poi, quando esce dal bagno in una nuvola di vapore, trova qualcosa che non si aspettava di trovare, tutto sommato.
Suo fratello si è tolto di dosso i vestiti insanguinati, rimanendo in jeans e calzini, e lo guarda da seduto sul letto.
Ma non è il petto nudo del minore che Dean si è incantato a guardare, quanto quello che tiene tra le mani.
È un piccolo pacchettino di carta di giornale, e se lui non conoscesse suo fratello come lo conosce, penserebbe che sia un caso, ma la verità è che con Sam non è mai un caso, si conoscono troppo bene per dimenticare certi particolari.
Si avvicina con calma, smozzicando un «allora te lo sei ricordato» che suona un po' spezzato, perché sa esattamente cosa il più piccolo sta per regalargli, lo ha riconosciuto.
È sempre uguale, lo stesso pacchetto di trent'anni prima, quando gli angeli non c'erano ancora e la loro preoccupazione maggiore era il sale alle finestre.
Si siede accanto a lui sul letto.
«Sappiamo entrambi cos'è, no?» sorride Sam, allungando la confezione rozza e quasi infantile verso di lui, appoggiandogliela sulla mano aperta.
«Dove ne hai trovato uno uguale?» chiede Dean, soppesandola. Gli sembra quasi di avere ancora dieci anni, in un motel uguale a quello, un natale di una vita prima.
Suo fratello sorride ancora di più, una patina lucida si sovrappone al suo viso mentre raddrizza la schiena e piega la testa di lato. «Non è uno uguale. È l'originale»
E Dean sussulta, perché non può essere, sono passati anni e una quantità indescrivibile di sventate Apocalissi e guerre angeliche, e fa paura pensare a come sia possibile che Sam abbia ancora quel maledetto oggettino che ora lui stringe in mano.
Abbassa lo sguardo sul pacchetto, e realizza.
«Lo avevo addosso, quando sono caduto nella Gabbia. Volevo portare qualcosa di tuo là sotto, che mi ricordasse di te. E lo avevo anche quando Castiel mi ha tirato fuori» Sam sorride, mesto. «Nemmeno la mia versione senza anima lo ha gettato, per fortuna. E poi c'è stato tutto quel casino con Cas, e i leviatani, e io che vedevo Lucifero... Non c'era mai “un buon momento”»
«Sammy...»
«E poi tu sei finito in Purgatorio, io ti credevo morto, e ho passato un anno a rimpiangere di non avertelo dato, quindi adesso è qua. Diciamo che è tornato a casa»
«Fratellino...»
«Auguri, Dean»
E il maggiore stringe tra di loro le labbra, abbassa la testa, e le sue mani tremano. Sam capisce, e gli sfila delicatamente il pacchetto dalle mani, lo scarta piano e distende il laccio di cuoio. Si solleva un poco, e infila il ciondolo al collo di Dean, come se lui non lo avesse mai tolto.
Lui lo sfiora con le dita, lo accarezza proprio, poi alza lo sguardo e suo fratello finge di non vedere i suoi occhi lucidi. «Grazie» mormora, con voce roca, e si passa una mano sulla bocca.
«Grazie, Sam» ripete, e suo fratello non riesce davvero a non baciarlo immediatamente.



Qualche ora dopo, quando fuori è buio e la camera odora ancora del bagnoschiuma di Dean, il minore accarezza il profilo della collana, strusciando l'indice sul petto nudo del fratello.
«Mi è mancato» mormora, e la risata leggera del maggiore riverbera nella sua cassa toracica, sotto al suo orecchio.
Dean copre la sua mano con la propria, la volta, la solleva e ne bacia le dita, una alla volta.
«Anche a me» risponde, poi sfugge lento al suo abbraccio caldo.
Le coperte gli accarezzano morbide i fianchi e scivolano in basso, mentre si muove fino a sovrastare Sam con il proprio corpo, le ginocchia ai lati dei suoi fianchi e le mani piantate accanto alle sue spalle.
Il ciondolo pende elegante quasi ad accarezzare la gola del più piccolo, che lo osserva per un attimo, affascinato.
Poi solleva una mano, lo afferra e tira, trascinando Dean sulle proprie labbra.



















NdA
Salve a tutti.
E dico subito che, nella mia modesta opinione, non sei uno scrittore di fanfiction di SPN se non hai scritto almeno una OS in cui torna fuori 'sto ciondolo (o in cui si parla più o meno approfonditamente delle ali di Castiel, cosa per cui mi sto attrezzando), quindi mi sono adattata anche io e ne è uscita la cosa più oscena che poteva uscire.
Scusate se faccio la disfattista, ma non sono per niente soddisfatta.
Spero, sinceramente, di rimediare domani con ben altro genere.
E niente, buon proseguimento, scrivetemi pure una recensione in cui mi dite quanto banale io sia stata e un sacco di altre cose che già so, e ci si rivede tra più o meno trentasei ore.
Baci a tutti<3
Fanie

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Capitolo 67
*** It's too cold outside for angels to fly ***


Rating: Arancione, perchè lo avevo più o meno promesso ad una persona.
Genere: Romantico, fluff, un filino angst ma niente che non si possa sopportare.
Contesto: Nona stagione, ma in una mega-magica What if? (Niente Sam con postumi da prove, niente Gadreel, niente Castiel che prova a fare l'umano per conto suo, niente Dean pieno di sensi di colpa -bon dai, un po' sì-).
Note: Una Destiel nona stagione nel bunker, cosa si può volere di più dalla vita? Se poi è anche arancione... Il POW di Cas mi ispira l'indicativo presente, devo ancora capire perchè.
Ci si vede nelle Nda, sappiate solo che è lunghetta.
E poi beh, del titolo mi vergogno parecchio.


 

It's too cold outside for angels to fly




La prima cosa che Castiel nota del bunker è l'umidità.
Ce n'è tanta, ovunque, si infila sotto ai vestiti e tra le ossa. Non è quel genere di umidità da muffa, o da afa estiva, ma quella che precede una fitta nevicata, quando sembra che la stessa aria sia pronta a gelare.
Sam e Dean sembrano non accorgersene nemmeno, o forse hanno avuto tutto il tempo di abituarsi, ma lui... Lui ha perso la sua Grazia, è umano ora, e l'umidità che gli congela la pelle gli sembra la cosa più importante, al momento.

Da quando è arrivato, ovvero più o meno tre ore, i Winchester hanno provveduto a dargli da mangiare -Dean, che ha cucinato sei tipi diversi di Hamburger perché”non mi ricordavo quale fosse il tuo preferito, Cas”-, assegnargli una stanza -Sam, che per una qualche ragione ignota ha scelto proprio la camera che confina con quella del fratello maggiore- e a tenerlo costantemente sotto controllo.
Castiel lo capisce, dopo tutti i casini che ha combinato riconosce di avere bisogno che qualcuno lo tenga d'occhio, e onestamente gli dispiace dover pesare sulle spalle di Sam e Dean.

Il minore è il più discreto, nella sua sorveglianza. Si siede ad uno dei tavoli della sala principale, apre un registro e inizia a sfogliare le pagine. Da come si muove, sembra che sia una cosa che è abituato a fare, ed è un po' come osservare un animale selvatico nel suo habitat naturale. L'ambiente ideale di Sam sono sempre state le biblioteche polverose.
Ed è più o meno quello che sembra pensare anche Dean, ogni volta che si affaccia nella sala con una scusa, li guarda entrambi, sorride appena e poi sparisce di nuovo.
Ogni tanto uno dei due chiede a Castiel se ha bisogno di qualcosa, ma lui scuote la testa e si stringe di più nelle spalle. Ha freddo, e non ha idea di cosa ci si aspetta che faccia a riguarda.

Quando, ore dopo, Sam si alza sospirando e si avvia in cucina per preparare una cena decente, il maggiore dei Winchester si materializza accanto all'ex angelo, che ormai giace raggomitolato sul divano, alla ricerca di un po' di calore.
«Ehi, va tutto bene?» chiede, avvolgendolo in una coperta pesante, un po' impolverata, impregnata dall'odore umido che permea tutto il bunker.
«Credo di avere freddo» risponde lui, sospirando grato.
«Ti passerà. Devi solo abituarti, immagino» risponde Dean, prima di sedersi accanto a lui sul divano.
Castiel può percepire la sua presenza accanto a sé, ed è rassicurante in un modo che non è sicuro di poter definire piacevole.
«A parte questo, come stai?» chiede il maggiore dei Winchester.
«Io sto bene, e tu?»
«Stronzate. Hai perso la tua Grazia, le tue ali e la tua casa in un colpo solo. Non è possibile che tu stia bene»
Castiel chiude gli occhi e stringe le labbra, un po' perché non ne vuole parlare -è colpa sua se è successo, merita ogni punizione che gli verrà inflitta- e un po' perché il giudizio di Dean è una delle cose che più teme al mondo.
(L'unico di cui gli importa veramente)
«Immagino che potrei stare peggio. Sono vivo, anche se umano»
Il cacciatore posa una mano sul suo braccio, e per un attimo Castiel rimpiange di avere quella coperta addosso, perché non può sentire il suo calore. «Non c'è niente di male ad essere umani. E poi, sei a casa adesso. Riusciremo a sistemare tutto»
Poi si alza, prima che l'ex angelo abbia anche solo il tempo di capire che cosa ha detto, e scompare anche lui in cucina.

Sfortunatamente, peggiora.
Dopo aver cenato, mentre Sam si porta avanti con ricerche di cui non hanno bisogno e Dean lucida armi che non hanno ragione di essere pulite, Castiel inizia a tremare seriamente.
È una progressione lenta, il freddo diventa sempre più intenso, i brividi partono dalla base della schiena e si schiantano contro la sua nuca fino a formare un reticolo gelido a cui lui non riesce più a sfuggire. All'inizio batte appena i denti, e stringe forte la mascella per impedire che i due fratelli si rendano conto di quel suono. Non vuole chiedere aiuto, vuole imparare a gestire da solo la sua umanità, anche se questo significa soffrire il freddo.
Ma quando poi i brividi diventano tremori, non riesce più a controllarsi.
Dean solleva di scatto lo sguardo dalla sua colt, lo fissa per mezzo secondo e poi salta in piedi come una molla.
«Cas, che succede?» chiede, preoccupato, e un secondo dopo anche Sam è accanto a lui.
«F-freddo» balbetta lui, il volto coperto fino agli occhi da quella coperta polverosa, e praticamente subito una delle grandi mani del minore dei Winchester è sulla sua fronte.
«Non hai febbre. Anzi, sei gelido» mormora, e Dean è così rapido ad uscire e a tornare con un'altra trapunta che Castiel quasi non si accorge di averlo visto allontanarsi.
Ma non basta nemmeno quello.
I due fratelli restano accanto a lui per tutto il tempo che serve loro per rendersi conto che no, non serve a nulla, e mentre un po' di compassione si dipinge sul viso di Sam -probabilmente ha capito anche da solo che dipende dalla Grazia persa, e che ci vorrà tempo perché l'ex angelo si abitui a vivere senza il calore delle sue ali- Dean sfiora quasi l'isteria, iniziando a camminare nervosamente avanti a indietro, mentre aspetta che la temperatura corporea di Castiel si stabilizzi. Più il tempo passa, più sembra preoccupato.
«Che facciamo se non migliora?» chiede ad un certo punto, e probabilmente è solo un'allucinazione dovuta al freddo quella che porta l'ex angelo a percepire una nota di panico nella sua voce.
Dean Winchester, il piccolo soldatino di papà, sempre così sicuro di sé, sempre con la soluzione in tasca, sempre con un piano di riserva, ora terrorizzato davanti a qualche brivido di freddo.
Castiel sta per aprire bocca e dire che non serve fare niente, che passerà da solo -non che lo sappia per certo, ma è già stato umano in passato e le altre volte si è semplicemente risolto ad aspettare che le cose migliorassero per conto loro- quando Sam lo precede.
«Una doccia calda, tanto per cominciare. Dean, accompagnalo in bagno. Non nella sala delle docce, in uno dei bagni delle camere. Mi sembra che le vostre ne abbiano uno ciascuna. Io intanto vado a cercare dei vestiti più caldi e metto qualche coperta in più sul suo letto. Poi prepareremo qualcosa di caldo da bere, okay Cas?»
E sì, è davvero okay, perché qualsiasi cosa sarebbe meglio di restare lì a tremare di freddo. E quando Dean lo tira in piedi praticamente di peso e gli avvolge le spalle con un braccio, inizia quasi a vedere le potenzialità del piano di Sam.

La doccia è la cosa più meravigliosa che gli sia mai capitata nella sua breve -e disastrosa- vita da umano.
Non credeva che un corpo debole come il suo potesse sopportare acqua così calda e per così tanto tempo, ma sembra invece che abbia molta più resistenza del previsto.
Passa quelle che sembrano ore sotto al getto bollente, e ne esce solo quando inizia a sentire le palpebre calare sugli occhi stanchi. Si avvolge in un enorme asciugamano e cammina scalzo sulla moquette rossa di quella che a quanto pare è la sua nuova camera.
Dean lo sta aspettando seduto pazientemente sul letto, accanto a lui i vestiti che ha portato Sam. Si alza per porgerglieli con un mezzo sorriso rassicurante -si vede ancora lontano un miglio che è teso come una corda di violino, o forse è così evidente solo a Castiel- e si volta immediatamente.
L'ex angelo ci mette un secondo di troppo a rendersi conto di quello che ci si aspetta che faccia, e così si affretta ad infilarsi nei vestiti morbidi che sanno di ammorbidente e forse appena di Impala.
«Sono miei» dice Dean, grattandosi la nuca, mentre alla sue spalle lui si sta ancora tirando su i pantaloni «Sam ha detto che ti sarebbero andati bene, visto che abbiamo più o meno la stessa taglia»
L'ex angelo armeggia ancora un attimo con gli abiti, si infila i calzini pesanti e «Sembra di sì» risponde, e il cacciatore si volta giusto in tempo per guardarlo, incrociare le braccia sul petto e ridacchiare.
Poi si avvicina, sistema il collo della felpa, raddrizza un polsino e lo guarda negli occhi.
Castiel ha ancora i capelli bagnati, gocciolano sul tessuto scuro della maglia e lui rabbrividisce involontariamente.
Dean rotea gli occhi, sbuffa e mormora un moccioso a mezza voce, per poi trascinarlo verso il letto, metterlo seduto e iniziare a strofinare i suoi capelli con un asciugamano asciutto.
È cambiato molto, pensa Castiel, da quando si sono incontrati la prima volta. Non è più il ragazzo con gli occhi verdi e il sorriso sfacciato, con addosso il peso di una vita insopportabile e il complesso dell'eroe martire. Adesso è un uomo adulto, con alle spalle tante battaglie e tante sconfitte, finalmente consapevole dei suoi limiti e delle sue debolezze. Sa che cosa vuole, e anche cosa non può avere.
Cinque anni prima non lo avrebbe mai lasciato avvicinare a quel modo, non lo avrebbe mai preso con sé per proteggerlo, per prendersi cura di lui. Cinque anni prima non gli avrebbe mai permesso di indossare i suoi abiti, di condividere la sua casa e di scontare con lui il proprio senso di colpa. Cinque anni prima lo avrebbe tenuto a distanza, lo avrebbe lasciato a leccarsi le ferite con un “grazie, ma no grazie”, gli avrebbe impedito di entrare a far parte della sua famiglia, perché la famiglia è l'unica cosa di cui può importare ad un cacciatore, che lo può rendere debole.
Adesso, invece, Castiel non ha nemmeno dovuto chiedere, come se quella stanza stesse aspettando proprio lui, come se i Winchester lo considerassero parte della loro vita, parte della loro famiglia, e lo volessero con loro. Come se lui avesse solo il diritto di pretendere da loro qualcosa, dopo tutto il dolore che ha causato.
Ma niente di questo sembra importare a Dean, all'uomo che in quel momento gli accarezza la nuca con un asciugamano per impedirgli di ricominciare a tremare come una foglia nella sua fragile forma umana. Sembra che il passato non abbia peso, in quel bunker sotterraneo, che conti solo il fatto che sono insieme, finalmente, che non c'è niente e nessuno oltre a quella porta di cui si debbano preoccupare -sono morti tutti, gli altri, restano solo loro-.
Ad un tratto, Dean smette di agitare la spugna tra i suoi capelli, lascia andare l'asciugamano e Castiel solleva lo sguardo verso di lui.
«Sono felice che tu sia qui» mormora il maggiore dei Winchester, con una mano sulla sua spalla.
Risale, lentamente, verso il collo.
L'ex angelo lo guarda dal basso, ancora seduto sul letto. «Lo sono anch'io»
Lo sguardo del cacciatore si indurisce per un attimo. «Prenderemo Metatron, okay? Intendo farlo a pezzi con le mie mani»
Castiel sgrana appena gli occhi, il pollice di Dean che accarezza la curva della sua mascella, ruvido. «Non è la vostra guerra»
Lui ridacchia, sarcastico, poi torna serio. La mano sale ancora, si ferma sul suo viso. «Sì invece. Lo è diventata nel momento in cui ha fatto del male a te, alla mia famiglia. Te l'ho detto, Cas, abbiamo bisogno di te»
E c'è quest'attimo, assurdo, in cui l'ex angelo sa che Dean sta per fare una cosa folle, mandare al diavolo trent'anni di retta obbedienza ad un unico principio -non permettere che qualcuno ti renda debole, non legarti a nessuno che abbia sangue diverso dal tuo- e cinque di stoica negazione e dare definitivamente un nome a quello che li lega. E Castiel non può permetterglielo, perché per quanto lo desideri -tanto, veramente tanto-, sa che se succedesse sarebbe per sempre, non sarebbe qualcosa da cui poter tornare indietro. Niente “restiamo amici” o “fingiamo che non sia successo”.
Lui ne morirebbe, lo sa. E alla fine, malgrado tutto, conosce troppo bene Dean da sapere che non c'è niente, niente, che gli garantisca che lui non se ne pentirebbe, che non preferirebbe seppellire tutto sotto litri di alcol e sesso e altro alcol, dopo averlo baciato.
E no, non può sopportarlo, non oggi.
Ma non c'è il tempo di fermarlo, di alzarsi e scappare da quel posto, da lui, da ogni cosa, perché Sam all'improvviso apre la porta della stanza ed entra, con una tazza fumante di qualcosa in mano, e si ferma sulla soglia a guardarli.
Dean, in piedi davanti a Castiel, con una mano sul suo zigomo e gli occhi ancora fissi nei suoi, volta lentamente il capo, e incrocia lo sguardo di suo fratello.
Il minore dei Winchester sa di aver interrotto qualcosa, è evidente dal velo sottilissimo di senso di colpa per un attimo gli fa aggrottare le sopracciglia, ma ugualmente sembra fregarsene, appena guarda l'altro cacciatore. Si fissano per un attimo, come se parlassero col pensiero, e in una frazione di secondo si capiscono. A proposito di cosa, a Castiel non è dato saperlo.
Aggrotta le sopracciglia, mentre Dean si fa da parte e Sam lo supera per mettergli in mano la tazza di the bollente. Il maggiore si appoggia con le spalle alla porta, mentre l'ex angelo beve a piccoli sorsi e si scalda, un po' alla volta.
Ci vogliono lunghi minuti, ma alla fine la scodella è vuota e Castiel è sotto alle coperte, al caldo.
Ha ancora freddo, tutto sommato, ma non tanto come prima.
«Chiama, se ti serve qualcosa. Noi cacciatori viviamo per soccorrere damigelle in difficoltà» ironizza Dean un attimo prima di spegnere la luce e lasciarlo da solo nella sua nuova stanza, ed è tutto come prima.
Forse, il peggio è passato.


Solo che alla fine non è vero per niente.
Castiel si sveglia in preda ad un tremore incontrollabile, gelido, che gli attanaglia il ventre e le spalle, ed è insopportabile.
Ci prova, a resistere, ma alla fine smette di trattenere il fiato e inizia a tremare, battendo quasi i denti.
Affonda il viso nel cuscino per non far rumore e si rassegna ad aspettare l'alba, o qualsiasi altra cosa, pur di non dover chiamare Dean, o Sam.

Aspettare si rivela essere più complicato del previsto.
Il gelo non diminuisce, si radica in profondità attorno ai suoi muscoli, come se infiniti piccoli spifferi trasparissero attraverso la stoffa densa delle trapunte, e lui ha sempre più freddo.
All'improvviso però, il peso attorno al suo corpo aumenta, un'altra coperta si stende sopra di lui.
Questa è più spessa, morbida, non è una di quelle recuperate dal fondo di un armadio impolverato. È impregnata di un odore forte, pulito, intossicante. Castiel lo riconosce immediatamente, e un calore che non ha niente a che fare con la trapunta lo invade, risalendo dal petto.
È la coperta di Dean.

L'ex angelo si volta appena verso la porta, cercando di non muoversi troppo e di non sfuggire a quella piccola bolla di calore che si sta lentamente formando intorno a lui, e lo vede.
Il cacciatore è lì, in piedi accanto al letto, con un angolo del piumone ancora in mano, e lui non può vederne il viso in ombra ma ugualmente sa che lo sta guardando.
«Ti sentivo tremare dalla mia stanza» mormora, e si muove per aggirare il letto.
Quando la poca luce che filtra dallo spiraglio della porta aperta danza attorno al corpo di Dean, Castiel si rende conto che non è più vestito di jeans e flanella, ma di morbidi pantaloni scuri e una t-shirt grigia.
«Le mie scuse» risponde, rannicchiandosi di nuovo su se stesso.
«Non scusarti. Se hai freddo è colpa di questo posto, non tua»
Lo dice con naturalezza, a voce bassa, mentre posa un ginocchio a terra e si piega verso di lui.
Castiel chiude gli occhi mentre Dean gli rimbocca le coperte fin quasi agli zigomi, e rabbrividisce con forza quando il movimento di lenzuola gli provoca una scarica gelata dalla base della schiena fino alle spalle.
«Non migliora proprio per niente, eh?» chiede il cacciatore, con una mano sulla sua spalla, e lui scuote pateticamente il capo.
«Posso fare qualcosa?»
Castiel non può impedirsi di pensare all'immensità di cose che Dean potrebbe fare per lui, che lui vorrebbe che facesse, nessuna che si possa dire ad alta voce, non adesso.
Scuote di nuovo la testa. «Mi abituerò. Devo solo aspettare che passi»
Il cacciatore inarca un sopracciglio. Sembra contrariato.
«E cosa intendi fare, nel frattempo? Restare lì a tremare come una foglia?» chiede, vagamente sarcastico.
«Non vedo altre soluzioni, per cui sì» risponde l'ex angelo, e lo guarda prima sbuffare, e poi annuire.
Dean si rialza in piedi, scrolla le spalle e si avvia di nuovo la porta. Castiel sente il click della serratura e finalmente può smettere di trattenere il fiato pur di non tremare. Non vuole che lui lo veda così debole, indifeso, non può permettergli di caricarsi addosso anche il suo peso di inutile umano.
Il suo corpo viene scosso da brividi molto simili a spasmi, mentre lui stinge i denti perché non sbattano e il fiato gli si blocca in gola in un gelido singulto, ed è tutto troppo da sopportare.
Trema finché qualcosa non lo blocca alle spalle, braccia a circondargli la vita da sopra alle coperte.
«Non posso neanche allontanarmi un attimo che subito torni a fare il ghiacciolo?»
La voce di Dean cola lungo la sua schiena come benzina, ed è il suo fiato sulla nuca a dargli fuoco. Il calore si espande dalle spalle al ventre, e lui smette di tremare.
Chiude gli occhi.
«Credevo te ne fossi andato»
«Ho solo chiuso la porta. Non ho intenzione di lasciarti a prendere freddo da solo»
Castiel non risponde, troppo impegnato a non lasciarsi andare davvero nella sua stretta tiepida.

Passa un po' di tempo.
La stanza è così buia, silenziosa e finalmente calda che l'ex angelo si sta lentamente addormentando. Non ha esattamente smesso di avere freddo, ma almeno non trema più.
Dean, alle sue spalle, si agita leggermente, e un sussurro all'orecchio riporta Castiel alla realtà.
«Cas?»
«Sì, Dean?»
«Ho freddo»
«Vuoi...?»
«Ti dispiace?»
«No»
E Dean si alza e scivola in fretta sotto alle coperte, attento a non agitarle troppo, e se lo riprende tra le braccia.
Se non fosse troppo impegnato a rabbrividire, Castiel si stupirebbe della tranquillità e della sicurezza con cui il cacciatore lo tiene stretto a sé, come se non fosse la cosa da cui ha passato la vita a scappare, un legame diverso da quello che ha con Sam.
«Hai freddo?» chiede immediatamente, e lui annuisce frenetico, ad occhi chiusi. La pelle scoperta di Dean è gelida, i suoi vestiti sono gelidi, le sue mani sono gelide, e stanno raffreddando anche lui.
Il cacciatore esita per un momento, ma quando i suoi piedi gelati sfiorano i polpacci dell'ex angelo dove i pantaloni della tuta si sono arricciati a scoprire pelle e lui riprende a tremare, si muove rapido.
L'attimo prima sono entrambi seduti, uno di fronte all'altro, Dean afferra la sua felpa e tira, e l'attimo dopo sono di nuovo sdraiati, stretti l'uno all'altro, il torace nudo del cacciatore che preme contro la pelle della sua schiena esposta, ed è soffocante.
«Sei così caldo... Come fai ad essere così caldo?» pigola Castiel, perdendo ogni controllo e rannicchiandosi contro di lui, alla ricerca di più calore possibile, più contatto possibile.
Dean ridacchia, un suono basso e bollente che riverbera contro la sua spina dorsale, portando altro tepore, altra calma. «Me lo chiedeva anche Sam, da piccolo»
Gli circonda la vita con le braccia, preme i palmi aperti sulla sua pancia, ed è tutto così poco da lui che Castiel prova quasi il desiderio di voltarsi e guardarlo, per assicurarsi che non sia un demone, quello nel suo letto.
«Ogni tanto capitava che i Motel in cui ci fermavamo fossero di così bassa categoria da non avere nemmeno il riscaldamento. Sammy soffriva il freddo, come te, e allora si infilava sotto le coperte con me, per riscaldarsi. È stata un'abitudine per anni, non mi ha mai dato fastidio»
L'ex angelo sente per un attimo una morsa allo stomaco, una voce dentro di lui che ghigna. Non sei il primo per cui lo fa, e di certo non sarai l'ultimo.
Ma alla fine è una cosa buona. Se lo ha già fatto per Sam, significa che non gli pesa farlo per lui. Che non significa niente.
«E adesso, ti da fastidio?» chiede, in un sussurro.
Dean ridacchia contro la sua nuca. «Ti sembra che mi dia fastidio?»
E Castiel non sa cosa rispondere, perché c'è un limite che non possono oltrepassare, non per sbaglio, come se fosse semplicemente “capitato”.
Come se lui non fosse altro che una delle solite ragazze dei bar in cui si rintana il cacciatore, che finiscono nel suo letto più per noia che per altro, e che se ne vanno, una dopo l'altra.
Lui vuole restare, ormai pensa di esserselo guadagnato, ma se Dean adesso fa qualcosa di cui poi si pentirà, finiranno inevitabilmente per separarsi, e non può permetterlo.
«Mi sembra che tu lo stia facendo perché ti senti obbligato, non perché lo vuoi davvero» mormora, e percepisce l'altro accigliarsi alle sue spalle.
«Non è vero. Voglio farlo, Cas, voglio davvero» ribatte lui, sollevando la testa alla ricerca del suo sguardo, ma la posizione non lo permette.
Allora, è l'ex angelo a voltare il capo e a guardarlo da oltre la spalla. «E se poi non dovessi volerlo più?» chiede, serio come non credeva di riuscire ad essere.
Il cacciatore deglutisce sotto ai suoi occhi fissi, si vede lontano un miglio che non se lo aspettava.
«Non dovrei volere più cosa, tenerti al caldo?» chiede, ma non suona sarcastico come avrebbe dovuto.
Castiel arriccia appena le labbra, respira forte e si volta del tutto verso di lui, stringendo gli occhi come se gli costasse dolore fisico. Aspetta che l'ondata di freddo passi, prima di guardarlo di nuovo, e questa volta Dean sa che non c'è spazio per fingere.
«Qualsiasi cosa credi di volere adesso, un giorno non la vorrai più. E io non posso sopportarlo, non se adesso tu...» mormora l'ex angelo, e chiude gli occhi, perché non può permettere che la sua voce si spezzi, non adesso.
Il cacciatore lo fissa per un secondo, interdetto, sorpreso, confuso. «Tu... vorresti?» chiede, come se non potesse crederci. Come se solo pensare che una creatura distrutta e persa come Castiel possa innamorarsi dell'anima pura e perfetta di Dean Winchester sia assurdo. Come se lui, ancora una volta, non fosse abbastanza.
«Certo che vorrei» sbotta l'ex angelo, con più rabbia di quanto avrebbe voluto «da sempre, e probabilmente per sempre»
Respira forte, perché adesso ha di nuovo freddo e sta dicendo troppe cose, cose che possono ferirlo, che probabilmente lo faranno, presto o tardi.
«Ma tu no, tu non lo vorrai per sempre. Credi di volerlo adesso, ma non è così. Te ne pentirai»
Dean gli solleva il mento con le dita, ma lui si ritrae. Folle, perché restano comunque nello stesso letto, i corpi che combaciano palmo a palmo. «Non è vero. Io... voglio» Dean si lecca le labbra, come se non sapesse come dirlo «per sempre»
«Non puoi saperlo»
«Sì invece»
«No!» grida Castiel, pentendosene un attimo dopo. Ha troppo freddo per pensare lucidamente, ma si rifiuta di avvicinarsi ancora al calore del corpo del cacciatore.
«Ne sei convinto perché ti piace starmi così vicino, perché per una volta puoi prenderti cura di qualcuno che non è Sam. Perché sei così abituato a cercare calore solo nel sesso che ti sembra impossibile poter dare a tua volta l'uno senza avere comunque anche l'altro» mormora, stanco, afflitto e svuotato di ogni energia. Spera solo che Dean capisca, perché non vuole ferirlo più del necessario.
«È questo, il problema? Credi che sia solo perché sono nel tuo letto?» sbotta il cacciatore, contro la sua fronte «maledizione, Cas, ti porterei fuori a cena, a colazione, al cinema, se servisse. Dimmi solo cosa vuoi, cosa posso fare, basta che tu me lo dica» ringhia, come se fosse incazzato, ma la sua è solo frustrazione, perché davanti a lui ha ciò che ha sempre desiderato e non può prendersela.
Castiel non risponde, non si muove, e Dean reagisce a modo suo.
Lo inchioda, spalle al materasso, in un movimento così rapido da farlo singhiozzare di sorpresa. Lo tiene fermo per i polsi, lo costringe a guardarlo, mentre le coperte intorno a loro crollano sotto alla forza dei loro gesti e l'aria congela la pelle ad entrambi.
Si guardano, poi Castiel cede. «Ho freddo, Dean» mormora.
Lui, per tutta risposa, lo bacia.
Si china e posa le proprie labbra sulle sue, le preme insieme, le muove appena. Poi si allontana, repentino come si è avvicinato.
Castiel riduce la bocca ad una linea sottile, chiude gli occhi, respira lentamente mentre sulla sua pelle si forma uno strato di pelle d'oca. «Non avresti dovuto» dice, dopo un momento, ma l'ultima vocale scompare coperta da un nuovo bacio, che si insinua tra le sue labbra aperte e sfiora la sua lingua, prima di ritrarsi e tornare indietro.
Dean, seduto sul suo bacino, le mani ancora strette ai suoi polsi, sta sogghignando, mentre aspetta la sua reazione. Non sta ridendo di lui, realizza l'ex angelo sorpreso, è soltanto compiaciuto.
«Eppure, non mi sembri particolarmente contrariato» ghigna il cacciatore, mentre lui si lecca le labbra.
«Non è un gioco, Dean» ribatte lui,infastidito.
«No che non lo è» risponde questo, ma non smette di sorridere.
«A me sembra che tu stia giocando» ringhia, e ha troppo freddo per sopportare oltre quella sceneggiata.
Lo strattona per riavere la sua coperta, per buttarlo fuori dal proprio letto, per leccarsi le ferite in pace, ma le cose non vanno come previsto, perché si ritrova Dean steso addosso e non dovrebbe essere così perfetto come sembra a lui.
«No invece» ribatte il cacciatore, praticamente sulle sue labbra «sto solo cercando di dare ad entrambi quello che vogliamo. Perchè devi rendermela così difficile?»
Castiel arriccia le labbra in un moto di fastidio. È incazzato, adesso sul serio.
«Perchè sei un piccolo umano insolente, perché non capisci quanto valore ha questa cosa per me e perché mi stai usando come si usa uno straccio vecchio e logoro, e finirai per-»
«Ti amo» lo interrompe il cacciatore, di getto, e l'ex angelo lo guarda per un attimo stupefatto.
«Cosa?» chiede, a bocca aperta.
«Ti amo» ripete Dean, come se nemmeno lui riuscisse a credere di averlo detto.
«Non è vero, lo stai dicendo solo per-»
Il sopracciglio inarcato del cacciatore lo fa fermare prima ancora di finire la frase.
«Ti sembra che prenderei mai alla leggera una cosa come questa? Che la userei solo per fare sesso con un uomo?» sbotta, rimettendosi seduto, le ginocchia ai lati dei suoi fianchi.
No, Castiel lo conosce troppo bene, sa che se lo ha detto è perché ci crede veramente -perché lo ama veramente-, e sa anche quanto deve essergli costato esporsi in quel modo.
Si solleva lentamente, puntellandosi sulle braccia e mettendosi quasi seduto, mentre Dean scivola sulle sue cosce per non pesargli addosso. Le spalle dell'ex angelo quasi tremano, ma non c'è tempo per il freddo, adesso. Si sporge in avanti, verso il cacciatore, appoggia la fronte sulla sua e chiude gli occhi. Il maggiore dei Winchester non si muove, lo asseconda, aspetta che sia lui a toccarlo, aspetta il permesso.
«Non farmi male» mormora Castiel, ed entrambi sanno che non sta parlando del sesso, dei denti che si chiuderanno sulla sua gola e delle unghie che si pianteranno nei suoi fianchi.
Dean accarezza le sue labbra con le proprie. «E tu non farne a me» risponde.
Ed è la conferma che l'ex angelo non credeva di poter avere, la certezza che anche il cacciatore ha paura di rimanere ferito, di essere lasciato indietro, di poterlo perdere, e lui ha sempre avuto più fiducia in Dean quando la sua voce suona così tesa e sopraffatta che non quando sembra sicuro di sé.
È per questo che infine cede -si lascia andare- e una delle sue mani si salda alla nuca del cacciatore. Si baciano, non disperatamente come avrebbero creduto, ma piano e profondamente, perché hanno aspettati anche troppo e ora hanno solo bisogno di sentirsi.
Quando si separano per riprendere fiato, Dean sta già muovendo il bacino contro i fianchi di Castiel, e mugola contro il suo collo. Passa le mani sulla sua schiena, accarezza le scapole pronunciate e la linea sinuosa della colonna vertebrale, trovandola coperta di pelle d'oca.
«Hai freddo?» chiede, tirando appena tra i denti il suo labbro superiore e ascoltandolo gemere senza potersi trattenere.
Castiel gli artiglia le natiche e se lo tira contro, seppellisce il viso nel suo collo e annuisce, leccandogli una clavicola.
Dean sorride, gli pianta le mani sul petto e lo spinge giù, sul materasso, prima di seppellirsi sotto alla coperta e di sollevarla sopra di sé fino a coprire le spalle dell'ex angelo.
Indietreggia, gli afferra i fianchi e inizia a percorrere il suo petto pallido, mordendo e succhiando, nascosto al suo sguardo dal peso della trapunta. Quando attacca i capezzoli, Castiel si inarca e sibila, probabilmente mordendosi la lingua, e il cacciatore stringe più forte i denti, ubriaco dei suoi gemiti.
L'ex angelo, bloccato al letto dal suo stesso peso, percepisce l'aria sotto alla coperta diventare ogni secondo più incandescente mentre Dean scivola lungo il suo corpo, sempre più in basso. Ansima ad occhi sbarrati quando finalmente il maggiore dei Winchester gli sfila pantaloni e boxer e li ammucchia appena sotto alle cosce, e non riesce ad impedirsi di gemere quando lui struscia una guancia ruvida di barba sulla sua erezione dolorosamente tesa.
Ad un tratto, Castiel perde contatto con il corpo sopra al proprio, pur riuscendo a percepirne la presenza, il fiato caldo di Dean da qualche parte tra il ventre e lo stomaco. Per un attimo, si chiede che cosa stia succedendo, ma quando le dita del cacciatore ricompaiono strette attorno al suo sesso lui dimentica ogni pensiero, getta la testa indietro e quasi urla il suo nome.
I gesti del cacciatore sono rapidi, esigenti, vuole portarlo al limite e vuole farlo in fretta, come testimoniano le sue labbra, che ad un tratto iniziano a percorrere frettolose la piega morbida dell'inguine dell'ex angelo.
Lui inizia a gemere incoerentemente, ansimi bollenti come l'aria che circonda il suo corpo, e tutto quello che può fare è cercare di spingersi nella mano di Dean. I movimenti di entrambi sono disconnessi, frenetici, e quando il maggiore dei Winchester perde un paio di volte la presa e sembra quasi doversi concentrare per riprenderla, Castiel realizza che si sta masturbando, probabilmente a ritmo con le stesse spinte che regala a lui. La consapevolezza spedisce un brivido lungo la sua schiena che nulla ha a che fare con il freddo, e che lo fa inarcare, ancora e ancora, con gli occhi ciechi fissi al soffitto, le dita che cercando inutilmente pelle da toccare.
Non vuole che lui venga nella sua mano, vuole essere lui a farlo venire, vuole che urli il suo nome, ma quando la bocca di Dean si chiude attorno ad uno dei suoi testicoli, mugola e poi succhia, Castiel perde anche quel pensiero coerente, geme forte e si spegne tra le ultime carezze del cacciatore.
Il maggiore dei Winchester si muove rapido, riemerge da sotto la coperta e lo bacia, affonda nella sua bocca prima ancora che abbia ripreso fiato, e una delle sue mani è ancora nascosta alla vista, stretta attorno al proprio sesso.
L'ex angelo la cerca frenetico, mentre morde a sua volta la lingua di Dean, e stringe le dita alla base della sua erezione.
Lui geme, sfugge al suo sguardo e si nasconde nella piega del suo collo, e Castiel appoggia una mano sulla sua schiena e se lo spinge contro, sempre più vicino. Si strusciano, si baciano e si chiamano, mentre Dean insegue l'orgasmo tra le dita dell'ex angelo.
«Ti.. ti amo, Cas» ansima, tra un gemito e l'altro, facendolo sorridere.
«Anche io» sussurra, premendo con il pollice sulla punta umida, e il cacciatore si inarca con violenza, una frustata che gli piega la schiena, e poi si rilassa tra le sue braccia con un lungo ringhio sofferto.

Quello che resta della notte lo trascorrono così, Dean sdraiato completamente sul corpo di Castiel, le labbra premute sul suo collo e un braccio del moro a cingergli la vita.
Al mattino, quando Sam chiederà all'ex angelo se ha ancora freddo, lui risponderà con un piccolo sorriso di aver trovato il modo di scaldarsi, e guarderà di sottecchi il maggiore dei Winchester. Lui tentennerà un attimo, ma poi allungherà una mano e intreccerà le proprie dita alle sue, sul tavolo, dove il fratello può vederli, e fingerà di non sentire il finalmente che esalerà il più giovane con un sorriso soddisfatto sulle labbra.
E allora, il freddo verrà dimenticato insieme a tutte le altre paure.




























Nda
Salve <3
Quanto tempo, eh?
Sappiate che scrivere questo capitolo è stata una corsa contro il tempo, ma ne è valsa la pena, perchè sono molto soddisfatta.
Va beh, il prompt è vecchio come il mondo, Castiel che ha freddo ispira cose e Castiel che ha freddo nel bunker è la vita. Povero Dean, cosa gli tocca fare.
Spero di non essere andata OOC, ma a me non sembra poi così male.
Alle recensioni, arretrate e non, risponderò spero in settimana, ma cercate di avere un po' di pazienza.
Come al solito un grande bacio alla mia beta, e a certe personcine carine carine che stanno dietro allo schermo di un cellulare aspettando spoiler sui capitoli futuri. Un grande abbraccio a tutte, ragazze, siete la mia gioia<3
E niente, buona settimana, fate i bravi e ci si rivede più in là.
Fanie

 

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Capitolo 68
*** Pride ***


Rating: Giallo, per i contenuti.
Genere: Fluff, romantico credo.
Contesto: Prima dell'inizio, una Wincest high school.
Note: Non è niente di speciale, ma era tanto che non scrivevo Weecest. Non sto qua a spiegarvi il titolo (che già da sè dice molte cose) e ci si rivede nelle NdA.



 

Pride



La spallata arrivò nel momento esatto in cui Sam appoggiava la mano sulla maniglia a spinta della porta d'ingresso alla Williamston High Scholl, nel Michigan, e lo fece piombare in avanti.
Il giovane cacciatore ruzzolò a terra, sul cemento umido del piazzale d'ingresso, i libri che reggeva in mano sparsi attorno a lui, mentre nelle orecchie gli esplodeva la risata affettata del gruppo di adolescenti fermi davanti a lui.
«Guardate, la principessina è caduta» ghignò uno di loro -Mark, ricordò Sam, Mark Hellis- «perché non la aiutate ad alzarsi?»
Prima ancora che lui potesse muoversi, due ragazzi che non conosceva gli furono accanto, e lo sollevarono di peso per le spalle, rimettendolo in piedi e tenendolo fermo per le braccia.
Erano tutti molto più grandi di lui, probabilmente all'ultimo anno, e ormai il giovane Winchester frequentava quella scuola da abbastanza settimane da sapere che si divertivano a prendere di mira i nuovi arrivati. Nemmeno lui era scampato a quella sorte, anche se aveva fatto del suo meglio per tenere il profilo basso.
Normalmente, veniva preso in giro per i vestiti dismessi, per tutti i libri che si portava dietro, per i suoi voti altri, ma questa volta la ragione era tutta particolare, e Sam aveva intenzione di impedire ad ogni costo che giungesse alle orecchie di suo fratello, o ancora peggio, di suo padre.
«Allora, dove correvi in tutta fretta, dolcezza?» chiese Mark, avvicinandosi a lui di un passo «dal tuo ragazzo?»
Sam digrignò i denti, mentre in automatico la sua mente elaborava la situazione, valutando le vie di fuga.
Hellis era alto e ben piazzato, ma lui era più veloce e di certo meglio addestrato. Dei due che lo tenevano fermo si sarebbe potuto liberare con una gomitata, e a Mark avrebbe potuto fa saltare un dente senza problemi, o ridurlo in ginocchio con un pungo allo stomaco. Sarebbe stato divertente, certo, ma profondamente umiliante. Poteva quasi vedere davanti agli occhi l'immagine dell'espressione delusa di Dean, se lo avesse visto fare a botte.
«Lasciami stare, Hellis» sputò, mentre con lo sguardo percorreva la strada deserta, preoccupato di poter vedere comparire l'Impala da un momento all'altro.
«E perché mai?» ghignò il ragazzo, afferrandolo per il bavero e sollevandolo quasi da terra «non vedo perché dovrei stare a sentire un finocchio»
Intorno a loro un gruppo di ragazzi si era fermato a guardare, chiudendoli in un cerchio che li separava dalla vista sia del parcheggio che dell'interno della scuola. Erano tagliati fuori.
«Non sono un finocchio» disse Sam, desideroso di uscire da quella situazione senza finire coinvolto in una rissa, e prima che Dean arrivasse a prenderlo come faceva ogni giorno.
Mark rise, e con lui gli altri ragazzi che tenevano fermo il giovane cacciatore.
«Ti abbiamo visto tutti, Winchester, tu e quel ragazzo biondo con la macchina nera. Chi è, il tuo amichetto speciale?»
Sam strinse i pugni. Non lo avrebbe mai colpito per primo, ma si sarebbe di sicuro difeso.
«Non sono affari tuoi» sibilò.
«Oh, ma allora è vero! Abbiamo veramente un finocchio tra noi» ridacchiò lui, e il giovane cacciatore avvertì dentro di sé il desiderio inarrestabile di spaccargli la faccia.
Riuscì a trattenersi dal divincolarsi, ma in compenso gli sputò addosso.
Mark rimase per un attimo interdetto, poi la sua espressione mutò all'improvviso, e prima ancora che Sam potesse contrarre i muscoli e prepararsi al colpo, il pugno si schiantò contro il suo addome e lo mandò bocconi per terra.
Alcune urla spaventate si levarono dalla platea di studenti, ma nessuno si mosse davvero per aiutarlo. Alcuni, scandivano il nome di Mark come un incitamento a proseguire.
Sam ansimò a corto di fiato, le ginocchia sopra ai propri libri ancora a terra, e vide i piedi di Hellis avvicinarsi al proprio viso.
«Non che ti cambi qualcosa, in effetti» ghignò il ragazzo, pulendosi il viso con una manica «dovresti essere abituato a stare in ginocchio»
I due alle spalle di Sam risero, e lui strinse i denti e i pugni. Fece per alzarsi, ma un piccolo calcio al fianco lo mandò disteso per terra, gli occhi rivolti alla porta d'ingresso della scuola. Il corridoio era libero, quasi nessuno si aggirava ancora tra gli armadietti. Nessuno che potesse aiutarlo ad uscire da quella situazione senza necessariamente mettere in pratica il proprio addestramento da cacciatore.
Sam si voltò a pancia in su, cercando di capire se avesse riportato davvero delle ferite, ma sembrava tutto a posto. Lentamente si risollevò sulle ginocchia, ignorando il leggero dolore allo stomaco, e poi con un rapido movimento fu in piedi. Automaticamente i due ragazzi alle sue spalle lo afferrarono per i gomiti, ma lui fu svelto a scansarsi e colpirli sul mento, mandandoli a terra.
Mark ululò e gli saltò addosso, e lui scartò di lato appena in tempo per evitare il primo pugno, ma non il secondo.
Il sapore del sangue gli invase la bocca mentre il labbro spaccato gli sanguinava sul mento, e lui cadde in ginocchio, di nuovo. Hellis lo afferrò per i capelli, strattonandolo fino a fargli salire le lacrime agli occhi per il dolore, e caricò il terzo pugno.
A giudicare dalla forza che intendeva metterci, Sam valutò che gli avrebbe come minimo rotto il naso. Spiegarlo a suo padre sarebbe stato molto spiacevole.
Chiuse gli occhi un attimo prima di avvertire il movimento d'aria che gli avrebbe spaccato la faccia, e contrasse i muscoli sperando che non fosse troppo doloroso.
Ma non successe niente.
Riaprì gli occhi incerto, in tempo per vedere la mano di Dean afferrare più saldamente il polso già bloccato di Mark e piegarlo all'indietro, dietro la schiena, e buttarlo a terra con un calcio dietro alle ginocchia.
«Impara a prendertela con quelli della tua taglia» soffiò il maggiore dei Winchester con la sua solita faccia da schiaffi, un attimo prima di rivolgere la propria attenzione a suo fratello e tirarlo in piedi di peso.
«Stai bene?» chiese, già con le mani sul suo viso a controllare eventuali tagli o abrasioni.
Intorno a loro, nessuno si era mosso, ma Dean parve non curarsene minimamente.
«Sì, è tutto okay» rispose il più piccolo, desiderando, contro ogni logica razionale, che lui lo abbracciasse. Ma non sarebbe stato saggio, non dopo essere appena stato accusato pubblicamente di essere gay e di farsela con un ragazzo biondo che non poteva essere altri che lui.
In quel momento, Mark si rialzò in piedi. «Guarda guarda, è arrivata l'altra checca. Winchester, ti nascondi dietro al tuo principe azzurro?» chiese con un sorriso stampato in faccia.
Sam digrignò i denti, mentre Dean corrugava le sopracciglia.
«Cosa?» chiese, voltandosi verso il bullo.
«Sei sordo, oltre che finocchio?» ribattè lui, mentre gli altri due lo raggiungevano, finalmente in piedi.
Il maggiore dei Winchester rimase interdetto, per un attimo, poi si rivolse a suo fratello. «Credono che io e te stiamo insieme?» chiese, a voce abbastanza alta perché tutti lo potessero sentire.
Sam annuì lentamente, cercando di capire cosa Dean stesse per fare.
Lui scoppiò a ridere, gettando la testa indietro. Era un risata falsa, suo fratello lo capì immediatamente, ma nessuno oltre a lui se ne accorse. All'improvviso smise di ridere, si voltò di scatto e avanzò verso Mark.
Vederlo arretrare colto di sorpresa strappò a Sam un sospiro sollevato e a Dean un ghignò compiaciuto.
«Mi chiamo Dean Winchester, e lui è mio fratello» sibilò «scusa tanto se non ti stringo la mano»
Le spalle di Hellis piovvero immediatamente verso il basso, e lui non potè fare altro che scansarsi quando il più piccolo, dopo aver raccolto in fretta e furia i propri libri da terra, si lasciò prendere per un polso dal maggiore e lo seguì oltre alla barriera di folla fino al parcheggio, verso l'Impala, parcheggiata tra gli alberi.

Sam trotterellava a fatica dietro alle grandi falcate di Dean, che rallentò solo quando furono oltre il muro perimetrale della scuola. «Scusa, non volevo farmi coinvolgere» mormorò il più giovane, con gli occhi bassi.
Lui scrollò le spalle, aprendo la portiera e lasciando che il minore gettasse i libri sul sedile posteriore. «Non fa niente. È stato divertente»
«Per me un po' meno»
Dean si voltò a guardarlo, appoggiandogli una mano sul viso e osservando attentamente il leggero taglietto sul labbro. Sam arrossì, a disagio.
«Dean... ci guardano» mormorò, e il maggiore gettò uno sguardo intorno a sé, cogliendo almeno venti o trenta sguardi ancora fissi su di loro.
Sorrise, riportando la propria attenzione sul fratello. «Papà ha chiuso il caso stamattina, ripartiamo in giornata. Quindi, lascia pure che guardino» mormorò, e si chinò a baciargli le labbra.
Sam gli circondò il collo con le braccia, sorrise e lo baciò a sua volta, con trasporto, per una volta incurante di tutte le occhiate e i commenti che ci sarebbero potuti essere.
Si lasciò dischiudere le labbra dalla lingua del fratello, e gli permise di insinuarsi cautamente nella sua bocca, come ogni volta.
Si separarono senza lasciarsi andare, e Sam appoggiò la fronte contro la spalla di suo fratello, sorridendo perché solo un momento prima si era quasi fatto pestare per custodire il segreto che aveva appena sbandierato al mondo.
«Sali in macchina» soffiò Dean al suo orecchio «il resto a casa»

Dall'altra parte del parcheggio Mark Hellis osservava la scena allibito.

























NdA
Salve a tutti. 
Ho rivisto il layout e aggiunto le NdA come promesso.
Il tema è quello che è, prendete tutto con leggerezza perchè a me tra Family Day e altre cose mi è salito un urto che metà basta, quindi non mi metto neanche qua a dire cose ovvie. 
Non è mia intenzione nè mettermi a fare politica nè offendere la morale di nessuno, ma certe volte se gli ipocriti stessero zitti si vivrebbe meglio.
Beh, niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se era una cosina corta e molto meh -questo è quello che succede quando non si ha tempo di respirare e l'ispirazione gioca a nascondino nel cassetto dei calzini-, e niente, ci si rivede lunedì prossimo.
Un bacio grande a tutti, e a presto<3
Fanie

 

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Capitolo 69
*** Bite me ***


Rating: Tra giallo e verde.
Genere: Fluff, un filino malinconico ma neanche ce ne si accorge, sentimentale.
Contesto: Ottava stagione, spoiler fino al settimo episodio, quindi tutto quello che riguarda il Purgatorio.
Note: Il paring ve lo segnalo nelle NdA, ma fatemi il favore di non sbirciare e leggete direttamente. Liberi di dare la caccia ai doppi sensi, perchè ce ne sono ovunque.
Un grande bacio alla mia beta, che mi ha dato il prompt all'ultimo minuto e la amo per questo.

 

Bite me




Il Purgatorio è un luogo puro.
Nonostante la rabbia, la paura, i sensi costantemente all'erta e le creature abominevoli che lo popolano, Dean non ha alcun dubbio su questo.
Ha speso un anno intero della sua vita in quel fetido buco, spaventato dalla sua stessa ombra e con la lucida certezza di non poterne mai uscire, alla costante ricerca di qualcuno prima e di qualcosa poi, e il suo unico desiderio per tutto il tempo è stato trovare il modo di scappare. È stato così concentrato sull'andarsene, sul rivedere la Terra, Sam, l'Impala, che ogni sua energia si è addensata in questo, nella via d'uscita, senza soffermarsi su nient'altro.
Ha dovuto compiere tante scelte, alcune di cui non si pente -Castiel era sua responsabilità, compito suo proteggerlo dopo tutte le volte che l'angelo aveva protetto lui, e ritrovarlo era la cosa giusta da fare, anche se è stato un rischio per tutti- e altre di cui dovrebbe almeno vergognarsi -Benny, in fondo, non era niente di più di un succhiasangue, un essere disgustoso appartenente al mondo che il cacciatore ha speso la vita a combattere, e allearsi con lui dovrebbe essere per Dean un'onta sulla sua anima martoriata- ma nonostante tutto non è così.
Laggiù, in Purgatorio, le leggi naturali che governano la Terra non hanno alcun valore. Niente morale, niente fiducia, niente giustizia. Eppure, in tutta quella paura, Dean è riuscito comunque a trovare qualcuno a cui legarsi, qualcuno che lo ha accompagnato nella sua folle ricerca, e che gli ha dimostrato giorno per giorno che non è vero che in Purgatorio non ci si può fidare di nessuno.

Dopo Sam e Cas, Benny è il primo vero amico che il cacciatore si sia permesso di avere. Zanne a parte, Dean si è affezionato a lui.
Un pensiero come questo un po' dovrebbe disgustarlo. Dopotutto, un Winchester non dovrebbe nemmeno permettere ad una creatura come quella di esistere, figurarsi di avvicinarsi così tanto -fisicamente e non- da arrivare a chiamarlo “fratello”.
Eppure, lui non riesce a pentirsene.
Forse, è solo la purezza del Purgatorio che si ripercuote su di lui, lavando via leggi autoimposte e pregiudizi, e spegnendo a forza quella piccola voce dentro la sua testa che ancora osa urlargli, con la voce ormai quasi dimenticata di John Winchester, che i vampiri sono cattivi.
Benny non lo sembra.
Benny lo ha salvato.
Benny lo ha aiutato a trovare Castiel.
Benny è suo amico.
Benny-

C'è un piccolo cortocircuito, nella mente di Dean, ogni volta che ci pensa.
Cos'è il vampiro, per lui? Cos'è che il Purgatorio ha sbloccato, dentro la sua testa, per portarlo a farsi una domanda come questa?
Cosa c'è di così grosso, lì dentro, nascosto da più di trent'anni di vita da cacciatore al fianco di un fratello da proteggere e di un padre da imitare, da non voler venire a galla nemmeno nel luogo in cui ogni peccato è perdonato?
Forse, quello non è un peccato, ma Dean non è ancora pronto a perdonarsi.

Benny, comunque, resta al suo fianco, lo accompagna fin sulle sponde di un ruscello nelle profondità di quella tetra foresta, e lo guarda abbracciare il suo angelo distrutto. Combatte con lui, gli salva la vita, la salva a Castiel. Guida entrambi lungo una strada che conosce solo lui, alla ricerca di un portale che potrebbe anche non esistere.
Mantiene la promessa che ha fatto, nonostante i pericoli e i battibecchi. Dean si sente in debito.

È per questo che non esita un secondo a sfoderare il pugnare e a ferirsi il braccio.
Castiel lo osserva attonito recitare poche parole in latino, e poi restano da soli, loro due, ma Dean non si è mai sentito così completo.
In quel momento non c'è il tempo di pensarci, per cui afferra il braccio dell'angelo e lo trascina con sé, verso la loro via di fuga. Sente Benny agitarsi dentro di sé, il suo calore e la sua forza risalirgli il braccio e diffondersi nelle sue vene, come sangue, come brividi. È una sensazione euforica, non saprebbe come altro descriverla.

Nonostante quello che succede dopo, resta straordinario anche quando il portale si richiude e lui si ritrova da solo, sulla Terra.
I primi istanti -le prime ore- sono frenetiche. Cibo, una macchina, un posto in cui farsi una doccia e dormire, un telefono.
Sam non risponde, Cas è rimasto indietro. Fa un po' paura.
Ma c'è ancora questo calore, dentro di lui, questa sensazione di perfezione che lo pervade, che riecheggia al ritmo del suo battito cardiaco, e Dean sa che è Benny.
Non aver paura, fratello, ce l'abbiamo fatta.
Dean si agita un po', perché è come avere qualcosa che ti si infila a forza tra le pieghe della pelle, ed è un po' ruvido, un po' scomodo, ma non è niente che non può sopportare, niente che non si aspettasse.
Quello che non si aspettava, invece, è il vampiro che, nella sua testa e da qualche parte tra lo sterno e il diaframma si contorce, si mette comodo, sembra sgranchirsi le gambe. Dean lo immagina intrecciare le dita dietro alla nuca, come lo ha visto fare centinaia di volte laggiù, e sorride un po'.
Lo trovi divertente?
A dire il vero sì.
Cerca di dormire, invece di fare lo spiritoso.
Ma Dean è troppo agitato, i rumori delle macchine e i sobbalzi dell'autobus su cui sta viaggiando sono troppo simili alle cose che ha visto e sentito in Purgatorio, non gli permettono di scollegare la mente e lasciarsi andare al sonno di cui ha bisogno.
Ed è così che succede. Forse Benny lo ha sentito, forse lo avrebbe fatto comunque.
Il vampiro inizia a fischiettare, piano, abbastanza forte da isolare il cacciatore in un mondo a parte ma non troppo da tenerlo vigile. E Dean si addormenta con la stessa canzone che canticchiavano entrambi quando combattevano insieme in Purgatorio.

In tutto, ci vogliono quattro giorni per raggiungere il cimitero in cui è sepolto Benny.
Durante il viaggio, Dean impara molte cose sulla fame dei vampiri.
All'inizio, nemmeno la sente. Ogni cosa è calda, e c'è il tocco ruvido di Benny lungo la sua colonna vertebrale, tra le costole, sulle clavicole. Ogni tanto lo sente da qualche parte dentro i polmoni, ma non è inquietante come sembra, o come dovrebbe essere. È qualcosa che il cacciatore tollera più che volentieri.
Solo che poi i giorni passano, e il vampiro si fa sempre più irrequieto, nella sua testa. Le poche ore di sonno che il maggiore dei Winchester si concede sono tormentate, sogna il Purgatorio e sangue, fiumi di sangue e gole squarciate. Ogni volta che si sveglia di soprassalto, Benny sussurra scusami, come se gli incubi fossero causa sua. Probabilmente lo sono, ma Dean non gliene fa una colpa.

L'ultima sera è la peggiore.
Dean è stanco, ha camminato per ore sotto al sole con quel ridicolo zaino sulle spalle, il vampiro si è agitato tutto il giorno e inizia a sentirsi debole, esausto, feroce. Sa che non riusciranno a controllarsi ancora a lungo, ma sente che Benny è molto più vicino al tracollo di lui.
Ormai è quasi finita, pensa quando si lascia cadere sdraiato sul lurido materasso di una pessima stanza di motel che si può permettere per miracolo.
Domani è l'ultimo giorno di viaggio dice il vampiro nella sua testa, con una voce calma e tesa, esausta.
Dean chiude gli occhi per cercare di dormire -dovranno ripartire presto, nella speranza di trovare qualcuno disposto a dare loro un passaggio- ma il nodo stretto che gli attanaglia lo stomaco non glielo permette. È così da alcune ore, e non c'è dubbio che sia Benny a causarlo.
Rilassati, pensa, non riesco a riposarmi se sei così teso.
Non posso. Se mi lascio andare, non so che effetti la mia fame potrebbe avere su di te.
Dean può controllarla, lo sa. È già stato vampiro in passato, nel periodo in cui Sam era senz'anima e cacciavano insieme a loro nonno. Sarebbe una storia interessante, in effetti.
Me l'hai raccontata in Purgatorio. Ma io sono abituato a sopportarla, tu no.
D'accordo, è vero, ma questo non toglie che il cacciatore non riesce a dormire in quello stato, e sentire la voce di Benny affettata sempre di più è insopportabile, fisicamente doloroso.
Ti prego, si ritrova a pensare, lasciami provare.
Per poco. Solo per poco.
E quel “poco” diventa tutta la notte.
Non è doloroso, Dean riesce a restare padrone di sé, e perfino a dormire. Incredibilmente, la sensazione di avere finalmente Benny rilassato dentro di sé è sufficiente a contrastare perfino la fame di un vampiro che non tocca sangue da decenni.
Un paio di volte si sveglia, però, e si ritrova a pensare, da solo nel buio, mentre perfino Benny pare addormentato.
Una volta lasciata andare la fame -condivisa-, sotto la superficie sono comparse altre sensazioni. C'è ancora quel calore permeante che scorre nelle vene del cacciatore pur non essendo parte di lui -curioso, visto che i succhiasangue dovrebbero essere freddi-, ma c'è dell'altro. C'è questa appartenenza, questo senso di protezione che lo invade a ondate leggere, qualcosa che non aveva mai provato per nessuno che non fosse Sam. Chissà, se è una sensazione sua o di Benny.
E poi c'è la pace, la calma assoluta che nessuno dovrebbe provare quando un vampiro abita il tuo corpo, la tranquillità di chi è a casa propria.
Sogghigna, il cacciatore, pensando che forse il succhiasangue è un po' troppo comodo, lì dentro.
In effetti sei un po' stretto, Winchester.
E Dean sorride apertamente, ad occhi chiusi.

Venti ore dopo, Dean ha di nuovo un coltello in mano. Come quattro giorni prima in una terra desolata dimenticata da Dio, si apre uno squarcio sul braccio.
Il sangue gocciola nella fossa sotto di lui, e il cacciaotore si appoggia con una mano al terreno su cui siede, le gambe a penzoloni sopra allo scheletro di Benny.
Poche parole in latino, e la stessa luce e lo stesso calore che hanno abitato il suo corpo negli ultimi giorni fluiscono via, lasciandolo di nuovo se stesso, vuoto e freddo. È curioso, come una sensazione che per chiunque sarebbe liberatoria, a lui sembri solo mortificante.

Una mano si appoggia sulla sua spalla, grande e calda, e il suo sguardo si alza automaticamente verso l'alto, negli occhi di Benny.
«Ce l'abbiamo fatta, fratello»
«Sembra di sì»
Le dita di Dean si saldano a quelle del vampiro e lui lo rimette in piedi, abbracciandolo.
«Non ci posso credere di essermi finalmente liberato di te» ridacchia il cacciatore, lasciandolo andare.
«Ammettilo, già ti manco» ghigna il vampiro.
Lui scrolla le spalle, sorridendo, sudato e con le mani e il viso sporchi di terra di cimitero.
Benny gli da una pacca sulla spalla, sorride, entrambi guardano la tomba vuota.
Sembra quasi che stiano prendendo tempo.
In fondo, hanno visto troppo l'uno dell'altro, in quei quattro giorni e nell'ultimo anno, per potersi lasciar andare così, pieni di rimpianti.
«Ora che farai?» chiede il vampiro.
Dean si tocca la tasca dei jeans, dove il cellulare che si è procurato conta un paio di chiamate a tutti i numeri di Sam che riesce a ricordare. Nessuna risposta.
«Non lo so» ammette «riprenderò a cacciare, presumo. Tu?»
Il vampiro sorride. «Rapirò vergini nel cuore della notte, sgozzerò bambini e aggredirò vecchiette per bere il loro sangue»
Al maggiore dei Winchester non è chiaro come sia arrivato a poter ridere di una cosa del genere, a capire l'umorismo di Benny e a lasciarsi contagiare, ma è fin troppo facile dargli una spallata e ridere ancora più forte.
Lui lo fissa con un leggero sorriso, il sorriso malinconico di chi sta per perdere qualcosa di bello e lo guarda per l'ultima volta prima di lasciarlo andare.
Dean se ne accorge, smette di ridere e ricambia lo stesso sorriso. Sanno troppo l'uno dell'altro, per lasciare tutto in sospeso.
Si dicono altre sciocchezze, Dean ripone la pala nello zaino e si alliscia la camicia, poi si abbracciano ancora. Il vampiro struscia il viso nel suo collo, sembra allontanarsene a forza.
«Come va la fame? Puoi controllarti?» chiede il cacciatore, preoccupato, con una mano sulla sua spalla.
Lui annuisce, poi un leggero ghigno si fa largo sulle sue labbra. «Non preoccuparti, non ti morderò. A meno che...» si lecca le labbra, e Dean non riesce ad impedirsi di seguire il movimento con lo sguardo «tu non voglia che io lo faccia»
È troppo ironico, troppo vicino allo scherzo per poterlo essere davvero.
Ed è troppo diretta, troppo facile come scelta.
Il cacciatore sa che non è una battuta, sa che ci stanno girando intorno da ben prima di uscire dal Purgatorio, sa che c'è una precisa ragione se si fida così tanto di Benny, se sono rimasti l'uno accanto all'altro per un anno intero.
È spaventoso, sia il fatto che sia un vampiro, sia il fatto che sia un uomo. Nel complesso, è terrorizzante.
Però c'è da dire che Dean Winchester non si lascia spaventare facilmente.
«Fanculo» sbotta, poi lo bacia.
Benny ricambia, perché se lo aspettava da un pezzo, e avanza stringendolo per gli avambracci fino ad appoggiargli la schiena ad una vecchia lapide, abbastanza alta da permettergli di premere il corpo del cacciatore sulla pietra dura.
Schiudergli le labbra è facile, un po' perché il maggiore dei Winchester non si aspettava una reazione così violenta, e un po' perché alla fine lo vuole anche lui.
Quando Dean sente Benny mordicchiargli il labbro inferiore, geme senza poterselo impedire.
Quando però la seconda fila di denti affonda appena nella sua lingua, si ritrae di scatto, ritrovandosi a mettere a fuoco un ghigno divertito del vampiro che si lecca le labbra, soddisfatto.
«Guarda che non ti ho dato il permesso di mordermi» sbuffa, seccato.
«Non mi sei sembrato particolarmente contrariato» ribatte lui, avvicinando il loro visi e afferrandolo per i fianchi. Dean sussulta.
«Invece lo sono» risponde, facendo il sostenuto, mentre in realtà le gambe minacciano di cedere da un momento all'altro.
E solo per un bacio.
«Guarda che posso controllarmi. E alla fine, sei così acido che perfino il tuo sangue è disgustoso» ghigna il vampiro, facendolo sorridere.
«Ma quanto sei simpatico»
«Lo dico anch'io»
E l'attimo dopo si stanno baciando di nuovo.






























NdA
Per chi viene dall'alto (vergogna) (scherzo) è una DENNY (Dean + Benny (il vampiro, per l'amor del cielo!))

Buonasera a tutti.
Scusate il ritardo, ma è stata una settimana impegnativa.
Il titolo... beh. So che è una citazione di Balth e poi di Cas, ma non potevo non metterla.
Spero vi sia piaciuto, perchè io mi sono divertita un casino a scriverla e non mi sembra di essere andata così tanto OOC.
All'inizio volevo tenermi il Purgatorio come contesto di una Destiel, ma poi questi due... giusto per dirla con le parole della mia beta, "tanta roba".
E quindi niente, scriverò comunque anche la Destiel xD
That's all, buon proseguimento e alla prossima.
Un abbraccio,
Fanie


 

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Capitolo 70
*** The touch of your hands ***


Rating: Giallo.
Genere: Malinconico e molto, molto introspettivo. Non so ancora come sia potuto succedere.
Contesto: Quinta stagione.
Note: È una Sabriel, ma è un po' meno bene di quello che speravo di cavarci. Introspettivissima, preparatevi, e... boh, in pratica non c'è niente.
Spero che non vi faccia tanto schifo.
Ci si vede giù.

 

The touch of your hands



C'era qualcosa di profondamente consapevole nel modo che aveva Gabriel di accarezzare la pelle esposta del corpo di Sam.
Era lento, metodico, preciso, si aggrappava con gli occhi e con il pensiero ad ogni lembo scoperto e lo toccava, con attenzione e sicurezza.
Non parlava quasi mai, quando lo sfiorava in quel modo, lo guardava e basta, con il viso contratto da una concentrazione estrema, sacra, e lo spingeva a sussultare ad ogni battito di ciglia.
Era un tocco diverso da quello che usava per spogliarlo, o per richiamarlo a sé ogni volta che il cacciatore si perdeva tra i pensieri sull'Apocalisse e i sensi di colpa per il passato. Quando lo accarezzava, che fosse con le mani, con le labbra o con la lingua, non era malizioso, o esigente, o disperato, o supplichevole. Era calmo, fermo e delicato, e allo stesso tempo sicuro, rassicurante e dominante. Non aveva importanza che fosse in piedi, o seduto sul letto, o inginocchiato sul pavimento, o sdraiato sotto al corpo di Sam, o a cavalcioni del suo grembo, era sempre lui ad avere il controllo in quei tocchi, ad imprigionare il cacciatore con i propri occhi in uno stallo di silenzio e fiato spezzato.
Non aveva importanza nemmeno il momento o il luogo, la sofferenza e la disperazione in cui le loro vite annegavano, la calma surreale che prometteva tempesta, il silenzioso rimpianto di ciò che era perso, i dubbi sul passato e la paura del futuro. Ogni cosa perdeva significato nel momento in cui Gabriel appoggiava le proprie mani e la propria bocca sul corpo di Sam, quando nessun suono scorreva più tra di loro a parte i loro respiri, e tutto il resto rimaneva chiuso fuori.

Da quando era successo, da quando un'ennesima battaglia li aveva spinti così inesorabilmente l'uno verso l'altro, tutte le convinzioni del cacciatore si erano ridotte in frantumi. Quel poco che rimaneva saldo in lui, era legato alle dita dell'arcangelo sulla propria pelle, ed era stranamente abbastanza per non crollare.
Non si era mai chiesto -non se lo era permesso- cosa di quello che accadeva tra lui e Gabriel fosse così indispensabile per lui, così necessario come l'aria. Forse, era troppo spaventato dalla possibilità di scoprire che era lui stesso, la sua essenza, la sua presenza e la sua stessa esistenza a renderlo così assuefatto, a permettergli di essere qualcosa di diverso da se stesso -un cacciatore, un martire, il tramite di Lucifero-, qualcosa di un po' più vicino a quello che avrebbe voluto essere -un uomo libero, un fratello migliore, una creatura un po' meno spezzata-.
E ci pensava, ogni tanto, quando erano insieme, quando le cose sembravano essere meno inaffrontabili, quando il mondo là fuori era meno distrutto e quando il futuro sembrava quasi esistere, ma la verità è che nessun pensiero sopravviveva intatto al tocco di Gabriel, alle sue mani e alle sue labbra, e allora Sam lasciava perdere.
E andava bene.

C'era stato un momento, ad un certo punto, in cui si era sforzato di essere migliore. Si era detto che se davvero l'arcangelo voleva lui, si meritava almeno di avere tutto ciò che il cacciatore poteva dargli.
E così ci aveva provato, aveva nascosto i propri demoni, si era lasciato toccare e accarezzare, aveva seppellito le proprie paure e le proprie insicurezze, e si era mostrato a quegli occhi ambrati nel modo migliore possibile, nel mondo più normale possibile.
Aveva chiuso dentro di sé tutto quello che lo aveva reso diverso, in passato, tutto ciò che gli ricordava il sangue di demone, o la morte di Jessica, o i litigi con suo padre. E ancora tutto quello che lo rendeva il tramite di Lucifero, le delusioni date a Dean, la paura di non essere all'altezza del compito.
Si era mostrato a lui come avrebbe voluto essere, meno cacciatore e più uomo, meno rovinato e più normale, ricacciando indietro tutti quegli aspetti di sé che lo rendevano, a tutti gli effetti, un Winchester.
Si era lasciato baciare, toccare e stringere, pregando che fosse abbastanza, che Gabriel non vedesse quello che lui aveva così faticosamente cercato di nascondere. Si era detto che lui sarebbe valso qualsiasi sforzo, e quello non era niente in confronto a quello che avrebbe voluto essere in grado di fare.
Ma Gabriel, con quelle mani e quelle labbra e quella lingua, lo aveva ancorato di nuovo a sé, lo aveva stretto e baciato, e mentre con le dita lo toccava ancora e ancora, in quel modo consapevole e perfetto e lo sguardo concentrato di chi ha una meta e intende arrivarci, si era piegato su di lui, con le ginocchia puntate sulle lenzuola sfatte e il bacino a cavalcioni dei suoi fianchi, e gli aveva sussurrato all'orecchio quanto stupido fosse il suo meraviglioso cacciatore.
«Stai facendo uno sforzo enorme solo per apparire normale agli occhi di questo mondo, Sam Winchester, ma non lo sei» aveva detto, stringendoselo addosso, mentre lui ansimava sulla sua bocca. «Tu sei straordinario. Lo sei sempre stato, e lo sarai sempre»

E alla fine lui ci aveva creduto, creduto davvero.
Era stato proprio quello che Gabriel voleva, se stesso, e lo era stato con i propri demoni, le proprie paure, le proprie insicurezze e tutta la fragilità, il senso di colpa. Si era lasciato vedere nudo in ogni modo possibile, e nemmeno una volta si era pentito di averlo fatto.
L'arcangelo, con le sue mani sicure e il tocco delle labbra, lo aveva reso migliore senza cambiarlo, gli aveva mostrato che anche nelle peggiori sofferenze esiste la luce, ed era stato lì per lui, la sua ancora di salvezza perfino durante la fine del mondo.
Arrendendosi alle sue carezze, Sam si era garantito una felicità che non credeva che potesse appartenere alla sua vita, e l'aveva stretta così forte che alla fine nemmeno il Diavolo era riuscito a portargliela via.


All'inizio di loro, quando l'Apocalisse era più lontana e il mondo non era ad un passo dal crollo, quando le mani dell'arcangelo non lo avevano ancora reso schiavo di qualcosa che non avrebbe mai creduto di poter desiderare, il cacciatore era stato arreso all'idea che quello che lui gli stava dando era troppo, e non se lo meritava. Aveva cercato di allontanarlo, di tenere le distanze, di negare quanto in profondità Gabriel avesse già scavato la sua pelle e la sua anima.
All'inzio di loro, quando uno era ancora solo un trickster e l'altro solo un cacciatore, quando Sam era appena un sogno mascherato da desiderio e non una necessità impressa a fuoco sulla sua Grazia, l'arcangelo si era chiesto fino a che punto fosse prudente spingersi per un umano, per comprendere una creatura così diversa. Aveva cercato di fargli capire quale meraviglioso essere fosse, e si era sempre scontrato con un muro impenetrabile.
All'inizio di loro, quando Lucifero era quasi solo un mito e la speranza esisteva ancora, quando il cacciatore ancora pensava che il suo destino fosse quello di ferire sempre le persone che amava, e per questo le teneva lontane, Gabriel lo aveva messo davanti ad un dato di fatto. Gli aveva mostrato quanto di bello ci potesse essere anche in un mondo popolato da mostri e crudele con chi cercava di combatterli, destinato a finire come ogni altra cosa.
Gli aveva detto che tutti meritano di essere felici, anche lui.
Gli aveva detto che c'erano cose che nemmeno l'Apocalisse sarebbe mai stata in grado di distruggere.
Gli aveva chiesto di fidarsi di lui, di lasciarsi andare.

Di quel Sam non si era mai pentito.













NdA
Salve a tutti.
Spero non siate morti nel tragitto.
Sarebbe dovuta essere tutt'altra cosa, ma si vede che questo è quello che succede quando vorresti scrivere e invece devi studiare. Che brutta vita.
Va beh, fatevi sentire, un bacio a tutti e a presto.
Fanie

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Capitolo 71
*** Di sfondi ambigui e cospirazioni segrete ***


Rating: Tra il giallo e il verde.
Genere: Fluff un sacco, romantico e comico.
Contesto: Nona stagione, pochi spoiler sull'andamento generale, nessuna menzione del Marchio perchè altrimenti diventavo matta e niente Sam con postumi da prove perchè in fondo gli voglio bene.
Note: Non vi svelo il paring perchè mi piacerebbe che fosse una sorpresa, ma non è un crack. Sono in astinenza da fluff e si vede.
*Dedica*: A quella che ormai è diventata la mia prompter ufficiale. Ti voglio un sacco bene tesoro mio, spero che sia almeno un po' all'altezza delle aspettative anche se non è esattamente quello che immaginavi<3
E alla mia beta, la geniA dei titoli.

 


Di sfondi ambigui e cospirazioni segrete




Sam voleva bene a suo fratello, davvero. Con tutti i suoi difetti, tutte le sue debolezze, tutti i complessi del martire e lo spirito di sacrificio.
Rispettava le sue scelte -il patto per riportarlo indietro, ad esempio, anche se ci aveva messo mesi (anni) ad accettarlo- e tutte le sue piccole manie, e lo apprezzava esattamente così com'era, senza cercare di cambiarlo.
La dannata musica rock sparata a volume assurdo ad ogni santa ora del giorno era una cosa che ancora, dopo anni e anni, lo mandava fuori di testa, così come il maniacale bisogno di chiudersi costantemente in sé stesso senza parlare mai di quello che lo turbava, costringendo lui a metterlo spalle al muro ogni volta per fargli sputare due parole in croce. Però, tutto sommato, anche quelle erano cose che, con il modo in cui erano cresciuti e la vita che facevano, non erano così incredibili, quindi alla fine Sam capiva.
Ogni tanto, però, c'erano delle situazioni in cui nemmeno lui, dall'alto della sua pluriennale e approfondita conoscenza di Dean Winchester, era in grado di decifrare, o almeno inquadrare in un contesto che sembrasse plausibile, se non esattamente accettabile. In genere, dopo giorni persi a chiedersi il perché di certe strane uscite di suo fratello e occasionali chiacchierate a cuore aperto con il diretto interessato, Sam finiva comunque con il venirne a capo, trovando una soluzione che in partenza gli sarebbe dovuta sembrare ovvia, ma che sul momento ovvia non gli era sembrata affatto. Tanto per citare un esempio, il maniacale attaccamento di Dean al trench di Castiel, quando l'angelo era scomparso nel lago. Sul momento, il minore dei Winchester aveva cercato di giustificarlo come un modo meno doloroso di affrontare la perdita conservando l'unica cosa che restava di quello che era stato, a tutti gli effetti, il migliore amico di suo fratello, ma più ci pensava meno gli sembrava possibile, conoscendolo. Quando però l'angelo era ricomparso, mesi dopo, Sam aveva semplicemente realizzato che Dean non aveva dubitato nemmeno per un momento di poter restituire quel vecchio pezzo di stoffa al suo legittimo proprietario, un giorno. Il maggiore sapeva, prima ancora del suo razionale e fiducioso fratellino, che Cas sarebbe tornato, e Sam si era dato dello stupido per non averci pensato prima.
Quindi sì, in genere il minore dei Winchester aveva una sufficientemente alta considerazione delle proprie capacità intuitive e contemporaneamente un'abbastanza approfondita conoscenza di suo fratello da considerarsi in grado di trovare, presto o tardi, una giustificazione sensata a tutte le cazzate che Dean poteva essere in grado di fare.

Questo, almeno, era quello che credeva prima di quel particolare giorno.
Sedeva, con il laptop sul tavolo davanti a sé e il cellulare di suo fratello in mano, su una delle sedie della sala comune del bunker. Era pomeriggio inoltrato, e la noia di essere da settimane senza un vero caso stava lentamente serpeggiando lungo i freddi corridoi, fino ad avvolgere entrambi i Winchester in un torpore nervoso.
Dean, quello che dei due più soffriva questa forzata immobilità, passava le giornate tra il garage e l'armeria, pulendo e catalogando armi e lucidando l'Impala. Sam, invece, dopo aver definitivamente finito di ordinare gli archivi, si era arreso a compiti meno gratificanti come quello di dare una parvenza abitabile alla loro nuova casa. Si era scelto definitivamente una stanza, come Dean gli ripeteva da settimane, e ci aveva sistemato dentro tutte le sue cose, finalmente non come se dovessero ripartire da un momento all'altro ma come se quella fosse veramente una sede stabile, un posto in cui restare. E quindi, così come aveva fatto suo fratello, aveva attaccato al muro qualche poster e comprato qualche cornice in cui mettere qualcuna delle poche che ancora conservavano. Solo che, al momento della scelta, si era reso conto che molte delle più belle erano state scattate con qualche cellulare e mai stampate, quindi si era risolto a cercare di recuperarne alcune dalle vecchie memorie dei telefonini che ancora conservavano intatti, sperando di essere abbastanza fortunato da trovarne.
Sorprendentemente, si era accorto che la maggior parte esistevano ancora, e che quasi tutte erano state salvate sui vari numeri falsi di Dean. Poi, una volta collegati i cellulari al pc, aveva realizzato che in tutti i dispositivi c'erano le stesse foto, come se fossero state copiate in ogni telefono, e che via via nel tempo alcune erano state scattate con l'apparecchio più recente e trasferite solo al successivo, e non ai precedenti. Per evitare di fare lavoro inutile, Sam aveva recuperato l'ultimo cellulare di suo fratello e aveva deciso di copiare tutte le foto in memoria sul proprio computer, così da essere sicuro di non perdere nessuna immagine.
E qui, ovviamente, arrivò il momento in cui il minore dei Winchester si chiese, non per la prima volta in vita sua, se davvero tutte le cose che faceva suo fratello avessero effettivamente una ragione logica.
Sul momento, non ci aveva quasi fatto caso. Aveva sbloccato lo schermo del cellulare e, una volta fatto scorrere il dito sul touch screen, davanti ai suoi occhi era comparsa una foto che lì per lì Sam non aveva capito. Su uno sfondo color panna (un muro, un lenzuolo?) c'erano una pistola e un pugnale argentato, appoggiati l'uno sull'altro ma ancora perfettamente distinguibili. Lo schermo era troppo piccolo per poter indagare più a fondo, e comunque lui non aveva intenzione di farsi gli affari di suo fratello: Dean era libero di scegliere lo sfondo che preferiva.
Aveva quindi collegato il cavo al cellulare e poi al computer, e immediatamente sullo schermo del suo laptop erano comparse una serie di icone. Lui aveva selezionato “importa tutte le immagini dal dispositivo” e si era rilassato contro lo schienale, aspettando che la barra di completamento diventasse del tutto blu.
Poi, quando il pc lo aveva avvertito con un leggero dling che tutte le foto erano finalmente giunte a destinazione, Sam aveva scollegato il telefono di suo fratello e aveva aperto la cartella che aveva intitolato “Cellulare di Dean” nella sezione “Files” del suo laptop.
Dentro, tutte le immagini erano state divise in tre categorie. La prima, chiusa dietro ad un'icona con su scritto “Porno” Sam proprio la ignorò, concentrandosi sulla seconda, quella con scritto sopra “Foto”, e ci cliccò sopra con il mouse. Proprio quando un'altra finestra del computer si apriva rivelando poche decine di immagini ancora in caricamento, l'occhio del cacciatore cadde sull'ultima cartellina, quella che, secondo la stima dati del pc, conteneva il maggior numero di elementi. Cliccò sopra, sulla strana scritta “Fanart”, socchiudendo gli occhi per paura di trovarci dentro qualche video a luci rosse.
Si aprì un'altra finestra, e Sam ingrandì la prima immagine, che si espanse sullo schermo fino ad avvolgerlo del tutto con grandi riquadri sgranati. Mentre aspettava che si mettesse a fuoco, il minore dei Winchester ne lesse il titolo, in alto sulla barra degli strumenti. “Destiel”.
Non ebbe il tempo di chiedersi che cosa significasse.
L'immagine divenne a fuoco improvvisamente, e lui la osservò per un lungo, lunghissimo istante, stranito. Poi i suoi occhi si allargarono, mentre la bocca si spalancava in una “oh” muta, e lui tratteneva il fiato.
Davanti a lui, sullo schermo del suo computer, c'era un'immagine presa dal cellulare di suo fratello, un'immagine che mai Sam avrebbe immaginato di trovare nel telefono di Dean. O di chiunque altro, a dire il vero.

Era chiaramente un disegno fatto con un programma di grafica, lo sfondo era grigio, punteggiato qua e là da ombre nere o più chiare, come l'interno di una casa abbandonata o di una cripta buia, e al centro, sotto alla luce soffusa di una finestra velata da ragnatele, due uomini erano stretti l'uno all'altro, in ginocchio sulla pietra impolverata. Quello sulla destra, giacca scura e jeans slavati, aveva i capelli biondi e il viso nascosto nell'incavo delle spalla dell'altro, le braccia avvolte attorno alla sua vita e tracce di ferite sul collo e sul volto. Quello sulla destra, invece, indossava un inconfondibile trench beige e una delle sue mani era intrecciata sulla nuca del compagno, coperta di sangue fino alle nocche. Sotto di loro, come impressa nel marmo freddo, c'era una scritta argentata in eleganti caratteri allungati. “I need you, Cas”.1

Davvero, Sam voleva bene a suo fratello, e capiva tutte le cazzate che faceva. O almeno, la maggior parte. Questa sembrava proprio esulare dalla categoria.

Trascorse il resto del pomeriggio davanti al pc, a guardare una alla volta tutte quelle immagini, dimenticandosi del tutto delle foto che voleva scegliere, e si chiese almeno un centinaio di volte che cosa significasse quella scoperta.
In totale, i disegni (perché, grazie a tutti gli dei in ascolto, erano solo disegni, e non fotografie) si aggiravano intorno al centinaio, decina più o decina meno, ed erano tutti... beh, tutti Destiel.
Appurato il fatto che non poteva essere Dean l'autore di quelle immagini -Sam aveva una grande stima di suo fratello, ma sapeva perfettamente che non era mai stato in grado di disegnare nemmeno una nuvola senza farla sembrare una macchia d'inchiostro, figurarsi cose come quelle-, il minore dei Winchester si era messo ad indagare. E, senza neanche tanta fatica, aveva scoperto che quella parola era davvero quello che sembrava: una ship. Ci aveva messo un'ora intera prima di capire quei termini assurdi (fandom, canon, paring, slash, OTP...) ma alla fine si era fatto un'idea piuttosto precisa di quello che significavano. Restava ancora da capire come tutto il mondo fosse venuto a conoscenza della loro storia, visto che i libri di Chuck si erano fermati alla “prima” morte di Dean, quando loro ancora nemmeno sapevano dell'esistenza di Castiel.
In ogni caso, sembrava che parecchie persone avessero preso a cuore quella causa, parteggiando convinte per la coppia “Dean e Cas” che spopolava sul web. Da questo erano nate quelle Fanart (altra cosa che Sam aveva faticato a capire) e, peggio di tutto, delle Fanfiction. E qui no, il minore dei Winchester non si era avventurato affatto. Meglio non sapere.
Quindi, una volta capito che cosa fossero quei disegni nel telefono di suo fratello, se li era riguardati attentamente. A mente lucida, c'era da dire che quella gente era davvero brava. Probabilmente Dean aveva selezionato le immagini migliori (cosa a cui Sam ancora faticava seriamente a credere), e il risultato era una raccolta niente male, davvero carina. Un paio di disegni, al minore dei Winchester erano rimasti davvero impressi.
Uno, tra i primi che aveva visto, era ambientato in una stanza buia, illuminata appena dalla luce della luna fuori dalla finestra, e su un piccolo letto al centro della stanza c'era suo fratello sdraiato a pancia in su, con Castiel accoccolato contro il fianco e la testa sul suo petto. Erano entrambi vestiti con gli abiti che più facilmente il giovane cacciatore associava loro (jeans e giacca di pelle, trench e completo blu) eppure al di là di quello anche la somiglianza fisica era impressionante. Gli occhi di Dean erano esattamente del verde giusto, e quelli dell'angelo proprio di quel blu, e il minore dei Winchester si era stupito della facilità con cui li aveva riconosciuti, pur essendo solo un disegno.
Un altro, più difficile da comprendere ma ugualmente impressionante, era una rappresentazione molto precisa del viso di Castiel, forse appena troppo allungato rispetto all'originale, con addosso un'espressione di rilassata superiorità -che a Sam ricordò vividamente l'angelo che avevano incontrato la prima volta, quello che era ancora completamente fedele a suo padre-. Accanto al suo volto, un po' più in disparte e un po' più sfumato, c'era il disegno del profilo di Dean, gli occhi chiusi e il capo leggermente chino, come in preghiera.
Sotto di loro, accanto allo schizzo quasi frettoloso ma ugualmente realistico della bruciatura sulla spalla del maggiore dei Winchester, c'era una frase. “I'm the one who gripped you tight and raised you from Perdition”.2
E poi ancora, il disegno di Dean e Castiel uno di fronte all'altro, le fronti che si sfioravano e i nasi a contatto, con gli occhi fissi gli uni negli altri e un lievissimo sorriso sulle loro labbra, mentre le mani dell'angelo abbracciavano la nuca del cacciatore e le spalle si incurvavano appena sotto al peso di un enorme arco di ali nere come la notte contro uno sfondo azzurro come la Grazia che scaturiva dal suo petto in piccole scintille di luce.
L'immagine di una cravatta blu e di un ciondolo dorato, la stoffa e il cordino di cuoio che si intrecciavano a formare un nodo che per un attimo spezzò il cuore di Sam, e poi anche il disegno di un panino e di una fetta di crostata sotto alla scritta “I love you as much as...” che fece ridacchiare il cacciatore.
E dopo anche una strana immagine di un Dean quasi più vecchio e di un Castiel con la barba lasciata crescere disordinatamente sul mento, stretti in un bacio quasi disperato ma nemmeno lontanamente volgare, sullo sfondo di una vecchia catapecchia di legno ai confini del mondo. L'angelo sembrava spezzato nel suo modo di stare curvo, occhiaie marcate e vestiti sciupati completavano un quadro reso già inquietante dall'assenza del trench. Dean indossava gli stessi abiti di sempre, ma aveva un machete legato alla coscia in un modo che Sam non aveva mai visto, e stringeva Castiel per le spalle quasi gli stesse per sfuggire dalle mani. Accanto al letto su cui stavano seduti, un flacone di pillole era appoggiato su un comodino, accanto al ciondolo di Dean, quasi come un monito. In un angolo del disegno, c'era di nuovo una piccola scritta, un “In the end” che fece gelare il sangue nelle vene del minore dei Winchester.3
E poi c'erano altri disegni, altre frasi, altri baci più o meno dolci, più o meno teneri, e poi altre ali e giacche di pelle e Grazie luccicanti e dita intrecciate e raffigurazioni di quello che non poteva che essere il Purgatorio, e poi anche dell'Inferno e, perché no, anche del Paradiso.
Quando arrivò ad un disegno estremamente vivido che raffigurava Castiel seduto in grembo a Dean, la camicia aperta e le mani sul petto nudo del cacciatore, Sam deglutì con forza. Le labbra di entrambi erano coinvolte in un contatto tutt'altro che casto, le dita del maggiore dei Winchester salde sulle natiche dell'angelo e le gambe di quest'ultimo chiuse intorno ai suoi fianchi, mentre sopra di loro campeggiava come un'insegna al neon la scritta “Profound bond”, e Sam decise che poteva bastare come trauma per un giorno solo.
Chiuse tutto, spense il laptop e lo nascose in camera sua, poi sgattaiolò a rimettere il cellulare di suo fratello esattamente dove l'aveva preso. Un attimo prima di riporlo sul comodino di Dean, però, fu colto da una folgorazione. Sbloccò di nuovo lo schermo, e osservò attentamente lo sfondo che poche ore prima non aveva capito, e finalmente realizzò: non erano semplicemente una pistola e un pugnale, ma la colt preferita di Dean e la lama angelica di Cas.
In quel momento, Sam decise che suo fratello andava aiutato.

Ovviamente, andare dal maggiore e dirgli “conosco il tuo segreto, lascia che ti dia una mano” sarebbe stato troppo facile, e decisamente fuori dal loro stile familiare. Meglio contorti giochetti mentali e anni di segreti e negazione. Quindi, il cacciatore decise che fare affidamento sulle sue sole forze sarebbe potuto bastare, ma non sarebbe stato divertente.
E, beh, tra tutte le loro conoscenze in fatto di soprannaturale e fuori dall'ordinario, chi poteva contattare, se non l'unica persona che non lo avrebbe mandato al diavolo con la scusa di qualche caso in corso? Semplice: l'unica che non andava a caccia, e che sarebbe stata di certo felicissima di aiutarlo in un'impresa come quella che stava pianificando.
Charlie rispose al secondo squillo, e Sam non si era ancora reso conto di quanto fosse felice di aver scoperto il segreto di Dean finché non poté finalmente raccontarlo a qualcuno. Rimase al telefono con la ragazza per quasi un'ora, scandalizzato dalla tranquillità con cui lei reagiva alla notizia, dopo che lui aveva passato quasi una notte intera a chiedersi se fosse proprio il cellulare di suo fratello quello su cui aveva rinvenuto tutte quelle immagini sconcertanti.
Alla fine della conversazione, dopo che Charlie gli ebbe promesso di fare un po' di ricerche e inviargli tutto il materiale che sarebbe riuscita a trovare, Sam realizzò finalmente che c'era una sola strada possibile da intraprendere: Dean, quello che aveva fatto del negare i propri sentimenti una sorta di autodifesa, quello incapace di dire perfino a suo fratello le parole “ti voglio bene”, figuriamoci dichiararsi a Castiel, quello che piuttosto di ammettere di provare qualcosa per un uomo preferiva collezionare immagini realizzate da altri in una cartella del proprio cellulare, sarebbe stato impossibile da convincere a fare qualsiasi cosa. Di conseguenza, l'unico su cui Sam poteva sperare di agire era l'angelo.
Che, detta così poteva anche sembrare facile, ma non lo era affatto. Cas non si faceva vedere da quasi una settimana intera, e a pensarci il minore dei Winchester ci sarebbe dovuto arrivare prima alla scoperta, visto che Dean diventava ogni giorno più irascibile, salvo poi calmarsi immediatamente appena l'angelo compariva al bunker.
Sam, mentre aspettava che Charlie si facesse viva con i frutti della sua ricerca e magari con una buona idea, si mise ad ideare un piano.

Nel tardo pomeriggio del giorno seguente al ritrovamento delle immagini, Castiel si fece vedere.
Ovviamente, di comparire nella sala comune o in cucina (dove Sam fingeva di lavorare a qualche caso) neanche a parlarne, meglio apparire a tradimento nell'armeria, far prendere un colpo a Dean e poi, giusto per non smentirsi, rimanere a guardarlo lucidale pugnali. Ovviamente, quando finalmente si decisero ad uscirne per raggiungere Sam per cena, nessuno dei due si era degnato di avvertirlo della presenza dell'angelo, cosa di cui il minore dei Winchester non si stupì affatto, soprattutto alla luce dei nuovi avvenimenti.
Il che, come prevedibile, lo portò ad osservare con molta più attenzione del solito suo fratello. Dean era rilassato, molto più di quanto lo fosse stato nell'ultima settimana, rideva spesso e sembrava avere voglia di chiacchierare, indipendentemente da chi lo ascoltava. Cas, come sempre, orbitava nel suo spazio personale, e Sam si chiese come aveva fatto a perdersi il passaggio dal momento in cui a suo fratello sembrava dare fastidio a quello in cui lo assecondava perfino.
A guardarli così, mentre Dean preparava l'hamburger dell'angelo con molta più cura di quanta ne avesse usata per quello del fratello («Non ho bisogno di mangiare, adesso che ho di nuovo la mia Grazia» «Sta zitto, Cas, lo so che vai matto per i miei panini»), con gli occhi sfuggenti e le mani che tremavano dalla voglia di toccarsi l'un l'altro, fosse per una carezza o una stretta amichevole, Sam si rese conto che quelle immagini erano inutili, e che lui avrebbe dovuto capirlo molto prima.

Quella sera, a meno di dodici ore dalla loro telefonata, Charlie gli inviò le informazioni richieste.
La più grande preoccupazione del minore dei Winchester, anche se più che una preoccupazione si trattava di uno scrupolo dato da deformazione professionale, era che, per quanto assurdo, si trattasse di una maledizione. O di un incantesimo. O di una possessione demoniaca. O dello scherzo di un Dio pagano. O di un cupido impazzito. O di Metatron che si divertiva a fare il simpatico (cosa neanche tanto improbabile, a dirla tutta). Insomma, un'altra delle solite stronzate soprannaturali.
Ma, quando aprì la mail di Charlie, si rese conto che era, se possibile, anche peggio.
In qualche modo -modo che Sam intendeva scoprire quanto prima- i romanzi di Supernatural, fermi alla morte di Dean, erano stati seguiti da altrettanti libri, che raccontavano grossomodo tutti i fatti che avevano seguito da resurrezione del maggiore dei Winchester e la comparsa degli angeli.
Da quel momento in poi, accanto a quello che Charlie definiva Wincest, era comparso anche il Destiel, oltre ad altre cose chiamate Sabriel e Samifer. Accanto a questi due nomi Sam aveva trovato una piccola noticina corredata di link. “Non siete affatto male” e dopo averci cliccato sopra sapeva che non avrebbe più dormito per mesi.
Tralasciando dettagli imbarazzanti su cui il cacciatore preferiva sorvolare, il riassunto di sei pagine di ricerca era che, all'uscita della nuova collana di libri, il web era impazzito, popolandosi di fanfiction e fanart incentrate prevalentemente su Dean e Castiel. Tra le altre cose, Charlie aveva anche allegato le caratteristiche principali della coppia, la descrizione universalmente accettata delle ali di Cas, alcune headcanon tra le più diffuse -cosa di cui Sam aveva faticato a capire il significato- e ovviamente il link al sito per l'acquisto online dei libri. Il minore dei Winchester non si vergognava affatto ad ammettere di averne comprata immediatamente una copia.
In fondo alla email, Charlie lo avvertiva di essersi messa al lavoro per rintracciare la fonte dei libri, visto che dappertutto l'autore risultava anonimo, e che appena fosse riuscita a capire di chi si trattava lo avrebbe avvisato. Gli diceva di salutarle Dean e di dargli un bacio da parte sua, e possibilmente dirgli che si desse una mossa con Cas, visto che, stando a quanto scritto nei libri, non era affatto un amore a senso unico.
In fondo, sotto alla firma, c'era una nota. “Loro due sono la mia nuova OTP”.
Sam, sorridendo, le aveva risposto brevemente ringraziandola e raccomandandosi di non cacciarsi nei guai, e di chiamarlo se avesse scoperto qualcosa di importante. Alla fine del messaggio, aggiunse un post scriptum. “Anche la mia”.

Quindi, in assenza di una strategia migliore, Sam si era ritrovato a dover contare sulla perspicacia di Castiel. Cosa che la diceva lunga su quanto fosse disperato.
Il piano era semplice: l'angelo doveva vedere quelle immagini sul telefono di Dean.
Preparato tutto quello che gli sarebbe potuto servire, Sam pregò mentalmente che Cas si facesse vedere anche il giorno successivo, e che suo fratello non rovinasse tutto. Dopodiché, andò a dormire.

Chiaramente, sarebbe stato troppo facile.
L'angelo non si fece vivo per un'altra settimana, e più il tempo passava, più i Winchester diventavano impazienti, ognuno per motivi diversi.
Quando finalmente Cas apparve in mezzo alla cucina mentre i due fratelli pranzavano, entrambi sussultarono sorpresi. Per un lungo momento, Dean e l'angelo rimasero fermi a fissarsi, mentre Sam fissava loro, scocciato. Possibile che quei due non se ne rendessero conto?
Tossicchiando, riportò l'attenzione generale al punto centrale della questione, chiedendo a Castiel cosa lo portasse da quelle parti.
L'angelo snocciolò timidamente poche informazioni su un presunto caso poco distante, ed era così palesemente una scusa per vedere Dean che Sam sbuffò senza potersi trattenere. Nessuno degli altri due se ne accorse, comunque.
Quindi, mentre lui veniva relegato in biblioteca a fare ricerche, suo fratello si barricò in garage, a caricare l'Impala. Castiel, ad onor del vero, provò perfino a chiedere al minore dei Winchester se avesse bisogno di una mano, ma la speranza di un rifiuto era così chiara nei suoi lineamenti che il cacciatore declinò l'offerta con un gesto della mano, innegabilmente intenerito. L'angelo, sollevato, seguì Dean in silenzio, invadendo come al solito il suo spazio personale appena gli fu accanto, lungo il corridoio.

Sam aspettò impazientemente lo scorrere delle ore, impegnando quell'interminabile quantità di tempo cercando di fare qualche ricerca. Quando finalmente fu ora di cena, spense il laptop e si incamminò furtivo verso il garage, sperando che Dean e Cas fossero ancora lì.
La porta era mezza aperta e il cacciatore, tutti i sensi all'erta, si fermò accanto allo stipite, in ascolto.
Sentiva la voce di suo fratello, lontana ma abbastanza alta, e si rese conto che stava raccontando con tono allegro all'angelo di una caccia che avevano affrontato molti anni prima, quando ancora John era con loro e Sam era troppo piccolo per prendervi parte.
“Allora è di questo che parlano quando sono da soli” pensò il minore dei Winchester, stupito. Non era una cosa su cui aveva mai meditato, ma rendersi conto che effettivamente facevano qualcosa oltre a stare fermi a fissarsi era una scoperta piuttosto piacevole. Si sporse appena oltre alla porta, azzardandosi a gettare un'occhiata dentro al garage.
Dean era sdraiato sotto all'Impala, accanto a lui c'erano chiavi inglesi e bulloni sparsi ovunque, e lui aveva addosso un paio di jeans tutti pieni di tagli e macchie d'olio, il corpo che scompariva quasi per metà sotto al muso della macchina. Castiel, invece, era in piedi accanto a lui, non rigido e impettito come Sam era abituato a vederlo, ma rilassato, con la schiena addirittura appoggiata alla fiancata e le mani sulla carrozzeria lucida. Insieme erano uno spettacolo incredibile.
Il minore dei Wichester, forte del fatto che entrambi fossero distratti, si guardò intorno. Individuò rapidamente il telefono di Dean abbandonato sul tavolo da lavoro, accanto alla sua camicia e alla colt.
Sam tornò a nascondersi dietro al muro, ed estrasse il cellulare dalla tasca.
Incrociò mentalmente le dita, augurandosi che andasse tutto secondo i piani. Con un po' di fortuna, quella sera avrebbe potuto chiamare a Charlie e prendere un po' in giro suo fratello.
Digitò a memoria il numero di Dean, e un attimo dopo sentì le prime note di Higway to Hell diffondersi gracchiando dal telefono e rimbombare in tutta la stanza.
«È il tuo cellulare» mormorò Castiel, con la sua solita voce monocorde.
Sam chiuse gli occhi, sperando in un aiuto divino. «Lo so, lo sento» borbottò la voce ovattata di Dean «ma non posso muovermi da qui, adesso. Rispondi tu»
Il minore dei Winchester dovette mettersi una mano davanti alla bocca per non esultare, poi si ricordò che quello con cui l'angelo avrebbe dovuto parlare era lui, e così saettò in fretta in fondo al corridoio. Un attimo dopo, Castiel rispose.
«Sam»
«Ehi, ciao Cas. Ho chiamato per sapere dove siete, visto che è quasi ora di cena» disse, cercando di tenere la voce bassa.
«In garage» rispose lui «ti raggiungiamo»
«Oh, no, non serve» mormorò concitatamente il cacciatore. «Non preoccupatevi, io esco a comprare qualcosa da mangiare e nel frattempo voi finite di fare... qualsiasi cosa stiate facendo»
«Credo che possa andare bene»
Sam sorrise, e un attimo prima di rispondere, si rese conto che la linea era caduta. Castiel aveva chiuso la telefonata.
«Merda» mormorò a denti stretti, scattando di nuovo verso la porta del garage.
Quello era il momento della verità. Se non fosse andato tutto secondo i piani, Dean lo avrebbe ucciso in modo molto lento e molto doloroso.
Si affacciò lentamente, osservando la scena. L'angelo dava le spalle alla porta, e teneva ancora in mano il telefono, guardandone attentamente lo schermo.
“Ti prego... ti prego... ti prego...” pensò dentro di sé Sam, un attimo prima di vederlo alzare la testa verso suo fratello.
«Dean» chiamò, serio.
Lui, che non era potuto uscire da sotto alla macchina per rispondere al cellulare, riemerse in un lampo appena sentì l'angelo mormorare il suo nome.
«Allora, chi era?» chiese, seduto per terra, strofinandosi le mani con uno straccio lurido.
«Era Sam. Dice che esce a comprare qualcosa da mangiare per cena»
«Ottimo» rispose Dean, alzandosi. A quanto pareva, l'idea di non avere suo fratello tra i piedi lo metteva insolitamente di buon umore, notò con sarcastica gioia il minore dei Winchester.
Il cacciatore si avvicinò al tavolo accanto a cui stava Cas, e si infilò la camicia a quadri sopra alla maglietta nera. Ripose sul ripiano gli attrezzi e sospirò, contento.
Voltandosi a guardare l'angelo, però, il suo viso si rabbuiò. «Che succede?»
Da dietro alla fessura della porta, Sam non poteva vedere il volto di Castiel, ma tentò ugualmente di immaginarselo.
Lui, con lo sguardo ancora fisso al cellulare che teneva in mano, raddrizzò le spalle. «Perchè c'è un'immagine come questa sullo sfondo del tuo telefono, Dean?» chiese, e Sam seppe che era andato tutto secondo i piani.
Suo fratello rimase per un attimo interdetto. Per quanto ne sapeva lui, sullo sfondo del suo cellulare c'era una foto di un pugnale e di una pistola. Sì, certo, era più di questo, ma non era necessario che qualcuno lo sapesse. Di certo, Cas non ne aveva idea.
Gli prese il telefono dalle mani, sbloccando lo schermo, e il suo cuore perse un battito.
Sullo sfondo, al posto della sua foto, c'era un'immagine tratta dalla sua segretissima collezione, un disegno di lui e Castiel stretti in un bacio mozzafiato e coperti solo dalle enormi ali nere dell'angelo. Il Dean del disegno aveva le mani affondate nei capelli neri del compagno e gli occhi chiusi, mentre le mani di Cas gli accarezzavano delicatamente la schiena nuda. Nel complesso, il cacciatore valutò che probabilmente non c'era un'immagine più fraintendibile di quella in tutto il suo archivio.
Tossicchiò. «Niente di che, è un disegno e basta»
«Dean»
«No senti, sai cosa? Lascia stare, fa finta di non averlo visto» sbottò, avviandosi a grandi passi verso la porta.
Sam fu rapido a nascondersi di nuovo, e sperò che Dean non uscisse in corridoio in quel momento, altrimenti lo avrebbe visto e sì, beh, ucciso.
Castiel lo bloccò un attimo prima che varcasse la soglia. Il minore dei Winchester vide comparire il suo trench mezza spanna al di fuori della porta, e trattenne il fiato. Se si fosse mosso l'angelo lo avrebbe sentito.
«Dean, Metatron mi ha dato la conoscenza di tutta la la cultura umana. Ogni libro mai scritto, ogni storia mai raccontata, io ora la conosco»
La voce del maggiore dei Winchester era esitante quando rispose. «Anche...?»
«Anche questa, sì» disse Castiel, e Sam trattenne uno sbuffo sarcastico. Evidentemente, entrambi ne sapevano più di lui, in materia. Si chiese quanto Dean avesse dovuto documentarsi, se avesse letto i libri. O, beh, se leggesse le fanfiction.
«Senti, non so quanto ne sai o se ti interessa, fai solo finta di non aver visto quell'immagine sul mio telefono, okay?» disse il maggiore dei Winchester «sono solo disegni di qualche ragazzina piena di contorta immaginazione»
Per un attimo, nella stanza calò il silenzio, e Sam si azzardò a respirare.
«Io le trovo piacevoli» disse l'angelo, dopo quelle che parvero ore, e tutti e due i fratelli persero un battito.
«Piacevoli?» smozzicò Dean.
«Piacevoli, sì, e interessanti. Straordinariamente accurate» rispose Castiel, sorprendendoli entrambi.
«Cas, non so se hai davvero capito di cosa si tratta» mormorò il maggiore dei Winchester. «Sono delle immagini che si ispirano a dei libri scritti su di noi, sulle nostre vite, in cui compari anche tu. E questa gente, scrive e disegna pensando a me e te come coppia. Insieme, capisci?»
L'angelo non rispose, ma Sam intuì che avesse appena annuito.
«E... ti sta bene?» chiese Dean, esitante.
«Come ho detto, trovo l'idea davvero piacevole» rispose lui, e dal tono che aveva appena usato Sam dedusse che stava sorridendo.
Un attimo dopo, qualcosa strattonò l'angelo oltre la soglia, di nuovo dentro alla stanza, e la porta si chiuse di scatto, lasciando il minore dei Winchester da solo in corridoio.
Per un lungo momento, Sam rimase fermo nella stessa posizione, attonito.
Beh, era successo esattamente quello che sperava, giusto?
Questo, comunque, non gli avrebbe rimosso il trauma.

Appena realizzò che a poco più di una spanna da lui, dall'altra parte di un muro, suo fratello stava probabilmente baciando un angelo, decise di levare le tende.
Sgattaiolò in cucina a passo felpato, e si sedette al tavolo, ancora leggermente scosso. Trascorse qualche minuto lì, a fissare davanti a sé cercando di capire cos'era appena successo, poi sorrise, e si sfilò il cellulare dalla tasca.
Stava per digitare il numero di Charlie, quando qualcuno lo precedette. Sullo schermo comparve l'avviso di una chiamata da Dean, e lui rispose esitante, incerto su cosa aspettarsi.
Dall'altra parte, la voce di suo fratello era normale, fiato un po' corto a parte. «Sammy, ehi»
«Ciao Dean»
«Senti, io e Cas... Noi non veniamo a cena stasera»
Sam sorrise. «Chissà come mai, lo immaginavo»
«Puttana» sbottò suo fratello.
«Coglione» ribattè lui, senza riuscire a smettere di sorridere.
«Ah, Sam? Grazie» aggiunse, leggermente imbarazzato. «Noi saremo nella mia stanza, quindi... beh, gira al largo. E chiamami solo, e dico solo se sei in pericolo. Grave pericolo. Tipo Satana uscito dalla Gabbia e seduto nel nostro soggiorno, intesi?»
Sam ridacchiò, e stava per rispondere, quando suo fratello aggiunse «anzi no, in quel caso puoi vedertela da solo. Ho visto certe immagini in rete che potrebbero darti qualche spunto su come rabbonire Lucifero» e riattaccò, un attimo prima che suo fratello, rosso fino alle punte delle orecchie, potesse mandarlo a 'fanculo.












1. Riprende l'episodio in cui Dean e Castiel recuperano la Tavoletta Angeli nella cripta e il cacciatore riesce a spezzare il legame tra l'angelo e Naomi. La frase (che ho scritto in inglese perchè se no non rendeva) è sostanzialmente quello che rompe la connessione.

2. Non so se serve spiegarlo, ma il punto è che Sam non era presente al primo incontro tra il fratello e Castiel, quindi non sa cosa si sono detti. Per questo per lui l'immagine è un po' difficile da capire.

3. Anche qui, Sam non è stato nell'ipotetico futuro apocalittico che Dean ha vissuto (e non sappiamo se lui glielo ha raccontanto o no), quindi non ha mai conosciuto i Dean e Cas del futuro, uno drogato di pillole e l'altro disilluso al punto da sacrificare i propri compagni, e per questo non riesce a capire fino in fondo il disegno, ma nonostante questo ne resta impressionato.






































NdA
Ma salve<3
Come state? Io sono in ritardo. Non con il Kiss, con tutto il resto.
Mi sa che mi sono fatta prendere la mano dai collegamente ipertestuali, ma è la prima volta che li adopero e a quanto pare non sono proprio in grado.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. La verità è che avevo deciso di smetterla con queste bellissime e fluffosissime e lunghissime Destiel che sono un parto da scrivere, ma se poi c'è certa gente che all'ultimo momento fa "ehi senti, ma potresti scriverne una così, no? Guarda, ho anche il prompt"... Io sono umana gente, ho dei punti deboli anch'io. Le Destiel così sono uno di questi.
Beh, niente, devo andare a studiare, quindi baci a tutti e alla prossima, possibilmente meno lunga di così perchè non ce la posso fare xD
Baci a tutti<3
Fanie

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Capitolo 72
*** God save the Queen ***


Rating: Verde.
Genere: Fluff, un po' demenziale, e qualcosa di comico.
Contesto: Ipoteticamente dopo l'Apocalisse, quindi sesta, ma non ha un vero e proprio contesto.
Note: È per tutti quelli che mi hanno chiesto di scrivere ancora qualcosa su questo paring. Spero che sia decente, questa ship è una faticaccia.
Ci si vede nelle NdA.


 

God save the Queen




Se un anno prima qualcuno gli avesse detto che la sua vita avrebbe preso quella piega, probabilmente avrebbe preso quel qualcuno, lo avrebbe legato ad una sedia e lo avrebbe esorcizzato.
A pensarci, perfino lui si riscopriva sorpreso di come le cose erano evolute, dalla quasi-Apocalisse in poi.
Probabilmente pensare che la fine del mondo sventata per un pelo fosse stata una fortuna sarebbe eccessivo, però Bobby non riusciva davvero ad impedirsi di ringraziare mentalmente un certo patto, e tutto quello che da esso era scaturito.

Certo, avere il re dell'Inferno che ciondolava in salotto per la maggior parte del tempo, distraendolo dalle cacce e divertendosi a fare scherzi idioti ai Winchester, non era esattamente in cima alla lista dei suoi buoni propositi per quell'anno, ma il fatto era che -mastini infernali e dannato accento scozzese a parte- gli piaceva averlo intorno.
Gli piaceva un po' tanto.

Crowley, dopo il primo periodo di assestamento e battute stupide, si era rivelato straordinariamente incline alla vita sedentaria. Sul divano di Bobby, certo.
Il padrone di casa, superato l'imbarazzo di farsela con un demone, si era arreso alla curiosa evidenza di essersi, sì, insomma, invaghito del Re dell'Inferno.
(Quando lo aveva detto a Sam e Dean aveva usato più o meno gli stessi termini, e mentre il maggiore rischiava di strozzarsi con la birra che teneva in mano, suo fratello lo guardava con l'espressione che avrebbe avuto un cervo in procinto di essere investito da un'auto in corsa. Non era stata la conversazione più edificante della sua carriera, ma alla fine entrambi l'avevano accettato di buon grado. Dopotutto, Sam aveva già avuto esperienze demoniache in passato, e Dean, beh, Dean preferiva gli angeli, a quanto pareva, ma Bobby confidava che non fosse tanto diverso)
Crowley, comunque, passava così tanto tempo nel suo salotto -e nella sua camera, nella sua cucina, nel suo bagno...- che a volte al vecchio cacciatore risultava difficile credere che avesse davvero un Inferno da gestire. In sua difesa c'era da dire che le possessioni demoniache erano diminuite notevolmente da quando... insomma, da quando il Re godeva della sua compagnia.

In realtà, la vita con il demone non era molto diversa dalla sua solita, soprannaturale vita di sempre.
Okay, doveva stare attento a dove metteva i piedi per non inciampare su qualche mastino infernale accoccolato ai piedi del suo padrone, e spezzare ogni tanto qualche trappola del diavolo in cui Crowley incappava accidentalmente. E poi certo, ricordarsi di non versargli mai da bere wiskey dalla propria riserva, perché tutte le bottiglie che possedeva contenevano in parte acqua santa.
Però alla fin fine, avere qualcuno che gli preparava la cena -in realtà la faceva semplicemente comparire davanti a lui, ma Bobby preferiva non farsi domande- quando era troppo preso da qualche ricerca per ricordarsi di mangiare, che gli suggeriva l'esatta traduzione di una parola di un testo particolarmente ostico, che aspettava pazientemente, anche per ore intere, che il padrone di casa riuscisse finalmente a contattare i dannati Winchester per assicurarsi che non fossero morti entrambi e che, all'occorrenza, appariva lui stesso ai due fratelli, intimando loro di accendere il telefono prima che a Bobby venisse un infarto, beh, era qualcosa a cui lui non era più abituato.

Avevano avuto le loro discussioni, ovviamente.
Come, ad esempio, quando Crowley aveva fatto sparire tutti i libri di esorcismi dalla libreria di casa Singer. Oppure, quando aveva cercato di infilarsi sotto alla doccia con il vecchio cacciatore, prima di scoprire che tutta l'acqua che circolava nelle tubature era benedetta.
Bobby, onestamente, ricordava con affetto il giorno in cui il demone aveva cercato di polverizzare la sua vicina di casa, quella signora molto gentile che ogni tanto gli regalava una torta. Vedere il Re dell'Inferno geloso di una casalinga in grembiule a fiori era stato qualcosa a cui non credeva avrebbe mai avuto l'onore di assistere.

Ma per quanto Crowley potesse risultare fastidioso, inopportuno, assillante e odiosamente demoniaco, il vecchio cacciatore non riusciva a lamentarsene, davvero.
Perchè c'erano quei momenti, quei microscopici secondi tra una caccia e una telefonata, in mezzo alle battute sarcastiche di Dean e alle visite inaspettate di Rufus, in cui Crowley era... beh, suo.
Gli si sedeva accanto, gli allungava una bottiglia di wiskey o un bacio sulle labbra, gli stringeva le dita tra le proprie, gli si rannicchiava vicino la sera, sotto alle coperte. Era perfetto. Era quasi umano.
Era sempre ironico, certo, dannatamente scozzese e pieno di puzza sotto al naso, ma riusciva a dimostrargli qualcosa, qualcosa che Bobby non vedeva rivolto a se stesso da molti anni.
E visto che la vita dei cacciatori faceva schifo e aveva il brutto vizio di finire sempre troppo presto, lui si era semplicemente deciso a godersela, per tutto il tempo possibile.



Di tutto, forse la parte che in assoluto preferiva erano le mattine.
Quando si girava su se stesso, sul letto, e scopriva che c'era qualcuno, accanto a sé, qualcuno che non aspettava altro che vederlo svegliarsi per poterlo baciare, e forse era schifosamente melenso e decisamente adolescenziale, però era perfetto.
Quella mattina in particolare, le le labbra del Re dell'Inferno sapevano di fragola e vaniglia.
«Hai di nuovo rovistato nella dispensa mentre dormivo, vero?» mormorò, a mo' di buongiorno.
«Quante storie per qualche caramella» rispose Crowley, ghignando «e comunque lo faccio per il tuo bene. Non vivrai a lungo con una dieta a base di zuccheri e alcol»
Bobby sbuffò, coprendosi il viso con una mano. «Maledetto demone»
«Fingi che ti dispiaccia, cacciatore brontolone» rispose lui, con una guancia appoggiata sul palmo e il gomito affondato tra i cuscini, con addosso il suo solito completo.
Allungò una mano verso di lui come per accarezzargli il collo o qualcosa del genere, ma Bobby la scacciò di malagrazia.
«Levati di dosso, è tardi e io devo alzarmi»
Crowley roteò gli occhi, fingendosi offeso. «Come preferisci. Tanto anche io ho da fare. Devo fare un salto giù nell'Ade a controllare i miei ragazzi»
Bobby strizzò le palpebre, rabbrividendo. C'erano cose che preferiva non sapere.
Quando si mise seduto, tutte le vertebre scricchiolarono, e lui mugugnò con disappunto.
Aprendo gli occhi, trovò il demone che lo fissava, a pochi centimetri dal proprio naso. «Che vuoi?» brontolò.
«Il mio più che meritato buongiorno, bella addormentata» disse Crowley, sporgendosi in avanti e coinvolgendolo in un bacio lungo e molto rumoroso, qualcosa da cui il vecchio cacciatore non ebbe né la forza né il desiderio di ritrarsi.
Dopo lunghissimi secondi, il demone si allontanò con un ultimo morso al suo labbro inferiore.
Bobby aprì gli occhi, guardandolo storto. «Sempre pronti ad eseguire gli ordini del Re, eh?» borbottò, come se davvero gli fosse dispiaciuto.
«Esatto, dolcezza» rispose lui, ghignando, e un attimo dopo era scomparso.
Il vecchio cacciatore rimase per un attimo interdetto, poi chiuse gli occhi con esasperazione, mentre uno strano pensiero gli attraversava di slancio la mente.

Ma se Crowley era il Re dell'Inferno, questo faceva di lui la Regina?






















NdA
... Eeeeeeeee sì, è quello che è, non ne sono particolarmente orgogliosa. L'idea in origine era carina, ma la mia testa stasera non sta collaborando.
Non c'è molto da dire, spero che vi sia piaciuta, soprattutto a tutti quelli che mi avevano chiesto altre Crobby. Come credo di aver già detto sei milioni di volte, sono una coppia che faccio fatica a descrivere.
Nulla, come al solito grazie a tutti voi che siete stupendi, un bacio alla mia beta e alla (ormai ufficiale) prompter -anche se stavolta non c'entra niente- e basta, un abbraccio e a presto.
Fanie

 

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Capitolo 73
*** The game is on ***


A due creature meravigliose che oggi compiono gli anni. Auguri ragazze, vi voglio bene<3




Rating: Arancione scuro, perchè non poteva essere nient'altro.
Genere: Bella domanda. Comico sicuramente, qualcosa di erotico (?), vagamante romantico e un filo sentimentale. C'è del fluff, giuro.
Contesto: Eh. Settima stagione, direi, ma non vi dico perchè. Non ci sono grossi spoiler, per fortuna.
Note: Il paring è una cosa assurda. Mai e poi mai mi sarebbe venuto in mente di scrivere una cosa come questa se non mi fosse stata suggertita (mesi e mesi fa), ma devo ammettere che è stato divertente. Non ve lo svelo, ma sappaiate che non è niente di comune (proprio per niente) e che non è nemmeno leggera. Proprio no. Quindi, se non vi sentite in vena di farvi del male, passate oltre.
Ci si vede nelle NdA, cercate di non morirmi per strada.


 

The game is on




Ogni cacciatore imparava presto che c'era una linea sottile a separare la mente umana dalla pazzia e Sam... Sam sapeva di aver oltrepassato quel confine già da tempo.
Da dopo la Gabbia, il ragazzo sapeva che nella sua testa le cose non erano le stesse, e non sarebbero mai tornate come prima. I suoi non erano ricordi come quelli di Dean, trent'anni da vittima e dieci da carnefice, no, lui aveva vissuto secoli e secoli in balia del Diavolo, tra le sue mani assetate di sangue. Il fatto che, dopo quel tormento, si reggesse ancora in piedi era già di per sè una specie di miracolo.
Quindi, quando Castiel aveva fatto crollare il muro nella sua testa e aveva liberato Lucifero dalla prigione immaginaria che aveva innalzato Morte e che gli impediva di torturare Sam anche fuori dalla Gabbia, il cacciatore sapeva già che non sarebbe stato piacevole.
Si aspettava torture, sofferenze, incubi peggiori di qualsiasi immaginazione, sogni ad occhi aperti di quello che aveva vissuto all'Inferno e anche la pazzia, un lento scivolare nell'oblio fino a che la realtà non si fosse definitivamente mescolata alla confusione. Una morte graduale, irrimediabile, finché la sua anima non fosse stata libera di tornare al luogo a cui ormai apparteneva: la Gabbia.

Tra le cose che non si era aspettato, però, rientrava quello che si era ritrovato a dover affrontare.
A suo modesto parere, un ex Arcangelo con manie di grandezza e un umorismo pericolosamente simile a quello di Dean sarebbe stato abbastanza da sopportare per chiunque, ma si dava il caso che lui fosse un Winchester, e che l'universo si divertisse a prendersi gioco della sua famiglia. Quindi, oltre alla già invadente e sfiancante presenza di Lucifero nella sua testa, il cacciatore si era dovuto arrendere a sopportare anche un altro essere più che mai fastidioso e ingombrante, essere che tra l'altro Sam aveva creduto morto finché non se lo era ritrovato nella testa, e ancora non riusciva a capire cosa ci facesse lì e come ci fosse arrivato.

Gabriel era esattamente come il cacciatore lo ricordava. Ironico, vagamente assillante, zucchero-dipendente e appena appena insopportabile, quel poco che serviva a rendere la sua permanenza nella mente del giovane Winchester una tortura per gli altri due occupanti di quello spazio, vale a dire Lucifero e Sam stesso.
Lui e il Diavolo erano comparsi contemporaneamente, dando al ragazzo l'immediata certezza di essere uscito di testa.
All'inizio era stato Lucifero a condurre i giochi: per qualche giorno Gabriel aveva lasciato che Satana torturasse Sam con le visioni sull'Inferno e angoscianti allucinazioni, godendosi lo spettacolo di un Dean impotente di fronte all'ennesima tragedia familiare. Ogni tanto il minore dei Winchester lo scorgeva lì, stravaccato in un angolo della propria mente come un bambino al circo, intento a succhiare qualche caramella, e non sapeva mai se odiarlo perché sembrava godere della sua sofferenza oppure se ringraziarlo perché non prendeva mai parte alle torture.

Quando però Sam aveva iniziato a dare segni di cedimento, sempre un passo più vicino al baratro in cui Lucifero voleva gettarlo, l'Arcangelo era sceso dal suo piedistallo di spettatore per fermare il fratello. Il giovane cacciatore, la mente annebbiata dalla stanchezza e il corpo sfibrato dalla sofferenza di torture immaginarie, ricordava solo vagamente Gabriel minacciare Lucifero con la propria lama angelica, prima di svenire tra le braccia di Dean, che non aveva idea di che cosa stesse succedendo.
Quando si era ripreso, aveva trovato l'Arcangelo a vegliare sul suo sonno. Lucifero, a detta sua, si era un po' offeso per essere stato privato del suo giocattolo proprio sul più bello, ma si sarebbe rifatto vedere presto. Curiosamente, non era preoccupato.
Disse a Sam che le torture erano finite, che adesso lo avrebbe vegliato e protetto dal Diavolo, e che finalmente poteva riposare tranquillo, al riparo dai ricordi della Gabbia.

Solo che non era andata esattamente così.
Certo, da quel momento il cacciatore non aveva più rivisto niente dell'Inferno, non aveva avuto nessun incubo e Lucifero non lo aveva mai svegliato urlando a squarciagola le note dei Led Zeppelin, ma a quanto pareva i due Arcangeli avevano trovato un modo molto più creativo di torturarlo.
Bisticciavano.

Come fosse possibile, Sam se lo chiedeva spesso.
Due esseri millenari, vecchi come il tempo e messaggeri di Dio, battibeccavano come due bambini per lo stesso gelato, con tanto di piedi sbattuti per terra e bronci interminabili.
Ovviamente, se la cosa si fosse fermata qui il cacciatore non avrebbe avuto nulla da ridire. Dopo trent'anni spesi a cacciare esseri sovrannaturali, poteva tranquillamente sopportare di avere due Arcangeli incastrati nella propria testa che passavano il tempo a prendersi per i capelli.
Solo che, chiaramente, in perfetto stile Winchester, la vita sarebbe stata troppo facile se le cose fossero andate così.
Perchè si dava il caso che il gelato che i due fratelli si contendevano era, beh, Sam.
O, più precisamente, la sua attenzione.

C'erano giornate in cui le cose andavano bene. Quando finivano una caccia, quando si prendevano una pausa, quando Dean decideva di fermarsi da qualche parte, cercare un lago e mettersi a pescare come facevano da bambini.
Quelle volte, per quanto Sam desiderasse solo riprendere fiato e rilassarsi, aveva sempre due dannati Arcangeli appesi alle maniche che si contendevano la sua attenzione come due cuccioli con a stessa palla.
In genere, Gabriel era quello iperattivo. Rideva, scherzava -spesso da solo-, gli offriva in continuazione caramelle che il cacciatore rifiutava gentilmente, prendeva in giro gli esseri umani che incontravano facendolo ridere.
Lucifero, neanche a dirlo, era quello passivo-aggressivo. Si sedeva in qualche angolo, generalmente vicino a Sam, ringhiava ogni volta che suo fratello minore si avvicinava troppo al cacciatore, scimmiottava le sue parole e occasionalmente rispondeva alle sue battute, e il giovane cacciatore rideva ancora di più.

Poi, c'erano le giornate di caccia. Erano casi piccoli, quasi sempre da qualche giorno, perché Dean non voleva che Sam si stancasse anche se lui gli ripeteva in continuazione che stava bene, e perché nemmeno lui voleva fermarsi troppo a lungo nello stesso posto.
Quelle volte era il Diavolo ad accompagnare i cacciatori.
Era come avere una specie di enciclopedia biblica ambulante, con dettagliate descrizioni di ogni singola creatura sovrannaturale esistente, più varie note a margine sui modi più efficaci di farle fuori. Faceva notare a Sam particolari che ai due Winchester altrimenti sarebbero sfuggiti, suggeriva al cacciatore le domande più appropriate da fare alle vittime, si assicurava che i due fratelli non cadessero in qualche agguato.
Era difficile, fidarsi del Diavolo per una caccia, appoggiarsi a Satana per sconfiggere i demoni -che paradosso-, soprattutto per Dean, che ogni tanto si voltava verso Sam per cercare di capire se l'improvvisa deduzione circa la creatura che stavano cacciando provenisse da lui o da Lucifero.
Dopo un iniziale momento di stallo, fatto di incertezza e diffidenza, il minore dei Winchester si era però arreso all'evidenza. L'ex Arcangelo era utile, quasi indispensabile.

E c'erano anche le giornate in cui le cose andavano male. Quando, nonostante tutto, non riuscivano a salvare qualcuno, o quando Sam e Dean litigavano perché il maggiore aveva sempre più paura che suo fratello si fidasse più del Diavolo che di lui, com'era successo con Ruby.
Quelle volte era Gabriel, in un tacito accordo con Lucifero, a prendersi cura del giovane cacciatore. Gli si sedeva accanto e gli spingeva vicino una birra, già aperta, e lo guardava berne un sorso prima di offrirgli anche una caramella e affogarlo di chiacchiere inutili finché, finalmente, non lo vedeva sorridere. L'altro Arcangelo li osservava da un angolino della mente di Sam, sorridendo di come suo fratello fosse capace di strappare la malinconia di dosso al cacciatore e sostituirla con qualche risata finché Dean non tornava sui suoi passi e le cose erano di nuovo a posto.

E, ovviamente, c'erano anche le giornate in cui quei due erano assolutamente insopportabili.
Capitava in genere quando non cacciavano da troppo tempo, quando decidevano di fermarsi per un po' da Bobby a fare ricerche, o quando Sam era seriamente troppo stanco, troppo nervoso o troppo impegnato per prestare loro abbastanza attenzione.
Allora Gabriel e Lucifero iniziavano a muoversi irrequieti nella sua mente, a stuzzicarne i confini, e a stuzzicarsi tra di loro. Il giovane cacciatore non aveva ancora capito se si trattasse di una vendetta nei suoi confronti perché li ignorava per qualche ora o se si pungolavano a vicenda per il gusto di infastidirsi -e infastidirlo.

Quella era esattamente una di quelle giornate
Dean era stato fuori quasi tutto il giorno, probabilmente perso per bar e tavole calde cercando un modo di tirare su qualche soldo a biliardo o a carte. Sam avrebbe voluto andare con lui, davvero, ma la verità era che, dopo quasi un'intera settimana di assoluta calma piatta e immobilità, Gabriel e Lucifero avevano passato l'intera giornata a dargli il tormento, rendendolo nervoso e poco socievole. Mentre suo fratello era a caccia di soldi facili, lui era rimasto in motel a lucidare armi fin troppo pulite e a fare ricerche che non servivano a nessuno.
In quel momento se ne stava sdraiato a letto, con il computer appoggiato sulle cosce a sfogliare il sito di un giornaletto locale, solo il duemillesimo che controllava quel giorno. Lucifero, appolaiato ai piedi del materasso, si divertiva a tirare con un paio di pinzette tutti i fili penzolanti dai calzini consumati del cacciatore, solleticandogli nel contempo le piante dei piedi. Dopo le prime due ore di stoica sopportazione, Sam aveva semplicemente deciso di cercare di colpirlo con un calcio ogni volta che gli capitava l'occasione. Gabriel, invece, si era abbarbicato sul cuscino accanto al giovane Winchester, sedendosi a gambe incrociate vicino al suo viso e scrutando interessato il suo lavoro di ricerca, salvo poi interromperlo occasionalmente giusto per attirare la sua attenzione.
Quando, per quella che poteva essere benissimo la dodicesima volta in meno di tre ore, la schermata del computer si accese di un violento colore rosa shocking, passando dal suo articolo su un suicidio sospetto ad una pagina che descriveva accuratamente le azioni benefiche del consumo di zucchero filato, Sam sentì di avente abbastanza.
Chiuse il laptop con uno scatto violento, sbattendolo con forza sul comodino accanto al materasso, e si alzò in piedi, preoccupandosi di scostare di malo modo anche il Diavolo, che interruppe il suo attentato a quei poveri calzini innocenti con uno sbuffo risentito.
«Dove vai, Sammy?» chiese Gabriel, succhiando svogliatamente una caramella al miele dalla sua comoda postazione di disturbo, quando lo vide armeggiare con uno dei suoi borsoni.
«A farmi una doccia» ribattè il cacciatore, risultando più scostante di quanto avrebbe voluto.
Non era veramente incazzato con loro, solo che ogni tanto sentiva il bisogno di annegarli entrambi nell'olio santo.
«Possiamo venire anche noi?» chiese il Diavolo, a metà tra il mellifluo e lo speranzoso, guadagnandosi uno sguardo scettico da Sam e un calcio infastidito da Gabriel.
Con ogni probabilità, l'Arcangelo non voleva punirlo per la domanda stupida, ma solo per aver avuto quell'idea prima di lui.
Il giovane cacciatore sospirò, rassegnato, e si infilò in bagno.
«Non fate danni mentre non ci sono» sbottò, un attimo prima di chiudere la porta.

La verità era che ormai si era perfino abituato.
Dopo aver avuto per mesi il Diavolo e uno degli Arcangeli nella propria testa, tendeva a non stupirsi più di niente.
Quando devi dividere tutti i tuoi pensieri, le tue giornate e perfino i tuoi sogni con altre due creature, il tuo livello di pudore si abbassa ad uno standard che perfino Dean avrebbe ritenuto ridicolo.
Ci pensava, mentre si svestiva con calma e regolava la temperatura dell'acqua della doccia.
Si chiese quand'era successo che le battutine maliziose di Gabriel e le occhiate lascive di Lucifero avevano smesso di infastidirlo e fargli arricciare le labbra. Le prime volte, quando quella condizione era ancora una novità, si era sentito a disagio, parecchio.
Il fatto che l'Arcangelo gli accarezzasse i capelli per aiutarlo ad addormentarsi o le volte in cui Satana decideva che gli pareva una bella cosa prendere a strusciarsi su di lui tanto per non annoiarsi, era stato strano. Ovviamente.
Quando però ci aveva fatto l'abitudine il ribrezzo era svanito, sempre che di ribrezzo si fosse mai trattato. Adesso, lasciava che Gabriel gli si accoccolasse accanto, le sere in cui la malinconia si faceva sentire, e permetteva alle dita di Lucifero di attardarsi sul proprio petto, quando al mattino si svegliava e se lo ritrovava abbarbicato addosso. Non era veramente così strano come poteva sembrare.

Non che ci fosse mai stato qualcosa di fisico, tra di loro. Sam non aveva mai permesso a nessuno dei due di toccarlo in quel modo, ne di baciarlo.
In realtà, loro non ci avevano nemmeno mai provato veramente. Erano allusivi, certo, sfacciati ed invitanti, ma non veramente osceni. Si lasciavano andare a battutine, spesso più per provocarsi a vicenda e fare a gara a chi riusciva a spingersi più in là prima che Sam li zittisse entrambi con qualche oggetto pesante lanciato contro l'aria, ma non avevano mai provato a forzarlo in quel senso.
E non che il cacciatore non ci avesse mai pensato. Lui non era Dean, era abbastanza sincero con se stesso da ammettere che, beh, le donne non erano l'unica alternativa. O forse, era il fatto che quei due lo conoscevano così bene, avevano avuto modo di esplorare ogni anfratto della sua testa da sapere tutto di lui. Era un pensiero che a volte gli dava le vertigini.
Infilandosi sotto al getto d'acqua, Sam sorrise.
Non si era mai lasciato veramente andare all'immaginazione, non era una cosa che faceva per lui, né ci aveva mai pensato seriamente. Con ogni probabilità Arcangelo e Diavolo sarebbero stati ben felici di assecondarlo, ma lui non era sicuro che ne valesse la pena. Per cosa, poi? Cosa avrebbe potuto mai avere da due allucinazioni prodotte dalla propria mente martoriata?
Restava un pensiero allettante, comunque. Una fantasia, poco più.

Mentre si passava un asciugamano tra i capelli, si chiese, per la prima volta in assoluto, cosa fosse a trattenerli.
Avevano dimostrato entrambi di volerlo. Gabriel in modo più zuccheroso, con moine e quel suo modo di fare tutto ironia e leccalecca, mentre Lucifero era sempre stato più fisico, più diretto. Sarcastico, spesso invadente, ma anche deciso nei suoi modi e nei sottintesi che lasciava appesi alle frasi che pronunciava con quella sua dannata lingua biforcuta.
Quindi, se davvero lo volevano, perché non se lo erano preso? Avrebbero potuto obbligarlo, e nemmeno Dean sarebbe mai riuscito a salvarlo da una cosa del genere.
Il cacciatore si accarezzò il collo umido con l'asciugamano, ad occhi chiusi. Forse, era una gara tra di loro.
Se c'era una cosa che Sam aveva avuto modo di imparare sui due fratelli, era che non riuscivano a convivere se non battibeccando. Per l'attenzione del giovane Winchester, per chi avesse diritto di svegliarlo al mattino, per chi dei due potesse sederglisi accanto quando lui guidava e Dean dormiva sul sedile posteriore... Era una continua sfida, sempre a cercare di dimostrarsi qualcosa e, Sam ne era certo, lui era solo il loro modo di fissare un premio, il loro unico svago esistente.
In qualche modo, era divertente.
Si chiese come sarebbe stato essere davvero al centro di quella contesa, nel modo più fisico e sfacciato che ci potesse essere. L'idea era intrigante, nonostante fosse la prima volta che attraversava la sua mente.
Si legò l'asciugamano in vita, lasciando il petto scoperto. La nudità era un taboo che aveva sfatato da tempo.
O forse no, si ritrovò a pensare quando, aprendo la porta del bagno, si ritrovò davanti quello spettacolo.

Dei due, Lucifero era sempre stato quello meno timido, e non ci voleva davvero un indovino per immaginarne il motivo: le parole pudore e innocenza non facevano parte del vocabolario del Diavolo.
Eppure, in quel momento, quello ad essere sdraiato scompostamente su una sedia, un ginocchio di traverso su un bracciolo, un gomito sullo schienale e l'altra gamba appena piegata e svergognatamente aperta di lato, era Gabriel, vestito soltanto della propria pelle.
Teneva il capo reclinato appena all'indietro, le labbra socchiuse attorno allo stecchino di un leccalecca, gli angoli della bocca piegati verso l'alto in un sorrisetto malizioso.
Sam deglutì, interdetto.
La sua testa, completamente vuota, registrò a malapena lo scatto della porta del bagno che si chiudeva, mentre recepì forte e chiaro un altro corpo, caldo e decisamente più alto di Gabriel, che si premeva contro la sua schiena. Le braccia di Lucifero si chiusero intorno alla sua vita, e i suoi denti sul suo collo, appena un assaggio di morso, non abbastanza nemmeno per farlo gemere di sorpresa.
«Com'era l'acqua, Sam?» soffiò il Diavolo contro il suo orecchio «abbastanza calda per i tuoi gusti?»
L'arcangelo, ancora stravaccato sulla sedia, sogghignò, e in quel momento il cacciatore si rese conto di essere quello più vestito dei tre, con addosso appena un asciugamano lasco sui fianchi. Lucifero parve leggergli nel pensiero, perché immediatamente le sue dita furono sul nodo che teneva ferma la spugna.
Sam, malgrado tutto, le intercettò, fermandole, e si guadagnò un morsetto indispettito alla base della nuca.
Questa volta, a rompere il silenzio fu Gabriel. «Ci eri sembrato più che disposto a provare, fino ad un attimo fa» mormorò, e il significato delle sue parole investì il cacciatore con qualche secondo di ritardo.
Oh, beh.
«Non sapevo poteste leggermi nei pensieri» disse, sentendo la propria voce molto più roca di quanto si sarebbe immaginato, e rendendosi immediatamente conto di aver detto una cazzata. Certo che lo sapeva, se ne era solo dimenticato.
Lucifero ridacchiò, una bassa vibrazione che scosse la schiena di Sam, che non si era accorto di essersi lasciato andare contro il suo petto. «Siamo nella tua testa, certo che possiamo. E poi, ci sono pensieri che sono davvero difficili» soffiò, ondeggiando i fianchi contro di lui «da ignorare»
Sam chiuse gli occhi, appoggiando la nuca contro la sua spalla.
Beh, si era detto disposto a provare, giusto? Non aveva niente da perdere.
E poi, tutta quella situazione era così fottutamente surreale che non approfittarne sarebbe stato uno spreco.
Lucifero sorrise, reagendo a quei pensieri con una carezza marcata sui suoi fianchi, le mani che di nuovo guadagnavano terreno lungo il profilo dell'asciugamano.
Il cacciatore, distratto da quei tocchi, allungò una mano di fronte a sé, e Gabriel si alzò accettando l'invito. Intrecciò le dita della sinistra con le sue, e subito la destra fu sulla sua vita, ad anticipare i gesti del fratello.
La spugna cadde a terra accompagnata da un brontolio di disappunto del Diavolo, che allungò una mano per stringere tra le dita la pelle di un fianco dell'Arcangelo. «Non essere impaziente, Gabriel» sbuffò, tradendo il proprio fastidio solo in parte.
Per tutta risposta, il minore si lasciò cadere in ginocchio davanti a Sam, una mano ancora intrecciata alla sua e gli occhi fissi in quelli del fratello, la sfida palese sul suo viso. Il cacciatore lo osservò leccarsi le labbra, e appena la sua mente annebbiata realizzò cosa stesse per fare, lasciò cadere di nuovo la testa sulla spalla di Lucifero, gemendo sommessamente.
Gabriel si sporse in avanti, affondando il naso appena sotto all'ombelico del cacciatore, e accarezzando la pelle con timidi tocchi di lingua, prima di farsi strada con le labbra lungo la sottile scia di peli che dal ventre scendevano verso il basso. Sam lottò per non affondargli una mano tra i capelli e spingerlo giù, e subito la voce del Diavolo gli venne in aiuto.
«Non erano questi i patti» sbuffò, sollevando il mento del fratello con due dita e fermando la sua estenuante discesa «tu sopra, e io sotto» mormorò, facendo migrare tutto il sangue che ancora circolava nella testa di Sam verso lidi decisamente più caldi.
Gabriel schioccò le labbra, prima di arricciarle in un sorrisetto colpevole. «Hai ragione» ammise, rimettendosi in piedi, le dita della mano sinistra ancora intrecciate con quelle del cacciatore.
Lo osservò per un attimo, poi di nuovo suo fratello. «Dovremo spostarci, allora» valutò, e l'attimo dopo il giovane Winchester si ritrovò sdraiato a pancia in su sul letto, l'Arcangelo inginocchiato accanto e lo sguardo scuro di Lucifero, ancora in piedi contro il muro, puntato addosso. Il Diavolo roteò gli occhi e si incamminò verso di loro, mentre il fratello lo aspettava con un sorrisetto ad increspargli le labbra.
Mentre si avvicinava, Sam ebbe modo di osservarlo attentamente. Era snello, quel corpo, appena più muscolo di quanto il cacciatore si sarebbe aspettato. Non aveva idea di quale fosse la storia di quel tramite, ma si chiese se non avesse lavorato su se stesso. Era bello, con quegli occhi gelidi, i tratti quasi felini e il taglio ampio della fronte, e l'eleganza di quel fisico scolpito eppure comunque snello lo rendevano pressochè perfetto. Lucifero aveva scelto un bell'uomo come tramite.
Il Diavolo sorrise quando intercettò i suoi occhi, e si inginocchiò tra le sue gambe. «Non è solo il mio contenitore ad essere così, Sam» mormorò, accarezzandogli un ginocchio piegato in punta di dita «i tramiti assomigliano sempre agli angeli che li abitano»
«Non vantarti adesso» disse Gabriel, con un sorriso ironico sulle labbra «non sei di certo l'angelo più bello del Paradiso»
Lucifero arricciò le labbra in un moto di stizza, ma prima che potesse ribattere, Sam strinse una mano attorno al suo avambraccio, risalito fin sulla sua coscia. «Lo è, invece» bisbigliò con gli occhi fissi nei suoi, lui stesso sorpreso delle proprie parole «nella Bibbia si dice che fosse l'angelo più splendente del Creato»
Satana lo osservò per un momento, poi sorrise. Senza distogliere lo sguardo da lui, si rivolse a suo fratello. «Se non lo baci tu, lo faccio io»
Gabriel sbuffò, ma immediatamente le sue labbra furono sul mento di Sam, e poi sulla sulla sua guancia, il profilo del naso e infine, finalmente, le labbra. Il cacciatore non oppose alcuna resistenza quando l'Arcangelo gli invase la bocca con la lingua, portando con sé il sapore zuccheroso di caramella, e gli affondò una mano tra i capelli, trascinandoselo più addosso.
Stava quasi per chiedersi che fine avesse fatto il leccalecca che stava succhiando fino ad un attimo prima, quando un movimento inaspettato del Diavolo lo fece gemere di sorpresa. All'improvviso, in un modo completamente imprevedibile, si ritrovò sepolto nella sua bocca, completamente, e si rese conto di poter percepire ogni movimento della sua lingua sulla propria erezione improvvisamente tesa.
Gabriel, indispettito dal fatto che il fratello avesse ottenuto la piena attenzione di Sam, gli morse un labbro, prima di scendere sul suo petto e iniziare a succhiare, lasciando vistosi segni rossi sulla sua pelle. Il cacciatore, però, non riusciva a concentrarsi davvero su di lui, troppo perso nella sensazione bollente della bocca di Lucifero attorno a sé, della sua lingua biforcuta che si arrotolava senza sosta sulla sua pelle sensibile e delle sue mani aggrappate ai propri fianchi, le dita premute fino a lasciare dei segni. Si chiese, mentre cercava di riempire i polmoni almeno un po', se non fosse per pareggiare i conti con Gabriel che lo stava tenendo fermo in quella maniera: visto che lui gli stava tormentando il collo, anche Lucifero voleva avere la possibilità di marchiarlo.
Rilasciò un respiro spezzato quando, dopo quelle che parvero ore, il Diavolo sollevò il capo, lasciandolo andare. Stava per strattonare i capelli dell'Arcangelo per riportarlo con violenza sulle proprie labbra, quando sentì quelle di Lucifero chiudersi sulla punta della sua erezione, e succhiare.
Gettò il capo all'indietro, con violenza, chiedendosi da quando un semplice lavoro di bocca gli faceva quell'effetto, ma subito la lingua di Satana si mosse per strappargli anche quel pensiero, premendo con viva forza su di lui, facendolo urlare.
Gabriel sollevò il capo dalla sua gola, ammirando una serie di segni rossi che presto si sarebbero trasformati in lividi, e sorrise quando incrociò lo sguardo implorante di Sam. Sembrava supplicarlo di fare qualcosa, qualsiasi cosa, pur di tenerlo ancorato lì, a quel piacere devastante che sembrava destinato ad annientarlo. L'Arcangelo lo baciò, scavalcando il suo corpo con una gamba e sedendosi sul suo stomaco, appena sotto alla cassa toracica.
Anche lui era duro, il cacciatore se ne rese conto solo in quel momento, quando l'erezione di Gabriel premette sul suo petto. Si chiese come sarebbe stato prenderla in mano. O in bocca.
«Puoi, se vuoi» mormorò una voce bassa e profonda, e Sam ci mise un lungo secondo a capire che era quella di Lucifero. Non si era nemmeno reso conto che avesse smesso di tormentarlo con la lingua.
Gabriel ghignò, malizioso, e si sollevò sulle ginocchia, avanzando verso di lui con i fianchi, e il cacciatore non esitò un solo secondo ad allungare una mano e ad afferrarlo, stringendo. L'arcangelo gettò la testa indietro con un gemito soffocato, e lui iniziò a muovere la mano, mentre avvicinava le labbra alla sua punta bagnata.
Il primo tocco di lingua fu puramente sperimentale. Un successo.
Un attimo dopo, Gabriel dovette appoggiarsi con entrambe le mani alla spalliera del letto per reggersi, e per non cedere all'istinto di affondare con violenza nella bocca del ragazzo.
«Sei bravo» esalò, guardandolo da dietro le ciglia socchiuse «forse anche più di Lucifero»

Sam sorrise, con le labbra ancora su di lui. Ne dubitava.
«Non sminuirti, Sammy» soffiò in quel momento il Diavolo, accarezzandolo con una mano la pelle tesa della sua erezione, ancora inginocchiato tra le sue gambe «non vedi che effetto gli fai?»
Si, lo vedeva. E, beh, ne era onestamente sorpreso.

Nella sua vita, modestia a parte, aveva avuto occasione di sperimentare diversi giochi di quel tipo, e sapeva per esperienza che non bastava qualche tocco di lingua per ridurre qualcuno all'ammasso di carne e gemiti che si sentiva lui in quel momento, o che pareva essere diventato Gabriel. In tutta sincerità, non riusciva a capire come fosse possibile essere già ad un passo dal limite per così poco.

Ad un tratto, con un lungo gemito sofferto, l'Arcangelo si sfilò dalla sua bocca e dalla presa della sua mano. Indietreggiò lungo il suo petto, sedendosi sul suo bacino, e il cacciatore gemette quando lo sentì strusciare le natiche contro di lui.
«È una cosa che lui può spiegarti meglio di me» commentò Gabriel, e Sam non ebbe il tempo di aggrottare le sopracciglia che sentì le labbra di Lucifero accarezzargli il collo, la gola, le clavicole. Non si era nemmeno accorto che non fosse più tra le sue gambe.
Lentamente, il Diavolo risalì il suo profilo, attardandosi sul pomo d'Adamo, fino a raggiungere le sue labbra.

Non era affatto come baciare Gabriel. Lui era più deciso, più sfacciato, si prendeva quello che voleva anche a costo di sopraffarlo, e c'era un che di eccitante in quel modo di fare quasi aggressivo.
Sam gli permise di condurre il bacio, gemendo nella sua bocca quando percepì l'Arcangelo prendere posto tra le proprie cosce ancora aperte, e accarezzargli la piega dell'inguine con la lingua.
Lucifero, inginocchiato a terra accanto al letto, scese con le dita fino a uno dei suoi capezzoli, torturandolo appena prima di pizzicarlo, godendo del gemito disperato che Sam si lasciò sfuggire.
Com'era possibile sentirsi così bagnato e delirante per un bacio?
«Non è il bacio in sè» soffiò Satana sulla sua bocca, lasciandogli appena lo spazio per riprendere fiato.
Il cacciatore chiuse gli occhi cercando di non urlare -e fallendo miseramente- quando Gabriel iniziò a leccarlo, dalla base alla punta, in un modo totalmente diverso da suo fratello. Afferrò il braccio di Lucifero, stringendo e attirandolo a sé, sul proprio corpo. Lui non si fece pregare, arrampicandosi sul letto e sdraiandoglisi sopra, di traverso per non infastidire l'Arcangelo.
Il solo contatto con la sua pelle bollente annullò di botto tutti i pensieri di Sam, portandolo a chiedersi che cosa ci fosse in quei due che lo mandava così tanto fuori di testa.
«È perché siamo legati a te, alla tua mente» mormorò il Diavolo, rispondendo alla sua domanda muta «proviamo lo stesso piacere che provi tu, e allo stesso tempo tu provi tutto il piacere che proviamo noi. Per questo è tutto così amplificato»
Sam annuì, stringendogli la vita con un braccio e cercando le sue labbra. Quando Lucifero si mosse per assecondarlo, sentì la sua erezione -deliziosamente dura e bagnata- premergli contro il fianco.
«Voglio toccarti» esalò, senza pensarci troppo, e le labbra del Diavolo si piegarono sulle sue in un piccolo sorriso soddisfatto.
«Allora fallo» rispose, spostandosi di lato per permettere alle dita di Sam di stringersi attorno a lui. Il cacciatore si mosse sicuro, prendendo un ritmo frenetico, mentre tra le sue gambe Gabriel faceva altrettanto. Lucifero premette la fronte contro la tempia del cacciatore, in un gesto sorprendentemente tenero e delicato, e strinse forte gli occhi quando lui gli morse la bocca.

Ci fu un attimo di vuoto, ad un certo punto, quando l'Arcangelo abbandonò la sua erezione e si stese a sua volta addosso a Sam, infilando una gamba tra le sue, ma quando iniziò a spingere il bacino contro il fianco del cacciatore e a strusciare la coscia sul suo inguine, i pezzi tornarono ad incastrarsi alla perfezione. La sua pelle era bollente contro l'anca del cacciatore, i suoi muscoli duri e caldi contro il proprio sesso e l'erezione di Lucifero pulsava nella sua mano.
Sam chiuse gli occhi, la lingua affondata nella bocca di Gabriel e la testa completamente vuota.

Vennero insieme, e a pensarci avrebbe dovuto aspettarselo.
«Pare avessi ragione» mormorò, sfiatato, rivolto al Diavolo «a proposito del provare tutti lo stesso piacere. Questo non lo rende meno inquietante, però»
Lucifero, per tutta risposta, strusciò il naso contro il profilo della sua mandibola, come un grosso gatto, e Gabriel ridacchiò con la testa appoggiata alla spalla del cacciatore.
Sam non si mosse, si limitò ad affondare una mano tra i capelli dell'Arcangelo e a rinsaldare la presa sui fianchi del Diavolo. Ci sarebbe stato tempo per pensare a un'altra doccia.
«Allora?» chiese Gabriel ad un certo punto, rivolgendosi al fratello «che si fa? I patti erano che vinceva chi lo faceva urlare, ma ci siamo riusciti entrambi»
Il Diavolo sbuffò. «Quindi, chi ha vinto?» chiese, aprendo soltanto un occhio.
L'arcangelo parve pensarci un momento, ma Sam fu più veloce.
«Io» sorrise, premendo una mano sulla nuca di Gabriel e strusciando un ginocchio contro la coscia di Lucifero «ho vinto io»
































NdA
Buongiorno a tutti. Ho delle cose da dire.
La prima, è che speravo venisse un po' meno Samifer di così, ma amo troppo Lucifero per metterlo da parte. E Gabriel è vagamente OOC, ma non penso poi così tanto.
Il paring mi era stato suggerito proprio da qualcuno di voi (vi amo un sacco ma giuro, non mi ricordo chi. In ogni caso, grazie infinite) e quando ho dovuto decidere cosa scrivere oggi la scelta è stata parecchio obbligata, per una serie di ragioni che non sto qua a spiegarvi. Il rating invece è praticamente su commissione ma va beh, ci accontentiamo, uhm?
Un'altra cosa che devo dirvi è che chiedo umilmente il vostro perdono per l'assenza di lunedì scorso, ma sapevate che a volte potrei saltare la pubblicazione. Spero non ricapiti presto, tutto qua.
E, ultima cosa (?), il titolo è la fine del mondo. Chi riconosce la citazione si merita tutta la mia stima (dai, non è così difficile).
Sappiate che comunque la mia beta se ne lava le mani declina ogni responsabilità in merito al capitolo, e che i pomodori marci vanno tirati tutti a me.
As usual, baci a tutti, un grazie immenso a chi segue/preferisce/ricorda/legge/recensisce e ci si vede più in là.
Un abbraccio, 
Fanie






P.S. Tanto per essere sicura che abbiate capito che la colpa è tutta vostra, Buon compleanno<3

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Capitolo 74
*** With every broken bone ***


Rating: Sarebbe arancione, in un universo parallelo in cui io scrivo Weecest arancioni. In questo universo non lo faccio. (Non ancora)
Genere: Sentimentale, un non so che di malinconico, fluff.
Contesto: Prima dell'inizio (quindici e diciannove, i migliori anni possibili)
Note: Ho rovinato quella che sarebbe potuta essere un'idea fantastica per un gran bel capitolo. Chiedo perdono alla mia prompter, non so come ho fatto a ficcarci dentro della malinconia.
Ah, e perdonate anche le occasionali citazioni (inquietanti) da Teen Wolf, non ho proprio saputo resistere.


 

With every broken bone



Dean Winchester è perfettamente consapevole di essere un sadico bastardo.
Nei suoi lunghi e più che soddisfacenti diciannove anni di vita, ha avuto innumerevoli occasioni per dimostrarlo, e per migliorare questa sua innata caratteristica, iniziando ad andarne anche piuttosto orgoglioso.
Dopotutto, per raggiungere la giusta combinazione di ironia, indifferenza e menefreghismo ci vuole impegno e duro lavoro, e anche una certa dose di talento naturale, e lui non può che esserne molto fiero.

La più grande fonte di soddisfazione per questo lato del suo carattere è senza dubbio suo fratello.
Sam non manca mai di ripetergli quale enorme ed egocentrico stronzo sia, quanto riesca ad essere dannatamente fastidioso e quale immensa pena lui provi nel vederlo comportarsi da sarcastico idiota ogni singolo giorno della sua vita.
L'unica pecca di quel modo adorabile che ha il suo fratellino di fargli sapere quanto odi il suo essere un sadico bastardo è che, generalmente, lo insulta con le labbra premute contro le sue e le mani infilate nei suoi jeans, quindi Dean non sa mai se dica sul serio oppure no.

In quel momento, però, sa che Sam è serissimo mentre lo maledice nei modi più fantasiosi che conosce e saltella su una gamba sola in giro per tutta la stanza, cercando di ignorare le sue risate e allacciarsi contemporaneamente i jeans, senza usare il braccio destro, quello ingessato.

Se proprio qualcuno glielo chiedesse, Dean non esiterebbe a dire che è successo in un modo decisamente stupido.
Con la vita che fanno, ci si aspetterebbe che i Winchester si fratturassero le ossa lottando contro un vampiro o a causa delle torture di un demone.
Ma Sam, che nella sua straordinarietà sa essere fastidiosamente ordinario, preferisce il Lacrosse.
O meglio, preferisce inciampare durante una dannata partita di Lacrosse e schiantarsi di faccia al suolo, rompendosi un braccio per ogni buon conto.
Dean, che nemmeno ha capito bene quali siano le regole di quel gioco idiota (prima di arrivare in quel posto nemmeno sapeva che esistesse uno sport come quello, grazie tante), lo ha accompagnato in pronto soccorso, e si è ovviamente anche preso la solita strigliata da John.
Perchè certo, prendiamocela con Dean se Sam ha deciso che gli sembrava un buon modo di passare tre mesi -il tempo che il padre ha promesso di trascorrere in quella specie di francobollo che chiamano città- a farsi coinvolgere in una lunga serie di attività extrascolastiche, tra cui anche quel folle sport!
Se non fosse che si tratta di Sam, Dean oserebbe anche dire che farebbe meglio a concentrarsi sulla caccia che li ha portati lì, e magari dare una mano a rintracciare quel branco di skinwalkers che sembra aggirarsi in città. Ma è Sam, e Sammy è dannatamente libero di fare quello che vuole, finché Dean avrà le forze mentali e fisiche per permetterglielo, dovesse anche passare il resto della sua vita a ridere mentre suo fratello si spiaccica sul terreno fangoso del campo della scuola.

(La cosa che difficilmente riuscirà ad ammettere è che, quando Sam ha mancato la palla e si è visto piovere addosso centotrenta chili di difensore avversario come un bisonte in corsa, il suo cuore di fratello maggiore ha perso una poco salutare serie di battiti, e lui ha desiderato fortemente gonfiare di botte quella specie di bufalo in tenuta da Lacrosse)

In ogni caso, superata la prima settimana dal disastroso evento, Dean inizia a cogliere il lato divertente della faccenda.
Certo, le prime settantadue ore sono state una specie di delirio, con lui che si aggirava attorno ad un Sam mortificato e lo ingozzava di antidolorifici, neanche a rompergli il braccio fosse stato lui. Lo aveva vegliato perfino di notte, ma quello era qualcosa che suo fratello non era tenuto a sapere. Mai.

Comunque, la parte esilarante della faccenda è che Sam si è rotto il braccio destro e, non essendo mancino, risulta incapace a fare, beh, più o meno tutto.

Mangiare, in primis.
Dean è riuscito a resistere più o meno tre secondi prima di strappargli di mano la forchetta con cui si stava dipingendo la maglia di sugo al pomodoro e iniziare ad imboccarlo, schivando uno alla volta tutti i “non sono un bambino” di suo fratello.
È stato divertente, le prime sei o sette volte, ma quando si sono accorti dello sguardo perplesso di John ad ogni pasto, Sam si è ripreso la forchetta ed è finita lì.

Ovviamente, ci sono i compiti.
Visto che il minore dei Winchester è un dannato secchione instancabile, Dean si è ritrovato a doverlo aiutare.
L'aiuto consiste, sostanzialmente, nello scrivere sotto dettatura, e no, non è affatto divertente come può sembrare.
(«Dean, scrivi come una gallina»
«Senti chi parla. Vuoi provare tu?»
«Ma dai, impegnati! Questa riga sembra l'abbia scritta un cucciolo di tirannosauro»
«Modera il linguaggio. Almeno un tirannosauro adulto!»
«Che cretino che sei»
«Puttana»
«Dean!»
«Che c'è?»
«Scrivi!»)

Poi, c'è la doccia.
E no, Dean non dovrebbe sorridere in quel modo al solo pensiero.
Non che sia facile: da quando Sam si è rotto il braccio, John fatica a lasciarli soli, forse pensando che rimanendo con loro saranno più al sicuro, ma la verità, con tutto l'affetto per il padre, è che i due fratelli farebbero di tutto pur di liberarsi di lui per qualche ora.
Se già sembra quasi storcere il naso le rare volte in cui i figli condividono un letto e finiscono con il dormire abbracciati, il maggiore non osa immaginare cosa penserebbe se li trovasse a baciarsi o, peggio ancora, a lavarsi l'un l'altro.
Quindi sì, nonostante sia un'idea allettante, Dean è un po' a disagio.
Non che quello sia un livello di intimità che non hanno mai raggiunto (in realtà anche superato, nonostante il più grande sia particolarmente restio a spingersi tanto in là con il suo fratellino minorenne), è solo che il pensiero che John potrebbe scoprirli in ogni momento gli mette addosso una fastidiosissima pelle d'oca.

Sam, ovviamente, è di ben altro avviso.
Quel ragazzino insolente ha un modo tutto suo di provocarlo, combinando assieme dolcezza e malizia in una miscela che ha dell'ingenuo e del potenzialmente letale, qualcosa a cui Dean non ha ancora imparato -e probabilmente non ci riuscirà mai- a resistere.
In genere, comincia mugolando di dolore. Si tiene il braccio con la mano sinistra, lo stringe al petto e chiude gli occhi, sofferente. I sensi di suo fratello, che sono sempre catalizzati su di lui, se ne accorgono immediatamente.
Sam, allora, si morde un labbro fino ad arrossarlo, torturandolo tra i denti, poi si alza e piega la schiena all'indietro, stiracchiandosi. Quando la felpa scivola giù dalle spalle in un tonfo morbido, Dean sa già di aver perso.
Lo guarda spogliarsi lentamente, metodico e sinuoso, e lo osserva mentre si pettina i capelli troppo lunghi con le dita della mano sinistra, prima di voltarsi verso di lui e sorridergli, ingenuo. Sanno entrambi che è un invito che non va pronunciato ad alta voce, ma se dovesse servire Sam lo farebbe. Ne ha già dato prova, in passato: la prima volta, quando suo fratello aveva troppa paura che John rientrasse in camera in quel momento, gli si era avvicinato e gli aveva preso il viso tra le mani, nudo tranne per i boxer, e gli aveva sussurrato sulle labbra un «ti prego, non costringermi a fare da solo» che poteva dire ogni cosa eppure una sola, e Dean era già in piedi.

Quindi sì, il maggiore si alza ogni volta, lo raggiunge e lo segue in bagno, aprendo l'acqua. Lui non si spoglia mai, scalcia solo le scarpe per evitare che si bagnino e poi lo aiuta ad entrare nella doccia, restandone fuori. Si illude ogni volta di non toccarlo, di riuscire a resistere dal baciarlo e strusciarglisi addosso come l'animale a cui Sam lo riduce ogni dannata volta che lo provoca.
La verità è che appena il minore aggrappa le dita della mano destra alla sbarra di metallo che regge la tenda a fiori della doccia, per impedire che il gesso si bagni, Dean non riesce ad impedirsi di guardarlo, di guardare il suo corpo magro e perfetto sotto al getto d'acqua e pensare che fanculo, lui lo vuole toccare.
In genere, resiste finché il più piccolo non si volta di schiena, porgendogli una spugna perché gli lavi le spalle. Sam allarga le gambe, lascivo, e afferra la mano del fratello poggiandosela sul fianco, e gli accarezza le dita finché non le sente stringersi sulla sua pelle. L'attimo dopo, Dean sta premendo insieme i loro corpi e sorride, anche se ha perso la battaglia.

E, sopratutto, ci sono i vestiti.
Ora, non che lui non provi particolare piacere nel togliere di dosso uno per uno tutti gli strati di stoffa che coprono la pelle calda di Sam. È un'attività a cui ha sempre amato dedicare tempo e impegno, e non se ne è mai pentito (e suo fratello nemmeno).
Solo che, nell'ultima settimana, sembra aver maturato una specie di gioia malata nel rivestirlo, stranamente.
Il minore dei Winchester, che ovviamente ha la manualità di un orso polare, si è arreso forse un po' troppo in fretta alle dita esperte di Dean per tutto quello che riguarda cerniere, lacci e bottoni, e in fondo è un nuovo genere di intimità che piace ad entrambi.

Non che sia facile.
In quel momento, ad esempio, il maggiore non riesce smettere di ridere davanti ai goffi tentativi del suo fratellino di allacciarsi i jeans con una mano sola, accompagnati da un fastidioso saltellare in lungo e in largo come se il solo movimento potesse in qualche modo agevolarlo. Sa che Sam non lo dirà ad alta voce, però sente la sua richiesta d'aiuto perfino dal letto su cui se ne sta comodamente disteso. È come avere un potere formidabile e decidere di farne uso a proprio piacimento.
Si alza lentamente, arreso alla propria genetica incapacità di stare lontano dal fratello, e lo ferma afferrandolo per i fianchi. Lui sbuffa, come Dean si aspettava che facesse, ma non protesta. Lascia che lui gli chiuda meglio la zip della felpa e che gli sistemi il cappuccio sulle spalle, prima di osservarlo lasciarsi cadere in ginocchio davanti a lui, con un piccolo sorriso sulle labbra.
Si lecca le proprie, di riflesso, e aspetta pazientemente che lui gli abbottoni i pantaloni in quel modo un po' frustrante di chi vorrebbe invece farli a pezzi. Non è una sorpresa, dopotutto.
«Papà è andato a parlare con lo sceriffo, e ci vorranno ore prima che torni» dice, a tutti e a nessuno, quando Dean si rialza in piedi e gli stira il bordo della felpa fino a coprire l'orlo dei pantaloni. Hanno entrambi dimenticato la cintura.
«Uhm» mormora lui, in automatico, un po' perché lo sapeva già e un po' perché si è appena accorto che la maglia che Sam indossa era sua. Adora vederlo nei suoi vecchi vestiti.
«Potremmo farci una doccia, mentre lo aspettiamo» dice lui, sollevando due dita della mano sinistra e appoggiandole sullo sterno del fratello. Le lascia scorrere verso il basso, finché non si arenano inevitabilmente sul bottone dei suoi jeans.
«Io l'ho fatta un'ora fa. Ho ancora i capelli bagnati» ribatte Dean, che è sceso a patti con la sua natura di sadico bastardo da un bel po' di tempo, ormai.
«Che stronzo» commenta infatti Sam, premendo il pollice e l'indice sulla patta dei suoi pantaloni, cercando inutilmente di aprirli. È una battaglia persa in partenza, e lo sanno entrambi.
«Sempre stato» dice lui, afferrando il polso del fratello e tirando verso di sé. Lo sorregge quando il più piccolo finisce inevitabilmente schiantato contro il suo petto, e lo osserva preoccupato quando un mugolio dolorante gli sfugge di bocca.
«Hai la delicatezza di un ippopotamo» commenta il minore dei Winchester, ma sta sorridendo, e allora Dean può anche rilassarsi.
Gli avvolge la vita con un braccio, mentre l'altra mano si posa sul suo collo, al confine con la spalla.
«E tu la leggiadria di un bradipo»
Sam sbuffa, e lui si chiede cosa diamine stiano facendo. Sono uno tra le braccia dell'altro, con qualche ora di tempo a disposizione e la solitudine di cui hanno un così disperato bisogno, eppure continuano a battibeccare come bambini.
«Dean»
«Mh?»
«Magari stai zitto, eh?»
Il maggiore sorride e lo bacia, sentendolo scioglierglisi addosso come cioccolato al sole.
«Nah. Sai che devo avere sempre l'ultima parola»
E quelle, quelle sono davvero le ultime parole per un bel po'.



















NdA
'Sera, e scusate l'orario.
Dico subito che il titolo è un verso di "I lived" degli One Republic ed è tipo una delle canzoni più belle del mondo e va beh, non c'entra assolutamente nulla con il capitolo ma mi piaceva. Fine.
Non so perchè, ma ad un certo punto io mi immaginavo Sam in squadra con Scott e Stiles, e Derek che li fissava tutti dal tetto della scuola. Qualcuno mi aiuti.
Spero vi sia piaciuto, a me non so, poteva essere meglio ma non ho avuto il tempo di pensare a nient'altro.
Come al solito vi amo tutti, vi ringrazio infinitamente e niente, buona settimana.
Un bacio, 
Fanie


 

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Capitolo 75
*** Say my name ***


Rating: Giallo.
Genere: Romantico, appena malinconico e decisamente introspettivo.
Contesto: Dalla quarta alla nona, e vari spoiler ma non particolarmente articolati.
Note: Sono in ritardo, lo so, ma spero di farmi perdonare. 
È una Destiel.

 

Say my name


Castiel ama il proprio nome.
Sa che gli è stato dato da suo Padre, è un dono inestimabile e per questo lo apprezza, lo rispetta.
Non ha molte occasioni di sentirlo pronunciare, raramente gli altri angeli ne hanno bisogno. Lui è solo un soldato, dopotutto.
Però gli piace il suono che ha, o che avrebbe se qualcuno lo usasse. Ne va molto fiero.

***

Castiel non ha avuto, nella sua vita, molte occasioni di avere a che fare con l'umanità. Non era quello il suo compito.
Gli piaceva osservarli, questo sì, perché li trovava creature infinitamente curiose, ma non li ha mai davvero compresi fino in fondo.
È per questo che, quando si presenta per la prima volta all'umano, a Dean Winchester, non è certo di come sia meglio agire.
In realtà, si aspetta che, una volta pronunciato il proprio nome e mostrategli le ali, il cacciatore cada in ginocchio ai suoi piedi. I suoi fratelli gli hanno raccontato che è quello che succedeva in passato.
Resta assai deluso, quindi, quando l'uomo reagisce pugnalandolo al petto, senza nessun timore o rispetto.
Che sciocco umano.
Davvero, Castiel non capisce cosa suo Padre ci veda in lui, non è niente di speciale, solo un'altra creatura ottusa e priva di Fede.
Ma c'è un particolare. Una sola, piccola stilla di insicurezza che si insinua in lui, a minare la sua certezza che Dean Winchester non sia niente, in realtà.
Il modo in cui il cacciatore pronuncia il suo nome.
È basso, roco, appena esitante, calca sulla s in modo netto, pulito, e sulla e un po' ruvidamente.
Nessuno è mai riuscito prima di allora a far suonare il suo nome così bene.

***
Castiel non avrebbe mai pensato che gli umani fossero così complessi.
È difficile riuscire a capirli, e lui sembra molto lontano dal riuscirci.
In assoluto, la cosa che fino ad ora lo ha più sorpreso è la loro capacità di far trasparire i sentimenti che provano, sentimenti che gli angeli non hanno nemmeno mai potuto immaginare.
Cose come la gioia, la paura, la diffidenza, la speranza, la rabbia sono sconosciute a Castiel, che non solo non sa cosa significhino, ma nemmeno come si manifestino.
È per questo che si sorprende quando Dean riesce a riempire il suo nome di sottintesi.
La notte in cui gli compare in sogno, nella cucina di casa Singer, il cacciatore gli mostra per la prima volta qualcosa di diverso dalla corazza di sfrontatezza e distacco che lo ha sempre caratterizzato. Pezzo dopo pezzo, l'angelo lo vede disfarsi di fronte a sé, fino a spezzarsi nel momento in cui pronuncia il suo nome, masticandolo a fatica e con orgoglio, ma riempiendolo di qualcosa che Castiel non è pronto a comprendere.
Rabbia per non sapere cosa li attenderà in futuro, paura di non essere all'altezza, rassegnazione ad un compito che non vuole, diffidenza per una creatura in cui non crede, angoscia perchè sa che non meritava di essere salvato, dolore perchè tutto potrebbe finire, di nuovo.
L'angelo non sa, non capisce.
È ancora troppo presto.

***

Castiel ama il proprio nome, ed è per questo che non capisce cosa Dean stia cercando di fare con quello sciocco diminutivo.
Non ha nessuno diritto, il cacciatore, di prendersi gioco di lui chiamandolo “Cas”.
E il modo in cui suo fratello Samuel sorride, poi, quella piccola smorfia di tenerezza e affetto che cerca di nascondere ogni volta che il maggiore si rivolge a Castiel in quel modo, è offensiva. Come se pretendesse di sapere qualcosa più di lui, come se il fatto di avere un soprannome, come lo chiamano loro, avesse un significato, o dovesse averne uno.
Come se il fatto di essere Cas come Samuel è Sam implicasse un legame, tra loro. Un legame con Dean.
Assurdo.
Castiel fatica a comprendere le dinamiche umane, è davvero troppo poco tempo che è sceso sulla Terra tra i mortali per poter anche solo sperare di capire quelle bizzarre creature. Eppure, con un po' di attenzione e qualche spiegazione esasperata di Dean, ha capito che, in fondo, non dovrebbe prendersela tanto per il fatto di essere chiamato Cas. Il maggiore dei Winchester gli ha detto che è normale, che il suo nome è troppo lungo, e che è tutta questione di comodità.
Samuel -che insiste sul farsi chiamare Sam- dice che ci si abituerà, che suo fratello ha un modo strano di ammettere le persone nella propria vita, e che i diminutivi pare ne facciano parte.
Castiel, comunque, continua a preferire il proprio nome intero.

***

Si ricrede non molto tempo dopo. In un vicolo, alla periferia di una città come tante altre, alla vigilia dell'Apocalisse e con il mondo che sta andando a puttane -Dean ha avuto una pessima influenza su di lui, se è arrivato perfino al turpiloquio.
La luce del lampione sfarfalla, sopra di lui, quando l'angelo afferra il cacciatore per la gola e lo sbatte al muro, con violenza. Il volto del Winchester è contuso, i suoi occhi stanchi e appannati. Castiel -Cas, ormai- sa che non dovrebbero essere così.
Per questo lo colpisce ancora più forte, alla ricerca di risposte, o di speranza.
Fede in un uomo, in una creatura mortale.
È quando stringe le dita sulla sua pelle fino a spezzargli il fiato, quando i piedi di Dean si staccano da terra e lui si aggrappa al suo polso cercando un appiglio, in un tentativo disperato di non soffocare sotto alla sua furia, che lo sente.
Un flebile, appena percettibile ansito, un sospiro spezzato.
Il cacciatore mormora il suo nome -Castiel- affettandone le sillabe in quel suo modo perfetto e caricandole di un sentimento che non dovrebbe mai avvolgere il nome di un angelo. La resa.
Lo sussurra una volta sola, come se potesse spiegare tutto con quelle poche lettere, come se vi risiedessero la sconfitta e la redenzione, come se l'unico perdono che Dean va cercando sia quello di Castiel, anche se non hanno ancora perso e non ha nulla di cui scusarsi.
Vuole che l'angelo gli perdoni di essersi arreso.
Come se, dopo quello che ha sacrificato -che entrambi hanno sacrificato- ne avesse ancora il diritto.
Sanno entrambi che non ce l'ha, per questo uno lo compisce e l'altro lo lascia fare. Stanno combattendo la stessa battaglia, ed entrambi parteggiando per entrambe le fazioni.
Come siano arrivati lì, Castiel non lo sa. Sa solo che non permetterà mai più a Dean di chiamarlo in quel modo, di far suonare il suo nome così sconfitto.

***

Succede una cosa curiosa durante l'anno in cui i due Winchester conducono vite separate, uno a fingere di poter avere una famiglia normale e l'altro a caccia con il proprio nonno redivivo.
Castiel non ha più avuto contatti con Sam, dopo averlo tirato fuori dalla Gabbia, ha preferito lasciarlo vivere la propria vita come meglio crede. Ogni tanto si assicura che non sia morto, più per scrupolo personale -per un debito mai saldato con suo fratello- che non perché tema possa avere bisogno d'aiuto. I Winchester hanno la pelle dura, lo ha imparato stando al loro fianco.
Dean, invece, è stato impossibile da ignorare -da lasciare andare. Ha passato giornate intere ad osservarlo dire addio alla propria vecchia vita, a costruirsi un futuro normale e a piangere sulla tomba mai scavata di suo fratello. Non è riuscito a lasciarlo da solo, anche se lui non lo ha mai chiamato.
O meglio, non lo ha mai fatto ad alta voce.
Eppure, in un modo molto difficile da spiegare, e da comprendere, Castiel si è sentito invocare comunque. Come se Dean desiderasse averlo accanto a sé ma non osasse chiederlo, per orgoglio o per codardia.
Non è stato un nome o un soprannome a costringerlo ad andare da lui, ma il semplice dolore nei suoi pensieri, il suo bisogno di averlo vicino.
Ogni tanto, l'angelo si chiede se lui riesca a percepirlo, le notti in cui veglia sul suo sonno o le ore che trascorre a guardarlo raccogliere le foglie in giardino.

***

Dean ha sviluppato, in un modo che a Castiel è passato fastidiosamente inosservato, una spaventosa capacità di scherzare su ogni genere di argomento e in ogni genere di situazione.
Non che prima non lo facesse, ma sembra che questa storia del Purgatorio ne abbia accentuato la predisposizione.
È seduto in un bar con i Winchester e Bobby, alla ricerca di Eva. Ed è frustrante dover ammettere di non avere poteri utili, così vicino alla Madre di tutti i mostri. Dean, per tutta risposta, sbotta infastidito che senza le sue ali è solo un moccioso in trench.
In genere, quello che si infastidisce per queste cose è Sam. E Sam, beh, normalmente viene anche tranquillamente ignorato da Dean.
Quindi, Castiel si stupisce non poco quando, ad una sua smorfia perplessa e scocciata, il maggiore dei Winchester mormora qualche parola smozzicata, avanzando la stanchezza come scusa.
«Non volevo offenderti, Cas, mi dispiace»
Sam e Bobby si guardano, lui arrossisce e abbassa il capo, tormentando la sua fetta di crostata con le dita. L'angelo non ha capito perché improvvisamente stiano tutti zitti, ma non gli importa. Sorride, guardando fuori.

Più tardi, quando Eva è morta e Sam tira un sospiro di sollievo, Dean si avvicina a Castiel.
«Bel lavoro, moccioso»
L'angelo non sa come rispondere alla pacca sulla spalla e al sorriso rassicurante, così resta lì, inebetito. Non ha capito se il modo in cui il cacciatore lo ha appena chiamato sia un insulto o un rimprovero, però gli è piaciuto il tono morbido che gli ha rivolto. Si farà bastare quella conclusione.

«Moccioso, eh?»
«Zitto, Sam»

***

Un giorno, Castiel scopre cos'è la paura.
Non che non l'avesse mai vista prima, o non l'avesse perfino provata lui stesso, solo che, per la prima volta, capisce cosa significa venirne sopraffatto davvero.
E lo scopre nel modo in cui ha scoperto le cose più importanti della vita mortale: attraverso Dean.
La vede nei suoi occhi, mentre gli ordina di inginocchiarsi di fronte a lui -al nuovo Dio- davanti alla porta spalancata del Purgatorio. Per un momento, mentre il potere di tutte le anime gli si agita dentro, si ferma sul suo viso, e osserva la paura deformarne i tratti in un modo che non avrebbe mai creduto possibile, non su di lui, non dopo tutte le cose che gli ha visto affrontare con quella faccia da schiaffi addosso.
Si guardano, per un momento, e poi gli occhi di Dean si piegano verso il basso contro la sua volontà, ed è troppo nel momento in cui chiama il suo nome -Castiel.
C'è paura nella sua voce (nel modo in cui lo chiama), paura per Sam, per Bobby, per il mondo intero, e anche un po' per il suo angelo, per la cosa in cui si sta trasformando senza nemmeno saperlo -ha paura di perderlo, ma sono entrambi troppo ottusi per capirlo.
Non per se stesso. Dean non è mai spaventato per se stesso, perché ancora convinto di essere sacrificabile. Ed è di questo che Castiel ha paura.

***

In Purgatorio, scopre la redenzione.
E non, come ci si aspetterebbe, nella sofferenza e nella punizione, ma tra le braccia di un uomo.
Quando Dean lo trova, sulle rive di quel ruscello, sporco e coperto di peccato, non esita un solo istante ad abbracciarlo -nonostante il muro di Sam, i Leviatani, Bobby, loro due prigionieri in quel posto. Lo stringe a sé con forza, come se avesse passato tutta la vita a fare quello, a desiderarlo.
Castiel chiude gli occhi, perché sa di non meritarselo.
Ed è lì che lo sente.
Un Cas smozzicato al suo orecchio, una sillaba soltanto, che è tutto per lui, è perdono e famiglia e casa in un modo che non credeva più possibile. Dean lo vuole ancora, e l'angelo riesce finalmente a perdonarsi.

***

È nel Bunker che Castiel sente per la prima volta il proprio nome impregnato di desiderio.
Non sapeva nemmeno che cosa significasse veramente, prima di quel momento, e quando sente Dean chiamarlo in quel modo, con le mani sui suoi fianchi e il viso seppellito nel suo collo, capisce che nessuno è mai riuscito a dire così tanto solo chiamandolo per nome. Il maggiore dei Winchester è sempre stato l'unico capace di far suonare così bene quelle poche sillabe.
È stata una lunga giornata, dopo settimane intere che avevano perso le tracce l'uno dell'altro, dopo il casino di Metatron e gli angeli. Si sono rivisti dopo quella che è persa un'eternità, sono sopravvissuti per miracolo, e adesso che sono di nuovo a casa, a Dean non va più di fingere che vada tutto bene. Per questo lo ha spinto contro uno dei tavoli della biblioteca e lo ha caricato sopra di peso, spingendosi su di lui e affondandogli in bocca come -Castiel se ne rende conto solo adesso- hanno sempre desiderato entrambi.
Sono stanchi, stremati da tutto quello che è successo e ancora sta succedendo, e troppo devastati per pensare di fermarsi, di andarci piano, di essere delicati. Non è il momento giusto.
E l'angelo -o ciò che resta di lui- non riesce a parlare, mentre il cacciatore è ovunque intorno a lui, lo stringe e lo scopre, lo strattona, lo morde e lo bacia e lo chiama, lo chiama in quel modo rauco e disperato di chi ne ha bisogno, di chi non può vivere altrimenti.
Ed è un po' sbagliato che Castiel non riesca a fare altrettanto, che lui non riesca a mormorare il nome di Dean allo stesso modo, perché non ha voce e coraggio per dirgli che nemmeno lui può vivere altrimenti.
Ma il cacciatore non ne ha bisogno, non adesso, e lo bacia forte ogni volta che l'angelo apre bocca.
L'unica cosa che risuona in tutta la stanza è quel nome -Castiel- che non è mai stato così bello.

***

Sono da qualche parte al confine con il Messico, quando succede ancora.
O meglio, succede per la prima volta.

Non c'è più stato niente dopo quella sera al bunker, dopo che Dean ha premuto forte la fronte contro la sua, ha chiuso gli occhi e se ne è andato. Credeva di non essere abbastanza, lo stupido umano, ha creduto che Castiel meritasse di meglio.
Si sono evitati per giorni, e il cacciatore non ha opposto resistenza quando l'angelo ha deciso di raggiungere gli altri angeli, per essere la loro guida. È stata la scelta più difficile che abbia mai fatto, persino più di Cadere -quella era una strada obbligata, ora lo capisce: non sarebbe mai potuto esistere lontano da Dean, o contro di lui.
Quando, settimane dopo, si rincontrano, Sam non sa più dove posare lo sguardo. Castiel sa che c'è qualcosa di sbagliato nel modo in cui il maggiore dei Winchester lo sta fissando, ma non riesce a capire perché suo fratello sia così imbarazzato.
Lo scopre pochi minuti dopo, quando finalmente il più giovane riesce a trovare una scusa per dileguarsi e lui e Dean restano soli al Motel.
Il cacciatore è irrequieto, imbarazzato eppure deciso, nel momento in cui si avvicina a lui e gli posa una mano sulla guancia.
L'angelo sa che dovrebbe essere furioso con lui, arrabbiato per essere stato lasciato indietro, ignorato, rifiutato, ma ogni cosa muore quando Dean lo chiama per nome e gli dice che gli dispiace.
«Credevo di poterne fare a meno, di poter stare senza di te. Era una cazzata» mormora, e Castiel non sa cosa dire.
«Sam ha ragione, Metatron potrebbe ucciderci tutti da un momento all'altro, e io non voglio morire di nuovo con questo rimpianto»
L'angelo aggrotta le sopracciglia, e il cacciatore sembra sul punto di ritrarsi. Ma non lo fa.
«Cas?» chiede, è c'è così tanto amore in quella sillaba, così tanta appartenenza e così tanta speranza che lui non può che annuire.
Il bacio è lento, morbido, permissivo. Le mani di Dean sono sulle guance di Castiel, e le sue sui fianchi del cacciatore.
Sono in piedi in mezzo alla stanza come due idioti, e va bene, va bene così.
Dean continua a chiamarlo tra un bacio e l'altro, tanti piccoli Cas sulla sua bocca e nel suo respiro, e Castiel non ha mai amato tanto il proprio nome.
Singhiozza, quando il cacciatore se lo carica addosso, e lui sorride contro i suoi denti senza nemmeno smettere di baciarlo.
«Tutto bene, angioletto?» chiede, sdraiandolo sul materasso.
E lui ama anche i soprannomi.






















NdA
Ciao a tutti, e scusate il ritardo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, perchè io lo amo un sacco.
Non sto qua a dilungarmi tanto, devo fare un annuncio importante.

Ho intenzione di chiudere la raccolta.
Ovviamente con largo preavviso, ovvero arriverò al capitolo 81 (tanto per non lasciarvi con una het).
Il piano originale non era questo, ma per cause di forza maggiore sono costretta a chiudere prima del previsto.
Mi scuso con tutti quelli a cui avevo promesso un capitolo particolare o un paring particolare, ma proprio non posso più portare avanti questa raccolta.
Può darsi che, un giorno, io ricominci a scrivere e aggiunga altri capitoli, ma non è qualcosa che avverrà nell'immediato futuro. Non sparirò, promesso.

In ogni caso abbiamo ancora sei capitoli prima di salutarci, quindi buon proseguimento, e ci vediamo lunedì prossimo:)
Fanie

 

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Capitolo 76
*** Little talks of Kings (of Hell) and men ***


Rating: Assolutamente verde.
Genere: Fluff, comico, romantico.
Contesto: Ovunque vogliate.
Note: Basta leggere il titolo per capire il paring. È cortissima e l'adoro.
Spero piaccia anche a voi<3

 

Little talks of Kings (of Hell) and men



«I Winchester se ne sono andati, finalmente?»
«Ciao Crowley, sto bene, grazie per avermelo chiesto subito dopo essere comparso in casa mia senza avvertire. E grazie anche per aver mandato quei demoni a Jacksonville, proprio mentre Sam e Dean seguivano un caso lì»
«Non farne un dramma, Robert: se quei due idioti non fossero andati a ficcanasare, i miei ragazzi non avrebbero cercato di ucciderli»
«E se i tuoi ragazzi non avessero affettato il fianco di Sam, Dean non avrebbe dovuto portarlo qui perché io lo ricucissi, e noi ora non staremmo parlando a bassa voce come due idioti per non farci sentire»
«E questo cos'è, un modo velato per dirmi che vuoi che ti faccia urlare?»
«È un modo non velato per dirti che ti voglio fuori da qui, immediatamente»
«Quante storie. L'Impala non c'è, quindi Dean non è in casa, e Sam starà probabilmente dormendo al piano di sopra. Scommetto che possiamo trovare un modo per recuperare il tempo che tu hai perso con i Winchester»
«Levati di dosso, Crowley. Ho cose più importanti da fare che stare qui a sentire te che ti lamenti dei tuoi sentimenti feriti»
«Sicuramente. Ma di certo non appaganti quanto la punizione che ti aspetta per aver ferito la mia anima»
«Tu non hai un'anima»
«...Touchè. D'altro canto, però, ho la tua»
«Chiudi quella bocca»
«Chiudimela tu»




















NdA
Salve a tutti.
Oggi non ho granchè da dire, a parte che ho raggiunto le 200 recensioni e voi siete tipo la mia vita<3 Non avrei mai creduto di arrivare a tanto.
Vi ringrazio, tutti voi che leggete, seguite, recensite, ricordate, preferite e mi scrivete nei messaggi personali per insultarmi amorevolmente. Vi adoro.
E adoro anche la mia beta e la mia prompter, ma loro lo sanno già.
Tutto qua. Ci si rivede lunedì prossimo (con un crack, penso, anche se devo ancora decidere quale...), e iniziate a prepararvi psicologicamente per la fine della raccolta.
Un bacio, 
Fanie

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Capitolo 77
*** Boredom ***


Rating: Verde, forse giallo.
Genere: Boh. Fluff, qualcosa.
Contesto: Tra la quinta e la sesta.
Note: Non vi dico niente a proposito del paring (per i masochisti, come al solito è nelle NdA). Sappiate che la nota di Wincest che si intuisce è assolutamente voluta. Non si può scrivere di questi due senza alludere necessariamente anche a Sam e Dean.
Spero non sia meh come sembra a me.

 

Boredom




La Gabbia era molto diversa da come Michele se l'era sempre immaginata.
Certo, non che fosse esattamente il Paradiso, e nemmeno un luogo particolarmente ospitale, ma fortunatamente non era nemmeno il posto tetro, asfittico e gelido che l'Arcangelo si era aspettato.

Lui era una creatura eterna, perfetta, il Principe degli Angeli e il Capitano delle Schiere Celesti: cose come la fame, la sete, la stanchezza o qualsiasi altra sensazione umana non lo scalfivano minimamente, nonostante fosse ancora legato al corpo di Adam Milligan. Eppure, c'era una pena che lo affliggeva costantemente, rinchiuso nelle profondità della Terra, e che non gli dava pace: la noia.
Era subdola, si infilava nella sua mente e la annebbiava, rendeva pesante quel fragile corpo umano e lo costringeva ad una incontrollabile e frustrante irrequietezza. Alla noia, in genere, seguiva la rabbia -verso se stesso, verso i propri fratelli, verso il proprio Padre-, e in breve tempo il freddo e controllato Arcangelo lasciava il posto ad una creatura furiosa e spesso violenta.
Michele detestava perdere il controllo.

In un modo del tutto inaspettato, però, la soluzione al problema si era parata davanti a lui in tutta la sua sfolgorante sfacciataggine.

Lucifero, che conosceva bene la Gabbia e il suoi effetti su creature come loro, lo aveva osservato logorarsi fino al punto di supplicare per qualcosa, una cosa qualsiasi, una distrazione che allontanasse la noia anche solo per poco. A quel punto, Michele gli avrebbe permesso tutto, ma di certo non si aspettava quello.

Suo fratello si era rivelato un passatempo straordinario, alla fine.

In quel momento, ad esempio, la noia era l'ultima delle sue preoccupazione, mentre le labbra di Lucifero gli spezzavano i pensieri e le sue mani gli stringevano i fianchi.
Michele strattonò i capelli troppo lunghi di Sam Winchester, godendo del gemito soffocato di suo fratello. Lui sorrise, accarezzandogli la schiena e insinuandosi nella sua bocca con quella lingua biforcuta che aveva conservato nonostante il tramite.
Lo spinse contro una delle pareti della Gabbia, premendocelo contro e baciandolo ancora, famelico.

La cosa positiva di essere rinchiusi insieme ad aspettare lo sgocciolare lento dell'eternità, era il tempo a disposizione.
Avevano passato quelli che erano parsi secoli a baciarsi piano e pigramente, a toccarsi e accarezzarsi, e a recuperare il tempo perso nei millenni di lontananza.
Era bello potersi permettere una debolezza come quella senza doversi preoccupare del giudizio altrui o delle regole morali dettate da un Padre che non si curava più di loro.
Senza aver paura di Cadere, perché tanto era già accaduto.

In quel momento, però, la calma era qualcosa di completamente dimenticato.
Lucifero spinse Michele contro la parete, insinuando con entusiasmo un ginocchio tra le sue cosce. L'Arcangelo ringhiò, alzandosi sulle punta dei piedi per baciare il fratello. Gemette, frustrato dalla differenza di altezza, guadagnandosi un ghigno premuto contro le proprie labbra.
«Cosa ti turba, Michele?» chiese Lucifero, e lui sbuffò.
Se qualcuno glielo avesse mai chiesto, avrebbe detto che era profondamente ingiusto. Già il fatto di non essere riuscito ad ottenere il proprio legittimo tramite, finendo a doversi accontentare di quel mezzo Winchester come ripiego, era abbastanza umiliante -senza considerare, poi, che a suo fratello era bastato sbattere gli occhi un paio di volte e Sam gli era caduto ai piedi immediatamente. Ma se a questo si aggiungeva anche il fatto che Adam era fastidiosamente più basso del fratellastro...
Lucifero sorrise, accondiscendente, senza nemmeno aver bisogno di una risposta alla propria domanda.
Con le mani scivolò lungo le sue cosce, gli arpionò le natiche non le dita lunghe del suo tramite e se lo caricò addosso.
Michele sbuffò sorpreso, ma avvolse le gambe intorno alla sua vita e strinse, mentre il Diavolo affondava il viso nell'incavo della sua spalla.
«Tutto bene?» chiese il maggiore, con le mani piene dei suoi capelli scuri, e Lucifero mormorò una risposta confusa,
Respirò forte un paio di volte, prima di riemergere dal suo nascondiglio caldo e sorridergli.
«È Sammy» mormorò, vicino alle sue labbra «fa i capricci, come al solito»
Michele ringhiò -detestava quando i Winchester intervenivano senza essere stati interpellati- e premette la bocca sulla sua.
«Escludilo dalla tua mente, allora» ordinò, perentorio ed esigente «non mi va di essere interrotto proprio adesso»
Lucifero sorrise. «Quando mai ti va di essere interrotto, fratello?»
Adam era più disciplinato. Dopo le prime resistenze, Michele lo aveva semplicemente relegato in un angolino della propria coscienza, con molto diverso da quello che sarebbe stato il suo Paradiso.
Da quel momento, non aveva più creato problemi.
Confidava, comunque, che presto suo Padre avrebbe aperto una strada per permettergli di unirsi alle altre anime umane, nell'Alto dei Cieli. La Gabbia era un luogo per i peccatori, e nessuno dei due Winchester meritava di rimanerci.
Michele strinse le gambe intorno alla vita di Lucifero, costringendolo al silenzio, e gli mordicchiò appena la gola. Lui ridacchiò, esalando un respiro tremante e carico di aspettativa quando le mani del maggiore si chiusero sulle sue spalle, dove un enorme paio d'ali dava mostra di sé nonostante le bruciature e le ferite.
«È tua la colpa» si sentì comunque in dovere di dire, come se fosse la prima volta che faceva quelle considerazioni ad alta voce «se tu avessi avuto Dean al posto di Adam, Sam non farebbe tutte queste storie»
Michele gli addentò con forza in lobo, facendolo gemere e lasciando che lo premesse ancora di più contro la parete. «Sei noioso»
Lucifero, finalmente, capì l'antifona, e gli chiuse una volta per tutte la bocca con un altro bacio.


















NdA
È una Michifer (Michele+Lucifero).

Salve a tutti. Si, ho veramente scritto una incest tra l'Arcangelo Michele e il Diavolo. Non sono affatto pentita.
In sè non mi dispiace, poi vediamo che ne dite voi.
Allora... Capitolo 77. Ci si avvicina alla fine, ormai.
Piccola cosa: lunedì prossimo non sarò a casa, e non avrò modo di pubblicare. Sfiga vuole che nemmeno la mia beta abbia modo di aggiungere il capitolo. Quindi, mettetevi l'anima in pace: ritarderò la pubblicazione (mercoledì, giovedì al massimo) ma niente paura, non scappo.
Come sempre, vi amo un sacco, e chiedo perdono a quelle belle persone che mi hanno lasciato una recensione e io non ho ancora risposto. Pietà, non ho il tempo di respirare.
Niente, buona settimana e ci si vede più in là <3
Fanie

 

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Capitolo 78
*** Tie your tie ***


Rating: Verde da far schifo.
Genere: Fluff, romantico, appena appena comico.
Contesto: Senza contesto, la meraviglia di non dover ricreare un'ambientazione.
Note: Un capitolo easy, per farmi perdonare sia dell'appuntamento mancato che del ritardo di ieri.
Nelle NdA il resto.
Godetevi 'sta Destiel<3



 

Tie your tie




Il fatto è che Sam è confuso.

Non confuso-confuso (lui non si confonde facilmente, lui ha sempre il controllo della situazione e le idee molto chiare, in genere), solo... sì, beh, confuso.

Non sa bene cosa stia succedendo, ecco.
Anzi, lui avrebbe una teoria, in effetti, solo che non è proprio sicuro di aver capito come stanno le cose.
-In realtà, è piuttosto sicuro di non aver capito niente, e forse è meglio così-

In sua difesa, ci sarebbe da dire che non ha molti elementi su cui basare una deduzione, e lui non è proprio tipo da campare una cosa come quella per aria, anche se il suo istinto gli urla che sì, forse sarebbe il caso che lo facesse.
Ha l'indole dell'avvocato, lui.

Il punto, sempre che questa faccenda un punto ce l'abbia, è che a Sam piacerebbe sapere, ecco. Non proprio tutto nei minimi particolari -per carità!-, ma almeno un'infarinatura generale gli farebbe comodo, sì.
Per scopi puramente pratici, eh, non che abbia voglia di farsi gli affari di suo fratello (anche, ma questo Dean lo sa già e se ne è fatto una ragione).
Insomma, vorrebbe che qualcuno gli spiegasse cosa sta succedendo, così, tanto per sapere come comportarsi.


È cominciata da poco -sempre che effettivamente ci sia qualcosa e che Sam non si stia immaginando tutto, chiaro.
La prima volta è passata completamente inosservata, e con il senno di poi il giovane Winchester si prenderebbe a martellate sulla fronte.
Una mattina, dividendo i propri vestiti freschi di lavanderia da quelli di suo fratello, gli è capitata in mano una cosa.
«È tua, questa?» aveva chiesto, sventolando davanti al naso di suo fratello una cravatta scura che non ricordava di avergli mai visto addosso.
Dean aveva aggrottato le sopracciglia, poi aveva scrollato le spalle e gliel'aveva strappata di mano, infilandosela in tasca.
«Ah, prego, figurati» aveva sbuffato Sam, riprendendo a dividere i jeans del fratello dai propri, ma lui non aveva nemmeno risposto.

La seconda volta era stata strana.
Erano dietro ad un fantasma, tanto per cambiare. Sarebbe dovuta essere una sciocchezza, una caccia rapida e indolore.
Ma quando mai le loro cacce alla fine erano come loro se le erano aspettate?
Sam, naturalmente, dopo ore di ricerche, appostamenti e penosissime recite da agenti federali, era finito con il volare attraverso una stanza vuota e sbattere forte la testa contro il muro di mattoni della casa infestata. Si era risvegliato sul sedile posteriore dell'Impala, mentre suo fratello guidava e canticchiava una canzone dei Metallica.
«Buongiorno principessa» aveva sogghignato Dean, occhieggiandolo attraverso lo specchietto retrovisore.
Sam aveva risposto con un gemito, sdraiandosi meglio sul sedile e lasciando un braccio teso in avanti, verso il sedile anteriore. Le dita sfioravano il tappetino di tessuto ruvido ad ogni sobbalzo delle sospensioni, e il minore dei Winchester aveva chiuso gli occhi, stanco.
Quando suo fratello aveva preso una buca, però, le sue nocche avevano sbattuto con forza contro il fondo della macchina, urtando qualcosa di decisamente più morbido del tappetino.
Ci aveva attorcigliato intorno le dita, sollevando la mano per guardare meglio.
«C'è una cravatta, qui» aveva mugugnato, incrociando lo sguardo di Dean attraverso lo specchietto.
«Deve essere caduta da un borsone» aveva risposto lui, e Sam era tornato a dormire.

La terza volta era stata decisamente strana.
Stavano caricando le loro cose in macchina, la mattina di un freddo Marzo nel Kansas, diretti verso il Minnesota per una presunta possessione demoniaca.
Dean, chiuso il bagagliaio e accomodatosi sul sedile del guidatore, aspettava il fratello con le chiavi inserite, mentre Sam faceva l'ultimo giro di perlustrazione della camera per essere sicuro di non dimenticare niente.
Era stato sollevando il cuscino del letto di suo fratello che l'aveva trovata.
Sempre lei, la stessa cravatta scura arrotolata su se stessa come un serpente, mollemente abbandonata sotto alla federa bianca.
Sam l'aveva presa in mano con attenzione, valutandola.
In quel momento, a mente lucida e senza distrazioni, si era resa conto che non era nera come aveva pensato in precedenza, ma blu, un colore che non si addiceva affatto a Dean.
Strano.
In più, per quel caso non avevano nemmeno avuto bisogno di travestirsi da sbirri, e i completi eleganti non erano nemmeno scesi dalla macchina.
Quando il maggiore lo aveva visto tornare con il pezzo di stoffa avvolto attorno al polso, aveva sbuffato come chi si è appena accorto di aver dimenticato il cellulare in casa, e se l'era ripresa immediatamente.
Sam non aveva fatto domande.

Ma la quarta volta, beh, la quarta volta non sarebbe mai e poi mai potuta passare inosservata.
Erano passate alcune settimane dall'ultimo avvistamento di quella cravatta, e il minore dei Winchester se l'era anche quasi scordata.
Quasi.
Una sera, rientrando al Motel con la cena in una mano e un vecchio libro di magia occulta preso alla biblioteca locale nell'altra, aveva notato la luce della propria camera spenta.
In teoria, Dean sarebbe dovuto essere lì dentro a fare ricerche, mentre a quanto pareva o non c'era o dormiva.
Sam aveva sbuffato, infilandosi a fatica una mano in tasca alla ricerca delle chiavi.
Poi l'aveva vista.
Sulla porta, avvolta con due giri attorno alla maniglia rovinata, c'era una cravatta che ormai lui sapeva essere blu.
L'aveva fissata a lungo, interdetto, guardando prima lei e poi la finestra buia, con le tende tirate.
In quel momento, non si era potuto impedire di pensare che quello era un colore che a Dean non sarebbe assolutamente stato bene. Suo fratello non aveva niente di blu, e nemmeno aveva mai indossato qualcosa con quella tinta.
In effetti, quella cravatta sarebbe potuta abbinarsi solo ad un completo dello stesso blu intenso. Magari ad un trench beige.
A quel pensiero, Sam era rabbrividito.
Aveva esitato ancora, poi, dopo infiniti minuti di tentennamento, aveva infilato la chiave nella toppa e aveva aperto la porta.
Dentro, ogni cosa era al proprio posto.
Dean era sul letto, sdraiato sotto alle coperte che coprivano appena le spalle nude, e dormiva beatamente con una mano adagiata sul cuscino, accanto al proprio viso.
Sam aveva sospirato, sollevato, solo per sussultare un attimo dopo quando, alle sue spalle, un chiaro movimento d'aria lo aveva avvertito dell'apparizione di un angelo.
Voltandosi, si era imbattuto in Castiel, fermo ad un palmo dal suo naso, i soliti capelli scompigliati e i primi due bottoni della camicia allentati.
«Ehi, Cas» aveva gorgogliato «che succede?»
Lui lo aveva fissato in silenzio, inclinando il capo.
«State bene?» aveva chiesto, dopo un lungo momento.
«Sì, perché?»
L'angelo aveva corrugato le sopracciglia. «Volevo esserne sicuro»
Poi era scomparso di nuovo, lasciando il cacciatore interdetto.
Sam aveva sospirato, entrando finalmente in camera, e aveva appoggiato il libro e il sacchetto da asporto sul tavolo, senza accendere la luce.
Un attimo prima di chiudere la porta, però, si era reso conto di due, fondamentali particolari.
Il primo, era che la cravatta avvolta attorno alla maniglia era scomparsa.
Il secondo, era che Castiel, un secondo prima, non aveva la propria addosso.


Quindi sì, si può dire che Sam sia... confuso.
Non che non se lo aspettasse, in effetti.
O meglio, non che non si aspettasse quello che crede sia successo.
Sempre che qualcosa sia successo.
È successo qualcosa, giusto?
Sam non lo sa.

Da quel momento in avanti, ha iniziato a trovare quella dannata cravatta un po' dappertutto. Appoggiata sullo schienale delle sedie delle camere, sui letti dei Motel, nel porta oggetti dell'Impala, nel bagagliaio, nei loro borsoni, nelle tasche della giacca di suo fratello.
Imbarazzante.

Parlarne con Dean è da escludere.
Dopo la sesta o settima volta che gliel'ha messa in mano con un sospiro rassegnato e lui non ha battuto ciglio, Sam ha sviluppato la fondata convinzione che suo fratello non abbia voglia di discuterne.
Chissà perché.

Quindi, il minore dei Wichester è diventato improvvisamente molto attento a suo fratello. E, beh, anche alle apparizioni di un certo angelo.
Non che siano strani, o che si comportino in modo differente, ma Sam sente ugualmente che c'è qualcosa, tra di loro.
E beh, è davvero tenero.
(Spera tanto che un'affermazione del genere non gli sfugga mai davanti a suo fratello, ecco)


A tre mesi dalla “Scoperta”, se così si può definire, Sam si è stancato di essere l'unico a non sapere.
Quindi si è organizzato.
Non è un piano particolarmente articolato, ma confida nell'efficacia dell'effetto sorpresa.
Lui e Dean sono seduti in una modesta tavola calda, sorseggiando caffè e ingozzandosi di torta -chissà chi dei due, poi.
Il maggiore sembra rilassato, ha voglia di chiacchierare e sembra perfino disposto ad iniziare le ricerche presto, contrariamente a tutti i suoi abituali principi morali.
Quindi sì, Sam pensa che sia il momento giusto.
Chiude gli occhi per un attimo, si concentra intensamente e aspetta, aspetta.
Il fruscio di fronte a lui non lo coglie minimamente di sorpresa.
Castiel è comparso direttamente accanto a Dean, sulla panca imbottita del tavolo, con le dita intrecciata in grembo e la fronte corrugata.
Il maggiore dei Winchester, naturalmente, quasi si strozza con un boccone di crostata.
«Cas!» sbotta, sfiatato.
«Ciao Dean» ribatte lui, tranquillo. Poi si volta leggermente verso Sam, seduto dall'altro lato del tavolino, e gli fa appena un cenno con la testa.
E grazie tante.
«Cosa ci fai qui?» chiede Dean, guardandosi furtivamente intorno per assicurarsi che nessuno abbia notato la comparsa improvvisa dell'angelo.
«Mi hai chiamato tu» risponde lui, e Sam non riesce proprio a fare a meno di notare quanto siano vicini, con le spalle che si sfiorano nonostante la panca sia tanto larga.
Il maggiore dei Winchester aggrotta la fronte, ma prima che possa rispondere suo fratello lo anticipa.
«Sono stato io» dice, e contemporaneamente due paia d'occhi si spostano su di lui, increduli.
Perchè lo siano, poi, Sam non lo capisce.
Dean sbatte le palpebre, Castiel corruga le sopracciglia.
«Perchè?» chiede alla fine il maggiore dei Winchester, e sembra più un rimprovero che una domanda.
Lui sospira, intreccia le dita davanti al viso e scosta i capelli con un gesto del capo. «Perchè dobbiamo parlare» sentenzia, con quella voce pacata e quel tono neutro che non usa quasi mai, se non nei momenti in cui sta per mettere Dean con le spalle al muro e costringerlo ad aprirsi con la sua sorellina.
Il maggiore, infatti, sussulta.
«Di cosa?» smozzica, ma i suoi occhi si allargano all'improvviso quando Sam si infila una mano in tasca e ne estrae un inconfondibile pezzo di stoffa blu, arrotolato su se stesso.
«Di questa» aggiunge il minore per ogni buon conto, notando con vago divertimento il modo in cui lo sguardo di Dean è subito corso al collo di Castiel, candido ed esposto dietro alla camicia bianca. Nessun segno di cravatta, ma questo si sapeva già.
«Sono settimane che compare nei posti più improbabili» commenta allegramente il più giovane «stamattina, ad esempio, era avvolta intorno alla manopola dell'acqua fredda, nella doccia del motel»
Sospira, come se davvero fosse rassegnato. «Permetterete che io mi faccia delle domande in proposito» aggiunge, con finta esasperazione.
Seguono interminabili minuti di silenzio, in cui il maggiore sembra cercare il modo di teletrasportarsi altrove con la forza del pensiero, e Sam lo osserva pazientemente.
Quando Dean solleva lo sguardo su di lui, fa un gesto leggero con la mano, per incoraggiarlo a parlare, ma lui subito china di nuovo la testa.
Naturalmente, a mettere fine allo stallo imbarazzato è l'angelo.
«È mia» sentenzia, come se ci fosse mai stato qualche dubbio «grazie Sam»
Poi si allunga, sfila delicatamente la cravatta dal reticolo formato dalle dita del cacciatore e se la avvolge attorno al collo. Con un rapidissimo movimento la allaccia, stringendola in un nodo praticamente perfetto, con la pratica di chi ha dovuto sperimentare quel gesto davvero tantissime volte.
(La mente di Sam non può impedirsi di immaginare quante volte effettivamente Castiel abbia dovuto riallacciarla dopo che qualcuno gliel'ha sfilata)
L'unica, piccola pecca del nodo è che, alla fine, risulta un po' storto, e l'estremità più lunga della cravatta ruota appena su se stessa.
I due fratelli se ne accorgono, e c'è un lunghissimo momento in cui Dean è sul punto di allungare una mano e raddrizzarla -abitudine, sicuramente-, e si ferma in tempo dal commettere la colossale stronzata, ma non prima che Sam l'abbia notato.
Ovviamente.
Il maggiore arrossisce.
Poi Castiel guarda il minore dei Winchester, inclina la testa. «Se non c'è altro, io dovrei andare»
Lui non fa in tempo ad aprire la bocca che l'angelo si è già voltato verso suo fratello.
Inclina la testa, si fa più vicino e appoggia un rapido e morbidissimo bacio sulle sue labbra, appena accennato, sufficiente a far cadere la mascella di Sam e a far uscire dalle orbite gli occhi di Dean per l'imbarazzo.
Gli accarezza una guancia in un tocco fuggevole, poi sfiora il suo naso con il proprio e stringe appena la mano del maggiore dei Winchester nella sua, una velocissima successione di eventi che si confondono in uno solo, come se fossero conseguenti al bacio.
Stupidamente, Sam pensa proprio che lo siano, che quello sia il modo in cui si salutano ogni volta che si separano.
«A presto, Dean» mormora Castiel, quasi sulle sue labbra, poi si volta verso l'altro cacciatore «Sam»
E Sam china il capo in saluto, ricomponendosi e chiudendo la bocca un attimo prima che lo sguardo del fratello saetti su di lui in una silenziosa minaccia di morte se si azzarderà a sfottere.
Ovviamente lo farà.
Poi l'angelo scompare, e il più giovane sorride.
Il maggiore alza lo sguardo quel tanto che serve, e si guardando in silenzio.
«Avanti, racconta» lo sprona Sam, contento, e Dean un po' detesta suo fratello.









































NdA
Salve gente.
Scusate il ritardo di ieri, ma gli eventi si sono accaniti su di me.
Intanto va beh, spero che il capitolo vi sia piaciuto, e non commento il titolo (in realtà abbiamo tutti un kink per la cravatta di Cas, ammettiamolo).
Sappiate solo che, visto i recenti avvenimenti -io che non riesco a star dietro nemmeno ad una one-shot alla settimana...- mi vedo costretta a fermarmi con la raccolta prima del previsto.
So che la sto tirando per le lunghe all'inverosimile e che ogni singolo capitolo è una sofferenza perchè non si sa mai se ci sarà o se ritarderò o cosa, quindi vi chiedo perdono e vi dico, una volta per tutte, che la raccolta arriverà ad 81 capitoli, ma non prima di Luglio. Ovvero, in parole semplici, questa è l'ultima storia che leggerete prima di questa estate, perchè sospendo la pubblicazione fino ad un momento migliore.
Mi dispiace se nell'ultimo periodo sono stata discontinua, ma sappiate che se avessi potuto fare diversamente lo avrei fatto.
Nella speranza di non creare più problemi di quanti ce ne sono già, vi saluto e vi prometto di rifarmi viva appena mi sarà possibile, e di rispondere anche alle recensioni, nel frattempo.
In ogni caso, non disperate: non vi abbandono per sempre.
Un grande abbraccio, e grazie a tutti:)
Fanie

 

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Capitolo 79
*** Shower talks ***


Rating: Arancione, decisamente.
Genere: Romantico, fluff e, visto che ci siamo, erotico.
Contesto: Prima dell'inizio.
Note: È una Weecest arancione, io sono viva e sono tornata, il mondo è un posto stupendo.
Il resto, come sempre, nelle NdA.


 
Shower talks


«Papà ha chiamato» urlò Dean, aprendo la porta del bagno «ha detto che parte adesso dalla stazione di polizia»
Sam si passò una mano tra i capelli, chiudendo l’acqua della doccia. 
«Non serve che urli, sono accanto a te»
Dean sorrise, dall’altra parte della tendina a fiori tutta stinta di quel pessimo motel. «Scusa, fratellino» disse, a voce più bassa, aprendo il tubetto del dentifricio  e prendendo in mano il suo spazzolino, quello verde. 
Sam girò di nuovo la manopola dell’acqua calda, riaprendo il getto e infilandoci la testa sotto. Si insaponò i capelli con cura, pettinandoli con le dita, mentre ascoltava suo fratello lavarsi i denti.
«Quindi quanto abbiamo, una ventina di minuti?» chiese il minore a voce alta, per contrastare lo scrosciare dell’acqua.
«Per attraversare la città con il traffico che c’è adesso gli servirà almeno un’ora» rispose Dean, con lo spazzolino tra i denti, un attimo prima di aprire l’acqua per  sciacquarsi la bocca.
«Ehi!» strillò Sam, quando il suo getto meravigliosamente caldo si trasformò di colpo in una cascata gelida, e si affrettò a chiudere la manopola.
«Scusa» ridacchiò Dean, tamponandosi il viso con un asciugamano appeso alla porta, prima di allungarlo a suo fratello, olte alla tendina.
Il minore se lo avvolse attorno ai fianchi, prima di scivolare fuori, nell’aria densa di vapore del piccolo bagno. Il maggiore, anche lui con solo un asciugamano addosso, stava osservando la propria immagine allo specchio, tastandosi il collo. Sam sorrise, mentre lo sorpassava, occhieggiando furtivamente i segni scuri sulle sue spalle e sulla sua gola.
Dean, ad un tratto, spostò lo sguardo dalla propria pelle, e lo beccò a fissarlo attraverso lo specchio. Gli sorrise, malizioso. «È colpa tua, lo sai vero?»
Sam arrossì, distogliendo lo sguardo, e si mosse per superarlo e andare a cambiarsi in camera, ma suo fratello fu più veloce. Si voltò di scatto, afferrandolo per la vita e premendolo contro il muro con il proprio corpo. «Prenditi le tue responsabilità» gli sussurrò sulle labbra, prima di baciarlo abbastanza a fondo da fargli cedere le ginocchia.
«Dean» esalò il minore, con un tono di rimprovero, ma non c’era una vera ragione per non accontentarlo, e così si lasciò baciare di nuovo, attentamente e con dolcezza, prima che le sue mani iniziassero a risalire lungo le spalle e il collo del maggiore.
Si separarono, respirandosi sulle labbra, poi Sam mosse i polpastrelli in circolo lungo la gola di Dean, sfiorando i segni dei morsi e gli aloni rossastri. Accarezzò con cura tutti i succhiotti che gli aveva lasciato, dalle clavicole alla mascella, una magnifica fioritura di lividi che solo guardarli gli faceva venire voglia di disegnarne ancora, altri e più scuri.
«Vedi qualcosa che ti piace?» mormorò Dean, strofinando il naso contro la sua guancia.
«Un sacco di cose, in effetti» rispose il più piccolo, facendolo ridere.
Scese con le mani sui suoi fianchi, mentre il maggiore riprendeva a baciarlo, e accarezzò con cura il bordo dell’asciugamano.
Lo sciolse, esitando appena, nel momento esatto in cui Dean spingeva il bacino contro il suo corpo, imprigionando il telo bianco tra di loro e facendolo sussultare, mentre la spugna scivolava via e scopriva del tutto la sua schiena e il suo sedere.
Il maggiore, per un attimo, parve sciogliersi su di lui, una lenta e infinita carezza sulla sua pelle bollente, e il più piccolo si sentì scivolare a terra.
Si aggrappò alle spalle di Dean, inarcando il collo, carne pallida sotto alla lingua e tra i denti di suo fratello.
«Non mordere» lo ammonì, appena lo sentì stringere un lembo di pelle accanto al pomo d’Adamo «non saprei come spiegare altri segni, se papà me lo chiedesse»
Il maggiore rise contro il suo orecchio,  prendendone per un attimo in bocca il lobo. «Come io ho spiegato i miei, no?»
Sam sgranò gli occhi, quando lui prese a spingere i fianchi contro i suoi, la spugna che faceva fin troppo attrito tra i loro corpi accaldati. Scese lungo la sua schiena con le mani, solleticando la colonna vertebrale e le fossette alla base, fino alle natiche.
Le prese nei palmi, stringendo e aiutando il maggiore nei movimenti, con abbastaza forza da farlo gemere deliziato.
«Non posso dire che sono andato con qualcuna» soffiò il più piccolo, mentre il fratello riprendeva a leccare le sue clavicole «non sarebbe credibile»
Dean rise, senza nemmeno staccarsi dalla sua pelle, inchiodandolo alla parete per le spalle.
«Giusto» commentò, risalendo la sua gola con una lunga e sfiancante serie di baci umidi «sono io il puttaniere, in famiglia»
Afferrò con forza i fianchi di Sam, spingendo la lingua nella sua bocca, e infilò due dita oltre il nodo di spugna che reggeva l’asciugamano ancora intatto del fratello. Con un colpo secco e un gemito del più piccolo, la spugna crollò a terra, e Dean si scansò quel tanto sufficiente a lasciar cadare entrambi teli.
Quando si spinse di nuovo contro Sam, erano pelle su pelle.
«Dee» esalò il più piccolo, aggrappato a lui.
«Sammy» rispose questo, soffiando contro il suo orecchio.
Spinse con forza, erratico, la tensione che si faceva sempre più viva tra di loro, in una costante ricerca di qualcosa, qualcosa che sembrava lì, ad un passo da loro, ad una spinta di distanza.
«Andiamo di là, Dean, andiamo sul letto» soffiò il minore, gli occhi sgranati sul soffito e la fronte imperlata di sudore.
Lui piegò la testa contro la sua sua spalla, graffiando la pelle pallida con i denti. «No, restiamo. Ti voglio qui, contro il muro»
Sam gemette ancora più forte, chiudendo gli occhi e inarcando la schiena, premendosi forte su di lui. 
Mosse le mani, giù dalle sue spalle fino alle braccia, sui polsi, poi sul petto e giù sul ventre, alla ricerca di qualcosa da toccare per allentare tutto quel bisogno che entrambi sentivano, ma suo fratello glielo impedì, afferrandolo e premendolo quasi con violenza contro il muro.
«Fermo Sam, lasciami fare»
Lui singhiozzò disperato ma acconsentì, agitandosi contro il muro per cercare di assecondarlo nelle spinte frenetiche. Le loro erezioni strofinate l’una contro l’altra, la sensazione umida e i baci bagnati, la pelle imperlata di sudore e i muscoli scossi da spasmi, Dean che reggeva Sam e Sam che si aggrappava a lui, immobili contro le piastrelle fredde eppure frenetici nei loro movimenti continui.
Il maggiore piegò le ginocchia, e per un attimo suo fratello credette che stesse per caricarselo addosso di peso, ma non accadde. Dean prese in bocca uno dei suoi capezzoli e nel contempo strinse una mano intorno ai loro membri allineati.
Li masturbò con forza, per un lungo secondo, rincorrendo la voglia che gli attanagliava il ventre, prima di costringersi a rallentare il ritmo. Sam, il viso contratto in una smorfia di piacere, spalancò ancora gli occhi, sopraffatto.
«Stai qui» sussurrò, stringendosi di più il fratello addosso «resta con me»
«Sono qui» rispose lui, ruotando il polso e facendolo contorcere «non me ne vado»
Si baciarono ancora, disarticolati e assolutamente osceni, prima che Sam allargasse le gambe e allacciasse le braccia attorno al collo di Dean. «Vieni più vicino» sussurrò, stringendogli i capelli tra le dita, e lui lo accontentò, aumentando di nuovo il ritmo e lasciandosi piegare dai primi spasmi dell’orgasmo.
Sam urlò, quando finalmente il fratello lo lasciò venire, spegnendosi in lunghi fiotti bianchi tra i loro stomaci, e strinse con forza i denti mentre il maggiore continuava a masturbarsi. Tremava, ormai, quando venne anche Dean, e insieme continuarono a tremare per lunghi ed interminabili secondi. 
Si respirarono addosso finchè Sam non si sentì abbastanza stabile da reggersi sulle sue gambe, chinarsi a raccogliere l’asciugamano e aprire, di nuovo, il getto della doccia.
«Non ci sarà abbastanza acqua calda per entrambi» si lamentò il maggiore contro il suo collo, rifiutandosi di lasciarlo andare e continuando a provocarlo con piccoli tocchi di lingua lungo tutte le spalle. Le braccia, avvolte attorno alla sua vita, ebbero uno spasmo quando Sam si strofinò contro il suo petto, allusivo.
«È un modo non poi così velato per dirmi che vuoi farti la doccia con me?» chiese, innocente, mentre di nuovo la stanza si riempiva di vapore.
John non sarebbe tornato ancora per parecchi minuti.
«Se proprio insisti...» soffiò Dean contro di lui, dondolando i loro corpi avanti e indietro, con dolcezza, costellando la sua gola di baci leggeri.
«Insisto» mormorò Sam, e se lo trascinò oltre l’orribile tendina a fiori.





















NdA
E sì, sono viva, ho finito gli esami, 'fanculo a tutti.
È lunedì ancora per poco, quindi sarò breve.
Sono tornata, come avevo promesso (va ringraziata la mia prompter, che meno di quarantotto ore fa mi ha gentilmente ricordato che sì, insomma, oggi sarebbe stato lunedì, e io dovevo tenere fede alla parola data).
Non so nemmeno come commentare il capitolo, a parte dire che ringrazio la mia beta per il titolo. Non avevo mai osato far chiamare Dean "Dee" da Sam, ma ora capisco perchè la gente lo fa. È perfetto, ma non credo che lo rifarò.
Ormai siamo alla fine, lunedì prossimo ci sarà l'ultimo capitolo, e vi beccherete delle note lunghissime. Per il momento però, solo questo.
Sono felice di essere tornata a scrivere, anche se ho scritto una Weecest arancione (l'amore).
Basta, baci a tutti, e a prestissimo<3
Fanie

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Capitolo 80
*** Kiss me ***


Rating: Verde.
Genere: Vagamente comico, un po' fluffoso, decisamente introspettivo.
Contesto: Un po' nella quinta stagione, un po' nell'ottava, un po' nella nona e un po' nella decima, con tutti gli spoiler del caso.
Note: Sì, sono tornata e sì, questo è l'ultimo capitolo della raccolta. Tutto quello che ho da dire ve lo metto nelle NdA.
Sappiate solo che, essendo questo l'ultimo capitolo, non poteva essere niente di diverso da una Destiel, e non poteva che avere un titolo così.
*Dedica*: Alla mia beta, in primis, che non vedeva l'ora che chiudessi la raccolta.
Alla mia prompter, che sono mesi che mi ricorda che devo scrivere l'ultimo capitolo.
A chi ho incontrato lungo la strada.
A me stessa, per ogni singola storia e per tutti e ottanta i baci.
E infine a mai madre, che era davvero convinta che passassi i miei pomeriggi studiando.


 

 

Kiss me

Aka: Tutti i primi quasi-baci di Dean e Castiel





La prima volta che Dean realizza di voler baciare Castiel, lo fa nell’ultimo modo in cui si sarebbe mai aspettato che potesse accadere.
È a Camp Chitaqua, nella capanna del suo alterego futuro –Dean non sapeva nemmeno di conoscere la parola “alterego”- a farsi più o meno insultare dall’alterego futuro del suo angelo.
Questa versione di Castiel, quasi sempre ubriaco, certamente fatto e stranamente disinibito, è inquietante, eppure conosce e sa sfruttare certi aspetti di lui che nemmeno Dean stesso pensava di avere.
«Sei cambiato parecchio da cinque anni fa» commenta Cas, radiografando prima un Dean e poi l’altro.
Il maggiore dei Winchester, quello che è stato catapultato nel passato da un angelo megalomane e grazie tante, incrocia con diffidenza le braccia sul petto, facendo ridere l’ex angelo.
L’altro, appoggiato ad una parete con una spalla e gli occhi fissi su un rapporto che una ragazza bionda gli ha appena consegnato, alza appena le spalle.
«Dico davvero» continua Castiel, ignorando volutamente tutti gli altri presenti nella stanza «eri più... non so come dire... carino» sogghigna, facendo sviare lo sguardo di un Winchester e attirando su di sè quello dell’altro.
«Piantala con le stronzate» sbotta il Dean del futuro, degnandolo appena di un’occhiata irritata, prima di fare cenno alla sua seconda in comando perchè gli si avvicini. Le mostra una delle righe del foglio scarabocchiato che tiene in mano, e lei corruga le sopracciglia.
Chuck, da un angolo della stanza, osserva interessato Castiel camminare in cerchio attorno all’altro Winchester.
«Meno cicatrici, immagino, e di sicuro un po’ più di senso dell’umorismo» commenta ancora lui, e può immediatamente sentire sulla propria schiena lo sguardo furibondo del suo Dean.
«Castiel» scandisce lentamente il loro comandante, e quel nome pronunciato per intero ha un effetto evidente perfino al Winchester del passato. L’ex angelo sorride un po’ storto, fa un passo indietro ma non si allontana veramente.
«Che c’è?» chiede, fingendo un’innocenza che deve aver perso molto tempo prima «ti sto infastidendo? Sei geloso?»
Cas sta sorridendo, eppure Dean può sentire quanto tutta quella situazione stia mettendo a disagio sia l’ex angelo che il se stesso di quel tempo. Senza contare gli altri presenti, che in quel momento hanno tutti la faccia di chi preferirebbe qualsiasi posto al mondo a quella capanna.
Quella ha tutta l’aria di essere una scenetta che si ripete spesso, da quelle parti.
Il Winchester del futuro schiaffa con violenza il foglio sul tavolo, e muove due rapidi passi verso Castiel, che non si prende nemmeno la briga di indietreggiare.
Si fissano per un lungo istante, Dean sovrasta di pochi centimetri il corpo più piccolo e fragile dell’ex angelo.
Nessuno se ne accorgerebbe, nessuno li conosce abbastanza bene da poterlo capire, nessuno li ha mai guardati abbastanza attentamente. Ma questa volta qualcuno c’è, e il Winchester del passato li osserva incuriosito, quasi sovrappensiero.
Quello è un litigio che gli ricorda molto quelli che aveva con suo fratello da ragazzini, quando Sam lo metteva in discussione e lui reagiva soffiando come un grosso gatto. Solo che, beh, lui non ha mai guardato in quel modo le labbra di suo fratello.
È solo perchè sta guardando se stesso che lo capisce, solo perchè si conosce abbastanza bene da sapere com’è che si muove quando vuole qualcosa. E in quel momento, Dean vuole Castiel, e a giudicare da come gli sta guardando le labbra e da come smania di poterlo toccare, non è la prima volta e non sarà l’ultima. Curioso, come questo pensiero risulti così poco destabilizzante.
«Uscite» intima il Dean del futuro «andate fuori»
E non ci vuole un genio per capire che Castiel non è compreso in quell’ordine.
L’ex angelo sorride, furbo, mentre Chuck è già alla porta, vagamente rassegnato. «Lui può restare?» chiede, indicando con un cenno del capo l’altro Dean, che ancora non si è mosso, stordito da quello che ha realizzato.
«Fuori» ringhia il Winchester di quel tempo, e nessuno se lo fa ripetere ancora.
Dean è l’ultimo ad uscire, e appena si chiude la porta alle spalle un tonfo sordo la fa sbattere, come se qualcuno ci fosse stato spinto contro.
Chuck ride al suo sguardo sconvolto, e gli passa una braccio attorno alle spalle. «Fanno così almeno una volta alla settimana. Cas è l’unico con cui Dean litighi davvero, sai, l’unico a cui non riesca semplicemente a dare ordini»
E il maggiore dei Winchester vorrebbe poter trovare le parole per spiegargli che quello non è affatto litigare.



La prima volta che Dean si ritrova a desiderare di baciare Castiel, il mondo sta finendo.
È la sera prima di partire per affrontare Lucifero, l’ultima notte della loro vita.
Il giorno dopo moriranno di sicuro, e il maggiore dei Winchester sta salutando la vita con una birra in mano e il culo sul cofano della sua bambina. Se ne sta lì, con lo sguardo fisso alle stelle, a pensare che non le rivedrà mai più, a pensare che non vedrà mai più nemmeno suo fratello, Bobby e neppure Castiel.
L’angelo è solo un fugace pensiero nella sua mente, eppure una volta che ci è entrato minaccia non andarsene più. Un po’ come ha fatto Cas stesso, in effetti. Dean beve un sorso a canna, e si chiede se ne sia valsa la pena, di traviare un Soldato di Dio per una guerra che perderanno comunque.
Non ha paura, stavolta, di lasciarsi andare a domande del genere, perchè adesso Castiel è più umano di quanto sia mai stato, completamente privo dei suoi poteri, e non c’è modo in cui possa percepire i suoi pensieri. La sua mente, però, ha conservato quella parvenza di pudore nei suoi confronti, una barriera immaginaria che gli impedisce di chiedersi davvero che cosa ha spinto l’angelo a voltare le spalle alla sua famiglia e a schierarsi con degli insulsi e rozzi cacciatori che lo hanno condotto a morte certa. Si risponderebbe che è per il libero arbitrio che lo ha fatto, per la giusta causa, ma in fondo sa che non è mai stato questo il vero motivo.
«Mi sono sempre chiesto che cosa ci trovassero gli umani nella volta celeste» mormora una voce conosiuta accanto a lui, abbastanza vicino da farlo sussultare e imprecare a mezza voce.
L’angelo ignora il poco lusinghiero insulto che Dean gli ha appena rivolto, e continua a guardare verso l’alto. «Ora che anche io sono così fragile e inutile, capisco perchè le stelle vi attirino tanto»
Il cacciatore sbuffa. «Beh, grazie tante per l’inutile» borbotta, ma sa che Castiel non intendeva dirlo con cattiveria.
Ha sempre apprezzato questo di lui, questa sua completa incapacità di mentire, di mettere un filtro tra la propria bocca e qualsiasi cosa sia quello che gli frulla nella sua testolina piumata. La sincerità è molto più di quanto Dean si sia sempre potuto aspettare da chi lo circonda.
«Cosa fai qua fuori, Cas?» chiede, tirandosi a sedere e prendendo un altro sorso di birra.
«Volevo parlarti» spiega l’angelo, e il cacciatore si sposta un po’ più in là lungo il cofano, per fargli spazio.
«No, grazie» dice «sarà una cosa veloce, non voglio rubarti tanto tempo»
Dean scrolla le spalle. «D’accordo, allora. Sputa il rospo»
E davvero, può vedere il momento esatto in cui le rotelline del cervello piumoso prendono a girare impazzite nella speranza di riuscire a capire come mai dovrebbe avere una rana in bocca. Dean ha pietà di lui, e lo salva quasi subito dalla confusione.
«Intendo dire, di cosa vuoi parlarmi?» chiede, guardandolo divertito, anche se ridere è l’ultima cosa che ha voglia di fare quella sera.
Castiel stringe gli occhi, poi alza di nuovo lo sguardo e fissa le stelle. «Se domani dovessimo morire –e sappiamo che accadrà- volevo che tu sapessi che è stato un onore, per me, poter combattere questa guerra al tuo fianco»
«Cas, io...»
«Te lo dico perchè ti conosco, Dean Winchester, conosco la tua anima, e so che in questo momento ti senti tutto tranne che un eroe. Eppure lo sei, perchè hai dato a questo mondo una speranza che perfino Dio Padre gli ha negato» presegue l’angelo, senza guardarlo.
Lo fa per non metterlo a disagio, perchè sa che non lo sopporterebbe.
«Volevo solo che tu sapessi che se anche falliremo, se anche domani il mondo finisse... Io sarei ugulmente fiero della mia scelta, ugualmente orgoglioso di aver seguito l’Uomo Giusto» e lo dice con una strana solennità, un tono che quasi convince Dean a credergli.
Poi, Castiel abbassa lo sguardo dalle stelle che ha fissato per tutto il tempo e gli dedica una brevissima occhiata. Si volta, e si incammina di nuovo verso la casa di Bobby, una manciata di metri più lontana.
Il maggiore dei Winchester sente il cuore martellare furiosamente nel petto, una strana sensazione invaderlo. Era molto tempo che qualcuno non gli diceva di essere orgoglioso di lui. Tanto tempo che qualcuno non gli dava una ragione per essere migliore.
«Cas, aspetta» si ritrova ad urlare, forse troppo forte.
L’angelo si volta, lo guarda.
«Sono, uhm, anch’io sono, sai, fiero e tutto il resto» butta fuori, ed è davvero tutto quello che può fare.
Castiel lo osserva per un attimo, poi le sue labbra si aprono in un piccolo sorriso. Si volta e rientra in casa.
È solo quando scompare oltre la porta che Dean si rende conto di star sorridendo a sua volta.


La prima volta che Dean si ritrova ad un passo dal baciare Castiel, il mondo sta finendo di nuovo.
Con il senno di poi, forse dovrebbe iniziare a domandarsi com’è che tutte queste sue prese di coscienza arrivano solo ad un passo dalla morte. Forse sarebbe il caso di lavorare sui propri sentimenti e sulla sua capacità comunicativa e –cazzo, Sam ha davvero una pessima influenza su di lui.
È in un campo, che succede, uno straccio di terra dimenticata tra uno stato e l’altro, avvolta da stagni e dominata da una misera chiesetta abbandonata. Il cielo, buio, è illuminato a giorno da centinaia di stelle cadenti.
Angeli, si corregge lui nella sua mente, sono gli angeli che cadono dal Paradiso.
Deglutisce, con il cuore che martella forsennatamente nel petto e le ginocchia affondate nel fango di quella stradina sterrata. Il fatto è che non gli dovrebbe importare, non gliene dovrebbe fregare niente del casino che ha combinato Metatron, perchè fino ad un momento fa Sam era ad un passo dal suicidarsi per chiudere le porte dell’Inferno, e nessuno di loro è ancora pronto ad affrontare l’ennesimo casino, l’ennesima Apocalisse.
Eppure gli importa, parecchio, perchè è stanco di vedere la propria famiglia soffrire.
Un singhiozzo disperato lo risveglia da quei pensieri, lo strattona alla realtà e lo obbliga al presente, a stringere meglio le braccia attorno ad un corpo fragile e vulnerabile, devastato. Le spalle sotto al suo mento sussultano in spasmi sempre più incontrollati, e Castiel trema tutto.
«È colpa mia» rantola, con il viso nascosto nel suo collo «tutta colpa mia»
Anche le sue ginocchia sono affondate nel fango, esattamente in mezzo a quelle di Dean, che non saprebbe dire esattamente come ci sono arrivati lì, abbracciati in un campo desolato sotto ad una pioggia di angeli.
«Shh, shh» ansima, stringendo tra le dita un lembo del trench, tirandosi di più quel corpo addosso. Non credeva che i Soldati di Dio potessero piangere, che un privigilegio così umano fosse loro concesso.
«Li posso sentire, Dean, posso sentire le loro urla» geme Cas, con gli occhi spalancati dal terrore e dal dolore, le dita artigliate alle spalle del cacciatore.
Il maggiore dei Winchester solleva appena il capo, osserva la portiera chiusa dell’Impala, accanto a loro. Sam giace sul sedile del passeggero, la testa reclinata all’indietro, gli occhi chiusi e il respiro regolare.
Sta bene, staranno bene.
«Andiamo via da qui» mormora, accarezzando i capelli scuri dell’angelo.
Sono allo scoperto, sull’orlo di quella che potrebbe essere una nuova fine del mondo, suo fratello ha bisogno di cure e il Re dell’Inferno è rinchiuso nel loro bagagliaio. Non c’è tempo per quello che stanno facendo, qualsiasi cosa sia.
Eppure, nonostante questo, non si muove, perchè è Castiel quello che sta stringendo tra le braccia, quello che ha pensato di perdere per sempre fino a poche ore prima, quello che potrebbe crollare da un momento all’altro.
«Lasciami qui» dice lui, contro il suo orecchio «me lo merito»
E, Cristo, lo sta dicendo seriamente. È veramente convinto che sia la scelta giusta, è quello che vuole, e Dean non può permettere che Castiel pensi davvero di non meritare di vivere, dopo tutto il bene che ha fatto.
«Non dire stronzate» sibila, prendendogli il viso con una mano e sollevandolo fino a poterlo guardare negli occhi.
La può vedere, la paura di aver rovinato tutto, il senso di colpa per tutti i suoi fratelli, il dolore che ha causato e che sta continuando a causare. Non sa se ci sia davvero una cura a tutto questo, ma non permetterà a Castiel di chiedersi la stessa cosa.
«Non dire stronzate» ripete, ora che può vederlo «ora ce ne andiamo, andiamo a casa, e tu vieni con me. Intesi?»
L’angelo china il capo contro la sua mano, scuote appena la testa.
«Mi dispiace, mi dispiace così tanto» pigola, la voce ancora rotta, le spalle che tremano ancora.
Dean non ricorda di averlo mai visto così, non ricorda di aver mai dovuto raccogliere i cocci di Castiel. Fino ad ora, è sempre stato l’angelo a prendersi cura di lui, a guarirlo, a rassicurarlo. Non è sicuro di essere all’altezza del compito.
«Stammi a sentire» intima, con il suo volto ancora stretto tra le mani «risolveremo tutto, chiaro? Non è la cosa peggiore che abbiamo dovuto affrontare. Ma tu devi essere con me, devi venire via con me adesso, perchè qualsiasi cosa succederà dovremo essere insieme per potercela fare» dice, e non è sicuro che lui lo stia ascoltando.
Castiel lo guarda con gli occhi sbarrati e le labbra socchiuse, e c’è un pensiero fulmineo nella mente di Dean che si chiede se non sarebbe il caso di dimostrarglielo, che senza di lui non può farcela. Se non sarebbe meglio dargli la prova che tutto quello di cui ha bisogno per stare bene è averlo accanto a sè in qualsiasi modo l’angelo sia disposto a concedergli.
Se lo baciasse adesso, forse le cose andrebbero diversamente.
E lo fa, quasi.
Ma poi si ricorda di Sam in macchina, degli angeli che cadono, della vita dei cacciatori. E si dice che Castiel non la merita, una condanna come quella.


La prima volta in cui Dean si rende conto che anche Castiel vuole baciarlo, ha appena combinato una grossa cazzata.
Il Marchio pulsa sul suo braccio da settimane, ormai, eppure in tutto quel tempo lui non è mai riuscito a trovare il coraggio di dirlo al suo angelo. Onestamente, gli bastano le occhiate preoccupate che ogni tanto Sam gli lancia quando crede che lui non lo veda, e gli sguardi affamati di Crowley ogni volta che si incontrano.
Il fatto che lui e Castiel non si vedano da una quantità di tempo quasi eccessiva non aiuta, in effetti. Dopotutto, loro stanno dando la caccia ad Abbadon e lui sta riunendo un esercito di angeli, non c’è molto tempo per le rimpatriate.
Eppure, ogni volta che ci pensa, ogni volta che sfiora il Marchio in punta di dita sente che il fatto di mantenere il segreto non è una cosa buona. Dovrebbe dirglielo, lo sa, ma sa altrettanto bene come la prenderebbe lui, e non vuole farlo preoccupare per qualcosa che sfugge –ancora una volta- ad ogni loro controllo.
Ma quella sera, nel parcheggio del motel in cui alloggia Castiel, accanto all’Impala ancora calda dopo la lunga marcia e già pronta a ripartire verso il bunker, le cose vanno diversamente da come si aspettava. In parte, sa che è colpa sua. Sa che vederlo dopo tutto quel tempo, sapere che sta bene, sapere che è vivo e che se la sta cavando nonostante tutto gli ha un po’ ingolfato il cervello. Il desiderio di toccarlo, la voglia di essere sicuro che sia davvero lui e che sia davvero okay lo ha tradito per un momento.
E così, quando gli appoggia la mano sulla spalla con quel sorriso del tutto involontario, a Castiel basta afferrargli il polso e scostare la manica della camicia per scoprire il Marchio. In cuor suo, Dean sa di averglielo lasciato fare.
«Dean» ansima l’angelo, e al maggiore dei Winchester non sfugge affatto lo sforzo che sta compiendo per non lasciarlo andare e allontanarsi.
«Va tutto bene» risponde lui, sottrarendo il polso alla sua stretta e tirando giù la manica.
«Non è vero» ribatte Castiel, con un cipiglio che lui non gli vedeva addosso da parecchio tempo.
Sam, intelligentemente, borbotta qualcosa su una cartina geografica e si allontana a grandi passi verso la reception del motel. Una piccola parte di Dean vorrebbe poterlo trattenere, perchè non crede di essere affatto pronto alla sfuriata che Castiel sta per fargli.
«Senti, era l’unico modo, non starò qui a farmi sgridare da te perchè ho fatto quello che mi sembrava giusto» borbotta, sviando lo sguardo. Vuole fare il sostenuto, ma non ci vorrà molto a farlo cedere.
«Quello che ti sembrava giusto?» ripete l’angelo, esterrefatto e visibilmente incazzato «tu non ti rendi conto di quello che hai fatto, non hai idea di cosa il Marchio significhi»
Dean scrolla le spalle. «Non ti offendere, ma non mi interessa. Non c’era altro modo, fine della discussione» e si volta, cammina a passo svelto verso la macchina.
Passerà a prendere Sam direttamente nella Hall, non ha intenzione di prolungare quella chiacchierata per un minuto di più. Odia quando Castiel ha ragione, odia non sapere cosa sta succedendo e odia essere lui la causa di quel dolore sordo che ha riconosciuto sul fondo dei suoi occhi. Lo ha visto troppo spesso di recente per poter sopportare di esserne la fonte.
Un attimo prima che spalanchi la portiera, però, si sente afferrare per una spalla e voltare violentemente.
«Che diavolo-» ansima, quando la sua schiena impatta contro la fiancata dell’Impala, ma le parole gli muoiono in gola quando il viso di Castiel entra nel suo campo visivo e si ferma ad un palmo dal suo naso.
«Non osare andartente, Dean Winchester» ringhia l’angelo «non osare voltarmi le spalle come un ragazzino. Non mi interessa cosa pensi di sapere o cosa Crowley ti abbia detto, il Marchio che porti è l’essenza stessa del male e io non posso sopportare di-» perderti in questo modo completa per lui la mente di Dean, forse lavorando un po’ di fantasia.
Eppure, in questo momento il cacciatore non stenterebbe a credere che sia davvero così, che Castiel davvero abbia a cuore lui, e non perchè è l’Uomo Giusto o perchè lo ha tirato fuori dall’Inferno, ma solo perchè sono amici, solo perchè sono una famiglia.
«Non posso lasciartelo fare, Dean» dice l’angelo, dopo un lungo secondo di silenzio, allungando una mano verso la sua nuca e stringendo forte i capelli corti.
Lui non sa cosa stia per fare, ma qualsiasi cosa sia si rende conto di desiderarla con tutto se stesso.
«Farò in modo che vada tutto bene» mormora il cacciatore, stringendo le sue spalle «te lo prometto»
E Castiel ride, le sue spalle sussultano. «Non sei cambiato» dice, come se per lui avesse un grande siginificato, come se per lui il fatto che Dean sia rimasto il solito inguaribile cazzone disilluso e cocciuto sia la cosa più importante del mondo.
E si allontana, fa un passo indietro.
«Buonanotte, Dean»


La prima volta che Dean prova a baciare Castiel, la colpa è in gran parte di Sam.
Da quando l’angelo e il minore dei Winchester sono riusciti a contrastare gli effetti del Marchio e a riportare gli occhi dell’altro cacciatore al loro verde originale, il Soldato di Dio capita spesso al bunker.
Sam e Dean hanno ripreso a cacciare, cercando di non esagerare e di espiare ciascuno i propri errori, e spesso accade che al loro ritorno a casa l’angelo sia lì ad aspettarli. Il minore dei Winchester non può fare a meno di notare quanto questo stia facendo bene a suo fratello, quanto la presenza di Castiel sia benefica sia per la sua anima martoriata che per il suo umore nero.
A volte cenano tutti insieme, altre Sam e Cas si chiudono in biblioteca a spulciare testi polverosi mentre Dean lucida armi. È capitato, in un paio di occasioni, che finisssero a guardare un film tutti e tre insieme, fino a tardi.
È quello che hanno in programma di fare quella sera, in effetti. Il maggiore dei Winchester ha scelto il titolo, mentre suo fratello era fuori a prendere qualcosa per cena, e con Castiel si sono sistemati sui vecchi divani di quella che ormai è stata assunta come la sala cinema, in attesa che Sam tornasse.
Quando il ragazzo è rientrato, però, li ha trovati seduti quasi uno addosso all’altro, la testa dell’angelo pericolosamente vicina alla spalla del cacciatore, impegnati a fare svogliatamente zapping. La mano di Dean, appoggiata praticamente sul ginocchio di Castiel, è stato quello che gli ha fatto prendere una delle decisioni più difficili della sua vita.
«Ehm, ciao» dice, una busta di carta per braccio «sono tornato»
La velocità con cui suo fratello scatta in piedi e si allontana dall’angelo è quasi da oro olimpico.
«Ciao, Sammy» lo accoglie, allegro quanto imbarazzato.
Il minore lascia che lui lo liberi delle borse, prima di sfoderare la sua migliore faccia da poker e respirare profondamente.
«Senti... Mi ha chiamato un vecchio amico di Bobby, ti ricordi di Mark?» chiede, e Dean scuote la testa.
«Beh, mi ha chiamato, ha un caso a sud di qui, dalle parti di Oklahoma City. Dice che ha bisogno di qualcuno lì immediatamente»
Suo fratello si morde un labbro, evidentemente dispiaciuto. Non esita, però, e il fatto che riesca ancora a mettere una caccia nel cuore della notte davanti alla serata che hanno in programma da settimane gli fa credere che ci sia ancora speranza per tutti loro.
«Va bene» dice, un po’ deluso «possiamo essere per strada in mezz’ora» e si sta già voltando verso il corridoio che porta alla sua stanza per preparare i borsoni.
Ma Sam, che sa con certezza di meritarsi sia un Oscar che un posto in Paradiso, lo ferma. «No, io intendevo che... non serve che vieni. Vado da solo»
Dean corruga le sopracciglia.
«Sul serio. Mark dice che non è niente di impegnativo, posso essere di ritorno per domani» aggiunge, sperando di convincerlo.
«Ma non eri quello che voleva prendersi una pausa?» indaga suo fratello.
Castiel li sta fissando dal divano, e a Sam non è difficile immaginare che cosa stia sperando che succeda.
«Si, certo, ma anche tu hai bisogno di riproso, e poi qui con te c’è Cas. Vero, Cas?» chiede, sperando in un aiuto, e l’angelo annuisce convinto.
«Posso badare io a te, Dean»
Non è la cosa migliore da dire, in effetti, ma se la farà bastare.
«Non sono un bambino» sbotta infatti il maggiore dei Winchester, alzando le braccia al cielo «ma va bene, se te la senti di andare da solo non sarò io a fermarti»
Sam sospira e si avvia in corridoio. Almeno non sta veramente andando a caccia.
Appena il minore lascia il bunker, e Dean riconosce il rumore del motore dell’Impala che imbocca la strada, lui e Castiel tornano ad accomodarsi sul divano, senza una parola.
Ci vuole quasi metà del film per riuscire a recuperare quella posa naturale e rassicurante che si erano così duramente guadagnati mentre aspettavano che rientrasse Sam, e l’altra metà Dean la passa a dormire con la testa tra lo schienale e la spalla dell’angelo. Si sveglia solo con i titoli di coda, e quando si volta ancora assonnato scopre Castiel ad osservarlo.
«Piaciuto il film?» biascica, stroppicciandosi gli occhi.
«Molto» ribatte lui, con l’aria di qualcuno che non sa nemmeno di cosa si stia parlando.
«Sono contento» risponde, mettendosi a sedere dritto e stiracchiandosi. Quando si volta, l’angelo lo sta ancora osservando.
«Che c’è? Guarda che quando Sam ha detto che devi sorvegliarmi, scherzava» borbotta.
Lui inclina il capo, e Dean si ritrova a pensare che ormai lo fa sempre meno spesso. «Non è questo» dice «stavo solo guardando...»
Allunga quasi sovrappensiero una mano verso il viso del cacciatore, sfiorandogli gli zigomi. Lui ci mette un paio di secondi a realizzare che sta osservando le lentiggini.
«È la luce, sai» soffia, un po’ imbarazzato ma senza scostarsi.
«Quando dormi sono sempre un po’ più scure» risponde Castiel, allontanando la mano e sorridendogli.
In qualsiasi altro momento, con qualsiasi altra persona, Dean non avrebbe esitato un solo secondo a sporgersi e a baciarlo. Lo avrebbe spinto sul divano e gli avrebbe strappato il fiato dai polmoni fino a fargli implorare pietà.
Ma il fatto che sia Castiel, il fatto che sia il suo angelo imbranato e il fatto che lui sia stato un demone fino ad una manciata di giorni prima gli suggeriscono che non è affatto una buona idea.
La tentazione è forte, ma si sente ancora troppo in colpa per quello che ha fatto con il Marchio, per il dolore che ha causato a suo fratello e all’uomo che- che forse ama.
È difficile pensarlo perfino nella propria testa.
Si scosta, scivolando lontano in fretta e spegnendo il televisore.
«Beh, buonaotte Cas» si affretta a dire, e scompare lungo il corridoio cercando di non voltarsi indietro.


La prima volta che Dean bacia Castiel, in realtà è Castiel a baciare Dean.
Succede la mattina dopo, nel modo più inatteso e più adatto a loro due.
Il cacciatore si sveglia tardi, e si rigira a lungo tra le lenzuola. La sua camera è buia, e lui non ha davvero voglia di alzarsi a e affrontare un nuovo giorno, una nuova conversazione con suo fratello, una nuova occhiata del suo angelo. Trascorre minuti interi a premersi le nocche sul viso, mentre ripercorre gli eventi di quella sera e ricorda il tocco di Castiel sulla sua guancia.
Forse, avrebbe dovuto semplicemente sporgersi e baciarlo. È stanco di vivere di rimpianti.
Quando finalmente si alza dal letto, lo fa mettendoci tutta la sua forza di volontà. Sa che deve chiamare Sam, assicurarsi che sia arrivato, e magari preparare qualcosa da mangiare per sè e per Castiel, amesso che l’angelo non se ne sia andato durante la notte.
Si trascina fuori dalla sua camera ancora a piedi nudi, stropicciandosi gli occhi, e deve fare parecchi passi prima di rendersi conto che il corridoio non è affatto deserto come si aspettava.
C’è una familiare figura in trench, in piedi lì in mezzo, che lo fissa come se stesse aspettando qualcosa di particolare.
«’Giorno, Cas» biascica Dean, ma appena si rende conto che l’angelo sta davvero aspettando qualcosa, si blocca.
«Ehi, che succede?» chiede, vagamente preoccupato, perchè onestamente è parecchio che non gli vede quell’espressione solenne in viso.
«Ho riflettuto, stanotte» dice lui, con le braccia lungo i fianchi e il cipiglio severo «e sono giunto ad una conclusione»
«Ehm, buon per te, immagino» risponde Dean, stranito.
Quando si rende conto che Castiel non ha intenzione di aggiungere niente, si incuriosisce. «E quale sarebbe questa conclusione?» chiede, con un tono fintamente esasperato.
«Credo che ieri sera tuo fratello abbia inventato un caso finto per poter lasciare il bunker» dice lui, e il cacciatore non può non sorridere. In effetti non ci aveva pensato, ma avrebbe senso. E sarebbe decisamente da Sam.
«Ho controllato» continua l’angelo «e non c’era nessuna anomalia nei pressi di Oklahoma City»
Dean annuisce, cercando di capire dove stia cercando di arrivare. Con un po’ di fortuna non sarà lui a doverglielo spiegare.
«Temo che Sam ci stia nascondendo qualcosa» conclude Castiel, e tanti saluti alla fortuna.
Il cacciatore sospira, divertito.
«Non sta nascondendo niente, Cas. Se n’è andato per lascarci soli»
Castiel lo fissa per un lungo momento. «E perchè lo ha fatto?»
«Davvero non ci arrivi?» rincara Dean, forte della manciata di passi che li separano e della penombra del corridoio. Tiene le braccia incrociate sul petto e un ghigno sulle labbra, tutto per celare un imbarazzo sempre crescente.
«No» risponde semplicemente lui.
Il cacciatore sospira. «Immagino abbia, sai, frainteso il nostro rapporto. O qualcosa del genere» butta fuori, gesticolando in aria e grattandosi la nuca con nervosismo. Lo sguardo di Castiel è sempre più confuso.
«Anzi no, sai cosa? Lascia stare. Parlerò con Sam, non fa niente» ritratta subito Dean, dandosi dell’idiota. Come ha potuto pensare che ci sarebbe arrivato così?
Si incammina a passo svelto lungo il corridoio, superando l’angelo e dirigendosi a grandi passi verso la cucina.
È quasi arrivato alle scale della sala principale, quando sente la voce di Castiel chiamarlo, e anche se vorrebbe ignorarlo sa che sarebbe infantile, e oltretutto non ci sono molti posti dove nascondersi in un bunker sotterraneo a quell’ora del giorno.
Così sbuffa e si volta, appena in tempo per trovarsi le labbra di un angelo premute sulle sue con violenza, i suoi occhi chiusi con forza e le sue dita strette attorno alle spalle.
Se ne restano così, immobili, per qualcosa come una decina di secondi, la cosa più imbarazzante che Dean abbia mai sperimentato. Poi, lentamente, Castiel lo lascia andare e fa un passo indietro.
«Wow» commenta Dean, fissandolo attonito, e vede l’angelo arrossire e sviare lo sguardo.
Frainteso un corno.
«Non volevo che lo sforzo di Sam andasse sprecato» dice, fissandosi i piedi, ed è la cosa più tenera e più ridicola che sia mai capitata al maggiore dei Winchester.
«Già, sarebbe stato un peccato» risponde, e ‘fanculo, brucia quel passo che Castiel ha messo tra di loro e lo bacia, lo bacia come si deve.
È solo quando l’angelo prende abbastanza confidenza da artigliargli la maglietta e spingerlo verso la parete, che Dean si rende conto di quello che sta facendo, e non se pente affatto.
«Woah, ragazzi, vi prego. Non negli spazi comuni!» sbotta una voce alle loro spalle, e quando si voltano c’è Sam, sulla scala, con un cellulare in mano e presumibilmente la fotocamera accesa, puntanta verso di loro. Stranamente, ha l’espressione più soddisfatta che Dean gli abbia mai visto addosso.
Lui, imbarazzato, si scosterebbe, ma alle sue spalle c’è un solidissimo muro e dall’altra un altrettanto solido angelo arruffato, quindi non ha molte via di fuga disponibili.
Castiel, ovviamente, sorride all’indirizzo di Sam, senza muoversi di un centimetro. «Ciao, Sam. Bentornato»
«Grazie Cas» risponde quello, senza accennare nessun movimento. Accanto ai suoi piedi c’è un borsone, che con ogni probabilità non è nemmeno stato aperto.
«Com’era Oklahoma City?» chiede Dean, e quello risponde con una scrollata di spalle, rimanendosene lì impalato.
Oh, beh, lui l’occasione per dileguarsi gliel’ha data.
Quindi si volta di nuovo verso Castiel, che coglie le sue intenzioni un attimo prima che un sorrisetto gli sporchi le labbra, e lo asseconda senza esitazione.
Sam fugge via scattando ancora qualche foto e lamentandosi ad alta voce della mancanza di decenza, ma loro neanche se ne accorgono, impegnati come sono a baciarsi.





































NdA

Sarò breve (non credeteci).
Allora, intanto credo di dovermi scusare per essere stata così a lungo. L'unica cosa che posso dire è che non ero in grado di scrivere l'ultimo capitolo, e anche adesso che sto per mettere la spunta nella casellina del "Completa", resta una delle più grandi gioie e dei più grandi dolori.
Ho lavorato per due anni a questa raccolta, con un sacco di pause e di scivoloni, e ho conosciuto della gente meravigliosa, mi sono trovata una beta e una prompter incredibili che non ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che hanno fatto. Ho imparato tanto da tante persone, e sono orgogliosa di tutto quello che sono riuscita a fare, perchè Kisses mi ha aiutato in modi inaspettati e in momenti che non sarei riuscita a sopportare altrimenti.
Quindi niente, sappiate che non è che adesso sparisco, perchè ho un mucchio di altre cose da fare (leggasi Wolfstar e altra roba innominabile) che linkerò qui appena avrò tempo.
Credo sia più o meno tutto.
Grazie a tutti gente, siete stati la mia gioia e io mio tormento, e vi amo tutti un sacco. B
uona vita.

Ci si vede in giro;)
Fanie

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