La fermata giusta

di Midnight_whisper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La panchina ***
Capitolo 2: *** Questioni irrisolte ***
Capitolo 3: *** Colloqui cercati, colloqui mancati ***
Capitolo 4: *** Fughe ***
Capitolo 5: *** Riflessioni notturne ***
Capitolo 6: *** Soluzioni ***
Capitolo 7: *** Ancora la panchina ***



Capitolo 1
*** La panchina ***


Si stava facendo buio. Andrea aspettava poggiato al muro. Si mise ad osservare l’orologio e rimase rapito dal progredire lento e inesorabile della lancetta. Si diede una spinta e recuperò una posizione perfettamente eretta, per poi mettersi a camminare senza una meta precisa. Dove si era cacciato?
Si ritrovò quasi senza rendersene conto vicino alla panchina dove due estati prima avevano cominciato la guerra dei gavettoni. Alzò lo sguardo.
 
Il loro passo era piuttosto lento, non avevano fretta di arrivare dove erano stati invitati. Il braccialetto che Liliana indossava sul polso sinistro emetteva un lieve tintinnio in maniera regolare e risultava stranamente piacevole. Mario le teneva l’altra mano, la destra, con il suo solito fare noncurante, che ancora non se n’era andato. Erano in silenzio, avevano già parlato molto.
 
Il sentiero in mattonelle sconnesse che doveva portarla al centro del parco sembrava totalmente deserto. L’ambiente circostante era assolutamente silenzioso e la sirena di un’ambulanza in lontananza e qualche clacson non erano altro che percezioni uditive ovattate per lei, per Paola.
 
Quella panchina stava lì, ferma. Non si muoveva, priva di vita. E nonostante ciò si rese conto di essere contemplata. Andrea, Liliana, Mario e Paola erano tutti lì. I quattro ragazzi si guardarono l’un con l’altro. Ma nessuno di loro trovò il coraggio di dire niente. Nessuno di loro riuscì ad aprire la bocca. Tutti loro semplicemente osservavano quella panchina, in silenzio.

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Capitolo 2
*** Questioni irrisolte ***


Sembrava di sciogliersi al sole. Un caldo torrido prosciugava le gocce di sudore prima che, staccatesi dalla punta dei capelli, potessero toccare l’asfalto rovente. L’I-pod nelle orecchie di Andrea continuava a martellare un pezzo rock che ormai la stanchezza aveva messo in secondo piano. Rallentò progressivamente e si poggiò le mani sulle ginocchia. Gli venne quasi istintivo poggiarsi sul vaso che gli stava accanto, ma dovette subito ritrarsi indietro quando si sentì scottare il sedere al contatto. Aveva decisamente il fiatone. Aveva le mani sui fianchi, aveva staccato la musica e ora un silenzio irreale pervadeva quel lungo viale senza alberi dove tutti solitamente correvano, tranne in quei giorni d’afa.
Poi quasi dal nulla un rumore di passi cadenzati. Qualcuno stava correndo dietro di lui e fra poco gli sarebbe passato accanto. Ma com’era possibile? Avrebbe potuto giurare che non ci fosse stato nessuno fino a poco prima. Si voltò di scatto e rimase immobile, bloccato. Era Claudio. Andava avanti con la sua solita andatura da maratoneta, instancabile, il viso alto e rivolto alla fine della strada. Gli sfrecciò a pochi centimetri. Non lo guardò nemmeno. Erano arrivati a questo punto? Non si salutavano nemmeno più. Rimase pietrificato per qualche istante, poi lo seguì con gli occhi nella sua corsa. Claudio diventò in pochi attimi un lontano puntino.
E se qualcuno avesse visto tutto questo da fuori, avrebbe potuto giurare che di ragazzi per strada non ce n’erano due. Se qualcuno avesse guardato con Andrea il viale, in prospettiva. Non sarebbe riuscito a scorgere nessun puntino. Nessun maratoneta. Nessun Claudio.
 
Si sentiva maledettamente scomoda su quel lettino. Ci si era distesa ormai tante volte da averne perso il conto. Ancora una volta si trovava lì a dover parlare, da sola. Si sentiva terribilmente stupida. Riprese:
‹‹È stata la prima persona a non aver avuto pregiudizi su di me dopo quello che è successo. Ricordo perfettamente la nostra prima discussione...››
La pensilina mezza rotta permetteva al sole di trapelare parzialmente e di toccare con un rettangolo luminoso la gamba destra di Paola. L’autobus era in ritardo, senza dubbio. Due grosse cuffie le abbracciavano le orecchie e le pompavano in testa musica alternativa. Qualcuno le si mise accanto. Era un ragazzo di altezza normale, intorno al metro e settanta, poco più, dal viso rotondo, la pelle chiara e i capelli di un biondo cenere scompigliati dal vento. I suoi occhi erano azzurri, magnetici. Aveva un’espressione spensierata e leggera, una tracolla con i Beatles stampati sopra. E sembrava un cascamorto. Le chiese l’ora.
Paola si sfilò lentamente le cuffie e fece cenno di ripetere la domanda.
‹‹Mi sai dire che ora è?›› Sorriso affabulatore, patetico.
La ragazza scosse la testa senza rispondere, lasciando ondeggiare i lunghi capelli ondulati. Quegli stessi capelli che, insieme alle sue labbra molto evidenti e i suoi occhi chiari, facevano impazzire tutti i suoi coetanei.
‹‹Ma tu sei Paola... Cristaldi? Quella del...›› Non concluse la frase. Paola lo fulminò prima ancora che potesse concluderla.
‹‹E se anche lo fossi?››
‹‹Piacere, io sono Claudio!››
Stizzita, Paola fece spallucce, visibilmente disinteressata. Eppure il ragazzo sembrava non rendersi conto del fastidio procurato e continuava a parlare, troppo.
‹‹Senti, mi chiedevo...››
‹‹Allora, scusa, parliamoci chiaro: cosa vuoi da me? Sappi che non è giornata, quindi non attaccare a parlare della solita storia perch...››
‹‹Ohi, calma... Volevo solo scambiare due chiacchiere aspettando l’autobus!››
‹‹Beh, non prendertela per favore, ma a me non va proprio.››
Paola si voltò dall’altro lato, facendo per rimettersi le sue ingombranti cuffie nel orecchie.
‹‹Io prendo il 49, tu?›› Claudio sorrise.
Paola si voltò, ancora una volta.
Paola fece entrare in contatto le punte delle sue scarpe. Si ritrovava sempre a guardarsi i piedi quando stavo su quel lettino da psicologo.
‹‹Non saprei dire cos’è successo dopo. Mi dava fastidio all’inizio e poi... mi sono resa conto di aver sbagliato. Mi sono resa conto di quanto fosse interessante, era speciale ed è diventato indispensabile per me. Non saprei come fare senza lui adesso. Penso sia il mio unico amico per ora.››
La psicologa annuiva, mentre lei parlava. Parlava, parlava. Parlava, sempre di Claudio.
La sua terapia intensiva era finita. Avrebbe continuato a vedere la dottoressa solo una volta ogni mese o due adesso. In teoria avrebbe dovuto sentirsi soddisfatta, come se avesse fatto un passo avanti verso una nuova stabilità. Eppure, uscendo da quello studio, Paola non provò nessuna emozione. La strada era sgombra e silenziosa, come capitava sempre in quella fase della giornata. L’ora di pranzo era passata da poco. I palazzi le facevano ombra sul viso. Si diresse lentamente verso il suo motorino. Un vecchio motorino un po’ scassato perché di seconda mano. Le piaceva guardare i marciapiedi tutti rotti della sua città, teneva il volto basso. Solo quando lo alzò vide, seduto sul suo motorino, Claudio. Un sorriso le si dipinse sul volto e accelerò il passo iniziando già a salutarlo con un gesto della mano. ‹‹Ehi! Cosa ci fai qui?››
Claudio si alzò dal sellino per poterla salutare, poi si portò una mano dietro la nuca e la sfregò un paio di volte contro i capelli ‹‹Ma sai, passavo di qui e ho visto il tuo motorino! Mi avevi detto che venivi qui per gli incontri, me ne sono ricordato e... ho aspettato.››
Paola gli si fece incontro salutandolo affettuosamente con un abbraccio ‹‹Ma da quanto sei qui?››
‹‹Non saprei, pochi minuti...›› Il suo solito sguardo vago, perso fra le nuvole.
Già, il suo sguardo era il solito, ma lui sembrava un po’ più assente del solito, da qualche tempo a quella parte.
‹‹Senti...›› Cominciò Paola iniziando a estrarre dalla tasca dei pantaloni le chiavi del motorino.
Silenzio. ‹‹Devi dirmi qualcosa?››
Paola rimase interdetta, voleva sfogarsi, voleva raccontare tutto. Aveva bisogno di parlare, anche di cose inutili. ‹‹No, niente. Scusa... Non è che ti serve un passaggio?››
‹‹Figurati, sto qua dietro...›› La frase fu accompagnata da un lieve cenno del pollice.
‹‹Già... Okay, allora io vado!›› Con pochi gesti tolse il bloccasterzo e il cavalletto.
Girò la chiave. ‹‹Paola...›› La ragazza si voltò con noncuranza, ma sentendosi dentro bruciare al pensiero di cosa le avrebbe detto l’amico ‹‹...hai bisogno di qualcosa? Vuoi parlare?››
Paola titubò. Non sapeva nemmeno lei se volesse davvero parlare o meno. Poi sfoderò un sorriso ‹‹Io? No, perché?››
‹‹Niente, niente! Però, se mi cerchi, io ci sono, va bene?›› Claudio portò le mani in alto come un colpevole quando si vede puntare addosso le pistole della polizia.
Paola rise. ‹‹Ciao...››
Il motorino si svegliò con un ultimo rombo e andò via.
 
Il ronzio del condizionatore era in qualche modo rassicurante e aiutava ad auto-convincersi che quel caldo potesse essere sopportabile. Altrettanto rassicurante era quel ragazzo con cui Mario parlava. Mario, sempre così occupato a cercare di apparire in un certo modo, quando parlava con lui si riusciva ad aprire, come non riusciva con nessun’altro.
‹‹È tutta una situazione strana. Non so cosa pensare. Hai presente quello che ti ho raccontato? Quella cosa successa l’ultimo giorno di scuola?››
C’era piuttosto caldo mentre Mario passeggiava sotto il sole dell’ultima giornata scolastica. La fresca battaglia di gavettoni l’aveva visto sconfitto su tutta la linea ma, anche se non l’avrebbe mai ammesso, amava quella sensazione di bagnato che contrastava l’afa estiva. Non pensava a nulla quando si sentì stringere i fianchi da dietro. Si voltò di scatto. Ragazza di media altezza, piuttosto magra, capelli lunghi, appena ondulati e castani, gli occhi chiari nascosti da alcuni tratti del viso un po’ goffi. Era certo che fosse lei. Era Liliana.
‹‹Ehi!›› La ragazza lo abbracciò da dietro sentendo inevitabilmente l’acqua di cui la maglietta di Mario si era impregnata ‹‹Ma che hai combinato?››
Mario si passò una mano fra i capelli corti, vedendo chiaramente qualche goccia saltare a destra e a sinistra ‹‹Mi hanno distrutto a forza di gavettoni. Maledetti... Si sono alleati tutti contro di me! Non lo trovi pazzesco?››
‹‹Veramente no! Non eri tu quello che faceva gli agguati lanciando palloncini dalle finestre fino a tre ore fa?›› Sapeva che in fondo gli importava ben poco dei gavettoni, ma era certa che avrebbe risposto, come sempre, in maniera perentoria.
‹‹Liliana, non vuol dire nulla. Io adesso sono completamente fradicio.››
Liliana non poté trattenere un sorriso, mise il suo braccio sotto quello di Mario e comincio a camminare rallentando l’andatura del ragazzo e sentendosi immediatamente in imbarazzo. Iniziò a sorridere freneticamente, da stupida, ma lui non se ne accorse. Perché era così impacciata?
‹‹Ah, ho parlato con Alessandro! Mi ha detto di averti visto con una ragazza qualche giorno fa! Da soli al cinema... Chi è? Non mi hai detto che ti vedevi con qualcuno!›› Sorrise sforzandosi.
‹‹Davvero non te ne avevo parlato?›› Mario sfilò gli occhiali da sole appesi al colletto della sua maglietta e li porto al viso con fare spontaneo. Non la guardò.
‹‹Ora che ci penso, forse... Ma è stato tanto tempo fa! Sei uscita con quella... Sara?›› Ricordava benissimo di quella Sara. Non gli era certo balenata in mente all’ultimo momento.
‹‹Sara? No, ma cosa dici! Con lei ho solo flirtato, mesi fa, infatti! Sono uscito con Claudia... un’amica di Sara, in effetti!›› Non doveva voltarsi verso di lei. Sguardo in avanti, sorriso stampato.
‹‹Oh, ogni tanto mi chiede come arrivi a conoscere tutte queste ragazze! Non ti bastano quelle che hai già vicine, quelle che conosci meglio?›› Poteva sempre dire di stare parlando di qualcun’altra, dopotutto.
‹‹Vorresti dire che... dovrei provarci con quella di terza C? Non so, non credo di conoscerla poi tanto bene!››
Liliana sfilò il braccio dal corpo di Mario e lo porto con un gesto automatico ai suoi capelli. Iniziò a toccarsi una ciocca, insistentemente ‹‹No, lascia perdere. Quindi, pensi sarai con questa Claudia, quest’estate?››
Mario si sentì bene a sentire quella frase ‹‹Non lo so, dipende da come mi andrà. Certo se volessi potrei portare la mossa finale e il gioco sarebbe fatto! Ma un po’ mi sono annoiato con lei...››
‹‹Certo, ti capisco.››
Mario si fermò di colpo. ‹‹Oh, scusa, preso com’ero non ho pensato che ho la moto posteggiata da questa parte.›› E indicò una stretta strada laterale. ‹‹Ci salutiamo?››
‹‹Oh, certo! Buona estate Mario.›› Lo baciò su una guancia e fece un immediato passo indietro.
‹‹Naturalmente ci sentiamo! Usciamo con gli altri! Magari ci facciamo una chiacchierata in chat in questi giorni!››
‹‹Okay, ci conto. Ciao ancora.›› Liliana accelerò il passo e fu via, in pochi attimi.
Il volto di Claudio era rimasto impassibile per tutto il racconto.
‹‹Certo, che me lo ricordo. Perché me lo chiedi?›› Il suo solito sorriso rassicurante. Il solito di Claudio.
‹‹Perché? Perché io non so cosa pensare! Da quando abbiamo parlato quella volta mi sento come... una pulce nell’orecchio. Ecco.››
 
‹‹Secondo te fra noi può esserci qualcosa?›› Lo sguardo di Liliana puntava interrogatorio quello della sua migliore amica Alice. Erano entrambe distese sul letto. L’oggetto della discussione era il solito Mario.
‹‹E lo chiedi a me? Non lo conosco nemmeno! Però, insomma, per quanto mi racconti, mi sembra che sia un tipo un po’ stronzo. E poi se la tira!››
 
‹‹Lo so Claudio, lo so perfettamente. Siamo completamente diversi e non credo di essere interessato a lei, infatti. Ma allora, come mai la penso?››
Claudio osservò un momento l’amico. I suoi lineamenti non erano troppo dolci ma era senza dubbio un tipo affascinante. Aveva un taglio di capelli molto eccentrico: rasato dal lato destro e lungo in quello opposto. Da sempre Claudio gli diceva che non gli donava, ma alle ragazze sembrava piacere. Prese il respiro.
‹‹Mario, ti faccio notare che ogni volta che ti sei messo con una ragazza era o perché dovevi vincere una scommessa o perché ti piaceva il suo culo. Ma pensare a queste cose spontaneamente: ad una ragazza... è normale!››
 
‹‹Cosa intendi dire?››
‹‹Intendo dire che per me tu hai solo paura, Liliana. Il passato è passato.››
 
‹‹No, aspetta un momento: tu mi stai dicendo che dovrei provarci? Dovrei provarci con Liliana?›› Mario era appena amareggiato nel pronunciare quelle parole e non fece altro che incitare un asciutto sorriso sul volto di Claudio.
‹‹Ci provi con tutte, perché con lei no?››
 
‹‹Va bene, va bene. Ma... se poi lui non ci sta?››
‹‹Allora non gli dirai mai niente, non ti dichiarerai mai a nessuno e la tua vita sarà quella di una vecchia zitella sola e colma di rimpianti.›› Alice si voltò dall’altro lato del letto, come a chiudere la discussione.
 
‹‹Non so, ecco. Io credo che lei non faccia per me, semplicemente. Mi conosci: non starei mai con una come lei. Parliamo di Liliana! Ti ricordi Liliana? Timida, introversa, riservata? Non fa per me.››
Claudio smise di ruotare sulla sedia che si trovava di fronte la scrivania di Mario per guardarlo dritto negli occhi ‹‹Tu hai chiesto il mio parere. E io ti sto solo chiedendo: e se fosse questa? La tua fermata giusta?››

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Capitolo 3
*** Colloqui cercati, colloqui mancati ***


Il cielo stava prendendo quella classica sfumatura rossastra tipica del tramonto. Paola adorava il fatto che le giornate fossero tanto lunghe. Quando d’inverno alle cinque il cielo era già nero si rendeva conto di deprimersi, mentre quel sole che doveva ancora scomparire alle sette e mezza di sera era tutta un’altra cosa. La illuminava. Seduta, la schiena contro un albero sottile, tanto sottile da dar l’impressione di essere sul punto di piegarsi, Paola teneva come sempre le ginocchia alte, piuttosto vicine al petto, così da poter usare le sue stesse cosce come un appoggio al suo block-notes. Disegnava. Faceva degli schizzi molto embrionali che non diventavano mai dei veri disegni, in realtà. Ma le piaceva così. Quelle linee nere scure per la china, che si incrociavano sul foglio, le trasmettevano una sensazione di armonia. Nonostante l’evidente disarmonia dei singoli tratti di penna, bastava allontanare lo schizzo dall’occhio per poterlo ammirare in tutta la sua bellezza. Claudio le diceva sempre che erano bellissimi.
Uno dei suoi ciuffi castani le finì tra gli occhi. Lo scostò via con la penna alzando lo sguardo verso destra. Due ragazzi sembravano osservarla qualche metro più in là. E sembravano parlare, confabulare quasi. E, con ogni probabilità, non stavano parlando del fatto che fosse una bella ragazza. Un passo verso di lei. Un secondo. Camminata decisamente più spedita. Paola cercò di voltarsi dall’altro lato, sbuffando e gonfiando le sue guance chiare. Se avesse potuto avrebbe pure isolato le sue orecchie per non sentire nulla e, invece, eccoli accanto a lei, quei due.
‹‹Ma tu sei Paola Cristaldi? Quella del negozio in via...›› Aveva iniziato a parlare quello col cappello in testa.
‹‹Sono io.›› Troncare il discorso immediatamente. Era l’unica cosa che desiderava. Si voltò e iniziò a ignorarli. Guardava il suo foglio e disegnava.
‹‹Fantastico, sai, volevo passare in centro oggi e mi chiedevo se il negozio fosse aperto, perché in caso contrario credo dovrei prima fare un salto a rinnovare l’assicurazione sulla vita...›› Il tipo col cappello si voltò in un certo qual modo soddisfatto dalla sua affermazione verso l’altro, che sorrise in silenzio. Poi tornò di nuovo a fissarla, evidentemente indispettito dalla sua indifferenza.
‹‹Senti, di' un po’...››
Paola strinse la penna forte nella mano, affondando le unghia sul polpastrello del pollice.
‹‹Ehi ciao, Paola! Scusa ti ho fatta aspettare?››
Paola alzò lo sguardo quasi istintivamente. Un ragazzo di media altezza, piuttosto impostato fisicamente, con dei capelli estremamente ricci. Mai visto prima.
‹‹Questi... sono amici tuoi?›› Il nuovo arrivato puntò col dito i ragazzi e li osservò con superficialità per poi fissare di nuovo Paola.
‹‹No, non ho idea di chi siano...››
‹‹Oh, ragazzi avete bisogno di qualcosa? Non voglio essere maleducato ma, se non vi serve nulla, sarebbe bello se ci lasciaste soli.››
Il tipo che fino a quel momento era rimasto in silenzio parlò, sfoggiando un vistoso piercing alla lingua ‹‹Perché, tu chi sei?››
‹‹Alessandro Visco, piacere. Sono il suo ragazzo. E sono già abbastanza in ritardo perché mi ero scordato di avere la lezione di boxe oggi pomeriggio.››
Il tipo del piercing sospirò annoiato. Poi voltò le spalle seguito dall’altro che abbozzò ironicamente un ‹‹Buon divertimento allora...››
Alessandro sorrise fra sé e sé e prese posto sull’erba a circa un metro da Paola ‹‹Scusa, eh, ma mi tocca stare seduto un po’ qui finché non si allontanano un po’.››
‹‹Si può sapere tu chi cazzo sei?›› La frase aveva una punta di cordialità.
‹‹Qualcuno che ti ha appena dato una mano fingendosi il tuo ragazzo e si è pure scusato per questo.››
‹‹E fai boxe?›› Lentamente Paola faceva ruotare la penna fra le dita, fissandolo. Non era un bel ragazzo ma, perché l’aveva fatto?
‹‹Non saprei nemmeno indossare i guantoni, immagino. L’unico sport che ho fatto nella vita è stato il tennis.››
‹‹Certo. Comunque ti ringrazio per quello che hai fatto, ma ciò non toglie che mi devi delle spiegaz... Ehi, parlo con te!››
Alessandro si era alzato senza troppe cerimonie e si stava allontanando dall’albero sottile che faceva ombra sul block-notes.
‹‹Eh? Pensavo volessi restare da sola, no? Quelli se ne sono andati e non avevo più motivo di restare...›› Tornando indietro si fermò a pochi passi da lei.
‹‹Ah, certo, fai pure. Io volevo solo parlare un po’.›› Paola puntò di nuovo lo sguardo in giù, nascondendolo fra i lunghi capelli ondulati.
‹‹Ti va se ci vediamo un’altra volta?››
Silenzio.
“Una frase del genere di punto in bianco? Deve essere senza dubbio pazzo.”
‹‹Oh, non devi fraintendere. Solo che anche a me farebbe piacere parlare ma oggi non posso proprio...›› Le parole suonavano tanto come una giustificazione improvvisata.
‹‹Ah, davvero? Bene, dammi il tuo numero. Se ne ho voglia ti chiamo.›› Paola sorrise.
 
I cuscini del divano stavano lentamente scivolando sotto il suo peso, ma, nonostante ciò, Andrea non sembrava volersi alzare per sistemarli di nuovo. In televisione scorrevano programmi che non seguiva. Adesso c’era un quiz.
‹‹Allora, attenzione perché questa è una domanda importante: a quale imperatore succedette Calig...››
Andrea cambiò canale senza nemmeno ascoltare cosa veniva detto, mentre con la mano destra non riusciva a non giocare con una pallina da baseball che gli aveva regalato suo padre anni prima.
‹‹Sei il solito depresso, mamma mia! Cosa c’è che non va?››
Sua sorella era appena entrata nel salotto ed era subito stata catturata dall’atteggiamento assente del fratello. Era un tipo molto solare, sua sorella.
‹‹Va tutto bene.›› Andrea era spesso lapidario quando parlava con membri della sua famiglia, sebbene in compagnia di amici avesse una parlantina coinvolgente.
‹‹Certo, certo. Infatti ti credo. Ti conosco, mi rendo conto se qualcosa non va! Quindi ora mi racconti per filo e per segno cosa sta succedendo, va bene?›› Si avvicinò al divano poggiando le braccia sui fianchi.
‹‹Lasciami in pace, Giulia.››
‹‹Non costringermi a farti del male, sai che ne sono capace.››
Andrea si voltò rapidamente a pancia in giù sul divano per evitare anche solo di guardare sua sorella, lasciando così rotolare la pallina sul tappeto rosso. ‹‹È una questione fra me e Claudio.››
Giulia si  lasciò andare sul divano e si appoggiò allo schienale, guardando nel vuoto. Sospirò.
‹‹Claudio, eh? ...Non credo che tu possa avere dei problemi con Claudio.››
La voce di Andrea, soffocata dal cuscino, si trovò libera quando il ragazzo alzò nuovamente la testa e parlò con fare annoiato ‹‹Senti, te l’ho detto: lasciami in pace, per favore.››
‹‹E va bene, va bene. Cerchiamo di parlare sul serio allora. Ti va di raccontarmi che problemi hai con Claudio?››
Le parole cantilenate dalla sorella maggiore non sortirono alcun effetto, tuttavia Andrea iniziò a raccontare. Più per parlare ad alta voce con se stesso, che per raccontare i fatti alla sorella.
‹‹Certo, io avrò esagerato, però lui... Lui ha sempre reagito male alle azioni degli altri! Avresti dovuto vedere come mi guardava...››
Claudio era in piedi, accanto alla porta, con le braccia conserte. ‹‹Non capisco perché ti diverti tanto a sputtanare una persona che nemmeno conosci? Che gusto ci provi?››
Andrea si guardò attorno un momento per cercare di leggere le espressioni degli altri. Alessandro sembrava appena in allerta, con la schiena poggiata al muro, poco distante da Claudio, mentre Mario era seduto, come lui, su una sedia, teneva il volto basso. Nessuna complicità.
Andrea prese fiato ‹‹Piuttosto che gusto ci trovi tu a provarci con lei...››
‹‹Va bene ragazzi, forse state esagerando.››
Claudio si voltò immediatamente verso Alessandro e replicò gesticolando vistosamente ‹‹No, guarda, Ale, io avrei potuto cambiare discorso prima. Ma adesso ci terrei proprio a sapere quale fantastiche conoscenze siano le sue!››
‹‹Cristo, prendi tutto alla lettera...›› Andrea, vedendosi indicare, buttò la testa indietro e prese a osservare la finestra che gli stava dietro.
‹‹Effettivamente “puttana” non va preso alla lettera, no?››
Andrea si rimise dritto per guardare Claudio negli occhi e mantenne una freddezza che raramente gli si vedeva in volto ‹‹Io la chiamo verità.››
Claudio si morse istintivamente un labbro mentre stringeva i pugni. Era visibilmente irritato ‹‹Senti, non mi piace: punto e basta.››
Andrea si voltò verso Mario con fare noncurante ‹‹Allora forse ci sbagliavamo. Forse vuole solo farle da nuovo padre! Speriamo dia un esempio migliore...››
‹‹Non ci credo, l’hai detto sul serio...››
‹‹Ad ogni modo, io vado a bere un sorso, vado da solo, Ale, okay?››
Andrea si diede la spinta per mettersi in piedi ma prima ancora di fare due passi si sentì bloccare il braccio. Era Claudio ‹‹Fermati qui. Me ne vado io, non ho proprio voglia di questa compagnia.››
‹‹Dai, Claudio, lascia perdere.›› Intervenne con poca voce Alessandro.
‹‹Scusami Ale, ma io certi coglioni non li sopporto proprio.›› Spalancò la porta e uscì.
Andrea era rimasto al centro della stanza, mentre Alessandro cercava di correre dietro all’amico. Andrea era rimasto immobile, il braccio ancora pulsante per la stretta di Claudio.
‹‹S’è incazzato.›› Fu la sentenza proveniente dall’altro ragazzo.
‹‹Che me ne frega, Mario... Non è che può fare sempre il buon samaritano con tutte le piagnone che passano... E poi lo sai che quella non l’ho mai sopportata...››
Qualche secondo di silenzio permise ai due rimasti nella camera di sentire il rumore delle porte al piano di sotto che sbattevano. Passò circa un minuto prima di vedere risalire Alessandro, visibilmente contrariato.
‹‹Certo... sei proprio un coglione, Andrea.››
Lo sguardo freddo di Giulia nel corso del racconto si era fatto esitante ‹‹Questa cosa quando è successa?››
‹‹Circa un mese fa.››
‹‹Ah... E poi? Cos’altro è successo? Te lo ricordi?›› La voce della sorella era sempre più titubante.
‹‹Che vuol dire se mi ricordo? Certo che ricordo! Non ci parliamo da allora. Oggi quando sono andato a correre l’ho incrociato. Lui mi ha affiancato e mi ha superato. Io ero senza fiato e senza forze, ma lui non mi ha nemmeno guardato. Io...››
‹‹Ehi, senti... Claudio non andava a correre, anzi, non corre più da mesi...››
Andrea scostò la mano della sorella che gli si era poggiata sul ginocchio ‹‹Sì, okay ma... Ma che ne so a cosa pensa quello!››
‹‹Che vuoi fare?››
‹‹Io sentivo di dovergli dire quello che ho detto ma adesso questa situazione mi da fastidio. Non ci so stare così: lui è il mio migliore amico! So di dovermi scusare, ma non so come farlo.››
Andrea continuava a parlare con se stesso, anziché con la sorella. Giulia lo guardò un attimo e decise di alzarsi, passandogli nel frattempo una mano fra i capelli. ‹‹Dai, che passa tutto, prima o poi passa tutto... Ah senti, mi ha detto mamma stamattina che devi rimettere a posto la tua stanza altrimenti non ti fa sedere a tavola per cena!››
La sua solarità tornava sempre tutta d’un tratto, anche quando parlava di cose serie. Le capitava spesso. Era qualcosa che aveva sempre colpito Andrea. E non poteva che ammirarla.
 
Il buio della stanza costringeva Paola a scrivere alla fioca luce della sua lampada da tavolo. La sua penna a inchiostro blu era ormai quasi scarica e si ritrovava a dover passare più volte sugli stessi solchi lasciati in precedenza perché il liquido prendesse la pagina.
“Visto che da adesso ci vedremo molto di meno rispetto a prima, ti consiglierei di cominciare a scrivere un diario. Per mantenere le idee più ordinate. Ti sarà senza dubbio utile!”
Aveva detto proprio così la dottoressa. Non che avesse mai creduto molto in quello che le diceva, ma aveva sempre avuto l’idea di iniziare un diario e questa era solo stata un’occasione, un pretesto, per farlo. Fino a qualche anno prima tutte le mattine scriveva quello che aveva sognato, ma ormai era da tempo che prendeva in mano una penna solo per disegnare. E tutto sommato scrivere non le dispiaceva.
“Oggi ho concluso la prima fase della terapia dalla psicologa. Ormai era diventata una parte fissa della mia vita. Non mi è mai piaciuto vedermi con lei, ma era diventata un’abitudine. Dopo quasi tre mesi sotto cura, non si è risolto niente. Non so a cosa dovrebbe servire continuare a vederla meno spesso nei prossimi mesi. Come non so ancora con certezza cosa sia successo. La psicologa diceva che ero sotto choc, che sarebbe bastato del tempo e tanta buona volontà per ricordare bene quello che ho visto. Per ora posso solo ricordare quello che gli altri dicono che io abbia visto. Ho visto mio padre, di notte, picchiarsi con un tizio che stava  rubando in negozio. Era armato... ed è partito un colpo. Non so dire se è vero. Non voglio sapere se è vero. Nel tardo pomeriggio sono passata al parco a disegnare e ho conosciuto un tipo, Alessandro si chiama, un coglione, credo. Però penso che lo chiamerò: ho il suo numero. Da qualche tempo parlare con Claudio non è più la stessa cosa...”
 
Il silenzio di quella casa era quasi surreale. Il bambino dormiva e Liliana si sentiva profondamente a disagio. Muovere il passeggino avanti e indietro era diventato un movimento quasi meccanico del suo braccio, tanto da averla fatta abituare anche al suono delle ruote sul pavimento. Detestava il silenzio.
‹‹Grazie per essere venuto.››
Claudio la osservava. Senza dubbio pensava che sarebbe stata una buona madre al momento giusto. ‹‹Figurati, do una mano a tutti volentieri.›› Rispose a bassa voce, per non svegliare Edoardo.
Liliana interruppe il suo gesto ‹‹Senti, ti va se andiamo a parlare di là? Non vorrei svegliarlo, dopo quello che c’è voluto per farlo dormire...››
La cucina aveva dei colori decisamente più caldi del salotto, anche la temperatura era più alta e dalla finestra aperta entravano indisturbati i rumori della città.
‹‹E da quando è che fai la baby-sitter?››
Raramente Liliana iniziava una conversazione, nemmeno coi suoi migliori amici, aveva sempre bisogno di qualcuno che rompesse il ghiaccio con la prima frase.
‹‹Figurati, lo faccio in via del tutto eccezionale! I suoi genitori dovevano andare a trovare un parente, ma proprio ieri lui non è stato molto bene. Hanno chiamato sua nonna per farlo restare qui ed evitare che il viaggio peggiorasse le cose. Adesso la signora è uscita a comprare alcune cose e mi ha chiesto di dare un occhio al bambino. Dopotutto, se non ci si aiuta tra vicini per queste cose. A proposito, scusa se ti chiedo di venire da me e poi ti faccio entrare in casa di altre persone.››
‹‹Non è niente! Il problema, al massimo, potrebbe essere della padrona di casa. Ma se dici di averle parlato è tutto okay. Piuttosto: di cosa mi dovevi parlare? Posso fare qualcosa?›› Claudio si mise a sedere poggiando i gomiti sul tavolo.
Liliana sorrise un momento ‹‹Indovina? ...di Mario.›› E concluse la frase con un pizzico di amarezza in bocca.
Il ragazzo annuì cominciando a tamburellare con le dita sulle sue stesse gambe e fece cenno all’amica di proseguire. ‹‹Insomma voi siete da sempre grandi amici e io mi chiedevo... Mi chiedevo se ti avesse mai parlato di me.››
‹‹Spiegati meglio.››
‹‹Avanti, sapete tutti che Mario mi piace da sempre! Ma lui non è il tipo che calcola ragazze come me. Sinceramente, Claudio, ho delle possibilità con lui?››
L’espressione glaciale di Claudio era come sempre sintomatica della sua tranquillità. Era sempre stato un ragazzo sicuro di sé, consapevole delle sue possibilità e dei suoi limiti. Nulla lo sorprendeva. Ecco perché era un punto di riferimento per molti. Ecco perché c’era chi lo considerava un vero leader. Anche Liliana. Liliana dipendeva da lui. ‹‹Non saprei, Liliana, sul serio. Parla di te, sì. Ma il più delle volte sei la classica amica, anche se ogni tanto, magari...››
‹‹Si...?››
‹‹Insomma non l’ho capito nemmeno io. Lui ti vuole ma allo stesso tempo non ti vuole, ti pensa ma poi ti scaccia dai suoi pensieri, ti considera e poi ti mette da parte e ti tralascia. Credo non lo sappia nemmeno lui con certezza.››
Liliana prese istintivamente una ciocca di capelli fra le mani e iniziò a sfregarla, come se volesse farla sparire ‹‹Perché è tutto così incasinato? Che devo fare?››
Claudio sospirò un momento nel silenzio ‹‹Ad ogni modo quello che pensa Mario è relativo, secondario diciamo. Tu, invece, cosa pensi?››
Liliana alzò lo sguardo affondato fra le braccia ‹‹Io?››
‹‹E chi altro? Se Mario ti dicesse “Mettiamoci insieme, ora!” tu cosa faresti?››
‹‹Ecco io... non saprei.›› La mano di Liliana aveva smesso di torturarsi i capelli.
‹‹Allora c’è qualcosa che non va. Tu mi dici che ti piace da sempre, ma non sei sicura. Qual è il problema?››
‹‹Non saprei, magari è una questione di... autostima?››
La ragazza iniziò a fare avanti e indietro per la cucina più volte, mentre Claudio la seguiva con gli occhi, sereno ‹‹Liliana, non so dirti se Mario è al persona che veramente cerchi... Ma tutti... Fermati per favore.››
Liliana poggiò le spalle al frigorifero.
‹‹Bene, dicevo... Tutti noi dobbiamo trovare la nostra fermata giusta. E la tua quale pensi che sia?››
 
‹‹Ecco, sono d’accordo con lui! Tu devi superare le tue paure, Liliana! Mario a parte, questa è una lotta contro te stessa.››
La faceva così facile Alice quando parlava di superare le proprie paure. Se fosse tanto semplice combatterle non sarebbero causa di insicurezza. E invece lei sembrava tanto sicura di quello che diceva.
Il sole bruciava la spiaggia. Liliana spostò il suo telo mare sotto l’ombrellone, riflettendo sulle parole dell’amica ‹‹Va bene, ma tu lo sai che io non sono una ragazza sicura di sé. Ho avuto una sola esperienza sentimentale e sai perfettamente com’è finita... Io non voglio stare male di nuovo.››
‹‹E quindi non dovrai provarci mai più con nessuno.››
‹‹No, non dico questo. Però, insomma, vorrei convincermi da sola. So che Mario mi piace, ma devo ancora capire quando sarò pronta per una nuova relazione. Sono un po’ confusa e devo schiarirmi le idee, ecco.››
Alice restò qualche momento in silenzio, facendo ondeggiare le gambe su e giù e prendendo un mucchietto di sabbia nella mano, prima di parlare ‹‹...Fai come vuoi. Io comunque sono d’accordo con coso, come si chiama?››
‹‹Claudio?››
‹‹Con lui. Devi provare.››
Liliana portò una mano ai capelli e iniziò a toccare con insistenza la sua solita ciocca. Era un gesto fin troppo usuale per lei. Capitava che la si riconoscesse proprio da quel particolare.
‹‹Ehi, ma quella stesa laggiù non è una tua compagnia di classe, quella del gruppo con cui uscivi? ...Liliana?››
Alessandro si voltò nella direzione indicata da sua cugina senza troppo interesse. Era proprio Liliana, distesa lì sulla sabbia con la sua amica Alice, che a volte era uscita con loro. Si ritrovò a sorridere senza un motivo preciso, poi lasciò perdere Liliana e tornò a guardare sua cugina ‹‹Liliana, già. Non è più Liliana quella. Tutti quelli che facevano parte del mio gruppo non sono più gli stessi. Ormai se li incontro preferisco evitarli. Fanno tutta la comitiva simpatica, tutta gente normale, vivace, divertente... Poi però due settimane fa è successo quello che è successo. E loro sono così.››
‹‹Che è successo, scusa?››
‹‹Lascia perdere. Andiamo a fare un bagno.››
Alessandro si mise in piedi senza nemmeno aspettare la cugina e fu rapidamente in acqua.

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Capitolo 4
*** Fughe ***


Andrea fissava il soffitto, disteso sul suo letto, convinto di potervi scorgere qualcosa da un momento all’altro. La chitarra di Jimmy Page gli riempiva le orecchie attraverso i piccoli auricolari che indossava.
“Mi chiedo solo dove abbia sbagliato. Com’è possibile che non mi voglia parlare per una cazzata così... Perché? Ne vale la pena?”
Le voci di casa si affollarono per qualche istante al piano di sotto e Andrea pensò che qualcuno avesse di nuovo sbattuto il piede contro il vaso messo all’ingresso. Avrebbero dovuto mettere quel vaso in un altro punto, o almeno cambiare il basamento della pianta. Era fin troppo ingombrante.
Il suo cellulare era poggiato sul suo comodino, immobile “E se bastasse davvero... così poco?”
I suoi movimenti si sprigionarono come se avessero appena rotto delle catene che li intrappolavano. Si alzò, allungò il braccio e afferrò il cellulare. Scese rapidamente per la rubrica lasciando scorrere il suo sguardo fra i nomi, poi improvvisamente un nuovo freno lo prese. Le dita ripresero ad accennare lievemente un movimento. “Ma sì, che mi costa?”
Non se la sentiva proprio di telefonare, ma non c’era niente di male nell’inviare un messaggio, dopotutto. Ehi.. Ti vorrei parlare, ti va se ci vediamo alla piazzetta fra mezz’ora? Ti aspetto lì, spero di trovarti.
 
Nonostante l’ora, una piacevole brezza accarezzava il volto di Andrea, su quella panchina. Allargò appena le braccia per potervi appoggiare i gomiti e per usare le mani come sostegno per il viso. Il suo casco ruotava appena, lì poggiato per terra, sul pavimento sporco. Il suo sguardo era fermo, quasi intimorito di poterlo vedere se avesse vagato per la piazza. ‹‹Ohilà, Andrea!››
Andrea si voltò di scatto ‹‹Clau... Oh, sei tu...››
Il volto di Mario si corrugò in un sorriso appena beffardo, di superiorità, che sempre lo accompagnava ‹‹Aspetti, qualcun altro, per caso?›› Il suo sorriso si spense appena mentre si poggiava col sedere sullo schienale della panchina.
‹‹Già, veramente pensavo che fossi Claudio... Dovevamo vederci ma sembra che sia in ritardo.››
Mario sfregò la mano sulla testa dell’amico scompigliandogli i capelli, consapevole di fare un’azione sgradita ‹‹Ho parlato l’altro giorno con Claudio, ma ho scordato di dirgli una cosa. Se lo vedi dopo, puoi fargli sapere che... anzi no, digli di chiamarmi, appena può, okay?››
Andrea annuì con al testa, l’aria assente, mentre si sistemava i capelli, ormai consapevole che le sue proteste non avrebbero cambiato i futuri gesti di Mario. ‹‹E tu, invece? Perché sei qui? Anche tu devi vederti con qualcuno?››
Mario si grattò appena il bordo del labbro con la mano destra, portando istintivamente gli occhi verso l’altro ‹‹Più che altro con qualcuna›› ammiccò ‹‹Avevo questo mezzo appuntamento, ma credo che alla fine non andrò e mi farò solo un giretto per prendere un po’ d’aria... Fa caldo in questi giorni!››
Andrea non poté fare a meno di ridere fra sé e sé con un pizzico di amarezza per la ragazza che sarebbe rimasta sola a breve, ma dopotutto conosceva Mario e quell’atteggiamento non lo stupiva nemmeno troppo ‹‹Che bastardo che sei...››
‹‹Dai, non esagerare!›› sfoderò un sorriso davvero eccessivo ‹‹Non posso farci nulla, io sono fatto così! Però magari, la prossima volta, le darò il tuo numero di telefono, per farmi perdonare.›› fece l’occhiolino ad Andrea che lo guardò dal basso con fare predicatorio.
Mario soffocò la sua ultima frase in una risata e poi, salutando, andò via.
Erano le cinque e un quarto. Andrea era di nuovo solo, dopo che Mario se n’era andato tanto spensierato. Claudio era in ritardo. Era sempre puntuale, di solito.
 
Il parco sembrava più vuoto rispetto a qualche giorno prima. Paola si diresse a passo spedito verso l’albero sottile che usava spesso come appoggio. Anche quel giorno aveva il suo block notes, ma era convinta che non ne avrebbe fatto davvero uso. Alessandro era già lì.
‹‹Sei in anticipo...›› Gli sorrise portandosi un ciuffo di capelli dietro le orecchie e inclinandosi appena in avanti per poterlo vedere meglio.
‹‹Ehi! Scusa per l’altra volta, sono scappato via di corsa ma non avevo proprio tempo!›› Portò la mano sul collo, sentendo il bisogno di muoversi in qualche modo, e iniziò a strofinarla con fare sovrappensiero.
‹‹Figurati, non fa niente.››
La osservò dal basso, le forme del suo viso erano piuttosto pronunciate e le mettevano in risalto gli occhi. Forse era anche per quella strana posizione, in piedi, il busto in avanti, la maglietta larga molleggiante nel vuoto, che Alessandro per un momento vide in lei una ragazza molto più grande.
‹‹Non ti siedi?››
Paola si stupì quasi della domanda, era come se avesse raggiunto un suo equilibrio in quella posizione ‹‹Sì, scusa...››
Il silenzio iniziò a stuzzicarli. Era evidentemente uno di quei momenti in cui non si sa cosa dire, ma ci si ritrova insieme e, inevitabilmente, ci si chiede il perché.
‹‹L’altra volta, mi sono finto il tuo ragazzo... Ovviamente non ci provavo, l’avrai capito...››
‹‹No, figurati. Tra l’altro ti eri già scusato. E poi, insomma, mi stavi solo aiutando, no?››
‹‹Sì, mi danno fastidio quelli che attaccano briga... credo.›› Alessandro portò lo sguardo per terra e iniziò a strappare dei fili d’erba solo per dare l’impressione di essere intento in qualcosa ‹‹Piuttosto, mi hai chiesto tu di vederci... di che si parla?››
‹‹Scusa, ti sarò sembrata pazza, visto che non ci conosciamo. Però, insomma, mi sembri un ragazzo a posto e poi mi avevi incuriosito l’altro giorno. In realtà vorrei solo poter parlare con qualcuno, non lo faccio da troppo.›› Il volto di Paola si tinse di un velo di serietà che Alessandro non le avrebbe mai saputo immaginare: a scuola gli era sempre sembrata una un po’ su di giri.
‹‹Mi piace parlare. Hai trovato la persona giusta.››
Paola sorrise amaramente ‹‹Raccontami un po’ di te. Io non ti conosco affatto, mentre credo che per te sia diverso. La mia brutta fama mi precede, dico io.››
‹‹Io non la farei così facile. Una cosa è quello che senti in un telegiornale o che si vocifera per le strade, un’altra è la realtà. Mi piacerebbe sentire, per una volta, parlare te e non gli altri, se ti va...››
‹‹Ecco, vedi... Vedi, io non credo di poterlo fare perché tutto quello che io ho visto quella sera, quello che in giro si dice che io abbia visto, io non lo ricordo. La mia mente l’ha tipo rimosso, cancellato. È strano, mi sono sempre chiesta come sia soffrire d’amnesia.”
Alessandro rimase un momento titubante, calibrando il peso selle sue prossime parole ‹‹Dici sul serio?››
Paola annuì nuovamente, grave. Poi decise di aprire il block-notes e a sfogliarlo senza cercare nulla, per occupare le mani in qualcosa. Andrea riprese a torturare i fili d’erba lanciandoli via.
‹‹Forse sei solo tu che in realtà non vuoi sapere. Forse hai paura di quello che potrebbe succedere dopo. Okay, scusa, sto sparando una cazzata...›› Si chiese da dove gli fosse uscita una frase del genere.
‹‹Non fa niente, ne sento tante. Piuttosto, vai alla mia stessa scuola?››
‹‹Quarta F.››
‹‹Conosco dei ragazzi in quarta F.››
‹‹Tipo?››
Paola non rispose subito. Prese una matita dalla tasca del retro dei pantaloni e scarabocchiò qualcosa a caso su uno dei fogli del suo blocco ‹‹Tipo Claudio.››
Alessandro si fece pensieroso ‹‹Claudio...››
‹‹Sai, una volta voleva convincermi a uscire con alcuni suoi compagni, ma non so per quale motivo alla fine erano tutti impegnati e la serata saltò. Voleva farmi conoscere un suo amico, Andrea credo.›› Gli occhi di Paola esprimevano gratitudine mentre un lieve sorriso la accompagnava nei suoi scarabocchi.
‹‹Guarda un po’, quel Claudio... Era per Andrea... Quando è successo?››
‹‹Non saprei, qualche tempo fa, ancora si andava a scuola, però.››
‹‹Certo, capisco. Senti, Paola, vorrei darti un consiglio. Non provare ad avvicinarti ad Andrea, va bene? Lui è un po’ strano, da un po’. Anche altri miei amici lo sono, da un po’.›› Quel “da un po’” gli si strozzava in gola. Bruciava ancora.
‹‹Comunque è una strana coincidenza, non trovi? Claudio voleva farmi conoscere ai suoi compagni e oggi eccoci qui: io e te a parlare in un parco. Penso che domani glielo dirò.››
‹‹A chi?››
‹‹A Claudio!›› Spiegò in un sorriso.
Alessandro rimase un momento in silenzio, senza sapere cosa dire ‹‹Domani... ti vedi con Claudio?››
‹‹Penso di sì. Ci vediamo spesso, anche se in effetti da un poco parliamo meno. L’altra volta, prima di venire al parco l’ho incontrato quasi per caso. È bello stare con lui.››
Alessandro si sentì quasi paralizzato, come era successo in passato ‹‹Io... cioè io non... non credo che...››
‹‹Non hai un buon rapporto con lui?››
Alessandro riuscì a sorridere ‹‹No, ma che dici. Al contrario. Solo che mi sono ricordato che non posso... non posso restare perché dovevo uscire con i miei, ci sono dei parenti di Roma a casa e, sai com’è, non mi sembra carino stare tanto fuori.››
Paola lo osservò alzarsi in fretta e andare via quasi di corsa, salutandola a male pena. “E adesso che ho fatto di male?”
 
Non poteva essere tanto in ritardo. Erano le sei meno cinque. Claudio aveva senza dubbio deciso di non venire. Andrea sbuffò fra sé e sé, infastidito per la cocciutaggine dell’amico, e prese il cellulare per fare una telefonata ‹‹Rispondi Claudio, cazzo!››
“Il telefono della persona chiamata potrebbe essere spento o non raggiungibile. Se si desid...”
Andrea riattaccò ‹‹Non potrai scappare sempre, ti chiamo fino a casa Claudio...›› Compose rapidamente un nuovo numero e restò in attesa di una risposta. Questa volta, qualcuno alzò la cornetta.
‹‹Buonasera, signora, sono Andrea. Sto telefonando perché dovevo vedermi oggi con Claudio e non lo trovo, volevo sapere se è uscito di casa o se... pronto? Pronto? Ha attaccato anche lei.››
Doveva essere stato lui, a dirle di non passarglielo, ne era sicuro. La piazza era ormai praticamente deserta. Andrea si mise in piedi, prendendo il casco. Si guardò un po’ attorno. Non c’era nessuno ‹‹Ma chi me lo fa fare?››
Si allontanò a passo rapido dalla piazza. La panchina rimase vuota.
 
Era un pomeriggio abbastanza piacevole, considerando il caldo che solitamente infuocava la sua stanza, esposta a sud. Liliana si trovava di fronte al suo computer, in contemplazione del monitor. Una finestra di chat la divideva dal parlare con Mario. Lui doveva essere in camera sua, anche lui al computer. Era come essere seduti nella stessa stanza, ma lei doveva parlare per farsi sentire. Elaborò più volte nella testa un messaggio neutro per salutarlo, poi, senza avere idea di cosa scrivere, inviò la prima cosa che le passò per la testa.
“Ehi Mario! Come va? Ti disturbo?”
Liliana lasciò passare qualche secondo chiudendo gli occhi e immaginando di leggere una risposta, riaprendoli. A occhi aperti non trovò nulla. Iniziò a toccarsi lentamente i capelli e a guardare ossessivamente i tanti piccoli oggetti abbandonati sulla sua scrivania.
“Oh, Liliana! Tutto bene, tu?”
“Pure io! Anche se mi sto un po’ annoiando in questi giorni... Ti va se qualche volta usciamo insieme, così almeno ci divertiamo?”
“Perché no? D’accordo, appena posso lo chiedo agli altri!”

Liliana lasciò cadere la ciocca dalle mani senza nemmeno rendersene conto “Ma come con gli altri?”. Mario scriveva di nuovo, si sarebbe corretto?
“A proposito di altri: hai sentito ultimamente Alessandro? Io ho la netta impressione che mi stia evitando, ma non mi pare di avergli fatto nulla! Con te si comporta diversamente?”
“Ma cosa vuole che me ne importi di lui?”
“Forse, può darsi. Non lo vedo da parecchio ormai. Senti invece una cosa divertente, sempre parlando di altri. Ero con Claudio l’altro giorno e mi ha chiesto se io e te stessimo flirtando! Ahah! Assurde le voci che mettono in giro, no?”
Esitazione. Mario provò più volte a trovare le parole giuste.
“L’avevo sentita anche io questa voce, sì”
“Quando me l’ha detto io sono rimasta stranita! Ti immagini, noi due?”

Mario rimase a guardare l’ultimo messaggio davanti al computer, portando le mani sotto il mento.
‹‹Mario! Scendi giù! C’è tuo cugino!››
“Ahah! Senti, devo andare per adesso! È appena arrivato mio cugino. Ci sentiamo per quell’uscita! Ciao!”
Mario si alzò rumorosamente, facendo strisciare le rotelle della sedia sul pavimento. Aprendo la porta si ritrovò faccia a faccia con Alberto, suo cugino, un ragazzo dall’atteggiamento molto coinvolgente, non un bel ragazzo, della sua età. Gli strinse immediatamente la mano amichevolmente, come se gli stesse dando il cinque.
‹‹Ohi! Il mio cugino preferito! Che mi racconti? Come va?››
‹‹Bene, bene! L’estate sta andando un po’ troppo in fretta in effetti, ma per il resto mi sto rilassando, sto vedendo qualcuno e cose così! Comunque aspetta: entra, sediamoci!››
Alberto si lasciò andare poggiando la schiena contro il muro.
‹‹No, tranquillo! Sono appena di passaggio, resto in piedi! Ti volevo dire che domani sera esco con alcune amiche e... se vuoi venire mi può solo fare piacere! Ti avrei chiamato, ma passavo di qua e ne ho approfittato. Dovremmo andare in centro!››
‹‹Fantastico, okay. Io sono libero da far schifo in questi giorni. Chi c’è? Conosco?››
‹‹C’è la mia ragazza con due sue amiche e io dovrei portare due ragazzi, per capirci! A proposito, i miei amici sono tutti in giro, quindi se riesci anche a portare anche un altro ragazzo sarebbe ottimo!››
‹‹Va bene, ti chiamo per la conferma ma conta già su di me! Magari faccio anche due telefonate e ti faccio sapere per l’amico!››
‹‹Fantastico, si può sempre contare su di te! Io adesso scappo, però! Fammi sapere!››
Alberto lo salutò con alcuni rapidi gesti.
‹‹Aspetta, ti accompagno di sotto!››
I due cugini si lanciarono giù dalle scale. La stanza rimase vuota e silenziosa. E l’unico suono, le uniche parole, l’unico urlo presente rimase chiuso dentro al monitor.
“Okay... Ciao, fatti sentire.”

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Capitolo 5
*** Riflessioni notturne ***


L’interno di quella casa era tipico di una signora anziana. Quel vago odore di incenso, la tappezzeria appena sbiadita, ma allo stesso tempo testimone di colori sgargianti che il tempo ha condannato alla scomparsa. Mancava un gatto, in realtà. Eppure non tutti sarebbero stati capaci di notare quei mille particolari, quei particolari vecchi. Liliana li osservava tutti ad uno ad uno. Il servizio in porcellana che ormai non usciva da anni dall’armadio. Il divano che la faceva sprofondare fra i cuscini, troppo morbidi. Le sue gambe si intrecciavano in una postura apparentemente scomposta. Quadri, libri, soprammobili dal dubbio gusto. Un presepe, nell’angolo della stanza, con le lucine tutte spente, a luglio.
‹‹Liliana, eccomi.››
Liliana pensò un momento se fosse giusto alzarsi. Rispose alla frase della vecchia signora con un sorriso, debole, spento, ancora immerso nell’immagine del presepe.
La signora portava con sé un vassoio con due tazzine e una teiera. Lo poggiò sul tavolino e si accomodò su una poltroncina di fronte Liliana, non sembrava affatto affaticata. Liliana osservò il fumo uscire dalla teiera. Amava il tè caldo, era così dolce, rilassante. Quasi sensibile.
‹‹Ora siamo in estate, spero di non doverti più chiedere di badare a Edoardo.››
Dopo aver esordito la signora iniziò a versare la bevanda nelle tazze e a mettere il tè ‹‹Si figuri, signora. Non è affatto un disturbo. Anzi, mi piace.›› Liliana si aprì in un sorriso.
Completate le manovre con la teiera, la signora rimase un momento immobile, pensierosa, lo sguardo perso nel vuoto, come in contemplazione di un’evidente verità che gli era, fino a quel momento, sfuggita ‹‹Oggi avevo una visita importante da fare...››
Liliana si chiese se la riflessione volesse essere il modo per convincerla a fare una domanda, ma, dopo un momento interrogativo, rimase in silenzio. E iniziò a sorseggiare il tè.
La signora sembrò ridestarsi dopo pochi attimi e si portò una mano dietro la schiena per sistemare il cuscino su cui era poggiata, che evidentemente era scivolato troppo. Poi riprese a parlare, con fare gioviale stavolta ‹‹Allora, avevi qualche programma per questa mattina? Non ti ho sottratto al fidanzato, vero?››
Liliana sorrise alla dolcezza del tono della nonna di Edoardo e rispose quasi subito, ironica ‹‹Magari avrei potuto in realtà, ma credo che mi manchi la materia prima!››
La signora poggiò la tazza con il tè sul vassoio, interrompendo in fretta un sorso per parlare ‹‹Una ragazza bella e giovane come te senza il fidanzato? Oh, in che tempi stiamo vivendo...!››
‹‹No, non c’entra. Diciamo che non mi attrae troppo l’idea di fidanzarmi, ecco.››
‹‹Non vuoi darla vinta a tutti i pretendenti, eh? E non dirmi che non ce ne sono!››
Una discussione del genere, con una persona così poco familiare, avrebbe certo messo in imbarazzo Liliana, ma non quella volta, non in quella stanza, non con quel tè, non con quella signora. Liliana cercò di trovare le parole adatte ‹‹Probabilmente ci sono, ma non tanti quanti pensa lei, di sicuro... Io penso che, aldilà della bellezza, il mio carattere non sia, come dire, il più ricercato dai ragazzi...››
‹‹Sei una ragazza adorabile! Cosa c’è che non va nel tuo carattere?››
Liliana sembrò quasi rifletterci su mentre il sole smetteva di penetrare nella stanza, oscurato da qualche nuvola ‹‹Io... sono un po’ insicura...››
‹‹Oh, l’insicurezza è un ingrediente fondamentale dell’adolescenza, ricordatelo, cara. Alla tua età lo sono tutti.››
‹‹Non come me...››
Il sarcasmo di Liliana convinse la signora a guardarla fisso negli occhi, portando una mano sul mento ‹‹Come mai?›› chiese improvvisamente seria.
‹‹Ho avuto un fidanzamento tempo fa. Una cosa seria e... bellissima. Credevo non potesse finire mai... e invece è finita molto prima del previsto.›› Rievocando, il tono di Liliana si abbassò.
‹‹Eh, cara mia, non viviamo in una favola. Non può andare sempre tutto bene...››
Liliana ricambiò lo sguardo della signora dopo aver tenuto la testa bassa sulla teiera.
‹‹Tuttavia›› continuò ‹‹non può neanche andare sempre male. Ma se pensi a un nuovo fidanzamento vuol dire che un motivo ci deve essere. E questo motivo è senz’altro un ragazzo, immagino.››
‹‹Si chiama Mario...›› La stessa Liliana dopo aver pronunciato il suo nome si chiese a cosa sarebbe potuto servire parlare di tutto quello con la nonna di un bambino a cui aveva occasionalmente fatto da baby-sitter.
‹‹E lui com’è?››
Liliana fu colpita dalla forza della domanda e non poté far altro che rispondere ‹‹Non credo di conoscere un ragazzo più spigliato di lui.››
‹‹Beh, questo lo credi tu! Sono stata adolescente tanti anni fa, ma non credo che i ragazzi siano poi cambiati molto nonostante le apparenze. I più sicuri fuori spesso sono i più insicuri e fragili, dentro.››
Inizialmente Liliana pensò di dover ribattere a quella frase, ma poi cambiò idea ‹‹Cioè?››
‹‹Posso sbagliarmi, anche se, detto fra noi, in questo genere di cose mi capita davvero raramente. Parlagli e digli quello che pensi, potrebbe pensarlo anche lui, come potrebbe invece essere il ragazzo sicuro che tu credi già di conoscere. Ma la vita è fatta di tentativi e non puoi permetterti di viverla da spettatrice, mai e poi mai.››
Liliana si lasciò trascinare dalle parole. Poi non seppe cosa rispondere. Annuì appena e iniziò a guardare le strane righe che sulle mattonelle disegnavano qualche asimmetrica fantasia. La signora si portò una mano sul volto, sotto gli occhi, come se stesse asciugando delle lacrime. Aveva gli occhi appena lucidi, in effetti. Liliana trattenne un momento il fiato, indecisa se parlare ‹‹Ecco... non vorrei sembrarle indiscreta... Ma che visita tanto importante ha dovuto fare? Mi scusi, la vedo un poco... turbata.››
‹‹Oggi è l’anniversario della morte di Luigi.››
La frase fu lapidaria nel silenzio della stanza. Il sole tornò a penetrare dalle finestre dopo il passaggio della nuvola. Liliana cercò le prime parole che le vennero in mente ‹‹Ah. Suo marito?›› solo un momento dopo si chiese se la sua affermazione potesse essere considerata indelicata.
‹‹No, non mio marito.›› Cadde un momento il silenzio, poi la signora riprese ‹‹Allora avevo circa vent’anni, ero in villeggiatura con la mia famiglia, come ogni anno. Lì incontrai Luigi, era un ragazzo molto attraente e simpatico. Aveva le idee molto chiare sulla sua vita. Era due anni più piccolo di me e, nonostante piacesse molto alle ragazze, non aveva relazioni. Una sera a una festa mi invitò a ballare e subito dopo si dichiarò.  Sul momento mi sembrò molto strano, non lo presi sul serio: aveva due anni meno di me.  Tuttavia, dopo il mio primo rifiuto, chissà perché, io cominciai a sperare che lui insistesse... Che si dichiarasse di nuovo.  Ma non lo fece. Perdemmo i contatti. Pensai a lui molto negli anni successivi, ma ebbi sue notizie solo una ventina di anni dopo. Dopo una vita intera era come se avessi soppresso il rimpianto per non averlo conosciuto davvero. È strano come sia tornato prepotentemente nella mia vita... Come se non accettasse di essere stato dimenticato... E volesse dirmi “Ricordati ancora di me”... Dopo soli quattro anni dalla nostra conoscenza, Luigi ebbe un banale incidente d’auto. Passò due settimane in coma, ma alla fine non riuscì più a svegliarsi.››
Il discorso si interruppe. Liliana restò in silenzio, immobile. La signora si schiarì appena la gola e continuò, appena più rilassata. ‹‹Certo, lo venni a sapere solo molti anni dopo, quando fui contattata dalla sua famiglia. Andai a trovare sua madre. Lei aveva subito un trauma enorme ed era rimasta così attaccata all’immagine di suo figlio minore che aveva cominciato quasi a praticarne un culto. Aveva una gigantografia di Luigi in camera da letto... Non si sarebbe separata da nessuna delle sue reliquie per nulla al mondo... Eppure, stranamente, decise di regalarmi alcune foto e il suo diario... Solo allora conobbi veramente Luigi.››
Liliana si rese conto di avere gli occhi lucidi. Non prestava più attenzione ai mille oggetti sparsi nella stanza già da un poco. Non c’erano altro che le parole di quella signora. E più volte, nel suo discorso, si chiese se fosse giunto il momento, per lei, di intervenire, di dire qualcosa. Ma non ci riuscì.
‹‹Ho vissuto una vita piena, ma non l’ho mai dimentico. E non tanto perché ne fossi innamorata veramente. Il mio più grande rimorso è stato quello di averlo rifiutato... così, senza un vero motivo. Forse solo per rendermi più preziosa. Rimpiango di non avergli dato nemmeno un bacio... Forse, se ci fossimo fidanzati, quel sabato sera io e lui saremmo stati da tutt’altra parte. Forse non ci sarebbe stato nessun incidente e forse... lui sarebbe ancora qui.››
Liliana iniziò a singhiozzare, mentre l’anziana signora recuperava progressivamente il contegno che, di tanto in tanto, in qualche parola mozzata, sembrava stesse per venir meno ‹‹Signora... io...››
Liliana affondò una mano fra gli occhi. La mano sottile della signora le si poggiò sulla spalla, ma nessuno parlò.
Solo quando riprese fiato lentamente Liliana fece quasi la stessa domanda che la signora le aveva fatto poco prima ‹‹Ma... che tipo di ragazzo era?››
‹‹Di persona sicuro di sé, forse fin troppo, con degli obbiettivi chiarissimi. Era determinato, glielo si leggeva negli occhi. Eppure, nel diario... sembrava un’altra persona››.
 
La casa sembrava deserta. Una sola luce, mezza fulminata in realtà, brillava fiocamente in cucina. Il tavolo era cosparso di fogli. Giornali, foto, ritagli, appunti. Paola aveva le mani sul tavolo, coi polsi uscenti verso l’esterno, e le spalle alte. Guardava lentamente e analiticamente ogni dettaglio di quel materiale.
“Ricordati Paola, tu vuoi ricordare.”
La determinazione sul suo viso, la freddezza, sopprimevano un vago senso di rabbia e di insoddisfazione. “Tu puoi. Ricordare.”
Staccò le braccia dal tavolo, ritrovandosi appiccicata alcuni pezzi di giornale a cui la pelle aveva aderito. Se li scollò e iniziò a girare intorno al tavolo. Come parlando a se stessa, sbirciando il tavolo di tanto in tanto, come se, da un momento all’altro, si aspettasse di trovarci sopra non quegli stessi fogli, ma un’unica, semplice, risposta.
“Avanti, avanti! Cavolo... cosa devo fare?”
Iniziò a colpirsi la fronte. Chiuse gli occhi. Li strizzò tanto da sentirne quasi dolore.
Scendeva le scale... Un rumore, un tonfo... Il corrimano è umido... Un orologio casca a terra... C’è qualcuno dentro... Si sveglia dal letto... Una sirena... Passi veloci... Le lenzuola la imprigionano... Grida, tensioni, corse, spinte, oggetti caduti e oggetti raccolti. Occhi chiusi.
“Perché? Perché?”
Paola tornò alla situazione iniziale, braccia sul tavolo, sguardo verso il basso, i capelli penzolanti in ciocche le rigarono la pelle candida. Ma questa volta con gli occhi chiusi. Strinse le mani stropicciando una foto e un foglietto. Piccoli cerchi scuri iniziarono a decorare i fogli di giornale. Pianse.
 
Mario vide quasi subito suo cugino, appena svoltato l’angolo ed entrato in piazza. Era vicino alla fontana, indossava la sua classica giacca di pelle, anche se sarebbe stato benissimo anche in maglietta, e stringeva una ragazza con un braccio attorno alla vita. Era sicuramente Giovanna, la sua ragazza, ma c’era già anche qualcun altro.
‹‹Scusatemi, sono un poco in ritardo!››
Da vicino, non conosceva la ragazza con cui stava parlando Giovanna. Però, senza subbio, era molto carina. Portava i capelli corti, in un caschetto scuro, ed era particolarmente abbronzata; era piuttosto bassa e indossava una maglietta senza maniche e dei pantaloncini corti di jeans. Mentre Mario si avvicinava, Alberto gli rivolse un sorriso ‹‹Figurati, stiamo ancora aspettando Stefania, l’altra amica di Gio. E tu, a proposito? Hai potuto contattare qualcuno?››
Mario raggiunse il gruppo e salutò prima Giovanna con un bacio sulla guancia e poi abbracciò suo cugino ‹‹Guarda... Ho chiamato Claudio, ma ormai sono settimane che il cellulare gli è morto e quindi niente, non l’ho trovato. Andrea non se l’accollava e Alessandro, ricordi Alessandro?››
‹‹Si, si ,certo. Ci siamo visti spesso io e lui.››
‹‹Ecco: lui non so che cazzo gli è preso, ma mi evita. Quindi, insomma, niente. Non ho trovato nessuno.››
‹‹Mh... Tranquillo non fa nulla. Ah, a proposito di Alessandro: lei è Valentina e ho scoperto che lo conosce da un bel po’!›› la ragazza si avvicinò a Mario mostrando un sorriso molto curato ‹‹Valentina, lui è mio cugino Mario.›› completò.
‹‹Piacere...››
‹‹Piacere mio! E così conosci quel bellimbusto di Ale? Come mai?›› Mario ruppe subito il ghiaccio. Aveva facilità ad attaccare bottone con le persone sconosciute e, a prima vista, sembrava che lei non aspettasse altro.
‹‹Eh sì, siamo vicini di casa dai tempi delle elementari, una vita!››
Mario annuì all’affermazione con fare disinvolto e sorridendo. Non ebbe nemmeno il tempo di replicare che tutto il gruppo si mobilitò. Era appena arrivata Stefania, l’unica assente. Lo scambio di saluti fu piuttosto veloce. Mario conosceva già Stefania per altre occasioni precedenti e se ne ricordò subito. La serata iniziava.
 
Nella sua stanza da letto la luce era spenta ma il lampione acceso in strada le permetteva di muoversi senza sbattere da nessuna parte. Liliana osservava alcune vecchie foto scattate con lei e Mario insieme. Dopo quelli che reputò essere troppi sospiri, si mise in piedi e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza, senza un pensiero preciso. Il bracciale che indossava luccicava regolarmente, ogni volta che passava vicino alla finestra, dove la luce del lampione, per quanto debole, lo raggiungeva e si rifletteva.
Poggiò la schiena all’armadio a muro. Iniziò a lasciar scivolare le gambe. Chiuse gli occhi, si portò le mani in volto, poi dietro il collo. Scese ancora un poco. Giù. Poi toccò per terra. Si ritrovò rannicchiata in un angolo della stanza, al buio. In silenzio.
 
I cinque ragazzi passeggiavano lungo il marciapiede. Alberto sussurrava qualcosa alle orecchie di Giovanna, mentre le altre due ragazze pendevano dalle labbra di Mario, intento a raccontare episodi scolastici con partecipazione.
‹‹...il professore inizia a sbraitare che non è possibile fare una cosa del genere in corridoio, che se ci vogliamo baciare ce ne andiamo a casa nostra. E io lo guardo e gli dico: ma lei è nato già vecchio, vero?››
Il duo di ascoltatrici rise all’unisono, enfatizzando evidentemente un divertimento non così spontaneo ‹‹Ma davvero? Sono le esatte parole che hai detto?››
‹‹Si, lo giuro! E il bello è che l’ho turbato tanto che se n’è andato senza dire nulla e quando sono rientrato in classe non mi ha nemmeno richiamato per l’orario. Un vero fesso!››
La stessa risata, fotocopiata dalla precedente, risuonò nelle orecchie di Mario. Subito dopo uno squillo: il suo cellulare ‹‹Scusate un attimo...››
Mario si fermò, lasciando che le ragazze lo precedessero di qualche passo. Aveva ricevuto un messaggio: la sua promozione mensile per il cellulare sarebbe stata rinnovata fra soli due giorni. Mario ripose subito il cellulare nella tasca e ritornò nel gruppo sorridendo fra sé e sé. Alberto richiamò subito la sua attenzione ‹‹Era qualcosa di importante?››
‹‹Macché! Solo una tipa... non riesco proprio a togliermela di torno! Mi perseguita!››
‹‹E tu non ci stai?›› Valentina lo osservava fisso.
Mario resse lo sguardo, senza distoglierlo ‹‹No, con lei no.››
‹‹Ragazzi, dove vogliamo andare?›› Giovanna si era messa in mezzo al gruppo per ottenere in fretta una risposta alla sua domanda, interrompendo lo sguardo inavvertitamente.
Mario si rivolse subito al cugino ‹‹Andiamo a berci qualcosa?››
 
‹‹Che cazzo, Claudio, ma vuoi rispondere a ‘sto cellulare?››
Andrea scaraventò il cellulare sul letto e lo osservò rimbalzare contro la parete. Sbuffò, pentitosi dell’eccesso d’ira. Non ebbe nemmeno il tempo di riflettere che si sentì chiamare dal piano di sotto: ‹‹La cena è in tavola!››
Non aveva affatto fame. E non aveva affatto voglia di andare a cenare coi suoi, che gli avrebbero di certo chiesto cosa non andasse e perché fosse così in tensione. Non ci rifletté nemmeno molto su: fece due passi verso la porta e la chiuse a chiave.
 
La temperatura dentro la sala, nonostante le dimensioni, era altissima. Le persone si comprimevano e si spingevano per farsi spazio, nella folla ondeggiante. La musica, da fuori un vago rumore ovattato, spalancando la porta si faceva assordante. Mario percepiva un lieve tremolio delle sue orecchie ogni volta che qualche basso rimbombava nella discoteca.
Il dj mixò un pezzo particolarmente in voga in quei mesi. Urla, perlopiù femminili, si accavallarono mentre braccia e gambe si dimenavano nel mezzo di una pista troppo piccola per tutte quelle persone. Caldo. I movimenti dei corpi, sciolti dai freni inibitori, si perdevano, rallentati da un’aria densa, quasi di vapore acqueo. Adrenalina. Il barista si faceva volare le bottiglie dietro la schiena o sopra la testa e riempiva i bicchieri con grande disinvoltura.
Stefania raggiunse Mario appena distante dalla calca di persone sbandierando un bicchiere nella mano destra, in alto, come in trionfo, urlando qualcosa. Forse erano le luci lampeggianti verdi e rosse della discoteca o forse il liquido era davvero di un colorito violaceo ‹‹Ehi! Mario! Vuoi provare un goccio? È fantastico, ti giuro!››
Mario capì il significato della frase solo grazie al gesto di offerta che l’accompagnava e rispose con le urla necessarie a farsi sentire ‹‹Grazie! Questo giro lo passo!››
‹‹Come?››
‹‹Per adesso non mi va!››
‹‹Ma tu bevi, no? Prova, dai!››
Mario cercò di rifiutare ma prima ancora di poterlo fare si sentì braccato da Alberto, il braccio appena umido sul suo collo ‹‹Cugino! Devo dirti una cosa!››
‹‹Che cosa?››
Alberto avvicinò la bocca alle sue orecchie e gridò con forza ‹‹Seguimi in bagno che così non urlo!››
Il bagno era vuoto, oltre che stranamente poco rumoroso, considerato lo spessore poco rilevante della porta il legno che lo divideva dalla sala. Un ragazzo, dentro, cercava di pulire alla meno peggio una maglietta che si era porcata, certamente con qualche drink.
‹‹Mario, ma cosa... cosa stai combinando?›› Il respiro di Alberto era un poco affannato.
‹‹Che vuoi dire?››
‹‹Dai, ci sono due belle ragazze, Vale ci sta provando da quando vi siete visti! Perché non ti lasci un po’ andare? Da quando siamo arrivati qui sembri nel mondo dei sogni!››
‹‹No, è che questa musica ad alto volume mi ha fatto venire il mal di testa...››
‹‹E fattelo passare, no? O vuoi che andiamo via? Stai... stai bene, no?››
‹‹Si, si, certo! Figurati!››
Entrò un tipo evidentemente su di giri, che andò subito a chiudersi dentro il bagno. Per quel breve istante in cui la porta si era aperta il volume della musica era raddoppiato. Mario ne fu stranamente catturato.
‹‹...allora?››
Mario tornò a guardare il cugino ‹‹Scusa? Non stavo sentendo!››
‹‹Ti dai una mossa con Vale?››
Mario scoppiò in una risata improvvisa ‹‹Ma sì, ma sì! Di che ti preoccupi? Usciamo insieme da anni, lo sai che non mi lascio sfuggire certe occasioni!››
Alberto non disse nulla. Gli diede un colpo sulla spalla e uscì in fretta dal bagno, seguito a ruota dal cugino.
 
Normalmente Paola detestava quel pigiama troppo largo, quando camminava sentiva strisciarlo a terra. Ma era così stanca da non riuscire a pensarci. Si era sciacquata il viso varie volte, ma le erano rimasti i segni del pianto sotto gli occhi. Avanzò lentamente in corridoio, ascoltando il rumore ovattato dei suoi passi sul tappeto. Si affacciò in camera di sua madre, la porta era semichiusa.
‹‹Buonanotte mamma...››
Nessuno rispose, Paola fece per proseguire fino in camera sua, poi un sussurro ‹‹Buonanotte›› soffocato dai cuscini.
Si sforzò di sorridere fra sé e sé e raggiunse la sua camera. La luce accesa sul comodino aveva sicuramente attratto delle zanzare in quei minuti. Si infilò in fretta sotto le coperte e spense la luce. Non prese subito sonno. Un ronzio. Si nascose la testa sotto le coperte, per non sentire.
 
Privo di ogni desiderio notturno, Mario si era lasciato andare su una piccola poltrona lontana dalla pista da ballo. Solo dopo essersi guardato attorno si rese conto che Valentina era seduta al bancone, ferma. La osservò un paio di minuti, non si muoveva. Si alzò, poco deciso sul da farsi, mentre la musica ormai aveva definitivamente smesso di farsi sentire nella sua testa. Alla fine le si avvicinò. A pochi passi da lei, una mano gli si posò sul braccio. Giovanna gli fece l’occhiolino e lo invitò a farsi avanti con un cenno della testa. Mario non riusciva a capire cosa tutti volessero da lui quella sera. Da quando era entrato in quella discoteca, non aveva fatto che annoiarsi. Sorrise ipocritamente a Giovanna e si mise a sedere accanto a Valentina, rassegnato all’idea che avrebbe dovuto urlare per farsi sentire ‹‹Ehi! Che fai?››
Valentina alzò un bicchiere mezzo vuoto ormai da qualche minuto ‹‹Bevo qualcosa!››
‹‹Com’è? Ti piace?››
‹‹Vuoi assaggiarlo?››
‹‹No, in realtà non mi va molto di bere adesso!››
La ragazza lasciò scivolare con un gesto elegante il bicchiere sul bancone ‹‹In effetti, faceva anche piuttosto schifo...››
Mario rise, lei alzò lo sguardo e lo osservò attraverso un ciuffo di capelli solitario del suo caschetto ‹‹Vuoi ballare?››
La ragazza fece una smorfia ‹‹Non so, dipende...››
‹‹Da che?››
‹‹Sai essere abbastanza convincente?››
Sorrisero.
 
Liliana si era ormai alzata da terra da un po’, da quando aveva iniziato a sentirsi scomoda. Le sue gambe lunghe sembravano fatte per stare in piedi. Era vicino alla scrivania, aveva preso in mano il pupazzetto anti-stress. Se lo spremeva gli uscivano gli occhi dalle orbite. Un dito si arrotolava intorno a una ciocca di capelli.
“Quasi quasi domani lo chiamo... Dopotutto un giorno in più o uno in meno cosa può cambiare? Gli parlo e mi butto. Domani mattina”.
I suoi occhi, allo specchio, le sembrarono più espressivi del solito. Era struccata, forse era per quello. Eppure non metteva mai molto trucco. Le sue ciglia le sembrarono più lunghe del solito e la pelle intorno agli occhi più scura. Si portò le mani sulle braccia opposte, quasi ad abbracciarsi, stringendosi nelle spalle. Per un momento le sembrò quasi che la stesse abbracciando qualcun altro.
“Domani mattina”.
 
Luci. Buio. Gesti, sorrisi, spasmi, contatti, sguardi. Le mani, le braccia, le gambe, i visi, le schiene, le pance, i nasi, le spalle, le labbra, le dita, gli occhi, i capelli. Mario sentiva il suo corpo, il corpo di quella ragazza attaccato al suo. Aveva le labbra secche, se le leccò. Qualcuno dietro di lui lo urtò per passare. Le mani di tutti al cielo, al soffitto. Rumore, rumore, casino. Le loro gambe si intrecciavano. Una ragazzina salì sul cubo baciandosi con un ragazzo molto più grande di lei. Qualcuno gridò all’inizio di una nuova canzone.
 
Si agitava nel sonno, non si era mai agitata tanto, forse. Non per il ronzio, non la sentiva nemmeno più la zanzara. Un altro rumore. Uno sparo. Dei passi che scendono delle scale. La voce di suo padre che urla, sconvolto, distrutto. Cosa è stato? Deve scendere ancora qualche gradino per vedere.
 
‹‹Oh... sono stanchissima! Non ho mai ballato tanto in vita mia!››
L’esterno della discoteca, immerso nel buio estivo, rinfrescava piacevolmente dopo il caldo della sala da ballo. Mario e Valentina erano in piedi, poggiati con la schiena contro lo stesso muro, uno affianco all’altra.
‹‹Sì, è stato divertente.››
‹‹C’è silenzio.››
‹‹C’è sempre silenzio, solo che ci parliamo sopra di solito.››
Valentina staccò la schiena dal muro e si mise di fronte a Mario, le sue labbra vicine al suo mento ‹‹Magari non questa volta. Magari possiamo rimanere in silenzio.››
Si baciarono. Mario portò istintivamente una mano sul fianco sinistro di lei, come per controllare la situazione, poi lo allontanò subito. Poi si allontanò subito ‹‹No, aspetta, che fai?››
‹‹Certe volte penso sia meglio lasciarsi un poco andare...››
‹‹Non hai capito. Non voglio. Rientriamo.››
Mario si voltò ma la ragazza lo afferrò per un braccio ‹‹Ma che hai? Che ti prende? Sei strano, eh! Un momento fai il provocante e poi te ne vai?››
Mario rimase un momento in silenzio, senza riuscire a parlare ‹‹Io, sinceramente, non ti capisco.›› continuò lei.
‹‹Sì, hai ragione... Scusa io... Credo di avere qualcos’altro per la testa, mi spiace.››
Mario rientrò. Valentina si sistemò i capelli scompigliati con le mani. Decise di non seguirlo e di non rientrare. Per come la vedeva lei, non aveva senso provarci, con un ragazzo già innamorato.
 
‹‹Andrea, ti decidi a scendere o no? E almeno apri la porta!››
Andrea era buttato sul letto a pancia in su ‹‹Mangiate senza di me. Non ho affatto fame stasera.››
‹‹Ma perché ti sei chiuso dentro?››
Andrea osservava la sua sveglia proiettare l’orario sul soffitto con il suo laser rosso ‹‹E non bussate più, sto cercando di dormire.››
Da fuori Andrea percepì chiaramente i suoi genitori confabulare e discutere sul da farsi. Era troppo giù per uscire dalla stanza. Non avrebbe voluto vedere nessuno in quel momento. Tranne una persona. Tranne Claudio.
 
Mario rientrò a passo spedito dentro la discoteca e si diresse in fretta a recuperare il suo giubbotto, abbandonato da qualche parte. Nella folla riuscì a vedere Alberto, gli si avvicinò, lo salutò ‹‹Ma come? Te ne vai già via?››
‹‹Sì, scappo.››
‹‹Ma perché? E poi scusa dov’è Vale? Non era con te?››
‹‹Non saprei, ci siamo persi di vista. Mi saluti tu Giovanna, okay? Ah, e anche Stefania. Di' che mi spiace non averle salutate io.››
‹‹Mario, ma che sta succedendo? Mario!››
Le persone rumorose che popolavano la stanza si mangiarono le ultime parole di Alberto, troppo stanco e troppo stupito per correre dietro al cugino che, non c’era dubbio, stava scappando.
 
Adesso vedeva finalmente. Suo padre osservava sconvolto il corpo inerte dell’uomo con cui, fino a poco prima, si stava prendendo a pugni. Il suo sguardo era perso, perso in quella macchia scura che si allargava sul pavimento. Il sangue scorreva più veloce negli spazi vuoti fra le mattonelle. Non sembrava rosso, piuttosto marrone. La poca luce non permetteva di distinguere bene i colori. Suo padre alzò lo sguardo. Il suo volto non chiedeva altro che pietà. Si accorse di lei. Non riuscì a parlare. Paola non disse nulla, neanche lei. La pistola era rimasta contesa a metà fra le mani dei due uomini, ma la canna era puntata verso il pavimento. Il morto aveva gli occhi aperti, chissà se si era accorto di lei prima dello sparo. Il sangue era così scuro. Forse non era la luce, forse era davvero marrone. Cadde a terra una scatola da un tavolo, poco distante da suo padre. Aveva reagito in ritardo quello scatolone. E invece il cadavere no, lui aveva reagito subito.
Si svegliò in preda a uno spasmo, ansimando. Si chiese se avesse urlato nel sonno. Le sue gambe si erano attorcigliate nelle coperte che le si erano annodate alle caviglie. Come faceva a esserci così tanto silenzio? Dov’erano tutti? Dov’era il mondo?
 
Liliana riempì un bicchiere d’acqua fino all’orlo, benché non avesse nemmeno tanta sete. Si sforzò di bere fino all’ultima goccia. La notte era calda, sentì il fresco dell’acqua uscita dal frigo scorrerle giù lungo tutta la gola. Posò il bicchiere, ancora assorta negli stessi pensieri che l’avevano accompagnata nelle ore precedenti e rimase qualche secondo in contemplazione del frigo, che, aperto, illuminava artificialmente qualche metro attorno a lei, di una luce triste.
“Forse è meglio di no, forse è meglio aspettare il pomeriggio.”
Iniziò a tornare in camera sua, stavolta seriamente decisa a dormire e a smetterla di vagare per la casa e col pensiero “Sì. Decisamente meglio il pomeriggio. Così sarò anche più sveglia. E più sicura. Devo essere sicura. Lo guarderò negli occhi.”
 
Mario fece girare la chiave nella serratura due volte. Gli scatti di quel meccanismo erano particolarmente rumorosi. Si era fatto inspiegabilmente tardi. Aveva perso un sacco di tempo per tornare a casa. Nonostante l’ora tarda, soprattutto in centro si camminava a passo d’uomo. Mario estrasse la chiave dalla toppa e si voltò subito verso la credenza del corridoio. Aprì un cassetto, vi lasciò cadere le chiavi. Spense la luce del corridoio.
‹‹Che serata di merda...››

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Capitolo 6
*** Soluzioni ***


La luce filtrava potente fra le foglie degli alberi. Si girò sul fianco destro, aprendo leggermente gli occhi.
‹‹Buongiorno.››
Andrea mise a fuoco: sua sorella.
‹‹Che idiota che sei, ti sei pure addormentato coi vestiti: guarda come li hai ridotti. Svegliati, dai.››
Era seduta su una sedia a un paio di metri dal letto, Andrea si passò una mano fra i capelli scompigliati e la osservò interrogativo ‹‹Come sei entrata?››
‹‹Ho scavalcato dall’altro balcone e sono entrata dalla finestra. Non lo facevo da anni, guarda a cosa mi hai costretta. Comunque mamma e papà non lo sanno, tranquillo.››
‹‹Ah okay... Ma perché l’hai fatto? Cosa vuoi?›› Andrea stese le braccia dietro la schiena e piegò il collo alla sua sinistra, sentendolo indolenzito.
‹‹Tu stai impazzendo, Andrea. Che problemi hai? Che motivi avevi di fare quella scenata? Questo litigio ti sta uccidendo.››
Andrea si mise a sedere a gambe incrociate sul letto ‹‹Giulia, non puoi capire. Non c’è altro da dire.››
‹‹Non posso capire? Io? Senti un po’, se c’è qualcuno che non sta capendo nulla qui sei tu. Quanto pensi di andare avanti con questa sceneggiata, eh? Pensi che mamma e papà non siano già abbastanza preoccupati?››
‹‹Okay, hai ragione. Non ho capito nulla e tu invece sai tutto.›› Andrea tagliò corto senza nemmeno troppa ironia.
‹‹Tu e Claudio avete litigato, va bene...›› proseguì la sorella come se lui non avesse aperto bocca ‹‹...ma sono cose che si superano. Dimenticati di questo litigio e basta. Non farti ossessionare, sono cose che capitano. Devi solo... voltare pagina, ecco.››
‹‹Vedi che non vuoi capire nulla? Non voglio voltare pagina. Voglio rimediare, voglio risolvere.›› Andrea si lasciò andare a testa in su sul letto.
‹‹Risolvere. E lo sai fare? Lo puoi fare? Pensi di riuscirci? Il tuo errore è credere che Claudio ti odi, mentre non è così. Lui non ce l’ha con te. E anche se volesse, non potrebbe avercela mai con te. Sei il suo migliore amico e lo sarai sempre. E nella sua testa, in questo momento, se pensa a te, pensa a un amico e a nient’altro.››
Andrea alzò appena la testa dal cuscino in cui era affondata, per incontrare lo sguardo determinato di sua sorella ‹‹E allora perché non sistemare, se lui non mi odia?››
‹‹Ma... tu vuoi sistemare le cose nel modo sbagliato! Non vedi che non stai risolvendo nulla? Pensa al motivo del vostro litigato e... e non ti rovinare l’esistenza.››
Giulia si alzò in piedi, appena alterata ‹‹Almeno per uscire, uso la porta.››
Andrea rimase paralizzato a letto, mentre sua sorella girava la chiave nella toppa e usciva richiudendo la porta dietro di sé ‹‹Il motivo... del nostro litigio...››
 
‹‹A volte mi sembra di sfruttarti. Ti chiamo sempre quando ho bisogno di parlare...››
Claudio sorrise ‹‹E a cosa servono gli amici, dopotutto?››
‹‹Prima di dirti questa cosa, dimmi tu, invece, come stai.››
Una folata di vento mosse i capelli di Mario. Quella brezza, in quelle giornate così calde, era estremamente piacevole. In piazza non c’erano alberi sotto i quali stare all’ombra e tutte le panchine bruciavano durante il giorno. Quando ci si era seduto poco prima, aspettando l’amico, Mario aveva quasi avuto l’impressione di sentirsi grigliato.
‹‹Io non mi lamento! Ma dimmi di ieri sera.›› Sorrise Claudio mentre giocava ad aprire e chiudere sistematicamente la zip del suo borsello, come in maniera automatica.
‹‹Ieri... è stata una serata come le altre. Ma io non ero come le altre volte e non mi è piaciuta affatto, mi sono annoiato. Non capisco come mai, in verità.››
Claudio alzò gli occhi su di lui ‹‹Forse la compagnia non era adatta.››
Mario scosse la testa lentamente ‹‹No, no. Vedi, è questo il punto: fino a qualche tempo fa con le persone di ieri sera sarei andato d’amore e d’accordo e mi sarei anche molto divertito. Ieri invece no. C’era una ragazza carina ma... non mi diceva nulla, anzi mi infastidiva. Era una facile e... e non mi piaceva. Io penso di aver conosciuto tante persone come lei, anche tante ragazze come lei. Persone molto simili, tutte uguali.››
Claudio lo osservava fisso.
‹‹Io mi rendo conto che esistono sempre dei “tipi” di persone e che ognuno abbia un suo “modello”. Ma questi modelli, appunto, chi sono? Cerchiamo sempre di imitare e di essere simili a qualcuno che stimiamo o invidiamo: qualcun altro, però, non noi. E spesso io credo... sì, credo che finiamo per cambiare, anzi, cambiarci. E penso che in parte sia anche normale, in fondo, è giusto che si sia sfaccettati. Ma non è giusto diventare qualcosa che non si è. E ieri sera mi sono reso conto che nessuno era davvero se stesso e nemmeno io lo ero. Ecco perché all’improvviso mi sono sentito a disagio, era come se mi vedessi da fuori e mi giudicassi. Come se portassi una maschera, mi capisci?››
‹‹Dovresti fare più riflessioni del genere, a mio parere. Sei molto meno superficiale di quanto non dai a vedere. Sono felice di conoscere questo lato di te e dovresti farlo vedere più spesso, dovresti stupirmi più spesso.››
‹‹Sei stupito? Forse lo sono un poco anche io a essere sincero. Il punto è che ieri era tutto diverso, ieri c’era qualcosa che mi metteva davanti a questi pensieri che ti ho detto e...››
‹‹..e pensavi continuamente a Liliana, lo so.››
Mario spostò gli occhi sulla vecchia fontanella d’acqua che stava nell’angolo della piazza ‹‹Credo di sì.››
Claudio sorrise e, portando gli occhi al cielo, iniziò dopo un sospiro ‹‹Vedi: lei ti fa sentire diverso. Ti fa sentire così diverso che ha finito per renderti diverso. Sei cambiato davvero e la serata di ieri direi che ne è la prova più evidente.››
I due sguardi tornarono a incrociarsi ‹‹Non lo so, Claudio. Proprio non lo so se quello che dici è vero oppure no. Sono confuso. Liliana è... non saprei spiegarlo, ma quando sto con lei... e parlo con lei... e scherzo con lei... Mi sento tranquillo, più tranquillo. Non mi importa tanto di pensare a cosa dire, perché so di potermi esprimere davvero senza problemi, posso essere del tutto me. So che lei mi accetterà così. E anche le cose di cui parliamo sono diverse dal solito, non sono mai banali. Lei è... credo sia speciale.››
‹‹Credo tu sia innamorato. Sembra strano dirlo di te, che cambi una ragazza più spesso di quanto non cambi le mutande. E qui sottolineo che sto criticando la tua igiene...››
Mario rise, spontaneo. Claudio gli mise il braccio attorno al collo. ‹‹Grazie, Claudio.››
Lo guardò ‹‹E di che?››
Mario si alzò in piedi dandogli inizialmente le spalle, poi si voltò di nuovo ‹‹Senza di te e senza il tuo supporto non so se avrei mai ammesso a me stesso questa cosa. L’altro giorno quando ne parlavamo non mi sembrava vero che tu parlassi con tanta tranquillità di me e lei insieme. Liliana mi piace. E l’unica cosa che voglio fare è farglielo sapere.››
Claudio sorrise ‹‹E quando le avrai parlato, penso di avere il diritto di sapere se è stata la tua fermata giusta.››
 
Le gambe rannicchiate vicino al petto, Paola era ancora in quel parco, ancora vicino lo stesso albero, ancora. Ma stavolta senza più dubbi, domande, insicurezze, senza il suo block notes. E con qualcuno accanto. Appena qualche ora prima aveva letto un messaggio di un ragazzo, inviato al suo profilo Facebook. E ora era lì con lui, con questo sconosciuto, o quasi.
‹‹Sai, capisco che magari, considerando che non ci siamo mai frequentati né parlati a scuola possa sembrarti strano questo. Intendo il fatto che ti abbia chiesto di vederci faccia a faccia così all’improvviso, quasi per un’emergenza. Ma, sai, credo sia la cosa giusta da fare: non sono pazzo.››
Paola sorrise all’evidente imbarazzo del ragazzo, ma sapeva di potersi fidare di lui ‹‹L’ultima volta che sono stata qui una persona mi ha detto di tenermi lontana da te, che sei un tipo strano.››
Andrea rimase colpito ‹‹Con chi parlavi di me?››
Paola non rispose alla domanda deliberatamente ‹‹Però Claudio si fida di te.››
Il ragazzo rimase ancora una volta interdetto. Scelse di non chiedere ancora ‹‹Infatti non hai ascoltato questa persona.››
Paola distese le lunghe gambe sull’erba e osservò la punta di una ciocca di capelli ‹‹Beh, di solito preferisco decidere da sola se una persona è pazza o meno...››
Un momento di silenzio avvolse i due ragazzi sull’erba. Era evidente quanto non si conoscessero se non di nome. Si trattava esattamente di quel genere di situazione che, se avesse potuto, Andrea avrebbe pagato per evitare. Non era mai stato bravo a socializzare con gli sconosciuti. Lei sembrava molto semplice, completamente diversa da come lui se l’era immaginata fino a quel momento. Andrea aveva pensato a lungo nelle ore prima a cosa dirle e come dirlo, ma quello che venne fuori fu un discorso frutto dell’improvvisazione ‹‹Volevo parlarti di Claudio. So che vi siete frequentati negli ultimi tempi. Sai, io e Claudio siamo sempre stati grandissimi amici, migliori amici! Poi, un mesetto fa, abbiamo litigato di brutto e non ci siamo più parlati... E ti vengo a raccontare questo per un motivo molto sempl...››
‹‹Come mai avete litigato?››
Andrea rimase un istante zitto.
 
Mario e Liliana passeggiava per il lungomare già da un paio di minuti, parlando del più e del meno. Mario aveva le mani nelle tasche dei pantaloni, Liliana dietro la schiena. Non si toccò i capelli, questa volta.
‹‹Ad ogni modo...›› esordì Mario per spostare l’argomento della conversazione dai libri da leggere per le vacanze a qualcos’altro ‹‹...quando mi hai chiamato prima, ti stavo per chiamare anche io.››
Liliana sorrise spontaneamente, dissimulando la tensione dovuta alla scoperta appena compiuta ‹‹Davvero? Come mai?›› Liliana ripensò in fretta a tutto il coraggio che le era servito per comporre quel numero e rimase contrariata pensando che non le sarebbe servito se avesse aspettato qualche minuto in più.
‹‹Per il tuo stesso motivo: ho una cosa da dirti.››
‹‹Coincidenze! Vuoi... vuoi cominciare tu?››
Il passo dei due nel procedere si fece evidentemente meno spedito, finché Liliana si bloccò appoggiandosi alla ringhiera che divideva dagli scogli con la schiena e Mario si fermò poco lontano da lei.
‹‹D’accordo, allora vediamo... Devi sapere che questi giorni sono stati molto pieni, pieni di avvenimenti e io credo...››
Mario esitò, costringendo Liliana a esortarlo ‹‹Credi?››
‹‹Io, sì, sono in un certo senso cambiato. O forse mi sono reso conto di essere cambiato. All’improvviso tutto quello che mi era sempre interessato aveva perso su di me qualunque effetto e non mi attraeva più. E mi sono reso conto di questo... soprattutto grazie a te. Ti devo ringraziare perché quando sono con te mi sento libero di comportarmi come credo, senza cercare di apparire in nessun modo. Sono Mario e basta. Insomma con te mi sento diverso, rispetto al solito. E l’ho notato in questi ultimi giorni.››
‹‹Oh... è una cosa bellissima Mario, davvero... Non so proprio che dire però... è davvero bello sentirsi dire una cosa così. Sono felice che tu volessi dirmi questo!››
Liliana strinse la ringhiera particolarmente forte. Non c’era molta gente in giro. Il sole era piuttosto forte, ma la brezza marina rinfrescava e pungeva appena con il suo odore salato. Mario era lì, a un passo, appena in ombra per una piccola palma piantata nel marciapiede. Era a un passo da lei.
‹‹Ecco, non ho finito. Io volevo dirti che... Che tu, anche per questo... mi piaci un sacco Liliana. Io so che ti sembrerà strano, ma ti penso spesso. Rivedo te e i tuoi comportamenti a scuola, come parli, come ti tocchi i capelli. E mi sembra di averti davanti, quasi. E... insomma, era questo... era questo quello che io ti volevo... quello per cui ti ho detto che volevo parlarti.››
Liliana riuscì a parlare solo ridendo un poco ‹‹Non mi aspettavo... che mi dicessi una cosa del genere...››
Mario si unì appena alla risata, evidentemente sollevato ‹‹Emh...sì. Non pensavo nemmeno di riuscire a dirlo.››
 
‹‹Per te. Abbiamo litigato per te.››
Paola alzò le sopracciglia ‹‹Per me? Avete litigato in questo modo per causa mia?››
Andrea respirò profondamente un paio di volte, come per decidere da dove cominciare ‹‹Allora, devi sapere che Claudio è sempre stata una persona molto socievole ed estroversa. E, anche se non è una cosa carina né da dire né da ammettere, lo invidiavo un po’ per questo. Poi quando ha cominciato a frequentarti ho pensato che lo facesse soltanto per la tua... strana situazione. Non te la prendere, ma... Tu mi sei sempre stata un po’... un po’ antipatica. Non nascondo di averti insultata, qualche volta... A scuola, prima di quella cosa, ti si conosceva più che altro perché avevi avuto molti ragazzi, dopotutto sei una ragazza molto bella. E, sì... ti ho presa in giro con i miei amici.››
‹‹Oh, grazie!›› Paola era evidentemente ironica. Gli ultimi tempi l’avevano resa molto più resistente a tutto, alle parole, ai pensieri, alla gente. Eppure non si aspettava un “attacco” in quel momento. Cercò di nascondere la sua delusione che, fortunatamente, passò inosservata: Andrea era talmente preso da ciò che diceva da non riuscire a fermarsi.
‹‹Naturalmente l’ho fatto anche davanti a Claudio... E lui non ha mai preso le tue parti all’inizio, anzi... Insomma, lui dopo si è avvicinato a te e sei diventata una sua grande amica e io ho trovato il suo atteggiamento ipocrita. Dopotutto è sempre stato un ragazzo con un poco di manie di protagonismo. Siamo sempre stati amici, ma questo suo atteggiamento in particolare... Non lo sopportavo più molto, non mi piaceva proprio.››
Nella stanza dominava un forte senso di stasi. I ragazzi, immobili, chiacchieravano del più e del meno mentre dalla finestra spalancata riusciva ad entrare appena un filo di vento, a mala pena percepibile. Persino l’acchiappasogni di Alessandro non si muoveva.
‹‹Bene, bene, Mario. Adesso potresti dare una mano ad Andrea, magari riesci a fissare un appuntamento con qualche bella ragazza anche per lui!›› Alessandro sorrise, prendendo scherzosamente in giro Andrea.
‹‹Sì, sì! Che ne pensi di quella di quinta M? Che ne pensi, eh? Andrea? Quella riccia e rossa, lentiggini... hai presente?››
Andrea sorrise ‹‹Quanto siete rompipalle! Sto bene così, lo sapete! Piuttosto... se dobbiamo parlare di appuntamenti e ragazze dovremmo parlare di Claudio, no? Non so se l’avete notato...››
‹‹Ma cosa?››
‹‹Si! Direi che l’abbiamo notato tutti! Lui e quella tipa di prima A!›› Mario guardò Alessandro con aria da superiore.
‹‹Ah, ma chi? Quella dello scandalo?›› chiese Alessandro virgolettando con le mani la parola “scandalo”.
‹‹Paola! L’altro giorno sono stati tutti il giorno insieme...››
‹‹Povero Andrea! Sei geloso?››
‹‹Ma chi, io? Giusto di lei?››
‹‹No, fermi un momento. Non ci sto capendo nulla. Che ha lei che non va?›› Interruppe Alessandro cercando di rincorrere la frenetica discussione degli altri due amici nella stanza.
‹‹Ma l’avrà data a mezzo mondo...››
Mario annuì grave alla frase di Andrea ‹‹Eh, beh...››
Alessandro rise un poco a denti stretti ‹‹Certo che sei due stronzi pazzeschi voi due! A me non sembra poi così male, dai!››
‹‹Ecco un altro che le va dietro... Mario ti prego, salvati almeno tu!››
Alessandro lasciò andare un sospiro evidentemente pronunciato ‹‹Vabbe... vado a prendermi un bicchiere d’acqua.›› Si alzò dalla sedia e uscì chiudendosi la porta dietro la schiena. In stanza il silenzio fece per un momento compagnia alla stasi dell’aria.
‹‹Senti›› cominciò Mario ‹‹ma pensi davvero che Claudio sia interessato a lei?››
‹‹Guarda, conoscendolo non penso. Non mi sembra quella adatta a lui, però... non ci metterei nemmeno la mano sul fuoco.››
‹‹Non è quella adatta a lui, eh? E sentiamo: quale sarebbe quella adatta a Claudio?›› chiese ammiccando Mario ‹‹...vuoi vedere che in realtà sei geloso di lei?››
Andrea rise ‹‹No, guarda, non saprei definire il suo tipo. Però lei è decisamente troppo...››
‹‹...troppo bona, vero?››
Andrea rise a denti stretti ‹‹Più che altro troppo puttana!››
La conversazione si arenò soffocate fra risate sommesse.
‹‹Chi è puttana?››
La domanda era stata posta da Claudio, appena entrato in stanza insieme ad Alessandro. Andrea cercò immediatamente lo sguardo di Mario, sperando di trovarvi complicità, ma l’attenzione dell’altro era ormai rivolta al nuovo arrivo ‹‹Ehi Cla’! Parlavamo della Cristaldi!››
‹‹Sì, la Cristaldi... la professoressa stronza della B che ci ha fatto supplenza, sai!›› Cercò di improvvisare Andrea, convinto che Mario avrebbe potuto rimediare al suo errore.
Mario si voltò verso Andrea ‹‹Ma guarda che razza di paraculo! No, in realtà parlavamo di Paola-Cristaldi.›› Sottolineò Mario, rivolgendosi a Claudio nella seconda parte della frase.
‹‹Vabbè, le vostre solite chiacchiere inutili. Non penso ci sia molto di cui parlare...›› cercò di smorzare Alessandro.
‹‹No, no... cosa dicevate?››
‹‹Ma che importa, Cla’?››
‹‹Si commentavano i suoi facili costumi.›› Disse freddo Andrea, ormai desideroso di esprimere i suoi pensieri.
‹‹Capito. E tu che ne sai?›› Chiese Claudio, astioso.
‹‹Oh, Claudio... si scherzava...››
‹‹No, Mario. Ormai fammelo dire. Prima che venisse fuori tutta questa assurda vicenda, lei era conosciuta per ben’altre cose!››
Alessandro si lasciò andare con la schiena contro il muro. Adesso era troppo tardi per interrompere la discussione. Mario smise di guardare gli altri e iniziò a fissare l’acchiappasogni che per una improvvisa folata di vento aveva iniziato a tintinnare. Un foglio era caduto dalla scrivania di Alessandro. Nessuno sembrava interessarsene.
‹‹Peccato che tu segui i pregiudizi mentre io la conosco bene!››
‹‹Bene? Bene quanto?››
‹‹Non capisco davvero che problemi hai. Forse è meglio cambiare discorso.››
Alessandrò colse la palla al balzò e si diresse verso il foglio caduto a terra per rimetterlo a posto ‹‹Sì, infatti. Non serve a nulla questa discussione.››
‹‹Comunque, insomma, Claudio, se ti piace ce lo puoi dire. Non c’è nessun problema.››
Alessandrò fulminò Andrea, l’aria di sfida sul volto, con lo sguardo.
‹‹Saranno anche cazzi miei magari! E poi mi spieghi perché ti sei fissato con questa cazzata?››
‹‹Cazzata? Scusami, ti avvicini a una tipa qualunque, senza farcelo sapere. La frequenti e non ci dici mai una parola a riguardo. Insomma... vuoi dirmi che non ci vuoi provare?››
Alessandro cercò di intervenire ‹‹Andre’, basta. Smettila.›› Silenzio.
Mario cercò di riconcentrarsi sui ragazzi, abbandonando l’acchiappasogni. ‹‹Lascia stare, Cla’. Anche io ci ho fatto su una battuta prima, ma mica dicevo sul serio. Non te la devi prendere.››
‹‹Invece forse dovresti prendertela.››
‹‹Vai a fare in culo, Andrea.››
 
‹‹Ti prego non restare in silenzio, mi fai agitare.››
Liliana alzò la testa dopo aver osservato a lungo il pavimento ‹‹...insomma, è inutile mentire. Anche se ho avuto alcuni dubbi e una parte di me cercava di allontanare l’idea, tu mi piaci praticamente da sempre...››
Mariò iniziò a sfregare ossessivamente il pollice e l’indice della mano destra fra loro ‹‹Davvero?››
I due si guardarono un momento in silenzio. Fermi, a pochi passi di distanza.
‹‹Sì, davvero. Però...››
 
Una piacevole brezza mosse i capelli di Paola ‹‹Lo sai che lui voleva che io e te ci conoscessimo?››
Andrea alzò lo sguardo, basso da quando aveva terminato il racconto ‹‹Cosa?››
‹‹Voleva presentarci... alla fine ce l’ha fatta. Come sempre.››
Andrea cercò di deviare l’argomento ‹‹Io comunque volevo chiederti scusa. Sono stato un vero stronzo nei tuoi confronti e nei suoi confronti. E anche lui sicuramente ha sbagliato. Siamo stati tutti e due stupidi. Però non penso sia un buon motivo per non parlarsi da un mese.››
Finite le parole di Andrea, Paola si chiese cosa sarebbe stato opportuno dire ‹‹Posso chiederti come mai mi stai dicendo tutto questo adesso?››
Andrea si poggiò una mano dietro la nuca ‹‹Io... sentivo che, magari, anche senza riappacificarsi con Claudio, l’unico modo per non continuare ad avere sensi di colpa e rimorsi era parlarti, scusarmi con te, conoscerti. Ti ho giudicata, preso dai pregiudizi, e non ne avevo alcun diritto...›› Andrea fece una pausa per riordinare le idee e cambiò posizione, portandosi un ginocchio vicino al petto e poggiandoci sopra il gomito. Nello spostarsi, la osservò di sfuggita in volto. Forse era appena spigoloso, freddo, di una persona sicura e allo stesso tempo turbata. La sua pelle era estremamente chiara, le labbra evidenti. ‹‹E ora invece tu mi stai pure ad ascoltare, nonostante tutte queste cose che ti sto dicendo... Purtroppo non mi puoi capire, non puoi capire cosa voglia dire sentire di dovere risolvere qualcosa e non farcela, sentirsi impazzire.››
‹‹Se qualcuno può capirti, ce l’hai davanti.››
Andrea sospirò ‹‹...non credo.››
‹‹Dovresti iniziare a pensare che, anche se siamo tutti unici, possiamo incontrare persone che hanno vissuto esperienze come le nostre, sai? Io ho visto mio padre uccidere una persona, ma fino a ieri notte non lo ricordavo, l’avevo rimosso... All’improvviso, oggi, mi sono svegliata e tutto... tutto ero chiaro e limpido. E ancora non ho detto a nessuno quello che ho ricordato, eccetto a te, adesso. Diciamo che anche io ho i miei motivi per impazzire, non trovi?›› Paola sorrise in maniera forzata.
Andrea rimase in silenzio. Solo dopo un lungo momento parlò ‹‹E adesso, quindi? Cosa farai?››
 
Una moto sfrecciò lungo la strada, rumorosamente.
‹‹...Però?›› Chiese Mario.
Liliana si portò i capelli dietro l’orecchio con l’indice della mano destra, fingendo di guardare nella direzione della moto che era ormai lontana. ‹‹Tu lo sai. Tutti sanno da sempre che tu mi piaci... Lo sapevi e non negarlo! E ti sei sempre divertito a raccontarmi di questa o di quell’altra avventura, mentre io ci stavo male... Non so se potrei essere un’altra delle tue ragazze... Non potrei... Tu sei una persona troppo egois...››
Mario la abbracciò. Il corpo di Liliana era così... esile. Quasi debole. Nessun rumore. Nemmeno una moto. Silenzio. Non c’era altro da dire.

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Capitolo 7
*** Ancora la panchina ***


‹‹Siamo stati fermi così, abbracciati. Davvero, è stato bello, veramente bello. Ci siamo baciati, poi.››
Claudio sorrise, seduto di fronte a Liliana che non poteva fare a meno di tenere lo sguardo basso e di girarsi fra le mani un temperamatite a forma di topo. L’immagine di Liliana e Mario che si abbracciavano era piuttosto strana, forse perché, a prima vista, i due non sembravano proprio fatti l’uno per l’altra. Sicuramente la versione dell’accaduto che avrebbe dato Mario sarebbe stata differente, ma poco importava ‹‹Finalmente ce l’hai fatta, allora! Anzi, dovrei dire ce l’avete fatta!››
Claudio portò il braccio destro dietro la spalla sinistra come per fare dello stretching. Liliana poggiò il temperamatite sulla scrivania e riuscì a guardarlo dritto negli occhi ‹‹Claudio...››
‹‹Si?››
‹‹Io... ti devo ringraziare. Davvero, con tutto il mio cuore. Mi hai aiutata moltissimo, mi hai sostenuta e... senza di te non so se sarei riuscita a trovare quel poco coraggio che ho trovato.››
‹‹Oh, beh...›› cominciò Claudio riportando il braccio nella sua posizione abituale e passandosi la mano sinistra sulla nuca ‹‹...non ho fatto poi chissà che cosa! Però mi sembrava la cosa migliore da fare. Credo che questa, adesso, sia la vostra fermata giusta.››
Silenzio.
‹‹Sai... Domani usciamo insieme, io e Mario. Per la prima volta usciremo insieme e non lo faremo da semplici amici...››
Il sorriso sul volto di Claudio era lo stesso dall’inizio della conversazione ‹‹E dove andrete?››
‹‹Emh, ecco questo in realtà non lo so... Ma dopotutto non ha alcuna importanza, no?››
Claudio rise a mezza bocca ‹‹Certo, lo capisco!›› poi rimase un momento in silenzio e poggiò i gomiti sulle ginocchia per avvicinarsi a Liliana ‹‹Però, se non sapete proprio dove andare... forse posso darti un consiglio...››
 
Mille cose erano cambiate in pochi giorni. Paola scriveva un’altra, forse ultima, pagina del suo diario. Le sue decisioni, l’incontro con Andrea, le cose scoperte su Claudio. Tutto sembrava aver cambiato drasticamente il suo modo di vedere le cose. Anche le nuvole, le stesse di pochi giorni prima, sembravano meno confuse.
‹‹Permesso? Non ci si vede da un po’ di tempo, eh?››
Paola si voltò di scatto, chiudendo meccanicamente il suo diario e scoprendo la sagoma di Claudio che faceva capolino dentro la sua stanza ‹‹Ehi! Che ci fai qui?›› esclamò sorridendo.
‹‹Stavo venendo a trovarti e poco prima di citofonare ho incontrato tua madre per strada. Mi ha aperto lei ed eccomi qui! In tutto il mio splendore! Allora...›› Claudio era ormai entrato dentro la stanza, aveva preso una sedia e si stava per sedere, come suo solito, al contrario, col viso rivolto verso la spalliera ‹‹...che novità ci sono?››
‹‹Ricordo tutto.››
Claudio rimase in piedi, senza finire il movimento già iniziato per sedersi ‹‹Davvero?››
‹‹Sì.››
Lo sguardo si Claudio si perse nel vuoto, come se qualcosa di invisibile gli fosse improvvisamente apparso davanti, poi tornò su Paola. Claudio sorrise, tornando a sedersi ‹‹Quindi...?››
‹‹Beh, diciamo niente di nuovo. Ecco.››
‹‹Tu lo sapevi già.››
Paola non ebbe paura a rispondere, continuò a guardare Claudio dritto in faccia ‹‹Penso di sì, dopotutto.››
‹‹Che strano... Forse eri troppo sotto pressione, gli occhi di un’intera cittadina addosso...››
‹‹Io ora credo di non aver mai dimenticato nulla, sai? Io ora credo che dovessi solo deciderne cosa farne, di quei ricordi. Mi capisci?››
‹‹Già. E ora hai trovato la tua fermata anche tu...››
‹‹Sono quasi sicura di sì.››
‹‹E cosa farai?››
Lo scambio era stato molto veloce. I due non si muovevano di un millimetro. Si guardavano fisso e non facevano altro che parlare. Paola si chiese se Claudio in realtà non sapesse già tutto. Magari sapeva anche che lei aveva parlato con Andrea, che alla fine lo aveva abbracciato come se fosse stato un grande amico, come se fosse stato Claudio stesso.
‹‹Non posso mentire riguardo ciò che ho visto. Dirò tutto con precisione. So bene che inizierà un casino di sentenze, giudizi, udienze, avvocati... tutto costruito sulle mie parole. E so bene che mio padre potrebbe non restare qui con me e mamma. Ma non c’è altro da fare. Sono certa, adesso. La cosa giusta è questa.››
‹‹La fermata giusta è questa.›› Replicò Claudio lentamente, osservandola, ma dando la netta impressione di stare guardando oltre lei, attraverso lei, quasi fosse trasparente.
‹‹Già, come dici tu.››
La discussione rimase un istante sospesa, senza che i due respirassero quasi. Non c’era semplicemente altro da dirsi. Paola si chiese se dire del suo incontro con Andrea e di come le era servito a prendere una decisione. Ma poi rimase in silenzio. Lui, Claudio, ormai ne era certa da come la guardava, sapeva già. E non sapeva per Andrea, lui non gli aveva detto nulla. Sapeva e basta. Era così. E sapeva anche che fra poco, quando si sarebbero salutati, lei non lo avrebbe abbracciato come aveva fatto con Andrea, il giorno prima.
‹‹Senti, adesso io dovrei scappare.›› esordì Claudio ‹‹Devo sbrigare alcune faccende e poi in serata pensavo di farmi un giro, magari al parco.››
‹‹Al parco di sera?››
‹‹Mi faresti compagnia?››
‹‹Sì certo, ma perché? Che devi fare al parco?››
‹‹Mettiamola così: tu hai trovato la tua fermata giusta. Stasera, al parco, io troverò la mia.››
 
I lampioni si accesero, illuminando il parco che, superato il tramonto, rimaneva avvolto nel buio. Andrea e Claudio passeggiavano uno accanto all’altro. Andrea aveva le mani in tasca, mentre Claudio, come al solito, teneva le braccia poggiate dietro il collo.
‹‹Credo davvero che non ci saremmo più parlati, che fra noi fosse finita.››
‹‹Ma no... finché almeno uno di noi si ricorderà dell’altro non penso che accadrà.››
‹‹Ci vai giù pesante con i paroloni, eh?›› Andrea sorrise coinvolgendo anche Claudio nella risata.
‹‹Senti, Claudio, ci tenevo a dirti che, al di là della nostra lite, dei nostri problemi, della nostra stupidità, io ho parlato con Paola. Mi sono scusato. Sentivo di doverlo fare non solo per la nostra amicizia, ma anche per me.››
‹‹Sì, capisco. Penso che sia la scelta migliore, la tua fermata giusta, diciamo. Vi vedo bene insieme, sai?››
‹‹Ma cosa dici, Cla? E poi mi spieghi perché ti sei fissato con questa della fermata giusta? Non parli d’altro!››
Claudio smise di camminare e socchiuse gli occhi concentrandosi, come per ricordare qualcosa. Poi disse: ‹‹Andrea, mi sono scordato che devo fare una telefonata. Mi aspetti qui un momento? Mi devo allontanare, ché come al solito qua non c’è campo!››
Andrea rimase un momento in silenzio ‹‹Non mi hai risposto. Non pensare di evitare così facilmente una domanda! Comunque okay. Ti aspetto qui.››
‹‹Tranquillo, vado e torno. E poi ti spiego cos’è una fermata giusta!››
Andrea poggiò la schiena a un muretto e mise le braccia conserte, in attesa. Claudio prese il cellulare dal suo borsello e iniziò ad allontanarsi. Poi, dopo aver fatto una decina di passi, si voltò all’indietro, continuando nel frattempo a camminare, ma guardando Andrea.
‹‹Andrea! Ora che ci penso tu lo sai già che cos’è una fermata giusta, no? L’hai già trovata! Quindi non ti serve sapere nient’altro!›› si voltò di nuovo e continuò a camminare.
Andrea rimase in silenzio, senza rispondere nulla. Claudio... era sempre stato un ragazzo strano.
Andrea aspettava ormai da vari minuti poggiato al muro. Si mise ad osservare l’orologio e rimase rapito dal progredire lento e inesorabile della lancetta. Si diede una spinta e recuperò una posizione perfettamente eretta, per poi mettersi a camminare senza una meta precisa. Dove si era cacciato Claudio?
Si ritrovò, quasi senza rendersene conto, vicino alla panchina dove due estati prima avevano cominciato la guerra dei gavettoni. Alzò lo sguardo.
 
Il loro passo era piuttosto lento, non avevano fretta di arrivare dove erano stati invitati. Il braccialetto che Liliana indossava sul polso sinistro emetteva un lieve tintinnio in maniera regolare e risultava stranamente piacevole. Mario le teneva l’altra mano, la destra, con il suo solito fare noncurante, che ancora non se n’era andato. Erano in silenzio, avevano già parlato molto.
 
Il sentiero in mattonelle sconnesse che doveva portarla al centro del parco sembrava totalmente deserto. Paola avanzava appena circospetta, non le piaceva l’idea di stare nel parco di sera. L’ambiente circostante era assolutamente silenzioso e la sirena di un’ambulanza in lontananza e qualche clacson non erano altro che percezioni uditive ovattate per lei.
 
Andrea, Liliana, Mario e Paola erano tutti lì, di fronte alla panchina. I quattro ragazzi si guardarono l’uno con l’altro. Ma nessuno di loro trovò il coraggio di dire niente. Nessuno di loro riuscì ad aprire la bocca. Tutti loro semplicemente osservavano quella panchina, in silenzio.
 
‹‹Sapete, eravamo un gruppo unito. Eravamo tutti molto amici. Eravamo io, Andrea, Mario, Liliana e Claudio. Stavamo molto insieme e a volte ci portavamo dietro qualche altro amico. Era tutto... perfetto. C’era Claudio, il leader della situazione; c’era Andrea, il suo migliore amico; c’erano Mario e Liliana, che tutti sapevamo prima o poi si sarebbero messi insieme e poi c’ero io, Alessandro, quello con la testa sulle spalle. Abbiamo fatto tante cose insieme che ci si potrebbe scrivere un libro. Poi, però, è successo quel che è successo. Quello che doveva succedere. Claudio soffriva di cardiopatia congenita. Nessuno di noi lo sapeva. Tre settimane fa circa, ci aveva invitato tutti per fare un giro vicino al nostro solito parco. Nessuno di noi è andato. Ognuno coi suoi problemi. Nessuno di noi c’era. Claudio stava passeggiando tranquillamente, non si sa esattamente come è accaduto. Ma il suo cuore ha smesso di battere. Inutile dire che il colpo lo abbiamo subito tutti, ma in modi diversi. Dopo qualche tempo abbiamo deciso di vederci, tutti insieme, per non dimenticare il gruppo che speravamo potesse esistere ancora. Ricordo ancora quando entrai in quella stanza, era la camera di Mario. Loro erano tutti e tre seduti per terra, sopra dei cuscini. E altri due cuscini erano vuoti. Uno era per me, l’altro per Claudio. Ricordo ancora come mi osservò Mario, dopo che li avevo salutati e mi ero seduto. Mi osservò quasi stizzito: “E Claudio non lo saluti?”. Furono queste le sue parole. “E Claudio non lo saluti?”...Per loro era come se nulla fosse successo. Per loro era come se Claudio non se ne fosse mai andato. Vedevano Claudio, ci parlavano... tutti e tre. Ho pensato di essere io ad avere qualcosa che non andava. Ho passato brutti momenti, ma poi sono tornato in me. La vita continua lo stesso e io me ne sono fatto una ragione. Loro continuavano a vederlo. Andrea, Mario e Liliana avevano sempre visto Claudio come un grande amico, ma non solo. Lui era un supporto, un sostegno, una certezza, una forza a cui aggrapparsi. Non hanno sopportato di vederlo andare via. Loro non potevano accettarlo perché loro avevano bisogno ancora di lui. Ed è stato allora, credo, che se ne sono creato uno tutto loro. Un Claudio che non esisteva, un Claudio che, in un certo senso, la loro stessa mente proiettava. Frutto della loro immaginazione. Questo era diventato Claudio. Quasi un fantasma. Solo dopo ho scoperto che anche Paola era esattamente nella loro stessa situazione. Per tutti loro, per ognuno di loro, nessuno escluso, Claudio c’era sempre stato. In ogni istante, in ogni momento, bastava chiamarlo. Lui era nato per questo, ce l’aveva nel sangue questa forza. Eppure, quando lui aveva avuto bisogno di loro, loro non erano con lui. In quel parco, quella sera, Claudio andò da solo. E fu per questo, probabilmente, che nessuno riuscì a salvarlo e che lo trovarono la mattina dopo, morto, su una panchina.››
 
I quattro ragazzi osservarono la panchina in silenzio. Su di essa, il borsello di Claudio. Immobili, nessuno riuscì a muoversi per qualche secondo, mentre la panchina si trasformava, cambiava forma e diventava una roccia dura e levigata, una lapide curvilinea. E il parco mutava i colori bui e si faceva un cimitero spento e dimenticato.
 
‹‹La fermata giusta. Così la chiamava Claudio. Scendere alla fermata giusta è avere il coraggio di fare una scelta. La scelta che speriamo sia giusta per noi. La fermata giusta è quella che tutti noi cerchiamo sempre di raggiungere, anche se solo in pochi ci riescono.  Di fermata giusta, diceva Claudio, ce n’è una sola e il più delle volte non è una delle regolari fermate del treno e per prenderla bisogna gettarsi dai vagoni mentre sono ancora in piena corsa. Tuttavia non fate l’errore di pensare a questa fermata come ad un arrivo: la fermata giusta, quella veramente giusta, è un punto di partenza. Un punto dal quale ricominciare per andare alla ricerca di altre fermate. Claudio non è mai andato alla ricerca della sua fermata giusta. Eppure, senza dire nulla, è stata questa ad andargli incontro, da sola. E lui l’ha presa.››
 
Il cimitero tornava parco e la lapide panchina e il borsello si trovava ancora lì, un monito, un ricordo, un addio per tutti e quattro. Claudio non sopportava di dover lasciare le cose a metà, non lo aveva mai sopportato. E così anche lui aveva raggiunto la sua fermata giusta, adesso. Il treno stava per partire, finalmente, dopo la lunga attesa. La panchina era ancora ferma mentre Claudio, dal nulla, sembrava comparirvi sopra, accanto al suo borsello. E guardava i ragazzi. E li guardava fiero di sé e fiero di loro. “Già.” avrebbe allora detto “Questa è la vostra fermata giusta”.

Rivolgo un ringraziamento speciale alla mia correttrice di bozze, che mi ha supportato nella stesura di tutto il testo. Si chiama "Hollow Eyes", cercate le sue storie.

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