Engels Zimmer di kymyit (/viewuser.php?uid=36835)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00. Inizio ***
Capitolo 2: *** 1. Ospedale ***
Capitolo 1 *** 00. Inizio ***
Note:
Ho iniziato questa nuova storia, che tramavo da tempo.
Innanzitutto, questa è la pagina facebook: Engels Zimmer
Il destino dei personaggi di questa storia è nelle vostre
mani oltre che nelle mie. Tutto ciò che dovrete fare
è semplicemente rispondere alla domanda che Lo Scrittore
(una figura misteriosa imparentata all'Ombra Misteriosa di Detective
Conan, a quanto pare) vi porrà.
Engels Zimmer è un termine che ho sentito nell'anime: I
sussurri del mio Cuore, dello Studio Ghibli. La Stanza degli Angeli.
L'ho inteso in due sensi, in questa storia. L'Engels Zimmer
è un particolare effetto dato dai graffi sulle pietre
preziose. A causa di essi, infatti, sulla pietra si formano bizzarri
giochi di luce. Così a causa delle vicissitudini, i
personaggi mostreranno varie sfaccettature.
Se potete, rispondete al sondaggio sulla pagina, anche se non avete
voglia di recensire e preferite rimanere nell'ombra come il signor
Scrittore.
Questi sono i personaggi, per la cronaca: Personaggi
ps: Il font del titolo è "Benegraphic"
Engels Zimmer
If I wasn't here tomorrow would
anybody care
If my time was up I'd
wanna know
You were happy I was
there
If I wasn't here
tomorrow would anyone
lose sleep
If i wasn't hard and
hollow
Then maybe you would
miss me
(Would it matter,
Skillet)
Buio, confortante buio. Cecilia strizzò gli occhi,
infastidita da qualcosa che tentava di penetrare le tenebre che
l’avvolgevano in un’ovattata bolla. Nessun rumore,
niente da vedere, avvertiva un dolce tepore intorpidirle le membra e
voleva soltanto rigirarsi nel letto. Sperò che Claire non
aprisse le tende, odiava quando lo faceva. Chissà se a
Claire avrebbe dato fastidio se lei o gli altri ragazzi sarebbero
entrati nella sua stanza a spalancarle le tende mentre si crogiolava
fra le lenzuola.
-Cecilia.-
Si sentì chiamare, ma non era Claire, non erano neppure
Michael o Antonio o Santiago e nemmeno Ashley che alle volte si
divertiva a urlarle dritta nelle orecchie per farla alzare, bimba
pestifera.
Aprì piano gli occhi e sbatté le palpebre, per
difendersi dalla luce accecante. Voci indistinte si levavano intorno a
lei. Cecilia ci mise qualche secondo per accorgersi di non trovarsi
nella sua stanza, nel suo letto e di non essere circondata dai soliti
bambini urlanti reclamanti la colazione.
-Dove sono?-
-Che è successo?-
-Tu chi sei?-
-Io? Chi siete voi?!-
-Che sta succedendo?-
Tutt’intorno a lei c’erano ragazzi e ragazze mai
visti, presumibilmente della sua età, alcuni più
grandi, altri più piccoli. Tutti disorientati, tutti che si
guardavano intorno e poi finivano, puntualmente, per fissare lo sguardo
verso l’unica, accecante fonte di luce.
Cecilia si voltò alla sua destra e rimase senza parole.
Il muro davanti a lei, a loro, era costellato di tante finestre
luminose, tanti schermi accesi sintonizzati sul medesimo canale bianco,
accecante.
Tutt’intorno risuonò d’improvviso uno
scroscio assordante d’applausi.
Ai ragazzi salì il cuore in gola e i loro stomaci furono
contratti in morse d’acciaio. Scattarono in piedi, come
molle, quasi tutti e si guardarono intorno, terrorizzati.
Davanti a loro la parete traboccante di schermi, alle loro spalle una
saracinesca. Sul pavimento c’erano o zainetti o marsupi, ma
nulla che potesse spiegare loro dove si trovassero.
Alcuni si chinarono per raccogliere gli oggetti, Cecilia riconobbe la
sua borsa a tracolla e la raccolse.
Iniziò a frugarvi dentro, dapprima con timore, come se
quell’oggetto non le appartenesse, come se potesse nascondere
qualche pericolo al suo interno.
Vi trovò esattamente ciò che ricordava di averci
lasciato.
C’era il suo portafoglio, con la carta
d’identità, un blocco per gli appunti e
l’ultimo libro che stava leggendo. Rimase in silenzio per
qualche secondo.
L’ultimo ricordo che aveva era l’aver posato la
borsa nella sua stanza, era appena tornata dalla libreria. Era stanca,
voleva fare una doccia e poi cenare, mettersi a letto e iniziare la
lettura. Ma non aveva fatto nulla di tutto ciò. Il
segnalibro era ancora inserito casualmente fra le pagine, era vestita
di tutto punto ed era anche affamata.
“Ma com’è possibile?” si
chiese col cuore in gola “Che qualcuno si sia introdotto in
casa per rapirmi? Ma allora perché non ricordo
nulla?”
Nella sua mente c’era solo il vuoto, l’ultimo
ricordo che aveva era la sua stanza. Aveva posato la borsa, era entrata
in cucina, poi…
-Che sta succedendo?- ripeté con voce stridula una ragazzina
bionda minuta, ancora accucciata sul pavimento.
Cecilia si riscosse e si guardò intorno. La stanza non era
molto grande e non c’erano finestre. L’unica fonte
di luce era quella parete accecante, tutt’intorno c'era solo
il cemento delle pareti.
Erano in una scatola di cemento sigillata, chissà da chi,
forse sarebbero stati lasciati là dentro ammassati come
bestie per chissà quanto tempo. Forse sarebbero morti di
fame o forse erano finiti nel mirino di qualche trafficante di essere
umani! Magari qualcuno che voleva i loro organi o peggio…
Tremò.
Molti bambini potevano temere solo mostri dai quali potevano sentirsi
rassicurati, perché in fondo, loro erano al sicuro, avevano
qualcuno a difenderli. Bastava che il papà o la mamma
aprissero l’armadio armati di torcia che l’oscura
creatura scompariva fuggendo a gambe levate. Quella minaccia era solo
un timore momentaneo.
Ma i mostri che lei e gli altri a casa di Claire temevano erano ben
altri.
Erano mostri umani, che avrebbero approfittato di loro
perché senza guida, senza difesa. Claire li aveva sempre
messi in guardia quando uscivano, lei con i ragazzi
più grandi.
“Mi raccomando” diceva loro “Non date
confidenza agli estranei.”
All’inizio ti chiedevi perché, poi ti bastava
leggere i giornali e scorrere la lista dei ragazzi scomparsi per capire
che c’era qualcuno, là fuori, che si divertiva a
farli sparire.
Altri imboccavano la strada sbagliata e finivano per farsi uccidere.
Cecilia teneva sempre a mente le parole di Claire e si premurava di
rammentarle agli altri, specie ai più piccoli, quando li
portava a giocare al parco.
-Ho paura… - continuò a piagnucolare la ragazzina
bionda seduta a terra.
-Stai bene?- le chiese Cecilia, chinandosi su di lei.
-S-sì… almeno credo.- ripeté quella,
annuendo.
-Riesci ad alzarti?-
-N-no... - rispose incupendosi e volgendo altrove lo sguardo
-Io… non posso… -
Cecilia rimase interdetta da quell’affermazione, ma non ebbe
il tempo di fare altre domande, perché un suono ripetitivo e
fastidioso attirò la sua attenzione e quelle degli altri
ragazzi lì intorno.
Sugli schermi erano comparse delle figure, solo sagome oscurate di
uomini e donne, e al centro della parete, su un monitor più
grande, uno di questi batteva con le dita su un microfono.
-Ben svegliati, miei piccoli angeli.- esordì -Immagino siate
piuttosto confusi, ma prego, state calmi.-
-Calmi un corno!- esclamò una ragazza alta con la cresta
avanzando verso la parete a denti stretti -Che razza di posto
è questo?!-
-Ci stavo arrivando, Cheryl, per favore lasciami finire di parlare.-
rispose la sagoma, al che quella rimase interdetta e
indietreggiò.
-C-come… -
-Noi conosciamo tutto di voi.- rispose la sagoma -Per esempio, Cheryl,
sappiamo che una volta rompesti il braccio a un bambino
perché aveva insultato i tuoi genitori.- disse calcando il
tono su quell’ultima parola.
Cheryl indietreggiò nuovamente e si guardò
intorno, nervosamente, incrociando gli sguardi attoniti degli altri
presenti.
-E tu, Sherri, una volta tanto dovresti davvero raccontare come sono
andate le cose.-
La ragazzina seduta sul pavimento sussultò e
spalancò gli occhi.
-Potrei continuare all’infinito per dimostrare a tutti voi
come vi conosca alla perfezione, uno per uno. Ma non siamo qui per
questo, giusto? Volete sapere perché siete qui. Ebbene: io
sono lo Scrittore e voi siete le mie muse, i miei Angeli.
Ciò che desidero è che voi m’ispiriate,
che ci deliziate!- esclamò aprendo le braccia a includere
nel discorso tutti gli astanti, i quali applaudirono a quel gesto,
ognuno dal proprio schermo.
-Ma che stronzata è?- borbottò uno dei ragazzi
scuotendo il capo e guardando gli altri. Il suo vicino alzò
le spalle.
-Sono pazzi… -rispose scuotendo la testa a sua volta.
-Siamo pazzi, Alan? La pazzia è una cosa relativa, cambia
secondo il punto di vista. Ora siamo noi i pazzi, presto lo sarete voi
e allora chi potrà dire chi sarà il
più folle?-
Cecilia fece qualche passo verso gli schermi.
-Che cosa volete da noi?- domandò con voce tremante.
-Voglio creare una storia su di voi, Cecilia. Su ciò che
farete, da adesso fino alla fine. E loro- fece un ampio gesto con la
mano -mi aiuteranno a scegliere chi fra voi sarà
più meritevole.-
-Più meritevole?- domandò seccata una minuscola
luce rossa sospesa nella penombra, con evidente stizza nella voce. Un
fastidioso odore di tabacco si diffuse nell’aria.
-Di cosa esattamente?-
-Ci sono personaggi forti e personaggi deboli. I deboli sono i primi a
cadere, ma talvolta vengono sorretti dai più forti e lo
diventano a loro volta. A volte i forti diventano deboli oppure cadono
comunque. Chi saranno i forti? Chi saranno i deboli? Chi
cadrà? Miei Angeli, desidero che mi raggiungiate.
Mettetecela tutta, mi raccomando.-
D’improvviso si sentì un clangore metallico e il
rombo assordante di una vecchia saracinesca.
Le luci nella stanza si accesero e mostrarono ai ragazzi e alle ragazze
lì radunati una minacciosa visione.
Alcune delle ragazze urlarono, i ragazzi indietreggiarono impauriti al
latrare di grossi cani molti simili a lupi che marciavano spediti
contro di loro.
Le bestie ringhiavano bellicose costringendo le loro vittime contro la
parete di schermi, mentre, alle loro spalle, oltre la saracinesca
s’intravvedeva un quadrato luminoso.
Uno dei cani, un enorme animale dal pelo grigio scuro,
abbaiò rabbiosamente e uno dei ragazzi, uno di bassa
statura, indietreggiò bruscamente. La bestia, quasi non
aspettasse altro, si avventò su di lui e gli morse la gamba.
Il ragazzo urlò di dolore e spavento e tentò di
divincolarsi.
-Lasciami!- urlò terrorizzato, senza smettere
d’agitarsi, ma l’animale non intendeva lasciare
andare la presa, anzi, strattonò a sua volta il ragazzo,
quasi a volerlo trascinare verso i suoi simili, i quali, si
avvicinavano pericolosamente alla preda, ma senza osare del tutto.
Rimasero alle spalle di quello che sembrava essere il loro capobranco e
che, effettivamente, era l’esemplare più grosso e
anche quello che doveva aver affrontato più lotte,
poiché il suo corpo era coperto di cicatrici.
-Claude!- esclamò Alan, il ragazzo che fino a pochi minuti
prima era stato al fianco dell’altro.
Uno dei cani dietro l’enorme animale grigio gli
ringhiò contro e lui indietreggiò istintivamente,
pallido in volto. Con mani tremanti frugò, però,
nella tasca della felpa grigia e ne estrasse uno scacciacani a
ultrasuoni. Premette il grilletto e gli animali, infastiditi e
spaventati dagli impulsi ultrasonici, abbaiarono allontanandosi dai
ragazzi, indietreggiando e ringhiando.
Il capobranco, purtroppo, sembrava piuttosto resistente e non intendeva
mollare la presa. Alan si morse il labbro, aumentò la
frequenza degli ultrasuoni, ma il cane grigio restava incollato alla
gamba di Claude, che sopportava in silenzio, mentre il sangue iniziava
a colare a terra.
Improvvisamente, ricevendo un secondo segnale, anche questo udibile
solo a loro, i cani si misero a sedere in sincrono, compreso il loro
capo, che lasciò andare la gamba di Claude.
Il ragazzo indietreggiò trascinandosi carponi.
-Grazie della dimostrazione, Alan.- disse lo Scrittore -Bene, ragazzi.
Come Alan, e anche Richard, vi hanno dimostrato, abbiamo deciso di
lasciarvi anche gli effetti personali che vi portavate addosso.
Richard, per favore, smetti di fumare, sai che il fumo uccide?-
continuò a sciorinare lo Scrittore, in tono quasi
amichevole. Come se si trovasse a tavola a discutere con amici dei bei
tempi andati e di quelli futuri.
Il ragazzo chiamato Richard ci pensò su qualche secondo, poi
gettò a terra la sigaretta e la schiacciò col
piede.
-Sherri, la tua sedia a rotelle era piuttosto ingombrante, ma
la troverai qui vicino, insieme a un indizio per raggiungermi. Claude,
fossi in te mi farei curare la ferita al più presto. Buona
fortuna, miei Angeli.-
Ciò detto, gli schermi si spensero e qualcuno diede
nuovamente il segnale ai cani, perché questi si rimisero
sulle zampe, rapidi come soldati di un plotone.
Alan afferrò Claude con un braccio e lo aiutò ad
allontanarsi ulteriormente dal suo aggressore ringhiante che aveva
iniziato ad avvicinarsi nuovamente.
I ragazzi indietreggiavano, i cani avanzavano.
-State indietro!- esclamò una ragazza bionda furiosa, ma non
abbastanza da incutere il minimo timore nell’animale che
aveva di fronte.
-Ehi, usa di nuovo quell’affare.- esclamò un
ragazzo dagli spettinati ricci rossi e la faccia lentigginosa rivolto
ad Alan.
Quello annuì e obbedì. I cani indietreggiarono
nuovamente.
-Dobbiamo raggiungere l’uscita.- continuò il rosso.
-E come?- ribatté una ragazza grassa poco lontano da lui.
Cecilia, che fino a quel momento era rimasta accanto a Sherri,
s’inchinò offrendole la schiena.
-Dai, sali.- le disse e quella, titubante, obbedì. Era molto
leggera. Cecilia le afferrò le gambe per tenerla stretta in
groppa e si avvicinò ad Alan.
-Avanziamo molto piano, facendoli indietreggiare.- propose. Quello
annuì.
-Alan, perché non mi prendi a cavalluccio?- propose,
innocentemente, Claude facendo gli occhi dolci all’altro.
-Mi spiace, caro, ma io offro la schiena solo alle belle fanciulle.-
cinguettò amorevolmente l’interpellato. Claude gli
mise un braccio intorno al collo, con difficoltà.
-Seriamente, lo dico per te, sei troppo alto, potresti spezzarti la
schiena.- insistette, al che Alan dovette ammettere che forse non era
il caso di fare il “prezioso”.
-Ok, ma non ti agitare troppo.- gli fece abbassandosi un poco per
permettergli di aggrapparsi alle sue spalle e salire a cavalcioni. Il
cane davanti a loro reagì ai loro movimenti scattando in
avanti, ma si ritirò con altrettanta velocità
quando gli ultrasuoni raggiunsero nuovamente le sue orecchie.
I ragazzi, sedici in tutto, iniziarono così a muoversi verso
l’uscita.
Il primo tratto di strada fu semplice.
Loro avanzavano, i cani indietreggiavano. C’era spazio
sufficiente per entrambi i gruppi, umano e animale, per la fuga. Una
volta superata la saracinesca, però, scoprirono che lo
spazio si restringeva come in un imbuto man mano che si procedeva sulla
rampa di scale che conduceva all’uscita.
Dall’esterno filtrava una luce fioca.
All’improvviso, con fracasso assordante, la serranda si
chiuse alle loro spalle, tagliando ai ragazzi la via della ritirata.
I cani ringhiarono più aggressivamente spaventando le loro
prede che indietreggiarono e alcuni si strinsero con le spalle contro
la parete metallica.
-Aiuto!- mugolò qualcuno.
-Perché ci stanno facendo questo?- gli ribatté
qualcun altro.
-Cos'ho fatto di male?- pianse un'altra ragazzina aggrappandosi
istintivamente al ragazzo nero di fronte a lei. Alan continuava a
schiacciare il grilletto della sua scacciacani, ma con pochi risultati,
gli animali sembravano molto più aggressivi di prima, come
se un segnale più potente arrivasse alle loro orecchie.
-Altro che scacciacani!- esclamò un ragazzo con un paio di
cuffie intorno al collo -Ce ne vorrebbe una vera.-
Una delle ragazze infilò la mano nella borsa che aveva con
sé e che, come aveva detto lo Scrittore, le era stata
lasciata quando qualcuno, chissà chi, l’aveva
rapita.
Tremante, iniziò ad estrarre la sua pistola, ma una mano le
afferrò il polso e la trattenne.
-Non lo farei, se fossi in te.- disse il ragazzo con i capelli rossi
-Peggioreresti la situazione.-
-Ma… - lei non finì la frase che Richard
strappò dalle mani di Alan la scacciacani.
-A mali estremi… - disse regolando alla massima
intensità la potenza e premendo il grilletto. Poi si
avvicinò minaccioso ai cani, senza mostrare loro
il minimo timore.
Gli animali, infastiditi dal rumore, indietreggiarono, abbaiarono,
tentarono di mordere il ragazzo, ma questi con un’innaturale
calma, continuò a camminare verso di loro, fra di loro,
infastidendoli e costringendoli ad arretrare ancora di più.
Gli altri ragazzi, incoraggiati dal suo gesto, lo seguirono su per le
scale, sino all’esterno.
Quando furono fuori, scoprirono che era notte e che il locale in cui si
trovavano era stato allestito nel magazzino di un negozio la cui
vecchia targa recitava: Antique Chest of Wonders.
-Dove siamo?- domandò Sherri, più a se stessa che
agli altri compagni di sventura. La cittadina intorno a loro era buia,
eccetto che per le luci dei lampioni che illuminavano le strade. Tutto
era silenzio, tutto era pace.
Le uniche creature viventi sembravano essere loro e i cani, i quali non
erano più decisi a far loro la pelle, pareva, anzi,
sembravano nervosi e continuavano a fiutare l’aria in
più direzioni.
Poi, udendo un segnale invisibile, il capobranco sospese
l’attacco e corse via, imitato dai compagni.
I ragazzi li guardarono allontanarsi, col cuore in gola.
Quando scomparvero dietro alcuni edifici e i loro latrati si spensero
nella notte, Richard rese la scacciacani ad Alan e si riaccese la
sigaretta.
Calò il silenzio e il gruppo si strinse, terrorizzato dal
nulla che li circondava. Solo alcuni di loro, lentamente, si separarono
dagli altri, per guardarsi intorno.
-Ci tengono d’occhio.- disse caustica una ragazza bionda,
indicando diverse telecamere di videosorveglianza disposte in punti
strategici e rigorosamente puntate su di loro. -Ma chi?- si chiese.
-Che cosa facciamo adesso?- domandò un’altra
ragazza con una mano sul fianco sinistro e l’altra a
tormentare il mento.
-Propongo di cercare un ospedale.- disse Alan -Come ha suggerito il
“signor Scrittore”, è meglio medicare la
ferita di Claude.-
-Io non lo farei.- ribatté la ragazza bionda che aveva visto
le telecamere -Proprio perché ce l’ha suggerito il
“signor Scrittore”.- fece nervosamente il segno
delle virgolette.
-Scusate… - s’intromise Cecilia -Credo
anch’io che dovremmo andare. Lui ha bisogno di una
medicazione, mentre lei della sua sedia a rotelle. Inoltre, forse
quell’indizio di cui parlava quel tizio potrebbe esserci
utile.-
Sherri si sporse oltre la sua spalla.
-Là.- esclamò indicando alla loro destra un
edificio seminascosto fra altri due, alla fine della via principale.
Alle luci artificiali appariva color mattone, con una grossa croce
rossa sopra la scritta Hospital, della quale s’intravvedevano
solo le lettere centrali.
-Continuo a pensare che non sia il caso… - insistette la
bionda, ma Claude la interruppe.
-Libera di non venire, noi andiamo, vero Al?-
-Aspetta, ha ragione lei.- s’intromise un ragazzo biondo con
l’orecchino al naso -Non possiamo andare così,
cerchiamo di decidere con calma.-
-Alcuni di noi possono andare all’ospedale e gli altri
indagare un po’ su questo posto.- propose allora
un’altra ragazza unendosi al piccolo capannello. Aveva una
fossetta sul mento e un grazioso neo vicino alla bocca.
-Perfetto, io cercherò un rifugio, non credo che
l’ospedale sia un luogo sicuro.- disse la bionda con tono
autoritario. -Ammesso che n’esista uno in questa
città.-
A quelle parole tutti tacquero.
Quella città sembrava deserta. Il solo pensiero li
sconfortava più del fatto di essere in brutta compagnia.
Erano soli in un mondo sconosciuto che nessuno di loro parve
riconoscere.
Alla loro sinistra si ergeva il municipio, al cui fianco
c’erano dei giardini, di giorno luogo di svago, di notte,
quella notte, cupi come una spaventosa foresta piena di pericoli.
-Io vado con lei, neppure io mi fido di quello
“Scrittore”.- disse il biondo.
Un po’ alla volta, tutti i ragazzi si avvicinarono e poterono
guardarsi in faccia e fare le necessarie presentazioni.
Cecilia Burrell, come si presentò, aveva i capelli castano
scuro di media lunghezza tenuti legati in quattro piccole code dietro
la testa.
-Jan Doss.- disse il ragazzo con l’orecchino al naso. Aveva i
capelli biondi e la sua pettinatura antigravitazionale saltava subito
all’occhio.
-Alan Navarro.- fece quello con lo scacciacani -E lui è
Claude.-
-Claude Bartel.- disse l’interessato -Vorrei poter dire che
è un piacere conoscervi, ma avrei preferito incontravi in
altre circostanze.-
Al che seguirono risolini isterici e occhiate sconfortate.
Alan era piuttosto alto, capelli neri lunghi sino al mento, un
po’ sfilati. Claude di contro era alquanto basso, ma ben
messo di corporatura. Aveva i capelli castano chiaro con un accenno di
cresta rivolta a sinistra.
-Sierra Isham.- disse la ragazza bionda. Aveva gli occhi azzurri e un
piercing sulla lingua, nonché un portamento autoritario e
arrogante.
-Io sono Sherri.- disse la ragazzina sulle spalle di Cecilia -Sherri
Burns.- aveva i capelli biondi molto chiari e lunghi appena alle
spalle, scalati dietro, con la frangia corta sopra le sopracciglia.
-Io Jackie Williams.- fece un’altra ragazzina, della sua
stessa età, dai capelli ramati e l’apparecchio ai
denti.
Continuarono a presentarsi, velocemente, uno a uno.
Paul Kutcher, un ragazzo nero di alta statura, con i capelli corti,
baffetti e pizzetto.
Naoto Conway, dai corti capelli scuri illuminati da riflessi rossicci.
Una ragazza minuta, dai caratteri somatici tipicamente orientali.
Hank Rutherford, il ragazzo dai capelli rossi, aveva gli occhi verdi e
le lentiggini sul viso. Portava con sé uno zainetto azzurro.
Cheryl Jones aveva scuri occhi blu e i capelli corti e neri ritti sulla
testa. Un tatuaggio le cingeva il polso, come un bracciale.
Rochelle Houston, nera, aveva lunghi capelli scuri e ricci e il fisico
in carne. Con sé portava una borsetta. Era la più
spaventata fra tutti e ogni tanto la sua mano cercava la pistola nella
sua borsa, quasi fosse un’ancora di salvezza da
ciò che le accadeva. Hank la fissava turbato, ma non le
disse nulla, si limitò ad ascoltare gli altri ragazzi.
Robin Kelly, capelli castani e fossetta sul mento, aveva anche un
grazioso neo. Continuava a sbattere nervosamente il piede a terra, in
preda ad un tic nervoso.
-Decidiamo chi va con chi e dove ci ritroviamo.- propose Rochelle.
La proposta fu accolta con cenni d’assenso.
-Io, Sherri, Alan e Claude andremo all’ospedale.- disse
Cecilia dopo un po’, poiché nessuno diceva nulla.
-Direi che quello è già un posto sicuro.- disse
Richard Kirchner, senza smettere di fumare la sua sigaretta.
-Io propongo di trovarne diversi.- fece Hank, accollandosi le occhiate
dei compagni di sventura.
Il ragazzo arrossì un poco.
-Beh, non si sa mai… credo andrò con…
Sierra e Jan, giusto?-
Il biondo annuì.
-Perfetto.- disse Cheryl -Io farò un giro nei dintorni per
studiare il posto.-
-A quest’ora di notte con quei cani in giro?-
domandò Sherri.
-Non ti sto chiedendo di venire con me.- le rispose la mora, con astio.
Sherri s’ammutolì, chiedendosi
cos’avesse detto di così sbagliato. Cecilia
scoccò un’occhiataccia verso la ragazza col
tatuaggio, ma quella non parve turbata e si avvicinò a
Richard mostrandogli una sigaretta.
Quello si tolse l’accendino di tasca e
gliel’accese. Era più alto di lei di una decina di
centimetri, spalle larghe, capelli scuri tagliati corti e occhi
castani. Vestiva in maniera piuttosto trasandata, ma la cosa curiosa
era che nessuno di loro dava l’aria di essere abbiente.
Alcuni vestivano meglio degli altri, ma nessuno pareva tanto ricco da giustificare un rapimento.
Ma allora perché?
Il terrore dei trafficanti di esseri umani si affacciò
nuovamente nella mente di Cecilia. Ma non aveva mai sentito di
trafficanti che rinchiudono la loro merce in città
abbandonate. Non rischiavano che qualcuno di loro fuggisse?
-Bene, formiamo tre gruppi, prima che i cani tornino.- disse un altro
ragazzo, quello con le cuffie intorno al collo. Si chiamava Thomas
Elliot, aveva i capelli castano chiaro, gli occhi nocciola e
un’aria simpatica.
-Allora, chi viene con noi?- domandò Jan.
-Io voglio capire dove siamo.- disse Jackie, Cheryl sbuffò.
-Non ho voglia di fare la babysitter.- disse, al che la ragazzina
sbuffò a sua volta.
-Sono un po’ troppo grande per averne una.-
ribatté con un sogghigno che spiazzò
l’altra. A quella risposta i ragazzi si esibirono in un
coretto di “ohooooo”.
Alla fine, Paul ed Elliott decisero di seguire Cheryl e Jackie, che non
aveva voluto saperne di cambiare idea. Richard si unì a loro
senza dire una parola, semplicemente si accodò al gruppetto;
Katherine, Naoto, e Hank andarono con Jan e Sierra; Rochelle ammise di
essere terrorizzata all’idea dei cani e si unì al
gruppo di Cecilia, insieme a Sherri, Robin, Alan e Claude.
Il primo gruppo, quello di Cheryl, iniziò a studiare la
città silenziosa e deserta per trovarne i confini e una via
di fuga, nonché dei mezzi per attuarla.
Il gruppo di Sierra esplorò la città, in cerca di
un rifugio, di provviste, persino di qualche indizio che avrebbe
portato allo Scrittore e alle sagome dietro gli schermi.
Cecilia e il suo gruppo si diressero all’ospedale, per
medicare Claude e cercare una sedia a rotelle per Sherri e il
fantomatico indizio.
I ragazzi si diedero appuntamento là per le cinque del
mattino.
Erano le due, mancavano ancora tre ore.
Prima di separarsi, Hank aveva domandato ad Alan la sua scacciacani, ma
quello era restio.
-Ho la fobia dei cani.- ammise.
-L’ospedale è vicino e poi credo che lo Scrittore
voglia farvi arrivare là.- ribatté Hank.
-Chi te lo dice?-
-Non lo so, è un’ipotesi molto realistica.-
rispose Hank alzando le spalle.
Dopo varie resistenze, alla fine Alan gli cedette l’oggetto,
raccomandandogli di non perderlo.
-Tranquillo, spero di risparmiare sulle batterie.- disse il rosso prima
di dargli le spalle e correre dietro al suo gruppo.
A
questo punto chiedo a voi, sagome oscurate nella luce, quale gruppo
volete seguire?
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Capitolo 2 *** 1. Ospedale ***
Capitolo 01:
Ospedale
You're hiding in your safe
place
Hiding with your eyes shut tightly
All the way to the hospital
(Hospital, The Used)
Arrivare all’ospedale fu relativamente semplice, non
psicologicamente, comunque. Non dopo essere stati rapiti e catapultati
in una cittadina apparentemente deserta ed essere stati aggrediti da un
branco di cani feroci per il divertimento di un mucchio di gente
sconosciuta che li guardava comodamente da casa. Avrebbe voluto vedere
quei maledetti al loro posto, Alan, che mentre correva con l'amico
d'infanzia sulle spalle, si guardava nervosamente intorno, coi sensi in
allerta e il cuore impazzito. Certe cose lasciano il segno e lui aveva
la solita sfiga di essere una calamita per tutti i cani del creato mal
disposti. Mai l'avesse fatto! Portare a spasso un cagnetto, che mai
era? Era un cane un po' rompiscatole, di quelli che amano attirare
l'attenzione. Non era la prima volta che lo portava a spasso per
l'isolato. Pochi metri a zonzo e la bestiola dimenticava di abbaiare e
ringhiare al suo dogsitter con aria minacciosa per correre felice verso
l'orizzonte.
Purtroppo non aveva considerato un piccolo dettaglio quando aveva
accettato quel lavoretto. I randagi. Mentre portava la piccola piaga al
parco si era ritrovato davanti una bestiaccia dal pelo lurido e l'aria
tutt'altro che rassicurante. I due animali si fiutarono per qualche
secondo, mentre lui sudava freddo e pregava. Il cane grosso
scoprì i denti ringhiando, forse erano nel suo territorio.
Allora, Alan tentò di strattonare il cagnetto, forse li
avrebbe lasciati in pace se avessero tolto il disturbo. Peccato che la
piccola peste fosse più testarda del previsto e sopratutto
molto incosciente. Il cane scattò in avanti difendere il
proprio passo e morse il cane più grosso alla zampa. Con un
guaito di dolore, l'animale più grosso reagì e,
afferrata la bestiola con la bocca la strattonò e
scagliò lontano, per poi correre verso di lei coi denti in
mostra. Alan dovette correre per afferrarlo ad un soffio dalla morte.
Fu veloce, lo sollevò da terra e sentì affondare
i denti del cane di grossa taglia nella carne del braccio. Fu
lancinante il dolore che provò, ma l'adrenalina fece il suo
lavoro. Colpito l'animale con un calcio, riuscì a sfuggirgli
correndo più veloce che poté. Doveva essere una
sorta di beffa del destino, quella, pensò.
Anche quella volta si era recato in ospedale, ma stavolta era Claude a
sanguinare e a soffrire e lui tremava, facendosi scudo della loro
amicizia, del suo istinto di protezione, per difendersi dal pensiero
che quel branco potesse tornare e che nessuno li avrebbe richiamati.
Gli sembrava d'impazzire di paura ad ogni passo, il sangue gelato nelle
vene.
“Tieni il passo. Un piede dietro l'altro. Destra, sinistra,
destra, sinistra...”
Si era già pentito di aver ceduto la sua scacciacani ad Hank.
“Merda, che mi è passato per la testa?!”
si rimproverò ogni volta che un rumore sospetto terrorizzava
il gruppo, congelandolo sul posto. Cercava di non darlo a vedere, ma
era teso come una corda di violino. Sherri era aggrappata saldamente
alle spalle di Cecilia che spronava tutti, mentre Rochelle stringeva
spesso la sua borsa, per sentire fra le dita la rassicurante forma
della pistola, il suo unico appiglio in quella situazione incerta e
spaventosa. Ormai erano quasi arrivati, una volta giunti
all’ospedale sarebbero stati al sicuro. Almeno questo si
auguravano.
Divertente come l’idea di un tetto sopra la testa possa
rassicurare le persone, quando, invece, i pericoli sono ovunque.
Superata la fila di edifici che nascondeva il complesso ospedaliero
alla vista, i ragazzi si ritrovarono nel grande pianale di fronte alla
struttura.
Non sembrava una clinica molto grande, forse la città non
era molto estesa. Beh, questo l’avrebbero saputo in seguito,
quando i gruppi si sarebbero riuniti.
Davanti alle porte automatiche, tirarono tutti un sospiro di sollievo:
erano aperte, come se il complesso volesse accoglierli a braccia
aperte. Nel buio e nella desolazione. Perché non vi erano
luci, né personale.
Esitarono sulla soglia.
-Oh, fantastico…- commentò Claude -E adesso?-
-Non so quanto ci convenga stare fuori... - commentò Alan.
Rochelle non disse nulla, si limitò a fare spallucce.
Francamente, nessuna delle due alternative le piaceva. Quel posto
sembrava così lugubre, chissà chi o cosa poteva
esserci dentro, in agguato...
-Forse dovremmo cercare il generatore.- propose Cecilia -Qualcuno di
voi ha una pila?-
-Io... - disse Rochelle, frugando nella borsetta e porgendogliela.
-Purtroppo non è un granché.- ammise.
-Sempre meglio di nulla.- rispose Cecilia prendendo l'oggetto e
schiacciando il pulsante d'accensione che si trovava
sull'estremità. Il debole fascio luminoso fu appena
sufficiente per dissipare le tenebre dell'ingresso.
-E se ci fossero... - Alan si morse le labbra. L'idea che quel posto
fosse il covo di quei cagnacci gli fece rivoltare le budella.
-La struttura sembra in buono stato... - commentò Sherri,
man mano che il fascio illuminava il banco perfettamente ordinato della
reception, con tanto di materiale di cancelleria e fogli intonsi. Il
computer presente sul banco era un modello relativamente vecchiotto, ma
in ottime condizioni e tutto sembrava pulito, come se fosse stato
pronto all'uso.
Robin sollevò la cornetta del telefono bianco, con sopra
delle etichette per i numeri importanti ancora vuote e, con poche
speranze, se la portò all'orecchio.
-Non funziona.- disse.
-E ti pareva.- bofonchiò Rochelle.
-Beh, magari è perché non c'è luce.-
commentò Cecilia -Magari se le accendiamo
funzionerà. Secondo voi, dove sarà il
generatore?-
Claude si sporse appena dalle spalle di Alan.
-Credo sia nei sotterranei.-
-N-nei sotterranei?!- balbettò Rochelle.
-Sì, nei film horror di solito si trovano in posti del
genere e quando poi i protagonisti-
-Non aggiungere altro.- lo interruppe quella, nervosamente. -E comunque
dubito che funzionerà comunque, visto che i cellulari non
prendono.-
-L'unica mi sembra tentare, piuttosto che star senza far nulla.- disse
calma Robin. -Dividerci è fuori discussione, andiamo
insieme, tanto più che l'alternativa è di
rimanere qui ad aspettare che la pila esaurisca le batterie.-
-Concordo. Se ci dividessimo, come nei film horror, faremmo una brutta-
-PIANTALA!- esclamò esasperata Rochelle. Claude si concesse
una risata isterica, dopotutto in quelle situazioni bisognava scherzare
per non lasciarsi prendere dal panico.
-Non fate casino, voi due.- disse Robin esasperata.
Per infiniti minuti il gruppetto s'incamminò per la
struttura ospedaliera, scrutando ogni cartello, ogni mappa, qualsiasi
indizio per raggiungere la loro meta. Alla fine di un corridoio, oltre
la sala d'attesa del pronto soccorso, trovarono la biforcazione di due
rampe di scale in granito grigio.
Una s'arrampicava ai piani superiori, l'altra scendeva, inghiottita nel
buio.
-Ovviamente non si vede nulla.- commentò Claude.
-Ssssh!- ribatté Rochelle, tesissima e in ascolto -Non
sentite niente?-
Tesero tutti le orecchie.
-Nulla...- commentò combattuta Cecilia. Sherri si strinse a
lei, in silenzio. Robin prese la pila dalle mani di Cecilia, vedendo
che non accennava a muoversi. Lei stessa non aveva molta voglia
d'avventurarsi in quella che aveva tutta l'aria della discesa per
l'inferno, ma qualcuno doveva pure fare qualcosa.
La cappa della paura si faceva più pesante e insopportabile
e il minimo rumore, persino i loro respiri li faceva sussultare, man
mano che scendevano. Arrivati alla fine della rampa, svoltarono in un
corridoio a sinistra, sulla destra c'era un'uscita d'emergenza, ma al
momento non li interessava. Oltre una porta con un cartello che
riportava: “Vietato al personale non autorizzato” e
un altro cartello triangolare con scarica elettrica nera disegnata
trovarono quello che cercavano.
-Direi che ci siamo.- annunciò Claude. -A questo punto manca
solo il killer misterioso.-
Rochelle gli lanciò un'occhiata indispettita, mentre Robin,
scuotendo la testa, abbassava la maniglia. Il fascio di luce della pila
illuminò il pannello elettrico dell'intero impianto.
Cecilia osservò le varie leve e i pulsanti, poi
abbassò l'unica di quelle che era rimasta sollevata. Dopo
diversi lampeggi, le luci al neon si accesero e i ragazzi si
osservarono dapprima fra loro per riconoscersi o, meglio, per
conoscersi, per trovare un che di rassicurante e familiare in
quell'ambiente estraneo e ostile. Tutt'intorno, la luce alleggeriva
solo di poco il senso d'inquietudine e di estraneità.
Rochelle sospirò di sollievo.
-Forza.- disse Alan, impensierito -Dobbiamo medicare la ferita di
Claude.-
-Grazie mammina!- esclamò quello, mentre salivano a passo
lento e stanco le scale per tornare all'ingresso, dove c'era
l'accettazione. Mentre Robin e Rochelle si fiondavano sul telefono, per
vedere se funzionasse, i due ragazzi entrarono nell'ambulatorio del
pronto soccorso seguito a ruota dalle altre due. La porta non era
chiusa a chiave e al suo interno vi era il medesimo odore di medicinali
e di nuovo che impregnava tutto l'edificio.
Accesero la luce e si trovarono davanti un lettino. Tutti gli strumenti
erano riposti ordinatamente e accuratamente sigillati nelle loro
confezioni. Sulla sinistra, accanto a un armadio metallico a vetrina,
trovarono abbandonata una sedia a rotelle ricoperta di adesivi colorati.
-Eccola!- esclamò Sherri.
-Sedia trovata.- commentò Alan.
-Gamba curata.- gli fece eco Claude, mentre l'amico lo aiutava a
distendersi sul lettino. Cecilia aiutò la ragazzina bionda a
sedersi sulla sedia a rotelle e quella constatò che fosse in
buone condizioni. Ma d'indizi allegati neppure l'ombra.
-Aspetta a cantare vittoria.- rispose Alan sollevando con attenzione i
pantaloni all'amico. Il morso aveva assunto un colore inquietante e la
gamba si era gonfiata molto. -Ok, dovremo sciacquarla abbondantemente
innanzitutto.- disse e prese a lavarsi le mani nel lavello,
dopodiché prese il sapone liquido e lo sparse sulla gamba di
Claude.
-Scusa, farà male, ma devo lavartela prima di disinfettarla.
Sei vaccinato per il tetano?-
-... Alan, tu sai fare i vaccini?-
I due si guardarono in silenzio per diversi secondi.
-Non so da dove iniziare... -
-Perderò la gamba... -
-E io le testa, se continuate a battibeccarvi così!- fece
Robin sulla porta -Non siamo a una scampagnata, vi ricordo.-
-Dal tuo tono, cara, suppongo che il telefono non prenda, esatto?-
rispose Claude, con un sorrisetto tagliente.
L'espressione torva di lei fu più che sufficiente come
risposta.
-Ti serve aiuto?- chiese, poi, Cecilia al ragazzo che si scervellava
fra le boccette di farmaci vari.
-Beh, se ci capisci qualcosa di medicina mi saresti molto d'aiuto.- le
rispose Alan, versando dell'acqua ossigenata sulla ferita e facendo
sussultare l'altro per il dolore. Claude strinse i denti sibilando per
il dolore.
-Scusa, mi spiace!-
La ferita era puntiforme, coi buchi dei canini molto profondi. L'acqua
ossigenata sfrigolò sulla pelle, creando una sorta di
crosticina bianca intorno alla ferita livida.
-Speriamo non s'infetti...- mormorò Alan fasciando la ferita
con cura. -Per ora direi che può bastare, ma bisogna fare
anche l'antitetanica.-
Seguendo Robin e Rochelle, il gruppo si avventurò per
l'ospedale. Il rumore dei passi e delle ruote che giravano erano gli
unici a rompere il silenzio. Attraversarono vari locali e visitarono
diverse stanze, tutte vuote. O meglio, vi era tutto ciò che
serviva, ma mancavano le persone. Un altro piccolo deserto.
All'accettazione rivoltarono il bancone come un calzino, scoprendo che
il computer era funzionante, ma che non c'erano documenti, solo una
marea di fogli intonsi. Una volta acceso, sul monitor comparve la
schermata col nome utente, ma non c'erano suggerimenti per la password.
L'immagine era una sagoma oscurata e il nome utente era Lo Scrittore,
ovviamente.
-Ma merda!- sbottò Robin, dopo aver provato alcune password.
“Angeli”, “Scrittore”, cose
simili. Provò persino “pazzo
psicopatico”, giusto per sfogare un po' la rabbia repressa.
Poi sbatté la mano sul bancone e si alzò,
imprecando.
-Cerchiamo da qualche altra parte...- propose Cecilia, Sherri la
seguiva muovendo rapide le mani sulle ruote, apparentemente senza
sforzo. Seguite dagli altri, entrarono in quella che doveva essere la
sala riservata al relax dei dipendenti della struttura.
E là, finalmente, lo trovarono.
L'indizio!
Sul televisore era appuntata una busta da lettere e sul tavolino in
vetro davanti a quello c'era una scatola dello stesso blu scuro, in
velluto, di una decina di centimetri di lunghezza.
Robin staccò la busta, mentre Sherri prese fra le mani la
scatola e l'aprì. Dentro c'era una chiave antica finemente
decorata, color d'oro, con incastonata una pietra rossa
sull'impugnatura.
-Cosa c'è scritto?- domandò Rochelle,
avvicinandosi a Robin, per vedere il biglietto che stava estraendo
dalla busta. Era in carta nera, scritto a caratteri bianchi.
Si avvicinarono tutti per leggerlo.
“Miei cari Angeli, vi raccomando di utilizzare al meglio e
correttamente le risorse che vi metterò a disposizione.
Quando ci sarete tutti, vi darò io stesso il primo indizio
per lasciare la mia città. Per dimostrare quanto tenga a voi
e alle vostre preziose vite.
Lo Scrittore.”
-Ma brutto bastardo!- ruggì rabbiosamente Alan -Fa anche
dell'ironia, adesso?!-
-Si può sapere cosa vogliono da noi!?- piagnucolò
Sherri, seguita a ruota da Rochelle.
-Ce l'ha detto, no?- disse una voce femminile. Era Sierra.
La ragazza avanzò a passo pesante per la stanza e si
buttò a sedere sul divano morbido.
-Vuole ispirarsi a noi, il disgraziato.-
Jan e gli altri fecero capolino subito dopo e dalle loro facce
abbacchiate non c'erano dubbi che non avessero ottenuto risposte. Non
quelle che speravano almeno.
-Allora?- domandò Alan.
Jan si buttò a sedere accanto a Claude, sul divano.
-E' una bella città, molto ordinata.- iniziò -Ci
sono molti negozi e sembrano persino molto riforniti di cibo. Peccato
che siano tutti chiusi. Anche se ci sono gli orari di apertura e
chiusura.-
-Anche questo ospedale sarebbe perfettamente funzionale. Sapendo dove
mettere le mani.- rispose Alan.
-Come va la gamba?.- domandò Jan, rivolto a Claude.
-Forse non la perderò.- disse, tentando di sorridere, ma gli
uscì una smorfia stentata.
-Tieni.- disse Hank, porgendo ad Alan la scacciacani. -Non abbiamo
dovuto usarla, per fortuna.-
-Meno male neppure noi... - ripose quello, ficcandosela immediatamente
in tasca. -E non abbiamo scoperto poi molto. Beh, abbiamo trovato
questo.- disse, mostrando il biglietto ai due. Lo rilessero una seconda
volta e il commento a fine lettura fu un unanime “ma brutto
bastardo!”-
-Ma perché noi?!.- esclamò Naoto, camminando su e
giù per la stanza. -Ci sarà un motivo, no?-
-Un legame intendi?- rispose Hank, accomodandosi sul divano anche lui.
-Chissà. Qualcuno di voi è ricco?-
Si guardarono, squadrandosi l'un l'altro dalla testa ai piedi.
-Già, siamo tutti poveri in canna.- alzò le
spalle Hank.
-Ma perché rapirci, se non possono avere un riscatto?!-
esclamò Naoto, irritata.
-Ce l'hanno detto, no?- fu Richard, questa volta, ad entrare nella
stanza, seguito dagli altri. -Sarà un povero psicopatico col
blocco dello scrittore e molto sadismo.-
-E molti soldi.- aggiunse Cheryl, tirando con la sigaretta. -Siamo su
una fottuta isola, gente. Un'isola deserta con tutto ciò che
serve per vivere.-
-E un branco di cani pronti a sbranarci se mettiamo piede fuori da
qui.- aggiunse Alan, tremando al solo pensiero.
-A proposito...- s'intromise Paul, avanzando verso Claude -La gamba?-
Quello alzò le spalle.
-Se sono fortunato mi resta attaccata.-
Alan gli diede una gomitata.
-Ok, ok... Alan mi ha premurosamente medicato.- asserì con
aria affabile.
Paul gli guardò rapidamente la gamba.
-Posso? Studio medicina.- chiese.
-Sai fare un antitetanica?- gli domandò Claude.
-Aspetta, per studiare medicina ci vogliono, soldi.- esclamò
Katherine, scontrosa.
-E rapivano voi con me che neppure vi conosco? Andiamo!-
ribatté Paul, seccato, chinandosi sulla gamba di Claude.
-Hai sciacquato la ferita?-
-Sì.- fece Alan.
-Disinfettata?-
-Sì, sì. Solo bisognerà fare
l'antitetanica o l'antirabbica o non ricordo bene cosa si fa in questi
casi.- borbottò. Era molto suscettibile sull'argomento. A
parte che con le ferite in genere non si scherzava, ma l'esperienza
personale gli aveva lasciato il segno. Paul si alzò,
uscì dalla stanza e tornò poco dopo con una
fialetta e una siringa, pronto per una bella iniezione.
Trovò i compagni di sventura raccolti intorno al televisore
acceso.
Sullo schermo, capeggiava l'immagine sfocata dello Scrittore.
Ormai erano tutti insieme, tutti nella stessa stanza ed erano le cinque
del mattino.
-E' un piacere rivedervi tutti insieme, miei piccoli Angeli.- disse con
voce affabile. -Come promesso, riceverete ora istruzioni su come
lasciare la città e venirmi a cercare. Chi
riuscirà a trovarmi, potrà tornare a casa.-
-Aspetta!- esclamò Cheryl -Si può sapere chi
cazzo sei?!-
-Non impari mai, Cheryl, eh? Tuo padre approverebbe questo tuo
comportamento?-
La ragazza digrignò i denti.
-Angeli miei, per trovarmi dovrete semplicemente trovare la chiave
della mia dimora. Poiché tengo a tutti voi, c'è
una chiave per tutti, perciò potrete prenderle e
raggiungermi, a patto che le troviate tutte.-
I ragazzi si scambiarono occhiate interrogative.
-Alle ore 08:00 del mattino inizierete a cercare le chiavi e ogni
notte, alle 23:00, vi lascerò un indizio per trovarle. Qui,
in questa stanza. Se fallirete, perderete la chiave che stavate
cercando e quella di uno qualsiasi degli altri. Potrete decidere a chi
dare le chiavi come preferite, ma vi consiglierei di soppesare bene la
vostra scelta. Sherri, vedi quella pietra rossa sulla chiave?-
-S-sì...- fece la ragazzina, rigirandosi fra le dita
l'oggetto e mostrandolo agli altri.
-Quello è il primo indizio.-
-Come sarebbe a dire?! Non... non ci dice nulla!-
-Non ci avete pensato bene, Elliot, è diverso. E' molto
semplice, pensate bene a tutto ciò che quella chiave
può rappresentare e troverete la seconda. Buona fortuna,
miei piccoli Angeli.-
Lo schermo tremò appena, poi la televisione si spense.
-E vaffanculo.- bofonchiò Cheryl.
-Aspetta di leggere il biglietto, allora.- disse Jan, passandoglielo,
cosicché lo leggessero anche gli assenti. Un bel ma va a
quel paese collettivo fu d'obbligo ancora una volta. Poi
calò il silenzio e la cappa della paura ammantò i
presenti.
-E adesso che facciamo?- domandò Sherri.
-Dobbiamo capire questo indizio del cavolo.- fece Elliot, rigirandosi
la chiave fra le dita. -Forse dobbiamo trovare una serratura adatta.-
-Non credo...- disse Rochelle -Mentre cercavamo il generatore
elettrico, abbiamo aperto diverse porte e tutte le serrature erano
diverse... forse l'indizio non si trova qui... -
-Dovremmo comunque cercare.- fece Alan -Potremmo dividerci per farlo.
Non possiamo neppure riposare, merda!-
-Cerchiamo di appuntare tutte le nostre idee.- suggerì
Rochelle.
-Giusto.- convenne Cecilia -Cosa rappresenta per voi questa chiave?
Credo che anche quello fosse un indizio.-
Ci pensarono un po'.
-La libertà?- domandò Elliot -La fine di
quest'incubo?-
-Avete mai visto il film “The skeleton key”?-
domandò Claude.
-Potrebbe essere la chiave di un tesoro!- suggerì Sherri.
-Sì, come no.- rispose Cheryl -Oppure può essere
solo una presa per il culo.-
-Oppure modera i termini e smetti di fumare.- ribatté Robin.
-Cazzo vuoi, ah?- saltò su quella.
-Per favore, non iniziate!- si mise fra loro Cecilia.
-Ragioniamo!- s'aggiunse al coro Sierra.
-Ehm, ragazze?- alzò la mano Hank -Avete dato un'occhiata al
computer nell'accettazione?-
Si voltarono tutti verso di lui, facendolo nuovamente arrossire.
-Cioè... pensavo, e se con chiave si riferisse a una chiave
d'accesso?-
-Non vedo come possa esserci comunque utile, se non sappiamo
qual'è.- borbottò Richard, sdraiandosi sul divano.
-Aspettate...- fece Jackie -Mi è venuta in mente una cosa.
Conoscete le storia di Barbablù?-
-Io sì.- fece Cecilia -La mia madre adottiva me la
raccontava quando ero piccola.-
-Anche a me la raccontavano.- disse Robin -Per insegnarci a non ficcare
il naso, dove vivo io è meglio farsi gli affari nostri, si
rischia di farsi ammazzare.-
-Un attimo, un attimo... anche io sono stato adottato.-
saltò su Alan.
-Cosa? Anche io!- fece Jackie.
-Io... io vivo in un orfanotrofio... - disse Sherri, pallida.
-I miei sono morti quando ero piccolo.- disse Hank, serio.
-Anche i miei sono morti.- rispose Elliot, stringendo i denti.
-A quanto pare è questo che ci lega...- disse Richard.
-O forse è che siamo soli.- disse Paul -I miei sono vivi, ma
non vivo più con loro da tempo. E non ho buoni rapporti con
loro.-
-Perfetto!- esclamò Sierra. -Nessuno ci cercherà,
così!!-
Jan abbandonò la testa sulla spalliera del divano.
-Fantastico. Merda... - ringhiò “Spero solo che
Hazel e Mel stiano bene... merda... non ricordo nulla... come ci sono
arrivato qui?!”
-Cerchiamo di non essere pessimisti!- esclamò Cecilia
-Pensiamo a trovare quelle chiavi ora!-
-Ora si che mi hai dato un po' di ottimismo... - commentò
Richard, atono.
-Beh, scusa, qualcuno deve pur farlo.- ribatté lei.
-Vediamo, la storia di Barbablù parlava di questo tizio
ricchissimo che sposa delle fanciulle e da loro delle chiavi.-
Tutti le prestarono immediatamente attenzione.
-Dice loro che possono entrare in tutte le stanze del suo castello,
fare quello che vogliono, solo, non devono usare un'unica chiave. Era
piccola e dorata, come questa.-
-Ed era maledetta.- precisò Jackie -Quando una sposa
disobbediva ed entrava nella stanza proibita, trovava i corpi delle
precedenti mogli dell'uomo. Nella storia si dice che la chiave rimaneva
macchiata di sangue e che la sposa non riusciva a ripulirla.-
-La pietra rossa è il sangue... - fece Robin.
Dopo un consulto generale fatto di sguardi, tutti si precipitarono
davanti al monitor. Robin si sedette e digitò la parola
'Barbablù'.
PASSWORD ERRATA
-Prova a scriverlo con la maiuscola o staccato.- propose Jackie.
Robin obbedì.
ACCESSO IN CORSO...
-Evvai!- esclamò Claude agitando il pugno in un gesto
trionfale.
La clessidra sullo schermo ruotò su se stessa diverse volte,
mentre il sistema operativo veniva caricato. Il desktop era
completamente anonimo, eccetto che per alcune cartelle che riportavano
dei numeri.
Robin cliccò sulla prima.
Dentro c'era un solo file di testo, dal titolo:
“CONSEGNATA”.
Lo aprì per leggere cosa ci fosse scritto.
“Password Secondo Angelo: Anna”
Rapida, Robin andò ad aprire la seconda cartella.
PASSWORD:
Digitò “Anna” e il file si
aprì.
-Chi era Anna?- chiese Paul.
-Chissene.- rispose Cheryl.
-Era la sorella della moglie di Barbablù.- fece Jackie.
-Non era lei?- domandò Cecilia, che ricordava una versione
un po' diversa della storia.
-Beh, comunque sia, prima ci ha dato la carota, ora il bastone.- disse
Robin con un sospiro, una volta aperto il secondo file, che era
un'immagine. Una scacchiera, per la precisione, con solo alcuni pezzi
degli scacchi disposti.
Fine Capitolo
1
Note dell'autrice: (non dello
Scrittore, precisiamo): E' da molto che non aggiorno
questa storia. Ho avuto un mezzo blocco dello scrittore e me ne scuso.
In realtà, questo capitolo è stato difficile e
non mi convince comunque. E dire che adoro i personaggi e che Claude mi
aiuta molto a superare il blocco (immedesimarmi nel pirla di turno
è sempre utile u.u), ma era comunque un macello. E per
complicare maggiormente le cose ci sta pure l'enigma con gli scacchi,
che spero non mi si rivolti contro. >_> Non sono una gran
giocatrice, anzi. Potrei farmi scaccomatto da sola, non so se mi spiego
xp
Sono aperta a suggerimenti e critiche costruttive varie ^_-
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