Everybody wants to Rule the World

di Kisuke94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Beginning ***
Capitolo 2: *** Tour Eiffel ***
Capitolo 3: *** Escape ***
Capitolo 4: *** Memories ***
Capitolo 5: *** Ghosts from the past ***
Capitolo 6: *** Awakening from a nightmare ***
Capitolo 7: *** New Moon ***



Capitolo 1
*** The Beginning ***


“Sono passati ormai dieci anni dalla dipartita dell’ultimo imperatore di Britannia, l’imperatore folle; dalla morte di Lelouch. Il mondo da allora è un posto migliore: le persone vivono in armonia tra loro, senza guerre né lotte per la sopravvivenza. Lo Zero;Requiem ha dato alla fine i suoi frutti eppure non riesco più a dormire. Ho ucciso il mio miglior amico, ho accettato la condanna di essere Zero e di rinunciare alla mia vera identità.. Dovrei essere felice di aver fatto del mondo un posto migliore ma, allora, cos’è che mi turba?”
 
Con queste parole Suzaku si allontanò dalla finestra che mostrava lo skyline di Parigi. In lontananza la Tour Eiffel, illuminata come sempre calata la sera, torreggiava sul Campo di Marte e presenziava immobile sulla riva del Senna. Indossava abiti civili e nascondeva, sotto un foulard, una cicatrice profonda che percorreva quasi interamente il collo, altrimenti perfetto, del ragazzo. Spostandosi all’interno della stanza stava cercando di dare una spiegazione plausibile a ciò che era accaduto nelle ultime ventiquattr’ore. Si portò la mano al mento e, con lo sguardo incupito, sfiorò lentamente il labbro inferiore. Sulla scrivania, di legno antico, con un rifinito cristallo che percorreva tutta la base superiore, c’era la maschera di Zero, quella che aveva indossato quel giorno. Era ancora visibile sulla parte sinistra, ormai indelebile, il segno del patto stipulato col sangue, al quale aveva costantemente tenuto fede senza mai esitare. Il Geass imposto da Lelouch, che si era imposto. Non aveva smesso di fissarla dal giorno precedente, quando tutto ebbe inizio.
Si avvicinò e prese il casco tra le mani. Lo girò e iniziò a fissare la luce verde che non smetteva di lampeggiare sulla parte inferiore dello specchio oculare sinistro. Non ne aveva fatto parola con nessuno, non potendo in alcun modo venir meno al voto. Gli ex membri dei Cavalieri Neri, Kallen in primis, avevano provato più volte a scoprire la sua vera identità, fallendo ogni volta. Rimasero poi sorpresi per l’inatteso scioglimento dell’Ordine da parte di Zero tre anni dopo la liberazione di Britannia. Aveva a lungo riflettuto su quella scelta, e gli era sembrata la cosa più ovvia da fare. Naturalmente aveva proposto ai Cavalieri di continuare a combattere per la giustizia proponendosi come Soldati volti alla difesa dei più deboli e del loro paese, ma molti decisero di deporre per sempre le armi e dedicarsi alla famiglia. Per questo Suzaku preferì seguire da solo le tracce che portavano direttamente in Francia. Quella luce, infatti, altro non era che un trasmettitore a lungo raggio, e qualunque fosse la fonte di quel segnale era lì, a Parigi. Si trovava ad affrontare così una situazione alquanto strana, le cui dinamiche e i fini gli erano del tutto ignoti. Innervosito, quindi, tamburellò con le dita sulla parte anteriore della maschera, tenendo il tempo del lampeggiamento: due rapidi e uno prolungato.
 
Il giorno precedente, quando la ritrovò all’interno di un armadio a parete, nascosto da ante di legno che si ripetevano lungo tutto il muro perimetrale della stanza, ne era rimasto indispettito. Suzaku, infatti, non ricordava di aver riposto lì, tantomeno di aver tenuto con sé, la maschera; soprattutto in un luogo simile, all’interno della casa vittoriana che gli era stata donata dalla Governatrice Nunnally. Sfiorò lentamente l’anta prima di aprirla con rigidità, per poi scoprire l’artefatto. La prese con delicatezza e la portò al volto. Sussultò, allontanandosi dalla parete lasciando cadere la maschera sulla moquette rosso cremisi. La vide rotolare su se stessa, poi si abbassò e la prese di nuovo.  Portandola al volto le emozioni di quel giorno riaffiorarono prepotenti e lo colsero alla sprovvista. Ripresa, però, notò una spia verde smeraldo che lampeggiava sulla parte inferiore dell’interno della maschera. Non capiva come fosse arrivata lì, chi avrebbe potuto portarla in quella stanza, ma cosa che ancor più non gli era chiara, era la natura di quella luce.
 
Suzaku ritornò al presente, fece una smorfia e ripose la maschera sulla scrivania quando il cellulare iniziò a squillare. Il numero non era riportato, al suo posto la scritta: UNKNOWN.
 
“Come se non bastassero le stranezze in questa storia” pensò il ragazzo, ruotando lo sportello del suo cellulare. La chiamata era partita, ma un silenzio inquietante seguì i pochi secondi che passarono prima che una voce meccanica iniziò a pronunciare una serie di numeri in sequenza rapida, ripetuti ogni sei. Suzaku si pietrificò, non sapeva se quello era uno scherzo o meno, ma in entrambi i casi quella situazione non gli piaceva e, lentamente, capiva che stava precipitando. Si lanciò verso la scrivania, con gli occhi sgranati; cercò in fretta un foglio di carta e una penna nel cassetto sottostante. Prese entrambi e iniziò a segnare i numeri nonostante un’interferenza continuava a disturbare gli ultimi due. Suzaku provò a prestare orecchio alla registrazione e lentamente decifrò anche i rimanenti. Alzò il foglio e mollò la presa del cellulare conquistato ormai da quella serie inspiegabile di numeri; la conversazione rimase attiva finché, a contatto con la moquette della stanza, non si chiuse lo sportello. La linea si interruppe.
48 51 29 2 17 40
Lentamente, continuando a scrutare quelle cifre, girò il tavolo sagomando lo stesso con la mano destra in cerca del “percorso”. Prese poi la sedia e la tirò a sé. Si accomodò, ripose il foglio sulla scrivania e, con mani congiunte sotto il mento, stava lentamente venendo a capo della questione.
 
“Chissà Lelouch in quanto avrebbe risolto questo enigma. Accidenti!” pensò, stirandosi sulla sedia in camoscio verde acqua. Ripensò ai bei tempi andati, quando lui e Lelouch non erano altro che ragazzini, lontani dall’essere Zero e il Knight of Rounds dell’imperatore. Spesso cadeva in flashback che lo rapivano completamente, era a causa di questi che aveva chiuso i contatti col mondo esterno. Ultimamente, però, non gli capitava spesso di soccombere sotto la morsa del passato; più tempo lo divideva da questo, più tonava a vivere. Sempre che quello fosse vivere, dato che Suzaku Kururugi era morto prima ancora dell’imperatore. Riaprì gli occhi e mise a fuoco il soffitto della stanza, che notava solo ora; c’era un autentico mappamondo esteso per tutta la lunghezza della stanza. “Francesi!” si disse, poi strizzò gli occhi, rifletté, e fissò di nuovo il soffitto. «Ma certo, che stupido sono stato, sei numeri! Deve per forza essere così!»
 
Riportò lo sguardo sul foglio, prese la mappa di Parigi che aveva portato con sé dal Giappone, e vi appuntò i numeri sull’angolo superiore, per poi cerchiare una zona ben precisa di Parigi. Sorridendo, si alzò e uscì di corsa, infilando un cappotto marrone, cappello e occhiali per evitare di farsi riconoscere, stringendo forte la mappa nella mano destra. Si lasciò alle spalle la maschera di Zero, il suo passato e i flashback che tormentavano la sua psiche, per far luce su quello che stava accadendo; preso ormai da un’avventura che non lo vedeva nei panni del paladino degli Eleven, non più ormai.
Il palazzo dove alloggiava Suzaku dava praticamente sulla rotatoria antistante il palazzo di Chaillot. Questo era costituito da due grandi ali a forma di arco allargato, separate da un ampio piazzale che offriva una spettacolare vista verso la Torre Eiffel, situata sull'altro lato della Senna. Il giovane uscì fuori assicurandosi di coprire quanto più possibile il volto col cappotto. Si guardò intorno poi, disinvolto, proseguì in direzione del piazzale, seguendo il marciapiede destro della rotatoria. Attraversò la strada e arrive al centro delle due ali, a sinistra aveva l’ingresso al teatro nazionale che prendeva il nome proprio dal palazzo, e alla sua destra c’era l’entrata di quest’ultimo. Dinanzi a lui si ergeva in tutto il suo splendore una Tour Eiffel gremita di luci e instancabilmente in moto,sin dai tempi della sua costruzione. Era diversa da come era riportata sui libri scolastici dell’istituto Ashford, ma Suzaku non vi presto attenzione, cercò invece un varco attraverso la miriade di turisti che popolava il piazzale, la gente ormai aveva ripreso l’abitudine di viaggiare, e di visitare luoghi lontani e privi di conflitti.
“Lelouch sarebbe irritato e felice di questo” pensò in un sorriso sincero. Diede un’ultima occhiata alla mappa, al cerchio vicino alla Senna. Alzò poi lo sguardo, ancora una volta rapito, verso la struttura in lontananza.
«È lì che devo andare» pronunciò ad alta voce. «La Torre è il prossimo indizio!»

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Capitolo 2
*** Tour Eiffel ***


La vita sembrava scorrere normalmente in quella fredda notte parigina. Francesi, turisti, tutti erano indaffarati: c’era chi correva all’acquisto degli ultimi regali per la notte del 25, chi affollava le vie principali nella speranza di ritornare a casa per l’ora di cena. Flash illuminavano ogni monumento della città, turisti intenti a catturare l’estetica neoclassica dell’Arco di Trionfo: atto, in origine, a celebrare le vittorie di Napoleone Bonaparte, ricostruito fedelmente dopo la guerra a Euro Universe da parte di Britannia, era adesso ornato dalle bandiere di entrambe le regioni sui suoi lati; e ancora, sguardi attoniti verso la cattedrale gotica di Notre Dame, ancora in ristrutturazione dopo che recentemente la parte sinistra dei colonnati esterni era crollata. Nonostante Parigi si fosse ampliata con una serie di high-tower di nuova generazione, la Città Vecchia restava il luogo più amato e visitato dell’ex-nazione francese.
Mentre la vita proseguiva in tranquillità, in una stanza buia, lontana da occhi indiscreti, un uomo con le mani congiunte fissava una serie di monitor collegati a innumerevoli telecamere sparse per la Città Vecchia. Ogni monitor, dieci in tutto, era suddiviso in quattro schermate che prendevano il nome della zona che sorvegliavano; il loro compito infatti era quello di proteggere i cittadini da qualsiasi azione sovversiva da parte di organizzazioni che di tanto in tanto nascevano in quell’epoca di pace. Organizzazioni che miravano a destabilizzare l’ordine costituito in nome di ideali spesso incomprensibili persino dalle menti più geniali dello stato. Quella però non sembrava una stanza del Quartier Generale della Euro Universe, qualcuno aveva avuto acceso ai codici delle telecamere, e le stava utilizzando per i suoi scopi, e continuava a tracciare attentamente gli spostamenti di un ragazzo: indossava un cappotto marrone e un cappello blu scuro che non permetteva all’angolazione delle telecamere di identificarne il volto. La luce intensa dei monitor permetteva di leggere un ghigno malefico sul volto dell’uomo che con gli occhi continuava a seguire le telecamere che si aggiornavano continuamente, mostrando tutte le parti della città. Ad un tratto si sistemò, iniziò a digitare su una tastiera virtuale, che era comparsa davanti a lui quando aveva poggiato le mani su di un ripiano; una serie di codici avevano unificato le immagini dei monitor ad un’unica telecamera. Adesso tutti e dieci formavano una schermata singola, puntata proprio sul ragazzo dal cappotto marrone. “Ti ho trovato!” disse tra sé l’uomo, poi prese un telefono e chiamò un numero pre-impostato al tasto 1. Dell’altra parte della linea si udirono delle campane risuonare prima che una voce femminile rispose e attese istruzioi.
 
Suzaku stava attraversando il Ponte d’Iéna quando udì il suono inconfondibile di tre volanti della polizia della regione. Si strinse nel cappotto sperando di non esser stato scoperto. Anni prima, mentre si trovava in quello che un tempo era il continente africano, il suo volto era stato registrato dalle telecamere di stato e aveva rischiato la cattura. Riuscì in tempo a far perdere le sue tracce ma il mandato di cattura si riaccese in tutti gl istati membri dell’Unione Mondiale. Il problema dell’avanzamento tecnologico era proprio che non si poteva sfuggire alle macchine. Lentamente il mandato fu messo da parte proprio per mancanza effettiva di prove a favore della presenza del Knight of Zero nei territori dell’Africa settentrionale. La paura di Suzaku però si fece alta, nonostante il frame catturato dalla telecamera locale fosse di bassa qualità e non permetteva una vera e propria comparazione con la foto del Cavaliere Kururugi.
Abbassò lo sguardo e si vide sfrecciare a gran velocita le volanti che seguivano un’auto nera che correva a folle velocità lungo il ponte. Si rasserenò costatando che tutto continuava a scorrere e nessuno si sarebbe interessato a lui, realmente. Passò il ponte arrivando all’altro lato del fiume Senna. Era rimasto affascinato dalla bellezza di quel ponte, cinque campate ad arco in pietra, poggianti su quattro piloni centrali, ornato da lampioni che risentivano del peso dell’età. Ed eccola, davanti a lui si ergeva la torre che da sempre aveva affascinato scrittori e turisti. Della torre originale era rimasta solo la parte sinistra, quella destra era ricoperta da cemento e luci al led che ne ricostruivano la facciata. Lì sorgeva un lussuoso Hotel Parigino, che permetteva l’alloggio solo all’aristocrazia, a causa dei prezzi eccessivamente alti. Un ascensore permetteva ancora di salire fino in cima, lasciando l’ultimo piano ad una postazione di controllo delle trasmissioni che permetteva a tutta l’ex-Francia di usufruire dei canali mondiali.
“Gli orrori della guerra” pensò Suzaku, mentre si incamminava verso il lato sinistro della struttura.
«Mamma, mamma» gridò una bambina. «Possiamo salire? Ti prego?» implorò la giovane, strattonando gli abiti umili della madre.
«Ma certo tesoro mio, adesso andiamo» rispose lei con un sorriso sincero e caldo.
«Anche lei, signore, viene con noi» disse poi la piccola rivolgendosi al ragazzo col cappotto marrone di fianco a lei.
«Eh! Come hai detto?» rispose Suzaku ancora intento ad osservare la torre ed immaginare cosa potesse mai trovare su di essa.
«Deve salire sopra giusto?» disse la piccola muovendo la bambola su e giù replicando il movimento degli ascensori ad ascesa rapida.
«ahah certo!» rispose Suzaku ricambiando il sorriso dolce della bambina.
«Dai lascia stare il signore» le disse la madre, tirandola a sé.
«Ma non si preoccupi!» rispose gentilmente Suzaku.
«Il potere dei Re non trova ostacoli sulla sua via, se l’oscurità domina il cuore che al dominio mira!»
«Cosa hai detto?» disse incredulo Suzaku abbassandosi verso la bambina che aveva iniziato a pronunciare quelle parole che sembravano senza senso ai suoi genitori, ma che attirarono l’attenzione del ragazzo quasi come una rivelazione. La bambina alzò la mano ad indicare la fascia in ferro che circonda la torre poco sotto la prima base. Non era facile leggere quelle parole, a causa della loro distanza, ma la piccola aveva occhi attenti e le aveva riportate.
"Deve essere uno scherzo, e anche di cattivo gusto" Sentenziò Suzaku restando immobilile, completamente rapito dalla frase che continuava a scorrere. Non riusciva a capire come quelle parole fossero comparse sul monitor che correva su tutta la fascia di ferro, sul quale solitamente comparivano ben altre parole composte dai piccoli led rossi. Corse, ancora pensieroso, lungo la fila che aspettava il turno per salire in cima. Passò sotto la torre, sovrastato l’intricata serie di archi di ferro che la costituivano. Si girò intorno, quasi spaesato, cercando forse qualcuno. Si avvicinò abbastanza all’unico ascensore e poco distante colpì forte un uomo che cadde a terra privo di sensi. Attirò così l’attenzione, facendo sì che tutti pensassero che l’uomo si sia sentito male. La fila si scompose e Suzaku si infilò nell’ascensore silenziosamente e salì. Le guardie si mobilitarono per prestare soccorso senza accorgersi della sua presenza.
Salì in cima e trovò tutte le persone accasciate al suolo, si avvicinò a quella lui prossima e gli tastò il polso, era viva. Non ebbe tempo di realizzare che di fronte a lui, scritto col sangue, c’era un’ulteriore messaggio; seguiva la lunghezza dell’intera vetrata.
«I Re sorvegliano la segreta entrata, dal Point-Zero la storia è cambiata. Le campane riecheggiano nella notte stellata, là dove una vita, al suo termine, è passata» ripeté ad alta voce Suzaku, mentre sentiva sul fondo della torre auto che stridevano a contatto con l’asfalto. Degli uomini con vesti reali raggiunsero delle guardie e diedero disposizioni. Dall’auto uscì poi una donna, capelli lunghi rossi, tenuti a coda di cavallo; si avvicinò ad uno degli uomini che erano scesi dalle auto che seguivano la sua.
«Generale Kozuki attendiamo ordini!» disse uno di loro portando la mano rigida alla fronte.
«Circondate la Torre e formate un perimetro lungo tutto Campo di Marte! Non lasciatelo fuggire.» rispose la donna con tono impassibile, quando dall’alto un fragore di vetri rotti attirò la loro attenzione e rettificò gli ordini prima impartiti.
«Yes, your highness!»
 
Suzaku rimase col fiato in gola, e le iridi circondate da una corona rossastra, non riusciva a capire cosa stesse accadendo; la situazione gli stava realmente sfuggendo di mano. In quel momento di confusione, quando sembrava che tutto il mondo gli ruotasse intorno con fin troppa rapidità, una voce poco distate da lui e ben nitida di impose di scappare. Il ragazzo si lanciò verso il vetro alla sua destra e lo sfondò con l’intero corpo attirando le attenzioni degli uomini in basso. Si aggrappò al primo cornicione della struttura in cemento e li lasciò scivolare fino alla prima terrazza. Da lì in poi fu una fuga rocambolesca per sfuggire alle guardie reali.
 
 

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Capitolo 3
*** Escape ***


Suzaku atterrò sul terrazzo sottostante seguito dai frammenti di vetro, e, bilanciandosi con le mani per riacquistare equilibrio, scattò verso la vetrata di quello che sembrava il ristorante dell’Hotel. Della vetrata c’erano due entrate che davano direttamente all’interno, chiaramente visibili dalle tende, color avorio, che svolazzavano verso il fiume. Suzaku entrò di corsa, attirando a sé le attenzioni di ospiti e camerieri. Si portò la visiera del cappello ancor più in basso e corse verso l’uscita del ristorante. Mancò di poco una pila di piatti che nascondeva un cameriere evidentemente alle prime armi, che subito dopo il suo passaggio li fece cadere tutti, causando un frastuono che motivò anche i restanti ospiti ad interessarsi alla scena.
«Scusa!» urlò Suzaku ormai prossimo a lasciare la sala. Si voltò prima a destra, poi a sinistra, preferendo quest’ultima perché più vicina alla tromba di scale interna sulla cui porta sovrastava un segnale verde facilmente riconoscibile. Sospettava inoltre che non ci sarebbe voluto poco prima che gli agenti arrivassero all’Hotel, quindi il tempo a sua disposizione era precario. Ed ecco che, con la mano che stringeva ancora la barra antipanico, udì degli agenti correre lungo i corridoi del piano ristorazione, accompagnati da un tintinnio metallico tipico di armi pronte a far fuoco; erano evidentemente appostati dietro gli angoli del corridoio.
Quando il silenzio regnò nel piano Suzaku spinse la porta e corse giù per le scale saltando gli ultimi gradini di ogni piano, poggiando male il piede all’ultimo che lo fece tentennare. Si spinse con la spalla vicino la parete per riprendere il controllo del suo corpo e dei legamenti del piede. “Sicuramente staranno appostati all’uscita” rifletté. Attese, poi sentì i passi sempre più vicini, era evidente che gli agenti stava ormai pochi piani sopra di lui, e si avvicinavano con rapidità. Decise allora di uscire al pian terreno, nonostante tutto. La hall era gremita di agenti. La stanza era immensa, immersa nel verde: davanti la reception si trovava un enorme spazio in cui si poteva sostare su comodissime poltrone nell’attesa di un check-in rapido da parte delle hostess. C’era anche la possibilità di girare i giardini inglesi che, sotto una vetrata che filtrava i raggi solari, erano pieni di piante di ogni specie; tutte curate e colorate. Una fontana a tre livelli univa le cinque stradine interne che percorrevano interamente i giardini. Più entrate permettevano ai giardini di essere usufruiti anche dai non residenti nell’Hotel, vista anche la struttura per bambini che permetteva loro di giocare in tranquillità coi propri genitori. Quella sera però, non c’era un anima viva all’esterno, nei giardini. La luna illuminava le foglie verdi degli alberi secolari che occupavano gran parte degli angoli della struttura. Qualche agente parlava tenendo il polso vicino le labbra, altri cercavano di ascoltare nuovi ordini e aggiornamenti portando due dita al lobo destro. Nella Hall c’erano un centinaio di agenti che si disposero in fila per far entrare la donna dai capelli rossi. Nello stesso istante Suzaku uscì dalla porta anti incendio e, voltandosi rapidamente verso la sua sinistra intravide la hall, la vide. Il cuore gli si fermò per un attimo, inciampò ma prontamente poggiò la mano a terra e rotolò fino allo stanzino che si trovò di fronte. Nessuno sembrò notarlo. Avvicinò la mano al limite del varco e, sporgendosi, capì di non essersi sbagliato, ad inseguirlo, quella notte, era il pilota del Guren, l’ex-Cavaliere Nero: Kallen Kozuki-
Ripensò alle innumerevoli volte che era stato costretto a combattere contro il Guren, anche in condizioni di effettivo svantaggio. Aveva sempre pensato che la ragazza avesse reale talento e che se i cavalieri neri erano riusciti in molte delle loro imprese era solo merito suo. Ricordava ancora quando la catturarono: di come Nunnally si prese cura di lei quasi no ntrattandola da prigioniera, e di come lui avesse usato il refrain su di lei. Fu lì che si rese conto di avvicinarsi sempre più alla mentalità Britanna, ai modi brutali tipici dei lord e di Lelouch, che aveva sempre disprezzato per il modo in cui aveva desciso di cambiare le cose; nonostante poi ci fosse realmente riuscito, e anche meglio di quanto lui, o Euphimia, avessero potuto fare con il loro "Giappone". Tornò alla realtà, strinse i pugni e cercò di valutare la situazione, poi si distrasse.
“Accidenti!” fu l’unica cosa che gli venne da pensare. Iniziò a sudare freddo. Tastò più volte la giacca in cerca del cellulare ma non lo trovò, poi riuscì a realizzare. “Non ci credo!” chiuse gli occhi. “È nella stanza!”
Si voltò di nuovo cercando di decifrare ciò che stavano dicendo pochi metri più avanti. Aveva poco tempo, la porta di fronte a lui si aprì e pensò al peggio.
“Dannazione mi troveranno, devo trovare un modo per uscire da questa situazione. Poi c’è anche la questione della scritta. No non devo pensarci ora, prima devo andarmene da qui, e alla svelta”
Alcuni agenti uscirono dalla porta e corsero verso destra, altri raggiunsero il responsabile della missione, altri due, lentamente, si avvicinarono ad armi puntate verso lo stanzino buio che si trovava di fronte a loro. Il primo fece cenno all’altro di avvicinarsi all’estremità destra del varco, il secondo si avvicinò a quella sinistra, la gamba destra passò davanti quella sinistra in un movimento ormai abituale; la schiena contro la parete crema che presentava sfumature più chiare e altre più scure. Si avvicinarono lentamente. All’interno Suzaku si era alzato strisciando vicino alla parete, irrigidì il braccio attivando un meccanismo che estrasse una lunga lama dorata. Era pronto a combattere se ce ne fosse stato bisogno. Ingoiò la saliva che gli si era accumulata in gola, strinse i pugni e inarcò il braccio.
“Se è così che deve andare.. allora io..”
 All’improvviso un’esplosione attirò l’attenzione di tutti, persino di Suzaku, che era pronto ad uccidere i due agenti. “Cos’è stato?” si chiese, abbassando la lama.
Un uomo entrò dalla porta principale sanguinante, gridando in un accento francese marcato. «Siamo sotto attacco!» furono le ultime parole che riuscì a dire, prima che una lama gigantesca lo trafisse, distruggendo il soffitto della Hall.
“Cosa?”
“Un Knightmare?”
Pensò Kallen indietreggiando mentre pensava ad un piano d’azione. Non riusciva a credere neanche lei a quello che stava succedendo. Avevano avuto un ordine ben preciso eppure, in quella situazione, non sapeva che fare. Era letteralmente bloccata dalle emozioni, desiderava ardentemente mettere le mani sul fuggitivo, in senso letterario, ma la protezione dei civili era la priorità; era il protocollo. Si morse il pollice sinistro, indietreggiò ancora poi, con la stessa mano tesa verso sinistra, diede i nuovi ordini
«Sergente Gareth, lascio a lei l’amministrazione delle ricerche. Mi raccomando deve essere catturato vivo!» sentenziò senza batter ciglio.
«Yes, your Highness!»
«Voi contattate il reparto di ricerca e sviluppo, preparate i vostri knightmare! All’istante!» gridò ad altri agenti che attendevano ordini, paralizzati però per la scena a cui avevano assistito. Poi non si capì più nulla. Kallen prese la chiave magnetica del suo Guren Nishiki e azionò quello che era a tutti gli effetti un comando remoto. Fece solo in tempo a capirlo, che una bomba, lanciata dal Knightmare fuori l’Hotel, invase la hall illuminando ad ogni secondo una serie di lucette rosse. Degli uomini urlarono qualcosa, ma Kallen non riuscì a comprenderli, spaventata com’era dalla bomba. Una mano le strinse la spalla, lanciandola con forza verso l’interno della stanza. Cadde violentemente a terra, parecchio più indietro della posizione della bomba; riuscì solo a distinguere una macchia marrone alta poco più di lei. Poi tutto scomparve.
L’esplosione scaraventò Suzaku verso la fontana, che fortunatamente mancò. Rimase carponi al suolo cercando di riprendere contatto con la realtà. All’interno del Knightmare il display mostrava il ragazzo ancora con le ginocchia a terra, circondato da un cerchio con una croce inscritta al suo interno. Suzaku si guardò alle spalle sentendo un fragore metallico che si avvicinava a lui. Sgranò gli occhi dall’incredulità guardando l’artiglio aperto, in segno di offerta, che attendeva la sua risposta. Con la coda dell’occhio mise a fuoco quello che stava succedendo nella Hall, Kallen era salva, alcuni agenti la circondavano intenti a costatare le sue condizioni. Sorrise, poi fissò la testa del Knightmare stringendo gli occhi. "Che strano!" pensò, vide il suo volto riflesso negli occhi del Knightmare. Era gigantesco, aereodinamico e probabilmente di fattura europea. Aveva molte articolazioni che facevano capo a innumerevoli giunture. Il colore era nero con venature argentee e un frame centrale rosso che nascondeva il core della macchina. Sviluppato nell'ultimo decennio, esso garantiva una potenza di fuoco illimitata e un blaze luminos dalla durata aumentata. Il braccio sinistro, che terminava con una mano artigliata, era completamente cromato, con strani simboli disegnati per tutta la sua lunghezza. Suzaku rimase immobile a fissarlo, aveva qualcosa di familiare, eppure la cosa che gli premeva maggiormente era comprendere le reali intenzioni del suo pilota. Tecnicamente nessuno dovrebbe sapere, né tantomeno sospettare che egli fosse in vita, eppure: la guardia reale di sua altezza Nunnally prima, e questo Knightmare poi, gli faceva pensare che per molte persone Suzaku Kururugi era tutt’altro che morto. Si rialzò in piedi diede le spalle alla macchina e corse verso nord, passando proprio al di sotto del gigantesco Knightmare che ricordava, nelle fattezze, il suo Lancelot.
Sparì nelle tenebre, perso dal pilota, e dai suoi inseguitori.

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Capitolo 4
*** Memories ***


Era passata un’ora da quando Suzaku si lasciò alle spalle la Tour Eiffel. Come aveva supposto, a pochi isolati di distanza incontrò un posto di blocco, che però aveva lasciato libero uno spiraglio tra due palazzi in cui il ragazzo si infilò per superarlo e riuscire a scappare dagli agenti appostati sul luogo che, intenti ad ascoltare gli aggiornamenti dalle loro auto, erano preoccupati per la situazione che si stava facendo sempre più complicata al centro. Suzaku cercò di ascoltare ma era troppo distante e il suono delle ambulanze che raggiungevano la Torre rendeva l’azione quasi impossibile. Decise di allontanarsi velocemente, a passo sostenuto, con le mani nella tasca del cappotto, cercando di destare il minimo sospetto. Poi ripensò a quanto era accaduto l’ora precedente. Il Knightmare era davvero intenzionato ad aiutarlo: era l’unica interpretazione che era riuscito a dare a quella mano aperta verso di lui; eppure non aveva mai visto quell’esemplare.
“Devo andare in fondo a questa faccenda, scoprire chi c’è dietro tutto questo” pensò.
“Lelouch!” gridò una voce dentro di lui; il volto dell’amico riemerse dall’oscurità del suo subconscio. Il pensiero di dissolse proprio come era emerso, in un attimo.
“Non scherziamo... l’ho ucciso io!” cercò di convincersi. Portò una mano alla spalla che da quando era uscito dall’hotel aveva iniziato a dolergli. “Accidenti!” ripeté poi.
“Se non lui, chi mai?” per quanto il pensiero cercasse di negare l’ipotesi, non riusciva proprio a trovare la luce fuori da quel tunnel. Ripensò alla frase scritta col sangue, o almeno così credeva. La sua sicurezza stava lentamente svanendo. Mentre comminava scosse la testa, voleva certezze, ma trovava solo ipotesi; molte delle quali impossibili anche solo da ipotizzare. Arrivò in una strada a traffico limitato, piena di luci natalizie e negozi aperti. La gente affollava lo stradone centrale e correva all’acquisto degli ultimi regali per la notte più importante dell’anno. Nessuno sembrava interessarsi all’esplosione che l’ora prima aveva interessato la struttura più importante di Parigi, il ragazzo non sapeva cosa pensare: o le persone avevano tanta fiducia nelle loro forze dell’ordine, da ignorare l’accaduto sicure che loro avrebbero garantito la loro incolumità; oppure semplicemente la notte di Natale aveva più importanza per loro. Ebbe lo scrupolo di girarsi verso la torre che adesso era spenta, e circondata da un fumo denso; fortunatamente non si udivano più colpi di cannoni e fragore metallico. Si voltò di nuovo e spostò la sua attenzione al lato destro della grande via. Oltre ai soliti negozi di abiti firmati e bigiotteria per la casa a prezzi stra-lussuosi, incappò in un negozio di giocattoli, che stonava in mezzo a tutte quelle grandi firme della moda parigina, e qualcosa attirò la sua attenzione. Davanti alla vetrata esterna c’era un bambino con i suoi genitori. Il piccolo indicava una statua a grandezza naturale di un personaggio assai noto a Suzaku, che lo costrinse ad avvicinarsi stupito e alquanto scosso dalla cosa. Poggiò il piede sul gradino, che divideva la strada dal marciapiede, e si rese conto di aver visto fin troppo bene.
«Papà guarda! Mamma secondo te babbo natale me lo porterà?» disse il piccolo girandosi prima verso il padre e poi verso la madre.
«Se avrai fatto il buono quest’anno, forse» rispose lei, inarcando le labbra in segno di consenso sfiorandogli la chioma dorata che si mosse a mo’ di onda fino alla nuca. Prese poi a fare un cenno al marito che aveva di fianco come una sorta di messaggio in codice, poi lo portarono dentro. Il piccolo era visibilmente felice ed eccitato, tamburellava con la mano lungo la vetrina tracciando il suo passaggio con le dita umide. Suzaku portò anche l’altro piede su e, con un movimento rigido, si avvicinò alla vetrina e guardò dritto in faccia il manichino. Vide il suo volto riflesso in quella maschera ed ebbe un sussulto che lo riportò indietro nel tempo.
 
La pistola in pugno, passo deciso, davanti a lui il passato e il futuro, la minaccia e la verità personificate in un solo uomo; mantello nero con venature dorate, una maschera che nascondeva un mistero che sarebbe stato svelato di lì a poco: Suzaku-Zero.
L’uomo non si accorse della sua presenza, era rivolto verso un muro con degli ideogrammi che solo in seguito Suzaku riuscì a comprendere davvero. Un colpo parti e l’attenzione di Zero fu catturata.
«Girati da questa parte... molto lentamente!» disse avvicinandosi sempre più, la pistola puntata verso l’assassino di Euphy, la ragazza che amava.
«Non mi hai sentito...» fece una pausa, senza distogliere lo sguardo dal suo avversario. «Zero!»
«Girati da questa parte, lentamente» ordinò, con risolutezza; fermo davanti una serie di gradini che lo dividevano dall’assassino.
«Euphemia ha versato il sangue di Giapponesi innocenti, e tu vorresti...» gridò Zero voltandosi; la voce risuonava con eco all’interno della grotta, era sicuro di sé.
«È molto utile avere il Geass!» rivelò il ragazzo. Zero rimase sorpreso nell’apprendere che Suzaku conoscesse il suo segreto, per la prima volta, difronte all’amico, non aveva una certezza, stava tentennando.
«Ti nascondi nell’ombra e lasci tutte le responsabilità agli altri» continuò, salendo lentamente le scale.
«Sei vile e arrogante. È questa la tua vera natura» disse ancora, spostando poi l’attenzione, senza voltarsi per evitare di uscire dalla visuale dell’avversario. «Kallen! Non vorresti conoscere la sua vera identità?» disse rivolgendosi alla ragazza dai capelli rossi, pilota del Guren e membro dei cavalieri neri che, dietro di lui, puntava l’arma proprio verso Zero; esitando. La ragazza sembrò sorpresa dalla domanda a bruciapelo di colui che, fino a poco prima, era un suo avversario, e continuava ad esserlo in fin dei conti.
«Che cosa credi di fare?» rispose lei, riacquistando fiducia in se stessa.
«Anche tu hai il diritto di assistere» sentenziò lui, prima di sparare un colpo, ignorando la supplica della ragazza. La pallottola centrò la crepa nella maschera e lentamente aprì a metà quest’ultima rivelando il volto di un ragazzo, di un amico: di Lelouch. Suzaku sgranò gli occhi alla vista dell’amico, mentre questi restò immobile a fissarlo fingendo sicurezza; i capelli che si mossero sfiorando la fronte e tornando a loro posto.
Lo sguardo di Suzaku tornò freddo, gli occhi si rilassarono, il sospetto sparì lasciando il posto alla delusione. Aveva sperato di essersi sbagliato, di aver supposto male, ma non era così; Zero era davvero il suo migliore amico, Lelouch Lamperouge.
Abbassò lo sguardo, poi negò l’evidenza con un gesto del volto, poi riaprì gli occhi. Kallen era a terra, non avrebbe mai pensato che dietro tutte quelle vittorie e quelle amare esperienze ci potesse essere proprio lui. Suzaku cerco di trovare la forza necessaria per continuare, il cuore ormai era in subbuglio, la mente si scollegò del tutto dai pensieri che li univano e aveva solo una domanda che batteva forte come un tamburo e attendeva risposta: Perché?
«Fino all’ultimo momento non ho voluto crederci» affermò, irrigidendosi.
«Sei tu, Lelouch..» disse Kallen con la voce tremante, sul limite del pianto.
«Si.. sono io Zero»
 
Suzaku tornò al presente, vide nel riflesso una lacrima che gli scorreva lungo il viso. Il freddo rese evidente il passaggio della lacrima. Cercò di riprendersi, con la manica del cappotto si asciugò l’occhio destro. Rivedere la figura di Zero, lì esposta come propaganda per la serie di action-figurine che una nota marca di giocattoli aveva distribuito nei maggiori negozi di giocattoli in tutto il mondo. Era diventato un simbolo per i Giapponesi e per il mondo, ma non tardò a diventare un’icona per tutti, un esempio da seguire, ma anche un modo come un altro di speculazione sui sogni e sulle speranze, passate e future, delle persone; in questo gli esseri umani erano fin troppo capaci.
“Tu sei un errore della natura” la mente sembrava avere una volontà propria, stava infierendo sui sentimenti del ragazzo come il dito in una piaga. “Sei stato escluso dal mondo e perciò... mi occuperò io di Nunnally”
“Suzaku!” “Lelouch!”
Sentì la voce di Lelouch echeggiare nella sua mente, proprio come quel giorno, quel maledetto giorno. Non riuscì più a trattenersi. Come un bambino chiuse le mani a pugno e col braccio destro coprì gli occhi gonfi di lacrime. La mente infierì ancora, ma questa volta era una voce pacata, che trametteva tristezza e gioia allo stesso tempo; qualcosa che non si riusciva a descrivere e riviverla anche solo per un istante fermò il cuore del ragazzo per un attimo fatale.
“Sappi che questa sarà una punizione anche per te. Non potrai più toglierla. Quella maschera da paladino della giustizia ti accompagnerà ovunque andrai. Non avrai più una vita come Suzaku Kururugi. Mai più. Sacrificherai la tua felicità, per recitare la tua parte di fronte al mondo. Per sempre…”
Un singhiozzo irrefrenabile si manifestò e il ragazzo cadde in ginocchio. Qualcuno lo notò ma non prestò aiuto, la foga degli acquisti superava persino la più semplice predisposizione della natura umana: la compassione. Era la prima volta che i ricordi e i sentimenti riaffioravano così prepotenti, tanto da destabilizzare l’equilibrio psicologico di Suzaku in maniera tanto evidente. “Ho fallito.. Lelouch!” disse fermandosi per tirare su il moccolo che gli colò sul labbro superiore. “Ti ho deluso!” non riuscì a fermare le lacrime.
 
In un vicolo buoi, una donna dai capelli neri, lunghi fino all’altezza della nuca e una frangia che le copriva la fronte, si protrasse oltre l’angolo per spiare da debita distanza Suzaku. Vide il ragazzo steso a terra in presa alla disperazione più totale. Non ci volle molto per comprenderne la ragione: guardò di fronte al ragazzo e vide una statua a grandezza natura di Zero all’interno della vetrina di un negozio; tutt’attorno scatoli contenente una versione, in scala ridotta, dello stesso personaggio, ed un televisore che mostrava le azioni che era capace di svolgere –seguite da una didascalia dettagliata. La donna non poté evitare di sorridere, una reazione spontanea e per nulla irrisoria.
“Non sei cambiato affatto” disse tra sé, senza distogliere lo sguardo. Le dita affusolate girarono l’angolo muovendosi sinuosamente. Sorrise ancora chiudendo gli occhi.
“Eh! Suzaku?”

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Capitolo 5
*** Ghosts from the past ***


In quella fredda notte parigina, l’oscurità parve ottenere il controllo supremo sulla luce riflessa del satellite terrestre. Nuvole tuonanti e cariche di pioggia si avvicinarono minacciose sovrastando l’intera regione. Dall’alto del campanile più famoso di Francia il frastuono delle auto era ancora alto; nonostante l’ora tarda e il rischio di pioggia imminente, le persone non si erano persero d’animo e continuarono imperterrite i loro acquisti e la loro singolare esistenza. Una nota, però, stonava in mezzo a quella sinfonia ben orchestrata di vite in continuo divenire, una voce fuori dal coro che, in lacrime, stava lentamente perdendo la propria integrità e la propria forza di volontà. Suzaku era ancora lì, in ginocchio, davanti alla vetrina del negozio di giocattoli, davanti la figura perentoria e immortale di Zero.
Il pianto si spense quando un bambino, che passò coi suoi nonni alle spalle del ragazzo, lasciò la mano dei suoi amati progenitori e si avvicinò –goffo nel suo giubbotto di piume- e poggio la sua manina sulle spalle di Suzaku che sussultò. La ragazza dai capelli neri che stava assistendo alla scena rimase in silenzio ad osservare, incuriosita, ciò che stava accadendo; un altro sorriso le illuminò il viso e i suoi occhi parvero, per un solo istante, dello stesso colore intenso dello smeraldo.
Con gli occhi gonfi Suzaku si girò verso l’estraneo che aveva avuto la premura di preoccuparsi per lui, nonostante non sapesse nemmeno il suo nome. Il bambino inclinò il capo in segno di domanda, i suoi nonni da lontano presenziavano immobili.
«Perché piangi?» domandò il piccolo con sincerità disarmante, quella che solo i bambini riescono a trasmettere con le loro lievi voci angeliche. Suzaku si asciugò le lacrime e cercò una risposta coerente da poter rispondere, con scarsi risultati.
«Non parli? Non riesci a parlare?» domandò con insistenza accovacciandosi davanti l’interlocutore annichilito. Sfiorò con un dito il marciapiede freddo e umido, poi riprese a parlare.
«Mamma dice che le persone senza parola sono molto sfortunate, ma non per questo diverse da noi. Non hai mai parlato? O ti è successo qualcosa? Io non piango mai, sai? Sono forte, anche la mia mamma lo dice sempre. Dice che sono la sua ragione di vita. Tu ce l’hai una mamma?» sembrava irrefrenabile. A tutte quelle domande Suzaku non diede risposta, ma rimase stupito dalla facilità con cui il piccolo stava cercando di conversare con lui. Conosceva poche parole di quella lingua, e stava comprendendo bene o male quello che il bambino stava dicendo, ma non sapeva rispondere. Per questo motivo si limitò a sorridere e cercò di alzarsi mantenendosi sulle ginocchia.
“Una madre?! Quasi non ricordo più il suo volto. Ho vissuto tanto tempo senza di lei. I miei ricordi sono frammentari. Certo ricordo il suo tocco sulla mia pelle, il calore del respiro, la sua voce candida… com’era mia madre? Perché non riesc-”
«Deve scusarlo. Si preoccupa tanto per le persone in difficoltà. Lei sta bene?» chiese la nonna del piccolo, interrompendo i pensieri di Suzaku; si avvicinarono ai due nuovi amici cercando di trascinare via il bambino prima che importunasse ulteriormente il giovane.
«Non si preoccupi. E mi perdoni per il mio francese pessimo» esordì Suzaku alzandosi, prestando un accentuato inchino. «Come vedi ho una voce! E sì, ho anche una madre. Anche se non ricordo più com’è fatta» continuò riferendosi al bambino, allontanando lo sguardo verso il vuoto ripensando alla madre. I due nonni strinsero le spalle del piccolo, visibilmente scosso dalla risposta di Suzaku. Quest’ultimo, notando due agenti che, a passo d’uomo, si stavano dirigendo nella sua direzione, si ricordò della sua missione e agitato spiegò di avere un impegno importante.
«…ti ringrazio per esserti preoccupato per me piccolo.» disse al bambino. «Siete fortunati ad avere un nipote del genere… rivedo in lui il me di tanto tempo fa» continuò rivolgendosi ai nonni alle sue spalle. Fece di nuovo un inchino e sparì dietro l’angolo.
“Quel bambino…” pensò. Poi proseguì dritto riflettendo sullo strano messaggio sul vetro della torre. Non riusciva a venir a capo dell’enigma e la cosa lo frustrò alquanto. Un tuono spostò la sua attenzione al cielo.
“Devo sbrigarmi, ho poco tempo”
La donna dai capelli neri lo seguì rapida e silenziosa. Aveva un vestito nero di pelle stretto in vita che ne accentuava le curve. Una cintura reggeva un’arma dall’aspetto assai pericoloso. I capelli neri, a spine, erano corti e riflettenti. Aveva lo sguardo fisso sulla sua preda e avrebbe fatto di tutto per raggiungere il suo scopo ultimo. Ancora una volta il suo volto si illuminò e un riflesso smeraldo parve possedere il suo sguardo freddo e imperscrutabile.
Pochi isolati e Suzaku uscì su un vialetto che costeggiava proprio il fiume Senna. Si respirava un’aria diversa lungo quella stradina ben illuminata da innumerevoli lampioni. Cercò di accelerare il passo, aveva come la sensazione di essere seguito. La strada era misteriosamente vuota e l’ora tarda ne giustificava il poco traffico. La zona pedonale che costeggiava il fiume era densa di locali, bar e gelaterie di ogni sorta. Solo una però era ancora aperta; poche persone erano sedute ai tavolini esterni, gustandosi il riflesso dei lampioni sul letto del fiume che scorreva silenzioso e instancabile. Pochi isolati più avanti, il fiume si divise in due scontrandosi contro la punta di un isolotto posto proprio al suo centro. Poco dopo, un ponte collegava proprio la città con la sponda opposta, sull’isolotto. Era il ponte di Saint-Michel: costruito interamente in pietra bianca, era l’unico ponte della sponda destra della Senna a poter permettere l’accesso all’isola. Vi era un’ulteriore ponte parallelo a questo ma che offriva il transito ai veicoli solo in uscita. Suzaku imboccò il ponte, ignorando il divieto di accesso che era posto su diverse strisce di limitazione; volse poi, ancora una volta, lo sguardo alla sua sinistra, verso la torre buia. Un altro tuono minacciò l’aere notturno.
Nel passaggio udì delle campane imporsi in quel silenzio turbante: undici rintocchi.
“Le campane riecheggiano nella notte stellata!” ripeté Suzaku voltandosi verso destra. Due torri alte dominavano l’orizzonte con il loro stile gotico, che non si afferma del tutto nella sua interezza. La cattedrale infatti presenta elementi di stile romanico come le colonne cilindriche, e la pianta ha una forma a croce latina.
La facciata presenta due torri campanarie. Essa è divisa in quattro sezioni: in basso, si aprono i tre portali, della Vergine, del Giudizio universale e quello di Sant'Anna. Sopra ai quali si estende la galleria dei Re, costituita da 28 statue dei re di Giudea separate da colonnine. La sezione superiore che separa la galleria dalle torri, è costituita da tre finestre, al centro un rosone e da una balconata con balaustra. Alla base delle due torri si trova poi la galleria delle chimere, tra le quali ve n'è una raffigurante Strige che, nella leggenda, era un uccello notturno di cattivo auspicio che si nutriva di sangue e carne umana.
Suzaku corse verso la piazza antistante la cattedrale di Notre-Dame e un fulmine illuminò la facciata e, inevitabilmente, il viso del ragazzo. Il cielo iniziò a grondare una pioggia densa come sangue, che soffocava il respiro. La cattedrale si impose in tutta la sua oscurità su Suzaku. Le chimere puntavano su di lui come rapaci in cerca di carne putrefatta da saggiare e saziare la fame che li strazia giorno dopo giorno.
La pioggia bagnò gli abiti del ragazzo, i capelli si stesero lungo il volto che osservava imperterrito la struttura. Ad ogni lampo un volto sentenziava la figura maschile che fissava la facciata ovest della cattedrale. Lentamente il cielo illuminò tutti e ventotto i volti dei Re Giudei.
“I Re sorvegliano la segreta entrata. Deve essere questo il posto di cui parlava quella frase” pensò Suzaku, indietreggiando, con ogni passo che riecheggiava nella solitaria piazza ormai del tutto allagata. L’isola infatti era quasi abbandonata a sé da quando i lavori per il restauro della cattedrale si erano interrotti.
Di colpo si fermò sentendo lo stridore metallico di una pistola caricata e pronta a far fuoco alle sue spalle. Non si girò ma rimase immobile, con la testa rivolta al cielo. Le gocce parevano spilli che continuavano a forare la sua morbida pelle rosea.
«Ha più di ottocento-cinquanta anni questa cattedrale. Ha subito innumerevoli restauri da allora, assistito a continue guerre e rivoluzioni eppure… eppure è ancora in piedi» Esordì il nuovo arrivato. La voce femminile e fredda strinse il cuore di Suzaku in una morsa incontrollata. Aveva la netta sensazione di conoscere quella persona, ma la paura lo divorò completamente e non ebbe la forza di girarsi.
«Non ho mai compreso fino in fondo la testarda concezione dell’uomo di edificare strutture immortali, che vivano più tempo di quanto lui possa dedicare alla sua fragile esistenza. Penso sia egoistico in un certo senso, non credi?»
«Forse è proprio per questo motivo che le costruisce. La sua vita può anche avere un tempo limitato, ma questa struttura, la sua esistenza, non troverà fine, la sua immortalità renderà tale anche gli uomini che vi hanno lavorato» rispose Suzaku abbassando lo sguardo. «Gli esseri viventi non smettono di vivere quando esalano il loro ultimo respiro. Essi vivono nei ricordi delle persone e nelle grandi imprese che hanno compiuto… è questo il motivo per cui cerca di lasciare il segno su questo pianeta, qualcosa che lo ricordi nei secoli avvenire, che lo renda immortale come questa cattedrale» continuò cercando di sovrastare il rumore della pioggia battente sul pavimento della piazza, che aveva piastrelle disposte asimmetricamente lungo tutta la sua estensione.
“Cosa?” Suzaku sgranò gli occhi, notando il punto sul quale si era fermato in precedenza. Si materializzò sotto di lui un medaglione ottagonale di bronzo, che circondava una rosa dei venti. Sotto la rosa, era chiaramente leggibile la scritta Point-Zero. “…dal Point-Zero la storia è cambiata” si rese conto che il posto che cercava era proprio quello, e che la presenza di quella ragazza alle sue spalle ne era forse la prova più evidente, ma il mistero era ancora lontano dall’essere risolto. Non riusciva infatti a capire cosa significasse tutto quello: la frase, gli enigmi, la ragazza, la cattedrale e il point-zero. Cercò di quadrare il tutto nella mente ma venne distratto.
«Alla fine ci sei arrivato. Eh, Suzaku?» disse la ragazza, tirando via la parrucca nera orami fradicia.
“Quella voce, quel suono…” il ragazzo voltò leggermente la testa e con la punta degli occhi la guardò. I capelli smeraldo, gli occhi di un verde intenso. Il vestito nero era come stirato sul suo corpo, rifletteva la poca luce che, dai lampioni dell’altra sponda, riusciva ad arrivare a loro. Con uno scatto Suzaku si girò del tutto e fece un passo indietro. Non vedeva quella ragazza da più di 10 anni ormai, da quando presenziava al fianco di Lelouch ovunque egli andasse. Non era mai entrato in contatto con lei, né l’aveva cercata dopo gli accadimenti di quel giorno. Vederla lì, a Parigi, che gli puntava contro una pistola, lo fece irrigidire.
“Cosa diavolo sta succedendo, perché mai si trova anche lei qui?”
«C2!» esordì sprezzante Suzaku, interrompendo il silenzio che regnava nella piazza. Strinse gli occhi, preoccupato, o forse deluso da quella situazione. La ragazza non fece cenno a quel nome, anzi, si mise di profilo, indietreggiando con la gamba destra.
«Perdonami, Suzaku!» il colpo fu coperto da un tuono che echeggiò tortuoso sopra la cattedrale. La pioggia lavò via il sangue che scorreva sull’ottagono di pietra incastonato nella piazza. C2 lasciò cadere l’arma e crollò a terra. Il corpo del Knight of Zero, di Zero, disteso, col volto rivolto al cielo… Un lampo illuminò la facciata del Notre-Dame, alla base del rosone, la Madonna col bambino, colpita ininterrottamente dalla pioggia densa, sembrava piangere di fronte ad una scena tanto cruenta, e i due angeli ai suoi lati, mutarono il loro sguardo: dolore e compassione trasparivano dalle due statue.
Dall’alto della cattedrale, quella notte, alla base del campanile destro una figura nera si stagliava sulla piazza, la mano poggiata sulla chimera del malaugurio. I suoi occhi brillavano solitari nell’oscurità che, lentamente, avvolgeva tutto e tutti.

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Capitolo 6
*** Awakening from a nightmare ***


«La prego, cerchi di rilassarsi.» disse una voce ovattata al ragazzo steso sul letto; lo schienale rialzato. Alla sua sinistra il display verde, che controllava i parametri vitali, continuava a monitorare il battito cardiaco; era stabile.
«Ricorda altro?» continuò l’uomo. Aveva occhiali tondi e sottili, il volto scavato dall’età e una barba curata che percorreva l’intorno delle labbra. L’uomo si avvicinò al letto, Suzaku continuava a fissare il vetro alla sua sinistra ormai da tempo;
«Glielo ripeto, non ricordo altro. Il sogno si interrompe qui!» rispose Suzaku, con tono irritato. Erano ore che continuavano ad esaminare lo stesso sogno. Secondo il medico c’era qualcosa di celato in quel racconto, qualcosa che avrebbe potuto aiutare il ragazzo, che avrebbe potuto aiutare Zero e Britannia. I risultati però non erano quelli sperati.
«Cerchiamo di fare il punto della situazione analizzando realtà e finzione» propose l’uomo, prendendo una siringa dall’unico ripiano che era presente nella stanza; asettica. Le pareti erano completamente bianche, e riflettevano la luce al neon del soffitto. Solo il vetro che Suzaku stava fissando era nero. Il ragazzo vide il suo riflesso deforme, ma riusciva a comprenderne i tratti. Aveva gli occhi visibilmente affaticati, circondati da anelli di fuoco; lacerati, era evidente, dalla stanchezza.
«Non possiamo continuare a ripetere sempre le stesse cose» disse, con uno sforzo, sistemandosi un’ulteriore cuscino dietro allo schienale. Allungò il braccio verso l’uomo.
«Dall’ultima volta, le ricordo, ha aggiunto maggiori dettagli. Ho fatto delle ricerche. Sono giunto a delle conclusioni, ma dobbiamo analizzarli insieme! Altrimenti sarà tutto vano…» commentò l’uomo che, col dito, stava sbattendo la siringa per permettere all’aria di salire. Fece una leggera pressione e questa fuoriuscì dall’ago insieme al liquido contenuto all’interno. Suzaku abbassò lo sguardo prestando orecchio, cercando di essere di aiuto.
«Avanti, la sto’ ascoltando!»
«Spesso ciò che sogniamo è frutto di processi cognitivi inconsci che mescolano mera immaginazione a situazioni reali, vissute in prima persona o acquisite tramite altri mezzi di conoscenza. Sono portato a pensare che la sua avventura nella Tour Eiffel fa largo uso di particolari, resi noti alla polizia e alle alte cariche di stato, circa l’attentato avvenuto sei mesi orsono, proprio all’omonima torre!» spiegò il medico, avvicinandosi gli occhiali col dito.
«L’attentato?…» una smorfia percorse il volto del ragazzo, sentì l’ago entrargli nella pelle.
«Esatto. Persino la frase, è legata agli accadimenti di quel giorno.» continuò l’uomo, gettando la siringa e spostandosi verso il vetro scuro. Le mani congiunte dietro la schiena lo slanciavano ancor più di quanto non lo fosse già. Aveva pochi capelli, calvo nella parte frontale della testa.
«Inoltre… non posso far a meno di dirle che la paura, il risentimento, il dolore, la rassegnazione, la disperazione… sono tutti sintomi di quello che gli psichiatri chiamano “Disturbo post-traumatico”, nel suo caso: gli eventi di dieci anni fa; la morte dell’Imperatore Lelouch»
«Non ha senso… perché ora?»
«Questo, signor Kururugi, non so spiegarmelo. Solitamente questo tipo di disturbi si manifestano nel periodo successivo al trauma stesso… nel suo caso si sono manifestati con netto posticipo, come se si fossero liberati tutti insieme a comando» rispose l’uomo, voltandosi verso il ragazzo. I loro sguardi si incrociarono e Suzaku ebbe un tremito.
«Il sogno, inoltre, ha forse manifestato ciò che lei si rifiuta di accettare. Ovvero l’estrema difficoltà, il peso direi, della scelta che fece quel giorno… Lei ha adempiuto perfettamente alla missione che si era preposto, cercando di ignorare il suo rifiuto verso la scelta che ha fatto! Rinunciare all’essere Suzaku, passare la vita come Zero. Rinunciare alle amicizie. Dedicare la sua esistenza a…»
«Nunnally!» lo interruppe Suzaku trasalendo. Posò lo sguardo sulle sue mani bendate, delle lacrime iniziarono ad inumidire le fasciature.
«Cosa… perché sto…» gli occhi gli parvero ancora più gonfi, i ritmi cardiaci aumentarono vertiginosamente. Sopraggiunse l’affanno, portò le mani al volto e non riuscì ad interrompere il pianto.
«Forse sono andato troppo oltre… poi ci arriveremo!»
«No!» urlò Suzaku. La voce era roca e carica di rabbia. Non voleva rievocare quelle sensazioni. Aveva rimosso quel ricordo, quei giorni: dolore, tristezza, angoscia, terrore, ira…
«Cerchi di calmarsi. Sono qui per aiutarla, lei deve dirmi cos’è successo quel giorno. So che non ne ha parlato con nessuno. Ma se mai lo farà, mai riuscirà a scrollarsi di dosso quel macigno che continua a sollevare da solo. Se continua così perderà se stesso!» rispose l’uomo, preoccupato per le condizioni critiche del paziente. D’un tratto i battiti tornarono normali. Lo sguardo di Suzaku intercettò quello dell’uomo giusto quel po’ da trasmettere timore nell’altro. Gli occhi erano rossi d’irritazione a causa delle lacrime, alla rabbia si aggiunse la rassegnazione.
«Ho già perso me stesso, ben dieci anni fa. Dottore! Non sarà certo questo peso che porto con me a togliermi un’identità che non ho più»
«Ha ragione. Zero le ha tolto la sua identità. No! Lelouch, gliel’ha tolta… ma… risponda adesso alla mia domanda: chi è Zero?»
«Cosa?… chi… è… Zero?!...» Suzaku ebbe un sussulto, gli occhi tremarono cercando di comprendere il significato di quelle parole. Chi era Zero per lui? Non si era mai posto questa domanda, aveva sempre pensato che fosse un personaggio da interpretare, o almeno così gli era sempre parso. Eppure, riflettendoci, non ha mai dovuto pensare a “come avrebbe agito Zero”, era solito fare e dire cose di sua spontanea volontà. Quelle parole lo turbarono. Continuò a ripeterle cercando di trovare risposta nell’oblio in cui lentamente stava precipitando.
«Zero…»
«Deve rispondere a questa domanda prima di porsene delle altre, magari più oscure. E deve trovare il coraggio di accettare ciò che è successo… i suoi amici stanno aspettando lei. Lei… è la loro unica ancora di salvezza, l’unico modo per combattere un nemico che non conoscono… l’unica persona in grado di vendicare la morte di…»
«La smetta!!» urlò Suzaku, prendendo il bicchiere, che aveva sul comodino alla sua destra, infrangendolo contro il vetro scuro che non fece una crepa. Si trovò all’improvviso solo, nel silenzio più assoluto, perso nell’oscurità della sua mente, riflettendo, ancora una volta solo, sul sogno e sulla presenza di C.C… la strega che diede i poteri a Lelouch. Continuò a porsi domande quando una luce tenue si fece largo nell’oscurità. Lentamente cresceva. Corse verso la luce, non vedeva dove stava poggiando i piedi. Arrivò. Venne catapultato in una stanza ben decorata. Le pareti erano di un tenue colore blu con inserti in oro. Il pavimento era di moquette rossa. Una libreria il legno antico e spesso presenziava immobile lungo tutta la parete di destra. Di fronte all’ingresso c’era una scrivania piena di scartoffie, dietro una sedia decorata in modo certosino. Un mappamondo aperto, alla sinistra del tavolo, nascondeva un incasso con diverse bottiglie di pregiato liquore all’interno. Quadri raffiguranti Lelouch e Nunnally adornavano la parete sinistra. Dietro alla scrivania vi era invece un quadro alto più di due metri: Nunnally seduta al centro, alla sua sinistra c’era Cornelia, coi suoi lunghi capelli viola e il suo portamento mascolino, ma regale; mentre alla sua destra vi era l’eterna figura di Zero, colui che pose fine alla dittatura dell’Imperatore folle, colui che la proteggeva da ogni pericolo. La sua spada.
Al centro della stanza giaceva un corpo senza vita. La sedia a rotelle ribaltata sul pavimento. La moquette era di un rosso più scuro nello spazio prossimo al corpo. Suzaku fece un passo indietro, si sentì mancare. Il fiato si fece corto, portò le mani alla gola. Chiuse gli occhi. “Non è reale” pensò. Li riaprì e davanti a lui, tenendolo spinto alla parete immediatamente fuori dalla stanza, c’era Zero. Gli stringeva forte la gola; Suzaku non toccava terra. Non riusciva a capire. Un attimo prima erano le sue mani, l’istante dopo erano quelle di Zero. Vide il suo volto riflesso nella maschera, ma non lo riconobbe. Trasalì apprendendo l’incredibile realtà. Dalla maschera, riflessi su di essa, due occhi lo fissavano; erano di un candido colore rosa, sembravano brillare.
«Il… Geass» le uniche parole che fu in grado di pronunciare, poi tutto svanì…
Il display verde, dei parametri vitali, che aveva ricominciato a suonare rapidamente, lentamente tornò ai valori ottimali. Sul letto Suzaku crollò in un sonno profondo. Dietro al vetro, che permetteva solo ad un lato di scrutare l’altro, Cornelia, a braccia conserte, osservava il ragazzo. Sguardo freddo, ma visibilmente turbato. Si voltò delusa dall’ennesimo fallimento, ed uscì rabbiosa dalla porta alle sue spalle. L’uomo seduto davanti ai monitor di sorveglianza la fissò spaventato. Abbassò lo sguardo e tornò a controllare il paziente.
Fuori dalla sala di controllo Kallen attendeva con le spalle poggiate alla parete bianca, che percorreva un corridoio apparentemente senza fine, privo di porte.
«Novità?» chiese guardando dritto in faccia la Governatrice Cornelia. Aveva un abito nero, ricamato in oro, del tutto simile a quello dei Knight of Round. Sulle spalle, un mantello rosso con uno stemma, anch’esso in oro. Cornelia la raggiunse, i loro sguardi si incrociarono. Bastarono quelli per capirsi, non una parola uscì dalle sue labbra. Kallen abbassò lo sguardo delusa, era sicura che questa volta sarebbero riusciti a capirne di più. Speranza vana.
«Io non mi arrendo. Arriverò in fondo a questa storia, con o senza di Lui!» disse Cornelia, avendo compreso i pensieri di Kallen.
«Ma Zero…» la ragazza si interruppe. Gli venne istintivo chiamarlo così, ma… sapeva che, in quella stanza, Zero non c’era più.
«Andiamo, raduna gli altri Rounds!» sentenziò l’altra mentre si allontanava. Il passo fermo, di chi non aveva intenzione di fermarsi dinanzi a nulla. Di chi sarebbe arrivato fino in fondo a quella storia, di chi… Avrebbe riportato indietro Zero!

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Capitolo 7
*** New Moon ***


Tutti gli esseri umani, tutti gli individui, sono alla ricerca della felicità. Ciò a cui il giovane Lelouch aspirava era un po’ di serenità. Niente di speciale.
All’origine delle sue imprese c’era un semplice sogno, un piccolo e modesto desiderio personale; come quello di tanti altri. Nessuno avrebbe avuto mai il diritto di negargli un sogno del genere, una simile promessa. Eppure le persone, nella rete intricata delle relazioni con il prossimo, corrono il rischio di ridursi a stereotipi di se stessi. E così, le aspettative realmente personali finisco per esser spazzate via di fronte alla coscienza del mondo, e l’intera esistenza diventa evanescente. Ciò che è seguito alla morte di Lelouch, non è che il passato che lui stesso ha combattuto con tanto ardore; un passato intriso di odio causato dalla natura stessa dell’uomo. Eppure, nonostante tutto, ciò che appariva agli occhi della popolazione era un mondo di pace. Le guerre erano un lontano ricordo, una ferita rimarginata ma eternamente presente nei cuori di coloro che l’hanno vissuta. Gli equilibri politici erano stati sconvolti e del vecchio ordine costituito ben poco era rimasto immutato, tanto che neppure le tre grandi potenze che da sempre si disputavano l’egemonia mondiale ne erano rimaste illese. Il panorama mondiale mutò nel giro di pochi mesi dalla morte dell’Imperatore Folle.
 
Tutto cominciò dalla Confederazione cinese: una dopo l’altra, infatti, tutte le diverse regioni che la costituivano si erano ribellate, appoggiando la giovane Imperatrice creduta morta. Si innalzarono orgogliose contro quell’oligarchia elitaria che da secoli accentrava tutto il potere nelle mani di esseri senza scrupoli, capaci di vedere il loro stesso leader pur di vedersi riconosciuti diritti e titoli. Gli eunuchi vennero così scalzati del tutto dalla loro carica, lasciando il posto alla giovane Imperatrice Tianzi, protetta dall’ormai inseparabile Li Xingke. La confederazione cinese si unì in questo modo all’Alleanza delle nazioni unite, composta da Giappone e Britannia, amministrate rispettivamente dalla Governatrice Nunnally e dalla Governatrice Cornelia.
 
Ben più complicata invece appariva la situazione sul fronte di Euro Universe: se da un lato la solida linea politica di Britannia aveva favorito un ingente miglioramento del sistema economico complessivo, dall’altra aveva causato lo scoppio di innumerevoli lotte intestine tra i diversi stati membri. Questi infatti, accecati dal desiderio di appropriarsi dei territori che l’ex-impero teneva sotto scacco, avevano iniziato a darsi battaglia nello stupido tentativo di imporre la propria supremazia. Azioni alquanto discutibili se mosse da un’organizzazione fondata su principi democratici come la cooperazione e il rispetto reciproco qual era E.U. A tal proposito Cornelia continuava ad inviare mediatori che potessero lenire tali lotte al fine di evitare insorgenze più dure che avrebbero scomposto il delicato equilibrio che lei e sua sorella Nunnally stavano cercando di reggere con la sola forza di volontà. Avevano infatti deciso di non ingaggiar battaglia per risolvere qualsivoglia tipo di problema. Scelta, questa, che aveva trovato vasta approvazione nell’alto consiglio delle Nazioni Unite, ma che non mancava di insospettire vecchi conservatori che non potevano accettare una linea così buonista da parte di uno degli Imperi più potenti della storia.
 
E così Britannia si era trovata, di nuovo, a coprire il difficile ruolo di ago della bilancia: in balia di nuove realtà emergenti, tra il caos rivoluzionario della Confederazione Cinese e la malcelata ambizione delle nazioni europee; un equilibrio precario, protetto dalla forza di due donne vigorose e ormai capaci di reggere, insieme, il destino del mondo intero. Nunnally si trovò così costretta, dall’irrompere degli eventi, a dimostrare una maturità che non le si addiceva, che contrastava la sua tenera età, di appena quindici anni. Fortunatamente al suo fianco c’era Zero, che l’accompagnava come un’ombra in ogni sua uscita pubblica, e che la proteggeva senza mai farglielo pesare davvero. Era una coppia fuori dal comune: il salvatore del mondo, Zero, colui che aveva posto fine alle azioni tiranniche di Lelouch Vi Britannia; e la sorella dell’Imperatore Folle, colei che aveva, con coraggio incredibile, attribuito un numero spropositato di colpe al defunto fratello. La giovane Governatrice però conosceva la verità: spesso, quando era sola nei suoi alloggi, piangeva ininterrottamente per ore, ricordando il fratello e ciò che era stato in grado di fare. Aveva cambiato tutto.
Nonostante i tumulti che ancora dominavano il panorama politico, il mondo era in pace. Ogni anno le Nazioni Unite organizzavano un evento memoriale, che veniva celebrato di anno in anno in luoghi diversi, per non dimenticare ciò che le guerre ci sottraggono, e ciò che il desiderio incondizionato dell’uomo può causare quando sfocia nella follia pura. Dopo ben dieci anni dall’inaugurazione, l’evento si sarebbe svolto proprio in Giappone, luogo in cui tutto ebbe inizio e, con la stessa velocità, trovò fine. L’evento, così come era nato, aveva anche l’obbiettivo di avvicinare in un solo luogo le più alte cariche delle nazioni più importanti del globo, per permetter loro di trovarsi insieme privi del peso politico che incombeva sui loro doveri. Nessuno di loro, però, avrebbe mai immaginato che gli eventi di quella sera si sarebbero riversati sul mondo intero con tale violenza da destabilizzare ogni tipo di alleanza. Eventi che distrussero per sempre l’idea, che per dieci anni era ormai entrata nell’immaginario comune, della famiglia reale come pacifica mediatrice tra i popoli.
 
 
«C’è qualcosa che ti turba Zero?» chiese una dolce fanciulla, ormai adulta, seduta sulla sua sedia a sospensione magnetica, in tinta col suo abito perlaceo. Era cresciuta Nunnally, tanto nella mente quanto nel corpo. Gli occhi brillavano di un viola intenso, proprio come quelli di Lelouch. Fissava Zero, poggiato al muro appena fuori la stanza, che aveva lo sguardo visibilmente perso nel vuoto. Cercava di scorgere il suo volto al di là della maschera, era turbato, ma si ostinava a nasconderlo -eppure con lei poteva confidarsi. Strinse le mani, poggiate sul ventre, e fece cenno con la spalla, quando Zero le rivolse lo sguardo.
«No, tranquilla Nunnally, non è niente» rispose lui avvicinandosi con passo fermo. Mentiva. Qualcosa c’era eccome. Una strana sensazione lo aveva colpito quel giorno, come la certezza che qualcosa di spiacevole sarebbe accaduto quella sera, ma non aveva il coraggio di ammettere il suo turbamento; cercava di nasconderlo persino a se stesso.
Girò intorno alla ragazza e prese le redini della sedia sulla quale era poggiata, accompagnandola all’esterno. Il sole era ormai calato da ore e le tenebre avevano preso il suo posto, protagoniste indiscusse in un cielo limpido e stellato. Percorsero un corridoio irto di finestroni che davano su un giardino elaborato, che sembrava disegnare un intricato labirinto di siepi alte e sempre verdi. Al centro del labirinto si ergeva una fontana in marmo, dettagliatamente decorata, che si innalzava su tre livelli, sull’ultimo dei quali vi era un angelo: un libro nella mano sinistra che poggiava sul grembo, ed una spada, rivolta a chi cercava di incrociare il suo sguardo, nell’altra.
Lungo il corridoio, illuminato solo da flebili luci a parete, regnava un silenzio tombale, interrotto solo dai passi di Zero, che echeggiavano per tutta la sua lunghezza. Arrivarono poi in uno spazio più aperto: il corridoio, infatti, si apriva in un’area più grande, diramandosi in due scaloni che, girando, si rivolgevano verso il parapetto del piano superiore. Sulle scale, davanti una vetrata raffigurante quella che sembrava a tutti gli effetti la riproposizione della Genesi, vi era Cornelia, in un abito nero scintillante, che sembrava nascondere elegantemente il suo spirito guerriero.
La donna scese le scale a passo fermo e raggiunse i due prima di fare cenno di andare. Due maggiordomi aprirono la grande porta a due ante che dava direttamente sul giardino anteriore: diviso a metà da un lungo corridoio che portava all’esterno della villa. Un piccolo isolotto ovale, davanti la facciata della stessa, permetteva alle auto di girare per poi tornare nel corridoio dal quale erano arrivate. Un’auto li attendeva, al suo interno il nobile servitore di Lady Cornelia, pronto anch’egli per la serata; non aveva mai lasciato il suo fianco, l’amore che provava per lei era incommensurabile.
Il cellulare di Zero vibrò, sullo schermo comparve la notifica di un messaggio: “Sono arrivata”. Chiuse il cellulare ed entrò nell’auto nera fuori la villa. Solo all’interno dell’auto si tolse la maschera; era visibilmente agitato, il viso era pallido e gocce perlacee dominavano la fronte aggrottata. Quel turbamento che lo assaliva dal mattino non era svanito, nonostante le disposizioni date ai Rounds che rispondevano direttamente a lui. L’auto era spaziosa e permetteva di ospitare al suo interno ben più persone di quante ce ne fossero in quel momento. Suzaku si alzò chino e diede due tocchi al vetro oscurato che lo divideva dall’autista. L’auto partì.
 
Mesi prima, Suzaku si trovava a Parigi per presenziare ad un meeting con alcuni esponenti di Euro Universe, per conto della Governatrice Nunnally che in quei giorni si stava sottoponendo ad un’ulteriore operazione alla spina dorsale. Scese dal treno sul quale viaggiava: aveva un’intera sezione solo per lui e per il Knightmare che aveva portato con sé. Ad attenderlo c’erano numerosi funzionari di stato, orgogliosi, sembrava, di incontrare Zero per la prima volta. Per Suzaku però quella non era in realtà la prima volta che visitava parigi, ma ormai non era più il giovane Kururugi.
Quella visita non era rimasta impressa nella sua memoria per l’esito, per nulla positivo, del meeting a cui aveva preso parte, piuttosto per una strana situazione che si venne a creare poche ore prima. Con grande rischio, vagò per la città parigina senza maschera, in abiti civili e con solo un cappello con visiera abbassata a coprirgli il volto; i capelli castano mossi fuoriuscivano ribelli dal fondo del cappello. Visitò la Tour Eiffel, ancora integra, ignara del destino che l’avrebbe modificata per sempre nelle settimane a venire; passò per la cattedrale gotica più famosa al mondo; entrò nella raffinata reggia di Versailles, che aveva visto succedersi numerosi Re e le loro presuntuose famiglie reali. Arrivando poi in un borghetto, isolato e visibilmente malfamato, alla periferia della città. Lontana da tutto e tutti era un luogo del tutto estraniato dal resto degli edifici che componevano Parigi in un caleidoscopio di colori e stili architettonici diversi. Gli ricordava un po’ la zona povera dell’area 11. Con passo fermo camminò lungo i vicoli stretti e bui di quel borgo. Le case sembravano tutte uguali: tutte costruite in legno o in mattoni rossi che discostavano poco dal colore delle altre strutture della zona, i tetti avevano tegole malconce e del tutto inappropriate per poter riparare qualsivoglia famiglia. In quel tumulto di disperazione, tra barboni accostati ai lati del vialetto e casse contenti un miscuglio indefinito di oggetti, visibilmente rubati, saltò agli occhi del ragazzo una struttura ben illuminata da luci al neon rossi e blu. Il sole era all’orizzonte e l’arancio che dominava il cielo dava al tutto un’area rustica, ma marcia. L’entrata al locale si trovava al di sotto del viale a ciottoli: scale grezze e dissestate portavano alla porta in legno scadente. Suzaku scese i tre gradini che lo dividevano dall’entrata e, alzando lo sguardo, lesse l’insegna in ottone decadente: “Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo”
Leggendo quell’insegna Suzaku fece un leggero passo indietro, rimase colpito e forse un po’ sconvolto da quell’insegna tanto strana quanto penetrante.
“Cosa significa?” si chiese allungando la mano verso l’anello in ferro battuto, arrugginito dall’età e dagli agenti atmosferici, che penzolava sul lato sinistro della porta all’altezza del petto. La porta scricchiolò, era socchiusa. Lasciando l’anello con le dita, Suzaku fece forza e aprì la porta, più pesante di quanto potesse apparire da occhio esterno. All’interno c’erano cianfrusaglie ovunque: un tavolo in legno antico davanti un caminetto che ospitava una pentola di rame di altri tempi; sulle pareti vi erano numerosi scaffali, anch’essi in legno antico e spesso, su cui erano poggiate begamene e soluzioni di colori assortiti. La stanza era calda e illuminata solo dal fuoco acceso; ragnatele dominavano l’intero locale, e lo rendevano ancora più malato di quanto non potesse già sembrare. Sembrava non ci fosse nessuno. Suzaku entrò ancor di più al suo interno, per nulla intimorito, quasi incuriosito da quella strana dimora. La pesante porta si chiuse all’istante alle sue spalle, costringendo Suzaku a voltarsi di scatto con la lama puntata, fuoriuscita dalla manica destra della fiacca; la mano destra era coperta dall’arma. La ritrasse quando notò che a chiuderla fu una vecchietta molto bassa, salita addirittura su di uno scaletto per poter chiudere la porta. La donna non si spaventò della reazione eccessiva del giovane. Lo fissò, però, con aria ammonitrice. Scese poi dallo scaletto e diede due colpi col bastone, che la reggevano, sulle gambe di Suzaku. Aggirò l’imponente tavolo in legno, e salì su di uno sgabello per poi andare sul tavolo, spostando le cartacce col bastone. Finalmente poteva guardare in volto l’estraneo che era da poco entrato nella sua locanda. I suoi occhi erano di un giallo intenso, che contrastava con la sua senilità avanzata. Suzaku inclinò il volto e lentamente si avvicinò, quasi ipnotizzato dalla vecchia.
«Cosa ti porta qui figliolo?» chiese la vecchia. Tirò a sé la mano del ragazzo senza nemmeno dargli la possibilità di rispondere o presentarsi. Sfiorò con le mani callose e morbide il palmo della mano, piena di cicatrici. Suzaku non proferì parola, preferendo assistere silenzioso all’ispezione.
«Buon Dio» disse l’anziana, interrompendo il silenzio che era seguito. Alzò il volto, ora visibilmente malinconico, e sfiorò quello di Suzaku delicatamente. Lasciò cadere la sua mano e riprese il bastone. Si voltò, mostrando la schiena gobba coperta solo da una lanosa coperta. Il viso riscaldato e illuminato dalla fiamma del caminetto in mattoni. L’arancio metteva in ombra le numerose rughe che tempestavano il viso dell’anziana donna, preoccupata e indebolita, si riferì a Suzaku senza voltarsi.
«Dimmi caro… Credi ai fantasmi?»
 

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